LA FUNZIONE-FRIEDRICH NELLA POETOLOGIA ANTILIRICA DI PAUL CELAN

24
Camilla Miglio LA FUNZIONE-FRIEDRICH NELLA POETOLOGIA ANTILIRICA DI PAUL CELAN Abbiamo più di un motivo – amaro – di mettere tra vir- golette quanto di notevole è stato fatto attorno a noi e ha raggiunto rango e nome; la poesia è il luogo dove tutto ciò, senza menare vanto di una presunta originalità così ottenuta, gravato piuttosto anche di questo peso, spera di trovare ancora una volta sistemazione in parole. – Viviamo in un tempo dove ci si legittima ovunque all’esterno, per non doversi giustificare davanti a se stessi. In questo senso la lirica conserva a sé, nella sua foggia odierna, l’oscurità dell’«illegittimo»; si presenta senza referenze, senza indicazioni, dunque senza virgolette. P. Celan, Microliti 1 1. Germania 1956-1959: questioni aperte nella «lirica moderna» Nel 1956 compare sulla scena culturale tedesca La struttura della lirica moderna 2 di Hugo Friedrich. Ne vengono immediatamente adottati (per adesione o polemica) lessico e strumentario interpretativi da studiosi e cri- tici dell’epoca. Scompaiono invece dalla scena europea, sempre nel1956, due grandi autori: il 7 luglio a Berlino ovest Gottfried Benn; il 14 agosto a Berlino est Bertolt Brecht. Morirono com’erano vissuti, sotto un cielo diviso. Furono entrambi, paradossalmente, gli antipodi di riferimento del- la giovane generazione in cerca di orientamento poetico e intellettuale in una Germania tutta da ricostruire dal punto di vista etico ed estetico. Got- tfried Benn, già ammiratore del «mondo dorico» 3 nazista e poi disilluso 1 P. Celan, Microliti, a cura di D. Borso, dall’edizione critica tedesca di B. Wiedemann e B. Badiou, Rovereto, Zandonai, 2010. Tutte le citazioni dai Microliti sono tratte da questa edizione, salvo alcune non comprese nella scelta di Dario Borso, tradotte da Borso stesso o da me direttamente dall’edizione critica P. Celan, Mikrolithen sinds, Steinchen. Die Prosa aus dem Nachlaß, a cura di B. Wiedemann e B. Badiou, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 2005. 2 H. Friedrich, Die Struktur der modernen Lyrik, Reinbeck bei Hamburg, Rowohlt, 1956; ed. cit.: Id., La struttura della lirica moderna. Dalla metà del XIX alla metà del XX secolo, nuova edizio- ne, tr. it. di P. Bernardini Marzolla, con un saggio di A. Berardinelli, Milano, Garzanti, 1983. 3 G. Benn, Dorische Welt (1934), Id., Sämtiche Werke, a cura di G. Schuster, Stuttgart, Klett-

Transcript of LA FUNZIONE-FRIEDRICH NELLA POETOLOGIA ANTILIRICA DI PAUL CELAN

Camilla Miglio

LA FUNZIONE-FRIEDRICH NELLA POETOLOGIA ANTILIRICA DI PAUL CELAN

Abbiamo più di un motivo – amaro – di mettere tra vir-golette quanto di notevole è stato fatto attorno a noi e ha raggiunto rango e nome; la poesia è il luogo dove tutto ciò, senza menare vanto di una presunta originalità così ottenuta, gravato piuttosto anche di questo peso, spera di trovare ancora una volta sistemazione in parole. – Viviamo in un tempo dove ci si legittima ovunque all’esterno, per non doversi giustificare davanti a se stessi. In questo senso la lirica conserva a sé, nella sua foggia odierna, l’oscurità dell’«illegittimo»; si presenta senza referenze, senzaindicazioni, dunque senza virgolette.P. Celan, Microliti 1

1. Germania 1956-1959: questioni aperte nella «lirica moderna»

Nel 1956 compare sulla scena culturale tedesca La struttura della lirica moderna 2 di Hugo Friedrich. Ne vengono immediatamente adottati (per adesione o polemica) lessico e strumentario interpretativi da studiosi e cri-tici dell’epoca. Scompaiono invece dalla scena europea, sempre nel1956, due grandi autori: il 7 luglio a Berlino ovest Gottfried Benn; il 14 agosto a Berlino est Bertolt Brecht. Morirono com’erano vissuti, sotto un cielo diviso. Furono entrambi, paradossalmente, gli antipodi di riferimento del-la giovane generazione in cerca di orientamento poetico e intellettuale in una Germania tutta da ricostruire dal punto di vista etico ed estetico. Got-tfried Benn, già ammiratore del «mondo dorico»3 nazista e poi disilluso

1 P. Celan, Microliti, a cura di D. Borso, dall’edizione critica tedesca di B. Wiedemann e B. Badiou, Rovereto, Zandonai, 2010. Tutte le citazioni dai Microliti sono tratte da questa edizione, salvo alcune non comprese nella scelta di Dario Borso, tradotte da Borso stesso o da me direttamente dall’edizione critica P. Celan, Mikrolithen sinds, Steinchen. Die Prosa aus dem Nachlaß, a cura di B. Wiedemann e B. Badiou, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 2005.

2 H. Friedrich, Die Struktur der modernen Lyrik, Reinbeck bei Hamburg, Rowohlt, 1956; ed. cit.: Id., La struttura della lirica moderna. Dalla metà del XIX alla metà del XX secolo, nuova edizio-ne, tr. it. di P. Bernardini Marzolla, con un saggio di A. Berardinelli, Milano, Garzanti, 1983.

3 G. Benn, Dorische Welt (1934), Id., Sämtiche Werke, a cura di G. Schuster, Stuttgart, Klett-

CAMILLA MIGLIO86

«poeta statico»4 dell’emigrazione interna, auto-stilizzato nel personaggio del vecchio saggio illusionista, fuori e al di sopra degli accidenti dell’og-gi, in volo sugli eoni, trapiantatore di sillabe e fonemi, incantatore mitico, teso tra costruzione della forma e abbandoni primordiali verso affascinanti dimensioni del profondo. Bertolt Brecht, tra i primi ad aver preso la via dell’emigrazione vera, portatore di un’idea di letteratura engagée, dentro la storia, intrisa e compromessa col mondo fino al più cinico ma strategi-co dolo, oltre che al più poetico, acuto, sentimentale dolore. A entrambi guardava, alla fine degli anni Cinquanta, la generazione dei poeti nati negli anni Venti. Per molti di loro si trattava di trovare una mediazione tra i poli dell’impegno politico e di una sperimentazione formale che non diven-tasse formalismo. Autore esemplare di questa mediazione è Hans Magnus Enzensberger, indubbiamente influenzato sia dallo sperimentalismo ben-niano sia dall’impegno brechtiano.

In questa cornice va pensato il successo di Hugo Friedrich e la reazione difensiva di un altro poeta nato negli anni Venti, Paul Celan – un outsider, tra anni Cinquanta e Sessanta la voce più contundente in lingua tedesca, tuttavia non tedesco, estraneo, ebreo orientale (veniva dalla Bukovina, ter-ra già austroungarica, poi rumena, in ultimo ucraina), apolide e poi cittadi-no francese, che in tedesco, nella lingua degli assassini, andava risillabando con esattezza, spregiudicatezza sperimentale, la sua oscura aderenza alla realtà dell’orrore dei campi di concentramento e di sterminio, all’assenza e alla distruzione di un mondo.

Per molti versi Friedrich si pone in continuità con l’idea di «lirica» for-mulata da Gottfried Benn già nel 1951 in Problemi della lirica. Si può dire che sia stato Benn a introdurre tardivamente nel discorso estetico tedesco, bloccato dalle censure antimoderne dell’era nazista, le categorie della po-esia che la tradizione critica sussume sotto il modernismo europeo: Valéry, Eliot, Pound. Di Benn è la riduzione schematica della lirica moderna alle categorie di artefatto, assenza dell’io, spersonalizzazione. Ma già (o ancora) di Benn è l’elemento che compensa la fredda esattezza del calcolo: l’«ora» (Stunde) della regressione e dell’involuzione, della perdita dionisiaca del sé. In effetti, il Benn post-1951 si sarebbe avvicinato sempre più a modelli di-scorsivi, dialogici, spuri, ironici, che non trovano spazio nella sua ars poetica e non vengono recepiti da Friedrich (mentre vengono recepiti, per esem-pio dal già citato Enzensberger e dai teorici e poeti della nuova avanguardia sperimentalista tedesca degli anni Sessanta).

Cotta, 1989, vol. VI, pp. 124-153; tr. it. Mondo Dorico (1933), in Id., Lo sguardo sul nulla, a cura di L. Zagari, Milano, Adelphi, 1992.

4 Il volume intitolato Statische Gedichte, raccoglie testi scritti durante gli anni di «emigra-zione interna», pubblicato nel 1949, si può leggere nella traduzione italiana: G. Benn, Poesie Statiche, a cura di G. Baioni, Torino, Einaudi, 1981.

LA FUNZIONE-FRIEDRICH NELLA POETOLOGIA ANTILIRICA DI PAUL CELAN 87

La forza del libro di Friedrich sta nella brillantezza dello stile e nella chiarezza dell’esposizione, nella semplificazione e negli effetti anche psico-culturali da essa provocati. La gestazione dell’opera dura dagli anni Venti agli anni Cinquanta – un tempo che copre l’arco biografico di molti tra i suoi primi attenti lettori. Lo spartiacque nella ricezione del libro è pro-porzionale alle cicatrici lasciate dal quarantennio 1920-1959 nelle diverse storie intellettuali ed esistenziali. Friedrich stesso nell’introduzione al libro racconta di come le prime riflessioni risalgano agli anni Venti, quando, giovane liceale, gli «capitò in mano l’antologia tedesca Crepuscolo dell’uma-nità (Menschheitsdämmerung), curata da Kurt Pinthus».5 Friedrich racconta il progressivo chiarirsi nella sua mente delle relazioni strutturali tra gli autori individuati da Pinthus come voci della crisi nel secolo XIX. Prima il licea-le turbato dalla visione apocalittica di Pinthus e poi l’allievo universitario di Ernst Robert Curtius sono animati da un medesimo tarlo intellettuale. Uscire da un’idea teleologica, di progresso o tramonto dell’umanità, e indi-viduare – oltre la contingenza – più rassicuranti strutture, fuori dal tempo e dallo spazio, che forniscano certezze euristiche. Ne emerge un efficace quadro d’insieme della «lirica moderna» riportato a caratteristiche «strut-turali» riscontrabili nel simbolismo francese. Il sottotitolo della prima edi-zione era nondimeno Da Baudelaire ai giorni nostri, creando un’asimmetria evidente tra la tradizione francese e il resto del mondo; mentre la seconda edizione del 1966, allargando la prospettiva nel sottotitolo Dalla metà del Di-ciannovesimo alla metà del Ventesimo secolo, rivela un altro aspetto notevole del libro: il presupposto di una continuità nelle strutture metaforiche, strut-turali, espressive del linguaggio poetico. Sfogliando i titoli dei paragrafi incontriamo espressioni come dissonanze e anormalità, spersonalizzazione, estetica del brutto, vuota idealità, deformazione e frammentazione, diso-rientamento, rottura con la tradizione, distruzione della realtà, oscurità, monologicità, alogicità. Dei quasi cento anni di poesia Friedrich fornisce anche una ricca antologia, in cui egli stesso traduce i testi. Nel creare un repertorio della lirica moderna egli, comunque, immaginava già di poter essere frainteso dai poeti:

Il libro sarà esposto ad essere in vario modo frainteso. I poeti sono gente sensi-bile, compresa della propria originalità, e i loro ammiratori accarezzano questa sensibilità. E perciò temo soprattutto che venga frainteso nel senso che io avrei costretto in un’unica forma i molti poeti che cito. Ora, un simile fraintendi-mento si rivolgerebbe proprio contro quello che è l’intendimento del libro, il quale vuol dare una visione dei sintomi, dei caratteri della lirica moderna al di sopra delle personalità, delle nazionalità, dei decenni.6

5 Friedrich, La Struttura, cit., p. 7.6 Ibid., p. 9.

CAMILLA MIGLIO88

Ma quello che egli temeva – ovvero una sensibilità urtata a causa di una presunta, misconosciuta originalità – non coglie nel segno nel caso di Paul Celan, non incluso da Friedrich per motivi cronologici (nel 1950 il poeta di Czernowitz non aveva ancora pubblicato abbastanza),7 ma subito dopo il 1956 incluso da critici e recensori nella tipologia individuata dallo studioso. Problematico per Celan era proprio l’argomento esplicitato da Friedrich, la ricostruzione di una koinè della lirica tra il 1850 e il 1950 «al di sopra del-le personalità, delle nazionalità, dei decenni». La pubblicazione dei fogli inediti di Paul Celan rende oggi possibile una rilettura più consapevole delle sue posizioni poetologiche, delle sue scelte di scrittura e traduzione. Si profila serrato il confronto con Hugo Friedrich e con il campo culturale (e politico) di ricezione della sua teoria strutturale della «lirica moderna»; alla quale, accanto allo studioso di romanistica, contribuirono in modo de-terminante anche Gustav René Hocke e la germanistica (e filosofia) inse-gnate a Freiburg. Un appunto di Celan del 1959 sembra scritto proprio come commento a Friedrich: «Non esiste una koinè lirica (lyrische Koinè); esiste una lingua della singola poesia (Gedicht)»;8 O ancora: «C’è (in mone-ta spicciola e men che spicciola) una koinè lirica; e c’è la lingua unica della poesia».9 Poesia non intesa dunque come categoria metafisica ma come singolo, concreto, contingente componimento.

Un punto nevralgico teneva Celan a distanza difensiva rispetto a Frie-drich e Benn. Il loro passare al di sopra dei fatti e dei tempi della storia li rendeva impermeabili alle conseguenze di Auschwitz. Celan raramente pronuncia direttamente il toponimo della distruzione. Per indicarlo usa una circonlocuzione: «quello che accadde», rilevando proprio con l’assen-za di designazione la mostruosità del referente. Al germanista Otto Pögge-ler, Celan esprime addirittura il senso di angoscia che producono in lui un libro e un autore guardati con sospetto per le loro motivazioni profonde.10

7 Commenta Hilde Domin: «Celan non compare nel libro di Friedrich […]. Lui aveva messo sul trono Benn, e dopo di lui, come continuatore della tradizione francese, Karl Kro-low». Cfr. H. Domin, Ins Exil mit Goethe, Heine, Rilke, Joyce. Dankrede bei der Entgegennahme des Rainer-Maria-Rilke-Preises für Lyrik 1976, in Ead., Aber die Hoffnung. Autobiographisches aus und über Deutschland, München, Piper, 1982, pp. 174-179, qui p. 177. Su questo tema cfr. A. Lar-cati, Storia e letteratura nelle poetiche del dopoguerra. Paul Celan, Ingeborg Bachmann, Hans Magnus Enzensberger, in Il senso della storia. Linguistica e scienza letteraria nei paesi di lingua tedesca. Asso-ciazione italiana di Germanistica. Convegno di Studi, Bologna 30 maggio-1 giugno 2002, a cura di A. Destro, numero speciale di «Annali. Sezione Germanica», n.s. XVI (2006), 1, pp. 243-244.

8 P. Celan, Werke. Tübinger Ausgabe - Der Meridian. Endfassung - Entwürfe - Materialien, a cura di B. Böschenstein e H. Schmull in coll. con M. Schwarzkopf e C. Wittkop, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1999, p. 170.

9 Id., Microliti, cit., p. 91.10 Sul ruolo di Friedrich nella Romanistik del Terzo Reich cfr. F.-R. Hausmann, «Aus dem

Reich der seelischen Hungersnot: Briefe und Dokumente zur romanistischen Fachgeschichte im Dritten Reich, Würzburg, Königshausen & Neumann, 1993, pp. 21-44, e Id., «Vom Strudel der Erei-

LA FUNZIONE-FRIEDRICH NELLA POETOLOGIA ANTILIRICA DI PAUL CELAN 89

Parole di Celan a Pöggeler: «[il libro di Friedrich] con tutte le sue molte-plici edizioni si presenta come tipico prodotto dell’università tedesca, che non ha imparato nulla dalla storia».11 Appena un anno dopo il libro di Friedrich, e a esso molto vicino, nel metodo se non del tutto nell’oggetto di studio, esce Die Welt als Labyrinth. Manie und Manierismus in der Europäi-schen Kunst und Literatur (1957-1959) di Gustav René Hocke.12 A sua volta diventato punto di riferimento nel panorama della critica europea, il ma-nierismo viene assunto da Hocke come categoria strutturale per descrivere les longues durées di uno stile orientato all’artificio e non alla natura, alla «Vorstellung» (rappresentazione) e all’esoterica ars combinatoria, più che all’«Anschauung» (l’osservazione del reale). Il discorso critico si poggia su lunghe enumerationes di brevi versi, parole decontestualizzate o frammenti di poesie – metodo che risente dell’insegnamento di Ernst Robert Curtius, maestro di Hocke come già di Friedrich. Nello studio di Hocke, Celan è incluso come manierista contemporaneo. Vi compare in sequenze esem-plificative per illustrare le «astrusità metaforiche» di ascendenza barocca. Così per esempio la «neve rossa» secentesca viene posta come ascendente genealogico del novecentesco «latte nero dell’alba» della celaniana Fuga di morte (Todesfuge),13 uno dei versi più forti mai scritti sul dolore dei prigionie-ri nei campi. Allo stesso modo Hocke non teme, in un altro passo, di citare in un fiato «i moderni di Parigi», come diretti discendenti del manierismo del XVII secolo: volano sui secoli «i ‘moderni’ a Parigi, da Apollinaire a Yvan Goll a Paul Celan».14 Ancora, propone una galleria del «simbolismo astruso» in cui annoverare, per esempio,

le metafore di Celan, in particolare le metafore al genitivo discendenti dall’al-bero genealogico Marino-Apollinaire, diventate moda nella giovane lirica tede-sca: «roccia di gesso del tempo (Kreidefelsen der Zeit)», «bianchi capelli del tem-po (Weisshaar der Zeit)», «tempo cuffia di pietra (Steinhaube Zeit)», «nero latte dell’alba (Schwarze Milch der Frühe)». Inoltre gli ossimori: «la malinconia vivace (Die lebendige Schwermut)», «il coltello della felicità (das Messer des Glücks)». Mol-to marininista: «l’ombra del cuore verde di fogliame (Der Schatten des laubgrünes

gnisse verschlungen...». Deutsche Romanistik im «Dritten Reich, Frankfurt am Main, Kloster-mann, 2008. Friedrich, dal 1933 guardato con sospetto dai romanisti tedeschi non allineati, fu effettivamente iscritto alla NSDAP dal 1938. Sottoposto nell’immediato dopoguerra al processo di denazificazione, fu rilasciato il 13.2.1946 dalle autorità francesi. Su questo sfondo opaco si definisce nel periodo postbellico la sua posizione in favore di una lirica moderna incomunicante col mondo storico (il passato) e con il presente.

11 O. Pöggeler, Der Stein hinterm Aug. Studien zu Celans Gedichten, München, Fink, 2000, p. 163.

12 G.R. Hocke, Die Welt als Labyrinth. Manie und Manierismus in der Europäischen Kunst und Literatur, Reinbeck bei Hamburg, Rowohlt 1957 (ed. cit. 1987).

13 Ibid., p. 136.14 Ibid., p. 351.

CAMILLA MIGLIO90

Herzens)», […]«bosco dei sentimenti (Gehölz der Gefühle)», «fonte dei tuoi occhi (Quell deiner Augen)», «soli della morte (Sonnen des Todes)».15

Proprio Celan chiude l’Antologia in miniatura messa in appendice all’ope-ra di Hocke: l’antologia si apre con la Spagna di Góngora, si chiude con la Germania di Celan,16 e si intitola significativamente Concetti europei 17 – con-cetti intesi nel senso manieristico, marinistico del temine.

2. 1959: Celan «lirico moderno»? L’accoglienza di Grata di parole

La ricezione più ampia della poesia di Celan va di pari passo con l’ac-coglimento di una certa idea di «lirica» propagata proprio dai libri di Frie-drich e Hocke. Non senza qualche ambiguità, egli viene acquisito allo sche-ma friedrichiano da critici influenti come Hans Egon Holthusen e Günther Blöcker.18

Nel 1957 Hans Egon Holthusen, recensendo Di soglia in soglia (Von Sch-welle zu Schwelle) – ma poi di nuovo e con identiche espressioni nel 1964 nella recensione a Niemandsrose – legge Celan per certi aspetti come epi-gono del surrealismo e per altri dell’ermetismo. Abusate, e soprattutto «ar-bitrarie (X-beliebig)» sarebbero le sue «metafore al genitivo (Genitivmeta-phern)»: per esempio, «bianche chiome del tempo (Weisshaar der Zeit)» e «mulini della morte (Mühlen des Todes)». Colpisce che la prima si ritrovi come esempio di manierismo nella monografia di Hocke, e la seconda ven-ga ostinatamente interpretata da Holthusen come arbitraria e lontana dalla realtà. Holthusen non vuole o non sembra rendersi conto della referenza storica nemmeno dieci anni più tardi, dopo una lettera di rettifica firma-ta da Peter Szondi, che metteva in relazione l’espressione, niente affatto metaforica per Celan, con la frase di Eichmann pronunciata a Francofor-te: «faccio andare i mulini di Auschwitz (lasse ich die Mühlen in Auschwitz arbeiten)»; e con un film girato nel 1945 per conto delle autorità USA da

15 Ibid., p. 376.16 Non è la sede adatta per approfondire il tema, ma vada qui solo osservato il gesto di

includere Paul Celan sotto la rubrica Deutschland. Si tratta di un gesto non neutro, che sorvola sulle differenze e assimila percorsi individuali in categorie al di sopra di ogni relazione con la storia. Il poeta di Czernowitz non fu mai cittadino tedesco, né soggiornò mai a lungo in Germania. Fu cittadino rumeno, poi apolide, poi francese. Scriveva, sì, in tedesco, ma la sua relazione con la BRD fu sempre alquanto problematica.

17 Hocke, Il mondo, cit., pp. 513-529.18 Cfr. A. Gellhaus, Von der Dunkelheit des Dichterischen. Die Konzeptgenese der Büchner-Preis-

rede Paul Celans, in Dokument/Monument. Textvarianz in den verschiedenen Disziplinen der europäi-schen Germanistik. Akten des 38. Kongresses der französischen Hochschulgermanistik (A.G.E.S.), Bern, Lang, 2008, pp. 315-326, in particolare 318-320; U. Harbusch, Gegenübersetzungen. Paul Celans Übertragungen französischer Symbolisten, Göttingen, Wallstein, 2005, pp. 29-59; Larcati, Storia e letteratura, cit., 241-243.

LA FUNZIONE-FRIEDRICH NELLA POETOLOGIA ANTILIRICA DI PAUL CELAN 91

Hanus Burger, regista praghese, intitolato appunto I mulini della morte (Die Todesmühlen) e proiettato (pur con tagli e censure) in tutti i cinema della Germania già nel 1946.19

Nel corso del 1959 i toni delle recensioni a Grata di parole si concen-trano sulla Metaphorik e sulla presunta mancanza di ancoraggi della poe-sia nella realtà. I misreadings arrivano, come annota puntualmente Celan, da «sinistra e da destra». Ad esempio dalla penna di Peter Rühmkorf, un esponente di spicco del Gruppo ’47 – dunque del campo che si direbbe progressista e «realista». Un intellettuale come Rühmkorf, che per tutta la vita ha promosso un’idea di letteratura engagée rivolta al proprio tempo – si pensi al titolo della raccolta di poesie pubblicata nel 1979: Scade nel 1999 (Haltbar bis 1999)20 – è influenzato ex-negativo dalle categorie di Hocke e Friedrich; attraverso quelle legge e valuta corrosivamente la scrittura di Celan.21 Rühmkorf lamenta la pretesa della lirica contemporanea di farsi apprezzare «per la semplice presenza di alcuni meccanismi moderni (de-naturalizzazione, disumanizzazione, immagine assoluta etc.)» intesi in sé e per sé come elementi di qualità e realizzazione (Erfüllung) della poesia. Immediato il richiamo alle categorie di Friedrich, per arrivare poi a un attacco frontale a Celan:

Ma che meraviglia – verrebbe da dire – qui un certo poeta fa propria una moda diffusa e ormai trita cercando di giustificarla artisticamente. E questo, nono-stante l’autore, Celan, non rinunci a quella metaforicità abusata sin dai tempi di Mallarmé e che ancora pretende di essere prova di una poetica up-to-date: la riduzione della Natura a schema geometrico, composizione di linee astratte e trasformazione del mondo delle apparenze in qualcosa di pietrificato, metalli-co, vitreo, coriaceo, corneo e infine – cartaceo.22

Dall’altra sponda, sulle colonne del giornale conservatore «Die Welt», il critico e germanista Günther Blöcker recensisce Celan applicando lo sche-ma di Friedrich e Hocke, secondo cui la lirica moderna, monologica, non

19 Nella raccolta di lettere di Peter Szondi si possono leggere scambi epistolari con Rolf Michaelis, direttore della pagina culturale della «Frankfurter Allgemeine Zeitung», che dan-no il polso della situazione. Szondi a Michaelis in due lettere, una del 13 maggio 1964 ricorda le precise circostanze in cui l’espressione mulini della morte non fosse affatto metaforica, ma propria del gergo di Auschwitz a tutti noto. Un critico che «aveva vestito l’uniforme delle SS» presentandosi «alle lezioni del prof. Kutscher in camicia bruna» non poteva ignorare queste implicazioni, e se lo faceva si trattava di un tentativo, consapevole o no, di «coprire con il rimprovero di arbitrarietà la memoria di ciò che è stato» (Cfr. P. Szondi, Briefe, a cura di T. Sparr, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1993, pp. 162-168).

20 P. Rühmkorf, Haltbar bis Ende 1999, Reinbeck bei Hamburg, Rowohlt, 1979.21 Cfr. Harbusch, Gegenübersetzungen, cit., p. 37.22 P. Rühmkorf, Die unterkühlte Romantik des Lyrikers Paul Celans. Paul Celan: Sprachgitter, in

«Die Welt», 16 maggio 1959.

CAMILLA MIGLIO92

intenderebbe «comunicare nulla», sottraendosi alla relazione col mondo: «l’abbondanza di metafore in Celan non procede affatto dalla realtà, né serve per comprenderla».23 Oliver Storz sulla «Stuttgarter Zeitung»24 dichia-ra tutta la sua ostilità alla «moda delle metafore» e a «immagini come quel-le di Celan, che non significano niente, sono solo se stesse e intraducibili». Applicate a Celan, le parole d’ordine friedrichiane vengono a costituire un impianto critico che tende a svalutare la portata estetica dell’opera e a negarne ogni aderenza alla realtà.

3. Celan 1959-1960: una poetologia contro

Esiguo è il corpus dei testi di poetica pubblicati da Paul Celan. Per la maggior parte si tratta di discorsi di ringraziamento in occasione di rico-noscimenti letterari, come il Premio della città di Brema (1958)25 o il Premio Büchner (1960);26 di note del traduttore27 e di saggi radiofonici,28 nel caso della poesia russa e di Mandel’štam (1959); o ancora di lettere circolate nella cerchia di amici e colleghi. L’apertura progressiva degli archivi per-mette oggi un’esegesi più circostanziata dei testi di poetica a vario titolo pubblicati in vita. Sono venute alla luce numerose stesure provvisorie: ma-teriali preparatori al discorso per il già citato Premio Büchner; frammenti di saggi critici abbozzati in concomitanza con la traduzione della Jeune Parque di Paul Valéry e dell’antologia di traduzioni poetiche dall’opera di Osip Mandel’štam; le minute di una conferenza Sull’oscurità della poesia, di cui si dirà più oltre; interventi narrativi o aforistici disponibili oggi nel volume Microlithen sind’s, Steine, curato da Barbara Wiedemann,29 e nell’edizione

23 G. Blöcker, Gedichte als graphische Gebilde, in «Tagesspiegel», 11. 10. 1959.24 O. Storz, Die schimmernden Gitter der Sprache Paul Celans, in «Stuttgarter Zeitung», 14.

3. 1959.25 P. Celan, Ansprache anläßlich der Entgegennahme des Literaturpreises der Freien Hansestadt

Bremen, in Id., Werke in fünf Bänden, II, a cura di B. Allemann e S. Reichert in coll. con R. Bücher, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1986, pp. 185-186; tr. it. Allocuzione. In occasione del conferimento del Premio letterario della Libera Città Anseatica di Brema, in Id., La verità della poesia, a cura di G. Bevilacqua, Torino, Einaudi, 1993, pp. 34-36.

26 P. Celan, Der Meridian. Rede anläßlich der Verleihung des Georg-Büchner-Preises. Darmstadt, am 22 Oktober 1960, in Id., Werke, II, cit., pp. 187-202; tr. it. Il meridiano. Discorso in occasione del conferimento del Premio Georg Büchner. Darmstadt, 22 ottobre 1960, in Id., La verità della poesia, cit., pp. 3-22.

27 P. Celan, Notiz über Ossip Mandelštam, in Id., Übertragungen aus dem Russischen, Frankfurt am Main, Fischer, 1986, pp. 90-91 (ed. or. Frankfurt am Main, Fischer 1949); trad. it. Id., Nota introduttiva a una scelta di poesie Mandel’štam in traduzione tedesca, in Id., La verità della poesia, cit., pp. 40-41.

28 P. Celan, Rundfunk-Essay: Die Dichtung Ossip Mandelstamms, in Id., Tübinger Ausgabe - Der Meridian, cit., pp. 215-221.

29 Celan, Mikrolithen, cit.

LA FUNZIONE-FRIEDRICH NELLA POETOLOGIA ANTILIRICA DI PAUL CELAN 93

italiana curata da Dario Borso.30

In questo ambito si inscrive la polemica e il frequente, sottinteso riferi-mento di Celan a Hugo Friedrich e al Gottfried Benn di Problemi della lirica – proprio perché, come abbiamo già visto, in quegli anni le loro opere ave-vano stabilito una chiave interpretativa accettata in modo indiscusso nel pa-norama critico tedesco e molto presto esportata anche nel resto d’Europa. Le eccezioni notevoli c’erano, e potremmo identificarle in tre nomi esem-plari. Uno della generazione dei nati negli anni Venti, Peter Szondi (nato nel 1929), che negli anni sessanta avrebbe attraversato momenti di grande difficoltà nel sistema universitario tedesco;31 e due della generazione più anziana, Leo Spitzer (nato nel 1887) e Erich Auerbach (nato nel 1892), entrambi icone della diaspora intellettuale e accademica ebraico-tedesca, il cui posto vacante, abbandonato in seguito alla Gleichschaltung nazista, ven-ne occupato proprio dal coetaneo Curtius, maestro di Friedrich e Hocke e dei comparatisti di mezza Europa.

Da non sottovalutare le implicazioni esistenziali e storiche di una querelle che sembrerebbe soltanto estetica e accademica. L’attenzione di Paul Ce-lan per la questione teorica legata alla poesia ermetica e alla lirica moderna s’intensifica nel periodo di deflagrazione del cosiddetto «caso Goll»,32 l’ac-cusa di plagio mossagli dalla vedova del poeta Yvan Goll. In quel periodo, infatti, una serie di recensioni e contributi critici negativi si assomma, nella percezione di Celan, fino a configurare un’unica ossessione persecutoria. Questi elementi, vedremo, costituiranno un colpo irreversibile alla salute psichica dell’autore. La sensazione di non essere capito nella «realtà» del proprio dire poetico,33 la perdita dell’unico «luogo» in cui sentiva di poter abitare e fondare la propria identità (ovvero la lingua e la sua, propria, poesia), determinano in Celan una sindrome da cui non uscì mai, fino all’aprile 1970, data del suo suicidio nella Senna.

Gli anni 1959-1960 costituiscono pertanto un vero e proprio crinale per

30 Celan, Microliti, cit. Diversamente da quella tedesca, questa seconda ordina il materiale con un criterio cronologico e non tematico, rendendo plasticamente il farsi del discorso critico e poetico celaniano.

31 Cfr. L. Jäger, Schwertes Berufung, in Id., Seitenwechsel. Der Fall Schneider/Schwerte und die Diskretion der Germanistik, München, Fink, 1998, pp. 281-294. Vi si documenta nei minimi det-tagli la chiamata all’Università di Aachen di Hans Schwerte, professore attestatosi su posizio-ni liberali di sinistra, ma in realtà già figura centrale della politica culturale delle SS durante il nazismo sotto il (vero) nome di Hans-Ernst Schneider. La sua candidatura venne vagliata da una commissione di professori tutti coinvolti in un passato accademico filonazista. Peter Szondi venne invece subito escluso (cfr. ibid., pp. 47-48).

32 Cfr. in particolare sul legame tra caso Goll e polemica con Friedrich e Benn da parte di Celan, B. Wiedemann, Paul Celan – Die Goll-Affäre. Dokumente zu einer «Infamie», Frankfurt am Main, Suhrkamp, 2000, p. 479.

33 Su questo aspetto Celan insiste già nel discorso di Brema; cfr. Celan, Allocuzione, cit., p. 36.

CAMILLA MIGLIO94

la vita e per la poetica celaniane. Nella struttura antinomica tra le defini-zioni di poesia e storia, presenza/assenza dell’autore, costruzione esteti-ca e confessione etica, si sviluppa il ragionamento di Celan in questo giro d’anni, a partire proprio dal 1959. Il 1959 è decisivo per gli incontri. Celan conosce tre amici importanti per la sua poetica: il poeta Henri Michaux, il critico Peter Szondi, il grecista Jean Bollack; fa l’esperienza di un incontro mancato in Engadina con Theodor W. Adorno, di cui resterà traccia nel racconto Conversazione in montagna (Gespräch im Gebirge).34 Frequenta, nel corpo a corpo della traduzione, La jeune parque di Paul Valéry di cui sempre nel ’59 la «Neue Rundschau» pubblicherà una parte, senza testo a fronte, a marcare l’autorialità del traduttore nell’atto di riscrittura del testo francese. Incontra l’uditorio degli studenti di Parigi: da ottobre è assunto come let-tore di tedesco all’Ecole Normale Supérieure. Accede al grande pubblico, dei lettori e dei critici, con il volume Grata di Parole (Sprachgitter), pubblicato dalla casa editrice Fischer. Un passo verso la canonizzazione? La notorietà e gli incontri vanno di pari passo con l’incomprensione e gli scontri: nel 1959 gli attacchi della stampa, nel 1960 il più grande riconoscimento letterario tedesco, il Premio Büchner. L’incomprensione non è sentita solo come attac-co dei detrattori, ma anche come fraintendimento da parte degli estimato-ri. È il caso della prima Dissertation di laurea tedesca su Paul Celan, datata sempre 1959, che assume Hugo Friedrich come base di partenza metodo-logica.35 Da quel momento in poi è possibile ricostruire un’articolata linea di ricerca che parte dalle premesse della Struttura della lirica moderna, vale a dire da una supposta koinè determinata dalla linea Baudelaire-Mallarmé-Valéry, ora per riconoscerne le caratteristiche nell’opera di Celan, ora per distinguerla, secondo il refrain della polarizzazione tra «Kunst» e «Poesie», «Calcolo» e «Ispirazione».36 La stessa casa editrice Fischer si preoccupa, nel-la quarta di copertina, di presentare Celan come «incomparabile talento artistico (unvergleichliche[n] Artiste[n])» nella linea Trakl-Pound-Eliot-Valéry.

Sempre nel denso 1959 Celan riceve l’invito a partecipare a un conve-gno organizzato dal Wuppertaler Bund 37 sull’oscurità della poesia. Si tratta di un altro incontro mancato, di cui però resta traccia in archivio: un fasci-colo contenente circa 50 fogli, appartenenti, con l’eccezione di due, a un unico blocco con filigrana Myrte Mill. In parte sovrapponibile ai materiali preparatori al discorso per il Premio Büchner (è documentata una migrazio-ne di fogli da quel blocco alla cartella Meridiano), il fascicolo costituisce un

34 P. Celan, Conversazione in montagna, in Id., La verità della poesia, cit., pp. 42-46.35 J. Firges, Die Gestaltungsschichten in der Lyrik Paul Celans ausgehend vom Wortmaterial, Diss.

Köln, 1959.36 Su questo cfr. Harbusch, Gegenübersetzungen, cit., pp. 27-80.37 Il Wuppertaler Bund, era un’associazione per la «rinascita spirituale» della Germania

postbellica. Documentazione sul sito http://www.germlit.rwth-aachen.de/184.html.

LA FUNZIONE-FRIEDRICH NELLA POETOLOGIA ANTILIRICA DI PAUL CELAN 95

corpus importante per chiarire le posizioni di Celan rispetto alle poetiche del dopoguerra. La sua stessa auto-comprensione poetologica si dispiega con un preciso «testo a fronte» o antimodello: il complesso di letture cri-tiche che va da Gottfried Benn a Hugo Friedrich a Gustav René Hocke, cui si aggiunge la nebulosa di commenti, singoli saggi e recensioni che si abbatte sulla poesia di Paul Celan. Esiguo ma incisivo e – come si vedrà più avanti – innovativo è invece il discorso critico di Celan. La sua stessa attività di traduttore proprio degli autori francesi canonizzati da Hugo Friedrich (Baudelaire, Rimbaud, Apollinaire, Mallarmé e soprattutto Valéry) assume un valore di costruzione critica gegenüber, rispetto a, versus, a fronte della vulgata simbolistica che guida le interpretazioni della sua stessa opera tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Celan ne avverte un fondo capzioso, non solo estetico, ma politico e storico.

- Versus Friedrich

In effetti Celan vive un paradosso, e ne è consapevole.38 Per certi aspetti la sua opera possiede le caratteristiche dell’opus constructum, dell’esattezza e del calcolo, dell’oscurità e dell’iscrizione del proprio dire negli spazi bian-chi del silenzio, di un nulla pieno. Da un lato essa si lega alla teologia ebrai-ca negativa, dall’altro non può non venire messa in relazione con aspetti dell’«ermetismo» e della «poésie pure».39 La ricerca di una «unità struttu-rale» (Struktureinheit) nei cento anni che collegano «la metà del XIX alla metà del XX secolo» tradiscono per Celan una cecità di fronte alla grande discontinuità – nel discorso sull’arte, sull’umano, sulla storia – che rappre-senta l’esperienza della Shoah. Una discontinuità marcata già nel 1948 da Adorno, che decreta «barbarico» scrivere poesia dopo Auschwitz.40 Celan non consente al veto di Adorno, peraltro successivamente temperato e ride-

38 Numerosi i suoi appunti sulla natura necessariamente aporetica, paradossale della sua poesia; cfr. per es. Celan, Mikrolithen, cit., p. 96.

39 Ho avuto modo di scriverne in: C. Miglio, Celan e Valéry. Poesia, traduzione di una di-stanza, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1997, e Ead., Vita a fronte. Saggio su Paul Celan, Macerata, Quodlibet, 2005.

40 Cfr. Th.W. Adorno, Kulturkritik und Gesellschaft, in Id., Prismen. Kulturkritik und Gesel-lschaft, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1955, p. 334; tr. it. Critica della cultura e società, in Id., Prismi. Saggi sulla critica della cultura, Torino, Einaudi, 1955, pp. 3-22: 22; e sulla sua cosiddetta ritrattazione cfr. Th.W. Adorno, Engagement, in Id., Noten zur Literatur, cit., II, 1961, p. 422; Id., Negative Dialektik. Meditationen zur Metaphysik, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1966, p. 353; trad it. Dialettica negativa, Torino, Einaudi, 1975. Si veda anche, sul dibattito dei e sui po-eti «dopo Auschwitz», e sulla riflessione dello stesso Adorno sul problema, nelle opere succes-sive, P. Kiedaisch (a cura di), Lyrik nach Auschwitz? Adorno und die Dichter, Stuttgart, Reclam, 1995; E. Traverso, Scrivere poesie dopo Auschwitz: Paul Celan, in Id., Auschwitz e gli intellettuali. La Shoah nella cultura del dopoguerra, Bologna, Il mulino, 2004, pp. 137-168; P. Gnani, Scrivere poesie dopo Auschwitz. Paul Celan e Theodor W. Adorno, Firenze, La Giuntina, 2010.

CAMILLA MIGLIO96

finito. Anzi: parlare è dovere; ma barbarico è pensare di poter continuare a coltivare un linguaggio puro e armonioso, lontano dalla storia. Ciò non significa abbandono della forma. Al contrario, implica una radicalizzazione del senso della forma nel qui e ora di un mondo danneggiato, post Au-schwitz. Questo, in sostanza quanto Celan utilizza per sé della teoria estetica di Adorno, e che consente di misurare la distanza di Celan dai teorici di una struttura astorica della lirica e di un modo di fare poesia che non tenga conto dell’oggi. Dal punto di vista di Celan, una sensazione di doloroso fraintendimento accompagna dunque la pubblicazione dei suoi versi, ogni qual volta vengono messi in relazione con la poesia pura, con la disumaniz-zazione e con la lontananza da un io storico riconoscibile. Di qui la progres-siva insistenza polemica di Celan nei confronti dell’asse Friedrich-Benn.

- Versus Benn

Benn, con la sua poesia, i suoi saggi e la sua ars poetica, viene conside-rato da Celan un affascinante e cinico antesignano della visione sviluppata nelle opere critiche di Friedrich e Hocke. Negli appunti celaniani non pas-sano inosservate le continue inversioni di segno delle parole chiave ben-niane: Artistik, Regression, Ausdruckskunst, Statik, Lyrik, Gitter-Ich. E nelle sue minute troviamo continuamente e puntualmente contro-interpretazioni di concetti benniani come «arte dell’espressione (Ausdruckskunst)», «artistici-tà (Artistik)», «io-grata (Gitter-Ich)».41

È evidente il tentativo di appropriarsi dello strumentario critico ador-niano-benjaminiano per fondare un’estetica e una poesia – nuove e ne-cessarie, dopo Auschwitz. Da questa prospettiva vanno letti anche i giudizi celaniani sul «fare poesia» in cui il bersaglio sottinteso è Benn, ma forse anche Friedrich:

la fattura (Machart) non spiega la poesia; ma non ci si deve poi meravigliare del fatto che oggi l’interesse si con- centri tutto sulle questioni di fabbricazione e di confezione.

Celan descrive in un appunto la sua presa di distanza dall’estetica della poesia come costruzione, dando corpo anche agli echi sinistri della sua ossessione persecutoria:

Anni fa, per un certo periodo con ammirazione, poi con distanza, ho potuto osservare come dal «fare» (Machen) si passasse alla «fabbricazione» (Mache) e progressivamente alla «macchinazione» (Machenschaft). [...]Le poesie, n’en déplaise à Mallarmé, non vengono fa/bbrica/te con parole e nem-meno, n’en déplaise à certains autres, con materiali – nella poesia ogni sinonimo

41 Cfr. per es. Celan, Mikrolithen, cit., p. 145,147.

LA FUNZIONE-FRIEDRICH NELLA POETOLOGIA ANTILIRICA DI PAUL CELAN 97

viene portato all’assurdo; nella poesia si ripete, in ciò che è singolare e morta-le, la lingua in quanto figura (Gestalt) spirituale.42

Molto vicine a queste riflessioni sono le parole di Ingeborg Bachmann. Nella sua seconda lezione francofortese, anch’essa del 1959, la scrittrice insi-ste «sulla responsabilità nell’arte». Riferendosi a Benn e a Pound, osserva che

non è affatto un caso [...] se per ognuno di questi due poeti, e tali essi sono senza ombra di dubbio, soltanto un passo divideva il puro empireo dell’arte dal traffico più indegno con la barbarie.43

Delle due concezioni dell’io poetico più importanti del dopoguerra te-desco l’una, quella di Benn, resta ancorata alla sua struttura ante Auschwitz, cioè non tiene conto di un rapporto con la morte completamente diverso, da quando nei Lager alla morte è stato sottratto ogni senso. Il punto di partenza di Benn resta la crisi dei grandi sistemi dell’Ottocento: l’idealismo e il positivismo, quindi l’autonomia dell’uomo razionale illuministico. L’ap-proccio è quello post-nietzscheano, arricchito da una quotidiana pratica del mestiere di medico e di poeta, dalla riflessione sul pensiero scientifico e sul pensiero mitico. Per quanto abbia modificato nel tempo la propria poe-tica, con oscillazioni tra «regressione» ed «espressione», pensiero e poesia, Benn resta fedele all’etica della forma.

L’altra concezione dell’io-che-scrive, cui l’opera di Celan contribuisce con la sua poesia e la sua poetica, passa invece attraverso la questione della lingua, prima ancora che della forma. Vale la pena di tornare alla lezione francofortese in cui Bachmann citava Karl Kraus, ricordando

una massima dalla quale [...] non si è mai allontanato e che noi non dovrem-mo mai stancarci di sottolineare: tutti i pregi di una lingua hanno radice nella morale. La lingua è fatto etico, poetico, storico, esistenziale, che si definisce proprio a partire da Auschwitz […].44

Il titolo stesso dell’ars poetica di Gottfried Benn viene messo in questio-ne, inserito in un gioco visuale di elisioni che mostrano la rimozione delle domande (Fragen) e della poesia (Dichtung), per lasciare spazio alla for-mulazione di più generali Problemi della Lirica. Non Lyrik, ma Dichtung è il termine che Celan adotta per il suo fare poesia. Dichtung comprende anche

42 Celan, Tübinger Ausgabe - Der Meridian, p. 74. Ma simili formulazioni anche nella lettera a Hans Bender pubblicata in Celan, La verità della poesia, cit., p. 57.

43 I. Bachmann, Sulle poesie, in Ead., Letteratura come utopia, tr. di V. Perretta, Milano, Adel-phi, 1993, p. 33-54, qui 42.

44 È qui sintetizzato l’incipit del capitolo Celan/Benn: canone inverso, in Miglio, Vita a fronte, cit., pp. 173-202, qui 173-175.

CAMILLA MIGLIO98

la scrittura in prosa, il teatro, oltre alla scrittura in versi. Dichtung è l’espe-rienza di scrittura nell’oggi.

«Lirica – Poesia» simile disagio nei confronti della parola «Schrifttum» (attività dello scrittore) (si legge in Heine)(il disagio/ il progresso in questo) → liricarapporto di tensione lirica = poesiaDomande lirica«Problemi della poesia»45

Viviamo in un’epoca luminosa, un’epoca che illustra tutto; la lirica ha un trat-to mondano: «Felice notte» canta il nostro così gradevolmente incongruente Gott. Benn…

Esplicito è il piglio polemico nei confronti di Benn – ironicamente apo-strofato come «Gott.» (abbreviazione di Gottfried – ma anche «Dio»). Un aforistico monito è dedicato ancora a lui, a quel suo tendere alla cristalliz-zazione dell’eterno oltre la storia:

Benn:

la poesia è tanto poco eterna quanto l’esistere di ciò cui essa, se è una poesia, appartiene. Non il monumento che eternizza l’«immortale» ci fa capire la po-esia; bensì il fiato di chi – mortale – va attraverso la poesia.46

- Versus Hocke

Le insinuazioni di plagio che proliferavano nei feuilleton tedeschi veni-vano costantemente accompagnate da analisi di carattere topologico, con una scrupolosa ricerca di loci paralleli tra l’opera di Celan e Goll. Ciò confe-riva al discorso estetico e poetologico di Celan e alla sua attività di tradut-tore una profonda, drammatica torsione biografica e psichica. Per Celan, il fraintendimento andava a confinare col sospetto di malafede dei critici, e presto scivolò nella percezione di un attacco antisemita da una parte e nella sensazione distruttiva di psicosi da persecuzione dall’altra. Le letture astori-che, anche quando, come certamente nel caso di Hocke e già di Friedrich, non intraprese con l’intenzione di attaccare la sua persona, diventavano nella percezione di Celan il segno tangibile e inquietante di come critici e lettori di fatto compromessi con il clima culturale del terzo Reich usassero ogni mezzo per rimuovere le fratture del passato.

Osservazioni di questo tono sono frequenti nella serie di appunti. Proli-ferano le criptocitazioni da Hocke anche in relazione alla polemica contro

45 Fin qui trad. mia da Celan, Mikrolithen, cit., p. 135, di seguito tr. di D. Borso da Celan, Microliti, cit., p. 71.

46 Celan, Microliti, cit., p. 75.

LA FUNZIONE-FRIEDRICH NELLA POETOLOGIA ANTILIRICA DI PAUL CELAN 99

l’erudita e astorica raccolta di dati esclusivamente tematici e strutturali, co-struzione di repertori culturali sulla base di loci paralleli:

← carico di mondo e zavorra di cultura sono (notoriamente?) due cose diverse.47

Di qui l’avversione nei confronti della «seminarfähige Toposforschung»,48 ricerca basata sui topoi così adatta ai seminari accademici – osserva sarca-stico Celan certamente pensando a Curtius. Ricerca riconosciuta nella ge-nealogia del lavoro di Hocke e Friedrich. Tutte queste «zavorre» vengono sarcasticamente definite come risultato di un «annusar metafore»:

Nessun trobar cluz. Io sono tuo, tu sei mia, «perduta è la chiavetta». Chi va in cerca della poesia per annusare metafore, troverà sempre solo – metafore.49

Per la poesia, che è poesia di uomo, l’uomo è molto più che un semplice orga-no olfattivo reso ipertrofico dalla cultura, e tantomeno l’uomo è una qualche specie di proboscidato.50

4. Celan oltre la lirica moderna: il sistema dinamico della «poesia oggi»

«Non parlo della “poesia moderna”, parlo della poesia oggi».51 Celan si sforza di fare i conti anche con l’interpretazione che la critica letteraria attribuisce al suo stesso poetare, operando così uno spostamento interpre-tativo: dal monologismo alla dialogicità; dalla metafora e poesia assolute alla poesia aperta e «occupabile» (da chi legge); da un’oscurità esoterica a un’opacità fenomenica legata alla natura della poesia come parte della realtà; dalla fuga dalla storia alla presenza nell’«Oggi della poesia». Que-sti passaggi tra io e tu, tra oscurità e luce, tra io empirico e io lirico, tra «Arte (Kunst)» e «Poesia (Poesie)» restano mobili, mai compiuti e assoluti. Sono al contrario instabili e reciproci. Semmai si polarizzano. Tra i due poli s’instaura allora una relazionalità che costituisce il centro della po-etica celaniana. Nel suo lavoro di traduzione possiamo verificare il suo rapporto, stilistico, poetologico, ritmico, tematico, con la linea Friedrich che gli veniva forzata addosso. Le traduzioni celaniane del 1959-1960 sono significativamente distribuite sul fronte del simbolismo monologico (Valéry) e su quello della poesia della realtà e della memoria dialogica (Mandel’štam). Entrambe le esperienze sembrano permearsi vicendevol-mente e creare il campo di forze nel quale si va a situare la scrittura del

47 Celan, Microliti, cit., p. 77.48 Celan, Tübinger Ausgabe - Der Meridian, cit., p. 128, ma vedi anche 72, 193.49 Id., Microliti, cit., p. 75.50 Id., Mikrolithen, cit., p. 138-139.51 Ibid., p. 136.

CAMILLA MIGLIO100

Celan poeta, traduttore, critico.52 Il lavoro di Celan poeta sull’impianto polarizzato del dire poetico e le

sue riflessioni sulla lingua rispetto alla realtà trovano la loro manifestazio-ne più compiuta nel volume, pubblicato nel 1964, La rosa di nessuno (Die Niemandsrose). Uno spazio poroso, in cui le voci di altri poeti, la memoria di luoghi, tempi, anche disparati e lontanissimi, convergono in un campo di tensioni e interferenze dando luogo a un’opera-mondo, un mondo esploso che il poeta si ostina a cartografare. Nel libro, il titolo riscrive l’epitaffio funebre che Rilke aveva voluto per se stesso,53 mentre il sottotitolo rimanda «alla memoria di Osip Mandel’štam». Il primo annoverato nel canone sim-bolista, il secondo individuato tra i poeti della realtà. Insieme formano il viatico per attraversare l’intero libro. Il titolo La rosa di nessuno unisce indis-solubilmente la parola poetica alla traccia di vita, al «carico di mondo» che chi scrive fa gravare sulla pagina. Come una doppia lapide incisa.

Anche nella sua attività di traduttore di questi anni Celan è animato da intenti affini. Incorporare nella propria voce, ri-situare nell’oggi poeti agli antipodi come Paul Valéry e Osip Mandel’štam, tradotti quasi in simulta-nea, per tracciare tra l’uno e l’altro un «meridiano» la cui traiettoria passa per l’io che scrive, che legge, che traduce. Al tema sono stati dedicati nu-merosi studi.54 In proposito vale la pena di ricordare almeno un appunto di Celan che spiega la sua volontà di ricollocare, riscrivere storicamente, tradurre di là da sé, Paul Valéry:

Il tempo in cui, come nella Giovane Parca, la poesia si dava quale «teatro dell’intelletto», una scena su cui lo spirito dava per sé uno spettacolo, – questo tempo è passato. Il pensiero, la lingua rimane, senza voler incarnarsi e presen-tarsi davanti a un occhio ch’è innanzitutto occhio e in quanto tale spirituale, nel suo proprio dominio, un dominio in cui le parole mantengono contatti con chi le pensa, con lui e soprattutto con lui.55

Le carte inedite del Celan critico indicano in maniera esplicita bersagli polemici, letture, confronti poetologici. La conferenza prevista per il Wup-pertaler Bund rivela molti aspetti difensivi rispetto ai misreadings finora elen-

52 Sarebbe interessante indagare i mutamenti di scelte e di strategia traduttiva nell’attività del Celan traduttore della seconda metà degli anni sessanta.

53 «Rose, oh reiner Widerspruch, Lust,/ Niemandes Schlaf zu sein unter soviel /Lidern». «Rosa, contraddizione pura, piacere d’essere/ il sonno di nessuno sotto tante/ palpebre», in R.M. Rilke, Poesie, II, (1908-1926), a cura di G. Baioni, Torino, Einaudi-Gallimard, 1995, pp. 316-317.

54 Su Celan e Valéry cfr. Miglio, Celan e Valéry, cit., Ead., Vita a fronte, cit., pp. 137-172, Harbusch, Gegenübersetzungen, cit. Su Celan e Mandel’štam resta punto di riferimento essen-ziale Ch. Ivanovic, Das Gedicht im Geheimnis der Begegnung. Dichtung und Poetik Paul Celans im Kontext seiner russischen Lektüren, Tübingen, Franke, 1996.

55 Celan, Mikrolithen, cit., p. 133.

LA FUNZIONE-FRIEDRICH NELLA POETOLOGIA ANTILIRICA DI PAUL CELAN 101

cati. Tale problematica continuerà a occupare gli studi teoretici e poetolo-gici di Celan fino alla metà degli anni Sessanta. Qui di seguito riportiamo uno dei molteplici abbozzi d’incipit.

La poesia è in quanto poesia oscura, è oscura perché è poesia. Con ciò, con questa oscurità congenita non intendo però quei cozzi lichtenberghiani di li-bri e teste dei lettori ove non sempre a suonar vuoto è il libro; al contrario, la poesia vuol essere compresa, vuol essere compresa proprio perché è oscura –: come poesia, come «scuro poetico». Ogni poesia reclama dunque comprensio-ne, volontà di comprendere, d’imparare a comprendere.56

Che la questione non sia solo estetica ma politica e contingente, lo di-mostra la parentesi immediatamente successiva:

Si tratta – e qui si fa per l’ultima volta riferimento a tale fenomeno secondario – di vera comprensione, e non di intervento nell’esecuzione e nelle intenzioni, secondo quanto invece si consiglia oggi a livello di Repubblica Federale o d’ altro tipo.

In questo passaggio si sente il dialogo polemico nei confronti di Frie-drich e Hocke. Innanzitutto, la rivendicazione di un’oscurità che non vuol dire mancanza di comunicatività: «la poesia vuole essere compresa». L’oscurità è, in effetti, la condizione affinché «s’inneschi la dinamica della poesia. Altrove, nella stessa serie di appunti, Celan afferma che la poesia non è per i morti, ma per i vivi, e ciò resta valido anche quando il referente è la morte, l’opacità, la distruzione. In tal senso Celan risponde all’idea di Hocke, per cui la moderna lirica «manieristica» discenderebbe dalla «rap-presentazione» (Vorstellung) più che dalla «visione» (Anschauung). Invece, proprio alla Anschauung, al guardare intensivo al proprio oggetto, alla Vi-sion sono dedicati alcuni frammenti dei Materiali preparatori al Meridiano.57 La polemica è contro coloro i quali pretendono di «capire fino in fondo, svelare (durchschauen)» la poesia, di cui egli rivendica una opacità «conge-nita (congenital)». Interessante, al riguardo, è che Celan estragga questa citazione sull’opacità della poesia proprio da Valéry,58 mettendone in que-stione l’immagine monolitica di poeta clarus e correggendo, a suo modo, la lettura che ne aveva dato Friedrich.

È l’opacità a consentire il continuo ri-attualizzarsi della poesia. In questo senso l’esercizio di chi scrive, ma anche di chi legge, è simile all’«epigrafia».59

56 Fino questo punto traduzione di Dario Borso, in Celan, Microliti, cit. p.69.57 Celan, Tübinger Ausgabe - Der Meridian, cit., pp. 191, 98.58 La sua teoria della opacità/ oscurità congenita trae spunto da excerpta degli scritti critici

di Valéry, richiamato in più punti negli appunti celaniani sull’oscurità della poesia.59 Celan, Tübinger Ausgabe - Der Meridian, cit., p. 98.

CAMILLA MIGLIO102

La scrittura è incisione, lapide su cui è inscritta, in modo opaco, la memo-ria. Ma proprio la non trasparenza del significato consente una possibilità di lettura ulteriore, proiettandoci verso il futuro. La poesia scritta aspetta, nel proprio oggi e negli oggi successivi di chi legge, la realizzazione della propria potentia, il proprio realizzarsi come «fenomeno»60 sempre incom-pleto, incompiuto. Ecco perché a Celan non interessano le «eziologie» né le «etimologie» (e la stoccata è a Heidegger oltre che a Benn). Non gli in-teressa il movimento verso il passato, ma la protensione verso il futuro. Non dalla radice, che non possiamo più percepire, ma dai rami protesi nello spazio e nel tempo – «lontani dalla radice (wurzelfern) […] ricaviamo il vero fondamento (Grund)».61

I versi, come gli spazi bianchi, hanno una loro «occupabilità» (Besetzbar-keit) – scrive Celan, rispondendo alla critica di «unbesetzbarkeit» mossagli dai recensori.62 Da questa costante possibilità di «occupare» gli spazi bianchi e «riattualizzare»63 la scrittura Celan deriva un nuovo concetto di versione interlineare.

La poesia, come già detto, vuole essere compresa, si offre come versione inter-lineare. [...] La poesia in quanto poesia porta con sé la possibilità della versio-ne interlineare, realiter und virtualiter; in altre parole: la poesia è, in un modo tutto suo, occupabile. Uso qui, lo dico esplicitamente, il concetto di versione interlineare come definizione ausiliaria; e cioè: non intendo gli spazi bianchi tra verso e verso; vi prego di rappresentarvi questi spazi bianchi nello spazio – nello spazio e nel tempo. Nello spazio e nel tempo dunque, e, vi prego, sempre in relazione con quella poesia.64

Non come spazio bianco tra le righe (presa di distanze da Mallarmé), ma come dinamica ripetizione e rilettura del testo, nello spazio e nel tem-po. Questa idea dinamica è il contrario della poésie pure:65

La poesia oggi non è affatto Poesia pura; sa che non può esistere un poetare puro; a tal fine, per quanto lapidaria si mostri, non potrebbe essere il risultato di processi metamorfici così complessi; a tal fine tra l’altro c’è anche troppo stronzio 90 al mondo. L’altrimenti di certo volubilissima poesia, per quanto ri-guarda l’asse ereditario di colui al quale resta realiter e virtualiter indirizzata, non si mostra per nulla vogliosa di mutare. Scrigni e tesoretti aspettano qui invano.66

60 Cfr. per esempio Paul Celan sulla poesia di Mandel’štam nel radio-saggio del 1959: «queste poesie hanno carattere di fenomeno», in Celan, Die Dichtung Ossip Mandelstamms, cit., p. 215.

61 Celan, Tübinger Ausgabe - Der Meridian, cit., p. 106.62 Cfr. Harbusch, Gegenübersetzungen, cit.63 Celan, Microliti, cit., pp. 81-82.64 Id., Mikrolithen, cit., p. 13265 Ibid., p. 146.66 Celan, Mikrolithen,cit., p. 146, tr. inedita di D. Borso.

LA FUNZIONE-FRIEDRICH NELLA POETOLOGIA ANTILIRICA DI PAUL CELAN 103

La forma della «poesia oggi» non è stabile né statica, non è pura, ma Celan con ciò non la intende ibrida. Essa porta dentro di sé la pluralità di voci e modi, raccolte in modo puntuale, nella singolarità di chi scrive, ma anche di chi legge:

Difficilmente alla poesia oggi si lascia assegnare un concetto di genere; essa ha di volta in volta «qualcosa» dell’ode, qualcosa dell’elegia, qualcosa di giambico o di coreutico, è talora in forma di ballata o di romanza; non è mai solo ode, solo elegia, solo satira, solo ballata, solo romanza. Con ciò non voglio dire che la considero ibrida; penso piuttosto che nella poesia oggi giunge a esprimersi un’individuazione più radicale che mai finora.67

La poesia non può mai avere un compimento in sé avulso dal mondo, ma si realizza continuamente nella storia. Il riferimento è alla tradizione ebraica e alla sua diversa Zeitlichkeit rispetto alla tradizione metafisica occi-dentale:

Nell’ebraismo: Dio non come il venuto e riveniente (ritornante), ma come ilveniente; così il tempo è determinante, codeterminante; dove Dio è vicino, il tempo sta per finire.68

|| … «come nelle case degli ebrei (in memoria di Gerusalemme distrutta) bisogna lasciare sempre qualcosa di incompiuto».Ricordare in poesia – ricordare come assenza.69

Il poeta è al centro non di una manipolazione della lingua, ma di un «accadere linguistico».70

Il «carico di mondo» (Weltfracht)71 è proprio di ogni poesia, come pro-pria di ogni poesia anche quella più «essoterica»72 è l’oscurità. Questa oscu-rità è – nelle parole di Celan – l’ombra che le cose anche terribili, anche indicibili del mondo proiettano. A volte è visibile solo quest’ombra.

Le parole rese solide, le parole-cose nella poesia – inserite in un processo unico, esse puntano alla loro fine, le corrono incontro: stanno nella luce di una «cosa-lità ultima» – dico luce, non dico buio, ma si rifletta: l’ombra che ciò proietta!73

Contingenza, individuazione, dinamica e continua oscillazione tra io e

67 Celan, Microliti, cit., p. 79.68 Ibid., p. 69.69 Ibid., p. 67.70 Celan, Mikrolithen, cit., pp. 96-97.71 Ibid., p. 143.72 Ibid., p. 139.73 Celan, Microliti, cit., p. 79.

CAMILLA MIGLIO104

tu, tra soggetto e mondo, tra presenza e assenza dell’io. La poesia è intesa da Celan come qualcosa di processuale: «processo, accadimento nella poe-sia (Vorgang, Ereignis im Gedicht)».74 Avviene qualcosa che ci spinge oltre le nostre stesse aspettative, anche le aspettative del poeta. Celan rilegge con questi occhi una poesia scritta qualche anno prima e pubblicata nella rac-colta Di soglia in soglia del 1957. Dinanzi a una candela (Vor einer Kerze) non a caso mette in relazione la memoria della madre, l’identità ebraica e la commemorazione funebre, la scrittura poetica, il senso di una frattura nel tempo – «crepaccio del tempo» (Schrunde der Zeit).

Estraneo. Davanti a una candela.Ecco che provavo a rendere visibile il granello di sabbia (Buber, cassid. - // cant. Die Nibelunghi) che chissà quando anche in me dev’essere stato gettato.Mezzanotte, candela, SabbathMa la poesia mi ha condotto fuori da questa rappresentazione, con questa rap-presentazione mi ha portato su un piano nuovo.

In Dinanzi a una candela una voce si rivolge alla fiammella, la candela della memoria, e insieme a un tu femminile teso tra passato materno e pre-sente coniugale. Ed ecco la chiusa, in cui potremmo riconoscere lo scatto, il passaggio su un altro piano di cui scrive Celan nel taccuino del ’59 rileg-gendo la poesia del ’57:

Tu resti, tu resti, tu resti / figlia di una morta, / consacrata al no del mio rim-pianto, / coniugata a un crepaccio del tempo, / cui mi guidò la parola di mia madre, / affinché un’unica volta vacilli la mano / che più e più mi afferra il cuore.

Il «crepaccio del tempo» introduce a un luogo che viene indicato con precisione, ma non esiste più in quanto tale, e mai potrà/vorrà essere rag-giunto. È spazio determinato dal tempo, geografia divorata dalla storia. Celan costruisce un apparato mnemotecnico che nel ripetere (incidere ri-petutamente nella memoria propria e di chi legge, riscrivere sulla pagina) qualcosa che non è più, lo trasforma in spazio-tempo di incontro con chi non è più. Ma questo qualcuno-qualcosa, questo chi, ritornante sotto altra forma ed estensione, testimonia di un’ultima possibilità della poesia, ma an-che della sua impossibilità a ripristinare ciò che è danneggiato, a sanare le fe-rite. L’identità culturale e persino geografica dell’Est da cui Celan proviene è scomparsa. Eppure per tutta la vita egli mantiene viva una relazione attra-verso la scrittura, senza mai tornare in luoghi irredimibili, irraggiungibili.75

74 Ibid., p. 96.75 Cfr. Miglio, Vita a fronte, cit., pp. 27-28.

LA FUNZIONE-FRIEDRICH NELLA POETOLOGIA ANTILIRICA DI PAUL CELAN 105

In questo senso Celan interpreta la figura del «salto», raccolta tra le pagi-ne di Søren Kierkegaard e di Max Scheler. Salto nell’imprevedibilità, nell’o-tre; tutt’altra cosa dall’Artistik, dall’agilità degli «artisti» profilata da Benn.

Lo stesso io della poesia non è un’istanza astratta e impersonale, ma una manifestazione interna e cangiante del rapporto tra lingua individuata e mondo – da intendere secondo le categorie della fenomenologia.

Il vero poetare è antibiografico. La patria del poeta è la sua poesia, cambia da una poesia all’altra.76

L’appartenenza si disloca, la radice si manifesta di volta in volta, si «ri-pete in avanti», nel tempo. Questo l’intreccio tra letture kierkegaardiane e letture fenomenologiche. Un appunto del 19 agosto 1959:

L’io «lirico»/Fenomenologia?/77

La mobilità non riguarda soltanto l’appartenere dell’io alla propria pa-tria-poesia, ma anche il rapporto io-tu. Ancora l’appunto sullo stesso foglio:

ma: polivalenza della poesia: io-tu: non è una relazione fissa

La distinzione viene dunque operata tra una poesia intesa come «lirica moderna» – dove la categoria di moderno prescinde dalle date e dalla sto-ricità – perché è un modello interpretativo strutturale e astorico – e ciò che Celan definisce «la poesia oggi». Das Gedicht (la poesia) è il singolo com-ponimento all’interno della più ampia categoria della Dichtung (il poetare) – individuato e individuale – ogni volta «riattualizzabile» nell’esperienza del destinatario, del lettore che ne fa esperienza come «fenomeno» nel proprio tempo. Il lettore diventa «Mitwisser» (complice) dell’autore, in una dinamica di «reciprocità».

Porosa, spugnosa: la poesia, lei sa delle erosioni cui si espone.78

A questa esperienza di lettura non si sottrae nemmeno il poeta. Egli si trova a dover «sopravvivere alle poesie che scrive»,79 talvolta rendendosi conto che la poesia pubblicata avrebbe potuto esser scritta meglio o non scritta affatto.80 Nei materiali per il Meridiano si parla di un «interrogare i

76 Celan, Microliti, cit., p. 95.77 Celan, Mikrolithen, cit., p. 147.78 Celan, Microliti, cit., p. 79.79 Ibid., p. 144.80 Ibid., p. 145.

CAMILLA MIGLIO106

testi», «porre domande a partire dalla poesia» ma anche «tornare indietro a interrogarla».81

Poesia ← → lettore: occupabilità reciproca (doppio posto vacante).82

Le stesse «correzioni alla poesia» sono la traccia tangibile di «un tornare a guardarle ogni volta da un punto di vista diverso». E non si tratta di «arti-gianato», ma di un «riprendere il dialogo con ciò che abbiamo già detto».83

A Friedrich, Celan risponde anche argomentando sulla natura del silen-zio nella scrittura. Esso non esprime il nulla che porta alla non comunica-zione e al nichilismo; indica, piuttosto, un argumentum e silentio.

Non ci sono nel pensiero solo percorsi logicamente determinati; ci sono anche intuizioni. A tali intuizioni può appartenere ad esempio questa: che, quando la poesia perviene a determinate formazioni sintattiche o fonetiche, si viene spin-ti su piste che essa traccia fuori dal suo proprio dominio, ossia dall’attualità che codetermina la sua necessità. C’è, in altri termini, un tabù linguistico proprio alla poesia e soltanto a essa, che vale non soltanto per il suo lessico, ma anche per categorie come sintassi, ritmo o fonazione; dal non detto esce qualcosa di comprensibile; la poesia conosce l’argumentum e silentio.C’è dunque un’ellissi che non è lecito fraintendere come tropo o addirittura raffinamento stilistico. Il dio della poesia è incontestabilmente un deus abscon-ditus.84

La questione è rilevante non solo per una più profonda comprensione della presenza di Friedrich nel discorso sull’«ermetismo» e sull’autocono-scenza poetica degli autori – qui in particolare di Celan; ma riveste impor-tanza nel dibattito attuale. Basti pensare ai progetti di ricerca su Poesia e Storia che fioriscono negli ultimi anni in Germania, proponendo il discorso sull’oscurità della poesia in senso opposto rispetto a quello della fine degli anni Cinquanta e poi degli anni Sessanta e Settanta.85

81 Ibid., p. 122.82 Celan, Mikrolithen, cit., p. 152; tr. it. inedita di D. Borso.83 Celan, Tübinger Ausgabe - Der Meridian, cit., p. 134.84 Celan, Microliti, cit., p. 71.85 La discussione sul rapporto tra poesia e storia nelle poetiche del dopoguerra deve tener

conto, oltre del saggio panoramico di Larcati, Storia e letteratura, cit., degli studi di H. Korte, Geschichte der deutschsprachigen Lyrik seit 1945, Stuttgrt-Weimar, Metzler, 2004; Ch. Jamme - O. Pöggeler, Der glühende Leertext, Annäherung an Paul Celans Dichtung, München, Fink, 1993, in part. S. Bogumil, Geschichte, Sprache und Erkenntnis in der Dichtung Paul Celans, pp. 127-142 e Ch. Jamme, Paul Celan: Sprache- Wort- Schweigen, pp. 213- 225; D. Lamping, Das lyrische Gedicht, Definitionen zu Theorie und Geschichte der Gattung, Göttingen, Vanderhoeck & Ruprecht, 1993. H.D. Schäfer, Zusammenhänge der deutschen Gegenwartslyrik, in Deutsche Gegenwartsliteratur, a cura di M. Durzak, Stuttgart, Metzler, 1981, pp. 167-199. H.D. Schäfer, Zur Spätphase des hermetischen Gedichts, in Die deutsche Literatur der Gegenwart. Aspekte und Tendenzen, a cura di M.

LA FUNZIONE-FRIEDRICH NELLA POETOLOGIA ANTILIRICA DI PAUL CELAN 107

Molto prima della teoria della ricezione di Jauss o della lettura di Wol-fgang Iser, la posizione poetologica di Celan assume il suo netto profilo antilirico e antimetafisico, fenomenologico e processuale proprio nel con-fronto doloroso e ansioso con i discorsi della critica letteraria a lui contem-poranei. La sua scrittura è aperta, immersa86 in un reticolo (sarebbe forse questa la traduzione più appropriata di Gitter?) di rimandi e richiami, voci d’altri ripetute e riattualizzate «sotto il proprio, individuale angolo di inci-denza»87 esistenziale.

In altre parole, la poetologia celaniana si configura come spazio di riso-nanza, quindi come intermittente contro-discorso rispetto alla linea critica che va da Problemi della Lirica di Gottfried Benn a La struttura della lirica mo-derna di Hugo Friedrich, fino al Mondo come labirinto di Gustav René Hocke. In questo spazio le contro-voci, lo abbiamo visto, appartengono ai teorici del-la «lirica moderna» che per brevità abbiamo definito «funzione-Friedrich». Le voci sorelle vengono da direzioni diverse e intrecciate. Innanzitutto dalla linea Adorno-Benjamin-Szondi, modulata da una forte, personale visione dell’autore, del traduttore. È la voce di un individuo che «senza garanzie»88 si espone al rischio dell’incomprensione pur di farsi attraversare da una storia assurda e devastante, restando sempre – malgrado le apparenze – «tutt’altro che ermetica»,89 tantomeno monologica, alogica, spersonalizzata, o manieri-sta, acrobatica, artificiale. Ma, soprattutto, Celan si lascia accompagnare dal-le voci di altri poeti. Da coetanee e compagne di strada: Ingeborg Bachmann, Nelly Sachs (perché «gli assorellamenti sono sempre più intimi, leganti, de-stinali perché segnati di futuro, degli affratellamenti»90); da poeti della gene-

Durzak, Stuttgart, Metzler, 1971, pp. 148-169; Geschichtslyrik. Historische und systematische Per-spektiven eines Genres. 06.03.2009-08.03.2009, Göttingen, in H-Soz-u-Kult, 12.06.2009, http://hsozkult.geschichte.hu-berl: .de/tagungsberichte/id=2637. Tra gli studi sul rapporto ambi-valente di Celan con le poetiche del simbolismo francese: P. Szondi, Schriften, vol. 2, Essay: Satz und Gegensatz, Lektüre und Lektionen, Celan- Studien, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1978, pp. 345-389; Th. Sparr, Celans Poetik des hermetischen Gedichts, Winter, Heidelberg, 1971. P. Leutner, Wege durch die Zeichen Zone, Stéphane Mallarmé und Paul Celan, Stuttgart-Weimar, Metzler, 1994, pp. 180-234. Miglio, Celan e Valéry, cit., Ead., Vita a fronte, cit.; Harbusch, Gegenübersetzungen, cit.

86 Celan, Mikrolithen, cit., p. 120: «Poesia come immersio, non aspersio». Nel senso di uno stare dentro la lingua e trasformarla, lasciandosi trasformare dal processo di individuazione; e non di una aspersione-distribuzione arbitraria ed esteriore di metafore.

87 Celan, Il Meridiano, cit., p.88 Cfr. I. Bachmann, L’io che scrive, in Ead., Letteratura come utopia, cit., 55-80; ma anche

Celan in un appunto del 1969: «La poèsie ne s’impose plus, elle s’expose», in Celan, Werke, II, cit., p. VII.

89 Cfr. la dedica di Paul Celan al poeta, suo traduttore inglese, Michael Hamburger, sul frontespizio di Grata di parole: «ganz und gar nicht hermetisch!» («tutt’altro che ermetica!»); cfr. M. Hamburger, Introduction, in P. Celan, Selected Poems, translated by M. Hamburger, Harmondsworth, Penguin, 1988, p. 17.

90 Celan, Mikrolithen, cit., p. 100.

CAMILLA MIGLIO108

razione precedente: nell’idea di dialogo da Mandel’štam (fratello dichiara-to), nell’esperimento di interdiscorsività da Eliot e Yeats (il primo quasi mai citato da Celan, e da Friedrich compreso solo a metà; il secondo escluso dal canone di Friedrich e citato come suo punto di riferimento da Celan91), e nella fase tarda dall’ultimo Ungaretti – in quell’«agglutinarsi all’oggi» ungarettiano92 in cui Celan scopre forse una risposta alle molte domande aperte dal mai accettato cliché del «lirico ermetico».

91 Ibid., p. 97: «Yeats: devo a questo poeta più di quanto sia debitore p. es. al surrealismo francese».

92 Variazioni/ ripetizioni creative dell’espressione ungarettiana in Celan, Mikrolithen, cit., p. 125.