«Non essendo Poesia altro che Poetica in atto». Note sugli scritti di poetica di Pomponio Torelli

27
DIPARTIMENTO DI ITALIANISTICA UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PARMA Parole allo specchio/Studi e testi 26

Transcript of «Non essendo Poesia altro che Poetica in atto». Note sugli scritti di poetica di Pomponio Torelli

DIPARTIMENTO DI ITALIANISTICA UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PARMA

Parole allo specchio/Studi e testi

26

PUBBLICAZIONI DEL DIPARTIMENTO DI ITALIANISTICA

Parole allo specchio/Studi e testi (Prima serie)

1. William Spaggiari, L'eremita degli Appennini. Leopardi e altri studi di primo Ottocento 2. La Mort Aymeri de Narbonne. Edizione critica con note e glossario, a cura di Paolo Rinoldi 3. Rinaldo Rinaldi, La montagna scritta. Piccole storie del paesaggio alpino 4. Luigi Vignali, Il “Peregrino” di Jacopo Caviceo e il lessico del Quattrocento 5. Rinaldo Rinaldi, L'indescrivibile arsenale. Ricerche intorno alle fonti della “Cognizione del dolore” 6. Annamaria Cavalli, Oltre la soglia. Fantastico, sogno e femminile nella letteratura italiana e dintorni 7. Il Volto. Ritratti di parole (Atti del convegno), a cura di Rinaldo Rinaldi 8. Alberto Cadioli, Il silenzio della parola. Scritti di poetica del Novecento 9. Rinaldo Rinaldi, Specchio di Calliope. Breve repertorio del poema 10. Domizia Trolli, Il lessico dell’“Inamoramento de Orlando” di Matteo Maria Boiardo 11. Pomponio Torelli, “Il Tancredi”. Modello ed evoluzione nella tragedia del Cinquecento, a cura di Sabrina Morini 12. Lorenzo Venier, La Puttana errante, a cura di Nicola Catelli Seconda serie:

13. Rinaldo Rinaldi, Un violino è sospeso in aria. Generi di prosa e altro 14. Anna Maria Salvadè, Imitar gli antichi. Appunti sul Castiglione 15. Alessandro Bianchi, Alterità ed equivalenza. Modelli femminili nella tragedia italiana del Cinquecento 16. Francesca Fedi, Un programma per Melpomene. Il concorso parmigiano di poesia drammatica e la scrittura

tragica in Italia (1770-1786) 17. Paolo Divizia, Novità per il volgarizzamento della “Disciplina clericalis” 18. Paolo Briganti, Tra inquiete Muse. L’Ungaretti dell’“Allegria” 19. Andrea Baiardi, Rime, a cura di Domizia Trolli 20. Due commedie patetiche del Cinquecento. Il Pellegrino di Girolamo Parabosco, I Fidi Amanti di Francesco

Podiani, a cura di Antonella Lommi 21. Rinaldo Rinaldi, Scrivere contro. Per Machiavelli 22. Mariolina Bertini, Incroci obbligati. Romanzo, ritratto, mélodrame 23. Fulvio Pevere, «L’innato amore alla menzogna». Studi sulla letteratura italiana del Sette e dell’Ottocento 24. Rosa Necchi, I celebrati caratteri. Saggi e studi settecenteschi 25. Giovanni Ronchini, Dentro il labirinto. Studi sulla narrativa di Luigi Malerba

A tre voci

1. Ch. Bec - S. Carrai - I. Paccagnella, Scarpe grosse (contadini e letteratura) 2. G. Gigliozzi - R. Mordenti - A. Zampolli, La bella e la bestia (italianistica e informatica) 3. G. M. Cazzaniga - G. Tocchini - R. Turchi, Le Muse in loggia (massoneria e letteratura nel Settecento) 4. G. Baffetti - A. Battistini - P. Rossi, Alambicco e calamaio (scienza e letteratura fra Seicento e Ottocento) 5. C. Segre - C. Ossola - D. Budor, Frammenti (le scritture dell’incompleto) 6. G.L. Beccaria - A. Stella - U. Vignuzzi, La linguistica in cucina (i nomi dei piatti tipici) 7. G. Bàrberi Squarotti - N. Lorenzini, S. Giovanardi, (Im)pure tracce (caratteri della poesia italiana del

Novecento) 8. G. Palumbo - A. Tissoni Benvenuti - M. Villoresi, “Tre volte suona l’olifante…”. La tradizione rolan-

diana in Italia fra Medioevo e Rinascimento 9. C. Marazzini - G. Raboni - P. Gibellini, Spogliare la Crusca. Scrittori e vocabolari nella tradizione italiana 10. S. Adamo - F. Muzzioli - M. Pustianaz, La pratica e la grammatica (letteratura e teorie culturali) 11. F. Longoni - G. Panizza - C. Vela, Ex libris (biblioteche di scrittori)

Per i volumi successivi, si rinvia alla lista a fine volume.

IL DEBITO DELLE LETTERE

Pomponio Torelli e la cultura farnesiana di fine Cinquecento

a cura di

Alessandro Bianchi, Nicola Catelli e Andrea Torre

EDIZIONI UNICOPLI

In copertina: Pomponio Torelli, Scherzi poetici, Biblioteca Palatina di Parma, ms. Parm. 62, impresa inserita su carta non numerata tra i fogli 90 e 91. Prima edizione: febbraio 2012 Copyright © 2012 by Edizioni Unicopli, via Andreoli, 20 - 20158 Milano - tel. 02/42299666 http://www.edizioniunicopli.it Fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di cia-scun volume dietro pagamento alla Siae del compenso previsto dall’art. 68, comma 4, della legge 22 aprile 1941, n. 633, ovvero dall’accordo stipulato fra Siae, Aie, Sns e Cna, Confar-tigianato, Casa, Claai, Confcommercio, Confesercenti il 18 dicembre 2000.

INDICE p. 9 Il Trattato delle passioni dell’animo: per una prima ricognizione

di Fabrizio Bondi

33 Tempo speranza e vita offesa: la parodia della morte nella Vittoria di Stefano Tomassini

57 «Non essendo Poesia altro che Poetica in atto».

Note sugli scritti di poetica di Pomponio Torelli di Gianluca Genovese

75 La metamorfosi del «Cavalliero» moderno.

Appunti in margine al Trattato torelliano di Nunzio Ruggiero

89 I Discorsi domestici

di Cornelia Bevilacqua 103 L’uomo pubblico e l’uomo privato. Pomponio Torelli nelle lettere

di Gabriele Nori 115 «Famam extendere factis»: l’officina letteraria

dell’Accademia degli Innominati (1574-1608) di Lucia Denarosi

131 Pomponio Torelli, Annibale e Agostino Carracci e la teoria degli affetti

nella Galleria Farnese. Il rapporto tra le Corti farnesiane di Parma e Roma di Stefano Colonna

6

p. 153 Pomponio Torelli e la musica di Paola Besutti

181 «La disgratiata sorte del Principe Tancredi» nella tragedia

di secondo Cinquecento: Razzi, Asinari, Torelli di Vincenzo Guercio

207 La ricezione settecentesca della Merope

di Paola Trivero

221 Regine in «veste negra»: analisi dei personaggi femminili nelle tragedie di Pomponio Torelli di Paola Cosentino

239 Polemica letteraria e ‘divina filosofia’. La Galatea

di Alessandro Bianchi

255 Geometrie per il Sole: le Rime del Perduto di Nicola Catelli

273 Poesia e sentimento della morte: i Carmina

di Rinaldo Rinaldi

281 Problematicità degli Scherzi poetici di Andrea Torre

305 Per una «historia» iconica degli affetti: la poesia nello specchio della pittura

(Rime 73-84) di Federica Pich

327 Promemoria

di Alessandro Bianchi, Nicola Catelli e Andrea Torre

331 Indice dei nomi

La presente miscellanea di studi è parte del progetto di ricerca Pomponio Torelli nel quarto centenario della morte (1608-2008) promosso dal Dipartimento di Italianisti-ca dell’Università di Parma e da L’Argonauta s.c.r.l., con il sostegno della Fonda-zione Cariparma, dell’Università di Parma e del Comune di Montechiarugolo e con la collaborazione dell’Archivio di Stato di Parma, della Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli e della Biblioteca Palatina di Parma.

Nell’ambito di tale progetto è stata approntata l’Edizione delle Opere di Pom-ponio Torelli, di cui sono stati pubblicati finora i primi due volumi (Guanda, 2008 e 2009). Salvo diversa indicazione, le citazioni dei testi torelliani nei saggi qui rac-colti si intendono tratte da questa edizione, cui si fa riferimento in forma abbreviata:

TORELLI, Poesie con il Trattato della poesia lirica Pomponio TORELLI, Poesie con il Trattato della poesia lirica, introduzione di Rinaldo Rinaldi, testi, commenti critici e apparati a c. di Nicola Catelli, Andrea Torre, Ales-sandro Bianchi, Gianluca Genovese, Parma, Guanda (“Edizione delle Opere di Pomponio Torelli. I”), 2008 TORELLI, Rime Pomponio TORELLI, Rime, a c. di Nicola Catelli, ivi, pp. 1-291 TORELLI, Scherzi poetici Pomponio TORELLI, Scherzi poetici, a c. di Andrea Torre, ivi, pp. 293-453 (la prima parte, Scherzi di Licori, si trova alle pp. 301-402, la seconda, Scherzi di Laura et Mar-garita, alle pp. 403-437) TORELLI, Rime volgari extravaganti Pomponio TORELLI, Rime volgari extravaganti, a c. di Nicola Catelli, ivi, pp. 455-482 TORELLI, Carmina Pomponio TORELLI, Carminum libri sex, a c. di Alessandro Bianchi, ivi, pp. 485-556 TORELLI, Trattato della poesia lirica Pomponio TORELLI, Trattato della poesia lirica, a c. di Gianluca Genovese, ivi, pp. 559-668

8

TORELLI, Teatro Pomponio TORELLI, Teatro, introduzione di Vincenzo Guercio, testi, commenti critici e apparati a c. di Vincenzo Guercio, Alessandro Bianchi, Stefano Tomassini, Parma, Guanda (“Edizione delle Opere di Pomponio Torelli. II”), 2009 TORELLI, Merope Pomponio TORELLI, Merope, a c. di Vincenzo Guercio, ivi, pp. 1-100 TORELLI, Tancredi Pomponio TORELLI, Tancredi, a c. di Vincenzo Guercio, ivi, pp. 101-209 TORELLI, Galatea Pomponio TORELLI, Galatea, a c. di Alessandro Bianchi, ivi, pp. 211-327 TORELLI, Vittoria Pomponio TORELLI, Vittoria, a c. di Stefano Tomassini, ivi, pp. 329-442 TORELLI, Polidoro Pomponio TORELLI, Polidoro, a c. di Vincenzo Guercio, ivi, pp. 443-549

«NON ESSENDO POESIA ALTRO CHE POETICA IN ATTO». NOTE SUGLI SCRITTI DI POETICA DI POMPONIO TORELLI

Gianluca Genovese

Per discutere delle caratteristiche assunte dalla scuola peripatetica nel Cinque-

cento si può usare, è ormai nozione consolidata, soltanto il plurale: non ‘l’aristote-lismo’ ma ‘gli aristotelismi’ del Rinascimento. Come ha mostrato Charles Schmitt, persino a Padova, considerata una roccaforte dell’aristotelismo rinascimentale, nel tardo Cinquecento convivevano «due varietà completamente differenti della tradi-zione»:1 da una parte chi continuava a leggere in modo pedissequo le opere del fi-losofo, dall’altra chi le interpretava criticamente, adoperando, in nome della ricerca della verità, materiali allotri. Anche se, alla luce delle più recenti acquisizioni criti-che, va sfumata la contrapposizione tra il Cremonini aristotelico acerrimo e lo Za-barella epistemologo da Schmitt proposta come paradigmatica, resta irrinunciabile un’impostazione metodologica non incline alla dissezione meccanica per blocchi – sincronici o diacronici – che si presentano omogenei unicamente in superficie.

Se infatti si estende la visuale, tenendo conto insieme della storia della cultura e, secondo il precetto dionisottiano, della sua geografia, il quadro si complica ulte-riormente. Esaminando la ricezione della Poetica, riscoperta e largamente commen-tata a partire dagli anni Quaranta del secolo, Giancarlo Mazzacurati, sulla scorta di indicazioni già fornite da Salvatore Battaglia, ha segnalato una «vera e propria frat-tura dell’estetica post-umanistica»: da una parte il ‘sistema’ veneto, che traeva dal testo aristotelico le ragioni di una lettura estetica e formale della poesia, indicando nel ‘diletto’ il fine di essa; dall’altra parte il ‘sistema’ toscano, attento invece a isola-re la valenza etica e catartica dell’opera letteraria (e assumendo a categoria centrale, dunque, non il ‘diletto’ ma ‘l’utile’).2 Come ogni tentativo di sintesi, anche questo

1 Charles B. SCHMITT, Problemi dell’aristotelismo rinascimentale, Napoli, Bibliopolis, 1985, pp. 31 sgg. 2 Cfr. Giancarlo MAZZACURATI, L’albero dell’Eden. Dante tra mito e storia, a c. di Stefano Jossa, Ro-

ma, Salerno Editrice, 2007, pp. 115 sgg.

G. GENOVESE

58

ha un indiscutibile valore pratico-didattico; ma il meccanismo concreto della storia e della trasmissione della cultura riserva zone refrattarie alla tassonomia. Lo stesso Mazzacurati, in interventi successivi, ha sottolineato la necessità di tener conto dei «transiti di linfe», dei percorsi trasversali, della – per usare una sua formula efficace – «disseminazione dei Rinascimenti».3 Vincenzo Maggi, ad esempio, che diede nel suo commento alla Poetica d’Aristotele un’interpretazione etico-moralistica del concetto di catarsi, prima che a Ferrara insegnò a Padova, dove sedeva nell’aristo-telica Accademia degli Infiammati; e proprio a Padova ebbe tra i suoi allievi ed e-stimatori il senese Alessandro Piccolomini, anch’egli fautore della ‘linea etica’, messa a punto dopo il ritorno in Toscana nel vivace consesso degli Intronati.4 Sul versante opposto si colloca l’udinese Francesco Robortello, convinto assertore del ‘diletto’ quale fine della poesia: ma il suo commento alla Poetica (il primo in assolu-to) venne stampato nel 1548 a Firenze, nella tipografia di Lorenzo Torrentino, con dedica al duca Cosimo II dei Medici, mentre l’autore insegnava a Pisa.

Non meraviglia più di tanto, allora, considerati gli scambi continui all’interno di un quadro così articolato, e venendo a ciò che qui più interessa, che nonostante la propria formazione padovana Pomponio Torelli, uno dei grandi protagonisti della stagione dei commenti alla Poetica (in una sua lettera Stefano Guazzo ne pronosti-cava l’«immortalità» per l’attività di «gran Teologo, buon filosofo, eccellente poe-ta»),5 si costituisca strenuo difensore di quella valenza etica e catartica della poesia cui si è spesso fatto riferimento in relazione a un ‘sistema’ toscano. E lo stesso Faustino Summo, socio delle accademie degl’Infiammati e dei Ricoverati nonché professore di logica a Padova, nelle proprie lezioni sul fine della poesia, date alle stampe in principio degli anni Novanta,6 ricalcherà quasi alla lettera le posizioni torelliane.

3 ID., La disseminazione dei “rinascimenti”, in ID., Rinascimenti in transito, Roma, Bulzoni, 1996, pp. 189-204. 4 Cfr. Antonino POPPI, Il problema della filosofia morale nella scuola padovana del Rinascimento: platonismo

e aristotelismo nella definizione del metodo dell’etica, in Platon et Aristote à la Renaissance, XVIe Colloque Inter-national de Tours, Paris, Vrin, 1976, pp. 113 sgg., e Andrea BALDI, Tradizione e parodia in Alessandro Piccolomini, Lucca, Pacini Fazzi, 2001 (in part. il capitolo quarto, Influssi ed echi dell’apprendistato padovano, pp. 205-253).

5 La lettera dell’autore reso celebre dalla Civil conversazione, citata nelle Memorie degli scrittori e letterati Parmigiani dell’Affò (1743), è stata ripresa da Guido VERNAZZA, Poetica e poesia di Pomponio Torelli, Parma, Deputazione di Storia Patria per le Province Parmensi, 1964, p. 147.

6 Cfr. Faustino SUMMO, Discorso primo. Qual sia il fine della poesia in generale, in Trattati di poetica e reto-rica del Cinquecento, a c. di Bernard WEINBERG, vol. IV, Bari, Laterza, 1974. Sulle posizioni del Summo in materia di poetica, cfr. anche Francesco SBERLATI, Il genere e la disputa. La poetica tra Ariosto e Tasso, Roma, Bulzoni, 2001, pp. 218 sgg.

«Non essendo Poesia altro che Poetica in atto»

59

Che l’aristotelismo di Torelli sia eclettico è dato acquisito; d’altra parte egli stesso rifunzionalizza in questa direzione il topos già petrarchesco dell’ape: «a guisa d’Ape andremo con leggier volo odorando hor questa, hor quella diffinitione, por-taci dagli altri in diversi luochi, e vedremo di riportare qualche poco di mele, che acqueti la fame innata del sapere».7 Più problematico di quanto si è sinora sostenu-to è però rintracciare tutte le fonti di tale eclettismo. Alcune componenti sono sta-te individuate dalla critica: in primo luogo l’apertura di Torelli al neoplatonismo, che nel concreto si traduce nello sforzo di far convergere Aristotele con Platone su ciò che più gli stava a cuore, ossia sul fine morale della poesia. La seconda le-zione del Trattato della poesia lirica è interamente consacrata al tentativo di mostrare che la discordanza tra Aristotele e Platone è solo apparente, è metodologica ma mai teoretica.8 La dimostrazione si svolge sotto il segno del «gran Picco», ossia di Giovanni Pico della Mirandola, convinto, come è noto, di poter giungere a pacifi-care e «concordare» tutte le scuole filosofiche e religiose, ma in filigrana si scorge anche un progetto sincretistico di matrice ficiniana, teso a far convergere, in nome di una concezione etica dell’arte, i due filosofi tra loro e con la dottrina cristiana.

Le conclusioni a cui Torelli giunge in questa sezione del Trattato vengono ri-chiamate anche in apertura delle Lezzioni sulla poetica: «del fine […] e della materia della Poesia avendo io a longo discorso e disputato in questa stessa Academia, non starò hora a repplicar quello che di mente d’Aristotele e Platone mi pare aver assai ben stabilito». Per la rilevanza che il passo appena citato ha pure per la spinosa da-tazione interna del corpus torelliano, si rimanda alla Nota al testo del Trattato della poe-sia lirica;9 pare utile tuttavia portare in questa sede ulteriori riscontri alla retrodata-zione del testo, che ne aumenta esponenzialmente la rilevanza in termini di storia della cultura, superando così in maniera definitiva le indicazioni tanto del suo pri-mo editore moderno, Bernard Weinberg, quanto del primo attento esegeta, Guido

7 Pomponio TORELLI, Trattato delle passioni dell’animo, biblioteca Palatina, ms. Parm. 1273, p. 4. Il

passo è citato anche da VERNAZZA, Poetica e poesia, cit., p. 150. 8 Per illustrare le implicazioni meramente metodologiche di questa apparente «dissonanza», To-

relli usa nel Trattato una similitudine forse non elegante ma icastica: «Ma che sì come essendo la scala una, altro però è il rispetto che ha alla scala chi ascende da quello che tiene verso l’istesso chi de-scende, così essendo una istessa opinione loro, il rispetto che l’uno e l’altro ebbe in proporla la faces-se parer o contraria o molto differente»: TORELLI, Trattato della poesia lirica, II, p. 586. Naturalmente su questa scala immaginaria al centro della quale i due filosofi si incontrano è Platone, che ha «sem-pre l’occhio alle cause superiori», colui che scende dall’alto, mentre Aristotele, che si fonda «prima su’l senso quasi su soda e certa massa», sale dal basso.

9 TORELLI, Trattato della poesia lirica, pp. 667-668.

G. GENOVESE

60

Vernazza. Anche le lezioni autografe, alle quali quest’ultimo si appoggiava per a-vallare la posteriorità delle lezioni sulla lirica rispetto a quelle Sopra la Poetica d’Aristotele,10 recano infatti segnali evidenti del contrario. Nella seconda delle Lez-zioni, in riferimento al punto nodale delle caratteristiche della lirica come «specie», si rimanda a un ciclo di interventi già concluso: «il che nelle Lettioni sopra la lirica Poesia già vi proposi».11 E nella Lettion terza il rinvio intertestuale risulta ancor più significativo, perché riferito non a discorsi tenuti alla spicciolata, ma alla forma or-ganica di un trattato compiuto. Esponendo le ragioni per le quali nella Poetica Ari-stotele abbia «divisa la Poesia lirica e non nominatala con un nome solo», Torelli evita in questi termini di ripetere il già detto: «A che se ben rispondiamo nelle lettio-ni fatte sopra le regole della Lirica, e perciò in molte cose, e massime nella diversità e maniera de’ dithirambi e del fine d’essi, a quelle lettioni, et al trattato intiero riportar ci doviamo, per non dire l’istesso più volte; pure da quello torremo per hora in prestito quel tanto, e non più, che farà per interpretare Aristotele».12 Entrambi i passaggi appena citati sono nell’autografo identici e appartengono non a integrazioni suc-cessive ma allo strato scrittorio originario.

Accanto alle componenti neoplatoniche, va registrato un ulteriore e cruciale versante dell’eclettismo di Torelli: la critica razionalistica al concetto di auctoritas, sottofondo costante della sua esegesi e della sua teoria, e nel dettaglio esposta nella lezione Del debito Acad[emi]co intorno all’autorità de gli autori più stimati.13 È senz’altro vero che nella critica al principio di autorità giochi un ruolo importante la forma mentis tipica dell’accademia, fondata sul modello dialogico della ‘civil conversazio-ne’.14 Nell’explicit di questa importantissima lezione Torelli esalta infatti il ruolo della ragione, che «apre alla verità più piana strada» e risulta «più utile» dell’autorità «a quelli ch’ascoltano», e ribadisce la centralità del metodo accademico, unico a far realmente progredire la conoscenza: «et essendo questo il vero modo di disputar

10 Cfr. VERNAZZA, Poetica e poesia, cit., p. 17. 11 Pomponio TORELLI, Lezzioni sopra la Poetica d’Aristotele, biblioteca Palatina, ms. Parm. 1304, p. 20. 12 Ivi, p. 25. Nostro il corsivo. 13 Sulla genesi di questo atteggiamento, cfr. Luca BIANCHI, ‘Aristotele fu un uomo e poté errare’: sulle

origini medievali della critica al ‘principio d’autorità’, quarto cap. dei suoi Studi sull’aristotelismo del Rinascimen-to, Padova, Il Poligrafo, 2003, pp. 101-124.

14 La lezione è stata dalla Denarosi definita «una sorta di tavola delle leggi aggiuntiva rispetto agli ordinamenti accademici, poiché fornisce all’Accademia la base della propria autonoma identità cultu-rale, istituendola di fatto come una rinnovata scuola umanistica»: Lucia DENAROSI, L’Accademia degli Innominati di Parma: teorie letterarie e progetti di scrittura (1574-1608), Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2003, p. 45.

«Non essendo Poesia altro che Poetica in atto»

61

academico non sia alcuno che si meravigli del costume nostro, e se risponderemo all’autorità lo riceva per cortesia, non per obligo dell’Academia, e si prepari a combattere con verisimili o vere o salde o sottili ragioni, e non con raccolte e mendicate autorità».15 Questo punto fermo è ribadito più volte sia nelle Lettioni sulla tragedia, in cui non l’autorità ma la «ragione» viene definita «la vera spada del Filosofo»,16 sia nelle Lezzioni sopra la Poetica, dove Torelli dà giustificazione teorica del dubbio («dove non mi par che le cose alla Verità convenghino è forza a dubita-re»)17 e sostiene di essere sempre pronto a «partirsi» dall’autorità d’Aristotele, «ove in contrario scorgesse la verità».18

Ciò che non risulta ancora adeguatamente rilevato è il debito che questa posi-zione ha nei confronti dell’altro Pico, quel Gianfrancesco autore dell’Examen vani-tatis doctrinae gentium, stampato nel 1520, a cui Torelli fa riferimento non solo per i legami familiari: nel Trattato delle passioni dell’animo, ad esempio, discutendo della consistenza del piacere e del dolore, rimanda al quattordicesimo capitolo del «Li-bro dell’imagine» (ovvero il De Imaginatione) del «Con[te] Gio[van] Fran[ces]co del-la Mirandola, mio Avo materno».19 E Gianfrancesco, i cui testi erano presenti nella biblioteca torelliana,20 viene nel Debito del Cavalliero annoverato, insieme con lo zio Giovanni e Alberto Pio, nell’esiguo elenco dei «signori e cavallieri» che si occupa-no di filosofia.21 La lezione torelliana deriva in molti passaggi direttamente dall’Examen, e il rilievo assume un valore notevole anche per gli storici delle idee: da una parte perché la cartografia dello scetticismo restituisce, a quest’altezza cro-nologica, contorni nitidamente definiti dell’Europa d’oltralpe – si pensi al caso Montaigne – ma ancora molto sfocati dell’Italia; dall’altra per una più compiuta

15 Pomponio TORELLI, Del debito Acad[emi]co intorno all’autorità de gli autori più stimati, p. 17. Questa

lezione, di cui si darà l’edizione nel terzo volume delle Opere torelliane, si legge nei Manoscritti letterari di Pomponio Torelli conservati presso l’Archivio di Stato di Parma, busta 21, VI.

16 Pomponio TORELLI, Lettioni del Perduto Academico Innominato sopra il Trattato della Tragedia d’Aristotile, biblioteca Palatina, ms. Parm. 1305, p. 44.

17 ID., Lezzioni sopra la Poetica d’Aristotele, cit., p. 177. 18 Ivi, p. 139. 19 TORELLI, Trattato delle passioni dell’animo, cit., p. 32. Il passo è citato anche da VERNAZZA, Poetica

e poesia, cit., p. 150. 20 Si veda Cornelia BEVILACQUA-Gabriele NORI, Libraria di quasi tutte le professioni di scienze arti et

facultà. La biblioteca di Pomponio Torelli, Montechiarugolo, s.e., 2008. 21 Pomponio TORELLI, Trattato del debito del Cavalliero, Parma, Viotti, 1596, c. 165v.

G. GENOVESE

62

mappatura della ricezione e dell’influenza del testo pichiano, su cui opposte sono le conclusioni di Charles Schmitt e Richard Popkin.22

Particolarmente significativo, per l’evidenza del riscontro testuale, è il passaggio sulla vexata quaestio dell’eternità del mondo. Torelli, nei medesimi termini in cui lo aveva fatto Pico, evidenzia l’errore di Aristotele («noi sappiamo chiaramente che il tutto fu creato di niente») e lo assume a giustificazione di altre opinioni discordi da quelle del filosofo: «Come faremo dunque nell’eternità del mondo, che con tante ragioni ch’egli chiama dimostrationi viene da Aristotele confermata; s’egli dice sempre il vero, questa sarà ancor vera, e se questa sarà eccettuata, a me perché non sarà lecito di scartarne un’altra?».23 Il passaggio richiama, anche nella struttura ar-gomentativa della domanda retorica, un luogo analogo dell’Examen: «An homini plerisque erranti assentiemur? Ita ut quemadmodum nos fefellit in illis, fallere quoque possit in aliis? Annon magis suspendemus iudicium et incertum quod re-linquitur habebimus?».24

Torelli ripropone inoltre i topoi scettici presenti nell’Examen, primo fra tutti l’esistenza di «sette diverse ripiene di diverse e contrarie opinioni fondate su diver-si e contrarii principii e confirmate con contrarie ragioni»,25 sfruttandoli – esatta-mente come fa Pico –26 per mostrare l’inconsistenza della sapienza umana, anche nella sua più alta manifestazione (la filosofia pagana), rispetto alla sapienza divina: «nessuno de’ Filosofi antichi han tocco il segno della verità perché questa è in ma-no di Dio, et è Dio stesso, onde come non è stato conosciuto da loro né glorifica-to, così gli è stata nascosta la verità assolutamente; e però chiamò la Filosofia vana San Paolo perché in essa non erano che ombre di verità».27 Torelli adopera dun-

22 È lo stesso Popkin, che ritiene di scarsa influenza e diffusione l’Examen, a rievocare le discus-

sioni con Schmitt su questo punto: cfr. Richard H. POPKIN, La storia dello scetticismo. Da Erasmo a Spi-noza, Milano, Anabasi, 1995, p. 35. Ha rimarcato l’opportunità di «approfondire la possibile influenza della critica dell’aristotelismo svolta da Giovanfrancesco Pico nell’Examen» Cesare VASOLI, La critica di Francesco Patrizi ai “principia” aristotelici, in «Rivista di storia della filosofia», LI, 4 (1996), p. 719, n. 23. Per un più ampio raffronto tra l’Examen e lo scritto torelliano, cfr. Gianluca GENOVESE, Pomponio Torelli e la fortuna dell’«Examen vanitatis doctrinae gentium» di Gianfrancesco Pico, in «Giornale critico della filosofia italiana», LXXXVIII, 3 (2009), pp. 555-561.

23 TORELLI, Del debito Acad[emi]co, cit., p. 6. 24 Questo passaggio dell’Examen è commentato da Charles B. SCHMITT, Gianfrancesco Pico della Mi-

randola (1469-1533) and his critique of Aristotle, The Hague, Martinus Nijhoff, 1967, p. 74. 25 TORELLI, Del debito Acad[emi]co, cit., p. 2. 26 Cfr. Gian Mario CAO, Scepticism and Orthodoxy. Gianfrancesco Pico as a reader of Sextus Empiricus, in

«Bruniana & Campanelliana», XIII, 1 (2007), pp. 263-366, in part. 283-284. 27 TORELLI, Del debito Acad[emi]co, cit., p. 6.

«Non essendo Poesia altro che Poetica in atto»

63

que, nel suo eclettismo, fonti anche contrastanti (nella fattispecie l’uno e l’altro Pi-co), piegandole di volta in volta ai propri scopi. Non va confusa, d’altra parte, l’adozione convinta di posizioni scettiche con il semplice ricorso, non di rado strumentale, ad argomenti scettici,28 ai quali il giovane Pomponio aveva con ogni probabilità potuto aver accesso anche per altra via: tra i primissimi ad adoperare Sesto Empirico per illustrare le posizioni del Cicero scepticus degli Academica va an-noverato infatti Francesco Robortello,29 alla cui scuola padovana egli aveva studia-to («fui co’l primo latte dell’humane lettere del Robortello nutrito», ricordava l’ormai più che maturo autore della Vittoria nella dedicatoria ai patavini «Academi-ci Ricoverati»).

Altra componente dell’aristotelismo eclettico rinascimentale è la rivalutazione dello stoicismo: si pensi al posto rilevante che esso occupa nell’Universa philosophia de moribus di Francesco Piccolomini, stampata nel 158330 e che va annoverata tra le fonti del Trattato delle passioni dell’animo, dove anche Torelli difende la concezione morale degli stoici: «ardirò di diffendere li stoici, parendomi indegno che chi s’è tanto affaticato nelle passioni sia così subito […] riprovato».31 L’eclettismo torel-liano non rifugge neppure dai terreni minati, complicando ancor più l’immagine vulgata di autore monoliticamente schierato sul fronte controriformista. Nel Tratta-to della poesia lirica, ad esempio, risalta un accenno per nulla polemico al copernica-nesimo, nella forma di una – sia pure velata – apertura, che assume un rilievo indi-scutibile qualora si ricordi che viene espressa tra gli anni Settanta e Ottanta del Cinquecento. Sostenendo che «tutte le cose partecipano» della verità, Torelli in-clude tra queste l’ipotesi copernicana: «Onde e’l caos con i principi naturali, e l’opinione che la terra si mova stando immobile il cielo, insieme si convengono». E non si discosta forse troppo dal vero un’ipotesi di recente formulata sull’attività del Torelli quale pigrissimo estensore per l’inquisizione parmense, sul finire del se-

28 Cfr., su questo punto, Paul Oskar KRISTELLER, Filosofi greci dell’età ellenistica, Pisa, Scuola Nor-

male Superiore, 1991, p. 47, e Gian Mario CAO, L’eredità pichiana: Gianfrancesco Pico tra Sesto Empirico e Savonarola, in Pico, Poliziano e l’Umanesimo di fine Quattrocento, Biblioteca Medicea Laurenziana, 4 no-vembre-31 dicembre 1994, catalogo a c. di Paolo Viti, Firenze, Olschki, 1994, p. 241.

29 Cfr. Charles B. SCHMITT, Cicero Scepticus: a Study of the Influence of the Academica in the Renaissance, The Hague, Martinus Nijhoff, 1972, pp. 70-71.

30 Cfr. Jill KRAYE, Eclectic Aristotelianism in the Moral Philosophy of Francesco Piccolomini, in La presenza dell’aristotelismo padovano nella filosofia della prima modernità, Atti del Colloquio internazionale in memoria di Charles B. Schmitt (Padova, 4-6 settembre 2000), a c. di Gregorio Piaia, Roma-Padova, Editrice Antenore, 2002, pp. 57-82.

31 TORELLI, Trattato delle passioni dell’animo, cit., p. 6.

G. GENOVESE

64

colo, dell’Indice: che egli abbia cioè accettato di compilarlo soprattutto per poter leggere con agio anche i libri vietati.32

Sono nodi critici, quelli appena formulati, che sarà bene tentare di sciogliere, se si vuol delineare la figura del nostro autore senza cadere nello stereotipo, e per in-tendere appieno la sua attività di teorico. Propedeutico ad ogni osservazione sugli scritti di poetica del Torelli è anche un accenno alle modalità con le quali viene da lui suddivisa la Poetica d’Aristotele. Non è questione di poco conto: ogni commen-tatore considera il testo non solo nel suo insieme ma anche nelle sue «movenze microtestuali»; e, come è stato opportunamente ricordato dagli studiosi del dibatti-to aristotelico cinquecentesco sul dialogo, «la segmentazione dell’oggetto in anali-si» è già «un sia pur primitivo gesto interpretativo».33 Non pare un caso allora che Torelli scelga di seguire non la partizione proposta dal suo maestro Robortello, né quella del criticatissimo Castelvetro, ma la divisione in 157 particelle operata dal Maggi e seguita dal Piccolomini, da due fautori cioè di quella linea ‘etica’ nella qua-le, sia pure con personali scarti, egli si riconosce. A questa suddivisione in particelle Torelli sovrappone però una ripartizione più ampia, leggendo la Poetica come un in-sieme, anche se non disomogeneo, di trattati diversi. Già Robortello aveva suggerito una ripartizione del testo in tre parti, la prima dedicata alla definizione della poesia, la seconda alla tragedia, la terza alle affinità e alle differenze tra epopea e tragedia;34 e, come è noto, Lodovico Castelvetro aveva poi sezionato il testo in sei «parti principali».35 Torelli considera tutto ciò che si legge prima della definizione della tragedia un ‘proemio’ o ‘prologo’ (usa nelle sue lezioni entrambi questi vocaboli),36

32 Cfr. Luca CERIOTTI-Federica DALLASTA, Il posto di Caifa. L’Inquisizione a Parma negli anni dei Far-nese, Milano, FrancoAngeli, 2008, p. 237.

33 Giancarlo ALFANO, Il racconto e la voce: mimesi e imitatio nel dibattito aristotelico cinquecentesco sul dia-logo, in «Filologia e Critica», XXIX, 2, (2004), p. 176.

34 «Liber hic unus, quem habemus de Poëtice, commodissime mihi videtur in partes treis dividi posse. Primum enim investigat definitionem poëtices; invento genere, et distincto per differentias; ut possit applicari ad singularem partium poëtices definitionem. Deinde agit de Tragoedia et eius parti-bus; postremo de Epopoeia, et comparat hanc cum Tragoedia»: Francesco ROBORTELLO, In librum Aristotelis de arte Poetica explicationes, Firenze, Torrentino, 1548, p. 5.

35 Su «cosa sia poesia in generale e in ispeziale» la prima; su «l’origine della poetica in generale e in ispeziale» la seconda; sulla «tragedia» la terza; sull’«epopea» la quarta; sulle «accuse e le scuse de’ poeti» la quinta; su quale «sia più da prezzare tra l’epopea o la tragedia» la sesta e ultima: cfr. Lodovi-co CASTELVETRO, Poetica d’Aristotele vulgarizzata e sposta, a c. di Werther Romani, 2 voll., Roma-Bari, Laterza, 1978.

36 «Per Proemio intendo tutte quelle particelle che inanzi la diffinitione sono state poste» (TO-RELLI, Lettioni del Perduto, cit., p. 24); «Il che è stato riprovato nel prologo di questo libro, che per tale chiamo io le 33 particelle poste inanzi alla diffinitione della Tragedia» (ivi, p. 95).

«Non essendo Poesia altro che Poetica in atto»

65

e un trattato a sé stante le particelle dedicate poi nello specifico alla tragedia; tra le altre sezioni o sottosezioni a suo avviso isolabili menziona il «trattato della Favo-la», l’«epico trattato»,37 il «trattato dell’agnitione», il «trattato de i costumi».38

Questa suddivisione risponde ed è funzionale a un’istanza esegetica primaria, confermata dal modo stesso di proporre il commento: le Lezzioni sopra la Poetica d’Aristotele toccano infatti non l’intera Poetica – come verrebbe da pensare visto il titolo – ma soltanto le prime 33 particelle (il ‘proemio’); le successive sono esposte sotto il titolo di Lettioni del Perduto Academico Innominato sopra il Trattato della Tragedia d’Aristotile. Le particelle iniziali del testo aristotelico, dedicate alla definizione della poesia e al concetto di mimesis, sono da una parte minuziosamente analizzate nelle Lezzioni sopra la poetica, e dall’altra costituiscono la base teorica su cui si fonda il Trattato della poesia lirica: e tra questi due testi ci sono scambi continui di tessere i-dentiche39 nonché, come si è detto sopra, di rinvii intertestuali.

Che il Trattato costituisca il più coerente e per certi versi originale tentativo cin-quecentesco di nobilitazione teorica della lirica come genere di pari dignità rispetto alla tragedia e all’epica non è soltanto acquisizione della critica più recente.40 No-tevole è infatti la consapevolezza con la quale già Torelli rivendica la propria pecu-liarità rispetto agli altri commentatori: in un rivelatore inciso delle lezioni sulla tra-gedia sostiene che «materia sua particolare» è la «poesia lirica».41 Analogamente, illustrando agli accademici nelle Lezzioni sopra la poetica la varietà di versi adoperata dai lirici (analoghe considerazioni sono più dettagliatamente esposte nel Trattato), dice: «Il che vi pongo tanto più volentieri avanti, quanto nessuno degl’espositori vi ha posto mente».42 E il richiamo alla propria teorizzazione sulla lirica sarà costante: quando, nel Debito del Cavalliero, viene presentata come imprescindibile per il cava-liere la conoscenza della lirica, poiché gli apporta giovamento morale, sul punto si rimanda a ciò «che nelle lettioni liriche s’è discorso»;43 quando, nel Trattato delle pas-sioni dell’animo, si accenna al fine morale della poesia, si rinvia al «principio del Trat-

37 Ivi, p. 52. 38 Ivi, p. 318. 39 Per i riscontri sulle tessere testuali che passano dall’uno all’altro testo, si rimanda al commento

al Trattato della poesia lirica. 40 Cfr. Nicola GARDINI, Una definizione tardo-cinquecentesca di poesia lirica: le «Lezioni intorno alla poe-

sia» di Agnolo Segni, in «Studi italiani», VII, 1 (1995), pp. 29-45, e Guglielmo FREZZA, Sul concetto di ‘lirica’ nelle teorie aristoteliche e platoniche del Cinquecento, in «Lettere italiane», LIII, 2 (2001), pp. 278-294.

41 TORELLI, Lettioni del Perduto, cit., p. 17. 42 ID., Lezzioni sopra la Poetica d’Aristotele, cit., p. 226. 43 Cfr. VERNAZZA, Poetica e poesia, cit., p. 137.

G. GENOVESE

66

tato lirico»;44 e Torelli giungerà a compendiare in versi le argomentazioni già espo-ste in difesa della lirica nel carme latino Prosopopeia Poëseos lyricae,45 rendendole così pedagogicamente più efficaci e agevolandone la memorizzazione. È questo un punto cruciale: a costo di ripetersi (e si ripete spesso) Torelli sviscera con grande attenzione le sezioni della Poetica che ritiene utili per dare fondamento teorico alla propria concezione della lirica e della tragedia volgare, generi intorno ai quali ferve l’attività di codificazione e di composizione dell’Accademia degli Innominati, e a cui egli è in prima persona interessato come autore. Non pare un caso che a un genere pure largamente frequentato, sia in Accademia che fuori, come il poema eroico, Torelli riservi un interesse teorico di gran lunga minore rispetto a quelli con cui direttamente pensa di cimentarsi: ed esplicita è, d’altro canto, sia nel Sogno del Perduto sia nel carme Ad musam, la recusatio della poesia epica come genere da lui praticabile.46

La Poetica da una parte fornisce al critico, a posteriori, gli strumenti ermeneutici di cui necessita: Torelli usa come reagente la strumentazione aristotelica applican-dola alle tragedie euripidee, sofoclee, senechiane e ne fa emergere i difetti, le giudi-ca.47 Dall’altra parte ha per il poeta valore normativo, a priori: «Il fine dell’Autore et del Libro altro non è», scrive infatti Torelli nelle prime pagine delle sue Lezzioni sopra la Poetica, «che d’insegnarci a comporre le Poesie, o Poemi, et a giudicar le composte, stabilendo un abito di giudicare et poi comporre con retta ragione».48 Torelli appare tuttavia interessato più alla funzione normativa (‘comporre con ret-ta ragione’) che a quella esegetica (‘insegnare a giudicare’). In apertura del Trattato della poesia lirica scrive infatti che intento principale della sua approfondita esposi-zione è far derivare «qualche norma per la quale altri rettamente componghi».49 Analogamente le lezioni sulla tragedia sono pensate «per insegnare altrui prima a comporre bene e poi a schivar nel componere ogn’errore»,50 attraverso l’analisi

44 Cfr. ivi, p. 152. 45 Il carme è il nono del Liber Quintus dei torelliani Carminum Libri Sex, dati alle stampe presso il

parmense Viotti nel 1600. 46 Cfr. l’Introduzione di Alessandro BIANCHI alla sua scelta dei Carmina, in TORELLI, Poesie con il

Trattato della poesia lirica, p. 489. 47 I commenti e le osservazioni sulle tragedie ricordate si leggono nella sezione finale di Pompo-

nio TORELLI, Miscellanea, biblioteca Palatina, ms. Parm. 637. 48 TORELLI, Lezzioni sopra la Poetica d’Aristotele, cit., p. 8. Su questo punto, cfr. anche DENAROSI,

L’Accademia degli Innominati di Parma, cit., pp. 76-78. 49 TORELLI, Trattato della poesia lirica, I, p. 570. 50 ID., Lettioni del Perduto, cit., p. 214.

«Non essendo Poesia altro che Poetica in atto»

67

delle caratteristiche di una tragedia che risulti «perfetta»;51 ed è difficile non scorge-re un residuo di neo-platonismo nella formulazione di questa idea ‘perfetta’ di tra-gedia, a cui le concrete realizzazioni testuali devono rimandare.

Torelli ritiene di essere tra i pochi espositori in grado di assolvere il compito di – per parafrasare il suo amato Cortegiano – ‘formar con parole un perfetto’ lirico o tragediografo, essendo egli non solo esegeta ma compositore. «Il che molto meglio considerar pò» – scrive in un passaggio dedicato alle digressioni poetiche – «chi favole e Poesie compone, di quelli che intorno ad esse versano senza comporre, perché a quelli le cose dell’arte con la fatica dell’operar intorno ad esse s’appresenta».52 E riferendosi al Robortello sostiene, poco più avanti: «il mio Mae-stro nel suo Commento abbagliò molte volte; il che credo ch’avenisse per non es-ser egli punto Poeta, se ben fu dottissimo».53 Anche il Castelvetro, bersaglio co-stante del Torelli, che lo attacca spesso con toni per lui insolitamente aspri, viene liquidato per lo stesso motivo: «e si vede, che il Castelvetro pensò e disputò assai, ma compose poco».54

Non si tratta di un semplice spunto polemico: l’identificazione tra il filosofo e il poeta è uno dei pilastri dell’edificio teorico torelliano. È «cosa da Filosofo la Poesia», scrive Torelli nell’undicesima delle lezioni sulla tragedia.55 In questa affermazione si possono scorgere diverse implicazioni e diversi livelli. Al livello di base, per dir così, vi è il richiamo ad Aristotele, il quale sostiene che «la poesia è cosa più nobile e più filosofica della storia»,56 perché, come il filosofo, il poeta guarda all’universa-le, mentre lo storico si concentra sul particolare. Vi è poi un livello ulteriore, che rimanda sia alla religiosità controriformistica sia al progetto culturale dell’Acca-demia degli Innominati, al suo legame strettissimo con un principato che ha biso-gno di legittimazione.57 Se il vero fine della poesia è l’utilità morale, se essa svolge un imprescindibile ruolo educativo, perché in quanto moderatrice degli affetti e «ministra della civile facoltà» è immediatamente «sottoposta» alla politica (d’altra parte per il Torelli, «controriformisticamente, l’uomo è prima di tutto homo politi-

51 Tra i luoghi in cui si illustrano le caratteristiche della tragedia «perfetta», si veda almeno ivi, p. 356. 52 Ivi, p. 134. 53 Ivi, p. 169. 54 Ivi, p. 413. 55 Ivi, p. 115. 56 Cfr. ARISTOTELE, Poetica, 1451b. 57 Su questo punto si rimanda alle pagine della DENAROSI, L’Accademia degli Innominati di Parma, cit.

G. GENOVESE

68

cus»),58 se anche alla lirica si può riadattare in chiave moralistica il concetto di ca-tarsi, allora l’equivalenza tra filosofo e poeta pare a Torelli evidente, come era par-sa qualche anno prima a Scipione Ammirato nel dialogo Il Dedalione o ver del poeta (1560): «perché il filosofo ha per fine il giovare, l’istesso ha il poeta».59 Anche Be-nedetto Varchi aveva sostenuto che i poeti «non sono altro che filosofi morali»;60 in maniera analoga il costante interesse torelliano per la funzione educatrice dell’arte lega la poetica alla filosofia morale sin dalle prime Lezzioni sulla Poetica d’Aristotele («Onde non sol ministra della Filosofia morale, ma principal ministra riputar si deve»).61

C’è però un ulteriore e decisivo livello: l’equivalenza tra filosofia e poesia ri-specchia infatti un’altra equivalenza per Torelli fondamentale: quella tra poetica e poesia. In una lunga digressione, che occupa ben due Lezzioni, Torelli si interroga sul fine cui queste rispettivamente tendono, e conclude che è identico, ossia «lo estirpar l’eccesso delle passioni per preparar gl’animi alla Virtù»: «credo che il fine […] sia lo stesso, non essendo Poesia altro che Poetica in atto, come la Poetica è Poesia in potenza; onde nella differenza solo nel modo di considerare non vi pò essere differenza di fine, perché l’atto e la potenza non variano essenza».62 In que-sta, che è naturalmente un’affermazione di poetica, c’è la chiave di lettura dell’intera opera del Torelli. Nella Nota al testo dell’edizione del Trattato della poesia lirica, in riferimento alle Rime amorose mi sono servito, per rendere più chiaro que-sto concetto, di un sintagma crociano, scrivendo che rispetto al Trattato le Rime co-stituiscono un esempio di ‘filosofia in azione’; adoperando la terminologia torellia-na, devono essere dunque più correttamente definite ‘poetica in atto’. La protago-nista della vicenda amorosa narrata nel testo svolge nei confronti del poeta, come ha notato Nicola Catelli nella sua introduzione alle Rime, «un ruolo di guida sul cammino della virtù che conduce alla salvezza eterna dell’anima e al ricongiungi-mento con Dio, in primo luogo attraverso la moderazione degli affetti»:63 in altri

58 Marco ARIANI, Tra classicismo e manierismo. Il teatro tragico del Cinquecento, Firenze, Olschki, 1974, p. 290. Aveva segnalato la predominanza delle «considerazioni e figurazioni politiche» nel Torelli tragediografo Benedetto CROCE, La «tragedia», in Poesia popolare e poesia d’arte. Studi sulla poesia italiana dal Tre al Cinquecento, Bari, Laterza, 1946², p. 334.

59 Scipione AMMIRATO, Il Dedalione, o ver del poeta, in Trattati di poetica e retorica del Cinquecento, cit., vol. II, p. 498.

60 Citato da MAZZACURATI, L’albero dell’Eden, cit., p. 73. 61 Cfr. Gianluca GENOVESE, Introduzione a TORELLI, Trattato della poesia lirica, pp. 564-565. 62 TORELLI, Lezzioni sopra la Poetica d’Aristotele, cit., p. 162. 63 In ID., Poesie con il Trattato della poesia lirica, p. 4.

«Non essendo Poesia altro che Poetica in atto»

69

termini, rende nel concreto della pratica poetica il fine della poesia lirica così come viene teorizzato nel Trattato.

Riproponendo il medesimo schema, il Torelli teorico spiega che il fine della tragedia è la catarsi, il purgar gli animi dagli affetti imitati, e soprattutto dal deside-rio «di tutti i beni esterni» e dall’amor proprio, radice di tutte le passioni negative.64 Il tragediografo è paragonato, riattualizzando un topos di lungo corso, a un medico, gli spettatori ad ammalati. In quanto «Medicina dell’anima, che con l’amarezza in-duce la sanità», la tragedia non deve quindi procurare diletto ma giovamento: «ot-timo è quel Medico che il male scaccia con opportune Medicine, senza curar di piacere all’infermo; e tristo e biasmato saria quello che al gusto dell’infermo più che alle regole avrà risguardo».65 Queste dichiarazioni di poetica vengono tradotte in atto già con la Merope, la prima delle tragedie torelliane. È l’autore stesso a ren-dere evidente il passaggio dalla poetica alla poesia nella lettera di dedica agli acca-demici Innominati di Parma, che accompagna nel 1605 la terza edizione della tra-gedia:

mi diedi a leggere la Poetica d’Aristotele, discorrendo e disputando sopra le difficoltà che sorgono in quell’operetta imperfetta e lacera (e fors’anco lacerata da qualcheduno che l’espone, o vuole ridurla, storcendo il sentimento d’essa a’ suoi propri capricci) […] addu-cendo io certi miei pensieri (che, con tutte le lettioni fatte sopra quel libro, potrebbono presto vedersi […]) e secondo essi mi posi a compor la Merope.66

E anche la dedicatoria della seconda tragedia, il Tancredi, inizia ex abrupto con il

riferimento ad un luogo della Poetica dall’autore ampiamente commentato nelle Lettioni:

Io mi mossi a comporre la presente tragedia per l’auttorità d’Aristotele, il quale non so-

lamente approva che sopra gli istessi avvenimenti si facciano diverse tragedie, ma confer-ma che, conservato il fine, molto più differenti, variata la testura loro, ne gli istessi casi di-vengono, che se sopra diversi avvenimenti con un medesimo modello tessute fossero.67

64 «Ma mi credo che l’Amore e Desiderio delle potenze, de i principati, delle ricchezze, e final-

mente di tutti i beni esterni, ch’è quello Amor proprio, che noi interesse per l’ordinario chiamiamo, sia quello che principalmente si purghi»: TORELLI, Lezzioni del Perduto, cit., pp. 18-19.

65 Ivi, p. 321. 66 TORELLI, Merope, p. 11. Cfr. anche Claudio SCARPATI, Dire la verità al principe. Ricerche sulla lettera-

tura del Rinascimento, Milano, Vita e Pensiero, 1987, p. 190. 67 TORELLI, Tancredi, p. 115.

G. GENOVESE

70

Non si tratta di semplici esercizi accademici, ma della volontà di trasporre in versi tragici i precetti esposti nelle lezioni, in primo luogo attraverso quella che Claudio Scarpati ha definito «una instancabile dipintura degli affetti: il sospetto, il timore che si fa audacia, la disperazione che si fa nutrimento dell’odio»;68 il tutto con ben in vista il perseguimento di un fine, da Torelli esplicitato nella dedica della Merope: «trarne costumi più utili al viver moderno». La categoria dell’utile che quasi ossessivamente permea le pagine di poetica del Torelli viene tradotta dunque «in atto» nelle tragedie; le prime, la Merope e il Tancredi, composte sul finire degli anni Ottanta, sono integralmente rispettose dei dettami di poetica così minuziosamente esposti in Accademia a partire dal principio del decennio;69 e anche le successive e più tarde, declinate sul versante di un più spinto impegno controriformista, nasco-no all’insegna dell’utilità morale.

Dalla dedicatoria della Merope risulta evidente che la traduzione ‘in atto’ dei precetti di poetica coinvolge anche la scelta del soggetto. Torelli spiega di non aver seguito la falsariga di riscritture già note, ma, per concentrarsi sui nodi che più gli stavano a cuore, di essersi «conformato, nella costitutione, con Higino, poiché non abbiamo altra luce da quelle che composero gl’antichi tragici». Questa dichiarazio-ne va confrontata con un passaggio delle Lettioni, dove tra l’altro è il medesimo campo metaforico ad essere chiamato in causa, sul complementare versante dell’ombra: il soggetto tragico, sostiene Torelli, va scelto non tra «favole nuove» (che in quanto nuove risultano inverosimili) ma tra «Historie vecchie» che siano però «non ben note, né particolarmente esplicate, dove il Poeta habbi come in un bosco ombroso ripostigli d’ascondersi». Come nel Trattato della poesia lirica, dove nel concetto decisivo di mimesis, di «immitatione», Torelli sovrappone l’accezione aristotelica a quella da Platone esposta nel Sofista, integrando e correggendo l’una con l’altra, così nella pratica del tragediografo «il platonismo (verticalità, idea) si correggeva con l’aristotelismo (orizzontalità terrena, socialità dello Stato, ragione) in una soluzione nuova rispetto a quelle del Trissino, Giraldi, Aretino, Groto e

68 SCARPATI, Dire la verità al principe, cit., p. 192. Lo stesso Torelli, nella dedicatoria del Tancredi, p.

115, motiva la scelta di riscrivere una storia «disgratiata» già «celebrata da Giovanni Boccaccio», e ripresa da tragediografi successivi, in primo luogo perché si tratta di vicenda «ripiena di […] affetti».

69 Molto utili, a questo proposito, risultano le indicazioni di Vincenzo Guercio, Dalla Merope al Polidoro: sulla storia del teatro tragico torelliano, introduzione a TORELLI, Teatro, pp. XI-XXIII.

«Non essendo Poesia altro che Poetica in atto»

71

Tasso, in cui più spesso, specialmente negli ultimi due, il problema della catarsi si risolveva in un rifiuto disperato e dissolvitore».70

Alle tragedie nello specifico sono stati dedicati altri interventi raccolti nel pre-sente volume. Ciò che ancora preme evidenziare è che il rapporto tra ‘potenza’ e ‘atto’ negli scritti di poetica torelliani si applica anche alla tragedia ‘perfetta’ e si collega ancora una volta alla categoria dell’utile, del ‘giovare’. «La Tragedia in atto è quella che si recita, perché scritta è Tragedia in potenza» sostiene Torelli.71 L’esegeta, «chi la giudica», deve dunque considerare «non solo com’è scritta […] ma come a recitar s’habbi, e che la bontà della scritta sia in potenza».72 Anche in questo aspetto egli tiene a rimarcare la propria distanza dagli altri «espositori», nella fattispecie da coloro che, come il Piccolomini, non ritengono indispensabile l’ese-cuzione scenica: «ch’io certo terrei sempre che la perfettione della Tragedia consista in esser recitata, e che l’altre siano in potentia non in atto».73

Questa netta presa di posizione è la naturale conseguenza del sistema estetico ed etico torelliano, imperniato sul ‘giovare’ e non sul ‘dilettare’ (anzi Torelli con-danna senza appello gli autori che «per piacere a gl’huomini, lasciano il fine dell’arte»).74 Se la tragedia deve conseguire un fine (la catartica ‘purgatione’), è in-fatti indispensabile studiare come questo fine possa essere più efficacemente rag-giunto. Di qui anche istanze che – senza infrangere la verisimiglianza – si potreb-bero definire antirealistiche, presenti già nella Poetica ma che dall’esegeta vengono condotte alle estreme conseguenze. «In natura», Torelli ne è consapevole, nulla impedisce che vi sia un lieto fine per i malvagi, o un finale tragico per i buoni; la tragedia ha però un codice suo proprio, indipendente dalla realtà. La tragedia ‘doppia’, ad esempio, che egli ritiene di aver esaminato in maniera più corretta e approfondita (rilevando idee «non avertite da gli altri»),75 deve seguire necessaria-mente lo schema di «doi mutationi di persone principali», una dalla felicità alla mi-seria, l’altra dalla miseria alla felicità; se rimescolasse le carte, come pure accade «in

70 ARIANI, Tra classicismo e manierismo, cit., p. 293. 71 TORELLI, Lettioni del Perduto, cit., p. 294. 72 Ivi, p. 50. 73 Ivi, p. 279. 74 Ivi, p. 344. Sull’attenzione agli «spettatori» nella polemica sulla tragedia, con particolare riferi-

mento alle posizioni di Giovan Battista Giraldi Cinzio, autore largamente presente nella biblioteca torelliana (cfr. BEVILACQUA-NORI, Libraria, cit.), si veda Stefano JOSSA, Rappresentazione e scrittura. La crisi delle forme poetiche rinascimentali (1540-1560), Napoli, Vivarium, 1996, pp. 23 sgg.

75 TORELLI, Lettioni del Perduto, cit., p. 262.

G. GENOVESE

72

natura», dove la persona «buona può terminare in misero, e la rea in lieto, et am-bedue in lieto, et ambedue in misero», il poeta fallirebbe quanto al fine: infatti una combinazione diversa da quella prescritta «scemerà la compassione» e recherà «mal costume».76 Per lo stesso motivo si eviterà di «far veder cose atroci», o la cruda e-sibizione della morte in scena: infatti, ribadisce Torelli, «la Poesia vuole indur ter-rore e compassione, e perciò fugge lo spettacolo di morte; non perché non mova, ma perché move troppo et a diversi affetti di quello ch’ella vorria».77

Se la poetica del Castelvetro, imperniata sul verosimile, che implica la centralità del lettore e del suo orizzonte, è stata per questo definita reader oriented,78 quella del Torelli si potrebbe dire dunque audience oriented, orientata sullo spettatore. Parlando della «convenienza delle cose che si trattino» nella tragedia e della «debita propor-tione» e «coerenza» tra le sue parti, Torelli rende esplicita la sua costante attenzio-ne alla ricezione: «perché non componiamo a noi stessi, ma componiamo a gli al-tri; e però conviene vedere come le cose sono da gl’altri prese, e che impressione possino fare, con che modo dilettare, come commovere».79

E l’attenzione alla ricezione, che chiama in causa le categorie del ‘verosimile’ e del ‘possibile’, è in Torelli per certi aspetti più raffinata che in Castelvetro, perché vi entra la dimensione della storia. «L’ufficio del poeta», scrive Torelli parafrasan-do Aristotele, «è di seguitar il possibile, risguardando le cose in universale».80 Fin qui nulla di nuovo; ma se si volesse condensare in una formula la lontananza dall’esegesi del Castelvetro, si potrebbe dire che mentre quest’ultimo, contrario all’inclusione di ogni elemento irrazionale, assolutizza il ‘possibile’, Torelli lo stori-cizza. Si consideri la discussione sui «miracoli» e sulle metamorfosi. Mentre Ro-bortello e Castelvetro li escludono dalla poesia perché contrari al ‘possibile’, e cen-surano ad esempio l’episodio virgiliano della metamorfosi di Polidoro, Torelli li ammette in quanto rispecchiano «l’opinion concetta in quell’età, et ampliata da Poeti delle trasformationi». Virgilio non erra dunque includendo alcuni «portenti de i Gentili, e che nell’opinioni loro di necessario, non che di possibile per la falsa credenza loro tenevano».81 Castelvetro «tassa Vergilio nella sconvenevolezza» delle

76 Ivi, p. 285. 77 Ivi, p. 276. 78 ALFANO, Il racconto e la voce, cit., p. 169. 79 TORELLI, Lettioni del Perduto, cit., pp. 402-403. 80 Ivi, p. 111. 81 Ivi, p. 115.

«Non essendo Poesia altro che Poetica in atto»

73

profezie cui fa ricorso, vaghe e generiche («che non admette nomi, et cose partico-lari, né chiaramente predice»), contrapponendogli le «vere Profettie» dei cristiani. Torelli risponde giudicando la mescolanza delle «cose sacre con le profane» non solo «ruinosa» ma – ciò che più conta – ermeneuticamente ingiustificata; questa mancata storicizzazione viene pertanto liquidata con sarcasmo: «Ma io certo non posso assai meravigliarmi di questo huomo, che tanto si persuadesse, che volesse insegnare a’ Gentili la Religion loro».82 La considerazione della storia si riflette an-che nella dinamica dei generi letterari. Torelli si pone contro chi idolatra le origini: ad esempio, dalla presunta anteriorità della tragedia monodica non si può inferire che sia questa la sua «essenza», dal momento che «le cose nel principio non nasco-no perfette».83

Certo, Torelli non è il solo a prestare attenzione ai differenti contesti storico-culturali: si pensi, per fare un solo esempio, alle argomentazioni di Vincenzio Bor-ghini.84 Ma questa attenzione non va sottovalutata sia come tratto peculiare delle lezioni esegetiche, sia come una delle radici della critica al concetto di auctoritas; cri-tica che, come si è visto, per le sue implicazioni rende ancor più interessante, oltre che degna di essere ulteriormente indagata, la sua singolare esperienza culturale.

82 Ivi, p. 159. 83 TORELLI, Lezzioni sopra la Poetica d’Aristotele, cit., p. 188. 84 Cfr. MAZZACURATI, Rinascimenti in transito, cit., pp. 141-143.