Il citaredo degli Argonauti. Orfeo cantore e la poetica dell’incanto, in La favola di Orfeo....

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UnifePress è un progetto editoriale dell’Università di Ferrara. Per informa‑zioni sulle attività e i volumi pubblicati si può consultare il sitowww.unife.it/unifepress

Comitato editoriale: Angela Maria Andrisano, Davide Bassi, GiovanniBelluzzi, Marco Di Tommaso, Riccardo Gavioli, Alessandro Iannucci.

Editing e progetto grafico: Elena Pavini.

LA FAVOLA DI ORFEO

Le>eratura, immagine, performance

A CURA DI

ANGELAMARIAANDRISANO E PAOLO FABBRI

UnifePress2009

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ISBN 978‑88‑96463‑01‑7 ___________________________________________________________

Copyright © 2009, Edizioni UnifePress, Ferrara, via Savonarola 9, 44100Ferrara, e‑mail: [email protected]

Finito di stampare nel giugno 2009 per i tipi della Tipo‑Litografia Italia,s.r.l, Ferrara.

Tu>i i diri>i sono riservati.

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INDICE

I.

II.

III.

IV.

V.

VI.

VII.

VIII.

IX.

X.

XI.

p. 7

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LETTERATURA

Il citaredo degli Argonauti. Orfeo cantore e la poeticadell’incanto, di Alessandro Iannucci

Orfeo in un frammento del commediografo Alessi(Alex. fr. 140, 5 K.‑A.), di Leonardo Fiorentini

Influssi peripatetici sulla rappresentazione di Orfeo eAnfione in Orazio, Ars poetica 391‑401, di Giovanni Zago

Il mito di Orfeo tra poesia e prosa. Citazioni e riscrit‑ture in Luciano di Samosata (Imagines, Adversus indoc‑tum), di Angela Maria Andrisano

IMMAGINE

Per una preistoria di Orfeo in Etruria, di Stefano Bruni

Classicismo e mitologia nelle esperienze artistiche tragli anni Trenta e Quaranta: la figura di Orfeo, di AdaPatrizia Fiorillo

Orfeo a fumetti, di Franco Longoni

Nel regno delle ombre. Rivisitazioni cinematografichedel mito di Orfeo da Cocteau al musical contempora‑neo, di Alberto Boschi

PERFORMANCE

Le metamorfosi di Orfeo, di Paolo Fabbri

Orfeo, Calzabigi e Gluck nelle spire del “teatro diregia”, di Alessandro Roccatagliati

La danza di Orfeo. Cocteau, Grotowski e altre storie,di Daniele Seragnoli

Premessa, di Angela Maria Andrisano e Paolo Fabbri

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XII.p. 213

229

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Il mito di Orfeo tra Jean Cocteau e Lindsay Kemp, diAnna Colafiglio

Riferimenti bibliografici

Gli autori

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PREMESSA

Oggi come ieri, Orfeo e le sue prodigiose gesta continuano a rinnovare laloro multiforme presenza: evocate dalla parola letteraria, rese visibili in figurazionidi ogni sorta, richiamate in vita da performance in ambiti varî. Una materia miticasimile, che ha generato nel tempo una catena per lunghi tratti ininterrotta, si rivelasempre feconda, e capace di nuove sorprese.

Le indagini qui raccolte, distese su di un arco cronologico che va dal mondoantico al Novecento, lo confermano ancora una volta. Tracce inedite o poco note,oppure riconsiderate, sono individuate nella civiltà etrusca per quanto riguarda glistrumenti musicali pertinenti ad Orfeo. Sulla scorta dell’esame delle rare raffigura‑zioni di phórminges, e degli ancor più rari ritrovamenti di Realien restituiti dal mondoetrusco per il VII secolo a.C., Stefano Bruni si occupa degli aspetti organologici deipiù antichi strumenti a corde dell’Etruria e del relativo contesto storico entro cui siinserisce la presenza di questi strumenti, con particolare riferimento ad una piùcompiuta definizione dell’ideologia delle classi aristocratiche.

Sul versante della comunicazione orale nell’antica Grecia e della successivatradizione letteraria il mitico cantore mostra volti cangianti. Il contributo di Ales‑sandro Iannucci si propone di indagare il processo e il contesto della trasformazionedi Orfeo, da cantore tradizionale a eroe eponimo del culto misterico noto come or‑fismo, mettendone in luce i forti tratti di prossimità con il dionisismo. LeonardoFiorentini mostra invece come, in epoca successiva, la menzione del nome di Orfeosulla scena comica abbia una peculiare valenza drammaturgica: è Lino a pronun‑ciare i versi in questione nella omonima commedia, purtroppo frammentaria, delpoeta Alessi.

In àmbito poetico‑teorico leggiamo una esegesi storico‑razionalistica deimiti di Orfeo e Anfione proposta da Orazio ai versi 391‑396 dell’Ars. GiovanniZago ne illustra le ascendenze di tradizione peripatetica, mostrando una voltaancora la pregnanza e la rilevanza del personaggio mitico in questione, che anchein età imperiale entra, ad esempio, con valenze polimorfiche negli scritti di Lucianodi Samosata (A.M. Andrisano).

All’altro capo cronologico, la persistenza e la duttile fungibilità di quel mitoin epoca moderna e contemporanea vengono verificate nei campi del teatro musicale,sia all’atto creativo (P. Fabbri), sia nella fase delle successive riproposizioni. Ales‑sandro Roccatagliati sceglie un caposaldo dell’attuale repertorio operistico (Orfeo

ed Euridice di Calzabigi‑Gluck del 1762), ne evidenzia la struttura narrativa lineare,la presenza di scene di danza e l’essenzialità dei suoi ingredienti visivi (ambienta‑zioni, movimenti e gestualità così come previsti dalle didascalie) che hanno offertospesso campo, nell’ultimo quarto di secolo, alle debordanti inventive di noti registiteatrali (Wilson, Vick, Kupfer, ecc.). Lo studioso si propone di approfondire qualilimiti e contraddizioni possa palesare una creatività registica ignara o ignava rispettoai dati testuali che compendiano in sé natura e senso dell’opera gluckiana.

Passando alle arti figurative, il contributo di Ada Patrizia Fiorillo prende in

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esame il mito di Orfeo e la relativa iconografia nelle esperienze artistiche prodottesitra gli anni Trenta e Quaranta del ventesimo secolo in Italia ed in Europa, guardandoin particolare agli interpreti per i quali tale rivisitazione corrisponde al recupero diuna vitalità primigenia, manifestata attraverso l’accentazione del tema del primordio:si tratta di Corrado Cagli, di Mirko e di Afro Basaldella, le cui poetiche, in apertapolemica con l’arcaismo novecentesco, convergono nella riscoperta di un’“origine”,un rinnovamento creativo del tutto aperto alla realtà del tempo.

Alle origini della civiltà, il canto di Orfeo poteva sedurre tutti i regni dellanatura. Come per le Sirene vale la domanda dell’imperatore Tiberio: che cosa can‑tava il prodigioso cantore? La risposta viene da immagini meno tradizionali, inte‑grate dalla parola. Si tratta del Poema a fumetti di Dino Buzzati, sulla cui relazionecon la tradizione orfica fa luce Franco Longoni nel contesto degli interrogativi co‑stanti da parte della cultura del Novecento sulla valenza orfica della poesia lirica edella musica: l’Orphée‑roi di Victor Segalen, ad esempio, era indirizzato a Debussy.

Non poteva mancare in un volume dedicato ad ogni forma di comunicazioneartistica una riflessione sul cinema, sulla danza e sul teatro del Novecento. AlbertoBoschi mostra come il mito del cantore Tracio riviva negli scritti dei pionieri della“settima arte” e dei testimoni delle prime proiezioni cinematografiche che descri‑vono l’esperienza spettatoriale come una vera e propria catabasi nel regno delleombre, e che d’altra parte esaltano invece la capacità del mezzo filmico di riportarein vita i propri cari defunti, rendendo la morte reversibile. Lo studioso mette in lucecome la maggior parte delle rivisitazioni cinematografiche scelga la strada dell’at‑tualizzazione e della decontestualizzazione, ambientando le metaforiche vicendenelle location più disparate.

Sul versante della sperimentazione teatrale Anna Colafiglio ha scelto di il‑lustrare l’operazione di Lindsay Kemp, personaggio controverso ed eccentrico, con‑siderato l’emblema di un nuovo modo di concepire il teatro e i rapporti tra pubblicoe artista: alla ricerca di una forma di Teatro Totale di matrice wagneriana, che fa ri‑ferimento in primis al teatro antico. Daniele Seragnoli prende le mosse, invece, dal‑l’interpretazione teatrale moderna di J. Cocteau (1926), da ciò che nel suo testo c’eradi innovativo e di non convenzionale, tanto da essere oggetto nel 1959 della primaregia di Jerzy Grotowski.

Ma è facile previsione ritenere che la storia non sia finita qui e che le artitutte continuino a dialogare con la enigmatica figura mitologica, non senza rifletteresulla sua ricezione lungo l’arco di molti secoli.

Angela Maria Andrisano Paolo Fabbri

Ferrara, giugno 2009

LETTERATURA

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ALESSANDRO IANNUCCI

IL CITAREDO DEGLI ARGONAUTI.ORFEO CANTORE E LA POETICA

DELL’INCANTO

«Orfeo dal nome famoso» (ojnomavkluton jOrfhvn): questa la più anticaattestazione del nome di Orfeo, documentata nel frammento PMG 306 (T 2Kern = 864 T Bernabé) del poeta Ibico che verosimilmente apparteneva aun catalogo degli Argonauti1.

Il peculiare e tradizionale aggettivo ojnomavkluto~2 sembra assicurareche attorno alla metà del VI secolo a.C. il nome stesso di Orfeo evocasseuna fama diffusa e sicuramente panellenica3. Ma difficilmente tale fama èda mettere in relazione con una precoce diffusione dei culti orfici o di unpresunto orfismo in Ibico4: un “movimento” religioso legato a Orfeo sembrainfatti svilupparsi solo in un’epoca successiva, attorno al 500, nelle zone pe‑riferiche del mondo greco e solo in età ellenistica il culto si attesta in unadimensione panellenica5.

In questa prospettiva la fama di Orfeo ricordata da Ibico non è ancoraquella dell’eroe eponimo di un culto o di un nuovo movimento religiosoma piuttosto quella del cantore tradizionale, e almeno fino a tutto il V secolosembra questo l’aspetto prevalente della sua polimorfa leggenda. Orfeo non

1 Cfr. MEULI (1921, p. 67); cfr. anche CAVALLINI (1997). Inverosimile la ricostruzioneproposta da Diehl per Alceo 80 = 39a V., e recepita come testimonianza “orfica” daDiels‑Kranz (1 A 2 D.‑K.), fondata sulla improbabile lettura jOr<feuv~> del papiromessa in dubbio già da LOBEL – PAGE (1955, p. 129).2 Nei poemi omerici è solo in Iliade XXII 51 (e così Esichio o 907 e Suda o 372 regi‑strano il valore quasi antonomastico della iunctura ojnomavkluto~ fiAlth~) ed EustazioCommentarii ad Homeri Iliadem IV 570 lo glossa come oJ kai; ejk movnou ojnovmato~ kluto;~kaiv, wJ~ eijpei'n, periwvnumo~ cogliendo il legame (ejk touvtou dialevlutai) con l’espres‑sione eijrwta/'~ m≠ o[noma klutovn di Odissea XIX 183 (cfr. anche Commentarii ad HomeriOdysseam II 198). Ancora, l’aggettivo è utilizzato nella dizione poetica tradizionalein riferimento al gevno~ in Hom.H.Merc. 59 e Semon. 7, 87 W.; cfr. anche Pind. fr. 52f,123 M., in relazione agli Argonauti.3 Ibico è come noto originario di Reggio ma attivo anche a Samo a far data dalla LIVOlimpiade, vale a dire nel 564‑561: per un rapido status quaestionis, cfr. GIANNINI(2004, pp. 51‑53).4 Così MOSINO (1979, pp. 117‑118) sulla scorta anche del fr. 285, 4 PMG in cui in ri‑ferimento alla nascita dei gemelli Molionidi è menzionato un «uovo d’argento»come nel testo sicuramente orfico, ancorché di sei secoli dopo, tramandato da Da‑mascio, Sui principi 55 (F 70 Kern); cfr. anche COLLI (1977, p. 389). Ma si tratta di unaipotesi del tutto improbabile: cfr. CAVALLINI (1997, p. 153) con ulteriori rinvii biblio‑grafici.5 La stessa saga di Orfeo penetra nel mondo greco dall’area nord‑orientale e si inse‑risce nelle tradizioni panelleniche attraverso il mito degli Argonauti; così le origini

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è solo il protagonista di saghe e di episodi attorno ai quali si cristallizzauna tradizione mitica e religiosa panellenica, ma anche – o soprattutto – lapersonificazione dell’efficacia psicagogica della comunicazione poetica ar‑caica.

Le altre fonti letterarie e iconografiche più antiche confermano que‑sta immagine di Orfeo come cantore e citaredo tradizionale e sembranoconcentrarsi attorno due episodi fondanti: la sfida nel canto con le Sirenedurante la spedizione argonautica e quella con Ade nella catabasi per ri‑portare in vita la sposa perduta Euridice. Al di là della funzione eziologicache tali racconti hanno esercitato nel successivo sviluppo del culto, in en‑trambi i casi Orfeo vi compare innanzi tutto come il cantore per antonoma‑sia. La tradizione argonautica, in particolare, parrebbe la più antica, quellache in un certo senso innesca e sviluppa altri temi legati alla biografia leg‑gendaria di Orfeo: appunto la perdita della sposa e la discesa nell’Ade, lacapacità di incantare con la propria musica gli animali, le piante e persinole pietre, la terribile morte per mano delle Menadi o delle donne tracie e,infine, la leggenda della testa evinta dal corpo che continua a cantare6.

Orfeo avrebbe partecipato alla spedizione degli Argonauti appuntoin ragione della sua competenza di citarista e citaredo, inviato da Chironeperché vincesse con il proprio il canto delle Sirene7.

Questa tradizione sembra già attestata nella celebre metopa del te‑soro dei Sifni a Delfi del 570 ca. in cui è raffigurato un cantore, in piedi sullaprua di una nave, presumibilmente con una lira in mano nell’atto del can‑tare8. La presenza di Orfeo nei più antichi cataloghi degli Argonauti trovaconferma nella quarta Pitica di Pindaro – per la vittoria di Arcesilao IV re

dell’orfismo possono essere ricondotte a Olbia, sul Mar Nero, ove sono state ritro‑vate alcune placche di osso risalenti al V secolo che testimoniano una stretta con‑nessione con il dionisismo (cfr. VINOGRADOV 1991). Un altro luogo di affermazioneè sicuramente la Magna Grecia in cui si delinea un rapporto di stretto contatto dot‑trinale con gli sviluppi del pitagorismo: cfr. Hdt. II 81, la più antica attestazionedella connessione tra riti orfici e pitagorismo (cfr. Lloyd in ASHERI – LLOYD ‑ COR‑CELLA 2007, p. 296). Infine, sono da ricordare una serie di laminette auree provenientiancora dall’Italia meridionale, da Creta e dalla Tessaglia – molte delle quali risalential V e al IV secolo – che testimoniano lo sviluppo di pratiche cultuali iniziatiche efunerarie di tipo “orfico”, in cui giocavano un ruolo decisivo la celebrazione di Dio‑niso e la prospettiva oltremondana dell’esistenza umana: le laminette, e i testi inessi incisi, «fungevano per così dire da passaporto per l’oltretomba» (BREMMER 2002,p. 139); cfr. anche SCARPI (2002, p. 351 e pp. 670‑674 con ulteriore bibliografia). Sullosviluppo dell’ orfismo, anche in riferimento a questioni cronologiche, cfr. BREMMER(2002, p. 137 e n. 327) e SCARPI (2002, pp. 350‑351).6 Cfr. GRAF (1987, p. 80).7 La sfida con le Sirene è raccontata estesamente da Apollonio Rodio IV 891‑911; cfr.anche Erodoro FGrH 31 F 43a e Sen. Med. 355‑360. Al riguardo si vedano GRAF (1987,pp. 80 e 95‑99); BERNABÉ (2001, pp. 63‑76) e, da ultimo, SPINA (2007, pp. 65‑73: 68).8 Cfr. LIMC, s.v. ‘Orpheus’, 6; RIEDWEG (1996, p. 1275) ricorda anche una coppa a fi‑gure nere di Heidelberg del 580 ca.

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di Cirene nella XXI Pitiade del 4629 – ai versi 176‑177 (T 58 Kern = 899 TBernabé):

E venne il citaristapadre dei canti (ajoida'n pathvr) per virtù d’ApolloOrfeo molto lodato10.

Va notata nel testo pindarico l’affermazione di Orfeo come il “primo”dei cantori – tale è il senso dell’espressione figurata «padre dei canti» – cheesercita la propria arte attraverso la phórminx, lo strumento a corde più an‑tico che precede la lira ed è insieme alla kitharis lo strumento di Apollo11 oancora il bárbitos12. In particolare, l’aggettivo eujaivnhto~, «molto lodato»,sembra rispondere alla stessa funzione di ojnomavkluton di Ibico13 e lega talefama all’arte citarodica. Lo stesso Pindaro accenna ancora ad Orfeo (fr. 139,12 M. = T 56 Kern = 890 T Bernabé), riferendogli il peculiare aggettivo cru-savora, tradizionale epiteto apollineo a indicare sia la spada, sia, come inquesto caso, la cetra d’oro tenuta sospesa (tale il valore proprio di a{or) allaspalla14.

Queste testimonianze che si dipanano nell’arco di un secolo, dallametopa di Delfi a Ibico fino a Pindaro, meritano di essere contestualizzatenella prospettiva di altre fonti antiche che collegano il nome di Orfeo allatradizione citarodica di cui è ritenuto in qualche modo il fondatore. GiàGlauco di Reggio, infatti, secondo la testimonianza dello pseudo‑Plutarco,De musica 5, p. 1132 F (T 12 Kern= 884 T Bernabé), individua in Orfeo il mo‑dello di Terpandro:

Terpandro prese a modello gli esametri di Omero e i canti di Orfeo.Sembra che quest’ultimo non abbia imitato nessuno: prima di lui, in‑fatti, non c’erano che compositori di canti accompagnati dall’aulo el’opera di Orfeo non assomiglia a essi sotto alcun aspetto15.

Ancora a inizio di IV secolo, quando l’orfismo è ormai un culto con‑

9 Cfr. GENTILI (1995, pp. 103‑111).10 (Trad. B. Gentili) ejx ≠Apovllwno~ de; formigkta;~ ajoida'n pathvr / e[molen, eujaivnhto~≠Orfeuv~. 11 Per entrambe queste interpretazioni, cfr. GIANNINI (1995, pp. 475‑476); sulla phór‑minx cfr. Comotti (19912, pp. 67‑68)12Cfr. Luciano, Adversus indoctum 11‑12 con le importanti osservazioni di ANDRISANO(2007) in relazione ad una presenza in Alceo della storia della testa cantante diOrfeo.13 Cfr. RIEDWEG (1996, p. 1275).14 Per la documentazione e ulteriori rinvii bibliografici cfr. GIANNINI (1995, p. 538),a proposito di Pind. Pyth. V 104.15 (Trad. R. Ballerio) ejzhlwkevnai de; to;n Tevrpandron ïOmhvrou me;n ta; e[ph, ≠Orfevw~ de;ta; mevlh. oJ d≠ ≠Orfeu;~ oujdevna faivnetai memimhmevno~: oujdei;~ gavr pw gegevnhto, eij mh;

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solidato nelle pratiche religiose greche, la tradizione che vede in Orfeo so‑prattutto – se non esclusivamente – un cantore sembra ancora fondante econdivisa, come conferma Timoteo, Persiani, vv. 234ss. (T 24 Kern = 883 TBernabé):

Per primo la lira (cevlun) costruìOrfeo dal variato canto,figlio della pieria Calliopee dopo di lui Terpandro in diecicanti ordinò la musica16.

L’enfatico uso di prw'to~ al v. 234 introduce quella «pseudo‑scientificappareance» tipica della sofistica e costante nella successiva erudizionealessandrina a individuare il protos heuretés, vale a dire il primo artefice diun genere, di una tradizione o di una particolare invenzione: in questo casola cevlu~17. Lo stesso aggettivo poikilovmouso~ sta a significare che Orfeoavrebbe introdotto già prima di Terpandro quella pokilía nella musica chediventa cifra poetica non solo di Timoteo ma più in generale del rinnova‑mento musicale in atto tra V e IV secolo18.

Nella memoria culturale greca cui si riferisce Timoteo, la rappresen‑tazione di Orfeo come il primo dei citaredi sembra quindi ancora prevaleresu quella del profeta o dello sciamano, dell’archegeta di un culto che pureinizia a diffondersi.

L’eccezionale arte di Orfeo caratterizza anche l’altro episodio fon‑dante, la catabasi nel regno di Ade per riportare in vita la sposa perdutaEuridice, sicuramente il tema maggiormente diffuso in termini di ricezionee di costruzione di un immaginario letterario, in particolare attraverso lamediazione latina di Virgilio e Ovidio, fino ad arrivare in tempi recenti alleriprese di Cocteau e Pavese19.

Pur con molte incertezze sull’esito finale, questa trama parrebbe già

oiJ tw'n aujlw/dikw'n poihtaiv: touvtoi~ de; kat≠ oujqe;n. Il passo è presumibilmente desuntoda uno scritto peri; tw`n ajrcaiw`n poihtw`n kai; mousikw`n (su cui si veda HUXLEY 1968)citato poco prima (De musica 4): si veda BALLERIO (2000, p. 29 n. 34). Per Glauco diReggio come importante testimone della coscienza critica antica sulle origini e lastoria della poesia è ancora utile la raccolta di testi commentati da LANATA (1963,pp. 271‑277).16 (Trad. G. Giannantoni) prw'to~ poikilovmouso~ ≠Or- / feu;~ cevlun ejtevknwsen / uiJo;~Kalliovpa~ / Pierivaqen: / Tevrpandro~ d≠ ejpi; tw'/ devka / zeu'xe mou'san ejn wj/dai'~.17 Cfr. JANSSEN (1984, pp. 136‑137); sul protos heuretés si veda KLEINGÜNTHER (1933).18 Cfr. CSAPO (1999‑2000).19 Cfr. CIANI – RODIGHIERO (2004) e GUIDORIZZI (2005) per una più complessiva inda‑gine in cui l’interpretazione del mito di Orfeo e la storia della sua ricezione sonoconsiderati nella loro interdipendenza. Su Cocteau, in particolare, si vedano i con‑

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diffusa nel V secolo20. Nella tradizione greca l’Ade è un luogo da cui non siritorna, un confine inaccessibile dell’oblio: non a caso in un’altra celebre ca‑tabasi – quella di Odisseo nella nékyia omerica – una simbolica fossa separal’eroe dalle ombre dei morti, e solo in ragione di un rituale di sangue è pos‑sibile un temporaneo contatto tra i vivi e i morti. Scendere nell’Ade e farviritorno è concesso solo a semi‑divinità come Eracle o a eroi fondatori in cir‑costanze eccezionali come Teseo21.

Orfeo sembra infrangere temporaneamente questo limite, ma solo inragione di una sorta di sospensione dell’ordine naturale prodotta dalla suaarte poetico‑musicale. Il rapporto tra la catabasi di Orfeo e lo sviluppo didottrine orfiche e pratiche cultuali legate al motivo dell’immortalità del‑l’anima e ad aspirazioni soteriologiche è evidente22; ma non sembra questol’aspetto dominante nelle fonti più antiche che piuttosto enfatizzano la ca‑pacità psicagogica e magica della comunicazione poetica. L’incertezza sul‑l’esito della catabasi che i moderni hanno ravvisato nelle fonti precedenti aVirgilio o al suo modello ellenistico23 è forse da intendere in una prospettivadiversa.

Il tema al centro dell’attenzione di questi testi non sembra infatti es‑sere il destino finale di Euridice e il suo ritorno al mondo dei vivi, piuttostola focalizzazione degli straordinari poteri del cantore. La sfida con le Sirenee la sfida con Ade: in entrambi i casi la storia del citaredo degli Argonautimette in gioco la capacità (e i rischi) dell’uomo di superare i limiti e i peri‑coli della propria condizione, attraverso il canto.

Il tratto caratteristico della vicenda di Orfeo è dunque la straordina‑ria capacità persuasiva della sua arte poetico‑musicale in grado di sovver‑tire l’ordine della natura e incantare e sedurre anche gli uccelli del cielo e ipesci del mare. La più antica testimonianza al riguardo va individuata inSimonide, PMG 384 (T 47 Kern = 943 T Bernabé):

Uccelli innumerevolisi libravano a volo sopra il suo capo,e dirittidall’acqua turchina balzavano in alto i pesci per il canto bello24.

Questo motivo diventa quasi topico nei testi teatrali di V secolo, sucui converrà fermare ancora l’attenzione perché – come si vedrà – sembrano

tributi di Boschi e Colafiglio infra pp. 121‑147 e pp. 213‑228.20 Cfr. RIEDWEG (1996, pp. 1255‑1258).21 Cfr. CIANI – RODIGHIERO (2004, pp. 11‑12).22 Cfr. MOULINIER (1955, pp. 115‑116).23 Cfr. RIEDWEG (1996, pp. 1254‑1255).24 (Trad. G. Colli) tou' kai; ajpeirevsioi / pwtw'nt≠ o[rniqe~ uJpe;r kefala'~, / ajna; d≠ ijcquve~ojrqoi; / kuanevou ≠x u{dato~ a{l- / lonto kala'/ su;n ajoida'/.

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individuare in Orfeo quella particolare concezione della funzione e dei mec‑canismi della comunicazione poetica che troverà poi una sorta di sistema‑zione teorica nell’estetica di Gorgia25.

Nell’Agamennone, Egisto per enfatizzare l’inefficacia delle parole delcorifeo gli contrappone la forza suasoria della voce di Orfeo, vv. 1628‑1629(T 48 Kern = 946 T Bernabé):

La tua lingua è contraria a quella di Orfeo:con la sua voce infatti egli condusse ogni cosa nella gioia26.

Il riferimento al potere teurgico e psicagogico della parola poeticaemblematizzata in Orfeo, capace di incidere e trasformare la realtà, sembrasfruttato in modo particolare da Euripide. Innanzi tutto nell’Alcesti, neiversi già inclusi tra le più antiche testimonianze del motivo della catabasidi Orfeo nell’Ade in cui Admeto, rivolgendosi ad Alcesti, prefigura per sestesso un’analoga – e per certi versi comica27 – sfida con Ade, vv. 357‑362 (T59 Kern = 980 T Bernabé):

Ma se mi assistessero la lingua e il canto di Orfeosì da poter ingannare (khlhvsanta) con gli inni la figlia di Demetrao il suo sposo, e poterti strappare all’Ade,andrei laggiù, e non mi tratterrebbero né il cane di Plutone,né Caronte che guida con il suo remo le anime,sinché non avessi riportato la tua vita alla luce28.

Lo stesso motivo ritorna nelle accorate parole di Ifigenia al padreAgamennone prima di essere sacrificata ad Artemide nell’Ifigenia in Aulidedi Euripide, vv. 1211‑1215 (T 50 Kern = 948 T Bernabé):

Se sapessi esprimermi come Orfeo, o padre,persuadere, incantando, le rocce che mi seguisseroe ammaliare (khlei'n) con le parole chi volessil’avrei provato29.

25 Cfr. ANDRISANO (2007, pp. 119‑120).26 (Trad. G. Colli) ≠Orfei' de; glw'ssan th;n ejnantivan e[cei~: / oJ me;n ga;r h\ge pavnt≠ ajpo;fqoggh'~ cara'/.27 Per una diversa opinione sulla controversa interpretazione dell’Alcesti si veda oral’equilibrata posizione di BLAISE (2008).28 (Trad. G. Colli) eij d≠ ≠Orfevw~ moi glw'ssa kai; mevlo~ parh'n, / w{st≠ h] kovrhn Dhvmhtro~h] keivnh~ povsin / u{mnoisi khlhvsantav s≠ ejx ‹Aidou labei'n, / kath'lqon a[n, kaiv m≠ ou[q≠ oJPlouvtwno~ kuvwn / ou[q≠ ouJpi; kwvph/ yucopompo;~ a]n Cavrwn / e[sc≠ a[n, pri;n ej~ fw'~ so;nkatasth'sai bivon. 29 (Trad. G. Colli) eij me;n to;n ≠Orfevw~ ei\con, w\ pavter, lovgon, / peivqein ejpavidous≠, w{sq≠oJmartei'n moi pevtra~ / khlei'n te toi'~ lovgoisin ou}~ ejboulovmhn, / ejntau'q≠ a]n h\lqon.

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Analogamente, le parole di Giasone in Medea rimandano all’imma‑gine già tradizionale di Orfeo come il cantore per eccellenza, vv. 542‑544 (T59 Kern = 981 T Bernabé):

Non vorrei avere oro nella casané cantare inni più belli di Orfeose non avessi una sorte famosa30.

In particolare nei testi euripidei va rilevata la pregnanza di espres‑sioni come ≠Orfevvw~ glw'ssa (Alcesti 357; si noti anche ≠Orfei' de; glw'ssanth;n ejnantivan nel passso eschileo), ≠Orfevw~ lovgon (Ifigenia in Aulide 1211) einfine ≠Orfevw~ mevlo~ (Medea 543 e Alcesti 357) che paiono utilizzate per iden‑tificare per antonomasia Orfeo con la parola poetica stessa31.

A questo stesso scenario credo vada riferito anche il passo delle Bac‑canti tradizionalmente inteso come testimonianza di un culto già pervasivoai confini del mondo greco, ma da cui comunque emerge ancora una voltal’immagine del citaredo in grado di smuovere (vv. 562 e 563: suvnagen) lanatura attraverso le sue straordinarie performance, vv. 556‑563 (T 38 + 49Kern = 947 T Bernabé):

Forse ora agiti il tirsoin Nisa selvaggia, Dioniso,o sulle vette del Còrico?Forse sei sulle boscosevalli d’Olimpo, dove un tempo Orfeosuonando la cetraattirava i boschi coi canti,attirava le bestie selvagge32.

Altri testi in qualche modo confermerebbero la presenza in Euripidedi elementi riconducibili ai culti orfici, ma sembra trattarsi di testimonianzedi un rifiuto razionalistico rispetto a pratiche cultuali di cui si segnala condisprezzo la diffusione come in Ippolito, vv. 952‑95433.

30 Ei[h d≠ e[moige mhvte cruso;~ ejn dovmoi~ / mhvt≠ ≠Orfevw~ kavllion uJmnh'sai mevlo~, / eij mh;≠pivshmo~ hJ tuvch gevnoitov moi. Come ha acutamente notato MEZZABOTTA (1994) vi èuna certa ironia in questo riferimento di Giasone a Orfeo, famoso per la sua fedeltàalla moglie. 31 Cfr. anche Trag. Adesp. 129, 6 K.‑Sn. (ap. Diod. 37, 30, 2): ejpi; ga;r jOrfeivai~ me;nwj/dai`~ / ei[peto devndra kai; qhrw`n ajnohtagevnh.32 (Trad. G. Guidorizzi) povqi Nuvsa~ a[ra ta'~ qh- / rotrovfou qursoforei'~ / qiavsou~,w\ Diovnus≠, h] / korufai'~ Kwrukivai~; / tavca d≠ ejn tai'~ poludevndroisin ≠Oluvmpou / qa-lavmai~, e[nqa pot≠ ≠Orfeu;~ kiqarivzwn / suvnagen devndrea mouvsai~, /suvnagen qh'ra~ aj-grwvsta~.33 Su questi versi restano ancora fondamentali le osservazioni di BARRETT (1964, pp.342‑344).

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In ogni caso l’attenzione di Euripide sembra rivolta soprattutto al po‑tere di seduzione, quasi magico della parola poetica, fino a sfruttarlo in ter‑mini caricaturali come in Ciclope, vv. 646‑648 (T 83 Kern):

Conosco piuttosto un incantesimo (ejpw/dhvn) di Orfeo, proprio infalli‑bile: a cantarlo, il tizzone andrà da solo verso il cranio del monocolofiglio della terra a dargli fuoco34. In questa prospettiva la rappresentazione di Orfeo in Euripide è da

accostare piuttosto a quella di un altro mitico cantore, Anfione (il primo ci‑taredo secondo quanto riferisce Eraclide, fr. 157 Werhli, ap. Plutarco, DeMusica 3, p. 1131f) ricordato nelle Fenicie (823‑834) per un’analoga capacitàdi modificare l’ordine naturale e razionale delle cose:

Al suono della lira di Anfione le pietre si disposero da sole a erigerele mura della città di Tebe35.

Le testimonianze sin qui analizzate sembrano quindi mettere in ri‑lievo due elementi focali nella più antica tradizione su Orfeo: il ruolo di ar‑chegeta della citarodia e la funzione persuasiva della comunicazionepoetica incarnata dal suo canto.

Entrambi i temi sono rappresentati narrativamente negli episodi fon‑danti la sua biografia, al centro dei quali vi è una particolare ed eccezionaleperformance che sembra voler sfidare i limiti della condizione umana, omeglio i limiti della comunicazione umana. Performance che si esplica nelsegno della sfida: con le Sirene nella tradizione argonautica, con Ade inquella della catabasi alla ricerca della sposa perduta.

La parola chiave che indica lo spazio semantico di questa sfida e adun tempo chiarisce la funzione del poeta e della capacità di seduzione e fa‑scino della parola poetica, è il peculiare khlei'n «charm, bewitch, beguile, esp.by music» (LSJ9 s.v., p. 947A). La voce di Orfeo può dunque incantare siacon il canto (u{mnoisi: Alcesti 359), sia con le parole (lovgoisin: Ifigenia in Au‑lide 1213). La parola ‘orfica’ diventa sinonimo di capacità di persuasione in‑sieme all’archetipo mitico narrativo del cantore in grado di comunicarepersino agli animali e agli esseri inanimati come le pietre. In questo sensoil sofista Protagora è infatti assimilato da Platone al cantore Orfeo appuntonel comune khlei`n – ‘incantare’ – che in luogo di pietre o animali trascinaquesta volta – ed è scoperta l’intenzione caricaturale – gli uomini (Protagora315a):

34 (Trad. M. Napolitano) ajll≠ oi\d≠ ejpw/dh;n ≠Orfevw~ ajgaqh;n pavnu, / w{st≠ aujtovmatonto;n dalo;n ej~ to; kranivon /steivconq≠ uJfavptein to;n monw'pa pai'da gh'~.35 Fovrmiggiv te teivcea Qhvba~ / ta'~ ≠Amfioniva~ te luvra~ u{po puvrgo~ ajnevsta.

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Quelli che li seguivano ascoltandone i discorsi sembravano, per lamaggior parte, stranieri, che Protagora si trascina dietro da ogni cittàche attraversa, incantandoli (khlw'n) con la sua voce, proprio comeOrfeo; e quelli, ammaliati, seguono il suono della voce36.

Un’analoga accezione – anche se il nome di Orfeo non è questa voltadichiarato – è quella che emerge dal noto frammento di Eupoli 102 K.‑A.in cui la stregonesca abilità incantatrice è riferita a Pericle (v. 6 ou{tw~ ej-khvlei), il migliore tra gli uomini nell’eloquenza (v. 1 kravtisto~ ou|to~ ...ajnqrwvpwn levgein) sulle cui labbra dimora la stessa peiqwv (v. 5 peiqwv ti~ ej-pekavqizen ejpi; toi'~ ceivlesin)37.

Il termine sembra tradizionalmente utilizzato per indicare la capacitàpersuasiva del canto, già da Archiloco fr. 253 W.2, se coglie nel segno la let‑tura di M. Gigante del passo del De musica di Filodemo di Gadara restituitodai papiri ercolanesi (PHerc 1572, fr. 2, 18‑20 = p. 44 van Kerevelen):

Per questo anche Archiloco dice: “tutti i cittadini sono ammaliati daicanti”38.

A queste valenze di khlei`n si avvicina, fino a quasi sovrapporsi, al‑l’analogo qevlgein, come conferma un’ampia documentazione ricavabile dalmateriale lessicografico39; e lo stesso qevlgein si profila come termine tipicodella funzione magica della parola poetica, in riferimento specifico adOrfeo, come si evince in particolare dall’episodio narrato da ApollonioRodio (I 26‑31):

Narrano che egli ammaliasse (qevlxai)col suono dei canti le dure rocce dei montie le correnti dei fiumi. Quel canto ancor oggi lo attestanole querce selvagge che sulla costa di Zone,in Tracia, fioriscono disposte per file serratein ordine: sono le querce che con l’incanto della sua cetra

36 (Trad. M. Dorati) touvtwn de; oi} o[pisqen hjkolouvqoun ejpakouvonte~ tw'n legomevnwnto; me;n polu; xevnoi ejfaivnonto ou}~ a[gei ejx eJkavstwn tw'n povlewn oJ Prwtagovra~, di≠ w|ndiexevrcetai, khlw'n th'/ fwnh'/ w{sper ≠Orfeuv~, oiJ de; kata; th;n fwnh;n e{pontai ke-khlhmevnoi.37 Cfr. TELÒ (2007, pp. 189‑193) che correttamente collega il nesso khlei`n/peiqwv al‑l’estetica gorgiana – discussa qui di seguito, a n. 44 – e quindi all’analogo qevlgein,anche se ne trascura l’ascendenza orfica, su cui cfr. TURATO (2001, p. 243) con ulte‑riore bibliografia.38 Dio; kai; to;n jArcivlo[con l]evgein: khlw`ntai d j o{ti~ [ajst]w`n ajoidai'~. Per questa let‑tura del tràdito khlwtaidotis.[..(.).]wın cfr. GIGANTE (1993).39 Tra i numerosi esempi, si veda Esichio q 207 qevlgei: ajpata'/. qavlpei, ajpo; tou' eij~to; qevlein a[gein. malavssei. khlei'. tevrpei (W 343) e il relativo k 2493 khlei': prau?nei,qevlgein, peivqei. Katamaraivnei.

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il poeta fece muovere e scendere giù dalla Pieria40.

Come ben noto, nella Grecia arcaica e classica la comunicazione pub‑blica autorevole e veritiera, efficace e persuasiva si realizza attraverso per‑formance poetico‑musicali: ed è questo ormai un dato acquisito che sispiega con il carattere orale e tradizionale della civiltà greca in cui mousiké– l’arte delle Muse – ha un ruolo decisivo e fondante41. La poesia orale trovanella “lingua” delle Muse in cui si combinano parola, canto e danza unostrumento formidabile per la determinazione e la conservazione dei valoridella società, della memoria culturale e dell’enciclopedia dei saperi (specieetici e socio‑politici)42. In questa prospettiva va considerato un testo che staalla base della poetica antica: il pianto di Penelope, nel primo canto del‑l’Odissea, durante la performance di Femio. Penelope, udendo dal suo ta‑lamo la storia del nostos degli Achei, sconvolta, scende nel mégaron e, inlacrime, invita il cantore a desistere da quel canto, troppo vicino e tropposentito rispetto al suo orizzonte d’attese. Per questo la regina chiede a Femiodi scegliere un altro canto dal suo repertorio, e gli rivolge queste parole (I336‑338):

Piangendo si rivolse al divino cantore: Femio, molte altre imprese di uomini e dèi tu conosci,che incantano (qelkthvria) gli uomini, e i cantori le celebrano43.

Penelope invita il cantore a trattare un altro tema: l’episteme del can‑tore è in grado di attingere da numerosi erga a lui noti che siano appuntoqelkthvria – ‘fascinosi’, ‘incantevoli’ – per l’uditorio. Il peculiare aggettivoritorna in Omero solo in due ulteriori occasioni per caratterizzare il fascinomagico e pericolosamente persuasivo di concreti incantesimi: in OdisseaVIII 509 in riferimento al cavallo di legno, e in Iliade XIV 216 per le seduzioniche spirano dal petto di Afrodite. Anche il canto è dunque allo stesso modomagia, sortilegio e inganno; ed è in questa accezione che il verbo, frequentenei poemi omerici, ricorre in riferimento ai pericolosi phármaka di Circe (X291) e al canto delle Sirene (XII 40 e 44).

40 (Trad. G. Paduano) aujta;r tovn g≠ ejnevpousin ajteireva~ ou[resi pevtra~ / qevlxai ajoi-davwn ejnoph'/ potamw'n te rJeveqra: / fhgoi; d≠ ajgriavde~ keivnh~ e[ti shvmata molph'~ / ajkth'/Qrhikivh/ Zwvnh~ e[pi thleqovwsai / eJxeivh~ sticovwsin ejphvtrimoi, a}~ o{g≠ ejpiprov / qel-gomevna~ fovrmiggi kathvgage Pierivhqen. Per la connessione del qevlgein con Orfeo siveda anche, per es. AP VII 8 (Antipatro di Sidone) Oujkevti qelgomevna~, ≠Orfeu',druva~, oujkevti pevtra~ / a[xei~, ouj qhrw'n aujtonovmou~ ajgevla~. Sul qevlgein, in generale,cfr. PARRY (1992) cui si rimanda per ulteriore documentazione. 41 Cfr. in particolare NAGY (1990) e ALONI (1998).42 Su questi aspetti resta ancora imprescindibile HAVELOCK (1963).43 (Trad. R. Calzecchi Onesti) dakruvsasa d≠ e[peita proshuvda qei'on ajoidovn: / Fhvmie,polla; ga;r a[lla brotw'n qelkthvria oi\da~ / e[rg≠ ajndrw'n te qew'n te, tav te kleivousinajoidoi.

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Lo stesso verbo compare in Gorgia nel noto passo dell’Encomio diElena in cui la funzione poetica, e in particolare la sua capacità persuasiva,è ricondotta alle emozioni (timore, compassione, dolore) che narrazioni/rap‑presentazioni di eventi “estranei” sono in grado di riprodurre nell’animadell’auditorio (8‑9). In questo contesto le origini della comunicazionepoetica – e della stessa oratoria – sono individuate nella capacità magicadella parola di trasformare la realtà stessa, oltre che le opinioni, appuntoattraverso la thelxis (10):

L’incanto divino che opera nella parola avvicina il piacere, allontanail dolore: insinuandosi infatti nell’opinione dell’anima il potere del‑l’incanto la ammalia e la persuade (e[qelxe kai; e[peise) e la trasformacon il suo fascino. Dal fascino e dalla magia sono state inventate duearti che costituiscono un errore per l’anima e una seduzione per l’opi‑nione44.

In conclusione il qevlgein come il khlei`n sembrano rappresentare lafunzione fondante la comunicazione poetica arcaica che, in questa prospet‑tiva, s’incarna nei due episodi di cui è protagonista Orfeo: la sfida con leSirene e quella con Ade, a prescindere da una presumibilmente successivatradizione cultuale e religiosa.

Orfeo, il citaredo degli Argonauti, dopo le Sirene incontrerà Ade nonperché Euridice possa davvero tornare. L’ordine irreversibile della naturaumana non lo consente45, e Orfeo deve voltarsi per confermare questo or‑dine: l’incanto della poesia è una sospensione solo temporanea della realtà,non definitiva46. Ma la sfida all’Ade, ed è questa la sfida o la ragione stessadella comunicazione poetica, è anche una sfida all’oblio, il lethe in cui sonoconfinate le anime dei morti, e che il poeta, maestro di verità, è in grado divincere attraverso il canto, memoria del passato e garanzia della sua veri‑dicità nel presente47.

Queste, in sintesi, le caratteristiche della parola poetica e della per‑formance poetico‑musicale nella società greca arcaica che sembrano trovarenella figura di Orfeo il proprio simbolo e paradigma, ben prima di una suc‑cessiva tradizione che vedrà nel nome del mitico cantore l’anello di con‑

44 (Trad. G. Lanata) aiJ ga;r e[nqeoi dia; lovgwn ejpw/dai; ejpagwgoi; hJdonh'~, ajpagwgoi;luvph~ givnontai: sugginomevnh ga;r th'/ dovxh/ th'~ yuch'~ hJ duvnami~ th'~ ejpw/dh'~ e[qelxekai; e[peise kai; metevsthsen aujth;n gohteivai. gohteiva~ de; kai; mageiva~ dissai; tevcnaieu{rhntai, ai{ eijsi yuch'~ aJmarthvmata kai; dovxh~ ajpathvmata. Sulla retorica di Gorgia,dopo LANATA (1963, pp. 193‑207), cfr. per es. MUREDDU (1991); WARDY (1996, pp. 35‑51) e il recente PADUANO (2004, pp. 61‑67).45 Cfr. BLAISE (2008).46 Cfr. CIANI – RODIGHIERO (2004, pp. 20‑21).47 Cfr. DETIENNE (1967).

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giunzione tra una nuova cultura e religione della scrittura48 e antichi ritiiniziatici e pratiche cultuali che nel nome di Dioniso promettevano una sal‑vezza oltremondana.

48 Su questo, dopo DETIENNE (1989, pp. 101‑132), si veda ora CALAME (2005).

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