a Delle cinque piaghe della Santa Chiesa

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a Delle cinque piaghe della Santa Chiesa di Antonio Rosmini Storia d’Italia Einaudi

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Delle cinquepiaghe della SantaChiesa

di Antonio Rosmini

Storia d’Italia Einaudi

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Edizione di riferimento:Delle cinque piaghe della Santa Chiesa a cura di NunzioGalantino, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 1997

Storia d’Italia Einaudi II

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Sommario

Avvertimento 1Alcune parole preliminari necessarie a leggersi 4Capitolo I 10Capitolo II 31Capitolo III 62Capitolo IV 96Capitolo V 187Appendice. Sopra le elezioni vescovili a clero epopolo. Lettere di Antonio Rosmini Serbati Prete

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Storia d’Italia Einaudi III

AVVERTIMENTO

Nell’avvenimento al trono di Pio IX l’autore dando al-la luce quest’operetta, scritta diciassett’anni fa, intende-va di comunicarla ad alcuni scelti amici, com’egli dichia-ra nella conclusione della medesima Ma essendone per-venuti alcuni esemplari in mano dei librai, questi, controla volontà dell’autore, ne fecero altre edizioni per ispe-ranza di trarne guadagno, e così ella ebbe una pubblicitàmaggiore e più celere che l’autore medesimo non avreb-be desiderato.

Abbandonata in tal guisa ad ogni maniera di lettori, ilgiudizio portatone dal pubblico fu vario: altri la innal-zarono alle stelle, altri la depressero nell’abisso. Questoincidente recò nulladimeno all’autore un vero vantaggio.Alcuni pii e dotti ecclesiastici gli fecero delle sensate os-servazioni, alle quali egli si dichiara riconoscente; e permostrare col fatto quant’egli le apprezzi, si risolse di farequesta nuova edizione, nella quale procurò di emendarediligentemente tutti quei luoghi che gli furono indicaticome degni di emendazione.

Forse nel fervore dello zelo e del dolore che gli cagio-navano i mali da cui è oppressa la Chiesa (onde l’empie-tà è portata in trionfo ed è profanato il nome di Cristo)la sua penna trascorse a pennelleggiare quei mali con deitratti soverchiamente risentiti, che potevano in qualchemodo offendere buona parte del Clero, al quale si glo-ria di appartenere. Egli riconosce pienamente la santi-tà, la dottrina, lo zelo infaticabile di tanti venerabili Pre-lati e sacerdoti che combattono valorosamente le guer-re del Signore, e conducono con assidue fatiche le ani-me alla salute: che fosse alienissimo dall’animo suo il de-trarre menomamente ai loro meriti ed alle loro corone nechiama in testimonio lo stesso Signore.

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Descrivendo i dolori presenti della Chiesa, per farlimaggiormente spiccare, egli istituì sovente un confrontofra la condizione in cui oggidì si trova la Chiesa e quel-la in cui ella si trovava quando nel popolo cristiano fio-riva più ardente fede e la carità; di che alcuni indusseroche l’autore proponesse per universal rimedio di richia-mare in tutto l’antica disciplina ecclesiastica. Mai nonebbe questo pensiero: egli riconosce nella moderna di-sciplina l’opera di quella stessa divina sapienza che eb-be dettata l’antica, e sa che la disciplina non può esser altutto immutabile, anzi conviene che sia accomodata al-le circostanze dei tempi, il che fa la Chiesa secondo chelo Spirito Santo, che continuamente la assiste, le sugge-risce. Lo scopo dell’opera fu di additare semplicemen-te le calamità della Chiesa: dei rimedi egli tocca appenaquanto la connessione del discorso lo esige: secondo ilsuo disegno dovrebbero formare l’argomento d’un altrotrattato.

In qualche tratto dell’opera parve rimanesse una lacu-na, che poteva condurre il lettore a supporre nello scri-vente sentimenti ch’egli non professa. A ragion di esem-pio dove egli accenna storicamente che la cessazione del-la lingua latina fu una delle cause che pose una cotal di-visione di affetti del popolo dal Clero nel pubblico cul-to, l’autore senza trattenersi a disapprovare il sentimen-to di quelli che vorrebbero introdotte nella sacra liturgiale lingue moderne, trapassa immediatamente a dire che ilClero, qualora l’istruzione ne fosse perfezionata potreb-be recare opportuno rimedio a quello sconcio. Fu giusta-mente desiderato che egli avesse aggiunta una disappro-vazione esplicita dell’opinione di quelli che favorisconola riduzione della sacra liturgia in lingua volgare, opinio-ne censurata dalla Chiesa.

A questa e alle precedenti osservazioni l’autore ha sod-disfatto nella presente edizione. Anzi non contento dellealtrui osservazioni, egli da se stesso, l’autore, percorren-

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do diligentemente l’operetta, corresse molti più luoghi,che da nessuno gli erano stati indicati come bisognevo-li di correzione. Che se nulladimeno il savio lettore s’in-contrasse ancora in qualche passo bisognevole di emen-da, sappia ch’esso non fu da nessuno indicato all’autore.

Fu detto che l’autore volesse attribuire al popolo laelezione dei Vescovi: quanto sia falsa una tale credenzalo dimostra da sè il Capitolo IV, nel quale egli nonesprime mai altro desiderio, se non che il popolo possain tali elezioni rendere la sua libera e pia testimonianza aicandidati, secondo lo spirito della Chiesa. A chiarire sudi ciò maggiormente la mente dell’autore s’aggiunsero inquesta edizione tre lettere già prima d’ora da lui scritte epubblicate su tale argomento.

Finalmente l’autore invoca l’indulgenza dei lettori pe’difetti che ancora rimanessero nel suo scritto, pregandoistantemente la loro carità a interpretare in buon senso lesue parole, avendo egli voluto scrivere in edificazione, enon in distruzione: voluto unire e non dividere. Tuttoquello che disse lo sottopose al giudizio della Chiesacon quei sentimenti che stanno espressi nelle parole cheprecedono all’operetta.

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ALCUNE PAROLE PRELIMINARI NECESSARIE ALEGGERSI

1.

Trovandomi in una villa del Padovano, io posi mano ascrivere questo libro, a sfogo dell’animo mio addolorato;e fors’anco a conforto altrui.

Esitai prima di farlo; perciocché meco medesimo miproponea la questione: «Sta egli bene, che un uomo sen-za giurisdizione componga un trattato sui mali della san-ta Chiesa? O non ha egli forse alcuna cosa di temerarioa pur occuparne il pensiero, non che a scriverne, quandoogni sollecitudine della Chiesa di Dio appartiene di dirit-to ai Pastori della medesima? E il rilevarne le piaghe nonè forse un mancare di rispetto agli stessi Pastori, quasi-ché essi o non conoscessero tali piaghe, o non ponesseroloro rimedio?»

A questa questione io mi rispondevo, che il meditaresui mali della Chiesa, anche a un laico non potea essereriprovevole, ove a ciò fare sia mosso dal vivo zelo del be-ne di essa, e della gloria di Dio; e parevami, esaminan-do me stesso, per quanto uomo si può assicurare di sè,che non d’altro fonte procedessero tutte le mie medita-zioni. Rispondevami ancora, che se nulla v’avea di buo-no in esse meditazioni, non era cagion di celarlo; e sequalche cosa v’avea di non buono, ciò sarebbe stato ri-gettato dai Pastori della Chiesa: che io non pronunciavocon intenzione di decidere cosa alcuna, ma che intende-vo anzi, esponendo i miei pensieri, di sottometterli ai Pa-stori stessi, e principalmente al Sommo Pontefice, i cuivenerati oracoli mi saranno sempre norma diritta e sicu-ra, alla quale ragguagliare e correggere ogni mia opinio-ne: che i Pastori della Chiesa, da molti negozi occupa-

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ti e aggravati, non hanno sempre tutto il comodo di de-dicarsi a tranquille meditazioni; e che essi stessi soglionodesiderare, che altri venga loro proponendo e suggeren-do quelle riflessioni, che potessero giovar loro nel gover-no delle loro Chiese particolari e della universale: e fi-nalmente mi si presentavano innanzi agli occhi gli esem-pi di tanti santi uomini che in ogni secolo fiorirono nellaChiesa, i quali, senza esser Vescovi, come un san Giro-lamo, un san Bernardo, una santa Caterina ed altri, par-larono però e scrissero con mirabile libertà e schiettezzadei mali che affliggevano la Chiesa nei loro tempi, e del-la necessità e del modo di ristorarnela. Non già che io miparagonassi pur da lontano a quei grandi, ma io pensai,che il loro esempio dimostrava non esser per sé riprove-vole l’investigare, e il chiamar l’attenzione dei Superioridella Chiesa sopra ciò che travaglia ed affatica la Sposadi Gesù Cristo.

2.

Rassicuratomi sufficientemente con queste considerazio-ni, che io potea senza temerità dar luogo a’ pensieri, chemi si affollavano nell’animo, sullo stato e condizione pre-sente della Chiesa, e che non era riprensibile cosa né an-co il versarli in carta e altrui comunicarli, mi nasceva unaltro dubbio risguardante la prudenza, anziché l’onestàdella cosa. Consideravo che tutti quelli i quali hannoscritto di somiglianti materie nei tempi nostri, e che sisono proposto e hanno dichiarato di voler tenere unastrada media fra i due estremi, in luogo di piacere alledue potestà, della Chiesa e dello Stato, sono dispiaciutiegualmente all’una ed all’altra: il che mi provava la som-ma difficoltà che hanno tali materie ad essere trattate consoddisfazione universale; e quindi predicevo a me stesso,che, in luogo di giovare, non avrei forse, in iscrivendo le

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dette mie meditazioni, se non urtato ed offeso contro atutte e due le potestà.

Ma a questo, io di nuovo mi replicavo, che io ragio-navo in coscienza, e che perciò nessuno aveva ragione diprendersela contro di me, quando anche io errassi: che ionon cercavo punto il favore degli uomini, né alcun van-taggio temporale; e perciò, che se gli uomini delle dueparti1 l’avessero presa contro di me, io sarei stato com-pensato dal testimonio della mia coscienza, e dall’aspet-tazione del giudizio inappellabile.

3.

D’altra parte, facevo meco stesso ragione, quali potesse-ro esser queste cose di cui si dovessero poter offenderegli uomini delle due parti.

Dalla parte dello Stato, io consideravo, che una cosasola poteva dispiacere ad alcuni, cioè il non saper io ap-provare la nomina dei Vescovi lasciata in mano alla po-testà secolare. Ma se io disapprovo un sì fatto privilegio,considerato in se stesso (benché considerato nei tempi incui fu conceduto, la Chiesa non errò certamente accor-dandolo, anzi usò della solita sua prudenza), io sono al-tresì persuaso intimamente, che egli non è meno fune-sto alla Chiesa, che allo Stato; e che un grave errore po-litico è quello di credere il contrario; e le ragioni che ioho alle mani di questo apparente paradosso, ed ho espo-ste nel presente libro, sono tali, che io mi posso appel-lare a qualsiasi uomo di Stato, il quale sappia approfon-dire una questione e vincere per forza di mente i comu-ni pregiudizi, che sappia vedere le conseguenze lontanedi un principio politico, che sappia calcolare e accorda-re insieme tutte le cause concomitanti, dalle quali solesi può predire e misurare l’effetto totale di una qualsiasimassima di Stato. Ciò posto, io penso di dimostrare non

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minor premura pel bene dello Stato, che pel bene del-la Chiesa, in sostenendo una sì fatta opinione; e perciò iSovrani non potranno ragionevolmente avere a male ciòche io dico, ma anzi ben riceverlo. Tutto al più, chi è dicontrario avviso, mi opporrà, che io ne so poco di poli-tica; ma questo mio poco sapere sarà mai giusta ragionedi farmi la guerra? Perocché anche in politica, diceva untale, la va bene spesso come la s’intende.

4.

Dalla parte della Chiesa, io non trovavo cosa che potessealtrui dispiacere nella materia di questo libro, se non for-se ciò che accenno intorno all’eccesso delle riserve pon-tificie nelle elezioni. Ma d’altra parte, questo abuso nonappartiene più al tempo presente, ma alla storia. E tut-ti gli uomini di buon senso converranno meco che, oveil filo del discorso l’esiga, non è punto da temersi il con-fessare ingenuamente così palesi abusi; perocché in co-sì facendo, si manifesta che noi non parteggiamo in fa-vore degli uomini e delle loro opere, ma che la sola veri-tà e la causa di Dio, e della Chiesa stessa, ci sta sul cuo-re. Per altra parte, pareami che non mi dovesse tratte-nere dallo scrivere, la noia che io potessi recare a per-sone piuttosto di buone intenzioni, che di ampie vedu-te, avendo ragion ferma di credere che non fosse per di-spiacere il mio scritto alla Santa Sede, al cui giudizio in-tendo sempre di sottomettere ogni cosa mia; giacché ilpensare della Santa Sede io l’ho sempre conosciuto pernobile, dignitoso, e sommamente consentaneo alla veritàed alla giustizia, e le sue decisioni dogmatiche inerrabi-li. Ora io non chiamavo un abuso se non ciò che i sommiPontefici hanno riconosciuto per tale, e come tale cor-retto, abuso però che fu esagerato dagli eretici e dai ma-ligni, onde io stesso ho in parte giustificate quelle riser-

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ve (v. n. 71). Ricorrevami alla mente, fra l’altre cose,quella insigne Congregazione di Cardinali, Vescovi e Re-ligiosi, a cui Paolo III, l’anno 1538 commise, sotto giura-mento, di dover cercare, e manifestare liberamente a SuaSantità tutti gli abusi e le deviazioni dalla retta via, in-trodottisi nella stessa corte romana. Non potevano dar-si persone più rispettabili di quelle che la componevano:perocché entravano in essa quattro dei più insigni Car-dinali, cioè il Contarini, il Caraffa, il Sadoleto e il Polo;tre dei più dotti Vescovi, cioè Federico Fregoso di Saler-no, Girolamo Alessandro di Brindisi, Giovammatteo Gi-berti di Verona; con questi si accompagnavano il Cortesiabate di S. Giorgio di Venezia, e il Badia maestro del sa-cro Palazzo, che furono poscia ambedue Cardinali. Oraquesti uomini sommi, per dottrina, per prudenza e perintegrità, i cui nomi valgono più di qualsivoglia elogio,adempirono fedelmente la commissione dal Pontefice ri-cevuta, e non omisero punto di segnalare al santo Padrein fra i sommi abusi quello delle grazie espettative e delleriserve, e tutto ciò che ci cadea di difettoso nella collazio-ne dei benefizi. Non ommisero né anco di scoprire conacuto sguardo e additare la profonda radice di tali abusi;e indicarono quella appunto che suol trarre dalla dirittavia nell’uso del loro potere, sì lo Stato, che i ministri del-la Chiesa, e che anch’io sono per tale venuto indicando,cioè «l’adulazione raffinata degli uomini di legge». E leparole che usarono su questo argomento que’ sapientis-simi Consultori, nella relazione che sottoposero al Pon-tefice, non possono essere certamente più franche ed ef-ficaci; perciocché esse dicono così: «Tua Santità ammae-strata dallo Spirito divino, che, come dice Agostino, par-la nei cuori senza strepito alcuno di parole, ben cono-sce quale sia stato il principio di questi mali, cioè comealcuni Pontefici tuoi predecessori si ragunassero di queimaestri secondo i lor desideri, che sogliono stropicciargli orecchi, come dice l’Apostolo; non per doverne im-

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parare ciò che far dovessero, ma per trovar ragione nel-lo studio e nella scaltrezza di quelli, da far lecito ciò chepiaceva: di che avvenne (senza contare che l’adulazionetien dietro ad ogni principato come ombra al corpo, eche fu sempre oltre modo malagevole udire la verità agliorecchi dei Principi) che incontanente uscissero dei dot-tori, i quali insegnassero essere il Papa padrone di tut-ti i benefici, e perciò (potendo vendere il padrone quel-lo che è suo, senza ingiustizia) seguirne, che nel Pontefi-ce non cada simonia: perciò ancora, la volontà del Pon-tefice, quale si voglia, esser regola secondo la quale diri-gere egli potesse le sue operazioni ed azioni. Laonde ciòche era libito, facevasi licito in tal legge. Sicché di questofonte, o santo Padre, quasi da caval troiano, sboccaro-no nella Chiesa di Dio tanti abusi e tanti gravissimi mor-bi, dei quali or noi la veggiamo aggravata, e quasi sfida-ta, e n’andò la fama di tali vergogne (il creda la Santitàtua a chi lo sa) fino agli infedeli, che per questa cagioneappunto mettono la cristiana religione in deriso, di mo-do che per noi è che il nome di Cristo si bestemmia fra lenazioni».

Dopo le quali considerazioni, io acquietai dentro dime ogni dubbiezza, e con sicuro animo e libera manotolsi a scrivere questo piccol trattato, che prego Iddiod’indirizzare egli alla sua gloria, e a vantaggio della suaChiesa.Corezzòla, 18 novembre MDCCCXXXII

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CAPITOLO I

Della piaga della mano sinistra della santa Chiesa, che è ladivisione del popolo dal Clero nel pubblico culto2

5.

L’Autore del Vangelo è l’Autore dell’uomo. Gesù Cristovenne a salvare tutto l’uomo3, essere misto di corpo e dispirito. La legge della grazia e dell’amore dovea dunqueentrare e impossessarsi sì della parte spirituale, comedella parte corporea della natura umana; dovea perciòpresentarsi al mondo cotale, che ottener potesse questofine, e, per così dire, dovea esser mista anch’essa, partecomponendosi d’idee, parte di azioni, e colla sua parolaimperante a un tempo e vivificatrice rivolgendosi allaintelligenza non meno che al sentimento; acciocché tuttoquanto v’avea d’umano, e le ossa aride stesse potesserosentire la volontà del loro Creatore, ed esserne vivificate.

6.

Né bastava ancora che il Vangelo penetrasse tutto l’uo-mo come individuo. Essendo la buona novella indirizza-ta a salvare l’umanità intera, oltre di agire sugli elementidella natura umana, dovea accompagnare colla sua azio-ne divina questa natura senza mai abbandonarla in tuttii suoi sviluppamenti, sorreggerla in tutti quegli stati suoisuccessivi, pe’ quali sarebbe passata, acciocché il suo pe-so o gravitazione verso il male non la precipitasse alla di-struzione, ma presiedesse al suo moto una legge beneficadi progressivo perfezionamento; dovea in somma la buo-

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na novella mescolarsi e svolgersi di pari passo cogli uma-ni individui, e con questi passare nelle associazioni ch’es-si formano; dovea allora rigenerare e salvare ogni societàdi uomini, la famiglia, la nazione, l’intero umano consor-zio dopo aver salvato l’uomo; dovea impor leggi salutife-re a tutte queste aggregazioni, e dominarle in nome delDio pacifico; perocché le società sono l’opera dell’uomo;e quella legge divina che domina e signoreggia l’uomo, ènatural signora e dominatrice altresì delle opere sue.

7.

Gli Apostoli, mandati a istruire e battezzare tutte le gen-ti dal divino Maestro, e ammaestrati dalla sua voce e dalsuo esempio, si presentarono alla terra come gl’incaricatidella grand’opera, e si mostrarono investiti di quella pie-nezza di spirito che corrisponder dovea a tanta missione.

Essi non tolsero già a fondare una scuola filosofica.Invitati a questo solo, gli uomini non sarebbero concorsiall’apostolica predicazione, che in piccol numero, ezian-dioché quella scuola non insegnasse che verità. Così eraavvenuto di tutte le sette filosofiche della Grecia, allequali il concorso non fu già maggiore in ragione dellaparte di verità che insegnavano, o della minor quantitàdi menzogna che contenevano. Né pure il parlare tut-te le lingue sarebbe stato sufficiente all’esito felice di lo-ro intrapresa. Conciossiaché tutte le lingue insieme nonavrebbero che date delle idee sotto varie espressioni; masempre idee; quando l’umana natura voleva di più, dellereali operazioni. E gli Apostoli non versarono sull’umangenere sole parole, come avean fatto i filosofi, ma ope-re. Al tempo stesso adunque, che alla parte passiva del-l’umano intendimento rivelarono delle luminose verità edei profondi misterii, e somministrarono ad imitare de-gli eroici esempi nella loro vita, alla parte attiva poterono

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dare un potente impulso, e una nuova direzione, e unanuova vita. Si noti bene: quando io parlo delle opere on-de i banditori evangelici accompagnarono e completaro-no l’efficacia di lor parole, io non intendo solo di allude-re ai portenti che operarono sulla natura esteriore, e co’quali provarono la divinità di loro missione. La poten-za di cui si mostravan forniti, e per la quale piegavano leleggi della natura in ossequio e in testimonio delle veritàche annunziavano, tutto al più avea per effetto di convin-cere gli uomini, che la dottrina loro era vera. Ma la veri-tà della dottrina potea provarsi anche in altri modi; e po-tean gli uomini esserne convinti, senz’esserne soddisfat-ti; perocché, siccome dicevo, se la natura umana aspiradi trovare la verità nell’ordine delle idee, e non può quie-tarsi fino che non l’abbia rinvenuta; essa però ha un’altraesigenza, non meno possente ed essenziale di quella, perla quale aspira continuamente a trovare la felicità nell’or-dine delle cose reali, e verso di questa gravita per leggedi sua natura.

8.

Erano adunque queste opere, colle quali gli Apostolirinforzarono le alte parole ch’essi rivolsero al genereumano, le virtù da essi esercitate?

Certo, che un bisogno essenziale all’uomo è la virtù;perocché senza la dignità morale, l’uomo è spregevole ase stesso; e chi è a se stesso spregevole, non è felice. E gliApostoli mostrarono agli occhi degli uomini corrotti unnuovo spettacolo in se medesimi, tutte quelle virtù, cheessi stessi aveano vedute nel loro divino Maestro, e da luiimitate.

Ma che poteva ciò fare? Il bisogno naturale di vir-tù era oppresso, soffocato nell’uomo dalla idolatria, dalbisogno fattizio d’iniquità; e le virtù dell’apostolato non

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furono già quelle che trassero dal fondo della umana na-tura un accento di approvazione, perocché questo fon-do era divenuto un abisso, di cui custodiva l’adito, comecerbero feroce, l’umana perversità, acciocché ivi dentroluce non penetrasse; ma furono anzi quelle che attizza-rono contro gli Apostoli del Signore la ferocia e la cru-deltà de’ figliuoli degli uomini, che si sbramarono e com-piacquero del loro sangue. La fisonomia stessa della vir-tù già era dimentica agli uomini, o restava nota solo alloro odio; e dove anco alcuni di miglior volontà avesseroravvisata qualche traccia di sua bellezza, e fossero rimastitocchi da qualche raggio di sue divine attrattive, la per-fezione inarrivabile però, nella quale i Mandati del Cri-sto la praticavano, non poteva se non accrescere in essi,senza forze morali, la disperazione di conseguirla, e git-tarli nell’avvilimento che è figlio alla disperazione, e pa-dre a quella quiete di morte, in che l’uomo rifinito dal-la depravazione spegne tutta la propria attività e si ripo-sa nel vizio conosciuto. Tanto più, che nella vita di que’nuovi inviati appariva un ordine di virtù straniero all’u-manità, perché soprannaturale: e le virtù soprannaturali,non che conoscere, ma né pure si potevano giustificare,se non mediante una sapienza che cominciava dal dichia-rare insania quanto il senno umano credea fino allora dipossedere di più incontrastabile, di più vantaggioso, e dicui più applaudiva a se stesso.

9.

Le dottrine evangeliche adunque non poteano esser resepossenti ed efficaci fino a dover penetrare e signoreggia-re l’umanità ne’ suoi principii e nel suo sviluppamento,né da’ miracoli stupendi, né dagli esempi virtuosi di chevenivano accompagnate; imperocché quelli non avevanovirtù che di mostrare la verità delle predicate teorie, per

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se stesse sterili e inefficaci, e il pregio di questi non si po-teva estimare, né si voleva, da uomini sommersi nel vi-zio, o al più al più s’ammirava dai pochi, vanamente edin parte, siccome prodigi di esseri straordinarii, non pos-sibili ad imitarsi dal comune de’ mortali. Ond’era dun-que quella secreta virtù dalla quale avveniva che le paro-le apostoliche fossero più che mere parole, e perciò tan-to si allontanassero da quelle de’ maestri dell’umana sa-pienza? Onde derivava quella forza salvificatrice, che as-saliva l’uomo fino dentro al recinto ultimo dell’anima, eivi trionfava di lui? Quali opere singolari aggiungevangli Apostoli per salvar tutto l’uomo, la parte intellettivae la parte affettiva, e sommettere tutto il mondo ad unaCroce?

Per conoscere queste opere, di cui ebbero comanda-mento di accompagnare il suono della loro voce i Man-dati dal Cristo, conviene richiamare il testo della missio-ne che ricevettero. Che disse loro Gesù Cristo? «Andan-do, ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nomedel Padre, e del Figliuolo, e dello Spirito Santo»4. Nes-sun savio umano avea parlato giammai in questa manie-ra a’ suoi discepoli. In somigliante precetto è determi-nato ciò che gli Apostoli dovevano fare sì relativamentealla parte passiva dell’uomo, come relativamente all’atti-vità di cui egli è fornito. Poiché rispetto all’intelligenza,che è passiva in quanto ha per ufficio di ricevere la veri-tà, veniva detto «ammaestrate tutte le genti», e contem-poraneamente era comandato di rigenerare la volontà, incui tutta l’attività umana, anzi tutto l’uomo si contiene,dicendosi «battezzandole nel nome del Padre, e del Fi-gliuolo, e dello Spirito Santo»; istituendo così un Sacra-mento, che è la porta di tutti gli altri, nel quale una oc-culta virtù ricreatrice del Dio uno e trino dovea operareil rinnovellamento della terra, il risuscitamento della giàestinta nel peccato ed eternamente perduta umanità.

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10.

Furono adunque i Sacramenti, e fra essi il massimo, cioèil Sacramento che nasce dal sacrificio dell’Agnello, ilquale avea detto prima di morire in cibandoli delle pro-prie carni: «Fate questo in mia commemorazione»5 que’riti misteriosi, quelle opere potenti, onde gli Apostoli ri-formarono il mondo intero. Erano anch’essi questi Sa-cramenti altrettante parole, cioè segni, ma di quelle pa-role che non avevano avuto le scuole de’ savii di Grecia:erano parole, ma di quelle che non ferivano solo gli orec-chi materiali, né solo erudivano l’intelligenza, ma che ri-velavano al cuore riavvivato dell’uomo la immortale bel-lezza della verità, i reali premii della virtù, e che svela-vano Dio al sentimento, il Dio nascostosi per non esserecontaminato dal tocco della impura umanità: erano pa-role finalmente e segni, ma parole e segni di Dio, paroleche creavano un’anima nuova dentro l’antica, una nuo-va vita, de’ nuovi cieli ed una nuova terra. In somma, ciòche gli Apostoli aggiunsero alla loro predicazione, fu ilculto cattolico, che nel Sacrificio, ne’ Sacramenti e nellepreghiere annesse principalmente consiste.

11.

Le dottrine che colla predicazione si diffondevano, era-no altrettante teorie; ma la forza pratica, la forza di ope-rare, nasceva dal culto, onde l’uomo attinger doveva lagrazia dell’Onnipossente. Si fu solito di confondere que-ste due parole morale e pratica, e di dar loro un signifi-cato comune, dicendosi egualmente filosofia morale, e fi-losofia pratica. Così avvenne, che quando il filosofo in-segnò i precetti della morale, si persuase con questo so-lo di essere uomo virtuoso; e che i suoi discepoli col purudire e insegnare la definizione del vizio e della virtù, si

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persuasero di possedere già in sé la virtù, e di andarsenemondi dai vizii. Infelice umano orgoglio! diabolica su-perbia della mente, che crede di aver ogni bene compi-to in sé sola, e che ignora come il conoscere non è altroche un principio tenue ed elementare del bene, e come ilbene vero e compito appartiene all’azione reale, alla vo-lontà effettiva, e non al semplice intendimento! E purequest’arroganza dell’intelligenza è la perpetua seduzionedell’umanità, che si continua tuttodì, dopo aver comin-ciato quel giorno, che fu detto all’uomo: «I vostri occhisi apriranno, e voi sarete simili a Dio»6.

12.

Intanto, quando l’autore dell’uomo tolse a riformarlo,non si appagò di annunziare all’intelligenza i precetti mo-rali; ma diede ancora alla sua volontà la forza pratica dieseguirli. E se questa forza la congiunse a certi riti este-riori, ciò fu per mostrare che egli la donava gratis all’uo-mo, e poteva aggiungere quelle condizioni che a lui benpiacessero; e se questi riti volle che fossero altrettanti Sa-cramenti, cioè segni, egli era perché riuscissero accomo-dati alla natura dell’essere, per cui salute venivano istitui-ti; al quale, essendo intelligente, convenia che per mez-zo appunto di segni e di parole si comunicasse la vita e lasalute.

13.

La grazia, la quale rende forte la volontà, si comunicamediante l’intelligenza; ed è un cotal senso intellettivoquello col quale il cristiano sente il suo Dio, e di questosentimento vive, ed è possente nell’opera. E gli Aposto-li, e i loro successori, che a’ pochi Sacramenti istituiti da

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Cristo aggiunsero gli ornamenti di sante preghiere, di ce-rimonie, di esteriori significazioni e riti nobilissimi, ac-ciocché il pubblico culto del Redentore degli uomini riu-scisse più conveniente per decoro all’Uomo-Dio, ed al-l’assemblea di quelli che credevano nella sua parola; se-guirono in far ciò l’esempio dato loro dal Maestro divino;cioè non introdussero cosa alcuna nel tempio priva di si-gnificazione: e tutto parlare, tutto significar doveva altee divine verità; poiché niente potea essere muto e privodella luce del vero quanto si faceva nelle sacre ragunan-ze, dove convenivano ad adorare e pregare l’Essere cheirraggia le intelligenze delle creature intellettive; e dovela Intelligenza suprema che riceveva l’ossequio ragione-vole, segnava di sé, e di sé penetrava e vitalmente accen-deva quelle creature. E queste cerimonie, questi sacra-mentali che la Chiesa, secondo la potestà ricevuta, ag-giunge alla porzione di culto da Cristo istituita e che ditutto il culto cattolico è fondamento, non solo hanno lo-ro proprie significazioni come i Sacramenti, ma parteci-pano altresì della forza vivificante di questi onde dai sa-cri veri significati alla mente, discende al cuore, median-te la fede, una virtù confortatrice, che riassume e rianimain esso la volontà del bene.

14.

Ma facciasi un’altra osservazione sul culto cristiano, in-trodotto ad un tempo colla cristiana predicazione. Que-sto culto, al quale Iddio aveva annessa la sua grazia, chedovea rendere gli uomini atti a praticare le dottrine mo-rali che venivano loro insegnate, non fu solamente unospettacolo presentato agli occhi del popolo, dove il po-polo non intervenisse che per vedere ciò che si faceva enon entrasse egli stesso parte e attore in questa religiosascena di culto. Poteva certamente il popolo de’ creden-

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ti nel Cristo essere ammaestrato col solo vedere ciò chefacevasi nella Chiesa, come semplice spettatore di sacrarappresentazione, e Iddio, padrone assoluto de’ suoi do-ni, poteva, se avesse voluto, aggiungere alla sola vista del-le funzioni del culto esercitate da’ sacerdoti, l’influenzavivifica della sua grazia. Ma per accomodar tutto all’uo-mo nel modo il più conveniente, non volle farlo: ed an-zi volle che il popolo stesso nel tempio fosse gran par-te del culto: e ora sopra il popolo si esercitassero delleazioni, come avviene quando si applicano a lui i Sacra-menti e le benedizioni ecclesiastiche; ora lo stesso popo-lo unito d’intelligenza non meno che di volontà e di azio-ne col Clero, operasse con esso il Clero, siccome in tut-te le preghiere dove il popolo stesso prega, dove rispon-de ai saluti o agl’inviti de’ sacerdoti, dove rende la pacericevuta, dove offerisce, e dove interviene fino qual mi-nistro di Sacramento, come nel Matrimonio. In sommanella Chiesa cattolica il Clero talora rappresenta Iddio,e parla ed opera sopra il popolo a nome di Dio; e taloraanch’esso il Clero col popolo si mescola, e come apparte-nente al Corpo dell’umanità col Capo congiunto, parla aDio, e da lui attende la operazione misteriosa che il risanimoralmente, e rinvigorisca. Sicché il sublime culto del-la santa Chiesa è un solo, e risulta dal Clero e dal popo-lo, che con ordinata concordia e secondo ragione fannoinsieme accordati una sola e medesima operazione.

15.

Nella Chiesa tutti i fedeli, Clero e popolo, rappresenta-no e formano quella unità bellissima, di cui ha parlatoCristo quando disse: «Dove due o tre saranno congrega-ti in mio nome consenzienti fra loro in tutte le cose chedimanderanno, ivi io sarò in mezzo di loro»7; e altrove,parlando al Padre: «Ed io ho a loro dato quella chiarez-

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za che tu hai data a me: acciocché sieno una cosa sola,siccome anche noi siamo una cosa sola»8. Si consideriche questa unità ineffabile di spirito, di cui parla Cristocon sì sublimi parole, e che tanto ripete, trova il suo fon-damento nella «chiarezza di luce intellettiva» che diedeappunto Cristo alla sua Chiesa, acciocché i fedeli fosse-ro una cosa sola con lui, aderenti ad una stessa verità, opiù tosto a lui che è la verità: e che ad essere perfetta-mente consenzienti in quelle cose che domandano a Diocoloro che si ragunano a supplicarlo di ciò che abbiso-gnano, è necessario, o almeno molto utile, che tutti in-tendano quello che dicono nelle preci, le quali innalzanoin comune al trono dell’Altissimo. Quell’unanimità per-fetta di sentimenti e di affetti è dunque quasi condizio-ne che mette Cristo al culto che rendono a lui i cristia-ni, acciocché esso culto gli sia accettevole, ed egli si trovinel mezzo di loro; ed è degno di osservazione, con quan-ta efficacia Cristo esprima questa condizione o legge checontraddistinguer dee la vera preghiera cristiana, e sepa-rarla dall’ebraica, che in un culto materiale e in una fe-de implicita consisteva; perocché non si contenta di di-re che i suoi fedeli preghino insieme uniti, e che preghi-no con consenso di volontà; ma espressamente dice, cheli vuole uniti «in tutte le cose che a lui addimandano».Tanto è sollecito Cristo dell’unità de’ suoi! unità non dicorpi, ma di mente e di cuore, per la quale unità la ple-be cristiana di ogni condizione, raccolta a’ piè degli altaridel Salvatore, non forma più che una persona, ed è quel-l’Israello che, secondo la frase delle divine carte, pugna es’inoltra come «un sol uomo». Ed ora quando mai s’av-vera, che tutta la plebe cristiana sia consenziente in tuttele cose, e perfettamente una, se non allora che i cristia-ni adunati nel tempio eseguiscono concordi le sacre fun-zioni, in generale parlando, sapendo ciò che ivi fanno,ciò che vi si fa; tutti trattando gli stessi comuni interes-si; tutti in somma entrando nel divino culto non solo ma-

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terialmente, ma con perfetto intendimento de’ sacri mi-steri, delle orazioni e simboli e riti onde il divino culto sicompone? Egli è dunque necessario, o almeno è grande-mente utile e conveniente, che il popolo possa intende-re le voci della Chiesa nel culto pubblico, che sia istruitodi ciò che si dice e si fa nel santo sacrificio, nell’ammini-strazione de’ Sacramenti, e in tutte le ecclesiastiche fun-zioni: e però l’essere il popolo pressoché diviso e sepa-rato d’intelligenza dalla Chiesa nel culto, è la prima del-le piaghe aperte e sparte che grondano vivo sangue nelmistico corpo di Gesù Cristo.

16.

Col qual discorso, io non voglio già dire, che se un cri-stiano, senza sua colpa, ignora le significazioni dei ritidella Chiesa e va privo dell’intelligenza esplicita di quan-to si dice e si fa nell’esercizio del pubblico culto, egli nonpossa pregare santamente, non possa innalzare a Dio ora-zioni accettevoli. So troppo bene che «lo Spirito, comedice S. Paolo, aiuta la nostra infermità. Poiché, soggiun-ge, noi non sappiamo che cosa domandare come si con-viene; ma lo stesso Spirito domanda per noi con gemi-ti inenarrabili, e colui che scruta i cuori, sa che cosa de-sideri lo Spirito; poiché egli domanda secondo Dio peisanti»9. Non ignoro che la voce dei semplici e degli igno-ranti stessi penetra i cieli se è mossa dal divino Spirito.Povera umanità se così non fosse! Ma intendo soltan-to affermare, che posciaché Gesù Cristo e la Chiesa hain cosifatto modo istituito il divino culto, che questo siacomposto di parole e di segni significativi coi quali si par-la alla plebe cristiana, e questa o risponde o vi ha una par-te attiva anch’essa, egli par consentaneo, e conforme alleintenzioni di Cristo e della Chiesa, che il popolo, in ge-nerale parlando, vi assista ed adempia la funzione che gli

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è assegnata con intelligenza, quanto mai più sia possibile:come pure, che, ove questo avvenga, il popolo piglia ungusto e un diletto spirituale maggiore delle sacre funzio-ni, s’infervora il suo cuore, acquista maggiore stima, rive-renza e devozione agli esercizi della cristiana pietà, e so-pra tutto si lega al Clero di cui meglio conosce la digni-tà; e quindi la carità si diffonde soavemente tra clero epopolo, e tra i fedeli che compongono il popolo, per l’u-nanimità degli affetti santi e dei religiosi sentimenti, peruna comunicazione spirituale, onde tutti si sentono effi-cacemente uniti in un cuor solo, in un’anima sola, comeuna sola famiglia di cui è padre Iddio. Quanto non con-tribuisce mai questo alla diffusione nei cuori dei fedelidi quello Spirito appunto che prega e domanda con ge-miti inenarrabili! Quanto non giova a mantenere la ple-be cristiana affezionata ai suoi maestri in Cristo, il popo-lo sommesso ed ubbidiente al Clero che lo deve dirigerenella via della salute!

17.

Più cagioni v’ebbero d’una sì dolorosa e infausta divisio-ne; ma due sembrano essere state le principali.

Ne’ simboli istituiti da Cristo, e ne’ riti aggiunti dal-la Chiesa, viene espressa e quasi effigiata tutta la dottri-na, sia appartenente al dogma o alla morale del Vangelo,in una lingua comune a tutte le nazioni, cioè nella linguade’ segni, che mettono sott’occhio le verità in rappresen-tazioni visibili. Ma questa quasi lingua naturale e univer-sale ha bisogno, per essere a pieno intesa, che quegli acui è diretta abbia prima in se medesimo la cognizionedelle verità, la cui ricordanza si vuole con essa suscita-re nell’animo suo. E però il popolo cristiano tanto menointende e prende degli alti sensi che esprime il culto cri-stiano, quanto è meno instruito coll’evangelica predica-

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zione. Di che Cristo volle che precedesse alle azioni delculto, l’insegnamento della verità; e prima di dire «bat-tezzate le nazioni», disse agli Apostoli suoi «ammaestra-tele». La scarsezza adunque di una vitale e piena istru-zione data alla plebe cristiana (alla quale nuoce il pregiu-dizio gentilesco messosi in molti, che giovi tenerla in unamezza ignoranza, o che non sia atta alle più sublimi veri-tà della cristiana Fede), è la prima cagione di quel murodi divisione che s’innalza fra lui e i ministri della Chiesa.

18.

Dico di piena e di vitale istruzione; perocché, in quantoall’istruzione materiale, abbonda forse più in questi chein altri tempi. I catechismi sono nelle memorie di tutti: icatechismi contengono le formole dogmatiche, quelle ul-time espressioni, più semplici, più esatte, alle quali i la-vori uniti insieme di tutti i Dottori che fiorirono in tantisecoli, con ammirabile sottigliezza d’intendimento, e so-prattutto assistiti dallo Spirito Santo presente ne’ Conci-lii e sempre parlante nella Chiesa dispersa, ridussero tut-ta la dottrina del Cristianesimo. Tanta concisione, tan-ta esattezza nelle formole dottrinali è certamente un pro-gresso; la parola è resa tutta e sola verità; una via sicuraè tracciata, per la quale gl’istitutori possono far risuona-re, senza molto studio lor proprio, agli orecchi de’ fedeliche istituiscono, i dogmi più reconditi e più sublimi. Maè poi egualmente un vantaggio che i maestri delle cristia-ne verità possano essere dispensati da un loro proprio eintimo studio delle medesime? Se è reso loro facile il fa-re udire agli orecchi de’ fedeli che istituiscono, delle for-mole esatte; è egualmente reso facile il far entrare questeformole anche nelle loro menti? farle discendere ne’ lo-ro cuori, dove non giungono se non per la via della men-te? L’essere la dottrina abbreviata; l’essere le espressioni,

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di cui essa si è vestita, condotte a perfezione e all’ultimaesattezza dogmatica, e soprattutto l’essere immobilmen-te fisse e rese per così dire uniche; ha egli forse cagionatoche sieno rese alla comune intelligenza anche più acces-sibili? Non è forse da dubitarsi per lo contrario, che unacerta moltiplicità e varietà di espressioni fosse un mez-zo acconcio di introdurre negli animi della moltitudinela cognizione del vero, giacché una espressione chiariscel’altra, e quella maniera o forma che non si acconcia adun uditore, è mirabilmente accomodata ad un altro; insomma col chiamare in aiuto tutta per così dire la dovi-zia molteplice della divina lingua, non si tentano tutte levie, non si premono tutti gli aditi pe’ quali la parola arri-va negli spiriti degli ascoltatori? Non è vero che una so-la ed immobile espressione è priva come di moto, così divita, e lascia pure immobile la mente e il cuore di chi l’a-scolta? Non è vero che un istitutore che recita ciò ch’e-gli medesimo non intende, per quanto scrupoloso sia aripetere verbalmente quanto ebbe altronde ricevuto, fasentire d’avere il gelo sulle labbra, e sparge brine anzichécaldi raggi tra’ suoi uditori? E le parole e le sentenze,più perfette e piene che sono, e più richieggono altresìd’intelligenza a toccarne il fondo, e più dimandano di sa-pienti dichiarazioni; perciocché alla moltitudine riesco-no come pane sostanzioso allo stomaco del fanciullo, chenol digerisce fino che non gli si dia rammollato e tritato;e quelle formole, se si vuole, imperfette, che in altri tem-pi si usavano insegnando i dogmi cristiani, aveano forsenella loro stessa imperfezione questo vantaggio, che noncomunicavano all’uman genere la verità tutta intera e so-da, ma quasi direbbesi rotta in parti, e il disteso discorsoemendava poi il difetto, se ve ne avea, delle espressioni,raccozzava ed univa quelle parti di verità solo nella paro-la esteriore smembrate: che anzi la verità stessa si raccoz-zava, per così dire, e si univa da se medesima nelle mentie negli animi di quelli dove era entrata, e da sé ivi edifica-

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va se medesima e si completava. Certo la verità non puòoperare negli spiriti, se in luogo di lei, ci contentiamo delsuo morto simulacro, di parole che la esprimono bensìesattissimamente, ma la cui esattezza poco giova più chea muovere la sensazione dell’udito, giacché quelle paroleincespano, e muoiono negli orecchi. Vero è che trattan-dosi ora di ammettere a’ maggiori Sacramenti della Chie-sa un fanciullo, si dimanda con sollecitudine s’egli sappiai principali misteri. Egli ne recita le formole: e questo èprova ch’egli li sa. Pure è ancora a dubitarsi assai, se ilfanciullo il quale pronuncia a memoria le parole del cate-chismo, conosca di que’ misteri un tantino più dell’altroche mai non le ha udite. Ma che? L’introduzione dun-que moderna de’ catechismi è stata più di danno che divantaggio alla santa Chiesa? Strano sarebbe, se ciò fos-se, l’effetto arrecato da una istituzione che tanto promet-teva considerata in se medesima. Ma è da dirsi di que’compendii ammirabili del cristiano insegnamento, quel-lo che l’Apostolo diceva della legge di Mosè; «ch’essi so-no certamente e santi e giusti e buoni; ch’essi sono utiliin mano di chi legittimamente li usa»10. È dunque il di-fetto nell’uomo, e non nella cosa. Il catechismo all’usomoderno è invenzione ed ottima in se medesima, e che.dovea nascere nella Chiesa per la legge di progressione acui sono soggette tutte le umane cose dal Cristianesimosorrette e che può farsi fruttare mirabilmente da maestriindustri e spirituali. Il Clero ci pensi: a lui sarà dimanda-to conto del bene o del male che avrà prodotto così que-sta, come tutte le altre mirabili istituzioni di cui lo Spi-rito Santo arricchisce continuamente la Chiesa del Ver-bo, e che, morte da se sole, aspettano la loro vita dallasapienza del Clero.

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19.

Ma non soli i riti parlano a’ cristiani. Alla lingua di azio-ne, ai segni dell’occhio, Cristo nell’istituzione del culto, ela Chiesa aggiunsero i segni dell’udito, cioè la parola vo-cale, e questa necessariamente dovette a principio variaresecondo la diversità delle nazioni. Tuttavia contro que-sto impedimento ad una pronta comunicazione, la Provi-denza ebbe apparecchiato l’impero romano, che forman-do di innumerevoli nazioni una sola comunanza, avevaportata la lingua latina quasi fino alle estremità della ter-ra; e i popoli chiamati al Vangelo si trovarono possedereuna loquela comune, per la quale intendevano quelle pa-role, che accompagnano i Sacramenti ed i riti, gli spiega-no, ed ancora più gl’informano. Conciossiaché per que-sto appunto le parole sono la forma de’ Sacramenti; per-ché Cristo con segni più determinati voleva parlare inmodo al tutto chiaro all’intelligenza, e parlando ad es-sa, misticamente operare. E perciò conveniva che la vir-tù del Sacramento non fosse affissa alla materia che inessi si usa, e che per sé sola è mutola, e niente esprimedi determinato; ma bensì alla parola, che dichiara all’in-tendimento l’uso di quella materia, e il fine al quale ellasi adopera, e l’intendimento ricevea luce pel significatodelle cose manifestategli, e forza per la grazia che in quelsacro rito viene ministrata. Non già che la grazia dei Sa-cramenti sia impedita dall’ignoranza di chi li riceve sen-za intendere il significato delle sacre parole, giacché i Sa-cramenti operano ex opere operato: ma chi intende quelsignificato può meglio cooperare alla grazia medesima.Ora le guerre e i rimescolamenti de’ popoli mutarono lefavelle. La lingua della Chiesa cessò in tal modo, è giàgran tempo, dall’essere la lingua de’ popoli, e il popolosi trovò per una sì grande mutazione nella oscurità, divi-so per intelligenza da quella Chiesa che seguitò a parlarea lui, e di lui, e con lui; a cui egli non può risponder me-

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glio che possa un peregrino esule in terra straniera, ovenon ode che de’ suoni per lui disusati e privi al tutto disignificazione.

20.

Queste due calamità, l’istruzione vitale diminuita, e lalingua latina cessata, piombarono sul popolo cristianocontemporaneamente, e per la stessa cagione, cioè perl’invasione che i barbari del settentrione fecero in tut-te le contrade del mezzogiorno. Il paganesimo ed il suospirito era inviscerato nella società; la cristiana dottrinanon avea dominato fino a quel tempo che gl’individui.La conversione stessa de’ Cesari non era che un acquistod’individui; possenti sì, ma individui; e ne’ destini delCristianesimo a’ quali tutto ubbidisce, era scritto, che laparola del Cristo penetrasse nella società, ch’ella giudi-casse le scienze e le arti dopo aver giudicati gli uomi-ni, e che ogni coltura, ogni fiore d’umanità, ogni vinco-lo sociale sbucciasse di nuovo da lei sola. La Providenzacondannò dunque alla distruzione la società antica, e laschiantò fino dalle sue fondamenta. A condurre ad effet-to tanto anatema, le orde de’ barbari, guidate dagli An-geli del Signore, succedendosi e raddossandosi le une so-pra le altre, non solo rovinarono l’impero romano, ma nespazzarono financo le rovine; e così fu preparato il suo-lo ignudo al grande edifizio della società novella de’ cre-denti. Di vero, nel corso dell’umanità, l’età di mezzo èun abisso che separa il mondo antico dal nuovo, i qua-li non hanno fra di sé comunione più che due continen-ti divisi da un oceano interminabile. Nelle bilancie del-la divina sapienza, le due calamità, dell’ignoranza e del-la perdita della lingua della Chiesa, che si rovesciaronoin quelle circostanze addosso ai fedeli si trovarono pe-sar meno che non sia il bene inteso da lei nella distru-

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zione radicale delle sociali istituzioni e consuetudini del-la idolatria: e per un giudizio così terribile, l’Eterno af-frettò l’avvenimento in sulla terra di una società battez-zata anch’essa di sangue, per così dire, e nella parola delDio vivo rigenerata.

21.

Ma se per queste due calamità Iddio permise che laChiesa sua fosse vulnerata di sì larga piaga, quale è ladivisione nelle funzioni del Culto della plebe cristianadal sacerdozio, sarà ella insanabile una tal piaga? Saràvero che quella plebe, che nel tempio del Signore perla primitiva istituzione non è solo spettatrice ma attricein gran parte, non debba conservare appena se nonuna presenza materiale? Dico appena; imperocché sifa troppo duro a un popolo d’intelligenza già dirozzata,intervenire a dei riti a’ quali egli più non appartiene, eche né pure egli intende11; e questa sua ripugnanza afrequentare le chiese cristiane, diventa poi un’ingiustacagione, per la quale l’indiscretezza umana si fa a tiraresovente ad un senso così strano, e così lontano dal vero,quel compelle intrare del Redentore.

Ah se le nazioni sono fatte sanabili, molto più sanabi-li sono i mali della Chiesa; e ingiurioso al suo divino Au-tore mi parrebbe il pensare, che quegli che pregò l’Eter-no Padre di rendere «tutti i discepoli suoi una cosa, co-me egli e il Padre erano una cosa sola»12 permettesse poiche per sempre fra la plebe ed il Clero durasse un tan-to muro di separazione; permettesse che il popolo, a cuiè nata la luce del Verbo, e ch’egli stesso è rinato al cultodel Verbo, assistesse ai massimi atti di questo culto, qua-si volea dire, come vi assistono le statue e le colonne deltempio, sordo alle voci che la sua madre la Chiesa gli vol-ge ne’ momenti più solenni, quando ella gli parla ed ope-

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ra in persona ed atto di Chiesa; e che il sacerdozio, se-gregato, quasi direi dal popolo ad una altezza ambiziosaperché inaccessibile, e ingiuriosa perché ambiziosa, de-generasse in un patriziato, in una peculiare società, vo-glio dire, divisa dalla società intera, con interessi proprii,con sue proprie leggi e costumi: conciossiaché tali posso-no essere le deplorabili conseguenze di una cagione pic-cola in apparenza, le conseguenze a cui andrebbe sog-getto indeclinabilmente quel sacerdozio che non istessepiù in presenza del popolo, se non forse materialmente,e in realtà fosse assente dalla grande, cioè dalla popolarecomunanza de’ fedeli.

22.

Ma se la piaga è sanabile, quale ne sarà il farmaco saluta-re? e chi lo applicherà alla medesima?

Quantunque noi abbiamo esposto lo svantaggio pro-venuto dall’esser cessata nel popolo l’intelligenza dellalingua latina, tuttavia è alieno dall’animo nostro il pen-siero, che la sacra liturgia si convenga tradurre nelle lin-gue volgari. Non solo la Chiesa Latina, ma la Greca ele Orientali ritennero costantemente le Liturgie nelle lin-gue antiche in cui furono scritte, e una divina sapienzaassiste la Chiesa Cattolica come nelle sue decisioni dog-matiche e morali, così nelle sue disposizioni disciplina-ri. Alla qual sapienza noi pienamente aderendo13 ricono-sciamo che lo svantaggio d’una lingua non intesa dal po-polo nelle sacre funzioni è compensato da alcuni vantag-gi, e che volendo ridurre i Sacri Riti nelle lingue volgari,si andrebbe incontro a maggiori incomodi, e si apporreb-be un rimedio peggiore del male. I vantaggi che si han-no conservando le lingue antiche sono principalmente: ilrappresentare che fanno le an’ tiche Liturgie l’immutabi-lità della fede; l’unire molti popoli cristiani in un solo ri-

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to, con un medesimo sacro linguaggio, facendo loro cosìsentire viammeglio l’unità e la grandezza della Chiesa ela comune loro fratellanza; l’avere qualche cosa di vene-rabile e di misterioso una lingua antica e sacra quasi lin-guaggio sovraumano e celeste, onde presso gli stessi gen-tili divennero sacre e divine le lingue antiche, costante-mente mantenute nelle loro religiose cerimonie e solen-ni preghiere; l’infondersi un cotal sentimento di fiduciain chi sa di pregare Iddio colle stesse parole, colle qua-li il pregarono per tanti secoli innumerevoli uomini san-ti e padri nostri in Cristo; l’essere le antiche lingue oggi-mai conformate per opera dei Santi ad esprimere conve-nientemente tutti i divini misteri. Gli incomodi poi ches’incontrerebbero in riducendo la Liturgia e le preghie-re della Chiesa nelle lingue moderne, oltre la perdita deivantaggi sovraccennati, principalmente sono: innumere-voli lingue moderne vi hanno, quindi oltre tentarsi un’o-pera immensa, s’introdurrebbe grandissima divisione nelpopolo, diminuendo quell’unità e concordia che noi tan-to desideriamo, e intendiamo inculcare con questo libret-to. Le lingue moderne sono variabili ed instabili, perciòsi pretenderebbe in appresso un perpetuo cangiamentonelle cose sacre, il cui carattere è la stabilità. Non po-tendosi tanti cangiamenti continuamente ed a sufficien-za ponderare, essi metterebbero in pericolo la stessa fe-de. Il popolo, gelosissimo dell’uniformità e stabilità delculto sacro a cui fu avvezzo fin da fanciullo, s’adombre-rebbe del cangiamento, e gli parrebbe col cangiar dellalingua gli fosse cangiata la religione. Le lingue modernenon si troverebbero sempre formate convenientementead esprimere tutto ciò che di religioso esprimono le lin-gue antiche modificate a ciò dallo spirito del Cristiane-simo per opera dei Santi. Non ho qui enumerati tutti ivantaggi delle lingue antiche; né tutti gl’incomodi dellemoderne; ma quelli solo che ho accennato bastano a di-mostrar pienamente, che ad ovviare il danno della sepa-

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razione additata del clero dal popolo nelle sacre funzioninon si può applicare il rimedio d’introdurre nelle Chie-se altre lingue diverse da quelle che vi si usano consacra-te dall’uso dei secoli, che anzi questo rimedio, come noidicevamo, sarebbe peggiore del male.

23.

Esclusa questa via, non rimangono che due espedienti,l’uno di sostenere il più che si possa lo studio della lin-gua latina, diffondendolo al maggior numero possibile difedeli, al che il miglioramento dei metodi, i quali ne ren-dano più agevole e breve l’insegnamento, potrà grande-mente contribuire; l’altro di dare al popolo cristiano unadiligente dichiarazione delle funzioni sacre introducen-do altresì la consuetudine che i fedeli che sanno legge-re (e tutti dovrebbero sapere) assistano agli ecclesiasticiuffici con libri appositi, nei quali v’abbia in volgare l’e-quivalente di quello che nella Chiesa si recita in latinoidioma.

Ma chi, noi dimandavamo, applicherà questi rimedisalutari? Il Clero. Il solo Clero cattolico è quello cheprima può preparare, e poi ottenere la guarigione dellapiaga da noi additata. Al Clero è commesso l’eserciziodi ogni industriosa carità: sulle sue labbra sta la paroladi vita; Cristo ve l’ha posta a salvamento della umanità;esso è il sale, esso la luce, esso la medicina universale.

Che impedisce adunque che la medicina non si appre-sti sollecitamente, non si applichi?

Nasce ciò da un’altra piaga della Chiesa, che non man-da men vivo sangue della prima, cioè dalla insufficienteistituzione dello stesso Clero.

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CAPITOLO II

Della piaga della mano diritta della santa Chiesa, che è la insuffi-ciente educazione del Clero

24.

La predicazione e la liturgia erano ne’ più bei tempi del-la Chiesa le due grandi scuole del popolo cristiano. Laprima ammaestrava i fedeli colle parole; la seconda col-le parole insieme e co’ riti; e fra questi, principalmentecon quelli a cui il loro divino Institutore aggiunse parti-colari effetti sopra natura, cioè a dire il Sacrificio ed i Sa-cramenti. Sì l’uno che l’altro di questi ammaestramen-ti era pieno: non si volgeva solo ad una parte dell’uomo,ma a tutto l’uomo, e il penetrava, come dicemmo, lo con-quistava. Non erano delle voci che si facessero intende-re alla sola mente, o de’ simboli che non avessero altrapotenza che sui sensi; ma sia per la via della mente, siaper quella de’ sensi, le une e gli altri ungevano il cuore,e infondevano nel cristiano un sentimento alto su tutto ilcreato, misterioso e divino; il qual sentimento era opera-tivo, onnipossente come la grazia che lo costituiva: pe-rocché le parole dell’evangelica predicazione uscivan dasanti che travasavano su’ loro uditori quell’abbondanzadi spirito di cui essi riboccavano; ed i riti per sé effica-ci, erano resi via più tali dalla buona ed ottima disposi-zione de’ fedeli preparati a riceverne i salutari effetti dal-la parola de’ Pastori, e dalla chiara intelligenza di tuttociò che si faceva, e che facevano essi stessi nella Chiesa.Da tali fedeli si cavavano i Sacerdoti; essi portavano al-la Chiesa, che gli eleggeva all’alto onore di suoi ministri,una dottrina preparatoria, grande come la loro fede, che

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avevano attinta insieme col comune de’ fedeli, coll’attostesso della preghiera, nello stesso tempo della visitazio-ne divina, cioè della grazia; e che faceva loro conosceree intimamente sentire in tutta la sua ampiezza la religio-ne sublime che professavano. Certo, dalla conoscenza diquel popolo dal quale escono, si può predire de’ ministridel Santuario: e ove conoscessimo soli i fedeli de’ primitempi e le sante loro assemblee, già n’avremmo abbastan-za per intendere quali dovevano essere i loro Sacerdoti.Quindi si spiegano que’ passaggi che sembrano agli oc-chi nostri altrettanti inesplicabili portenti, pe’ quali talo-ra un semplice laico dimandato dalle grida della moltitu-dine per suo pastore, e ricusante invano, trasformavasi inpochi giorni in un Vescovo consumato; cosa non puntorara nell’antichità, che ne ricorda tanti esempi, come diS. Ambrogio, di S. Alessandro, di S. Martino, di S. PierCrisologo, e di altri tali sollevati d’un tratto dall’umiltàdello stato di semplici fedeli, dalla vita nascosta od oc-cupata in governi profani, all’episcopato; i quali incon-tanente ch’erano messi in sul candelabro, raggiavano atutta la Chiesa un maraviglioso chiarore.

25.

Per la medesima legge, anche i cherici ostri sono tali,quali sono i nostri fedeli. Perocché, comunemente par-lando, non possono essere altrimenti, uscendo da cristia-ni i quali nelle sacre cerimonie non hanno forse mai in-teso cosa alcuna, e vi sono intervenuti siccome stranie-ri spettatori presenti ad una scena, su cui non sanno benchiaro che si tratti da’ Sacerdoti. Essi non ebbero forsemai un sentimento della propria dignità di membri del-la Chiesa; non mai concepita, sperimentata quell’unionein un sol corpo e in un solo spirito, nella quale e Cleroe popolo si prostra innanzi all’Onnipotente e tratta con

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lui, ed egli con esso. E molti hanno fors’anco conside-rato sempre il Clero come una parte privilegiata e invi-diabile, perché vive de’ proventi dell’altare, come un ce-to di superiori non diversi da ogni altra superiorità lai-cale, un tutto a sé, e non la porzione più nobile del cor-po della Chiesa ond’essi laici sono pur membra minoridi questo corpo che ha una sola operazione a meritare,una sola voce a pregare, un solo sacrificio a offerire, unasola grazia a derivare dal cielo. Indi quel detto sì comu-ne, che le cose di chiesa sono cose da preti. Deh ondesi comincierà ad instruire e a formare ad un vero e gran-de pensare sacerdotale, degli alunni che s’accostano allascuola della Chiesa sì sparecchiati! Ignudi de’ primi ru-dimenti, che dovrebbero supporsi in essi, e di cui l’edu-cazione ecclesiastica non dovrebb’essere che un progres-sivo sviluppamento, essi non recano né pur seco l’idea diciò che vuol dire scienza del Sacerdote, non sanno checosa vogliano volendo essere Sacerdoti, e che vadano aimprendere entrando alla scuola del santuario.

26.

Ed egli è più deplorabile, che non paja a prima giunta,un tale mancamento di acconcia preparazione in coloroche si ascrivono al Clero per ricevervi l’educazione di sa-cerdoti. Perocché non si può edificare dove non vi haterren sodo, massime trattandosi di una dottrina comequella del prete cattolico, che suppone necessariamenteil cristiano; giacché lo stato di cristiano è quasi il primogrado del sacerdozio. Il che è cagione che gli alunni delsantuario portino seco in esso una nullità di pensare ec-clesiastico, se non anzi le idee di questo secolo assai be-ne da essi apprese, appunto perché non ebbero altra ve-ra scuola in contrario, e colle idee lo spirito secolaresco,il quale spirito si appiatta per alcun tempo anche sotto a

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un mantello nero, e in compagnia di costumi non rotti;ciò che illude i superiori, i quali non s’accorgono che ciònon basta alla Chiesa del Cristo, venuto a empire di sétutte le cose e molto più le menti de’ Sacerdoti destinatia conoscere e far conoscere altrui tutto il grande di quel-la Religione che dee conquistare e salvare l’umanità inte-ra; quando all’opposto la povertà e la miseria d’idee e disentimenti che forma l’apparecchio ed il seme della ec-clesiastica istituzione moderna, non frutta che Sacerdo-ti ignari di ciò che è laicato cristiano, e di ciò che è cri-stiano sacerdozio, e del vincolo sacro di questo con quel-lo. Tali ministri di petto angustiato, di mente ingretti-ta, sono poi quelli che, fatti adulti, Sacerdoti e capi al-le chiese, educano degli altri Sacerdoti che riescono an-co più fiacchi e più meschini di essi: e questi si fanno pa-dri e istitutori ad altri decrescenti necessariamente di etàin età, perocché «il discepolo non è più del maestro»14 fi-no a che Iddio medesimo non mandi ajuto, prendendoglidella diletta sua Chiesa compassionevole misericordia15.

27.

Certo, solo de’ grandi uomini possono formare deglialtri grandi uomini: e questo è appunto un altro pregiodell’educazione antica de’ Sacerdoti, che venia condottadalle mani de’ maggiori uomini che la Chiesa si avesse.All’opposto quindi hassi a ripetere la seconda cagionedell’insufficiente educazione de’ sacerdoti moderni.

Ne’ primi secoli, la casa del Vescovo era il Seminariodei Preti e de’ Diaconi; la presenza e la santa conversa-zione del loro Prelato riusciva un’infocata lezione, con-tinua, sublime, ove la teoria nelle dotte parole di lui, lapratica alle assidue sue pastorali occupazioni congiunta-mente apprendevansi. E in tal modo a canto degli Ales-sandri si vedevano allora crescere bellamente i giovani

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Atanasj; a canto de’ Sisti i Lorenzi. Quasi ogni gran Ve-scovo preparava nella sua famiglia a se medesimo un de-gno di essergli successore, un erede de’ suoi meriti, delsuo zelo, della sua sapienza; e a questa maniera di isti-tuzione si debbono tutti que’ sommi Pastori che reserocosì ammirabili, così felici i primi sei secoli della Chie-sa: maniera ampla e compiuta d’istituzione onde passa-va per una tradizione famigliare di bocca in bocca fedel-mente il sacro deposito delle divine e apostoliche dottri-ne: e che era pur essa apostolica, perciocché gl’Irenei,i Panteni, gli Ermi, e tant’altri, avevano attinta la lorosapienza dai discepoli degli Apostoli, a quel modo stes-so come gli Evodj, i Clementi, i Timotei, i Titi, gli Igna-zj, i Policarpi a’ piedi degli Apostoli, per usare una fra-se della Scrittura, erano stati istituiti. Credevasi allora al-la grazia, credevasi che le parole del Pastore istituito daCristo a maestro e governatore della Chiesa, ritraesserodal divino Fondatore una particolare ed unica efficacia;e in questa fede prendeva nerbo e vita soprannaturale lacomunicata dottrina, che si scolpiva indelebilmente ne-gli animi: dove tutto consigliava a renderla operativa, ladolcezza dell’eloquio, la santità della vita, la composizio-ne e gravità delle maniere, la persuasione profonda delgrand’uomo che la ammaestrava.

«Io mi sovvengo» dice Ireneo, parlando della sua pri-ma e preparatoria istituzione sotto il grande Policarpo«io mi sovvengo di quanto è avvenuto allora, meglio chedi tutto ciò che è accaduto di poi; imperocché le cose chesi sono apprese nell’infanzia, nutricandosi per così dire ecrescendo nello spirito coll’età, non si dimenticano piùmai; di guisa che io potrei indicare ancora il luogo ovestava seduto il Beato Policarpo quando predicava la pa-rola di Dio. Io ho ancora vivo e presente nel mio spiri-to con che gravità egli entrava ed usciva da per tutto oveche egli se ne andasse; quale era la sua santità in tutta lacondotta della sua vita; quale la maestà che gli splendeva

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nel volto e in tutta la composizione esteriore del suo cor-po; quali erano le sante esortazioni onde pasceva il suopopolo. E parmi di udirlo ancora raccontare in che egliaveva conversato con S. Giovanni, e con più altri che ave-vano veduto GESÙ Cristo, le parole ch’egli aveva raccol-te dalle loro bocche, e i particolari che gli erano stati nar-rati del divino Salvatore, sia circa i suoi miracoli, sia cir-ca la sua dottrina: e tutto ciò che egli ne diceva era pie-namente conforme alle divine scritture, siccome cose chevenivano riferite da tali che erano stati testimoni ocularidel Verbo, e della parola della vita. Vero è che per la mi-sericordia di Dio io ascoltavo tutte queste cose con istu-dio e con ardore, e che le scolpivo non sulle tavolette,ma sì nel più profondo del mio cuore; e Dio m’ha fattosempre grazia di ricordarmele, e di riandarle nell’animomio»16.

28.

Tale era la maniera di educazione, efficace e sapiente,per la quale i grandi Vescovi s’allevavano da se stessi ilproprio Clero; il quale riusciva in tal modo un assembra-mento di grandi uomini, cioè grandemente consapevo-li del proprio carattere, e pieni, per così esprimermi, delsacerdozio. Non è a dire quanto ella metteva di unionefra il supremo Pastore e il resto degli ecclesiastici suoi di-scepoli, suoi figliuoli! Le espressioni di alto e basso Cle-ro erano allora inaudite; non furono pronunciate che as-sai più tardi. E questa unicità di scienza, questa comu-nicazione di santità, questa consuetudine di vita, questascambievolezza di amore, per la quale il Vescovo anticotrasfondeva nel suo giovane Clero e rinnovava se stessomaestro, pastore, padre, non è a dire che ordine armo-nioso, ammirabile cagionasse nel governo della Chiesa,qual dignità aggiungesse al sacerdozio, a questo corpo

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così uno e compatto, e qual forza salutare sopra i popo-li. Scelto ed educato così, anche un Clero scarso suppli-va ampiamente a’ bisogni delle chiese; e il grado di sem-plice Sacerdote rendevasi tanto venerabile ed alto, chenon v’avea alcuno, per quanto grande fosse nel secolo,a cui non paresse d’essere altamente onorato, venendo-vi ascritto; ed era oggetto di attenzione ai popoli ed allechiese colui che al presbiterato venisse dal proprio Ve-scovo destinato17: la quale veneranda dignità del presbi-terato faceva poi risplendere maggiormente quella del-l’Episcopato, che sopra una sì ampia base erigevasi; e ilSacerdote al Vescovo trovavasi per tal modo intieramen-te, di pieno affetto, e quasi direi per natura soggetto18.

29.

Né fa maraviglia se que’ santissimi Vescovi riserbasserogelosamente a se stessi l’ammaestramento de’ cherici;quando anche quello del popolo con somma difficultà,e di rado assai, di confidar s’inducevano ad altre mani19:conscii che Cristo avea commesso loro tutto il gregge,cioè Clero e popolo insieme, e che sulle loro labbra aveamessa la parola, e al loro carattere principalmente legatala missione e la grazia.

30.

Con questi sentimenti e con questi costumi del Clero, laReligione del Crocifisso avea trionfato de’ tiranni e deglieretici, e l’invisibile suo Capo le destinava un’altra vitto-ria non meno bella sulla irruente barbarie. Come sopratoccai, coll’inviare i barbari del settentrione a distruggerela vecchia società da’ suoi fondamenti, avea tolto in mirala superna Providenza di mostrare al mondo la forza del-

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la parola del Cristo, che sopravvive alla distruzione degliimperj e di tutte le opere degli uomini, e che vale a rifon-der la vita anche nel carcame e nella polvere, a ricrearela società annientata, e in una forma degna di essa Provi-denza. E vuol notarsi, che quando gli uomini essenzial-mente sociali, rotti tutti i vincoli che li legano insieme,avviliti, sparsi, senza ripieghi, senza speranze, naufraga-no, per così dire, nell’immensità di un oceano di sventu-re; allora essi ricorrono per un cotale impulso di natura,quasi ad ultima e sola tavola, all’ajuto di potenze sopran-naturali, allora si volgono, e si concentrano nella Religio-ne, idea oltremodo dolce a tutti gli sventurati, a’ cui oc-chi ella fa nuovamente risplendere una speranza, e que-sta tutto promette nella perdita del tutto, perché ella ègrande come la stessa Divinità. Quindi la Religione, ilcui sentimento precede lo sviluppo di ogni mezzo e isti-tuzione sociale, e alla distruzione di ogni mezzo e istitu-zione sociale sopravvive, si vide sempre alla testa, per co-sì dire, de’ popoli nascenti, o che risuscitano dal loro an-nientamento: e questa disposizione salutare, che al prin-cipio delle nazioni rese figlia della Religione ogni coltu-ra, ogni sociale avvincolamento, dovea prepararsi al tem-po dalla Providenza destinato, che fu il medio evo, anchepel Cristianesimo; acciocché la Religione sola e tutta ve-ra, non fosse ne’ suoi effetti inferiore alle false o imper-fette; e acciocché, se queste, per contenere qualche parti-cella di verità, aveano pur giovato mirabilmente le socia-li unioni, e i sociali progressi de’ popoli, apparisse tantopiù giovevole quella, che in sé racchiudeva una verità in-tera, una pura e piena rivelazione, una grazia redentrice.

I popoli adunque, scossi e oppressi dalle sciagure tem-porali, ricorsero nelle braccia soccorrevoli di quella Re-ligione in cui avevano già conosciuta tanta dignità nel-l’ordine delle cose spirituali e divine; ed allora per la pri-ma volta chiesero ad essa anche un umano sovvenimen-to. E le tenere viscere della madre universale de’ fedeli,

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con quella carità ch’era nata con essa, si commossero a’bisogni de’ popoli sbattuti, sgomitolati, per così dire, efu loro conforto, scudo, e reggimento.

Allora il Clero, senza saper come, si vide alla testa del-le nazioni; e mentre egli avea ceduto all’invito irresistibi-le della carità che lo pressava ed urgeva perché soccor-resse alla società traboccata, videsi, per un conseguenteimprovviso, padre delle città orfane, e reggitore de’ pub-blici affari abbandonati, e allora fu che la Chiesa si tro-vò incontanente piena a ribocco degli onori e delle ric-chezze del secolo, le quali sdruscirono in essa quasi di-rebbesi pel proprio peso, a quel modo che entrano le ac-que del mare in un seno nuovo apertosi in fra terra dovesiasi ritirato il continente.

31.

Questa nuova occupazione, che cominciò al Clero colsecolo VI, era gravosa infinitamente e molesta a que’Prelati santissimi, che vedevano ad un tempo e gravarsila Chiesa della soma de’ beni terreni, perdendo essaquella povertà preziosa che gli antichi Padri avevanotanto commendata20; e venir eglino oppressi dalla moledelle cure secolaresche, che toglieva i loro animi allacontemplazione delle divine cose, e rubava il loro tempoprezioso e le lor forze alla dispensazione della parola diCristo a’ fedeli, all’educazione del Clero, e all’assiduitàdelle pubbliche e private preghiere.

San Gregorio magno, che governava la Chiesa appun-to in quel secolo, era inconsolabile de’ pericoli che ve-deva accompagnarsi necessariamente con questa nuovacarriera che si apriva alla Chiesa: e non rifiniva nelle suelettere di lamentarsi, e di piangere delle dure circostanzede’ tempi suoi, in cui egli dee, anzi che il Vescovo, farel’arcario o sia il tesoriere dell’imperatore, «e sotto il colo-

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re dell’ecclesiastico reggimento, esser convolto da’ fluttidi questo secolo, che di frequente il sommergono»21. Ri-pete questa frase più volte, e fra le altre in una lettera chescrive a Teotista, che era sorella dell’Imperatore Mauri-zio, nella quale, per mostrarle la sua presente infelicità,toglie a descriverle la pace che, prima di essere innalza-to al pontificato, godevasi nell’umile sua vita di monaco:«Sotto colore dell’episcopato, così egli, sono ritornato alsecolo: giacché in questa moderna condizione del pasto-rale offizio22, debbo servire a tante cure terrene, che nonmi ricorda d’aver mai servito a tante nella vita laicale.Ho perduto gli alti piaceri della mia quiete; e cadendointernamente, sembra al di fuori che io sia salito. Laon-de piango me stesso, cacciato lungi dalla faccia del mioCreatore. Perciocché ogni giorno io mi sforzavo di usci-re del mondo, e di uscir dalla carne, di rimuovere tuttii fantasmi corporei dagli occhi della mia mente, e di ve-dere incorporeamente i gaudii superni; e non solo collevoci, ma colle midolle del cuore a Dio anelando grida-vo: «A te ha detto il cuor mio: ho cercato il tuo volto: iltuo volto, o Signore, io cercherò» (Ps. XXVI). E nientedi questo mondo desiderando, niente temendo, pareva-mi di stare in una cotale sommità delle cose tutte; sicchéper poco io credevo compiuto in me ciò che avea appre-so della promessa del Signore fatta pel suo profeta: “Ioti solleverò sopra le altezze della terra” (Is. LVIII). Con-ciossiaché sopra le altezze della terra è levato colui checol dispetto interior della mente calca anche quelle co-se che sembrano nel secol presente alte e gloriose». Co-sì dopo d’aver egli nobilmente descritto la dolcezza del-la vita privata data alla contemplazione, soggiunge, allu-dendo al carico vescovile che gli era stato imposto: «Madi repente dalla sommità delle cose sospinto fra il tur-bine di questa tentazione, caddi ai timori ed agli ango-ri: poiché anche non temendo nulla per me, tuttavia perquelli che a me sono commessi molto impaurisco. On-

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dechessia mi trovo sbattuto da’ fiotti delle cause, e som-merso dalla fortuna, sicché giustamente dico: “Venni inalto mare, e la burrasca hammi ingojato” (Ps. LXVIII).Desidero tornare al cuore dopo gli affari, ma sono esclu-so da lui pe’ vani tumulti de’ pensieri, e non posso tor-narvi. Quindi è divenuto a me lontano quello che è den-tro di me, a tale che non posso più ubbidire alla profe-tica voce che grida: “Tornatevi, o prevaricatori, al cuo-re” (Ps. XXXVIII)». – E di questa guisa seguita lunga-mente il santo Papa a dolersi perché «fra le cure terrenenon può né anco riandar colla mente, non che predicarcolla voce, i miracoli del Signore», ed «oppresso in quel-la dignità dal tumulto de’ secolareschi affari, è divenutoun di quelli, di cui è scritto: “gli hai rovesciati al basso inquella che si elevavano” (Ps. LXXII)»23.

32.

Ma così la divina Providenza, a cui mai non mentisce l’e-vento, ottenne ciò che volle, di far entrare la Religionedel Cristo nella società, o più tosto di creare una socie-tà nuova, cristiana. La Religione del Cristo penetrò tut-te le parti della società in que’ secoli di mezzo, e per es-se si sparse come olio balsamico sopra delle piaghe in-cancrenite; ella rifuse un nuovo coraggio, una nuova vi-ta nell’uman genere sbalordito, abbattuto, prostrato sot-to secoli di sciagure; ella il ricolse in sua tutela materna,ed egli, già vecchio, si vide, per un mirabile giro di pro-ve lunghe e crudeli, ritornato nella età della prima infan-zia: ella educò questo suo pupillo, questo nato della di-vina sua carità: e allora un nuovo seme fu gittato soprala terra, il qual fruttò tutte le moderne civili istituzioni,voglio dire il seme di una pubblica giustizia, cosa inau-dita al mondo antico, cristiana per essenza, cui tutte leumane passioni attentano infaticabilmente di ottenebra-

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re, ma che pure splenderà sempre: imperocché è impe-gnata la providenza del Re supremo a conservare l’operasua, quella providenza che, tutto disponendo a sito libi-to, ha un fine solo, la massima gloria del Diletto dell’E-terno, i destini gloriosissimi del regno eroicamente da luiconquistato. Indi venne quello che era ben da aspettarsi,che i capi delle nuove nazioni figlie del Vangelo mostras-sero di sentire in se stessi tutta la forza di quella Religio-ne, che costituiva i loro nuovi Stati, e consecrava le loronuove corone, e quindi dessero a vedere in se stessi degliesempi inauditi di cristiana virtù: e questo spiega il per-ché nel medio evo fosse un tempo in cui regnavano qua-si altrettanti santi illustri, quanti erano i sovrani sui tro-ni d’Europa, agli occhi de’ quali l’esser figlio, l’esser tri-butario alla Chiesa, era la gloria più bella: e come saperee poter temperare la potenza per sé feroce colla mansue-tudine del Vangelo raccolto avidamente dalla bocca de’Vescovi, onde attingevano altresì l’equità delle leggi e lapietà splendida delle loro regali operazioni, era un assi-duo studio, un’occupazione dell’intera vita. Ma questomostra altresì ragione perché, mentre i regi erano sullavia della santità, il Clero per l’opposto era su quella dellacorruzione, dove in fine miserabilmente fu rovesciato.

33.

Il Clero, che aveva cominciato con dolore e con lagrimea ravvolgersi fra gli affari temporali, e a vedersi intornia-to delle spoglie del secolo che venia meno; cominciò benpresto, come è la condizione della umana natura, ad affe-zionarsi ad esse e nelle occupazioni sopravvenutegli, al-le quali era nuovo e non ancora scaltrito a sapersi guar-dar da’ pericoli che menavano seco, egli dimenticò pocoa poco i mansueti e spirituali costumi proprii del gover-no pastorale; e apparò, ahi troppo bene! la ferocia e la

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materialità de’ profani reggimenti: si piacque di ravvol-gersi co’ nobili, e ne prese ed emulò i modi: e da quell’o-ra dispiacque a lui la mescolanza di sé col pusillo greg-ge di Cristo; da quell’ora ebbe a sue occupazioni più ca-re le politiche ed economiche amministrazioni, ed essen-do a lui più care, non penò a persuadersi cogli argomen-ti sofistici, che non mancano mai alle passioni, che quel-le erano anche le più importanti per la Chiesa. Allora iVescovi si disaggravarono sopra il Clero inferiore dell’i-struzione del popolo e delle cure pastorali, divenute unfardello molesto, o certo incumbenze di second’ordine,e indi nacque l’istituzione delle parocchie, che nel seco-lo X si cominciarono a introdurre anche nelle città sot-to gli occhi del Vescovo, istituzione per altro, considera-ta in se stessa, lodevole e progressiva: indi le abitazionivescovili cessando d’essere accademie floride di sapien-za ecclesiastica e di santità per giovani alunni crescentialle speranze della Chiesa, si convertirono in altrettantecorti principesche rigurgitanti di militari e di cortigiani:e non più lo zelo ardente ed apostolico, e la meditazio-ne profonda o l’esplosione degli eloquii divini formò ildecoro di quelle case; ma loro somma lode fu il vederviun qualche freno dato alla militare baldanza, ed una me-diocre scostumatezza. E la cura pastorale de’ popoli fucosì insensibilmente abbandonata quasi del tutto al bas-so Clero a tale, che un po’ alla volta i Parrochi negli oc-chi de’ popoli divennero i pastori, e si dimenticò che fos-se pastore il Vescovo24, quegli che veramente per istitu-zione di Cristo è il solo Pastore. Il basso Clero poi, edi Vescovi venendo ad avere in tal modo occupazioni digenere diverso e presso che contrarie fra loro, si divise-ro sempre più insieme: cessò la consuetudine della vitacomune, gl’intertenimenti scambievoli divennero rari, ei più brevi possibili, perché molesti a tutte e due le parti;ché molesta è la conversazione di due ceti fra loro trop-po disparati: e la venerazione e l’amor filiale de’ preti si

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cangiò in una timida soggezione; come l’autorità tenerae paterna de’ Vescovi prese l’aria di una superiorità mi-sta ora di scherzevole disprezzo, ed ora di compassione:il Clero inferiore scapitò in tal modo nella opinione de’popoli, nel mentre che il Clero superiore acquistava uncotale splendore più apparente che reale25. Nel ceto de’Sacerdoti così degradati, farà egli maraviglia che trovas-se allora aperta la porta ogni ribaldaglia? e che il caratte-re sacerdotale fosse ignobile a se medesimo, dopo essertale divenuto all’occhio de’ popoli? Vero è che le occu-pazioni della predicazione e della cura d’anime, abban-donate, come dicevo, quasi per intero al Clero inferiore,sante essenzialmente, potevano giovare a sostenerlo dal-l’abisso; ma dall’istante che il più alto grado del sacerdo-zio risplendeva innanzi agli occhi di lui quasi non d’altrofregiato che di opulenza e di potere; a questi beni diri-geva naturalmente anche il sacerdote semplice le sue mi-re, invidiando il suo Vescovo: e quindi la parola di Dio,il Sacrificio, i Sacramenti servirono a un tristo mercatoin cui rinnovavasi ogni giorno mille fiate la vendita cheavea fatto del divino Maestro il discepolo traditore. Perla stessa ragione i sacri riti, le divozioni, le preci, gli stes-si dogmi furono apprezzati, predicati e ministrati al po-polo in ragione di ciò che rendevano ai Sacerdoti: e cosìil popolo rimasto ignorante in tante altre parti della cri-stiana sapienza, seppe però sempre perfettamente le spe-ciali dottrine dei suffragi, delle benedizioni, de’ precet-ti della Chiesa, delle indulgenze, che avevano annesso unprovento pe’ ministri dell’altare; e seppe anco più cose aquesto riguardo, di quelle che nella dottrina cristiana sicontenessero. Per questi passi, i preti divennero in taleavvilimento, che non fu riputato più degno che il Vesco-vo si abbassasse a pensare ad essi, e infastidirsi intornoalle cure moleste d’una educazione che non era più loronecessaria. I vizj traboccarono; si pensò di ripararvi col-le leggi e colle pene, cioè con de’ mezzi legali, proprii an-

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ch’essi più de’ reggimenti temporali che dell’ecclesiasti-co, i quali mezzi, senza togliere la morale radice de’ ma-li, li tengono per qualche tempo nel proprio alveo a tuttaforza acciocché non dirompano in una universale inon-dazione: ma finalmente sfiancati gli argini, ne fu allaga-ta tutta la Chiesa; e fu minacciato da quelle onde rigon-fie, vi fu atterrato e convolto anche il suo fasto profano,la sua temporale grandezza medesima. La madre de’ cre-denti allora fu disconosciuta da’ figliuoli suoi, e popoliinteri rifuggirono dalla sua faccia che era come nascostaai loro deboli occhi. L’Episcopato vide se stesso punitodalla Providenza in un modo a lui inaspettato, improv-viso; perocché s’era avvezzo di persuadersi che i suoi in-teressi andavano innanzi allorché gli riusciva di rasparsiun qualche palmo più di terra, o un qualche grado mag-gior di potere nel regno che viene da questo mondo: eintanto, assorto ne’ piccoli suoi calcoli, non s’avvedevache le nazioni da lui si ritiravano, e che le persone, la cu-ra delle quali egli aveva abbandonato per quella delle co-se materiali, abbandonavano scambievolmente lui, e ri-prendevano seco le cose che alle persone sempre vannocongiunte. L’Episcopato rifiutato, rinnegato, annullatod’improvviso, e quasi a un cotal cenno invisibile in centi-naja di diocesi, l’Episcopato che discendeva da se stessodal trono perché venuto in odio a se stesso (e furono i ve-scovi di Germania, di Francia e d’Inghilterra che strap-parono dalle proprie fronti le bende del regale loro sa-cerdozio), l’Episcopato, dico, che può esser punito, nonperò perire intieramente, perché la parola di Cristo l’hacostituito acciocché duri sino alla fine de’ secoli, si scos-se dal suo letargo, rabbrividì al proprio pericolo, e l’edu-cazione trasandata de’ sacerdoti fu una delle prime ca-gioni del disordine che gli si presentarono: allora, al finedi provvedervi, fu pensato finalmente all’istituzione de’Seminarj.

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34.

Furono inventati i Seminarj per provvedere alla decadu-ta educazione del Clero, come furono inventati i catechi-smi per provvedere alla decaduta istruzione del popolo.Non si ebbe coraggio (e non era sperabile che lo si aves-se) di ritornare allo stile antico che il Vescovo personal-mente formasse il suo popolo ed il suo Clero: si riten-ne la massima di lasciare questi travagli al Clero inferio-re: pure ne’ Vescovi si destò la vigilanza, la disciplina neguadagnò immensamente, furono riformati i costumi, sivide risplendere uno zelo proprio di quella sfera limita-ta e in gran parte materiale di attività, dove il Clero in-feriore da qualche secolo è circoscritto; ma non si trovòpiù l’arte di dare alla Chiesa de’ grandi uomini (benchéIddio ne desse da sé di quando in quando alla Chiesa),de’ sacerdoti che conoscessero la vastità della loro mis-sione, che riguardassero la Chiesa nella sublime sua uni-versità e grandezza, e che apparissero interiormente pos-seduti, dominati da quel sentimento del Verbo che for-mava il carattere de’ sacerdoti primitivi; da quel senti-mento, che assorbendo tutta l’anima, la toglie al mondotransitorio, la fa vivere nell’eterno, e dalle magioni eter-ne appunto le insegna a rapire un fuoco che è atto di ar-dere la terra tutta. Solo i grandi uomini, lo ripeto, val-gono a formare uomini grandi; e per giudicare qual dif-ferenza v’abbia fra’ discepoli, basta paragonare insieme imaestri. Ahimè! da una parte stanno gli antichi vesco-vi, o certo uomini i più insigni della Chiesa, e dall’altra igiovani maestri de’ nostri Seminarj! qual confronto!

35.

Considerisi con quanta cautela e difficoltà si toglieva ne’bei tempi a istituire una scuola pel popolo26, non che pel

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Clero, che fosse diversa da quella del Vescovo, il qualenon vi si risolveva se non mosso dalla straordinaria sa-pienza e santità degli uomini, a cui ne affidava il carico;come appare nella istituzione dell’accennata scuola d’A-lessandria, che fu certamente la prima di questo genere,perché istituita sotto S. Marco27; e considerisi dall’altrocanto quanto si abbondi, o almeno si creda di abbonda-re oggidì di maestri idonei ad insegnare al Clero la dot-trina e la religione di Cristo! Non solo ogni diocesi ha ilsuo seminario, e in ogni seminario molti maestri; ma perla somma abbondanza, in che ne sono i tempi nostri, perla somma facilità, che ha oggidì il Vescovo di trovare de’preti che possano essere istitutori del suo giovane Cle-ro, si rimutano i maestri dopo pochi anni d’insegnamen-to, promovendoli a un qualche meno magro benefizio,e sostituendovene degli altri tutti nuovi, i quali sebbenenon abbiano ancora acquistata alcuna sperienza delle co-se umane, né finito d’imparare dalla sociale consuetudi-ne i principij del senso comune; tuttavia hanno pur oraassoluto il gran corso delle scuole seminariali, questo nonplus ultra del moderno sapere ecclesiastico; dopo il qua-le i teneri ministri dell’altare sono senza indugio applica-ti agli impieghi, e così dallo studio onoratamente dispen-sati. Intanto la scienza della religione, che que’ giovinet-ti maestri ebbero ricevuta nel Seminario, spezzata in par-ti, o più veramente ristretta a quelle parti che parvero lepiù necessarie a poter disbrigare tosto e materialmentegli ufficj ecclesiastici che il popolo ed il governo esige da’preti per ragion di giustizia; questa grande scienza, dico,non ha acquistato nell’animo del giovane prete né radi-ce, né unità; non è penetrata né punto né poco fino al-l’animo suo; privo egli del sentimento della scienza; pri-vo della vera intelligenza di lei; egli la porta attaccata, eper così dire pendente alla giovanile memoria, ed è perquesta memoria appunto ch’egli si crede più atto di unsavio provetto all’ufficio di precettore. Ma che? Uomini

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di memoria, si vogliono? tali riusciranno gli allievi. Benaltro che un parlare alle memorie, era quel modo d’in-struire, che riferisce Clemente di Alessandria usato dalsuo maestro, cui egli chiama «un’ape siciliana, che sug-geva i fiori de’ profetici ed apostolici prati, al fine di fab-bricare dentro agli animi di coloro che lo udivano, il mie-le di una sincera ed incorrotta cognizione»28. Finalmen-te, in tempi, ne’ quali la grossezza della pensione annes-sa agli ufficj è assai sicuro indizio da giudicare dell’abilitàdegli uomini che vi sono applicati; non hassi fortementea dubitare del gran sapere de’ maestri de’ nostri semina-rij, al cui incarico è annesso sì scarso provento, che mol-te volte lor pare di toccare il cielo col dito quel dì cheuscendo di Seminario giungono sopra un benefizio pa-rocchiale, al quale, anziché alla cattedra, ebbero, come atermine fisso de’ loro voti, sempre l’animo inteso?29

36.

Or se a così piccoli uomini si affida l’ammaestramentodel Clero, non è maraviglia che questi, rimossi gli scrit-ti de’ Santi e de’ sapienti, adoperino a testo di loro lezio-ni de’ piccoli libri, concinnati, come dicono ne’ fronti-spizj, in uso della gioventù, da testicciuole loro pari. Im-perocché tutto vuole essere proporzionato, tutto si chia-ma; e un difetto ne produce un altro: e cotesta magrezzae vanezza de’ libri usati nelle scuole, è appunto la terzacagione dell’insufficienza di loro educazione.

37.

V’hanno due maniere di libri. Alcuni sono libri classi-ci, solenni, che contengono la sapienza del genere uma-no, scritti da’ rappresentanti di questa sapienza: libri do-

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ve non è nulla d’arbitrario e di sterile, né nel metodo, nénello stile, né nella dottrina: dove non sono registrati so-lamente de’ veri particolari, in una parola, dell’erudizio-ne; ma sono date le universali verità, le dottrine feconde,salutari, dove l’umanità ha trasfuso se stessa co’ suoi sen-timenti, co’ suoi bisogni, colle sue speranze. Vi sono al-l’incontro degli altri libri minuti e parziali, opere indivi-duali, dove tutto è povero, freddo; dove l’immensa veri-tà non comparisce che minuzzata, e in quella forma, inche una menticina l’ha potuta abbracciare; e dove all’au-tore spossato nella fatica del partorirla, non è restato vi-gore d’imprimere al libro altro sentimento che quello delsuo travaglio, altra vita che quella di uno che sviene; li-bri, a che il genere umano uscito degli anni della mino-rità fanciullesca volge per sempre le spalle, poiché nonvi trova se stesso, né i suoi pensieri, né i suoi affetti; ea cui tuttavia si condanna barbaramente e ostinatamentela gioventù, che pur col senso naturale li ripudia, e chebene spesso, per un bisogno di cangiarli in migliori, cadenella seduzione de’ libri corrompitori, o acquista un’av-versione decisa agli studj, o da lungo patir violenza nellostringimento delle scuole prende un odio occulto, pro-fondo, che dura quanto la vita, contro i maestri, i supe-riori tutti, i libri, e le verità stesse in que’ libri contenute:sì, un odio, dico, non bene spiegato talora, ma che lavoradi continuo sotto altre forme da quelle di odio; che si ve-ste di tutti i pretesti; che ove si spieghi, è di maraviglia acolui stesso che lo ha in sé, perocché non sapea d’averloe non se ne sa rendere la ragione; e che ha tutto l’aspet-to di empietà, o di brutale ingratitudine verso i precetto-ri, per altro buoni, e che hanno profuse tante cure, tanteparole, e tanto amore verso i loro discepoli.

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38.

Ne’ principi della Chiesa, la divina Scrittura era l’uni-co testo dell’istruzione popolare ed ecclesiastica. QuestaScrittura, che è veramente il libro del genere umano, illibro (βυβλια), la scrittura per antonomasia. In un talcodice l’umanità è dipinta dal principio sino alla fine; co-mincia coll’origine del mondo, e termina colla futura suadistruzione; l’uomo vi sente se stesso in tutte le modifica-zioni di cui è suscettivo, vi trova una risposta precisa, si-cura e fino evidente, a tutte le grandi interrogazioni cheha sempre a fare a se stesso; e la mente di lui vi resta ap-pagata colla scienza e col misterio, come il suo cuore viresta pure appagato colla legge e colla grazia. Egli è quellibro «grande» di cui parla il profeta, scritto «collo stilodell’uomo»30; perocché in quel libro l’eterna verità parlain tutti que’ modi, a cui si piega l’umana loquela: ora nar-ra, ora ammaestra, ora sentenzia, ora canta: la memoriavi è pasciuta colla storia; l’immaginazione dilettata collapoesia; l’intelletto illuminato colla sapienza; il sentimen-to commosso in tutti insieme questi modi: la dottrina viè così semplice, che l’idiota la crede fatta a posta per sé;e così sublime, che il dotto dispera di trovarci fondo: ildettato sembra umano, ma è Dio che in esso parla. Quin-di «la Scrittura, dice Clemente di Alessandria, accende ilfuoco dell’anima, e dirige nel tempo stesso conveniente-mente l’occhio alla contemplazione, deponendo per av-ventura in noi qualche seme, come fa l’agricoltore nel-la terra, e quel seme che ritrova in noi fecondando»31: lequali parole se si possono applicare alle lettere in genere,molto più propriamente convengono alle divine.

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39.

Tale era il libro delle scuole cristiane; e questo libro gran-de in mano de’ grandi uomini che lo sponevano, era ilnutrimento di altri grandi uomini. Fino che i Vescovifurono personalmente i maestri del popolo e del Clero,essi furono anche gli scrittori della Chiesa e della socie-tà. Quindi quasi tutte le grandi opere ne’ primi sei se-coli sono scritte da Vescovi, ed è per così dire una ecce-zione della regola, trovare in quel tempo delle opere noniscritte da Vescovi, eccezione che cade a favore di qual-che ingegno straordinario, come di Origene, di Tertullia-no e d’altri tali, a’ quali, atteso il loro gran merito, si apri-va l’adito anco alla cattedra cristiana. Questi libri, dovutiall’Episcopato, formano per così dire una seconda epocanella storia de’ libri adoperati a formare la gioventù nel-le scuole cristiane ed ecclesiastiche: e formano l’ereditàche i Vescovi lasciarono al Clero inferiore, quando pergli affari della società politica, crollante da tutte parti erifuggentesi nel seno della loro carità, essi furono tolti daquelle funzioni che avevano fino allora riguardate comeannesse indivisibilmente al pastorale loro ufficio, qualeera la formazione del popolo e del Clero; alla quale ope-ra insensibilmente32 il Clero inferiore surrogarono; e inprima quella parte del Clero che era a’ Vescovi più vici-na e per vita ecclesiastica più veneranda, cioè i canoni-ci, e i monacj che la divina Providenza fece in quel tem-po appunto fiorire in sovvenimento al gran bisogno dellaChiesa33. Questa parte del Clero, sottentrata a’ Vescovinella educazione della cristiana ed ecclesiastica gioventù,ricevette con rispetto quella preziosa eredità de’ venera-bili pastori e padri della Chiesa, e la riguardò come unanorma sicura a cui attenersi nelle sue istruzioni: siche perlunga pezza dappoi può dirsi che gli antichi Vescovi era-no colle loro opere i maestri ancora della gioventù; mav’avea una differenza immensa, che prima l’ammaestra-

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vano colla viva voce e colla viva loro presenza; poscia so-lo colle loro scritture, morte per se stesse; né v’avea gua-ri chi le potesse ravvivare fra’ precettori di quegli infau-sti tempi. Il Clero del second’ordine non tolse per co-sì dire a far nulla da se stesso per gli cinque secoli suc-cessivi; non fece che ripetere quelle istruzioni e que’ do-cumenti che avea ricevuto dagli antichi padri34, sia per-ché non avesse la coscienza di essere egli il maestro inIsraello, quella coscienza che tanto ingrandiva il petto a’Vescovi, sia perché rimanesse anche oppressa la sua in-tellettiva attività dalle lagrimevoli circostanze de’ tempi,che di stragi, di devastazioni e d’infortunj ogni cosa riem-pivano. Veramente, cessate le incursioni, e stabiliti i bar-bari nelle terre conquistate, i nuovi maestri posero ma-no anch’essi a comporre de’ libri, i quali ritennero ap-punto il carattere della loro condizione; e quindi tanto aquelli degli antichi Vescovi riusciron minori per autori-tà, grandezza di dire, e sicurtà di pensare, quanto que’ministri subordinati erano inferiori in dignità e in auto-rità ai principi della Chiesa. Queste opere non poteronoavete l’impronta della originalità; esse furono de’ Com-pendi o Somme, nelle quali con ordine scientifico si regi-stravano le cristiane dottrine; compendj per altro lato ri-chiesti dal bisogno di facilitare l’acquisto della ecclesia-stica tradizione, i cui monumenti di secolo in secolo im-mensamente accresciuti, ne rendevano troppo vasto lostudio; e questi compendj costituirono l’era della Teolo-gia scolastica, che propriamente può dirsi l’opera caratte-ristica del magistero presbiterale; de’ quali compendj, ilprimo, e che valse per la sua celebrità a segnare il comin-ciamento dell’era, è quello che compilò nel secolo XIIil Maestro delle Sentenze, cioè Pietro Lombardo. Otti-mo pensiero l’epitomare la dottrina sparsa negl’immen-si monumenti della ecclesiastica tradizione. In questi lecose stesse si ripetono necessariamente le mille volte, equindi la fatica pure dello studiante s’immila. Ma la cri-

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stiana dottrina non si abbreviò solo in que’ compendj perdirvi una volta ciò che in tanti monumenti trovavasi in-finite volte ripetuto, cosa commendabile; ma la si abbre-viò ancora in un’altra maniera, cioè abbandonando inte-ramente tutto ciò che spettava al cuore35 e alle altre facol-tà umane, curandosi di soddisfare solo alla mente. Quin-di questi nuovi libri non parlarono più oggimai all’uomocome gli antichi; parlarono ad una parte dell’uomo, aduna facoltà sola, che non è mai l’uomo: la scienza teo-logica ne guadagnò ma scemò la sapienza e le scuole ac-quistarono così quel carattere angustioso e ristretto cheformò degli scolari una classe separata dal restante degliuomini, a cui quelli abbandonarono il senso comune perattenersi a de’ sottili ragionamenti. Tale effetto era na-turale. Il formare un discorso pieno, persuasivo, che sirivolge all’uomo intero, stava nel carattere del Vescovo,che non è semplicemente istruttore, ma è padre36 e pa-store, a cui è data la missione non pure di mostrare la ve-rità, ma di farla amare altresì, e di salvar l’uomo per laverità. Il prete non può tanto, e sente di non esser di ciòincaricato: quindi ristringesi a porre freddamente il ve-ro sotto gli occhi de’ discepoli, i quali ragionano con es-so lui quasi eguali con eguale37; e il suo metodo è scienti-fico, cioè non ha relazione alla persuasione che esige unadisposizione varia, ma all’ordine oggettivo delle dottrineche è assoluto e invariabile; il che pure scema la pienezzadel dire; e facilmente introduce quell’elemento di razio-nalismo che nel secolo XVI si sviluppò pienamente nelprotestantismo38, nel quale la scienza sacra, e la religionedel Cristo uscirono al tutto dal Clero e rimasero, per cosìdire, intieramente secolarizzate.

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40.

I compendii e le somme scolastiche toccarono il sommodi loro perfezione nel secolo XIII, in quella di S. Tomma-so d’Aquino, opera maravigliosa: e i maestri che succe-dettero fino a noi nelle scuole cristiane, sebbene acqui-starono immensamente dal rifiorimento degli studj perciò che riguarda la storia, la critica, le lingue, e l’eleganzadello stile; nel fondo però della dottrina non fecero cheaddietrarsi agli Scolastici, ripeterli, chiosarli, abbreviarli,quasi direi come i maestri che succedettero a’ sei primisecoli della Chiesa aveano fatto de’ Padri. Non sembriingiurioso questo confronto, di cui ogni uomo che nons’arresti alla superficie delle cose sentirà il vero. Le let-tere rifiorite nel XV, e XVI secolo trassero a sé l’atten-zione degli uomini, i quali, abbandonata la speculazio-ne pel diletto della immaginazione e del sentimento, la-sciaron mancare il nerbo della filosofia cristiana che pe-rì, come prima era perita la grandezza e la pienezza dellaesposizione. Non si vide più l’importanza delle grandi,delle intrinseche ragioni della dottrina della fede, ritenu-te tuttavia da’ migliori degli Scolastici; come da questi siera perduto di vista l’importanza della grandiosa e pienamaniera di esporla usata da’ primi Padri. Gli Scolasticiavevano abbreviata la cristiana sapienza collo spogliarladi tutto ciò che apparteneva al sentimento, e che la ren-deva efficace; i discepoli (e i discepoli, di nuovo sel dica,non sono più che i maestri) continuarono ad abbreviar-la, troncando da lei tutto ciò che vi avea di più profon-do, di più intimo, di più sostanziale, ed evitando di par-lare de’ suoi grandi principj col pretesto di facilitarne lostudio, ma veracemente perché non gl’intendevano pun-to essi stessi. Così la ridussero miseramente a formolemateriali, a conseguenze isolate, a notizie pratiche, del-le quali la gerarchia non può far senza, se vuol agli occhide’ popoli condurre le cose della Religione in quel modo

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esteriore che furon condotte in addietro. Questa pertan-to è la quarta ed ultima epoca nella storia de’ libri usa-ti nelle scuole cristiane: l’epoca de’ teologi succeduti agliscolastici. E per questi gradi, della Scrittura, de’ Padri,degli scolastici e de’ teologi, siamo pervenuti finalmen-te ad avere questi testi così maravigliosi, che ne’ nostriseminarj noi adoperiamo; i quali pur c’infondono tantapresunzione di sapere, tanto disprezzo pe’ nostri mag-giori: questi libri che ne’ secoli avvenire, ne’ quali stan-no le speranze della Chiesa che non può perire giammai,saranno, a mio credere, giudicati tutto ciò che di più me-schino e di più svenevole fu scritto ne’ diciotto secoli checonta la Chiesa: libri, per riassumere tutto in una paro-la, senza spirito, senza principj, senza eloquenza e senzametodo39; sebbene in una acconciata e regolare distribu-zione di materie, in che fanno essi consistere il metodo,mostrino gli autori loro di avere esaurita tutta la capaci-tà de’ loro intelletti: e libri finalmente che non essendofatti né pel sentimento, né per l’ingegno, né per l’imma-ginazione, non sono a vero dire né vescovili, né sacerdo-tali, e a tutta ragione li diremo laicali: e che non esigo-no altri maestri né altri espositori se non tali, che abbia-no occhi onde leggere, né altri discepoli se non tali, cheabbiano orecchi ond’udire40.

41.

Ma se piccoli libri e piccoli maestri vanno del pari; diquesti due elementi potrà egli formarsene una grandescuola, potrà aversene un metodo dignitoso d’insegna-mento? No; e la difettuosità del metodo è la quarta edultima cagione di questa piaga della Chiesa di cui parlia-mo, cioè dell’insufficiente educazione del Clero ne’ tem-pi nostri.

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Dicemmo, i costumi del Clero esser periti nella Chie-sa in quel tempo che si divise nelle scuole la formazio-ne del cuore da quella della mente41. Più tardi si pen-sò a rimediare alla trabocchevole scostumatezza, natura-le effetto di quella divisione; ed ora ne’ ben regolati no-stri Seminarj s’è introdotta la bontà, o almeno la regola-rità de’ costumi; ma non si prese però di vista la radicedel male, non si pensò a riparare a quella separazione fu-nesta della teoria dalla pratica, non si tolse a formar de’maestri altrettanti padri; e «ad esser padre, dicea il Gri-sostomo, non basta aver generato, ma conviene aver al-tresì educato bellamente il giovanetto»42. Tutto ciò chesi fece, si fu l’aver posto degli ajuti e de’ sostegni per co-sì dire di fianco, a sostenere i cadenti costumi; ma ciò si-curamente non basta alla Chiesa: è necessario che i buo-ni costumi degli ecclesiastici trovino la loro radice e suc-chino il loro alimento dalla stessa solidità e pienezza del-la dottrina di Cristo; poiché non s’intende già di forma-re semplicemente degli uomini onesti, ma de’ cristiani, ede’ sacerdoti illuminati e santificati in Cristo. Era questoil primo principio e tutto il fondamento del metodo cheusavasi ne’ primi secoli: scienza e santità unite strettissi-mamente, e l’una nascente dall’altra. Anzi propriamen-te in un verissimo senso può dirsi che la scienza nascevadalla santità; perciocché si voleva quella per solo l’amo-re che si portava a questa; si voleva quella scienza, per-ché ella era tale che conteneva la santità nelle sue stesseviscere, né altra se ne voleva; e cosi tutto era unificato:e in questa unità consiste propriamente la genuina indo-le della dottrina destinata a salvare il mondo: ella non èpura dottrina ideale, ma è verità pratica e reale; e perciò,rimossa la santità da essa, crederemo noi che si rimangaquella sapienza che ha insegnato Cristo? Ne ingannereb-be il crederlo: noi ci reputeremmo di essere savi, e sa-remmo stolti; noi prenderemmo per la dottrina di Cristo

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una vana e morta effigie di lei, vuota di vigore e di ognivita.

42.

Ecco come un santo desiderio della verità pratica guida-va ne’ suoi studj S. Papias, celebre discepolo degli Apo-stoli: «Papias, dice Eusebio nella sua Storia, si piacevadella compagnia non di quelli che parlassero molto, ma sìdi quelli che gl’insegnassero la verità. Non cercava quel-li che pubblicavano massime nuove inventate dallo spiri-to umano, ma sì quelli che gli riferivano le regole che ilSignore ci ha lasciate a sostenimento di nostra fede, e in-torno alle quali perciò la Verità stessa ci ha ammaestra-ti. Quando si abbatteva in alcuno che era stato discepo-lo de’ vecchj egli raccoglieva con cura tutti i suoi discor-si. Domandava, per esempio, ciò che aveva detto S. An-drea, S. Pietro, S. Giovanni, S. Filippo, S. Tommaso, S.Giacopo, S. Matteo, o qualche altro de’ discepoli di Ge-sù Cristo, come Aristone o Giovanni il vecchio. Poichéegli trovava che le istruzioni che traeva dai libri, gli era-no di meno profitto di quelle che riceveva di viva voce daquelli co’ quali s’interteneva. Egli notava ne’ suoi scrit-ti di essere stato discepolo di Aristone e di Giovanni ilvecchio. Li citava sovente, e riferiva molte cose ch’eglidiceva averne imparate»43.

In questa descrizione che fa Eusebio, noi possiamo ve-dere qual puro amore di verità effettiva (che è il propriocarattere della dottrina di Cristo), senza vana curiosità,conduceva quegli uomini santi de’ primi tempi a deside-rare non tanto di sapere, quanto di penetrare la veritàcoll’animo, di assaporarla col gusto interiore, di nutrirse-ne come di un pane sostanzioso e vitale: quindi è che sifaceva pendere l’insegnamento non tanto da’ libri, quan-to dalla viva voce, alla qual sola s’affidavano i più subli-

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mi misteri44: e questa desideravano più, perché l’esperi-mentavano i discepoli in se stessi più salutare. Il che for-ma uno de’ pregi del metodo che usavano i grandi alloraa formare i grandi: cioè che l’ammaestramento non fini-va in una breve lezione giornaliera, ma consisteva in unacontinua conversazione che avevano i discepoli co’ mae-stri, i giovani ecclesiastici co’ grandi Vescovi; vantaggioche perì naturalmente tostoché l’istruzione fu commessaesclusivamente al Clero inferiore, cioè a de’ puri istrut-tori anziché a de’ pastori45.

43.

La scienza è comune a tutti, buoni e malvagi: ma la veri-tà viva e pratica del Vangelo non è che de’ buoni. Quin-di ove non trattisi che d’insegnare la scienza, non è uo-po essere guari solleciti delle qualità morali de’ precet-tori, le quali tanto erano dagli antichi ricercate e richie-ste, appunto perché ciò che volevano era una verità san-ta, e quindi volgevano nell’animo, che santo dovesse es-ser altresì l’uomo che la insegnasse46. E medesimamenteavverrà che non si faccia una morale scelta de’ discepo-li, quando trattasi di un ammaestramento scientifico pu-ramente, e non veramente morale. Ove si cerca all’op-posto la sapienza morale dell’insegnamento, hassi som-ma cura di rimuovere dalla scuola tutti coloro, cui nonmuove un santo desiderio di quella sapienza. E tal curas’aveva ne’ primi tempi, ne’ quali era per se stesso più fa-cile lo scegliere saviamente gli alunni del santuario; con-ciossiaché aveasi a mano quel criterio morale unico e cer-to a distinguere i vocati da’ non vocati; e i giovani stes-si che a quella scuola s’accostavano, già sapevano a chefare ci venivano, e qual dottrina trattavasi di appararvi.Oltraché la pia e pratica verità ha questo di proprio so-pra la verità puramente ideale, che impone un rispetto e

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una venerazion di se stessa tanto in chi la riceve quan-to in chi la comunica, conciossiaché ella è di una natu-ra essenzialmente sacra e divina; sicché quelli che han-no la sublime incumbenza di doverla altrui comunicare,sogliono sperimentare una cotal ripugnanza e avversionein doverla prodigare agl’indegni, parendo loro di render-si con ciò rei, in profanandone e in violandone la vene-rabile santità. Sentono questi altamente il senso di quel-le parole con cui Cristo proibisce «di gittare le margaritedinanzi a’ porci»47. Il perché gli antichi maestri, come lidescrive Clemente Alessandrino, «provavano col tempo,e giudicavano con attento giudizio, e discernevano daglialtri quello che poteva ascoltare le loro parole, ponendoosservazione a’ discorsi di lui, a’ costumi, alle consuetu-dini, alla vita, a’ movimenti, all’abito, all’aspetto, e inve-stigando s’egli era o trivio, o pietra, o strada calcata da’viandanti, o terra fertile, o boschiva, o buon campo, e fe-race, e dissodato, e che potesse moltiplicar la semente»;ed imitavano Cristo che, come dice lo stesso Clemente«quelle cose che non eran per molti, non le rivelò già amolti, ma a pochi, a’ quali sapeva esse ben convenire;perocché quelli poteano non solo», dice «in sé ricever-le», ma «informarne se stessi»; che è quanto dire, compi-re colla rettitudine della loro vita quella notizia di veritàche ricevevano nella mente48. – Ma così operando, pochisaranno i Sacerdoti. – E bene, Clemente non ha rispostaa fare a tale obbiezione, che solo questa: «Pregate dun-que il Signore della messe, acciocché mandi degli operainella messe sua»49.

44.

Il principio di «dover comunicare nell’istruzione eccle-siastica la parola viva di Cristo, e non la parola umanae una parola morta», produceva ancora un’altra conse-

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guenza. Tutte le scienze venivano spontaneamente a su-bordinarsi a lei, e a ricever da lei l’unità, prestando ellaservigio ed omaggio a Cristo, e disponendo gli animi e lementi a meglio sentire la bellezza e la preziosità della sa-pienza evangelica. Non si davano adunque due educa-zioni, l’una pagana e l’altra cristiana, l’una delle scienzeprofane e collo spirito profano, e l’altra delle scienze ec-clesiastiche, l’una opposta e inimica dell’altra; non si gua-stavano i giovanetti, infondendo ne’ loro animi lo spiritodegli scrittori gentili, e i torti ed umani fini dell’operare,per correggerli poscia e dirizzarli colle massime cristia-ne ed ecclesiastiche, ma un fine solo, come una dottrinasola, quella di Cristo; ella dominava sempre tutto: anchegli studj profani servivano così a rinforzare la loro fede;ed era con tal metodo che vedevansi uscire dalle scuo-le de’ Panteni gli Origeni, e dalle scuole degli Origeni iGregorj Taumaturghi50.

45.

Nel tempo però che tutto riceveva unità dall’unità delprincipio, dall’oggetto unico proposto a studj veramen-te cristiani; quel vero e salutare principio rendea gli studistessi completi e universali, tutto abbracciava, e special-mente tutta la Religione, i suoi arcani misteri, i suoi pro-fondi principj, le sue grandi massime, il suo intero siste-ma in una parola: non ci avevano delle esclusioni arbitra-rie, delle eccezioni ingiuste per certa parte di dottrina, edelle predilezioni per cert’altra: la parola di Cristo ama-vasi e cercavasi sola, e perciò volevasi penetrare tutto ciòche in quella parola indagar si potesse: e perché in quel-la parola si cercava la vita nascosta, amministravasi me-scolata colle preghiere, colle sante lagrime, colla liturgia,onde derivavasi la grazia che in un modo soprannaturalepasceva di luce divina le menti insaziabili di giustizia51.

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46.

Ah chi restituirà alla Chiesa un tal metodo, che è il solodegno di lei? Chi renderà alle scuole de’ Sacerdoti i suoigrandi libri, e i suoi grandi precettori? Chi sanerà, in unaparola, la piaga sì profonda della insufficiente educazio-ne del Clero, che indebolisce tutto giorno, e fa mandarlamentevoli gemiti alla bella Sposa di Cristo? Non altriche l’Episcopato: a lui fu commesso il reggerla, a lui da-to il potere miracoloso di sanarla inferma: ma a lui uni-to insieme, e non fra sé spezzato e diviso. L’Episcopatotutto in corpo si richiede alla grand’opera, congiunto inun solo volere, con una sola operazione. Or questa unio-ne è appunto ciò che manca ai Pastori della santa Chiesain questi tempi di fraude; ed ella è una terza piaga dellaChiesa, non meno anzi più crudele dell’altre due fin quida noi dimostrate.

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CAPITOLO III

Della piaga del costato della santa Chiesa, che è la disunione de’Vescovi

47.

Il divino Autore della Chiesa, prima di lasciare il mondopregò il Padre celeste che facesse sì che i suoi Apostoliformassero insieme una unità perfetta, come egli e il Pa-dre insieme formavano la più perfetta delle unità, aven-do una stessa natura. Questa unità sublimissima, di cheparlava l’Uomo-Dio in quella orazione maravigliosa chefece dopo la cena, poche ore prima della sua passione,era principalmente una unità interiore, una unità di fe-de, di speranza, di amore. Ma a questa interiore unità,che non può mancar mai intieramente nella Chiesa, do-vea rispondere l’esteriore, come l’effetto alla cagione, el’espressione alla cosa che viene espressa, e la fabbrica altipo o disegno su cui viene fabbricata; «Un corpo ed unospirito», dice l’Apostolo52; il che comprende tutto; per-ché nel corpo viene significata la unità nell’ordine dellecose esterne e visibili, e nello spirito la unità nell’ordinedelle cose che si tolgono a’ nostri sguardi corporali; «UnSignore, soggiunge, una fede, un battesimo: un Dio e Pa-dre di tutti, che è sopra tutto, e per tutte le cose, e in tuttinoi»53. Ecco di nuovo l’unità della divina natura, posta afondamento ammirabile dell’unità che debbono formaregli uomini, que’ dispersi che Cristo congregò sotto le sueali, siccome una gallina congrega i suoi pulcini, e ne for-mò una sola Chiesa; ed ecco il fonte ad un tempo di quel-la unità dell’Episcopato nella Chiesa di Cristo, che venìasi altamente sentita da’ primi Vescovi, e che S. Cipriano

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esprimeva con sì eloquenti parole nel libro che intitolòappunto: «Dell’unità della Chiesa».

48.

Gli Apostoli ebbero e mantennero questa doppia unitàin grado eminente; perocché in quanto all’interiore, unastessa dottrina e una stessa grazia tutti, per così dire, incomunione possedevano; e in quanto all’esteriore, unsolo fra essi era il primo54 e «l’origine di quell’unicoEpiscopato», come dice il gran Vescovo e Martire diCartagine, «che in solido tutti possedevano»55. Ad unsolo era stato dato in particolare ciò stesso che era statodato a tutti in comune; e sopra un solo, come sopra unsolo e indiviso scoglio, era edificata quella Chiesa di cuitutti insieme con esso lui e sopra lui collocati erano altresìin egual modo il fondamento.

49.

La consapevolezza di questa perfetta unità nella gerar-chia che è l’espressione bellissima, e quasi il vago rifles-so della unità interiore dello spirito, ingrandiva il pettode’ primi successori degli Apostoli, che si sentivano, tan-ti quanti erano sparsi per le nazioni, non formare tutta-via che un solo quasi direi autorevolissimo personaggio,e realizzare tutti insieme quell’ideale divino di un poterebenefico, che a similitudine di Dio si trova tutto in ogniluogo; né ignoravano, che questa stupenda unità era iltestamento che Cristo avea lasciato a’ suoi inviati pria dimorire, cioè prima di spargere un sangue che suggellavaquel suo nuovo ed eterno testamento. E in vero, l’uni-tà de’ suoi, simboleggiata nell’Eucaristico Pane, simbo-leggiata anche in quella tunica inconsutile che copriva le

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sue carni divine, era siccome l’ultimo segno di tutti i vo-ti di Cristo, e dovea essere il frutto de’ suoi infiniti pa-timenti, avendo egli detto al Padre, che per ciò appuntodesiderava «che fossero salvati nel suo nome acciocchépotessero essere una cosa sola»56.

50.

Ora dominando nelle menti degli antichi Vescovi una sìgrande idea della unità, e più ancora portandola essi nelcuore; niente trascuravano di tutto ciò che potesse av-vincolarli insieme; e non che mantenere tutti la creden-za perfettamente uguale, e l’amore pel corpo de’ Pastori;niente amavano tanto, niente avevano, come si suol di-re di più antico, quanto operare tutti con uniformità, ciòche sommamente importa al retto governo della Chiesadi Dio. – Chi considera la vastità del governo della san-ta Chiesa sparsa per tutte le nazioni della terra, avrà cer-tamente a stupire in trovare introdotto ovecchessia tan-ta consensione di dottrine, di discipline, e fino di con-suetudini; e quanto poche e non punto essenziali sieno ledifferenze che vi si riscontrano.

51.

Ma ciò onde nasceva, onde si continuava?1° Dal conoscersi i Vescovi personalmente: la qual co-

noscenza cominciava fra essi anche prima di esser fattiVescovi, ed era una natural conseguenza della dignito-sa educazione, alla quale si formavano gli uomini gran-di, fra’ quali poi erano sempre eletti i Vescovi della Chie-sa. Conciossiaché cotesti o erano stati condiscepoli nel-le scuole di altri grandi Vescovi57, o aveano cercato co’viaggi, fatti a posta, di conoscersi scambievolmente. Ché

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non si risparmiavano allora viaggi lunghissimi e oltremo-do disagiati, per godere pur della vista di un uomo gran-de e celebre in santità e in dottrina, ed avere la venturainestimabile di udire la sua voce, e di approfittare dellasua conversazione; appunto perché v’era quella persua-sione, che i libri non bastano a comunicar la sapienza,nel senso in cui ella prendevasi questa parola, cioè nonper una sterile cognizione, ma per una intelligenza inti-ma, per un sentimento profondo, per una convinzioneoperativa; e che all’opposto la presenza, la voce, il gesto,e fino le azioni più indifferenti58 de’ grandi hanno virtùdi trasfondere in altrui e comunicare essa sapienza, e ac-cender ne’ giovanetti scintille di genio, il qual si muore,o rimane sepolto ed inerte, ove non venga quasi direbbe-si percosso dal genio altrui. S. Girolamo dalla Dalmaziavenne a Roma a ricevervi la prima educazione; indi viag-giò nelle Gallie, dove visitò tutti i personaggi che ivi fio-rivano; passò in Aquileja a udire il Vescovo S. Valeriano,sotto il quale è memoria che si trovavano assembrati piùuomini celeberrimi; poi se ne andò in Oriente ad Apol-linare di Antiochia, si fece alunno di Gregorio Nazian-zeno in Costantinopoli, e co’ capelli canuti non isdegnòdi apprendere in Alessandria dalla bocca del cieco Didi-mo quel sapere di verità, di cui a quel tempo non si fi-niva di andare in cerca se non per morte. Che più? an-co per ben conoscere una sola questione di ecclesiasticadottrina, non si viaggiava mezzo mondo? Valga in esem-pio il prete Orosio, che dalla Spagna essendo andato inAfrica ad imparare da S. Agostino il modo di confutarele eresie che allora infestavano la Chiesa; e questi il ri-mise pel medesimo fine a S. Girolamo, che andò trova-re nella Palestina. Così apprendevano teologia i maggio-ri Sacerdoti di que’ tempi; così i grandi uomini di quelClero mettevano diligenza in conoscersi fra di loro!

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52.

2° Dalla corrispondenza epistolare che avevano insiemecontinuamente i Vescovi anche più lontani; e ciò sebbe-ne mancassero i mezzi tanti che noi abbiamo oggidì dicomunicazione. Per esempio fa maraviglia il vedere co-me un S. Vigilio Vescovo di Trento mandi in dono, ac-compagnata con lettera di amicizia, una parte delle reli-quie de’ Martiri dell’Anaunia, fino a S. Giovan Grisosto-mo Vescovo di Costantinopoli, e un’altra parte a Milanoa S. Simpliciano. Ed oltre queste lettere di privata ami-cizia di Vescovo a Vescovo; si scrivevano ancora le Chie-se l’una all’altra, massime le principali alle loro soggette;e in questa pia corrispondenza prendeva parte il presbi-terio ed il popolo stesso; e quelle venerabili lettere veni-vano poi con riverenza lette nelle pubbliche adunanze igiorni festivi. Tale era l’esempio dato dagli Apostoli a’loro successori: tali sono le lettere di S. Pietro, di S. Pao-lo, di S. Giovanni, di S. Giacopo e di S. Giuda, che an-cor si conservano inserite nel corpo delle Scritture cano-niche; tali le lettere de’ sommi Pontefici S. Clemente, eS. Sotero alla Chiesa di Corinto; come pure quelle chescrissero S. Ignazio, e S. Dionigio Vescovo di Corinto avarie Chiese, e specialmente alla Romana59, e tante altre.

53.

3° Dalle visite, che si facevano i Vescovi gli uni gli altri omossi dalla scambievole carità, o dallo zelo per gli affa-ri della Chiesa; e non solo dallo zelo per la Chiesa parti-colare a loro affidata, ma assai più per la universale, con-sapevoli, sì com’erano, di esser tutti Vescovi della Chie-sa cattolica60, e che una diocesi non può essere segregatadall’intero corpo de’ fedeli più di quello che il possa es-sere un membro dal corpo. Perciocché come qualunque

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membro del corpo umano ha bisogno di venire inaffia-to da quella massa di sangue che tutto il corpo trascor-re, e penetra per gli meati delle vene grosse e mezzanee capillari, fino alle ultime sue estremità, e da per tuttocontinuamente si cangia e si tramuta, per così dire, di va-so in vaso, sicché non si può assegnare una porzione diquel sangue, che sia propria di un braccio, e un’altra chesia propria di una gamba, ma tutto è a tutto il corpo co-mune (e lo stesso si può dire di varj altri umori che gira-no secondo loro proprie leggi per l’intero corpo, sicco-me pure dell’azione simultanea di tutte le parti concordia produrre un solo effetto, cioè la vita, di cui ciascun bra-no del corpo partecipa e vive, non perché abbia una vitasua particolare, ma perché la vita comune è appunto vitasua); così medesimamente è nella Chiesa cattolica, nellaquale ciascuna Diocesi particolare conviene che viva del-la vita della Chiesa universale, mantenendo con questauna continua vitale comunicazione, e ricevendone la sa-lutare influenza; e dove da questa si separi alcun poco,ella incontanente si fa come morta; o pure, ove si mettaun impedimento al comunicare col tutto della Chiesa, el-la non ha più che una vita assai languida e spossata, in ra-gione di quell’impedimento che la stringe e riduce svigo-rita, siccome un braccio legato strettamente da funicel-le, a cui vien meno la sensitività e il movimento, se nonanco alla guisa di un braccio, che tocco da accidente di-venta paralitico, o intormentito. o agghiadato, ove la cir-colazione è oggimai lenta, e le funzioni sono arrestate, osospese. Le quali idee se non s’inculcano nell’educazio-ne del nostro Clero, noi avremo necessariamente di que’Vescovi, il cui vedere appena che giunga ai confini dellaloro diocesi, i quali si persuaderanno di avere soddisfattoassai acconciamente all’incarico episcopale, allorquandonon sieno mancati alle comparse di uso nella loro Chiesacattedrale, o in Seminario; quando il servizio esterno del-la diocesi sia in qualche modo coperto e non promuova

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reclamo da’ laici, e finalmente quando abbiano esegui-to le funzioni tutte del Pontificale, e del Cerimoniale de’Vescovi61.

54.

4° Dalle frequenti adunanze e Concilj specialmente pro-vinciali che si tenevano. L’unità della Chiesa si volevache fosse unità di voleri, unità di persuasioni, unità di af-fetti; e ad ottener questa, non basta il comandare di unsolo con autorità, la quale, tutta sola, trae seco pur sem-pre qualche cosa di invidioso e di ostile, né, per l’ordina-rio, rende i soggetti più illuminati, ma solo più aggrava-ti. Di che l’Apostolo stesso diceva: «Tutto a me lice, manon tutto è spediente»62.

E quindi proveniva quel volersi spesso nelle cose di-sciplinari anche il voto del popolo, che si può dire fos-se a que’ tempi il consigliere fedele de’ governatori del-la Chiesa63; e quel render conto che faceva il Vescovo alpopolo stesso di tutto ciò che nel governo della Dioce-si egli operava64; e quel cedere e condiscendere ai vole-ri popolari in tutto ciò che si poteva, il che è tanto dol-ce e affabile cosa, e sommamente conveniente al gover-no episcopale, governo sublime e che può tutto, ma nontuttavia come quello de’ re della terra; perché può tut-to, solo pel bene, e niente pel male; e per la stessa suaessenza è decorato di umiltà, di modestia e di carità im-mensa; e in ogni cosa è al sommo ragionevole, e perciòstesso forte di sua dolcezza65. Quindi ancora traeva ori-gine quella congiunzione de’ Vescovi co’ loro presbite-rj, di cui richiedevano il parere in ogni affare spettante ilgoverno della Chiesa acciocché quelli che erano in partedella esecuzione, fossero anche in parte delle disposizio-ni che si venivano prendendo, e queste riuscissero con-sonanti al voto comune, e fossero conosciute nel loro spi-

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rito e nelle loro ragioni da quelli che le dovevano ridurread effetto66. Quindi ancora que’ Concilj, in cui tutti i Ve-scovi comprovinciali, come altrettanti fratelli, trattavanoinsieme due volte l’anno67 degli affari comuni; si consul-tavano su’ casi difficili che incontravano ne’ loro governiparticolari, e accordavano insieme tutto ciò che era me-stieri per togliere i disordini; decidevano le cause, dava-no i successori a’ Vescovi che morivano: i quali successo-ri stabiliti da’ Vescovi comprovinciali erano a questi nonsolo noti, ma aggraditi, e tali, che ottimamente contribui-vano a conservare quella perfetta armonia che accordavainsieme il corpo episcopale; quindi finalmente i Conciljmaggiori di più provincie, i nazionali, e gli ecumenici.

55.

5° Dall’autorità del Metropolitano che presiedeva a tuttii Vescovi di una provincia; e delle sedi maggiori, che piùprovincie e più metropolitani avevano sotto di sé; la qua-le ben ordinata distribuzione del reggimento ecclesiasti-co tutto mirabilmente univa ed incatenava per così diretra sé il corpo della Chiesa; non essendo per avventurauna gerarchia vana, e di solo onore.

56.

6° E finalmente sopra tutto dall’autorità del sommo Pon-tefice, pietra precipua e sempre e sola immobile dellagran mole dell’edificio episcopale, e perciò pietra di ve-race fondamento, che dà a tutta la Chiesa militante iden-tità, e perennità. A lui ricorrevano in ogni loro grave bi-sogno tutti i Vescovi e tutte le Chiese del mondo sicco-me al padre, al giudice, al maestro, al centro, al fonte co-mune; da lui ricevevano consolazione i pastori persegui-

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tati, e limosine gl’impoveriti e spogliati, come pure i fe-deli di ogni nazione; da lui lume, e direzione, e difesa, esicuro e tranquillo stato tutto l’intero orbe cattolico.

57.

Tali erano i sei anelli d’oro costituenti i saldissimi vin-coli che stringevano insieme il corpo episcopale ne’ piùbei tempi della Chiesa: e veramente d’oro! perché nond’altra materia formati che di santità, di carità, di ade-sione alla parola di Cristo e agli esempj apostolici, di ze-lo per quella Chiesa che col sangue di Cristo era fonda-ta ed alle mani dei Vescovi commessa, e di timore e tre-more che avean sempre presente nell’animo il conto ine-sorabile che ne dovea domandar loro un giorno lo stessoSignore ed invisibile Capo e Pastore Gesù Cristo.

Abbiamo veduto che le invasioni de’ barbari, le qualirovesciarono il dominio romano, fecero cominciare allaChiesa un di que’ nuovi periodi che si possono chiamaredi movimento, ne’ quali ella si leva quasi direi dalla suastazione, e comincia una marcia novella; periodi in cuiella sviluppa di sé una attività nuova, prima nascosta nelsuo seno per mancanza d’occasione di manifestarsi, e al-lora esercita sull’umanità una nuova azione, e vi produceuna nuova serie di benefici effetti. Ed ora il periodo dicui parliamo ha per suo carattere «l’ingresso de’ Vesco-vi ne’ governi politici»: e il fine della Providenza in avve-nimento così rilevante, dicemmo essere stato manifesta-mente di fare che la Religione del Cristo penetrasse l’in-timo della società, e dominandola la santificasse; e quelfine fu conseguito, giacché l’ordine della Providenza èimmancabile e certo; ma fu conseguito a prezzo di gra-vi mali, giacché le cose umane, colle quali opera la Pro-videnza, sono tutte necessariamente limitate e imperfet-te. Ora uno di questi mali, oltre quelli che abbiamo enu-

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merati, fu la disunione dell’Episcopato, terribile lancia-ta che andò a squarciare il petto e a trapassare il cuorestesso della tenera sposa di Gesù Cristo!

58.

Noi dobbiamo vedere per quali gradi avvenisse unoscempio così crudele. Ma prima mi sia permesso di fa-re una osservazione sulle leggi, secondo le quali vengonoda Dio attemperate le vicende della santa Chiesa.

La Chiesa ha in sé del divino e dell’umano. Divinoè il suo eterno disegno; divino il principal mezzo ondequel disegno viene eseguito, cioè l’assistenza del Reden-tore; divina finalmente la promessa che quel mezzo nonmancherà mai, che non mancherà mai alla santa Chiesae lume a conoscere la verità della fede, e grazia a prati-carne la santità, e una suprema Providenza che tutto di-spone in sulla terra in ordine a lei. Ma dopo ciò, oltrea quel mezzo principale, umani sono altri mezzi che en-trano ad eseguire il disegno dell’Eterno: perciocché laChiesa è una società composta di uomini, e, fino che so-no in via, di uomini soggetti alle imperfezioni e miseriedella umanità. Indi è che questa società, nella parte incui ella è umana, ubbidisce nel suo sviluppamento e neisuoi progressi a quelle leggi comuni che presiedono al-l’andamento di tutte le altre umane società. E tuttaviaqueste leggi, a cui le umane società sono sommesse nelloro svolgersi, non si possono applicare intieramente allaChiesa, appunto perché questa non è una società al tut-to umana, ma in parte divina. Quindi, a ragione d’esem-pio, la legge che «ogni società comincia, progredisce fi-no a sua perfezione, poscia decade e perisce», non è ap-plicabile alla Chiesa, a cui assiste una forza che sta fuo-ri della sfera delle umane vicende, una forza infinita, cheripara le sue perdite, che le rifonde la vita quando que-

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sta le vien meno; sicché questa società singolare ed uni-ca disorbita dalla via comune delle altre società, appun-to perché ha qualche cosa in sé di estraneo e di superio-re alle pure società umane. La Chiesa in somma è altret-tanto ferma quanto la società umana presa in generale, laquale, costituita insieme coll’uomo, non perisce se noncoll’ultimo individuo della specie.

Or perciocché le altre società particolari si formano, sidistruggono e si riformano di nuovo; v’ha per esse un pe-riodo di distruzione che succede a un periodo di forma-zione, e che è susseguito da un altro periodo di forma-zione novella. Ma questi periodi organizzatori, e questiperiodi critici non si possono applicare alla società uma-na in generale, né medesimamente alla Chiesa di GesùCristo, le quali sempre sussistono, ma bensì solo al modoaccidentale dell’una e dell’altra: questo solo si organiz-za, si distrugge, e si riorganizza. Il momento, in cui co-mincia ad operare la forza che presiede all’organizzazio-ne, si può chiamare l’epoca di marcia; il momento in cuil’organizzazione è finita si può chiamare l’epoca di stazio-ne. La Chiesa si trova successivamente in queste due epo-che; ora vedesi in movimento verso qualche suo nuovo egrande sviluppo; ora vedesi in riposo come quella che èpervenuta al fine del suo viaggio68.

59.

Un’altra osservazione si deve fare relativamente alla leg-ge che presiede all’andamento delle società, ove appli-car si voglia alla Chiesa; ed è che nelle altre società la ri-composizione succede alla distruzione, imperocché quel-la tende a rifabbricare in un modo migliore ciò che pri-ma era stato distrutto. Ma nella Chiesa la distruzione ela composizione sono contemporanee, non operandosiquella e questa intorno allo stesso oggetto; come succede

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nelle altre società; ma distruggendosi un qualche ordinenel tempo stesso che se ne compone un altro. Prendia-mo l’esempio appunto da quel memorabile tempo in cuiil Clero per cagione dell’invasione de’ barbari69 fu spin-to ne’ governi temporali, epoca di marcia per la Chiesadi Dio, quell’epoca che forma l’oggetto principale dellanostra attenzione.

Il progresso della Chiesa in quel tempo, il nuovo ordi-ne che andava organizzandosi, era la santificazione dellasocietà civile. Questa società, fino allora pagana, doveaconvertirsi al Cristianesimo; cioè dovea conformare tuttele sue leggi, la sua costituzione, e fino i suoi usi, al nuovocodice di grazia e di amore, il Vangelo; ma insieme conquesto progresso venia distruggendosi un altro ordine dicose, e vi avea nella Chiesa anche un regresso. Poichéil nuovo avviamento, che portava la Chiesa nella socie-tà civile, traeva seco lo sconcio indicato, che l’Episcopa-to, distratto dalle sue naturali incumbenze, ISTRUZIO-NE e CULTO70, venisse gittato nel pelago de’ secolare-schi negozj. Tale occupazione fu una tentazione pel Cle-ro improvvisa, sconosciuta, di cui si presentiva bensì ilpericolo71, ma a cui non s’era ancora per esperienza ap-presa l’arte di resistere e di vincerla. Quindi a lungo an-dare l’umanità cadde nel terribil cimento: la santità delClero diede un tracollo, e i più begli usi, e i più bei costu-mi ecclesiastici perirono. Ecco la distruzione che si ope-rava a canto della organizzazione. Tale, il dirò ancora, èla limitazione umana! Ella apparisce fino nella Chiesa,la quale nei suoi nuovi progressi e sviluppi soggiace puread una alterazione e ad un guasto, quantunque semprenel suo modo di essere accidentale.

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60.

Ma che succede a ciò? Dopo che l’organizzazione, chesi intendeva da Dio conseguire, è compiuta, dopo che ilperiodo della distruzione è trascorso e tutto ha divoratociò che era abbandonato dalla Providenza per così direalla sua voracità; allora sembra per pochi istanti che que-sta distruzion consumata metta in pericolo la stessa esi-stenza della Chiesa, e che assorbisca nelle sue ruine, nel-l’abisso aperto dinnanzi a lei, anche ciò che si era otte-nuto e organizzato simultaneamente. In tale frangente laChiesa è turbata; appena la sua fede la sostiene; e nel suoestremo turbamento volge delle lamentevoli suppliche aldivino Autor suo, che dorme nella navicella pericolante;ed allora batte il momento in che egli si desta, e minacciail vento ed il mare. Allora l’esperienza è fatta; si cono-scono a prova gli effetti funesti del principio distruttore,e si pensa finalmente a trovarvi i rimedj. Allora cominciail periodo nuovo in cui si toglie a ristorare i guasti soffer-ti dal gran vascello nella lunga e difficile sua navigazio-ne: epoca di stazione, perocché questi risarcimenti nonportano la Chiesa innanzi, non le danno qualche nuovoe grande sviluppamento, ma solo la rassettano per cosìdire in quelle sue parti che hanno troppo sofferto dal fa-ticoso viaggio. Intanto però un gran tratto di cammino ègià percorso; e dopo racconciata la nave che non può pe-rire, ella affrontar deve ancora altri mari, altri venti, altreprocelle.

61.

Per il che l’ordine della Providenza nel governo dellaChiesa è cotale, che la forza organizzatrice sia sempre piùvalida di quella che presiede alla distruzione: che le dueforze operino contemporaneamente, acciocché tutto av-

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venga colla massima celerità, e nulla si perda di tempo72:ma che finito il loro lavoro, succeda nella Chiesa un cotalriposo, nel quale essa non faccia gran viaggio, né grandiimprese affronti, ma sì intenda a riparare a parte e condiligenza i suoi danni; fino che giunga il tempo di salparnuovamente ad un’altra ardimentosa navigazione. E giàda molti secoli, già fino dal sempre memorabile 1076, econ nuovo vigore dal Concilio di Trento, si lavora a risto-rare minutamente i danni della disciplina e del costumeecclesiastico. Chi sa che non approssimi oggimai un tem-po, in cui il gran naviglio sciolga nuovamente dalle sue ri-ve, e spieghi le vele nell’alto alla scoperta di un qualchenuovo e fors’anco più vasto continente!73

62.

Rimettiamoci ora in via. Ne’ capitoli precedenti noi ab-biamo veduto l’attività infaticabile che una forza distrut-trice spiegò a danno della Chiesa ne’ secoli che succedet-tero a’ sei primi relativamente all’educazione del popo-lo e del Clero; seguitiamo ora a considerare questa forzainimica applicata a disciogliere l’unione dell’Episcopato.

I primi successori degli Apostoli, poveri e privati, trat-tavano fra di loro con quella semplicità che è infusa nel-l’anime dal Vangelo, e che è l’espressione del solo cuore.Per essa l’uomo comunica immediatamente se stesso alsuo simile, e per essa la conversazione de’ servi di Dio ècosi facile e soave, utile e santa. Tale era la conversazio-ne de’ primi Vescovi. Ma ove questi furono circondati equasi vallati dal potere temporale, il loro accesso diven-ne difficile; l’ambizione secolaresca inventò de’ titoli fis-si, e determinò un cerimoniale materiale, esigendo dagliuomini, in prezzo del poter trattare co’ loro Prelati, de’generosi sacrificj di amor proprio, perciò bene spesso untributo di avvilimento, perché di finzione e di menzogna.

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Per queste sempre crescenti esigenze si pervenne al pun-to che i soli preliminari del trattare de’ cristiani co’ prin-cipi della Chiesa si resero implicati di cavillose quistionisopra formalità, e ben sovente tali, che non ammettevanouna possibile, cioè una ragionevole soluzione; e il pensie-ro del pastore della greggia di Cristo, degno d’essere ri-serbato a meditare le sublimi verità, a trovare i pruden-ti consigli, si trovò esaurito nello studio e nella tutela diquesti nuovi diritti della Chiesa, nascenti dal nuovo Co-dice di cerimonia. Quindi il carattere si rese diffidente,serio, cauto, e ingannatore per prevenzione e per recri-minazione. Tutto si sviluppò; e un’assemblea di Vesco-vi, cosa per sé sì dolce e sì facile, abbisognò d’allora inavanti de’ più serj e lunghi pensieri; giacché prima di so-lo aderirvi fu necessario aver gran voglia di studiarne lecerimonie, aver gran borsa da farne le spese, aver grantempo da gittarvi, e aver gran forze da sostenervi le fa-tiche pesanti di etichetta, che assai meno basta talora adammazzare de’ vecchi cadenti74.

63.

Tali difficoltà che allontanano i Vescovi fra loro, circon-dandoli per così dire di una atmosfera ripulsiva, è il se-gno sicuro di ambizione entrata furtivamente ne’ loropetti. E qual mai cagione di divisione, ed anco di sci-sma, maggiore dell’ambizione, che è mescolata semprecolle sue due ministre, la cupidigia di ricchezza, e quelladi potenza? Un fatto costante nella storia della Chiesa èquesto, che «ovunque ad una sede episcopale si congiun-se per lungo tempo un assai grande potere temporale, ivisi manifestarono altresì cagioni di discordie». Costanti-nopoli qui si affaccia tosto al pensiero. Non era un seco-lo dalla sua fondazione, che i Vescovi della nuova Roma,possenti per la vicinanza dell’Imperatore, ambirono di

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soverchiare le sedi più antiche e le più illustri della Chie-sa, e riuscirono dopo molti contrasti ad ottenere il secon-do posto in tutta la Chiesa75. Non contenti, rivaleggiaro-no con Roma, e produssero il fatale scisma greco76. Eccoevidentemente una delle terribili conseguenze del poteretemporale annesso alla sede costantinopolitana, la perdi-ta che fece la Chiesa, dell’oriente! Nell’occidente si offrealla nostra considerazione l’esarcato di Ravenna, stabili-tovi nel VI secolo; il quale tosto rende quegli Arcivescoviindocili e insubordinati a Roma, a tale che solo con misu-re estreme finalmente si poterono umiliare77. L’immen-so fonte però delle discordie e delle disunioni nella Chie-sa occidentale furono i varii Antipapi che vi comparvero;e finalmente nel secolo XIV, il grande scisma d’occiden-te, che, anche estinto, lasciò i più profondi germi di di-visioni, d’invidie, di secrete ostilità fra le nazioni cristia-ne, germi rinforzati da tutto ciò che è stato fatto in oc-casione dello scisma dai sempre mai memorabili Conci-lj di Pisa, di Costanza e di Basilea. Fu quello scisma, chepreparò la defezione del settentrione dalla Chiesa, acca-duta un secolo dopo; ed estinto materialmente, egli duratuttavia, e col suo spirito infausto opera infaticabilmen-te ravvolto sotto il manto di aulicismo, e di gallicanismo;e suoi frutti sono tante mal consigliate imprese ecclesia-stiche di un Imperatore e di un Granduca; quella tantocieca ambizione di quattro Arcivescovi di Germania chelottando colla Sede apostolica, unica, leale protettrice de’loro Stati temporali, perdettero que’ lor domini; e tuttociò che si desiderò, si disse, e si tentò più recentementeancora di fare in una Capitale cattolica, per istituirvi unpatriarca e produrre nella Chiesa un nuovo scisma.

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64.

Queste divisioni funestissime, che lacerano il seno dellaSposa di Gesù Cristo, non fanno maraviglia, ove si con-sideri, che se i primi Vescovi che dovettero immergersine’ negozj temporali, avevano il petto sì santo e l’animoveramente sì episcopale, che nol facevano se non con in-finito dolore e con lagrime; non fu però il medesimo ditutti i loro successori. Dall’episcopato povero e fatican-te nella predicazion del Vangelo e nella cura immediatadell’anime, tutti quelli che erano dominati da uno spiritosecolare, da cupidigia di ricchezza, e da avidità di potereprofano, stavano assai lontani per se medesimi; concios-siaché non trovavano in esso che travagli e sollecitudini,e ben sovente ancora persecuzioni, stenti, martirj; e tan-ta era poi la fortezza, tanto lo spirito di sacrificio da es-so richiesto, che potevasi ben dire di un tal posto quelloche ne disse l’Apostolo: «Chi desidera l’episcopato, de-sidera un’opera buona»78. Ma gli uomini santi lo fuggi-vano tuttavia per un’altra ragione, cioè perché vedevanoin esso una dignità al tutto divina, quale è agli occhi dellafede, a cui Iddio solo potea chiamare e sollevare; e per-ché occupati da un umile sentimento di se medesimi nonsi credevano a pezza forniti di quelle virtù che sì grandee sì divino ministerio richiedeva per sua natura. Indi av-venia, che non presentandosi alcuno aspirante alle catte-dre vescovili, la Chiesa era libera nella sua scelta, ed ellastessa andava in cerca degli uomini i più santi, con ispas-sionato giudizio, cioè senza che il giudizio fosse preve-nuto e turbato da alcuna propensione degli elettori, e daalcun maneggio de’ candidati. E così la elezione cadevasu personaggi, la pietà e sapienza de’ quali più risplen-deva. Ma mutossi questo buon ordine, tosto che il Ve-scovato non fu più un puro potere spirituale, e si aggiun-se a lui l’amministrazione di abbondanti ricchezze, e lecure di temporali reggimenti. Egli allora divenne via più

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pauroso e importevole ai santi, che con ogni industriada lui lontani si riparavano, fino ad obbligarsi co’ voti dischivarne il peso, come fecero quegli apostolici uominiche, avanti tre secoli, ebbero il Lojola a capitano in fon-dare una compagnia di operai infaticabili nella vigna delSignore79. E nel tempo stesso l’episcopato trovò d’allorain poi troppi più concorrenti, che non sarebbe a lui biso-gnato, cioè tutti quelli che andavano in cerca di una tem-porale fortuna, ed avean chiusa altra porta migliore e piùdifficile a schiudersi, di quella della Chiesa.

Nacque allora appunto la divozione materiale e di for-malità de’ nobili: nacque quel merito de’ plebei che si fe-ce consistere in destrezza di maneggiare affari o in iscien-za di leggi canoniche, anziché in zelo e virtù di maneg-giare la spada della divina parola e di guidare anime alCielo; allora non videro più i principi terreni e i grandine’ pingui vescovadi, che de’ mezzi di premiare de’ loroadulatori o de’ loro ministri, o pure collocamenti pe’ lo-ro figliuoli cadetti o anche naturali: e ciò che da prima sifece per istinto d’inconsiderata cupidigia, non andò gua-ri, che divenne un sistema politico e per poco costitutivodello Stato. Potrei nominare in esempio di ciò che dicoindifferentemente qualsivoglia nazione cristiana di Euro-pa: perciocché considerando in ciascheduna, a qual ter-mine erano venute le cose della Chiesa, troverassi che nelfondo le massime e lo spirito fu quel medesimo che nel-la repubblica Veneta degli ultimi tempi; ne’ dominj del-la quale i Vescovi erano tutti cadetti delle case patrizie,ch’ebbero per avventura vocazione all’episcopato primadi nascere; cioè che prima di nascere furono condanna-ti all’episcopato da uomini ingordi, crudeli, presontuosi;i quali a compenso di quella condannazione dispensava-no poi il pastore della Chiesa di Gesù Cristo da’ suoi sa-cri doveri, e di buon grado gli consentivano di condur-re in una oziosa ignavia una vita dissipata. È egli fra taliVescovi, che si può aspettare di trovare la carità maggio-

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re e la fortezza, e quell’unione intima veramente pastora-le, che nasce da uno zelo comune per la prosperità dellacara Sposa, la Chiesa, e da una sapienza che sente d’in-grandirsi e di fortificarsi colla consensione delle massimee coll’uniformità della condotta?

65.

Uomini, ne’ quali è un solo pensiero, quello di far pro-gredire l’uman genere verso la verità e la giustizia, e chenon hanno, fuor di quest’uno, altro interesse, ben facil-mente si stringono in fra loro co’ nodi della più sinceraamicizia, e intima corrispondenza. La verità è universa-le e immutabile; e quella unione che ha per oggetto que-sto bene divino, non può a meno di essere anch’essa uni-versale, non limitando il numero de’ suoi membri; comealtresì avendo questo bene divino per vincolo, ella nonpuò a meno di essere stabile e permanente, senza cessareper vicenda, né allargarsi in mezzo al cangiamento pur ditutte le circostanze esteriori della vita. Tale era la fratel-lanza de’ Vescovi antichi, che aveva ad oggetto e a nodol’evangelica verità, e Dio stesso a fondamento. Ma ovel’animo dell’uomo si volge a’ beni terreni, e se ne propo-ne a fine il godimento, e per conseguente altresì la con-servazione e l’aumento; egli non è più libero, non è piùconsecrato esclusivamente a quel bene sommo, che puòesser di tutti senza che venga meno a nessuno, e che nonriceve il prezzo dalle cose esteriori e mutabili, ma lo hain sé solo immobilmente. L’uomo allora è vano: non puòpiù formare una società veracemente leale, e di perpetuae indissolubile amicizia con altri uomini. La sua societànon può essere altro mai che condizionata alle circostan-ze; sieno pure quali esser si vogliano le formalità ester-ne, sieno quali esser si vogliano in un tempo o nell’altroi segni convenuti di parziale affezione: l’unione ha tutta-

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via sempre un limite sottinteso, è accompagnata sempredi timori e di cautele, dee andar fornita di molte riserve,che incredibilmente la indeboliscono e le fanno del tuttocangiar natura. «Se, con chi, come, quanto, e fino a tan-to che l’unione non nuoccia all’interesse preso di mira,che è l’oggetto, o almeno la condizione della unione me-desima»: ecco quante formule sottintese. Ove adunquei Vescovi ricchi e possenti non sieno specchi straordina-rj di virtù, ma più tosto di quel genere d’uomini, i qualimirarono forse tutta la vita in una pingue Sede come inloro sospirata beatitudine, che ne avverrà? Che s’aspet-terà da questi apostoli? Qual dubbio che la loro solleci-tudine avrà per confine il loro avere e temporal potere?Beati nella temporale loro sufficienza, non mai gran de-siderio potranno sentire di mantenere una spirituale cor-rispondenza cogli altri Vescovi: ché, assorbiti in mate-riali affari, non avanza lor gran tempo né voglia da tenervivi simiglianti ecclesiastici carteggi, che pure richieggo-no altra disposizione e tempera d’animo, ed altro gene-re di studî; o se per miracolo procacceranno di conser-vare una qualche unione e corrispondenza, certo questariuscirà impacciata da tutte quelle pastoje sopra espres-se del modo, delle persone, del grado e del tempo, dallecautele del non provare alcuno sturbo a’ loro agi, o alcu-na noja alla loro quieta beatitudine, o alcun pericolo diminorazione alla loro secolaresca grandezza, o alcun au-mento di sollecitudini e di fatiche: con che riputerannose stessi, e saranno riputati uomini prudenti.

66.

La storia della Chiesa dimostra ancora che i Vescovi ve-nuti in possesso di signorie, furono inimicati fra loro, eimplicati in fazioni, in guerre, in tutte le orribili discor-die che hanno agitati i popoli de’ secoli interi, discordie

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atroci contro l’umanità, fatali a quella Chiesa che è fon-data nell’amore, come pure orribilmente scandalose nel-le mani di loro, a cui Cristo avea detto: «Vi mando sicco-me agnelli nel mezzo de’ lupi»80. Ed era ben naturale chetali Vescovi, resi uno degli Stati del governo politico, eper avventura il più influente, e a questa loro temporalefortuna oggimai affezionati, avvolti fossero in quelle ris-se e discordie, che fra i potenti del secolo ribollivano; pe-rocché il potere e la ricchezza sono di lor natura infaustefonti di contese, o a chi le vuol difendere per conservarle,o a chi le adopera quali mezzi di offendere, per ingran-dirle. Però l’unione santa, perpetua, universale dell’epi-scopato de’ primi tempi cessò, e a lei successero quelleunioni parziali e momentanee, che producono i tempo-rali interessi, voglio dire le confederazioni, le leghe, le fa-zioni. Qual divario! Potea con tali partiti conservarsi l’u-nità del corpo episcopale? Non doveva necessariamen-te riuscirne un po’ alla volta quell’isolamento universa-le de’ Vescovi, che pur troppo rimane anche cessate ingran parte le cause, e che è una delle piaghe più gravi edatroci che fanno inconsolabilmente lagrimosa la Chiesadi Dio?

67.

Que’ Vescovi, i quali sono immersi in cure e negozj seco-lari, egli è bene evidente che debbono avvolgersi di con-tinuo con magnati e con principi: ed è evidente ancora,che l’esser continuo con tali persone del secolo non puòfarsi a lungo senza prenderne i costumi e i modi, e sen-za modificare al gusto di quelle anche se stessi, la pro-pria famiglia, le proprie abitazioni. Egli è evidente an-cora, che la conversazione secolare è assai opposta all’ec-clesiastica, e che chi si è reso vago del fasto, del clamore edella licenza di quella, schifa oggimai la modestia, l’ordi-

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ne e la severità di questa. Dovea dunque necessariamen-te avvenire, che al prelato, dalla grandezza del secolo oc-cupato, non solo nojasse il ravvolgersi fra la plebe, pursuo gregge, e co’ cherici inferiori, intesi esclusivamentealle umili funzioni della Chiesa e a’ particolari della curad’anime; ma che anche alla conversazione stessa cogli al-tri prelati, appunto perché ecclesiastici, preferisse quellade’ grandi secolari, più gaja, men censoria, e talora benanco alle sue mire più vantaggiosa.

68.

Indi l’abbandono delle proprie diocesi, fatto da tali pa-stori non pure per cagione di recarsi a’ parlamenti ed aiConcilj nazionali; ma per diletto di stanziare abitualmen-te nelle corti de’ regi, donde indarno la voce di tanti Con-cilj tentò richiamarli81. E a che fare nelle corti? Forse agodervi i piaceri; forse a cercar modo d’ingrandire quel-la fortuna terrena che apre nel cuore umano delle bra-me sempre implacabili; forse a pascersi di vanità, riscuo-tendone gli omaggi, e facendovi una figura vantaggiosa;forse a mescolarsi anche nelle doppiezze o nelle barba-rie della politica; forse a farvi guerra finalmente alla stes-sa Chiesa, alla sua dottrina o alla sua disciplina; forse atenervi l’ufficio infame di delatori; forse a soddisfare lepersonali loro animosità contro i loro confratelli nell’e-piscopato; forse a rinfiammarvi una guerra perfida e sa-crilega contro il loro padre e maestro comune, il romanoPontefice; forse a librare dal sorriso del principe la beati-tudine delle loro anime avvilite; forse ad adularlo, a con-dirne i piaceri infami, a condirne le imprese crudeli conuna giovialità scimunita e spensierata; che dico a condir-le di giovialità? anzi a benedir quelle imprese, a santificarque’ piaceri con solenni parole episcopali, colla prostitu-zione del Vangelo e di tutte le forme della pietà82. Oh

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Dio! non recito mere possibilità: di tutte le cose che hodette, gli orribili esempj sono pur nella Storia! Vi stan-no scritti a caratteri sì saldi e indelebili, che tutte le ama-rissime lagrime della Chiesa, e tutto lo strofinamento de’secoli, non ne li potranno mai più scancellare!

69.

Un fine della Providenza in far sì che la potestà ecclesia-stica acquistasse grande influenza ne’ politici reggimen-ti, fu certo quello di costituire de’ mediatori pacifici frai governanti ed i governati, fra i deboli ed i forti; accioc-ché la Chiesa, dopo aver insegnato per sei secoli ai primila sommissione e una mansuetudine senza esempio; in-segnasse altresì ai secondi a mitigare l’uso della potenza,ed umiliasse anche questi sotto la Croce, e per la Crocesotto la giustizia; e così fosser cangiati da arbitri delle co-se umane, in ministri del popolo di Dio per essa giusti-zia e per la beneficenza: e questa incumbenza della ec-clesiastica potestà, questa nobile missione della Chiesadel Cristo, fu da lei esercitata colla bocca di tanti Vesco-vi che parlarono la verità e, come dice la Scrittura, i te-stimonj di Dio in cospetto de’ re, i quali Vescovi anchenella perversione di un gran numero di loro fratelli, nonmancarono mai. Questi contrapponendo i loro petti epi-scopali ai primi feroci loro risentimenti, ne ruppero l’im-peto: calmati poscia i subitanei furori, li resero atti a co-noscere l’esistenza di una potenza morale, ben altra daquella puramente materiale ch’essi possedevano; pacifi-ca potenza, e piena di mansuetudine, ma che non richie-de meno che di essere la direttrice, la giudicatrice dellaforza bruta; e questa inaudita potenza era l’evangelica le-gislazione, dalla qual sola ebbero origine tutte quelle lot-te, soggetto di tante dicerìe e di tante calunnie, e pur co-sì ammirabili, così generose, che sostennero co’ monar-

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chi in favore de’ popoli, cioè de’ fedeli, i Pontefici delmedio evo, e che portarono al mondo per risultamentouna tutta nuova sovranità, una tutta nuova monarchia, lamonarchia cristiana. Così l’Eterno disponeva che il go-verno feroce dei signori della terra si modellasse a quellopacifico dei Vescovi della Chiesa, e che cessassero d’es-sere nel mondo cristiano degli schiavi, appunto perchéla Chiesa di Cristo non ha che dei figliuoli; che cessassed’avervi un potere arbitrario, appunto perché la Chiesanon ha che una potestà santa e ragionevole; che cessas-se finalmente d’esservi pochi uomini a cui i molti fosse-ro de’ puri mezzi, appunto perché la potestà della Chie-sa non è che un ministerio e un servigio che i pochi pre-stano ai molti, sacrificando se stessi al bene degli uomi-ni fatti lor prossimi. Iddio ottenne tutto ciò per Cristo:l’ottenne ne’ fatti, e dove i fatti mancarono, l’ottenne nelgiudizio pubblico grave sui prevaricatori non abbastan-za difesi in contro a questo dalla loro potenza. Concios-siaché le massime evangeliche entrate in tutte le menti,divennero gli elementi di un nuovo senso comune che fagiustizia de’ monarchi, e la fa con quella severità che nonsi vide mai altrove che ne’ popoli cristiani. Ma questa no-bile missione del Clero cattolico è consumata: il periododella conversione della società finì nel secolo XVI. Oggi-dì tutto mostra che si prepari una nuova Epoca alla Chie-sa, che ha lavorato gli ultimi secoli a racconciare i più mi-nuti suoi danni. Perocché un Clero reso servo e adulatorvile de’ principi, non è più un mediatore fra questi ed ilpopolo che lo rigetta; e nascono allora de’ tempi simili ainostri, in cui tutto è irreligione ed empietà. Il potere ec-clesiastico è allora slogato; egli non istà più in mezzo alpotere legale de’ Re, e al potere morale de’ popoli; ma as-sorbito dal primo, non è più che il primo medesimo, cheda quell’ora rimane egli stesso mostruosamente snatura-to, mostrante due facce, crudele l’una, e l’altra fraudo-lenta, e due forme, militare l’una, e l’altra clericale; e in

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quel tempo il mondo rigurgita quindi di bande militari,quindi di un numero eccedente d’inutili Sacerdoti: allo-ra i re sono in cospetto ai popoli: vi sono o per ricevernela sentenza capitale, o (che è più funesto a dire) per dar-la: non è più chi li concilii, chi congiunga le destre degliuni e degli altri, chi ne benedica i patti, e ne riceva i giu-ramenti, senza fede, come senza sanzione: ciascuno de’due paventa e minaccia: prepara una battaglia campale,e in una battaglia tutto avventura. Qual maraviglia pe-rò se in Russia, in Germania, in Inghilterra, in Isvezia, inDanimarca e in altre nazioni, tostoché i principi già cat-tolici, dominati dal capriccio accidentale di qualche pas-sione, vollero dichiararsi capi della religione, e dividere iloro stati dalla Chiesa; non trovassero quasi nessuna resi-stenza nell’episcopato, trovassero anzi ne’ Vescovi i mi-nistri più zelanti dello scempio crudele che intendevanofare del corpo della santa Chiesa? Quegli scismi eranofatti prima che si facessero: non furono aggiunte che leformalità esterne, non fu cangiato che un nome: il po-tere ecclesiastico, che solo poteva impedirli, non esiste-va più, fuso nel potere sovrano: i Vescovi avevano rinun-ziato ad esser Vescovi, per esser grandi di corte; e nonsolo s’erano divisi fra loro, divenuti emuli gelosi e risso-si; ma altresì dal loro Capo il romano Pontefice, e dallaChiesa universale, a tutto preferendo la loro unione in-dividuale col Sovrano; così avevano rinunziato ogni esi-stenza propria; e col fatto, anteposto di essere anzi schia-vi di uomini mollemente vestiti che Apostoli liberi di unCristo ignudo. Ahimè, quale vista danno di sé oggidì lenazioni cattoliche! Quale sarebbe la unione e la genero-sità dell’episcopato, se entrasse nell’animo ad un sovranodi dividersi dall’unità della Chiesa!

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70.

E si osservi, che quand’anco la prostituzione de’ pastoriprimarj non venisse a tanta estremità (sebben niente puòarrestarsi nel mezzo, e ogni male siccome ogni bene nellasocietà coll’opera del tempo dee svilupparsi e toccare gliestremi suoi); tuttavia l’aderenza ossequiosa de’ Vescovia’ principi e il continuo avvolgersi di quelli materialmen-te nei negozj di questi diminuisce mai sempre l’unionedel corpo episcopale. Perocché il Vescovo fatto ministroal principe, o certo reso persona influente ne’ politici af-fari, dee tenersi in circospezione con quelli che usan conlui, e anco co’ medesimi confratelli suoi nell’episcopato;egli diventa da quell’ora uomo cauto, taciturno, riserba-to, di difficile abbordo. In tali circostanze tutti i parti-ti politici che si formano in una nazione, anzi tutti i si-stemi che si seguono nelle amministrazioni, separano esquarciano in altrettanti pezzi il corpo episcopale; pez-zi che talora aderiscono fra sé quanto alle forme esterne,per qualche tempo di pubblica tranquillità, perocché leforme ecclesiastiche ritenute dall’antichità non pubblica-no che fratellanza ed amore; ma che però non sono menodisgiunti e rotti nel secreto; e più sciaguratamente rotti,perché coperti superficialmente col manto della pastora-le mitezza. Che poi diremo della unione de’ Vescovi dipiù nazioni? Avendo cessato, in quanto allo spirito dacui sono animati e col quale operano, di esser Vescovidella Chiesa cattolica, essi non sembrano più che ponte-fici nazionali: e come il grado episcopale si è cangiato inuna magistratura, in un impiego come tutti gli altri im-pieghi politici; così fanno anch’essi co’ Vescovi stranieri,e colla stessa Chiesa di Dio le loro guerre e le loro paci,le loro tregue e le loro ostilità. Già nel secolo XV videsiil più assurdo scandalo che siasi mai veduto nella Chie-sa, congregarsi un concilio diviso per nazioni, nel qua-le, rinnegata col fatto la potestà che i Vescovi hanno ri-

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cevuto da Cristo di essere giudici della fede e maestri inIsraello, si tolsero a decidere le controversie dogmatichedel cristianesimo, non già a voti di prelati, ma a voti dinazioni; e nelle assemblee di ciascuna nazione ammetter-si a votare co’ Vescovi e Sacerdoti e laici alla rinfusa; pre-ludio infelice di quelle tante diete e congressi di princi-pi secolari che nel XVI secolo susseguirono in Germa-nia, in occasione della riforma, ai Concili deplorabili delsecolo precedente; e di quelle decisioni, onde tante ma-gistrature cittadinesche giudicando in materia di religio-ne rinunziarono alla fede de’ loro padri. I Vescovi avea-no perduto il loro voto; la potestà laicale se l’avea divora-to. E dopo ciò, qual meraviglia de’ preti costituzionali diFrancia, e del mostruoso sistema della Chiesa nazionale?

71.

Sì; convien finire con una Chiesa nazionale, allorché l’e-piscopato non si considera quasi più come il corpo de’pastori, ma come il primo degli Stati; allorché egli è di-venuto una magistratura politica, o un consiglio di Sta-to, o un’accolta di cortigiani: e questa nazionalità dellaChiesa, che esiste in fatto assai prima che in formalità,è direttamente l’opposto, è la distruzione intera di ognicattolicità. In che modo il Capo della Chiesa cattolica,geloso di lei, sposa del solo Cristo, si affratellerà di buonanimo con simili Vescovi nazionali o regj? Non si tro-va in questa sola dimanda una abbondantissima ragionede’ limiti messi dal Romano Pontefice al potere de’ Ve-scovi, e delle riserve pontificie che divennero pure lun-go argomento di tante querele e di tante calunnie?83 Oci avrebbe avuto altro mezzo di salvare la Chiesa nelladissoluzione di tutte le sue parti, nella divisione di tutti isuoi Vescovi, fuor di quest’uno, di rendere cioè più for-te e più attivo il centro della medesima? Non era urgen-

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te in tali circostanze che il Capo de’ Vescovi stringesse atempo quelle redini ch’essi lasciaronsi così miseramentecader di mano, acciocché non precipitasse il carro cele-ste nella voragine? In fatti, se rimane alcun che di liber-tà nella Chiesa (e senza libertà la Chiesa non esiste me-glio che l’uomo senz’aria di cui respiri), questo poco cherimane non è presso a’ Vescovi soggetti a principi catto-lici, ma sì è tutto concentrato nella Sedia Romana, sal-va forse la libertà che gode la Chiesa presso gli Stati uni-ti d’America, o in altre regioni acattoliche; quivi solo ilcattolicesimo respira ancora liberamente in qualche mo-do. Dico in qualche modo; perché tutto si è fatto, tuttosi fa per trarre nell’ignominia de’ ferri universali anche ilPontefice Romano; e s’egli è libero, non è libero che digiorno in giorno, e sempre stanco da’ combattimenti; èlibero, ma come un Sansone nel mezzo de’ Filistei, a pat-to che spezzi incessantemente e prodigiosamente le sem-pre nuove ritorte che gli si avvolgono intorno. E pureegli è libero; sì, egli è libero ancora a malgrado di tuttele transazioni che è costretto dolorosamente di fare conque’ «re della terra che si stanno intorno a lui, con que’principi che sono convenuti insieme contro il Signore, econtro il suo Cristo»84, ma appunto perché egli è libero,appunto perché è indomabile, essendo superiore la vir-tù che il sorregge, alla potenza degli uomini appunto perquesto si è che «fremono le genti, e che i popoli medita-no cose vane»; appunto per questo si leva la terra tutta,e fa impeto in lui solo tutto l’inferno, e non ha altra roc-ca inespugnata, in cui volgere le sue macchine: appuntoper questo si è che le dissensioni tante degli uomini subi-tamente si attutano, ove si tratti di unirsi insieme ai dan-ni del capo visibile della Chiesa. E appunto per questo siè ancora, che non pure gli empj, non pure gli eretici, nonpure i regnatori, ma i Vescovi, ma i Cleri aulici e nazio-nali nel loro secreto non hanno altro oggetto più odioso,più abbominevole che il loro Padre comune, il Vescovo

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Romano; perché egli è l’unico ostacolo che incontranoancora in sulla via della dispersione, per la quale si sonomessi per ignoranza, per infermità, per pregiudizio, percorruzione, per indiavolata malizia; via, dico, che condu-ce all’apostasia, alla vendita di Cristo, alla disperazionedi Giuda85; ed essi nulla pur ne comprendono! In tan-te sciagure della Sposa del Redentore, i fedeli discepo-li del tradito Maestro non avrebbero conforto alcuno, seprima di essere crocefisso non avesse loro lasciata questaparola: «Tu sei pietra, e sopra questa pietra io edifiche-rò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarrannocontro di lei».

72.

Un altro deplorabile effetto di questa falsa posizione de’Vescovi, che più e più li divise fra loro, si fu la gelosiade’ Sovrani verso di essi. Divenuti i prelati altrettanti si-gnori temporali, subirono le gelosie e le vicende stessedella nobiltà; e quando questa fu temuta, o guerreggiatadal supremo potere, furon temuti o guerreggiati ancorai Vescovi, e questi anche più de’ nobili. Quindi venne-ro altresì sopravvegliati, circoscritti sempre più nelle lorooperazioni, vincolati in tutti i loro passi, chiusi e assedia-ti come prigioni non solo dentro lo Stato, ma nelle stes-se loro Diocesi. Così già furono divisi fra loro per mas-sima di Stato, impediti dall’andare a’ Concilj o dal con-gregarne essi stessi, sottomessi a infinite umiliazioni; benpresto il loro potere politico cadde con quello de’ nobili;ma più deboli de’ nobili, furono più agevolmente di es-si spogliati delle loro signorie, invidiate loro d’altra parteda’ nobili stessi; e per colmo di loro avvilimento, stipen-diati: dal centro dell’unità cristiana, non se ne parla, te-nuti lontani un milione di miglia; veduta di buon occhioogni dissensione fra i Vescovi e il capo loro; seminata la

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zizzania; lodata, spalleggiata sotto mano, premiata la ri-bellione. Allora pertanto il Papa, questo Padre de’ Padri,questo giudice supremo della fede, questo maestro uni-versale de’ Cristiani, non poté più egli stesso comunica-re liberamente co’ suoi confratelli e co’ suoi figliuoli, conquelli che sono da Cristo incaricati di governar la Chie-sa con lui e sotto di lui; non poté correggerli, chiamarlial suo tribunale, né i suoi figliuoli poterono a lui ricorre-re patendo ingiustizia86; le sue decisioni in materia di fe-de, le sue sentenze in materia di costumi, dovettero pri-ma di pubblicarsi esser sottoposte ad un tribunale laico,che pretese d’innalzarsi sopra ogni tribunale ecclesiasti-co, anzi che dico a un tribunale? sì bene al calcolo dellapolitica di un principe non turco, né ebreo, ma battezza-to, cioè di un figlio e suddito della Chiesa87, da cui egli hapur ricevuto l’ammaestramento cristiano, e che ha giura-to nel battesimo di mantenerlo; di un figlio e di un suddi-to, che può essere avvertito, ripreso, punito come qual-sivoglia fedele fra il popolo; conciossiaché la Chiesa nonha accettazion di persone, e gli uomini sono veramen-te eguali in faccia alla legge di Gesù Cristo. Finalmente,ne’ progressi del secolo si giunse a organizzare un nuovoramo di Polizia esclusivamente per gli ecclesiastici; e fuuna polizia la più minuziosa, la più inquieta, la più petu-lante, sotto le punture innumerabili della quale il Clerocattolico rimane martirizzato col supplizio di que’ primicristiani, che coperti di miele, ed esposti ai raggi del sole,morivano lentamente di beccature di mosche, di vespe edi tafani. Un sistema di questa fatta non fu però condot-to alla perfezione tutto d’un tratto. La vasta sua costru-zione fu l’opera lunga, faticosa e dotta de’ legali, di que-sti sottilissimi adulatori di tutti i governi: ma il pensie-ro primo e generale di quest’opera della umana prepo-tenza è suggerito naturalmente alla politica de’ regnatorie de’ governi dalla posizione falsa di un Clero decaduto:egli è uno di que’ pensieri che operano e dominano nel-

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l’anime, e nella condotta de’ governanti lungamente pri-ma che nessuno di essi se n’abbia formato una massimaesplicita, o se n’abbia saputo render conto, e l’abbia ri-dotto a teoria. Viene più tardi qualche profondo politi-co, che si appropria quel pensiero; e da quell’ora egli sicostituisce in sistema, e prende il nome dal ministro cheprima l’ha veduto più chiaramente, e l’ha seguito più co-stantemente: indi in poi quel sistema si lavora con infati-cabile industria, e si conduce con metodo rigoroso a tut-ti i gradi del suo ultimo sviluppamento. Chi credereb-be che un sistema politico sì rovinoso alla libertà, all’e-sistenza della Chiesa, noi lo dovessimo ad un Prelato?Ad un Prelato atteggiato di tutte le apparenze della pie-tà, ma però ministro di Principe? Ma non sapeva né pu-re Richelieu, quando ribassava la nobiltà per render me-no impacciato il potere supremo nelle sue mani, ch’eglicomponeva allora questa monarchia de’ moderni troni,la quale è fatta intollerabile ai popoli che Le si ribellanocontro, perché forti; ed è fatta intollerabile ai Cleri che visuccombono sotto perché deboli: né hanno per iscampoaltro che il gemito secreto che prega dal cielo un nuovoMosè, che liberi il popolo di Dio dall’Egitto. Ah lo in-vii senza indugio alla sua Chiesa oppressata quel Signoreche abita nella fiamma di un roveto inconsumabile!

73.

Se si considera poi come le ricchezze del Clero non usa-te in opere di carità doveano renderlo oggetto d’invidiaalla plebe, di odi ai nobili che vedono in quelle ricchez-ze altrettanti beni patrimoniali sottratti alle loro famiglie,e di avida cupidigia ai Sovrani; non sarà difficile ricono-scere in esse un fonte amplissimo di disunione nel popo-lo di Dio. Conviene riflettere oltracciò, che la ricchez-za posseduta dal Clero non ha in questo corpo, per se

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stesso alieno dalle armi, una forza corrispondente che laprotegga; e che qualunque ricchezza grande priva di di-fesa, finisce presto o tardi coll’essere il pasto di chi è for-te, le cui brame sono non poco irritate dall’aspetto di te-sori di facile acquisto. Egli è evidente che tutti gli spo-gli della Chiesa tante volte ripetuti nelle varie età, ebberoquesta sommaria cagione, o per dir meglio questa occa-sione, della debolezza de’ possessori. Ciò ne spiega per-ché non così di frequente furono spogliati i nobili comei cherici: quelli furono trovati bene spesso forti: ove pe-rò divennero deboli in paragone di altra forza estraneaad essi, questa non mancò mai di piombar su di loro; co-me ultimamente si vide nella francese rivoluzione, avve-nimento men nuovo di quel che il vulgo suol darsi a cre-dere. Ma ciò che è sommamente deplorabile negli spo-gliamenti del Clero si è questo, che per l’ignoranza degliuomini entra nelle menti una torta opinione, che le ric-chezze della Chiesa formino una cosa sola colla Chiesa ecolla cristiana Religione. Il Clero stesso ebbe pur trop-po fomentato questo pregiudizio. Perciocché non aven-do egli altro modo di difendere i suoi beni temporali da-gli aggressori che il privar questi de’ beni spirituali; aglispogliatori della Chiesa egli rese il delitto del sacrilego la-droneccio indivisibile dalla rinunzia alla religione. Cer-to la pena era giusta fu anche efficace nei tempi di mag-gior fede. Ma poi quei principi che furono deliberati adogni costo di spogliare il Clero, si deliberarono insiemea dividersi per intiero dalla santa Chiesa. Se il Clero èavveduto, egli dee procedere in modo più cauto ne’ no-stri tempi. Colle scomuniche annesse al rapimento dellesostanze ecclesiastiche si rendeva quel delitto maggiore,perocché è maggior delitto il rapire e incontrare insiemead occhi aperti la recisione di sé dalla Chiesa, di quelloche sia il solo rapire. E un delitto maggiore, una mag-giore empietà, è più difficile che si trovi chi la commet-te in popoli religiosi, dove ancor vive la fede, dove non

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è che un grado limitato di malizia: di che, per certi tem-pi e in certi luoghi, le scomuniche, come dicevamo, po-terono difendere le ricchezze della Chiesa. Ma nei tempidi incredulità, come pure ovunque la passione e il gradodella perversità è trapassato e sa bravare qualunque de-litto; la scomunica non raffrena gli scellerati, ma gl’incitae li provoca a passare via oltre i termini nella loro stessascelleraggine. Forse che in certe nazioni si avrebbe salva-to il Cattolicesimo dal suo naufragio, sgravandolo a tem-po delle ricchezze mal usate, che il facevano pericolare;a quel modo che si alleggerisce una nave in furiosa tem-pesta, col gitto in mare delle cose anche più preziose epiù care, acciocché si salvi il legno colle vite de’ navigan-ti. Forse che abbandonando in tempo opportuno ad unGustavo Vasa, ad un Federico I, e ad un Arrigo VIII leimmense ricchezze che la Chiesa possedeva in Isvezia, inDanimarca e in Inghilterra o parte di esse; il Clero pove-ro di quelle nazioni le avrebbe salvate salvando se stesso,ed avrebbe risuscitata la fede con que’ mezzi appunto co’quali gli Apostoli l’aveano piantata! Ma in che parte tro-veremo un Clero immensamente ricco, che abbia il co-raggio di farsi povero? o che pur solo abbia il lume del-l’intelletto non appannato a vedere che è scoccata l’orain cui l’impoverire la Chiesa è un salvarla? Ah ma forseche l’esperienza lunga e funesta... forse che il grido gene-roso di libertà mandato poco fa da un uomo, che, qual-siasi l’opinione che sott’altri rispetti s’abbia di lui, pureè dominato da un gran pensiero, che il solleva sopra tut-te le particolarità, e un sentimento cattolico che ha qual-che cosa di straordinario, si trasfonde in tutte le sue pa-role, non ha percosso l’aria in vano, non ha in vano irri-tati gli orecchi di quelle scolte che sono poste da Dio al-la custodia d’Israello!88 – Forse quell’inquietudine stes-sa de’ popoli che nel manifestarsi prende delle forme altutto materiali, perché un sentimento che ha bisogno diespandersi, si veste di quelle forme che prima incontra,

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sebbene a lui inadeguate, e, può esser anco, in contrad-dizione con esso, quell’inquietudine dico, que’ lamenticontinui degli aggravj materiali, forse che ha una sorgen-te segreta, che i popoli stessi non hanno ancora rivelata ase medesimi; e si nasconde per avventura un bisogno re-ligioso dove pare che più trionfi l’irreligione; il bisognodi una religione libera di comunicarsi al cuore de’ popolisenza l’intermezzo de’ principi e de’ governi; e il grido ir-religioso mentisce a se stesso, e nell’odio di un ministerodella religione asservato, confonde e ravvolge per erro-re la religione medesima; e nell’ordine della divina Pro-videnza si prepara un rimescolamento delle nazioni cheha ben altro fine che di diminuire i tributi (cui i popolirivoluzionanti sopportano pazientemente maggiori), ma,chi lo crederebbe? di liberare la Chiesa di quel Cristo, incui mano sono tutte le cose.

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CAPITOLO IV

Della piaga del piede destro della santa Chiesa, che è la nominade’ Vescovi abbandonata al potere laicale

74.

Ogni società libera ha essenzialmente il diritto di elegger-si i propri ufficiali. Questo diritto le è tanto essenziale einalienabile, quanto quello di esistere. Una società cheha ceduto in altrui mani l’elezione de’ propri ministri, hacon questo alienato se stessa: l’esistenza non è più sua:quegli da cui l’elezione de’ suoi ministri dipende, può asuo grado farla esistere, e farla cessare da un momentoall’altro; e anche quando esiste, non esiste per sé, ma perlui, e per sua benigna concessione, ciò che forma un’esi-stenza apparente e precaria, non un’esistenza vera e du-revole.

75.

Ora se v’ha in sulla terra società che abbia il diritto diesistere, che è quanto dire, che abbia il diritto di esserelibera, per tutti i cattolici è certamente la Chiesa di GesùCristo: perciocché questo diritto essa l’ha ricevuto dallaparola immortale del divino suo fondatore; e questa pa-rola, che sopravvive al cielo e alla terra, glielo ha garanti-to dicendo: «Io sono con voi fino alla consumazione deisecoli»89. La Chiesa di Gesù Cristo non può adunque ce-dere in altrui mano il proprio governo, non può vende-re né alienare in alcun modo a chicchessia la elezione de’propri governatori, perché non può distruggere se mede-

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sima; e qualunque cessione assoluta in questo propositosarebbe irrita per sé, sarebbe un contratto viziato nell’o-rigine, un patto nullo, a quel modo che è nullo qualsiasivincolo d’iniquità.

76.

Cristo elesse a principio gli Apostoli; questi elessero iloro successori90; e a’ successori degli Apostoli ha sem-pre appartenuto91, e immutabilmente appartiene l’eleg-gere degli altri a cui consegnare il deposito che dee tra-mandarsi illeso sopra la terra sino alla fine, e di cui ad es-si soli sarà dimandato conto dal Padrone che s’è degnatodi porlo nelle loro mani.

77.

Vero è che non essendo il governo istituito da Gesù Cri-sto nella sua Chiesa una dominazione terrena, ma un ser-vigio in favore degli uomini, un ministero di salute perle anime92; egli non è retto dall’arbitrio di una dura au-torità, non si picca di un crudo diritto; ma egli si pie-ga, e, fondato nell’umiltà e nella ragione, riceve la leg-ge, per così dire, da quei soggetti medesimi in vantaggiode’ quali è stato istituito, e la sua mirabile costituzioneè appunto quella di potere ogni cosa pel bene e nientepel male: tale è la sola sua superiorità, il solo diritto cheegli vanta, il diritto di giovare. Indi quel dolce princi-pio dell’ecclesiastico reggimento, che in tutto manifesta-vasi ne’ primi secoli della Chiesa, e particolarmente nellaelezione de’ primari pastori, ed era questo «IL CLEROGIUDICE, IL POPOLO CONSIGLIERE». Certamen-te ove si fosse trattato di un rigido e stretto diritto, nes-suna parte poteva avere la plebe cristiana nella elezione

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de’ Vescovi; ma perché era la sapienza e la carità quel-la che presiedeva all’esercizio del diritto che i governa-tori della Chiesa avean ricevuto da Cristo, e lo tempera-va, ammollendone ogni durezza; perciò nulla decideva-no arbitrariamente que’ savj prelati, nulla in secreto, nul-la di proprio capo; volevano, ammaestrati a ciò da Cri-sto stesso, il testimonio altrui ed il consiglio, e giudica-vano che il consiglio migliore, il consiglio meno sogget-to ad ingannarsi fosse appunto quello dell’intero corpode’ fedeli. Così la Chiesa de’ credenti operava siccomeun solo uomo; e sebbene in quest’uomo il capo si distin-guesse dalle membra, tuttavia non rifiutava i servigi dellemembra, e non si recideva da se stesso per voglia di es-sere solo, e da quelle indipendente. Indi è che i desiderjde’ popoli designavano e i Vescovi e i Sacerdoti93; ed eratroppo ragionevole che quelli che dovevano abbandona-re le proprie anime (e quando dico le anime, dico tuttociò che posso dire, parlando di popoli, ne’ quali è vivala fede) alle mani d’un altro uomo, sapessero che uomoegli fosse, ed avessero confidenza in esso, nella sua santi-tà e nella sua prudenza94. Ma ove il Vescovo ed il Sacer-dote già non ritenga di pastore che il nome, non sia piùil confidente, l’amico, il padre de’ fedeli, che a lui conpiena fiducia abbandonano non pur ciò che aver posso-no di più caro, ma se medesimi; ove il Clero si restringaalle formalità o alle materiali e determinate cerimonie diculto, reso, quasi volea dire, simile agli antichi Sacerdotidel paganesimo95; quando le cose di quella religione, cheinsegna ad adorare Iddio in ispirito e verità, sono venu-te a questo termine; non è difficile allora che il popolosi sottometta a ricevere con indifferenza qualsivoglia pa-store gli si imponga, ancor che egli non lo conosca, ovve-ro conoscendolo non ne abbia stima né confidenza, an-zi abbia verso di lui gli affetti contrari. E si pronunzie-ranno invettive contro l’indifferenza pubblica in materiadi religione? quando si esige pur dal popolo, e lo si edu-

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ca in modo, ch’egli sia disposto a ricevere a suo Vescovoqualsiasi incognito e straniero personaggio col quale néha comunanza alcuna di affetti, né vincoli di ricevuti be-nefizi, e le cui sante opere né mai vide, né udì tampocoper fama, ovvero ne vide o ne udì di ben poco edifican-ti? Dio voglia che non ne abbia se non di sante! Ma l’e-sigere, e rendere il popolo indifferente ai proprj pastori,non è il medesimo che renderlo indifferente a qualunquedottrina gli s’insegni, indifferente ad essere condotto peruna o per un’altra via? Non è un esigere che non s’abbiapiù dagli uomini bisogno d’aver confidenza ne’ ministridella religione, cioè che s’abbia rinunziato ai bisogni edai rimorsi dell’anima, che in somma si possa far senza re-ligione, o contentarsi al più della esteriorità e materialitàdi essa? E che è questo se non l’aver fatto al popolo unobbligo di una irragionevole obbedienza, che è un sino-nimo perfettissimo di indifferenza religiosa?96 Vero è chequando si è riuscito ad ottener questo dal popolo cristia-no, allora si è riuscito a pervertirlo, a distruggere nell’ani-ma sua il cristianesimo, lasciandolo solo nelle abitudini:e di un popolo tanto infelice, che mediante una secre-ta, lenta e costante corruzione ha perduto senza accor-gersi il principio religioso, di un tal popolo, dico, assopi-to sui suoi religiosi interessi, e già nel fatto indipenden-te da’ suoi Vescovi97, indifferente perciò a qualsiasi che-rico presieda al coro, ed eseguisca le sacre cerimonie chenon intende; si può dire giustamente quello che dicevaun Padre del terzo secolo della Chiesa, cioè, che «secon-do il merito del popolo, Iddio provvede altresì i pastoridelle Chiese»98.

78.

Ma chi vuol trovare l’origine di tale e tanta sciagura,conviene risalga a quell’epoca così gloriosa da una parte,

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così fatale dall’altra, onde cominciò alla Chiesa il periodoche chiamai della conversione della società, quell’epocache spiega tutta la storia ecclesiastica dopo i sei primisecoli, perché racchiude il seme di tutte le sue prosperitàe di tutte le sue sciagure: quell’epoca in una parola, incui il clero pesò immensamente nella bilancia del poteretemporale, e perché fu potente, fu parimente ricco99.

Egli è evidente che tostoché il Clero fu possente ericco secondo il secolo, la politica de’ regnanti si videinteressata di assoggettarlo a sé, e perciò di aver partenella elezione de’ prelati. Quindi le prime sedi, nellequali la potestà laicale tirasse a sé le elezioni, furonquelle di Antiochia e di Costantinopoli, dove risiedevanogl’imperatori, e dove i Patriarchi avevano un più estesopotere100.

79.

Il combattimento col potere secolare che voleva tirarea sé le elezioni de’ Vescovi durò per molti secoli: laChiesa si difendeva co’ canoni; ma questi sono rispettatiin ragione della religione de’ principi, e della opinionereligiosa de’ popoli, perciò la ragione in che venne menola libertà nelle elezioni del Clero, può essere una misuracerta del decremento della fede, della moralità e dellapietà ne’ governi e nelle nazioni. Eccone una brevestoria.

Già nel secolo VI cominciò a pesare immensamentenella bilancia degli elettori più che i meriti del candida-to, il favore del sovrano: e allora i Concilj co’ loro ca-noni accorsero sollecitamente al pericolo, difendendo lalibertà di quelle elezioni.

Il Papa Simmaco in un Concilio tenuto a Roma l’anno500, dove intervennero dugento e diciotto Vescovi, pub-blicò un decreto in conferma delle elezioni canoniche de’

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Vescovi contro la potestà laica, che continuamente vi vo-lea porre le mani, il qual decreto comincia con queste pa-role: «Non ci piacque che abbiano verun potere a stabili-re checchessia nella Chiesa alcuni di quelli, a’ quali spet-ta il dovere di venir dietro, e non l’autorità di comanda-re»; e dopo questo esordio, fissa il modo antico di eleg-gere i Vescovi co’ voti del Clero e del popolo101.

Il concilio di Clermont dell’anno 535102 ingiunge che ilVescovo sia ordinato per l’elezione de’ Cherici e de’ cit-tadini, e col consenso del Metropolitano, senza che ci ab-bia luogo la protezione de’ grandi, senza uso d’artificio, esenza costringere veruno per timori o per doni a scrivereun decreto di elezione: altrimenti sia il concorrente pri-vato della comunion della chiesa che vuol governare103.

Questa stessa premura di tener libere le elezioni del-l’influenza della potenza temporale, si vede nel II conci-lio di Orléans dell’anno 533104, e nel III dell’anno 538105,come pure nell’Arvernese dell’anno 535, e in altri: il chemostra il bisogno che avea la Chiesa in questi tempi didifendersi in qualche modo dalla potenza temporale, chepur troppo sdrusciva continuamente in essa, e si facevasignora de’ suoi diritti.

A questa poco dopo è riuscito in Francia di far sancireper legge ecclesiastica la necessità dell’assenso regio, chegià di fatto s’era reso necessario nelle elezioni de’ Vesco-vi: ciò che si fece col celebre canone del concilio V d’Or-léans (549), nel quale però sono salvi i diritti del popo-lo e del Clero106. Né l’assenso regio è punto irragionevo-le a chiedersi, anzi egli è certamente conforme allo spi-rito della Chiesa, spirito di unione e di pace, che vuole iministri del Santuario a tutti accetti, e quindi molto piùa’ capi de popoli; ma egli involge pur quell’assenso unsommo pericolo, cioè non forse si tramuti in comando107,non diventi grazia sovrana; perocché in tal caso la Chiesalibera per grazia, è serva per giustizia108; e la grazia di suanatura è arbitraria; sicché l’avere o non avere la Chiesa i

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pastori più degni, sarebbe abbandonato al volere e al ca-priccio medesimo di persona laica perché possente, e diquelli e di quelle che più acquistino su di essa influenza.

E così si vide avvenire; e non solo fu grazia l’assenso,ma fu una grazia anche il comando; e finalmente fu unagrazia venduta, e si volle vendere ben caro; e i beni dellaChiesa109, l’avvilimento, l’anima fu la moneta destinata acomperarla110.

Questo pericolo diede cagione al Concilio III di Parigitenuto quattro anni dopo l’Orleanese, cioè nel 553, dirimettere in istato con un canone l’antica libertà delleelezioni, senza far più menzione di regio consenso.

«Nessun Vescovo, dice il canone 8° di questo sinodo,sia ordinato contro la volontà de’ cittadini, ma solo que-gli che l’elezione del popolo e de’ cherici ha con pienis-sima volontà dimandato. Nessuno venga intruso per co-mando del principe, o per qual si voglia condizione, con-tro la volontà del Metropolitano, e de’ Vescovi compro-vinciali. Che se taluno presunse con eccesso di temeri-tà d’invadere per ordine del re l’altezza di questo onore,sia riputato indegno d’essere ricevuto da’ Comprovincia-li di quel luogo, i quali lo riguardino per indebitamenteordinato».

In sulla fine di questo medesimo secolo VI, il gran-de Pontefice S. Gregorio sentiva tutta l’importanza del-la libertà della Chiesa, e d’altra parte ben intendeva chei Vescovi che hanno ricevuto il loro innalzamento dallapotenza secolare, sono servi di essa. In occasione dellamorte di Natale Vescovo di Salona, metropoli della Dal-mazia, scrivea il Papa in questo modo al soddiacono An-tonino rettore del patrimonio di quella provincia l’anno593: «Avvertite immediatamente il Clero e il popolo del-la città, di eleggere concordi un Vescovo, e mandateci ildecreto della elezione, affinché il Vescovo sia ordinatocol nostro assenso, come negli antichi tempi. Sopra tuttoabbiate cura, che in tale opera non entrino né regali, né

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protezione di persone potenti; poiché quegli che è ordi-nato per tal via, è costretto ad ubbidire a’ suoi protettori,a spese de’ beni della Chiesa e della disciplina»111.

Nel 615 il Concilio V di Parigi proclamò pure lalibertà delle elezioni; se non che Clotario II modificòil Concilio con un editto col quale protestava di volerbensì osservati gli statuti de’ canoni circa le elezioni de’Vescovi, ma fatta però eccezione a que’ Vescovi chesarebbe piaciuto a lui che fossero ordinati, o che avrebbemandati egli dal suo palazzo scelti fra i degni sacerdoti dicorte: editto che anche sotto Dagoberto suo successoresi fece valere112.

Il concilio Cabilonese però sotto Clodoveo II nell’an-no 650 dichiarò di nuovo irrite e nulle senza eccezione al-cuna tutte quelle elezioni, che non procedessero secondole forme stabilite da’ padri113.

E in questo tempo si vede in Francia una continua lot-ta, sebbene secreta e fatta con menature e riguardi, frai re e il Clero; quegli per usurpare le elezioni vescovi-li, questo per tenerle libere114; lotta che s’ebbe varia vi-cenda, ma rimanendo sempre la Chiesa se non del tuttooppressa, almeno premuta e intollerabilmente aggravatadal peso della forza.

I Papi non dormirono certamente sopra il pericoloogni dì crescente, che la potestà de’ principi non inva-desse le elezioni episcopali, invase le quali, la Chiesa in-tera pende nelle loro mani; e vedesi sul principio del-l’VIII secolo Gregorio II scrivere fino in Oriente a quel-l’imperatore per ammonirlo e distorlo dal metter le maniin questo sacrosanto diritto che ha la Chiesa di dare a sestessa i proprj prelati115. Ma che? La prepotenza si rin-novava continuamente, e la Chiesa non poteva opporreche sempre nuove leggi, nuovi canoni, e nulla più.

Il Settimo Concilio ecumenico in fatti, che fu tenuto aNicea in questo stesso secolo l’anno 787, non mancò an-ch’egli di fare scudo alla Chiesa di un suo canone con-

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tro alla prepotenza di questo mondo, che suol persuade-re lecito a se stesso tutto che può: «Ogni elezione, dice ilsanto Concilio116, di Vescovi, o Preti, o Diaconi, fatta da’principi, rimangasi irrita secondo la regola che dice: Sealcuno usando delle potestà secolari ottiene per esse unaChiesa, sia deposto, e sieno segregati tutti quelli che conesso comunicano. Conciossiaché è necessario che quegliche hassi a promuovere all’Episcopato, sia eletto da’ Ve-scovi, come fu definito da’ santi Padri che convenneroappresso Nicea».

Il sinodo tenuto l’anno 844 vicino alla villa di Teodo-ne117, mandò un solenne monitorio ai regj fratelli Lota-rio, Lodovico e Carlo, perché le Chiese non rimanesseropiù oltre vedovate di pastore, siccome accadeva dal di-pendere le elezioni di quei Vescovi da’ principi, i quali indiscordia fra loro, non avevano il tempo e l’animo agl’in-teressi della Chiesa, e così la Chiesa da tale servitù parte-cipava di tutte le vicende del potere laicale: «Come lega-ti di Dio, dicono con molta dignità e libertà que’ Padri,noi vi ammoniamo, che le sedi, le quali rimangonsi vedo-ve di pastore per le vostre discordie, debbano senza di-lazione, e rimossa al tutto qualsiasi peste di eretica simo-nia, ricevere i loro Vescovi, i quali vogliono essere datida Dio conforme l’autorità de’ canoni, e da voi regolar-mente designati, e dalla grazia dello Spirito consecrati».

Intorno a questo tempo stesso il sommo PonteficeNicolò I, fortissimo difensore de’ canoni in ogni cosa,non mancò di parlare più volte altamente anche controquesto abuso di mescolarsi nelle elezioni de’ Vescovi lalaica potestà, come si vede, fra gli altri documenti, nellalettera da lui diretta ai Vescovi del regno di Lottario, a’quali comanda sotto pena di scomunica di avvertire ilre perché tolga via Ilduino dalla Chiesa di Cambrai, chegli avea data, sebbene ne fosse indegno e irregolare, eche permetta «al Clero e al popolo di quella Chiesa di

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eleggersi da sé un Vescovo a quel modo che prescrivonoi sacri canoni»118.

Sotto il successore di Nicolò il grande, che fu Adria-no II, si celebrò l’ottavo Concilio ecumenico in Costan-tinopoli nell’869, tempo in cui già la libertà della Chie-sa era stata oltremodo vulnerata119. Si fanno quindi contutta la forza le stesse proteste in difesa di questa liber-tà, si ripetono le stesse massime dell’antichità in ordineall’elezione de’ Vescovi: proibizioni di non ordinar Ve-scovi per autorità e comando di principe sotto pena dideposizione120: e fino divieto a’ laici possenti di inter-venire alla elezione de’ Vescovi, se non invitativi dallaChiesa121.

Ma che? quanto è tarda la ragione e la giustizia nel-la influenza che esercita sugli uomini in paragone dellepassioni! e massime se queste hanno in loro pro la forzaesterna! I principi cristiani, lungi dal prestare orecchioalle esortazioni della loro madre la Chiesa, ai suoi coman-di, alle sue minaccie; non fecero che nuove usurpazionisulla sua libertà, sostenute da sottigliezze legali e da vio-lenza. Dico ciò in generale; perocché certo non manca-rono anche de’ monarchi docili e rispettosi, i quali ubbi-dirono; e dirò di più, quasi tutti i principi sentirono unaqualche influenza dalle continue decisioni e leggi eccle-siastiche che venivano perseverantemente pubblicandosida’ Pontefici e da’ Sinodi intorno la disciplina della Chie-sa, della quale il punto massimo di tutti fu sempre con-siderato essere le elezioni: e però essi talora posero piùdi riserbo nell’estendere la loro potenza a padroneggiarele elezioni vescovili; non si avanzarono a eludere le leg-gi canoniche che mediante de’ trovati più ingegnosi; fi-nalmente posero delle dichiarazioni e clausole rispettosealle loro usurpazioni, che formavano una contraddizio-ne e una condanna manifesta delle medesime122. Ma tut-to ciò non rese meno necessaria la vigilanza della Chie-sa, e la fortezza di quegl’integerrimi speculatori d’Israele

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che pugnarono le guerre del Signore, e che il secolo nonmancò di calunniare, attribuendo i loro generosi sforzialla propria ambizione ed orgoglio, quando essi operava-no, necessitati dalla giustizia, per la guarentigia del de-posito loro affidato, e per isfuggire la sentenza di Cristo,che dee un giorno domandar loro un rigoroso conto diquel deposito.

80.

Uno di questi generosi prelati della Chiesa, che in sullafine del nono secolo difese in Francia con nobiltà erettitudine episcopale la libertà delle elezioni vescovili,fu il celebre arcivescovo di Reims Incmaro. Basteràraccontare qui ciò che gli avvenne col Re Luigi III.

Si teneva il Concilio di Fismes l’anno 881, a cui pre-siedeva l’arcivescovo Incmaro. Venuta a vacare la sededi Beauvais, per la morte del vescovo Odone, un cheri-co chiamato Odoacre si presentò al Concilio con decretodi elezione del Clero e popolo di Beauvais ottenuto perfavore della Corte. Il Concilio aveva il diritto di esami-nare questo cherico innanzi confirmarlo, ed avendol fat-to, il trovò indegno. Fu stesa allora una lettera al re, nel-la quale i Padri esponevano i motivi pe’ quali non pote-vano, secondo i canoni, procedere alla consecrazione diOdoacre, e la si mandò al sovrano con una deputazionedi Vescovi. In Corte tosto ne fu grande rumorio: vi sidiceva «che quando il re permetteva di fare una elezio-ne, dovea essere eletto quello che voleva egli123. Che i be-ni ecclesiastici erano in suo potere, e che li dava a chi glipiaceva»124. Il re scrisse una lettera ad Incmaro collo sti-le solito, incerto, contraddittorio. Protestavasi di «volerseguire i suoi consigli sì negli affari dello Stato come inquelli della Chiesa, pregandolo di aver per lui la premu-ra stessa che avea avuto per gli altri re suoi predecesso-

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ri»: poscia aggiungeva, in prova certamente di voler se-guire i suoi consigli: «Io vi prego che col vostro assensoe col vostro ministerio io possa dare il vescovato di Beau-vais a Odoacre vostro caro figliuolo, e mio fidato servo.Se avete per me questa compiacenza, io onorerò in tuttoquelli che avete voi per più cari»125.

È dunque per una compiacenza verso un uomo, chesi può dare al gregge di Cristo un Pastore? Si possonoaffidare le anime redente dal Sangue dell’Uomo-Dio allemani non di chi ha santità e prudenza, ma di chi èamato da un potente, è bramato da un re? acciocché siaarricchito co’ beni dell’episcopato? Qual travolgimentod’idee?

Incmaro non mancò al suo dovere: rispose che «nellalettera del Concilio non v’avea cosa che fosse contro il ri-spetto dovuto al re, né contro il bene dello Stato, e ch’es-sa non tendeva ad altro che a mantenere al Metropolita-no ed a’ Vescovi della provincia il diritto di esaminare edi confirmare le elezioni secondo i canoni». «Che siatevoi il signore delle elezioni, aggiunge, e de’ beni ecclesia-stici, questi sono discorsi usciti dall’inferno e dalla boc-ca del serpente. Ricordatevi della promessa da voi fat-ta alla vostra consacrazione, e che fu sottoscritta di vo-stra mano; e presentata a Dio sopra l’altare dinanzi a’Vescovi; fatela voi rileggere in presenza del vostro consi-glio; e non pretendete d’introdurre nella Chiesa quel chei grandi imperatori vostri predecessori non pretesero alloro tempo. Spero di conservarvi sempre la fedeltà e ladivozione, che a voi debbo; e non mi diedi poco pensie-ro per la vostra elezione: non vogliate dunque rendermimal per bene, col cercar di persuadermi in mia vecchiez-za di allontanarmi dalle sante regole che ho seguite, gra-zie al Signore, sino al presente, pel corso di trentasei an-ni di vescovado. Quanto alle promesse che voi mi fate,non pretendo di domandarvi nulla, se non per la vostrasalvezza, in benefizio de’ poveri. Ma vi prego di consi-

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derare, che le ordinazioni contro i canoni sono simonia-che; e che tutti quelli che ne sono mediatori, sono a par-te di questa colpa. Io qui non vi ho parlato di mio capo,né spacciati i pensieri miei. Vi ho riferite le parole di Ge-sù Cristo, de’ suoi Apostoli, e de’ suoi Santi, che regnanoseco lui nel cielo. Temete se non le ascoltate! I Vescoviperò si raccolgano in Concilio, per procedere ad una re-golare elezione col Clero e col popolo di Beauvais, e colvostro consenso».

I Vescovi che parlavano in tal modo ai re la verità, enon facevano per disprezzo, credevano di dare ad essi lamaggior prova del loro fedele e inviolabile attaccamen-to. Quanto poco ciò si conosce! E da chi avranno spe-ranza i monarchi di udire la verità e la parola divina, se iVescovi gliela occultano? Ah sappiano dunque discerne-re l’accento di quella apostolica libertà, che è ben tutt’al-tro che poco rispetto e divozione! Sappiano apprezzar-lo i regnanti cattolici; sappiano, essere un dono inestima-bile di Dio l’aver uomini che parlano loro per coscien-za, e che per non violarle si fanno incontro alla loro in-degnazione e a quella tanto più opprimente de’ loro adu-latori e servili ministri; né a qualunque patto voglion tra-dirli, né vender loro piacenti menzogne; le quali sembra-no pur accrescere la loro terrena potenza, ma veramen-te ne scavano lentamente i fondamenti, e ne preparanola ruina. La Chiesa «colonna e firmamento di verità», fusempre di questo avviso, che non si dovessero inganna-re né pur quei principi che vogliono essere ingannati, eche puniscono crudelmente chi non gl’inganna: e questalealtà della Chiesa sempre amica, è destinata a consolida-re i troni, dando loro per appoggio la giustizia e la pie-tà. E una voce sì fedele, fu tanto male interpretata! tantomale intesa! tanto calunniata da nemici mortali del prin-cipato mascherati da zelanti suoi sostenitori! Sanno que-sti assai bene, che se il principe dà gli orecchi alle severeparole della Chiesa, essa Chiesa e lo Stato prosperano di

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comune accordo; e però di nulla sono più solleciti, chedi far credere al principe, che la Chiesa detragga semprea’ diritti suoi; e la libertà apostolica de’ Papi e de’ Vesco-vi la fan passare per ambizione, e detrazione temerariadella regia dignità.

Sotto tale aspetto appunto fu dipinta agli occhi di Lui-gi III da’ suoi ministri la dignitosa e fedele risposta d’Inc-maro: e mentre ella dovea aumentare nel giovane prin-cipe la venerazione per l’antico prelato, e la gratitudine,non fece che adontarlo, e condurlo a mortificare il ge-neroso vecchio colla seguente risposta: «Se voi non ac-consentite alla elezione di Odoacre, io avrò per cosa cer-ta, che non vogliate voi rendermi il dovuto rispetto126, némantenermi i diritti miei; ma che vogliate in tutto resiste-re alla mia volontà. Contro un mio pari, farei uso di tuttala mia possanza per mantenere la mia dignità127; ma con-tro un mio suddito che vuol deprimerla, mi servirò delmio dispregio. Non si andrà più oltre in questo affare,sin tanto ch’io non ne abbia informato il re mio fratello,ed i re miei cugini: perché si raccolga un Concilio di tut-ti i Vescovi de’ nostri regni128, che sanzioneranno confor-me alla dignità nostra. Finalmente, se necessità il voglia,faremo dall’altra parte quanto richiederà la ragione».

Se Incmaro avesse operato per ambizione o per inte-resse, una tale risposta, colla quale si vedea minacciatodi perdere la grazia sovrana, l’avrebbe indubitatamentefatto piegare: ma l’uomo che opera per coscienza, non sipiega: non è capace il principe di farsi tradire da costui,perocché la fedeltà, che questi ha verso il principe, è fon-data nella fedeltà che ha verso Dio: ella non è una fedel-tà d’interesse, ma una fedeltà di dovere. Incmaro in fat-ti liberamente rispose: e quanto al rimprovero di man-camento di rispetto e di ubbidienza, si contentò di da-re una mentita solenne al secretario che scrisse la letteradel re. Circa il resto poi aggiunse: «Rispetto a ciò che di-te, che voi farete, se necessità il voglia, quel che richie-

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derà la ragione, veggo io bene che questo si dice per in-timorirmi; ma voi non avete altra possanza, fuor quellache viene dall’alto: e piaccia pure a Dio, o per mezzo vo-stro, o per mezzo di chi gli aggrada, liberarmi da questaprigione; voglio dire da questo corpo vecchie ed infer-mo, per appellarmi a lui, che desidero di vedere con tut-to il cuor mio; non perché io lo meriti, ché non meritoaltro che male; ma per sua grazia gratuita. Che s’io pec-cai acconsentendo alla vostra elezione, contra la volontàe le minaccie di molti, prego il Signore che voi me ne dia-te il castigo in questa vita, affine di non soggiacervi nel-l’altra. E poiché vi sta tanto a cuore la elezione di Odoa-cre, mandatemi a dire in qual tempo i Vescovi della Pro-vincia di Reims, con quelli che furono a voi deputati dalConcilio di Fismes, si potranno raccogliere. Io mi ci fa-rò portare, se sarò ancora in vita. Mandate ancora Odoa-cre, con quelli che l’hanno eletto, sieno essi del palagio odella Chiesa di Beauvais; venite ancor voi, se vi piace: ovengano de’ commissarj per voi; e si vedrà se Odoacre siaentrato nell’ovile per la porta. Ma sappia egli, che se nonviene, lo manderemo a cercare in qualsiasi luogo si tro-vi nella provincia di Reims, e sarà da noi giudicato comeusurpatore di una Chiesa, per modo che non farà mai piùniuna ecclesiastica funzione in niun luogo di questa pro-vincia; e tutti coloro che avranno avuta parte nella suacolpa, saranno scomunicati, sino a tanto che non soddi-sfacciano alla Chiesa». Parole così splendide, così degnede’ Vescovi de’ primi secoli non trattennero la prepoten-za: i cortigiani, i quali fanno a gara a cui riesca di parla-re parole più lusinghevoli negli orecchi del loro signore,e di mostrarglisi più devoti, trassero Luigi III a impiega-re la forza: l’intrusione di Odoacre fu consumata, armatamano: l’infelice Chiesa di Beauvais sostenne questo mer-cenario; non lo scrisse però nel catalogo de’ suoi pasto-ri: un anno dopo, scomunicato per questo ed altri delit-

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ti, fu deposto, essendo già Luigi III disceso nel sepolcroa render conto al divino giudice di sua condotta129.

81.

Ciò che avea reso immensamente più facile l’impresad’impadronirsi delle elezioni vescovili, tentata assidua-mente dalla temporale potenza de’ principi, si fu la divi-sione del popolo dal Clero, avvenuta per le cagioni cheho accennato. Sempre più diviso il popolo da’ suoi pa-stori, e sempre più corrotto, cominciò a meno importar-gli d’averne di degni. E d’altro lato, essendo cangiate lesedi episcopali in posti di beatitudine temporale, per ledovizie riboccanti e gli onori, e quindi più aspirando adessi i più avidi, ed ottenendoli i più briganti; era ben fa-cile che il popolo guasto fosse comperato e venduto, esquarciato in partiti, e sommosso in tumulti, e reso fau-tore finalmente di indegni che l’adulassero, e nei qualiegli amasse e cercasse i proprii suoi vizj, anziché le vir-tù episcopali: disordini che diedero onesta cagione diescluderlo dalle elezioni intieramente: il che fu fatto pri-ma in Oriente, dove anche prima la potenza laicale pa-droneggiò le elezioni; e poscia in Occidente: e ciò tolseai canoni la loro sanzione, che nel popolo principalmen-te consisteva. Né fu contento il Clero (assecondandoloin ciò, senza ch’egli se n’avvedesse, la politica de’ princi-pi, se non per deliberato consiglio, certo per un cotal suoinfallibile istinto) di riserbare a sé solo tutte le elezioni,senza consultare né contare più per nulla il desiderio del-la moltitudine de’ fedeli; che nel Clero stesso ben prestoprevalsero alcuni pochi sopra la grande maggioranza de-gli ecclesiastici130, e convertirono in un privilegio del loroceto la facoltà di eleggere il Vescovo; e questi, che furo-no i canonici delle cattedrali, riuscirono a far confermareciò che s’erano arrogato, con leggi della Chiesa. Esclu-

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sa pertanto dalle elezioni vescovili la gran massa del po-polo, e quella altresì del Clero; il corpo elettorale fu ste-nuato, senza più alcuna forza da mantenere il diritto dieleggere, contro quelli che se ne volessero insignorire.

82.

In questo stato di cose, al tempo de’ Papi francesi resi-denti in Avignone131, ebbero principalmente luogo le ri-serve pontificie, le grazie aspettative, e le annate per unaconseguenza di quelle: in prima vedute di buon occhiodai principi, e talora da essi richieste, perché indeboliva-no via più la sanzione del diritto che ha la Chiesa di eleg-gersi i pastori132; giacché la sanzione che tutela il diritto,conviene che sia tanto forte, quanto il diritto è esteso; eperò una persona sola, eziandioché rivestita di qualsivo-glia dignità, non ha forza corrispondente all’estensionedel diritto dell’eleggere i Vescovi per tutto il mondo: eperò colle riserve universali fu assunta una responsabili-tà soverchiante le forze, fu intrapreso l’esercizio di un di-ritto immensamente vasto, alla cui guardia non si pote-va mettere una potenza corrispondente: e un diritto sen-za guardia di altrettanta sanzione è precario, è un dirit-to perduto. Di qui i lamenti delle nazioni; di qui le umi-liazioni de’ concordati, co’ quali la madre de’ fedeli è co-stretta da figliuoli malcontenti di discendere a patti conessi133: di qui finalmente quella piaga orribile nel corpodella Chiesa, per la quale, tolte le elezioni antiche, toltele elezioni del Clero, spogliati i Capitoli del loro diritto,spogliati i Papi delle loro riserve, la nomina de’ Vescovidi tutte le nazioni cattoliche cadde nelle sole mani laicali,riservata la conferma (che è ben poca cosa) al Capo del-la Chiesa; con che fu consumata l’opera della forza vesti-ta al di fuori di benigna pelle, cioè «la servitù della Chie-sa sotto tutte le forme della libertà»134. Ma prima di mo-

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strare l’acerbità insofferibile di piaga sì orrenda, primadi parlare di questa finzione di libertà, di questa verità diservitù; io debbo trattenermi ancora ad annoverare le al-tre cause per le quali le elezioni Vescovili vennero a sì in-felice stato, e continuarmi a narrare i combattimenti lun-ghi de’ santi Pontefici e de’ Pastori che tanto fecero, tan-to sofferirono per impedirne l’avvenimento e mantene-re la Chiesa libera di verace libertà, siccome fu costituitaeternamente dal divino suo Fondatore.

83.

Quando i condottieri del Nord guidarono i barbari allaconquista del Mezzodì, essi, dopo la conquista, s’intitola-rono re di Francia, d’Italia, d’Inghilterra, cioè delle terre,anziché de’ Francesi, degl’Italiani, degl’Inglesi, cioè del-le persone. Essendo però impossibile ad un solo posses-sore, per forte che sia, conservare la proprietà della terradi sì vasti tratti di paesi, per la legge accennata, che «lasanzione atta a difendere un diritto, dee rispondere all’e-stensione del diritto stesso»: que’ capitani, re di nuovogenere, inventarono o adottarono i feudi, come mezzo diconservare a sé la proprietà de’ latifondi, cedendone l’u-sufrutto ad altri, che in tal modo cangiavano in altrettan-ti custodi fedeli di que’ terreni; di cui altramente sareb-bero stati pericolosi assalitori, massime quei loro commi-litoni, che non avrebber sofferto in pace per alcun modoil non partecipare delle comuni conquiste. Questi benefi-cati dal re, e chiamati in parte di uno interesse medesimo,furono que’ fedeli, da cui derivò poscia il nome di feudi;i quali al re giuravano fedeltà e vassallaggio di servigi de-terminati, massime del somministrar militi, e militare es-si stessi nelle guerre che il re intraprendeva. Finissimo ri-trovato per quelle circostanze. In tal guisa que’ conqui-statori conservarono le proprietà delle terre, asservando

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ad un tempo le persone coll’esca del dominio utile ad es-se ceduto, il quale alla morte di ogni feudatario ricade-va alle mani del re, che ne investiva un altro suo fido, chimeglio gli piacesse135.

Ora, ben presto s’accorse la politica de’ nuovi padro-ni dell’Europa, che anche meglio che non sia a de’ solda-ti secolari, convenia loro affidare il deposito delle terreda conservare a de’ Vescovi e a delle Chiese: il che die-de origine a’ feudi, e alle Signorie ecclesiastiche, già fi-no dal tempo di Clodoveo. Carlo Magno però fu quegliche sopra tutti sentì l’importanza di questo trovato. «Ilmagno Carlo», dice Guglielmo di Malmesbury «per fiac-care la ferocia delle nazioni germaniche, avea dato qua-si tutte le terre alle Chiese, riflettendo con sommo avve-dimento, che gli uomini di un ordine sacro non vorreb-bero, così facilmente come i laici, buttar giù dalle spalleil fedele servigio dell’imperante. Oltracciò, ribellando ilaici, gli ecclesiastici potranno frenarli coll’autorità dellascomunica, e colla severità del potere»136.

Così grandi liberalità usate da’ principi co’ Vescovi, seda una parte erano atti di pietà, dall’altra erano quelloche sono i regali de’ clienti ai giudici. Oltre a che, la stes-sa natura di queste regie munificenze traeva seco quasinecessariamente la servitù della Chiesa. I Vescovi cangia-ti in altrettanti vassalli, obbligati a prestare il giuramentoe l’omaggio di feudalità nelle mani regie137: consorti delre suoi cointeressati nella grandezza di questa terra, suoidevoti, suoi commilitoni nelle spedizioni e nelle guerreche intraprendere gli piaceva; non era possibile che sen-tissero più la forza di quel detto dell’Apostolo: «Nessunoche milita sotto il vessillo di Dio, non s’implichi in nego-zj secolareschi»138; né che non s’avvezzassero a riguarda-re nel loro re unicamente il loro Signore temporale, e inse stessi de’ servi suoi, partecipanti per grazia sua le suericchezze e il suo potere; dimenticandosi ad un tempo,che quel loro re era pur insieme un semplice laico, un fi-

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glio della Chiesa, una pecora del loro ovile, e ch’essi era-no vescovi messi dallo Spirito Santo a reggere la Chiesadi Dio. Non era possibile in una parola, che essendo di-venuti uomini del re139, avessero egualmente presente diessere uomini di Dio; imperciocché «nessuno può servirea due padroni»140.

84.

Effetto delle cose temporali usate ad un fine temporale èpur troppo, quello di accecare gli uomini; e tutta la pos-sanza della Chiesa, tutta l’ecclesiastica libertà appartienead un ordine di cose spirituale e invisibile. Qual maravi-glia pertanto, se venendo annesso alla potestà ed all’uf-fizio spirituale dell’episcopato, una grande potestà ester-na e sensibile, un ufficio temporale e materiale; i Vesco-vi, uomini anch’essi, si restassero, altrettanto che i prin-cipi, accecati e occupati da questo accessorio, e in que-sto riponessero ben presto il nerbo principale della loroepiscopale dignità; che, con questo poter temporale rice-vuto dal principe mescolassero e confondessero il poterespirituale ricevuto da Cristo; che questo potere invisibilecol temporale mescolato e confuso, svanisse per così di-re, e si perdesse dalla loro veduta; quindi che si chiamas-se episcopato il beneficio annesso; non intendendosi piùpossibile una divisione dell’episcopale officio dal tempo-rale beneficio, né come sussistere potesse quello senzadi questo? Di vero le frasi correnti nello stile di quellaetà, depositarie delle comuni opinioni, provano manife-stamente ciò che io dico; esse fondono ogni cosa insie-me; in vece di dire che il re dona i beni temporali annessialla sede episcopale, dicono che «dona, conferisce l’epi-scopato, conferisce la dignità episcopale, comanda, pre-cetta che il tale sia Vescovo, per ordinazione del re il taleviene ordinato ecc.»141.

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Ripeto, che queste maniere di dire non valevano, altempo nel quale furono inventate, tutto ciò che significa-no: ma esse però predicevano ciò che un tempo avreb-ber valuto. Avviene appunto così: prima s’inventano del-le frasi, e per qualche tempo corrono senza valore, e so-no altrettante deboli condiscendenze che fa la verità allepassioni, altrettante menzogne. Dietro le frasi però nontardano le cose; conciossiaché v’ha una legge che spin-ge gli uomini a dire la verità, e che quindi li porta a rea-lizzare le parole che proferiscono eziandioché vanamen-te. Di che le maniere correnti del parlare di una nazionepreaccennano il cammino ch’essa sta prendendo, a chisa vedere il fondo delle umane vicende; e nelle manieredi esprimersi questi legge le tendenze de’ popoli, e pro-fetizza a che vogliano riuscire i loro avviamenti. Quellaidentificazione de’ benefizj temporali colla dignità epi-scopale nell’uso del parlare, quell’attribuire al potere lai-cale la distribuzione delle pontificali dignità a quel mo-do che si distribuiscono i doni dipendenti di lor naturadall’arbitrio del donatore, chiaramente indicava l’adula-zione, la corruzione del Clero, volto già alla bassa servi-tù de’ principi secolari, preferendo le ricchezze del seco-lo alla libertà di Cristo; e ne’ principi appariva la tenden-za infaticabile di invader tutto, di conquistare la Chie-sa come aveano conquistato il suolo: tendenza che po-teva per qualche tempo sostenersi senza il suo naturalesviluppamento, per la pietà personale di alcuni, e per laripugnanza della pubblica opinione ancor religiosa; mache doveva poi coll’ajuto del tempo indubitatamente ca-dere là dove gravitava, e maturare il frutto di cui portavail germe.

Così veggiamo che da principio, tolti alcuni atti ar-bitrarj nelle elezioni, que’ re riconoscevano però nellaChiesa il diritto di scegliere i propri Pastori; e anche al-lorquando conferivano di loro arbitrio le sedie episcopa-li, solevano farlo con parole che temperassero la stranez-

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za di quella loro ingiustizia, e che spirassero una cotalepietà, cauti di non offendere di un tratto l’opinione de’Prelati e de’ popoli, ancora rigida, ancora fermata sullanorma de’ canoni e della verità, non resa bastevolmenteflessibile e cortigiana142.

La pietà, la rettitudine e la politica di Carlo Magnoandò più innanzi, e restituì alla Chiesa anche quellaparte di libertà che era stata violata da’ re della stirpedi Merovingi: e Lodovico il Pio imitò l’esempio del suomagnanimo genitore143. Ma non così i re che venneroappresso.

85.

Che i feudi alla morte di ciascun Vescovo ricadesseronelle mani del re, e che il re in sede vacante ne godes-se il frutto, ciò che si chiamò la regalìa, questo era com-portabile, perché nasceva dalla natura stessa de’ feudi;ma non si restarono qui. Per avidità di percepire que-sti redditi, i principi tennero le Chiese lungamente privede’ loro pastori144; impedendone le elezioni, esigendo cheelegger Vescovo non si potesse senza il regio permesso145,e facendo per tal modo dipendere il Vangelo e la salutedell’anime dal volere del re, dal suo capriccio, e soprat-tutto dalla sua cupidigia. E perché i semplici Sacerdotigodevano anch’essi de’ redditi della Chiesa, fu comanda-to che la Chiesa di Dio non avesse da quell’ora più il di-ritto di ordinarsi né manco un minimo suo prete, se nonper grazia e concessione sovrana!146

86.

Di più: gli uomini di legge, che sono nelle Corti quel-lo che i sofisti demagoghi sono in un popolo pervenuto

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alla corruzione, trovarono questo singolare argomento:«Il principale tira seco l’accessorio; ma i feudi fra i benidella Chiesa sono il principale; dunque anche tutti i be-ni della Chiesa devono prendere la condizione de’ feudi,e restar soggetti alla stessa legislazione»147. Con questasingolare argomentazione tutti i beni della Chiesa ebbe-ro l’alto onore di esser considerati come enti nobili, co-me beni di prim’ordine, e perciò beni in qualche modoregi148. Indi il re pretese non più sui soli feudi, ma sututti i beni ecclesiastici indistintamente que’ diritti cheaveva sui feudi: volle aver da tutti la regalìa, cioè i fruttide’ benefizj149 vacanti, che alla morte del beneficiato do-vean ricadere nelle mani del principe, il quale poi mol-te volte ne disponeva a suo buon piacimento come di co-sa al tutto propria150. Talora si diede la forma stessa difeudi ai beni ecclesiastici liberi. Così furono infeudate ledecime151; e facendosi de’ passi sempre più innanzi, perquesta via si attribuirono queste decime o altri beni libe-ri infeudati in beneficio ai laici, come si faceva talora deiveri feudi alla morte de’ Vescovi o degli Abati152; e per-ché si considerava indivisa la dignità spirituale col bene-ficio temporale, toccava a vedersi de’ laici, e per lo piùde’ soldati, comandare nelle Abbazie in mezzo a mona-ci come abati e negli episcopj in mezzo a cherici comeVescovi153.

87.

Questa congiunzione indivisa dello spirituale e del tem-porale fu pertanto cagione che l’usurparsi il temporaledivenisse un medesimo che l’usurparsi anche lo spiritua-le: e quindi le investiture date da’ principi co’ segni del-la potestà spirituale, l’anello ed il pastorale: quindi va-canza intera di vescovato ove il principe riserbasse a sé ibenefizj154: quindi le elezioni tutte invase dal principe155;

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quindi un mercimonio di sedi episcopali vendute al mag-gior offerente: quindi levate sui troni della Chiesa animevili, pel solo merito di esser vili, cioè di esser ligie al prin-cipe e di coltivarne i vizj; quindi degradazione e corru-zione trabocchevole nel Clero e nel popolo, e tutti i maliche da questo orribile stato di cose si aggravavano in sul-la misera Chiesa, i quali ridondavano poscia (e i monar-chi non se n’accorgono) nello Stato medesimo, e lo urta-vano, lo turbavano, il laceravano, e l’impedivano da quelprogresso d’incivilimento, al quale (conservata la giusti-zia dal civile potere) e la natura ragionevole e la Religio-ne di Cristo in bell’accordo associate conducono per sésole con soavissimo corso le nazioni.

88.

Il Clero in tale oppressione ogni giorno più perdea lacoscienza della sua dignità, della sua libertà; e si sti-mava compensato di tali perdite, di cui non conoscevapiù il prezzo, coll’aumento delle ricchezze e del poteretemporale156.

Non già, che sia mai mancata nella Chiesa una vocesolenne che s’innalzasse dal profondo dell’umiliazioneper dire ancora la verità. Questa non sarà mai taciutaal mondo: perocché la Chiesa immortale non sarebbepiù, da quell’istante che cessasse dall’annunziarla. Maera come una voce solitaria, erano come de’ lamenti ede’ gemiti che s’ascoltano qua e colà uscire in mezzo afunerea campagna.

Io mi contenterò di riferire un passo di Floro, Diaconodi Lione, che in questo secolo X, in cui le elezioni de’Vescovi erano venute a sì mal partito, e la loro libertàquasi del tutto perita, tolse a scrivere un libro appunto«sull’elezione dei Vescovi», per far sentire quale questadovea essere, secondo le sante leggi della Chiesa, e per

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confutare quella opinione che già cominciava a prenderpiede nella corte, introducendosi insensibilmente, comeun punto di diritto, «che fosse necessaria la volontà delre, perché l’elezione del Vescovo fosse legittima e rata».

Comincia dall’esporre nettamente la dottrina vera in-torno alle ordinazioni, episcopali, così dicendo: «È ma-nifesto a tutti quelli che amministrano nella Chiesa diDio l’uffizio sacerdotale, doversi osservare tutte quellecose che l’autorità de’ Sacri Canoni, e la consuetudineecclesiastica comanda SECONDO LA DlSPOSIZIONEDELLA DIVINA LEGGE E LA TRADIZIONE APO-STOLICA intorno all’ordinazione de’ Vescovi, cioè che,defunto il pastore, e resa la sede vacante, uno del Clero diquella, quegli che un comune e concorde consentimentodel medesimo clero e di tutta la plebe avrà eletto, e conpubblico decreto designato notoriamente e solennemen-te, e che sarà consecrato da un legittimo numero di Ve-scovi, debba giustamente ottenere il luogo del ponteficemancato; non dubitandosi punto, che non debba essercosa firmata dal giudizio e dispensazione divina ciò chefu celebrato con tant’ordine e legittima osservanza dallaChiesa di Dio. Tali sono le cose che si rinvengono stabi-lite ne’ Concilj de’ Padri, e ne’ decreti de’ Pontefici dellaSede apostolica, e dalla Chiesa di Cristo comprovati finda principio».

In prova di questa dottrina reca le parole di S. Cipria-no, che in una lettera ad Antoniano, parlando dell’elezio-ne di S. Cornelio, scrivea così: «Il Vescovo formarsi dalgiudizio di Dio e del suo Cristo, dal testimonio di tuttii cherici, dal suffragio della plebe, e dal consenso degliantichi Sacerdoti, e degli ottimi (bonorum virorum)».

Dopo di che in tal modo soggiunge: «Secondo que-ste parole del beato Cipriano apparisce, che dal tempodegli Apostoli, ed appresso per anni quasi quattrocento,tutti i Vescovi delle Chiese di Dio sono stati ordinati, edhanno legittimamente governato il popolo cristiano, sen-

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za alcun consulto della umana potestà. Quando poi co-minciarono i principi ad esser cristiani, un manifesto ar-gomento basta a convincerci, che, universalmente par-lando, si mantenne nelle ordinazioni de’ Vescovi la liber-tà della Chiesa. Perocché non era possibile che tenendola monarchia di tutto il mondo un solo imperatore, que-sti potesse conoscere e scegliere tutti i Vescovi che si do-veano ordinare in tutte le vastissime parti della terra, inAsia, Europa ed Africa. E tuttavia fu sempre compiuta evalida l’ordinazione che celebrò la santa Chiesa giusta latradizione degli Apostoli, e la forma di una religiosa os-servanza. Che poi in alcuni regni sia invalsa la consue-tudine, che l’ordinazione episcopale si faccia consultan-do il principe; ciò vale ad aumento di fraternità, per averpace e concordia col mondano potere; ma non a renderpiù vera o autorevole la sacra ordinazione: la quale nongià mediante la regia potenza, ma sì bene solo col cennodi Dio, e col consenso de’ fedeli della Chiesa si può con-ferire a chicchessia. Conciossiaché l’episcopato non è unufficio umano, ma un dono dello Spirito Santo... Di cheavviene che il principe gravemente pecca se stima poterdarsi per suo benefizio quello che solo la divina grazia di-spensa: quando il ministero della sua potestà in tale ne-gozio dee venir dietro aggiungendosi, non andare innan-zi preferendosi»157.

89.

Ma conviene confessare, che il potere laicale con unaperseveranza di tanti secoli nella costante tendenza diasservare la Chiesa, mediante un’alternativa di benefizje di soperchierie era arrivato finalmente tanto innanzi,che non poteva più: la conquista era compiuta: la Chie-sa stessa sembrava stanca in questo decimo secolo di gri-dare e di protestare inutilmente contro alle usurpazioni,

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parea che non trovasse più né voce né fiato, o che fossecome divenuta rauca; sì debolmente e di rado parlava.

Noi siamo al più infausto de’ secoli. Il Clero fuori dellasua via, accecato da’ beni temporali, e per poco assuefat-to a mercanteggiare la dignità e la coscienza: s’aggiunseuna notabile circostanza, valida ad ajutare la ecclesiasti-ca servitù, cioè la potenza di Ottone I, che umiliò i gran-di signori, e rese più forte e assoluto il potere monarchi-co: grande beneficio alla società, se il potere monarchi-co non fosse stato istradato nella via dell’usurpazione de’diritti della Chiesa. Con tale precedenza, con una vizio-sa consuetudine, ogni accrescimento di sua forza non erache un accrescimento della stessa usurpazione158.

Nel principio del secolo XI si trovò dunque la libertàdelle elezioni quasi interamente perita.

Dell’Inghilterra l’Abate Ingolfo contemporaneo diGuglielmo il conquistatore dice così:

«Da troppi anni a questa parte non si fa più alcunaelezione di prelati meramente libera e canonica; ma tuttele dignità tanto di Vescovi come di Abbati, la regia cortele conferisce coll’anello e il bastone a suo bel piacere»159.

Della Francia nel tempo di Filippo I così il Papa silamentava con Rocleno vescovo di Chalon:

«Fra gli altri principi di questo nostro tempo, checon perversa cupidigia mercanteggiando hanno del tut-to conculcata la loro madre; abbiamo di sicura relazio-ne saputo, che Filippo re de’ Franchi ebbe sì fattamenteoppresse le Chiese gallicane che sembra esser già perve-nuto all’estremo suo punto il soperchio di sì detestabiletentativo. La qual cosa noi la portiamo in vero con tantomaggior cordoglio in quel reame, quanto che si sa comeesso altre volte fu e per prudenza, e per religione, e perforze più potente ad un tempo e verso la romana Chiesamolto più devoto»160.

Della Germania ecco quello che dice S. Anselmo,Vescovo di Lucca, scrittore contemporaneo:

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«Il tuo re» rivolge il discorso, all’antipapa Guilberto«vende di continuo i vescovati, pubblicando editti chenon s’abbia d’aver per Vescovo quegli che è eletto dalClero, o dimandato dal popolo, se non antiviene il re-gio volere, quasi che egli sia il portinajo di questa portadella quale la verità disse: “A costui il portinajo apre”!Voi squarciate le membra della Chiesa cattolica che ave-te invasa per tutto il regno, e cui, ridotta in servitù, tene-te in vostra balia siccome vile schiava; e date di piglio al-la libertà della legge di Dio col vile ossequio che rende-te all’imperatore, dicendo: tutte le cose essere soggette aldiritto imperiale, i Vescovati, le abbazie, tutte le Chiesesenza esclusione alcuna; quando il Signore dice “La miaChiesa, la colomba mia, le mie pecore”. E Paolo: “Nes-suno prende da se stesso la dignità se non è chiamato daDio come Aronne”»161.

90.

Ma in cotesti tempi tanto infelici, ne’ quali la Chiesa diDio sembra irreparabilmente perire, Cristo suol ricor-darsi della sua parola, si risveglia, e suscita qualche uo-mo straordinario, che con una immensa potenza morale,e certamente non umana, tutto affronta, a tutto resiste, eche a tutto riman superiore; rivendica la Chiesa, la ristoradalle sue perdite; e quasi direi ringiovanisce il regno del-l’Eterno sopra la terra. Ognuno ha già compreso qualesia il Mandato di Dio nel tempo di cui parliamo: ognunos’accorge che noi abbiamo descritto Gregorio VII.

Quest’uomo per sempre memorabile ascese sulla Cat-tedra di Pietro l’anno 1073. Già al suo predecessore era-no state portate le accuse non meno della dissolutezzasfrenata e della tirannide inaudita verso i cristiani suoisudditi, che dello strazio che faceva della Chiesa EnricoIV; ma S. Alessandro II, prevenuto dalla morte, non avea

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potuto por la mano entro la piaga profonda e mortale delcorpo di Cristo162. Era riserbato dalla Providenza all’u-mile monaco Ildebrando il durissimo ufficio di adopera-re, dopo i dolci fomenti e lenitivi, altresì il ferro che contaglio ardito e maestro sanasse l’invecchiata cancrena163.Questi avea ricusato il pontificato: accettato poi per co-scienza di non opporsi al volere divino, vide sì tetri esserei tempi, che volendo un Papa adempire i proprj doveri,dovea rimanere vittima. S’infiammò quindi d’uno Spiri-to di sacrifizio, e mostrò tosto al mondo di avere quel su-blime concetto dell’episcopato che aveano i Vescovi pri-mi della Chiesa, scrivendo a’ suoi confratelli: «Noi con-siderando, e pel breve termine di questa vita, e per la fri-vola qualità de’ comodi temporali, che niuno può ricevermeglio questo nome di Vescovo, che allorquando patiscepersecuzione per la giustizia, abbiamo decretato d’incor-rere più tosto le inimicizie degli iniqui ubbidendo ai di-vini comandamenti, che turpemente, a quelli piacendo,provocare l’ira del cielo»164.

91.

Innanzi tratto nulladimeno tentò con Enrico, il più pa-ternamente che si potesse, tutte le vie della dolcezza edella pazienza; ma elle riuscirono affatto inutili: e i nun-zi del Pontefice, le sue lettere, le tante sue amorose pre-mure egualmente spregiate ed illuse. Raccolse i Vesco-vi ed i Cardinali in Sinodo, e li addimandò di consiglio.Furono loro esposti i passi fatti dal Padre de’ fedeli perdisingannare il figliuolo traviato, e dall’altra parte le con-tumelie, gi’insulti, e l’aumento di scelleraggine col qua-le vi avea corrisposto Enrico; massime poi lo scisma cheavea già tentato di fare nella Chiesa col ministero di mol-ti Vescovi corrotti, vilissimi suoi mancipj, in Lombardiaed in Germania; furono lette le lettere imperiali che re-

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cavano gli ambasciatori quivi presenti al Sinodo, piened’ogni maniera di sacrileghi vilipendj; e s’udirono parla-re gli ambasciatori, che in pieno concilio tennero al Papail seguente discorso: «Comanda il re nostro Signore, chetu deponga la Sede apostolica e il papato, perché è suo,e che non ingombri più questo santo luogo»165: furonoconsiderate tutte le circostanze, la stranezza de’ tempi, ilmalore irrimediabile senza un forte rimedio; e tutti i Pa-dri d’accordo, nessuno eccettuato, consigliarono il Pa-pa, se v’avea mai circostanza in cui fosse espediente usa-re rigore, esser quella: doversi perciò tentare anche que-st’ultima via: la Chiesa non doversi abbandonare; dover-si anzi lasciare a’ futuri secoli un solenne esempio di ec-clesiastica costanza; d’altra parte l’imperatore non averricevuto la corona incondizionatamente, ma bensì sottocondizioni e patti giurati; esser seguito un vero contrattofra lui, quando fu eletto imperatore, e il popolo cristia-no; incontrati obblighi scambievoli: il popolo aver da-to il giuramento di fedeltà condizionato al mantenimen-to de’ patti riguardanti principalmente la libertà e dife-sa della religione: di sua natura la Chiesa esser madre etutrice dei cristiani; aver essa ricevuti i giuramenti impe-riali in nome proprio e del popolo: non convenire al po-polo svincolarsi da sé de’ suoi giuramenti, ma sì spetta-re al Capo della Chiesa il provvedere alla salute di lui edella sua religione, siccome interprete e giudice de’ giu-ramenti: perciò esso il Sommo Pontefice essere oggimaiobbligato in coscienza, sì per la causa della Chiesa comeper quella del popolo fedele, di pronunziare la sentenza,dichiarando l’imperatore mancato a’ suoi giuramenti, eper conseguente il popolo disciolto altresì egli da’ suoi.Questo è il fondo, e la vera spiegazione del consiglio da-to unanimamente da tutto il Sinodo al sommo PonteficeGregorio VII166. Gregorio pertanto, stretto dalla propriacoscienza, scomunicò Enrico IV, e dichiarò i suoi sudditisciolti dal loro giuramento di fedeltà l’anno 1076.

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92.

Questo gran fatto segna l’epoca, come ho già detto, delperiodo di rifacimento della Chiesa. Esso fu il segnaledi una terribil battaglia: la Chiesa sollevava la testa op-pressa tanto tempo da un giogo ignominoso, e ciò doveanecessariamente dar cagione ad una disperata pugna fral’oppressa, e la forza opprimente. Non trionfò se non do-po tre secoli di combattimenti. Svincolatasi con fortez-za dalla servitù del potere laicale, il grande scisma d’oc-cidente la dilacerò. Non appena fu estinto, che vennerole eresie del settentrione; e solo col Concilio di Trento laChiesa cominciò a riposare. Intanto le due gran massimedi Gregorio VII, cioè la libertà dell’ecclesiastico potere, ela costumatezza de’ Cherici, fur poste immutabilmente: ela prima portò subitamente il suo frutto, dando forza al-la Chiesa e valore da trionfare di tanti nemici, e il Conci-lio stesso di Trento frutto di lei si può nominare, dopo ilqual Concilio cominciò sensibilmente a fruttare anche laseconda massima colla correzione che si venne facendodella disciplina clericale e de’ costumi.

93.

Questa triplice orrenda lotta colla prepotenza, collo sci-sma e coll’eresia, era inevitabile. Lo scisma e l’eresia era-no figlie della prepotenza, e sopravvivevano alla madre.Di tutti questi mali esisteva il seme fecondato, quandoGregorio VII ascese sul trono: il rimedio fu potente, fupronto; ma era impossibile che arrivasse tanto presto col-la sua azione, da impedire lo scoppio di que’ mali cheerano imminenti: se non poté impedirli que’ mali, egligiunse però a vincerli. La Chiesa fu trovata da Gregorioin uno stato simiglievole a quello, in cui si trova la ter-ra nel punto del solstizio invernale. Sebbene l’astro vi-

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vificante, giunto al suo massimo allontanamento dal cer-chio, che sovrasta alle nostre regioni, ritorni da quel pun-to estremo indietro dal suo corso, e al nostro meridianosi ravvicini; tuttavia egli non riviene così sollecito, chevalga ad impedire i rigori maggiori della stagione, i qualicadono quando egli ha già dato la volta; ma per istranez-ze di freddi e di geli egli non è men vero che il sole è ri-volto dal suo cammino, e che ritorna al di sopra al nostrocapo. Aspettiamolo: giungerà un dì, in cui egli squaglie-rà i geli, e ravviverà con benefico calore tutta l’intirizzitae isterilita natura.

94.

Una osservazione però su quella parte di risoluzione delConcilio romano e di Gregorio, che fu occasione di tantedicerie e di tante calunnie contro la Sede Apostolica, cioèla soluzione del giuramento di fedeltà accordata a’ sud-diti del re Enrico, non sarà qui inutile: e l’osservazione èquesta.

La Providenza divina, noi abbiamo detto, coll’aver fat-to entrare nella Chiesa le ricchezze e il potere del secolo(ciò che cominciò dalla conversione degl’imperatori ro-mani, ma principalmente dalle invasioni de’ barbari chedistrussero il romano impero e fondarono i regni moder-ni) ebbe in mira di santificare la società dopo aver santi-ficato l’uomo, e di far entrare i principj del Vangelo nel-le leggi e ne’ visceri dell’ordine pubblico. Se questa in-fluenza benefica della Religione si vide tosto a manifestisegni in una maggior giustizia ed equità che presiedet-te a’ varj rami di pubblica amministrazione, in ultimo siconobbe aver essa esercitata altresì una azione potente eperseverante sulla stessa natura del potere supremo, edaver finalmente cangiato l’indole di quel potere. Ma que-sta mutazione era stata operata così sapientemente, così

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a gradi, con tanta soavità, che la natura del supremo po-tere politico fu mutata prima che nessuno si fosse avve-duto di ciò che il Vangelo tacitamente operava: e rimasedopo il fatto una ricerca assai sottile e difficile, quella diassegnare il modo e i gradi pe’ quali la Religione del Cri-sto condusse ad effetto questo importantissimo tramuta-mento. In somma la monarchia pagana, o, se si vuole, di-rò anzi la monarchia naturale, era assoluta; e il Cristiane-simo la rese costituzionale. Nessuno si offenda di questaparola: convengo pienamente, che ne’ tempi moderni el-la fu profanata. Ma ove mi si lasci esporre intero il miopensiero, prima di giudicarlo; si troverà esser esso benestraniero a tante questioni pericolose, che si sollevano inquesti tempi, ne’ quali si vuole il bene senza averlo di-stintamente conosciuto. Un ministro di Stato, un cele-bre scrittore in cui non può cadere alcun sospetto di fa-voreggiare l’insubordinazione de’ popoli scriveva, che «iPapi avevano educato la moderna monarchia d’Europa»,e che «la natura di questa monarchia, e ciò che l’innalza-va tanto sopra i reggimenti de’ tempi antichi, era una leg-ge fondamentale che ella avea ricevuto, cioè l’avere i mo-narchi, mossi da quello spirito di giustizia e di amore cheinfonde negli uomini il Vangelo, rimesso il diritto di pu-nire ad appositi tribunali»167. Così questo notissimo scrit-tore, che diceva anche egregiamente, non potersi forma-re una costituzione politica dalle mani degli uomini, ri-conosceva però, che la monarchia, col rendersi cristia-na, avea ricevuto delle leggi fondamentali. Dopo di ciò,ognuno può vedere, che quando io parlo di Costituzio-ne, intendo qualche cosa di ben differente da tutto ciòche i partiti tentano a gara d’imporre ad un popolo e adun regnante, differente dalle teorie di uomini ingegnosie benevoli: io non intendo una costituzione formata dal-l’uomo; ma nata da se stessa coll’opera de’ secoli e col-la virtù misteriosa delle circostanze, il che è quanto direuna costituzione fatta da Dio: io intendo una costituzio-

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ne che è l’effetto spontaneo di una dottrina resa comuneper la sua potente evidenza, e che dopo aver soggiogatala persuasione de’ monarchi e de’ soggetti, li ha fatti ope-rare altresì d’accordo secondo i suoi dettami. Ora io so-stengo, che questa dottrina, ferma, invariabile, che meri-tò la fede di tutti quanti compongono la società europea,fu il Vangelo: e che la persuasione de’ monarchi e de’ po-poli, legata a quella dottrina, porta questa conseguenza,che il loro operare «cessò di essere arbitrario, cominciòad aver de’ principj immutabili»: questo è lo stesso cheun dire, che i principi si sottomisero alla costituzione im-posta loro dal Vangelo, e così accolsero e riconobbero ilprincipio ed il seme immortale di tutte le civili riforme.

Una tale costituzione certamente non uscì alla luce, néresesi perfetta all’istante stesso che gl’imperatori si fece-ro cristiani; perciocché noi parliamo, ed è questo che sidee ben osservare, di una Costituzione di fatto. Conve-niva che prima il Vangelo si conoscesse e si abbracciasseda’ popoli e da’ monarchi; poi ch’egli penetrasse ne’ lo-ro cuori e signoreggiasse la loro persuasione, il che nonsi potea far così presto; conveniva poi, che da’ principjdel Vangelo si deducessero le conseguenze, che si appli-cassero que’ principj alla maniera di governare, il che pu-re non picciol tempo esigeva; finalmente era bisogno cheil Cristianesimo negli animi de’ monarchi acquistasse talforza, che traesse da essi la risoluzione: «Noi siamo cri-stiani, vogliamo essere coerenti a noi stessi, vogliamo chela legge del Vangelo regoli la nostra potenza, trionfi dellenostre stesse passioni». Questo era il gran fatto! e s’ot-tenne, ma un po’ alla volta; e fino che questo vigore dellareligione non s’era spiegato ne’ monarchi, essi non bas-savano ancora il superbo capo; né da monarchi assoluti,potean rendersi, in ossequio del Dio divenuto fratello atutti gli uomini, monarchi costituzionali. Ora io dico, chequando questa costituzione fu fatta, essa non fu limita-ta al solo articolo toccato dall’illustre uomo che abbiamo

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citato di sopra; ma ve n’ebbe degli altri, e tutti quelli chelo spirito evangelico venne di mano in mano e verrà allenazioni dettando.

95.

Tre stati adunque si distinguono del Cristianesimo ri-spetto al potere politico; quando gl’imperanti non eranoancora entrati nella Chiesa, quando entrati non aveanoancora subìto la salutare influenza del Vangelo, e quan-do questa influenza ebbe portato a loro prò i suoi piùbenefici effetti.

Fino che la Chiesa di Cristo non possedeva che il po-polo, e il sovrano era a lei straniero, ella non potea rivol-ger la voce de’ suoi celesti ammaestramenti che al popo-lo, e gli diceva: «Tu, o popolo fedele, gemi sotto il domi-nio bene spesso tirannico di principi empj o superstiziosiche adorano i falsi numi: sopporta in pace la tua oppres-sione: mira tutto ciò che avviene, come scritto nell’ordi-ne della Providenza: ella veglia sopra di te: quella poten-za non sarebbe in mano di principi infedeli, se non fosseanch’essa ordinata dall’eterna Providenza a tuo profitto;perché ogni potenza viene da Dio, che è l’onnipotente.Non v’ha che il peccato che sia male, non v’ha che la vir-tù che sia bene. Cùrati di questa, e il resto abbandona al-le sollecitudini del tuo Padre che sta ne’ cieli. Quando alui ne parrà, quando egli vedrà che un altro ordine di co-se dia a te più copia di meriti per l’eterna vita; allora eglimuterà le cose esteriori, e tu avrai fra di te i tuoi principi.Intanto rispetta quelli che ti son dati, ubbidiscili in tuttociò che non è avverso alle leggi di Dio; combatti, muoriper essi: e questo non per timore, ma il fa’ per coscien-za, cioè per onorare in essi quel Dio che dall’alto tuttedispone le cose umane».

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Quando poi venne il tempo in cui i principi si con-vertirono alla fede, al popolo tenne sempre lo stesso di-scorso; ma ella tolse ad ammaestrare anche i principi; eperché ne’ principi non era ancora penetrato il Vange-lo bene a fondo, e non l’avevano che alla superficie, el-la parlò loro per così dire non in pubblico, ma in priva-to; e nel tempo che da una parte dicea al popolo: «Nonti consentirò mai di ribellare al tuo sovrano, sia egli purdiscolo; e se tu se’ popol di Cristo, è l’umiltà che de’ pro-fessare, la sommissione e il sacrificio»: dall’altra, pren-deva separatamente i monarchi da parte, e diceva loro:«Sappiate che voi non siete più che uomini: che gli uo-mini sono uguali innanzi all’Eterno; che voi sarete giudi-cati da Cristo come l’ultimo e il più tapino de’ vostri sud-diti, e via più severamente, perché sta scritto: “Giudiziodurissimo sarà fatto di quelli che presiedono”. Sappiateche il vostro stato è pauroso, e non desiderabile agli oc-chi della fede: che la giustizia e la carità sono le sole vieper le quali voi potrete sfuggire gli eterni supplizj, e sal-vare le anime vostre: che non dovete stimare né porre ilcuore alle grandezze da cui siete circondati, le quali al-la morte tutto al più vi abbandoneranno: che siete fat-ti capi del popolo cristiano dalla Providenza non pel vo-stro, ma pel suo vantaggio; che la vostra dignità è un mi-nistero, un servigio; e che per farvi più grandi degli altri,dovete rendervi i minori di tutti». Tali erano le sublimie umanissime verità che la Chiesa fece sonare agli orec-chi, ed istillò negli animi de’ regnatori quando divennerosuoi figliuoli: ed essi le udirono con rispetto, e con mara-viglia di trovare una nuova nobiltà, che non poteva esserlor data dalla potenza, né dal fasto delle corone, ma so-lo dall’umiltà della croce del Salvatore. E che ne fu? Pe-netrarono il cuore e vinsero tali verità: venne il loro tem-po, e quasi su tutti i troni di Europa apparvero degli eroi,che praticarono tutte le virtù del Vangelo nella loro per-fezione; i quali se con una mano amministravano la giu-

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stizia e pugnavano per essa; stendevano l’altra al soccor-so de’ poveri, nuovi loro fratelli carissimi, fino a nutri-carli e servirli personalmente, in essi mirando Cristo, chesi mise nella persona di tutti i poveri, e fino ad incurva-re le loro regie spalle sotto il prezioso peso di miseri in-fermi abbandonati da tutti come troppo stomachevoli insulle vie.

Quando la Chiesa ebbe per tal modo ammaestrati nel-la teoria e nella pratica del Vangelo i principi non menoche i popoli, alloro non parlò più loro in separato: chia-mò per così dire la buona madre gli uni in presenza deglialtri, e tenne con esso loro questo ragionamento: O prin-cipi, miei figliuoli, voi già siete illuminati dalla luce delVangelo; volete voi conformarvi ad esso in ogni cosa? –Lo vogliamo. – E bene, vi rammenta che il Vangelo vi di-ce, come non il caso, ma Iddio colla sua benigna provi-denza ha voi costituiti capi del suo popolo cristiano; ac-ciocché gli conserviate la pace, gli amministriate la giu-stizia, e sopra tutto gli manteniate e proteggiate il beneche è per lui il massimo di tutti, la sua religione: voletevoi altro? – È giusto; non altro: noi porremo la gloria no-stra in governare il popolo di Dio giustamente e pacifica-mente, e in difendere la Chiesa di Cristo, madre nostra.– Giurate dunque tutto ciò, giuratelo nelle mie mani, inpresenza de’ vostri popoli. – Lo giuriamo. – Ma che si-curtà date voi del vostro giuramento? Non è egli secon-do l’equità, che il vostro popolo, acciocché abbia tutta laconfidenza in voi, come in altrettante immagini di Cri-sto, s’abbia altresì qualche pegno e sicurtà di quello cheoggi voi gli promettete, acciocché non possa avvenir maiche il popolo cristiano sia governato da principi o infede-li o ribelli alla Chiesa? – Troppo ragionevole: che Iddiomandi sopra di noi tutte le sciagure, se noi manchiamoai nostri giuramenti. – Dichiarate adunque; che saresteanche contenti di discendere dal trono, se vi allontanastedall’ubbidienza della Chiesa? dichiarate che voi sareste

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indegni di portare una corona cristiana, la quale fa vica-rio di Cristo solo Re de’ secoli colui che la porta, se dive-niste inimici della sua Chiesa; e che perciò siete conten-ti che il giuramento di fedeltà non obblighi più i vostrisudditi dall’istante che foste precipitati in tale enormità?– Sì, sì, lo dichiariamo; siamo contenti di tutto ciò: co-nosciamo giusto che i figliuoli della Chiesa non sieno go-vernati che da altri figliuoli devoti alla medesima Chiesa,perocché se un principe non è che un ministro di Cristo,incaricato del bene de’ fedeli, egli non è più tale quan-do infierisce contro Cristo medesimo. – Orsù, principie sudditi, miei cari figli, toccate adunque con pure ma-ni questo sacrosanto volume del Vangelo: i mutui giura-menti onde oggi vi stringete, stiano a perpetua memoriaquali leggi fondamentali e immutabili de’ regni cristiani:saranno essi fonti inesausti di pura felicità, finché venga-no religiosamente osservati: maledizione e sventura a chiprimo gli infrange.

Questo non è un sogno: è un fatto realissimo: è la co-stituzione de’ regni cristiani, nata nel medio evo, in queltempo in cui lo spirito del Vangelo era pervenuto a do-minare e sottomettere a sé le più alte cime della società.Que’ principi penetrati dalla dottrina di Cristo, si senti-vano più che mai ferventi per essa, e avrebbero volutoogni cosa patire, prima di rinunziarvi: perciò sicuri di sestessi, non temevano di pronunziare de’ giuramenti, chetrovavano tanto equi, tanto umani, e di voler che con essisi legassero anche i loro discendenti, come con fortuna-tissimi legami. L’equità e la carità verso i loro popoli, chelavati nelle acque di uno stesso battesimo, considerava-no come proprii fratelli, pegni venerabili e sacri confida-ti alle loro mani dal re de’ regi; e il zelo ardente della fedeprevalse sulla ambizione, sull’amore della propria poten-za; e per la gloria di questa fede, pel vero bene de’ popo-li, furono assai contenti di tramandare a’ loro successoriun imperio meno assoluto quanto alla forma, ma più no-

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bile perché più giusto, più pietoso, e consacrato anch’e-gli dalla Religione; accrescendo così di dignità morale, econ essa di stabilità e di consistenza quegli scettri che siabbassavano sotto a una legge eterna di amore e di giu-stizia, il servire alla quale è veramente e solamente regna-re. Questa costituzione cristiana de’ regni, parte fu scrit-ta, parte non iscritta, ma fu sempre consentita da tutti, ealtre volte non v’avea principe, non popolo, che la met-tesse in dubbio: perché tutti concordi, tutti religiosi, nonaveano cagione di farlo: era un bene comune: a tutti pre-meva di mantenerla. Talora ella si riduceva a leggi piùspeciali, più precise: tali erano quelle che presiedevanoall’Impero romano, e al regno di Germania: veggiamolonel fatto che abbiamo alle mani di Enrico.

96.

Quando Enrico, minacciato di esser deposto per sempreda’ Signori tedeschi assembrati a Tribur, vende al Pa-pa nel castello di Canossa, impetrando l’assoluzione del-la scomunica, per muoverlo a consentirgliela senza dila-zione, addusse, che presto spirava l’anno da che era sta-to annodato colla scomunica, e l’urgenza in cui perciò lomettevano «le leggi palatine», secondo le quali, se il refosse stato un anno ed un giorno fuori della comunio-ne della Chiesa, era dichiarato indegno del posto di ree decaduto ipso facto dal trono, senza potervi più essereristabilito168; il che mosse il santo Pontefice a concederglil’assoluzione; ingannato dagli atti di esterno pentimentoche seppe simulare quell’infelice monarca.

Or come in Germania era fissato il tempo di un annoe di un giorno di scomunica per decadere dal regno; cosìpresso tutti i troni cristiani s’avea per certo e consentitodalle parti interessate, che l’eresia e l’infedeltà privavadel regno, e i giuramenti di fedeltà dati da’ sudditi non

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erano fatti che sotto condizione che il principe rimanessenella fede cristiana cattolica169.

97.

Dopo di ciò egli è evidente, che la deposizione di uncristiano principe dipendeva da una causa, la decisionedella quale appartiene al foro della Chiesa; perciocchéalla Chiesa s’appartiene il decidere della fede, e il ritenereo il rigettare dal suo seno i fedeli di ogni condizione; eoltracciò, essendo stata la Chiesa quella che, divenutamadre comune, aveva con una convenzione di amoreravvicinati e raggiunti i principi ai popoli, e dato almondo lo spettacolo nuovo e commovente che quelli equesti si stringessero fraternamente le destre; convenivache ella sola la Chiesa, depositaria del sacro patto, nefosse altresì l’interprete, e nel caso di violazione, primache le parti rivendicassero per via di fatto i violati diritti,ella ne dichiarasse la violazione.

Prima che queste cristiane convenzioni fra i popoli ei loro capi fossero strette; l’umile sudditanza era di di-ritto divino170; in quello stato la Chiesa non riconobbemai il caso possibile che i sudditi cristiani si sottraesse-ro, nelle cose oneste, dall’ubbidienza del loro sovrano.Ma quando i sovrani stessi, porgendo l’orecchio alle vo-ci della equità e della carità, nobilitarono le loro coro-ne, le fecero brillare di una luce celeste col sottometterleal Vangelo, e col volere che dai principj del Vangelo di-pendessero; quando essi amarono di essere, anziché i pa-droni di uomini schiavi, i ministri e i vicari di Gesù Cri-sto per lo bene di uomini liberi; quando essi promisero,giurarono di voler esser tali, e si posero da se stessi nellafelice necessità di essere figliuoli riverenti alla Chiesa diGesù Cristo; allora la sovranità divenne per così dire «didiritto umano-ecclesiastico», e la Chiesa riconobbe dar-

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si il caso, in cui i sudditi potessero venire sciolti da’ lorogiuramenti di fedeltà.

Ma poiché una tale trasmutazione nella società non av-venne di tratto, ma insensibilmente, come dicevamo, esenza che occhio umano, per così dire, se n’accorgesse;ed offerendosi alla Chiesa l’occasione di pronunciare unsì rilevante giudizio per la prima volta al tempo di Grego-rio VII; non è a stupire, se il passo di questo S. Ponteficesembrasse a molti cosa nuova, e di questa novità prendes-sero cagione di calunniarlo. Quelli però che lo calunnia-rono allora, n’avevano ben donde; e la Chiesa avea eser-citato assai prima una giurisdizione che dipendeva daglistessi principj di diritto pubblico cristiano, senza trova-re la minima opposizione, senza che nessuno se ne fossemaravigliato, perché essi erano atti non di rigore, ma difavore, e non contrariavano de’ vizj potenti ed ostinati.

98.

Oltracciò quelli che s’oppongono alla condotta tenutadalla Chiesa con Enrico IV, fanno argomento delle lo-ro interminabili ed amare declamazioni i mali che ridon-darono per sì lungo tempo nella società dalla lotta dellaChiesa coll’impero. Io vorrei pregar costor in primo luo-go, che sapesser vedere appunto in questi mali una del-le ragioni per le quali la Chiesa s’astenne prima del se-colo di Gregorio VII da simili estremità171; e però nonvolessero più far valere questo essersi la Chiesa astenu-ta da simili pericolosi atti fino al secolo XI, il più cor-rotto di tutti, e nel quale ella non poté più sostenere ildelitto, come una ragione contro alla giurisdizione dellamedesima. Di poi vorrei chiamarli a considerare fredda-mente la questione «se il passo di Gregorio era di tal na-tura da cagionare necessariamente tutti que’ mali che neseguirono».

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99.

Quella lotta terribile non fu già a vero dire fra il Sacerdo-zio e l’impero, come volgarmente si suol credere, ma fuuna lotta, fatta «a nome del Sacerdozio e dell’impero»:fu più tosto il Sacerdozio diviso in due parti l’una dellequali combatteva per la Chiesa, ed era la Chiesa, l’altracombatteva per sé contro la Chiesa, e si copriva col co-lore dello zelo pe’ diritti dell’impero. I nobili, come pu-re il popolo, erano concordi dalla parte del Papa172; macontro il Papa erano molti Vescovi ricchi e possenti. Laragione è manifesta: il Papa non aveva punto intimatoguerra al re, che amava con affetto paterno, e molto me-no alla sua corona, e a nessuno de’ suoi diritti; che alcu-no non ha mai voluto usurpargliene; ma la guerra il Pa-pa l’avea intimata contro il Clero simoniaco e dissoluto:credendosi obbligato in coscienza di sterminare, anche acosto del proprio sangue, questi vizj oggimai tanto cre-sciuti, che avrebbero sterminata essi la Chiesa, se fosserostati più a lungo risparmiati173.

Intimoriti pertanto dalla integrità e santità di quest’uo-mo sollevato da Dio alla Cattedra apostolica per fran-cheggiare il popolo d’Israello come un altro Sansone, tut-ti i cherici dissoluti, e quanti avevano comperato a som-mo prezzo da Enrico i Vescovati, potenti per Signoriee per influenza nel governo dello Stato, si sollevaronodi comune accordo, si strinsero in una lega formidabileper l’odio della virtù, la più potente delle passioni, usa-rono tutte le arti che può suggerire una malizia la piùconsumata174, e per segno di riunione diedero il grido«dover tutti difendere i sacri diritti del proprio sovrano».Ma che diritto del proprio sovrano pretendevano difen-dere questi Vescovi? Forse quello di essere simoniaco,e protettore impudente del concubinato del clero? Pe-rocché qual altro diritto del re Enrico veniva attaccato?Ebbe mai Gregorio VII intavolato la minima pretesa so-

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pra qualche altro diritto del suo regno? Dimandò altro,se non che cessasse dal mercanteggiare le sedi vescovili, edal prostituirle a persone infami? Fu certamente per ces-sare la totale e imminente rovina della Chiesa, che, nonvalendo gli altri mezzi, e rendendosi l’imperatore, sedot-to dalle perfide suggestioni de’ prelati suoi compagni didissolutezza, sempre peggiore, egli lo scomunicò.

Ma non solo il Clero corrotto trascinò Enrico nelfondo di tanti mali175, egli ancor vel mantenne, e impedìche la lotta avesse fine. Era naturale: la guerra non puòfinire, se non vinto il nemico, e l’unico nimico era lacorruzione di questo clero aulico.

Supponiamo che Enrico avesse dato orecchio alle pa-terne e giustissime voci del Capo della Chiesa; o che ri-conciliato la prima volta col Pontefice nel castello di Ca-nossa, non fosse stato dai Vescovi iniqui, che si serviva-no di lui a scudo di sé e de’ proprj vizj, travolto ne’ suoiantichi sregolamenti. Tutta la procella sarebbesi tostoabbonacciata: il re, come era stato assoluto senza dila-zione dalla scomunica, così sarebbe rimasto in perfettapace colla Chiesa: egli avrebbe conservato il suo regno,e il pio Pontefice, stringendolsi al seno colle viscere lepiù paterne, l’avrebbe bagnato colle copiose lagrime del-la pura sua gioja. Ma se la pretesa lotta fra il sacerdozioe l’impero fosse così subito nel suo nascer finita, comedi sua natura dovea, che ne sarebbe avvenuto de’ prelatiintrusi, simoniaci, concubinarj? Essi ne sentivano benele conseguenze: sentivano che sarebbe stato de’ loro vi-zj: che della loro vita ribalda e sfrenata: che de’ ricchis-simi benefizj caramente da lor comperati: che delle lorodonne: che della grazia del principe loro complice rav-veduto. Ciò tutto spiega, e mostra ragione più chiara delsole per la quale una tal gente andasse nelle disperazioniall’udire Enrico riconciliato col Papa; e gli estremi mezziadoperasse a farlo ricadere in precipizio, rompendola dinuovo così col Pontefice e colla Chiesa176.

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100.

Si vuol un’altra prova, che non erano i diritti dell’impe-ro l’oggetto di quegli infelicissimi e sì lunghi contrasti?Richiamisi alla mente quanto avvenne mezzo secolo do-po fra Enrico V e Pasquale II. Questo immortale Pon-tefice ha fatto sentire un linguaggio, che nella bocca diqualsiasi Papa dell’antichità non si sarebbe potuto trova-re né più santo né più elevato: e mostrò col suo conte-gno, come nella sede di Pietro non è venuto mai menolo spirito dell’apostolato, e come il Vangelo di Gesù Cri-sto eterno non ha il jeri e l’oggi. Io credo di dover re-care le proprie parole del componimento con Enrico Vche questo gran Papa propose: conciossiaché esse sonoun monumento luminosissimo, il quale prova non esser-si potuto giammai spegnere nella Chiesa, né manco ne’secoli più miserandi, quell’altezza di pensiero che sollevail sacerdozio cristiano su tutte le altezze e su tutte le do-vizie transitorie della terra, e il fa possente della sola pa-rola di Dio. Nello stesso tempo questo brano di Pasqua-le II può dimostrare quanto i sommi Pontefici abbianoconosciuto intimamente quel vero che noi continuamen-te diciamo, la servitù e la corruzione del Clero scaturiredall’implicarsi questo ne’ negozj secolari. Il Papa in som-ma con un atto di magnanimità senza esempio propone,che il Clero rinunzii ai feudi e a tutte le grandezze seco-lari, e che in cambio di questo abbandono gli sia restitui-ta intera la sua libertà: proposizione sublime, trovandosila Chiesa in quello stato, e di cui non fu fatto dagli scrit-tori delle ecclesiastiche istorie il conto dovuto; a cui restaancora di render giustizia; e le meditazioni degli avveni-re gliela renderanno, facendol brillare come uno de’ fattipiù luminosi della storia della Chiesa. Sebbene, tanta su-blimità e bellezza della proposta di Pasquale, degna degliApostoli, rendevala appunto agli occhi de’ suoi contem-poranei strana, assurda: il Clero di Germania in udendo-

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la inorridì, si rivoltò contro il Papa, e rivoltò l’imperato-re che pur l’avea da parte sua accettata e giurata: né altropoteva aspettarsene. Ecco di nuovo l’affascinamento delClero prodotto da’ beni temporali impedire per la terzavolta, almeno, la pace fra il sacerdozio e l’impero: e l’im-pero togliersi all’ubbidienza della Chiesa per farsi ubbi-diente e servo del Clero corrotto, lusingato e invanito nelfumo di una vana adulazione, con cui questo genere diClero, che non ha né dignità né libertà da vendere, sem-pre lo si guadagna. L’impero è dunque un puro prete-sto, e accessorio nella gran lotta: il Clero corrotto giungescaltramente a involgere l’impero nella sua propria cau-sa, e combatte per sé a nome de’ diritti dell’impero, e colbraccio di questo. Ma udiamo pure Pasquale.

Egli scrive all’imperatore in questa forma: «È sancitodalle istituzioni della divina legge, ed è proibito da’ sacricanoni, che i sacerdoti si occupino di cure secolari, névadano alla corte, se non forse per intercedere a favoredi condannati o di altri a cui venga fatta ingiustizia. – Manelle parti del vostro regno i Vescovi e Abati sono a taleda cure secolaresche occupati, che non possono a menodi frequentare assiduamente la corte e di esercitare la mi-lizia; – e i ministri dell’altare son divenuti ministri di sta-to, avendo ricevuto dai re le città, i ducati, i marchesati,le zecche, le castella, ed altre cose pertinenti al serviziodel regno. E di qui è prevalso un costume nella Chiesa,che i Vescovi eletti non ricevessero più la consecrazione,se prima per mano del re non fossero investiti177. Taloraanco ne vengono investiti altri, vivendo tuttavia i Vesco-vi. Ora da questi mali e da altri senza numero, che bensovente accadevano per cagione di quell’investitura, fu-rono scossi i nostri predecessori di felice memoria Gre-gorio VII e Urbano II, e ragunando frequenti Concilii diVescovi, dannarono quelle investiture fatte per mano lai-cale; e se v’avessero Cherici che tenessero per così fattomezzo le Chiese, stimarono doversi essi deporre, e quelli

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che gli ebbero investiti, scomunicarsi, a tenore del cano-ne apostolico che dice così: “Se un Vescovo, facendo usodelle potestà del secolo, ottenne con tal mezzo una Chie-sa, sia deposto, e scomunicati quelli che con esso comu-nicano”. – Per le quali cose noi comandiamo che sienorimessi a te, o re Enrico figlio carissimo, e allo stato que’diritti regali che manifestamente allo stato apparteneva-no ne’ tempi di Carlo, di Lodovico, di Ottone e degli al-tri principi tuoi predecessori. E interdiciamo e proibia-mo sotto il rigore dell’anatema, che quinci innanzi nessu-no de’ Vescovi o degli Abati presenti o futuri invadano iregali diritti, cioè le città, i ducati, le marche, le contee, lezecche, le imposte, le avvocazie, i diritti de’ Centurioni, etribunali regi con loro pertinenze, la milizia e i castelli. –Decretiamo poi che le Chiese rimangano libere colle lo-ro oblazioni e possedimenti ereditarj che al regno mani-festamente non appartenevano, come tu nel giorno del-la tua coronazione hai promesso all’Onnipotente Signorenel cospetto di tutta la Chiesa»178.

È forse questo il linguaggio degli usurpatori? Tantagenerosità, tanto abbandono di potenza temporale legit-timamente acquistata dalla Chiesa pe’ servigi prestati al-lo stato in molti secoli, è forse una prova dell’ambizio-ne pe’ Papi? della loro avidità!179 Ma qual ricambio siesige dalla potestà secolare per rinunziare a sì vasti dirit-ti? Ci cova qualche fine secondario sotto? È egli questoun gioco della politica della Corte romana? Iddio giu-dichi fra quelli che così opinano, e Roma. I Papi nondimandano ai re che la LIBERTÀ della Chiesa oppres-sa fino alla estinzione: oso dire, non hanno dimandatomai altro: qui termina tutta la loro ambizione e la loroavidità180. Ma pur troppo è appunto questa libertà, e l’e-sistenza della Chiesa che dispiace: e il domandarla e ri-vendicarla è il solo torto de’ Papi in queste lotte, che nonsi perdona. S’empia adunque il mondo delle grida: insul-to alla maestà de’ troni! ambizioso usurpamento de’ loro

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diritti! Tale è lo spirito d’ingiustizia e di profonda men-zogna che ha presieduto alle declamazioni contro questiRomani Pontefici, e si può anche dire alla stampa del se-colo scorso: tale la cagione messa al nudo di quel zelo af-fettato per la dignità dei monarchi in tempi che tutto sifa per disperderli dalla faccia della terra!! e i monarchisoli non se ne accorgono???

101.

La proposizione che sostengo, cioè «la così detta lottadel sacerdozio e dell’impero non essere stata altramentese non una lotta fra il Clero depravato ricusante la rifor-ma, e la Chiesa che pur riformarlo volea», luce della lucepiù manifesta ad ogni passo della storia di quella conte-sa: basta aprire a caso i cronisti di que’ tempi; piglisi pu-re qualsivoglia senza eccezione di partito e di opinione,e in qualsiasi pagina l’occhio s’imbatta, io son per direche subito esso si scontrerà in prove evidenti della veritàche affermo; il che rende sorprendente la distrazione de-gli storici moderni, che tolse loro di considerare una ve-rità così palmare e scritta in tutti i monumenti di quellaetà, dirò così, a caratteri di lagrime e di sangue. Sarebbe-ro inutili adunque altre prove, quando prove sono le in-tere storie. Ma la sopra indicata distrazione degli scritto-ri infilosofati mi muove ad aggiungere pur un fatto, cheper quanto sia manifesto il vero, egli nondimeno è statocosì oscurato ed obliterato, che a molti l’udirlo parrà no-vità; e ciò che sa di nuovo, merita di esser comprovatocon diligenza pel rispetto debito alle pubbliche opinio-ni. E il fatto che io vo’ qui recare sarà fuori del contrastocogl’imperatori di Germania, acciocché si vegga, come ilvero da me sostenuto sia universale di tutte le lotte ch’eb-bero in quel tempo i Papi co’ principi; sarà cioè quantopassò fra Pasquale II e il primo Enrico re d’Inghilterra.

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Enrico, come ogni altro principe di quel tempo, faceaalto e basso de’ vescovati. Il Papa l’avvisò che erano co-sa sacra; che non si potea farne mercato; che la Chiesadovea conferire le sedi; che doveano sortirsi a successo-ri degli Apostoli i chiamati da Cristo per mezzo delle ca-noniche elezioni; il re ripugnava: andare e venir lettere,ambascerie181: Pasquale immobile come scoglio; S. An-selmo allora primate d’Inghilterra, con lui. Questo san-to Arcivescovo avea già sofferto troppe persecuzioni edesiglj per la libertà da Guglielmo immediato predecesso-re di Enrico: questi richiamatolo dal bando per politi-ca, accoltolo con onoranza: ma nol potutolo corrompe-re, né aver mai da lui l’omaggio de’ Vescovi investiti damano regia. A finire il dissidio con Anselmo, nuova am-basciata è spedita al Pontefice, tre Vescovi pel re, e duemonaci pel primate. Ritornano senza nulla ottenuto. Inpresenza de’ Vescovi e de’ nobili assembrati dal re sonolette le lettere del Papa ad Anselmo piene di dignità e dicostanza182; la causa par finita, il re finalmente arrende-si. Ma che? qui appunto, nello stringere della pace, insul restituirsi alla Chiesa i sacri suoi diritti violati, sonoi tre Vescovi nunzi al Papa quelli che surgono a intorbi-dare ogni cosa: essi con una impudente e appena credi-bile menzogna rivoltano il re di nuovo nel reo partito, emantengono la schiavitù della Chiesa. L’impostura sma-scherata poscia e punita di scomunica fu questa. Essi as-serirono, il Papa aver loro parlato segretamente, dandolicenza al re di fare quello che proibiva nelle sue lette-re; e non averlo egli voluto mettere in iscrittura, accioc-ché gli altri principi non togliessero occasione di volerneil medesimo183. In vano i due monaci compagni di am-basceria protestano, negano il fatto: vilipenderli, oppri-merli. Così perì allora ogni speranza di concordia, e nonfu ostinazione del re, ma nequizia di Vescovi adulatori,simoniaci, infamemente perduti.

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Egli è dunque una evidente ingiustizia degli storicimoderni l’abbandonar che fanno il merito della questio-ne, per trattenersi in un punto accessorio di procedura,quando dimenticano la causa per la quale si combatte-va, e tutti sono occupati de’ combattenti. I combatten-ti o i capi de’ combattenti erano i Papi ed i Sovrani; mala causa per la quale si combatteva era quella del Clero,pugnando i primi per volerlo restituire all’antica virtù edignità, i secondi per mantenergli i vizi: sicché i princi-pi non erano, per così dire, che condottieri al soldo dellafeccia del ceto ecclesiastico, il quale sotto il loro scudo,siccome fa sempre, cercava anche allora l’impunità.

102.

Che dunque? Conveniva che il Capo della Chiesa si la-sciasse impaurire dalla forza bruta di cui disponeva ilClero corrotto? Conveniva che l’animo de’ successori diSan Pietro venisse meno considerando la difficoltà del-l’impresa? O che all’aspetto de’ mali che sarebbero na-ti dalla invincibile caparbietà degli ecclesiastici ricusantigli avvisi e le leggi salutari, si fossero ritratti dal provve-dere alla salute della Chiesa da Dio loro affidata e già ve-nuta nell’estremo pericolo! Poteva essere una tale viltàd’animo degna de’ sovrani Pontefici? O non dovevanoquesti con tanto maggiore grandezza d’animo e spirito disacrificio accingersi a quell’opera, che la fede nella paro-la di Cristo loro diceva dover essere in fine di certissimoriuscimento?

D’altro lato, quando mai si operò una grande riformasulla terra, senza grandi scompigli? Quando si distrusse-ro degli abusi universalmente invalsi ed inveterati, senzaostacoli e contraddizioni? Un popolo ha egli mai racqui-stato la perduta dignità senza sacrifizj? S’è mai resa fe-lice una nazione, se non in passando per grandi sventu-

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re? sostenendo le prove più dure? E la cattolica Chiesa,questa comunanza di popoli, avvilita, schiava, si preten-derà che potesse farsi risorgere dal profondo dell’abbie-zione, e ridivenire libera, senza una grande scossa, unagrande sociale agitazione? Non sanno dunque ciò che sidicano quelle testicciuole che con tanta confidenza di sestesse tolgono pur a sindacare quei grandi, i quali furo-no destinati dalla Providenza i primarj conduttori dellecristiane nazioni, e da essa incaricati della riformazionedella umanità.

103.

Io interrogo degli storici i più nemici de’ Pontefici, degliscrittori protestanti; ne dimando Hume e Robertson; equesti non possono a meno di riconoscere il fatto, che «ilrisorgimento della umana società venuta all’estrema de-gradazione, non pur della Chiesa, coincide coll’epoca delPontificato di Gregorio VII»184. Bastava un occhio noninfetto dal colore di passione, ad accorgersi che questacoincidenza non è casuale, e che ella si spiega mediantequegli atti umani e sublimi del Pontefice, contro i qua-li essi tanto declamano, e che pure, considerati nel pienode’ loro effetti, sono indubitatamente ridondati non me-no in pro della Chiesa che della civil società, la causa del-le quali è associata, o piuttosto una ed indivisibile. Ma ilnostro argomento non riguarda che la libertà della Chie-sa nelle elezioni de’ Vescovi185, e perciò restringiamocipure a queste sole.

104.

Il grido di libertà mandato da Gregorio riscosse la Chie-sa di Dio da quella specie di assopimento da cui s’era la-

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sciata prendere; parve un grido nuovo, dilettevole, uti-le: la fede, la giustizia, la dignità della Chiesa, come favil-le spente si riavvivarono a quel soffio in tutti i petti; e leChiese particolari, i prelati quanti ne rimanevano di san-ti nella Chiesa, risposero all’appello186, si arruolarono alsegno della causa comune, ripeterono le antiche dichia-razioni e proteste contro le usurpazioni secolari, in iscrit-ti e in canoni, i quali sì nulli o radi apparivano nel secoloprecedente187.

Manifestamente l’opera fu guidata da Dio. E qualumano consiglio poteva soccorrere in tanto estremo del-la Chiesa? Onde trovare un uomo quasi direi singolarenelle storie, e dopo trovatolo, collocarlo sulla sedia apo-stolica, che a un mondo vecchio e marcito usasse di co-mandare una piena riforma, che affrontasse tutte le po-tenze, e i nemici intestini, che in pochi anni con undiciconcilj colpisse tutti i disordini più solenni e più invete-rati, e ne ripurgasse la Chiesa, e che lasciasse finalmen-te in eredità a’ suoi successori delle massime rese da luievidenti e precise, che uniche poteano reggere il governocombattuto della Chiesa? Onde, se non per divino con-siglio, poteva ordinarsi altresì quella lunga serie di Pon-tefici che succedettero al settimo Gregorio, i quali furo-no un Vittore III, un Urbano II, un Pasquale II, un Ge-lasio II, e un Calisto II, partecipi dello spirito di fortez-za e di rettitudine di quel grande, in cui come in padree in maestro comune tutti risguardavano188, i quali conti-nuassero la grand’opera dell’affrancamento delle elezio-ni, e dell’appuramento de’ costumi, senza che pur un so-lo smentisse se stesso, o mutasse la via sicura che trovavatracciata dinanzi a sé?189 Né meno ci voleva: ché fu solouna continuazione di sforzi, una quasi ostinata perseve-ranza nelle stesse massime, più durevole della vita di unsolo uomo, un’infaticabile, coraggiosa predicazione dellaverità fatta con apostolico petto da molti Pontefici segui-ti, che parevano un Pontefice stesso vivente in tutti im-

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mortale, com’era uno stesso il pontificato, che poté rom-pere i pregiudizi, dominare le passioni, e far penetrarefin negli animi de’ sovrani la forza lenta della ragione, epiegarli finalmente sotto Cristo, come avvenne quandorinunziarono solennemente alle loro usurpazioni il 1122a Wormazia, e l’anno seguente nell’ecumenico Conciliodi Laterano, quarantanove anni appunto dopo che Gre-gorio VII avea anatemizzato la prima volta l’abuso delleinvestiture! E chi altri se non la divina Providenza misefinalmente il perfezionamento e il suggello alla grand’o-pera, quando per un abbattimento d’imprevedute circo-stanze e casi condusse Ottone IV nel mille duecento enove, Federico II nel 1213, e nel 1220; e finalmente Ro-dolfo I nel 1275 a rinunciare agli abusivi diritti di rega-lìa, di spoglio, e di deporto, che ancora impacciavanonon poco la libertà della Chiesa?

105.

Si può dire che la Chiesa, e la Santa Sede che la guidava,avesse pienamente trionfato colle promesse giurate daRodolfo in Losanna, e tutto prometteva che la libertàdelle elezioni oggimai fosse stabilita per sempre, e cheindi si dovesse attendere il rifiorimento universale delgregge di Gesù Cristo.

Ma fu allora che l’inimico dell’uman genere trovò unnuovo e più sottil mezzo d’intorbidare la pace e la pro-sperità della Chiesa, e questo fu, debbo dirlo? le smode-rate Riserve. La prevalenza che la Santa Sede avea acqui-stata con un trionfo così giusto e così puro sopra le po-tenze del secolo, la affidò di tanto; le sue necessità quasive la costrinsero, ed altre cause più deplorabili entraro-no in parte di sì grave mutazione di disciplina. Non giàche la Santa Sede non abbia diritto di riserbare le elezio-ni a sé, ove uno straordinario bisogno l’esiga: non manca

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a quella Sede mai il diritto, diciamolo ancora, di salvarela Chiesa, ma furono le riserve ordinarie e universali chesollevarono contro essa tutti gl’interessi. Le querele co-minciarono quasi a un tempo colle riserve, e già nel seco-lo XIII, per far tacere gl’Inglesi, Gregorio IX dovea pro-mettere che non conferirebbe più benefizj di patronatosecolare190. Poco dopo si richiedeva al Concilio di Lioneun provvedimento191; e non ottenutolo, da per tutto ven-ne meno il rispetto dovuto alla madre di tutte le Chiese, eatti ostili uscirono contro di essa. In Inghilterra EduardoIII annullava le provisioni pontificie192. In Francia il Cle-ro gallicano faceva decreti da se stesso, coi quali impone-va leggi al Papa, e Carlo VI nel 1406 gli abbracciava que’decreti come leggi dello Stato. Se il Concilio di Costanza,pressato da tutte le parti a dar di piglio alle riserve ponti-ficie, se ne rattenne per un cotal resto di riverenza versoil supremo Gerarca, succedette ben presto quello di Ba-silea più impaziente e più ardito, e ne fece man bassa: e idecreti di Basilea contro le riserve, le grazie aspettative ele annate, si accolsero come piovuti dal Cielo dalla Fran-cia che li avea provocati, e nel 1438 passarono nella trop-po famosa prammatica sanzione. La Germania ne imital’esempio tosto dopo nel 1439: e poco appresso ceden-do sempre più i sommi Pontefici, si compongono le di-scordie coi concordati di Eugenio IV e di Nicolò V deglianni 1446 e 1448193. L’abuso questa volta era dalla partedella Chiesa: dobbiamo confessarlo coi sommi Ponteficistessi, che ne convennero ingenuamente. E così l’affaredelle riserve andò a finire in modo, che la Sede apostoli-ca per cagione di esse fu tanto umiliata, quanto era stataprima gloriosamente innalzata pel trionfo da lei riportatonell’affare delle investiture.

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106.

Ma ciò che v’ha di più deplorabile, sono le conseguenzefunestissime che lasciò questo affare nella Chiesa anchedopo che fu in qualche modo terminato. La guerra del-le investiture era stata più procellosa, è vero; ma le feri-te sue erano di una natura più benigna, e più facili ad es-sere rammarginate. Roma brillava, in quel suo combatti-mento, di tutto lo splendore della giustizia, della magna-nimità e del disinteresse, e la sola forza bruta, la sola sco-stumatezza e la menzogna erano contro di lei194. Non co-sì nell’affare delle riserve. A tutte le nazioni, alle Chiese,a’ principi, in quest’ultimo affare parve non vedere atti-vo in Roma che un basso interesse. Ciò non irritava tan-to gli animi, quanto li disgustava; ed è assai men dannosal’ira, che il dispregio; è assai men perdita quella de’ be-ni temporali esposti alla violenza della persecuzione, chequella della propria morale dignità. Pur troppo la Pro-videnza divina, che volea ripurgare dalla cupidigia quel-la prima Sede cui non abbandona giammai, dovette far-le subire la prova più amara e la più rigorosa. Ella per-mise che quella cupidigia fosse vinta per le vie della vio-lenza, dell’odio e del dispregio: e pur troppo ella non ce-de giammai se non al peso della forza che l’opprime. Mala sconfitta di Roma lasciò negli animi impresse disposi-zioni a lei sì contrarie, che la Chiesa di Gesù Cristo ne ri-mase oltremodo indebolita. Questa circostanza fu quel-la che sommamente favorì le eresie del secolo XVI: que-ste trovarono i principi allassati e illanguiditi nella stimae nell’amore della santa Sede, perché di lei scandalezzati,però non disposti a sostenerla; se non anco lieti di vede-re brulicare degli audaci ribelli di mezzo al Clero stessocontro i Papi, che intonassero libertà da di sotto al giogovecchio e nojoso. Quella libertà intanto che veniva into-nata, era licenza: e diceva di più che i principi non po-tessero intendere allora: era l’indipendenza della ragio-

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ne naturale da ogni rivelazione positiva: era quel razio-nalismo fatale che, come un germe di morte, venne svi-luppandosi gli anni vegnenti nella gran pianta dell’incre-dulità, la quale aduggiò la terra, mutò i costumi sociali,scrollò i troni, e rese pensosa l’umanità su’ suoi futuri de-stini. La rivoluzione di Francia e d’Europa rimonta a sìalti principj.

107.

Un’altra conseguenza dell’affare delle riserve oltre a ognidire funesta, fu, come abbiamo accennato, la nominazio-ne de’ vescovi ceduta a’ principi secolari195, colla qualevenne scemata la libertà delle elezioni, che era pure co-stata sì magnanimi sforzi, sì lunghi pericoli, sì estremitravagli a un Gregorio VII, e per de secoli interi a’ suoiinvitti successori. Diremo che nel Concordato di Bolo-gna del 1516, per conservare alcuni vantaggi economici,Roma abbia ceduto una parte di questa preziosa liber-tà? Nol diremo noi giammai; né ci scapperà dalle labbrauna parola di biasimo sopra un atto che fece con gran-de maturità di consiglio Leone X, e che udirono leggeregli orecchi de’ Padri di un Concilio generale196. Ma chici impedirà però di deplorare le tristissime circostanzede’ tempi, che resero, siccome un minor male, necessariauna sì onerosa convenzione? Chi ci terrà dal lagrimare ladura sorte della sapienza di un tanto Pontefice, e di untanto Concilio, a cui toccò di dover pure abbandonar dinuovo al potere laicale una gran parte di quella preziosalibertà delle elezioni, per rivendicare la quale più secolidi agitazioni e di atroci discordie in tutta la Chiesa e intutto il mondo erano stati riputati bene impiegati?

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108.

Se la potenza di fatto de’ Romani Pontefici avea tocca-to, come dicevamo, il suo sommo, dopo composto l’af-fare delle investiture; era all’opposto fino allora venutacadendo la potenza de’ principi temporali. La nobiltà,coll’occasione appunto di quelle discordie, erasi solleva-ta contro di essi, e qua e colà s’era affrancata del tutto,formando in Europa de’ nuovi e minori principati. Madall’epoca della pace ristabilita, mentre la potenza papa-le, ritornando indietro dal suo apogeo, per così dire, co-minciò a decadere e decadde con quel mezzo stesso colquale secondo le viste umane pareva volesse crescer viepiù, cioè colle riserve ed altre funzioni che a sé venivatraendo, le quali empivanla d’oro; le potenze tempora-li all’incontro mettevano a profitto quel tempo di riposoa riparare le loro perdite, e niente trascuravano di quan-to potesse aumentare la loro possa ed autorità. Nel se-colo XV finalmente, un principe crudele, e che non co-nosceva ostacolo di onestà, Luigi XI, insegnò in Franciaa tutti i principi dell’Europa ad abbassare con forti col-pi ed atroci la nobiltà, e rendere il dominio reale assolu-to; e tale politica fu in sostanza ricevuta da tutte le cor-ti, sebbene non con ardimento uguale di aperta tirannia;e fu continuata con perseveranza, fino che Francesco I eCarlo V finirono di porre le basi della grand’opera, chedava alla sovranità in Europa una nuova forma e natura.Con questi ultimi sovrani ebbero a trattare i Pontefici delsecolo XVI; e il risultato di tali trattative si fu, che con-venne abbandonar loro di bel nuovo una porzione del-la libertà delle elezioni, cioè la nomina alle sedi vescovi-li, riserbata alla santa Sede la sola conferma. Questo mo-do di disciplina, che è in sostanza se non le riserve stes-se divise fra i sovrani ed i Pontefici? E questa disciplinaè quella che vige tuttavia, e che va affondando incessan-

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temente una delle più acerbe e lamentevoli piaghe dellacrocifissa Sposa di Cristo.

109.

E non tutti il veggono: egli pare che non essendo cedutaal potere temporale che la sola nominazione, riserbataal Pontefice la conferma, quella non troppo pregiudichialla ecclesiastica libertà.

Ma questa ragione che si fa militare a favore dellapresente disciplina, sarebbesi ella riputata per altro, intempi migliori, che per un cotal velo che ricuopre e nontoglie la piaga, e, se mi si permette il dirlo, per unadelusione diplomatica?

Io ne dubito fortemente. Veggiamo qual’era la manie-ra di pensare della Chiesa circa le elezioni prima di que-st’ultimo stato della disciplina; e cerchiamo d’inferirne ilgiudizio che farebbero gli antichi prelati, della nomina-zione de’ Vescovi abbandonata in mano della laica pote-stà.

In quel tempo in cui il poter laicale veniva crescendonella sua costante impresa d’invadere le elezioni, e conesse la libertà della Chiesa, cioè nel secolo IX (e nel sus-seguente, l’usurpazione giunse al suo colmo); un passo diquesta progressiva invasione fu di esigere, che l’elezionenon si facesse se non dopo dimandatone ed ottenutoneil permesso a’ principi, come abbiamo veduto. Direbbe-si, diplomaticamente parlando, ciò non toccare la liberaelezione. Pure, che ne parve alla Chiesa d’allora? Ebbea dirittura tale pretensione de’ sovrani, qual violazionedi sua libertà. L’Arcivescovo Incmaro ed altri prelati diquel tempo, vedemmo quanto s’opposero robustamentea un tal ceppo messo alle Chiese in quella occasione di-chiarando che «il dover una diocesi prima di passare al-l’elezione del suo pastore dimandarne licenza al principe,

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lo considerano siccome una necessità di eleggere quelloche al principe ne piacesse». Così stimavasi allora un ta-le attentato. Or poi che avrebbero detto i prelati di quel-la età, se in vece che del chiedere puramente la licenza dieleggere, si fosse trattato che il principe stesso nominas-se a dirittura la persona da eleggersi? Non avrebbero te-muto ancor più, che la cosa andasse a finire, così che perVescovi s’avessero quelli che al solo principe ne piaces-se d’imporre alle Chiese? E che la conferma pontificiariuscisse una formalità, la quale non si ricuserebbe giam-mai solo che la persona eletta fosse immune da pubblicio almeno da conosciuti delitti? E basta questa immuni-tà da’ delitti, perché la Diocesi abbia quel Vescovo chepiù le conviene? che più desidera? E se i desiderj delleChiese non sono consultati, se esse non sono udite, chelibertà ecclesiastica rimane, o almeno a che pro la libertàrimane?

110.

Un altro passo che diede in quel secolo il potere laica-le, che stava in ascendere nella sua influenza sulle elezio-ni, si furono le regie preghiere. Che più innocente di unasemplice preghiera? sforza essa? non possono gli eletto-ri non udirla? Or bene. Che ne parve allora alla Chiesa?Il celebre S. Ivone di Chartres, quel Vescovo così amantedella buona armonia fra lo Stato e la Chiesa197, così conci-liatore, riputava la preghiera regia un annientamento del-la ecclesiastica libertà198, e con lui fortemente protestava-no contro di quella i più intelligenti e santi prelati di quelsecolo IX. Ma or si consideri: è egli più il solo manifesta-re un suo desiderio, come faceva allora il principe aglielettori, in favore di una persona, o il nominare a dirittu-ra una persona di suo piacere? E se quella semplice ma-nifestazione del desiderio sovrano avevasi per un atten-

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tato contro alla elezione canonica, or dov’è andata que-sta libera elezione, quando i principi nominano i Vesco-vi? e i Pontefici altro far non possono in ogni caso, chenegarne la conferma? La qual conferma forse in tutti icasi possono liberamente ricusarla i Pontefici? No; maprimieramente non mai altro che allora quando il nomi-nato abbia sopra, come dicevasi, delle colpe; e non sem-pre né pure allora; ma quando queste siano potute per-venire fino agli orecchi del Capo della Chiesa; non ba-sta, di più è uopo che le colpe sieno provate sufficiente-mente. Né questo è ancor tutto; conviene che il Pontefi-ce, con negare la confermazione, non tema per avventu-ra d’irritar troppo il monarca, non tema di far nascere unmale assai maggiore nella Chiesa: e questo dipende daltemperamento de’ principi, dalla loro religione, più an-cora da’ ministri che li dirigono, e da tutto il complessodelle circostanze e relazioni diplomatiche, in cui si trovala Santa Sede. E quanto non dee mai poter esser facilead alcun principe l’incutere questo timore nell’animo delPontefice? massime in tempi d’incredulità, di freddezza,di ostilità universale contro la Sede apostolica? Dove ri-man dunque ne’ tempi nostri una verace libertà, e non diforma solamente, nelle elezioni de’ Vescovi? Che avreb-be detto adunque di un tale stato della Chiesa l’ecclesia-stica antichità?

111.

Si pare, che io non misuro la libertà che rimane in que-sti tempi alla Chiesa, colle massime de’ primi secoli: micontento di chiamare a confronto il modo di pensare de’primi prelati del secolo IX, secolo di sonno per così dire,in cui il Clero snervato era già pressoché assuefatto allaservitù dei sovrani. E tuttavia in quel secolo si conosce-va ancora che cos’era libertà, e in che consistesse. Ora

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poi veggiamo qual fosse il pensare del secolo susseguen-te, nel quale la Chiesa scosse il giogo obbrobrioso dallesue spalle, e in cui santissimi e fortissimi Papi resero la li-bertà ecclesiastica lucente siccome il sole. Veggiamo chedirebbero que’ grandi Pontefici dello stato nostro, in cuinon si fanno, in gran parte delle nazioni cattoliche, altreelezioni vescovili, che quelle che i sovrani da sé fanno;e se miseri o felici se ne riputerebbero. Basteranno duefatti.

L’orribile persecuzione di Enrico V contro PasqualeII, il carcere, le ignominie, gli stenti, la prossima morte, lestragi della città e del territorio romano, gli sforzamenti,i rubamenti, l’infelicità de’ buoni senza schermo in predaa sfrenatezza di barbare milizie non guidate ma incitatedall’ira di uno spergiuro imperatore, che poterono otte-nere finalmente dal magnanimo Pontefice? Un privilegiod’investire i Vescovi delle rendite episcopali colla vergae coll’anello; ma a condizione che questi Vescovi fosse-ro prima eletti canonicamente, liberamente, senza simo-nia, senza «violenza»199, e apposte altre condizioni anco-ra che ristringevano il privilegio. E parve ad Enrico d’a-verla spuntata, carpendo all’oppresso Pontefice un privi-legio di tal natura. E pure il privilegio non conferiva pun-to né poco facoltà all’imperatore d’ingerirsi nelle elezio-ni né nella ordinazione, e solo quella di acconsentirvi, edi mettere l’eletto in possesso del vescovato. Or che per-ciò? Tutta la Chiesa parve si sollevasse contro Pasqua-le, acclamasse aver egli diminuita l’ecclesiastica libertà, eminacciava uno scisma. E perché? per aver concedutoal re solo di fare una cerimonia poco conveniente, quel-la cioè d’investire il Vescovo colla verga e coll’anello; se-gni della episcopale giurisdizione. E pure il re protestavache non intendeva dare con quella cerimonia al Vescovose non il possesso de’ beni temporali200: ma non s’appa-gò di questo la Chiesa: conciossiaché il bastone e l’anel-lo erano veramente simboli di qualche cosa di più, e l’in-

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vestitura tenea seco la necessità dell’assenso del princi-pe, acciocché l’eletto entrasse Vescovo: indi d’ogni par-te Concilii, movimento di prelati, assemblee di Cardinalicontro la concessione strappata al Papa, e fin minaccios-si di torsi dall’ubbidienza di quel Pontefice santissimo.Per acquetare tanto subbollimento di animi non ci vol-le meno dell’eroica umiltà del Pontefice. Egli riconobbed’aver trapassato i limiti del dovere: raccolse un Conci-lio nella Basilica di Laterano, vi si presentò come reo, ac-cusò se stesso, depose le insegne pontificie, dichiarò es-ser pronto di rinunziare al pontificato per dare soddisfa-zione alla Chiesa, e commise la propria correzione al giu-dizio de’ Padri. E «quello scritto, egli disse, che io fe-ci senza il consiglio o le sottoscrizioni de’ fratelli, strettoda grave necessità, non per cagion della vita, della salu-te e gloria mia, ma per sole le strettezze della Chiesa, nelquale nessuna condizione o promessa ci obbliga, sicco-me io lo conosco per mal fatto, così per mal fatto lo con-fesso, e desidero al tutto, col divino ajuto, di corregger-lo: e il modo di una tal correzione io lo rimetto al con-siglio e al giudizio de’ miei fratelli qui convenuti; accioc-ché non nasca forse per ragion d’esso in avvenire qual-che danno alla Chiesa, o qualche pregiudizio all’animamia». Il Concilio, esaminato l’affare, pronunciò posciaquesta sentenza: «Quel privilegio, che non è privilegio,né dee dirsi tale, che fu estorto dalla violenza del re En-rico per la liberazione degl’imprigionati e della Chiesa,dal Signore Pasquale Papa; Noi tutti congregati in que-sto Concilio col Signore Papa medesimo lo condannia-mo di canonica censura, e coll’ecclesiastica autorità, pergiudizio dello Spirito Santo, e lo dichiariamo irrito, e deltutto il cassiamo, e sotto pena di scomunica sentenziamoche non abbia né molto né poco di autorità e di effica-cia». E di una simigliante sentenza si dà la seguente ra-gione: «Per questo egli è condannato, che in esso privi-legio si contiene che quegli che è canonicamente eletto

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dal Clero e dal popolo, da nessuno sia consecrato primache dal re non venga investito. Il che è contro lo SpiritoSanto, e l’istituzione de’ Canoni»201.

In tal modo que’ Padri, e tutta la Chiesa d’allora nongiudicava tollerabil cosa, che un Vescovo, sebbene elet-to legittimamente dal Clero e dal popolo, avesse bisognodell’assenso e dell’investitura del principe per dover esse-re consecrato. Or che ne sarebbe loro paruto, se Pasqua-le avesse anzi distrutta la libera elezione canonica, privi-legiando l’imperatore di tanto, che solo un suo nomina-to potesse essere consecrato Vescovo? O non avrebberostimate troppo più deplorabili di quelle in cui si trova-va Pasquale202, le circostanze del secolo XVI, nelle qualiun Pontefice era condotto a tal termine di stimare minormale alla Chiesa di Dio il concedere che i Vescovi venis-sero nominati da un principe secolare, che non patirsi leconseguenze di un tale rifiuto? Io m’astengo da soprag-giungere altre riflessioni a questi fatti, ma credo che purmeritino una profonda meditazione.

112.

E si desuma il giudizio che avrebbe fatto la Chiesa cheviveva nel secolo XII, della nomina regia, da un altrofatto avvenuto sotto Innocenzo II. Morto l’Arcivescovodi Bourges, Luigi VII lasciava ampia libertà al cleroe popolo di quella Chiesa di eleggersi il suo Prelato;solo apponeva condizione, che non si volesse eleggerePietro di Castra, e avea giurato di non volerlo Vescovo.L’elezione cadde nulladimeno su di lui. L’eletto fu aRoma, il Papa lo inaugurò, senza ammettere l’eccezionedel re «e giudicando non vi fosse vera libertà di elezioneove il principe potesse eccettuare alcuno di suo volere,almeno se non provasse innanzi a un giudice ecclesiasticoche all’eletto mancassero le condizioni necessarie per

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eleggersi, nel qual caso il re, come ogni altro fedele,doveasi ascoltare»203.

Or non trattavasi qui che di lasciare al re l’esclusionedi una persona, e questo ancora riputavasi da que’ gra-vissimi Pontefici violazione della ecclesiastica libertà: pe-rocché la libertà è cosa dilicatissima, e riman veramented’ogni poco vulnerata. Or che dunque al giudizio di unInnocenzo II sarebbe paruto, se trattato si fosse di da-re al re non l’esclusione di una sola persona, in una soladiocesi, e per un solo caso accidentale; ma bensì la nomi-nazione di tutti i Vescovi del suo regno per sempre? Do-ve sarebbe andata agli occhi suoi la libertà della Chiesa,per que’ tempi ne’ quali si fosse intavolato un tal proget-to, ed avesse avuto luogo? Né si faccia insulto alla me-moria di que’ sommi Pontefici che sì nobili e vere ideeconservavano della libertà, di cui Gesù Cristo ha deco-rata la Chiesa sua204, dicendo che il loro modo di pen-sare era esagerato, come prontissima è sempre a dire l’i-gnoranza e la cupidigia umana. Perocché io mi appello aqualsivoglia de’ più grandi e santi e discreti uomini chefiorissero nella Chiesa in questi tempi: io mi appello a unS. Bernardo, il cattolicismo del quale veniva recato a mo-dello dallo stesso Napoleone; e il discretissimo Abate diChiaravalle non la intendeva punto diversamente da In-nocenzo II; e in supplicando a lui di voler condiscende-re per una volta a Luigi VII, col lasciar eleggere alla Se-de di Bourges un altro Vescovo fuor di Pietro di Castra,non disconveniva però punto né poco da’ sentimenti delPontefice. Perciocché sebbene fosse lealissimo e liberis-simo il sant’uomo nel modo di scrivere a Roma, tutta-via in questo negozio egli toglie ad intercedere pel re co-sì scrivendo a’ cardinali: «Di due cose noi non iscusia-mo il re; dell’aver giurato illecitamente, e del perseverarenel suo giuramento ingiustamente. Ma ciò egli fa non divolontà, ma per verecondia. Perocché egli reputa igno-minioso (siccome ben sai) presso i Franchi non mantene-

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re il giuramento, tuttoché abbiasi pubblicamente giura-to male (quantunque niun savio dubiti che i giuramentiilleciti non han vigore). Ma nulladimeno confessiamo dinon poterlo scusare né anco in ciò: né noi togliam puntoa scusarlo, ma domandiamo perdono per lui: Conside-rate voi se mai possa scusarsi in qualche modo l’ira, l’e-tà, la maestà. E si potrà, se voi vorrete che la misericor-dia sia esaltata sopra il giudicio; intantoché s’abbia qual-che riguardo ad un re e fanciullo per forma, che per que-sta volta gli si perdoni con un cotale temperamento, chenon abbia mai a presumer cotanto per l’avvenire. E ap-punto gli si perdoni, io vorrei dire, s’egli è possibile. Ri-manendosi però salva in tutte le sue cose la libertà dellaChiesa, e conservando la dovuta venerazione all’Arcive-scovo consecrato dalla mano apostolica. Questo è quelloche lo stesso re umilmente dimanda, questo di che tuttala nostra già troppo afflitta Chiesa supplichevolmente viprega»205. Non trovava adunque S. Bernardo che si po-tesse scusare un principe, il quale intervenisse nella ele-zione de’ Vescovi coll’escludere pur una persona di quel-le che potrebbero essere elette: e riconosce in ciò una fe-rita dell’ecclesiastica libertà. Or secondo questi princi-pj, che sono immutabili nella Chiesa di Dio, che cosa di-vengono le nomine regie? Il tempo nel quale esse sonointrodotte si dovrà dire tempo di libertà o servitù? Do-vranno i figliuoli della Chiesa rallegrarsi, o piangere delloro secolo?

113.

Ma per conoscere via più la natura maligna di questapiaga della Chiesa, si consideri che colla nominazioneregia si sono abbandonate tutte le massime più reverendeche la Chiesa in tutti i secoli avea seguitate circa leelezioni, e delle quali s’era mostrata oltremodo gelosa. Si

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considerino queste grandi massime (perite in quanto alloro uso nella Chiesa l’anno 1516, ma vive però semprenel desiderio) una ad una.

Massima inviolabile della Chiesa si fu che «a Vescovovenga eletto il migliore di quanti se ne possono avere»; equesta massima è giusta, evidente, conforme ad un’altaidea del vescovato. Non tiene la Chiesa, che aver vipossa una certa determinata dose di dottrina, di bontà,e di prudenza, la quale possa esser bastevole ad un tantoufficio, sicché il di più sia soverchio; ma anzi tutti i pregidi un uomo quantunque molti e grandi sieno, gli pajonpoco a quel carico, che si diceva «pauroso ad omerid’Angelo». Però non potendosi avere chi si adeguasse atanta dignità, si voleva almeno eletto Vescovo il miglioredi tutti fra quanti si potessero rinvenire206.

Ora il concordato che stabilisce la nomina regiafu necessitato di sostituire all’antica un’altra massima,cioè che il nominato debba essere «un uomo grave,maestro in teologia o in diritto, e che almeno abbiaventisett’anni»207. Non più dunque il migliore si richie-de, ma un uom sufficiente. Vero è che il principe, a cui èrimessa la nomina, non è sciolto dall’obbligo di eleggereil migliore; ma qual garanzia ne ha la Chiesa? la Chiesanol può rigettare, se non nel caso che «il nominato nonsia uomo grave, e maestro in teologia, o dell’età prescrit-ta». Qual garanzia ne ha la diocesi particolare alla qua-le è destinato? quando questa se lo eleggeva, ella se neassicurava da se stessa; quando gli era dato da’ Vescoviprovinciali, o dal sommo Pontefice, era al fin sempre laChiesa cattolica che ne faceva la scelta; ed ella sapeva, el-la dovea sapere quello che le conveniva; in caso contra-rio faceva male a se stessa, nessuno le facea ingiuria. Mavenendole imposto, dee prenderselo, purché egli sia suf-ficiente. E che vuol dire uomo grave e laureato in teolo-gia? Che vuol dire un uomo di ventisette anni? Quandoanco il processo che ne fa la santa Sede avanti di confer-

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marlo, fosse una garanzia alla Diocesi, che cosa garanti-rebbe questo processo? Che il vescovo è un uomo gra-ve, è un laureato. E dee poter bastare ciò ad una Dioce-si? ogni uomo grave ed ogni uom laureato sarà un Ve-scovo conveniente per essa? Ove anche mi astenga daldimandare se sarà il più conveniente; quanta latitudinenon lasciano queste parole di uomo grave, e di dottore,e di ventisett’anni? Quale e quanta gradazione fra uo-mini gravi? quanta diversità di dottrina fra quelli chehanno ricevuto l’alto onore della laurea? Ci fermiamonoi a parole, o guardiam le cose? Confidiamo nelle no-stre Università? la dottrina delle quali è ella tutta piovu-ta dal cielo? sarà la dottrina di Salomone? è da per tut-to buona, sicura? In fine adunque a che ci ridurremo, senon ad aver de’ Vescovi, il cui pregio sarà negativo, cioèche saranno uomini a cui non si potrà trovare alcuna gra-ve, pubblica macchia? L’ispezione della santa Sede cer-to non può andar più oltre, e se potesse e volesse, la suabattaglia co’ principi sarebbe continua: il Vescovo adun-que è finalmente eletto, non perché in lui si accumuli ilmaggior numero di pregi, ma perché non v’è crimine, o adir più veramente, accusa certa contro di lui. Ora una ta-le bontà negativa basta ella a formare non dirò un buonVescovo, ma né pure un buon cristiano?

114.

Un’altra massima inviolabile della Chiesa circa la elezio-ne de’ Prelati, fu sempre «che fosse eletto un Sacerdoteconosciuto, amato e voluto da tutti quelli a cui egli deecomandare»208; il che è quanto dire da tutto il Clero e po-polo della Diocesi a cui è destinato. Può avervi adunqueuna persona fornita di rari pregi, e non bastare ancoraad essere il Vescovo in una Diocesi, secondo le sante eantiche massime della Chiesa, o sia per esservi ignoto; o

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per non avvenirsi al carattere di quelli che debbon esse-re suoi sudditi, o per esservi, qualunque ne sia la cagio-ne, mal voluto da loro. Una Chiesa è come una personache ha confidenza in un ministro dell’altare, e non in unaltro; e il suo desiderio di avere a Padre e Pastore coluiin che ella ha più di confidenza, è ragionevole e buono; eperché non sarà soddisfatto? Ora se il principe nominail Vescovo, il comun voto resta le più volte inadempito.La massima adunque piena di prudenza e di carità, chela Chiesa ebbe sempre nella nominazione de’ Vescovi, èsovvertita.

115.

Una terza massima invariabile nella Chiesa fu quella,che «a Vescovo si eleggesse un Sacerdote, che fu lungotempo ascritto al Clero della Diocesi che dee governare,e non mandatovi nuovo da straniero paese»209. Chi èvivuto e per così dire invecchiato nella Diocesi, conoscele cose, le persone, i bisogni ed i mezzi convenienti asoddisfarvi; è conosciuto e stimato pe’ lunghi servigi dalui prestati; è già antico padre di quel popolo, anticoconfratello di quel Clero; ed oltre la luce delle sue virtù,il debito della gratitudine alle sue lunghe fatiche, e lastessa dolce consuetudine con lui, gli legano tutti glianimi, e glieli inchinano a riverenza. Or anche questamassima sì luminosa, sì evangelica, rimane soppiantatacolla regia nominazione. Egli è ben naturale; il re chenomina, non può, o non vuole badare, o finalmente nonbada a queste cose; e manda alla Diocesi le personea lui ben volute, d’onde che sia, e non solo da fuordi Diocesi, ma da fuor di Provincia, ma fino d’altroclima e nazione. Ora uno straniero, fors’anco con altrolinguaggio in bocca, fors’anco d’un paese abborrito perle rivalità nazionali, fors’anco non conosciuto per altra

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fama da quella che il dice favorito del principe, uomdestro, e buon cortigiano, sarà egli questi il confidente,l’amico di tutti? sarà quel padre riverito da cui sonostati generati molti, e a cui molti si dieno ad essererigenerati? Qui non si tratta di sapere se un popolodi santi potesse santificarsi anche sotto un tal Vescovo:piuttosto è a dire, che se si suppone un popol di santi, ilVescovo è inutile. Ma se si suppone il popol cristiano talequale egli. è, e lo si vuol ridurre a praticare il Vangelo,altri Pastori e non cotali, ci bisognano. Se poi si vogliasbattezzare il mondo, si seguiti a far così, e vedremoquanto a lungo i principi possano governare il mondodopo averlo sbattezzato.

116.

Si dirà: un buon principe potrà da sé mantenere inqualche modo queste massime della sacra antichità, allequali la Chiesa non può in alcun tempo rinunziare. Main tal caso perché la Chiesa non ha fatto il patto che iprincipi nascano sempre buoni?

Di poi, ove anco il principe sia buono, si pretenderàda un laico, sparso in tante cure e in tante delizie quantegliene apportano il temporale governo e l’uso della corte,ch’egli sia un profondo teologo? Che conosca le massimepiù gravi e più profonde della ecclesiastica disciplina?che ne senta la suprema importanza? e che abbia unozelo apostolico da preferirle ad ogni altro interesse? eda tenerle ferme contro la seduzione, l’adulazione, ilraggiro, le passioni cupe, infaticabili, turbinose di tuttiquelli che lo circondano? dal cui consiglio, e dal cuiministero dipende? E chi presumerà mai tanto di unpovero mortale?

Diasi anche questo nuovo portento; egli non basta.Oltre saper le massime inviolabili della ecclesiastica di-

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sciplina, e volerle mantenere, egli dovrebbe poterlo. Maa poterlo, converrebbe ch’egli conoscesse ogni Chiesaparticolare, altrettanto come ogni Chiesa particolare co-nosce se stessa; dovrebbe trasformarsi egli in ogni Chie-sa, dopo essersi trasformato nella Chiesa universale. Echi non sente l’impossibilità di ciò fare? Ma finalmen-te, senza andare più in lungo, basterà a illuminar la cosaun principio certissimo, confirmato dalla esperienza uni-versale, e risultante dalla natura umana, e da quella dellecose, che è il seguente: «Ogni corpo o persona morale,in generale parlando, è la sola atta a giudicare quello chemeglio gli convenga», perché è illuminata dal proprio in-teresse, del quale non si dà scorta più sicura e più vigi-lante. Qualunque eccezione si voglia dare a questa legge,che presiede a tutte le corporazioni, a tutte le società, el-la si troverà sempre vera in generale, e più vera che maiparlando della Chiesa, l’interesse della quale è spiritualee morale, e però diritto e semplice, coerente a se stesso, epieno di luce. Or da ciò risulta, che se le Chiese ricevonoda altri i loro Pastori, questi non potranno giammai esse-re loro dati con quella quasi infallibilità di giudizio, col-la quale esse le Chiese li potrebbero dare a se stesse, e seli sono dati per tanti secoli; e ciò è sufficiente a conosce-re, che il loro diritto in tal modo riman pessundato; im-perciocché come si può negar al popolo di Dio il dirittodi aver il miglior Pastore possibile?

La Chiesa che elegge il proprio Pastore ha un interessesolo, quello delle anime; il principe ne ha molti. Èegli verisimile che il principe fra’ suoi molti interessi,e fra i molti interessi de’ suoi aderenti faccia dominaresempre nella nominazione de’ Vescovi come supremol’interesse della Chiesa? È egli possibile che nel suoanimo il pensiero del ben della Chiesa sia continuamentepresente e così forte da lottare con tutti gli altri pensierie vincerli? Quale eroe, quale apostolo non sederebbeallora sul trono?

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Il principe dovrebbe contentarsi che il Vescovo fosseun suddito fedele a tutte prove; ed è impossibile che nolsia, se sarà un uomo santo, pieno il petto dello spirito delVangelo e della Chiesa. Ma egli non deve esigere nulladi più dal Vescovo; non dee esigere che il Vescovo siaun suo agente secreto, e se mi si permettesse di dirlo, unmisero impiegato di polizia. Ciò snaturerebbe il caratte-re Vescovile, e violerebbe la massima fondamentale del-l’Episcopato. «Niuno che militi a Dio, s’implica di ne-gozj temporali»; massima sì delicata, che si viola fin co’pensieri. In somma v’ha differenza fra la fedeltà evange-lica che nasce dalla coscienza e che ha per fondamentola rettitudine della giustizia, e la fedeltà politica che na-sce da vincoli di umano interesse, e non intende alla giu-stizia, ma ha per fondamento l’utilità. Il Vescovo è l’uo-mo della giustizia, e dee poterlo essere liberamente; e ilprincipe cristiano non deve istituire una speculazione népolitica né economica sul suo sacro carattere. Ma purquale è la principal guida del principe, parlando di buo-na fede e in generale, se non la politica? E in tutti glialtri affari, fuori di quelli della Religione, potrebbe egliaverne un’altra? Come adunque un tale e tanto affare, lanomina de’ Vescovi, in cui niuna mira politica, ma solouna mira tutta pura e spirituale dovrebbe aver luogo, sa-rà egli bastevolmente assicurato, ove sia commesso allemani di un uomo, cui le sue circostanze, le sue abitudini,l’educazione, gli esempi sforzano ad operar sempre poli-ticamente? Dovremo aver tanta fiducia da riposarci tran-quilli, non dubitando punto che appresso di lui gl’inte-ressi della Religione non prevalgano sempre a quelli del-la politica? E che dico io, dicendo la politica? Non forsetal cosa che sempre è desta a trar da tutto vantaggio, chesuol nutrirsi di ogni cibo, e distillare ne’ suoi lambicchitutto ciò che le venga alle mani? Ed ora il Vescovo elet-to dalla politica che sarà? Lasciol pensare a chicchessia.Ha dunque bisogno la Chiesa di figli della politica?

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117.

Fu un tempo, che guerra accanita si mosse dalla Chiesaalla simonia; della quale non si credeva che aver vi po-tesse vizio alla Chiesa o più dannoso o più obbrobrioso.Ma la simonia secreta non è ella meno per questo simo-nia? La simonia disguisata dalla politica è ella meno soz-za e trista? La cancrena che non duole è ella manco mor-tale della piaga che duole e fa metter guai? E i fini tem-porali che si mescolano alle nominazioni de’ Vescovi; ei mezzi destri pei quali ottener le sedi dal principe, sonoforse altro che simonia? simonia raffinata, sì, decente, efino modesta: non ributta colla sfacciataggine, non duo-le insomma: mal segno, dico io! la cancrena è fatta, e civuole il ferro.

È vero che i processi per simonia nei nostri tempisono scomparsi? Chi oserebbe intavolarli? Ma è forsequesto il certo segno che sia veramente cessato quelturpissimo vizio, o piuttosto che abbia trovato una roccainespugnabile dove non può essere più assalito?

Perché mai il principe mette tanto impegno a tirare asé le nomine de’ Vescovi? è forse il bene della Chiesa chein ciò gli sta a cuore? Se questo fosse, egli è evidente chelascerebbe scegliere i Vescovi alla Chiesa stessa; peroc-ché è impossibile che egli si presuma di poterli sceglieremeglio di lei. È per aver ne’ Vescovi semplicemente de’sudditi fedeli, secondo le massime del Vangelo, e secon-do lo spirito della Chiesa? Se questo fosse, egli dovreb-be per ciò appunto lasciare alla Chiesa stessa l’eleggerli,giacché più un Vescovo è degno di tal carattere, più an-che è santo, più è uomo apostolico, e più è altresì fede-le, di una fedeltà netta e cristiana. Badisi bene: dico fe-dele, anche a costo della propria vita; non dico adulato-re, non dico cortigiano, non dico brigante, non dico ligioservilmente a tutti i voleri, i pensieri conosciuti, sospet-tati del re, del ministro, del Governo, cui pur a lui so-

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vente toccherebbe d’illuminare e guidare col codice delVangelo, di cui è l’interprete210. Se non è questa la ragio-ne per la quale il principe mette tanta importanza nell’a-ver in mano le nomine vescovili, egli è manifesto che cer-ca in esse un sostegno positivo, e non morale, ma politi-co della propria possanza, non divino, ma umano, un so-stegno qualunque, non un sostegno puramente giusto. Enon siamo con ciò nella simonia? Non è dunque simo-niaca la causa, la radice delle nomine secolari? La Chie-sa non è con ciò snaturata? L’episcopale officio non èavvilito e guasto? Per vero, che se il sovrano temporalecercasse con pura intenzione il solo bene spirituale dellaChiesa, quando anche toccasse a lui nominare il Vesco-vo, egli non vorrebbe punto fidarsi né di se stesso, né de’ministri suoi; ma vorrebbe sì bene prendere a sua pro-pria consigliera la Chiesa stessa, attenendosi fedelmenteai consigli della medesima211.

118.

Ma io dico di più: il lasciare la Chiesa libera nella sceltade’ suoi Pastori appartiene al vero interesse temporaledel principe. Questo sembrerà un paradosso nel primoaspetto, e così l’hanno giudicato fin qui i politici volgari.Ma sollevandosi a considerazioni più elevate, facendoun calcolo degli interessi più esteso, più profondo, sitermina ritrovando essere una verità di fatto, questo lietoprincipio: «Ciò che è giusto e conforme allo spiritodella Religione cristiana, è anche più utile in generale alprincipe cristiano»; dico in generale, cioè supponendoloreso massima di stato. Applichiamo questo principio allamateria di cui trattiamo.

Un Vescovo che non è eletto dal principe, sarà unmediatore tra il principe e il popolo. Il principe puòinteramente contare su di lui, giacché in tutti i tempi la

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Chiesa cattolica ha sempre inculcato ai sudditi la dottrina«che a loro non lice ribellarsi al proprio principe perqualsivoglia cagione». Il Pastore della Chiesa adunquepiù che sarà investito dello spirito ecclesiastico, più chesarà l’eletto della Chiesa stessa, e più altresì sarà costantenell’inculcare ai popoli la sommissione, l’ubbidienza, lasofferenza anche nelle più grandi oppressioni. Il popolopenderà dai labbri di lui che gl’insegna la mansuetudinee gliene dà l’esempio, in cui vede un uomo imparziale,un sacerdote di Cristo che non ha altro codice che ilVangelo. Ma se i Vescovi sono dati dal principe, se ilpopolo vede in essi altrettanti impiegati del sovrano, seli considera come parte interessata avente un medesimointeresse in solido col principe, come riceverà le loroparole? Esse perderanno tutta la forza morale; e questaforza della religione, che è pur tanta, non potrà piùprestare al principe alcun servigio, giacché quando unmediatore diventa parte, egli cessa con questo stessod’essere mediatore. Il principe avrà bensì un sostegnopolitico nel Clero, in quanto è divenuto una sezionedella nobiltà, in quanto conta nel suo seno de’ fortiproprietarj, ed ha per le sue ricchezze molte aderenzecivili; ma la forza che è propria della Chiesa, la forzadel Vangelo, e che è di un invincibile effetto, la forzache ha la giustizia ne’ cuori degli uomini, la forza che haDio stesso, e che ha sottomesso il mondo, questa forzanon esiste più in quei paesi dove i Vescovi son posti daiprincipi, e quindi il principe per avidità d’aver troppo, haperduto il più. Bensì nasce da ciò un indicibile danno allaReligione, la quale è fatta odiosa al popolo, e partecipedi tutto l’odio che le fazioni politiche possono concitarecontro i principi, e in tale stato tanto è lungi ch’ellapossa sostenere il trono, che anzi non vale né pure piùa sostenere se stessa. Questo è ciò che abbiamo vedutoavvenire in Francia a’ giorni nostri. Quel Clero non hapotuto frenare il furore della ribellione di cui è stato la

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vittima insieme co’ re di quella nazione, appunto perl’insolidarietà politica formatasi in quello Stato del Clerocol principe, appunto perché quel Clero fu l’eletto delprincipe stesso. Grande e spaventevole lezione? Era purdotto, era pur pio, era pure eroico quel Clero intrepidoche è caduto senza avvilirsi sotto la ghilliottina; e tuttavianulla poteva in quella nazione per altro non insensitivané alle voci del cristianesimo, né alla generosità dellavirtù. No, non bastarono tutte le doti più splendide: ilGallicanismo lo ha perduto: egli insegnava una Religioneregia: egli aveva il peccato originale, poiché la voce delre lo costituiva: bastò questo perché fosse il segno ditutti gli obbrobrii e di tutte le amarezze di cui fu sìabbondantemente abbeverato: quell’odio non fu odiodel Clero, fu odio del re, che perseguitava anche nelClero, e col Clero la Religione.

119.

Si faccia un’altra riflessione. Per un conquistatore, perun avventuriere che cerca di usurpare un trono, io inten-do benissimo che potrà essere utile l’aver de’ Vescovi chepreferiscano i beni temporali alla Religione, e che venda-no a lui le anime loro. Ma per un principe cristiano, rico-nosciuto per legittimo, io sostengo che non v’è altra utili-tà maggiore di quella di avere nel suo regno degli uominispassionati, che sappiano dire a lui la verità, anche a co-sto d’incorrere nella sua disgrazia. Io sostengo, che perun principe cristiano non si dà utilità maggiore di quel-la di poter ben conoscere, e assicurarsi in che consistala giustizia, e in che consista il vero vantaggio della Re-ligione cristiana. Ora, ciò posto, per aver sui troni dellaChiesa di tali uomini integerrimi, non vi può essere sicu-ramente modo migliore, che il riceverli dalla Chiesa stes-sa, la quale ha lo spirito di Dio: quando forse non si pre-

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tenda che il governo secolare conosca ed abbia lo spiri-to di Dio più del Clero e della Chiesa. A tal segno io cre-do ciò vero, che se il principe volesse aver per Vescovidegli uomini al tutto leali, e liberi annunziatori della ve-rità, e pur volesse e sapesse eleggerli egli stesso, dovreb-be, operando con avvedimento, non farlo che in occul-to, cioè non facendo sapere a nessuno che l’elezione vie-ne da lui, perché il solo saperlo, basta acciocché egli siaingannato. Ma chi conosce il prezzo di quella modesta,ma però candida libertà evangelica, propria del carattereepiscopale? Qual principe, o qual politica si leva tant’al-to da potersi accorgere che quella libertà evangelica de’Vescovi impedirebbe il governo dello stato dal trabocca-re negli eccessi, sarebbe quella che varrebbe a trattenerloindietro dall’orlo dell’abisso, in cui o l’inconsideratezzao le passioni de’ governanti talora lo spingono? QuantiStati sarebbero stati salvati dalle rivoluzioni e dall’anar-chia, se questa preziosa libertà, vero aroma che dove sitrova, impedisce gli Stati cristiani dal corrompersi, fossestata, secondo che ella si merita, apprezzata? Ma, comedicevo, in vece di calcolare il vantaggio di questo freno,che troverebbe l’ingiustizia e la passione degli imperan-ti, tanto vantaggioso alla loro propria conservazione; simette dalla inconsiderata prudenza del mondo per uni-co scopo della politica un cieco, illimitato, continuo au-mento di potenza, e si considera come cosa antipoliticaogni limitazione messa al potere del governo; quasichéun potere dopo aver rimosso da sé ogni limite anche giu-sto, cioè dopo essere arrivato a poter liberamente operartutto ciò che gli venga in mente, sia giusto o sia ingiusto,potesse sussistere; e non anzi trovasse la sua distruzioneappunto in questa illimitazione di potenza. Un monar-ca pienamente assoluto, non potrebbe sussistere né pu-re pochi giorni sul trono: e i limiti che sogna distrugge-re nell’ordine del diritto, li trova raddoppiati e raggra-vati nell’ordine del fatto. Perciò fu osservato con avve-

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dimento, «che quando i principi vollero scuotere d’ad-dosso ogni soggezione alla Chiesa, essi si trovarono ve-ri schiavi del popolo»: e questo solo spiega tutte le cir-costanze politiche de’ nostri tempi. A dispetto delle te-nebre che hanno sparse i sofisti nemici de’ troni e insie-me loro adulatori, e de’ pregiudizj sistematici da’ qua-li sono macchiati gli storici moderni che hanno parlatodel secolo XI, io mi permetto di far qui una riflessione,e mi appello agli uomini più spassionati e più penetranti,che dicano se non è giusta, e la riflessione è la seguente:«Allo stesso imperatore Enrico IV, dico io, fu veramen-te giovevole anche nell’ordine temporale il Clero liberorappresentato da Gregorio VII, e in apparente opposi-zione con lui, mentre il Clero suo schiavo e adulatore fula vera cagione della sua rovina». Strana affermazione; epur facile a provarsi. Basta considerare che avvenne co’baroni Tedeschi. I signori Sassoni e Tedeschi indispet-titi per le sue sfrenatezze ed estreme tirannidi, ribellan-dosi a lui, si lagnavano altamente della lentezza e mode-razione del Papa, e minacciavano di eleggersi da sé soliun nuovo imperatore, senza aspettare il giudizio del Pa-pa. Questi all’incontro era quegli che tirava in lungo, vo-leva accomodar le cose, e faceva realmente da mediato-re fra il Sovrano e quei Signori, desiderando di protrarrea veder se forse Enrico rientrasse in ragione, nel qual ca-so prometteva anzi di sostenerlo. Se non che que’ prin-cipi, menati a lungo e insofferenti, elessero, senza aver-ne il consenso del Papa che sempre stava per la concilia-zione, Rodolfo duca di Svevia, il che rese interminabileil litigio, e perdette Enrico. Ora, se Enrico si fosse tenu-to al Papa, egli sarebbe stato uno de’ più grandi impera-tori, le dissensioni si sarebbero aggiustate appunto col-la mediazione del Clero libero, che per la sua libertà eraascoltato, era atto a tale mediazione. Ma chi tolse all’in-contro ad Enrico questo vantaggio? Chi lo condusse asì mal termine di morire detronizzato, ramingo, povero?

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Non altri che il suo Clero schiavo, a cui avea egli vendutoi vescovati. Questo Clero fu che il consigliò ciecamente,non a mantenere una giusta autorità, ma ad appropriar-si ostinatamente una autorità senza freno di giustizia, unvano diritto di prepotenza che il mettesse in istato di fa-re così il male come il bene senza ostacolo; anzi una au-torità di far il male, giacché quella di fare il bene da niu-no gli era contesa. Questo Clero perdette dunque Enri-co; un Clero fedele, non di fedeltà politica, ma di fedeltàevangelica, l’avrebbe salvato212.

120.

Ora questa voglia di cercare nell’Episcopato un sostegnoper fas et nefas, un mezzo, non che renda ai popoli rive-rita un’autorità giusta, ma che li faccia schiavi di un’au-torità qualunque; questo principio, di cui è tanto diffici-le che si spogli il governo laicale, è quello appunto cheil muove anche a nominare i Vescovi fatali alla Chiesa, iquali abbiano per avventura (ed oggidì non se ne può ameno), una cotale ecclesiastica apparenza, ma infatti nonsieno liberi ministri di Dio, ma servi del principe vestitida Vescovi. Perocché per la fedeltà che si cerca in essi,nascendo da motivi umani, conviene aver persone le qua-li facciano molto conto de’ beni umani, e conviene evita-re diligentemente la nomina di quegli uomini eccelsi so-pra tutte le cose terrene, i quali nelle ricchezze e nelle di-gnità che ricevono dalla mano del principe non ravvisa-no che una miseria loro sopravvenuta, ed un grave peso,a cui sommettono le spalle senza giubilo, ma con rasse-gnazione e per amore d’Iddio213. Questi uomini evange-lici, cui la verità fece liberi, sono anzi temuti dalla mon-dana politica, siccome scogli e impedimenti alle sue vaneintraprese; e però la Chiesa ne vede sì radi risplendere (ilcontrario de’ primi tempi) sulle sedie episcopali, e man-

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ca il mondo d’ingenui annunziatori dell’Evangelio, man-ca la giustizia eterna di maestri e di Sacerdoti, e mancanoi principi di veramente fedeli amici e consiglieri.

E questa stessa ragione che il Vescovo dee poter es-sere uomo tale da render servigio leale al suo principecolla manifestazione della verità, riprova quello che di-cevo innanzi, non bastare all’episcopato degli spiriti me-diocri. Troppa fortezza e troppa prudenza esige un taleufficio. E troppa magnanimità ha comandato al Vesco-vo Colui che disse: «Il buon pastore dà la vita sua per lepecore»214. Queste non sono parole di consiglio, ma distretta obbligazione; e però quegli che sarebbe un uomoonesto nella vita comune, sulla cattedra vescovile non sa-rà più che un lupo, o un cane muto, come la Scritturachiama i pastori che non sanno morire, o latrare. E qualre si fa coscienza di non nominare a Vescovo se non uo-mini che mostrino un petto sì integro e forte, che per nontacere all’uopo la verità, sappian morire?

121.

Altri incomodi si aggiungono a tutti questi dalla regia no-mina. I re ed i governi considerano i Vescovi come al-trettanti impiegati politici, vengono guidati a sceglierlida quel sistema medesimo che prevale nel governo. Pe-rocché naturalmente si esige che tali Vescovi abbiano an-ch’essi abbracciate le stesse massime politiche. I Vesco-vi in questo stato di cose non possono più restarsi paghie contenti dello studio delle eterne regole di verità e digiustizia, astenendosi dal prendere un partito nelle poli-tiche dottrine, e contentandosi di mantenere e conserva-re la pace e l’amore fra gli uomini colle massime univer-sali e divine del Vangelo. Quindi è inevitabile, ove la no-minazione de’ Vescovi si trovi in mano del potere laica-le, che il sistema che presiede alla medesima sia variabi-

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le, come variano i principj de’ gabinetti e i ministerj: chesi scelgano perciò a Vescovi oggi uomini di un certo co-lore, e dimani uomini di un altro, senza che mai venga iltempo che si scelgano uomini candidi, e di nessun colo-re. Intanto a tutti gl’interessi ed alle stesse passioni pri-vate è provveduto con tali nomine, fuorché al bene spi-rituale de’ popoli, ed alla conservazione della Chiesa diGesù Cristo.

122.

Io non entro ad esporre tutto ciò che avrebbe a temerla Chiesa e lo Stato medesimo dalla regia nomina de’Vescovi, quando il sovrano sgraziatamente nascesse unoscimunito o diventasse un uomo empio, e inimico del-la Chiesa, o quando avesse al fianco de’ ministri empj ealla Chiesa inimici. Troppo è noto che cosa è stato fat-to in tali casi: come troppo è noto altresì con quanta fa-cilità i principi sieno stati sempre ingannati dagli ereticiavidi maestri di menzogna, di cortigianeria e di seduzio-ne religiosa, dalla sottil malizia de’ quali, che sempre for-micolano per le corti, e in esse cercan fautori, non dicosolo i mali principi, ma gli ottimi, e segnatamente quel-li che del ben della Chiesa hanno più ardore, rimanganopiù miseramente irretiti e sedotti215. L’eresia si mantel-la sotto il velo di pietà: e la teologia de’ laici non è sì fi-na da doverla potere discoprire sì tosto: quella parla dol-ci parole, fomenta l’ambizione, è indulgente alle passionimolli, e nulla le costa il simulare e mentire. Quindi an-che i principi ottimi nominano in tali tempi de’ veri ereti-ci che pur simulano dottrina cattolica, fino al tempo cheresi forti, e già guastata la nazione, depongono anche leapparenze, traendosi la maschera dal volto. Tutte questecose sono nelle storie recenti della Chiesa. Ma io parlerò

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di un pericolo ancor più tremendo perché più occulto, opiuttosto di un male presente.

123.

Una infaticabile potenza lavora oggidì e da molto tempoin ogni angolo della terra, per diffondere i semi più ve-lenosi di scisma nella Chiesa di Dio. Si è fabbricato purtroppo un sistema scismatico; ma lo scisma non si ve-de ancor punto, perocché non si vede mai fino che nonè scoppiato; e intanto i fautori (molti de’ quali sono inbuona fede) di questo sistema, parlano delle parole lepiù seduttrici ed insidiose negli orecchi di tutti i principidell’Europa, e fanno loro sventuratamente credere, chequel sistema sia un baluardo necessario della loro auto-rità e potenza, ed enunciano il sistema contrario, che è ilcattolicismo, colle accuse le più ingiuriose, spacciandolosiccome una pura umana invenzione, un maligno trovatodell’ambizione del capo della Chiesa. E come non reste-ranno sedotti i monarchi? Possono essi avere tanta pe-netrazione, tanta spassionatezza, tanto amore della veri-tà, che formino un giudizio retto fra il sistema scismati-co di cui parliamo, e la vera dottrina della Chiesa? Cer-to nol possono; e per essi a trovare il vero non ci ha al-tra via, che quella di serrare gli orecchi ai dottori parti-colari e senza missione, e aprirli ai pastori della Chiesa,ma ascoltando questi secondo il grado che viene loro as-segnato dall’ordine gerarchico, credendo finalmente alleparole di Cristo, il quale ha detto, che la sua Chiesa l’haedificata sopra di Pietro; parole che saranno d’inescusa-bile condanna a que’ principi, i quali avranno preferitola voce di un altro maestro a quella del Capo della Chie-sa. Pur troppo ogni principe ha i suoi teologi, pur troppocrede di essere giustificato dinanzi a Dio seguendo forsei consigli di qualche Vescovo del suo regno. Ma che? In

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qual circolo vizioso s’involge egli? Non è egli, che ha no-minati questi Vescovi? Non è egli, che fa scelta di que’privati teologi? Or s’ella è così, come potrà assicurarsi diudir da essi la voce di Dio? Come saprà che è la Chiesache gli parla? Questa Chiesa, se vuol udirla, dee essere laChiesa libera, e non la Chiesa serva; deve esser la Chie-sa nell’ordine della gerarchia, e non può essere un mem-bro della Chiesa allorché si trova in contraddizione coltutto. Altramente non vi sarà opinione, per quanto stra-na si voglia, che non si possa giustificare mediante il votodi teologi privati, o di Vescovi ligi al principe. Non co-sì la verità viene a galla. Il principe non troverà ne’ suoiconsultori che se stesso, o i loro interessi. Intanto peròil sistema scismatico di cui parlo è prevaluto pur troppo,e prevale universalmente. Or quale mezzo più sicuro difarlo prevalere più e più, della nominazione de’ Vesco-vi nelle mani de’ principi? Egli è evidente, che ove sienoi principi imbevuti di questo scismatico sistema, essi no-minano a Vescovi persone, delle massime de’ quali sienoprima bene assicurati. E perché questo scisma sta coper-to come fuoco sotto la cenere; egli è evidente che né pu-re il papa, colla riserva della confermazione de’ nominatia Vescovi può ovviare a questa secreta distruzione dellaChiesa, specialmente trattandosi non dell’Italia, dove ilPapa può raccogliere più facilmente informazioni, ma dinazioni lontane colle quali la politica, la lingua diversa,ed altre cause rendono difficile la comunicazione del Ca-po della Chiesa co’ popoli: le ritrattazioni poi, le dichia-razioni, i giuramenti non sono che palliativi inetti a chinon ha coscienza: a chi fa la professione di sedurre, d’in-gannare, sono mezzi acconcissimi al loro fine. Non aves-se mai l’esperienza comprovata questa triste verità! Maquando tutto il regno non avrà che Vescovi di tal natura,lo scisma, ad ogni poca occasione che nasca, sarà già fat-to e consumato, senza riparo, né ostacolo alcuno. Se laChiesa scismatica di Francia manifestatasi nell’occasione

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del concordato di Napoleone con Pio VII, fu la porzio-ne minore della Chiesa di quella nazione, ciò si deve allafelice incongruenza di quel Clero singolare, il quale perun orgoglio nazionale mise le basi in Europa del siste-ma scismatico di cui parlo, e per un sentimento più rettodi pietà, non fu fedele nella pratica alla sua vana teoria.E se quella piccola Chiesa scismatica non valse a turba-re e conquassare tutta la Chiesa di quella nazione, e an-co la Chiesa universale, come sarebbe avvenuto in altrecircostanze, ciò fu unicamente per un tratto della divinaProvidenza, la quale permise che la politica di quell’uo-mo potente che dominava allora in Francia, e che tuttoaveva a sé sottomesso con verga di ferro, fosse associatacolla vera Chiesa e col sommo pontefice, rimanendo co-sì impotente, ma non umiliata per questo, né sommessala scismatica fazione216.

124.

Per quanti possano entrar disordini ed abusi nelle elezio-ni fatte dalle diocesi o dalle provincie particolari, questisaranno sempre parziali, la corruzione che ne seguirà nonsi estenderà a tutta la nazione, non sarà fatta almeno die-tro un sistema prestabilito, non sarà un principio di ma-lizia infernale che regga tutte le elezioni e che influiscadirettamente al pervertimento degli interi regni. Ma da-ta la nomina ad un principe, che terribile potenza di fareil male non è messa nella volontà di un uomo solo! Da-ta la nomina ad un gabinetto, che spaventevole potenzanon viene con ciò costituita fuori della Chiesa, potenzache colla sua terribile azione sopravvive alle persone de’principi, durando altrettanto quanto appunto le massimeadottate da’ gabinetti!

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Pur troppo lo scisma è già avanzato! secretamente sonposte le prime pietre di lui per tutta l’Europa: e son benaltro che le pietre, su cui s’innalza il tempio del Signore!

Ora ov’è, in circostanze così fatali per la Chiesa catto-lica, chi non se ne dorma un sonno tranquillo! Tutto vabene, a giudizio de’ prudenti di questo secolo. A giudi-zio d’altri ancor più prudenti, è necessario che i cattoli-ci non abbiano la temerità di parlare: conviene osservareperfetto silenzio per non eccitare inquietudini e rumoridisgustosi: e tutto quello che può recar turbazione, nonè che imprudenza e temerità. Tale specie di prudenza èl’arma più terribile di que’ che minano la Chiesa; essi laminano sordamente: e chi denunzia la loro mina, chi ri-vela il tradimento, sono i turbolenti, sono i perturbato-ri della società. Intanto la Chiesa geme, e con troppa ra-gione può dire le parole del Profeta «che nella pace lasua amarezza s’è fatta amarissima». Indi è, che se qual-che voce, interrompendo il silenzio di morte, s’innalza aparlare de’ mezzi di salute che restano alla Chiesa, mira-te onde viene: essa esce da qualche semplice fedele. Tut-to al più sarà qualche povero sacerdote che ha tanto dicoraggio. Ed erano due poveri sacerdoti, sia lode al ve-ro, quelli che ultimamente, togliendo almen l’occasioneda quella rivoluzione che in Francia rinnegò la Religio-ne cattolica per religione dello Stato, osarono presentar-si supplichevoli ai Vescovi della loro religione, e sottoporloro queste riflessioni sulla nomina a’ vescovati:

«Fin a tanto che» (dissero essi, rivolgendo il discorsoa’ Vescovi della loro nazione), «i capi della Religione so-no uomini di sua scelta, essa Religione non ha nulla a te-mere. Né la persecuzione, né la fame la uccideranno; néla persecuzione, né la fame hanno fatto perire le Chiesed’Oriente, di Germania e d’Inghilterra; esse sono periteper l’intervento corruttore del potere nella formazionedell’episcopato: sia che i Vescovi abbiano venduto di lo-ro piena volontà la propria indipendenza, sia che abbian

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forse ignorato fino a quale segno uomini liberi e creden-ti possano spingere la resistenza a delle sacrileghe volon-tà. Ora la vostra volta è venuta, o sacrate reliquie de’ no-stri Vescovi, la vostra volta è venuta di sostenere questoattacco sordo della autorità. Hanno già percorso coll’oc-chio le vostre teste incanutite nelle precedenti sventure;hanno contati i vostri anni, e si sono seco medesimi ralle-grati: perciocché certo è il tempo dell’uomo. Di mano inmano che voi vi spegnerete, collocheranno essi sulle vo-stre sedi de’ preti onorati di loro confidenza, la presenzade’ quali decimerà le vostre file, senza distruggere anco-ra l’unità. Un residuo di pudore sarà più tardi scancel-lato dai loro atti; l’ambizione sotterra stringerà degli or-ribili contratti; e l’ultimo di voi morendosi potrà discen-dere sotto l’altar maggiore della sua Cattedrale convin-to che i suoi funerali sono i funerali di tutta la Chiesa diFrancia».

125.

Che dunque? sarà la Chiesa abbandonata? Non restadunque speranza che il cattolicesimo risorga dall’oppres-sione? che sieno ritornate libere le elezioni vescovili, sen-za le quali la Chiesa non può sussistere? No, non ve n’ha:tutta la forza è dalla parte dello scisma; dalla parte dellaChiesa non v’ha che debolezza. Né i Vescovi, né lo stes-so sommo Pontefice può rimediare al male, consideratele circostanze presenti: non v’ha dunque un potere nel-le mani dell’uomo, acconcio a tanta impresa. V’ha bensìla fede, v’ha la parola d’Iddio: ed ella dee essere intima-ta anche al mondo che la rifiuta; e gl’inviati del Signoreche la intimano, hanno salvate, intimandola, le anime lo-ro, che perderebbero tacendo. Ma non è nuovo questostato della Chiesa: altre volte la Chiesa non vedeva spe-ranze di sorte alcuna negli uomini, o piuttosto non le ve-

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de mai; ché la Providenza di sopra degli uomini, vuol ri-serbare ogni gloria a sé sola; e dee essere esaltato il soloCapo invisibile della Chiesa, GESÙ Cristo. Egli trionferàquando i suoi nemici appunto credono d’aver consuma-to la loro vittoria, c quando a’ suoi fedeli è venuto menoogni soccorso, fuori di lui.

Fu particolarmente nella libertà delle elezioni, senzala quale la Chiesa perisce, che si vide sempre sopratutti i pensamenti degli uomini risplendere l’onnipotenteprovidenza di Colui che ha ricevuto dal Padre «ognipotestà in cielo ed in terra».

126.

Il popolo cristiano, e la nazione cristiana membro di que-sto popolo, ha una costituzione di diritto veramente di-vino, cioè di fatto; perocché i fatti sono di diritto divi-no, giacché è Dio, solo Dio il guidatore di tutti i fatti217.Guai a chi la tocca questa costituzione! guai a quella na-zione che ne infrange le leggi! i mali traboccheranno sudi lei in sì gran copia, ch’essa non cesserà d’essere agitatae lacerata fino a tanto che non è ritornata indietro e nonha ristabilita la Costituzione di cui parliamo. Ecco qua-li sono le leggi semplici, universali, immutabili di questacostituzione.

Insiste essa su due perni, 1° un diritto supremo, 2°un fatto universale che è il risultato di tutti i fatti. Cioèv’ha primieramente un potere supremamente legislatore,o, se più si vuole, un potere che annunzia le somme leggi,ed un potere che le sanziona; questi due poteri non siuniscono mai in una sola persona, ma essi appartengonosempre a persone diverse. Mi spiego.

Nel mezzo del popolo cristiano è posta una voce in-cessante che annunzia la legge evangelica, che è la giusti-zia completa. Questo ufficio è commesso alla Chiesa; es-

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so è il potere legislatore o promulgatore delle leggi. Maonde trae la sua sanzione? la sanzione dico non di un’al-tra vita, ma della presente? La Chiesa è inerme (intendodi armi materiali) e il carattere essenziale di lei si leggeespresso nelle parole colle quali Cristo diede agli Apo-stoli la missione: «Ecco che io mando voi come agnellinel mezzo dei lupi»218. La sanzione temporale non è disua natura nelle mani della Chiesa: v’ha un altro pote-re: Iddio ha divisa la legge dalla sua sanzione219. Commi-se l’annunziar quella alla Chiesa, e a sé solo ha riserba-to il sanzionarla anche temporalmente, acciocché nissunuomo possa gloriarsi, o dominare sui suoi simili: non laChiesa, per la sua debolezza fisica; e meno ancora il go-verno temporale, perché la forza bruta non può esser ca-gione di gloria per l’uomo. E tuttavia Iddio non sanzionatemporalmente la legge della Chiesa in generale co’ mira-coli: egli anzi ha per così dire organizzata nel suo popolola sanzione della legge annunziata dalla Chiesa, cioè egliha costituito il popolo de’ credenti in cotal modo da tro-varsi nella felice necessità di dover sanzionare egli mede-simo la legge divina: così il potere che sanziona la leggel’ha ceduto al suo popolo: ciò che son per dire darà lucea questa affermazione, che non dee insospettire nessuno.

Nel popolo cristiano, cioè in ogni nazione che gli ap-partenga, appariscono sempre tre poteri di fatto: il po-ter supremo o governativo, il potere degli ottimati, o no-bili, e il potere della plebe. Egli avviene che ove l’uno diquesti tre poteri si rende colpevole, trovi una opposizio-ne ed anco la sua punizione negli altri due, i quali allo-ra si collegano insieme per difendere la giustizia contro ilterzo potere che ne infrange le leggi. Ciò che dico avve-nire, lo ripeto, non appartiene che al fatto storico, ed iomi astengo al tutto, in questa esposizione di ciò che av-viene, da ogni questione di diritto. Perché ciascun po-tere sia ritenuto in questa soggezione, che lo impediscedal peccare impunito, è manifestamente necessario che

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due dei tre poteri sopra indicati sieno sempre più fortidel terzo, perocché allora solo la loro alleanza tempora-nea in favore della giustizia è la sanzione della giustiziamedesima. Ora una tale sanzione tanto più sarà efficace,quanto i due poteri collegati riescano più forti del terzolasciato a se stesso, e la giustizia rimarrà tanto più protet-ta ed assicurata. Perché poi la colpa contro alla giustiziapuò cadere in ciascuno de’ tre poteri, la migliore ripar-tizione della forza in favore della giustizia è indubitata-mente quella «per la quale in qualunque caso la sanzionedella giustizia contro il potere prevaricante riesca la mas-sima possibile»: onde viene la conseguenza, che la ripar-tizione della forza più favorevole alla giustizia nel popo-lo cristiano, sia quella che stabilisce un perfetto equili-brio di forze fra i tre poteri, di modo che ciascun pote-re abbia un’eguale quantità di forza, avvenendo allora,che ogni prevaricazione dell’uno o dell’altro potere trovicontro di sé negli altri due una opposizione che lo sover-chia di lunga mano, cioè che sta a lui come due ad uno.Il perché se egli avvenga che l’uno de’ tre poteri si ren-da più forte degli altri due insieme presi, allora v’è la ti-rannia, almeno in potenza: se avviene che due poteri sicolleghino insieme a favore dell’ingiustizia, e in oppres-sione della minorità, cioè del terzo potere, vi è congiuracontro lo Stato. Ma se tutti e tre i poteri sono congiura-ti contro la giustizia, ciò che non avverrebbe in oppres-sione di se stessi ma della Chiesa, allora è il tempo in cuiquella nazione perde il cattolicismo, e più tardi esce ancodal cristianesimo: vi è dunque Eresia, Empietà. Questesono le tre malattie radicali della società civile cristiana.A che poi sia riserbata una nazione staccata dalla Chiesa,e così sottratta al magisterio della verità, è difficile il dir-lo: ella non appartiene più al popolo di Dio di cui par-liamo; essa si è messa nell’ordine delle nazioni infedeli, oalmeno dee terminare con mettervisi, e le nazioni infede-li sono soggette a de’ mali loro proprj: essa riceve in sé

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qualche cosa di più funesto ancora delle nazioni infede-li, cioè una legge di degradazione che non ci lascia pre-dire, ove la condurrebbe, se altre cause non perturbas-sero la sua azione infaticabile; perciocché non v’è ancoranelle storie un esempio di nazione che abbia esauriti tut-ti i cangiamenti a cui una legge sì fatale incessantemen-te la impinge, e che venuta a certi estremi non sia torna-ta indietro impaurita, come da un abisso che vide spa-lancatosi innanzi, riavvicinandosi alla Chiesa cattolica, oanche rientrando in essa. Lasciando perciò questo casodi morte per apostasia, e tornando agli altri due mali del-le nazioni cristiane, la tirannia, e la congiura contro loStato, dico che la nazione cattolica affetta da questi duemali, non cesserà dall’essere agitata, fino a che non avràespulso dal suo seno il germe del suo tristo malore, e nonavrà ristabilito la legge della sua costituzione divina, con-sistente in trovarsi due dei tre poteri sempre più forti delterzo solo, e quindi sempre atti a sanzionare in ogni casola giustizia dal terzo violata.

127.

Ora di questa costituzione appunto, propria degli Staticristiani, sempre usò la Providenza per francare le ele-zioni de’ Vescovi, quando l’uno dei tre poteri attentò diusurparsele. Fu un tempo in cui la nobiltà impediva la li-bertà delle elezioni, tutto mettendo in opera per diventa-re essa stessa l’arbitra. Allora la divina Providenza si ser-vì de’ sovrani d’accordo colla plebe per rivendicare allaChiesa il suo diritto, e ritornar libere le elezioni220 L’abu-so altre volte fu nella plebe; e questo pure fu tolto venen-do la Chiesa ajutata dai sovrani e dalla nobiltà221. Immor-tali beneficj che i pii monarchi resero alla Chiesa, e de’quali la Chiesa fu e sarà memore fino alla fine de’ secoli!Finalmente i Monarchi stessi invasero e tiranneggiarono

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orribilmente le elezioni, e ciò diede occasione alla gran-de lotta che cominciò o, per dir meglio, scoppiò, ai tempidi Gregorio VII, nella quale la Chiesa fu rivendicata dal-la nobiltà e dal popolo, contro l’usurpazione de’ sovra-ni. Umiliati i sovrani, sollevò il capo di nuovo la nobiltà,ma più destramente s’impossessò delle elezioni non me-no che delle sedi vescovili, conducendo le cose in mo-do, che escluso il popolo e la maggioranza del Clero, leelezioni dipendessero da’ Capitoli cattedrali, i quali di-vennero uno scolo della nobiltà, salve sempre le dovuteeccezioni. In questo mezzo però la sovranità di nuovoprese forza sulla nobiltà che si avviliva, e giunse a com-primerla, e finalmente a dominarla interamente. Allora iprincipi ottennero la nomina de’ Vescovi, cioè, senza du-bitazione alcuna, la influenza massima nelle elezioni ve-scovili; ma tale influenza fu legalizzata in forma di unaprotezione, fu usata con cautela ed esteriore decenza, fuornata di tutto il buon gusto diplomatico. Intanto peròlo scisma si fa sempre più irreparabile: e chi ne salveràla Chiesa? chi ne salverà il mondo? chi ne salverà i troniaffaticati a preparare a se starsi le più miserande sciagu-re e le più strane peripezie? Di quale de’ tre poteri rima-ne alla divina Providenza di far uso per sanzionare an-cora una volta la legge della giustizia, e per restituire allaChiesa quella piena libertà di esistere che non fu mai toc-cata da mano mortale impunemente? Uno sguardo solosulla terra, e la risposta è fatta. La tremenda sanzionedella Divina Providenza non è più nelle tenebre, non sifa indovinare. Ella è incominciata, e sonante in varj pun-ti d’Europa e dell’universo. L’Inghilterra e l’Irlanda, gliStati uniti, il Belgio hanno libertà di eleggere i Vescovi: anessun prezzo la Providenza si rimarrà dal redimere allaChiesa una tale libertà in tutte le nazioni della terra: nestieno certi i monarchi. I popoli, sì i popoli sono la vergadi cui ella si serve. Le ribellioni sono esecrabili: e chi piùle esecra della Chiesa? chi più le condanna? Ma quello

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che non fa la Chiesa, quello che non fanno i buoni; quel-lo appunto il fa la potenza di Gesù Cristo che è Signorede’ regi e de’ popoli, che piega al suo volere le cose tut-te, e che suol cavare sempre i beni da’ mali. Egli useràanche il braccio de’ malvagi al suo intendimento.

128.

Sì, lo scompiglio di tutta l’Europa, oso dire che è irrepa-rabile, perché non v’avrebbe che un solo mezzo di fug-girlo, quello di rimettere la Chiesa di Dio nella sua pienalibertà, e nell’usare verso di essa tutta la sommissione e lagiustizia. Ma questo mezzo è anche il solo che non si ve-de, è il solo che sciaguratamente si rifiuta. Tutto si tenta,tutto s’adopera, gli eserciti e le più prudenti negoziazio-ni; ma tutti questi mezzi sono simili a que’ soccorsi estre-mi che colla più grande premura e vigilanza si prestanoad un moribondo, i quali assai ottengono quando riesco-no a prolungare per alcuni istanti i suoi mortali patimen-ti. Manca forse l’intelligenza? no, manca la fede: man-ca un sufficiente amore alla giustizia. Non si crede chela Providenza abbia un consiglio fisso nel governo deglieventi; non si crede che la Chiesa abbia una missione chevuol esser ad ogni costo adempiuta: l’uomo si persuadedi poter fare senza di lei; così l’incredulità toglie poi an-che l’intelligenza, cioè rende inintelligibile il sacro uni-versal grido de’ popoli cristiani, quello di LIBERTÀ: iquali popoli dicono di ribellarsi per una cagione non ve-ra; mentendo a se stessi; poiché della vera cagione, perla quale si sollevano, essi hanno una profonda coscienza,e ne manca loro l’espressione. Deh! s’impari, che i cri-stiani, essendo essenzialmente liberi, non possono servi-re all’uomo, in cui non veggano Iddio, non possono ser-vire che ad una condizione, di apprendere dal magiste-rio della Chiesa la legge evangelica di umiltà e di man-

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Antonio Rosmini - Delle cinque piaghe della Santa Chiesa

suetudine, e che la Chiesa schiava e spregiata non è piùatta a loro insegnarla. Ah se queste verità s’intendesse-ro! vi sarebbe forse ancor tempo! E in Europa sopravvi-ve una persona degna d’intenderle: una persona augustaed oltremodo venerabile, sia per le lunghe sventure, nel-le quali è incanutita e che ha superate, sia per lo senno at-tinto in tante esperienze e per la dolcezza veramente re-gale del carattere che la rende delizia e amore di miglio-ni non di sudditi ma di figliuoli, sia per la sublime ret-titudine di sua intenzione pura e splendida come la lu-ce. Ed ora chi toglie che, non queste umili mie parole, lequali non presumono tanto, ma le verità in esse contenu-te percotano quegli orecchi augusti, che non sono avidi enon sono degni che di verità, e penetrino in quella men-te, che non cerca che la giustizia la qual sola riconoscea fondamento del suo trono! Chi toglie che con magna-nimo e ardito passo questo pastore di popoli, rompendoil fitto stuolo de’ pregiudizj, non s’incammini solitario inuna via tutta nuova, e si costituisca liberatore della Chie-sa, e, mediante la libertà resa alla Chiesa, salvatore del-le nazioni! qual gloria più illustre e più degna del Mo-narca, che suol munire il suo trono di tanta pietà, che glivale altrettanto de’ suoi eserciti bene agguerriti, che Id-dio ha protetto in tanti pericoli certo non senza cagione,che colla sua spada ha difesa la Chiesa, e che finalmenteè il successore di un Apostolo! Ah che se potessero esserdal Cielo esauditi i miei voti, se il mio sangue potesse es-sere accettato; io vedrei cogli occhi miei innanzi morire,o morendo, questa nuova corona immortale avvolta alletempia di un tanto sovrano!

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CAPITOLO V

Della piaga del piede sinistro: la servitù de’ beni ecclesiastici

129.

Dalle cose ragionate fin qui apparisce, che la caduta diRoma pagana, predetta dalle Scritture sotto il nome diBabilonia fu, nell’ordine dell’altissima Providenza, nonsolo un atto di giustizia vendicatrice del sangue de’ Mar-tiri ed estirpatrice delle ultime radici dell’idolatria; mauna disposizione altresì di quella divina politica con cuil’umanità vien governata dal Re de’ regi, onde, disciol-ta l’antica e decrepita società, se ne annodasse una no-vella figlia della Chiesa dell’Uomo-Dio, segnata in fron-te di un carattere sacro, indelebile, che la rendesse comela sua genitrice, immortale, e insieme con lei si svolgessein un progresso interminabile di sconosciuta e nuova ci-viltà. Ma la gloria, che da tant’opera dovea venire all’ele-mento divino della Chiesa di Cristo, conveniva che fossetemperata e quasi contrabilanciata dall’umiliazione cheall’elemento umano della medesima Chiesa sarebbe con-seguitato, acciocché tutto il bene si attribuisse a Dio e alsuo Cristo e non all’uomo. Laonde Iddio permise, che ibarbarici conquistatori incaricati dall’alto consiglio delladistruzion del Romano impero, e mossi, senza saperlo, arenderci discepoli della Chiesa, introducessero il Feuda-lismo che finì collo spegnere la libertà della stessa Chie-sa, onde provennero tutti i suoi mali. Perocché, a dir ve-ro, l’affluenza delle ricchezze non sarebbe bastata a pre-cipitare il Clero in quel fondo che noi vedemmo; né tam-poco avrebbero recato un effetto sì miserando i tempo-rali dominii, se fossero stati indipendenti. Che anzi del-

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la sovranità si servì Iddio a mantenere inviolata la liber-tà della Sedia Apostolica, acciocché almeno il Capo cam-passe salvo dalla universale servitù, e il capo libero poirendesse a suo tempo libere anche le membra, il che è lagrand’opera che resta ancora a compire a Roma.

130.

Sì, il feudalismo fu l’unica, o certo la principalissima fon-te di tutti i mali; perocché essendo egli un sistema mistodi signoria profana e barbara, e insieme di servitù e vas-sallaggio a principi temporali: in quant’è signoria, eglidivise il Clero dal popolo (Piaga I), e spezzò in due par-ti il Clero stesso, che chiamaronsi ingiuriosamente altoe basso Clero, sostituendo alla relazione di padre e fi-glio, che l’annodava, quella di signore e suddito che lodisnoda: onde la negletta educazione del Chericato (Pia-ga II), e quindi ancora entrata la divisione nell’alto Cle-ro, cioè ne’ Vescovi fra di loro, dimentichi della frater-nità, memori della gelosia signorile sì per proprio contoche pel conto del principe, al cui vassallaggio appartene-vano, rimanendo così ciascun Vescovo e separato dal po-polo, e sequestrato dall’intero episcopato (Piaga III): inquant’è poi servitù, il feudalismo, assoggettati i Vescovipersonalmente al Signor temporale come fedeli e uomi-ni suoi, incatenò ignominiosamente la Chiesa con tuttele cose sue al carro del laicale potere che la trascinò pertutte quelle balze e precipizj, nelle quali esso, in suo cor-so irregolare e fallace, va sovente rompendosi ed inabis-sandosi, e dopo mille avvilimenti e mille sciagure, spo-glia a man salva de’ ricevuti dominii, ella trovasi così sfi-nita di forze da non saper pure conservare e difendere ase stessa la nominazione de’ proprii pastori (Piaga IV). Edico che il feudalismo asservò la Chiesa con tutte le co-se sue, perché i barbari regnatori, avvezzi a non ricono-

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scere che vassalli, con questo loro istinto tutte le cose ec-clesiastiche riguardarono; al che mirando i legisti adula-tori, seppero ridurre a teoria di diritto il dispotismo bar-barico, invalso di fatto, insegnando che «il principale ti-ra a sé l’accessorio», e come principali dichiarando i feu-di regi, così inducendone, che dunque anche gli allodj,che le Chiese possedevano, come beni feudali si doves-sero riguardare. Per tal guisa il feudalismo assorbì ognicosa: non lasciò più libere né le persone, né le cose delleChiese.

131.

Lasciando dunque da parte il caso della sovranità, chenon s’avverò se non nella Sedia Romana, né s’avrebbepotuto avverare in altre, almeno per lungo tempo, la qua-le essendo dominio libero non arreca ignominiosa servi-tù, dico che ciò che corrompe ed avvilisce il Clero nonsono le ricchezze libere, ma le serve: fu la servitù degliecclesiastici beni la deploranda cagione, onde la Chie-sa non poté conservare le antiche sue massime intornoa’ beni ecclesiastici, né regolarne liberamente e col suoproprio spirito l’acquisto, l’amministrazione, e la dispen-sazione come si conveniva. E questa mancanza di con-venevoli provvedimenti all’amministrazione e all’uso de’beni della Chiesa in conformità delle antiche massime edell’ecclesiastico spirito è appunto la quinta piaga, chetuttavia affligge e martoria il suo mistico corpo.

132.

Il feudalismo in gran parte è caduto, e va via più dile-guandosi in presenza dell’incivilimento delle nazioni, co-me le ombre si fuggono a’ raggi della luce: la Chiesa non

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ha più feudi. Ma al feudalismo sopravvivono i suoi prin-cipj legali, le sue abitudini, il suo spirito: la politica de’governi s’ispira ad esso, i codici moderni hanno eredita-to dal medio evo una sì infausta eredità. Noi segnaliamola cagione, perché se ne considerino gli effetti.

133.

La Chiesa primitiva era povera, ma libera: la persecuzio-ne non le toglieva la libertà del suo reggimento: né purelo spoglio violento de’ suoi beni, pregiudicava punto allasua vera libertà. Ella non aveva vassallaggio, non prote-zione, meno ancora tutela, o avvocazia: sotto queste in-fide e traditrici denominazioni s’introdusse la servitù de’beni ecclesiastici: da quell’ora fu impossibile alla Chiesa,come dicevamo, di mantenere le antiche sue massime in-torno all’acquisto, al governo, e all’uso de’ suoi beni ma-teriali; e la dimenticanza di queste massime, che toglie-vano a tali beni tutto ciò che hanno di lusinghevole e dicorruttore, l’addusse all’estremo pericolo: noi dobbiamoaccennarne le principali.

134.

La prima massima, che riguardava l’acquisto de’ beni,era che l’oblazione fosse spontanea. – «In qualunque ca-sa entrerete, avea detto Cristo agli Apostoli, prima dite:pace a questa casa. – E nella stessa casa rimanetevi man-giando e beendo le cose che si trovano presso di quelli:poiché l’operaio è degno della sua mercede»222. Le qua-li ultime parole furono norma agli Apostoli, ripetuta piùvolte da S. Paolo223. Per esse Cristo imponeva ai fedelil’obbligazione di mantenere gli operai evangelici, e davaa questi il diritto di esser mantenuti da loro. Era un ve-

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ro precetto; ma l’esser precetto, non toglie la spontanei-tà dell’azione; che spontanea dovea essere pure la stes-sa adesione al Vangelo, e l’incorporazione al corpo de’fedeli. La spontaneità dell’umano operare non cessa senon allorquando s’aggiunge all’obbligazione altresì unacoazione violenta. Ora Cristo non aggiunse altra sanzio-ne che questa: «E chiunque non vi riceverà, né ascolte-rà i vostri discorsi, uscendo fuora della casa o della cittàscuotete la polvere de’ vostri piedi»224. È rimesso alla di-vina giustizia il punire gli infrattori di quel precetto, se-condo lo spirito di mansuetudine del divino Legislatore,il quale pure promette, a suo tempo, che saprà farlo225.L’evento di Anania e di Saffira prova il medesimo: «Setu l’avessi tenuto (il tuo campo), disse al primo S. Pietro,non ti rimaneva egli? e venduto non ne rimaneva in tuemani il prezzo?»226 Parimente le collette ordinate da S.Paolo alle Chiese de’ Galati e de’ Corintj, per sopperireal bisogno de’ Cristiani indigenti di Gerusalemme, sonorimesse allo spirito di carità e alla discrezione di ciasche-duno: «ogni domenica ciascuno di voi metta da parte ciòche gli verrà bene»227.

135.

Di più, il precetto dato da Cristo a’ fedeli di mantenere ilClero, non s’estende oltre lo stretto bisogno, il che veniasignificato coll’espressione «di mangiare e di bere inqualsiasi casa in cui entrassero gli evangelici banditori»,edentes et bibentes quae apud illos sunt; onde Paoloattenendosi alla maniera di esprimersi usata da Cristo,scrive a’ Corinti: «Forse non abbiamo noi la potestà dimangiare e di bere?»228 Che se era lasciata a’ fedeli tuttala spontaneità nel modo di somministrare il necessariosostentamento al primitivo Clero, di cui pure aveasi ilprecetto; quanto più rimanevano spontanee per loro

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natura quelle offerte che oltrepassassero questo. limitedel bisogno?

136.

Sulla fine del secondo, e al principio del terzo secoloTertulliano ci fa conoscere, che questa bella spontaneitàconservavasi. «Ciascuno, dic’egli nell’Apologetico, ognimese, oppure quando vuole, e se può, mette a parte unpo’ di moneta, perocché nessuno è forzato, ma la dàspontaneo. Questi sono come depositi della pietà»229.

La qual massima ricomparisce più o meno spiegata intutti i bei secoli della Chiesa, che voleva e raccomandava,che non solo i fedeli non fossero violentati alle oblazioni,ma né pure indotti a prestarle con artifizj e lusinghe,e fino nel IX secolo vedesi il Concilio III di Chalonpubblicare de’ canoni per mantenere illesa, anche controquesto abuso, la spontaneità de’ doni che i fedeli allaChiesa offerivano230.

137.

La legge delle decime, che Iddio aveva assegnate nell’an-tico patto a’ Leviti, non fu confermata da Cristo pel nuo-vo; e la ragione io credo esser questa, che non volendol’Autor della grazia aggiungere alcun peso positivo ol-tre a quello che la natura delle cose esigeva, e la natu-ra delle cose addimandando solamente che il Clero fossemantenuto da’ fedeli in cui prò travagliava, il che non se-gna alcuna misura determinata alla sovvenzione, poten-do esser più o meno il bisognevole, secondo il numerodegli operai, l’assegnare una determinata misura sarebbestato un prescrivere talora più del bisogno, talora meno.Ma non avendo né pure il Signore proibita tale oblazio-

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ne, ma lasciata del tutto libera alla discrezione de’ fede-li, questi fino da’ primi secoli le offeriron spontanei, te-nendo presente, specialmente quelli che veniano dalla si-nagoga, l’antica disposizione231. E ancora nel secolo VI,egli sembra per insinuazione de’ Vescovi più tenaci dellemassime antiche, Giustiniano vietava che non che usar-si la forza a riscuoterle, né pur vi s’adoperassero le peneecclesiastiche232.

Poteva bensì la Chiesa quel che era invalso per consue-tudine ridurlo in precetto, siccome fece, prima in qual-che luogo nel secolo VI233, poscia universalmente, qua-lora ella trovasse esser questo il mezzo più convenienteo necessario per assicurare al Clero il suo sostentamen-to; ma la spontaneità dell’offerta cessava solo allorché vis’aggiungesse la sanzione del civile potere, la quale com-parisce nel secolo VIII insieme col feudalismo234.

138.

E qui è da considerare, che il Vangelo introdusse nelmondo una nuova specie di diritti, che noi potremmoappellare diritti ecclesiastici. Prima non si conoscevanoche diritti di stretta giustizia, ed azioni di beneficenza: iprimi ammettevano la forza esterna e violenta, le seconderimanevano al tutto libere. Fra queste due forme di mo-rali operazioni, il divino Legislatore che riformò la terra,ne introdusse una terza, di cui è esempio appunto il di-ritto dato da lui a’ sacri ministri di vivere dell’altare, alquale appose per tutta difesa la minaccia del celeste ca-stigo; e tale natura hanno del pari le ecclesiastiche ordi-nazioni sancite da sole pene canoniche e spirituali: pe-rocché la massima pena che la Chiesa si abbia in propriosi è quella della separazione del disubbidiente e contu-mace dal corpo de’ fedeli, e la privazione quindi de’ be-ni della lor comunione. La qual guisa di pene, con cui

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la Chiesa mantiene i suoi ordini e i suoi diritti, rimanea-si del tutto incognita e straniera al temporale reggimen-to, come Cristo avea già insegnato in quelle parole: «I redelle genti li signoreggiano, e quelli che hanno su loro ilpotere si dicon clementi: ma voi non farete così»235. IlChe dunque accadde allorché i beni ecclesiastici non fu-rono più liberi in man della Chiesa, ma divennero servi,aggiogati al poter temporale? Quello che ne dovea av-venire: il temporale potere vi aggiunse la forza, ché al-tra cosa egli non aveva né conosceva, e talora egli credet-te in buona fede di fare al Clero con ciò un singolarissi-mo beneficio, et qui potestatem habent super eos, beneficivocantur.

139.

Certamente era giusto né contrario allo spirito del Van-gelo e della Chiesa, che le proprietà già acquistate daquesta in virtù di spontanee donazioni, fossero dalla for-za pubblica, siccome tutte l’altre, tutelate; perocché elleacquistano, dopo la donazione, natura di diritti di strettagiustizia. Ma l’impiego della forza sembra ripugnare al-l’antica massima, trattandosi di costringere i fedeli a do-nazioni e ad offerte, come è il caso delle decime, delleprimizie, e di simiglianti oblazioni; né la primitiva spon-tanea natura di questa poteva perdersi per la consuetu-dine invalsa, nulla più essendo che uno de’ tanti sofismigiuridici quello che pretende cangiare un donatore spon-taneo in uno stretto debitore, unicamente perché già dalungo tempo egli ha continuato a donare.

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140.

Il qual primo grado di servitù, a cui furon sommesse leoblazioni spontanee, diminuiva la carità fra i fedeli offeri-tori ed il Clero, che non rimaneano più avvinti colle dolcirelazioni di beneficante e beneficato, o meglio con quel-le di scambievoli beneficanti, dando gli uni le cose tem-porali e l’altro le spirituali, secondo il concetto aposto-lico: Si nos vobis spiritualia seminavimus, magnum est sinos carnalia vestra metamus?236 alle quali primitive e na-turali relazioni veniano surrogate quelle fredde ed odio-se di debitore e di creditore, le quali d’una parte toglie-vano il merito e la dolcezza del dare, dall’altra la gratitu-dine del ricevere; e il Clero sicuro del viver suo, non po-teva più esperimentare l’aumento e la diminuzione delleofferte in ragione di sue fatiche.

141.

Ma un altro grado di servitù più funesta fu quella delconfondersi le proprietà libere e liberamente donate allaChiesa colle feudali, che assorbirono tutte l’altre, e fecenascere l’opinione che tutte le cose della Chiesa apparte-nessero al Signore infeudante, a cui le stesse persone diChiesa servivano. La prova di questa servitù de’ beni ec-clesiastici è significata fino nel linguaggio di quel tempo,perocché le Chiese si chiamarono mani morte, che signi-ficava una classe di servi237, né mai perì più l’ingiuriosovocabolo. Laonde il mal seme, dopo aver fruttati coper-tamente i più velenosi frutti nel Clero, produsse all’ulti-mo, le spogliazioni moderne della Chiesa, e il più solennedecreto 24 novembre 1789, col quale l’Assemblea nazio-nale di Francia dichiarò beni a disposizione della nazio-ne tutte le ecclesiastiche proprietà; raccogliendo così la

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rivoluzione fatta a nome della civiltà l’eredità e le spogliedel Feudalismo.

142.

La seconda massima, che proteggeva la Chiesa dalla cor-ruzione che da sé arrecar possono i beni terreni, si erache «questi si possedessero, si amministrassero e dispen-sassero in comune». Così i primi fedeli deponevano ilprezzo delle case e de’ campi venduti ai piedi degli Apo-stoli, ed era dispensato a’ fedeli, secondo il bisogno diciascheduno, pro ut cuique opus erat238. Qual carità nonfomentava in quel primo tempo, qual’unione non addu-ceva tra fedeli, e tra fedeli e Clero questa comunanza dibeni! «La moltitudine de’ credenti avea un cuor solo edun’anima sola; né alcuno di essi diceva sue quelle coseche possedeva, ma tutte erano comuni»239. Il dolce spet-tacolo che offeriva questa fraternità, non mai conosciu-ta, in Alessandria, indusse Filone, benché ebreo, a scri-verne un libro elogistico. In lei mirarono sempre i San-ti come nel più bel tipo dell’evangelica dilezione, e si sadalla storia quanto il Grisostomo ebbe desiderato di po-terla introdurre fra il suo popolo di Costantinopoli: el-l’era la perfezione di quanto narra Livio de’ bei tempi diRoma, dove dice, che il censo privato era breve, largo ilcomune.

143.

La qual massima si conservò lungamente nel Clero. Ditutto l’avere della Chiesa erano depositari i Vescovi suc-cessori degli Apostoli, i quali distribuivano, per lo piùmensilmente, quanto era necessario a’ Cherici che sottodi essi lavoravano nell’Evangelio; niun individuo aveva

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cos’alcuna in proprio. Quando Costantino nel 321 per-mise le disposizioni testamentarie a favor della Chiesa,così s’espresse: «Abbia ciascuno licenza di lasciar mo-rendo i beni che egli stima al santissimo cattolico e vene-rabile Concilio della cattolica Chiesa»240.

Più tardi fu anche espressamente proibito dalla Chiesail concedere a un individuo del Clero qualche porzionedi beni separandola dalla massa comune, come dimostraun rescritto del V secolo attribuito al santo Papa Gelasio;e ciò anco pel fine che i beni ecclesiastici fossero meglioamministrati e conservati241. Dal quale spirito medesimodella Chiesa fu dettata la legge di Valentiniano vietante illasciare legati o eredità agl’individui del Clero secolare oregolare242, legge di cui non fecer lamento i santi uominidi quella età, come un Ambrogio, e un Girolamo, ma bensi dolsero degli ecclesiastici che, a loro smacco, l’avesseromeritata. «Né io mi lagno, dice Girolamo, della legge;sì mi addoloro dell’averla noi meritata. Il cauterio èeccellente; ma a che m’avrò io la ferita da necessitarmiil cauterio? Sia erede, ma la madre de’ figliuoli, cioè laChiesa, sia erede del suo gregge quella che lo generò, lonutrì, lo pascette. Perché ci tramettiamo noi tra la madreed i figli?»243 Così non volea il Santo che gl’individuidel Clero o del monacato si tramettessero fra la Chiesadepositaria delle pie offerte, ed i suoi figliuoli a cuiella, secondo il bisogno, le compartiva. La quale unitàdei beni comuni, dalla sapienza e carità vescovile colconsiglio del Clero244 amministrati, ei non è a dire quantovalesse a produrre ed a conservare l’unità saluberrima delClero fra sé, e quella altresì del Clero col popolo.

144.

Ma quando, diffondendosi via più il Vangelo pe’ pa-ghi, fu uopo istituire Chiese nella campagna lontane dal-

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le Cattedrali, convenne allora assegnare un fondo distin-to alle medesime245; il che si fece prima per via d’eccezio-ne; e a’ monasteri pure, a’ Cherici benemeriti, e a’ pere-grini si assegnò qualche fondo da usufruire a tempo, co-me rilevasi da una disposizione di Papa Simmaco del se-colo VI246; onde si chiamaron precarj247. Ma la detenzio-ne, l’amministrazione, e l’uso de’ beni ecclesiastici, an-dò sempre più perdendo la primitiva unità fino a sparpa-gliarsi ne’ singoli benefizj di mano in mano che si sciol-se la vita comune del Chericato, tanto desiderata dallaChiesa, che con leggi frequenti e disposizioni canonichela restaurò alcuna volta, ma non la poté in fine conserva-re. Ed or quale infausta cagione glielo impedì, se non dinuovo il barbarissimo sistema del feudalismo?

145.

Il feudalismo involge una servitù personale, ed è già perquesto solo ripugnante al carattere ecclesiastico, che èquello della libertà. Ma oltracciò anche i beni del feu-datario non pur diventano servi, ma di più acquistanouna servitù speciale, conseguenza della servitù persona-le di colui che li gode; nuova ragione della sua intrin-seca opposizione allo spirito della Chiesa, e dell’eccle-siastica condizione. E in vero, nella divina costituzioneche Cristo lasciò alla Chiesa, la personalità de’ ministrisuoi scomparisce: essi non rappresentano se stessi, mala Chiesa; è sempre tutto il corpo della Chiesa che ope-ra per mezzo di essi e per la virtù del suo Capo in tuttele loro funzioni: gli organi non hanno alcuna personali-tà propria più che la abbia un piede, un braccio, o altromembro nel corpo umano. Di questa ammirabile costi-tuzione adunque il fondamento è la perfetta mistica uni-tà. Or come se le membra del corpo umano volesserociascheduna essere e divenire una persona a parte, il cor-

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po, perduta ogni sua bellezza e il suo ordine naturale, sicangerebbe in un mostro, o piuttosto non potrebbe piùesistere; così è a dir della Chiesa. Ma questo è appun-to quello che tentò di fare di essa il sistema feudale. Pe-rocché ogni vassallo non può rappresentare che se me-desimo, e la persona a cui serve, e con essa le cose sue.Senza di che questo vassallaggio e servigio prestato al Si-gnor temporale, ha un oggetto, un ufficio essenzialmen-te temporale e secolaresco. Fino a tanto che trattavasi diricchezze libere, queste potevano avere una destinazionespirituale; e l’ebber sempre tutti i beni liberi della Chie-sa: s’amministravano, si dispensavano in ispirito e in usidi carità: per esse i sacri ministri si mantenevano, il cul-to divino si alimentava: le mani de’ poveri, delle vedove,de’ lebbrosi, degli schiavi, de’ peregrini, de’ miseri tuttierano gli scrigni preziosi, dove la Chiesa riponeva, sicu-ri dall’umana rapacità, i suoi tesori: col far tutto questola madre de’ fedeli non usciva dall’ecclesiastico ministe-ro, che è pur ministero di carità materna, e di cristianamisericordia248. Ma il vassallo, il servo che dee pensare alservigio del suo signore, e a questo servigio dee ammini-strare quel che possiede, ha già un altro scopo, essenzial-mente diverso, non più ecclesiastico: egli non è più bo-nus miles Christi Jesu, s’è implicato ne’ temporali nego-zj contro il precetto dell’Apostolo249; non si vede più inlui la sola Chiesa, ma l’uomo isolato, un uomo come tut-ti gli altri, un cortigiano che agl’interessi e all’onore delsuo signore servendo, dee tener corte, usare sfarzo e lus-so nel suo proprio trattamento, mettersi fors’anco alla te-sta di gente armata: fare insomma il conte, il barone persé e pel signore, non più il Vescovo ed il Prelato per lasua Chiesa, pel suo popolo da lui indiviso.

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146.

E questa grande trasformazione, contro natura, dellepersone di Chiesa stampò nelle menti de’ Vescovi delmedioevo il concetto della loro individualità, illangui-dendo quello della unità del corpo dell’Episcopato e delClero; disciolse i vincoli che rendevano così possente inCristo per operar tutti i beni, e così splendido il maravi-glioso corpo della Chiesa ne’ suoi bei tempi: divise le dio-cesi come gli Stati e le signorie: e infine divise e minuzzòanche i beni ecclesiastici, che colla loro unione, o disgre-gazione rappresentano siccome effetti, e in parte forma-no siccome cause l’unità morale o la disgregazione dellepersone, e li minuzzò fino a renderli amministrati e usu-fruiti quasi per intiero da’ singoli Cherici: onde l’originefilosofica de’ benefizj indicata dalla parola stessa; ché be-nefizio è parola del vocabolario feudale, chiamandosi be-nefizio da prima le terre di cui il principe concedea l’u-sufrutto a’ suoi cortigiani e commensali in guiderdon diservigi.

147.

È da osservarsi che quando un’idea, una forma s’impri-me altamente nella intelligenza e nella imaginazione de-gli uomini, e vi prevale, allora ella diventa norma, e mo-dello, a cui si conformano tutte l’altre cogitazioni e tuttele maniere di operare che possono in sé ricevere quellaforma, e quelle che non possono, altresì vi si subordina-no, e vi si aggruppano intorno siccome ancelle da quel-la padroneggiate. Ora ne’ primi tempi della Chiesa l’i-dea grande scolpita in tutte le menti cristiane era quel-la dell’unità: e però tutto ne’ pensieri. e nelle parole de’fedeli, e del Clero, nelle disposizioni ecclesiastiche, nellescambievoli operazioni, nelle amministrazioni e nei be-

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ni che si possedevano, luceva e dominava l’unità di Cri-sto. Il feudalismo fondavasi sopra una idea tutt’oppo-sta, cioè sull’idea della divisione, che procede da quelladella individualità, e sull’idea dell’individualità che pro-cede da quella della signoria: e un tal sistema prevalsonegli ordini temporali, scolpì bel bello anche nelle men-ti degli ecclesiastici quell’idea appunto che gli serviva difondamento, indi i guai della Chiesa.

148.

A’ barbari, che conquistaron l’Europa, era norma l’ideadella forza, della violenza, del personale valore, del do-minio: la Chiesa insinuò poco a poco nelle rozze loromenti l’idea contraria, che le era propria. Quindi la lottafra le due idee: e come quando sono a fronte l’una dell’al-tra due società dominate da due idee contrarie, queste,parte si combattono apertamente, ciascuna usando del-l’armi proprie, parte tentano di conciliarsi e di fondersi;entrando l’una idea nel dominio dell’altra, benché sem-pre conservino l’occulta opposizione che hanno per loronatura; così avvenne che i governi barbarici parte; oppri-mendo colla prepotenza la Chiesa, tentassero di soggio-garla e di conformarla del tutto al tenore della loro ideasignorile, violenta, individuale, materiale; parte riceves-sero, quasi senz’accorgersi, nel proprio seno l’idea con-traria ministeriale, morale, unitaria, spirituale della Chie-sa, onde il loro operare doppio e contradditorio, intessu-to di atti di somma pietà e di benefizj alla Chiesa, e di attiempj di dispotismo e alla Chiesa nocevolissimi, secondoche all’una od all’altra delle due idee ubbidissero, o al-l’originale da loro arrecata, o all’acquisita dal magisteriodella Chiesa; e avvenne pure il simigliante nel Clero, ilquale parte colla parola evangelica ammaestrò e mansue-fece quei violenti, introducendo nelle loro menti la pro-

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pria idea unificatrice di carità, parte rimanendo vulnera-to esso stesso nella gran lotta, accolse l’idea contraria, equindi anche nell’operare del Clero la stessa contraddi-zione or di santissimi ed eroici esempi, e sforzi per con-servare l’unità di Cristo, ed or di profani disordini, di vi-lissime condiscendenze, di tendenze individue, dissipa-trici dell’unità e della cristiana ed ecclesiastica comunità.Perocché la lotta delle due idee, e la contraddizione del-l’operare sì negli ordini temporali che negli ecclesiastici èil carattere proprio del medio evo: il che solo spiega tuttigli eventi di quella età, e nominatamente gli urti fra l’im-pero e la Chiesa; ché non potendo questa perire, né l’ideache la domina intieramente distruggersi, perché passeràil Cielo e la terra, ma non la parola di Cristo; ogni qual-volta l’idea contraria alla Chiesa della dominazione tem-porale e violenta e della disunione prevale ed entra nelClero fino a comprometterne l’esistenza; la Chiesa sorgeda quell’ora come un gigante che si risveglia, e con nuo-va e non più usata vigoria atterra nell’estremo pericolo ilsuo nemico, lo scaccia dalle sue tende invase, e ristaurain se medesima e ne’ suoi ministri quell’idea da cui la suavita dipende250.

149.

Or tutto questo ci spiega le vicende subìte dai beni ec-clesiastici. I Signori del medio evo, operando secondol’idea d’individualità e di signoria, non solo riguardaro-no come feudali anche i beni liberi della Chiesa, ma li in-vasero, ne disposero come fossero loro individuali, li di-spensarono ai laici, li alienarono: le quali usurpazioni fu-rono ampio fomite di discordia fra loro e la Chiesa, checon canoni conciliari, pontificie leggi, e pene canonicheguerreggiò un tanto abuso.

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I Prelati, cioè quella parte di essi ligia al principe, nellaquale l’idea di individualità erasi radicata insieme co’ feu-di; operando pure a tenore di questa, disposero in egualmodo delle ecclesiastiche proprietà come fosser lor pro-prie dimentichi che eran comuni, le alienarono, le infeu-darono, le permutarono, le donarono agli stessi laici, lespesero negli sfarzi, ne’ lussi, nelle delizie, nelle milizie,nelle violenze: a cui pure s’oppose la Chiesa con innume-revoli canoni e decreti, rimanendone così vincolata so-prammodo l’alienazione, l’amministrazione e la disposi-zione; e rendendosi sempre più slegato dai suoi Prelatiil Clero inferiore, che la Chiesa dovette necessariamenteproteggere, contro l’arbitrio e la crudeltà di quelli, conreplicate e minute disposizioni: onde la lotta sì spessoaccesa anche oggidì fra i Capitoli, e i Vescovi; e l’inamo-vibilità de’ parochi, che toglie a’ Prelati in gran parte ilpotere di rimediar prontamente agli scandali ed alle scia-gure spirituali delle popolazioni.

150.

Ma perocché il divino fondatore della Chiesa non voleache perisse il principio della comunione de’ beni eccle-siastici, non solo rispetto al loro possesso, ma né ancorispetto alla loro amministrazione ed al loro godimento;perciò egli suscitò in que’ tempi e moltiplicò il Monachi-smo e l’Ordine religioso, il qual facesse espressa e pub-blica professione d’un principio sì salutare: ed i fedeli,guidati da quell’istinto cristiano, che in essi mai non fal-lisce, mostraronsi da quell’ora più propensi a recare le lo-ro oblazioni e i loro doni a quel Clero regolare che custo-diva severamente la massima antica, anzi che al Clero se-colare; onde quando dal Concilio III di Laterano (1179)fu intimata la restituzione delle decime alienate ai laici,questi per la maggior parte le rimisero a’ Monasteri non

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più alle Chiese a cui erano appartenuti, il che fu in ap-presso permesso dagli stessi Pontefici, purché s’aggiun-gesse l’assenso del Vescovo251.

151.

Una terza e preziosa massima dell’antichità si era che «ilClero non usasse de’ beni ecclesiastici se non il puro bi-sognevole al proprio sostentamento, impiegando il di piùin opere pie, specialmente in sollievo degl’indigenti». –Cristo avea fondato l’apostolato sulla povertà e sull’ab-bandono alla provvidenza che avrebbe mossi i fedeli alsostentamento de’ loro evangelizzatori. Egli n’avea datoil più sublime esempio: «Le volpi, poté egli dire, hannodelle buche, e gli uccelli del Cielo de’ nidi: ma il Figliuo-lo dell’uomo non ha dove posare il capo»252: tal condi-zione dichiarava a colui che il volea seguitare. E Pietroavea lasciato fin le povere reti per tener dietro al suo nu-do Maestro. Pure il Collegio apostolico aveva una bor-sa, in cui si riponevano le oblazioni de’ credenti; ma que-sta al tutto comune, esempio di ciò che dovea fare e feceposcia la Chiesa. Quando il paralitico chiese elemosina,Pietro poté dirgli: Argentum et aurum non est mihi253.Ma il bisognevole era assicurato agli Apostoli col dirit-to di vivere in quelle case de’ fedeli che gli accoglieva-no, ed accogliendoli, assai più che non davano, riceve-vano. L’Apostolo Paolo informava il suo discepolo Ti-moteo a questa dottrina scrivendogli: «La pietà è granguadagno col sufficiente. Poiché nulla portammo noi inquesto mondo, senza dubbio non possiamo né portar-ne via bricciolo. Or avendo gli alimenti, e da ricoprir-ci, a questo stiamo contenti»254. Così l’entrare nel Clero,ne’ bei tempi della Chiesa, equivaleva ad una professio-ne di evangelica povertà255. Allora questa parola di Clerosecolare non era inventata, e comparve solo in quel de-

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cadimento dell’antica disciplina, quando parea che an-che il secolo avesse il suo Clero. Lungo tempo durò laprofessione della povertà, qual ornamento del sacerdo-tal ministero, al quale quelli che venivano assunti, lascia-vano per lo più il proprio avere, o a’ poveri lo dispen-savano; perocché, come dice Isidoro di Pelusio, tum vo-luntaria paupertate gloriabuntur256. A uomini così integrie disinteressati veniva poi affidata l’amministrazione e ladispensazione de’ beni della Chiesa, come a depositariidell’avere degl’indigenti. Giuliano Pomerio, dopo reca-ti in esempio di povertà volontaria i due grandi Vesco-vi Paolino di Nola, ed Ilario di Arles, che da doviziosis-simi che erano, s’eran fatti poverelli di Cristo, soggiun-ge: «Di che si può ben intendere, che uomini tali e tan-ti (i quali per essere a Cristo discepoli, rinunziarono tut-te le cose che avevano), conscii che altro non sono i be-ni della Chiesa, se non il voto de’ fedeli, le soddisfazio-ni de’ peccati, e i patrimonii de’ poveri; non li vendica-rono già a privati usi, siccome fosser lor proprii, ma co-me cose loro affidate, a’ poveri li divisero. Ciò che ha laChiesa, ella lo ha comune con tutti coloro che nulla han-no: e però non dee dar nulla a quelli che hanno già il suf-ficiente del proprio: poiché dare a quelli che hanno già,egli non è che un gittare»257. Il perché i chierici prende-vano dalla massa comune il bisognevole a vivere, comequelli che si computavano nel numero de’ poveri, a cuiquella massa consideravasi appartenere. Così il Vescovoera il primo fra i poveri, e dispensandosi ai poveri que-gli averi, era giusto che allo stesso titolo ne dispensasseuna parte a se stesso258, e a’ Cherici inferiori. E questamassima nobilissima tanto era infissa negli animi, che sigiudicava non convenevole che, se un Sacerdote ritenes-se del suo, vivesse di quel della Chiesa; parendo ch’egli,non più povero, né manco n’avesse diritto, e sottraesseindebitamente agli altri indigenti il fatto loro. Il che eraconsentaneo; e viene replicato dal citato scrittore del se-

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colo V, che fra l’altre cose dice così: «Coloro che, posse-dendo il suo, e voglion tuttavia che qualche cosa gli ven-ga dato, non senza lor grande peccato ricevon di quello,di cui doveva vivere il povero. Certo de’ Cherici dice loSpirito Santo: “Mangiano i peccati del mio popolo”. Orsiccome quelli che niente hanno di proprio, non i pecca-ti ricevono, ma gli alimenti di cui mostrano aver bisogno;così i possidenti, non gli alimenti ricevono de’ quali ab-bondano, ma si assumono gli altrui peccati. E così pure ipoveri, se colle loro industrie e fatiche posson camparla,non presumano ricever quello che è dovuto al debile edall’infermo; acciocché la Chiesa, se tutti, anche per nullabisognosi ricevan di ciò, di cui ella può ministrare il ne-cessario ai privi d’ogni sollievo, aggravata, non possa poisoccorrere quelli che deve. Ora coloro che servono allaChiesa troppo carnalmente la pensano, se si avvisano diricevere stipendj terreni259, e non piuttosto eterni premj.– Che se qualche ministro della Chiesa non ha onde vive-re, qui la Chiesa non gli dà mica un premio, ma gli prestail necessario; acciocché in futuro riceva quel premio delsuo travaglio, che già in questa vita, sulla speranza del-la promessa del Signore, con certezza attende. Ed anchequelli che possedendo non domandano gli sia dato alcunche quasi debito, e pure vivono a spese della Chiesa, nonistà a me il definire con qual peccato ricevano, toglien-do i cibi de’ poveri; i quali dovendo ajutar la Chiesa delleloro facoltà, l’aggravano anzi co’ loro dispendii, quasi vi-vessero nella Congregazione pel fine di non pascere alcu-ni poveri, di non albergare gli ospiti, o di non diminuireil proprio censo colle giornaliere spese»260.

152.

Gli abusi opposti a questa massima generosa avanti il me-dio evo non poteano essere che parziali, perocché erano

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degli uomini e non dell’ecclesiastica dignità, che per lasua stessa indole li ripudiava; ma come poté più conser-varsi in atto la massima stessa, in universale parlando,quando i beni della Chiesa, perdendo la primitiva loronatura, divennero feudali, e gli ecclesiastici più eminentialtrettanti feudatarii? Da quell’ora la dispensazione de’beni prese un’altra legge, un’altra direzione: i beni in ve-ce di scorrere all’ingiù nelle mani del povero, ristagnaro-no, o rifluirono all’insù nelle mani del signore: l’idea pri-ma si smarrì o almeno si rese in molti inefficace, e sotten-trò a quella l’idea della proprietà assoluta: i sacri depositivennero depredati.

153.

Lo sparpagliamento altresì della massa comune in bene-fizj assegnati a’ singoli Cherici, da una parte tolse a’ Che-rici, a’ quali il Vescovo dava una quota de’ beni spropor-zionata alle loro fatiche ed al loro merito, che avesserouno stimolo anche umano all’adempimento de’ loro sa-cri doveri, e li disunì dal Vescovo, dal quale, quanto a’ lo-ro proventi, divennero indipendenti261, dall’altra l’esem-pio luminoso del mantenimento pubblico e ministerialede’ poveri per man della Chiesa cessò, e con quel tempo-rale alimento si scemò pure ad essi l’alimento spirituale;ché allora e la Chiesa pigliavasi special cura di quel cor-po d’indigenti che considerava per suo, col quale di con-tinuo trattava, e il solo pascerlo a quel modo era già un’i-struzione, uno stimolo alla gratitudine che gli facea co-noscere, venerare ed amare la Chiesa doppiamente a luimadre. Di qui si dee ripetere la secolarizzazione, per cosìdire, delle opere di carità. Perocché al difetto del Clero,venne supplito con istituti di carità separati, ne’ quali dimano in mano prevalsero i laici: di che nell’ordine del-la provvidenza se n’ebbe il vantaggio che molti cristiani

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s’infervorarono nell’esercizio di tali opere sante; ma v’eb-be pure lo scapito che non essendo più quelle opere ani-mate dall’ecclesiastico spirito e dall’ecclesiastica sapien-za, si umanizzarono, perdettero il divino carattere che lesublimava e le ordinava alla salvezza dell’anime: e que-st’è l’antica origine della moderna filantropia: il qual be-ne perduto, nondimeno si recupererà allora che il Cleroritorni generoso e magnanimo. Perocché in quel tempodesiderabile (che sembra però avvicinarsi) non vorrannopiù i laici dividersi e segregarsi dal Clero, da cui divisi,essi perdono ogni intendimento spirituale, e nelle mate-rali cose isteriliscono; ed allora la cooperazione acquista-ta dal laicato sarà utilissima e preziosissima, quando lai-ci e Cherici, cessata ogni divisione, ritorneranno un so-lo corpo in Cristo, siccome un solo corpo fanno pure lemembra col capo. La divisione adunque de’ benefizj im-pedì l’afflusso spontaneo de’ beni della Chiesa nelle ma-ni de’ bisognosi: perocché il dovere dell’elemosina rima-se diviso fra beneficiati, non più sopravvegliato da’ Ve-scovi, e dalla loro sapienza regolato: i poveri cessaronoda quell’ora di formare un corpo sacro siccome prima,dato in tutela alle Chiese.

154.

La quarta massima regolatrice de’ beni ecclesiastici, e im-peditrice ch’essi nocessero all’integrità del Clero, si erache «non solo que’ beni dovessero adoperarsi in usi pii ecaritatevoli, ma di più, acciocché s’allontanasse nella lo-ro dispensazione l’arbitrio e la cupidigia, fossero altresìcompartiti ad usi fissi e determinati». – Tostoché s’au-mentarono i beni della Chiesa, e incominciarono a dive-nir gravi gli abusi, benché accidentali e parziali; la Chie-sa provvidamente accorse, e volle che alle sostanze eccle-siastiche si fissassero usi determinati, onde l’antica qua-

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dripartizion di esse: una parte pel Vescovo, un’altra pe’Cherici inferiori, la terza a’ poveri, la quarta alla fabbri-ca delle Chiese e al mantenimento del culto. I Concili diAgde del 506, e di Orléans del 511 prescrivono questa di-visione, riferendosi a disposizioni ecclesiastiche più anti-che. Gregorio Magno la richiama in molte sue lettere262.E certo niente v’avea di più opportuno per rimuovere lacorruzione, che addur potevano le ricchezze, di fissarneper via di legge gli usi precisi ne’ quali dovevano esse-re dispensate263: perocché l’abuso è inevitabile, se di unagrande quantità di beni rimane l’impiego ad arbitrio dicolui, al quale è affidata: e la corruzione e rovina anchedi molti monasteri a questa causa appunto sembra dover-si attribuire, che possedendo enormi ricchezze, non v’a-vea legge sufficiente che ne determinasse gli scopi prin-cipali; onde si spendevano come meglio ne pareva agliAbati od altri superiori, in cui balìa si trovavano.

155.

Ma quando entrò il feudalismo nel Santuario, come sipoté oggimai più mantenere questa santissima dispensa-zione? Era dell’interesse del signore, e per dir megliodi quell’aristocrazia violenta a cui si riduce il feudalismoche i beni si accumulassero in mano delle grandi fami-glie, in mano di pochi; il potere secolaresco si fondavasu questo accumulamento: ripugnava dunque la disper-sione de’ beni, l’equa caritatevole e fraterna distribuzio-ne: l’istituzione dei benefizi divenne necessaria per as-sicurare il sostentamento alla parte più debole del Cle-ro, la quale sarebbe perita di fame e di miseria, se nonsi fosse così salvata dall’avidità rapace de’ gran signori,fra’ quali si computavano i Vescovi. Questi non appar-tenevano oggimai più alla plebe, come ne’ primi tempi(perocché gli antichi Vescovi, sebbene di casati talor ric-

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chissimi e nobilissimi, si facevano, pure, coll’esser Ve-scovi, tutti del popolo, di cui professavano la povertà):appartenevano alla classe degli aristocrati invasori e do-minatori. D’allora l’abuso divenne legge: i canoni dellaChiesa furono elusi con innumerevoli cavilli di parole264,quando non erano colle violenze e colle aperte infrazio-ni: la divisione quadripartita, la determinazione delle en-trate ecclesiastiche ad usi fissi fu insopportabile: l’anticamassima naufragò nella pratica, e con essa il suo spirito.

156.

«Lo spirito di generosità, la facilità in dare, la difficol-tà in ricevere» era la quinta massima con cui si riparavala Chiesa dal pericolo delle ricchezze ne’ secoli anterio-ri al feudalismo. – Ella teneva altamente scolpita la no-bilissima, ed inaudita parola di Cristo: «è meglio il dareche il ricevere»265: questa predicava come una buona no-vella al mondo schiavo dell’egoismo: questa facea riluce-re in tutti i suoi atti, in tutte le sue operazioni. I Vesco-vi consideravano siccome un peso molesto i beni tempo-rali e le loro amministrazioni, e lo sopportavano indotti-vi soltanto dalla carità266: non vi erano ancora leggi cherendessero oltremodo difficile l’alienazione de’ beni ri-cevuti: si riceveva con gran riserbo, si donava con granlarghezza. S. Ambrogio ricusava le offerte o le eredità,se conosceva poter esse cadere a danno de’ parenti po-veri: Non quaerit, scriveva egli, donum Deus de fame pa-rentum, e aggiungeva: Misericordia a domestico progredidebet pietatis officio267: il che la Chiesa potea fare allora,quando il suo spirito era libero, non legato da mille vin-coli, e specialmente dalla protezione, come la chiamano,de’ principi secolari. Perché un effetto di questa servitùdella Chiesa sotto la forza è anche questo appunto, l’es-serle impediti tali atti generosi, che sì spesso facevano i

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suoi Vescovi antichi, e le aggiungevano tanto splendore.Di Aurelio e di Agostino e dei loro sentimenti in questoargomento ho già toccato. In uno de’ sermoni che il granPadre d’Ippona tenne al popolo, egli ebbe a difendersicontro la voce che correa: Episcopus Augustinus de boni-tate sua donat totum, non suscipit (che bella accusa!), on-de era che si lagnava, che per questa generosa larghez-za del santissimo Vescovo, niuno donasse più alla Chie-sa d’Ippona, niuno la facesse erede. Possidio, nella vi-ta che di lui scrisse, racconta, che restituì una possessio-ne ad uno de’ maggiorenti ipponesi che, avendola già dapiù anni donata alla Chiesa con regolare istromento, po-scia se n’era pentito e l’avea al buon Vescovo ridoman-data pel figlio; e gliela restituì rifiutando anche una som-ma di danaro che aveagli mandata pe’ poveri, non peròsenza avvertirlo del suo peccaminoso contegno: siccomepure narra, che accortosi Agostino, come fra il Clero in-feriore alcuno invidiava al Vescovo, nelle cui mani eranole facoltà della Chiesa268, egli ne tenne a dirittura ragio-namento alla plebe di Dio, colla quale que’ Vescovi ognicosa comunicavano, esponendo «che egli avrebbe amatodi vivere delle collette della plebe di Dio, piuttosto chesofferire la cura e il governo di quelle possessioni; e peròche egli era pronto di cederle loro, acciocché tutti i ser-vi e ministri di Dio vivessero a quel modo, in cui si leg-ge nel Testamento antico, gl’inservienti all’altare, aver diesso altare compartecipato. Ma i laici non vollero mai inciò consentire»269.

157.

S. Giovanni Grisostomo, parlando al suo popolo, addu-ce altresì la ragione del perché la Chiesa non continuò avivere delle collette accidentali de’ fedeli; ma accettò benanco donazioni di cose stabili. Dice, che il Clero fu ne-

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cessitato a ciò fare, non per sé, ma pel bisogno di provve-dere a’ miseri, diminuito essendosi ne’ fedeli quel fervo-re della primitiva carità. «A cagione della vostra strettez-za di mano, egli disse, ha la Chiesa bisogno di avere quel-lo che ora si ha. Poiché se tutto si facesse in modo con-forme alle leggi apostoliche, il provento di lei dovrebbeessere l’animo vostro, il quale certo sarebbe e una sicuradispensa, ed un tesoro non consumabile. Ma ora che voitesoreggiate sopra la terra, e tutto chiudete ne’ vostri ri-postigli, ed essa, la Chiesa, ha uopo di spendere e pe’ ce-ti delle vedove, e pe’ cori delle vergini, e per le afflizio-ni di quelli che debbono viaggiare lontano, e per le cala-mità di coloro che sono ne’ ferri, e per le indigenze di al-tri che sono manchi e mutilati; e per altre cause ancoradi tal fatta; che si può egli mai fare?»270

158.

Ora chi mai non deplorerà tanto cangiamento sopravve-nuto ne’ secoli di rovine e di barbarie che succedetteronella Chiesa, pel quale un Clero di così alti spiriti forni-to, di tanta elevatezza, liberalità e carità, giunse, al tut-to diverso da se medesimo e dalla sua propria natura, ameritare di venire stimmatizzato col verso:

In cui usa avarizia il suo soperchio!

Se ne considerino le due cause, l’una degli atti de’principi barbari, l’altra di quelle disposizioni che fu co-stretta di fare la Chiesa a propria difesa, per evitare unmale maggiore.

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159.

Avendo il feudalismo, come vedemmo, fatto cangiar na-tura a’ beni ecclesiastici, e venendo questi frequentemen-te alienati, e concessi ai laici da’ principi, e dagli stessiPrelati feudatari; la Chiesa dovette opporsi all’abuso col-le sue leggi; e quindi cominciò la legislazione a prendereuna tendenza tutto opposta alla massima antica, cioè el-la fu volta da quell’ora «a facilitare alla Chiesa il più pos-sibile l’acquisto e la conservazione de’ beni temporali, ea difficultarne il più possibile l’alienazione». I legislatorisogliono accorrere colle loro disposizioni là dove l’abusoè maggiore, e nel caso nostro egli era estremo; ma ben so-vente egli accade che tutto intesi a impedire l’abuso, es-si facciano anche più che non bisogni; ovvero trasandinodi considerare altri inconvenienti che nascono da quellastessa legislazione, altri beni che rimangono per essa im-pediti collo scemamento soverchio della libertà, e così le-ghino insieme coll’abuso anche l’ottimo uso; o finalmen-te accade ancora che quella legislazione, che avea per suolegittimo intento di sterminare l’abuso, sopravviva all’a-buso già vinto, trovandosi quindi appresso l’umanità av-vincolata e costretta da leggi prive di quella ragione, chequando vennero emanate le giustificava. Nel caso no-stro egli era un gran male certamente, che gli ecclesiasti-ci beni fossero frodati della loro destinazione, passasse-ro in usi profani, si dessero a mercede di servigi e d’uf-ficij secolareschi, tradite così le pie intenzioni degli obla-tori; ma egli era pure un grande e sommo bene, che i Ve-scovi, col consiglio del loro Clero, potessero rinunziareopportunamente le donazioni e le eredità che alla Chiesaofferivansi, potessero vendere le possessioni e distribuir-le, senza troppe difficoltà e formalità, a tutti quelli che neabbisognassero, venendo così la Chiesa in ajuto di tuttii mali di cui è aggravata l’umanità. La Chiesa è già ric-ca abbastanza, s’ella ha un tesoro di carità, e un esercizio

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amplissimo di beneficenza: la Chiesa è abbastanza felicese può dire con S. Ambrogio: Aurum Ecclesia habet, nonut servet, sed ut eroget, et subveniat in necessitatibus271.Ora qual senso doloroso, qual danno agli stessi ben inte-si interessi della Chiesa, quale scandalo non è il pensiero,l’opinione prevalente, che il Clero abbia le mani sempreaperte a ricevere, e sempre chiuse a dare? Certo la con-siderazione che tutto ciò che entra nell’arca della Chiesa,non ne esce forse più in perpetuo, ella è cosa che rattri-sta, che genera la disistima, suscita l’invidia, estingue laliberalità de’ fedeli, produce la sospicione che vi si accu-mulino col proceder de’ secoli que’ tesori di cui abbiso-gnano le famiglie per vivere; il commercio per fiorire, lostato per difendersi: presta un appicco a’ governi per in-tervenire nelle disposizioni degli ecclesiastici beni, dettaloro le leggi disonorevoli di ammortizzazione, disamorae disunisce sempre più il popolo dal Clero e dalla Chie-sa, occasiona l’incredulità, provoca le maldicenze e le ca-lunnie degli empj, e finalmente arma il furore della mol-titudine sommossa dai tristi, o la cupidigia de’ potenti arompere violentemente l’arca serrata per farne uscir l’o-ro, ad atterrare le porte chiavate del santuario per rapir-ne i tesori. Per me stimo assai più desiderabile, assai piùutile alla Chiesa di Dio il non dare punto cagione a tut-ti questi mali, che non sia l’abbondare di temporali dovi-zie, o l’impedire che qualche parte di essa venga, foss’an-co inconsideratamente, alienata.

160.

Le ammonizioni, i canoni, le pene della Chiesa giunseropoco a poco ad ammansare i barbari conquistatori, e adimpedire che dissipassero a lor talento il patrimonio ec-clesiastico. Ma è da avvertire che il secolare potere nonnocque solo colla violenza, e colle depredazioni: nocque

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assai più colle sue stesse liberalità, nocque colle leggi ci-vili dettate in ispirito secolaresco e profano a tutela e pro-tezion della Chiesa e de’ suoi beni. Il governo civile nonha il senso ecclesiastico, ed ogni qualvolta mette mano nelsantuario, ne raffredda e spegne col suo tocco lo spiri-to. Carlo Magno e Ottone I favorirono la Chiesa: e pu-re l’infelice regalo de’ feudi (al quale non erano già uni-camente mossi dalla devozione alla Chiesa, ma da quel-la politica che voleva ad un tempo scemar la potenza de’nobili e assudditarsi quella de’ Vescovi) fu pur l’amo fa-tale, al quale il Clero fu preso. Da quell’ora il potere se-colare s’ingerì sempre nella Chiesa; e le sue grazie, le suecarezze finirono col toglierle la libertà, che è l’aria di cuiella vive. Che può il governo temporale, se non ajutare laChiesa colla forza bruta, unico mezzo suo naturale d’o-perazione? E bene, la forza è appunto d’un’indole diret-tamente opposta allo spirito della Chiesa: la Chiesa ef-figiata con in mano le catene, i fasci, le scuri qual per-sonaggio non rende? Inorridisce la vista. Qual masche-ra crudele! Ella ributta non solo i cattivi, gli stessi buo-ni. Il temporale potere oltracciò né conosce, né serba i li-miti della sua protezione: avvezzo al comando, comandafin dove può: inetto a conoscere il vero ben della Chie-sa, pretende esserne giudice, e ripone questo bene uni-camente nel vantaggiarla negli ordini della terra: trattal’amministrazione de’ beni di lei, come fa de’ suoi pro-prj, disconoscendo che quelli sono di tutt’altro genere:ne accumula il più che può, permette che ne sieno spe-si il meno che può: arricchisce la Chiesa, se fa bisogno,anche di privilegj e d’immunità, di una protezione esa-gerata ed eccezionale, talora contro giustizia, riuscendoopposta all’uguaglianza civile, e sempre poi odiosa al po-polo che non ne partecipa272. Così la massima della faci-lità in dare, e della difficoltà in ricevere, che è connatu-rale alla Chiesa, diventa ad essa impossibile a praticarsi,

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quando i suoi beni non sono più liberi in sue mani, maservi del laicale potere.

161.

Né solo in questo la Chiesa si mostrava d’indole eccelsa,ma ben anco «in amare che la dispensazione de’ suoi be-ni apparisse agli occhi del pubblico», che è la sesta mas-sima che ella poneva in atto ne’ primi tempi. – Abbiamveduto che gli antichi Vescovi conferivano ogni cosa colloro popolo, e col loro Clero, questo facevano anche perciò che riguardava i beni temporali. Oltracciò, i Sacer-doti e i Diaconi che gli amministravano doveano avereil suffragio della plebe cristiana, secondo la tradizioneapostolica273: esser persone a lei note, di piena sua con-fidenza. Con che delicato riserbo non propone S. Pao-lo a que’ di Corinto ch’essi stessi eleggano quelli che do-vessero portare le loro elemosine ai cristiani bisognosi diGerusalemme! «Ogni domenica ciascuno metta da partequello che stima, acciocché quand’io sarò venuto non sifacciano le collette. E quando sarò presente, allora man-derò quelli che voi avrete stimati degni con lettere, a por-tare le vostre grazie a Gerusalemme. E se sarà convenien-te che vada anch’io, verranno meco»274. Egli era Vesco-vo e Apostolo; aveva tutto il potere: tuttavia non vuoleegli stesso eleggere i portatori di quelle elemosine, ne la-scia al popolo la scelta; omnia mihi licent, sed non omniaexpediunt.275 Avrebbero forse dubitato della fedeltà del-l’Apostolo? No; ma non basta; in punto di temporali in-teressi, l’uomo santo s’astiene il più che può dall’ingerir-sene: riserba il suo potere apostolico per le sole cose ne-cessarie, del resto lascia libera la plebe: è naturale e giu-sta soddisfazione a questa, che possa fare anch’essa alcu-na cosa, che vegga co’ suoi occhi, che adoperi il suo giu-dizio, che s’interessi nel bene, vi ponga la mano ella stes-

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sa. Così S. Giovanni Grisostomo non temeva di offerir-si al suo popolo di rendergli ragione dell’uso che face-va de’ redditi della Chiesa: Sumus etiam parati vobis red-dere rationem276: e allo stesso modo, nello stesso spirito,procedevano tutti gli antichi Vescovi.

162.

Certo, che l’uso de’ beni della Chiesa sia fatto a dove-re non basta: che se ne renda conto a’ soli governi népure è sufficiente alla soddisfazione del popolo cristia-no che offerisce il fatto suo piamente alla Chiesa. Laon-de, sarebbe alla Chiesa d’incredibile giovamento in pri-ma, che a tutti i beni posseduti da lei, specialmente da-gli Ordini religiosi, fossero, con sapienti leggi della Chie-sa medesima, determinati colla maggior precisione pos-sibile gli usi: a ciascun uso assegnata una congrua por-zione: né manchevole né soverchia: si pubblicasse di poiun annuale rendiconto, sicché apparisse a tutto il mondoil ricevuto e lo speso in quegli usi con una estrema chia-rezza, sicché l’opinione de’ fedeli di Dio potesse apporreuna sanzione di pubblica stima o di biasimo all’impiegodi tali rendite, e così ne sarebbero anco i governi infor-mati, senza bisogno di altro. No, per fermo, non convie-ne, non è espediente che la giustizia e la carità, secondola quale opera la Chiesa nell’amministrazione economicade’ suoi beni temporali di qualunque specie, si resti sot-to il moggio nascosta, anzi egli è più che mai desiderabi-le che risplenda siccome ardente face sul candelliere. Ohquanto ciò non concilierebbe a lei gli animi de’ fedeli!Che istruzione, che esempio non potrebbe dar ella all’u-niverso intero! E solamente allora la debolezza de’ suoiministri sostenuta dal giudizio pubblico si terrebbe lon-tana dal cedere all’umana tentazione. Perocché l’uomo,quando non può peccare di nascosto, non pecca, od al-

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meno non pecca a lungo. La quale felice necessità di darconto di sé al pubblico de’ fedeli, anzi alla società degliuomini, risveglierebbe le coscienze di molti, sonnacchio-se per mancamento di stimoli sufficienti, e farebbe senti-re il bisogno che i posti ecclesiastici non fossero occupatise non da valentuomini forniti di una perfetta e patenterettitudine, e d’una vera pietà.

163.

Finalmente accennerò una settima ed ultima massima:che «i beni della Chiesa vengano da lei stessa ammini-strati con ogni vigilanza e diligenza». – Questo ha sem-pre raccomandato la Chiesa a quelli a cui ne affidò l’am-ministrazione, dichiarando quelle sostanze esser di Dioe de’ poveri, e avervi un cotal sacrilegio, se per incuriae pigrizia de’ procuratori qualche parte se ne perdesse:ed è egli di tanto maggior momento questa massima, chetrascurata, diede maggior appiglio a’ governi di mettervila mano e far tutto essi, onde la servitù della Chiesa e de’suoi beni si perpetua.

164.

Vero è che la Chiesa ora perseguitata, ora oppressa, sem-pre lottante col poter temporale amico e nemico, e ol-tracciò sempre intesa a cure troppo più gravi del ben del-le anime, non ebbe mai tempo bastevole a ridurre l’am-ministrazione de’ suoi beni perfetta, a stabilir un sistemaeconomico da tutte parti bene organato e difeso. Che sesi considera quanto ha ricevuto la Chiesa ne’ vari secolidella sua vita, e quanto ell’ha perduto per difetto di que-sta vigilante ed industre amministrazione economica; egliè impossibile a dire, che cosa ora sarebbe la Chiesa, se i

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suoi beni temporali fossero stati sempre da’ suoi mini-stri sapientemente amministrati. Ma la forza dello spiri-to umano è limitata, ed ella non arriva mai a compire dueimprese diverse ad un tempo, sebbene legate fra loro: loscopo spirituale della Chiesa doveva necessariamente as-sorbirne tutta, per poco, l’attenzione, e non poteva con-temporaneamente esser guari sollecita del buono anda-mento della parte materiale, fino a tanto che la sua legi-slazione disciplinare più importante (quella che riguardadirettamente la salute dell’anime) non fosse stata prima apieno stabilita, e che l’esperienza non avesse dimostratoil danno incalcolabile che dal negligere la parte materialeridondava alla stessa parte spirituale. Or che a principiociò non fosse possibile, né pure fosse espediente, me nepersuade l’esempio di Cristo, che si contentò d’avere unamministratore infedele fra’ suoi stessi Apostoli, accioc-ché, parmi, servisse di documento che niente dovea di-strarli dallo spirituale regime, né pure il pericolo di tem-porali detrimenti. E qui farò fine concludendo, che daquanto fu ragionato risulta ad evidenza, che allorquan-do Pasquale II ebbe fatto la magnanima proposta di ri-nunziar ai feudi, il grand’uomo avea posto la scure allaradice della mala pianta, ma l’età avea una complessionetroppo stemperata per sostenere un tanto rimedio.

165.

Quest’opera, incominciata nell’anno 1832 e compita nelseguente, dormiva nello studiolo dell’autore affatto di-mentica, non parendo i tempi propizii a pubblicar quel-lo ch’egli avea scritto più per alleviamento dell’animo suoafflitto del grave stato in cui vedeva la Chiesa di Dio, chenon per altra cagione. Ma ora (1846) che il Capo invisi-bile della Chiesa collocò sulla Sedia di Pietro un Pontefi-ce che par destinato a rinnovare l’età nostra e a dare alla

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Chiesa quel novello impulso che dee spingere per nuo-ve vie ad un corso quanto impreveduto altrettanto mara-viglioso e glorioso; si ricorda l’autore di queste carte ab-bandonate, né dubita più di affidarle alle mani di quegliamici che con esso lui dividevano in passato il dolore edal presente le più liete speranze.

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APPENDICE

SOPRA LE ELEZIONI VESCOVILI A CLERO EPOPOLO

Lettere di Antonio Rosmini Serbati Prete

LETTERA I

Al sig. Canonico Giuseppe Gatti dottore in teologia, a CasaleStresa, 8 giugno 1848

Devo renderle grazie della menzione onorevole ch’ellasi è compiaciuta di fare nel pregevole Giornale che escesotto la sua direzione della recente operetta da me pub-blicata in Milano col titolo: La Costituzione secondo lagiustizia sociale. Non volendo tuttavia venirle innanzicon uno sterile atto di ringraziamento, mi permetta di co-gliere questa occasione per dichiarar meglio il mio pen-siero sul punto che ella accenna dove dice che io ame-rei di «ricondurre l’elemento democratico perfino negliecclesiastici reggimenti».

Io amo l’unione dappertutto e la discordia in nessunluogo, perché l’unione è carità e, per dir meglio ancora,la carità è vera unione, ed è il precetto del divin Maestrodato agli individui non meno che alle società umane.Amantissimo del popolo, io amo sopratutto l’unionedel popolo col Clero. Non intendo con questo, cheil popolo abbia una parte diretta nel reggimento dellaChiesa: so troppo bene che questo fu confidato da G. C.alle mani degli Apostoli e de’ loro successori, i Vescovi,che formano fra loro una bellissima unità gerarchicamediante il primato di onore e di giurisdizione che S.Pietro lasciò in eredità ai Sommi Pontefici. L’interventodel popolo non può essere che intervento di carità, diconsiglio, di corrispondenza paterna e figliale, e quindi

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anche può variare di modo o di grado secondo che lospirito di carità e di prudenza detta alla santa Chiesa.

E di questo intervento io parlavo quando nella sud-detta opericciuola proponevo come salutarissimo rime-dio ai nostri mali ed oso dire necessario, di ritornare al-l’elezione de’ Vescovi a Clero e popolo secondo l’anticaconsuetudine, la quale non dava al popolo appunto altroche la facoltà d’esprimere il suo desiderio sui candidati,di decorarli della sua buona testimonianza, di accettarel’eletto di sua confidenza.

E aggiungevo che una tale forma di elezione, confer-mata da innumerevoli canoni di Concili, appartiene al di-ritto divino. Con che non ho certo voluto dire e non hodetto che tutte le diverse pratiche e vari modi usati nel-l’antichità per effettuare le elezioni a Clero e popolo fos-sero di diritto divino. Né tampoco dall’aver esercitato ilpopolo nelle elezioni de’ Vescovi un diritto provenien-te da divina istituzione si può inferire, come ho altrovedimostrato e come dichiarerò meglio in appresso, che laChiesa non potesse cangiare quella forma di elezione, op-pure che avesse male operato in facendolo, mossa a ciòda gravissime cagioni, secondo quello spirito di carità edi prudenza che dirige, come dicevo, tutti i suoi atti.

Né reputo qui inutile l’aggiungere, perché niente restid’incerto in quella mia sentenza, che qui non si parladi un diritto divino costitutivo, ma di un diritto divinomorale; cose assai differenti. Perocché questo secondo,quando viene offeso, non trae seco alcuna invalidità,e perciò i Vescovi anche nominati dai governi civili,purché confirmati e mandati dal Sommo Pontefice, sonolegittimi Pastori, come ha definito il sacro Concilio diTrento, Sess. XXIII, Can. VIII. Colla qual distinzionefra il diritto divino costitutivo e il diritto divino morale siconciliano i vari pareri degli autori su questa questione.Perocché sulla medesima vi hanno diversi pareri fra gliscrittori della Chiesa, e non essendovi niuna espressa

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dichiarazione della Chiesa, si può opinare per l’una eper l’altra parte. Della quale libertà servendomi io, m’èpartito di tenermi nel mezzo, conciliando le opinioni,col dire che le elezioni a Clero e popolo non sono didiritto divino, se si parla di un diritto divino costitutivo,e sono di diritto divino, se si parla di un diritto divinomeramente morale.

E nel vero ciò che v’ha di diritto divino costitutivo nel-l’istituzione dei Vescovi si è soltanto la sacra Ordinazio-ne, e la missione della Chiesa: le quali due cose sono in-dipendenti affatto dal popolo e da ogni altro potere lai-cale, come insegna il sacro Concilio di Trento con que-ste parole: Docet insuper sacrosancta Synodus, in Ordina-tione Episcoporum, Sacerdotum, et caeterorunt Ordinum;nec populi nec cuiusvis saecularis potestatis, et magistra-tus consensum, sive vocationem, sive auctoritatem ita re-quiri, ut sine ea irrita sit Ordinatio: quin potius decernit,eos qui tantummodo a populo aut saeculari potestate autmagistratu vocali et instituti, ad haec ministeria exercendaascendunt, et qui ea propria temeritate sibi sumunt, omnesnon Ecclesiae ministros, sed fures et latrones, per ostiumnon ingressos, habendos esse277.

Il diritto divino morale poi si riduce al diritto che ha laChiesa di essere libera, come in tutte le sue funzioni, cosìanco nell’elezione de’ propri Pastori, e al dovere che han-no tutti i fedeli, di qualunque dignità rivestiti, come pu-re tutte le società, di lasciarla perfettamente libera. Nonè ella questa libertà di diritto divino? Fu forse la Chiesaquella che la prima e spontaneamente porse le sue maniacciocché vi si applicassero le catene? O piuttosto non fusempre la prepotenza degli uomini quella che, ponendo-si appunto sotto i piedi il diritto divino della libertà del-la Chiesa, tentò tutte le vie di spogliarla della essenzialesua libertà, di avvolgerla fra mille ritorte, ora servendosidella violenza, ora della seduzione, ora delle più cavillo-se dottrine legali? E la Chiesa non dovette tante volte su-

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bire i limiti posti alle sue libertà naturali, per evitare ma-li maggiori? E nel fatto delle elezioni, fu forse la Chiesaquella che spontaneamente offerisse la nomina a tutte lesedi vescovili di certi Stati al potere laicale, e non anzi fe-ce questo sacrificio, dopo lunghissime lotte, stretta dallepiù dure circostanze? La storia è aperta a tutti, e la storiagiustifica pienamente la Chiesa.

Che anzi la Chiesa non cessò mai di annunziare alta-mente non meno ai principi che ai popoli, che a lei s’ad-dice la piena libertà nei suoi atti, e di rivendicarsene tut-ta quella parte che le fu possibile. Ella non cessò mai dipermettere, anzi di commendare lo zelo di que’ sacerdotio semplici fedeli che in voce o in iscritto difesero le sue li-bertà. Questa divina libertà io la amo, come la deve ama-re ogni figliuolo devoto alla Chiesa e specialmente ognisuo sacerdote, come amo GESÙ Cristo, di cui la Chiesaè Sposa; e per questo amore, non peraltro fine, alzai an-ch’io la mia umile voce, e manifestai il vivo mio deside-rio che fosse restituita alla Chiesa quella intera libertà dieleggersi i suoi Pastori, la quale agli occhi miei è di tut-te la più importante, è quella che nel suo seno fecondotutte l’altre contiene: e la interezza di questa libertà nonpuò essere restituita alla Chiesa senza che cessino le no-mine de’ Vescovi venute ne’ moderni tempi nelle manidel potere laicale.

Queste nomine in mano del potere laicale, non perragioni eccezionali ma in modo permanente e perpetuo,sono ad evidenza una diminuzione della libertà dellaChiesa, un vincolo a lei posto, pel quale ella non puòeleggere liberamente e senza contrasto quelli che giudicai più degni alle cattedre Vescovili: è quindi, agli occhimiei, sono, per parte di chi ha posto la Chiesa nella duranecessità di concederle, una violazione del diritto divinodell’ecclesiastica libertà.

Il qual diritto esige, a mio vedere:

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1°. Che le elezioni de’ primi Pastori destinati a pasce-re il gregge di Cristo sieno fatte liberamente dalla Chie-sa cioè dalla ecclesiastica podestà. Ora non rimane el-la questa libertà immensamente ristretta e diminuita col-la nomina accordata alla podestà secolare? Come può laChiesa assicurarsi che venga eletto il più degno e quel-lo in cui il popolo ha maggior confidenza? Quali gua-rentigie le dà o le può dare il potere laicale? Special-mente in que’ governi dove non si riconosce la religionecattolica per religione dello Stato, ma sono ammesse in-differentemente tutte le credenze, tutte ugualmente pro-tette? Qualunque diminuzione della libertà della Chiesanella scelta de’ suoi Pastori vulnera dunque il suo dirittodivino; perocché G. C. l’ha fatta libera e indipendente.Laonde conviene che la pienezza della libertà della Chie-sa anche in questo sia senza indugio, quando mai si può,rivendicata e reintegrata.

2°. Che nelle elezioni sia ascoltata la plebe cristiana,che ne sia veramente raccolta la testimonianza, che quellanon sia forzata né pur moralmente a ricevere un Pastorein cui non ha confidenza e che forse neppur conosce nédi nome, né di volto; né d’opere, né di fama, mentre lepecore conoscono il loro Pastore, come ha detto G. C278.

Io non dissi in qual modo ciò si debba fare: questa èun’altra questione: sarà da cercare il modo più oppor-tuno: sembra tuttavia certo, che un modo possibile nonpossa mancare in un tempo, nel quale si attribuisce alpopolo la nomina de’ suoi rappresentanti ai parlamenti.

Io non dissi né pure in qual modo, per quali vie, perquali gradi si debba procedere per giungere a questofelice risultamento di rivendicare la piena libertà delleelezioni vescovili dalle mani de’ governi laicali: questoappartiene intieramente alla sapienza della Chiesa e dellaSanta Sede Apostolica che ad essa presiede; come adessa pure appartiene il giudicare definitivamente se siavenuto il tempo a questa grand’opera di rigenerazione,

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com’io vo sperando, ovvero se il tempo non sia a ciòancor maturo.

Dove voglio osservare che quand’anco fosse vana lamia lusinga che questo tempo ben avventurato sia giuntoo sia prossimo, ancora non crederei di piamente operarecomprimendo l’ardore che mi spinge a parlare di ciò, in-segnandomi gli annali della Chiesa che le riforme si pre-parano sempre poco a poco, e che prima che ricevanouna compiuta effettuazione, molti e molti sogliono alzarla voce, applaudente la Chiesa col suo spirito, per addi-tarle, e prima che la legittima autorità giudichi opportu-no, ovvero possa mettervi efficacemente la mano, molti emolti fedeli e sacerdoti col loro privato zelo e con vivissi-me istanze le propongono e le dimandano: Il che mi per-suase che il discutere questa necessità di rivendicare al-la Chiesa la pienissima libertà delle elezioni vescovili nondovesse ad ogni modo essere disutile, se non forse a mestesso, incominciandosi così a disporre da lontano l’av-venimento, e alla Chiesa dovesse esser cosa gradita e alsuo spirito in tutto conforme. E però non cercando iole cose mie, ma quelle di GESÙ Cristo ho francamentequanto mi sentivo premer nell’animo.

Ma per tornare ai due rispetti in cui ho consideratela libertà delle elezioni, cioè rispetto al Clero, e rispettoal popolo; niuno si maravigli se io fo menzione anche diquesto. Il popolo fedele non conviene punto disprezzar-si o considerarsi troppo bassamente: fra di lui non man-cano giammai degli uomini santi, de’ prudenti in Cristo,che hanno il senso di Cristo. Esso popolo è una parte delmistico corpo di Cristo; insieme co’ suoi Pastori e incor-porato col suo Capo, egli forma un corpo unico: col Bat-tesimo e colla Confermazione egli ha ricevuto l’impres-sione di un carattere indelebile, d’un carattere sacerdo-tale: non già che i fedeli partecipino del sacerdozio pub-blico o che abbiano alcuna giurisdizione, e molto menoche da essi provenga la giurisdizione ecclesiastica, come

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dissero gli eretici, la qual giurisdizione viene immediata-mente da Cristo all’Episcopato ordinato ad unità sottoPietro; ma il semplice Cristiano gode tuttavia d’un sacer-dozio mistico e privato che gli dà una speciale dignità epotestà, e un senso delle cose spirituali. Quindi non soloil Clero gerarchico, e non gerarchico, ma anche il popo-lo cristiano ha certi suoi diritti; vi ha una libertà del Cle-ro, vi ha una libertà del popolo dentro a quei confini chefurono prescritti dalla sacra tradizione e dalle leggi dellaChiesa: tutti sono liberi in GESÙ Cristo. A ragione d’e-sempio il popolo cristiano può e deve opporsi ad un Ve-scovo che insegnasse manifestamente l’eresia, può e de-ve dividersi da un Vescovo intruso o da uno scismatico:il suo senso soprannaturale a ciò lo scorge, e gliene dà ildiritto279.

I Santi Padri i quali insegnarono che quella parteche ha il popolo nell’elezione de’ suoi Pastori procededalla legge divina, ne trassero le prove 1° dalla leggeantica; 2° dagli Atti apostolici che ci narrano l’elezionedi S. Mattia, di S. Timoteo, e de’ sette Diaconi; 3° daalcuni luoghi delle lettere di S. Paolo; 4° dalle ragioniintrinseche procedenti dalla dottrina di Cristo, cioè dalladolcezza e ragionevolezza del governo ecclesiastico, dalladignità de’ Cristiani, dal fine dell’ecclesiastico ministero,dalla sicurezza maggiore di un giudizio pubblico ecc.; 5°dall’immediata tradizione non iscritta di Cristo e degliApostoli.

Io sarei troppo lungo se prendessi a svolgere tutti que-sti capi e confirmare ogni argomento coi detti de’ Padri escrittori ecclesiastici: laonde mi terrò unicamente a sce-gliere alcune delle più autorevoli e cospicue testimonian-ze atte a dimostrare la tradizione divina ed apostolica del-le più celebri Chiese.

Prima e capo di tutte è la Chiesa Romana. La tradizio-ne di questa Chiesa madre e regola di tutto l’orbe ci è da-ta da S. Clemente Papa e martire, immediato discepolo

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degli Apostoli, nella prima lettera che ancor ci rimane dilui, alla Chiesa di Corinto, la qual lettera è scritta in per-sona della stessa Chiesa Romana, come attesta il titolo edil contesto della medesima.

Al paragrafo XLIV di questa lettera si legge:Et Apostoli nostri cognoverunt per DOMINUM NO-

STRUM JESUM CRISTUM, quod futura esset conten-tio de nomine episcopatus. Ob eam ergo caussam, accep-ta perfetta praecognitione, constituerunt supradictos (Epi-scupos), et deinceps FUTURAE SUCCESSlONIS REGU-LAM TRADIDERUNT; ut cum illi decederent, ministe-rium eorum et manus alii viri probati exciperent. Consti-tutos (κατασταθεντας) igitur ab illis, vel deincepsab aliis viris eximiis, CONSENTIENTE AC COMPRO-BANTE (συνευδoκησ ´ασης της εκκλεσ ιαςπ ´ασης) UNIVERSA ECCLESIA; qui incolpate oviliChristi ministraverunt cum humilitate, quiete, nec illibe-raliter: quique longo tempore AB OMNIBUS TESTIMO-NIUM PRAECLARUM REPORTARUNT; hos putamusofficio iniuste deiici etc.280

Un più illustre ed autentico documento della tradizio-ne della Chiesa Romana di quello di questo santo Papache ricevette immediatamente dalla bocca di S. Pietro laregola di eleggere e di costituire i Vescovi quale Cristostesso l’aveva insegnata, e che scrive a nome della stessaChiesa Romana, non credo si possa rinvenire. Ora que-sti ci attesta che i Vescovi erano costituiti, cioè ordinati,mandati, ed eletti da altri Vescovi, così dovendosi inten-dere, a mio parere, quel ab aliis eximiis viris, ma che si ri-chiedeva il consenso, l’approvazione, e la buona testimo-nianza di tutta la Chiesa, cioè anche del popolo. Questaè dunque di divina ed apostolica tradizione.

E sebbene una testimonianza di tale e tanta autoritàpare che si debba riputare sufficiente a dimostrare chel’intervento del popolo cristiano nelle elezioni vescovili èdi diritto divino e apostolico, giusta la tradizione della

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Chiesa Romana, tuttavia mi si conceda di trascrivereanche un altro luogo delle Costituzioni Apostoliche. Ilquale è nel 1. III, c. IV, di questa antica collezione, edice così:

Primus igitur ego Petrus aio, ordinandum esse Episco-pum, ut in Superioribus omnes pariter constituimus, in-culpatum in omnibus, ELECTUM A CUNCTO POPU-LO UT PRAESTANTISSIMUM. Quo nominato et pla-cente, CONGREGATUS POPULUS una cum Presbyte-rio et Episcopis qui praesentes erunt, in die dominica, con-sentiat. Qui vero inter reliquos praecipuus est, interrogetPraesbyterium et PLEBEM, an ipse est, quem IN PRAESI-DEM POSTULANT: et ILLIS ANNUENTIBUS, iterumroget, an AB OMNIBUS testimonium habeat, quod dignussit magna hac et illustri praefectura; an quae ad pietatemin Deum spectat ab ipso sint recte facta, an iura erga homi-nes servata, an domesticae res pulchre dispensatae, an vi-tae instituta sine reprehensione. Cumque UNIVERSI pa-riter secundum veritatem, non autem secundum anticipa-tam opinionem, testificati fuerint talem eum esse; quasiante iudicem Deum ac Christum, praesente scilicet SanctoSpiritu et omnibus sanctis et administratoribus spiritibus,rursus tertio sciscitetur, an vere dignus sit ministerio; utin ore duorum aut trium testium stet omne verbum: atqueiis tertio assentientibus dignum esse: A CUNCTIS PETA-TUR SIGNUM ASSENTIONIS, ET ALACRITER DAN-TES AUDIANTUR; silentioque facto etc.

Dalla quale Costituzione, le cui parole si mettono inbocca allo stesso S. Pietro, scorgesi manifestamente chesi riputava essere di tradizione Apostolica quella parted’intervento che s’attribuiva al popolo nelle elezioni de’Vescovi281: gli Apostoli poi avere ricevuto tal precetto daCristo lo fa intendere S. Clemente nel luogo citato del-la sua lettera sinodica, e si può ugualmente raccoglieredalle stesse Costituzioni apostoliche, giacché nel 1. II,c. II, gli Apostoli si fanno parlar così: De Episcopis ve-

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ro EX DOMINO NOSTRO AUDIVIMUS etc., dopo lequali, poco appresso, si legge: quod si in quapiam par-va paroecia aetate provectus non reperiatur, et sit aliquisiuvenis, quem Episcopatu dignum JUDICENT CONTU-BERNALES, quique in adolescentia senilem, mansuetudi-nem et disciplinam ostendenit, is TESTIMONIO ILLO-RUM FRETUS, salva pace constituatur. Sui quali argo-menti, ed altri appoggiato Giovanni Beveregio sostieneche in somiglianti cose nihil inter ius divinum et apostoli-cum interest282.

I successori di S. Clemente custodirono fedelmenteuna sì augusta tradizione, e n’abbiamo i chiarissimi docu-menti negli atti, che ancor ci rimangono di S. Cornelio283,di S. Giulio284, di S. Zosimo285, di S. Bonifacio286, di S.Celestino287, di S. Leone Magno288, di S. Ilario289, di S.Ormisda290, di S. Gregorio Magno291, di Adriano I292, delsempre mai memorabile Gregorio VII293, come pure diUrbano II, di Pascale II294, e di altri innumerevoli, i qualihanno sempre richiesto e difeso, secondo il deposito del-la tradizione romana, l’intervento del popolo nelle ve-scovili elezioni. Che anzi se le elezioni a Clero e Popo-lo cessarono più tardi nella Chiesa occidentale, che nel-l’orientale, questo conviene attribuirsi all’essersi trovatanell’occidente collocata la sedia di Pietro che le sostenne.

Nessuno può trovare l’origine dell’intervento del po-polo nelle vescovili elezioni: nessuno può dire: incomin-ciò il tal anno, per ordine del tal Papa, pel canone deltal Concilio: ed è una regola ricevuta dai teologi a rico-noscere quali sieno le tradizioni apostoliche, il perder-si esse nella più remota antichità senza che alcuno vagliaad assegnare un tempo determinato nel quale siano inco-minciate. Conviene dunque conchiudere con quello cheil Papa Liberio diceva all’Imperatore Costanzo, la ChiesaRomana aver ricevute le sue tradizioni immediatamentedalla bocca del beato Pietro295, ovvero col canone attri-buito nel Corpo del gius canonico a Papa Anacleto che

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lo stesso Signore Iddio concesse al popolo d’aver partenell’eleggere i suoi pastori296.

Sembra che oggidì vi siano alcuni, secondo noi mal av-visati, che si credono di giustificar meglio i Sommi Pon-tefici degli ultimi secoli, i quali, per le circostanze deitempi, dovettero concedere a diversi principi cattolici lenomine de’ Vescovi, col sostenere che l’antica tradizio-ne della Romana Chiesa di udire la voce di tutto il cor-po dei fedeli non era divina ed apostolica, anzi puramen-te ecclesiastica; ma noi riputiamo costoro, come diceva-mo, assai mal avvisati, riputiamo che la via di giustifica-re il fatto di quei Sommi Pontefici non sia quella di ne-gare l’origine divina ed apostolica del detto intervento,e quale sia la vera via da prendersi senza bisogno di ri-corrersi a cotanta negazione, lo diremo fra poco. Noiin quella vece desideriamo ardentemente di conservaree di difendere alla santa Romana Chiesa quella gloria dicui furono a giusta ragione gelosi tutti i Pontefici, che leviene dall’aver ricevuto le sue autorevoli tradizioni dal-la bocca stessa del principe degli Apostoli che la fondò.Quis enim nesciat, diremo col santo Pontefice Innocen-zo I, aut non advertat, id quod a Principe Apostolorum Pe-tro Romanae Ecclesiae traditum est, ac nunc usque custo-ditur, ab omnibus debere servari, nec superduci, aut intro-duci aliquid, quod aut auctoritatem non habeat, aut aliun-de accipere videatur exemplum?297 Laonde i Concili si ri-feriscono a questa venerabile tradizione della Chiesa Ro-mana anche quando si tratta di dare il suo luogo al po-polo nella elezione de’ Vescovi, come può vedersi nel IIId’Orléans298.

Dopo la Chiesa Romana, prima che Costantinopolis’innalzasse, l’Alessandrina avea la precedenza. Convie-ne dunque che noi vediamo di ricercare qual fosse la tra-dizione di questa Chiesa sull’intervento del popolo cri-stiano nelle vescovili elezioni. Ora i Padri, testimoni del-la tradizione della Chiesa Alessandrina depongono anch

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essi, che questo intervento appartiene al diritto divinoed apostolico: la tradizione di S. Marco si trova perfetta-mente d’accordo colla tradizione di S. Pietro. Niuno piùautorevole fra i grandi uomini della Chiesa d’Alessandriadi S. Atanasio: cominciamo dunque da questo.

Convien sapere che i primi a infrangere e sovvertirequanto gli Apostoli istruiti da Cristo aveano dispostocirca l’elezione de’ Vescovi a Clero e Popolo furono glieretici, e al tempo di S. Atanasio, gli Ariani, i quali siservirono a ciò della prepotenza dell’Imperator Costanzoloro favorevole: a questi si debbono riferire i primiattentati contro l’antica disciplina.

S. Atanasio combattendo gli Ariani ed opponendosialla temerità di Costanzo così descrive il procedere del-l’Imperatore in questa bisogna:

Hic (Constantius) exsistimavit DEI LEGEM immuta-turum, dum STATUTA DOMINI PER APOSTOLOSTRADITA violaverit, Ecclesiae mores inverterit, novum-que adinvenerit ordinationum genus. Ex aliis quippe locis,etiam quinquaginta mansionibus dissitis, Episcopos mili-tibus stipatos AD INVITOS POPULOS transmittit: quiUT POPULIS COMMENDARENTUR, IPSIQUE NOTIFIANT, minas adjerunt, lilterasque ad iudices299. Attestadunque questo gran Padre, secondo la tradizione dellasua Chiesa, che il mandare dei Vescovi contro la volontàdei popoli che debbono pascere come lor gregge, il man-darli tali che non sieno né noti, né raccomandati ai po-poli dalle loro opere è un’infrazione della legge di Dio, edegli statuti dati da Cristo agli Apostoli e dagli Apostolitramandati alle Chiese.

In un altro luogo attesta il medesimo per dimostrareche Gregorio sostituito a lui nella sede alessandrina nonera più che un intruso. Ecco le sue parole:

Si qua enim adversum nos criminatio vim haberet, opor-tuit nec Arianum nec haereticae sententiae hominem adhi-beri, sed secundum ecclesiasticos canones, et SECUNDUM

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VERBA PAULI: CONGREGATIS POPULIS et Spirituordinantium cum virtute Domini nostri JESU Christi, om-nia iuxta ecclesiasticas leges disquiri ac peragi, PRAESEN-TIBUS POPULIS et Clericis QUI ILLUM POSTULA-RENT. Nec decuit eum ex alia regione ab Arianis adduc-tum, Episcopi nomen quasi mercatum apud eos QUI EOSNEC PETERENT, NEC VELLENT, ET REM GESTAMPRORSUS IGNORAVERINT saecularium iudicium pa-trocinio ac vi sese intrudere. Illud enim vera ecclesiastico-rum canonum abrogatio est, ethnicosque ad blasfemanduminducit et ad suspicandum, quod non SECUNDUM DIVI-NAM LEGEM, sed nundinatione et patrocinio ordinatio-nes fiant300. Quei canoni ecclesiastici adunque, di cui fa-cevano in allora uso le Chiese, Atanasio li chiama leggedivina, appunto perché provenivano dagli Apostoli e daGesù Cristo medesimo.

Il che ripete e spiega in un altro luogo dicendo del-l’intruso Gregorio che neque iuxta Ecclesiasticum, cano-nem ordinatus fuisset, neque IUXTA APOSTOLICAMTRADITIONEM vocatus fuisset Episcopus: sed ex Pa-latio cum militari manu et pompa missus fuisset301.

Secondo questa stessa tradizione della Chiesa Alessan-drina, parla un altro lume splendidissimo della medesi-ma Chiesa, Origene, quando confermandola colla leggedata da Dio nell’antico Testamento, commenta quel luo-go del Levitico che incomincia: Convocavit Moyses Syna-gogam et dicit ad eos etc. Il luogo è questo:

Licet ergo Dominus de constituendo pontifice praecepis-set, et Dominus elegisset, tamen convocatur et Synagoga.Requiritur enim in ordinando Sacerdote et PRAESENTIAPOPULI, ut SCIANT OMNES, ET CERTI SINT, quiaqui praestantior est ex omni populo, qui doctior, qui sanc-tior, qui in omni virtute eminentior, ille eligitur ad Sa-cerdotium, et hoc ASTANTE POPULO, ne qua postmo-dum retractatio cuiquam, ne quis scrupulus resideret. Hocest autem quod et APOSTOLUS PRAECEPIT in ordina-

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tione Sacerdotis dicens: «Oportet autem illum et testimo-nium habere bonum ab his qui foris sunt»302. Inducevanodunque questi Padri la necessità dell’intervento del po-polo nelle elezioni dalle due leggi divine concordi, cioèdalle leggi dell’antico e del nuovo Testamento, e tutto ciòsecondo l’insegnamento e la tradizione delle Chiese a cuiappartenevano. E in questo passo d’Origene è da notarsila ragione che adduce della presenza del popolo ut sciantomnes et certi sint quia qui praestantior est ex omni popu-lo, qui doctior, qui sanctior, qui in omni virtute eminen-tior, ille eligitur ad Sacerdotium, perocché si ritenne sem-pre nella Chiesa che nell’elezione de’ Pastori non basticontentarsi di trovare l’uomo che abbia solamente dellebuone qualità negative, ma si debba fare ogni sforzo perrinvenire quello che sia decorato dei maggiori pregi po-sitivi possibili, che sia in una parola il più degno ex om-ni populo. Che se la cosa è così, se questa è la dottrinae la regola della Chiesa, come, ci si dica, può ella esse-re adempiuta, non volendo ingannarci con vani effugi, esottigliezze di forma, ma cercando candidamente la ve-rità del fatto, qualora le nomine si trovino abbandonatealle mani de’ governi laicali, e si facciano nel segreto deiloro gabinetti?

E nell’omelia XXII sopra il libro dei Numeri lo stessoOrigene avverte quanta differenza vi abbia fra l’elezioned’un semplice prete e di un Vescovo, che egli paragona alduce del popolo ebreo, il quale Mosè non ardì costituirda se stesso, ma sì per divina rivelazione, e congregatotutto il popolo, quantunque avesse da se stesso costituitigli anziani, che, secondo Origene, rispondono ai semplicipreti. E pur Mosè avrebbe potuto farlo. Sed hoc nonfacit, non eligit, non audet. Cur non audet? Ne posterispraesumptionis relinquat exemplum303. Così Origene, lacui osservazione è ripetuta da S. Giovanni Grisostomo304.

Né punto si oppone a questa tradizione della Chie-sa Alessandrina quello che accennano S. Epifanio305 e S.

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Girolamo306, che Alessandria subito dopo la morte delVescovo il Clero ne sostitutiva un altro traendolo dal suoseno, per non lasciar luogo alle fazioni e ai partiti popo-lari onde alla morte di S. Alessandro, aggiunge S. Epi-fanio, non fu potuto all’istante eleggersi il diacono Ata-nasio, benché designato suo successore da quel prelatomoriente, trovandosi egli assente, inviato alla Corte del-l’Imperatore da Alessandro medesimo, e fu fatto sede-re nella Cattedra Alessandrina Achilla. Ma ciò che diceS. Epifanio è riguardato dai migliori critici per uno sba-glio preso da questo Padre. Di vero, ella è cosa indubita-ta, che Atanasio, come attesta egli medesimo, fu l’imme-diato successore di Alessandro, onde quell’Achilla di cuiparla S. Epifanio, se mai esistette e non dee dirsi piutto-sto il grand’Achilla antecessore di Alessandro, trasporta-to per errore in questo luogo, può tutt’al più aver occu-pato la Sede provvisoriamente fino al ritorno di Atana-sio, e a nome di questo. Ad ogni modo poi il cenno diquei due Padri non prova altro se non che non si pone-va indugio a far l’elezione del nuovo vescovo, morto chefosse l’antico, ma non già che il popolo non intervenis-se: prova, come osserva il Thomassin, primariam eligen-di auctoritatem penes Presbyteros Alexandrinos fuisse307,il che non può essere controverso, ma che il popolo nonprendesse alcuna parte nell’elezione, non dovesse dare lasua testimonianza, la sua approvazione, la sua accettazio-ne, menomamente nol prova.

Se la cosa fosse stata altramente, gli eretici non avreb-bero poi opposto all’elezione di Atanasio la mancanzadel consenso del popolo: o se l’avessero opposta, avreb-be bastato rispondere, che tale era la consuetudine e latradizione della Chiesa Alessandrina. Ma non così si ri-spose: si rispose bensì dimostrando quanto la sua elezio-ne fosse stata pubblica e solenne, quanto unanime il con-senso di tutti nell’eleggerlo, quante istanze ed acclama-zione per averlo in Vescovo da tutta la plebe cristiana308.

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Finalmente è ben da credere che S. Atanasio conoscessemeglio d’ogni altro la tradizioni della sua propria Chie-sa, quando per dimostrare che Gregorio avea invasa in-debitamente la sede di Alessandria, osservava, fra gli al-tri difetti, che l’elezione non era stata fatta SECUNDUMVERBA PAULI, congregatis populis et Spirito ordinan-tium cum virtute D. N. IESU CHRISTI309; è ben da cre-dere che la conoscesse Origene quando considerava l’in-tervento del popolo come richiesto dalla stessa legge diDio tanto antica, quanto nuova.

Noi abbiam dunque qui concordi la Chiesa occiden-tale, o più tosto la Chiesa universale rappresentata da S.Clemente e dalla Chiesa Romana, e la Chiesa orientalerappresentata da S. Atanasio e dalla Chiesa Alessandri-na, nell’assicurarci che l’intervento del popolo nelle ele-zioni vescovili procede dall’immediata tradizione di Cri-sto e degli Apostoli e che vien confermata anche dallalegge scritta dell’antico e del nuovo Testamento, inter-pretata secondo i lumi e lo spirito della medesima tra-dizione: abbiamo concordi queste Chiese nell’attestar-ci che l’intervento del popolo nelle dette elezioni appar-tiene al diritto divino. Tuttavia consultiamo ancora leChiese dell’Africa, delle quali possono essere degni rap-presentanti S. Cipriano e i Vescovi del suo tempo.

La lettera LXVIII di questo insigne Padre è una lette-ra sinodica, ed è scritta non a solo suo nome, ma in no-me di XLII Vescovi dell’Africa, i cui nomi si esprimo-no in fronte alla lettera medesima. È poi diretta non aduna persona particolare ma alle Chiese di Spagna ad Cle-ros et ad Plebes in Hispania consistentes. In questa letteraadunque, scritta in occasione che nella persecuzione era-no caduti due Vescovi Spagnoli Basilide e Marziale, cosìsi legge:

Quod et ipsum videmus DE DIVINA AUCTORITATEDESCENDERE, ut Sacerdos PLEBE PRAESENTE, SUBOMNIUM OCULIS deligatur et dignus atque idoneus PU-

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BLICO IUDICIO AC TESTIMONIO COMPROBETURsicut in Numeris c. XX. Dominus Moysi praecepit di-cens: «Apprehende Aaron fratrem tuum et Eleazarum fi-lium eius et impones eos in monte coram omni Synagoga,et exue Aaron stolam eius et indue Eleazarum filium eius,et Aaron appositus moriatur ibi». CORAM SYNAGOGAiubet Deus constitui Sacerdotem, id est instruit et ostenditordinationes sacerdotales NON NISI SUB POPULI ASSI-STENTIS CONSCIENTIA FIERI OPORTERE, ut PLE-BE PRAESENTE vel detegantur malorum crimina, vel bo-norum merita praedicentur, et sit ordinatio iusta et legiti-ma QUAE OMNIUM SUFFRAGIO ET IUDICIO FUE-RIT EXAMINATA. Quod postea SECUNDUM DIVINAMAGISTERIA observatur in Actis Apostolorum, quandode ordinando in locum Iudae Apostolo Petrus ad plebemloquitur: «surrexit inquit, Petrus in medio discentium: fuitautem turba hominum fere centum viginti» (Act. 1). Equi addotto anche l’esempio dell’elezione de’ sette dia-coni, seguita: quod utique iccirco TAM DILIGENTERET CAUTE, CONVOCATA PLEBE TOTA, GEREBA-TUR, ne quis ad altaris ministerium vel ad sacerdotalemlocum indignus obreperet: e poco appresso conchiude:Propter quod diligenter DE DIVINA ET APOSTOLICAOBSERVATIONE servandum est et tenendum quod apudnos quoque fere per provincias universas tenetur, ut adordinationes rite celebrandas, AD EAM PLEBEM; CUIPRAEPOSITUS ORDINATUR, episcopi eiusdem provin-ciae proximique quique conveniant, et episcopus deligaturPLEBE PRAESENTE, QUAE SINGOLORUM VITAMPLENISSIME NOVIT ET UNIUSCUIUSQUE AC’TUMDE EIUS CONVERSATIONE PERSPEXIT.

Io qui mi arresto, sembrandomi che tali documentisieno sufficienti per convalidare quello che io dicevo, an-che l’intervento del popolo nelle vescovili elezioni appar-tenere al diritto divino: il che non dissi io da me, come

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apparisce, ma appoggiandomi al fondamento dei più ve-nerabili ed antichi monumenti.

E posciaché ebbi pur troppo il dolore di sentire chetaluno rima, se scandalezzato di questa mia sentenza,(benché non sia mia come dicono, ma di quelli che eranovicini al fonte della tradizione, vicini a Cristo ed agliApostoli, e che erano di questi legittimi successori, acui era consegnato il sacro deposito da tramandare aipopoli), io stimo di dovere impedire questo qualunquescandalo che ne possa alcuno aver preso, con aggiungerequalche riflessione dicendo loro così:

Miei fratelli, se voi vi limitaste a professare un’opinio-ne diversa dalla mia, io mi asterrei al tutto dal farvi alcunrimprovero, o di fare con esso voi alcun lamento. Ma voinon sofferite che altri dissenta da voi in alcuna cosa nel-la quale la Chiesa non ha mai definito a vostro favore,e correte ad accusar me di eresia, d’errore, di temerità;quando piuttosto dovreste, se mi credete in errore, attri-buire lo sbaglio ad una dottrina troppo inferiore alla vo-stra, essendo io tale che ho sempre confessata la fallibili-tà della mia mente, ed ho sempre dichiarato e dimostra-to colle parole e coi fatti di voler essere sottomesso, sic-come l’ultimo dei fedeli, ad ogni decisione e sentimentodella Santa Apostolica Romana Chiesa. Di questo ho ioa lagnarmi. Ma per convincervi che nella sentenza di cuiparliamo non è probabile che ci sia né eresia, né errorealcuno, accontentatevi di fare meco insieme le seguenticonsiderazioni:

Quando il discepolo degli Apostoli, il successore di S.Pietro, il Vicario di Gesù Cristo, il Santo papa e marti-re Clemente, in nome e in persona della Chiesa Romana,scriveva alla Chiesa di Corinto, che, secondo il documen-to lasciato da Gesù Cristo agli Apostoli, i Vescovi dove-vano essere costituiti coll’intervento di tutto il popolo, sein questa sentenza vi fosse stato errore (e non vi potevacertamente essere), è egli possibile che la Chiesa di Co-

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rinto, apostolica anch’essa, e che possedea certamente lerecenti tradizioni di Cristo e degli Apostoli non si fossescandolezzata, come ora fate voi di me? È egli possibi-le il credere che non avrebbe detto una parola in con-trario, anzi che quella venerabile lettera fosse letta nellepubbliche Chiese, quasi da Dio stesso ispirata, senza al-cuna opposizione? E poiché tali lettere, come osservanogli eruditi310, benché dirette a Chiese particolari, tuttaviasi consideravano come dirette a tutte le chiese egualmen-te, è egli possibile che non la Chiesa universale, non unaChiesa particolare avesse emesso un solo filo di voce pernotarvi quell’errore o quella eresia che voi ora vi com-piacete di rinvenire nella dottrina stessa perché la vedetein mia bocca? È egli possibile che i successori di S. Cle-mente abbiano, senza nulla affatto dire in contrario, sen-za farvi sopra alcuna censura, riconfermato nelle loro let-tere ed ordinazioni quanto da S. Clemente era stato lo-ro tramandato, quando anzi il Papa Liberio parlando deisuoi predecessori fra i quali Clemente era riputato unodei primi e dei più illustri, dichiara che ricevettero e fe-delmente trasmisero di mano in mano la tradizione del-l’Apostolo S. Pietro, quam ipsi a beato et magno ApostoloPetro acceperunt?311

E S. Atanasio quando scrivendo a tutti i Vescovi e atutti quelli che nell’orbe cattolico facevano professionedi vita solitaria affermava aver il popolo fedele per tra-dizione divina ed apostolica una qualche parte nell’ele-zione de’ Vescovi, è egli possibile che non temesse di es-ser da alcuno dei Vescovi suoi contemporanei, o da al-cuna delle Chiese, o almeno dal Sommo Pontefice con-traddetto, e tacciato d’errore o d’eresia? Laddove inve-ce d’esser tacciato di sì gran macchia, dal Sommo Ponte-fice e da tutta la Chiesa cattolica fu difeso e consideratocome il campione della purità della fede? Quando anziS. Giulio papa in un Concilio condanna siccome intrusonella Chiesa Alessandrina Gregorio per varie ragioni, fra

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le altre anche per la mancanza dell’intervento della plebecristiana, confermando la stessa ragione arrecata da Ata-nasio? E pure questi s’appellò e si recò a Roma in Ec-clesia, dice, ubi nulla extranea formido, ubi solus Dei ti-mor est, ubi liberam quisque habet sententiam!312 Peroc-ché S. Atanasio fa questo magnifico elogio della ChiesaRomana.

E S. Cipriano unito a tutti, per poco, i Vescovi d’Afri-ca, avrebbe scritto impunemente e con tanta sicurezza aiVescovi di tutta la Spagna che il popolo dovea interveni-re nelle elezioni vescovili secundum divina magisteria, dedivina auctoritate, de divina et apostolica tradizione; sen-za che alcun l’avesse tacciato giammai perciò di eresia,o di errore, o l’avesse menomamente smentito, anzi tuttiavessero a lui applaudito come a vero testimonio e dottordella Chiesa?

Vi era dunque consenso in tutta la Chiesa su questopunto, andavano tutti d’accordo le Chiese e i Vescovi: letradizioni loro consonavano in maravigliosa armonia. Suquesti fondamenti appoggiato ho anch’io osato dire, noncon animo temerario, ma con rispetto alla Chiesa, al suospirito, ed ai suoi canoni e decreti, che il popolo ha undiritto divino di avere una qualche parte nell’elezioni de’Pastori che il debbano pascere e condurre a salvamento.

E qui si aggiunga una riflessione che somministreràun altro argomento a provare che non è temeraria e mol-to meno eretica la sentenza che la facoltà data al popolocristiano d’intervenire col suo suffragio nell’elezione de’propri Pastori appartiene a una divina e apostolica tra-dizione. Ella è dottrina comune de’ teologi che qualo-ra una consuetudine ecclesiastica, di cui non si può as-segnare il cominciamento, si trovi essere comune a tut-te le Chiese e specialmente a quelle fondate dagli Apo-stoli, quella consuetudine dee ritenersi d’istituzione apo-stolica. Ora consta dalla storia come un fatto irrepugna-bile che in tutte le più illustri Chiese del mondo, e spe-

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cialmente in quelle fondate dagli Apostoli, nelle Chiesedi Roma, di Alessandria, di Antiochia, di Costantinopo-li, di Efeso, di Cesarea, di Eraclea, di Corinto, di Tessa-lonica, di Cartagine, e così dicasi di tutte l’altre, per mol-ti secoli nelle ordinarie elezioni de’ Vescovi intervenivail popolo, e senza i voti o il consentimento del popolo, ilVescovo non si riputava legittimo, ma intruso313. Quan-do anco non ci fossero altri argomenti, questo sarebbeanche da se solo sufficiente per reputare quella consue-tudine, una di quelle fondate dagli Apostoli, secondo lospirito di Dio e l’ammaestramento di Cristo. Ora sapetevoi ciò che fate quando non riconoscete la forza di que-sto argomento, e negate l’apostolicità di una sola tradi-zione ecclesiastica appoggiata ad esso e agli altri di so-pra esposti! Voi negate con questo l’apostolicità di tut-te le tradizioni, voi vi troncate la via a dimostrare l’apo-stolicità di qualsivoglia altra tradizione. Questo è il veropericolo: e questo è grave314.

Laonde mi pare di poter conchiudere senza meritar-mi alcuna taccia, colla sentenza di Natale Alessandro checosì scrive: DE TRADITIONE DIVINA ET APOSTO-LICA OBSERVATIONE descendit quod populus in elec-tionibus sacris suffragetur suo testimonio, concedo iudicio,nego315: il che è tutto ciò che io dissi, nulla affatto di più,nulla di meno.

E mi par necessario di rispondere ancora all’obbiezio-ne che può affacciarsi all’animo di quelli che vedendomutata in una buona parte della Chiesa cattolica, già daqualche secolo, la disciplina circa le elezioni dei primariPastori, entrano in timore che coll’ammettere di dirittodivino l’intervento del popolo in esse, si venga a biasima-re la Chiesa, quasi ella avesse oltrepassati i limiti del suopotere modificando una consuetudine di diritto divino,o avesse operato con poca prudenza.

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Le quali conseguenze se noi avessimo creduto chelogicamente provenissero dalla esposta dottrina, mai noinon l’avremmo abbracciata, ed esposta.

E quantunque io le abbia già risolute altrove, tuttavia,confidando che da qualcheduno che non avrà letto glialtri miei scritti, si potrebbe a caso leggere il presente,io tornerò sull’argomento in servigio de’ buoni e benintenzionati miei avversari.

Non voglio qui approfittarmi delle sentenze de’ variteologi sulla potestà che essi attribuiscono al Papa di di-spensare, per giusta causa, anche nelle cose che sono didiritto divino. Le opinioni di questi teologi si possonovedere presso lo Suarez316 ed altri autori. Tuttavia os-serverò che non essendo condannata la sentenza di Mel-chior Cano, il quale distinte due maniere di precetti di-vini, alcuni immutabili, altri tali, la cui osservanza puòin qualche particolar caso impedire un bene spiritualemaggiore, come il voto e il giuramento, egli sostiene chela Chiesa abbia facoltà di dispensare da questi ultimi; népure potrebbe essere condannato il dire che la Chiesaabbia facoltà di dispensare dal consultarsi il popolo nel-le selezioni vescovili, quando ciò si renda necessario perevitare un maggior male, benché il detto intervento siadi diritto divino. Laonde secondo questa sentenza teolo-gica non condannata dall’ammettersi le elezioni a Cleroe popolo di diritto divino non ne viene punto la conse-guenza che se ne vuol trarre, cioè che la Chiesa cangian-done la forma abbia oltrepassati i limiti della sua autori-tà.

In secondo luogo è ammesso presso i teologi che sichiamino di diritto divino anche quelle cose che sonod’istituzione apostolica, come avverte S. Tommaso317, ein queste il Dottore Angelico, seguito da molti, accordaal Papa la facoltà di dispensare.

In terzo luogo egli è necessario distinguere fra il dirit-to divino e l’oggetto del diritto divino. L’oggetto del di-

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ritto divino non è sempre determinato dal diritto stesso,e quindi la Chiesa ha la potestà di determinarlo in variemaniere secondo i diversi bisogni e le diverse opportu-nità dei tempi. Prendiamo ad esempio il contratto ma-trimoniale, che è oggetto del diritto divino, perché costi-tuisce la materia del Sacramento. Questo diritto non de-termina tutte le formalità che deve avere un tal contrattoacciocché egli sia materia adatta al Sacramento del Ma-trimonio: è oggetto del diritto divino, ma indetermina-to. Quindi la Chiesa ha la facoltà di determinarlo, e diaggiungervi quelle condizioni e formalità che ella stimapiù conducenti al bene spirituale e temporale del popo-lo cristiano, e di variare queste formalità secondo le di-verse circostanze sociali in tempi diversi. Ella fa dunquecolla sua podestà che quel contrasto che in un tempo eramateria valida al Sacramento del Matrimonio, in un altrotempo non sia più materia valida. E così prima del Con-cilio di Trento erano considerati dalla Chiesa come validii Matrimoni clandestini; dopo questo Concilio il contrat-to matrimoniale non è più materia idonea al Sacramentos’egli non è conchiuso in presenza del proprio Parrocoe di due testimoni: Non si dee inferire da questo, che lamateria de’ Sacramenti non sia di diritto divino, ovveroche la Chiesa mutando la materia del Sacramento matri-moniale, si sia dipartita dal diritto divino, quando non hafatto altro che determinarne variamente l’oggetto, il qua-le non veniva pienamente determinato dallo stesso dirit-to, ma solamente additato in un modo generale. Simi-gliantemente è a dirsi circa il modo di eleggere i Vesco-vi. Questo modo è oggetto del diritto divino ma non ap-pieno e in tutte le circostanze determinato: spetta dun-que all’autorità della Chiesa il determinarlo variamentesecondo le necessità e la utilità del popolo cristiano. On-de nelle varie modificazioni che ha subito nei diversi se-coli il modo di eleggere i Pastori diocesani soggiace al-l’autorità della Chiesa, che mossa dallo Spirito Santo de-

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termina quello che più conviene al progresso del regnodi Dio sopra la terra.

In quarto luogo conviene aver presente quello cheio avvertivo a principio, che qui non si tratta di dirittodivino costitutivo, ma di un diritto divino morale. Aragion d’esempio il furto, l’aggressione è proibita daldiritto divino. Tuttavia io posso dare la borsa a chi midomanda la vita: io che cedo quello che è mio, noninfrango il diritto divino, ma lo infrange chi con violenzami obbliga a cederlo. Lo stesso è a dirsi della libertàdella Chiesa: questa è tutta intera, nella sua maggiorpienezza, di diritto divino. Tuttavia ella fu insidiata eviolentata più volte questa inalienabile e imprescrittibilelibertà. E la Chiesa ha dovuto tollerare di vederseladiminuita, e per salvarne una parte, la parte maggioreed essenziale ha dovuto abbandonare la parte minore emeno importante. La cessione delle nomine vescovili a’sovrani cristiani vuol considerarsi sotto questo aspetto;perché la Chiesa non la fece certo di proprio e spontaneomoto, non fu quella che la prima andasse da’ sovrani apregarli di riceverla: la fece perché, tutto considerato,ella trovò nella sua sapienza che questo era il minor malepossibile in quelle circostanze difficili di tempi, nellequali si trovava. Qui dalla parte della Chiesa non viha la menoma infrazione del diritto divino: essa non èl’agente, ma la paziente.

In quinto luogo è da avvertirsi che dovendo la Chiesaper l’angustia delle circostanze, atteso la barbarie di cuifu coperto il mondo e quindi l’ignoranza del popolo e lafacilità di trascorrere a violenze, e tumultuose fazioni318,l’incuria degli ecclesiastici319, e la prevalenza del dominiotemporale dei principi barbari, che premevano i popolicol ferro conquistatore, e che ad ogni modo avevano inmano la forza pressoché solo sostegno in quei secoli agi-tati dell’ordine pubblico, dovendo dico la Chiesa cederealla pressione del tempo e confidare ai principi le nomi-

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ne dei Vescovi320, il fece da una parte conservando alme-no nella forma legale il principio, e dall’altra accompa-gnando la gran cessione con tutti quei temperamenti chepotessero diminuirne l’inconveniente.

Dico che nelle forme legali fu salvato il principio. Poi-ché secondo il diritto pubblico che vigeva allora in Eu-ropa, i Monarchi assoluti rappresentavano soli i popoli ene procuravano soli gl’interessi. Secondo questo dirittosi riputava adunque che il popolo rendesse testimonian-za ai futuri Pastori per bocca del loro Sovrano: giacchécome negli ordini civili, nulla faceva il popolo se non permezzo del suo Principe, così s’estese questa massima dailegisti laici agli ordini ecclesiastici e spirituali. Qualun-que valore intrinseco s’abbia un tale diritto, egli vigeva,era ricevuto, vi si credeva.

Quanto poi ai temperamenti, di cui si accompagnò lacessione delle nomine, è da notarsi che la proposta delPrincipe non ha valore qualora non venga confermatadal Sommo Pontefice, il quale prima di confermare il no-minato, può raccogliere quelle testimonianze che giudi-ca necessarie anche dai fedeli intorno alla persona nomi-nata; il che prova che la Chiesa anche nel fatto ritenne lamassima che non sia al tutto esclusa, ordinariamente par-lando, la voce del gregge, intorno al futuro suo Pastore.

In sesto luogo finalmente convien distinguersi il dirit-to dall’esercizio del diritto. Quello può benissimo proce-dere da una divina istituzione, ma ne viene forse da que-sto che sia di origine divina anche l’esercizio del diritto, eche la Chiesa non possa regolare variamente quest’eser-cizio? Se dunque la Chiesa sospese per giuste cause l’e-sercizio del diritto del popolo d’intervenire nelle elezio-ni dei suoi pastori, ne viene forse che ella abbia annulla-to il diritto stesso? E con qual documento ecclesiasticosi potrebbe mai provare una tal tesi?

Nessuno ce n’offre la storia: la storia ci dice bensì, cheil popolo fu, in gran parte, escluso dall’intervenire all’e-

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lezioni de’ Vescovi ma non v’ha ch’io sappia un docu-mento, il quale provi più di questo, cioè che nel popo-lo fu sospeso l’esercizio di quel diritto. E in quanti al-tri casi la Chiesa regola, e a tempo opportuno sospendel’esercizio di diritti anche naturali, anche divini? Il dirit-to di mangiare è naturale, confermato anche dalla divi-na legge321. E pure la Chiesa ne sospende e ne regola l’e-sercizio, senza punto oltrepassare la sua autorità, quan-do ai fedeli suoi figli impone il digiuno e l’astinenza dal-le carni. È un diritto divino che hanno i fedeli, di parte-cipare della santissima Eucaristia rispondente al precettoimposto da Cristo. E pure la Chiesa all’esercizio di que-sto diritto impone delle condizioni positive, come l’es-ser digiuno dalla mezza notte precedente, e con questaed altre disposizioni lo regola: lo sospende intieramenteagli scomunicati; lo limita in molte maniere per esempioproibendo che un uomo sano si comunichi due volte nel-lo stesso giorno. I Vescovi hanno il diritto di governareChiesa per istituzione divina: in quo vos Spiritus Sanctusposuit Episcopos regere Ecclesiam Dei322. E che perciò?La Chiesa non ha forse la facoltà di far leggi pei Vesco-vi, di limitare la loro giurisdizione, di sospenderli intie-ramente dall’esercizio delle loro funzioni? Non ha forsequesta facoltà il Sommo Pontefice? La Chiesa ha dun-que l’autorità di regolare o di sospendere per giuste cau-se l’esercizio di tutti i diritti d’ogni maniera, che hanno ifedeli; senza che questo regolamento dell’esercizio di es-si distrugga od annulli i diritti radicali. E così la Chie-sa poteva benissimo sospendere giusta la sua sapienza,o limitare323 l’esercizio che ha il popolo di aver qualcheparte nell’elezioni de’ suoi pastori. Né fu ostacolo esserela sospensione di un tal diritto quasi universale e durevo-le da più secoli, perocché il più e il meno non cangia laspecie, e la sospensione dee durare tanto quanto le cau-se che l’hanno motivata, a giudizio della Chiesa, e d’altraparte la vita della Chiesa è così lunga che anche più seco-

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li, possono considerarsi come un tempo breve. Laondeanche sola questa distinzione fra il diritto e l’esercizio deldiritto è sufficientissima a giustificare la Chiesa per quel-lo che ha fatto e purga da ogni taccia la dottrina antichis-sima che il popolo fedele ricevette da Cristo per mezzodegli Apostoli la facoltà di dare il suo consenso di buonafede nella scelta dei Vescovi.

Del rimanente io esposi già più estesamente in altraoperetta di recente pubblicata qual sia la parte che spet-ta al popolo nelle elezioni de’ Vescovi, e quanto sia ur-gente (parlando sempre secondo il mio privato parere) lanecessità di far cessare la forma eccezionale di tali elezio-ni e di restituire la legittima e canonica, onde mi fermo aquesto poco che ho voluto scriverle qual segno della miariconoscenza e della mia stima.

LETTERA II

Al medesimoRoma, 21 ottobre 1848

Alla gentile accoglienza da lei fatta alla mia lettera del dì8 giugno anno corrente, nella quale io dichiaravo comela libera elezione de’ Vescovi sia di diritto divino, ella ag-giunge un’altra gentilezza, quella d’invitarmi ad appiana-re le difficoltà che le si rappresentano circa il modo di fa-re, che il pieno esercizio di questo importantissimo dirit-to della libera elezione venga restituito alla Chiesa e siaridotto all’atto.

Ella crede difficile che il Sovrano voglia rinunziarespontaneamente alla presentazione de’ candidati alle sedivescovili vacanti, ed oltracciò trova arduo non poco ildeterminare la maniera, nella quale si potesse procedereall’elezione canonica senza inconvenienti di discordia odaltri. Tali difficoltà sarebbero certamente gravi in altritempi, per esempio, un secolo fa: nel nostro o non vi

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sono, a mio vedere, o, se vi sono, reputo che si possanofacilmente vincere, qualora il Clero voglia; perché se ilClero vuole, non vi ha libertà della Chiesa che non possaessere a lei rivendicata in breve tempo: la forza bruta deecedere alla forza morale, e ciò che è ragionevole e giustotrova sempre una via convenevole, nella quale può essereridotto all’atto.

Io non parlerò nella presente, che della prima difficol-tà, del suo timore che i monarchi cattolici ricusino di ce-dere spontaneamente il diritto di nomina alle sedi vesco-vili. Io credo che questa renitenza nasca più d’altro daquell’ampio velo d’ignoranza che cuopre alla plebe cri-stiana già da lungo tempo tutta questa materia delle ve-scovili elezioni: rimoviamolo, dico io, e la luce della veri-tà farà il resto.

A me basta dunque che sia proclamato altamente inmodo che tutti, anche i laici, lo sappiano, che le elezio-ni dei Vescovi sono di diritto divino, in quel modo cheho spiegato nella citata lettera, che la libertà, tutta intera,della Chiesa, la libertà in particolare delle elezioni è di di-ritto divino; e che se la Chiesa, dopo di aver combattutoper secoli affin di salvarla, ne abbandonò una parte, unagran parte, si fu per evitare de’ mali maggiori, in quel-lo stato conquassato e quasi disciolto in cui si trovava lacivil società, e per porre un argine ad usurpazioni mag-giori che la prepotenza del potere laicale, divenuto asso-lutissimo specialmente ai tempi di Francesco re di Fran-cia, minacciava. Basta che questo sia fatto noto e predi-cato di sopra ai tetti; basta che sieno fatte note le ragioniper le quali la restituzione della libertà delle elezioni è disupremo ed urgente bisogno alla Chiesa nei nostri tem-pi, sia fatto noto a tutti, ai laici principalmente, che que-sta è l’unica via, per la quale si possa riformare il Cleroe renderlo pari ai grandi bisogni della società presente.Non è già che il Clero dei nostri giorni manchi di dottri-na o di virtù, ma l’una e l’altra dev’essere accresciuta: la

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parola evangelica deve brillare di più viva luce nella boc-ca di lui, nella sua vita, nella pienezza delle opere san-te. Questo ravvivamento dello spirito ecclesiastico si de-sidera, s’invoca da tutti, fuorché dal diavolo o dagli an-geli suoi. Conviene adunque additare la via di pervenir-vi: conviene persuader tutti, che la via più breve, la viasicura, l’unica via è di far cessare la servitù della Chiesanella elezione dei suoi ministri, e restituirgliene la pienalibertà.

Quando i principi cristiani saranno persuasi che es-si producono un gravissimo male alla Chiesa di GesùCristo (e tocca al Clero ammaestrarneli) coll’incepparela nomina dei Prelati invece che lasciarla liberissima allaChiesa, come dev’essere di sua natura; allora si farà senti-re in essi la coscienza; e se si potesse dubitare di qualche-duno, che l’apparenza di una maggiore potenza tempo-rale prevalesse sopra la voce della coscienza; io non dubi-terò certo in generale de’ Sovrani Cattolici, io che credoalle loro rette intenzioni, alla loro pietà, al loro attacca-mento alla Chiesa, all’influenza che debbono avere su diloro non pochi esempi, che ricevettero da quei loro au-gusti antenati, che si distinsero per vera pietà e figlial sot-tomissione alla Chiesa, i quali formano la più bella gloriadei loro casati. E basta che anche uno solo di essi inco-minci a mettersi in questa via generosa: gli altri non pos-sono mancare, debbono venire appresso. Io credo cheDio li benedirà se saranno figli amorosi della Chiesa, sesi glorieranno di renderla libera, se si inalzeranno fino adiventare vindici della sua libertà..

Ma nello stesso tempo che io credo i Sovrani stessi ca-paci di un atto di giustizia sì magnanimo e sì santo, qualè quello di lasciare piena libertà d’azione alla Chiesa; ioriconosco ancora che a promuovere un tanto bene potràavere una grandissima influenza l’opinione pubblica cheil Clero, come dicevo, deve formare coll’istruire il popo-lo in questo argomento. Perché il Clero si lacera al pre-

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sente con calunniose maldicenze? perché i Vescovi sonodi nomina regia: i fedeli delle diocesi li ricevono senzaconoscerli, senza amarli, senza averli amati prima, senzaaver veduto le loro opere, senza avere in essi confiden-za, e il Clero diocesano non può averne neppur egli; ilPrelato viene imposto ai sacerdoti ed alla plebe, e con-vien prenderlo tal quale è: sarà ottimo, ma egli dee lot-tare coll’indifferenza e coll’avversione stessa, prima chepossano fruttare a vantaggio del gregge le sue doti, chesuppongo egrege, le sue virtù che suppongo eccellenti. Siparla della riforma degli studi de’ seminari. Datemi de’Vescovi nominati a Clero e popolo; e quegli studi pren-deranno subito nuova vita. I popoli son poco rispetto-si verso il loro Pastore: il Clero stesso della diocesi nonè troppo unito con essolui: fate che il Vescovo sia elettodal Clero, abbia la testimonianza del popolo, e tutto sa-rà aggiustato. Si sospetta che i Vescovi siano ligi al prin-cipe, e perciò contrari a quelle riforme e a quelle libertàche sembrano diminuire la potenza arbitraria del Prin-cipe. Per quantunque falso sia questo sospetto, egli esi-ste, e nuoce incredibilmente alla Chiesa, alla religione,all’anime de’ fedeli, ma un tale sospetto cade interamen-te da sè; qualora nel Vescovo non si possa più vedere ilfavorito o il beneficato del principe che lo nomina.

Potrei estendermi, se già non avessi trattata espressa-mente questa materia in una delle mie ultime operette.Non v’è un solo capo, in cui si possa domandare qual-che riforma nelle cose della Chiesa, a cui mediante la li-bera elezione de’ Prelati non si potesse soddisfare. Bastaadunque che la materia sia trattata riccamente dai dot-ti ecclesiastici; che questi facciano vedere le infinite con-seguenze salutari delle libere elezioni; e nascerà tantostoun’opinione illuminata che domanderà ai principi alta-mente questa libertà preziosa: e qual dubbio che almenoallora i principi l’accorderanno?

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Ella teme, che i principi tuttavia terranno stretto quel-lo che si sono fatto cedere dalla Chiesa in altri tempi, mi-nacciandola di mali maggiori, legati dal proprio interes-se, apprezzando essi l’influenza morale de’ Vescovi suipopoli.

Questo calcolo d’interesse che mira ad aumentarela potenza del principe col sacrificio della libertà dellaChiesa e con essa insieme la ragione de’ popoli, non par-mi che sia più cosa del tempo nostro. Io stimo troppoavveduti i nostri principi per errare così sformatamentein questo loro calcolo d’interesse: io non li credo ancorciechi dopo tante lezioni.

I Vescovi presentati, come si fa al presente, dai princi-pi non possono aver grande influenza sui popoli liberi egelosi più che mai dell’acquistata libertà. Quindi i prin-cipi non possono confidare gran fatto nell’influenza ditali Vescovi che agli occhi dei popoli hanno un peccatooriginale. Ma quello che è assai più rincrescevole a dirsi,si è, che se tali Vescovi non possono avere sui popoli unagrand’influenza a favor del monarca, che gli ha eletti, e dicui sono creduti partigiani, né pure possono averne unagrandissima pel mantenimento della fede, dei buoni co-stumi e della Religione. Ora sarà egli del vero interessedel principe che i popoli diventino indifferenti in operadi religione, miscredenti, scostumati, che non rispettinopiù i loro Pastori, che non ne ascoltino più la voce? Nonper certo: questo non è utile né ai principi, né a nessuno:questa è la via, per la quale sono stati rovesciati i prin-cipi dai loro troni, e calcati sotto i piedi della plebaglia,e questo si rinnoverà, o saremo di continuo sul vederlorinnovellato fino a che e principi e popoli non si rende-ranno docili alla voce della Chiesa loro madre e maestra;e questo non avverrà fino che i Vescovi saranno nominatidai principi.

Se la giustizia è l’unico fondamento solidissimo de’troni; comincino i principi ad essere giusti con quella

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Chiesa, con la quale dovrebbero anzi essere generosi:con quella Chiesa che fu prima di loro e che sarà dopo diloro: comincino a desiderare sinceramente, che fra sè edil popolo vi abbiano degli arbitri imparziali, pacifici, au-torevoli, stimati ed amati da ambe le parti: tali saranno iVescovi nominati liberamente da chi si dee, senza inter-vento del principato, il quale non ha certo a temerne nul-la, se vuole la giustizia, benché abbia veramente a temer-ne assai, se vuole la prepotenza. Ma nessun bene mag-giore per un principe giusto e grande di aver degli uomi-ni, dei ministri del Dio della pace e della giustizia, chegli dicano schiettamente la verità. A troppa ragione di-cea pochi giorni fa Thiers alla Costituente francese, che iprincipi sono periti, perché hanno troppo abbondato nelloro senso.

Il fatto di tre secoli ha dimostrato pienissimamente,che i principi (e quando dico i principi intendo anche igoverni d’ogni altra forma) non sono atti a proporre uo-mini grandi alle cattedre della Chiesa. Per questo la reli-gione è ridotta a quello stato a cui è ridotta. Molti erom-pono in lamentazioni e guai sull’empietà dominante, sul-la traboccante scostumatezza, ma non si curano poi di in-vestigarne le cause, di proporne i rimedi, e se voi ne fateil tentativo, quegli uomini zelanti, quei novelli Geremia,vi fanno il viso arcigno, e poco mancano che non vi ap-plichino a dirittura il titolo d’eretico, di novatore, o al-meno di temerario, e così essi per ignoranza disciolgonoquella carità fra uomini che vogliono pure egualmente ilbene, la qual potrebbe fruttar cotanto ai progressi del re-gno di Dio sopra la terra. Quanto mai non furono rariin sulle cattedre vescovili gli uomini illustri per santità,dottrina, attività, grandezza di vedute e di mezzi in que-sti tre secoli ne’ quali la Chiesa tirò avanti gemendo sot-to la schiavitù delle elezioni! No, questo non è utile aiprincipi, non è utile ai popoli, non è utile all’ordine, non

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é utile alla libertà, non è utile alle anime, non è utile allaprosperità temporale del mondo.

Queste cose altamente proclamate, ora che si puòaprir la bocca e tirar il fiato, perverranno quandochessiaagli orecchi dei principi; può essere, che all’udirle si met-tano la mano al petto, e dicano aprendo gli occhi: Abbia-mo inceppata la Chiesa, e Dio ci ha castigati: può esse-re, che in un momento di quiete considerino la tremen-da responsabilità che assumono in faccia a GESÙ Cristocoll’immischiarsi nelle elezioni de’ Vescovi, giacché glistessi autori benigni, come un S. Alfonso de’ Liguori, di-chiarano, che il principe commette un peccato mortale,qualora egli non presenti ai vescovadi i più degni sacer-doti di quanti ne può trovare. Qual principe può affer-mare in buona fede d’aver sempre proposto il più degnoad una cattedrale vacante di quanti egli ne potesse trova-re? Lo scuserà forse davanti a GESÙ Cristo la sua inet-titudine a farne la scelta? Perocché non solo il principe,ma il potere laicale in generale non conosce, e non puòconoscere i veri bisogni della Chiesa, non ha il dono diapprezzare giustamente le sublimi qualità del Pastore, eperciò è inetto a riconoscerlo e ad eleggerlo tra i molti,anche quando le viste umane e temporali non gli torces-sero, come accade, il giudizio: il laicato farà ottimamenteil suo ufficio, non mai quello che è proprio della Chiesa.

Per conchiudere, l’interesse dei principi, tanto tempo-rale quanto spirituale; l’interesse loro grande, illumina-to, ben inteso, li consiglia di restituire alla Chiesa la li-bertà di eleggersi i suoi Pastori: io spero che ascolteran-no questo Consiglio di uno che non ha certo autorità, mache li ama sinceramente, lo ascolteranno a tempo utile; seno, accadrà che i popoli, consigliati anch’essi dal propriointeresse, e meglio avvisati dei principi, s’incaricheran-no purtroppo di riscuotere dalle mani tenaci de’ loro si-gnori quella libertà d’eleggere i Vescovi, che è un dirit-to non men sacro del popolo che del Clero, in quel mo-

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do che ho dichiarato, e certo poi è la migliore guarenti-gia che possa avervi delle libertà accordate, del Governocostituzionale. Se il popolo cristiano sembra al momen-to presente mettere assai poca importanza nelle elezionivescovili, verrà il dì, in cui ve la porrà grandissima, ed al-lora al più tardi elleno saranno sicuramente redente. Hol’onore ecc.

LETTERA III

AL MEDESIMORoma, il 1 novembre 1848

Nell’ultima lettera che ho avuto l’onore di scrivere a V.S. Reverendissima sulle elezioni vescovili, mi sono limi-tato a rispondere alla prima difficoltà ch’Ella mi propo-neva nella restituzione delle medesime all’antica libertà,ed era quella che avrebbero contrapposto i Sovrani, te-naci delle concessioni fatte lor dalla Chiesa. Non ho pro-messo di rispondere anche alla seconda, quella degl’in-convenienti che incontrar si potrebbero volendo ridurread atto il prezioso diritto che ha il Clero e il popolo dellaChiesa Cattolica di eleggere i suoi Pastori. Non ho pro-messo di rispondere, dubbioso se mi convenisse il far-lo. Ero consapevole che non ispetta a me il definire qua-le potesse essere il modo più acconcio e privo d’incon-venienti, ovvero con inconvenienti minori (giacché nel-le umane operazioni inconvenienti ve ne sono sempre)in cui l’antica disciplina si restituisse, accomodandola aitempi. Il Clero ed il popolo può essere chiamato a con-correre alle elezioni vescovili con diversi procedimenti,e il definire quali sieno i più opportuni dipende in granparte dalle circostanze differenti in cui si trovano le va-rie provincie. Onde anche in antico, quando vigeva laforma canonica delle elezioni a Clero e a popolo, non siosservavano dappertutto le stesse maniere speciali di ri-

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durle alla pratica, ma, salva la sostanza, invalevano neiparticolari dell’esecuzione consuetudini diverse. Né giàmi vien meno la speranza che i Vescovi, conoscenti del-la condizione de’ tempi in cui viviamo, dei grandi biso-gni della Chiesa, e delle speranze che a lei adduce il gri-do alzato di libertà, vogliano dopo tanto tempo di disu-nione e d’isolamento, radunarsi nello spirito del Signore,e trattare quelle cose che interessano al reggimento del-le loro Chiese. Imperciocché la sapienza collettiva e l’u-nità dello spirito e dei mezzi è quello, di cui più che maila Chiesa oggidì abbisogna: ella abbisogna di sentire tut-ta la grandezza della promessa del Signore, il quale dis-se, che dove due o tre saran congregati in suo nome, iviegli sarà nel mezzo di essi. E già le mie speranze s’ac-crescono vedendo che si muovono e si congregano nel-lo spirito del Signore i Vescovi della Germania conferen-do tra loro dei grandi interessi della Religione in quel-la nazione e della salute dei popoli. L’esempio dell’adu-nanza di Wurzemburgo sarà imitato da altri, e bel bel-lo si verrà rannodando fra i Prelati delle varie provinciee delle varie nazioni quell’intima continua fraterna corri-spondenza che rese così ammirabile, uniforme e potentealla santificazione del gregge la Chiesa dei primi secoli,la quale viaggiava nel pellegrinaggio di questa terra e mi-litava nel campo del Signore come fosse un uomo solo.E parlo de’ Vescovi cattolici, e però dei Vescovi i qua-li fanno tutto ciò che fanno nella comunione col Som-mo Pontefice, e colla dovuta subordinazione a colui cheè il primo di essi, dal quale l’intero Episcopato riceve l’u-nità, l’ordine, l’esistenza. Perocché non esiste il secon-do se non vi è il primo, benché primo non voglia dir so-lo. Vero è che alla pienezza della podestà nell’ApostolicaSede costituita non manca alcun diritto di quelli che so-no necessari a regolare di continuo ed ordinare la Chie-sa universale: ma gli stessi ordinamenti che vengono dalCapo Supremo della Chiesa si rimarrebbero sterili sen-

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za l’effettuazione e l’ubbidienza concorde di tutti gli al-tri Prelati che alle singolari Chiese presiedono; e le pro-poste, i consigli, i desideri da questi unanimemente ma-nifestati servono ad assicurare vie maggiormente la Se-de Apostolica della loro cooperazione e del loro zelo pelbene della Chiesa, e le fanno conoscere se sia spedienteed opportuno il dare o no certe provvidenze riguardantil’ecclesiastica disciplina; perocché omnia mihi licent, sednon omnia expediunt; né certo sarebbe utile né opportu-no il prescrivere quello, a cui eseguire l’Episcopato nellasua maggioranza non fosse appieno disposto, o sembras-se quasi repugnante. Così esige sovente la carità e la pru-denza. Dall’Apostolica Sede adunque prima di tutto, epoi dall’aiuto e dalla cooperazione che le prestano i Ve-scovi dipendono le riforme e il buon effetto delle riformenell’ordine disciplinare.

Il qual pensiero mi rese dubbioso, come dicevo, se fos-se conveniente che io le significassi il mio sentimento sulmodo più acconcio di regolare le elezioni vescovili, qua-lora venisse restituita alla Chiesa l’antica disciplina chele eseguiva a Clero e popolo. Nulladimeno avendoci al-quanto meditato, e riflettendo, non essere illecito né in-giurioso alla Chiesa l’esprimere un privato sentimento,e solendo anzi esser questa l’economia della Chiesa, cheella non si decida alle grandi riforme, se non dopo esse-re state più volte proposte e universalmente desiderate ediscussane l’utilità o la necessità, onde ella stessa richie-de prima di decidersi, benché raccolta in Concili genera-li, il voto dei privati Teologi, così dirigendola l’inspiratasapienza; non voglio lasciare del tutto imperfetto l’inco-minciato ragionamento, ma soddisfare in qualche modoanche alla sua seconda domanda, potendo in cosa di tan-to momento al ben della Chiesa anch’io dire coll’amicodi Giobbe, conceptum sermonem tenere quis poterit?

E primieramente qualunque siano coloro che nomi-nano ed eleggono i Vescovi, è indubitato che la cosa è di

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tanto momento, che nessuna diligenza, nessuna guarenti-gia, perché ne riesca ottima l’elezione, è soverchia. Laon-de il Sacrosanto Concilio di Trento raccomanda e confi-da che qui maxime digni fuerint, quorumque prior vita acomnis aetas, a puerilibus exordiis usque ad perfectiores an-nos per disciplinae stipendia ecclesiasticae laudabiliter ac-ta, testimonium praebeat, secundum venerabiles beatorumpatrum sanctiones assumantur. Onde la somma responsa-bilità davanti a Dio e davanti agli uomini, che assumonotutti quelli, i quali influiscono nella detta elezione. Pe-rocché si può dire senza timore d’inganno, che quali so-no i Vescovi, tale è il Clero inferiore, tale è il popolo, ta-le è lo stato della Chiesa, tale la condizione della societàumana. Egli è certo che il privato giudizio s’inganna so-vente, come quello sul quale le affezioni e le inclinazioniparticolari esercitano influenza non piccola, ed è piegatosovente, senza che l’uomo stesso se ne avvegga, dal favo-re, e dalle individuali raccomandazioni, e in ogni caso unuomo solo non può, generalmente parlando, veder tuttodove ci sono tante cose a vedere. All’incontro non è co-sì facile che s’inganni o sia prevenuto il concorde giudi-zio di tutti, giacché nel giudizio dei molti le propensio-ni individuali si elidono e distruggono scambievolmente,i particolari lumi e le speciali vedute si completano col-l’unirsi, e resta netta e concorde la verità. Al che con-suona la sentenza che pronunziarono i Sommi PonteficiSiricio324 ed Innocenzo I325 quando dicevano: Integrumenim est iudicium quod plurimorum sententiis confirma-tur. Oltre di che, quando tutti possono dire la loro opi-nione, e il maggior numero prevale, cessa anche il sospet-to del favore, e tutti sono assicurati che sia fatto quantofar si poteva per trovare il vero. E questa doppia ragio-ne, che più facilmente si trova il vero quando i giudizi dimolti sono concordi, e che questo vero è più facilmentericonosciuto ed accettato da tutti, fu appunto una delleprincipali ragioni dell’antica disciplina nell’elezione de’

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Vescovi, de’ quali scrivea Tertulliano: praesides apud nosprobati quique seniores, honorem istum non pretio, sed te-stimonio adepti326. E narra Lampridio, che l’imperato-re Alessandro Severo, benché gentile, tocco da singolarmaraviglia in vedere che i cristiani riuscivano ad elegger-si tanti eccellenti Pastori per via di comuni suffragi, vol-le imitarne l’esempio nella elezione de’ Governatori del-le provincie, e prese ad esporre i nomi scritti di quelliche egli intendeva assumere a quest’incarico, esortandoil popolo a dichiarare se avesse qualche colpa a imputarloro e ad addurne, in caso affermativo, le prove327. Do-ve non voglio tralasciar d’osservare, qual influenza bene-fica cominciasse ad esercitare la Chiesa nella riforma delcivil reggimento ancor sotto gl’Imperatori pagani, traen-doli a spogliarsi da se medesimi dei modi e delle foggedel dispotismo.

Di poi giova che noi vediamo prima d’entrare ne’ vi-sceri della questione, a che si riduca la sostanza della me-desima: perocché questo non poco la semplifica sepa-randone tutto ciò che è accessorio ed accidentale. Di-co dunque che la sostanza consiste in queste due cose,che a Pastori della Chiesa si eleggano gli uomini miglio-ri che si possan trovare, e che sieno riconosciuti per glimigliori dal gregge stesso che loro si affida, dal greggeche alla loro pastorale sollecitudine commette le animeproprie. Quando queste due condizioni sieno ottenute,la maggiore idoneità, e l’opinione invalsa di questa ido-neità appresso il gregge, niente più manca all’ottima ele-zione. Qualunque modo si adoperi per venire a capo diqueste due condizioni essenziali, purché la cosa riesca,egli è del tutto indifferente. Laonde in tempi e condi-zioni sociali diversi un modo può essere più espediente epiù efficace di un altro, e questa è una delle ragioni per-ché variò nei diversi tempi la disciplina della Chiesa cir-ca i modi delle elezioni. Talora avvenne, che il modo perse stesso migliore e più efficace all’intento, qual è indubi-

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tatamente quello che stabilisce il santo e gran papa Leo-ne: Qui praefuturus est omnibus, ab omnibus eligatur328,non fu potuto adoperare per gli inconvenienti accidenta-li che vi si associarono, per l’ignoranza e la barbarie dellaplebe, per l’ambizìone de’ sacerdoti, per le discordie chefacilmente si suscitavano: convenne allora apporvi de’temperamenti sacrificando quel modo ottimo per evitaremali maggiori. Tuttavia quel modo conservato pressochéintatto per otto secoli dalla Chiesa orientale, e per undicie più dall’occidentale329 non fu abbandonato se non gra-datamente dalla Chiesa e il meno possibile, fino che leelezioni caddero quasi per tutto in mano ai Sovrani resi-si assoluti e cupidissimi di regnare anche nel tempio, chesegnava il limite alla loro autorità, ed è il costante e in-vincibile ostacolo che trova l’assolutismo, o, per megliodire, il dispotismo.

La questione adunque si riduce presentemente a sa-pere se le condizioni sociali dei tempi sieno cangiate daquelle in cui si trovava la società umana, quando si ab-bandonarono tutte le nomine vescovili di una nazione algiudizio di un solo, cioè del solo imperante civile, salvaperò la conferma Apostolica. Si riduce a sapere, se l’ot-timo modo di eleggere i Vescovi invalso per tanti seco-li nella Chiesa, e che S. Cipriano attesta de divina aucto-ritate descendere330, e di cui dice: diligenter de traditio-ne divina et apostolica observatione observandum est ettenendum331, si possa in tutto o in parte restituire, ovverone sia al tutto da abbandonare la speranza. Certo quan-do il Concilio di Trento disse parlando delle elezioni ni-hil in iis PRO PRAESENTI TEMPORUM RATIONEinnovando332 venne in pari tempo a significare che si po-teva, e si avrebbe forse dovuto innovare mutandosi la ra-gione de’ tempi.

Quand’io considero, che quell’antico ed ottimo mododi eleggere, che veniva da una divina ed apostolica tradi-zione, non cessò se non al sopravvenire della barbarie, e

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come disse Lupo abate di Ferrara parlando del privilegioche si pretendea concesso dal Sommo Pontefice Zacca-ria a Pipino, acerbitate temporis333, in un tempo, nel qua-le la società Romana, al sopravvenire delle invasioni set-tentrionali, l’una delle quali incalzava l’altra, e confon-deva tutti gli ordini sociali, si disorganizzò e si disciolse;quand’io considero che nulladimeno la Chiesa in tantaconfusione delle pubbliche cose ritenne ancora quantopiù il poté, e spesso si sforzò di ristabilire l’antica disci-plina, dalla confusione degli ordini pubblici e dall’igno-ranza, atterrata; allora mi par di dire una cosa tutta con-forme allo spirito e al desiderio della Chiesa affermando,che per lo contrario ne’ tempi nostri, finita la barbarie,riorganizzata la società, risuscitata e avanzata non pocola civiltà, convenga al cessar della causa che cessi l’effet-to, e che si restituisca il costume antico. L’eccezione de-ve cessare quando può riprender vigore la regola.

E dall’epoca stessa del Tridentino, quanto mai nonha cambiato faccia tutto il mondo, quanto non si sonomutati gli ordini sociali!

Tre cause principali furono quelle che rendettero ne-cessaria la cessazione dell’antica forma d’eleggere i Ve-scovi a clero e popolo, l’ignoranza del popolo che lo ren-deva indifferente ad aver questi o quei Pastori334, le tur-be e le discordie che contaminavano le elezioni popolaride’ Vescovi, la prepotenza dei re barbari divenuti in ap-presso assoluti e dispotici, che non sofferivano alcun fre-no alla loro autorità, e quindi invadevano di continuo idiritti della Chiesa, nuova ragione che rendeva il popo-lo indifferente all’elezione de’ suoi pastori, trovandosi inistato servile e abituandosi a cedere in tutto al volere de’suoi signori.

Ora la prima di queste cause, cioè l’ignoranza, è ces-sata, la coltura è diffusa universalmente. La terza di que-ste cause pure è cessata e va a cessare di giorno in giornoscomparendo l’assolutismo dall’Europa, e sostituendosi

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dappertutto il governo libero e costituzionale, nel qua-le prende parte il popolo stesso. Rimane la seconda cau-sa, cioè il timore che nelle elezioni vescovili s’introduca-no i partiti, le dissensioni e gli scandali. E certo questimali sono da temersi nei nostri tempi se si abbandonanole elezioni al popolo: è da temersi che la stessa ambizio-ne che rende i mali sacerdoti cortigiani e servilmente ad-detti ai monarchi assoluti, quando questi distribuisconole sedi episcopali, li renda invece adulatori del popolo efaziosi, quando dal suffragio del popolo possano aspet-tare le ecclesiastiche dignità. La questione dunque si ri-duce tutta a vedere se vi abbia un modo di ristabilire lasostanza delle antiche elezioni senza urtare e rompere aquesto gravissimo inconveniente.

Ora la difficoltà apparisce più grave ch’ella non sia fi-no a tanto che non venga ben definito qual parte spet-ti al popolo, quale al clero nelle elezioni vescovili secon-do lo spirito della Chiesa. Secondo questo spirito il po-polo non tiene mai l’officio di giudice; non è mai quel-lo che definisce assolutamente qual debba essere il suopastore. Il papa S. Celestino diceva a questo proposito,scrivendo ai Vescovi della Puglia e della Calabria: Du-cendus est populus, non sequendus; nosque, si nesciunt,eos qui liceat, quidve non liceat, commonere, non consen-sum praebere debemus335. E il grande Incmaro arcivesco-vo di Reims, scrivendo al clero e al popolo Bellovaceseche dovea eleggere il Vescovo, e poi rimettere l’elezionea lui metropolitano per esaminarla e confermarla, cosìchiaramente ammaestra quegli elettori: Praenoscere vosdenique volo, quia si personam a sacris canonibus deviamscienter nobis adduxeritis, non solum ex ea pontificem nonhabebitis, verum etiam pro illicita electione, ut contemp-tores canonum, iudicium incurretis. Sed et nostro, et coe-piscoporum nostrorum iudicio refutata rationabiliter elec-tione vestra incongrua, talem secundum Laodicenses ca-

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nones studebimus eligere, qui vestris vitiosis voluntatibusnon valeat consentire.

Se dunque il popolo non è il giudice che porti ladefinitiva sentenza nell’elezione dei suoi pastori, qualidebbon essere in questa grand’opera i suoi uffici e i suoinaturali diritti? Questi si riducono ai tre seguenti, cheperò rientrano l’uno nell’altro:

1. Di rendere buona testimonianza alle virtù e alla ido-neità del Pastore che si tratta di dargli, la qual testimo-nianza dee pesare moltissimo nell’animo di chi sceglie ilPastore medesimo, e per conseguenza ha il diritto altre-sì di notarne i difetti, ut plebe praesente, dice S. Cipria-no, vel detegantur malorum crimina, vel bonorum meritapraedicentur336.

2. Di desiderare e di domandare quel Pastore, allevirtù del quale rende testimonianza. Onde i Vescovi diAlessandria, rivendicando l’elezione di S. Atanasio dal-le calunnie degli Ariani, dicono che a costituirlo Vesco-vo in luogo del defunto Alessandro, Omnis multitudo, etomnis populus Catholicae Ecclesiae, tamquam ex una ani-ma et corpore convenientes, vociferabantur, clamabant pe-tentes Athanasium Episcopum Ecclesiae: hoc praecaban-tur publice a Christo, et hoc nos adiurabant facere, permultos dies et noctes, ipsi neque ab Ecclesia discedentes,neque nos sinentes abire: huius rei nos testes sumus, huiuset urbs universa, et provincia337.

3. Di ricusarlo anche dopo eletto, purché il ricusarlovenga dalla maggiore o più sana parte dei diocesani,onde S. Celestino papa prescrive, che nullus invitis deturEpiscopus338, il che è una specie di veto che la Chiesariconosce qual diritto della cristiana plebe.

La Chiesa nel lasciare al popolo queste attribuzioninell’elezione de’ suoi Pastori è guidata da una supernasapienza. Perocché egli è certo, voglio ancora ripeterlo,che l’elezione in cosa di tanto momento fatta da uno oda pochi va più soggetta all’inganno, e facilmente entra

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Antonio Rosmini - Delle cinque piaghe della Santa Chiesa

la negligenza nell’elettore o nel piccol numero degli elet-tori, quando non hanno a temere il giudizio del pubbli-co, o possono impunemente trapassarlo, e perché oltrec-ciò principalissima causa de’ buoni effetti del pastoralereggimento è l’amore, la stima, la confidenza che pongo-no nel Pastore le anime dei fedeli che debbono essere dalui guidate all’eterna vita.

Per quest’ultima ragione specialmente fu prescrittodai Sommi Pontefici S. Celestino339 e S. Leone340 che iVescovi si dovessero eleggere fra i chierici della Dioce-si, a cui debbono essere preposti. La qual prescrizionedella Chiesa, che veniva da’ tempi più antichi, fu sanci-ta dai Re de’ Franchi, come dicono i loro Capitolari, utEpiscopi per electionem cleri et populi secundum statutacanonum de propria dioecesi eligerentur341. Ora una tan-t’eccellente disposizione, quando il popolo non più s’a-scoltò nelle elezioni, venne spessissimo trasandata. Lad-dove ella non può essere trasandata giammai qualora l’e-lezione si fondi sul testimonio e sul desiderio popolare, ilquale non può cadere se non sui sacerdoti della propriadiocesi, di cui la plebe cristiana singulorum vitam plenis-sime novit, et uniuscuiusque actum de eius conversationeperspexit342; ovvero sopra uomini illustri e famigerati nel-la Chiesa per virtù, dottrina e prudenza, i cui meriti sonouniversalmente conosciuti, nel qual caso l’eccezione nonpregiudica alla regola, perché ne mantiene lo spirito.

E qui giova determinare prima di tutto qual sia quelpopolo o plebe cristiana che viene chiamato dallo spiritoe dai canoni della Chiesa ad esercitare nella elezione de’Vescovi i tre uffici di sopra enumerati. Per esso non sipuò intendere certamente gl’infedeli, per evangelizzare iquali la Chiesa spedisca de’ Vescovi. In questo caso il po-polo non può dar suffragio, ma tali Missionari sono spe-diti dalla Chiesa docente sull’esempio della missione da-ta da Cristo agli Apostoli mandati a convertire al Vangelole gentili nazioni, come fece S. Atanasio quando ordinò

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Frumenzio Vescovo degl’Indiani, e come fecero le tantevolte e fanno i Sommi Pontefici. Neppure sono compre-si nella plebe cristiana, che presta il suo testimonio allevescovili elezioni, gli eretici o gli scismatici. Né tampocogli empi e gl’indifferenti, a cui non cale della bontà delPastore. Che se s’intrudono a dare il loro voto personemosse da fini profani e da secolareschi interessi, il Cle-ro, che è giudice dell’elezione, deve, come già toccam-mo innanzi, emendare il male trascurando il loro suffra-gio viziato e nullo per se medesimo. Quindi sotto il no-me di popolo o plebe fedele debbonsi intendersi i buonie più illuminati fra’ diocesani, il voto dei quali deve so-lo prevalere, e il conoscer questo spetta alla sagacità de’giudici. S. Clemente Pontefice Romano e immediato di-scepolo degli Apostoli, nella sua prima lettera ai Corintidice espressamente, gli apostoli avere prescritto che do-po la loro morte i Vescovi fossero designati dagli uominipiù chiari e celebri della Chiesa, gratum sibi hoc esse, te-stante universa Ecclesia. E anche allorquando, modifica-ta l’antica disciplina, si confidò l’elezione de’ Vescovi aisoli Capitoli delle Cattedrali, le ecclesiastiche leggi sanci-rono, che quello si reputi eletto, in quem omnes vel maioret SANIOR pars Capituti consentit343.

Le quali cose tutte premesse, la più alta persuasioneinsiede nell’animo mio, benché, come dissi innanzi, lamia non possa essere che opinione privata e di niuna au-torità, che si possa, e quindi si debba nelle presenti con-dizioni, in cui si trovano le civili nazioni cattoliche, resti-tuire al pieno suo atto la gran massima di S. Leone Ma-gno. Qui praefuturus est omnibus, ab omnibus eligatur, equindi che all’elezione del Vescovo debbano concorrere:

1. La plebe cristiana e pia della diocesi,2. Il Clero della diocesi stessa,3. I Vescovi comprovinciali presieduti dal loro Metro-

politano,

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4. Il Romano Pontefice come giudice e come definito-re supremo.

In che maniera adunque può concorrere la plebe cri-stiana, senza cadere nei gravi disordini dei tumulti ab-borriti dalla Chiesa e condannati da più Concili, special-mente dal Canone XIII del Concilio di Laodicea?344

Questo, a mio credere, si potrebbe ottenere in più mo-di: ma per dirne uno solo, mi sembra che si potrebberoaprire dei registri presso tutti i Parroci della diocesi, do-ve ciascun fedele che il brama potesse recarsi a scrivere ilsuo sentimento sul nuovo Vescovo da eleggersi, denun-ciare gl’impedimenti canonici contro quelli che avrebbe-ro probabilità di essere eletti, e nominare altresì quel Sa-cerdote ch’egli crede più degno di divenire il futuro Pa-store di quella diocesi.

E per rianimare nel popolo il sentimento dell’impor-tanza che venga eletto il miglior Pastore possibile, oltrele pubbliche preci e le istruzioni opportune fatte dal pul-pito, specialmente sulla rettitudine d’intenzione in dareil proprio voto, mi piacerebbe che ogni parroco, chiu-si gl’indicati registri, che potrebbero restare aperti ottogiorni, invitasse a sé dodici seniori, cioè i più vecchi fra isuoi parrocchiani, i quali a Pasqua abbiano comunicatoe non sieno impotenti a venire all’adunanza (ed egli è an-che utile risuscitare a’ dì nostri il sentimento di rispettoalla vecchiaia); e conferendo con essi raccogliesse il lorosentimento, chiamando a questa conferenza anche i Sa-cerdoti della parrocchia. Quindi, fatto lo spoglio de’ re-gistri e il processo verbale della conferenza avuta, ognicosa fosse mandata al Vicario foraneo o Decano. Così ilpopolo avrebbe ampia occasione di far conoscere i suoidesideri dando la sua testimonianza ai migliori, declinatele turbe e le fazioni.

Veniamo alla parte che dovrebbe prendere nelle ele-zioni il Clero diocesano. Sarebbe conveniente ed utile, aparer mio, che il Clero diocesano si unisse in assemblea

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nella città vescovile e nella Chiesa cattedrale, e potrebbe-ro essere nominati elettorali i canonici della Cattedrale, irettori e direttori spirituali de’ seminari, i professori cheistruiscono ed educano i chierici in belle lettere, filosofiae teologia (ai quali ragion vuole che si dia più di autoritàed importanza che non si suol fare generalmente), e i vi-cari foranei o decani. Quest’assemblea è sufficiente perconoscere chiaramente il voto del Clero diocesano. Laprima cosa che dovrebbe fare quest’assemblea sarebbeesaminare diligentemente i suffragi del popolo che pre-senterebbero i vicari foranei, e fattone lo spoglio e scrittii nomi di quelli che vennero indicati dal popolare deside-rio, dovrebbe prima di tutto l’assemblea esaminare s’ellapuò convenire nell’elezione di quello che è il più deside-rato. Quando non possa, o per trovarvi eccezioni cano-niche, o per altre cagioni, ella istituirebbe lo stesso esamesu gli altri nominati, procurando di scegliere alcuno fraessi. Se neppur questo è possibile, ella ne nominerebbeun altro a pluralità di voti e indicherebbe le cagioni perle quali, rifiutati i proposti dal popolo, ella ha creduto dipreferire un Sacerdote che non fu nominato. Il decanodel capitolo, o il vicario capitolare, o un canonico elettodall’assemblea sottoscriverebbe gli atti, nei quali dovreb-be essere sempre indicato quello, verso il quale il popo-lo mostrò maggior desiderio, come pure quello che ven-ne preferito dall’assemblea del clero diocesano, e questiatti sarebbero portati o inviati al metropolitano.

Quindi come giudici si raccoglierebbero presso il me-tropolitano nel dì stabilito i Vescovi comprovinciali, edesaminati gli atti dell’elezione avvenuta, essi conferme-rebbero il nominato dal popolo, ovvero l’eletto dal clerodiocesano; e qualora né l’uno né l’altro trovassero unirein sé le condizioni volute dai canoni, o convenissero difar l’elezione in un altro sacerdote manifestamente piùdegno, in ogni modo porrebbero in iscrittura il risulta-mento del loro giudizio che sottoporrebbero al Sommo

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Pontefice come a giudice supremo, dal quale dovrebbefarsi la conferma e l’elezione definitiva. Se i Vescovi com-provinciali, il clero diocesano e il popolo convengono inuna persona, questa sola sarebbe presentata al SommoPontefice. Se sono due le persone che risultano nomina-te dalle tre maniere di elettori, entrambe vengono pro-poste alla conferma pontificia. Finalmente se il popoloha nominato uno, il clero diocesano un altro, i Vescovicomprovinciali un terzo, si sottoporrebbe alla pontificiasentenza la terna dei nomi.

Né si dica che questa maniera di eleggere i Vescovi ècomplicata e lunga: perocché essa è altrettanto ordina-ta, e può esser sollecita quanto si voglia, qualora quel-li a cui spetta ne provvedano l’esecuzione. E qualora an-che traesse seco qualche lentezza, ella sarebbe troppo be-ne compensata dalle guarentigie che riceverebbe la buo-na elezione de’ Vescovi e dalla soddisfazione universa-le; giacché hoc tamen munus, dice il Concilio di Trento,huiusmodi esse censet, ut si pro rei magnitudine expenda-tur, numquam satis cautum de eo videri possit345.

Una cosa nulladimeno dee notarsi diligentissimamen-te, e questa si è, che nulla affatto si dovrebbe mutare cir-ca il modo prescritto all’elezione del Sommo Pontefice,sapientemente ordinato sopra la più matura e lunga espe-rienza, massimamente considerandosi che i suoi elettorisono sufficientemente numerosi, e sono sempre gli uo-mini più eminenti ed illustri della Chiesa di Dio, i qua-li da vicino conoscono i bisogni della Chiesa universaledi cui trattano gli affari, essendosi massimamente prov-veduto dal sacro Concilio di Trento, che siano trasceltitra tutte le cristiane nazioni, quos SS. Pontifex ex omni-bus christianitatis nationibus, quantum commode fieri po-terit, prout idoneos repererit, assumet, e che sieno i piùeccellenti, nihil magis in Ecclesia Dei esse necessarium,quam ut Beatissimus Romanus Pontifex, quam sollicitudi-nem universae Ecclesiae ex muneris sui officio debet, eam

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hic potissimum impendat, ut lectissimos tantum sibi Car-dinales adsciscat.346

L’elezione del Sommo Pontefice è al tutto eccezionale,non trattandosi solamente di eleggere il Vescovo di Ro-ma, di cui d’altra parte i Cardinali rappresentano il Cle-ro, ma di eleggere il capo della Chiesa universale, la con-dizione della quale a niuno può essere più nota che al sa-cro collegio che assiste il Pontefice nel reggimento del-la medesima come suo proprio Senato. Laonde di niunamutazione, di niuna legge novella abbisogna l’elezionedel medesimo; giacché, adempiute le leggi che già sonointorno a ciò pubblicate e colla esperienza confermate,ed eseguito ciò che prescrive il Concilio di Trento, l’ot-tima scelta del Supremo capo della Chiesa è pienamenteguarentita ed assicurata.

Si opporrà forse al modo che noi indicammo comequello che ci sembra più conveniente delle vescovili ele-zioni, che non è fatto parola in esso di alcun interventodella civile podestà. Or non sembrerebbe che qualchepeso dovesse avere anche questa nell’elezione de’ Vesco-vi?

In prima distinguasi la civile podestà, che può essereordinata a varie forme di reggimento, dalla persona delre. Questi personalmente non è più che un semplice fe-dele come tutti gli altri; che deve essere giudicato secon-do i suoi meriti buoni o cattivi da Dio e dalla Chiesa: laricchezza e la potenza nulla gli aggiungono in faccia al-la legge di Dio e alla podestà spirituale. Egli, di natu-ra sua e astraendo da’ privilegi, è un fedele appartenen-te a quella diocesi in cui risiede, e però può anch’egli re-gistrare il suo voto come tutti gli altri, può registrare lesue eccezioni e le sue raccomandazioni come tutti gli al-tri, il cui peso sarà considerato e pesato liberamente dachi s’aspetta. Veniamo alla podestà civile.

Se questa vuole aiutare la Chiesa, essa deve farlo uni-camente in quel modo che la Chiesa stessa desidera e

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che da lei dimanda, non a suo arbitrio. Qualora dunquela Chiesa dimandi il suo intervento per dar forza alla le-gittima elezione de’ Pastori già eseguita, la podestà civilefa un’opera buona, se essa dà il suo appoggio all’esecu-zione di ciò che la Chiesa ha stabilito. Nei tempi, in cuile elezioni vescovili erano turbate dai popolari tumulti,la Chiesa ricorse più volte alla civil podestà pel mante-nimento dell’ordine, e perché le fazioni non impedisseroal Vescovo eletto di prendere il legittimo possesso del-la sua sede; ma molte volte altresì la podestà civile, pre-valendosi di queste domande della Chiesa, tolse ad in-trudersi nelle elezioni medesime al di là di quanto i sa-cri canoni permettevano e la Chiesa desiderava, il che fudeplorabile e funestissimo abuso di forza347.

Si dirà che la podestà civile ha grande interesse chevengano eletti de’ Vescovi, i quali colla loro morale in-fluenza non turbino le pubbliche cose, e che però sem-bra ragionevole che debba anch’essa intervenire.

E questo da noi non si nega, ma nel debito modo: lacosa dev’essere considerata su tutti gli aspetti.

Come nelle moderne forme di reggimento è lasciata atutti i cittadini la libertà d’opinare anche nelle cose am-ministrative e politiche, così anche i Vescovi debbonoesser uomini che godano della stessa libertà. Non deveconsiderarsi come una colpa del Vescovo se egli non ap-prova le ingiustizie e gli abusi della pubblica amministra-zione, ovvero se non tace sui medesimi: anzi i vescovi co-me maestri delle nazioni debbono tenere in mano dirittala bilancia della giustizia, proteggere gli oppressi anchecontro gli abusi della pubblica autorità, benché in modoprudente e legittimo; debbono amare ugualmente i gran-di e i piccoli, i regnanti e i sudditi, i governanti e i gover-nati. Ora se il governo potesse a suo arbitrio escluderedall’Episcopato i migliori e più integri sacerdoti, od eleg-gere quelli che a lui sono più ligi e che mostrano di es-ser ciechi e indifferenti ai pubblici mali, egli è chiaro che

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non si avrebbe giammai in sulle sedi vescovili uomini diperfetta giustizia, i quali, godendo la popolar confiden-za, fossero idonei da una parte a tutelare i governi con-tro le popolari esorbitanze, dall’altra a tutelare i popo-li contro gli arbitrii governativi, parlando agli uni e aglialtri parole di verità, e facendosi mediatori e maestri diConcordia e di pace.

Abbia dunque il governo civile la sua parte ed influen-za nelle vescovili elezioni per escludere quelli che potreb-bero danneggiare veramente l’ordine pubblico, ma nonsia questa una facoltà arbitraria di escludere chi vuole,molto meno poi di eleggere chi vuole: non sia una facoltàdi escludere esercitata all’oscuro, un potere assoluto edarbitrario, sia obbligato a manifestare le ragioni, per lequali egli stima di dar l’esclusiva a questa o a quella per-sona. Le cause di questa esclusiva siano formulate pre-cedentemente; e le colpe imputate sufficientemente pro-vate con argomento di fatti, giacché gli arbitrii, nei siste-mi nuovi di pubblico reggimento a danno dei particolaricittadini, debbono rimanere del tutto esclusi. Acciocchéla podestà civile possa meglio eseguire questo suo dirit-to, io proporrei che nello stesso tempo che il Metropoli-tano manda a Roma il nome degli eletti, ne facesse altre-sì comunicazione al Governo civile. Qualora questo po-tesse imputare agli eletti qualche colpa o delitto politico,egli ne farebbe rimostranza al Supremo Tribunale dellaChiesa, cioè al Papa, entro un tempo fissato, e il Papadeciderebbe se l’accusa politica è ben fondata o no348. Inconseguenza di che l’ammetterebbe o la rigetterebbe: manon potrebbe ammetterla, qualora il governo non addu-cesse, come dicevamo, dei fatti positivi, che provasserola persona nominata aver ecceduto nella libertà di opina-re con manifestazioni di sentimenti sovversivi dell’ordi-ne pubblico, o essersi macchiato di delitto politico. Fuo-ri di questi casi le istanze de’ Governi non debbono ave-re valore alcuno, tanto più che già la forma proposta di

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eleggere rende quasi impossibile, che venga eletto un uo-mo privo di onestà e di onoratezza, quando egli è giudi-cato il più eccellente che elegger si possa dal concorsodel pubblico giudizio e di quello dell’Episcopato. Cosìa tutti è dato il suo, alla Chiesa è restituita la sua liber-tà, ai Governi la loro legittima influenza. Così è ristabili-to l’accordo ragionevole e cristiano fra il Governo civilee l’ecclesiastica podestà.

Eccole, mio reverendissimo signore, l’umile opinionesulla maniera, nella quale potrebbero essere utilmentecondotte le vescovili elezioni, ch’Ella richiedeva da chiha l’onore di essere, ecc.

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NOTE

1 Dico «gli uomini delle due parti» perché nella Chiesa stessanon entrano né passioni né partiti, essendo ella assistita dalloSpirito Santo e quindi sotto questo aspetto non può averci nullada temere da essa

2 Non s’intende qui per «divisione» una separazione di co-munione e di spirito, ché questa non può mancar mai nellaChiesa di Gesù Cristo; ma l’autore intende per «divisione», so-lo la mancanza di quella maggior unione attuale, che nasce frail clero e il popolo, quando questo intende pienamente i riti e lepreghiere che quello fa e recita nelle sacre funzioni.

3 Jo. VII, 234 Matth. XXVIII, 19.5 Luc. XX, 19; 1 Cor. XI, 24, 25.6 Gen. III, 5.7 Matth. XVIII, 20.8 Jo. XVII, 229 Rom. VIII, 26, 27.10 Rom. VII, 12; I, Timoth. I, 8.11 L’istituzione degli Oratorii e delle Congregazioni Mariane

fu l’opera di alcuni santi, i quali ben videro che la pietà del po-polo cristiano avea bisogno di qualche altro nutrimento partico-lare, non bastando più le pubbliche funzioni dello Chiesa. De-gli uomini severi, i quali si attengono alla teoria, e poco badanoalle nuove circostanze, gridarono fortemente contro tali istitu-zioni, come quelle che, secondo il loro vedere, sono nuove nel-la Chiesa, e non conosciute dalla venerabile antichità, e riesco-no quasi un disdoro alle comuni funzioni della Chiesa; come sequeste non bastassero, che pur erano bastate sempre ne’ primisecoli. Ma censori sì severi e sì arditi non pongono mente esse-re le funzioni sacre divenute inaccessibili al popolo, e per l’op-posto, S. Filippo Neri, S. Ignazio ed altri tali, a cui stava soloa petto il bene dell’anime, diventano testimonii gravissimi dellaverità delle nostre parole.

12 Jo. XVII, 11.

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13 Nella Bolla dogmatica: Auctorem fidei promulgata da PioVI fu definito: Propositio Synodi, qua cupere se ostendit, ut cau-sae tollerentur, per quas ex parte inducta est oblivio principio-rum ad liturgiae ordinem spectantium, revocando illam ad maio-rem rituum simplicitatem, eam vulgari lingua exponendo et ela-ta voce proferendo: temeraria, piarum aurium offensiva, in Eccle-siam contumeliosa, favens haereticorum in eam conviciis (Prop.XXXIII, et iterum LXVI).

14 Matth. X, 24.15 Si avverta che noi non disconosciamo con tutto ciò che

anche nei tempi nostri vi abbiano degli ottimi sacerdoti, maparliamo solo pel desiderio che si aumentino.

16 Questo brano di una lettera che il santo Vescovo scrissea Florino per ritrarlo da’ suoi errori, è riferita da Eusebionell’Istor. Eccl. 1 V, c. XX.

17 Per conoscere quanta importanza si dava al grado di sem-plice Prete basta ricordarsi delle parole colle quali i Martiri diLione s’esprimono nella lettera a Papa Eleuterio. Perciocchéessendo stato incaricato di questa ambasciata S. Ireneo allorasemplice prete, in questo modo lo commnendano al Papa indetta lettera con cui l’accompagnavano: «Noi vi supplichiamodi considerarlo come un uomo pieno al tutto di zelo per lo te-stimonio di Gesù Cristo. Egli è per questo titolo, che noi ve loraccomandiamo. Che se noi credessimo che il grado e la digni-tà potessero dare giustizia e virtù, noi ve l’avremmo commen-dato più tosto come PRETE della Chiesa: imperciocché egli ètale» (Euseb. 1. V, c. 4). Ognuno vede che questo non sarebbelo stile col quale si accompagnerebbe al Papa un prete ne’ no-stri tempi! Per rispetto poi all’interesse che prendevano i po-poli e le Chiese all’ordinazione di un nuovo sacerdote, basteràricordarsi de’ rumori eccitati all’occasione che i più celebri Ve-scovi della Palestina, fra gli altri Teotisto di Cesarea, e S. Ales-sandro di Gerusalemme, ordinarono Sacerdote il grande Orige-ne: i quali rumori S. Girolamo attribuisce alla gelosia di Deme-trio Vescovo di Alessandria. L’ordinarsi prete ne’ nostri tem-pi non sarebbe certamente soggetto di tanta gelosia e di tantacommozione!

18 Nelle lettere di S. Ignazio a diverse chiese si vede com-mendata singolarmente questa unità e sommessione del popoloe Clero al loro Vescovo. In quella a’ Tralliani, lòdali della som-

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messione perfetta a Polibio loro Vescovo, di cui fa l’elogio: di-ce di lui essere «specchio di quella carità che regna ne’ suoi di-scepoli; il suo solo esteriore essere una grande istruzione: la suasomma dolcezza essere la sua forza, di guisa che era difficile agliempj stessi il non rispettarlo». Scrivendo poi alla Chiesa di Ma-gnesia, dà a que’ preti una special lode per essere tanto som-messi «al loro Vescovo Damaso, sebbene in età assai giovane».Nella lettera agli Efesini, dopo levato a cielo quel santo VescovoOnesimo, li commenda altamente, perché «tutti erano stretta-mente uniti a lui, e massime il presbiterio (πρεσβυτεριoν),cioè il clero, e perché la grazia li faceva concorrere in Gesù Cri-sto con perfetto accordo, co’ preti e col Vescovo, rompendo in-sieme uno stesso pane, che qual rimedio salutare ci dà l’immor-talità e ci preserva dalla morte».

19 Fu cosa di straordinario onore per S. Giovanni Grisosto-mo che S. Flaviano Vescovo d’Antiochia commettesse a lui d’in-struire il suo popolo. Questi esempj non erano comuni nel-la Chiesa: e i Vescovi che primi permisero a semplici preti dipredicare il Vangelo, furon mossi dalla straordinaria virtù e sa-pienza di questi. I talenti di S. Agostino indussero il Vescovodi Cartagine Valerio a commettergli l’istruzione del popolo; co-me i talenti del Grisostomo trassero a ciò S. Flaviano. Lo stessosi può dire della celebre scuola d’Alessandria, instituita fin sot-to S. Marco, dove furono maestri sempre degli uomini straor-dinarii per dottrina e santità. Allora sapevasi quali uomini sonodegni d’ammaestrare il mondo, e principalmente nella dottri-na di Cristo! Per quale sciagura non si sente più la forza d’unamassima sì vera e sì salutare!

20 Non sarà discaro né inopportuno a’ nostri tempi, che io re-chi in prova di ciò che dico, un insigne luogo del grande Orige-ne. Io lo riferisco unicamente come storico monumento, e cometale non mi potrà essere rifiutato, dove apparisce in che modoa quei tempi si pensava da’ più insigni uomini della Chiesa re-lativamente alla povertà ed alla libertà del Clero. Origene, quelgrande formatore di Vescovi e di Martiri, in una delle Omelieo catechesi che faceva pubblicamente in Alessandria, coglien-do l’occasione venutagli di parlare de’ sacerdoti idolatri, a cuiil re d’Egitto avea donate delle terre, uscì fuori in questi nobi-li sentimenti: «Il Signore non dà porzione sulla terra a’ suoi sa-cerdoti, perché vuole essere la loro porzione egli stesso: e que-sto è il divario che passa fra gli uni e gli altri. Badate ben qui,

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o tutti voi che esercitate l’officio sacerdotale; badate che nonsiate anzi sacerdoti di Faraone che del Signore. Faraone vuo-le che i sacerdoti suoi abbiano terre, e che abbiano cura delleterre anziché delle anime, e che intorno alla terra si adoperino,anziché intorno alla legge di Dio. E Gesù Cristo che ordina a’suoi? “Chi non rinunzia, egli dice, a tutto ciò che possiede, nonpuò essere mio discepolo”. Io tremo, in proferendo queste pa-role! Imperciocché, me, me accuso il primo: e la propria miacondannazione pronunzio. A che pensiamo noi? Come abbia-mo noi coraggio di leggere tali verità, e pubblicarle al popolo,noi che non pure non rinunziamo a ciò che possediamo, ma chevogliamo di più acquistare ciò che non possedevamo prima direnderci discepoli di GESÙ Cristo? Ma, e se la nostra coscien-za ci condanna, possiamo noi per questo nascondere ciò che èscritto? Ah non voglio rendermi colpevole d’un secondo delit-to! Sì, lo confesso, e lo confesso alla presenza del popol tutto:ecco ciò che contiene il Vangelo, ecco ciò che io non posso dired’avere ancora adempito. Ma almeno, giacché pur sappiamo ildover nostro, poniamo mano da questo momento a soddisfar-vi: poniamo mano a cessare d’essere i sacerdoti di Faraone, perdivenire i sacerdoti del Signore, come Paolo, come Pietro, co-me Giovanni, che non avean né oro né argento, ma che purepossedevano tali ricchezze, che la possessione della terra interanon avrebbe potuto lor dare». In Genes. Hom. XVI. Un pas-so così chiaro non ha bisogno di commenti, e ognuno sa quantoesemplarmente professasse la povertà Origene.

21 Epist. lib. XI, ep. 1. Nos enim sub colore ecclesiasticiregiminis, mundi hujus fluctibus volvimur, qui frequenter nosobruunt.

22 Questa frase, ex hac moderna pastoralis officii continentia,mostra come quest’imbarazzo de’ secolareschi affari fosse unpeso nuovo, a cui l’episcopato non era fino allora soggiaciuto.

23 Epist. lib. 1, ep. V. Si possono vedere gli stessi lamenti,che fa il santo Pontefice, in tutte le lettere del lib. 1, nella lettera121 del lib. IX, e nella 1 del lib. XI

24 Quindi come fino al tempo di S. Gregorio, quando si di-ceva la Scienza pastorale, s’intendeva la scienza del Vescovo; co-si ne’ nostri Seminari, dove s’insegna la Pastorale, si vuol in-tendere con questo nome la scienza de’ Parrochi; e il Vescovonon è per poco né pur nominato in que’ libri di Pastorale. Maquesto pigliare il nome di Pastore assolutamente per significa-

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re Parroco, ad esclusione del Vescovo, trae principalmente ori-gine da’ Protestanti, i quali hanno annientato l’Episcopato, pe-rocché questo avea in gran parte deposto i segni a cui essere ri-conosciuto per istituzione di Cristo, cioè le incumbenze date-gli da Cristo; e quindi l’ignoranza del popolo perdette l’idea de’Vescovi: e quest’ignoranza fu principio e fondamento all’errorede’ Protestanti, che si divisero coll’eresia dalla Chiesa.

25 In tutto quello che qui diciamo, abbiam detto, e diremo,noi parliamo in generale: vi hanno le sue eccezioni, perocchéin ogni tempo v’ebbero santissimi Vescovi nella Chiesa. Evogliamo averlo avvertito una volta per sempre.

26 La scuola del popolo d’allora non era però come la scuo-la del popolo d’adesso. La divina Scrittura, e con essa tutta latela immensa della religione di Cristo si spiegava agli occhi del-la plebe cristiana: quindi ella serviva insieme di scuola al popo-lo e al Clero, come ho osservato innanzi, cioè quelli, che veni-vano assunti al Clero, trovavano in essa la preparazione neces-saria per ricevere poi utilmente la educazione ecclesiastica. Noisiamo ora tanto lontani dal pensar grande di quelli, che mol-ti e molti de’ nostri ecclesiastici non sono né pure in caso d’in-tendere ciò che io qui dico, e sono ben certo che malamentericeveranno queste mie stesse parole.

27 L’attesta S. Girolamo, De Vir. ill. c. 36.28 Strom. 1. 1. Secondo l’opinione di Eusebio (Hist. 1. V,

c. 11), il maestro, di cui qui parla Clemente, e S. Panteno, chepresiedette alla celebre scuola di Alessandria.

29 Il bisogno de’ nostri tempi esige, che gli stipendj de’ mae-stri seminariali equivalgano almeno al provento delle più pinguiparocchie; e che i maestri non si rimovano dalla cattedra se nonpromovendoli a qualche canonicato o dignità capitolare, o an-che all’episcopato. Nella celebre scuola d’Alessandria, S. Dio-nigi, S. Eracleo, e il grande S. Achilla passarono tutti e tre l’undopo l’altro da quella cattedra sulla sede vescovile di quella cit-tà, che era la seconda dopo Roma. Allora si aveva recente negliorecchi e nell’animo la parola dell’Apostolo che raccomanda-va a Timoteo di trovare «uomini idonei ad insegnare altrui» lagrande dottrina evangelica. Questi uomini li caratterizza l’Apo-stolo coll’epiteto di «fedeli», e vuole che Timoteo non solo dialoro la dottrina che aveva ricevuta da lui, ma «loro commendi»;

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et quae audisti a me per multos testes, haec commenda fidelibushominibus qui idonei erunt et alios docere. II Timoth. II, 2.

30 Is. VIII, 1.31 Strom. lib. 1.32 Dico insensibilmente, perché questi passaggi non si fanno

mai né rapidamente né universalmente. «Il modo d’insegnare,dice Fleury parlando de’ cinque secoli che succedono a’ sei pri-mi, era ancora il medesimo de’ primi tempi. Le Chiese cattedra-li o i monasteri erano le scuole, il Vescovo medesimo insegna-va, o con ordine suo qualche cherico, o qualche monaco distin-to in dottrina; e i discepoli ne imparavano la scienza ecclesiasti-ca, e nello stesso tempo si formavano sotto gli occhi del Vesco-vo ne’ buoni costumi e nelle funzioni del loro ministero». Di-scorso intorno alla Storia Ecclesiastica dall’anno DC sino all’annoMC.

33 «La maggior parte delle scuole erano ne’ monasteri, e lemedesime cattedrali venivano offiziate da’ monaci in alcunipaesi, come in Inghilterra e in Alemagna. I Canonici, le cuiinstituzioni cominciarono alla metà dell’ottavo secolo con laregola di S. Crodegango facevano quasi monastica vita, e le lorochiamavansi parimente monasteri. Ora io computo i monasterifra i principali mezzi, de’ quali si è servita la Providenza perconservare la religione ne’ più miserabili tempi. Erano questiasili della dottrina e della pietà, mentre che la ignoranza, il vizioe la barbarie innondava il rimanente del mondo. Vi si seguival’antica tradizione nel celebrare i divini Offizj, nella praticadelle cristiane virtù, i cui esempj vedevano i giovani viverenegli antichi. Vi si custodivano i libri di molti secoli, e se nescrivevano de’ nuovi esemplari; ed era questa una occupazionede’ monaci: e non ci rimarrebbero libri di sorte alcuna, senza lebiblioteche de’ monasteri». Fleury, ivi, § XXII.

Il Vescovo stesso abitava co’ canonici, il che mostra la tra-dizione de’ costumi vescovili de’ primi tempi conservata lunga-mente. Quando le distrazioni secolari disunivano i Vescovi edi Canonici da questa santità di vita comune, i Concilj anima-ti da Vescovi zelanti riformavano con nuovi regolamenti la vitaecclesiastica sullo stesso piede: di modo che si vide sempre vi-vo lo stesso spirito nella Chiesa, e questa infaticabilmente trava-gliare per riparare le sue perdite. Si sa che lo stesso S. Carlo eb-be il medesimo desiderio di far vita comune e regolare col suoClero: sicché questo è il pensiero costante di tutti i secoli del-

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la Chiesa; a questo tende incessantemente il suo spirito, il suovoto.

34 «Studiavano i dogmi della religione, dice ancora Fleuryparlando de’ monaci, nella Scrittura e ne’ santi Padri, e la disci-plina ne’ Canoni. Aveano poca avidità di sapere, e poca inven-zione, ma un’alta stima degli antichi autori: si ristringevano astudiarli, a copiarli, a compilarli, ad abbreviarli. Questo è quelche si vede negli scritti di Beda, di Rabano, e degli altri Teolo-gi dell’età media; non sono altro che raccolte di Santi Padri de’sei primi secoli, ed era il mezzo più sicuro per mantenere la tra-dizione». Discorso intorno alla Storia Eccl. dall’anno DC fino alMC, § XXI.

35 S. Bernardo, S. Bonaventura e qualche altro, sono ingegnidi eccezione: essi scrivono colla dignità de’ primi Padri.

36 Clemente Alessandrino dice: «Noi chiamiamo Padri quelliche ci hanno catechizzati. – Figlio poi è colui che viene erudito,qualora operi a tenore di ciò che gli insegna quegli che loerudisce; e in questo senso la Scrittura dice: “Figliuolo, nonti dimenticare delle mie prescrizioni” (Prov. III)». Strom. 1.

37 Quest’è anche la ragione per la quale i dottori di questisecoli nella filosofia seguirono Aristotile; quando quelli de’primi sei secoli avevano più simpatia per Platone.

38 Il protestantesimo che oggidì ha rinunziato alla rivelazioneper tenersi alla pura ragione, cioè alla ragione sistematica chenon è ragione; è l’estremo e compiuto sviluppamento di quel-l’elemento razionalistico, che fu seminato dagli Scolastici (nonperò da tutti, ma da Abelardo, Occhamo, ecc.) nella sacra dot-trina. Non si creda che presso i cattolici, cioè presso quella par-te di mondo cristiano che non ebbe il coraggio di seguire lo svi-luppo di questo elemento fino al suo ultimo termine, che è l’u-scir della Chiesa e della rivelazione stessa, sia stato ozioso que-st’elemento di razionale dominazione, né abbia recato verunoeffetto, atto ad essere da noi qui mostrato e riconosciuto per le-gittima prole di tal padre. È facile l’accorgersi che, in quantoalla dottrina dogmatica, effetto di lui furono le disputazioni chedivisero le scuole cattoliche, massime intorno la grazia, e chedivennero irreconciliabili: in quanto al diritto civile e canonico,furono suo effetto le cavillazioni tante che in parte tolsero il vi-gore alle leggi più salutari; e in quanto alla morale, l’effetto nonfu dissimile, perocché vi cagionò tutto ciò che fu detto e fatto

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sulla materia del probabilismo, e ciò che fu detto e fatto in que-sta materia ebbe grande influenza sul decadimento de’ costumidel popolo cristiano, decadimento avvenuto non meno per in-fluire di ciò che si chiamò lassismo, che per l’influire di ciò chesi chiamò rigorismo. Sono troppo note le battaglie teologichesì dannose all’unione del Clero, e alla sua santificazione; e nonaggiungerò su ciò altre parole. De’ cavilli degli uomini di leggedel secolo XIII il Fleury dice così: «Veggansi i canoni del granConcilio di Laterano, e più ancora quelli del primo Concilio diLione, e si conoscerà sino a quale estremo segno era allora sa-lita la sottigliezza de’ litiganti per deludere tutte le leggi e farleservire di pretesto all’ingiustizia, imperciocché questo è quelloche io chiamo spirito di cavillazione: ora gli Avvocati ed i pra-tici, ne quali dominava questo spirito, erano i Cherici, que’ soliche studiassero allora la giurisprudenza civile o canonica, comela medicina e le altre scienze. - Se la vanità sola e l’ambizionedi distinguersi somministrava a’ Filosofi ed a’ Teologi tante cat-tive sottigliezze per disputare continuamente e non arrendersimai; che non avrà fatto l’avidità del guadagno per eccitarvi piùvigorosamente gli avvocati? Or che poteva mai essere un sì fat-to Clero? Lo spirito del Vangelo non è altro che sincerità, can-dore, carità, disinteresse. Cotesti Cherici così sprovveduti di ta-li virtù erano molto poco atti ad insegnarle altrui». Discorso Vsopra la Storia Eccl., § XVII.

Circa l’effetto ch’ebbe in morale quell’aver dato al ragiona-mento umano il predominio nelle scuole, il Fleury dice questeparole, nelle quali non sono al tutto d’accordo: «L’effetto peg-giore del metodo topico (cioè di quel metodo che insegna a cer-care in ogni argomento il pro ed il contra, come facevano gli sco-lastici), e della disperazione di poter trovare la verità, è quellodi aver introdotte e autorizzate in morale le opinioni probabi-li». Il male non fu nell’aver introdotto le opinioni probabili,ma nell’averne abusato. «In fatti questa parte di Filosofia nonfu trattata in miglior modo nelle nostre scuole che nelle altre.I nostri dottori accostumati a contestar tutto ed a rilevare tut-te le verisimiglianze, ne ritrovarono ancora in materia di costu-mi; e l’interesse di lusingare le proprie passioni o le altrui, gl’in-dusse spesso ad uscire del diritto cammino. Questa è l’origi-ne del rilasciamento tanto manifesto ne’ casisti più moderni, lacui origine però è da me ritrovata cominciare fin dal XIII seco-lo. Si contentavano questi dottori di un certo calcolo di propor-zioni, il cui risultato non si accordava sempre col buon senso o

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col Vangelo; ma conciliavano tutto con la sottigliezza delle lorodistinzioni». Discorso V sulla la Storia Eccl., § IX.

39 Prendiamo esempj da’ più dotti, come a dire da un Tour-nely o da un Gazzaniga. Essi scrivono un grosso volume ed eru-ditissimo, per verità, sulla grazia. Solamente nella fine poi nongià trattano, ma toccano alla fuggita la questione «in che consi-sta la grazia» e la lasciano insoluta come questione di curiositàanzi che di qualche importanza. Or non è egli la cosa più im-portante, e la prima di tutte, quella di conoscere l’essenza, cioèla natura della cosa di cui si ragiona? Non è anzi la natura dellacosa ben conosciuta che ne può dare la vera definizione? E ladefinizione non è il principio fecondo da cui devono scaturire iragionamenti sulla cosa stessa?

40 Nell’indicare ciò che manca agli Scolastici ed a’ Teologi, inconfronto degli Scritti de’ Padri della Chiesa, prego il lettorea non credere ch’io voglia disprezzare gli uni o gli altri, dicui riconosco anche i pregi ed i meriti. Tanto meno, spero,mi s’imputerà questo disprezzo rispetto agli Scolastici, cheognuno sa quanto conto io abbia fatto nelle mie altre operedei principali autori della Scuola, e come mi sia adoperato dirimetterli in onore con vent’anni di fatiche.

41 «Oserò io, dice il Fleury parlando de’ giovani studiosi nelsecolo XII e XIII, di farvi considerare i costumi de’ nostristudenti quali li ho descritti nella storia, sopra la testimonianzadegli Autori contemporanei? Voi vedeste, ch’erano ogni giornoalle mani, e tra loro, e co’ Borghesi; che i loro primi privilegiconsistevano in interdire a’ giudici secolari il giudicare i lorodelitti; che fosse il Papa obbligato di concedere all’Abate diSan Vittore la facoltà di assolverli dalla scomunica proferitada’ Canoni contra coloro che percuotono i Cherici; che i lorocontrasti cominciavano per ordinario all’osteria pel vino e peltripudio; e passavano fino alle uccisioni, e alle estreme violenze.Insomma voi vedete l’orrendo ritratto che ne fa Jacopo diVitri testimonio di veduta. Tuttavia erano cherici tutti questistudenti, e destinati a servire o governare le Chiese». DiscorsoV sulla Storia Eccl., § X.

42 Oυ σπειραι πoιει πατερα µóνoν , ´αλλα και τóπαιδε¨υσαι καλως Hom. XII.

43 Eusebio, 1. III, c. XXXIX.

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44 Acciocché le verità più sublimi non fossero udite dagl’in-degni, v’avea la scienza dell’arcano; non si confidavano quellealte dottrine che a voce, e solo a que’ discepoli che erano sta-ti lungo tempo provati, e che se n’erano resi degni col costan-te proposito di conseguire la santità della vita cristiania. Tuttigli antichi scrittori parlano di questa prudenza e riverenza ches’aveva alle verità rivelate, e basterà qui citare Clemente d’Ales-sandria, il qual ne parla nel 1. 1. degli Stromi, e in tanti altriluoghi delle sue opere.

45 Anche ne’ rimedj posti all’educazione del Clero abbando-nata, rimase questo inconveniente perché i rimedj non andava-no alla radice del male. Uno de’ rimedj di cui parlo si fu l’istitu-zione delle Università: ma queste non facevano che allontanaresempre più i cherici da’ loro Vescovi come pure fanno al pre-sente. «Un altro inconveniente delle Università, dice il Fleury,è questo, che i maestri e i discepoli, i quali non erano in altrooccupati che ne’ loro studj, erano tutti cherici, e molti benefi-ziati, ma fuori delle loro Chiese non avevano funzioni od eser-cizio spettante agli ordini. Così non imparavano essi tutto quel-lo che dipende dalla pratica, il modo di ammaestrare, l’ammi-nistrazione de’ Sacramenti, il governo dell’anime, come avreb-bero potuto apprenderlo ne’ loro paesi, vedendo i Vescovi e iSacerdoti ad operare, e servendo sotto i loro ordini. I dottoridelle Università erano solamente dottori, unicamente applicatialla teoria: onde avevano poi tant’agio di scrivere, o di tratta-re così a lungo questioni inutili; e tanti motivi di emulazione edi contrasti, volendo gli uni raffinare più che gli altri. Ne’ pri-mi secoli i dottori erano i Vescovi sopraccarichi delle più solideoccupazioni». Disc. V sulla Storia Eccl., § X.

46 Ecco di nuovo come tutto si lega e chiama: il metodocattivo trae seco naturalmente de’ cattivi maestri. All’incontroche nobile idea non avevano gli antichi del maestro cristiano!quanto non richiedevano da lui! S. Gregorio Nazianzeno, in uncelebre sermone che fece, intitolato, Della Teologia, descrive alungo quale dee esser colui che parla delle cose teologiche, ea chi, e con quali precauzioni: «Non è bene ad ognuno, dicefra l’altre cose, filosofare intorno alle cose divine; ma coloropossono fare ciò, i quali hanno purificato il corpo e l’anima; oalmeno per ciò fare s’affaticano, e sentono molto avanti nellameditazione delle sacre cose» (Oraz. XXXIII. Ved. ancoral’Oraz. XXIX). Clemente Alessandrino (Strom. lib. 1, e Pedag.

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in f.) parla a lungo del disinteresse, della luce spirituale, e dellasantità necessaria acciocché alcuno sia atto ad insegnare le cosedivine.

47 Matth. VII, 6.48 Strom. 1. 1.49 Strom. 1. 1.50 S. Girolamo dice, che Origene si serviva delle scienze pro-

fane per tirare alla fede i filosofi e le altre persone dotte che ilvenivano ad ascoltare (D. V. M., c. 54). Gregorio Taumatur-go, il più illustre de’ suoi discepoli, nell’Orazione che pronun-ziò nella fine de’ suoi studj in lode del suo maestro (Thau., InOrig.) narra il metodo tenuto da Origene a formarlo; nel qualeapparisce, come quel grand’uomo avea cominciata l’educazio-ne dal correggere i suoi costumi; quindi l’avea introdotto nellevarie scienze date in modo che fossero tutte ordinate a prepa-rare e fortificare la fede nel suo alunno. Origene non si servivadi compendj, ma leggeva insieme con lui tutti i principali filo-sofi, facendogli discernere dentro ad essi continuamente la ve-rità dall’errore: e dopo questi studj preliminari, co’ quali s’ap-parecchiò la mente e l’animo del giovanetto, e si mise in essoil desiderio di più alte e più perfette dottrine, gli aperse final-mente dinanzi le sacre carte, onde gli fece attingere le dottrinedi Dio. So bene che i compendj non si possono a’ nostri tem-pi abbandonare; ma so ancora che con questi soli non si faràmai nulla; non si giungerà né pure a mettere un giovanetto sullavia maestra del vero sapere. L’uso de’ compendj adunque nonpuò essere che quello di riepilogare in breve ciò che fu vedu-to in grande ne’ grandi autori: conviene leggere e spiegare que-sti: non si possono leggere e spiegar tutti, lo so: ma si posso-no leggere e spiegare in parte, e una parte può bastare a inspi-rare il discepolo, a fargli acquistare alcun concetto della gran-dezza della sapienza cristiana, come dal piede di Ercole si potéindurre che uomo egli fosse. – Ma non si avranno in tal modoi contorni della scienza tutta. – Quando si tratti di soli contor-ni, a questo ufficio suppliscano i compendj: questo è il loro le-gittimo uso, e nulla più. La scienza che il giovane con tal meto-do riporterà dalle scuole, sarà simile ad un quadro veduto dise-gnare al maestro, e veduto anche in una parte a dipingere: oragli rimane da finir egli il quadro a quel modo che ha veduto ilmaestro colorire.

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51 Clemente Alessandrino parlando nelle sue opere dello stu-dio delle scienze, sempre vi unisce i Sacramenti di Cristo. Eglivuole, che il maestro sia non un semplice istruttore ma un agri-coltore che si piglia ogni cura e pensiero delle pianticelle da luipiantate; e soggiunge: «V’ha poi una duplice agricoltura: l’u-na che non si fa cogli scritti, l’altra che si fa cogli scritti. Nel-l’uno e nell’altro modo, l’operajo del Signore che avrà semina-to ottimo frumento, avrà fatto crescer le spighe, e le avrà mie-tute, sarà veramente un divino agricoltore. “Operate, dice il Si-gnore, non il cibo che perisce, ma quello che rimane nella vi-ta eterna”. Ma pigliasi l’alimento e per via di cibo, e per via diparole. E veramente beati sono i pacifici, i quali or rimuovonodall’infelice loro stato coloro cui l’ignoranza combatte in questavita ed in questo continuo errore, insegnando loro le cose con-trarie, e li trasportano alla pace, che sta nel Verbo e nella vitache è da Dio; or coloro che sono affamati di giustizia, nutrisco-no colla distribuzione del pane» (Strom. l). Nel qual luogo ve-desi come questo discepolo degli Apostoli unisce insieme la di-stribuzione del pane all’istruzione delle parole; ed anche più so-pra avea paragonata l’istruzione all’Eucaristia. E tale è semprela descrizione ch’egli fa del maestro delle cose divine; il vuoleun divino operajo, un pastore, un ministro di Dio, e come tostoappresso soggiunge «una cosa sola con Dio medesimo!». Ori-gene, discepolo di Clemente, ha le stesse idee. «Non dee, diceegli, ascoltar la parola di Dio alcuno non santificato l’anima e ilcorpo; perché poco appresso dee entrare al convito delle nozze:dee mangiar la carne dell’Agnello, e bere alla Tazza della salu-te». In Exod. hom. XI. Ecco la bella unione del Sacramento di-vinissimo e della parola! Giovi sentire un altro passo di questogrand’uomo nello stesso spirito: «O voi, dice in una delle Ome-lie raccolte dalla sua bocca, o voi che siete avvezzi a star pre-senti a’ misterj, ben sapete con qual cautela e rispetto riceve-te il corpo del Signore, timorosi non forse la menoma particellasen cada perché a grandissima ragione vi terreste colpevoli, seper negligenza vostra qualche bricciolo se ne perdesse: e se voigiustamente usate tanta precauzione per serbare il suo corpo,credete voi che sia minor peccato dispregiare la sua parola?» InExod. hom. XXIII.

52 Ephes. IV, 4.53 Eph. IV, 5, 6.

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54 Deus unus est, dice S. Cipriano in una lettera, et Christusunus, et una Ecclesia et Cathedra una super Petrum, Domini vocefundata. Ep. XL.

55 Episcopatus unus est, cujus a singulis pars in solidum tene-tur. Lib. de unit. Eccl.

56 Pater sancte, serva eos in nomine tuo, quos dedisti mihi: utsint unum, sicut et nos (Jo. XVII, 11).

57 A ragione d’esempio, sotto S. Melezio in Antiochia fuistituito S. Giovan Grisostomo; e Socrate narra espressamente,che vedendo la bella indole del giovane, quel santo Vescovogli concedeva d’esser sempre vicino a lui battezzandolo dopotre anni di ammaestramento, e facendolo Lettore, e più tardiammettendolo agli ordini del Suddiaconato e Diaconato. Oracon S. Giovan Grisostomo insieme erano Teodoro e Massimo,che furono poi Vescovi di Mopsueste in Cilicia, e di Seleuciain Isauria. Diodoro che lì esercitava nella vita ascetica, fu pureVescovo di Tarso. Basilio, amico di S. Giovan Grisostomo, fuben giovane promosso all’episcopato. Ecco un nido di Vescovi,amici prima di essere elevati a quella dignità. Se si vuole unesempio tratto dall’occidente, osservisi la scuola di S. Valerianovescovo di Aquileja. Quando vi fu a visitarlo S. Girolamo, oltreavervi San Cromazio, che fu poi successore di S. Valerianonel vescovato aquilejese, oltre Eliodoro che parimente fui poiVescovo, fiorivano in essa de’ dottissimi e piissimi Sacerdoti,Diaconi, e ministri inferiori, come il celebre Ruffino, Giovino,Eusebio, Nepoziano, Benoso ed altri rammemorati dalla storia.In Africa è noto che la casa o più tosto il monastero di S.Agostino era un semenzajo di Vescovi.

58 Questo si avvera tanto maggiormente nell’ordine sopran-naturale. I Santi comunicano con ogni lor cosa e quasi riversa-no lo spirito della santità in quelli che li circondano; e questoespresse Cristo con somma efficacia in quelle sue parole: «Chicrede in me, come disse la Scrittura, usciranno dal suo ventrefiumi di acqua viva» (Jo. VII, 38).

59 In questa lettera di Dionigio alla Chiesa Romana, il Santodice fra l’altre cose: «Noi abbiamo celebrato in questo giorno lasanta festa della Domenica, e abbiamo letta la vostra lettera, laquale seguitiamo a leggere tuttavia per nostro ammaestramento,siccome la precedente scrittaci da Clemente». Eusebio, Stor.Eccl., lib. IV, c. 23. Sette lettere si conoscono in questo insigne

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Vescovo di Corinto, scritte a’ fedeli di diverse Chiese, cioè, oltrea quella ai Romani, una a’ Lacedemoni, una agli Ateniesi, unaa’ Nicomedj, una alla Chiesa di Amastris nel Ponto, una allaChiesa di Gortina in Creta, e una a’ Gnosiani nella medesimaisola di Creta. Più note sono quelle sei bellissime di S. Ignazioche ancor si conservano agli Efesini, a’ Magnesii, a’ Tralliani,a’ Romani, a’ Filadelfi ed agli Smirnei. Tanto estese eranole relazioni che conservavano quei santi Vescovi, presbiterii, epopoli cristiani fra di loro!

60 Si sottoscrivevano spesso con questa denominazione.61 Dell’uffizio che hanno i Vescovi di avere a cuore il fiori-

mento della Chiesa universale così dice S. Cipriano: CopiosumCorpus est Sacerdotum concordiae mutuae glutine atque unitatisvinculo copulatum, ut si quis ex collegio nostro haeresim facereet gregem Christi lacerare et vastare tentaverit, subveniant ceteri.Nam etsi Pastores multi sumus, UNUM tamen GREGEM pa-scimus, et oves universas, quas Christus sanguine suo et passionequaesivit, colligere et fovere debemus. Ep. 68. al. 67. ad Steph.

62 1 Cor. VI, 12.63 «Tutto si facea nella Chiesa, dice il Fleury, per consiglio

non volendo che vi regnasse altro che la ragione, la regola e lavolontà di Dio». – «Le assemblee hanno questo vantaggio, cheper ordinario vi ha sempre alcuno che mostra qual sia il partitomigliore, e riconduce gli altri a ragione. Producono il rispettovicendevole, e si ha vergogna di palesarsi ingiusti in pubblico.Quelli che sono più deboli in virtù, vengono sostenuti daglialtri. Non è agevol cosa il corrompere una intera assemblea:ma è facile il guadagnare un solo uomo, o colui che lo governa;e se si determina da sé solo, seguita l’inclinazione delle propriepassioni che non hanno contrapposto. – In ciascuna città ilVescovo non facea niente d’importante senza il consiglio de’Sacerdoti, de’ diaconi, e de’ principali del suo Clero. Spessoancora si consigliava con tutto il popolo, quando esso avevainteresse nell’affare, come nelle ordinazioni». Disc. II sulla Stor.Eccl., § V.

64 S. Cipriano rendea conto al suo popolo di tutto ciò che fa-ceva, e non potendo farlo di presenza nel tempo della persecu-zione, il faceva tuttavia per lettere, alcune delle quali ancora siconservano (ved. Ep. 38, col. 33). Due secoli dopo, S. Agosti-no vedesi fare il medesimo col suo popolo. Ne’ suoi sermoni lo

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rende informato di tutte le bisogne della Chiesa, e gli dà minu-tissimo conto della sua condotta. Sono degni d’essere osservatifra gli altri i Sermoni CCCLV, CCCLVI.

65 «Si aveva tal riguardo all’assenso del popolo, dice il Fleury,ne’ sei primi secoli della Chiesa, che se egli ricusava un Vescovoanche dopo consecrato, non veniva altrimenti costretto, ed unaltro se ne creava che gli fosse accetto» (Discorso II sulla Stor.Eccl., § IV). S. Agostino ne dice la ragione con queste paroledirette al suo popolo: «Noi siamo cristiani per noi medesimi, eVescovi per voi» (Serm. 359).

66 S. Cipriano, in una lettera che scrive al suo Clero dal na-scondiglio ove si stava in tempo di persecuzione, rende per ra-gione del non aver dato risposta a certa lettera che alcuni suoisacerdoti gli aveano inviata, l’esser egli solo; « perché, dice, nelprincipio del mio vescovato deliberai di non far cosa di miocapo senza l’avviso vostro, e l’assenso del popolo» (Ep. 14).Questo egli faceva secondo l’esempio dato costantemente dagliApostoli. Si consideri il proceder Apostolico nell’elezione de’diaconi. Avevano certamente gli Apostoli la potestà di eleggerechi volevano. E tuttavia con quanto di dolcezza e di prudenzanon propongono la cosa a’ fedeli, perché essi stessi i fedeli no-minino quelli che stimassero i più degni e idonei a quell’uffizio?«Prendete in vista, dicono essi, o fratelli, degli uomini che go-dano di un buon sentimento fino al numero di sette, acciocchénoi li possiamo costituire sopra questo ministerio» (Act. VI). E«piacque il discorso, seguita il sacro Storico, a tutta la moltitu-dine», che elesse i primi sette diaconi della Chiesa.

67 Il V dei venti Canoni disciplinari del Gran Concilio diNicea ordina che in ogni provincia il Concilio si tenga due voltel’anno.

68 Distinguiamo adunque due epoche e due periodi. Il puntoin cui comincia un ordine nuovo di cose, forma l’epoca di mar-cia; il punto, in cui quest’ordine di cose è già formato e assesta-to compiutamente, foma l’epoca di stazione. Fra l’epoca di mar-cia e l’epoca di stazione v’ha un periodo nel quale la società lavo-ra per organizzarsi, cioè per condurre alla perfezione quell’or-dine di cose al quale si è volta, ed è questo che chiamiamo unperiodo organizzatore. Organizzato perfettamente quel modo diessere della Chiesa e così venuta l’epoca di stazione, non poten-do le cose umane cessare dal loro movimento, succede ben pre-sto un altro movimento in senso contrario, un movimento cioè

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di distruzione, e questo è quello che noi chiamiamo periodo cri-tico.

69 Varie furono le cagioni dalle quali il Clero fu tratto per for-za delle circostanze e veramente contro suo volere ne’ tempo-rali reggimenti. Alle addotte da noi si può aggiungere quellache un Istorico celebre esprime colle seguenti parole: «I Roma-ni avevano un sommo disprezzo ed avversione per questi nuo-vi signori (i barbari), che oltre la loro rusticità e ferocia natu-rale erano tutti pagani od eretici. All’opposto ne’ popoli si ac-crebbe la fiducia ed il rispetto verso de’ Vescovi, che erano tut-ti Romani, e spesso persone delle più nobili e delle più ricche».A questa causa aggiunge: «Coll’andar del tempo però i barbaridivenuti Cristiani entrarono nel Clero, e vi portarono i loro co-stumi: cosicché si videro non solo Cherici ma fin anco gli stes-si Vescovi cacciatori e guerrieri. Essi pure diventaron signori,e come tali obbligati a portarsi alle assemblee, nelle quali si re-golavano gli affari dello Stato e che a un tempo medesimo era-no Parlamenti e Concilj nazionali». Fleury, Disc. VII sulla Stor.Eccl., § V.

70 Quando ne’ primi tempi si trattò del ministrare alle tavo-le de’ fedeli, gli Apostoli elessero i sette Diaconi, di ciò incari-candoli. Quanto a sé, dissero che non era conveniente che sene occupassero; e designarono le due funzioni eminentemen-te episcopali con queste parole: Nos vero ORATIONI, et MI-NISTERIO VERBI instantes erimus (Act. VI, 4). L’orazionecorrisponde al Culto, e la predicazione all’Istruzione.

71 Lo provano i timori che manifestano ne’ loro scritti S.Gregorio, e gli altri Vescovi, che furono i primi a doversiingolfare ne’ negozj secolareschi. Questi timori e lamenti vannodi mano in mano cessando nella Chiesa, sintomo dell’affezioneche pigliava il Clero alle temporali fortune.

72 Si può forse trovare un’eccezione a questa legge solo nei seiprimi secoli. In questi operò quasi la sola forza organizzatrice;ma l’antagonismo non mancava, ella aveva la sua opposizione aldi fuori della Chiesa, nella società pagana.

73 Al periodo di distruzione succede dunque un periodo dirifacimento. Questo rifacimento appartiene non al moto, maallo stato della Chiesa. Contemporaneo poi alla distruzione èun periodo organizzatore: questo appartiene al movimento; èil tempo delle intraprese. A questo succede una stanchezza,

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tempo di stazione. Nel tempo di moto adunque lavorano dueforze estremamente attive; l’una edifica e l’altra distrugge. Neltempo di stazione operano pure due forze, ma di poca lenaentrambi; l’una raggiusta partitamente i guasti, l’altra guastaancora, ma più per negligenza che per altro; siccome in fabbricaa cui, dopo essere edificata, manchi una buona manutenzione.

74 «I Vescovi, dice il Fleury, trattavano fra loro a guisa difratelli, con poche cerimonie e molta carità; e se vedete chesi diano il titolo di santissimi, di veneratissimi, od altri simili,attribuitelo all’uso che s’era introdotto nella decadenza delromano impero, di dare a ciascuna persona i titoli proporzionatialla sua condizione». Disc. sull’Istor. Eccl. de’ sei primi secolidella Chiesa, § V.

75 Nel Concilio di Costantinopoli dell’anno 381, quella Sedeottenne il primo posto dopo la romana. Non poco gli valse aciò il nome che diede a se stessa quella città di nuova Roma.

76 Fu l’appoggio della potestà politica, che fece ribellare aRoma questi Arcivescovi. Essi giunsero ad ottenere dall’Impe-ratore un’ordinanza che fu chiamata Tipo, mediante la quale ve-nivano sottratti dalla Chiesa romana! Esso Tipo fu poi conse-gnato nelle mani del Papa, quando si sottomisero sotto LeoneII.

77 L’anno 677 Ravenna ritornò all’ubbidienza di Papa Don-no. Quegli Arcivescovi si ribellarono di nuovo nel 708, e fu untratto della Providenza che quell’Esarcato ben presto cessasse,per la distruzione che fece di lui Astolfo re de’ Longobardi l’an-no 752, dopo esser durato soli 180 anni. Così la divina Provi-denza si servì di questi barbari invasori delle terre della Chiesa,a consolidare il romano dominio col porre in terra la potenzaravennate.

78 1 Timoth. III, 1.79 Molti prendono una specie di scandalo in veggendo che

i religiosi tanto fanno nella Chiesa, senza tuttavia esser pastori,e con privilegi che in gran parte li sottraggono al governo de’Vescovi. Ma non è egli evidente, che questo fu un mezzodella Providenza, col quale ella sostenne la Chiesa di Dio, neltempo appunto che i Vescovi erano distratti dalle temporaligrandezze? L’istituzione de’ frati mendicanti nel secolo XIII,e de’ Cherici regolari nel XVI, ha manifestamente questo scopo

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di supplire a ciò che non faceva quello che si chiamò pur troppoil Clero secolare.

80 Matth. X, 16.81 Il Concilio di Antiochia dell’anno 341, non che riprendere

l’abitare del Vescovo alla corte, non parla tampoco di questo,come di un disordine ancora sconosciuto, e ordina che nessunVescovo, prete, o altro cherico non possa né pur fare unamera visita all’Imperatore senza il consenso e le lettere de’Vescovi della provincia, e segnatamente del Metropolitano: e sealcuno infrange questa ordinazione del santo Concilio, egli saràscomunicato, e sopra ciò sarà ancora privato della sua dignità!Tant’era la gelosia santa che aveasi allora per la libertà dellaChiesa! tanto il timore del contagio delle grandezze temporali!Il Concilio di Sardica dell’anno 347 ordina che né pure per gliaffari che interessano la carità, vada il Vescovo a Corte, ma vimandi un suo Diacono.

82 Basta leggere la Storia di Cristierno tiranno di Svezia, e de’Vescovi suoi adulatori, per convincersene. La Chiesa dee purtroppo la perdita di quella nazione a tali prelati! E si può direil simile della Germania e dell’Inghilterra.

83 I Re francesi per esempio s’erano messi in testa, che mo-rendo un Vescovo dello Stato, succedessero essi ne’ diritti delVescovo per conferire i beneficj semplici, ecc. Può egli giova-re alla Chiesa che i diritti di Vescovi venuti in tale condizionesieno molto estesi? e non più tosto che sieno moderati; accioc-ché la Chiesa difendendo qualche residuo almeno di sua liber-tà, possa dire al re, quello che Gregorio IX scriveva all’impera-tore Federico II, Esto quod in collatione Beneficiorum morien-tibus succedas, ut dicis, Episcopis: majorem in hoc ipsis non adi-pisceris potestatem (appresso Oderico Raynaldo all’anno 1236).Le quali parole sono volte dal Pontefice ad un Sovrano che vo-leva appunto aver più diritti in Sede vacante, che non avesse ilVescovo stesso!! I Legisti francesi poi, i così detti prammatici,sostengono, che quand’anco il re trascuri di conferire i benefizj,e così mandi l’anime de’ suoi sudditi in perdizione, il suo dirittonon può essere prescritto, né provveduto in altro modo!!!

84 Ps. IV.85 Matth. XVI, 18.86 Essendosi agli ecclesiastici aggiunti molti beni temporali,

pretese il Sovrano d’esserne egli il dispensatore, egli ne volle

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dare il possesso al Prelato che li riceveva dal re come un dono,secondo la frase che si trova nelle formole delle Investiture de’secoli di mezzo. Ora il re con questa occasione esigeva dal nuo-vo prelato un giuramento, nel quale gli faceva promettere tuttociò che volesse. Eadmero (lib. II, Histor. Novorum) racconta,che fra le altre belle cose, che Guglielmo II re d’Inghilterra fa-ceva giurare a’ nuovi prelati, v’era questa, che non appellereb-bero al Sommo Pontefice, né andrebbero a Roma senza licen-za del Re. L’appellazione de’ Cristiani tutti al supremo Gerar-ca è una libertà di diritto divino, che esce dalla intrinseca co-stituzione della Chiesa; l’oppugnarla è un tentativo di distrug-ger la Chiesa. Se v’entrano abusi, questi conviene perseguire edemendare ma non torre le appellazioni stesse. Medesimamente,ogni Cristiano dee potere liberamente recarsi appresso il Padrecomune, il Romano Pontefice: tali sono le libertà del Cristiane-simo. Le provvidenze de’ governanti non debbono distrugge-re queste libertà; ma sì difenderle; ed è un difenderle l’impe-dire che col pretesto di esse si operi il male. Ma egli è egual-mente vero, che col pretesto di levar l’abuso annesso all’uso diqueste libertà, i principi recarono il dispotismo temporale nellaChiesa, e misero la forza bruta, dove dee solo trovarsi la forzamorale, e cercarono l’impunità alle loro scelleratezze.

87 S. Gregorio Nazianzeno (Orat. ad Civ.): Quid vero vosPrincipes et praefecti, quid igitur dicitis? Nam vos quoque pote-stati meae lex Christi subjecit. Imperium et nos gerimus; addeetiam praestantius. Questa è dottrina della Chiesa cattolica.

88 Si allude alla proposta che un prete fece al Clero di Fran-cia di rinunziare agli stipendj che riceve dal governo, e ricupe-rare così la propria sua libertà; proposta inopportuna forse, magenerosa, e degna de’ primi tempi della Chiesa. Ella rammen-ta la libertà, di cui tanto era geloso l’Apostolo Paolo, che pernon scemarlasi, non voleva esser mantenuto a spese de’ fedeli,sebben n’avesse il diritto come ogni altro Apostolo; e preferivadi aggiungere alle fatiche immense dell’Apostolato anche il la-voro delle mani, col quale guadagnarsi giornalmente quel pocodi che avea bisogno per sostenersi: «Omnia mihi licent, dice-va, sed ego SUB NULLIUS REDIGAR POTESTATE». (1 Cor.VI, 12). Ma chi la ha pronunziata questa parola nobile, chi hasentito sì altamente il prezzo della libertà della Chiesa, perchéha prodigata poi questa libertà della Chiesa agli empj? perchénon ha veduto che la libertà non è che un diritto esclusivo del-

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la verità? perché ha accomunati i diritti della immutabile veritàalla menzogna? ha innalzata l’umanità senza Dio a quell’altezzadi grado che solo appartiene all’umanità divinizzata dal Cristo?non si è fermato ad adorar nella Chiesa, cioè nella società de’ fi-gliuoli di Dio, la colonna ed il firmamento della verità, e s’è lu-singato di trovare questa colonna e questo firmamento nella so-cietà de’ discendenti di Adamo, de’ figliuoli degli Uomini? Cer-to il sistema è coerente: se all’umanità del peccato appartiene laverità, a lei appartiene altresì la libertà. Ma per me non veggopossibile che la verità e la giustizia si partano insieme; per metengo che la verità sia l’appannaggio della società de’ giusti; cheil diritto d’esser libero non appartenga all’errore; e che perciòl’uomo non nasca, ma si renda libero pel Cristo, dal quale ri-ceve la luce della verità e l’ornamento della giustizia. A colorosolo che sono conscii di non possedere la verità, ma di andar-ne perpetuamente in cerca, che non possono né pur mentendopersuadere a se stessi di averne più che una speranza vana chemai non si avvera, a costoro dico, appartiene quella dottrina didisperazione che «tutti i pensieri che ascendono dal cuore del-l’uomo sieno egualmente in diritto di propagarsi e di assalire lapersuasione inferma e cedevole de’ popoli». Non è di un catto-lico tale dottrina, no; perché egli sa di possedere il vero, ne sen-te la dignità, il prezzo infinito, e vede che non istà in lui di alie-narne i diritti. E questa è la ragione perché il Capo della Chie-sa cattolica ha innalzata la sua voce contro una dottrina che sipresentava a nome del cattolicismo, l’ha disconosciuta per ta-le. Doni Iddio lume alla mente dell’uomo, di cui non possiamoparlare senza trasporto di stima e di affetto; gli doni tanto do-minio di se stesso e tanta fortezza di animo che vincitore del-l’amor proprio e delle adulazioni degli amici e dei nemici, rien-tri interamente e lealmente nel cammino della verità, alla qualeha prestato tanti servigi, ed ha mostrato tanto di affetto e di de-vozione, che s’è messo in una fortunata necessità di non potereoggimai più essere coerente a se stesso, se non ritrattando fran-camente i proprj errori, e sottomettendosi a pieno alla Cattedraeterna a cui il magisterio della verità è affidato.

89 Matth. XXVIII, 2090 Negli Atti apostolici si legge, che Paolo e Barnaba «costi-

tuivano nelle singole Chiese de’ seniori» cioè de’ Vescovi e de’Sacerdoti (c. XIV, 22).

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91 S. Paolo avea consacrato Tito in Vescovo di Creta; orascrivendogli gli ordina che faccia anch’egli il medesimo conaltre città. «Per questa ragione, dice, ti ho lasciato a Creta,acciocché tu corregga quelle cose che mancano e costituiscanelle singole città de’ seniori (cioè de’ Vescovi) com’io hodisposto con te». Tit. I, 5.

92 «Colui che vien chiamato al vescovado, dice Origene, nonè perché comandi, ma perché serva alla Chiesa e le renda ilsuo servigio con tanta modestia e con tanta umiltà, che giovia chi lo rende e a chi lo riceve»: ed aggiunge questa ragione,che è comune a qualunque altro reggimento cristiano, non chea quel della Chiesa: «poiché il governo de’ cristiani dee esseretutto diverso da quel de’ pagani, il qual riesce duro, insolente evano.» Hom. in Matth. XX, 25. Questa dottrina del Vangelo èuniforme in tutti i Padri.

93 Rimane ancora nel Pontificale Romano la cerimonia collaquale il Vescovo dimanda degli ordinandi se godano di un buontestimonio presso i fedeli.

94 Origene nell’ Omilia XXII sui Num., e nella VI sul Levit,dice che «nell’ordinazione del Vescovo, oltre all’elezione diDio, si ricerca la presenza del popolo, affine che tutti sienrassicurati, che si elegge in Pontefice il più eccellente e il piùdotto che sia, e il più santo, e il più distinto in ogni virtù. Ilpopolo sarà dunque presente, perché nessuno abbia a dolersi, eche sia tolto ogni scrupolo».

95 Un tale concetto del sacerdozio pur troppo prevale nelsecolo: si crede o si affetta di credere che le funzioni delcristiano sacerdote tutte si limitino dalle mura materiali dellaChiesa! Ecco in che modo parlava poco fa il signor Dupinseniore nella camera de’ deputati di Francia (seduta del 23febbraio 1833): J’ai le plus profond respect pour la liberté duprêtre, tant qu’il se renferme dans ses fonctions: si cette libertéétait attaquée, je serais le premier à la défendre; mais que leprêtre se contente du maniement des choses saintes, ET QU’ILNE SORTE PAS DU SEUIL DE SON EGLISE; hors de là, ilrentre pour moi dans la foule des citoyens; il n’a plus de droitsque ceux du droit commun. È questo il prete cattolico? è ilprete istituito da Gesù Cristo questo di cui si parla? Ma dovemai Gesù Cristo ha rinserrato il sacerdozio entro le mura dellaChiesa? Oh non gli ha detto: «Andate, predicate a tutte le

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genti»? non gli ha detto: «Voi siete il sale della terra»? Quandoha parlato di templi materiali il divino Fondatore della Chiesail quale ha insegnato che «i veri adoratori adorano il Padrein ispirito e verità»? E non ha dato al sacerdote la facoltà disciogliere e di legare? forse solo dentro le chiese? allorché gli hacomandato di annunziare la verità dal di sopra de’ tetti, allorchélo ha inviato dicendo: «Come il Padre ha mandato me, cosìio mando voi»; allorché gli ha ingiunto di portare il Vangelonel cospetto dei tiranni e dei dominatori della terra, mettevaegli allora quegli stretti limiti al sacerdozio cristiano, di cui locirconda il sig. Dupin? Ma l’ignoranza o i pregiudizi del sig.Dupin sono in certo modo scusabili, poiché sono l’effetto ditutto il tristo sistema delle cose pubbliche, e degli imbarazzicreati dalla politica alla Religione.

96 Il grande S. Leone conosceva assai bene che il costringe-re il popolo a ricevere un Vescovo da lui non voluto era un de-pravarlo, e questa è una delle ragioni per le quali quel santissi-mo Pontefice sta fermo nel mantenere la disciplina antica del-la Chiesa circa l’elezione de’ Vescovi fatta per via del Clero, po-polo, e Vescovi provinciali. Ecco uno de’ molti passi di questogrand’uomo, che potrei riportar qui in prova di ciò che affer-mo. Egli scrive nell’anno 445 ad Anastasio Vescovo di Tessalo-nica in questo modo (cap. 5): «Quando si tratterà dell’elezionedel sommo Sacerdote, si preferisca a tutti colui, che il consen-so del Clero e della plebe ha concordemente richiesto: di mo-do che se forse i voti si spartirono in altra persona, venga prefe-rito quegli, a giudizio del Metropolitano, il quale ha conseguitopiù di affetto, e possiede più meriti: solo si badi, che nessuno siordini di quelli che non sono voluti o non domandati, accioc-ché la plebe contrariata non disprezzi od odii il suo Vescovo; eNON DIVENTI MENO RELIGIOSA CHE NON CONVIE-NE, NON AVENDO POTUTO AVERE QUELLO CH’ES-SA AVREBBE VOLUTO»; ne plebs invita Episcopum aut con-temnat aut oderit; et fiat minus religiosa quam convenit, cui nonlicuerit habere quem voluerit. Tale era la maniera di pensarede’ Leoni! Vedete ciò che il medesimo sommo Pontefice scrivenella lettera a’ Vescovi della provincia Viennese cap. 3, e nellalettera a Rustico di Narbona, cap. 7.

97 Per vedere quant’era la stretta unione e dipendenza, negliantichi tempi, de’ popoli co’ loro Vescovi, basterà desumerloda una circostanza, che non solo i Sacerdoti, ma anco i sempli-

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ci fedeli, passando da una provincia ad un’altra, doveano pren-dere da’ loro Vescovi delle lettere per mostrare che essi eranonella comunione della Chiesa. Nel Concilio di Arles dell’anno314 si ordina «che anche i governatori delle provincie, giunti aquelle cariche mentr’erano fedeli, debbono come gli altri pren-der lettere di comunione de’ loro Vescovi, e il Vescovo del luo-go dove esercitano la carica, dee aver pensiero d’essi, e se alcu-na cosa fanno contro la disciplina, scomunicarli». Lo stesso ditutti coloro che sostengono pubblici impieghi.

98 Origene, In Iudic. hom. IV.99 Anche prima di quest’epoca, e appena che gl’imperatori

furono cristiani, questi fecero qualche tentativo particolare dimescolarsi nelle elezioni de’ Vescovi; ma per dir vero, ciò nonfu tanto colpa loro propria, quanto de’ tristi ecclesiastici da’quali venivano sorpresi e trascinati a fatti così sovversivi del-la ecclesiastica costituzione. Quanto non è facile a un principesecolare restare ingannato dall’ipocrisia e dall’audacia, o dall’i-gnoranza de’ mali sacerdoti, sopra tutto in materia ecclesiasti-ca! Il grande Atanasio, ebbe troppo altamente a dolersi a que-sto riguardo de’ tentativi dell’imperatore Costanzo. Ecco ciòche scrive di lui quel Padre invitto campione della divinità delVerbo: «Questi, dice, andò pensando al modo come potesse al-terare la legge, dissolvere la costituzione del Signore tramanda-taci dagli Apostoli, e cangiando la consuetudine della Chiesa in-ventò egli un nuovo modo di costituire i Vescovi! Egli li spe-disce ai popoli, che non li vogliono da luoghi stranieri, lontaniper un intervallo di ben cinquanta giornate, e li fa scortare da’soldati: e tali Vescovi, invece di ricevere quella giustizia che fa-rebber di loro i popoli, portano essi stessi ai giudici e minaccee lettere». Epist. ad solitariam vitam agentes. In questo passoapparisce quanto la maniera di eleggere i Vescovi per opera delClero e del popolo si teneva un punto importante della costitu-zione della Chiesa, e se ne riputava l’istituzion DIVINA e man-tenuta dalla apostolica tradizione. – Anche S. Cipriano nell’ep.68 dichiara che questa maniera di eleggere i Vescovi è di dirittodivino: de traditione divina et apostolica observatione descendi.Merita ancora matura riflessione il biasimo che dà S. Atanasioa Costanzo per mandare i Vescovi ex aliis locis et quinquagintamansionum intervallo disjunctis!

100 Tuttavia si voleva che unitamente al voto dell’imperato-re vi fosse sempre l’elezione canonica del Clero e del popolo.

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A ragione d’esempio Epifanio sul principio del secolo VI Pa-triarca di Costantinopoli, dando relazione della sua elezione alRomano Pontefice Ormisda, dopo aver detto che fu eletto dal-l’imperatore Giustino e da tutti i grandi, soggiunse che «non vimancò il consenso de’ Sacerdoti, de’ monaci, e della plebe» Si-mul et sacerdotum et monacorum et fidelissimae plebis consensusaccessit. Così nello stesso secolo la lettera del sommo Pontefi-ce Agapito che fu letta nel Sinodo di Costantinopoli tenuto sot-to il Patriarca Menna, parlando dell’elezione di questo, si espri-me bensì che vi fu anco il consenso imperiale, ma come un ac-cessorio; e insiste su quello che era di regola canonica, cioè sul-l’elezione del Clero e del popolo. Ecco le parole di quel Papa:Cui, licet, praeter caeteros, serenissimorum imperatorum electioarriserit, similiter tamen et totius Cleri ac populi consensus acces-sit, ut et a singulis eligi crederetur; le quali parole spirano libertàecclesiastica.

E qual fu mai la cagione per la quale in certi tempi si resescopertamente venale il patriarcato di Costantinopoli? Perchéin altri fu venduto il Papato? chi non vede che non fu altra senon i beni temporali annessi non più alla carità, ma alla pompadi queste sedi? Gli uomini del mondo non sono disposti aspendere per dignità, che non abbiano annesso de’ vantaggi dimondo.

101 Quanta importanza non pose la Chiesa dai primi fino aimoderni secoli in mantenere inviolabilmente il metodo delleelezioni Vescovili, consistente nel consenso di tutti, e nel giu-dizio del Clero! Essendo questo punto a mio avviso qualchecosa che altamente interessa la divina costituzione della Chie-sa, io non voglio omettere di riportar qui anche degli altri do-cumenti anteriori al secolo VI, atti a provare la continua solle-citissima cura della Chiesa a mantenere le elezioni immuni dal-l’influenza di ogni potere laicale.

Già fino nel gran Concilio Niceno si sentì il bisogno di fer-mare con un canone (can. 6) l’apostolica e divina consuetudinedelle elezioni; il che prova che appena gl’imperatori furono cri-stiani, la libertà della Chiesa s’accorse d’essere minacciata. Perla stessa cagione i Concilj susseguenti non mancarono di pub-blicar decreti perché restasse fermo l’antico e legittimo mododi eleggere i Vescovi per via di Clero e popolo; intra gli altril’Antiocheno, can. 19 e 23.

Fra’ canoni apostolici se ne trova uno, ed è il XXIX, che dicecosì: «Se un Vescovo, facendo uso de’ principi secolari, ha ot-

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tenuto la Chiesa pel loro favore, sia deposto, segregato, e simi-gliantemente sia fatto di tutti quelli che con lui comunicano».

Il papa Celestino I, sul principio del secolo V, fece parimen-te un decreto, col quale manteneva la stessa libertà: Nullus in-vitis, dice, detur Episcopus; Cleri, Plebis et Ordinis consensus etdesiderium requiratur.

Il grande S. Leone, che tenne la cattedra di S. Pietro nellostesso secolo, cioè dal 440 fino al 461, e che abbiamo citatopiù sopra, fu di continuo inteso a guarentire la forma libera ecanonica delle elezioni de’ Vescovi: basti indicare il decreto adAnastasio vescovo di Tessalonica, ove dice: Nulla ratio sinit,ut inter Episcopos habeantur, qui nec a Clericis sunt electi, neca plebe expetiti, nec a Provincialibus cum Metropolitani judicioconsecrati.

102 Can. 2.103 Can. 4.104 Can. 7.105 Can. 3. Il Fleury esponendo il contenuto di questo Con-

cilio dice che «vi si raccomanda l’antica formalità nell’elezionide’ Vescovi della provincia col consenso del Clero e de’ citta-dini; probabilmente per gli torbidi che la possanza temporaleincominciava ad introdurvi». Lib. XXXII, § LIX.

106 Can. 10. Nulli episcopatum praemiis aut comparationeliceat adipisci, sed cum voluntate regis IUXTA ELECTIONEMCLERI AC PLEBIS.

107 Così pur troppo è avvenuto. Fra le forme conservateci daMarcolfo (1. I. Ved. anche l’Appendice al t. II. de’ Conciljdella Francia del P. Sirmondo) le quali erano in uso in Franciasotto i Re della famiglia Merovingia, v’è appunto non quelladel consenso che il re desse alle elezioni de’ Vescovi ma sì delprecetto. Ella è espressa così: «Col consiglio e volontà de’Vescovi e de’ nostri grandi, secondo la volontà e il consenso delclero e delle plebi della stessa città, nella sopra detta città N,noi vi commettiamo in nome di Dio la Pontificale dignità. Peril che col presente PRECETTO decidiamo e comandiamo chela sopraddetta città, o i beni di essa Chiesa, e il Clero rimanganosotto il vostro arbitrio e governo». Nulla di più frequentenegli scrittori di questo tempo che il trovare la frase che «PERCOMANDO DEL RE» questi o quegli fosse fatto Vescovo. Vihanno ancora le formole di suppliche che presentava il popolo

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al re perché uscisse fuori questo precetto: facevano bisognodelle suppliche per ottenere de’ comandi! tali comandi!

108 L’adulazione e la vanità inventano queste espressioni, eson prima senza valore, ma passano ben presto ad acquistarneuno troppo reale. È strano il non accorgersi che in questo mo-do non si concilia a’ sovrani quel vero e costante rispetto cheloro si dee, ma si usa un linguaggio che diventa in un tempo onell’altro satirico. Per vero egli sembra un discorso ironico emordace quello di uno scrittore del secolo scorso, per altro as-sai erudito, il quale essendo stato censurato per aver detto diquesto tempo di cui parliamo, che era «un beneficio del re cheil Clero godesse la libertà dell’eleggere, e che il re era l’arbitro eil giudice dell’elezione» (quasiché queste due cose possano sta-re insieme); si difende col dire che per beneficio regio intendel’avere i re cessato dall’usurpazione. Non sarebbe questo unode’ benefici de’ ladroni, i quali donano la vita? Ecco le paroledello scrittore per altro sinceramente divoto alla laica potestà:Jus eligendi penes Clerum erat. Sed quia saepe reges electionumusum interturbaverant, assensum in merum imperium vertere so-liti, Ecclesia Gallicana his qui veterem electionum usum restitue-rant, ut Ludovico Pio, plurimum, se debere profitebatur. Eorumcerte beneficiorum erat asserta et vindicata sacrarum electionumlibertas, etc. N. Alex., Ad calcem Dissert. XI in saec. XV etXVI.

109 S. Gregorio di Tours scriveva (anno 527): Jam tunc ger-men illud iniquum coeperat fructificare, ut sacerdotium aut ven-deretur a regibus aut compararetur a Clericis; le quali parole scri-ve il Santo dopo aver recati più fatti di Cherici che avevano ot-tenute le sedi episcopali dai re non per virtù pastorale che aves-sero, ma per la virtù de’ danari.

110 I re Goti usurparonsi la nomina dello stesso sommo Pon-tefice, turbandone la canonica elezione. Cacciati questi d’Ita-lia, Giustiniano tenne per sé il diritto di confermare i Pontefi-ci; i successori di lui esigettero una grossa somma di danaro dalnuovo Papa per la grazia di questa conferma, la qual somma fupagata fino a Costantino Pogonato, che ascese al trono l’anno668.

111 II. Ind. c. II, ep. 22. S. Gregorio era vigilantissimo sullalibertà delle elezioni de’ vescovati, e questo è argomento che

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s’incontra frequente nelle sue lettere. Ved. fra l’altre 1. III, ep.7.

112 Ecco l’espressione dell’editto che è una contraddizionein terminis: Ideoque definitionis nostrae est, ut Canonum statutain OMNIBUS conserventur... Ita ut, Episcopo decedente, in lo-co ipsius, qui a Metropolitano ordinari debet cum Provincialibusa Clero et populo eligatur. Dopo di queste belle parole, susse-guono immediatamente queste altre: Et si persona condigna fue-rit, PER ORDINATIONEM PRINCIPIS ordinetur: vel certe,si DE PALATIO eligitur, per meritum personae et doctrinae or-dinetur. Ecco come la potestà civile intendeva che si mantenes-sero gli statuti canonici IN OMNIBUS!!!

113 Can. 10.114 Ecco alcuni fatti. Gregorio di Tours (1. IV, c. 5 e 6) nar-

ra che i Vescovi pregarono con istanza Catone, eletto canonica-mente a Vescovo della Chiesa di Arvernia, che consentisse d’es-sere consecrato senza aspettare la nomina del re Teobaldo (a.554). Lo stesso S. Gregorio racconta (1. VI, c. 7) che Albinosuccesse a Ferreolo nella sede Uceticese extra regis consilium.Morto Albino, narra il medesimo storico che un certo Giovinoricevette il PRECETTO regio di prendersi quell’episcopato, maessendosi sollecitati a far l’elezione canonica i Vescovi compro-vinciali, prevennero Giovino, e diedero la sede al diacono Mar-cello (lib. VII, c. 31). – Dimandando i cittadini di Tours al reche loro concedesse a Vescovo Eufronio, che avevano canoni-camente eletto, il re rispose: PRAECEPERAM ut Cato Presby-ter illic ordinaretur, et cur est spreta JUSSIO NOSTRA? (Gre-gor. Touron., 1. IV, II, 15). Avendo il re Clotario messo nellaChiesa Santonese per Vescovo Emerito, convenne sopportarlo;ma morto il re Clotario, il metropolitano Leonzio, congregati iVescovi della provincia, lo depose dall’episcopato come quelloche non era canonicamente eletto (anno 562) (Gregor. Tour.,1. IV, c. 26). Medesimamente i Vescovi dell’Aquitania s’affret-tarono a dar la Chiesa di Aqui al prete Faustiniano, a malgradoche il re Childerico avesse destinato quella sede pel conte Ni-cezio. Perciò Costantino Roncaglia saviamente dice che «aven-do giudicato i Vescovi essere di loro dovere l’opporsi all’autori-tà del re che tentava di largheggiare colle sedi episcopali, è ma-nifesto che que’ principi non furono mai nel pacifico possessodi tal potere, che attribuivano a se stessi nell’elezione de’ Ve-scovi a loro volontà», e che «la Chiesa non vi ha mai consentito

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liberamente, quantunque non di rado le sia forza di sopportarmolte cose come a pietosa madre, acciocché non le intervengadi peggio».

115 Fra l’altre cose egli scrive a Leone lsaurico queste notabiliparole: Quemadmodum Pontifex introspiciendi in palatium po-testatem non habet ac dignitates regias deferendi: sic neque impe-rator in Ecclesiam introspiciendi et electiones in Clero peragendi.Epist. II ad Leon. Isaurum.

116 Can. 3.117 Can. 2.118 Ep. LXIII119 I Vescovi di Francia in questo tempo non potevano più

uscir del regno senza licenza espressa del re: né un Metropoli-tano poteva inviare un Vescovo qual suo legato fuori di Stato,come si rileva dalla lettera d’Incmaro di Reims a Papa Adrianoscritta nell’869.

120 Can. 12. Apostolicis et synodicis canonibus promotioneset consecrationes Episcoporum, et potentia et praeceptione prin-cipum factas interdicentibus, concordantes, definimus, et senten-tiam nos quoque proferimus, ut si quis Episcopus, per versutiamvel tyrannidem principum, hujusmodi dignitatis consecrationemsusceperit, deponatur omnimodis, utpote qui non ex voluntateDei, et ritu ac decreto Ecclesiastico, sed ex voluntate carnalis sen-sus, ex hominibus, et per homines, Dei donum possidere voluitvel consensit.

Can. 22. Promotiones atque consecrationes Episcoporum, con-cordans prioribus conciliis, electione ac decreto Episcoporum Col-legii fieri, sancta haec et universalis Synodus definit et statuit at-que jure promulgat, neminem laicorum principum vel potentumsemet inserere elctioni Patriarchae, vel Metropolitae, aut cujusli-bet Episcopi; ne videlicet inordinata hinc et incongrua fiat con-fusio vel contentio; praesertim cum nullam in talibus potestatemquemquam potestativorum vel caeterorum laicorum habere con-veniat, sed potius silere ac attendere sibi, usquequo regularitera Collegio ecclesiastico suscipiat finem electio futuri Pontificis Sivero quis laicorum ad concertandum et cooperandum ab Eccle-sia invitatur, licet hujusmodi cum reverentia, si forte voluerit, ob-temperare se asciscentibus; taliter enim sibi dignum Pastorem re-gulariter ad Ecclesiae suae salutem promoveat. Quisquis autemsaecularium principum et potentum, vel alterius dignitatis laicus

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adversus communem et consonantem, atque canonicam electio-nem ecclesiastici ordinis agere tentaverit, anatema sit, donec obe-diat ac consentiat quod Ecclesia de electione ac ordinatione pro-prii Praesulis se velle monstraverit.

121 Tanto più riescono osservabili questi canoni, dice il Fleu-ry, «quanto che si pubblicavano in presenza dell’imperatore edel senato» Lib LI, § XLV. Altri canoni furono fatti in questoConcilio in difesa della libertà della Chiesa. I principali sono iseguenti. Can. 21. «Quelli che sono possenti nel mondo rispet-teranno i cinque Patriarchi senza intraprendere di toglier loro ilpossedimento delle sedi, e nulla fare contro l’onore loro dovu-to» dal quale si vede come i patriarcati erano presi di mira piùche le altre sedi, per l’emolumento e la potenza temporale mag-giore che vi era annessa. – Can. 14. «I Vescovi non partanodalle loro Chiese per andar incontro agli strategi, o governato-ri, discendendo da cavallo, o prostrandosi dinanzi a loro. Deg-giono mantenere la necessaria autorità per riprenderli quandooccorre». – Can. 18. «I Patriarchi hanno diritto di convoca-re i Metropolitani al loro Concilio, quando stimino a proposi-to, senza che quelli si possano scusare dicendo che sono rite-nuti dal principe». E soggiungono queste parole: «Rigettiamcon orrore quel che dicono alcuni ignoranti, che non si possa-no tener concilj senza la presenza del principe». Così parlano iConcilj ecumenici!

122 Ecco a ragion d’esempio con qual miscuglio di comandoe di preghiera, di sommissione e di autorità, con quale stile dipietà che involge la prepotenza, scrive Luigi II ad Adone Arci-vescovo di Vienna per imporgli, o comecchessia muoverlo a farVescovo di Grenoble un certo Bernario, unicamente perché eraun cherico dell’Imperator Lottario, e perché questo Imperato-re desiderava che fosse fatto Vescovo: «Il nostro amantissimofratello Lottario, dice, pregò la nostra mansuetudine (mansue-tudinem nostram), che a un certo suo cherico per nome Berna-rio volessimo concedere l’episcopato di Grenoble, il che beni-gnissimamente abbiam fatto (quod nos benignissime fecimus)».Ecco la prepotenza di Sua Mansuetudine: prima fa la cosa, epoi umilmente si rivolge alla Chiesa per essa. «Perciò ammo-niamo la tua santità (monemus), che se il nostro fratello dolcis-simo ti manderà il predetto cherico ad ordinare, tu ubbidisca(obedias) tostamente (mox) alla volontà sua, assicurandoti dellanostra concessione che sia ordinato nella Chiesa di Grenoble».

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Le raccomandazioni di Carlo il Calvo, e di Luigi III, erano suquesto medesimo stile, che contiene più contraddizioni che pa-role. Talora in raccomandando qualche soggetto, aggiungevanola clausola: «Se non fosse trovato indegno»; lasciandone l’esa-me al Metropolitano; ma quello che valessero realmente sì fatteclausole, si può giudicare dal fatto del Concilio di Fismes conLuigi III, che poco appresso raccontiamo.

123 Ecco il progresso delle usurpazioni: 1° il potere laico im-pedisce alla Chiesa di fare le elezioni senza avere ottenuto pri-ma di lui il permesso; 2° poi questo permesso diventa una pu-ra grazia sovrana, che si nega o si concede ad arbitrio; 3° que-sta grazia non si vuol più dare gratuitamente, ma si fa pagare dachicchessia; 4° finalmente questa grazia sovrana venduta, collaquale si permette di far l’elezione, si accorda colla condizione dieleggersi però quel soggetto che vuole il re!!!

124 Si noti la solita confusione d’idee che facevano questicortigiani. I beni ecclesiastici che non sono che l’accessorio,si fanno il principale, anzi il tutto dell’episcopato! E poi i beniecclesiastici sono essi o non son della Chiesa? Può egli il civilegoverno disporre delle proprietà altrui?

125 Hincm, ep. 12, t. II, p. 188.126 Dove si fa consistere il rispetto al re! Nel commettere

delle viltà! Nel tradire la Chiesa di Cristo, e le anime da luicompere a prezzo di sangue, per andargli a’ versi!

127 Una dignità che sta nella soperchieria!128 Il capriccio o il puntiglio di un semplice fedele che inco-

moda tutti i Vescovi di un regno a congregarsi in concilio, eperché? per ottener da essi che facciano «una legge non a te-nore della giustizia, ma del piacer suo», al quale dà il nome disua dignità. È strana la speranza di corrompere un Concilio na-zionale per vendicarsi della rettitudine di un Concilio provin-ciale! Ma non abbiamo veduto delle speranze simili produrregli stessi risultamenti a’ nostri giorni? a chi è uscito di mente ilConcilio nazionale di Parigi?

129 Tutti quelli, ai quali il nome di una Providenza che regolale cose umane, suona qualche cosa, e che pur credono che nullaavvenga senza una sapiente dispensazione della medesima, nonpotranno a meno di riflettere sulla coincidenza della morte diquesto giovine principe Luigi III colla ammonizione che gli fa-

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ceva il prelato di Reims nell’affare del vescovato di Beauvais.Questi, nella lettera che rispose al Re fermo in volere VescovoOdoacre a dispetto delle leggi canoniche, dice fra l’altre cose:«Che se voi non cambiate quel che faceste di male, Dio lo rad-drizzerà quando a lui piacerà. L’imperator Luigi non visse tan-to quanto Carlo suo padre, vostro avo Carlo non visse quan-to il suo, né vostro padre quanto il suo. E quando voi siete aCompiègne in loro cambio, abbassate gli occhi; guardate dov’èil padre vostro, e chiedete dov’è sotterrato il vostro avolo; e nonv’innalzate dinanzi a colui che è morto per voi, e risuscitato, eche più non muore. Voi partirete presto di qua; ma la Chie-sa co’ suoi Pastori, sotto Gesù Cristo loro Capo, durerà eterna-mente, secondo la sua promessa». Il Fleury, che non è certa-mente uno storico credulo, dopo riferite queste parole del de-gno Arcivescovo, soggiunge: «questa minaccia d’Incmaro po-tea stimarsi per una profezia, quando si vide morire questo gio-vane re Luigi nel seguente anno» (lib. LIII, § XXXI).

130 Ciò avvenne nel secolo XII e XIII. Da una lettera del ce-lebre Incmaro Vescovo di Reims apparisce che in quel tempo(sec. IX) entrava ad eleggere il Vescovo anche il Clero dellaCampagna, non solo quello della città. Egli scrive ad EdenulfoVescovo di Laudun mandandolo a presiedere all’elezione delVescovo Cameracese in questa maniera: quae electio non tan-tum a civitatis Clericis erit agenda, verum et de omnibus mona-steriis ipsius Parochiae, et de rusticanarum Parochiarum Presby-teris occurrant Vicarii commorantium secum concordia vota fe-rentes. Sed et laici nobiles ac cives adesse debebunt: QUONIAMAB OMNIBUS DEBET ELIGI, CUI DEBET AB OMNIBUSOBEDIRI.

Per altro l’avere Incmaro avvertito di ciò Edenulfo, mostrache si tendeva fin d’allora ad alterare questo antico costume.Innocenzo III, sulla fine del secolo XII, in una sua decretale(de caus. posses. et propriet. c. 3) attribuisce il diritto dieleggere ad Cathedralium Ecclesiarum clericos. Il IV Conciliodi Laterano finalmente nel 1215 can. 24-26, restrinse le elezioniai soli canonici delle cattedrali. Ciò si fece certamente per giustecagioni, attese le circostanze de’ tempi; ma non rimane chequelle cagioni e quelle circostanze, che obbligano a ciò fare laChiesa, non fossero calamitose.

131 Clemente V fu il Pontefice che nell’anno 1306 estese leriservazioni pontificie a’ vescovati. Benedetto XII, che salì sulla

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Cattedra apostolica l’anno 1334, le rese per poco universali.Bonifacio IX sulla fine di questo secolo XIV estese le annateai vescovati, e le rese perpetue.

132 Questa osservazione spiega un fatto, che altramente sem-bra inesplicabile. Il Concilio di Basilea, sostenuto dalle pote-stà laicali, annulla le riserve pontificie. Quale fu il vero e intimointendimento della politica de’ principi col mettersi dalla partedel Concilio di Basilea? forse di distruggere le riserve? no; mad’indebolirle per padroneggiarle. La prova di ciò sta nella con-dotta de’ re di Francia a questo proposito. Carlo VII riceve conapparente esultanza i decreti di Basilea, e li dichiara legge del-lo Stato nell’assemblea di Bourges, dove pubblica la Prammati-ca sanzione. E che perciò? Questo stesso Carlo VII poco dopo,e i suoi successori Luigi XI, e Carlo VIII, pregano il Papa, chesi riservi la collazione di certi vescovadi, e li conferisca a teno-re delle regie preghiere. Volevano dunque le riserve, ma deboli,ma perché il Papa facesse di queste il piacer loro: il vero spiri-to adunque della politica era di abrogare le riserve unicamenteper indebolirle, e indebolite, servirsi di esse per eludere le leggidella Chiesa.

133 Forse mai per lo spazio di XV secoli, fra tante sciagurech’ebbe, la Chiesa non cadde in tanto avvilimento da essercostretta di venire a sì fatti patti co’ fedeli! Tanta umiliazionefu dovuta ai peccati del Clero: «Se il sale diverrà fatuo, in chesi salerà? non vale più a nulla, se non ad esser gittato fuori, ecalcato sotto i piedi degli uomini» (Matth. V, 13). Dico ciò,perché non si può dissimulare che i concordati sieno veri patti,chiamandoli con questo nome gli stessi sommi Pontefici; Nosattendentes dice Giulio III, concordata dicta vim PACTI interpartes habere etc. (Constit. 14 sept. 1544 apud Raynald.: benchéniun patto tiene quando incomincia a divenire iniquo; né ipatti colla Chiesa si debbono intendere così strettamente, cheoffendano la pienezza della sua potestà pel bene de’ cristiani, laquale, essenzialmente libera, non può essere giammai legata. Equeste mie parole non sono già volte a condannare i concordati,ma a deplorarne la necessità. Vero è che co’ concordati, né conqualsivoglia convenzione umana, non si può derogare ai dirittidivini e immutabili della Chiesa; ché non si può restringere lasua potestà legislatrice ricevuta da Gesù Cristo, né diminuirein modo alcuno quella pienezza di autorità per la quale ellapuò tutto pel bene, e quindi può comandare, può ingiungere ai

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fedeli senza limite di sorte quanto ella trova necessario ed utileall’eterna loro salute, e all’incremento sopra la terra del Regnodi Cristo.

134 Quando il gran Pontefice Adriano I scrisse a Carlo Magno(ann. 784) per fargli conoscere che alla potestà laica nonapparteneva l’entrare nelle elezioni de’ Vescovi, e che dovealasciarle libere, allora ebbe alle mani il Papa un argomentopersuasivo e calzante da fare a Carlo, e questo fu, che né puregli, sebbene fosse il Papa, s’ingeriva nelle elezioni, perchémeglio si rimanessero libere. E di fatti fece uso Adriano diquesto argomento: ecco le sue parole: Numquam nos in qualibetelectione invenimus nec invenire havemus. Sed neque VestramExcellentiam optamus in talem rem incumbere. Sed qualis aClero et plebe... electus canonice fuerit, et nihil sit quod sacroobsit ordini, solita traditione illum ordinamus (Tom. II Conc.Gall., pp. 95 e 120). Questo argomento, validissimo da fare a’principi, fu perduto da’ Papi, dopo il tempo delle riserve.

135 I feudi laicali in Francia si resero ereditarj soltanto versola fine dello seconda dinastia, come prova M. Antonio Domi-nicy, De Praerogativa allodiorum c. 15; ma per rispetto agli Ec-clesiastici, non avendo questi successione, rimasero in qualchemodo sempre personali.

136 De gestis regum Anglorum, lib. V. Carolus Magnus pro con-tundenda gentium illarum (germanicarum) ferocia, omnes peneterras Ecclesiis contulerat, consiliosissime perpendens, nolle SacriOrdinis homines tam facile quam laicos fidelitatem domino reji-cere. Praeterea, si laici rebellarent, illos posse excommunicationisauctoritate et potentiae severitate compescere.

137 E non si restò qui; perocché dove mai si resta? Il giura-mento che si esigeva da’ Vescovi come feudatarj, poi si esigetteda’ Vescovi come Vescovi, per extensionem direbbero i legali, econ questa clausola crederebbero di aver giustificata l’usurpa-zione. La Chiesa non tacque; e proibì di prestare il giuramentoa que’ Vescovi che non avevano ricevuta dal principe cosa tem-porale. Fu pubblicato di ciò solenne decreto da Innocenzo III,nel Concilio IV di Laterano, can. 43, che dice così: Nimis deJURE DIVINO quidam laici usurpare conantur, cum viros Ec-clesiasticos, nihil temporale detinentes ab eis, ad praestandum si-bi fidelitatis juramenta compellunt. Quia vero, secundum Apo-stolum, servus suo domino stat aut cadit, sacri auctoritate Con-

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cilii prohibemus, ne tales Clerici personis saecularibus praestarecogantur hujusmodi juramenta.

138 II Timoth. II, 4.139 Quegli che era investito del feudo dal re, chiamavasi ho-

mo regis. Non si può trovare una maniera di dire che più espri-ma l’assoluta padronanza del re su quest’uomo, divenuto comeregia proprietà. Quale pensiero strano non sarebbe l’immagi-nare un S. Pietro, un S. Paolo, o un Grisostomo, un Ambro-gio da homo Dei fatto homo regis! E la parola homo era divenu-ta un sinonimo di soldato a quei tempi, come si può vedere nelDu-Cange, Gloss. med. et infim. latinit., Voc. Miles.

140 Matth. VI, 24141 Di Franco, cancelliere del re Roberto, scrive Fulberto

Carnotese (ep. 8) che fu fatto vescovo eligente Clero, suffra-gante populo, DONO REGIS. Come ho toccato più sopra, que-sta frase era già comunemente usata da tutti, né si faceva con-to della sua inesattezza. Fra le formule di Marcolfo, quella checontiene il precetto del re, e che abbiamo accennata, dice al Ve-scovo designato: PONTIFICALEM in Dei nomine COMMISI-MUS DIGNITATEM; la qual maniera di dire, conviene che habisogno di spiegazione anche un zelante difensore de’ diritti re-gi, soggiungendo appunto la spiegazione seguente, quod saniorisensu et magis canonico intelligi non potest quam de regiorum ju-rium et feudorum investitura et concessione quae Clodoveus rexEcclesiis manu liberali contulerat (Hist. Eccl. saec. XIII, XIV,Dissert. VIII, art. III). - S. Gergorio di Tours (lib. IV, c. 7),di Cautino vescovo di Arvernia dice: Tunc JUSSU regis TRA-DITIS ei CLERICIS et omnibus quae hi de rebus Ecclesiae ex-hibuerant. Clotario II (635-657), nell’editto col quale modificail canone del Concilio V di Parigi, ut si persona condigna fue-rit, PER ORDINATIONEM PRINCIPIS ORDINETUR. Talimaniere s’incontrano ad ogni pie’ sospinto negli scritti di queltempo.

142 Ecco come era temperato il Praeceptum de Episcopatude’ Re franchi, secondo la formola conservataci da Marcolfo:Cognovimus Antistitem illum ab hac luce migrasse, ob cujussuccessorem sollicitudinem congruam una cum Pontificibus (velproceribus nostris) plenius tractantes, DECREVIMUS illustriviro illi Pontificalem in ipsa urbe committere dignitatem.

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143 Il Sommo Pontefice Adriano I aveva ammonito Carlo Ma-gno del suo obbligo di lasciar libere le elezioni de’ Vescovie questo grand’uomo ricevette l’ammonimento del Capo dellaChiesa con quella docilità che mostra assai più grandezza d’ani-mo ne’ sommi principi cristiani, che non sieno le loro resisten-ze e disubbidienze. Anzi ne’ suoi capitolari di Aquisgrana del-l’anno 803, cap. II, dichiarò e sancì questa libertà col seguen-te Decreto: «Non essendo noi ignari de’ sacri Canoni, abbiamoprestato il nostro assenso all’ordine ecclesiastico (acciocché laSanta Chiesa stia più sicuramente nel possesso dell’onor suo) diquesto, che i Vescovi sieno eletti dalla propria Diocesi, con ele-zione di Clero e di popolo, a tenore degli statuti de’ canoni, ri-mossa ogni accettazione di persona e di regali, pel merito dellapropria vita, e pel dono della sapienza; a fine che possano perogni verso giovare a’ loro sudditi coll’esempio e colla parola».Nell’anno 806, Lodovico il Pio confermò la legge di Carlo Ma-gno nel Capitolare pubblicato dopo il Sinodo di Aquisgrana.

144 Nel secolo XI l’usurpazione era pervenuta al suo colmo.Per non essere infinito, basti qui accennare ciò che accadde a’due Arcivescovi di Cantorbery, Lanfranco e S. Anselmo, co’due re d’Inghilterra Guglielmo I e Guglielmo II. ChiedendoLanfranco, fatto Vescovo dal primo Guglielmo, i beni godutida’ suoi predecessori, il re rispose fieramente: se velle omnesbaculos pastorales Angliae in manu sua tenere. Dice qui lo Stori-co che narra questo fatto (Gervasius Dorobernensis in Imagina-tiones de discordiis inter monacos Dorobernenses et BaldeuinumArchiep., p. 137), che il prelato udendo tale risposta rimase stu-pito, e si tacque per prudenza, acciocché il re non facesse de’mali maggiori alla Chiesa. Non meno di ciò, è atto a mostrarein che stato fosse venuta la Chiesa in quel tempo ciò che inter-venne al successore di Lanfranco, S. Anselmo, con GuglielmoII. Narra Eadmero (lib. I Hist. Novor.), che lasciando Gugliel-mo le Chiese e le Abbazie prive di pastori, per goderne i reddi-ti nel tempo di sede vacante, Anselmo come primate si credettein dovere di farne rimostranza al re, mettendogli sott’occhio isommi mali che provenivano dalla mancanza de’ Prelati, e sup-plicandolo umilmente di cessare da un fatto che tornava in dan-no dell’anima propria. Dice lo storico, che udendo questo di-scorso del Santo Arcivescovo, non potuit amplius spiritum suumRex cohibere, sed oppido turbatus cum iracundia dixit: «Quid adte? numquid Abbatiae non sunt meae? Hem, tu quod vis agisde villis tuis, et ego non agam quod volo de Abbatiis meis?». Al

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qual discorso non potendo a meno l’ottimo prelato di far riflet-tere rispettosamente al re, che i beni della Chiesa non eran suoi,se non per difenderli e custodirli, e che per altro eran di Dio,e destinati alla sostentazione de’ ministri di Dio; il re indignatosoggiunse: Pro certo noveris, mihi valde contraria esse quae dicis.Non enim Antecessor tuus auderet ullatenus patri meo dicere: etnihil faciam pro te. A tale era ridotta la proprietà, e la libertàdella Chiesa in que’ tempi! a tale la prepotenza e le opinionidel potere laicale!

145 La Chiesa mostrò sempre ripugnanza a tale dipendenza;e la lotta fra la Chiesa che vuole operare liberamente, e il po-tere secolare che vuol sottometterla a sé, è continua nella Sto-ria. Quindi spesso accadevano contrasti per elezioni fatte sen-za averne prima ottenuto il permesso del Re. Riccardo I (cir-ca l’anno 1190), in una lettera al Vescovo di Londra, si lamen-ta altamente di un’elezione fatta senza aver lui prima consulta-to: Quod si ita est, regiam majestatem nostram non modicum es-se offensam; e dichiara: Non enim aliqua ratione sustineremusquod a praefatis monachis vel ab aliis quidquam cum detrimentohonoris nostri in electione Episcopi fierit: et si forte factum esset,quin in irritum revocaretur. Ma i progressi che al tempo di Ric-cardo avea fatto la potestà laicale nell’invasione dei diritti del-la Chiesa e nell’oppressione della sua libertà, erano incredibi-li; e rendevano la resistenza dalla parte della Chiesa sempre piùdebole; e la Chiesa sarebbe perita, se Iddio, che veglia alla suaconservazione, non avesse suscitato de’ Papi d’una fortezza e diuna magnanimità sopraumana che di nuovo la francassero. Cheavrebbe detto la Chiesa ne’ suoi più bei giorni, se dei princi-pi secolari avessero preteso che per eleggere i propri Pastori el-la avesse dovuto dipender da essi, e ad ogni nuova elezione diVescovo impetrar la grazia di poterla fare? Che avrebbero det-to gli Ambrosii o i Grisostomi a sentire che il figlio della Chie-sa vuole legar le mani a sua madre, e non lasciarla operare senon a quella guisa che una schiava è lasciata operare dal bene-placito del suo padrone? Con che nobile e santa fierezza nonavrebbero risposto a simili prepotenze, sostenendo i sacri dirit-ti della sposa di Cristo? Ancora nel sec. X, e nello stesso Orien-te la Chiesa mostrava di sentire tutta l’indegnità di una simileoppressione a cui la si traeva. Cedreno racconta, che NiceforoFoca avea vietato di fare elezione di Vescovi senza il suo per-messo; e sebbene quell’imperatore si fosse macchiato di moltidelitti, tuttavia lo storico mette questa legge, colla quale facea

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dipendere le elezioni de’ pastori della Chiesa dalla sua volon-tà, per la massima di tutte le sue scelleratezze: Id omnium gra-vissimum, dice, quod legem tulit, cui et EPISCOPI QUIDAMLEVES ATQUE ADULATORES (ecco dove sta la radice delmale!) SUBSCRIPSERUNT, ne absque imperatoris sententia acpermissu Episcopus vel eligeretur vel ordinaretur. Essendo poisucceduto a Foca Giovanni Tzimiscem, il Patriarca che alloragovernava la Chiesa di Costantinopoli, Polieutte, con sarcerdo-tale petto, ricusò di ammetterlo nella Chiesa co’ fedeli, e di co-ronarlo, se prima non soddisfaceva pe’ suoi delitti, e partico-larmente non abrogasse la legge di Niceforo, distruttrice dellaecclesiastica libertà; il che fece l’imperatore, lacerando quellalegge alla vista di lutto il popolo (Cedren., Ad ann. 969).

146 Fra le formole di Marcolfo (19) vi è appunto quella inti-tolata Praeceptum de Clericatu, la quale è la licenza necessariache distribuiva il re a chi voleva rendersi cherico. Si chiama poiprecetto, perché tutto quello che esce dalla bocca regia dee es-sere un precetto, la solita menzogna dell’adulazione. Se io fossida tanto da poter consigliare i principi, suggerirei loro di ban-dire tutta la falsità dal frasario della Corte, e di piantare la loropotenza sul solido DELLA VERITÀ. Con questo solo, quantoi loro troni si renderebbero più fermi e più augusti! Ma chi nonsogghigna a queste parole? Per altro i Vescovi talora ordinava-no de’ cherici senza badare alla regia concessione. Fra le letteredi Gerberto ve n’ha una di un Arcivescovo di Reims (Ep. 57),colla quale dice «di esser tassato di delitto nella maestà del reper avere conferito i gradi ecclesiastici senza l’autorità e licenzadi lui».

I Re di Francia pure volevano che dipendesse da loro ilpotersi i fedeli cristiani ritirar dal mondo e consacrarsi a Dionelle religioni. Incmaro però, in una lettera a Carlo il Calvo,dice espressamente a quel monarca che una tal legge non fumai ricevuta dalla Chiesa. Questa lettera è pubblicata dal P.Cellotti col Concilio Duziacese.

147 Ved. Nat. Alessandro, In saec. XIII et XIV, Dissert. VIII,art. I.

148 Questi avevano, si dice, una protezione e difesa maggiore:ma il potere civile non è istituito per difendere tutte le proprietàegualmente?

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149 Il nome di benefizj, che si ritiene ancora universalmentenella Chiesa, trae l’origine da’ benefizj prima militari, e poi ancoecclesiastici, che assegnavano i monarchi delle nuove sovranitàdel medio evo. Rammenta quel nome la vendita che il Clero,senza accorgersi, fece della sua libertà al principe, cambiandolacolle ricchezze.

150 La Chiesa non ha taciuto: ha cercato difendersi contro sìfatte usurpazioni. Ma che opporre alle armi? Ella non avea chela ragione, l’autorità, i canoni. Eccone alcuni:

Il grande concilio ecumenico di Calcedonia già fino dall’an-no 451 avea formato questo canone: Redditus vero viduatae Ec-clesiae integros reservari apud oeconomum ejusdem Ecclesiae pla-cuit.

Il Concilio Regiense dell’anno 493 can. 6 così decreta: Sta-bili definitione consultum est, ut de caetero observaretur, ne quisad eam Ecclesiam, quae Episcopum perdidisset, nisi vicinae Eccle-siae Episcopus exequiarum tempore accederet, qui visitatoris vi-ce tamen ipsius curam districtissime gereret, ne quid ante ordina-tionem discordantium in novitatibus Clericorum subversioni lice-ret. Itaque cum tale aliquid accidit, vicinis vicinarum Ecclesiaruminspectio, recensio, descriptioque mandatur.

Ne’ Concilj di Spagna Valentino e Ilerdese degli anni 524,525, si ripete la disciplina stabilita nel concilio di Calcedonia.Nel concilio II d’Orléans dell’anno 533, c. 6, si decreta che,morto il Vescovo di una Diocesi, il suo vicino venendo a farglii funerali, raguni i Sacerdoti, faccia un esatto inventario dellecose di quella Chiesa, e n’affidi la custodia a persone diligenti esicure, come nel concilio Regiense.

Il Concilio V di Parigi dell’anno 614, can. 7, decreta, chenessuno tocchi i beni di un Vescovo o d’un cherico qualsiasiche muoja, né pure se v’interviene regio precetto, e ciò sottopena di scomunica, e vuole che ab Archidiacono vel Clero inomnibus defensentur et conserventur.

Il celebre Incmaro Arcivescovo di Reims così scriveva nel se-colo IX a’ Vescovi e principali della sua provincia (ep. IX): Etsicut Episcopus et suas et ecclesiasticas facultates sub debita di-scretione in vita sua dispensandi habet potestatem, ita facultatesEcclesiae viduatae post mortem Episcopi penes oeconomum in-tegrae conservari jubentur futuro successori ejus Episcopo; quo-niam res et facultates ecclesiasticae NON IMPERATORUM AT-QUE REGUM POTESTATE SUNT ad dispensandum vel inva-dendum, sive diripiendum, sed ad defensandum atque tuendum.

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Le stesse cose questo celebre Vescovo scrive direttamente al reCarlo il Calvo, ep. XXIX; e lo stesso ripete in diverse sue lette-re, come nella XXI, e XLV.

Un altro celebre arcivescovo di Reims, cioè Gerberto, queglistessi che fu poi sommo Pontefice col nome di Silvestro II,stabilisce la stessa dottrina nella sua lettera 118 diretta al Cleroed al popolo.

Essendo queste leggi tanto ripetute e inculcate nella Chiesa,non potevano i principi fino al secolo IX manomettere le facoltàdella Chiesa senza incorrere nella pubblica disapprovazione:quindi gli Annali Bertiniani, in ragion di esempio, all’anno 882non mancano di notare come un delitto dell’imperatore Carlo ilGrosso, l’aver dato a consumare ad Ugone figliuolo di Lottarioil juniore le facoltà della Chiesa di Metz, quas sacri Canones,dicono, futuro Episcopo reservari praecipiunt.

151 Che le decime sieno state usurpate da laici, e tenute infeudo, e sieno state concesse in feudo da principi, come pureda Vescovi e rettori di Chiese, è cosa nota, ed apparisce dalcorpo del jus canonico. Vedi l’Estravagante de Decim. cap. 26,e l’Estravagante de iis quae fiunt a Praelat. sine consensu capit.17.

152 Chi vuol vedere degli esempi di ciò che dico, consulti laStoria di Nat. Alessandro, sec. XIII e XIV, Dissert. VIII, art.III.

153 Il Concilio di Meaux dell’anno 845, non mancò di par-lare con apostolica libertà al re Carlo il Calvo, che esercitavanella Chiesa un simigliante dispotismo, accordando i beni dellaChiesa a’ laici, «di che avveniva che contro ogni autorità, con-tro i decreti de’ Padri, e la consuetudine di tutta la cristiana re-ligione, i laici risiedessero come padroni e maestri ne’ monaste-ri regolari in mezzo de’ Sacerdoti e de’ Leviti e d’altri religiosi,e che, come fossero Abati, decidessero della loro vita e conver-sazione, e li giudicassero, e che dispensassero loro e commet-tessero secondo la regola, le cure delle anime e i divini taber-nacoli non solo senza la presenza, ma ben anco senza la consa-pevolezza del Vescovo». Ved. i can. 10 e 42 del citato Conci-lio. E perciò que’ Padri decretano ut praecepta illicita jure be-neficiario de rebus ecclesiasticis facta a Vobis (parlano al re Car-lo il Calvo) sine dilatione rescindantur, et ut de caetero ne fiant,a dignitate Vestri nominis regii caveatur (can. 8); e gli mettonosott’occhio con forza l’indegnità dello straziare la vesta di Cri-

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sto, ciò che non hanno fatto né pure i soldati che l’hanno cro-cifisso: Ante oculos reducentes tunicam Christi, qui vos elegit etexaltavit, quam nec milites ausi fuerunt scindere, tempore vestroquantocitius reconsuite et resarcite: et nec violenta ablatione, necillicitorum praeceptorum confirmatione res ab Ecclesiis vobis adtuendum et defensandum ac propagandum commissis auferre ten-tate; sed ut sanctae memoriae avus et pater vester eas gubernan-das vobis, fautore Deo, dimiserunt, redintegrate, praecepta rega-lia earumdem Ecclesiarum conservate et confirmate. Can. II.

È osservabile in questo Concilio, che si distinguono i benidati alla Chiesa come Allodj e liberi, da quelli dati in Feudi; esi riprende il re principalmente per la dispensazione a’ laici de’primi.

154 Ecco come si esprime una Notitia de Villa Novilliaco, chesta nell’Appendice al Flodoardo: Defuncto Tispino Archiepisco-po, tenuit Dominus, rex Carolus Remense EPISCOPIUM in suodominatu, et dedit villam Novilliacum in beneficio Anschero Sa-xoni ecc., cioè ad un soldato, dove si vede confuso il beneficiotemporale coll’Episcopato. E perché non v’è cosa che la cupi-digia congiunta alla potenza non tenti e non inventi per giunge-re alla propria soddisfazione, i principi che si vedeano pressatidalla Chiesa di non lasciar le Diocesi a lungo prive di pastore,inventarono di mandare in vece de’ vescovi una specie di com-missarj detti Corepiscopi, ritenendo intanto per sé i beni episco-pali. Questi non-pastori tribularono gravemente la Chiesa: in-di i tanti lamenti e i tanti decreti de’ Concilj del sec. IX con-tro i Corepiscopi, fino che questi esseri d’incerta natura, do-po dato alla Chiesa un lungo incomodo, cessarono intieramen-te. Flodoardo (1. III Hist. Remensis c. 10) parlando d’unalettera d’Incmaro al Sommo Pontefice Leone IV, dice così: Inhac vero epistola, de his quos temeritas chorepiscopalis ordinare,vel quod Spiritum Sanctum consignando tradere praesumebat re-quisivit. Et quod terrena potestas hac materia saepe offenderet,ut videlicet Episcopo quolibet defuncto, per Chorepiscopum solisPontificibus debitum ministerium perageretur, et res ac faculta-tes Ecclesiae saecularium usibus expenderentur, sicut et in nostraEcclesia jam secundo actum est, etc.

155 Chi vuol vedere quali sieno i passi pei quali i principipervennero a invadere le elezioni, cominciando dalle preghieree dalle raccomandazioni, e finendo pei comandi e per le violenze,

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non ha che a consultare il Tomassino, Vet. et Nov. Eccl. Discipl.p. 1, 1. I, c. LIV.

156 Si consideri l’abbiezione di queste parole del Vescovo Ar-turico, riferite da Elmoldo (in Cronico Slavorum, 1. 1, cc. 69e 70), e basterà a conoscere quanto la maniera di pensare de’ministri dell’Onnipotente restò ammollita dalla ridondanza de’vantaggi temporali. «Le investiture de’ Pontefici, dice questoVescovo, sono permesse solo alla imperatoria dignità, che so-la eccellente, è dopo Dio fra’ figliuoli degli uomini la più subli-me» (Un Vescovo che dichiara dopo Dio l’imperatoria digni-tà essere la più sublime! non rammentando più, che qualsivo-glia sovrano temporale nella Chiesa, è un puro laico, un figliuo-lo di lei!), «la quale si acquistò quest’onore con moltiplice usu-ra». (Non si tratta di un onore; il dispensare i vescovati è uffi-cio gravissimo, è diritto sacro e inalienabile della Chiesa. Può laChiesa venderlo? possono i principi comperarlo co’ beni tem-porali? Che voleva altro Simone il mago?), «né fu con vana leg-gerezza che i degnissimi imperatori si fecero chiamare SIGNO-RI DE’ VESCOVI» (Un Vescovo che loda i principi laici per-ché si fecero chiamare Signori de’ Vescovi!!!). «Ma compensa-rono questo scapito» (è dunque uno scapito?) «con amplissi-me ricchezze del regno» (la libertà della Chiesa si può compen-sare con ricchezze temporali? si può gittar quella che è la ric-chezza unica lasciata alla Chiesa da Cristo, per prendersi que-ste che sole possono dare i monarchi del secolo?), «colle qua-li la Chiesa fu amplificata e più decentemente ornata» (di vir-tù? o anzi di un fatuo splendore esterno?). «Né ella oggimai re-puti più avvilirsi col cedere alquanto alla soggezione; né si ver-gogni inclinarsi ad un solo, pel quale può dominare in su mol-ti» (singolare consiglio, degno veramente di un successore de-gli Apostoli! la Chiesa non cerca di dominare, ma di salvare gliuomini; quello si fa coi beni temporali, ma questo colla virtùdella parola di Dio e del santo Spirito. Se la Chiesa fosse servad’un uomo solo, ancorché dominasse per mezzo di lui tutti glialtri, essa sarebbe da quell’ora ripudiata da Cristo). Ma il parla-re di questo Vescovo è tanto strano, che gioverà ch’io rechi quianche le stesse parole latine, acciocché non sembri per avven-tura che le abbia inventate io, o alterate rendendole nella lin-gua italiana. Eccole adunque: Investiturae Pontificum impera-toriae tantum dignitati permissae sunt, quae sola excellens, et po-st Deum in filiis hominum praeminens, hunc honorem non sinefaenore multiplici conquistavit. Neque Imperatores dignissimi le-

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vitate usi sunt, ut Episcoporum domini vocarentur, sed compen-saverunt noxam hanc amplissimis regni divitiis, quibus Ecclesiacopiosius aucta, decentius honestata, jam non vile reputet ad mo-dicum cessisse subjectioni; nec erubescat uni inclinari per quempossit in multos dominari. Chi potrebbe credere, che recandoquesto passo Natale Alessandro aggiungesse del suo: praeclaredictum!!!

157 Cum ministerium suae potestatis in hujusmodi negotiumperagendo adjungere debeat, non praeferre. Questa è la vera ideadi ciò che possono fare i principi in favore della Chiesa, non co-stituirsi legislatori, ma dar mano perché le leggi e disposizionidella Chiesa sieno, secondo il volere della Chiesa, e non altra-mente eseguite.

158 Ciò non avvenne subito. Ottone I fu religioso principe epio, e siede terzo con que’ magni Alfredo e Carlo. Di lui si reca-no più fatti che provano il rispetto suo verso la Chiesa e l’auto-rità di lei. Ad un conte che gli dimandava i beni di certo mona-stero per mantenere i soldati, rispose sdegnosamente che «coldare ai laici i beni della Chiesa, gli parrebbe offendere il pre-cetto di Cristo: “Non vogliate dare ciò che è santo a’ cani”».Giovò assai la Chiesa Romana; sancì la libertà dell’elezione delSommo Pontefice. Non è dunque Ottone che finisse di oppri-mere la libertà ecclesiastica: ma questa finì di spegnersi per unaconseguenza del maggior potere legato da Ottone a’ suoi suc-cessori, che né come lui furono retti, né di un pensare tanto co-me il suo ampio e magnanimo. Aggiungerò di più, che un’altradelle circostanze che preparò la totale rovina dell’ecclesiasticalibertà consumata nella prima metà del secolo XI, si fu anzi lozelo religioso di piissimi principi, massime del I e del III Otto-ne, e del santissimo imperatore Enrico; i quali misero le maninella Chiesa con sincero animo di giovarle; e la Chiesa vedendoil vantaggio che gliene proveniva, non vi si oppose: ma indi ap-punto avvenne, che i loro successori si trovarono come in pos-sesso di disporre delle cose ecclesiastiche, che poi fecero servirealle proprie passioni.

159 A multis annis retroactis nulla electio Praelatorum eratmere libera et canonica; sed omnes dignitates tam Episcoporumquam Abbatum per annulum et baculum regis Curia pro suacomplacentia conferebat.

160 Inter caeteros nostri hujus temporis principes, qui Eccle-siam Dei perversa cupiditate venumdando dissipaverunt, et ma-

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trem suam ancillari subjectione penitus conculcarunt, Philippumregem Francorum Gallicana Ecclesias in tantum oppressisse cer-ta relatione didicimus, ut ad summum tam detestandi hujus fa-cinoris cumulum pervenisse videatur. Quam rem de regno illotanto profecto tulimus molestius, quanto et prudentia et religioneet viribus noscitur fuisse potentius, et erga Romanam Ecclesiammulto devotius. Ep. 35.

161 Tali opinioni spacciarono gli adulatori dell’imperatore; eil santo Vescovo di Lucca tolse a ribatterle con un’opera appo-sita, nobile e franca, ove si sente tutto il linguaggio dell’antichi-tà, che, come ho tante volte detto, non è mai al tutto mancatonella santa Chiesa. Ecco l’argomento del libro II, ch’egli stessoespone nell’esordio con queste parole: Opitulante Domini no-stri clementia, qui nos et sermones nostros suo mirabili nutu regitatque disponit, accingimur respondere his qui dicunt, regali pote-stati Christi Ecclesiam subjacere, ut ei pro suo libito, vel prece, velpretio, vel gratis, liceat Pastores imponere, ejusdem possessionesvel in sua vel in cujus libuerit jura transferre: e questa rispostache fa il santo Vescovo è piena di erudizione e di forza.

162 Avea nondimeno il santo Pontefice, prima di morire, l’an-no 1073 citato Enrico a comparire a Roma per dare soddisfazio-ne alla Chiesa de’ delitti di cui veniva accusato da’ Sassoni. Peril che Gregorio VII quando montò sulla sede Apostolica, trovòla causa già aperta dal suo predecessore, il quale avea spiega-to sempre tutta l’energia in porre argine a’ mali traboccanti del-la Chiesa, a comprimere le elezioni simoniache e vendicarne lalibertà. Ottone di Frisinga, dice di questo grand’uomo, Eccle-siam jamdiu ancillatam in pristinam reduxit libertatem. Lib. VI,c. 34.

163 Non sono mai senza interesse le parole de’ contempora-nei. Però mi do cura di giustificar tutto ciò che dico, co’ lo-ro testimonj, in una materia massime così alterata e confusa da-gli storici di partito. Ecco come Mariano Scoto (in Cronico adan. 1075) racconta quest’avvenimento: «Egli non temette (par-la dell’imperatore Enrico), per quanto fu in lui, d’insozzare ed’offuscare l’unica e diletta Sposa del Signore per mezzo de’concubinarj, cioè degli eretici, rendendo venali, ad esempio diSimone, gli spirituali ufficj della Chiesa, gratuiti doni dello Spi-rito Santo, con iniqui contratti e contrarj alla cattolica fede. Orde’ personaggi costituiti nella Chiesa a quel tempo, vedendo eudendo queste ed altre simiglianti scelleratezze del re Enrico,

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nefande ed inaudite, zelando il zelo di Dio per la casa d’Israe-le come il Profeta Elia, gemendo e dolendosi e con lettere e aviva voce, mandati de’ nunzi a Roma, si lagnarono presso Ales-sandro vescovo della Sede Apostolica e di queste e d’altre co-se senza numero che nel regno teutonico erano dette e fatte da-gl’insani eretici simoniaci, autore e patrono di tutte il re Enri-co. Intanto venuto a mancare il Signore Apostolico Alessandro,prese a governare l’Apostolica sede Gregorio, detto anche Ilde-brando, di professione monaco. Questi, udite le querimonie e igiusti clamori de’ cattolici contro il re Enrico e l’immanità del-le sue scelleratezze, acceso del zelo di Dio, pronunciò il dettore già scomunicato principalmente per la colpa della simonia».Gli scrittori contemporanei sono d’accordo nel dipingere En-rico come dato ad ogni sorte di sfrenatezza, sì relativamente a’costumi privati, come alla tirannide verso i sudditi, e l’empie-tà sfrontata verso la Chiesa. Ed egli però trova il patrocinio de-gli scrittori del passato secolo! E Gregorio, il giusto e magna-nimo Gregorio, che espone la sua quiete e la sua vita per raf-frenare un bestiale tiranno, per proteggere il popolo oppresso,e salvare il Cristianesimo che periva senza un pronto e forte ri-paro, egli è l’ambizioso, egli solo merita l’abbominio e le ese-crazioni dell’umanità! Ma lode al Cielo che muove i Protestan-ti stessi a riconoscere in Gregorio VII il vero difensore del ge-nere umano, non pur della Chiesa, il demiurgo della modernaciviltà! (Vedi l’opera pubblicata in tedesco col titolo: Ildebran-do e il suo secolo.) Sebbene il secolo di questo Gregorio rimarràtuttavia ampia materia alle meditazioni de’ secoli futuri.

164 Ep. II, lib. IX.165 Un contemporaneo registra questo fatto: ecco le sue pa-

role. Cum igitur dissimulare amplius tanti facinoris malitiamnon posset, Apostolicus excommunicavit tam ipsum, quam om-nes ejus fautores, atque omnem sibi regiam dignitatem interdi-xit, et obligatos sibi sacramentis ab omni debito fidelitatis absol-vit: quia quod verecundum etiam est dicere, praeter haereticamquam praelibavimus culpam, aderant in sancto Concilio nuntii il-lius sic audentes latrare: «Praecipit Dominus noster rex, ut SedemApostolicam et Papatum, utpote suum, dimittas, nec locum huncsanctum ultra impedias»... Igitur quem sui solius judicio Domi-nus reservavit, hic non solum judicare, verum etiam suum dicere,et quantum in ipso est, audet damnare: quam ob causam omnisilla sancta Synodus jure indignata, Anathema illi conclamat at-

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que confirmat, S. Anselmi Lucensis, Paenitentiarius, in ejus Vitacap. III.

166 Tale dottrina di Diritto pubblico era comune in quel tem-po fra’ Cristiani, e nessuno la metteva in controversia. I re era-no realmente costituzionali, sebbene non fosse inventata que-sta parola. Il Concilio parlò supponendolo. Ecco le paroledel Concilio riferite da Paolo Benriedese nella Vita di Grego-rio VII. Narra che, detta ch’ebbe il Pontefice un’orazione gra-vissima a’ Padri, informandoli dello stato delle cose, essi escla-marono: Tua, sanctissime Pater, censura, quem ad regendum no-stri temporis saeculum divina peperit clementia, contra blasphe-mum, invasorem, tyrannum, desertorem, talem sententiam pro-ferat, quae hunc conterat, ET FUTURIS SAECULIS TRAN-SGRESSIONIS CAUTELAM conferat. – Tandem omnibus ac-clamantibus definitum est, ut honore regio privaretur, et anathe-matis vinculis tam praenominatus Rex, quam omnes assentaneisui colligarentur. Accepta itaque fiducia, Dominus Papa, ET TO-TIUS SYNODI CONSENSU, ET JUDICIO, protulit Anathe-ma.

167 Il conte Giuseppe De Maistre.168 Ecco le parole di Lamberto Scafnaburgense (ad ann.

1076): Ut si ante hanc diem excomunicatione non absolvatur,deinceps JUXTA PALATINAS LEGES indignus regio honorehabeatur, nec ultra pro asserenda innocentia sua audientiam me-reatur: proinde enixe petere, ut solo interim anathemate absol-vatur etc. Che cosa sono queste leggi palatine, se non una veracostituzione?

169 Enrico riconobbe questa condizione annessa ai regni deiprincipi cristiani come veniente dalla tradizione della Chiesa,anche in una lettera che scrisse a Gregorio VII, nella qualedice così: Me quoque, licet indignus inter Christianos sum, adregnum vocatus, te teste, quem sanctorum Patrum traditio soliDeo judicandum docuit, nec pro aliquo crimine NISI A FIDE(quod absit) exorbitaverim, deponendum asseruit

S. Tommaso, che è quello scrittore che ha raccolto la tradi-zione ecclesiastica con più estensione e sicurezza di ogni altro,e le cui decisioni sono considerate come voci della Chiesa, so-stiene che questa «legge costitutiva» de’ regni cristiani, cioè cheun re cattolico facendosi eretico sia immantinente decaduto dalsuo trono, risulta e nasce dalla stessa costituzione della Chie-sa fatta da Gesù Cristo, e non puramente da una convenzione

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espressa, o sottintesa, stretta fra i principi e i popoli cristianicolla mediazione della Chiesa (S. IIa IIae, q. XIII, a. 2). Egli èperò certo, che fino che questa convenzione di fatto non fu se-guita, fino che la dottrina cioè non è stata consentita e ricevu-ta per buona e giusta non meno dall’opinione de’ popoli che daquella de’ principi, non era venuto ancora il tempo nel quale iCapi della Chiesa potessero esercitare questo loro diritto sui fe-deli cristiani; il che non hanno considerato bastevolmente colo-ro, che si maravigliavano del non trovare ne’ primi secoli del-la Chiesa l’uso di questa potestà, e di ciò inferiscono ch’ella siaabusiva. Prima la Chiesa dovea operare la riforma dell’indivi-duo umano, poi dovea riformare la società: riformata questa,poteva applicare alla medesima le leggi volute dal Cristianesi-mo.

170 S’intenda in sano modo, e in quel senso che S. Paolo dis-se: Omnis potestas a Deo e S. Pietro: Subditi estote OMNI HU-MANAE CREATURAE propter Deum. Per questo S. Tomma-so insegna espressamente, che è contro il diritto divino il sot-trarsi dalla soggezione di un principe infedele. – Est ergo contrajus divinum prohibere quod ejus judicio non stetur, SI SIT IN-FIDELIS (Expos. in Ep. I ad Cor. c. VI). Ma all’incontro, seil principe è cristiano, riconosce il Santo Dottore darsi il caso,in cui i sudditi possano essere sciolti dal giuramento di fedel-tà per l’autorità della Chiesa. Et ideo quam cito aliquis per sen-tentiam denuntiatur excommunicatus propter apostasiam a fide,ipso facto ejus subditi sunt absoluti a dominio ejus et juramentofidelitatis, quo ei tenebantur (S. IIa IIae, q. XIII, a. 2).

171 Enrico stesso in una lettera che scrive al Papa, parlandodi Giuliano apostata, ascrive non alla mancanza di diritto, maalla PRUDENZA della Chiesa il non averlo essa deposto. Cumetiam Julianum Apostatam PRUDENTIA sanctorum Episcopo-rum non sibi, sed soli Deo deponendum commiserit. Questa erala maniera di pensare comune ai tempi di Enrico. Come si mutòquesta maniera di pensare fra i cristiani? Onde traggono l’origi-ne le MODERNE opinioni di diritto pubblico cristiano? Eccouna questione ben importante.

172 Furono i principi tedeschi quelli che portarono la causadi Enrico al Papa. Né già i soli Sassoni, come alcuni storici mo-derni vogliono far credere, ma gli Svevi, e gli altri popoli te-deschi, come riferisce Brunone nell’Istoria della guerra di Sas-sonia. Dopo descritte le rotte dissolutezze e le tirannidi senza

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modo né misura di Enrico, prosiegue a dire: Gens vero Svevo-rum, audita Saxonum calamitate, clam Legatos suos ad illos mi-sit, et foedus cum eis fecit, ut neuter populus ad alterius oppressio-nem regi ferret auxilium. Eandem querimoniam fecerunt ad in-vicem OMNES PENE REGNI TEUTONICI PRINCIPES, sedtamen palam nullus audebat fateri. Quando poi Gregorio VIIdissuase, con lettera piena di uno spirito veramente evangelicodi concordia, i principi tedeschi adunati in Gerstenge dall’eleg-gersi un altro re, allora questi principi uniti nella deliberazio-ne di eleggere un altro re, erano pars longe maxima. Qualcheanno dopo, volendo ancora i principi adunati a Tribur elegger-si un altro re, rimisero finalmente di nuovo le cose nelle ma-ni del Papa, mandando ad Enrico, supplichevole e disposto diaccettare ogni condizione, de’ nunzi che gli dicessero: Tamet-si nec in bello nec in pace ulla unquam ei justitiae vel legum curafuerit, se LEGIBUS cum eo agere velle (che cosa erano questeleggi, secondo le quali volevano i signori tedeschi trattare En-rico, se non leggi fondamentali, e in una parola, la Costituzionecristiana dello Stato?); et cum crimina quae ei objiciuntur omni-bus constent luce clariora, se tamen rem integram Romani Pon-tificis cognitioni reservare etc. Di che è manifesto, che la cau-sa era compromessa nelle mani del Papa dalla stessa nobiltà te-desca, alla quale spettava l’elezione del re. E che questo corpoelettorale dello stato si tenesse di buona fede in diritto di eleg-gere un altro re, se Enrico si ostinasse nelle sue colpe, appari-sce dalle parole che seguono della legazione; poiché dopo averprescritto ciò che Enrico dovesse fare per dare soddisfazione al-lo Stato, di cui avea violate le leggi, i legati erano incumbenza-ti di dire al re: Porro si quid horum praevaricetur, tum se OMNICULPA, OMNI JURISJURANDI RELIGIONE, OMNI PER-FIDIAE INFAMIA LIBERATOS, non expectato ulterius Ro-mani Pontificis judicio, quid reipublicae expediat, communi con-silio visuros. Ecco qual era il jus pubblico di quel tempo. Que-sto linguaggio né fu smentito da Enrico, né fu ripreso dal Pa-pa, né da nessuno trovato strano o contrario alla giustizia ed al-l’equità. Solo i filosofi de’ nostri tempi se ne scandalizzano, egridano: ai ribelli!!!

173 Ecco come un Ugone Flaviniacense espose la vera cagio-ne della così detta lotta fra il Sacerdozio e l’Impero: OB HANCIGITUR CAUSAM, quia scilicet sanctam Dei Ecclesiam castamesse volebat (Gregorius), liberam atque catholicam, quia de sanc-tuario Dei simoniacam, et Neophytorum haeresim, et faedam libi-

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dinosae contagionis pollutionem volebat expellere; membra dia-boli coeperunt in eum insurgere, et usque ad sanguinem prae-sumpserunt in eum manus injicere, et ut eum morte vel exilioconfunderent, multis eum modis conati sunt dejicere. SIC surre-xit inter regnum et Sacerdotium contentio, ac crevit solito graviorsanctae Dei Ecclesiae tribulatio (In Chron. Virdunensi). Si vegganel Fleury l’articolo intitolato: Ribellione de’ Cherici concubina-rj, lib. LXII, XII. Tutti i Vescovi che erano dalla parte dell’im-peratore e ne sommovevano l’animo contro gli avvisi del Papa,erano scomunicati già prima per simonia, per eresia, per isco-stumatezze, e per altre scelleraggini d’ogni guisa, erano quelli acui Enrico stesso avea venduto i benefizj ecclesiastici: che pettonon facea bisogno in un Papa che avea da governare la Chiesacon un tal Clero, e che ardiva intraprenderne la riforma! ed es-sendo le potestà del secolo avvolte negli stessi vizj, e maneggiatedalla parte di esso Clero la più corrotta!

174 Non pure la brutale violenza, ma l’arte della calunnia, delsofisma, e di ogni genere di fine menzogna fu esaurita controGregorio VII da’ cherici, le cui ribalderie egli voleva corregge-re, e che stavano intorno a Enrico vestiti da suoi fautori, consi-glieri, e ministri. – L’arcivescovo di Ravenna Guiberto che fupoi antipapa, non avea ommesso di falsificare il decreto di Ni-colò II, e facendolo girare attorno, volea far credere che l’ele-zione de’ Papi era stata rimessa al tutto nelle mani dell’impera-tore, e con simiglianti finzioni s’ingannò gran gente, si confu-se la questione, si protrasse il dissidio, ed ecco i veri autori de’torbidi!

175 Fino dalla prima gioventù prevalsero presso Enrico i che-rici più scostumati, e dovettero da lui ritirarsi un S. Annone edaltri uomini probi, perché non adulatori e fautori delle sue maletendenze. Brunone nella Storia della guerra Sassone attribuiscel’essersi dato giù Enrico nel fondo di tutti i vizj più infami, al-la famigliarità sua col vescovo di Brema Adalberto: Hac igitur,dice, Episcopi non episcopali doctrina, rex in nequitia conforta-tus ivit per libidinum praecipitia sicut equus et mulus, et qui mul-torum rex erat populorum, thronum posuit in se libidini cuncto-rum reginae vitiorum etc. Enrico stesso in un momento di rav-vedimento, vero o finto, scrivendo a Gregorio la confessionede’ suoi falli, ne accagiona in parte i suoi tristi consiglieri: Heucriminosi nos, gli scrive, et infelices! partim pueritiae blandientisinstinctione, partim potestativae nostrae et imperiosae potentiae

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libertate, partim eorum, quorum seductiles nimium secuti sumusconsilia, seductoria deceptione, peccavimus in caelum et coramvobis, et jam digni non sumus vocatione vestrae filiationis. Nonsolum enim nos res ecclesiasticas invasimus, verum quoque in-dignis quibuslibet et simoniaco felle amaricatis et non per ostiumsed aliunde ingredientibus Ecclesias ipsas vendidimus, et non eas,ut oportuit, defendimus etc. (Vid. t. 1 Constitut. Imperial. Gol-dasti).

176 Quando Enrico ottenne da Gregorio VII nel castello diCanossa l’assoluzione della scomunica, allora i Vescovi del suopartito furono desolati del vedere abbandonata la loro causadall’imperatore; e Roberto di Bamberga, Uldabrico di Costreimed altri primarj consiglieri delle sue scelleratezze, de’ quali il Pa-pa, nell’assolvere il re, avea messo per condizione l’allontana-mento dalla corte, e dalla reale persona, con altri Vescovi lom-bardi dello stesso taglio, fecero tanto rumore, minacciando ri-bellione, tutto per zelo, com’essi ostentavano, della regia digni-tà disonorata da Enrico nell’umiliarsi in tal modo sotto il Pon-tefice; che travolsero Enrico dal suo buon proposito, e il fecerotornare al vomito. Era singolare la logica di questi prelati! Ladignità reale era disonorata perché s’era lasciata correggere de’suoi vizj dal Papa: perciò intendevano di gastigare essi il re etquidem per via di fatto!

177 Ecco la vera origine delle investiture: i Feudi.178 Divinae legis institutionibus sancitum est, et sacris Canoni-

bus interdictum, ne Sacerdotes curis saecularibus occupentur, ne-ve ad comitatum, nisi pro damnatis eruendis, atque pro aliis quiinjuriam patiuntur, accedant. – In vestri autem regni partibus,Episcopi vel Abbates adeo curis saecularibus occupantur, ut comi-tatum assidue frequentare, et militiam exercere cogantur. – Mi-nistri vero Altaris, ministri Curiae facti sunt, quia civitates, duca-tus, marchionatus, monetas, turres, et caetera ad regni servitiumpertinentia, a regibus acceperunt. Unde etiam mos Ecclesiae ino-levit, ut electi Episcopi nullo modo consecrationem acciperent, ni-si per manum regiam investirentur. Aliquando etiam vivis Epi-scopis investiti sunt. His et aliis plurimis malis, quae per inve-stituram plerumque contigerant, praedecessores nostri GregoriusVII et Urbanus II felicis recordationis Pontifices excitati, collec-tis frequenter episcopalibus Conciliis, investituras illas manu lai-ca damnaverunt, et si qui Clericorum per eam tenuissent Eccle-sias, deponendos, datores quoque communione privandos percen-

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suerunt, juxta illud Apostolicorum Canonum Capitulum, quodita se habet: Si qui Episcopus saeculi potestatibus usus, Ecclesiamper ipsas obtineat, deponatur, et segregentur omnes qui illi com-municant. Tibi itaque, fili carissime Henrice rex, et regno rega-lia illa dimittenda praecipimus, quae ad regnum manifeste per-tinebant tempore Caroli, Ludovici, Ottonis, et caeterorum prae-decessorum tuorum. Interdicimus etiam et sub anathematis di-strictione prohibemus, ne qui Episcoporum seu Abbatorum, prae-sentium vel futurorum, eadem regalia invadant, id est, civitates,ducatus, marchias, comitatus, monetas, telonium, advocatias, ju-ra centurionum, et curtes quae regis erant, cum pertinentiis suis,militiam et castra. – Porro Ecclesias cum oblationibus et haeredi-tariis possessionibus, quae ad regnum manifeste non pertinebant,liberas manere decrevimus, sicut in die coronationis tuae omnipo-tenti Domino in conspectu totius Ecclesiae promisisti. Ep. XXII.

179 Altri accuseranno il magnanimo Pontefice di non aver conciò bastevolmente sostenuti i diritti della Chiesa, abbandonan-do alla cupidigia altrui i beni temporali della medesima. Mi siperdoni una osservazione a questo proposito, che mi prendola libertà di sottomettere al giudizio di quelli che veggono me-glio di me. Parmi che la ricchezza e il potere temporale entra-to nel Clero non solo abbia prodotto in una parte del medesi-mo un’aperta corruzione; ma che generalmente altresì abbia in-generato una soverchia confidenza ne’ mezzi umani pel vantag-gio della religione. Dubito perciò non forse in altri casi questibeni sieno stati difesi con troppo di forza, come spiegherò me-glio in appresso; quando, secondo lo spirito ecclesiastico del-l’antichità, «è meglio abbandonarli ove la difesa loro giunga atale da dover produrre un pericolo di maggior male spirituale»;perciocché i beni temporali non sono di un assoluto bisogno al-la Chiesa, come è la sua libertà e santità; e perciò non meritanoun’assoluta e incondizionata difesa.

Chi vuol vedere di quanto disinteresse fossero i sentimentidi S. Agostino non solo relativamente alla sua persona, ma benanco a’ beni della sua Chiesa, legga i sermoni ch’egli teneva alsuo popolo, e in particolare il CCCXVI. In questo, fra l’altrecose dice: «Chi vuol privare i figliuoli suoi per lasciare il suo al-la Chiesa, cerchi un altro che non sia Agostino a ricevere il suodono; o credo più tosto, se a Dio piace, che non potrà egli ritro-varlo»; le quali ultime parole mostrano, che questo sentimentoera comune a’ Vescovi del suo tempo. E soggiunge: «Quantonon fu lodata l’azione di Aurelio Vescovo di Cartagine! Un uo-

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mo che non avea figliuoli, e non ne sperava, lasciò tutti gli ave-ri suoi alla Chiesa, riserbandosene l’usufrutto. Gli sopraggiun-sero de’ figliuoli, e il Vescovo gli restituì quanto gli avea lascia-to, quando meno se l’aspettava. Poteva non restituirlo secondoil mondo, ma non secondo Dio».

Parimente con che larghezza S. Ambrogio scrive: Quid igi-tur non humiliter responsum a nobis est? Si tributum petit (im-perator) non negamus. Agri Ecclesiae solvunt tributum: si agrosdesiderat imperator, potestatem habet vindicandorum, nemo no-strum intervenit. De Basilicis tradendis, n. 33.

A questo proposito de’ tributi aggiungerò ancora che talorasi mise troppa premura a sostenere l’esenzione da’ tributi afavore dei beni ecclesiastici. Questo privilegio, quando i benidella Chiesa sono molti, ha in sé qualche cosa di sommamenteodioso e contro l’equità. Oso dire di più; egli fu anzi didanno che di vantaggio alla Chiesa anche nell’ordine temporale;perocché in gran parte egli fu cagione che s’inventò quellaterribile parola delle mani morte, e che si disse, come fa ilBarbosa, Regnorum utilitas postulat ut bona stabilia sint incommercio hominum non privilegiatorum ET EXEMPTORUM.Lib. II, de Pensionibus, vol. XXVI, n. 19.

Un componimento equo sarebbe stato «che lo Stato rinunziialla regalia per riguardo a tutti que’ beni che non sono veri eoriginarii feudi, e i beni della Chiesa paghino il tributo cometutti gli altri».

180 Pasquale II ben conosceva, essere le suggestioni de’ tristiche intorbidivano la quistione; e perciò scriveva così al re d’In-ghilterra: «Fra queste contraddizioni deh non ti lasciare intro-dur nell’animo, re, da nessuno una persuasione profana, qua-si che noi volessimo diminuir qualche cosa della tua potestà, oanche solo vindicare a noi una maggiore influenza nella promo-zione dei Vescovi. Anzi tu lascia la tua pretensione per amor diDio, la quale è manifestamente contro di Dio, né tu puoi stan-do con Dio esercitarla, né noi, salva la nostra salute e la tua,concederla; del resto qualsiasi altra cosa tu ci dimanderai, cuinoi possiamo secondo Dio concederti; e noi la ti accorderemocon sommo piacere, e daremo mano con propensione via mag-giore a tutto ciò che ridonderà a tuo onore e a tua elevazione.Né riputare che s’addebiliti il nerbo della tua potestà, desisten-do tu da cotesta profana usurpazione: che anzi tu regnerai per-ciò appunto con più efficacia, con più saldezza, con più ono-ranza: perché nel tuo regno regnerà la divina autorità». Queste

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ultime parole di Pasquale sono pur belle ed osservabili ancheperché indicano un fatto notato da un profondo pensatore de’tempi nostri, cioè «che i Papi sebbene si sieno opposti ai sovra-ni quando questi volevano opprimere la Chiesa, tuttavia non lihanno mai avviliti, ed anzi il sottomettersi di questi all’autoritàdella Chiesa ha conferito qualche cosa di sacro alla sovranità equasi un riflesso di divino splendore». Le parole di Pasquale alre d’Inghilterra battono qui appunto: Nec existimes quod pote-statis tuae columen infirmetur si ab hac profana usurpatione desi-stas. Imo tunc validius, tunc robustius, tunc honorabilius regna-bis, CUM IN REGNO TUO DIVINA REGNABIT AUCTO-RITAS (Presso Eadmero, lib. III, Historia Novorum). Potreb-besi aggiungere non regnar altri che solo colui che serve a Dio,alla giustizia, alla verità!

181 Alla prima ambasciata che inviò Enrico I a Roma per ot-tenere da Pasquale II il diritto d’investire i Vescovi, questo il-lustre Pontefice rispose con una lettera degna del Capo dellaChiesa, dove fra l’altre cose così diceva: «Tu chiedevi che tifosse dato per indulto della Chiesa Romana il diritto e la facoltàdi costituire i Vescovi e gli Abati per mezzo dell’investitura, eche fosse sottomesso alla regia potestà quello che l’onnipoten-te Signore dichiara non farsi se non da lui solo. Poiché il Signo-re dice: “Io sono la porta: se alcuno entrerà, per me, sarà sal-vo”. Or quando i re si arrogano di esser la porta della Chiesa,allora avviene sicuramente che quelli che per essi entrano nel-la Chiesa, non sieno pastori, ma rubatori e ladroni, dicendo lostesso Signore: “Quegli che non entra per la porta del chiusodelle pecore, ma vi sale per altra parte, egli è rubatore e ladro-ne”. Veramente se la tua dilezione domandasse da Noi qual-che gran che, il quale secondo Dio con giustizia e colla salvez-za dell’ordine nostro concedere si potesse, di gran voglia noi telo concederemmo. Ma questa che tu dimandi è cosa sì grave, sìindegna, che con nessuno ingegno il può giustificare ed ammet-tere la Chiesa cattolica. Il beato Ambrogio poté essere spintoagli estremi termini anziché mai concedere all’imperatore la do-minazion della Chiesa. Egli rispose: “Non voler tu aggravare testesso, o imperatore, in pur credendo che su quelle cose che so-no divine v’abbia un qualche imperatorio diritto. Non ti rizza-re, ma se vuoi regnar lungamente, soggettati a Dio. Egli è scrit-to: ‘Le cose di Dio a Dio, le cose di Cesare a Cesare’. All’impe-ratore spettano i palagi, al sacerdote le Chiese: a te fu commes-so il diritto delle mura pubbliche, non delle sacre. Che vuoi tu

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con un’adultera? Poiché ella è adultera quella che non è uni-ta di legittimo maritaggio. ‘Non odi tu, o re, chiamarsi adulte-ra quella Chiesa che non ha contratte nozze legittime? e dellaChiesa ognuno stima che il Vescovo sia il proprio sposo. – Se tusei figliuolo della Chiesa, lascia adunque alla madre tua stringe-re legittime nozze di modo che ella si unisca a un legittimo spo-so non per opera d’uomo, ma di Cristo Dio e Uomo’ ”. Imper-ciocché l’Apostolo attesta che i Vescovi vengono eletti da Dioquando sono eletti canonicamente, là dove dice: “Niuno suolprendersi da se stesso l’onore, ma quegli che è chiamato da Diosiccome Aronne”. E il beato Ambrogio: “Giustamente, dice,si crede che sia eletto dal Divino giudizio colui, cui tutti han-no dimandato” e poco appresso: “quando convenne la diman-da di tutti, non evvi più a dubitare che ivi il Signore Gesù nonsia stato egli e l’autore della volontà, e l’arbitro della dimanda,e il presidente della ordinazione, e il datore della grazia”. Ol-tracciò il Profeta Davide favellando colla Chiesa dice: “Invecede’ Padri tuoi, ti sono nati de’ figli, tu li costituirai principi so-pra tutta la terra”. Ecco la Chiesa che genera i figli e che li co-stituisce principi. – Da vero che mostruoso è a dire che il fi-glio genera il padre, e che l’uomo debba creare un Dio! Imper-ciocché è manifesto, i sacerdoti chiamarsi Dei nelle sacre Scrit-ture, siccome quelli che sono i vicarj di Dio. – Per questo si fuche la santa Chiesa Romana ed apostolica per mezzo de’ nostripredecessori non dubitò di opporsi virilmente alla usurpazionede’ regi e alla abbominanda investitura che volean dare, e nonfuron atte a piegarla le gravissime persecuzioni de’ tiranni, da’quali fu afflitta e sbattuta fino a’ tempi nostri. Ma Noi confidia-mo nel Signore, conciossiaché Pietro il Principe della Chiesa eil primo de’ Vescovi, non perderà la virtù della sua fede né purein Noi». Questa lettera è riferita da Eadmero, lib. III, HistoriaNovorum

182 Queste lettere di Pasquale ad Anselmo dicevano: «Egli èben noto alla tua sapienza con che efficacia, robustezza e seve-rità abbiano i Padri nostri combattuto ne’ preteriti tempi con-tro quella VELENOSA RADICE DI PRAVITÀ SIMONIACA,l’investitura. In tempo di Urbano, signore e predecessore no-stro di una memoria degna in Cristo di riverenza, fu raccoltopresso Bari un venerabil Concilio di Vescovi ed Abati venutivida varie parti, e in esso la tua Religione e Noi stessi siamo in-tervenuti, come quelli che erano allora con noi ben si ricorda-

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no, e contro quella peste fu pubblicata la sentenza di scomuni-cazione. E noi pure, che abbiamo lo stesso spirito de’ Padri no-stri, lo stesso sentiamo, e le stesse cose testifichiamo». Questalettera ha la data degli 11 dicembre dell’anno 1102

183 Ecco quello che Pasquale rispose come ebbe udita l’infa-me menzogna de’ tre Vescovi cortigiani: «Noi chiamiamo in te-stimonio contro l’anima nostra Gesù che scruta le reni e i cuori,se dall’istante che abbiamo pigliato la cura di questa santa Sedegiammai un così immane delitto ci sia né pur in mente disceso.E guardici Iddio, che non ne veniam mai di soppiatto infetti,a tale che una cosa pronta abbiamo in bocca, e un’altra nasco-sta nel cuore; quando contro a’ mendaci profeti fu vibrata l’im-precazione: “Disperda il Signore tutte le labbra dolose”. Chese pur tacendo sofferissimo che la Chiesa venisse macchiata colfiele dell’amarezza, e colla radice della empietà, in che manie-ra potremmo noi scusarci innanzi all’eterno Giudice, mentre ilSignore in ammaestramento de’ Sacerdoti ha detto al Profeta:“Ho posto Te speculatore sulla Casa d’Israele”? Non ben cu-stodisce la città colui che posto nella rocca, mentre non bada,espone la città ad esser presa da nemici. Ora se una mano lai-ca dà il segno del pastorale uffizio la verga, e il segnacolo dellafede l’anello, che fanno oggimai nella Chiesa i Pontefici? L’o-nore della Chiesa è a terra, il vigore della disciplina soluto, ognicristiana religione conculcata, ove noi sofferiamo che la temeri-tà de’ laici presuma di far ciò, che noi sappiamo esser a’ soli Sa-cerdoti dovuto. No, non è de’ laici tradir la Chiesa, né cosa dafigli macchiare d’adulterio la madre – poiché ai laici appartienedifendere la Chiesa e non tradirla. In vero Ozia tirando a sé il-lecitamente l’ufficio di Sacerdote, fu percosso di lebbra. Anchei figliuoli d’Aronne imponendo sull’altare un fuoco straniero,furon consunti dalle fiamme divine, ecc.». E seguita a provarel’illiceità che il principe conferisca a suo libito i vescovati, sco-municando in fine gl’impostori e quelli che erano stati intantodal re investiti delle sedi episcopali.

184 «Gli abusi del governo feudale congiunti alla depravazio-ne del gusto e de’ costumi loro naturale conseguenza, per lun-ga serie di anni non aveano fatto che accrescersi; e sembra cheverso la fine del secolo undecimo fossero venuti all’ultimo ter-mine del loro accrescimento. A quest’epoca si vede comincia-re la progressione in contraria parte, e da essa possiamo conta-re la successione delle cagioni e degli avvenimenti, l’influenza

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più o men gagliarda de’ quali più o men sensibile ha giovato adistruggere la confusione, la barbarie, e a sostituire l’ordine, lapolitezza, la regolarità» (Introd. alla Vita di Carlo V, Sez. 1).

185 Ricerca utile e profonda sarebbe «l’esame de’ sentimentidi giustizia, di equità e di umanità che Gregorio VII ispirò nellasocietà imbarbarita, e le utili conseguenze che ne provennero».Per esempio, in un Concilio tenuto in Roma egli ebbe curadi fare una legge in favore de’ naufraghi, ordinando: «chea qualsivoglia spiaggia approdassero, fosse rispettato il loroinfortunio, e la persona e la roba de’ naufraghi nessuno ditoccar si attentasse»: ut quicunque naufragum quemlibet etillius bona invenerit, secure tam eum quam omnia sua dimittat(Concil. IV Rom. sub Gregor. VII). Questa è una di quelleleggi d’umanità che passarono nel diritto pubblico comune diEuropa.

186 Sarebbe infinito a dire quanto hanno affaticato e patitoper la libertà della Chiesa, in conseguenza del movimento im-presso loro da Gregorio, un S. Pier Damiano, un S. Anselmo diCantorbery, un S. Anselmo di Lucca, un S. Ivone di Chartres, epiù tardi un S. Bernardo e tant’altri insigni prelati che fiorironosuccessivamente nella Chiesa.

187 Ecco alcuni canoni di Concilj tenuti dopo che Gregorioinnalzò il vessillo della riforma e della libertà, ancora prima chespirasse il secolo XI.

Il Concilio di Clermont nell’anno 1095 fece i due Canoni, 15.Nullus ecclesiasticum aliquem honorem a manu laicorum accipiat– 18. Nullus presbyter capellanus alicujus laici esse possit, nisiconcessione sui Episcopi.

Il Concilio di Nîmes dell’anno seguente 1096 fece il Canone8. Clericus vel Monacus, qui ecclesiasticum de manu laici suscepe-rit beneficium, quia non intravit per ostium, sed ascendit aliundesicut fur et latro, ab eodem separetur officio.

Il Concilio di Tours dell’anno stesso 1096, can. 6, Nullus lai-cus det vel adimat Presbyterum Ecclesiae sine consensu Praesulis.

188 Nella Professione di fede fatta da Pasquale II nel Conci-lio di Laterano l’anno 1112, dice quel Pontefice: che abbrac-ciava i decreti de’ Pontefici suoi predecessori, et praecipue de-creta Domini mei Papae Gregorii VII, et beatae memoriae PapaeUrbani: quae ipsi laudaverunt, laudo; quae ipsi tenuerunt, teneo;quae confirmaverunt, confirmo; quae damnaverunt, damno; quaerepulerunt, repello; quae interdixerunt, interdico; quae prohibue-

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runt, prohibeo in omnibus, et per omnia, et in iis semper perseve-rabo.

189 Tutti questi Pontefici, anche quelli fra essi che poco re-gnarono, combatterono con gran fortezza e magnanimità perla libertà delle elezioni, tennero de’ concilii, fecero de’ decre-ti. Essendo impossibile esporre tutte le loro azioni, riferirò quisolamente alcuni de’ principali decreti da essi pubblicati.

Vittore III, sebbene non vivesse che due anni, tenne però unConcilio a Benevento nel 1087, ove pubblicò il seguente decre-to: «Stabiliamo altresì, che se quinci innanzi taluno riceverà dimano di laica persona un vescovato o un’abbazia, egli non s’ab-bia in modo alcuno in conto di Vescovo o di Abate, né si ren-da a lui come a Vescovo o ad Abate riverenza. Di più, noi in-terdiciamo a costui il gremio del Beato Pietro, e l’ingresso del-la Chiesa fino a che pentito non abbandoni il posto che ha rice-vuto con sì grave delitto di ambizione e d’inobbedienza, che èidolatrica scelleratezza. Simigliantemente stabiliamo degl’infe-riori gradi e dignità della Chiesa. Ancora, se qualche imperato-re, re, duca, principe, conte, od altra qualsivoglia potestà seco-lare presumerà di dare il vescovato, od altra dignità ecclesiasti-ca qualunque, sappia d’essere stretto col vincolo della sentenzamedesima. Conciossiaché i trecento e diciotto Padri del Conci-lio di Nicea hanno scomunicati i venditori e compratori di talfatta, giudicando che sia anatema e quegli che dà e quegli chericeve».

Urbano II vindicò la stessa libertà delle elezioni in tre Conciljche tenne, a Melfi, a Clermont e a Roma, gli anni 1089, 1095, e1099. Ecco due canoni del secondo di questi Concilj.

1) «La Chiesa cattolica sia casta nella fede, e libera da ogniservitù secolare».

2) «I Vescovi, gli Abbati, o altri del Clero non ricevano alcu-na ecclesiastica dignità dalla mano de’ principi, e di qualsivogliaaltra laica persona».

Pasquale II oppose all’abuso della schiavitù delle elezioni ve-scovili i decreti di otto Concilj da lui celebrati, cinque in Roma,gli anni 1102, 1105, 1110, 1112, 1116, gli altri tre a Guastal-la, a Troyes e a Benevento, gli anni 1106, 1107, 1108. Egli è in-credibile con quanta magnanimità, equità e dolcezza questo Pa-squale II combatté per la libertà delle elezioni, la munì, la ven-dicò. Nel Concilio di Guastalla si parla in modo, che appari-sce come gli sforzi de’ Papi cominciavano a raccogliere qual-che frutto nella riforma della Chiesa. Eccone un brano: «Già è

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gran tempo, che da uomini perversi, tanto cherici quanto laici,la Chiesa cattolica veniva conculcata; di che nacquero ne’ tem-pi nostri molti scismi ed eresie. Ora poi per grazia divina venu-ti meno gli autori di cotale nequizia, ella risorge ad ingenua li-bertà. Laonde provveder conviene, acciocché le cagioni di ta-li scismi rimangano pienamente distrutte. Il perché consenten-do noi alle costituzioni de’ padri nostri, proibiamo al tutto chesi facciano le investiture da’ laici. Che se v’avrà alcuno violato-re del presente decreto, siccome reo d’ingiuria nella madre sua,se cherico sarà rigettato dalla partecipazione della sua dignità,se laico, sarà rispinto da’ limitari della Chiesa».

Gelasio II vessato, scacciato da Roma, perseguitato come isuoi predecessori difese virilmente per la vita la causa stessa.

Callisto II, al quale riuscì dopo incredibili sforzi di conchiu-der la pace, dimettendo Enrico V le investiture, prima le aveacon solenne decreto condannate nel Concilio di Reims nume-roso di 420 Padri. E gioverà qui riferire le parole del Vesco-vo di Chalon nunzio del Papa all’imperatore. Sottoscritti i pattiin presenza di molti testimonj, negava l’imperatore audacemen-te d’aver promesso cosa alcuna! Il nunzio, dopo convintolo dimala fede colla scritta di suo pugno, e tutti i testimoni presen-ti che deponevano contro a lui, gli prese a parlare in una for-ma da fargli ben chiaro conoscere il vero stato della questione:«Sire, gli disse, quanto a noi, tu ci troverai puntualmente fedeliin tutte le nostre promesse. Poiché nostro Signore il Papa nonattenta già di diminuire in cosa alcuna la condizione dell’impe-rio o la corona del regno, come alcuni seminatori di discordiavengono straparlando. Anzi dinunzia egli a tutti pubblicamen-te che a te debbano servire per ogni maniera in prestar la mili-zia e tutti gli altri servigi, ne quali furono soliti di servire a te ea’ tuoi antecessori. Che se tu giudichi diminuirsi la condizionedel tuo regno con questo che tu non possa più d’ora in avantivendere i vescovati, egli è tal giudizio sì falso, che anzi avrestidovuto considerar ciò come un aumento e un vantaggio del re-gno tuo, e come tale sperarlo, giacché si tratta che tu per amoredi Dio quelle cose abbandoni, le quali appunto al Signore Id-dio sono contrarie». Ecco quello di che unicamente si trattava:si possono sfidare tutti i sofisti moderni a provare che il Papavolesse nulla di più.

190 Ep. XIII.191 Ann. 1245.

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192 Ann. 1343.193 Il primo di questi due concordati fu conchiuso a Franc-

fort, e il secondo in Aschaffenburg sotto Federico III.194 Ho già osservato che astenendosi i romani Pontefici dal

por le mani senza necessità nelle elezioni Vescovili potevanoparlare con più vigore a’ principi, e distorli dal porvele essi. Hagran forza quel poter dire quanto Papa Adriano scrivea a CarloMagno: Numquam nos in qualibet electione invenimus, nec in-venire havemus. Qual valore non prende, da questo preceden-te, l’avviso del Papa che viene appresso: Sed neque vestram ex-cellentiam optamus in talem rem incumbere. Sed qualis a Clero etPlebe... electus canonice fuerit, et nihil sit quod sacro obsit ordini,solita traditione illum ordinamus? (Tom. II, Conc. Gall., pp. 95e 120). E durante il dissidio per le Investiture que’ grandi Pon-tefici non finirono di assicurare i principi, che nel sostenere lalibertà della Chiesa, essi non avevano alcuna mira secondaria ditirare a sé le elezioni o di influire in esse; e nulla ommisero perrimuovere dall’animo de’ principi questo sospetto. Pasquale IIscriveva ad Enrico I re d’Inghilterra: Inter ista, Rex, nullius tibipersuasio profana surripiat, quasi aut potestati tuae aliquid dimi-nuere, aut NOS IN EPISCOPORUM PROMOTIONE ALI-QUID NOBIS VELIMUS AMPLIUS VINDICARE (Eadme-ro, lib. III, Histor. Novor.). Alessandro III (sec. XII) fu così di-licato in tal parte, che avendo fabbricato la città di Alessandria,e datole il primo Vescovo, dichiarò che non intendeva di avercon quell’atto a pregiudicare alla libertà delle elezioni de’ pre-lati pel tempo avvenire: De novitate et necessitate processit, eglidice nella Bolla, quod nulla praecedente electione, auctoritate no-stra, vobis et Ecclesiae vestrae electum providimus. Statuimus utnon praejudicetur in posterum quominus electionem liberam ha-beatis, sicut Canonici Ecclesiarum Cathedralium, quae Mediola-nensi Ecclesiae subjacent. Con tanta dilicatezza e nobiltà proce-devano nell’affare delle elezioni i Pontefici di questi tempi!

195 In Inghilterra, poco prima del Concordato di Leone Xcon Francesco I, era stata ceduta la nomina de’ Vescovati al Recon un indulto Pontificio. Or sarà egli vero che il successoredi Leone X, Adriano VI, cedesse a Carlo V, e a’ re di Spagnache gli succederebbero, la nomina de’ Vescovi di quel regno, inmostra di sua gratitudine, come a un monarca suo allievo, e a’cui beneficj era debitore del Pontificato? Possibile che la libertàdella Chiesa sia stata così donata via quasi come vil moneta con

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cui pagare delle obbligazioni private e personali! Che infeliceliberalità sarebbe stata mai questa?

196 È fino lepida questa frase di Natale Alessandro parlandodelle elezioni: Jus plebis in Reges Christianissimos ECCLESIAEGALLICANAE LIBERTATIBUS et antiquo more ab Ecclesiatacite saltem approbato transfusum est (Hist. Eccles. In saec. IDissert. VIII). Belle libertà quelle che assudditano la Chiesadi Dio a’ principi temporali! Si dovrebbero ben con ragionechiamare «le servitù della Chiesa Gallicana».

197 Basta leggere la lettera CCXXXVIII di S. Ivone a Pasqua-le II, per vedere quanto era grande lo spirito di concordia e dipace di questo santo Vescovo, e come a tutta sua possa procac-ciava che non fosse mai turbato il buon accordo fra lo Stato ela Chiesa. Nella qual lettera fra l’altre cose pone questa precla-ra sentenza: Novit enim Paternitas vestra, quia, cum Regnum etSacerdotium inter se conveniunt, bene regitur mundus, floret etfructificat Ecclesia. Cum vero inter se discordant, non solum par-vae res non crescunt, sed etiam magnae res miserabiliter dilabun-tur.

198 Si veggano le lettere LXVII, LXVIII e CXXVI di questogran Vescovo. Egli nella lettera CII dice a dirittura, che nonlicet regibus, sicut sanxit octava Synodus, quam romana Ecclesiacommendat et veneratur, ELECTIONIBUS EPISCOPORUMSE IMMISCERE.

199 ... ut regni tui Episcopis et Abbatibus LIBERE PRAETERVIOLENTIAM ET SIMONIAM ELECTIS investituram vir-gae et annuli conferas, dice il privilegio, presso Guglielmo diMalmesbury, lib. V, de Gestis Regum Anglorum.

200 Non Ecclesiae jura, non officia quaelibet, sed regalia sola sedare assereret (Henricus). Così attesta Pietro Diacono, lib. IV,Chronici Cassinensis, cap. XLII

201 Et hoc ideo damnatum est, quod in eo Privilegio contineturquod electus canonice a Clero et populo, a nemine consecretur ni-si prius a rege investiatur. Quod est contra Spiritum Sanctum etcanonicam institutionem. Doppio era il difetto che si trovava inquel privilegio: 1° che il Vescovo non potendo prendere il go-verno della sua Diocesi senza l’assenso del re, e quindi poten-do esser negato dal re per capriccio o per volontà di nuocer al-la Chiesa; questa venìa indi inceppata nell’uso del suo ministe-ro, che per autorità ricevuta da Gesù Cristo ha diritto di eserci-

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tare in tutto il mondo liberamente; e però Innocenzo II dicevache al dissenso del re conveniva badare ove fosse motivato so-pra giuste ragioni e giuridicamente provate, e non altramente;2° che quella parola investitura conteneva un equivoco; giacché«investire un Vescovo» pareva significare conferirgli la giurisdi-zion vescovile; il che era certo eresia, l’attribuirlo alla laica pote-stà, e contro lo Spirito Santo. Al che si potrebbe aggiunger per3°, che il mettere un Vescovo in possesso de’ beni liberi del ve-scovato, è ingiustizia e soperchieria se vuol farlo il re di propriaautorità, e non per un privilegio accordatogli dalla Chiesa cheè proprietaria de’ beni suoi. All’incontro giustizia era, che il reper propria autorità investisse il Vescovo de’ beni feudali; giac-ché la proprietà diretta di questi beni rimane sempre al princi-pe, e il feudatario non ne ha che il dominio utile. Ma questedue specie di beni si confusero insieme dalla giurisprudenza diquel tempo, come abbiamo osservato; e tutti i beni della Chiesasi fecero passare per feudali: il che non avvenne tanto per l’avi-dità personale de’ regnanti, quanto per la natura di que’ gover-ni, sotto i quali le proprietà tutte non erano egualmente difese;ma meglio delle altre eran le regie: dal qual vantaggio dei benifeudali sopra gli altri trassero l’origine i feudi oblati.

202 Questo Pontefice condannò se stesso in un altro Conciliotenuto nella Basilica Laterana l’anno 1116. Quanto non sonocommoventi le circostanze ch’egli descrive narrando come fosseindotto a quella condiscendenza verso di Enrico! e quantaumiltà e dignità insieme non ispirano! «Dopo che, dice, ilSignore ebbe fatto quel che gli piacque col suo, e dato me eil popolo romano in mano del re, io vedeva farsi ogni giorno,senza posa, rapine, incendj, stragi, adulterj. Tali e somigliantimalori io pur desiderava di rimuovere dalla Chiesa e dal Popoldi Dio: e ciò che feci, per la liberazione il feci del popol diDio: il feci da uomo, perocché sono polvere e cenere. Confessodi aver male operato; e deh voi tutti innalzate suppliche aDio per me, che mi perdoni. E quello sgraziato scritto, chefu fatto nelle tende militari, e che a sua ingnominia dicesi unsacrilegio, io il danno sotto un perpetuo anatema, acciocché aniuno riesca mai di grata ricordanza, e prego voi tutti di fare ilmedesimo». E tutti acclamarono: «Sia così, sia così». Ora sìtristi circostanze poterono ottenere da Pasquale tal cosa, che ècertamente, se non erro, un niente verso la nominazione regiaceduta a’ principi quattro secoli dopo.

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203 ... judicante veram non esse electionis libertatem ubi quisexcipitur a Principe, nisi forte docuerit coram ecclesiastico judiceillum non esse eligendum: tunc enim auditur ut alius.

204 Né queste idee non vennero mai meno, né posson manca-re nella Chiesa, perché sono eterne come la verità. Per cono-scere che nel secolo XVI i romani Pontefici non pensavano di-versamente da tutti i secoli precedenti, basta osservare che Giu-lio II immediato predecessore di Leone X conferì talora de’ Ve-scovati contro la volontà del re, come in fine del secolo prece-dente avea fatto Innocenzo VIII col vescovato di Angers. Senzaentrare a vedere se ciò fu lodabile (il che a noi non ispetta inda-gare); certo però una tale condotta de’ Pontefici dimostra qualisieno le idee vere e immutabili sulla libertà della Chiesa.

205 Ep. CCXIX.206 Tutta la sacra antichità proclama altamente questo prin-

cipio. Ecco con che forza il grande Origene lo inculcava nel se-condo secolo della Chiesa. Parlando del modo, col quale nel-l’antica legge fu costituito pontefice Aronne, mostra che allorasi preindicava il modo come nella nuova si doveva eleggere ilVescovo. Dice adunque: «Or veggiamo con che ordine fu co-stituito quel pontefice. Mosè convocò la Sinagoga, dice il sacrotesto, e parlò così: “Questa è la parola che ha comandato il Si-gnore”. Ecco qua, sebbene il. Signore avesse comandato di co-stituire il pontefice, e il Signore stesso eletto l’avesse; tuttaviaconvoca anche la Sinagoga. Conciossiaché si ricerca, in ordi-nare alcuno sacerdote, anche la presenza del popolo, acciocchétutti sappiano e siano certi, che si elegge al Sacerdozio quel-lo CHE È FRA TUTTO IL POPOLO IL PIÙ ECCELLEN-TE, IL PIÙ DOTTO, IL PIÙ SANTO, IL PIÙ EMINENTEIN OGNI VIRTÙ; ut sciant omnes et certi sint quia qui prae-stantior est ex omni populo, qui doctior, qui sanctior, qui in om-ni virtute eminentior, ille eligitur ad Sacerdotium». Hom. VI inLevit.

Questa dottrina appartiene alla costante tradizione dellaChiesa. Ecco il discorso che nel secolo IX il Visitatore, cioèquel Vescovo che venìa mandato dal Metropolitano e dal prin-cipe a presiedere alle elezioni, faceva all’assemblea degli elet-tori: «Noi vi comandiamo d’ordine sovrano, e per quella fedeche avete giurato di serbare a Dio e al signore imperator no-stro Lodovico, e acciocché voi non cadiate in quella gravissimasentenza di condannazione, sotto quel terribile anatema che ci

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chiama tutti dinnanzi al tribunale del giudice, che non vogliatenasconderci chi sia quegli che in questa congregazione voi co-noscete PEL MIGLIORE, PEL PIÙ DOTTO, E PIÙ ORNA-TO DI BUONI COSTUMI – ut eum quem meliorem et doctio-rem et bonis moribus ornatiorem in ista Congregatione conver-sari noveritis, nobis eum non celare dignemini» (Inter formulaspromotionum Episcopalium).

207 Queste sono le parole del Concordato.208 Vedi addietro n. 77 e segg. – Il non esser noto un Vescovo

a’ diocesani era un caso che lo dichiarava illegittimo, e intruso.S. Giulio I in una sua lettera agli Orientali (apud Athan. Ap. 2),induce che Gregorio surrogato nella sede di Alessandria sia unintruso, quia nec multis notus, nec a presbyteris, nec ab Episcopis,nec a populo postulatus fuerat. S. Celestino I: Nullus invitis deturEpiscopus (Ep. 2). S. Leone: Qui praefuturus est omnibus, abomnibus eligatur (Ep. 14).

209 Sentenza solenne di tutta l’antichità: EX PRESBYTERISEJUSDEM ECCLESIAE, VEL EX DIACONIBUS OPTIMUSELIGATUR (S. Leone, Ep. 14). Innocenzo I, nell’epistolaal Sinodo Toletano (cap. II), condanna il fatto di Rufino,qui contra populi voluntatem et disciplinae rationem EpiscopumLOCIS ABDITIS ordinaverat.

210 Quanto sarebbe desiderabile, che tutti ben conoscesseroe principi e sudditi in che consista la vera fedeltà! No, questabella virtù non consiste in atti vili, in una vendita della propriacoscienza; ma ella è sempre accompagnata dalla giustizia edalla sincerità. Egli è perciò, che io presento questo librettonon solo come segno del mio attaccamento filiale alla santaChiesa, ma come una dimostrazione della mia fedeltà al miosovrano. Possa egli esser come tale ricevuto! possano nonessere calunniosamente interpretate e volte a male le mire piùpure! Il concetto della fedeltà evangelica, di cui ragiono, sitrova costantemente nella tradizione ecclesiastica. Eccolo inun fatto che riguarda appunto l’elezioni de’ Vescovi. Nelsecolo XI avendo il re di Francia dato alla Chiesa di Chartresun Vescovo ignorante e indegno, i canonici di quella Chiesacercarono d’impegnare l’Arcivescovo di Tours e i Vescovi diOrléans e di Beauvais a interporsi appresso il re, acciocchévolesse riparare alla ferita fatta da lui con ciò all’ecclesiasticadisciplina, e nella loro lettera acconciamente dicono queste

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parole: «Né per la riverenza dovuta al re, vogliate voi esserlenti a ciò fare, quasiché il non farlo appartenga alla FEDELTÀverso di lui. Imperciocché voi sarete veramente a lui PIÙFEDELI, se correggerete nel regno suo quelle cose che sonoda correggersi, e indurrete l’animo di lui a volerle corrette».Questa lettera si trova appresso Fulberto Vescovo di Chartres,ep. 132.

211 Una delle più forti ragioni per le quali la Chiesa non vol-le mai che dipendesse da’ principi l’acquisto de’ Vescovati, eraperché vedeva, ciò conceduto, rendersi inevitabile la simonia.Calisto II, nel Concilio di Reims, dove si trattò la concordiadella Chiesa con Enrico, dichiarò che nulla ommetterebbe asfrattare la simonia dalla Chiesa, quae maxime, disse, per in-vestituras contra Ecclesiam Dei innovata erat. Il sommo Ponte-fice Pasquale avea detto prima, che l’influenza laicale nel con-ferire i Vescovati era LA RADICE della simonia; e nel Conci-lio Lateranense del 1102 rinnovò la proibizione che niuno ri-cevesse da mani laicali né Chiese, né beni di Chiese: Haec estenim, dice, simoniacae pravitatis RADIX, dum ad percipiendoshonores Ecclesiae, saecularibus personis insipienter homines pla-cere desiderant. Questo è un fatto che saltò agli occhi di tut-ti: i più santi Prelati della Chiesa non hanno cessato di deplo-rarlo. L’insigne Vescovo di Lucca S. Anselmo, chiama il di-pendere i vescovati dalla volontà del principe, semenzajo di si-monia; e non crede che potesse sussistere a lungo la Religionecristiana con una cotal disciplina. Quis enim non advertat, di-ce, hanc pestem seminarium esse simoniacae haereseos, ET TO-TIUS CHRISTIANAE RELIGlONIS LAMENTABILEM DE-STRUCTIONEM? Nempe cum dignitas episcopalis a principeadipisci posse speratur; contemptis suis Episcopis et Clericis, Ec-clesia Dei deseritur etc. (Lib. II). Si voleva dunque distruggerenon solo la simonia dalla Chiesa; ma anco la sua radice, anchela sua semente. E che? si perdonerà alla radice e alla semen-te perché non si vede? perché s’occulta sotterra? Tale assurdi-tà vorrebbe persuaderci una giurisprudenza adulatrice; ma puòessa durare una persuasione che non abbia il sodo della veritàche la sostenga? Non può durare; perché dee durare al mondola Chiesa di Cristo.

212 Chi vuol vedere nel fatto la certezza di questa conghiettu-ra, basta che richiami alla mente ciò che avvenne relativamentead un altro Enrico, cioè il grande re di Francia. Il Papa non di-

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mandava se non che i Francesi avessero un re cattolico, e nienteavea di personale ostilità contro Enrico, niente di politiche pre-tensioni nell’affare. Non istavano entro questi termini i confe-derati cattolici in Francia. Nella lettera che scrissero al legatodel Papa, Gaetano, incitavano il Papa a nominare egli un re allaFrancia, e il giudizio della Sorbona era per questo partito; Sor-bona, dice la lettera, hujus sententiae est, urgetque Pontificem utipse regem Galliae pronuntiet, declaretque; alioquin Gallia con-clamata est, expersque remedii. Et esse hanc potestatem Pontificiregem declarandi, rationibus plane evidentibus, multisque exem-plis ostendunt. Immo adjungunt, ubi Pontifex regem pronuntia-verit, isque in Gallia denuntiatus fuerit, continuo a Clero et abomnibus catholicis receptum iri (sub. an. 1592, die 16 april.).Che fece il Papa? Né venne a questo estremo, né si buttò al-l’altro con Enrico: tenne il dignitoso personaggio di mediatore:e la mediazione ebbe nel fatto il suo effetto a favore di Enrico;perocché questi cedette all’eresia, e fu riconciliato e riconosciu-to re dal Papa, e da tutti i Francesi. Qual dubbio, che se Enricosi fosse ostinato nell’eresia, in fine sarebbe andato a perire contutto il suo valore? Non nocque adunque il Papa ad Enrico, co-me gli sarebbe nociuto un Clero venduto che l’avesse concita-to contro il Papa e la Chiesa; ma anzi la resistenza del Papa gligiovò sommamente a farlo entrare nella Chiesa ad un tempo, enell’amore dei Francesi. Ecco come la Chiesa libera ritiene o ri-mette i principi nelle vie della loro vera politica, e fa ben anchela loro temporale grandezza!

213 Acconciamente il celebre Card. Goffredo, Abate Vindo-cinese nel suo opuscolo sulle Investiture diretto a Calisto II,scriveva: Ex jure autem humano tantum illis debemus (ai prin-cipi temporali) QUANTUM POSSESSIONEM DILIGIMUS,quibus ab ipsis vel a parentibus suis Ecclesia ditata et investitadignoscitur.

214 Jo. X, 11.215 L’arianesimo fu in questa maniera che si propagò, anzi

veramente tutte le eresie non si diffusero per lo mondo se nonin grazia del favore delle corti, e de’ principi lasciatisi illuderedagli artifizj degli eretici! Quanti Vescovi eretici intrusi collaforza bruta dal potere laicale! Basta aprire la storia ecclesiastica,e le pagine ne sono piene. Se nel secolo XVI non si ebbeper tutto l’intrusione di Vescovi eretici come in Inghilterra,in Isvezia e in altri paesi, ciò fu perché in molte parti l’eresie

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distrussero l’episcopato, e lo distrussero col braccio del poteresecolare. Il potere secolare non può adunque premunirsi inalcun modo contro i falsi sistemi religiosi se non attaccandosifortemente ai Capi della Chiesa, e credendo al loro magistero;giacché un’altra voce viva, superna, e permanente non esiste.Aspetteranno essi la convocazione di un Concilio ecumenico?È egli sempre possibile aver questo tribunale straordinario? Eintanto? Lasciarsi ingannare? Aprano il Vangelo e vi leggano:«Io ho fondata la mia Chiesa sopra la pietra». Credano dunqueal Vangelo.

216 Un testimonio sopra ogni eccezione, perché niente sospet-to di non favorire l’assolutismo politico, io voglio dire Riche-lieu, giudicava per un sistema scismatico il Gallicanismo. Eglitrovava lo spirito di scisma anche in questo, che «una Chie-sa particolare presupponga di decidere questioni di tale impor-tanza che riguardano gl’interessi di tutta la Chiesa e di tutti gliStati cristiani: questioni perciò che non appartengono se non altribunal supremo del sommo Pontefice e de’ Concilj ecumeni-ci». Che poi? se la Chiesa di una particolar nazione, se uno ol’altro Vescovo, se un consigliere, un professore di teologia osanon solo decidere, ma decidere contro la pratica stessa de’ Con-cilj e de’ Pontefici? e talora contro le espresse loro dichiarazio-ni? Non è questo un proceder scismatico? E vi sarà un prin-cipe cristiano, che possa starsi sicuro in coscienza attenendosial parere di tali dottori particolari? potrà egli dire d’aver cerca-to sufficientemente la verità, la dottrina della santa Chiesa cat-tolica? potrà credere di buona fede di non operare se non permantenere i suoi diritti, e di non leder punto gli altrui?

217 Quando dico che i fatti sono di diritto divino, s’intenda insano modo. Non si vogliono con ciò giustificare i fatti malvagiopposti alla divina legge: unicamente intendiamo di dire chetutto ciò che avviene anche permissivamente ha un ordine e unfine provvidenziale, che mira alla gloria di Cristo; e quest’ultimorisultato di tutti i fatti del mondo è di diritto divino.

218 Matth. X, 16.219 La Chiesa ha certamente il potere di sanzionare in vario

modo le sue leggi; ma qui non si parla di queste sanzioniecclesiastiche; si parla d’una sanzione superiore, a cui nonmanca mai la piena efficacia.

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220 Nel secolo VIII i vescovati per la ragione de’ feudi veni-vano invasi dalla nobiltà armata e soperchiatrice. Carlo Mannoe Pipino difesero la Chiesa, e quest’ultimo ebbe a tal uopo dalsommo Pontefice Zaccaria il privilegio ad personam di nomina-re i Vescovi. L’Abate Lupo di Ferrara scrive: Pipinus a quo permaximum Carolum et religiosissimum Lodovicum imperatoremduxit rex noster originem, exposita necessitate hujus regni Zacca-riae Romano Papae, in Synodo, cui Martyr Bonifacius interfuit,ejus accepit consensum, ut acerbitati temporis, industria sibi pro-batissimorum, decedentibus Episcopis, mederetur. Ep. LXXXI.

221 Si veggono adunque due periodi negli attentati della no-biltà e del poter supremo per insignorirsi delle elezioni: nel pri-mo periodo si trattava di prenderle d’assalto con una usurpa-zione senza velo; nel secondo periodo si operò sottomano conarte, e si venne al fine per de’ passi insensibili.

In Francia il poter supremo si unì col popolo a danno dellalibertà della Chiesa e contro la nobiltà, e perciò vi fu congiuracontro lo Stato. Nell’adunanza de’ comuni del 1615 il terz’or-dine fu pel gallicanismo, e il sistema cattolico fu difeso dal Cle-ro e dalla nobiltà: sicché, come scrive Bartol. Grammond, pre-sidente del parlamento di Tolosa (lib. I hist. ad ann. 1615) ilpartito cattolico diceva Clerum et nobilitatem convenire in ean-dem sententiam, nec ideo contrariam opinionem valere quia itapopulus censet: duorum vota et calculos uni praevalere.

Nel 1673 il Clero si dichiarò ancora nella stessa buona sen-tenza; ma nel 1682 contraddisse a’ suoi padri. Il clero di nomi-na regia sotto un re dispotico come Luigi XIV fu regio: allorail gallicanismo prese tutte le forme più regolari e compì il suotrionfo.

Ma che valse questa congiura del potere supremo e del po-polo contro lo Stato e la Chiesa? Valse al re la sua rovina. An-nientata quasi la nobiltà, il re si trovò in presenza del popoloch’egli stesso avea sollevato. Due poteri in presenza l’uno del-l’altro senza mediatore non possono a lungo sussistere concor-di: il popolo adunque cacciò il re, l’uccise. Che lezione! Chefalsa politica non è quella che non penso ad altro che a rendereil poter supremo illimitato e nulla più? Gli eccessi si toccano: echi soverchiamente s’innalza, più miseramente si rovescia.

Singolare cosa è ad osservare, che il Card. Richelieu stetteper la Chiesa contro il gallicanismo; e pure fu egli che ne prepa-rò il trionfo, egli il più grande istrumento della depressione del-la nobiltà, e del regio assolutismo. Non vedeva dunque il gran-

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d’uomo la conseguenza di ciò che operava: e quanti altri mo-strano pure di vedere assai, e sono veramente miopi ingannan-dosi allo stesso modo!

222 Luc. X, 5.7.223 1 Cor. IX, 4.15; 1 Timoth. V, 17.18.224 Matth. X, 14.225 Ivi, 15.226 Act. V, 1.11.227 1 Cor. XVI, 2.228 1 Cor. IX, 4.229 Modicam unusquisque stipem menstrua die, vel cum velit,

et si modo possit, apponit: nam nemo compellitur, sed sponteconfert. Haec quasi deposita pietatis sunt. Apol., c. XXXIX.

230 V. il Tomassino, t. III, 1. 1, c. XXIII, § 2.231 Irenaeus, 1, IV, c. XXXIV. – Origenes, Hom. in XI

Num. – Il passo di S. Cipriano, De unitate Ecclesiae c. V dovedice: At nunc de patrimonio nec decimas damus, pare doversiprendere come rimprovero a quelli che per men di fervore, nonle pagavano.

232 L. 39 Cod. De Episcop. et Cleric.233 Così si fece nel Concilio II di Macon dell’anno 585.234 In Capitul. An. 779, 794, 801.235 Matth. XX, 25. 26; Luc. XXII, 25. 26.236 1 Cor. XI, 11.237 «Il colonato non poteva chiamarsi pei coloni una proprie-

tà; poiché i coloni, o servi della gleba chiamavansi appunto ma-ni morte, perché nulla potevano avere in proprio». Cibrario, Del-l’Economia del medio Evo, 1. III, c. III.

238 Act. IV, 35239 Ivi, 32.240 Cod. de sacros. Ecclesiis 1. 1.241 Gratianus, Caus. XII, q. II, c. XXIII – nec cuiquam Cle-

rico proportione sua aliquid solum Ecclesiae putetis deputandum,ne per incuriam et negligentiam minuatur: sed omnis pensionissummam ex omnibus praediis rusticis urbanisque collectam adAntistitem deferatis.

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242 L. Valentiniani 20. De Episcopis et Clericis lib. XVI. Cod.Teod. Tit. 2 ad S. Damasum R. P.

243 Ep. ad Nepotianum – S. Ambrogio del pari facendomenzione di questa legge di Valentiniano dice: Quod ego nonut querar, sed ut sciant quid non querar, comprehendi, malo enimnos pecunia minore esse, quam gratia. A cui poco appressoaggiunge altresì: «La possessione della Chiesa è lo spendiode’ poveri. Numerino quanti captivi abbian le Chiese redenti,quanti alimenti agl’indigenti dati, quanti sussidii al vitto degliesuli somministrati». Epp. lib. 1, ep. XVII.

244 Etenim ea aetate, dice il Berardi, parlando di questo ap-punto, quotiescumque negotium ecclesiasticum peragendum erat,Episcopus Cleri consilium, convocata Synodo, expetebat. Gratia-ni Canones etc. De Gelasio c. XLVI.

245 Postea vero primum factum, ut Presbyteris ruralibus, quosParochos adpellabant, bonorum administrationem concederent,eorumdemque exemplo Presbyteris illis, qui in Civitatibus titu-los, sive Ecclesias regere dicebantur. Id etiam totum constat exConcilio Aguthensi, cui praefuit idem Caesarius anno 506, prae-sertim vero Can. 32, et 33. Can. 12, q. 2. Berardi, Ibid. DeSymmacho, cap. XLVIII.

246 Gratianus, Caus. XVI, L. I, c. LXI.247 Osserva un autore recente che il godimento d’una porzio-

ne di beni a’ singoli non si facea a principio, se non dove man-cavano le congregazioni de’ preti, car dans celles-ci, dice, la viecommune maintint encore quelque tems l’ancien état de choses,Walter, Manuel de Droit Ecclésiastique § 241

248 Gioverà ripor qui sotto gli occhi del lettore questo stes-so concetto espresso colle parole d’uno scrittore del V seco-lo, Giuliano Pomerio: Nunc autem, dice, quod Christiani tem-poris Sacerdotes magis sustinent quam curant possessiones Eccle-siae, etiam in hoc, Deo serviunt: quia si Dei sunt ea quae con-feruntur Ecclesiae, DEI OPUS AGIT, qui res Deo consecratas,non alicujus cupiditatis, sed fidelissimae dispensationis intentio-ne non deserit. Quapropter possessiones quas oblatas a populosuscipiunt Sacerdotes, NON SUNT INTER RES MUNDI DE-PUTARI CREDENDAE, SED DEI (De vita Contemplativa 1.II, c. XI.

249 Labora sicut bonus miles Christi IESU. Nemo militans Deoimplicat se negotiis saecularibus. II Timoth. II, 3, 4.

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250 Noi abbiam detto che la conciliazione delle due idee l’unadi individualità propria dell’impero barbarico, e l’altra di unio-ne organica propria della Chiesa sono di natura loro inconcilia-bili, e che la loro momentanea pace e fusione non è che appa-rente: la prima idea molte volte prevalse da parere ch’essa do-vesse annientare la sua contraria; ma la Chiesa in tali frangenticon una possanza tutta nuova, la ristabilisce e restaura. Or pre-diremo adunque che non vi avrà pace giammai fra le due pote-stà, la temporale, e la spirituale? Lungi da noi sì funesto pre-sentimento: la pace può aversi, e si avrà, ma però ad una con-dizione, che la potestà temporale cacci intieramente da sé l’ideadella individualità, reliquia del barbarismo violento e del feuda-lismo, e si riedifichi sopra l’idea propria della Chiesa, che nonpuò perire, cioè nell’idea della unità organica e cristiana degliuomini. Questa è la sola conciliazione possibile, non delle dueidee che non possono conciliarsi; ma dei due ordini il tempora-le e lo spirituale che ammettono benissimo conciliazione. Co-sì i temporali reggimenti da signorie si debbon cangiare intiera-mente in società civili. Dopo una lotta d’oltre un millennio, nonvediamo noi che già s’avvicina, è già cominciato questo deside-rabile cangiamento? Tutta la società d’Europa travaglia in sutal parto. L’espulsione da’ governi dell’idea signorile, che turbail riposo del mondo, è la grand’opera che la Provvidenza pre-parò con tante pugne intestine dell’umanità, che presero for-ma e apparenza principalmente di conflitto fra la potestà laica-le e l’ecclesiastica (benché non sia tale) durate tanti secoli, edardenti tuttavia sotto le ceneri, finché l’opera sia perfezionata ecompiuta.

251 Decr. Greg. L. III, Tit. X, c. VII; L. V, Tit. XXXIII, c:III; e in VI, L. III, Tit. XIII, c. II, § 2.

252 Matt. VIII, 20; Luc. IX, 58.253 Act. III, 6.254 I Tim. VI, 6-8.255 L’abbiamo espressamente da Giuliano Pomerio che scri-

ve: Itaque Sacerdos, cui dispensationis cura commissa est, non so-lum sine cupiditate, sed etiam cum laude pietatis, accipit a populodispensanda et fideliter dispensat accepta; QUI OMNIA SUA,AUT PAUPERIBUS DISTRIBUIT, AUT ECCLESIAE RE-BUS ADJUNGIT, ET SE IN NUMERO PAUPERUM, PAU-PERTATIS AMORE, CONSTITUIT; ita ut UNDE PAUPE-

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RIBUS SUBMINISTRAT, INDE ET IPSE TAMQUAM PAU-PER VOLUNTARIUS VIVAT. De Vita Contemplativa 1. II, C.XI.

256 L. V, ep. 21.257 De Vita Contemplativa 1. II, c. IX, dove merita segna-

tamente d’essere osservata quella sentenza: Quod habet Eccle-sia cum omnibus nihil habentibus habet commune, come quellache dimostra l’opinione che allora s’avea dell’essere i beni dellaChiesa non d’uso individuale, ma comune.

258 Questa massima è anche registrata nel decreto di Grazia-no, Can. XII, Q. II, cap. XXII, dove si riporta uno de’ canoniapostolici, che dice: Ex his autem, quibus Episcopus indiget (SITAMEN INDIGET) ad suas necessitates et peregrinorum fra-trum usus et ipse percipiat, ut nihil ei possit omnino deesse.

259 E però, secondo questi sentimenti, quanto meno benefizi,parola che rammenta un dono che fa il signore temporale a chivuole, del suo?

260 De Vita Contempl. 1. II, c. X.261 Questo si rileva da S. Cipriano, che a’ lettori Celerino ed

Aurelio attribuisce la stessa porzione che davasi a’ Sacerdoti utet sportulis eisdem cum presbyteris honorentur (Ep. XXXIII), eda S. Gregorio M. in diverse delle sue lettere, in una delle qualiscrive ad un Vescovo: De redditibus Ecclesiae, quartam in inte-gro portionem Ecclesiae tuae Clericis, secundum meritum vel offi-cium, sive laborem suum, ut ipse unicuique dandum perspexeris,sine aliqua praebere debeas tarditate. 1. XI, ep. LI.

262 L. I, ep. LXIV; I. II, ep. V; I. III, ep. XI; I. IV, ep. XXVI;I. VII, ep. VIII; I. XI, ep. LI. Nella Spagna la porzione de’poveri lasciavasi unita a quella del Vescovo e del Clero inferiore,e così i beni ecclesiastici restavano tripartiti.

263 Egli par cosa probabile, che non sempre la quadruplicepartizione si dovesse intendere di parti uguali, ma la misura del-le singole parti variasse, secondo i bisogni. Il che osserva Car-lo Sebastiani Berardi nella sua opera sopra il Decreto di Gra-ziano dove, riferito un canone di Gelasio Papa, soggiunge: Inquo sane illud observandum est, quadripartitam illam ecclesiasti-corum redituum distributionem non adeo rigide esse intelligen-dam, ut ad proportionem quandam, ut vocant, geometricam, non

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ad arithmeticam rationem exigatur. Gratiani Canones etc. p. II,c. XLVI; De Gelasio.

264 Fra le più deplorabili illusioni di parole, o per dir meglio,vere menzogne, debbonsi enumerare le commende. Per eluderela legge che vietava l’accumulamento in una sola persona dipiù benefizj, si davano a commenda, cioè gliene si affidavae raccomandava l’amministrazione. Questa amministrazionede’ beni ecclesiastici fin anco de’ monasteri e de’ Vescovati,concedevasi anche a persone laicali, che così ne godevano aman salva i frutti: come chi dicesse, dandosi una pecora allupo, che ciò si fa per raccomandarla alla sua diligenza! Tuttala giurisprudenza fu pervertita da’ somiglianti nequitosissimemenzogne.

265 Act. XX, 35.266 «Mi è Iddio testimonio, scrive S. Agostino nella Lett. CX-

XVI, che tutta la procurazione di tutte queste cose ecclesiasti-che, di cui si crede che noi abbiamo la signoria, è tollerata nonamata da me, per la servitù, che io debbo alla carità de’ fratellie al timor di Dio: di maniera che se io potessi farne senza, salvoil mio ufficio, lo bramerei».

267 In Luc. c. XVIII.268 L’umanità si trova sempre in tutti i tempi difettosa; ma ciò

che noi vogliamo distinguere è l’errore parziale ed eccezionaleda quello che è passato in consuetudine universale, guastandoper poco lo stesso corpo sociale, ed abolendo le massime su cuisi regge.

269 Sed numquam id laici suscipere voluerunt (Possidio in VitaAugust.).

270 Hom. XI, in Ep. ad Cor.271 Sono registrate nel Corpo del Giure Canonico le magnifi-

che dottrine di S. Ambrogio e degli altri Padri intorno allo spi-rito di liberalità della Chiesa sempre pronta a spezzare i vasi sa-cri per soccorrere i vasi viventi redenti col sangue di Cristo. Siveda Graziano, Caus. XII, Quest. C. II, LXX e LXXI

272 L’immunità dalle imposte dee considerarsi secondo dueperiodi diversi degli Stati. Perocché tutti i moderni Stati d’Eu-ropa dal tempo della loro fondazione al nostro mutarono affat-to di natura. Nel primo periodo erano Signorie: in questo pe-riodo ciò che contribuivano i sudditi era cosa privata del prin-

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cipe che signoreggiava, e faceva andare lo Stato per suo con-to: quindi rimettendo i pubblici carichi a chi voleva, egli dona-va del suo: così n’andarono esenti i nobili e gli ecclesiastici. Magli Stati Europei si cangiarono lentamente, per un segreto lavo-ro del Cristianesimo e principalmente per l’influenza de’ Papi,in vere Società civili. Qui comincia la questione: in una societàcivile è egli secondo l’equità che i beni della Chiesa vadano im-muni dalle pubbliche gravezze? A cui si dovrebbe rispondereche nell’ipotesi che questi beni non eccedessero il bisognevoleal mantenimento del Clero, o il di più si desse a’ poveri, non sa-rebbe contro l’equità un tal favore; ma trattandosi di beni ec-cedenti tali bisogni, ovvero non applicandosi più all’opere anti-che della beneficenza, egli è ragione che paghino come tutti glialtri; e ad ogni modo questo è il partito più decoroso, e più utileper la stessa Chiesa.

A render valide le alienazioni de’ beni ecclesiastici si mol-tiplicarono le formalità, sopra quelle richieste a convalidare lealienazioni de’ beni privati; e fra l’altre disposizioni si prolun-garono gli anni della prescrizione: all’opposto alla validità d’untestamento in favor della Chiesa si diminuirono le formalità ri-chieste per tutti gli altri testamenti: fu egli giusto? Consideratequeste disposizioni come armi di difesa contro le frodi che ab-bondavano a usurpare quel della Chiesa assai più che a usurpa-re quel de’ privati, esse non si possono al tutto riprendere. Con-siderate sotto un altro aspetto, alcune di tali disposizioni meri-tano altresì lode di giustizia, in quanto cioè emendavano le leg-gi civili, e preparavano la via a leggi più eque, di cui avrebbe-ro un tempo goduto egualmente tutti i cittadini. Così le forma-lità richieste dalle leggi romane per la validità di un testamentoerano, o certo eran divenute, eccessive. La Chiesa se ne richia-mò per conto delle sostanze ecclesiastiche, e così mostrò la viaalla riforma della legislazione in tal punto, e accrebbe con ciò lalibertà di testare a tutti. Or poi, corretta la legislazione, egli èdesiderabile che la Chiesa fra le nazioni incivilite non sia favo-rita d’alcun privilegio che migliori la sua condizione nell’ordi-ne temporale; bastandole che le si lasci quel diritto sacro e in-violabile ch’ella si ha per natura, la libertà, la piena libertà nonsolo di ricevere e di amministrare da sé quanto spontaneamen-te le offeriscano o le hanno già offerito i fedeli, ma altresì di da-re, di largheggiare secondo quello spirito di carità che l’anima ela informa.

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273 Si consideri l’elezione de’ primi Diaconi. Gli Apostoliconvocano la moltitudine de’ discepoli, e le parlan così: Con-siderate ergo, fratres, viros ex vobis boni testimonii septem, ple-nos Spiritu Sancto et sapientia, quos constituamus super hoc opus(Act. VI, 2). Lasciano che la moltitudine gli scelga secondo ilsuo buon giudizio (Considerate ergo, fratres): a se stessi non ri-serbano che la conferma e l’ordinazione. Era un usare il menopossibile della pienezza della potestà che avean da Cristo. Qualdivina prudenza! Tal dovrebbe esser la norma di tutti i Prelati.

274 1 Cor. XVI, 2-4275 1 Cor. VI, 12.276 In Ep. ad Cor. Hom. XXI.277 Sess. XXIII, c. IV.278 Jo. X.279 S. Cipriano nella lettera LXVIII argomenta questo diritto

e questo dovere che ha la plebe cristiana di separarsi da un Ve-scovo infedele appunto dalla facoltà che ha la medesima plebed’intervenire col suffragio all’elezione de’ propri Pastori. Prop-ter quod, dice, plebs obsequiens praeceptis dominicis et Deummetuens a peccatore Praeposito separare se debet, nec se ad sacri-legi sacerdotis sacrificia miscere, quando ipsa maxime habet pote-statem eligendi dignos Sacerdotes vel indignos recusandi.

280 Un erudito a questo testo appone la seguente annota-zione: Locus, si qui alius, apprime utilis ad intelligendumquae fuerint partes Cleri et Populi in Episcuporum ordinatione.Kατ´αστασις ad Apostolus et Episcopos, συνευδóκησιςad plebem spectat.

281 Il gran Pontefice S. Leone ripeteva certamente la voce diquesta primitiva tradizione quando, interpretando una sentenzadell’Apostolo Paolo, scriveva: Ut Apostolicae auctoritatis normain omnibus servaretur, QUA PRAECIPITUR ut Sacerdos Eccle-siae praefuturus non solum ATTESTATIONE FIDELIUM, sedetiam eorum qui foris sunt testimonio muniatur.

282 Ved. Codex Canonum Ecclesiae primitivae illustratus, 1.II, c. XI, § XVIII.

283 In una lettera a Fabio Vescovo d’Antiochia riferita daEusebio, H. E. I. VI, c. XLIII, Cornelio dimostra che Novato siera intruso tiella sedia apostolica con una elezione peccante dimolte irregolarità, fra le quali della mancanza del consenso dcl

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popolo: cum universus Clerus multique ex populo, refragarenturetc. V. S. Cipriano, Ep. 24.

284 S. Giulio nella lettera che scrisse in difesa di S. Atanasio eche da S. Atanasio stesso ci fu conservata, non si scandalezzadell’aver detto S. Atanasio, che il popolo dovea intervenireall’elezione de’ Vescovi, secondo la legge divina, anzi riconosceed accetta tale dottrina d’Atanasio, dichiarando che Gregorionon poteva ammettersi nella sede Alessandrina neque plebicognitum neque postulatum a presbyteris. (Athan. Ap. c. II).

285 S. Zosimo condanna Lazaro ed Erode come invasori del-l’episcopato anche per ragione che la plebe non li voleva: plebeet clero contradicente, ignotos, alienigenas intra Gallias sacerdo-tia usurpasse. Ep. III.

286 S. Bonifacio in una sua Costituzione ordina che rimangavescovo, quem ex numero Clericorum – divinum iudicium etuniversitatis consensus elegerit.

287 S. Celestino ai vescovi della Gallia scrive: Nullus invitisdetur episcopus. Cleri, plebis et ordinis consensus, requiratur.Ep. II.

288 Niuno più di S. Leone il grande sentì l’utilità di mantenerela libertà del popolo nell’elezioni de’ suoi pastori, secondol’antica tradizione, di cui sono documento tante sue lettere.Eccone alcuni brani:Ep. LXXXIV. Cum de Summi Sacerdotis electione tractabitur,ille omnibus praeponatur, quem Cleri plebisque consensus con-corditer postularit. Metropolitano defuncto, cum in locum eiusalias fuerit subrogandus, Provinciales Episcopi ad civitatem Me-tropolitanam convenire debebunt, ut omnium Clericorum atqueomnium civium voluntate discussa ex Presbyteris eiusdem Eccle-siae, vel ex Diaconibus, optimus eligatur.Ep. LXXXIX. Exspectarentur certe vota civium, testimonia po-pulorum, quaereretur honoratorum arbitrium, electio clericorum,quae in Sacerdotum solent ordinationibus, ab his qui norunt PA-TRUM REGULAS custodiri. – Teneatur subscriptio Clericorum,Honoratorum testimonium, ordinis consensus et plebis. Quipraefuturus est omnibus, ab omnibus eligatur. – Nullus invitiset non petentibus ordinetur, ne Civitas Episcopum non optatumAUT CONTEMNAT AUT ODERIT ET FIAT MINUS RELI-GIOSA QUAM CONVENIT, cui non licuit habere quem voluit.Nulla ratio sinit ut inter Episcopos habeantur, qui nec a Clericis

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sunt electi, nec a plebitus expetiti, nec a Provincialibus Episcopiscum Metropolitani iudicio consecrati.

289 Nella lettera di S. Ilario Papa si domanda conto d’un ve-scovo che n’avea consacrato un altro senza il popolare consen-so, nullis petentibus populi.

290 Questo santo Pontefice trovava nella voce del popoloche domandava alcuno a suo’ vescovo un gran segno delladivina volontà. In una sua lettera (Ep. XXV) scrive: IstamSacerdotibus ordinandis reverentiam servet electio, ut in gravemurmure populorum divinum credatur esse iudicium. Ibi enimDeus, ubi simplex sine pravitate consensu.

291 S. Gregorio Magno fu zelantissimo nell’esigere l’assensodel popolo, secondo l’antica tradizione, prima di confermare iVescovi, come si rileva da molte sue lettere. Le lettere LVI eLVIII del libro I e le lettere III, VIII, XXX del libro II sonorivolte non meno ai Cleri che alle plebi di Rimini, di Perugia,di Napoli e di Nepi, esortando gli uni e le altre all’elezionidei loro vescovi. Ecco altri luoghi delle medesime lettere checonfermano la stessa dottrina:L. II, Ep. XIX. Qui dum fuerit postulalus, cum solemnitate de-creti omnium subscritionibus roborati et dilectionis tuae testimo-nio litterarum, ad nos veniat sacrandus.L. II, Ep. XV. Saltem tres viros rectos ac sapientes eligite, quosad hanc urbem generalitatis vice mittatis, quorum et iudicio plebstota consentiat.

Questo gran Pontefice era così dilicato in conservare liberal’elezione de’ vescovi e de’ popoli, che aveva preso per massimad’astenersi egli stesso da tutto ciò che la potesse diminuire,come chiaramente si raccoglie dalle lettere 1. I, Ep. XIV eLX; 1. II, Ep. XXIX e XXXVIII.

292 Questo Papa imitò i grandi pontefici Leone e Gregorionella delicatezza di non prendere parte alle elezioni lasciando-le liberissime, e così poté più efficacemente difenderne la liber-tà anche contro la usurpazione de’ principi: poté, a ragion d’e-sempio scrivere a Carlo Magno: Numquam nos in qualibet elec-tione invenimus nec invenire havemus. Sed neque vestram Ex-cellentiam optamus in talem rem incumbere. Sed qualis a Cleroet a plebe, cunctoque populo electus canonice fuerit, et nihil sitquod sacro obsit ordini, solita traditione illum ordinamus (Con-cil. Gall. t. II, p. 96, 120).

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293 S. Gregorio VII non fu inferiore a nessuno de’ suoi prede-cessori né ai magni Leone e Gregorio nello zelo di mantenere leantiche tradizioni e di mantenere e rivendicare al Clero non me-no che al Popolo la piena libertà delle vescovili elezioni. Tut-te te sue lettere, tutti gli atti della sua vita lo comprovano. Nonrecheremo qui che pochi luoghi per saggio.

1. Scrive al Clero e al Popolo Carnotense perché elegganoil loro pastore praemissis orationibus, atque triduano ieiunio cielemosinis. L. IV, Ep. 4, 5.

2. Ordina che sia rimosso il vescovo d’Orléans crome intrusosine idonea Cleri et Populi electione. L. IV, Ep. 16; I. V, Ep. 5,11, l4.

3. Si congratula col Clero e col Popolo della stessa cittàperché avessero eletto canonicamente a vescovo Sanzone. Ibid.

4. Non cede al desiderio del Re Filippo che fosse promos-so vescovo certo Abate senza che precedesse l’elezione canoni-ca a Clero e Popolo quia Sanctorum Patrum statura sequi et ob-servare cupimus, e ripete nella stessa lettera: electio canonica etsanctorum Patrum regulis consonans dignoscatur. L. V.

5. Scrive universo Clero et Populo Arelatensi per esortarliall’elezione del loro Vescovo. Lib. VI, Ep. XXI.

6. Scrive per la stessa cagione al Clero e al Popolo di Reims.L. VIII, Ep. XVI. Vedansi egualmente le lettere XVII-XX delI. VIII e XVIII del I. IX.

7. Il Concilio Romano dell’anno 1080 tenuto sotto lo stessoGregorio VII, prescrive il modo dell’elezione canonica col can.6 che incomincia: Instantia Visitatoris Episcopi, qui ab Apostoli-ca vel Metropolitana sede directus est, Clerus et Populus, remotaomni saeculari ambitione, timore atque gratia, Apostolicae Sedisvel Metropolitani sui consenso, Pastorem sibi secundum Deumeligat.

Sarebbe troppo lungo riferire quanto fece Gregorio VII perdifesa delle libere elezioni a Clero e Popolo, e il Thomassin opi-na che la gran lotta delle investiture fra la Chiesa e l’Impero nonavrebbe avuto luogo, se Enrico IV avesse permesso che prece-desse all’investitura l’elezione canonica a Clero e Popolo (Vetuset nova Eccl. discipl., p. II, 1. II, c. XXXVIII, § II). Basteràdire che questo grandissimo Papa imitò la delicatezza del pri-mo Gregorio, di Leone e di Adriano d’astenersi ordinariamen-te d’ingerirsi nelle elezioni perché non fosse punto diminuita,secondo l’antico norma, la piena libertà del Clero e del Popolo.V, App. Ep. III.

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294 Questi due pontefici ed altri seguenti camminarono sul-la stessa via segnata dal sommo ristoratore dell’ecclesiastica di-sciplina Gregorio VII, e mantennero fortemente al Clero e alPopolo il suo diritto d’intervenire nelle elezioni de’ vescovi.

295 S. Athan. Apol. II.296 Ejectionem quoque, ut supra memoratum est, Summorum

Sacerdotum sibi DOMINUS reservavit, licet electionem eorumbonis Sacerdotibus et SPIRITUALIBUS POPULIS CONCESSIS-SET. Can. XI, Dist. LXXIX.

297 Ep. I ad Decentium Ep. Can. II, Dist. XI.298 Can. 3.299 Ep. omnibus ubique solitariam vitam agenlibus etc., n. 74.300 Ep. encyclica ad omnes ubique comministros Dominos

dilectos, n. 2.301 Ep. omnibus ubique solitariam vitant agentibus etc., n. 14.302 In c. VIII Levit. Hom. VI.303 L. M. Frano Hallier spiega appunto in questo modo la

mente d’Origene, qui (Origenes) notat Moysem elegisse presby-teros quos ipse norat: populo vero ducem nequaquam, nisi ex di-vina revelatione et Synagoga congregata, eligere ausum fuisse: si-mili enim ratione Episcoporum, qui sunt populi duces, eleclio-nem videtur Ecclesia maioris momenti censuisse, quam ut Epi-scoporum, INCONSULTA PLEBE, arbitrio permitteret. (Desacris electionibus etc., p. I, sect. I, c. II, a. IV).

304 In Act. Ap. Hom. XIV. Questo Padre insegna la stessadottrina: deduce la necessità di fare intervenire il popolo nelleelezioni vescovili non meno dagli esempi dell’antica legge, cheda quello degli Apostoli. Osserva che gli Apostoli non eleggo-no i Diaconi propria sententia e che prius rationem reddunt mul-titudini, e soggiunge: quod etiam nunc fieri oportet (ibid.). Unasimile osservazione egli fa parlando dell’elezione di S. Mattia:Iam illud quod Petrus agit omnia ex communi discipulorum sen-tentia, nihil auctoritate sua, nihil cum imperio (In Act. Hom.III), e ciò quantunque riconoscesse la piena potestà che avevaPietro di eleggere da se stesso. Noi possiamo considerare que-sto gran Padre quale testimonio autorevole della tradizione diAntiochia e di Costantinopoli: giacché se la dottrina di questeChiese fosse stata diversa, S. Giovanni Grisostomo l’avrebbesaputo e non avrebbe interpretata così la Scrittura.

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305 Haeres. LXIX, n. 11.306 Ep. ad Evangelium.307 Vetus et nova Eccl. disciplina, p. II, 1. II, c. I, VI.308 Epistola encyclica Concilii Aleaxandrini, in Athan. Apol.

II.309 Ad Ep. Orthodox., n. 2.310 Veggasi il Beveregio nell’edizione dei Pp. Apostolici.311 S. Athan., Ep. ad omnes ubique vitam solitariam agentes.312 Ad omnes ubique solitariam vitam agentes, n. 29.313 Si avverta qui di nuovo, che noi diciamo l’intervento del

popolo nelle elezioni vescovili essere di un diritto divino pura-mente morale. Laonde il considerarsi il Vescovo come intruso,quando entrava nella sede contro la volontà del popolo, pro-veniva unicamente dal diritto ecclesiastico; il che è quanto di-re, che la Chiesa non gli attribuiva la giurisdizione e non gli da-va la missione, appunto perché ella voleva che ci avesse l’assen-so del popolo richiesto moralmente dalla divina ed apostolicatradizione.

314 Quando un autore viene assalito sulle parole da lui pro-nunciate vi ha luogo ad una discussione dalla quale può emer-gere la verità: non così quando l’incolpazione non ha altro fon-damento che le intenzioni che si suppongono nel segreto dell’a-nimo. Tale è l’accusa che alcuni mi danno di voler io che la sa-cra liturgia si celebrasse nelle lingue volgari. Una sola parola ionon dissi di ciò, né mai altro sentii in questo argomento se nonquello che sente e definì la santa Chiesa. L’occasione d’una tale.accusa si fu l’aver io storicamente indicate le cause per le qualipresentemente il popolo cristiano che assiste alle sacre funzioninon vi prende tutta quella parte attiva, che gli assegnano i ritie lo spirito della Chiesa. Storicamente adunque dissi che que-sta divisione del popolo cristiano dal Clero funzionante è po-co a poco avvenuta per due cause, cioè per la scarsa istruzionedata al popolo intorno alle funzioni sacre, e per essersi perdu-to l’uso della lingua latina coll’introduzione delle lingue novel-le. Nulla più io dissi; e tuttavia questo bastò allo zelo di alcu-ni per inferirne in me l’intenzione di volere che si riducesserole funzioni in lingua volgare! Impugnano forse costoro la veri-tà delle due cagioni da me storicamente indicate? No, ché nolpossono: in quella vece essi aggiungono da loro stessi e mi at-

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tribuiscono quello che non ho detto io: Voi volete dunque, es-si conchiudono, la lingua volgare? Io risponderò loro: Fratel-li miei, leggete un poco più innanzi nel mio libro e si dissipe-rà in voi ogni sospetto. Io non indico solo storicamente quelledue cagioni del male; ma ben anco ne propongo il rimedio. Equale è questo rimedio? Forse quello che voi interpretate, chele sacre funzioni si riducano in lingua volgare? Oibò, nulla diquesto: io non propongo un tale rimedio che sarebbe peggioredel male: per unico rimedio io addito «una maggiore istruzionedel Clero», perocché il Clero maggiormente istruito nello spi-rito del culto ecclesiastico, e nel succo vitale di esso sentirebbemaggiormente l’importanza e saprebbe trovare le vie d’istruireil popolo e di farlo partecipare più intimamente e gustare più davicino i sacri riti e tutto ciò che si dice e si fa a suo riguardo nel-la Chiesa. Questo io dissi, unicamente questo nell’operetta Del-le cinque piaghe della Santa Chiesa, e non punto altro; e questodimostra manifestamente, che io non parteggio con quelli che,non intendo la divina sapienza della Chiesa, vorrebbero cangia-ta la lingua ch’essa adopera nelle sacre funzioni. Ad ogni mo-do, per acquietare ogni scrupolo, io protesto qui e solennemen-te dichiaro, che m’attengo in tutto e per tutto a quanto è de-finito intorno a ciò nella sapientissima bolla Auctorem fidei, especialmente alle proposizioni XXXIII e LXVI.

315 Diss. VII.316 De Legibus, lib. X, c. 6.317 Quodlib. IV, a. XIII, e Quodlib. IX, a. XV; e In IV Dist.

XXVII; Q. III, a. III, ad 2.318 Questa fu la cagione, tutta eccezionale e temporanea,

per la quale si vantava Pipino d’aver ricevuto dal PonteficeZaccaria la facoltà di provvedere alle sedi vacanti, ut acerbitatitemporum industria sibi probatissimorum decedentibus Episcopismederetur. Lupus Ep 81.

319 L’incuria degli ecclesiastici nel mantener libere le elezioni,secondo l’antica formola, è attestata dai Concili del tempo. IlConcilio II d’Orléans can. 7 dice: In ordinandis MetropolitanisEpiscupis antiquam instituzionis formulam renovamus, QUAMPER INCURIAM OMNIMODIS VIDEMUS OMISSAM. ItaqueMetropolitanus Episcopus a Comprovincialibus Episcopis, Cleri-cis vel Populis electus, congregatis in unum omnibus Comprovin-cialibus Episcopis ordinetur. Il medesimo si rileva dal Concilio

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V di Parigi can. 1, il quale ristabilisce l’elezioni a Clero e Popo-loiuxta Statuta Patrum.

320 Volgarmente si crede che la settima e l’ottava sinodo, te-nute nei secoli VIII e IX cioè quando i popoli settentrionali pre-cipitati sull’occidente e sul mezzodì aveano imbarbarite in granparte le più civili contrade d’Europa, sciolti i vincoli dell’anti-ca società, e gettati i popoli più colti nell’ignoranza e in tutte lecalamità, abbiano rimosso interamente il popolo dall’interveni-re col suo suffragio alle elezioni vescovili. Ora questo è falso.Se si esaminano accuratamente i canoni di quei Concili genera-li si trova per l’opposto, che altro non fanno se non opporsi al-le invasioni dei Principi e de’ loro magnati nelle elezioni vesco-vili e così proteggere la libertà della Chiesa.. Ecco il can. IIIdella Sinodo VII, che è la seconda di Nicea (a. 787): Omniselectio a principibus facta episcopi aut presbyteri aut diaconi, ir-rita maneat secundum regulam quae dicit: Si quis Episcopus sae-cularibus potestatibus usus, ecclesiam per ipsos obtineat, depona-tur et segregentur omnes qui illi communicant (Cant. Ap. XXX).Oportet enim ut qui provehendus est in Episcopum, ab Episco-pis eligatur; quemadmodum a sanctis patribus qui apud Nicaeamconvenerunt, definitum est etc. Il titolo di questo canone prepo-sto alla traduzione dell’Herveto è appunto così: quod non opor-teat a princibus eligi episcopum. Egli è dunque evidente che quinon si tratta di escludere la plebe cristiana dal dare la sua testi-monianza: non si abroga nulla di ciò che faceva la Chiesa primadi questo concilio, si rinnovano anzi i canoni apostolici e i de-creti del primo Concilio Niceno, che non escludono certamen-te il popolo: e insomma altro non ha di mira il Concilio, se nondi proteggere la libertà delle elezioni vescovili contro l’invasio-ne in esse delle podestà laicali, che in quei tempi tendevano adassorbire colla violenza non meno i diritti dei popoli che quel-li della Chiesa. Si vuole che i Vescovi eleggano, come era statofatto per innanzi, il che non toglie che il popolo continuasse adesprimere il suo desiderio e a dare la sua testimonianza, comepure si era fatto in sino allora.

Il Concilio VIII, Costantinopolitano IV (a. 869), coi can.XII e XXII rinnova la stessa prescrizione concordans, come di-ce, prioribus Conciliis, niente abrogando o innovando delle anti-che tradizioni. Anastasio Bibliotecario riferendo in compendioil Can. XII così lo annuncia: Statutum est etiam istud admodumEcclesiae Del proficuum, ne favore principum eligantur episcopi.Vero è che nel Can. XXII dopo essersi ordinato neminem lai-

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corum principum vel potentum semet inserere electioni vel pro-motioni patriarchae vel metropolitae, aut cuiuslibet episcopi, nevidelicet inordinata hinc et incongrua fiat confusio, si soggiunge:praesertim cum nullam in talibus potestatem quemquam potesta-tivorum vel ceterorum laicorum habere conveniat, sed potius sile-re, ac attendere sibi, usquequo regulariter a collegio Ecclesiae su-scipiat finem electio futuri pontificis. Ma che fa ciò? Primiera-mente, egli è fuor di controversia che nessun laico ha potestà dieleggere il Vescovo, questa appartiene ed è sempre appartenu-ta all’autorità della Chiesa cioè ai Vescovi e al Sommo Pontefi-ce: convien dunque distinguersi l’autorità di eleggere dal dirit-to del popolo di dare la propria testimonianza il quale solo noidifendiamo; 2. il Concilio parla dei singoli laici, non del corpodei fedeli, ed ha in vista di escludere le prepotenze dei principie dei laici potenti; 3. il Concilio ordina che i laici tacciano sinoalla fine dell’elezione; dunque permette che dopo fatta l’elezio-ne, esprimano il loro consenso e la loro accettazione; 4. il Con-cilio permette di più che se qualche laico è invitato dalla Chie-sa non solo a dare la sua testimonianza ed accettazione all’e-letto, ma a concorrere altresì all’elezione, il faccia, purché mo-destamente, si vero quis laicorum ad concertandum et cooperan-dum ab Ecclesia in vitatur, licet huiusmodi cum reverentia, si for-te voluerit, obtemperare se asciscentibus; 5. vuole che l’elezionedell’ordine ecclesiastico sia comune, consonante e canonica, e ladifende contro la invasione de’ singoli laici potenti che toglies-sero ad impedirne l’effetto: Quisquis autem saecularium princi-pum et potentum, vel alterius dignitatis laicus (si parla sempredei singoli laici d’alto grado), adversus communem ac consonan-tem atque canonicam electionem ecclesiastici ordinis agere tenta-verit, anathema sit etc. 6. Finalmente è da osservarsi che dopoquesti Concili non cessò nella Chiesa orientale l’intervento deipopolo nelle elezioni, se non poco a poco; il che deve attribuir-si allo stato degradato del popolo stesso, i cui diritti erano as-sorbiti dall’assolutismo de’ governi civili, onde esclusi i principie i potenti dalle elezioni, venia con ciò a cessare anche l’inter-vento del popolo o non curante, o non lasciato libero né mancoin questo dalla laicale potestà, che voleva ingerirsi essa in vecedel Popolo.

Ottima cosa ella è il difendere e da ogni taccia vendicare ladisciplina moderna approvata dalla Chiesa, ma questo si deefare colla verità e colta lealtà, perché la Chiesa non vuol altro, elo zelo che muove a giustificare la Chiesa ne’ moderni suoi atti,

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non dee pregiudicare alla gloria veniente alla Chiesa stessa da’suoi atti antichi. Laonde non è lodevole imitare certi scrittorigreci del basso impero, come Zonara e Balsamone, i qualipregiudicati nelle loro sentenze dalle consuetudini del tempo incui viveano, quando il popolo non interveniva più alle elezioni,mentirono dicendo che la facoltà d’intervenire era stata tolta alpopolo dal Concilio I Niceno, ai cui canoni si riferiscono quellidel Niceno II e Costantinopolitano IV.

Acciocché poi niuno creda che l’interpretazione da me reca-ta a questi Concili sia soltanto mia, e quindi i miei avversari tro-vino nuova cagione di sparlare di me, rammenterò che l’erudi-tissimo Lodovico Tomassino spiega appunto le deliberazioni diquei Concili al modo ch’io feci, e al modo che chiaramente ad-dita il testo di quei Canoni. Perocché rispetto a quanto defi-nì il Concilio VII, queste sono le parole del Tomassino: Ut er-go Nicaeni I Concilii Canone ita Episcopis adsignabatur summaelectionum potestas, ut Cleri Populique nihilominus momenti ali-quid haberent suffragia, quorum tamen omnium arbitri et iudicesessent Episcopi; non aliter Nicaenae II Synodi Canone supra lau-dato, ita constituitur Episcoporum quidam authoritatis apex, utnec Clero tamen, nec populo sua excutiantur suffragia etc. (Vetuset Nova Ecclesiae disciplina, p. II, 1. II, c. XXVI, 1). E le stes-se osservazioni fa quel dotto raccoglitore della disciplina eccle-siastica sulle disposizioni del Concilio ecumenico VIII, dimo-strando con molti esempi che anche dopo di esso continuò adintervenire il popolo nelle elezioni vescovili, secondo gli antichicanoni.

321 Gen. II, 15-17; IX, 2-5.322 Act. XX, 28.323 Egli è certo che anche al presente una città, a cui fosse

mancato il Vescovo, potrebbe esprimere il suo desiderio peravere a successore questa o quella persona di sua confidenza, eper escluderne un’altra. Questo è avvenuto più volte anche neitempi moderni, né la Chiesa ha mai riprovato queste spontaneemanifestazioni della pubblica opinione de’ fedeli. Nell’ordina-zione poi dei Sacerdoti, si suol fare ancora, secondo il Ponti-ficale Romano, la cerimonia e di domandare al popolo la buo-na testimonianza del Chierico che si promuove e, come dice loHallier, nec hoc nostro tempore populus excusatur, si de meri-tis vel demeritis ordinandorum interrogutus reticeat, indignorum

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ordinationi aeque ac dignorum consensum praebendo. De sacriselectionibus et ordinationibus etc. P. I, c. II, a. II.

324 Ep. IV325 Ep. II ad Victricium Rothomagensem Ep. – Can. 5, dist.

64.326 Apolog. XXXIX.327 Vita Alexandri Severi, c. XLV.328 Epist. X, ad Episcopos Viennenses.329 Anche dopo l’ottavo sinodo si continuò, comunemente

parlando, soprattutto nell’occidente, a condurre le elezioni deiVescovi a clero e popolo. Gregorio VII, come apparisce dallesue lettere, fu tenacissimo di questa antica consuetudine, cheanche nel secolo seguente fu in gran parte ritenuta. Vedi S.Bernardo, ep. XII e XVII.

330 Epist. LXVIII.331 Ibid.332 Sess. XXIV, De Reform. c. 1.333 Epist. LXXXI334 Domenico Cavallerio ne’ suoi Commentari De Iure Cano-

nico osserva come i popoli erano divenuti bel bello indifferen-ti all’elezione dei loro pastori in sulla fine del secolo XII. Va-riis, dice, et frequentibus regum ad episcopos constituendos no-minationibus suffragia populi ferme ceciderant, et quo temporesub Callisto II (ann. 1120-1125) canonicae electiones restitutaesunt, populi non multum videntur fuisse suffragiorum appeten-tes. P. I, c. XXII, § XIII.

335 Can. II, D. 62.336 Epist. LXVIII.337 Vita S. Athanasii in nova edit. eius operum.338 Epist. II, cap. V, ap. Gratianum, can. XIII, D. 61.339 Epist. II ad Episc. Narbonens.340 Epist. XII ad Anastas., edit. Quesnell.341 L. I Capitular., c. LXXXV. L’imperatore Onorio avea

proibito altresì, ne Clerici ex aliena possessione vel vico, sed exeo, ubi Ecclesiam esse constiterit, ordinentur. (L. XXXIII, C.Th. De Episcop.).

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342 S. Cyprian. Epist. LXXXVIII.343 Cap. Quia propter, c. LVII. Il Cavallerio nei suoi Com-

mentari De iure canonico, p. I, c. XXII, § XIV dice: DignitatesEcclesiarum conferendae sunt dignioribus, et hinc potius ponde-randa, quam numeranda suffragia. Sed ne in rixas et turbas suf-fragiorum ponderatione evaderent electiones, moribus receptumest, ut maior pars exprimat totius corporis consensum. V. Cabas-sut, Theor. et prax. Jur. Canon., 1. II, c. 24.

344 A torto crede Pietro de Marca (De C. S. et I., 1. VIII, c.VI, n. 2) che questo canone escluda dalle elezioni la parte in-fima del popolo, interpretando óχλoυς per vilem plebeculam,giacché questa parola, come fu già osservato da altri, significapropriamente i tumulti e le sedizioni. V. Tomass., De V. et N.Eccles. Discip., p. II, 1. II, c. II.

345 Sess. XXIV, De Reform., c. I.346 Ibid.347 Così egli sembra che il Sommo Pontefice Simplicio abbia

ammonito il Prefetto del Pretorio Basilio sotto Odoacre re de-gli Eruli, che nelle elezioni dei Vescovi dovesse trovarsi presen-te per dar man forte a comprimere i tumulti e le sedizioni, eche lo stesso Basilio abbia poi preteso di più che senza di luinon si potessero eleggere i Vescovi. Onde Cresconio Vescovodi Tivoli nella sinodo romana tenuta l’anno 502 si lagnò del-l’editto di Basilio in queste parole: Hoc perpendat sancta Syno-dus, si praetermissis personis religiosis, quibus maxime cura estde tanto Pontifice, electionem laici in suam redegerint potesta-tem: quod contra canones esse, manifestum est. Teodorico rede’ Goti, morto il Pontefice romano, per mettere un termine al-le discussioni ed alle lotte, che duravano da due mesi, nominòFelice III, a cui null’altro era pari in eccellenti qualità nel Cle-ro romano, e il Senato e il popolo spontaneamente l’accettaro-no come si rileva dalle lettere del re Atalarico in Cassiodoro (1.VIII, ep. XVI). Per questa ragione parimenti, acciocché fossercompresse le turbe e le violenze, Giovanni IX nella sinodo ro-mana dell’anno 898 volle che il nuovo Pontefice fosse consecra-to, non eletto, alla presenza dei magistrati civili e coll’aiuto del-la pubblica forza, com’egli stesso dichiarò: Quia sancta romanaEcclesia plurimas patitur violentias, Pontifice obeunte: quae obhoc inferuntur, quia absque imperatoris notitia et suorum legato-rum presentia fit consecratio: nec canonico ritu et consuetudine

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ab Imperatore directi intersunt nuntii, qui violentiam et scanda-la in eius consecratione non permitterent fieri etc. (Ap. Labb. t.IX. Concil.). E quindi non rade volte i Concili stessi, richiese-ro i principi saggi e devoti alla Chiesa, che facessero essi stes-si la scelta di qualche Vescovo, temendosi altramente gravi di-scordie. Ma quel che era un’eccezione, i principi vollero poiche fosse un diritto ordinario, e il potessero esercitare a loro ar-bitrio: invece di prestare il loro aiuto alla Chiesa, quando lo ri-chiedeva per la necessità di evitar le discordie e le violenze ches’intromettevano nelle elezioni e che essi soli, aventi la forza inmano, potevano comprimere, pretesero che a loro, fossero an-che caduti nell’eresia, appartenessero di continuo e per dirittoproprio della civil podestà le elezioni vescovili. Onde i continuireclami della Chiesa e gli sforzi replicati di questa per rivendi-care dalle mani dei principi la libertà a lei inerente di elegger-si i suoi pastori: Ubi ille canon, esclamava S. Atanasio, ut ex pa-latio mittatur is, qui episcopus futurus est? aut quod genus ca-nonis quo licitum est militibus Ecclesiam invadere et episcoposconstituere? (Ep. ad solitar.)

348 Parlando del consenso del Re che si richiedeva prima dellaconsecrazione sotto i Franchi, il Cavallerio scrive: consensus au-tem regius, electioni accedens, non nuda erat probatio, sed potiusex caussis facta confirmatio, licebatque ideo regibus factam elec-tionem expendere et ex caussis reiicere, e poco appresso: caussaeautem, quibus licebat Regibus electos excludere, erant illae ipsae,quae electiones minus legitimas faciebant, petebanturque vel exelectionum vel personarum vitiis. Fin qui ottimamente. Ma aqueste cause se ne aggiungeva un’altra, si electus minus aptusesset servitio Regis, la quale proveniva dal sistema feudale: on-d’essa non potrebbe più aver luogo ai dì nostri, quando i Ve-scovi non sono e non possono essere servi dei Re, o della civilpotestà. V. Cavall., Comment. De I. C. p. 1, XXIII, § II.

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