Sanna, Marco. 2015. "Chiese rupestri in Sardegna: Stato attuale degli studi." Archeogruppo 6:221-43

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Archeogruppo 6 | 2015 221 Le riflessioni che seguono intendono proporre una valutazione dello status quaestionis riguardan- te l’architettura cultuale rupestre nella Sardegna paleocristiana e medievale. La ricerca attualmente in corso da parte nostra e gli esiti delle indagini bi- bliografiche e territoriali possono ormai sintetizzare - seppur in maniera preliminare - un quadro sinotti- co-quantitativo aggiornato della problematica. 1. La storia degli studi specialistici ha inizio con l’apporto di nuovi orientamenti di ricerca, prove- nienti dal confronto con l’area apulomaterana 1 , in un contesto isolano allora segnato - come oggi, per certi versi - da un certo indugio rispetto agli sviluppi dell’archeologia medievale italiana. Nel maggio 1983, in occasione del convegno su Gli statuti sassaresi , Roberto Caprara dà notizia della presenza di chiese rupestri nel territorio comuna- le di Sàssari (regione che, attualmente, registra la più alta densità di tali monumenti), ovvero Santu Juanni e Firigheddu A 2 . Nel settembre dello stesso anno, viene presentato al VI convegno nazionale di archeologia cristiana uno studio di Tatiana K. Kirova e Anna Saiu Deidda sulle architetture rupestri isolane interessate da «uso cristiano» 3 , condotto sotto forma di catalogo - talal- tro disorganico -, con alcuni rilievi, di ipogei e grotte (ri)utilizzate in età tardoantica-altomedievale, noti dalle fonti moderne. Si tratta delle chiese rupestri di Chiese rupestri in Sardegna. Stato attuale degli studi Marco Sanna 1 Al di là della formalità biblio- grafica, vale la pena precisare come l’indagine scaturisca - con curioso sincronismo - nel 1982 parallelamente a Sàssari, dove Roberto Caprara rileva la chiesa anonima di Firigheddu A-Sàssari (CAPRARA 1986, p. 84), e a Càglia- ri, dove l’invito dell’archeologo Giovanni Lilliu, al convegno su Stato attuale della ricerca storica sulla Sardegna nel maggio 1982, ad esplorare il fenomeno delle chiese rupestri nell’Isola - fra cui individua il Sant’Andria Priu- Bonorva e la S. Restituta-Càgliari (in Archivio storico sardo, n. 33, STEF, Càgliari 1982, p. 208) -, pre- cede di poco il saggio SAIU DEIDDA 1983, pp. 125-152, dedicato agli aspetti documentari di quest’ul- tima chiesa cagliaritana. 2 CAPRARA 1986, pp. 82-86. 3 KIROVA - SAIU DEIDDA 1986, pp. 151- 170.

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Le riflessioni che seguono intendono proporre una valutazione dello status quaestionis riguardan-te l’architettura cultuale rupestre nella Sardegna paleocristiana e medievale. La ricerca attualmente in corso da parte nostra e gli esiti delle indagini bi-bliografiche e territoriali possono ormai sintetizzare - seppur in maniera preliminare - un quadro sinotti-co-quantitativo aggiornato della problematica.

1. La storia degli studi specialistici ha inizio con l’apporto di nuovi orientamenti di ricerca, prove-nienti dal confronto con l’area apulomaterana 1, in un contesto isolano allora segnato - come oggi, per certi versi - da un certo indugio rispetto agli sviluppi dell’archeologia medievale italiana.Nel maggio 1983, in occasione del convegno su Gli statuti sassaresi, Roberto Caprara dà notizia della presenza di chiese rupestri nel territorio comuna-le di Sàssari (regione che, attualmente, registra la più alta densità di tali monumenti), ovvero Santu Juanni e Firigheddu A 2.Nel settembre dello stesso anno, viene presentato al VI convegno nazionale di archeologia cristiana uno studio di Tatiana K. Kirova e Anna Saiu Deidda sulle architetture rupestri isolane interessate da «uso cristiano» 3, condotto sotto forma di catalogo - talal-tro disorganico -, con alcuni rilievi, di ipogei e grotte (ri)utilizzate in età tardoantica-altomedievale, noti dalle fonti moderne. Si tratta delle chiese rupestri di

Chiese rupestriin Sardegna.Stato attuale degli studi

Marco Sanna

1 Al di là della formalità biblio-grafica, vale la pena precisare come l’indagine scaturisca - con curioso sincronismo - nel 1982 parallelamente a Sàssari, dove Roberto Caprara rileva la chiesa anonima di Firigheddu A-Sàssari (Caprara 1986, p. 84), e a Càglia-ri, dove l’invito dell’archeologo Giovanni Lilliu, al convegno su Stato attuale della ricerca storica sulla Sardegna nel maggio 1982, ad esplorare il fenomeno delle chiese rupestri nell’Isola - fra cui individua il Sant’Andria Priu-Bonorva e la S. Restituta-Càgliari (in Archivio storico sardo, n. 33, STEF, Càgliari 1982, p. 208) -, pre-cede di poco il saggio Saiu DeiDDa 1983, pp. 125-152, dedicato agli aspetti documentari di quest’ul-tima chiesa cagliaritana.

2 Caprara 1986, pp. 82-86.

3 Kirova - Saiu DeiDDa 1986, pp. 151-170.

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Sant’Andrea Priu-Bonorva, Santu Liseu-Mores (per la quale si riconobbe un uso esclusivamente abitativo), i sanctuaria di S. Restituta-Càgliari, S. Antioco nell’iso-la omonima, S. Gavino di Barai Vitzinu-Porto Torres, S. Lussorio-Romana, le cappelle spelee (e dunque avulse dal tipo architettonico esaminato) all’interno della Gruta Velda (Grotta Verde)-Alghero e della cavi-tà carsica di Santu Giuanni-Domusnovas. Vengono comprese anche le domos de janas di S’Ispelunca ‘e Nonna o Su Rúgiu-Cùglieri (la quale, meramente sul-la base di analogie formali con le strutturazioni prei-storiche del Sant’Andrea Priu, è inclusa nel novero, laddove i rimaneggiamenti rilevabili appaiono con ogni probabilità ascrivibili ad un impianto produtti-vo) e S’Iltampa ‘e Santu Mahhu-Mores.L’anno seguente, al VII convegno sulla Civiltà rupestre (che reca ad intestazione “Gli insediamenti rupestri della Sardegna”, titolo discutibile, e vedremo perché), curato da Cosimo D. Fonseca, si assiste alla prima oc-casione di raffronto diretto fra i due ambiti scientifici, relativi all’Italia meridionale e all’Isola, peraltro impro-duttivo in fatto di evoluzione della ricerca e privo di effettivi sviluppi. All’incontro vengono replicati so-stanzialmente i dati degli studi Kirova-Saiu Deidda e di Michele Pintus; un contributo di Franco Masala, inoltre, richiama l’attenzione su siti cultuali nel sotto-suolo di Càgliari (fra cui - oltre alla S. Restituta - la chie-sa martiriale di S. Efisio, e i tre episodi di S. Avendrace, S. Agostino e Santu Lemu); un altro, della Saiu Deidda, è dedicato alle pitture parietali del Sant’Andrea Priu 4.Nel 1986 vengono pubblicati il numero I (1984) del Nuovo bullettino archeologico sardo, contenente un’a-nalisi del Caprara delle chiese di Santu Pedru-Alghero e Santu Liseu-Mores 5, e una monografia sul comples-so ipogeico di Sant’Andrea Priu e la chiesa omonima 6.La prima monografia sulla S. Restituta (sufficiente-mente attendibile, seppur da adoperarsi con pru-denza), da parte del gruppo di ricerca cagliaritano, è del 1988 7. Contemporaneamente, per il VI conve-

4 MaSala 1988, pp. 256-257; pintuS 1988, pp. 263-278 (che ripropo-ne pintuS 1984, Architettura rupe-stre in Sardegna, STEF, Cagliari); Saiu DeiDDa 1988, pp. 279-291.

5 Caprara 1984, pp. 301-322. Mal-grado tale contributo, si persi-sterà - sulla falsariga di Kirova - Saiu DeiDDa 1986, pp. 158, 168 -, ad attribuire finalità abitative all’ipogeo morese (v. ad esem-pio Morini 2002).

6 Caprara 1986 a, pp. 31-55.

7 lilliu - Saiu DeiDDa - Bonello lai - uSai - porCella 1988.

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gno su L’Africa romana la Saiu Deidda pubblica la cripta dell’ex S. Agostino-Càgliari - ravvisandovi im-propriamente una chiesa rupestre -, assieme ad ap-profondimenti circa alcune sedi di culto urbane. Fra queste la grande grotta di Santu Lemu, utilizzata al-meno in età romana, dove vennero edificate una o due cappelle, dedicate a S. Guglielmo e S. Andrea 8.Nel 1990 è edito il numero III (1986) del Bullettino, contenente una prima relazione di analisi e sinte-si del fenomeno (esaminato sotto gli aspetti am-bientali, storici, architettonici nonché artistici) delle «chiese rupestri medievali della Sardegna» da parte del Caprara, che presenta gli episodi inediti di San-tu Chírigu-Òsilo, Troppuildi (o Ihhara di Cániga), Li Curuneddi, Funtana Guttierretz-Sàssari, oltre all’in-vaso presumibilmente riferibile ad una chiesa a Ser-ra di Rioni, con dedicazione al Cristo; e queste, per tredici anni, resteranno le uniche segnalazioni 9. La carta di distribuzione, a p. 253, comprende pure di-versi episodi non comprensibili nel catalogo delle architetture chiesastiche vere e proprie: si tratta di cinque monumenti - fra cui l’invaso di Musellos-Ìttiri e la Tomba della Cava di Museddu-Cherèmule, per i quali si veda più avanti -, oltre la chiesa di Santu Santinu-Sant’Antònio di Gallura 10. Vi sono inclusi l’e-dificio termale di S. Basilio nel centro omonimo (in cui si rilevano consistenti pitture relative ad un riu-so medievale, ma edificato in muratura) e l’ipogeo di S. Salvatore-Cabras (presumibile tempio criptico di età imperiale, connesso col culto delle acque), il quale, malgrado la presenza di diverse figurazioni di carattere cristiano, non pare supportare l’ipotesi di una sua utilizzazione in qualità di chiesa sotter-ranea precedente l’età basso o postmedievale 11; alcuni saggi, inoltre, hanno dimostrato l’assenza di scavo in roccia, e l’integrale elaborazione dell’am-biente con opera muraria 12. Quanto a Sa Crèsia Noa-Noragùgume, tomba a camera provvista di tre arcosolia lungo le pareti laterali e di fondo 13,

8 Saiu DeiDDa 1989, pp. 595-612. Cfr. Coroneo 1993, p. 221. All’interno della grotta si rilevano numerosi graffiti - principalmente croci -, in corso di studio.

Da fonti storiche si ricava notizia di una cripta vocata Sancta Ana-stasia (lilliu et alii 1988, p. 75), presso la distrutta chiesa stam-pacina di S. Francesco. Prodotto dei Falsi d’Arborea è invece la grotta di San Giovenale (citata da Martini 1858, p. 25).

9 Caprara 1986b, pp. 251-278.

10 V. Caprara 1996, p. 145; MaSia 1996, pp. 667-671, che vuole individua-re sepolture all’interno della chie-sa. Le murature dell’edificio, ad aula unica bipartita da un pilastro di rincalzo della copertura, s’im-piantano parzialmente su rocce granitiche e ridottissimi tafoni, senz’alcun impiego di ambienti ipogeici tali da poter rappresen-tare - a prescindere dall’edificio in muratura - una sede cultuale. Nell’area, accurate ricerche po-trebbero comunque rivelare la presenza di eventuali sepolture (analogamente a Santu Ghjol-ghju-Luogosanto [oggiano 1996, p. 301]) ed episodi abitativi (come le opere murarie del Pulteddu di Santu Santinu e di un vicino tafo-ne), riferibili ad un centro demico.

È il caso delle chiese - tutte basso-medievali, per quanto il relativo culto possa dimostrarsi anteriore - dei S.S. Nicolò e Trano (nel cui tafone si sarebbero rinvenute le spoglie dei due omonimi anaco-reti) o Santu Ghjolghju a Luogo-santo, le cui regioni presbiteriali sfruttano rocce e piccoli tafoni, che per caratteristiche spaziali e dimensioni non poterono certo rappresentare, da soli, aule di cul-to, e riproducono una consuetu-dine costruttiva evidentemente diffusa in tali aree della Gallura medievale, dettata forse non solo da esigenze architettoniche.

Del tutto ricavato in un anfratto naturale normalizzato è invece il presbiterio del S. Antonio-Bortigali, esempio tardo, forse già postmedievale.

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l’annoso sospetto che potesse trattarsi d’una chie-sa rupestre nacque con l’Angius, riferendo la tradi-zione dell’esistenza nel sito d’un luogo di culto, ed in seguito confortato dal Cherchi Paba che ne parla prontamente come di «caverna-santuario» 14.Le chiese di Funtana Guttierretz e Li Curuneddi ricevono intanto più ampia edizione già nel 1989, accompagnate da una breve nota su Serra di Ri-oni. Nell’occasione vengono inoltre rese note le limitate informazioni disponibili sulla presumibile esistenza della chiesa rupestre di Santa Naddória-Sàssari 15. Lo stesso anno un contributo del Porru esamina il complesso catacombale di S. Antioco 16.Nel 1996 viene presentato al convegno su La Sar-degna paleocristiana tra Eusebio e Gregorio Magno uno studio di Franco G. R. Campus, dove, con la pubblicazione di un palmento (Musellos-Ìttiri) er-roneamente interpretato come chiesa rupestre, è proclamata la ripresa della ricerca sul fenomeno 17.A parte il mancato prosieguo del progetto, il lavoro - malgrado le pregevoli finalità -, si risolve in conte-nuti manualistici e convenzionali attorno all’analisi architettonica d’un invaso non compreso; per il re-sto, accanto alla sollevazione di talune problemati-che critiche - sulle quali non è il caso d’intrattenersi -, compaiono alcune imprecisioni, come l’implicita subordinazione, per entità e successione crono-logica, degli studi del Caprara a quelli relativi al gruppo della Kirova, o l’inclusione nella carta di di-stribuzione dei siti cultuali rupestri di episodi non riconosciuti o riconoscibili come tali.Alla chiesa di S. Lussorio è dedicata nel 2000 una monografia del Caprara 18, mentre fra 2003 e 2004 vengono pubblicate le due chiese inedite di Firi-gheddu B-Sàssari e Paulis-Ìttiri 19.

2. È evidente una fase di effettivo arresto della ri-cerca, nonché di diffusa indifferenza per queste tematiche almeno dalla fine degli anni Ottanta. In

11 Donati - ZuCCa 1992, pp. 33, 40.

12 MeluCCo vaCCaro 1994, pp. 188-189.

13 Moravetti 1998, p. 708. Il tipo è ana-logo a Lu Bagnu-Sèdini (pitZaliS - Dettori - liSCia 2002, p. 193); a Sa Presoni-Villaputzu è attestata una variante con coppia di nicchie sul-la parete di fondo, fatto che ha implicitamente richiamato gratu-iti raffronti con chiese rupestri bi-conche (leDDa 1989, pp. 355-357).

14 angiuS 1843, p. 736; CherChi paBa 1963, p. 61. Nulla, al momento, ci è possibile dire circa le chiese segnalate a Sàssari in località Tániga e nel centro urbano (Ca-prara 1986b, p. 259).

Successivamente, l’autore ipo-tizzò un riuso altomedievale in funzione cultuale anche per Sor Furrighesos IX-Anela, stante la presenza di un pentalpha graffito, ma dove non pare di individuare ulteriori elementi riferibili ad un tale utilizzo (Caprara 1990, p. 99).

15 Caprara 1989, pp. 83-88.

16 porru 1989 in porru - Serra - Co-roneo 1989.

17 CaMpuS 1999, pp. 15-48. La rilet-tura dell’ipogeo è in Sanna 2004, p. 13.

18 Caprara 2000, pp. 64-76.

19 Sanna 2003, pp. 15-16; Sanna 2004, pp. 11-14. Del secondo episodio era stata riconosciuta la destinazione cultuale già in nieDDu 2003, p. 163.

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tale intervallo si assiste, oltre alla pubblicazione di materiali relativi a monumenti già noti, a diverse false segnalazioni in fatto di chiese rupestri: ciò perché l’inedito campo d’indagine inaugurato ri-marcava ormai - se non, perfino, generava - un’i-nusitata eventualità monumentale (consistente non solo in organismi chiesastici, ma relativa an-che al fenomeno architettonico e al riuso rupestre in genere) che spesso venne superficialmente in-tesa. Tale temperie condusse, difatti, all’identifica-zione di chiese rupestri pure in cisterne 20, o invasi ipogeici chiaramente postmedievali 21; e, pur non ricusando pienamente fasi d’utilizzo in qualità di ambienti cultuali per alcuni di questi episodi, l’e-same autoptico dei medesimi non ha rivelato co-munque in alcuna occasione prove agevolmente riconducibili a tali circostanze.A Florinas esse si sono ipotizzate per le domos di Su ‘Errittzu (dove consistenti, ma irriferibili rimaneggia-menti produssero estesi sviluppi icnografici in una tomba a T, della quale residuano parti dell’anticella), Campu Lontanu I (ipogeo funerario con prospetto centinato, per il quale un momento di riuso «bizan-tino» è stato supposto unicamente per la presenza di una fossetta su un banco, che avrebbe assolto - seppur senza ulteriori arredi liturgici - il ruolo di thalassídion) e Campu Lontanu II (anch’essa provvi-sta di stele), mostrante quest’ultima due croci - una excisa, una incisa - 22, le quali riproducono, tutt’al più, l’ordinaria situazione di riutilizzo cristiano (rife-ribile, in via largamente presumibile, a destinazioni funerarie, qualora si provi la datazione medievale delle figurazioni) di taluni ipogei preistorici, come già ampiamente rilevato altrove.Per l’Anglona vi fu la segnalazione di altre quattro chiese 23. La piccola cappella di Santa Diadora-Laerru - peraltro fortemente trasfigurata nella sua redazione originaria da discutibili rifacimenti mo-derni -, in base ad un esame della struttura basato

20 È il caso dell’inedita chiesa rupe-stre di Chighizzu, a Sàssari (MoSSa 1988, p. 302), un invaso di pian-ta quadrangolare occupato in larga parte da un vascone, al cui bordo è una croce litica d’ine-quivocabile fattura moderna.

21 In località Montalè-Sàssari è un ipogeo costituito di un ambiente rettangolare, al cui interno sono ricavati una cisterna a fiasco e tre ampie nicchie, due delle quali - accostate - hanno suggerito il confronto con gli organismi bi-conchi di Santu Pedru e Funtana Guttierretz (rovina 2000, pp. 430-432), laddove l’episodio è inqua-drabile nell’ambito degli edifici di supporto a lavori agricoli.

22 MeliS 2000, p. 381; MeliS 2001, p. 28; p. 30.

23 Maxia 2001, p. 247; p. 269; peS 2004, p. 17.

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su documentazione fotografica precedente le ma-nomissioni, risulta costruita con blocchi calcarei e non ricavata per sottrazione 24. La parrocchia del villaggio di Órria Manna-Nulvi - documentato in fonti bassomedievali assieme ad una chiesa intito-lata a S. Nicola - si è poi voluta individuare in un in-vaso rupestre, relativo ad un piccolo insediamento (presumibilmente in relazione con la presenza nel sito di estese aree di cava, non necessariamente quindi con una presenza monastica 25), errando ol-tremodo sulla localizzazione della villa: i resti delle strutture del Santu Nigola, ancora visibili (come in-dicato da informazioni orali), si situano piuttosto a S, in località Santa Lughia, dove pure si trovava una chiesa dedicata alla martire siracusana Lucia, per-tinenti entrambe all’abitato medievale. L’equivoco fu determinato dall’inesatta ubicazione del Santu Nigola nel sito dell’ipogeo suddetto da parte delle mappe catastali del 1847; errore, in seguito, ripreso e ufficializzato dalla cartografia IGM.Quanto all’ipogeo di Santu Miale-Nulvi 26, infine, la tradizione riferisce dell’esistenza nell’area di una chiesa subdiale dedicata al santo, indicando nel contempo l’invaso quale antica sede di un secon-do luogo di culto (da cui proverrebbe un’acquasan-tiera). Costituito da due ridotti vani quadrangolari, conserva numerosi graffiti - fra cui diverse e inte-ressanti croci 27, in corso d’esame - che parrebbero attestare la frequentazione dell’ipogeo da epoca antica (medievale?) fino all’età contemporanea, allorché subì rilevanti rilavorazioni. La presenza del monogramma Jesus hominum salvator, rilevato sulla parete sinistra del primo ambiente, ad ogni modo, non testimonia un’ingerenza ecclesiasti-ca anteriore il tardo Cinquecento; e coevi sono i presunti “alloggiamento per un’immagine sacra, forse un’icona” (ovvero la nicchia NO, con “la par-te alta arcuata e la base costituita da un timpano rovesciato”, agevolmente riconducibile al reperto-

24 Come chiarisce peS 2004, p. 19, pubblicando a p. 17 un’immagi-ne precedente le superfetazio-ni. Si ringrazia l’autore per aver-ci permesso di visionarla prima della sua pubblicazione.

25 peS 2004, pp. 19-20.

26 Già segnalato in Maxia 2001, dove è vagamente ritenuto chiesa (pp. 262-263) o eremo rupestre (pp. 511, 539-540), è stato oggetto di un dubbio contributo, che chia-ma in causa perfino “emanazioni altomedievali del culto micaelico del Gargano” (pitZaliS - Dettori - li-SCia 2002, pp. 193-194). Del mede-simo parere peS 2004, p. 18.

27 Non certo “orme di pellegrini”, come si scrisse (v. pitZaliS et alii… cit. e greCu 2007), o gruppi di tac-che verticali che presunti eremi-ti avrebbero inciso in funzione di calendario, come si affermò in occasione della VI Settimana della cultura (2004), allorché il monumento venne illustrato come una cella anacoretica, con un’accessoria funzione cultuale.

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rio di motivi rinascimentali reinterpretati fra XVI e XVII secolo, come nel prospetto del S. Bacchisio-Bolòtana) - e “altare, con piede e basamento incas-sato nella roccia” nel secondo ambiente.Sempre in agro di Nulvi, e a distanza ridotta dal sito precedente, sulla cima del Mont’e Santu Larentu, in un’area di cava intensamente sfruttata, si trova un ambiente quadrangolare scavato nella roccia; al di sopra della parete d’ingresso è una incisione cruci-forme, mentre all’interno nulla porta ad ipotizzare la destinazione cultuale 28; pare più una piccola col-tivazione di cava ipogeica, seppur rara nella Sarde-gna rurale (grosse cave ipogeiche di calcare si tro-vano difatti a Farrainággiu-Porto Torres, alle spalle della città di Turris, e nel suburbio cagliaritano).

3. Ciò premesso, allo stato attuale degli studi, ri-sultano censite circa 12 chiese rupestri, localizzate tutte nell’area settentrionale. Tale dato appare in-dicativo della penetrazione di modelli orientali e africani attraverso i porti dell’area turritana e nur-rese, già in età tardovandalica (a partire dalla metà del V secolo fino al VI secolo), giungendo l’Isola a configurarsi effettivamente come uno dei distret-ti della cosiddetta Scuola orientale bizantina 29, al cui influsso paiono attribuibili gli esiti strutturali e stilistici degli episodi sardi. A questi andranno as-sociati 5 sanctuaria, sedi di culto connessi ad una tradizione agiografica, e sorti - indipendentemente da esigenze demiche - in determinati siti, corrispon-denti a presunti rifugi, sepolture di santi, anacoreti o siti tradizionali di martirio, contesti comunque che condizioneranno - in età più o meno antica - ubi-cazione, e talvolta aspetti icnografico-liturgici delle aule di culto. Le tradizioni o le passiones dei santi, in ogni caso di dubbia storicità, non autorizzano un’a-scrizione cronologica dei sanctuaria. Nel caso del S. Gavino di Balai Vitzinu-Porto Torres, l’invaso - anco-ra non pienamente studiato, ma dove si possono ri-

28 peS 2004, p. 17, dove è identifi-cata con la scomparsa chiesa di Sant’Elia.

29 Sull’accostamento della Sarde-gna bizantina alla Scuola orien-tale, v. Caprara 1984, p. 308.

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conoscere un abside semicircolare e un presumibile parekklésion funerario -, nel quale una passio di non chiara veridicità individua la sepoltura dei Martiri turritani in età paleocristiana, non pare datarsi ad età precedente quella altomedievale 30. Il catalogo, infine, potrebbe risultare comprensivo pure di alcu-ni esempi di presumibili cappelle funerarie, luoghi di culto legati a spazi cimiteriali.In questa sede si prescinderà da considerazioni di tipo generale, forse premature e di dubbio esito: considerazioni - in primis - che forniscano valide interpretazioni dell’ampia eterogeneità degli epi-sodi registrati, nonché della loro distribuzione ge-ografica. Essa, difatti, pare manifestarsi in un unico polo, localizzato nell’area nordoccidentale.Attorno al sito che vedrà lo sviluppo - certamen-te già in età altomedievale - di Thathari (attuale Sassari), si dispongono 7 chiese rupestri, riferibili a modesti centri demici, prevalentemente - ma non esclusivamente - di età bizantina. Fra l’entro-terra e la città portuale di Turris, sede dell’omoni-ma diocesi (attestata dal tardo V secolo), nel sito dell’insediamento di Eristala 31, è presente il Santu Juanni; nell’area ad ovest della città, è la chiesa di Troppuildi, oltre ad altri due episodi riconoscibili quasi certamente come ambienti di culto, rispet-tivamente a Serra di Rioni (che pare un organismo monoabsidato - modificato da consistenti rilavora-zioni in una fase di riuso improprio come palmen-to - sul cui soffitto è una croce, con asta secante ad estremità patenti) e Li Curuneddi (anch’esso trasformato in ambiente produttivo); verso orien-te sono le due aule in località Firigheddu e quella di Funtana Guttierretz, in direzione della curato-ria di Montes, dove, in territorio osilese, è il Santu Chírigu, nel sito della villa di Concas 32, della qua-le si rinvengono diverse tracce, fra cui alcune se-polture in arcosolium. L’invaso della chiesa, forse originariamente triabsidato ad est e ripartito da

30 V. Caprara 1986b, pp. 259-260; ro-vina 1986, pp. 46-47; Spanu 2000, p. 123.

31 È attestato in CSPS 82 (1082-1127).

32 V. CheSSa 2002, pp. 93-95, fig. 19.

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tre pilastri, profondamente rimaneggiato in età bassomedievale (allorché venne affiancato da un edificio di culto subdiale), presenta, nella parete a lato dell’ingresso, una semicolonna con basamen-to (oblatorium?). Elemento simile, ma che potreb-be però non rappresentare un riscontro puntuale, si ritrova nell’abside della chiesa rupestre di Santa Lucia di Mèndola-Siracusa 33.I restanti episodi sono situati a sud del Sassarese nel Logudoro geografico, in contesti precedentemente occupati da necropoli preistoriche - in ambito cal-careo (Paulis-Ìttiri, Santu Liseu-Mores), ma anche trachitico (Sant’Andrea Priu-Bonorva) o tufotrachiti-co (Santu Pedru-Alghero) - riattate per destinazioni cultuali e funerarie in età certamente altomedie-vale. Nel caso - peraltro assai problematico - della chiesa bonorvese (cui faceva capo credibilmente il fariano opido de Frio 34), un primo riuso cultuale po-trebbe riportarsi già ad esperienze prebizantine (o comunque di tradizione paleocristiana) di V-VI se-colo, sulla base dell’analisi strutturale del bema 35 (oltre la presumibile esistenza di lacerti d’intonaco precedente le pitture medievali). Resta da spiegare la presenza, nell’aula, di soggetti affrescati probabil-mente cimiteriali (quali festoni e uccelli, oltre il noto volto muliebre), la cui ascrizione generale oscilla fra la fine del IV secolo e il VI secolo, e per i quali si è supposta l’esistenza, precedentemente alla tra-sformazione degli ambienti in luogo di culto, di un ipogeo funerario paleocristiano, stante l’effettiva e generale assenza - o rarità - di arredi pittorici di tale datazione in chiese rupestri 36.Sempre fra V-VI secolo potrebbe porsi la struttura-zione ad aula monoabsidata della grotta di S. Lus-sorio-Romana, collegata in qualche modo al culto di un omonimo personaggio, che vi trascorse la vita da asceta, in seguito venerato dalle popola-zioni locali per supposta santità 37, sempre che non si tratti di una dedicazione tardomedievale.

33 agnello 1952, p. 51.

34 Una sintesi delle attestazioni del centro è in Saiu DeiDDa 1988, pp. 281-283.

35 Cfr. Caprara 1986a, pp. 44, 53.

36 V. Saiu DeiDDa 1988, p. 286; Det-tori 1998, pp. 354-356; nieDDu 1996, pp. 273-283; nieDDu 2002, pp. 376, 378.

37 Caprara 2000, pp. 65, 74-75.

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Discorso a sé richiedono gli episodi di chiese mar-tiriali della Sardegna meridionale. Qui, contempo-raneamente alla penetrazione del cristianesimo africano (che potremo inquadrare in età vandalica, secondo un’idea diffusa), è ipotizzabile la creazione dei santuari di S. Antioco nell’isola sulcitana, S. Re-stituta e S. Efisio a Càgliari. A Sulcis, in un nucleo di catacombe di IV secolo s’insediò il culto di una se-poltura - presumibilmente del martire Antioco, la cui attestazione è praticamente coeva -, con la realizza-zione d’una mensa d’altare al di sopra del sarcofago venerato e la definizione di un’aula semicircolare a partire dal V-VII, che andò ad aggiungersi alla chiesa subdiale (presumibilmente di IV secolo) quale ap-pendice ipogeica del complesso martiriale 38.Quanto alla S. Restituta, vasta grotta naturale fre-quentata da età protostorica, che una dubbia tra-dizione ritiene carcer della santa (peraltro anch’essa d’incerta storicità), non pare recare prove dirette di un impiego cultuale precedente il V secolo; è tutta-via verosimile che in età vandalica siano giunte - nel centro isolano, come in altri porti, specie campani - reliquie ritenute appartenenti alla martire africana, poi conservate nel martyrium ipogeico 39, il quale, precedentemente ai tardi ampliamenti nella parte occidentale, potrebbe aver assunto un impianto ad absidi contrapposte 40.Risulta complessa la seriazione cronologica delle elaborazioni del S. Efisio (riconosciuto anch’esso quale luogo di prigionia del martire omonimo), ipo-geo romano di controversa funzione 41, mostrante un’abside semicircolare, orientata, su un’aula irrego-lare ripartita da due colonne.La proposta di datazione del Dadea “al 1258 circa” (in seguito alla presa di Santa Gilla, e al conseguen-te incremento demografico del sobborgo di Stam-pace) della trasformazione in chiese dei due ipogei cagliaritani si fonda sul mancato rinvenimento di materiali tardoantichi e altomedievali negli scavi

38 porru - Serra - Coroneo 1989, pp. 26-29, 93.

39 lilliu 1988 in lilliu et alii 1988, pp. 59-60, da maneggiarsi con cautela, a fronte di numerosi passi discutibili e per l’assenza di rigorose metodologie arche-ologiche, che hanno generato vistosi e imprudenti errori di interpretazione, come nella datazione dell’affresco del S. Giovanni, ascrivibile non ad età bizantina, ma ad una corrente bizantineggiante duecentesca (Saiu DeiDDa 1983, p. 134; Serra 1990, p. 30).

40 Caprara 1986b, p. 255.

41 Poco credibile, in verità, la tesi del Taramelli, il quale - a se-guito di scavi, che restituirono unicamente monete imperiali - ipotizzò un originario tempio criptico isiaco, rioccupato in età veterocristiana (taraMelli 1926, pp. 453-455).

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all’interno della S. Restituta (che testimonierebbe di un abbandono del sito da età imperiale), e sull’e-sistenza dell’abside orientata nel S. Efisio (ritenuto originariamente una cava romana), imputando il rinvenimento in tale invaso di fittili postmedie-vali a coevi riattamenti 42. Sennonché i caratteri strutturali degli ipogei (compresi gli orientamenti delle conche absidali, non risultando anomala, an-teriormente al X secolo, l’ubicazione ad est, spe-cie in situazioni di preesistenze) - qualora i reperti mobili scultorei ed epigrafici altomedievali della S. Restituta possano non apparire probanti -, lon-tani da quelli che sarebbero potuti essere gli esiti d’interventi ex novo basso e postmedievali – che già eccezionalmente nell’Isola (si veda la cappella funeraria del S. Sepolcro-Càgliari o la chiesa semi-pogeica - tecnicamente inedita 43 - dedicata a S. Giovanni-Romana) si espressero attraverso moda-lità architettoniche in negativo - non paiono invali-dare l’attribuzione ad orizzonte vandalico e bizan-tino, a fronte dell’attestata vitalità di influssi afri-cani nella Calaris altomedievale. Qualora appaia contrastante l’assenza di una relativa documenta-zione nella grotta di S. Restituta, si rammentino gli ingenti sterri seicenteschi per la ricerca dei cuerpos santos, che certamente compromisero l’integrità del deposito archeologico.Il vano sottostante la chiesa di S. Avendrace a Càgliari, pur tradizionalmente legato al culto dell’omonimo martire (di discutibile storicità e tarda attestazione), pare piuttosto una tomba se-mipogeica (non rupestre) appartenente al vicino complesso funerario tardoantico 44 - se non, ad-dirittura, un manufatto molto recenziore -, nella quale tardivamente si volle individuare la sepol-tura martiriale 45. Il caso è simile a quello del S. Agostino, nel quale, secondo la tradizione storica, in età vandalica vennero allogate le spoglie del santo. Ripristini pressoché integrali in epoca tardo

42 DaDea - Mereu - Serra 2000, pp. 62, 171, 173-174.

43 La prima menzione concreta della chiesa è in antona 2003, pp. 70-71, seppur già prevista nella pubblicazione del Bol-lettino d’archeologia nn. 46-48 del 1997, pubblicato solo 7 anni dopo. Per un inquadramento storico v. CaStello 2007.

44 Cfr. MaStino 1992, p. 555; v. ZuCCa 1992, p. 519.

45 Cfr. Saiu DeiDDa 1987, p. 216 (che vorrebbe riconoscervi un origi-nario un ipogeo punico); Spanu 1998, pp. 29-30 (che parla im-propriamente di arcosolium); Martorelli 2002, p. 321.

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o postmedievale, nondimeno, escludono la possi-bilità di definire con certezza situazioni di riuso, e addirittura di scavo in roccia per i due ipogei, mo-dalità, quest’ultima, decisamente oppugnabile, a seguito di valutazioni di carattere architettonico, icnografico e ambientale. I due ambienti - tutt’al più - potrebbero configurarsi quali cappelle ipo-geiche, analoghe a quella nel v.le regina Margheri-ta, con un’aula quadrangolare absidata, che resti-tuì materiali di IV-VII secolo 46.Tali episodi furono pure messi in relazione con im-probabili «insediamenti rupestri», localizzati nel su-burbio stampacino (per il quale si parla perfino di «vero e proprio habitat rupestre», richiamando con-fronti con l’Italia meridionale 47): ma il riconoscimento è improprio, implicando l’insediamento un nume-ro - seppur esiguo - di edifici ad uso civile, fatto che nell’Isola - allo stato attuale delle ricerche - è assente. Gli unici episodi individuabili per l’età medievale, in ambito rurale, rispondono ad esigenze lavorative, con frequentazione temporanea o stagionale.Solo in via del tutto preliminare è possibile ipotizza-re, in assenza di indagini mirate e di validi riscontri (neppure agevoli, stante l’estrema essenzialità strut-turale) - specie extrainsulari -, l’esistenza di cappelle funerarie a Sant’Andrea Priu I-Bonorva (il cui piano di calpestio venne abbassato fino ad ottenere un’inso-lita altezza di 1,75 m ca.), con tre fosse à logette 48, o nella Tomba della Cava-Cherèmule, raffrontato con mausolei anabsidi 49, per limitarci all’edito.A prescindere dall’odierno, cronico disinteresse per le problematiche della classe monumentale delle chiese rupestri, pesante - più d’altri - è il pregiudi-zio storiografico ad essa connesso, che legittima il riporto aprioristico di ogni manifestazione rupestre o ipogeica non a presenze demiche, quanto a non ben specificati «fenomeni anacoretici», «monastici» (e peggio «basiliani»). Pregiudizio tanto antiquato quanto radicato e generalizzato, tipico di una visio-

46 Mongiu 1986, pp. 131-132.

47 Saiu DeiDDa 1988 in lilliu et alii 1988, p. 73; Saiu DeiDDa 1989, pp. 596, 602-603; v. Mongiu 1989, p. 119; Mongiu 1995, pp. 18-20.

48 Caprara 1986a, p. 11. Il caso ri-corda quello della domo di Li Curuneddi I-Sàssari presso l’omonima presunta chiesa rupestre, in cui consistenti rila-vorazioni hanno determinato l’allargamento dell’anticella e l’abbassamento del piano pavi-mentale, proseguendo la base delle due colonne preistoriche della cella, e creandovi due zoc-coli quadrangolari.

49 Caprara 1986b, pp. 265-267; v. Caprara 1988, pp. 426-430.

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ne panmonastica che, pienamente valicata e ridi-mensionata nell’Italia meridionale da oltre vent’anni, perdura tuttavia nell’Isola. Sterminati e superflui - pur tralasciando molta di quella pseudomedievistica, che ancora vige, in situazioni di sottosviluppo rispetto al progresso degli studi nazionali - i riferimenti biblio-grafici, che risulterebbero comprensivi di molta parte dei lavori della storia degli studi: si va da casi sorpren-denti di acritica retorica - come nel caso del Cherchi Paba 50, che pure ebbe vasta fortuna -, a riflessi, certo riequilibrati ma anch’essi saturi di quella visione.Solo pochi episodi, in realtà, paiono riferisi ad una fre-quentazione eremitica, o cenobitico-lavrotica; even-tualità, ad ogni modo, genericamente non ricusabile, ma necessitante di riscontri tangibili, lontani da un’at-tribuzione attraverso astoriche categorie nozionisti-che e preconcette a determinati orizzonti culturali.

«Archeologia rupestre» e dintorni

Il nucleo di quest’articolo apparve per la prima volta in Sardegna antica. Culture mediterranee, an. XIII, n. 26, Dolianova 2004. Da allora, ben poco si è ag-giunto in termini di novità e progresso della ricerca: disinteresse pressoché totale alla tematica da parte degli addetti ai lavori, diffusa sopravvivenza di con-cetti datati e confusi non l’hanno di certo sostenuta.È maturata però l’idea di un discorso coerente che ponga in relazione tutti gli aspetti relativi all’archi-tettura in negativo da età postclassica fino ad epoca contemporanea.In Sardegna i precedenti sono rappresentati - in buo-na parte, ma non esclusivamente - dagli ipogei fune-rari neo-eneolitici (domos de janas), dell’età nuragi-ca, fenicio-punica e romana. Da età storica, in parti-colare, e con l’urbanizzazione dei centri, le modalità d’uso delle pareti e dei piani di roccia mostrano una casistica assai complessa, interessando praticamen-

50 CherChi paBa 1963. A p. 61 è il noto, farraginoso elenco di «grotte-santuari» (redatto in gran parte sulla base di notizie dell’Angius e dello Spano), dove, accanto ad episodi noti di chiese rupestri, martiriali o ipogei riutilizzati, compaiono anche grotte naturali, dove la tradizione volle indivi-duare luoghi di culto. È il caso di Santu Miali-Furtei o Santu Nigola-Fluminimaggiore (oggi non iden-tificabile, ma presso l’omonima chiesa campestre, presumibil-mente a S), dove secondo una tra-dizione venne occultata durante incursioni saracene la statua del santo (angiuS 1840, p. 694-695), analogamente a quanto accad-de per una grotta nei pressi della chiesa di S. Mauro-Sòrgono (Spano 1864, p. 61). Quanto alla chiesa di Santu Pilimu-San Vito, venne edi-ficato nel XIII secolo a ridosso di una cavità (domu de janas?), sede di una fonte considerata salutare (v. Saiu DeiDDa 1988a, pp. 163, 166).

Non esaminabile risulta oggi la «caverna-santuario del periodo eremitico greco» (sic) di Pianu ‘e s’Elighiu-Àrdara - lungo l’arteria collegante l’abitato a Mores -, di cui l’autore allega un’immagine che ne documenta lo stato ester-no precedentemente ai lavori stradali che ne causarono l’interro.

Una chiesa spelea bassomedie-vale pare quella indicata dalla tradizione in località Santa Ca-drina-Ùsini (presumibile parroc-chia della villa di Arave, citata in CSPS 2 come proprietà di Silki ed ex ecclesia de rennu), finora non localizzata, da cui proverrebbe una statuetta litica di frate (Sanna 1992, p. 103, fig. 25).

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te tutti gli ambiti connessi all’insediamentologia, da quello funerario a quello cultuale, da quello idraulico a quello produttivo, da quello militare a quello abita-tivo e architettonico in genere.L’età tardoantica riceve (e riutilizza, come oltremo-do noto) questo lascito architettonico - e non solo architettonico - segnato nei paesaggi rocciosi, oltre alle stesse pratiche costruttive, su cui s’instaureranno consuetudini apportate dal mondo altomedievale.Le chiese, sia esse pievi rurali relative a centri demici (o anche monastici), cappelle e basiliche cimiteriali, martyria e sanctuaria rupestri sono la parte più evi-dente del fenomeno, ma non l’unica. Al periodo alto-medievale si ascrivono tombe rupestri, a camera o in arcosolium (spesso in contesti di riuso di vani previ - per lo più preistorici -, adattati o meno alle nuove esi-genze funerarie) talora con intonacature e petroglifi, di ambito cristiano e giudaico; aree cimiteriali in cor-rispondenza di rupi ed emergenze rocciose; ed anche invasi che rivelano una funzione presumibilmente abitativa a carattere non temporaneo (seppur lungi dal tipo d’insediamento noto nell’Italia meridionale).Il discorso vale soprattutto per le situazioni urbane, in particolare Cagliari e Sassari. Nel nostro contributo ci siamo limitati agli episodi più noti del capoluogo, il quale richiederebbe tuttavia ben più ampia sede.In assenza di presupposti certi, ad età tardo e postme-dievale si datano palmenti, ambienti produttivi e stallivi, cave e miniere, vani realizzati con l’intento di captare e raccogliere le acque sotterranee (le tragu-najas), abitazioni rupestri, realizzate e frequentate fino alla prima metà del XX secolo come in numero-sissime altre aree mediterranee.Senza scordare, peraltro, la problematica parallela dell’impiego di invasi spelei - grotte e tafoni - per le medesime finalità; in questo caso, i luoghi di culto vengono creati sia adattando gli spazi interni sia ad-dossando all’imboccatura o ad una parete della stes-sa un corpo di fabbrica.

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Andrà chiarito definitivamente anche tutto il comples-so terminologico: cosa si intenda esattamente - ad esempio - per «rupestre», «ipogeico», dato che i termini spesso sono adottati a seconda degli indirizzi di studio e non della loro effettiva, funzionale accezione.Su queste basi - o, meglio, spunti - andrà fondata l’Ar-cheologia rupestre della Sardegna in età storica; de-finizione, questa di archeologia rupestre, con la quale in ambito preistoricista si suole definire - con scialo del termine - lo studio dei petroglifi e delle pitture su roccia («rock art»). Definizione che tuttavia ci sembra ottimale anche per determinare coerentemente una disciplina più ampia, comprendente tutti gli aspetti d’interesse del rapporto tra le emergenze rocciose e l’insediamento umano.

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Mores (SS). Su Craltu ‘e Santu Liseu. Forma nell’ingresso dell’ipogeo sottostante la chiesa

Mores (SS). Su Craltu ‘e Santu Liseu. Aula

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