PROBLEMI POSTI DALLA SOCIETA’ MULTICULTURALE NELL’INDIA ATTUALE IN MERITO ALL’UNIFICAZIONE DEL...

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PAVIA FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA PROBLEMI POSTI DALLA SOCIETA’ MULTICULTURALE NELL’INDIA ATTUALE IN MERITO ALL’UNIFICAZIONE DEL DIRITTO Relatore: Prof. ssa Alba Negri Tesi di laurea di Giulia Greco Anno accademico 2012/2013

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PAVIA FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA

PROBLEMI POSTI DALLA SOCIETA’ MULTICULTURALE NELL’INDIA

ATTUALE IN MERITO ALL’UNIFICAZIONE DEL DIRITTO

Relatore:

Prof. ssa Alba Negri

Tesi di laurea di

Giulia Greco

Anno accademico 2012/2013

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PROBLEMI POSTI DALLA SOCIETA’ MUTICULTURALE NELL’INDIA

ATTUALE IN MERITO ALL’UNIFICAZIONE DEL DIRITTO

INDICE:

INTRODUZIONE…………………………………………………………………..1

CAPITOLO I “L’INDIA”

1. L’India e la sua storia

1.1 Premessa……………………………………………………………………….4

1.2 L’India prima dell’Indipendenza

1.2.1 L’India antica………………………………………………………………5

1.2.2 Dopo la cultura vedica……………………………………………………..7

1.2.3 L’ impero dei Gran Moghul………………………………………………..8

1.2.4 Dallo Stato coloniale della Compagnia delle Indie Orientali all’impero

vittoriano…………………………………………………………………..9

1.2.5 Lotta per l’Indipendenza………………………………………………….12

2. La tradizione hindu..............................................................................................20

2.1 I Veda…………………………………………………………………………21

2.2 Le Leggi di Manu……………………………………………………………..22

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3. L’India indipendente e la sua Costituzione……………………………………29

3.1 Le istituzioni………………………………………………………………….37

3.1.1 Il Parlamento……………………………………………………………...37

3.1.2 Il Governo………………………………………………………………...38

3.1.3 Il potere giudiziario……………………………………………………….39

3.1.3.1 La Corte Suprema…………………………………………………….40

3.1.3.2 Le High Courts……………………………………………………….41

3.2 La struttura federale della Repubblica indiana……………………………….42

4. La cittadinanza indiana

4.1 I cittadini e lo Stato in tempo di globalizzazione……………………………44

4.2 Nazionalità vs. Cittadinanza…………………………………………………47

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CAPITOLO II “IL DIRITTO INDIANO”

1. Evoluzione del diritto indiano…………………………………………………..53

1.1 Il diritto buddhista…………………………………………………………….55

1.2 Il diritto islamico……………………………………………………………...57

1.3 Jainismo, sikhismo, zoroastrianesimo, e altri modelli religiosi, tribali………59

1.4 Periodo coloniale: verso l’assetto moderno del diritto indiano………………61

2. Il diritto hindu…………………………………………………………………...65

2.1 Il Dharma……………………………………………………………………..66

2.2 Strutture organizzative dell’induismo………………………………………...70

2.3 Le fonti del diritto hindu tradizionale………………………………………..72

3. Fonti del diritto indiano

3.1 La complessità delle fonti del diritto indiano……………………………….76

3.1.1 I mutamenti prodotti dal periodo coloniale nel diritto indiano………….78

3.2 Le fonti formali e i formanti

3.2.1 La legislazione……………………………………………………………80

3.2.2 La giurisprudenza…………………………………………………………85

3.2.3 La dottrina………………………………………………………………...88

4. La lingua del diritto indiano……………………………………………………89

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CAPITOLO III “IL DIRITTO DI FAMIGLIA”

1. Pluralità di sistemi dei diritti personali………………………………………98

2. Hindu Law: connessione tra diritto statale e religione………………………102

2.1 Hindu Code: la riforma del diritto hindu……………………………………105

2.1.1 Hindu Marriage Act……………………………………………………..108

2.1.2 Hindu Adoption and Maintanance Act e Hindu Succession Act………...117

3. Muslim Law…………………………………………………………………….120

3.1 Il matrimonio………………………………………………………………..122

3.2 Il divorzio……………………………………………………………………125

3.3 La successione………………………………………………………………131

4. Le Family Courts……………………………………………………………….132

5. Il conflitto tra diritto statale e diritti personali: il caso Shah Bano…………135

5.1 La cronologia dei fatti……………………………………………………….136

5.2 Gli articoli del Codice di Procedura Penale: da 125 a 128………………….138

5.3 La sentenza della Supreme Court…………………………………………...141

5.3.1 Le reazioni alla sentenza………………………………………………...142

5.3.1.1 Muslim Women Act (Protection of Rights on Divorce) Act

(MWPRDA)…………………………………………………………143

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CAPITOLO IV “UNION CIVIL CODE”

1. Premessa………………………………………………………………………..150

2. Il problema dell’elaborazione di un diritto di famiglia uniforme:

motivazioni e storiche e politiche……………………………………………...155

2.1 Il multiculturalismo in India………………………………………………...157

3. Dibattito sull’elaborazione del codice civile uniforme fino agli anni ’90…...159

3.1 Uniformità delle leggi in India………………………………………………167

3.1.1 Perché l’India è così ossessionata dal concetto di uniformità?.................168

4. Dibattito sull’Uniform Civil Code in epoca recente………………………….175

4.1 Imparare a rispettare le differenze nell’India indipendente…………………179

4.2 La persistente differenza giuridica nell’India moderna……………………..182

4.3 Collaborazione tra il legislatore e le Corti…………………………………..185

4.4 Verso l’uniformità giuridica nonostante le leggi personali………………….188

CONCLUSIONI…………………………………………………………………..192

BIBLIOGRAFIA…………………………………………………………………197

SITOGRAFIA.........................................................................................................208

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INTRODUZIONE

Quando si parla di “India”, tutti rimangono sempre affascinati dalla spiritualità

induista, dagli aspetti mistici della cultura e tradizione indiane; ma, l’India

innanzitutto, è una repubblica democratica, la più grande democrazia del mondo.

È un paese vasto, variegato in cui coesistono molteplici interessi, idee diversissime e

molte contraddizioni.

Gli elementi di pluralità, multiculturalità e multietnicità hanno influito sulla sua

struttura politica e giuridica, dopo l’Indipendenza.

Lo Stato indiano, durante la sua nascita ed evoluzione, si è basato sul principio

dell’“unità nella diversità”, che rappresenta la volontà di riconoscere la grande

varietà di comunità locali indiane e la consapevolezza di dover sviluppare una

comunicazione interculturale, per raggiungere l’unità nazionale.

Le diverse fedi religiose, i gruppi linguistici, le etnie, e le differenti pratiche sociali

sono tutelate dalla Costituzione indiana, del 1950, che assicura l’uguaglianza dei

diritti individuali, un ordinamento giuridico imparziale, e considera la religione come

elemento appartenente alla sfera personale dell’individuo.

Lo scopo della tesi è di individuare i problemi posti da questo tipo di società

multiculturale in merito all’unificazione del diritto, perché il sistema giuridico

indiano è sempre stato identificato, come la somma di una parte di diritto

tradizionale, e di un complesso normativo moderno, della famiglia di common law.

Già dal primo capitolo, con l’evoluzione storico-giuridica dell’India, ci si potrà

accorgere, come le diverse dominazioni, oltre a quella britannica, hanno influenzato

il diritto indiano e le sue istituzioni. In particolare, durante il regno Moghul, (periodo

di dominazione islamica), si elaborò il concetto di “usanze del popolo”: per

determinate amministrazioni e istituzioni, ogni comunità poteva usare il proprio

diritto o tradizione senza che fosse imposto uno specifico sistema giuridico.

Invece, gli Inglesi, avendo allacciato rapporti commerciali transnazionali e per

esigenze di amministrazione coloniale, vollero conoscere il diritto indiano per avere

gli strumenti adatti a risolvere i problemi pratici.

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Infatti, lo studio del diritto indiano iniziò tra il XVIII e il XIX secolo durante

l’amministrazione coloniale inglese, grazie a figure di notevole spessore culturale

come Lord Macaulay e Hastings.

Dopo la proclamazione dell’Indipendenza, nel 1947, gli studi sul diritto indiano

s’interruppero, perché ormai il diritto indiano era ritenuto “occidentalizzato”, per la

parte che derivava dal diritto coloniale, e un’unione di diritti hindu e musulmano, che

si auguravano potesse essere modernizzata e riformata, con una serie di

provvedimenti, per la creazione un diritto unitario.

Come si osserverà nei capitoli seguenti, grazie alla crescente importanza che l’India

sta avendo a livello internazionale, in merito ad aspetti politici ed economici, ha

stimolato gli accademici e i giuristi a un nuovo studio sul diritto indiano, relativo al

sistema di diritti personali, e a un acceso dibattito sui motivi per cui non è stato

ancora emanato un codice civile uniforme.

La mancata introduzione di un diritto di famiglia unitario, in particolare, fa sì che sia

riconosciuta a ogni comunità religiosa, il diritto di amministrare, in modo autonomo,

il proprio sistema-famiglia. Di conseguenza sono in vigore diverse leggi tutte ispirate

alla tradizione religiosa.

Nel terzo capitolo affronterò, infatti, il tema del diritto di famiglia, cercando di

spiegare i motivi storico-politici per l’assenza di questa legislazione unitaria e

illustrerò la connessione tra il diritto e la religione hindu e i relativi conflitti che vi

possono nascere tra la legge statale e i diritti personali, analizzando un caso

giurisprudenziale, passato alla storia, il caso Shah Bano del 1985.

Come si vedrà nella trattazione della tesi, nessuno degli studiosi ha posto il problema

nell’ambito del multiculturalismo, che avrebbe consentito di collegare il problema

con la causa in modo immediato. Infatti, uno dei problemi fondamentali delle società

multiculturali è la necessità e la difficoltà di elaborare leggi unitarie, senza ledere i

diritti delle diverse comunità.

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In un’ultima analisi tratterò il tema della mancata emanazione dell’Uniform Civil

Code e i relativi dibattiti che si sono susseguiti negli anni.

L’apparato giuridico indiano, dopo l’Indipendenza, ha conservato la distinzione tra

sfera pubblica e sistema dei diritti personali, sebbene i membri dell’Assemblea

Costituente avessero affermato, di volere l’uniformità delle leggi fondamentali, civili

e penali, considerandola essenziale per l’unità della nazione.

Il credo religioso non poteva costituire il fondamento dell’identità politica, come

avrebbero voluto i membri del partito nazionalista.

La Costituzione indiana ritiene la religione, una questione inerente alla sfera

personale e tutela la libertà di culto, gli interessi e gli statuti personali delle comunità

unite dalla stessa fede religiosa e vieta espressamente la discriminazione di religione,

razza, di casta e di sesso.

L’ambizione di raggiungere una legislazione civile comune è rimasta nell’art. 44

della Costituzione che chiede alla Stato di “adoperarsi per garantire ai cittadini un

codice civile uniforme su tutto il territorio indiano”.

Nell’ultimo capitolo, trattando del dibattito sull’Uniform Civil Code, si osserva come

la Costituzione stabilisca l’entrata in vigore di un codice civile unitario, ma non

garantisce la modificabilità e l’eliminazione definitiva dei vari statuti personali.

Se da una parte, il diritto dell’India classica è una fonte eccezionale di sapere

giuridico, dall’altra l’India attuale potrebbe ottenere una posizione rilevante nel

mondo giuridico contemporaneo con le sue idee, modelli e soluzioni giuridiche.

In base ai temi trattati si può affermare che apporteranno un notevole contributo al

dibattito sull’evoluzione del diritto nel mondo.

Se ciò accadesse, sarebbe ancora più interessante visto che, avrebbe come

protagonista un paese post-coloniale, che attraverso il recupero della propria

autonomia giuridica, potrebbe presentarsi come possibile modello per i diritti

occidentali.

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CAPITOLO I “ L’INDIA ”

1. L’India e la sua storia

1.1 Premessa

La storia dell’India è molto antica. La data dell’origine della tradizione indiana è

fissata convenzionalmente al 1500 a.C., periodo nel quale si pensa sia avvenuto lo

stanziamento delle popolazioni arie nel subcontinente indiano.1

Dato questo lungo arco di tempo la tradizione indiana ha attraversato diverse fasi che

ne hanno determinato lo sviluppo, pur conservando degli elementi di continuità nel

passaggio da una fase all’altra.

La storia della Repubblica indiana prima dell’Indipendenza viene, solitamente

suddivisa, nelle seguenti “grandi epoche”: periodo vedico (1500 a.C.-800 a.C.),

periodo classico (800 a.C.-200 a.C.), periodo post-classico (200 a.C.-1100 d.C.),

insieme rappresentano la fase dello sviluppo del diritto hindu tradizionale; periodo

musulmano, dal 1100 d.C. e infine periodo coloniale che inizia nel 1600 e si

conclude nel 1947 con l’Indipendenza dello Stato indiano.2

1 A un diverso livello di analisi, occorre distinguere tra tradizione hindu e tradizione indiana. Si

intende per tradizione indiana l’insieme delle diverse tradizioni o subtradizioni che si sono sviluppate

o diffuse in india, inclusa quella musulmana o quella buddhista. Invece la tradizione hindu è quella più

antica e la sua origine viene identificata dagli studiosi come punto iniziale per lo studio della storia del

diritto indiano. A rigore dovrebbero essere considerati anche i diritti dravidici e della civiltà Harappa,

ma dal punto di vista giuridico hanno perso ogni rilevanza. Si veda TORRI M., Storia dell’India,

Laterza, Roma-Bari, 2000. 2 MENSKI W.F., “Diritto dell’India”, Enc. giur. Treccani, vol.11, Roma, 1989.

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1.2 L’India prima dell’Indipendenza

1.2.1 L’India antica

Circa 8.000 anni fa nelle zone ai margini della valle dell’Indo, popolazioni stanziali,

gli Harappa, seppero conquistare anche lo sterminato terreno alluvionale dell’Indo.

La popolazione aumentò, sorsero grandi città. Testimonianza della grandezza di una

delle prime civiltà dell’umanità, mura imponenti e un dominio che si estendeva fino

al confine della pianura settentrionale del Gange e fino al Gujarat e al Maharashtra.

Nelle roccaforti delle città vi erano luoghi di culto e residenze di una società d’élite.

Si suppone che la regolamentazione e il mantenimento di quella civiltà fossero

affidate a una sorta di comunità sacerdotale.

La loro scrittura, che compare su numerosi sigilli, non è stata ancora decifrata:

tuttavia si ritiene che servisse in primo luogo a trasmettere informazioni di tipo

commerciale.

La rete commerciale della civiltà dell’Indo era molto sviluppata, comprendeva il

settore meridionale della penisola arabica, la Mesopotamia e giungeva fino in Africa.

Intorno al 1900 a.C. mutamenti climatici e presumibilmente anche rivolgimenti

tettonici posero fine alla civiltà dell’Indo.3

Mentre la civiltà dell’Indo stava ormai tramontando, in Afghanistan vivevano pastori

nomadi, gli “arya” (i puri).4

I loro soldati scendevano in battaglia su carri da guerra veloci e leggeri.

La civiltà dell’Indo non conosceva i cavalli e quindi neanche guerrieri simili a quelli

che arrivarono a cavallo e sottomisero l’India.

3 ROTHERMUND D., “Storia dell’India”, Il Mulino, Bologna, 2007, p. 7

4 La parola “aryano” o “ariano” deriva dal sanscrito “arya” e indica nobiltà o buona famiglia. Il suo

senso scientifico primario, però, è linguistico e si riferisce a coloro che parlavano lingue ariane o

indoeuropee.

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Il periodo di siccità che aveva inaridito le foreste permise ai guerrieri sui carri di

disboscare quelle terre con il fuoco e di penetrare verso est.

Nelle loro scritture tramandate oralmente, i Veda, si parla del dio del fuoco Agni che

sarebbe loro “fiammeggiato davanti” nel cammino verso est.5

La regione al di là del fiume fu a lungo considerata dagli arya una terra impura.

Essi consolidarono il proprio dominio nella pianura del medio corso del Gange, dove

ebbe luogo una seconda urbanizzazione.

L’oriente “impuro” (Bihar e Bengala) offriva ai grandi regni che vi stavano sorgendo

un’enorme base di potere.

Nell’est si svilupparono anche nuove correnti religiose, che sfidavano la religione dei

Veda; Gautama fondò il buddhismo e Mahavira il jainismo.

Nel V e VI secolo a.C. queste dottrine conobbero una rapida diffusione.

5 ROTHERMUND D., “Storia dell’India”, Il Mulino, Bologna, 2007, p. 8

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1.2.2 Dopo la cultura vedica

Tra il V secolo a.C. e XVI secolo d.C. ci furono le prime interazioni con i popoli

europei, le invasioni islamiche e tre forme di unificazione parziale del subcontinente

indiano: quella Maurya, quella Gupta e infine quella Moghul.

Il periodo si concluse poi con i primi contatti con le potenze coloniali europee.

Le più antiche interazioni con la popolazione dell’area riguardavano i rapporti con la

Persia, con il mondo islamico e, nel caso dei popoli europei, con la Grecia e Roma.

Un’importante occasione di contatto si ebbe con Alessandro Magno, il re macedone

che dopo aver conquistato la Persia si spinse fino all’India nel 326 a.C.

La campagna bellica contro gli Stati fu brutale, ma fu intrapresa da Alessandro anche

“con un forte senso della missione di unire occidente e oriente, creando una fusione

di culture cosmopolite”.6

Questa impresa greca in India espresse i continui legami tra India e occidente, non

solo nelle comuni radici linguistiche, ma anche in termini fisici e culturali.

Dopo la ritirata di Alessandro Magno, l’India raggiunse una prima unificazione con

la dinastia Maurya (IV-II sec. a.C.).

Famoso fu l’imperatore Ashoka, vissuto nel III secolo che, divenuto buddhista, si

propose di diffondere questa religione. Ashoka fu una figura politica straordinaria:

tra le sue iniziative il tentativo di risolvere le dispute con pratiche di conciliazione.

Dopo la dinastia Maurya, quella Gupta riuscì a ricostituire l’impero.

Durante la loro reggenza l’India conobbe una grande fioritura culturale: vide la luce

la poesia classica sanscrita e la scultura dei templi si contraddistinse per la grande

bellezza delle figure che sembravano vivere.

6 MURPHY R., “A history of Asia”, Pearson Longman, New Jersey, 2009, p.74; cit. in “India” di

COBALTI A., QUADERNO 51, Dipartimento di sociologia e ricerca sociale dell’Università degli

Studi di Trento, 2010.

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L’”antichità classica” dell’India ebbe fine con la calata degli Unni, che assestò il

colpo di grazia al regno Gupta.

I re unni Toramana e Mihirakula, che ressero l’India nordoccidentale dal 506 al 528

a.C., annientarono la cultura urbana e rasero al suolo i monasteri buddhisti.

Alla fine i principi locali indiani cacciarono gli Unni, che subirono sconfitte anche in

Asia centrale, vedendo così esautorare il loro potere.

Per lungo tempo non fu più costituito alcun impero indiano.

Con il collasso di questa dinastia dovuta a invasori venuti dall’Iran o dall’Asia

centrale, e il ritorno a una struttura regionale, dal 1000 d.C. la storia dell’India fu

segnata dalle invasioni islamiche.7

7 ROTHERMUND D., “Storia dell’India”, Il Mulino, Bologna, 2007

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1.2.3 L’impero dei Gran Moghul

La conquista islamica era iniziata nel 711 dal Sind, una provincia indiana nella parte

inferiore della valle dell’Indo, ed era avvenuta per via marittima.

Il Sind islamico rimase isolato per circa tre secoli fino a che alla fine del IX secolo,

attraverso il passo Khyber, le truppe afghane di Mahmud Gazni (“la spada

dell’islam”), penetrarono in India.

In India, in quest’era musulmana, si susseguirono dinastie di sultani, fino a che il

culmine dell’influenza islamica si affermò con la dinastia Moghul, che sarebbe poi

entrata in crisi irreversibile all’inizio del XVIII secolo.

La dinastia Moghul era originaria dell’Asia centrale; da lì nella prima metà del XVI

secolo mosse un’invasione che avrebbe portato nella parte settentrionale dell’India la

cultura persiana e la religione musulmana.

La sua stagione d’oro fu tra il XVI e il XVII secolo, con il nipote del suo fondatore,

Babur detto “la tigre”, discendente di Gengis Kahn.

Si trattava dell’imperatore Akbar (1542-1605) che regnò per cinquant’anni favorendo

la crescita culturale dell’India e la tolleranza religiosa.

Akbar realizzò radicali riforme amministrative che rimasero determinanti per i suoi

successori: inserì il sistema dell’assegnazione delle terre (iqta), in un nuovo ordine

gerarchico. L’attribuzione delle terre (jagir) corrispondeva al rango (mansab).8

I governatori delle province erano al vertice della scala gerarchica, ma non di rado

nelle province medesime si trovavano importanti fortezze i cui comandanti erano

anch’essi di alto rango e controbilanciavano il potere dei governatori.

Un altro problema che Akbar dovette risolvere fu quello dell’esatta valutazione

dell’assegnazione di terre e della determinazione dell’ammontare delle imposte.

La seconda questione, per sua stessa natura, comportava una decisione arbitraria, che

poteva prendere soltanto il sovrano personalmente. Egli doveva giudicare l’entità del

raccolto in base ai monsoni che potevano mutare di anno in anno.

Via via che il regno si espandeva si dovette tener conto delle differenze tra le varie

religioni che il Gran Moghul difficilmente poteva conoscere.

8 ROTHERMUND D., “Storia dell’India”, Il Mulino, Bologna, 2007

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Akbar risolse questi problemi facendo confiscare tutte le assegnazioni e

sottoponendo per dieci anni tutte le terre all’amministrazione fiscale centrale, che

corrispondeva direttamente agli ufficiali e ai funzionari quanto era loro dovuto.

In questi dieci anni gli scritturali tributari registrarono l’esatta entità del raccolto, da

cui fu possibile calcolare una media decennale (dahsalnama) che consentì di

effettuare delle proiezioni; in seguito vennero riprese le assegnazioni.

L’amministrazione così sapeva esattamente in quale misura queste corrispondevano

al rango dell’assegnatario. Finché Akbar vigilò sul suo finanziamento, il sistema

dette buoni risultati.

Accanto ai beneficiari di assegnazioni fondiarie statali (jagirdar) c’erano anche quei

feudatari definiti con il termine generico zumindar, che potevano essere piccoli

sovrani sottomessi, capi tribù, vassalli di regimi precedenti.

In linea di massima erano tenuti a pagare le imposte fondiarie, ma l’amministrazione

era consapevole del fatto che spesso dai feudatari riottosi non si incassava nulla.

L’inquadramento tributario fondiario avrebbe in realtà richiesto l’agrimensura (zabt),

ma laddove ciò non fosse stato possibile, l’ammontare si poteva stabilire anche in

base a un calcolo forfettario (nasaq).

L’amministrazione fiscale partiva dal presupposto che solo raramente l’importo

stabilito (jama) corrispondeva a ciò che effettivamente veniva incassato.

Per mantenere l’enorme impero dei Gran Moghul era indispensabile che le imposte

fondiarie fossero pagate in denaro. Il valore della loro rupia d’argento corrispondeva

al metallo che questa effettivamente conteneva.

L’unica misura in materia di politica monetaria presa dall’amministrazione Moghul

consistette nell’accettare, negli uffici statali, le rupie in argento al loro intero valore

nominale nell’anno della coniazione. In seguito, per ogni anno, era calcolato un

ribasso, e ciò al fine di contrastare la tesaurizzazione delle monete e di stimolarne la

circolazione che, peraltro, non era affatto veloce, in quanto determinata dal ciclo

annuale agricolo.

Durante il regno di Akbar si svilupparono in maniera decisa l’economia, il sistema

monetario e quello fiscale.

Il sovrano era però interessato anche a mantenere la pace religiosa in India.

- 17 -

Abolì l’inviso testatico (jizya) per i non musulmani. Rinunciò così a considerevoli

introiti fiscali, ma in questo modo si guadagnò la lealtà degli indù, che continuavano

a rappresentare la stragrande maggioranza dei suoi sudditi.

I musulmani ortodossi non vedevano di buon occhio quest’atteggiamento tollerante,

ma si irritarono ancora di più quando Akbar si arrogò il diritto di esprimere giudizi

vincolanti su questioni di fede.

Secondo la concezione che i dottori musulmani avevano delle norme, il “pio sultano”

doveva attenersi strettamente al Corano e lasciare appunto ai dottori la sua

interpretazione.

Akbar rivendicò un’autorità spirituale autonoma a seguito di un’esperienza mistica

che gli sarebbe capitata nell’anno 1578. Appellandosi a quest’autorità arrivò persino

a predicare una propria dottrina religiosa, la Din-i-llahi (“Fede divina”).

Non si trattava tuttavia di una dottrina a cui Akbar pensava di convertire il popolo,

ma piuttosto di un ordine che accogliesse personalità eminenti del regno.9

Il lungo regno di Akbar terminò con la sua morte nel 1605.

9 WOLPERT S., A New History of India, Oxford, Oxford University Press, 1977, traduzione in

italiano curata da Giuliano Boccali, Storia dell’India, Bompiani, Milano, 1998, p.123.

Riguardo ad Akbar afferma A. SEN, Laicismo indiano (a cura di A. Massarenti), Feltrinelli, Milano

1998, p.43: “…era profondamente interessato alla filosofia e alla cultura indù, e tentò di fondere le

varie fedi dell’India in una sorta di religione sincretica…Intratteneva a corte intellettuali, artisti e

musicisti hindu e musulmani, e cercò in ogni modo di comportarsi con i propri sudditi in maniera

equanime e non settaria.”

- 18 -

1.2.4 Dallo stato coloniale della Compagnia delle Indie Orientali all’impero

vittoriano

La creazione di uno stato sul suolo indiano per opera di una compagnia mercantile

inglese fu un fatto stupefacente.10

Dal punto di vista organizzativo la Compagnia delle Indie Orientali non era

sufficientemente attrezzata per assumere il controllo territoriale del Bengala. I suoi

dipendenti, i covenanted servants, giungevano a ottenere il posto di lavoro tramite

conoscenze ed erano mal retribuiti ma, in base al loro contratto (covenant), dovevano

versare una cospicua cauzione, che superava di svariate volte lo stipendio annuale;

non avrebbero dovuto danneggiare gli interessi della Compagnia delle Indie

Orientali: ecco spiegata l’ingente cauzione.

La carica di governatore generale, che per la prima volta fu ricoperta da Warren

Hastings, fu creata nel 1784 con una legge del parlamento britannico allo scopo di

amministrare il governo dell’India senza ridurre i diritti della Compagnia delle Indie.

A Londra il governatore generale rispondeva al President of the Board of Control, il

precursore del futuro ministro delle Indie. Al governatore generale fu inoltre

affiancato un consiglio esecutivo costituito da quattro funzionari inviati da Londra,

che potevano metterlo in minoranza.

Durante il governatorato di Hastings in India si era verificato non solo un

consolidamento dell’amministrazione territoriale, ma anche una rapida diffusione

dell’amministrazione giudiziaria inglese.

Le gravose imposte giudiziarie non sostenevano soltanto i costi dei tribunali, ma

costituivano un’entrata supplementare per lo stato coloniale.

La sovranità giurisdizionale rafforzava quella territoriale.

10

La prima spedizione in India della Compagnia risale al 1608: tre navi, armate da mercanti londinesi

e comandate dal capitano Hawkins, gettarono l’ancora a Surat, il principale porto dell’impero mughal

che divenne la prima base inglese, rimanendo quartier generale della Compagnia, nella costa

occidentale, fino al 1687, quando quel ruolo chiave passò a Bombay. Quando Hawkins giunse a Surat,

“forte di venticinquemila monete d’oro e di una lettera da parte di Giacomo I per l’imperatore” la città

si presentava alquanto vivace: “Questa porta occidentale dell’India era colma di pellegrini musulmani

che attendevano la nave che ogni anno portava alla Mecca; i magazzini rigurgitavano di indaco, stoffe

di cotone e mercanzie varie pronte per essere esportate…nei bazar si pigiavano i mercanti provenienti

dall’Asia, che vendevano di tutto, dalle piume di pavone agli elefanti bianchi, dalla mercanzia più

comune all’oppio, dalle foglie di pala all’oro”. (WOLPERT S., Storia dell’India, a cura di Giuliano

Boccali, Bompiani, Milano 1998, pp. 136-137).

- 19 -

“ Già all’epoca dei sovrani locali il diritto del diwani era consuetudinario, a

differenza di quello islamico. Gli inglesi lo consolidarono e lo integrarono con il loro

diritto favorevole ai creditori.

Il giudice inglese William Jones, che in realtà, in quanto giudice supremo della Corte

di giustizia reale a Calcutta era competente in primo luogo per gli inglesi, che non

erano soggetti alla giurisdizione indiana, intervenne anche in quella del diwani e si

occupò soprattutto di “codificare” il diritto indù ”.11

Quest’opera di codificazione avvenne innanzitutto con la traduzione di “Le Leggi di

Manu”; il giudice Jones era un esperto di sanscrito e operando a stretto contatto con i

brahmani, questi lo aiutarono nel suo lavoro di traduzione e successivamente di

codificazione.12

Anche se fungevano da consulenti nelle questioni del diritto

indigeno, spesso i loro giudizi tendevano ad adattarsi alle condizioni date. Questa era

una caratteristica distintiva della giurisprudenza tradizionale. Naturalmente si perse

per strada quando Jones dette alle stampe il suo codice, che fu poi a disposizione di

tutti i giudici inglesi, oltremodo grati per quest’aiuto, poiché essi stessi capivano ben

poco di diritto indiano.

Con la diffusione del diritto anglo-indiano crebbe il numero degli avvocati indiani e,

infine, anche quello dei giudici indiani che, secondo l’uso britannico, erano reclutati

fra gli avvocati migliori. In questo modo, però, gli inglesi si tirarono addosso anche i

futuri critici della loro sovranità i quali, quando si trattò di mettere sotto accusa gli

effetti della colonizzazione, poterono citare i principi del diritto inglese.

La prima sfida alla sovranità coloniale arrivò da tutt’altra parte: i mercenari indiani

della Compagnia delle Indie Orientali congiurarono contro gli inglesi e fecero

scoppiare la grande rivolta del 1857.

Uno degli intenti dei rivoltosi fu quello di portare al governo l’ultimo imperatore

della dinastia Moghul. Essa fu sanguinosa, come anche la sua repressione, ma alla

fine la corona britannica assunse un diretto controllo del paese (1858) e nel 1876 la

regina Vittoria fu proclamata imperatrice d’India.

11

ROTHERMUND D., “Storia dell’India”, Il Mulino, Bologna, 2007, p.54 12

Lo storico scozzese W. ROBERTSON, autore della Historical Disquisition Concerning the

Knowledge that the Ancient had of India, Edinburgh 1791, paragonò questa compilazione al codice

giustinianeo per il grado di accuratezza dell’analisi e per la complessità della struttura (Robertson

riportato in G.D. ROMAGNOSI, Ricerche storiche sull’India antica…cit. p.187)

- 20 -

1.2.5 Lotta per l’Indipendenza

Il processo che portò all’indipendenza nel XX secolo fu operato da persone istruite in

inglese e professionisti che alla fine domandarono la libertà dal Raj britannico.

Il movimento di opposizione al dominio britannico, che crebbe nella seconda metà

del XIX secolo, ebbe una delle sue tappe più significativa, nella creazione del partito

dell’ “Indian National Congress” nel 1885:13

tra i suoi esponenti vi furono

Rabindranath Tagore, poeta e scrittore, primo Premio Nobel indiano nel 1913;

Babasaheb Ambedkar, risoluto oppositore del sistema delle caste e uno dei padri

della Costituzione indiana; Jawaharnal Nehru, diventato primo ministro dopo

l’Indipendenza e fondatore della “dinastia” dei Gandhi, che ha avuto tanta parte nel

governo dell’India e infine Mohandas Gandhi che riuscì a trasformare, dopo il suo

ritorno dal Sudafrica nel 1915, il National Congress in un partito della “non

violenza”.

Nel Congresso Nazionale Gandhi era già conosciuto e apprezzato come leader della

minoranza indiana in Sudafrica; aveva preso già posizione su questioni di carattere

nazionale. Il suo manifesto politico, Hind Swaraj, era apparso nel 1909. Conteneva i

primi cenni sulla sua futura politica, quella della “non cooperazione”. Gandhi

evidenziava come, senza l’aiuto degli indiani, gli inglesi non sarebbero stati in grado

di dominare l’India.

Allo stesso tempo Hind Swaraj conteneva una dura critica nei confronti della civiltà

occidentale, incomprensibile per gli indiani plasmati dalla formazione inglese: ebbe

un bel daffare per convincerli della giustezza delle sue opinioni.

La prima campagna nazionale sarebbe cominciata dopo la guerra. L’abolizione delle

leggi eccezionali per il tempo di guerra la rese possibile e creò al contempo

l’opportunità per l’intervento di Gandhi.

I notabili dovevano restituire le onorificenze e le decorazioni che avevano ricevuto

dagli inglesi. Gli studenti, invece, dovevano boicottare le università, gli avvocati i

tribunali. E, infine, non dovevano neppure prendere parte alle elezioni, che si

sarebbero svolte con la nuova riforma costituzionale.

13

Ironicamente, l’INC fu fondato da funzionari britannici. Essi videro nel “Congress”, che avrebbe

dovuto essere un punto d’incontro di politici indiani, una “valvola di sicurezza” per controllare meglio

lo scontento degli indiani ed impedire una rivolta. Fino alla Prima guerra mondiale raccolse

“intellettuali che parlavano inglese”, e non ebbe un ruolo politico significativo. Le cose cambiarono

nel 1920 con l’ascesa di Gandhi a figura dominante del movimento.

- 21 -

“ Per la sua campagna nazionale Gandhi aveva bisogno di una deliberazione del

Congresso e sollecitò quindi la convocazione di una seduta straordinaria, che si tenne

a Nagpur nel settembre del 1920. Ebbe soltanto una maggioranza risicata. […]

Nella sessione regolare del Congresso, tenutasi nel 1920 a Calcutta, Gandhi ottenne

una maggioranza schiacciante, a cui aveva contribuito in misura considerevole il

boicottaggio alle elezioni ”.14

Nel 1921 le cose per il movimento non erano messe bene come nell’anno precedente,

gli inglesi si resero conto che la campagna si sarebbe arenata e si guardarono bene

dall’alimentarla arrestando Gandhi e condannandolo a sei anni di prigione.

Gandhi scontò solo due anni di pena perché, dopo un’operazione subita nel 1924, fu

scarcerato per motivi di salute. I suoi contemporanei lo consideravano un uomo

senza futuro, la campagna di non cooperazione era fallita. La quotidianità politica era

dominata dai membri del Congresso, che si ripresentarono alle elezioni e

trasformarono la loro fama di agitatori in successo elettorale. Si venne a costituire

una nuova configurazione, in cui ci fu nuovamente bisogno di Gandhi come leader di

una campagna nazionale.

Nel 1929 il partito laburista era uscito vittorioso dalle urne e il suo ministro, Ramsay

Macdonald, era considerato amico dell’India. Il vicerè lord Irwin, che apparteneva al

partito conservatore, sarebbe stato pronto a concedere all’India una notevole

emancipazione costituzionale. Propose anche di discutere la riforma costituzionale in

una “Conferenza della Tavola Rotonda” a Londra e di trattare su una base di parità

con i rappresentanti indiani. Ma in quel periodo si stava facendo notare, come

imperialista senza tentennamenti, Winston Churchill, disposto a concedere all’India

una provincial autonomy, vale a dire la costituzione di governi locali indiani, fatto

salvo il mantenimento del potere centrale angloindiano.

14

ROTHERMUND D., Storia dell’India, Il mulino, Bologna, 2007, p.71.

- 22 -

Sul fronte opposto nel Congresso Nazionale si era costituito un gruppo che faceva

capo a Jawaharlal Nehru e a Subhas Chandra Bose, che chiedeva la totale

indipendenza dell’India e che a questo fine aveva fondato l’Indian Independent

League. Già alla fine del 1928 i due leaders vollero imporre al Congresso una

risoluzione in tal senso. In quell’occasione Gandhi intervenne e chiese un rinvio di

un anno: si doveva lasciare al viceré il tempo necessario per condurre le trattative

con il governo inglese.

Quando lord Irwin tornò da Londra a mani vuote, anche Gandhi dovette votare a

favore della risoluzione sull’indipendenza. Fu quindi incaricato dal Congresso

Nazionale di guidare una campagna di disobbedienza civile.

Cautamente Gandhi cercò di stilare un programma appropriato: fissò in undici punti

ciò che definì l’“essenza dell’indipendenza”.15

Jawaharlal Nehru rimase perplesso nel leggere questo singolare catalogo contenente

svariate rivendicazioni. Ma Gandhi, con il suo fiuto infallibile, aveva dato voce alle

rimostranze concrete delle diverse componenti della popolazione indiana.

“ Uno degli undici punti riguardava l’abolizione della tassa sul sale, che colpiva

proprio gli indiani più poveri.

Il governo se ne teneva stretto il monopolio; incorreva in un reato chi si produceva il

sale privatamente, tramite evaporazione, sia chi raccoglieva quello marino lungo le

spiagge. In questo caso c’era una legge, era ingiusta e si poteva trasgredire.

Gandhi ne inscenò molto accuratamente la violazione. Radunò un drappello di

fedelissimi e si mise in marcia verso la costa, seguito con grande attenzione dalla

stampa nazionale e internazionale.

Il 6 aprile 1930 raggiunse la spiaggia di Dandi nel Gujarat dove si rese punibile

raccogliendo un granello di sale. Nel paese tutti lo imitarono e le prigioni si

riempirono fino a scoppiare.

Gandhi aveva messo in scena una rivoluzione simbolica, che rimase perciò tale e che

in breve tempo avrebbe perso efficacia se la protesta nazionale non avesse ricevuto

nuovo impulso dalle ripercussioni della crisi economica mondiale ”.16

15

ROTHERMUND D., Storia dell’India, Il Mulino, Bologna, 2007 16

ROTHERMUND D., Storia dell’India, Il Mulino, Bologna, 2007, pp.73-74

- 23 -

Quando Gandhi cominciò la marcia del sale, gli effetti della crisi economica del 1929

non avevano ancora raggiunto l’India. Nell’estate del 1930 il prezzo del frumento si

dimezzò e la stessa sorte toccò al riso, nel gennaio del 1931.

I contadini con il reddito dimezzato, dovettero continuare a pagare le stesse tasse e

gli stessi interessi e si trovavano quindi in grosse difficoltà.

Dopo che la campagna del sale aveva perso il fascino della novità, presero il via

azioni di protesta contro il pagamento delle tasse e degli affitti fondiari.

Lord Irwin era molto interessato ad avviare una trattativa con Gandhi, perché temeva

un’insurrezione generale dei contadini dell’India; voleva anche ottenere che il

Congresso prendesse parte alla seconda Conferenza della Tavola Rotonda.17

Nella primavera del 1931 si giunse al patto Gandhi-Irwin, in cui il primo si

impegnava a sospendere la propria campagna e a prendere parte alla Conferenza

della Tavola Rotonda. Irwin, in cambio, non gli fece in pratica nessuna concessione,

ma per Gandhi poter trattare alla pari con il viceré era già di per sé una vittoria.

Churchill la pensava esattamente allo stesso modo e parlò di Gandhi come di un

“fachiro seminudo che osa salire le scale del palazzo di Sua Maestà”.18

Gandhi si era accordato con Irwin perché sperava, in occasione della propria

partecipazione alla Conferenza della Tavola Rotonda, di poter firmare un patto con il

primo ministro Mcdonald.

Quando arrivò a Londra però, nel settembre del 1931, il governo Macdonald era

appena caduto perché non era stato in grado di fronteggiare la crisi economica.

Nonostante Macdonald fosse ancora il leader di un “governo di unità nazionale”, in

realtà era soltanto ostaggio nelle mani dei conservatori, che ancora una volta

decidevano della politica indiana.

Per Gandhi le trattative della Tavola Rotonda furono motivo di frustrazione; deluso,

fece ritorno in India, dove fu immediatamente sbattuto in prigione.

17

ROTHERMUND D., Storia dell’India, Il Mulino, Bologna, 2007 18

ROTHERMUND D., Storia dell’India, Il Mulino, Bologna, 2007, p.74

- 24 -

Il nuovo viceré lord Willingdon disprezzava Gandhi e riteneva che il suo

predecessore Irwin avesse fatto un errore nel valorizzarlo.

Per due anni Willingdon governò con il pugno di ferro ed ebbe anche un discreto

successo, ma non poteva andare avanti ancora a lungo per quella strada, poiché alle

porte c’erano le riforme costituzionali e le elezioni, e una simile politica certo non

avrebbe portato a nulla.

In occasione delle elezioni per il parlamento centrale, che si tennero già nel 1934, il

Congresso Nazionale registrò una netta affermazione.

Quando estesero il diritto di voto in occasione delle elezioni parlamentari regionali,

gli inglesi tennero soprattutto in considerazione i contadini più ricchi, quelli che

godevano di legislazione anglo-indiana sulla tutela dei fittavoli. Speravano che il loro

voto andasse ai partiti agrari conservatori e non al ribelle Congresso. Come elettori,

gli agricoltori si attendevano che il Congresso Nazionale costituisse dei governi nelle

province e approvasse delle leggi in loro favore.

Jawaharlal Nehru era stato la vera forza trainante delle elezioni dei parlamenti

regionali nel 1936/37. Tramite l’affermazione elettorale egli voleva dimostrare che

non erano gli inglesi, bensì il Congresso, ad aver ricevuto il mandato dagli elettori.19

Voleva silurare la riforma costituzionale e intensificare la lotta per l’indipendenza.

I contadini non dimostrarono la minima simpatia verso un atteggiamento di così

netto rifiuto. Gandhi intervenne in funzione di mediatore, e Nehru dovette fare un

passo indietro: in sette delle nove province anglo-indiane nelle quali il Congresso

aveva ottenuto la maggioranza, formò anche i governi.

Lo scoppio della Seconda guerra mondiale portò alcuni indiani a inseguire le

promesse antibritanniche delle potenze dell’Asse, dei giapponesi in particolare.

Nonostante i tentativi britannici di calmare gli animi, annunciando limitate forme

d’indipendenza dopo la guerra, ci furono dei disordini, anche armati.

19

ROTHERMUND D., Storia dell’India, Il Mulino, Bologna, 2007

- 25 -

Uno dei leader del movimento nazionalista, Chadra Bose, arrivò a formare l’“Indian

National Army”, avviando contatti con le potenze dell’Asse. Pur non riuscendo ad

avere un impatto militare sensibile, mantenne alta la tensione nel Paese, anche

suscitando ammutinamenti nella marina indiana, controllata dai britannici.

Negli stessi anni turbolenti l’India fu teatro di disordini organizzati dai comunisti

dopo il 1940 e Bombay fu scossa nel 1946 da una rivolta della flotta.

Nel dopo guerra la situazione divenuta insostenibile indusse i britannici nel 1946 ad

avviare colloqui che avrebbero portato all’indipendenza. Ciò avvenne anche perché

l’ultimo difensore dell’impero, Winston Churchill, il primo ministro della resistenza

ai nazisti, era stato sconfitto alle elezioni nel 1945 e ai conservatori era subentrata

un’amministrazione laburista che giudicava negativamente l’esperienza coloniale.

L’insostenibilità della situazione era legata a quello che, secondo le circostanze, è

stato un punto di forza o di debolezza del Raj britannico: l’indirect rule. Questa

pratica consentiva di governare il Paese con relativamente poche persone, basandosi

molto sulla cooperazione degli indiani.

La proclamazione dell’indipendenza indiana avvenne nell’agosto del 1947

all’insegna di un successo politico e di un insuccesso ancora maggiore e per di più

carico di conseguenze.

Il primo consistette nella pacifica dissoluzione dell’Unione indiana degli Stati

principeschi, oltre cinquecento presenti su un’ampia area di territorio indiano, grande

più del 40% e che comprendevano quasi un quarto della popolazione.

Essere riusciti a dissolverli pacificamente nell’Unione è stato certamente un grande

successo politico, anche se il risultato non dipese soltanto dall’abilità dei leaders

indiani, ma dalle agitazioni delle popolazioni incluse in questi Stati, che richiedevano

gli stessi diritti dei cittadini del Raj britannico: se i principi cedettero così facilmente

il loro potere, fu anche per la consapevolezza della minaccia che proveniva loro dal

basso.

Quanto all’insuccesso, va ricordato che l’indipendenza segnò la partizione del

subcontinente indiano, fino a allora governato unitariamente dai britannici, in Unione

indiana e Pakistan. Quest’ultimo comprendeva anche una parte orientale, separata

dalla zona occidentale da più di mille chilometri, che nel 1971 raggiunse

l’indipendenza con il nome di Bangladesh.

- 26 -

2. La tradizione hindu

In origine essere indù era una caratteristica legata al territorio piuttosto che al credo;

essa si è gradualmente spostata sul credo man mano che quest’ultimo andava

diffondendosi. Tale diffusione indica che la rete poetica dei Veda aveva catturato

molti stili di vita locali, ricchi e vari, così che tutti (o molti) potevano riconoscersi

nella nuova e complessa dottrina vedica.20

L’antichità della tradizione indù è senza dubbio incontestabile.

Tuttavia anche altre religioni hanno avuto una lunga storia in India, paese multi-

religioso da antica data, che ha offerto asilo a molte fedi e credenze diverse. Senza

considerare l’ovvia e massiccia presenza musulmana, vecchia ben più di un

millennio, l’India non fu un “paese induista” neanche prima dell’arrivo dell’islam.

Il buddhismo è stato la sua religione dominante per quasi mille anni, tanto che i dotti

cinesi la chiamavano abitualmente “il regno buddhista”.

Difatti si può sostenere che il buddhismo è erede della prima tradizione indiana dei

Veda e delle Upanishad tanto quanto l’induismo, dato che entrambe le religioni si

rifanno a questi classici. I dotti cinesi, giapponesi, coreani, thailandesi e di altri paesi

in cui si è diffuso il buddhismo, hanno conosciuto le Upanishad soprattutto

attraverso i testi buddhisti. Quanto al jainismo, ha avuto una storia altrettanto lunga

ed è di fatto molto presente nell’India di oggi.

Ma in India c’è stata una lunga tradizione atea e agnostica, già ben sviluppata nel I

millennio a.C. a cui dobbiamo aggiungere la precoce presenza di cristiani, ebrei, e

parsi fin dal I millennio d.C., e l’emergere tardivo, ma importante, del sikhismo,

nella sua qualità di fede universalista che attinge tanto all’induismo quanto all’islam,

ma articolandoli in una visione religiosa originale.

20

PATRICK GLENN H., “Tradizioni iuridiche nel mondo. La sostenibilità della differenza”, Il

Mulino, Bologna, 2011, p.456

- 27 -

In India esistono nominalmente trecentotrenta milioni di dei e anche i testi sacri sono

molti; alcuni sono scritti in sanscrito e ne esistono versioni nelle lingue indiane

moderne, redatte a partire dal X secolo; ci sono poi testi più recenti, scritti nelle

lingue moderne, e infine i testi “visivi”: uno degli aspetti peculiari dell’induismo è

che, a eccezione dell’assoluto ineffabile, il divino si manifesta in forme pienamente

visibili. Ogni divinità ha una o più forme note a tutti e può essere rappresentata con

caratteristiche precise nei templi e negli altari domestici.21

“ In India esiste una grande varietà di lingue; ma la lingua sacra dell’induismo è

quasi esclusivamente il sanscrito, che è rimasto immutato da oltre tremila anni e

viene tuttora capito abbastanza bene dalle persone colte. La geografia tradizionale

raffigura l’India come un’isola situata al centro di un mondo costituito da masse

continentali concentriche alternate a oceani concentrici. Al centro dell’isola si

innalza Meru, la montagna d’oro più alta del sole e della luna. Questa sicurezza di sé

sopravisse a molte invasioni e l’induismo assorbì facilmente aspetti di altre religioni

senza sentire il bisogno di riconoscerne l’esistenza ”.22

L’induismo è insieme politeista, monoteista e monista. I suoi fedeli venerano molti

dei e molte dee. Vishnu, Shiva e Devi sono le divinità più amate, ma hanno molte

forme e molti nomi, ed esistono numerose altre divinità minori.

I fedeli solitamente scelgono una divinità specifica e la considerano la divinità

suprema.

Molti indù credono nella reincarnazione, anche se spesso si ritiene che la devozione a

una divinità porti direttamente in paradiso. Le azioni commesse nelle vite precedenti

determinano la condizione dell’individuo in questa vita, vale a dire ne determinano la

rinascita, anche se la devozione a una divinità può cancellare l’effetto delle azioni

precedenti, che costituisce il karma di ognuno.

Quanto è più elevata la casta, tanto più probabilmente i suoi membri ritengono che la

propria posizione attuale sia il risultato delle azioni commesse nelle vite precedenti.

Secondo la visione indù della realtà, gli esseri viventi, dal dio più sommo alla

creatura più infima, formano un’antica gerarchia.

21

SMITH D., Induismo e modernità, Bruno Mondadori, Milano, 2006 22

SMITH D., Induismo e modernità, Bruno Mondadori, Milano, 2006, p.50

- 28 -

Alcuni tra gli esseri umani sono semidivini, alcuni divini; esistono tecniche spirituali,

come lo yoga, che permettono agli esseri umani di conseguire poteri simili a quelli

divini o di diventare divinità.

“ L’ordine sociale è costituito da una gerarchia di caste e spesso si sente dire che una

definizione formale dell’indù è che deve essere nato in una casta. Si può sfuggire alla

propria casta diventando un asceta, mettendo simbolicamente fine alla propria vita di

capofamiglia e dedicando la propria esistenza al tentativo di sfuggire alla catena delle

morti e delle rinascite.

L’induismo stabilisce una chiara gerarchia fra i quattro scopi della vita umana:

Kama, piacere dei sensi

Artha, benessere materiale

Dharma, comportamento religioso che porta al paradiso o alla reincarnazione

in un essere superiore

Moksha, salvezza, liberazione dalla catena delle morti e delle rinascite

Tutti questi scopi sono ritenuti legittimi. Il quarto, moksha, che è il più elevato, può

essere perseguito solo tramite la “rinuncia”, ovvero la “quarta fase” della vita, che

può essere intrapresa in qualsiasi momento, a seconda del grado di spiritualità

raggiunto; il rinunciante abbandona il sistema delle caste ed è morto per la vita

sociale: lui solo è un individuo completo, un sé autonomo ”.23

23

SMITH D., Induismo e modernità, Bruno Mondadori, Milano, 2006, p.51

- 29 -

2.1 I Veda

Si pensa che i quattro libri dei Veda24

siano stati composti al di là del Khyber intorno

al 1500, o al 2000 a.C., ma qualcuno li fa risalire addirittura al 4000 a.C.

I Veda sono anche chiamati Sruti- dalla radice “sru”, “sentire, udire”- cosicché

costituiscono “quel che è stato sentito” e rivelato, e la loro natura divina o rivelata è

ripetutamente affermata. Come altre rivelazioni, i Veda non contengono granché di

riconoscibile come diritto; vi sono invece parecchi canti, preghiere, inni e detti

considerati essenziali per il modo di vita indù.

Quel che ne fa una rivelazione diversa dalle altre (a parte il contenuto) sta nel fatto

che i Veda si soffermano molto poco sul loro autore o sui suoi messaggeri.

Alcuni brani parlano semplicemente di rivelazione, altri di dei (o dee), altri ancora,

con il trascorrere del tempo, di Dio. Nessuno è definito come messaggero, profeta o

sapiente25

.

“ I Veda non hanno alcun rapporto né con il tempo, né con lo spazio. Sono

considerati senza inizio, anadi, autoesistenti e immanenti per sempre ”.26

Insegnare i Veda era compito dei brahmani (dalla radice sanscrita brh, “crescere”,

“espandersi”, ma Brahman è anche il termine che indica il concetto di “assoluto”,

supremo, di quel che sta al di là del particolare e del conoscibile);27

i brahmani

assolvevano la loro funzione in primo luogo avvalendosi della memoria e

registravano sui testi le differenti elaborazioni volte a soddisfare le esigenze locali.

24

Sui Veda in generale, LINGAT R., The Classical Law of India, 1973. Alcuni inni dei Veda si

riferiscono, però, agli eventi della migrazione vedico-ariana e denotano una redazione successiva. Si è

detto che l’intrinseca vaghezza della tradizione in fatto di cronologia sia “aggravata” dalla

circonstanza che, prima di essere affidato alle scritture, il loro contenuto venne memorizzato e

trasmesso oralmente per centinaia di anni. 25

PATRICK GLENN H., “Tradizioni giuridiche nel mondo. La sostenibilità della differenza”, Il

Mulino, Bologna, 2010, p.459 26

VENKARATARAM N.R., Raghavachariar’s Hindu Law, cit. in PATRICK GLENN H.,

“Tradizioni giuridiche nel mondo. La sostenibilità della differenza”, Il Mulino, Bologna, 2010, p.460. 27

PATRICK GLENN H., “Tradizioni giuridiche nel mondo. La sostenibilità della differenza”, Il

Mulino, Bologna, 2010, p.460

- 30 -

Insegnavano avvalendosi di espedienti mnemonici: i sutra- qualcosa di molto simile

a una sequenza o catene di idee, di nozioni e di regole “racchiuse in pochissime

parole che, assieme, costituivano una stringa come se dei grani di rosario fossero

messi insieme in uno stesso filo”.28

“ I sutra furono scritti dall’800 al 200 a.C. circa e oggi hanno perso gran parte della

loro importanza; non furono altro che la prima manifestazione dello sviluppo della

tradizione scritta.29

La tradizione in sé era generalmente chiamata Smriti (quel che

“viene ricordato”, la tradizione, in quanto cosa diversa da quel che “viene udito”), e

fu ulteriormente perfezionata con la redazione dei sastra- testi che riguardavano

molti aspetti della vita- e in particolare, dei dharmasastra, i testi giuridici più

importanti.

I dharmasastra si occupavano di molte più cose che del diritto in senso stretto.

Si estendevano alla pratica religiosa e alla penitenza, o espiazione, ma in seguito si

ebbe la tendenza a concentrarsi su ciò che oggi, in Occidente, chiamiamo diritto.

Esistono tre grandi dharmasastra, anche se il più importante è stato quello di Manu

o, almeno, del mitico Manu, poiché il vero autore pare sia ignoto ”.30

28

PATRICK GLENN H., “Tradizioni giuridiche nel mondo. La sostenibilità della differenza”, Il

Mulino, Bologna, 2010, p.460 29

Per una recente traduzione dei sutra più importanti, P. OLIVELLE, Dharmasutras, New York,

Oxford University Press, 1999, in particolare p.XXIV su una “competente trasmissione del Dharma”

come “tradizione giuridica”. 30

PATRICK GLENN H., “Tradizioni giuridiche nel mondo. La sostenibilità della differenza”, Il

Mulino, Bologna, 2010, pp.460-461

- 31 -

2.2 Le Leggi di Manu

Il più noto “codice” di leggi dell’induismo, Le Leggi di Manu (Manusmriti, 200 a.C.

circa), è l’esposizione più autorevole del varnashramadharma, il dharma del sistema

delle caste (varna) e degli stadi della vita (ashram).31

Quest’opera deve il suo successo al fatto che, oltre a trattare in maniera esaustiva le

leggi, le norme civili e religiose, si occupa anche di politica (artha).

In linea di principio, la “legge” può essere considerata come un “volere universale”.

L’espressione di questo volere in ogni stato dell’esistenza manifestata è designata

come Prajapati, o “Signore degli esseri prodotti”, e in ogni ciclo cosmico particolare

questo stesso volere si manifesta come il Manu che dà a tale ciclo la legge che gli è

propria.32

Il nome Manu non deve quindi essere inteso come il nome di un

personaggio mitico, leggendario o storico; esso designa un principio che si potrebbe

definire, secondo il significato della radice verbale “man”, come “intelligenza

cosmica” o “pensiero riflesso dell’ordine universale”. La “Legge di Manu” non è

altro che l’osservanza dei rapporti gerarchici naturali esistenti fra gli esseri sottoposti

alle condizioni speciali di quel ciclo o di quella collettività, e l’insieme delle

prescrizioni che normalmente ne risultano.

Per quanto ne riguarda la concezione dei cicli cosmici, non vi è una successione

cronologica, bensì una concatenazione logica e casuale, per cui ogni ciclo è

determinato nel suo insieme da quello antecedente e determina a sua volta il

conseguente in una produzione continua, sottomessa alla “legge d’armonia” che

stabilisce l’analogia costitutiva di tutti i modi della manifestazione universale.

Quando si giunge all’applicazione sociale, la “legge”, nella sua accezione

specificamente giuridica, potrà essere formulata in uno “shastra”, o codice, il quale,

in quanto espressione del “volere cosmico” al suo particolare livello, sarà riferito a

Manu o più precisamente al Manu del ciclo attuale. È evidente che quest’attribuzione

non ha il senso di definire il Manu come autore dello shastra.

Come per i testi vedici, non si può parlare di un’origine storica rigorosamente

definibile, e d’altronde, tale origine è d’importanza nulla dal punto di vista dottrinale.

31

SMITH D., Induismo e modernità, Bruno Mondadori, Milano, 2006 32

GUENON R., Introduzione generale allo studio delle dottrine indù, Edizioni Studi Tradizionali,

Torino, 1965.

- 32 -

Fra i due casi vi è da segnalare una grande differenza: mentre i testi vedici sono

designati con il termine “shruti”, come frutto di un’ispirazione diretta, il

dharmashastra appartiene solamente alla categoria di scritti tradizionali chiamata

“smriti”, la cui autorità è meno fondamentale, e che comprende sia i Purana che gli

Itihasa, incapace di cogliere il senso profondo che ne fa tutt’altra cosa che semplice

letteratura, unicamente come poemi mitici o epici.

La distinzione tra shruti e smriti corrisponde in fondo alla distinzione fra l’intuizione

intellettuale pura e immediata, che si applica esclusivamente al dominio dei principi

metafisici, e la coscienza stessa, di natura razionale, che si esercita sugli oggetti di

conoscenza appartenenti all’ordine individuale, com’è appunto il caso quando si

tratta di applicazioni sociali o simili. Ciò nonostante l’autorità tradizionale del

dharma-shastra non deriva affatto dagli autori umani che hanno potuto formularla-

oralmente all’inizio, per iscritto in seguito- ed è indubbiamente questa la ragione per

cui tali autori sono rimasti sconosciuti o indeterminati; essa deriva esclusivamente da

ciò che ne fa veramente l’espressione della “legge di Manu”, cioè dalla sua

conformità con l’ordine naturale delle esistenze che è destinata a governare.33

Nelle “Leggi di Manu” ha molta importanza l’istituzione delle caste.

La casta, designata indifferentemente dagli indù con le parole “jati” e “varna”, è una

funzione sociale determinata dalla natura propria di ogni essere umano. La natura

propria di ogni individuo implica necessariamente, fin dall’origine, tutto il complesso

delle tendenze e delle disposizioni che si svilupperanno e manifesteranno nel corso

della sua esistenza, le quali determineranno in particolare le sue attitudini per questa

o quell’altra funzione sociale. La conoscenza della natura individuale consentirà

quindi di assegnare a ciascun essere umano la funzione che gli conviene in virtù di

tale natura, in altri termini, il posto che esso deve normalmente occupare

nell’organizzazione sociale. Si tratta del fondamento di un’organizzazione veramente

gerarchica, strettamente conforme alla natura degli esseri, come nell’interpretazione

della nozione di dharma.34

33

GUENON R., Introduzione generale allo studio delle dottrine indù, Edizioni Studi Tradizionali,

Torino, 1965. 34

PATRICK GLENN H., Tradizioni giuridiche nel mondo. La sostenibilità della differenza”, Il

Mulino, Bologna, 2010: “Dharma è qualcosa che ci assegna un posto nella vita e persino obblighi

specifici nel viverla.”

- 33 -

La gerarchia sociale deve riprodurre analogicamente, secondo le proprie condizioni,

la costituzione dell’“Uomo universale”, cioè esiste una corrispondenza tra l’ordine

cosmico e l’ordine umano, e tale corrispondenza, che si ritrova naturalmente

nell’organizzazione dell’individuo, deve attualizzarsi ugualmente, secondo la

modalità che più particolarmente le conviene nell’organizzazione della società.

La descrizione simbolica dell’origine delle caste s’incontra in numerosi testi e in

primo luogo nel “Purusha-sukta” del Rig Veda: “Di Purusha il Brahmana fu la

bocca, lo Kshatriya, il Vaishya le anche; lo Shudra nacque sotto i suoi piedi”.35

Si tratta dell’enumerazione delle quattro caste la cui distinzione è il fondamento

dell’ordinamento sociale, anche se ognuna di esse può essere suscettibile di altre

suddivisioni, più o meno numerose e secondarie: i Brahmana costituiscono

essenzialmente l’autorità spirituale e intellettuale; gli Kshatriya costituiscono il

potere amministrativo, il quale comprende le attribuzioni giudiziarie e militari, di cui

la funzione regale non è che il grado più elevato; i Vaishya, invece, l’insieme delle

differenti funzioni economiche, industriali, commerciali e finanziarie; quanto ai

Shudra, è loro attribuito il compimento di tutti i lavori necessari ad assicurare la

sussistenza esclusivamente materiale della collettività.

I Brahmana hanno funzioni che comportano l’esecuzione di riti di differenti specie,

dovendo essi possedere le conoscenze necessarie a dare a tali riti tutta la loro

efficacia; ma soprattutto esse comportano la conservazione e la trasmissione regolare

della dottrina tradizionale. La partecipazione alla tradizione è pienamente effettiva

soltanto per i membri delle prime tre caste; ciò è espresso dalle diverse designazioni

che sono loro esclusivamente riservate, come quella di “arya” e quella di “dwija”, o

“nato due volte”; la concezione della seconda nascita è in senso puramente spirituale.

35

GUENON R., Introduzione generale allo studio delle dottrine indù, Edizioni Studi Tradizionali,

Torino, 1965.

- 34 -

Per gli Shudra, la partecipazione è soprattutto indiretta, e per così dire virtuale, in

quanto non deriva generalmente che dai loro rapporti con le caste superiori; d’altra

parte, le funzioni che essi esercitano non sono propriamente funzioni vitali, bensì

attività in un certo qual modo meccaniche, ed è per questo che essi vengono

raffigurati come nascenti non da una parte del corpo di Purusha, o dall’ “Uomo

universale”, ma dalla terra sotto i suoi piedi, cioè dall’elemento in cui si elabora il

nutrimento per il corpo.

In conclusione le leggi che governano l’India fanno ancora riferimento alle Leggi di

Manu e ad altri antichi codici. L’impiego di antichi codici di leggi per un periodo di

tempo così lungo e in regni e culture diversi si spiega con il fatto che si tratta di leggi

molto flessibili nella loro applicazione, che si piegano facilmente al significato dei

giuristi volevano attribuire loro.36

36

GUENON R., Introduzione generale allo studio delle dottrine indù, Edizioni Studi Tradizionali,

Torino, 1965.

- 35 -

3. L’India indipendente e la sua Costituzione

L’India ha conquistato l’Indipendenza nel 1947 attraverso un movimento di

liberazione dominato dalle figure di Gandhi e di altri grandi intellettuali e statisti

indiani. L’anno precedente erano iniziati i lavori dell’Assemblea Costituente e la

Costituzione, approvata nel 1949, è entrata in vigore nel 1950.

Con l’Indipendenza il popolo indiano è diventato soggetto autonomo delle proprie

scelte nel campo del diritto e da subito ha dovuto affrontare questioni delicatissime

per gli equilibri del nuovo Stato, a partire dalla struttura istituzionale e dai principi e

valori da porre a fondamento della Repubblica. Il popolo indiano ha dovuto definire

il proprio rapporto con l’eredità del periodo coloniale e, più in generale, il rapporto

tra i modelli giuridici indigeni e modelli occidentali.

La Costituzione ha la sua origine nella lotta per l’Indipendenza e conserva traccia

degli ideali e dei problemi che hanno rappresentato questo passaggio cruciale, in

particolare nella parte relativa al sistema istituzionale e in quella sui diritti

fondamentali.

In questa fase storica un forte impatto ebbe la partition37

, che fece nascere in un’area

culturalmente e politicamente unitaria due realtà statali: la Repubblica Indiana e la

Repubblica del Pakistan, divisa in una parte occidentale e in una parte orientale.

Quest’ultima nel 1971 diventerà autonoma come Repubblica del Bangladesh.

L’importanza della partition dal punto di vista politico e anche psicologico è

evidente e i suoi effetti continuano ancora oggi. Anche dal punto di vista giuridico si

tratta di un passaggio importante, in particolare se riferito al complesso della storia

indiana. Parti del subcontinente indiano che, con alterne vicende sin dal periodo

classico ma soprattutto nel periodo coloniale avevano avuto, oltre a una storia

culturale comune, anche un sistema giuridico e istituzionale unitario, per quanto non

uniforme, cominciarono da quel momento un’evoluzione giuridica diversa.

37

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010: la

partition è una pagina nera della storia dell’India, allo stesso tempo manifestazione delle tensioni

intercomunitarie preesistenti e radice dei futuri conflitti tra India e Pakistan e, all’interno della stessa

India, tra musulmani indiani e hindu indiani.

- 36 -

Nel periodo dell’Indipendenza, la situazione sociale dell’India era molto complessa e

attraversata da numerose tensioni che potevano compromettere la costruzione

dell’India indipendente. Occorreva ridefinire gli equilibri tra le comunità e le sotto-

comunità, che si contrapponevano secondo differenti interessi e identità, definibili in

termini religiosi, castali, linguistici e regionali.

Uno dei problemi da affrontare era quello linguistico, che si accompagnava alle

rivendicazioni autonomiste di alcune parti del paese. Più in generale, bisognava

evitare il rischio che alcuni Stati si sentissero discriminati e governati di fatto da altri

Stati. Ulteriori problemi di difficile soluzione, erano posti dalla definizione e tutela

sul piano giuridico delle minoranze, soprattutto se si considera che l’India è sempre

stata un paese a stragrande maggioranza hindu e che il sistema era caratterizzato

dalla difficile interazione tra diritto territoriale e diritti personali, che aveva assunto

la sua forma moderna nel periodo coloniale. La nuova India doveva trovare nuove

forme di inclusione politica, economica e sociale per la maggior parte della

popolazione appartenente a caste e comunità svantaggiate.

La Costituzione è stata il primo atto giuridico dell’Indipendenza. In particolare, nel

definire i rapporti con il diritto preesistente, la Costituzione dispone che siano

abrogate tutte le leggi precedenti in contrasto con i valori costituzionali.38

Subito dopo il 1950 furono istituite commissioni per definire quali parti del diritto

preesistente dovevano essere modificate.39

Questi erano solo i problemi più evidenti che l’India indipendente doveva affrontare

sul piano giuridico. Per ognuno di essi furono trovati degli equilibri che sono stati

incorporati nella Costituzione e costituiscono il punto di partenza che determinerà la

successiva fase giuridica indiana.

La Costituzione indiana può essere letta evidenziando i punti di equilibrio raggiunti

su alcuni aspetti qualificanti. Tra questi, in primo luogo l’equilibrio tra i diversi

poteri della Stato, l’equilibrio tra Unione e i singoli Stati e l’equilibrio tra principio

maggioritario e tutela dei diritti degli individui e delle minoranze.

38

V. testo dell’art.13 della Costituzione indiana 39

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010:

ruolo importantissimo fu svolto a questo riguardo in generale dalla Law Commission. Tra le

commissioni a cui vennero affidati compiti specifici di revisione della legislazione precedente in

alcune materie si può ricordare la commissione Ayyangar che lavorò sul diritto dei brevetti.

- 37 -

In questo paragrafo analizzerò i caratteri fondamentali della Costituzione indiana

mettendo in luce gli equilibri raggiunti, i valori fondanti e la politica del diritto

dell’India indipendente.

La prima questione da esaminare è quella del rapporto tra imitazione dei modelli

occidentali e autonomia nella stessa genesi della Costituzione della nuova

Repubblica indiana. Nella stesura della Costituzione furono presi a modello i testi

costituzionali di diversi paesi. Il modello adottato per la parte dei diritti fondamentali

è quello statunitense, mentre il sistema parlamentare si ispira a quello inglese. L’idea

di inserire una parte dedicata ai Directive Principles of State Policy è stata presa

dalla Costituzione irlandese. La controversa parte sullo stato di emergenza trova la

sua base nel modello del Reich tedesco e nel Government of India Act del 1935.40

All’interno dell’Assemblea Costituente “ vi furono alcune opinioni molto critiche

sull’utilizzo di questi modelli stranieri, e ciò è indicativo del fatto che sin dall’inizio

della storia dell’India indipendente si manifestò la tensione tra due modi, entrambi

indiani, di intendere la propria identità giuridica. Da una parte le idee di coloro che

consideravano i modelli occidentali non estranei e comunque importanti per la

modernizzazione del paese e, dall’altra, le idee di coloro che aspiravano a un distacco

da questi modelli in cui non erano più imposti dal potere coloniale, e a una maggiore

autonomia da fondare su valori indigeni ”.41

La mediazione tra queste posizioni può essere espressa con le parole del Presidente

dell’Assemblea Costituente, Ambedkar,42

secondo cui:

“One could ask whether there can be anything new in a Constitution framed at

this hour in the history of the world. More than hundred years have rolled when

the first written Constitution was drafted…Given these facts, all Constitutions

in their main provisions must look similar. The only new things, if there be any,

in a Constitution framed so late in the day are the variations made to remove

the faults and to accommodate it to the needs of the country.”

40

Sulla genesi della Costituzione indiana BASU D.D., Introduction to the Constitution of India, cit. in

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G Giappichelli Editore, Torino, 2010 41

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.60 42

La citazione proviene dai lavori dell’Assemblea Costituente ed è riportata da BASU D. D.,

Introduction to the Constitution of India, cit., p.32.

- 38 -

Quest’opinione, che divenne maggioritaria nei lavori dell’Assemblea Costituente,

mostra come l’India indipendente non abbia voluto intendere se stessa come separata

dalle migliori espressioni della cultura giuridica occidentale e abbia liberamente

scelto di porsi nel loro solco.

I modelli sono stati scelti in modo critico: più esperienze costituzionali furono prese

in considerazione, valutando per ognuna non solo l’aspetto formale ma le difficoltà

che si erano palesate nel loro funzionamento, al fine di evitare per quanto possibile il

ripetersi degli errori.

“ L’aspetto più interessante nella frase di Ambedkar citata è il riferimento

all’adattamento dei modelli ai bisogni del paese, che si trovava a fronteggiare enormi

problemi di coesione sociale e di sviluppo “.43

La Costituzione originaria era composta di 395 articoli e 8 allegati.

Era estremamente lunga e oggi è ancora più lunga, considerando i successivi

emendamenti, alcuni additivi altri abrogativi. I motivi di questa lunghezza della

Costituzione indiana hanno carattere sostanziale e permettono di comprendere alcune

questioni generali.

Un primo motivo che spiega la lunghezza della Costituzione è che essa si basa

sull’incorporazione di più modelli costituzionali e combina nella sua struttura parti

che sono in alcune costituzioni e non in altre.

La Costituzione indiana non ha utilizzato solo i testi costituzionali, ma ha anche

inglobato ed esplicitato alcuni punti sviluppati dalle giurisprudenze costituzionali dei

modelli considerati.44

Un secondo elemento che spiega la lunghezza della Costituzione indiana è che essa

rappresenta la Costituzione dell’Unione, ma anche quella dei singoli Stati, di cui

regola la struttura istituzionale in modo dettagliato. I rapporti tra Unione e Stati sono

disciplinati in modo molto analitico.45

La lunghezza del testo costituzionale approvato riflette anche l’esigenza di prevedere

costituzionalmente nel modo più dettagliato possibile anche una serie di aspetti

amministrativi, secondo il modello dell’Indian Government Act.

43

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino,

2010,p.61 44

BASU D. D., Introduction to the Constitution of India, cit. p.53 45

I singoli Stati non hanno una loro costituzione, fatta eccezione per lo Stato di Jammu e Kashmir.

- 39 -

Un altro elemento che contribuisce alla lunghezza della Costituzione è la tecnica

utilizzata che lascia poco spazio a clausole e principi generali, e che in molte parti

adotta lo stile tecnico e dettagliato tipico della legislazione ordinaria.46

Infine, intere parti della Costituzione, come quella dedicata a “scheduled castes and

tribes” e “other backward classes”, quella relativa alla questione linguistica o quella

relativa ai panchayat, sono presenti, o sono particolarmente estese, in ragione delle

peculiarità del contesto indiano.

In altri termini, un motivo della lunghezza della Costituzione è dato proprio dalla

vastità del paese e dalla complessità del suo tessuto sociale, che si riflette in tutta una

serie di disposizioni.

La tendenza verso la completezza e la combinazione dei modelli, il livello di

generalità di alcune parti, la regolazione dettagliata dei rapporti tra gli organi

costituzionali, la disciplina di molte questioni “speciali” danno il senso di uno stile

costituente guidato dalla volontà di limitare al minimo le lacune della Costituzione.

Per quanto riguarda la struttura, la Costituzione si compone di un preambolo,

ventidue parti di lunghezza molto diseguale e gli allegati. Le prime quattro parti

trattano dei diritti, doveri e principi fondamentali, nonché della stessa definizione

dell’Unione e della cittadinanza, le parti dalla quinta alla undicesima della struttura

dell’Unione e degli Stati, mentre le parti successive hanno carattere eterogeneo.

La Costituzione è stata redatta originariamente in inglese e solo successivamente è

stata preparata una versione ufficiale in hindi (sanvidhana).

Il preambolo della Costituzione contiene l’enunciazione solenne dei valori posti alla

base del patto costituzionale dell’India indipendente.

“ Il Preambolo indica la fonte dell’autorità della Costituzione e stabilisce gli obiettivi

perseguiti. Non è vincolante ma, dichiarando i fini e le aspirazioni dell’intera

Costituzione, è un importante documento interpretativo per le altre disposizioni

costituzionali e la Corte Suprema vi ha fatto spesso ricorso ”.47

46

Come osserva BASU D. D., Introduction to the Constitution of India, cit., p.33, gli indiani avevano

confidenza con il tipo di normativa del Government of India Act, caratterizzato da un alto livello di

dettaglio e dall’essere un testo di rilievo costituzionale ma non propriamente una Costituzione. 47

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappicchelli Editore, 2010, p.63

- 40 -

Il preambolo della Costituzione indiana si pone in modo evidente in continuità con le

grandi esperienze del costituzionalismo occidentale.48

L’inizio richiama la

Costituzione degli Stati Uniti; i valori posti al centro del preambolo, vale a dire

giustizia, libertà, uguaglianza e fratellanza sono i valori classici elaborati dalle grandi

filosofie europee tra Settecento e Ottocento, che sono sottesi alla maggior parte dei

testi costituzionali moderni. La Costituzione indiana si colloca storicamente in anni

importantissimi in cui vede la luce la Dichiarazione universale dei diritti umani.

Il Preambolo è stato modificato nel 1976 dal 42° emendamento, introducendo

“socialist secular” nell’enunciato “sovereign democratic Republic”, e aggiungendo

tra i valori che devono essere promossi, subito dopo quelli della dignità

dell’individuo e dell’unità, quello dell’integrità della nazione.49

La modifica del preambolo, attuata in un periodo molto travagliato della storia

istituzionale indiana, ha avuto funzione principalmente politica dando rilievo ad

alcuni caratteri, vale a dire socialismo, laicità e unità, che erano già presenti nella

filosofia originaria, ma che apparve utile rafforzare simbolicamente.

“ L’India è indipendente e sovrana. La Costituzione indiana non è stata concessa dal

Parlamento britannico. È stata invece il frutto del lavoro dell’Assemblea Costituente

indiana, pienamente legittimata e autonoma nell’adottare le scelte fondamentali per

la nuova Repubblica. L’inizio e la fine del preambolo “We, the people of India,…in

our Constituent Assembly this twenty-sixth day of November, 1949, do hereby adopt,

enact and give to ourselvesthis Consttution” esprimono in modo netto il fatto che è il

popolo indiano a dare a se steso la propria Costituzione.

La sovranità appartiene al popolo e la Costituzione si basa su questa sovranità

popolare. In questo senso, questa parte del preambolo può essere letta come

un’enunciazione solenne della propria indipendenza, proclamata nel 1947, come fatto

fondativo del sistema giuridico ”.50

48

Il testo del preambolo è il seguente: “ WE, THE PEOPLE OF INDIA, having solemnly resolved to

constitute India into a [SOVEREIGN SOCIALIST SECULAR DEMOCRATIC REPUBLIC] and to

secure to all its citizens: JUSTICE, social, economic and political; LIBERTY of thought, expression,

belief, faith and worship; EQUALITY of status and of opportunity; and to promote among them all

FRATERNITY assuring the dignity of the individual and the [unity and integrity of the Nation]; IN

OUR CONSTITUENT ASSEMBLY this twenty-sixth day of November, 1949, do HEREBY

ADOPT, ENACT AND GIVE TO OURSELVES THIS CONSTITUTION”. 49

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, 2010 50

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, 2010, p.64

- 41 -

L’India è divenuta subito Stato sovrano, non soggetto a nessun potere esterno, a

differenza del Pakistan, che è rimasto un Dominion britannico fino al 1956.

Dal 26 gennaio 1950, quando la Costituzione è entrata in vigore, la Corona britannica

ha smesso di avere qualsiasi autorità sull’India e gli indiani da sudditi sono divenuti

cittadini della Repubblica.

L’India è una repubblica democratica e può essere considerata la più grande

democrazia al mondo.

La democrazia delineata nella Costituzione non è solo politica, ma anche sociale,

dato che disegna non solo una forma di governo democratica, ma anche una società

democratica ispirata ai principi di giustizia, libertà, uguaglianza e fratellanza.51

La giustizia è espressa nel preambolo sia nei suoi aspetti sociali ed economici, sia in

quelli politici. La democrazia rappresentativa a suffragio universale è accompagnata

dall’ideale di un’uguaglianza completa tra cittadini nella sfera politica.

Pur rimanendo la società indiana profondamente non egalitaria, la politica indiana si

è sempre dimostrata sensibile a una composizione equilibrata dei diversi organi, dal

Parlamento alla Corte Suprema e appartenenze diverse in termini di genere, caste e

condizioni sociali sono rappresentate negli organi di vertice dello Stato.

La giustizia sociale ed economica che ispira la democrazia indiana si riflette nel

Welfare State che viene delineato nella parte quarta della Costituzione, dedicata ai

Directive Principles of State policy. I costituenti erano ben consapevoli della

specificità delle condizioni sociali dell’ India, un paese che ancora oggi ha vaste

fasce di popolazione che vivono sotto la soglia della povertà.

La giustizia sociale può essere considerata elemento strutturale della Costituzione, in

quanto forma per rimuovere gli squilibri sociali armonizzando gli interessi a volte

confliggenti delle diverse parti della società.

Oltre che la giustizia, la Repubblica deve assicurare a tutti i cittadini indiani libertà e

uguaglianza, i costituenti avevano ben chiara l’importanza della tutela dei diritti di

libertà e dell’uguaglianza sia formale che sostanziale: infatti inserirono nella

Costituzione un Bill of Rights molto esteso.52

51

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, 2010 52

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’india contemporanea, G. Giappichelli Editore, 2010

- 42 -

Per quanto riguarda la fratellanza, il preambolo declina questo valore in relazione

alla dignità degli esseri umani e all’unità della nazione. Il valore della fratellanza,

oltre a basarsi sull’uguaglianza in dignità di tutti gli esseri umani- che ha portata

particolare in un paese ancora fortemente stratificato in caste- promuove la

cooperazione nei cittadini indiani e il sentimento di essere tutti parte di una stessa

nazione nel rispetto delle differenze.

In diverse norme della Costituzione vi è l’idea di un sistema giuridico sorretto da una

base etica. Nel suo complesso la Costituzione indiana ha un consistente impianto

promozionale e pedagogico. L’esempio principale è fornito probabilmente dalla

nuova parte dei diritti fondamentali che promuove la formazione di una cittadinanza

indiana attiva. Nella stessa direzione programmatica di promozione del valore

dell’unità nella diversità si possono leggere le scelte linguistiche fatte dall’Unione.

Posto che molti conflitti si svolgono in India per motivi religiosi e comunitari, l’unità

riguarda anche la laicità dello Stato.53

Il principio della laicità deve essere inteso

nella specificità del contesto indiano, caratterizzato da un gran numero di fedi e

religioni profondamente mescolate nel tessuto sociale. Questo principio è inteso

costituzionalmente come neutralità e imparzialità nei confronti di tutte le religioni.

In India non esiste una religione di Stato e la separazione tra Stato e religioni sul

piano formale è netta, fino al punto che la Costituzione prevede il divieto

d’insegnamento della religione nelle scuole statali. Contemporaneamente è garantito

il diritto di libertà religiosa sia agli individui sia ai gruppi ed è riconosciuta la

possibilità di creare scuole private con ispirazione religiosa.

53

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, 2010

- 43 -

3.1 Le istituzioni

La dottrina classica della divisione dei poteri è stata ampiamente recepita nella

Costituzione indiana attraverso la distinzione fra funzione legislativa, esecutiva e

giudiziaria e l’attribuzione di queste funzioni in modo preminente a organi distinti:

Parlamento, Governo e Corti.

3.1.1 Il Parlamento

L’India è una democrazia parlamentare,54

il modello seguito dalla Costituzione è

chiaramente quello inglese.

Il Parlamento federale indiano è caratterizzato da un bicameralismo imperfetto. Si

compone di due camere, il Lok Sabha (House of the People) che è rappresentativo

del popolo e il Rajya Sabha (Council of States), in cui la rappresentanza è per Stati.

Fa parte del Parlamento anche il Presidente dell’Unione, secondo il modello inglese

del King of the Parliament.

La scelta della democrazia parlamentare segue in generale il cd. modello

Westminster, con governo di gabinetto e sistema uninominale puro, ed è interessante

notare come nei meccanismi istituzionali indiani siano state introdotte soluzioni che

sembrerebbero peculiari del sistema inglese e radicate nella sua storia.55

Il federalismo indiano ha avuto una genesi diversa rispetto ad altri paesi.

Nel contesto indiano non si trattava di passare da una pluralità di Stati autonomi a

una confederazione e poi a una federazione. Gran parte del subcontinente indiano

aveva già avuto un’esperienza unitaria e federale nel British Raj e le parti dell’India

che erano formalmente fuori dai territori coloniali non avevano certo al momento

dell’indipendenza una forza tale da poter negoziare concessioni sul punto della

rappresentanza nella camera federale. Il rapporto tra le due camere è caratterizzato da

una sostanziale parità funzionale nel procedimento legislativo. Le leggi devono

essere approvate con il sistema della doppia lettura.56

54

È interessante osservare a questo proposito che nella Costituzione indiana non sono previste forme

di democrazia diretta come referendum o iniziative popolari. 55

MENSKI W. F., Comparative Law in a Global Context: The Legal System of Asia and Africa, p.263

ss, cit. in FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino,

2010, p.71. 56

Fanno eccezione alcune leggi di spesa in cui la seconda camera può solo fare raccomandazioni.

- 44 -

Il Lok Sabha ha invece il primato nella funzione d’indirizzo politico, dato che il

governo risponde solo a questa Camera e qui può essere sfiduciato.

3.1.2 Il Governo

Quando si analizza il potere esecutivo federale, bisogna prendere in considerazione

sia il Presidente dell’Unione, sia il Governo.

Il Presidente dell’Unione è formalmente il capo dell’esecutivo; a questa carica non

sono attribuite semplici funzioni di garanzia istituzionale, ma anche rilevanti poteri

nell’esercizio delle diverse funzioni dello Stato.

L’organo costituzionale titolare della funzione esecutiva è in realtà il Council of

Ministers.57

Il primo ministro viene nominato dal Presidente dell’Unione e designa i

componenti del Consiglio dei ministri che sono nominati formalmente dal Presidente.

In India esiste un sistema di designazione informale del primo ministro, nel senso

che gli schieramenti politici indicano il nome del loro candidato premier.

Il Consiglio dei ministri ha una struttura complessa e al suo interno si può distinguere

il Cabinet, composto dai ministri più importanti, che peraltro non è previsto dalla

Costituzione. Anche su questo punto è stato seguito il modello inglese.

La consapevolezza della difficoltà di governare dal centro un paese complesso come

l’India ha portato ad adottare diverse forme di decentramento amministrativo, alcune

ispirate a modelli tradizionali, come nel caso delle assemblee locali, panchayat, che

hanno riconoscimento costituzionale, altre a modelli di governance, come quello

statunitense, che affidano le varie funzioni normativa, esecutiva e quasi-

giurisdizionale ad agenzie specializzate.

Al livello dei singoli Stati, il potere legislativo e quello esecutivo tendono a replicare

il modello federale. Gli organi dei singoli Stati sono previsti nella Costituzione come

quelli federali. Anche il potere esecutivo statale replica quello federale con un

Governor, che svolge le funzioni che a livello federale sono attribuite al Presidente

dell’Unione, anzi lo rappresenta, e un consiglio dei ministri, con un primo ministro

ed eventualmente un cabinet.58

57

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.74. 58

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.75.

- 45 -

3.1.3 Il potere giudiziario

In India non esiste un potere giudiziario statale distinto da quello federale: il sistema

indiano delle corti è unico.

Al vertice del sistema giudiziario si colloca la Supreme Court of India che è

considerata una delle corti supreme dotate di maggiori poteri al mondo.

La Supreme Court è composta dal Chief Justice e da un massimo di trenta giudici.

Questi sono nominati dal Presidente dell’Unione alla fine di un complesso processo

di consultazioni, in cui ha un ruolo importantissimo l’opinione del Chief Justice e di

altri componenti del giudiziario. Il Chief Justice viene nominato per anzianità.

Per essere nominati giudici della Corte suprema occorre essere cittadini indiani ed

essere giudici di High Courts da almeno cinque anni o avvocati presso le High

Courts da almeno dieci anni o giuristi di chiara fama. I giudici sono nominati a vita e

possono essere rimossi solo a seguito di procedura d’ impeachment.

Questa previsione, insieme ad altre contenute nella Costituzione, è una garanzia di

indipendenza del potere giudiziario.59

Le High Courts sono un altro livello di Corti superiori che costituiscono il potere

giudiziario. La Costituzione prevede una High Court per ogni Stato, conferendo al

Parlamento il potere di istituire una High Court competente su più Stati.

Attualmente le High Courts sono ventuno. Rappresentano il vertice del potere

giudiziario a livello statale, e operano come corti d’appello per tutte le sentenze

pronunciate nei distretti posti sotto la loro giurisdizione.

I giudici hanno le stesse garanzie di quelli della Corte Suprema.

Esiste, poi, un terzo livello di corti costituito da un complesso sistema di corti

inferiori, District Courts, che non è previsto nella Costituzione e può variare nei

singoli Stati. È anche presente un sistema di Tribunals che, seguendo il modello

anglosassone, comprende una serie di tribunali a cui sono attribuiti funzioni speciali

che svolgono sotto la supervisione delle corti superiori.

Nel suo complesso il sistema giudiziario presenta forti criticità di funzionamento, in

particolare per quel che riguarda la lunghezza dei processi.

59

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.76.

- 46 -

L’India punta soprattutto sullo sviluppo della mediazione come strumento per gestire

i conflitti in modo più efficiente di quanto non facciano già le Corti.60

3.1.3.1 La Corte Suprema

La Supreme Court rappresenta uno dei “motori” principali dell’evoluzione del diritto

indiano.

La giurisdizione della Corte Suprema può essere distinta in: original jurisdiction,

appellate jurisdiction e advisory jurisdiction.61

La Corte Suprema ha giurisdizione originaria in tutte le questioni che sorgono tra

Stati o tra uno Stato e l’Unione. Ma un caso molto importante di original jurisdiction

riguarda la tutela dei diritti fondamentali. Si parla in questo caso di giurisdizione

originaria perché è previsto l’accesso diretto alla giurisdizione della Corte Suprema

per violazione dei diritti fondamentali previsti nella parte terza della Costituzione,

ma non si tratta di una giurisdizione esclusiva, potendo le stesse questioni essere

sollevate presso le altre Corti.

La Supreme Court è competente come giudice d’appello nei confronti delle sentenze

delle High Courts. Il concetto di appello, come in generale nei sistemi di common

law, non coincide con quello proprio dei paesi di civil law; la Supreme Court, come

la Corte Suprema statunitense, decide in quali casi giudicare. Ha funzioni di indirizzo

della giurisprudenza, dato che i suoi precedenti sono vincolanti per tutte le Corti

inferiori.

La Corte Suprema normalmente giudica in appello sulle cause più complesse dal

punto di vista della questione di fatto, in particolare quando la sanzione da applicare

sia la pena di morte.

La Corte giudica anche sul merito e non è solo giudice di legittimità.

60

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.76. 61

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.76.

- 47 -

Per quel che riguarda l’advisory jurisdiction, la Corte Suprema viene regolarmente

interpellata, specialmente dal Presidente dell’Unione, a fornire pareri preventivi sulla

costituzionalità di alcuni provvedimenti normativi.

La Corte ha inoltre un potere di emettere orders con cui regola determinati

comportamenti degli organi statali, influendo in tal modo anche sull’esercizio

dell’attività amministrativa.

3.1.3.2 Le High Courts

Le High Courts sono considerate il vertice del sistema giudiziario dei singoli Stati,

ma non sono propriamente corti statali perché dipendono dall’Unione sotto diversi

aspetti, dalla definizione della competenza territoriale alla nomina dei giudici.

Esse operano principalmente come corti d’appello. La loro caratteristica

fondamentale è che hanno una extraordinary writ jurisdiction,62

parallela alla

giurisdizione della Supreme Court in materia di diritti fondamentali, ma più estesa

dato che nel loro caso la writ jurisdiction si può attivare anche se i diritti violati non

sono contemplati nella parte terza della Costituzione sui diritti fondamentali.

In generale si può osservare che Supreme Court e High Courts hanno spesso agito

all’unisono nella tutela dei diritti fondamentali e che, anzi, spesso alcuni principi

innovativi sono stati elaborati prima da una High Court e poi recepiti dalla Supreme

Court.63

62

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.78. 63

Mentre le Corti superiori, High courts e Supreme Court, giudicano sia in materia civile che penale,

le Corti inferiori sono distinte in corti civili e corti penali e giudicano su questioni minori.

- 48 -

3.2 La struttura federale della Repubblica indiana

La Repubblica indiana, che si autodefinisce “Union of States”, si compone oggi di

ventotto Stati e sette Union territories.

Pur considerandosi uno Stato federale, l’India ha una propria visione dei rapporti

federali, che tende ad accrescere il carattere unitario della federazione, tanto che

questo tipo di federalismo è chiamato dagli studiosi “cooperative federalism”.64

La divisione delle funzioni legislative tra Unione e singoli Stati è stata prevista nella

Costituzione seguendo il modello del Government of India Act del 1935 ed è basata

sull’elencazione analitica delle materie di competenza esclusiva dell’Unione e degli

Stati, prevedendo anche una serie di materie in cui vi è competenza concorrente.

Queste materie sono raggruppate in tre liste: Union list, State list e Concorrence list,

che costituiscono l’allegato settimo della Costituzione. Le liste sono lunghe e

dettagliate al fine di evitare, per quanto sia possibile, incertezze sulle attribuzioni

delle competenze e di disegnare una struttura organica dei poteri ai diversi livelli.

Le materie di competenza esclusiva dell’Unione includono la difesa, gli affari esteri,

la politica monetaria, il settore bancario e assicurativo e la fiscalità federale, mentre

quelle di competenza esclusiva degli Stati comprendono l’ordine pubblico e la

polizia, la salute pubblica e il sistema sanitario, l’agricoltura e la pesca, le foreste e

infine la fiscalità statale.

Nelle attribuzioni legislative concorrenti rientrano materie importantissime come il

diritto e la procedura penale, il diritto civile, in particolare la materia matrimoniale, i

contratti, i torts e i trust e la procedura civile65

. Sono anche concorrenti le materie sul

lavoro, la programmazione economica e sociale e l’istruzione.

Con questo tipo di sistema bisogna prendere in considerazione il principio della

competenza territoriale, per cui ogni Stato può legiferare solo per il suo territorio, il

che comporta la probabile mancanza di uniformità importanti.

La particolarità del federalismo indiano è il suo carattere “necessario” o “generico”.66

64

BASU D.D., Introduction to the Constitution of India, cit. in FRANCAVILLA D., Il diritto

nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino,2010, p.78. 65

Pertanto, ad esempio, esiste un Hindu Marriage Act indiano, ma possono esistere anche leggi statali,

ad esempio in materia di registrazione del matrimonio. 66

AMIRANTE D., India, Il Mulino, Bologna, 2007, p.53.

- 49 -

Se da una parte il sistema federale era necessario per la vastità del territorio e le

specificità locali rendevano impossibile far nascere un vero e proprio Stato unitario,

dall’altra gli Stati indiani non erano entità autonome e preesistenti e la federazione

indiana nasceva con una necessaria prevalenza dell’Unione.

Gli Stati che fanno parte dell’Unione sono stati definiti nella stessa Costituzione, in

molti casi ridisegnandone i confini. Ancora oggi la determinazione degli Stati è di

competenza dell’ Unione, così come la decisione su eventuali annessioni territoriali.

In conclusione la divisione dei poteri raggiunta nel contesto indiano soffre di alcune

incongruenze derivanti dalla complessità dei meccanismi e dall’assemblaggio di

elementi del modello inglese e di quello statunitense.

Nella divisione dei poteri è molto delicata la posizione del potere giudiziario che,

nonostante abbia avuto un ruolo molto importante nella tutela dei diritti

fondamentali, è stato criticato per la tendenza a svolgere attività di supplenza rispetto

agli altri poteri dello Stato.

Per quanto riguarda la struttura federale, il punto di riferimento, inevitabile, è il

modello statunitense, tenuto presente sia dall’Assemblea Costituente che

nell’interpretazione costituzionale. Il federalismo indiano, rispetto a quello

statunitense, è diverso nell’ispirazione, nella genesi, nei problemi e nelle soluzioni

tecniche.

Uno degli elementi di differenziazione più rilevante è sul piano sociale e culturale;

non bisogna dimenticare che l’India è un paese multilingue.

Sembra quasi paradossale che un sistema federale più unitario si accompagni in India

a una situazione sociale e culturale molto diversa rispetto a quanto non sia negli Stati

Uniti.67

67

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’india contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.82.

- 50 -

4. La cittadinanza in India

4.1 I cittadini e lo Stato indiano in tempo di globalizzazione

L’India è studiata come un caso rientrante nella categoria generale di “società che

cambiano” e che derivano da un governo coloniale o comunista.

La cittadinanza, che era considerata parte del problema generale di costruzione di

una nazione, ha progressivamente acquisito il carattere di un problema in sé

importante.

Questo cambiamento di prospettiva si è verificato come conseguenza della

globalizzazione e per la diffusione mondiale delle norme fondamentali dei diritti

umani.

Nel contesto contemporaneo, con riferimento ai problemi delle minoranze in

pericolo, le cui vite, dignità e benessere sono a rischio, il mondo si considera

moralmente in dovere di intervenire, se non militarmente almeno in termini di

invocazione della legge e della buona condotta.

In quanto tale, dal punto di vista dello Stato postcoloniale, sia la sua sovranità

nazionale sia la sua legittimità sono condizionate dal suo successo relativo alla

trasformazione dell’intera popolazione in cittadini.

Lo studio effettuato dal professor Subrata K. Mitra68

, e dai suoi collaboratori,

sostiene che questo è legato all’abilità dello stato postcoloniale di modificare le sue

leggi, i tribunali e l’amministrazione verso un’efficace gestione dell’identità e

dell’integrazione costituzionale del nucleo dei valori sociali.

Per quanto riguarda “rendere cittadini gli intoccabili”, l’esperimento indiano dà

lezioni importanti agli altri paesi caratterizzate da società multiculturali.

68

SUBRATA K. MITRA, “Level Playing Fields: The Post-Colonial State, Democracy, Courts and

Citizenship in India”, German Law Journal, Vol. 9 No. 03, 2008, p.343 ss.

- 51 -

Il problema della cittadinanza negli Stati postcoloniali si riferisce a due diverse

questioni. In primo luogo, come attori liberi nel diritto internazionale, questi “nuovi

Stati” condividono l’imperativo della sicurezza, dell’identità e del benessere

nazionali, sulle stesse basi degli stabili Stati postindustriali, sebbene le condizioni

politiche ed economiche siano ampiamente diverse. In secondo luogo, in contrasto

con le stabili democrazie industriali dell’Occidente, questi nuovi Stati hanno bisogno

di trasformare soggetti e immigrati -gruppi sociali marginali- in cittadini con la

capacità di godere di tutti i diritti politici e sociali.

L’India, essendo la più grande democrazia liberale del mondo, condivide alcune

caratteristiche fondamentali per la cittadinanza con le democrazie liberali

dell’Occidente. Questo la distanzia dalla maggior parte degli Stati postcoloniali.

Inoltre l’India è un paese estremamente vario, dove le diverse categorie di minoranze

spesso coesistono in un rapporto conflittuale. Queste minoranze includono le

comunità religiose, le caste e le comunità indigene conosciute come “tribali”.

Un aspetto molto importante in India è stato l’introduzione di una novità nelle leggi

sulla cittadinanza, vale a dire l’introduzione del “Overseas Citizenship of India”, nel

2003.

Questa forma di appartenenza dei cittadini indiani è chiaramente diversa dalla

cittadinanza tradizionale, ma non può essere facilmente inserita in una categoria

come un’altra forma comune di adesione. Ciò rende la cittadinanza in India un

concetto “a strati”, nel senso che all’interno dello stesso territorio diverse categorie di

cittadinanza, con diversi livelli di diritti e facoltà, coesistono.

Un secondo aspetto interessante del caso indiano è che la nozione di cittadinanza è

progressivamente scivolata da una base liberale, laica e inclusiva a una concezione di

cittadinanza più esclusiva ed etnica che è definita in termini di origine piuttosto che

di territorio.69

69

SUBRATA K. MITRA, “Level Playing Fields: The Post-Colonial State, Democracy, Courts and

Citizenship in India”, German Law Journal, Vol. 9 No. 03, 2008.

- 52 -

Un ulteriore aspetto riguarda lo status dell’India come Stato multiculturale. La

Costituzione indiana riconosce sia i diritti individuali sia quelli di gruppo. Un

assortimento d’istituzioni pubbliche quali il potere giudiziario, la Commissione

nazionale per le Minoranze e il processo politico competitivo forniscono la

condizione istituzionale necessaria per creare un terreno giusto per rivendicare la

cittadinanza.

Allo stesso tempo, anche i problemi visibili a livello internazionale quali le

violazioni dei diritti umani in Kashmir, la violenza frequente nei confronti delle

minoranze e il benessere delle donne ex intoccabili o abitanti della foresta (tribali)

hanno avuto un impatto sulla legislazione indiana con riferimento ai diritti dei

cittadini.70

70

SUBRATA K. MITRA, “Level Playing Fields: The Post-Colonial State, Democracy, Courts and

Citizenship in India”, German Law Journal, Vol. 9 No. 03, 2008, p.345.

- 53 -

4.2 Nazionalità vs. Cittadinanza

La visione locale dei pensatori della nuova repubblica aveva inteso la cittadinanza in

termini di territorialità.

Il distacco tra la definizione morale degli Indiani in termini di comunità e la

definizione giuridica in termini di territorio fu contestato durante i disordini del 1950

che portarono alla ridefinizione dei confini interni dell’India. Una seguente revisione

della definizione di cittadinanza si ebbe con la richiesta degli Indiani che vivevano

all’estero che rivendicavano la successione nei diritti di proprietà in India. Questo

condusse alla fine all’emanazione della Carta delle persone di origine indiana (PIO),

che riconosceva esplicitamente il diritto alla cittadinanza, nel 2002.

L’esercizio attivo della cittadinanza non è più legato agli elementi comuni di identità

e comunità; la cittadinanza era diventata un obiettivo che scivolava avanti e indietro

tra le comunità non territoriali definite in termini etnici e funzionali71

.

La nazionalità e la cittadinanza possono dipendere l’una dall’altra, ma non sono

necessariamente congruenti.

“ In termini di diritto internazionale, la nazionalità costituisce la base di giurisdizione

di uno Stato e un requisito essenziale per l’esercizio della protezione diplomatica in

relazione con gli altri Stati. In sostanza, gli Stati sono liberi di stabilire i requisiti di

acquisto della cittadinanza. Tuttavia, un’attribuzione meramente formale della

nazionalità non è sufficiente a creare un rapporto giuridico che gli Stati terzi sono

tenuti a riconoscere ”.72

Proprio quando il diritto legale di cittadinanza è accordato dallo Stato, l’identità e da

essa il diritto morale di appartenere è ciò che il popolo richiedendo la cittadinanza

vuole. Quando entrambi convergono nello stesso gruppo, il risultato è un senso di

cittadinanza legittima, dove l’individuo si sente sia legalmente autorizzato sia

moralmente impegnato. In caso contrario, le conseguenze sono una cittadinanza

legale priva di un senso d’identificazione con il territorio o d’identificazione

primordiale con la terra, ma senza un riconoscimento legittimo per questo.

71

ANDERSON J., Transnational Democracy: Political Spaces and Border Crossing, Routeledge,

2002, cit. in SUBRATA K. MITRA, “Level Playing Fields: The Post-Colonial State, Democracy,

Courts and Citizenship in India”, German Law Journal, Vol. 9 No. 03, 2008, p.346. 72

KADELBACH S., Union Citizenship, 2003, cit. in SUBRATA K. MITRA, “Level Playing Fields:

The Post-Colonial State, Democracy, Courts and Citizenship in India”, German Law Journal, Vol. 9

No. 03, 2008, p.347.

- 54 -

Queste situazioni possono portare a disordini violenti, scontri tra le comunità e

guerra civile.

In un contesto postcoloniale, i cittadini sono una categoria iniziale, un gruppo

cardine che collega lo Stato e la società. Una cittadinanza tranquilla e giusta è

possibile solo se il concetto è coprodotto da uno Stato moderno e una società

tradizionale.

L’India ha acquisito qualcosa di simile attraverso la sua forma di “cittadinanza a più

strati”.

La strategia indiana consisteva nel trasformare i ribelli in parti interessate.

La Costituzione, innovando le istituzioni e la cittadinanza, ha fatto da sfondo per una

serie di decisioni, processi e strategie politiche.

Il primato indiano di trasformare con successo i sudditi in cittadini ha un significato

trasversale nella nazione, perché invece di essere un attributo unico della cultura

indiana si basa su un accordo istituzionale contenente diversi parametri importanti.

Primi tra questi sono gli articoli della parte II della Costituzione indiana (articoli 5-

11).

La Costituzione indiana (come la maggior parte delle costituzioni) evita la

terminologia di nazione e nazionalità. “ La cittadinanza, d’altra parte, è la parola

chiave costituzionale per dividere il mondo tra “noi e loro” ”.73

La cittadinanza è quindi una forma di adesione a un corpo politico che identifica una

persona come membro a pieno titolo della stessa.

All’interno della Costituzione indiana vi sono i diritti dei cittadini che mirano a

proteggere l’individuo contro le ingerenze arbitrarie da parte dell’autorità statale.

Ciò che è costitutivo per lo status di un cittadino indiano sono i diritti positivi (in

particolare i diritti sociali) e i diritti politici (in primo luogo il diritto di voto e di

eleggibilità).

73

BASU D.D., Introduction to the Constitution of India, 2001, p.74, “The question of citizenship

became particulary important at the time of the making of our Constitution because the Constitution

sought to confer certain rights and privileges upon those who were entitled to Indian citizenship while

they were to be denied to ‘aliens’. The latter were even placed under certain disabilities.” Cit. in

SUBRATA K. MITRA, “Level Playing Fields: The Post-Colonial State, Democracy, Courts and

Citizenship in India”, German Law Journal, Vol. 9 No. 03, 2008, p.351.

- 55 -

La cittadinanza può aver avuto la sua origine nelle lotte politiche e nella filosofia

politica, ma come la Costituzione la tratta, è essenzialmente un concetto giuridico.

La Costituzione indiana se ne occupa nella parte II.

Nell’elaborare questa sezione, l’Assemblea Costituente immaginava chi poteva, nel

1950, aver diritto alla nazionalità indiana e alla cittadinanza. L’assenza del carattere

distintivo razziale come condizione necessaria per la cittadinanza era stato spiegato

da uno scambio cruciale di dibattiti all’interno dell’Assemblea Costituente.

La cittadinanza si dimostrò essere tra i temi più controversi, dibattuti per quasi due

anni e con più di centoventi emendamenti presentati durante l’Assemblea

Costituente. Questa tendenza fu portata avanti in altre iniziative politiche e nella loro

interpretazione. I tentativi dell’Assemblea Costituente furono limitati a garantire che

gli articoli trattassero la situazione esistente in quel momento. Tutte le altre regole

furono lasciate al parlamento perché decidesse in merito.

Il tentativo di questi articoli è stato principalmente di chiarire il concetto di chi

poteva essere indiano.74

La preoccupazione principale era il risultato della partition e come si traduceva

nell’identità di un Indiano. Il tentativo fu più quello di capire come scollegare il

concetto culturale di nazionalità dal diritto politico.

Fin dal principio, l’articolo 575

riflette chiaramente il pensiero del Dr. Ambedkar e

degli altri membri fissando lo scopo degli articoli e il desiderio di limitare la

questione sulla cittadinanza all’inizio della Costituzione.

La sequenza logica è mantenuta dall’articolo 676

che tratta della cittadinanza e si

occupa di migranti provenienti dal territorio dell’India indivisa, ora Pakistan.

74

SUBRATA K. MITRA, “Level Playing Fields: The Post-Colonial State, Democracy, Courts and

Citizenship in India”, German Law Journal, Vol. 9 No. 03, 2008, p.353. 75

Article 5: Citizenship at the commencement of the Constitution

-At the commencement of this Constitution, every person who has his domicile in the territory of

India and-

a) who was born in the territory of India; or

b) either of whose parents was born in the territory of India; or

c) who was been ordinarily resident in the territory of India for not less than five years immediately

preceding such commencement, shall be a citizen in India. 76

Article 6: Rights of citizenship of certain persons who have migrated to India from Pakistan.

-Notwithstanding anything in article 5, a person who was migrated to the territory of India from

territory now included in Pakistan shall be deemed to be citizen of India at the commencement of this

Constitution if-

a) he or either of his parents or any of his grandparents was born in India as defined in the

Government of India Act, 1935 (as originally enacted); and

- 56 -

Il problema della re-immigrazione è stato affrontato nell’articolo 777

che, pur

affermando che nessuna persona che emigrò in Pakistan era un cittadino dell’India,

tuttavia fece in modo di includere coloro che erano re-immigrati in India da questi

territori. Queste persone erano tenute ad avere un permesso di reinsediamento o di

ritorno permanente rilasciato dalle autorità competenti.

È interessante notare che la radice dell’idea PIO (persone di origine indiana) si

intravede nell’articolo 8,78

che si occupa di persone che risiedono al di fuori

dell’India, al momento dell’Indipendenza. Dà loro il diritto di chiedere la

cittadinanza sulla base dell’origine, a condizione che la persona sia iscritta a un

consolato indiano nel paese di residenza.

La necessità di escludere i cittadini dei territori appena divisi ed è inserita

nell’articolo 979

che stabilisce che coloro che hanno volontariamente acquisito la

cittadinanza di uno Stato straniero perdano il diritto alla rivendicazione della

cittadinanza indiana.

b) (i) in the case where such person has so migrated before the nineteenth day of July, 1948, he has

been ordinarily resident in the territory of India since the date of his migration, or

(ii) in the case where such person has so migrated on or after the nineteenth day of July, 1948, he has

been registered as a citizen of India by an officer appointed in that behalf by Government of the

Dominion of India on an application made by him therefore to such officer before the commencement

of this Constitution in the form and manner prescribed by that Government; provided that no person

shall be so registered unless he has been resident in the territory of India for at least six months

immediately preceding the date of his application. 77

Article 7: Rights of citizenship of certain migrants to Pakistan

-Notwithstanding anything in articles 5 and 6, a person who has after the first day of March, 1947,

migrated from the territory of India to the territory now included in Pakistan shall not be deemed to be

a citizen of India; provided that nothing in this article shall apply to a person who, after having so

migrated to the territory now included in Pakistan, has returned to the territory of India under a permit

for resettlement or permanent return issued by or under the authority of any law and every such person

shall for the purposes of clause (b) of article 6 be deemed to have migrated to the territory of India

after the nineteenth day of July, 1948. 78

Article 8: Rights of citizenship of certain persons of Indian origin residing outside India.

-Notwithstanding anything in article 5, any person who or either of whose parents or any of whose

grand-parents was born in India as defined in the Government of India Act, 1935 (as originally

enacted), and who is ordinarily residing in any country outside India as so defined shall be deemed to

be a citizen of India if he has been registered as a citizen of India by the diplomatic or consular

representative of India in the country where he is for the time being residing on an application made

by him therefor to such diplomatic or consular representative, whether before or after the

commencement of this Constitution, in the form and manner prescribed by the Government of the

Dominion of India or the Government of India. 79

Article 9: Persons voluntarily acquiring citizenship of a foreign State not to be citizens.- No person

shall be a citizen of India by virtue of article 5, or be deemed to be a citizen of India by virtue of

article 6 or article 8, if he has voluntarily acquired the citizenship of any foreign State.

- 57 -

L’Assemblea Costituente distinse tra cinque categorie di persone:

1. Le persone domiciliate in India e nate in India: in altre parole, le persone che

formavano il grosso della popolazione dell’India. Il periodo di domicilio era

minimo di cinque anni nonostante la giurisprudenza successiva avrebbe

deciso che il solo domicilio non era sufficiente;

2. Le persone che hanno la residenza in India: cioè, le persone non nate in India,

ma che avevano risieduto in India, per esempio le persone che erano soggette

a un ex protettorato portoghese o agli insediamenti francesi in India, o le

persone, anche se non nate in India, che avevano soggiornato per un lungo

periodo di tempo con l’indubbia intenzione di diventare cittadini indiani;

3. Persone che erano residenti in India, ma che emigrarono in Pakistan;

4. Le persone che erano residenti in Pakistan e che emigrarono in India;

5. Le persone i cui genitori erano nati in India, ma risiedevano al di fuori dello

Stato indiano, e quelli che emigrarono in Pakistan, ma tornarono in India.

Gli articoli riguardanti la cittadinanza si riferivano alla data di entrata in vigore della

Costituzione indiana. L’oggetto non è stato quello di redigere una legge permanente

sulla cittadinanza di questo paese. L’articolo 6 poteva effettivamente consentire al

Parlamento di togliere la cittadinanza a coloro che fossero stati dichiarati cittadini

all’entrata in vigore della Costituzione da quanto previsto dall’articolo 5, e anche

concedere la cittadinanza a coloro ai quali originariamente la Costituzione negava

questo privilegio.80

80

SUBRATA K. MITRA, “Level Playing Fields: The Post-Colonial State, Democracy, Courts and

Citizenship in India”, German Law Journal, Vol. 9 No. 03, 2008, p.357.

- 58 -

In conclusione la religione, come segno distintivo per la cittadinanza, è stata

esplicitamente respinta dall’Assemblea Costituente, anche se ci sono stati membri

che si auguravano di includere disposizioni che consolidassero i diritti degli indù e

dei sikh. L’accento è stato posto più sulla lealtà territoriale che sulla religione.

Riassumendo la Costituzione indiana accetta e riconosce la cittadinanza per nascita,

discendenza e naturalizzazione.

Dal caso indiano s’impara che per quanto riguarda i cittadini creati dal contesto

postcoloniale conta la formazione e la materia del diritto, ma anche la politica, e

soprattutto, conta enormemente la storia.

Il relativo esito dell’India nel trasformare i sudditi in cittadini, con maggior successo

perlomeno nei paesi vicini come il Pakistan e lo Sri Lanka, è funzione della struttura

politica dell’India, procedimento e memoria, tessuti insieme in un accordo

istituzionale che trae la sua ispirazione sia dallo Stato moderno sia dalla società

tradizionale.81

81

SUBRATA K. MITRA, “Level Playing Fields: The Post-Colonial State, Democracy, Courts and

Citizenship in India”, German Law Journal, Vol. 9 No. 03, 2008, p.366.

- 59 -

CAPITOLO II “ IL DIRITTO INDIANO ”

1. Evoluzione del diritto indiano

Il diritto dell’India di oggi è il risultato di un lungo processo di evoluzione e

stratificazione di norme, istituzioni e valori che nel corso della storia hanno trovato

diversi accomodamenti e integrazioni.

Il sistema giuridico indiano è molto complesso e presenta un grado di complessità

superiore rispetto alla media perché hanno avuto un ruolo molto importante un gran

numero di componenti. In primo luogo può essere vista come una complessità

strutturale che si può evincere da una coesistenza di un diritto territoriale, che è

applicato a tutti i cittadini indiani, e di un insieme di diritti personali che si applicano,

spesso nel diritto di famiglia, in base all’appartenenza a una determinata comunità

che si definisce di solito in termini religiosi.

È molto rilevante la complessità culturale del diritto indiano che deriva dalla co-

esistenza e interazione di concezioni, valori, norme e istituti di diverse origini.

Il contrasto più rappresentativo sul piano culturale è quello tra i diritti indigeni e i

diritti occidentali recepiti durante il periodo coloniale che sono diventati indiani dopo

l’Indipendenza perché l’India ha confermato la sua adesione ad essi. Al tempo stesso

nell’India contemporanea continuano ad esistere i fondamenti culturali tradizionali

soprattutto nel sistema dei diritti personali, in particolare nel diritto di famiglia e

delle successioni.

“ Dall’Indipendenza in poi l’India non ha mai smesso di cercare una propria identità

giuridica unendo gli elementi derivanti da questa complessità culturale ”.82

La complessità culturale del diritto indiano di oggi deriva anche da un’eterogeneità

interna per la varietà di popoli, culture, lingue, religioni e tradizioni83

.

Tenere insieme questa diversità è uno dei problemi principali della Repubblica

indiana e l’aspirazione all’unità nella diversità è un valore che è alla base della

Costituzione e quindi della stessa struttura giuridica istituzionale dell’India

indipendente.

82

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, cit.

p. 14 83

Nella Costituzione indiana all’art.51° si fa riferimento a “the heritage of our composite culture”; cit.

da FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.14.

- 60 -

Questa diversità è molto importante per il diritto perché l’intera storia del diritto

indiano può essere descritta tramite l’analisi della dinamica tra diversità e uniformità,

che ha creato nel tempo numerose combinazioni.

Questa complessità culturale è il frutto della stratificazione avvenuta nel corso dei

secoli.

Nelle varie epoche storiche numerosi ordinamenti giuridici hanno avuto origine e

altri hanno avuto molta importanza, ma l’assetto moderno del diritto indiano si è

avuto nel periodo coloniale attraverso l’importazione di modelli occidentali. È stata

molto importante anche la trasformazione del sistema delle fonti che si è

“occidentalizzato”.

Nell’India contemporanea non bisogna perdere di vista il fatto che esistono ancora

oggi degli ordinamenti giuridici che vivono ai margini del diritto ufficiale.

Le diverse culture che sono nate in India hanno contribuito alla formazione del diritto

indiano e ancora lo influenzano e modellano nella pratica.

In questo paragrafo analizzerò alcuni dei diversi sistemi che hanno contribuito alla

formazione del diritto indiano prima dell’Indipendenza perché l’India non è mai stata

esclusivamente hindu.

L’India è composta di più culture e questo si è manifestato anche sul piano giuridico.

Alcune di queste culture sono indigene, ad esempio quella buddhista o jainista,

mentre altre come l’Islam, pur non avendo avuto origine in India, vi hanno avuto

importanti manifestazioni.84

84

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.18.

- 61 -

1.1 Il diritto buddhista

Il diritto buddhista è una componente importantissima del diritto indiano; ha avuto

origine nel subcontinente indiano e ha profondamente influenzato la cultura indiana,

anche se la sua area di maggiore influenza si è successivamente spostata verso altri

paesi asiatici.

Il momento di svolta della religione buddhista si ebbe durante il regno di Ashoka che

trasformò questa religione settaria in civiltà ed estese la sua influenza in molte zone

del subcontinente indiano85

.

Il diritto buddhista interagì con il diritto hindu tanto che questo spinse lo stesso

induismo a riorganizzarsi culturalmente contrapponendosi al brahmanesimo.

Il buddhismo è una tradizione culturale composta di dottrine, regole di

comportamento e istituzioni che si ricollegano agli insegnamenti di Buddha.

Le idee chiave del buddhismo possono essere riassunte nel triratna, il “triplice

gioiello” aderendo al quale si conferma la propria appartenenza al buddhismo, che è

composto da Buddha, dharma e sangha.86

A parte l’importanza di Buddha e del

dharma da lui insegnato, è da segnalare la centralità del sangha, cioè

dell’organizzazione monastica, “ la cui continuità storica fornisce un centro di pratica

budhhista e una base sociale per la persistenza del pensiero e dei valori buddhisti ”.87

La nascita del buddhismo è collocata tra il VI e il V secolo a.C., quindi nel periodo

classico, ed è legata alla figura di Siddharta Gautama.

Siddharta si dedicò alle pratiche ascetiche che erano già diffuse in alcune forme

dell’induismo. Dopo una serie di vicende travagliate, egli raggiunse la liberazione,

divenne Buddha, il “risvegliato”, e cominciò a diffondere il suo messaggio.

85

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.37. 86

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, cit.

p. 38. 87

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, cit.

p.38.

- 62 -

“ I caratteri del buddhismo delle origini sono dibattuti dagli studiosi. Secondo alcuni

si trattava di una comunità di rinuncianti esclusivamente concentrata su discipline di

salvezza, mentre secondo altri il suo carattere originario era quello di una religione

popolare formatasi attorno a Buddha ”.88

Nel III secolo a.C., con il regno di Ashoka, il buddhismo entrò in una nuova fase e

subì una profonda trasformazione diventando una “civilation religion”.

L’imperatore della dinastia Maurya, attraverso una serie di campagne militari,

realizzò il primo impero che coincideva con quasi tutto il territorio del subcontinente

indiano.89

In seguito alla sanguinaria guerra di conquista del regno di Kalinga,

Ashoka attraversò una profonda crisi spirituale che lo portò ad abbracciare il

buddhismo.

Con Ashoka fu elaborata una politica basata sul dharma che consisteva in “ una

regola di vita formulata in termini accettabili dai seguaci di qualsiasi confessione

religiosa, indiana o non indiana: rispetto di ogni forma di vita, astensione da ogni

forma di violenza, osservanza dei doveri tradizionali verso i genitori, i maestri, i

parenti e gli amici, e comportamento amabile verso tutti, inclusi i servi e gli schiavi.

Inoltre, l’esortazione a manifestare rispettosa considerazione per ogni fede religiosa e

a non offendere i seguaci di religioni diverse dalla propria ”.90

Si affermò in quel periodo un’idea buddhista della legalità perché mentre il centro

del buddhismo delle origini era il monachesimo, con Ashoka, che era un buddhista

laico a capo di un potente impero, si creò una struttura istituzionale anche per i laici.

Dopo la morte dell’imperatore della dinastia Maurya, il buddhismo continuò a

diffondersi in tutta l’India, nello Sri Lanka e anche in Asia centrale. Nel corso del

suo sviluppo nel territorio asiatico, si affermò influenzando credenze e pratiche

indigene.

Dopo i primi secoli di grande sviluppo, il buddhismo perse terreno in India fino quasi

a scomparire.

88

REYNOLDS F.E.-HALLISEY C., “Buddhism: An overview” in ELIADE M. (a cura di), The

Encyclopedia of Religon, vol.2, MacMillan, New York, 1987, p.335, cit. in FRANCAVILLA D., Il

diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, cit. pp. 38-39. 89

TORRI M., La Storia dell’India, Editori Laterza, Bari, 2000. 90

PUGLIESE CARRATELLI G. (a cura di), Gli editti di Ashoka, Adelphi, Milano, 2003, pp.18-19;

cit. in FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino,

2010, cit. p.39.

- 63 -

1.2 Il diritto islamico

Il diritto islamico in India non è un diritto indigeno, non ha avuto origine in Asia

meridionale, ma la sua presenza è molto antica e di molto precedente al periodo della

colonizzazione britannica.

A questo riguardo l’Islam può essere considerato a pieno titolo parte integrante della

cultura indiana.

L’India ha avuto importanti sovrani islamici.

La presenza islamica in India inizia intorno al 700 d.C.. I musulmani indiani delle

origini erano principalmente hindu che si erano convertiti all’Islam, solo l’élite

musulmana era originariamente araba. Date le numerosissime conversioni all’Islam,

già dall’inizio il diritto islamico divenne il secondo diritto personale indiano per

numero di persone.91

Quando poi nel 1100 fu istituito il Sultanato di Delhi, con la dinastia Moghul,

l’importanza del diritto islamico nel complesso del diritto indiano aumentò in ragione

della connessione con il potere politico. Il diritto islamico divenne, in alcuni settori,

diritto generale per tutti i sudditi, inclusi quelli hindu. Questo fenomeno si manifestò

sul piano pubblicistico e istituzionale e su quello tributario. In particolare fu

applicato il diritto penale islamico agli hindu e agli appartenenti di altre comunità.

Sul piano privatistico, invece, la situazione era più complessa. I sovrani musulmani,

forse per convenienza politica, o per ragioni di reale apertura al pluralismo culturale

indiano, non proibirono ai loro sudditi di seguire il proprio diritto.

Durante il periodo musulmano, il diritto hindu subì delle trasformazioni, dovute

anche all’interazione con nuove pratiche e dottrine, ma per alcuni aspetti, proprio

perché le comunità hindu potevano continuare a vivere secondo il loro diritto, grazie

anche all’esistenza di sistemi di soluzione delle controversie di carattere non statale,

ci fu un potenziamento della tradizione hindu, testimoniato dal nascere dei nibandha

proprio in questo periodo, e dovuto anche ad un irrigidimento di altri istituti.92

91

MENSKI W.F., Diritto dell’India, Enciclopedia Giuridica, vol. XI, Roma, 1989; cit. in

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, cit.

p.42. 92

MENSKI W.F., Diritto dell’India, Enciclopedia Giuridica, vol. XI, Roma, 1989; cit. in

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, cit.

p.43.

- 64 -

Sul piano degli istituti le interazioni più significative si sono avute in materia di

diritto di famiglia, in merito al matrimonio poligamico, che è tipico della religione

islamica ma che aveva importanti manifestazioni in alcune comunità hindu, per

quanto l’ideale religioso fosse all’opposto monogamico.

Un altro aspetto molto importante connesso alla presenza musulmana in India è stata

l’affermazione del diritto islamico come diritto personale di una larga parte di

popolazione. La peculiarità del diritto islamico indiano consisteva nel fatto che esso

si era trovato ad interagire con consuetudini nuove e diverse rispetto a quelle arabe. Il

diritto islamico indiano nacque dall’interazione tra shari’a e consuetudini locali.

Per quanto riguarda le fonti, sia il diritto hindu sia il diritto musulmano si basano su

un diritto a elaborazione dottrinale in interazione con le consuetudini locali, anche se

in generale il diritto hindu era più “aperto” e frammentato.

Diritto hindu e diritto islamico furono i due grandi diritti con cui ebbero a che fare i

colonizzatori.

“ E’ stato osservato che al momento dell’arrivo degli Inglesi il diritto indiano nel suo

complesso, da intendere come insieme di sistemi giuridici locali, era in crisi, incerto

e arbitrario. Inoltre la dominazione musulmana era in effetti crollata prima

dell’arrivo degli Inglesi, alimentando ulteriormente il disordine soprattutto

amministrativo. In questo contesto un ruolo importante fu svolto dagli zamindar,

grandi proprietari terrieri che cominciarono ad assumere delle prerogative di

governo, anche in questo caso con grandi disequilibri nel funzionamento tradizionale

dei sistemi giuridici locali e gravi ingiustizie. Gli zamindar rimarranno figure

importanti fino a subito dopo l’Indipendenza ”.93

I colonizzatori britannici svilupparono sia un diritto anglo-hindu sia un diritto

anglo-musulmano.

Nell’India di oggi il diritto islamico ha una parte molto importante all’interno delle

materie del diritto personale. Il diritto statale indiano deve confrontarsi non solo con i

problemi che sono posti dalla tradizione hindu, ma anche con quelli posti dal diritto

islamico, in particolare per quanto riguarda la tutela delle donne.

93

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, cit.

p.44.

- 65 -

Nonostante hindu e musulmani abbiano vissuto fianco a fianco per secoli, esiste un

conflitto latente tra le due comunità che periodicamente esplode. Il caso più

indicativo di un potenziale conflitto tra i due diritti nell’India contemporanea è il

progetto di adozione di un codice civile unitario che risolverebbe le vicende

riguardanti i diritti personali.

1.3 Jainismo, sikhismo, zoroastrianesimo e altri modelli religiosi tribali

Le tre grandi componenti del diritto indiano prima della colonizzazione sono la

tradizione hindu, quella buddhista e quella islamica. Altre tradizioni hanno avuto

rilievo nella formazione del diritto indiano e tra queste bisogna ricordare jainismo,

sikhismo e zoroastrianesimo94

.

Nell’India contemporanea a jainisti e sikh viene applicato il diritto hindu, mentre i

parsi hanno un loro diritto personale in materia di diritto di famiglia e successioni.

Tra le componenti del diritto indiano non bisogna dimenticarsi dei diritti ctonici.95

“ Con il termine “ctonici” ci si riferisce a diritti ancestrali e antichi caratterizzati

dallo stretto rapporto tra terra e uomini, dalla mancata divisione tra diritto e altre

sfere normative, in generale da un olismo culturale.96

Si tratta inoltre di diritti

consuetudinari e verbalizzati solo oralmente ”. Questi caratteri si riscontrano in

piccole comunità molto unite tra loro che per mantenere l’ordine sociale ed

economico hanno bisogno di sistemi poco complessi. Si tratta di una forma giuridica

molto diffusa storicamente e ancora oggi molti dei diritti delle comunità tribali

presenti in India rientrano tra i diritti ctonici.

Le popolazioni tribali vivono nel subcontinente indiano da epoca antichissima e

hanno mantenuto le loro consuetudini grazie all’isolamento rispetto alle altre

comunità indiane. I diritti di queste comunità sono rimasti ai margini delle grandi

tradizioni giuridiche che si sono sviluppate.

94

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 201, p.45 95

MENSKI W.F., Diritto dell’India, Enciclopedia Giuridica, vol. XI, Roma, 1989; cit. in

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, cit.

p.45. 96

PATRICK GLENN H., Tradizioni Giuridiche nel Mondo, Il Mulino, Bologna, 2010, p.456.

- 66 -

In particolare dal punto di vista della tradizione hindu, le comunità tribali non sono

solo appartenenti alle caste più basse ma sono del tutto esterni all’induismo. Con il

tempo alcune comunità sono state inserite nell’induismo, nel cristianesimo o in altre

tradizioni ma hanno conservato delle tracce dei loro sistemi culturali tradizionali.

I diritti tribali non hanno contribuito in modo preponderante alla formazione

culturale del diritto indiano, ma devono essere citati perché sono stati e sono ancora

vigenti in India anche se solo all’interno di alcune tribù. Inoltre esiste una “questione

tribale” che viene anche trattata in alcune norme della Costituzione indiana.

“ […] Oggi le tribù hanno un regime giuridico differenziato con riconoscimento

costituzionale (come scheduled tribes) e sono destinatarie di una serie di interventi di

promozione sociale attraverso azioni positive da parte dello Stato97

. Anche sul piano

istituzionale la Costituzione prevede alcuni strumenti specifici di governance delle

popolazioni tribali ”.98

“ Si può osservare quindi che anche questi diritti, così disomogenei rispetto ai diritti

moderni, continuano la loro vicenda nell’India contemporanea ed anzi, recentemente,

è molto cresciuto anche l’interesse della comunità internazionale per questi sistemi

giuridici locali largamente consuetudinari con scarsi punti di contatto con il diritto

ufficiale indiano. Si ritiene infatti che i programmi di cooperazione allo sviluppo

debbano mirare al potenziamento di questi sistemi consuetudinari invece che alla

loro delegittimazione ”.99

97

È da sottolineare il fatto che le singole tribù sono state inventariate (scheduled tribes) e che quindi

l’inclusione in questo elenco è condizione per l’accesso a questa serie di misure promozionali. 98

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, cit.

p.47. 99

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, cit.

p.47.

- 67 -

1.4 Periodo coloniale: verso l’assetto moderno del diritto indiano

Il diritto indiano ha subito notevoli cambiamenti con l’arrivo degli Europei che

hanno poi influenzato l’attuale sistema giuridico.

Il periodo coloniale è considerato il momento iniziale della fase moderna del diritto

indiano.

L’acquisizione dei diritti occidentali è stata molto complessa.

In primo luogo gli Europei, in particolare i Britannici, hanno importato non un diritto

occidentale ma un modello coloniale.

Dall’esperienza indiana, come esempio di una manifestazione del modello coloniale,

si possono ricavare determinati caratteri. Il primo è la prevalenza degli aspetti

pubblicistici su quelli privatistici, dovendo i governi coloniali creare delle strutture

istituzionali e amministrative e, in secondo luogo, preoccuparsi di questioni

tributarie.

“ Nelle esperienze coloniali inglesi viene normalmente istituzionalizzato un sistema

di diritti personali, sia per ragioni di ordine pubblico sia per rispetto delle tradizioni

locali. Nelle altre parti del diritto, ad esempio quello commerciale, inevitabilmente il

diritto tende a essere prodotto a misura dai colonizzatori ”.100

Nelle prime fasi in cui iniziano ad operare le istituzioni, regole e principi del diritto

della madrepatria, si verifica una situazione di “diritto e frontiera”.101

Prima che le

istituzioni coloniali riuscissero a rendere efficiente il sistema governativo, i rapporti

erano regolati in modo informale e con notevole arbitrio.

100

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

cit. p.51. 101

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

cit. p.51.

- 68 -

“ Fino alla fine del Settecento e, comunque, nella restante parte del subcontinente

indiano di dominio inglese, denominata mofussil, la mancata applicazione tout court

del diritto inglese non fu dovuta soltanto alla scarsa preparazione giuridica dei

giudici. In questo periodo l’atteggiamento degli Inglesi verso gli Indiani non fu

caratterizzato dalla convinzione di un’innata superiorità razziale e culturale102

-come

poi avvenne nell’Ottocento- ma, anzi, dal rispetto e dall’interesse; pertanto, in una

prima fase della loro dominazione, essi non imposero il proprio diritto, ma cercarono

di applicare alla popolazione indiana le regole che alla stessa erano familiari e

congeniali, soprattutto con riferimento al diritto privato.

La religione hindu sembrava fondarsi su una concezione dei doveri dell’uomo

definiti e le leggi andavano ricercate nei testi sacri che dovevano rappresentare una

precisa guida per chi si trovava ad amministrare la giustizia. I tribunali costituiti nelle

province e nei distretti del mofussil amministravano la giustizia prevalentemente

secondo il diritto hindu e musulmano, avvalendosi della collaborazione di “esperti”

indigeni: per il diritto indù i pandit, che erano brahmani dotti, versati nella letteratura

del dharma; e per il diritto musulmano gli ulama, i quali erano, per lo più, ex giudici

delle corti mughal ”.103

La svolta della complicata vicenda giuridica coloniale si ebbe nel 1776 quando con

un regolamento di Warren Hastings, governatore del Bengala, fu introdotto il sistema

dei listed subjects, in base al quale il diritto hindu e il diritto islamico erano applicati

a hindu e musulmani per casi riguardanti il matrimonio e le successioni:

“ in tutte le cause civili concernenti beni ereditari e questioni in materia di

successioni per causa di morte, nonché quelle aventi ad oggetto questioni

matrimoniali o di casta, od ancora le costumanze religiose e le loro istituzioni, i

precetti del Corano con riguardo ai maomettani e gli insegnamenti dei shastra con

riguardo agli hindu saranno sempre applicati e seguiti ”.104

102

TORRI M., La Storia dell’India, Editori Laterza, Bari, 2000, p.375, cit. in ACQUARONE L., Tra

Dharma, Common Law e WTO, Edizioni Unicopli, 2006, p.33. 103

ACQUARONE L., Tra Dharma, Common Law e WTO, Edizioni Unicopli, 2006, cit. p.33. 104

Citato in MENSKI W.F., Diritto dell’India, Enciclopedia Giuridica, vol. XI, Roma, 1989; citato in

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli, Torino, 2010, cit. p.52.

- 69 -

Contemporaneamente gli Inglesi iniziarono a intervenire negli altri settori del diritto,

sia attraverso la produzione giurisprudenziale sia attraverso la legislazione. Essi

utilizzarono strumenti e istituti cambiandoli in base alla particolarità della condizione

indiana. Ricorsero anche allo strumento del codice che invece non aveva trovato

spazio in Inghilterra.

“ L’esigenza politica alla base delle codificazioni era quella di raggiungere una

maggiore uniformità e di riformare alcuni aspetti dei preesistenti diritti sviluppatisi in

India. Sotto questo profilo l’esempio più importante è l’Indian Penal Code (1860),

modellato direttamente sul diritto inglese del tempo. Nello stesso periodo vi furono

altri importanti atti legislativi destinati ad avere una profonda influenza

sull’ordinamento giuridico indiano, ad esempio in materia di diritto dei contratti e di

diritto commerciale. […]

Più in generale, in alcuni casi l’amministrazione coloniale intervenne anche in

materie rientranti nello statuto personale, cercando di riformare alcuni aspetti dei

diritti personali ritenuti meno accettabili dal punto di vista occidentale ”.105

Nel periodo coloniale, come conseguenza del sistema dei listed subjects, accadde un

fenomeno molto particolare: si formò il c.d. diritto anglo-hindu law, che risultava

dall’applicazione del diritto hindu nelle Corti coloniali. Quando i giudici inglesi si

trovarono a dover applicare il diritto hindu riscontrarono una notevole difficoltà.

“ Soprattutto all’inizio, essi sminuirono il ruolo delle consuetudini pensando che i

testi del dharmashastra potessero essere considerati gli equivalenti dei codici

occidentali e pertanto cercarono di applicare le regole in essi contenute. Per fare ciò

essi decisero di ricorrere all’ausilio dei pandit, esperti di sanscrito e in particolare dei

testi sul dharma, che erano incaricati di individuare in quella immensa letteratura le

regole di diritto applicabili al caso concreto. Ma questo esperimento non andò a buon

fine e, sottratto al gioco tradizionale delle fonti, il diritto hindu applicato nelle Corti

divenne un diritto che in realtà esisteva solo nella mente del giudice inglese ”.106

105

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

cit. pp.52-53. 106

MENSKI W.F., Hindu Law. Beyond Tradition and Modernity,Oxford University Press, 2009, cit.

in FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

cit. p.53.

- 70 -

Successivamente vennero introdotte nuove norme e nuovi concetti e tecniche

giuridiche del diritto inglese che cambiarono radicalmente il diritto indiano ma non

lo resero una semplice riproduzione del diritto inglese del tempo, come dimostrato

anche dall’uso stesso del codice che non era proprio del sistema inglese.

Alcuni meccanismi istituzionali e il sistema delle fonti del diritto hanno lasciato le

loro tracce sul sistema giuridico indiano indipendente. Molte regole riguardanti il

diritto penale e il diritto dei contratti sono giunti nell’India indipendente direttamente

dal periodo coloniale. Anche diversi caratteri della cultura inglese sono entrati nella

cultura giuridica indiana, e lo si nota nello stile dei giuristi, nell’influenza del

pensiero giuridico anglosassone e infine nella modalità di formazione della classe

forense.

Dopo l’Indipendenza, l’India ha deciso di non liberarsi dell’eredità coloniale, in parte

per un’esigenza di continuità, in parte per l’infiltrazione di alcuni valori all’interno

della società indiana.

“In un contesto come quello indiano, dove nel corso dei secoli si sono stratificate

diverse culture, la cultura occidentale è riuscita a trovare un suo posto stabile e,

interagendo con le altre culture, a produrre esiti positivi ”.107

“ L’India, così come altri paesi asiatici e africani, è stata “esposta” ai modelli

occidentali e ne ha recepito moltissimi elementi. Questa recezione non è avvenuta

però in modo lineare, essendo stata maggiore in alcuni settori, e soprattutto ha dato

origine a una complessa dinamica di conflitti e assimilazioni tra il diritto recepito e i

diritti indigeni. Il risultato di questa dinamica non poteva che essere una

riformulazione o un adattamento sia dei diritti recepiti che dei diritti indigeni, e

quindi della struttura sociale e culturale preesistente, nelle loro diverse componenti e

secondo modalità differenziate.

Questi processi evolutivi del diritto non sono iniziati con il periodo coloniale e non

sono finiti con l’Indipendenza indiana. Il sistema giuridico indiano contemporaneo si

caratterizza ancora per la ricerca di un equilibrio tra queste diverse componenti,

tradizionali e moderne, indigene e recepite […] ”.108

107

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

cit. p.54. 108

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

cit. p.55.

- 71 -

2. Il diritto hindu

Il diritto hindu rappresenta la componente giuridica più antica della tradizione

indiana ed è ancora adesso una componente ufficiale del diritto indiano, e come tale è

applicato nelle Corti. È un diritto hindu molto diverso da quello del periodo classico,

ma ha mantenuto lo stesso concetto di base sul ruolo del diritto nella società, gli

istituti e i valori.

Le differenze del diritto hindu contemporaneo rispetto a quello classico nascono

principalmente dalle nuove interazioni con il diritto statale indiano e quindi con altri

insiemi di norme e valori.

Il diritto hindu si è sviluppato in diverse varianti di modelli giuridici prima della

colonizzazione e ne è un esempio, il cd. modello brahmanico.

“ I Brahmani, i membri della casta sacerdotale che recitavano gli inni vedici,

compivano sacrifici, ed esercitavano, presso le corti reali, le funzioni di giudici,

consiglieri e confessori, hanno composto dei trattati sulle norme di comportamento,

mutuando le stesse dall’insieme dei principi morali contenuti sia nelle opere

appartenenti alla Rivelazione sia in quelle costituenti la Tradizione. I testi, redatti in

tal modo, fornivano un resoconto preciso e metodico, a volte pedante, della condotta

e dei doveri dell’individuo ”.109

Al centro della dottrina induista vi è il concetto di dharma, che conserva una

notevole importanza per la comprensione della tradizione indiana nel suo complesso

e del diritto contemporaneo.

109

ACQUARONE L., Tra Dharma, Common Law e WTO, Edizioni Unicopli, 2006, cit. p.6.

- 72 -

2.1 Il dharma

Il pensiero indù è incentrato sull’obbligo e questa nozione è stata estrapolata dando

origine al concetto, generale e astratto, di dharma.

“ Non è possibile definire il dharma; il termine però deriva dalla radice dhr, che

indica ciò che sostiene e sorregge la vita. Il dharma è tutto il collante sociale e regge

sia gli individui che la comunità, sia la vita materiale che quella spirituale. […] Si è

detto che lo si può definire soltanto mediante il suo contenuto, ma il suo contenuto

ultimo potrebbe essere altrettanto indeterminato quanto il contorno generale. E non

di meno ciascuno di noi può conoscere il suo dharma (che sarà largamente

determinato dal karma precedente), cosicchè il bisogno di una definizione generale è

solo una necessità di ordine sistematico e - ancora una volta- qui ci troviamo alle

prese con un sistema. Il dharma, ovviamente, è trasfuso nel diritto indù così come

negli altri obblighi della tradizione indù, e lo è in modo tale che quel che possiamo

ricavarne come diritto non è che una parte - e soltanto una parte- del dharma, che

talora è tradotto anche con il termine “religione”. Il dharma scorre in ogni cosa,

cosicchè sussiste una ragione prettamente indù per la quale è impossibile separare il

diritto dalla morale ”.110

Il dharma è alla base delle strutture socio-giuridiche tradizionali ancora presenti

nell’India contemporanea e di parti consistenti della cultura indiana.

Il dharma è importante perché alcune volte entra in contrasto con il diritto statale, ad

esempio nel caso del sistema delle caste o in materia di diritto di famiglia, ma più in

generale può influenzare altre parti del sistema giuridico.

Come si evince dalla definizione esposta in precedenza, il concetto di dharma è

difficile da definire: Lingat osserva che il dharma è difficile da definire perché

“ignora -o trascende- distinzioni che a noi sembrano essenziali e si basa su credenze

che sono tanto estranee a noi quanto familiari agli hindu ”.111

110

PATRICK GLENN H., Tradizioni giuridiche nel mondo, Il Mulino, Bologna, 2010, cit. p.473. 111

LINGAT R., La tradizione giuridica dell’India, Giuffrè Editore, 2003; cit. in FRANCAVILLA D.,

Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, cit. p.21.

- 73 -

Il termine dharma può essere tradotto secondo il contesto come “religione”, “legge”,

“diritto”, “giustizia”, “dovere”, “prerogativa”.

Come osservato da Olivelle: “ Il termine dharma può essere tradotto come diritto se

non ci limitiamo alla sua ristretta definizione moderna come insieme di leggi civili e

penali ma lo consideriamo includere tutte le regole di comportamento, compreso il

comportamento morale e religioso, che una comunità riconosce come vincolanti per i

suoi membri ”.112

Il dharma raggruppa tutti i doveri che l’uomo deve osservare per avere un

comportamento corretto. Non vi è distinzione tra le diverse sfere del dovere e quindi

non vi è distinzione tra norme etiche, sociali e giuridiche. Nei testi del dharma

troviamo sia norme che riguardano la corretta esecuzione dei riti sia norme relative la

proprietà fondiaria e alla soluzione delle controversie.

Ogni azione dharmica crea contemporaneamente una quantità di effetti sul piano, più

strettamente individuale, del merito religioso e su quello, più strettamente sociale,

della conservazione dell’ordine.

Il nucleo semantico della parola dharma, che deriva dalla radice indoeuropea dhri,

esprime l’azione del sostenere, quindi nel suo significato più generale il dharma è ciò

che sostiene il mondo e l’ordine sociale.

“ Richiamandosi a questa etimologia, Piano osserva che: “[il dharma] è nello stesso

tempo qualcosa di fisso, stabile, saldo, che non muta né vien meno, è la “forma”

delle cose, la loro stessa natura, quella forza cioè che le fa essere così come sono e

non altrimenti. Il dharma è quindi qualcosa di simile a quello che noi chiamiamo

“legge della natura”, è “norma” eterna e “ordine” sia del cosmo, sia della vita

individuale e sociale degli esseri umani” ”.113

112

OLIVELLE P., Dharmasutras. The law code of Apastamba, Gautama, Baudhayana and Vanishtha,

Oxford University Press, New York, 1999, cit. in FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India

contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, cit. pp.21-22. 113

PIANO S., Sanatanadharma. Un incontro con l’induismo, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo,

2006, cit. in FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G.Giappichelli Editore, Torino,

2010, cit. p.22.

- 74 -

Il concetto di dharma può essere rielaborato e inteso come un complesso di norme

che regolano il corso della natura e la vita sociale.

La riflessione sul dharma è stata condotta in stretta relazione con la riflessione sul

karma.

“ Il karma è ciò che facciamo nella vita, e ci sono buoni karma, che portano

benessere e piacere, e cattivi karma, che arrecano tristezza e sofferenza. Le azioni,

dunque, non possono mai essere separate dalle loro conseguenze114

.[…] L’anima è

immortale ed abita semplicemente in un rifugio temporaneo, quello dei corpi umani.

Quando il corpo umano muore, l’anima non si limita a volteggiare in un qualche

luogo stabilito e non verificabile: deve, invece, necessariamente rifugiarsi di nuovo

in un’altra forma fisica, qui su questa terra che tutti conosciamo e crediamo di

comprendere. E poiché si tratta della stessa anima, con la stessa storia di karma, il

suo karma precedente continuerà a produrre effetti. I karma cattivi impediranno la

salvezza, l’accostamento al Brahman; perciò, una nuova vita non è affatto un nuovo

inizio;[…] i debiti pregressi si cumulano all’asse ereditario, e la nuova vita è

semplicemente un’occasione per saldarli, nei limiti del possibile ”.115

Nella maggior parte delle filosofie hindu, dalla qualità del karma accumulato dipende

la qualità della rinascita, secondo la concezione ciclica dell’esistenza come serie di

rinascite successive.

Il dharma può quindi essere definito come ciò che deve essere fatto per sostenere il

cosmo e l’ordine sociale. Stabilire che un’azione è dharma non significa altro che

affermarne il valore e quindi la normatività e doverosità. Appartiene alla sfera del

dover essere.

Il ruolo del dharma come criterio nella formazione del diritto hindu comporta che la

sua rilevanza vada al di là della manifestazione della religiosità hindu e anzi

prescinda da un’autentica religiosità.

114

MAY, Law and Society,1985, p.34, cit. in PATRICK GLENN H., Tradizioni giuridiche nel mondo,

Il Mulino, Bologna, 2010, cit. p.470. 115

PATRICK GLENN H., Tradizioni giuridiche nel mondo, Il Mulino, Bologna, 2010, cit. pp.470-

471.

- 75 -

In altre parole, l’accezione di dharma, nella tradizione hindu, era un equivalente del

concetto di giustizia in Occidente;116

esso è stato in grado di orientare gli assetti delle

comunità e le vite degli uomini, insinuandosi in tutta la tradizione hindu.

Il diritto hindu si compone di un insieme di regole di comportamento differenziato a

seconda della classe sociale e della casta di appartenenza, nonché, sulla base del

piano di esistenza cui si è giunti. Questo sistema è denominato varnashamadharma.

Queste regole sono formalizzate nel periodo vedico e nel periodo classico vengono

enunciati nei testi del dharmasutra e del dharmashastra. Il diritto hindu è sempre

stato un diritto consuetudinario e questi testi, in molti casi, hanno consolidato regole

già osservate nella prassi consuetudinaria.117

Il dharma per sua natura è molto flessibile. In genere il diritto deve garantire dei

punti di riferimento per l’azione, il diritto di una comunità può essere più o meno

rigido, ma in linea di massima il dharma è sempre modificabile.

“ I singoli ordinamenti giuridici delle diverse parti del subcontinente indiano e delle

diverse comunità che appartengono all’induismo trovano nel dharma un elemento

unificante che li rende parte di un’unica tradizione. Il pluralismo hindu non è solo

una questione di fatto. Esso viene legittimato a partire dalla stessa struttura della

rivelazione vedica.

[…] La varietà delle credenze e delle pratiche che rientrano nell’induismo ha dei

riflessi anche sul piano organizzativo e istituzionale. La struttura organizzativa

dell’induismo è frastagliata sia sul piano strettamente religioso che sul piano sociale.

Concezione di base dell’induismo è che ogni hindu sia legittimato a vivere il suo

rapporto con la divinità e il dharma in modo autonomo ”.118

116

L’idea di giustizia che viene inglobata nel concetto di dharma non è basata su un concetto astratto

di bene morale ma sull’idea dell’appropriatezza e correttezza. In altri termini, è dharmica l’azione

appropriata per una determinata persona in un determinato contesto. Sulla base di una cosmologia per

cui ogni individuo ha il suo posto nel mondo e il suo dovere specifico da compiere, quel che conta sul

piano dharmico è che ognuno faccia ciò che corrisponde all sua natura. In tal modo, ognuno prende

parte al processo di conservazione nell’ordine, procurando a se stesso un merito spirituale. 117

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G.Giappichelli Editore, Torino, 2010,

cit. p.24. 118

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G.Giappichelli Editore, Torino, 2010,

cit. pp.24-25.

- 76 -

2.2 Strutture organizzative dell’induismo

Nell’induismo una determinata struttura sociale è legittimata nel quadro religioso ed

è uno degli aspetti caratterizzanti: il sistema delle caste.

Esistono altre strutture organizzative dell’induismo: sono la famiglia e le comunità a

livello locale.

Il diritto hindu è espressione di un insieme molto stratificato di appartenenze. Sul

piano strettamente giuridico a ogni livello, soprattutto a quello di casta,

corrispondono dei centri di decisione e di soluzione delle controversie.

Nel quadro istituzionale il sovrano impersona il potere politico, ma è solo uno dei

molti centri decisionali della comunità e il suo potere non ha carattere esclusivo.

Anche la teoria della sovranità è formulata con riferimento al dharma. Il sovrano,

come tutti, ha il suo raja-dharma. Il suo dovere principale è proteggere i sudditi dai

pericoli esterni ed interni. Il sovrano, permettendo ai suoi sudditi di vivere secondo il

proprio dharma, è tutore del dharma.

Secondo il diritto hindu “ i singoli individui e le singole comunità hanno titolo per la

definizione dell’insieme dei doveri che essi ritengono vincolanti nella vita sociale.

Il ruolo del re, che dispone della forza, del danda (lett. bastone), è far applicare

questo sistema di doveri ”.119

Uno dei ruoli più importanti del sovrano è l’amministrazione della giustizia che

consiste nel compito, non esclusivo, di risolvere le controversie.

Alle corti regie sono affiancati fori di casta, famiglia, gruppo sociale, di tipo non

ufficiale. Il vyavahara è la parte dedicata alla soluzione delle controversie contenuta

nei testi sul dharma.

Nelle corti regie, il brahmano, esperto del dharma, aveva un ruolo di spicco. Forniva

il proprio parere, sulla base della propria conoscenza del corpus normativo, al re o ai

suoi funzionari.

Nella produzione del diritto tradizionale è stata molto importante l’istituzione della

parishad, un consiglio di esperti del dharma e delle scienze vediche, che aveva la

funzione di pronunciarsi su punti interpretativi dubbi.120

119

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

cit. p.29. 120

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.29.

- 77 -

Molto significativo è anche il ruolo del panchayat, un consiglio istituzionalizzato a

livello di casta e di villaggio che poteva decidere le controversie e prendere decisioni

che riguardavano la collettività.

Questo livello istituzionale è stato superato nel quadro del diritto statale ma, al livello

del diritto non ufficiale, possono trovarsi istituzioni informali in continuità con la

tradizione. Inoltre, è degno di nota il fenomeno recente per cui i panchayat sono

riproposti come moderni strumenti di self-governance nell’India contemporanea.121

“ La Costituzione, nella sua versione originaria, contemplava la panchayat soltanto

tra le norme programmatiche. In sede di redazione della Costituzione tale istituto

aveva acceso il dibattito tra i Padri Fondatori, essendo sostenuti dai Gandhiani ma

osteggiato da Ambedkar. Quest’ultimo aveva una scarsa considerazione

dell’autogoverno dei villaggi che riteneva essere dominati dal provincialismo e dalle

caste. L’esito della discussione aveva condotto a una soluzione di compromesso: la

panchayat era stata prevista, ma senza che venisse attribuito alla stessa particolare

risalto. Con la previsione costituzionale del 1992, sono state inserite nella Carta

Fondamentale delle disposizioni che hanno riorganizzato e dato impulso alle

panchayat, attribuendo loro nuovi compiti e rendendo obbligatoria la consultazione

elettorale per il loro insediamento. La materia è stata, infatti, ri-sistemata

completamente: è stata stabilita l’elettività delle cariche e sono state determinate con

precisione le competenze di tale ente territoriale (inerenti soprattutto ai servizi sociali

e allo sviluppo agricolo); è stato inoltre stabilito che una quota dei seggi venga

riservata alle donne ”. 122

121

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

pp.29-30. 122

ACQUARONE L., ANNUNZIATA F., CAVALIERI R., COLOMBO G.F., MAZZA M., NEGRI

A., PASSANANTE L., ROSSOLILLO G., SEMPI L., Sistemi giuridici nel mondo, G. Giappichelli

Editore, Torino, 2012, p.169.

- 78 -

2.3 Le fonti del diritto hindu tradizionale

Le fonti del diritto hindu tradizionale sono principalmente le fonti del dharma.

Il termine sanscrito usato per indicare le fonti del dharma è dharmamula, che

significa letteralmente “radice del dharma”123

.

Le fonti riconosciute per la conoscenza del dharma sono quattro: shruti, smriti,

sadacara e manastushti.

“ La shruti s’identifica con i Veda, i testi sacri della tradizione hindu. Il termine

shruti letteralmente significa audizione, ciò che fu udito, e in questo contesto fa

riferimento all’audizione della parola vedica da parte di alcuni saggi ispirati, i rishi.

Pertanto, la forma della rivelazione nell’induismo è orale. Per i Veda si intende la

totalità della conoscenza valida e, più in particolare, quattro testi riconosciuti come

dotati di autorità dalla tradizione: Rigveda, Samaveda, Yajurveda e Atharvaveda. Si

tratta di testi dal carattere composito, formati da inni, canti, formule, a cui si

aggiungono trattati di carattere ritualistico e filosofico. Per ognuna di queste raccolte

esistono diverse versioni e, in generale, si può osservare che la rivelazione vedica

viene considerata come multiforme, essendo stata ricevuta da una pluralità di

soggetti ed essendo ammessa l’esistenza di una pluralità di testi e di tradizioni ”.124

I Veda sono ritenuti eterni e privi di autore; non solo non sono opera dell’uomo ma

non sono neanche opera divina.

“ L’autorità del testo rivelato non è fondata sulla divinità e infallibilità di un Dio

personale ma sulla divinità della stessa parola vedica ”.125

Il dharma può essere conosciuto solo attraverso il Veda perché appartiene alla sfera

del dover essere e quindi non può essere conosciuto né autonomamente dall’uomo né

per intuizione.

Tra le fonti di conoscenza del dharma per l’accertamento pratico della regola del

dharma, al Veda si aggiungono altre fonti che però hanno un’autorevolezza inferiore

rispetto al Veda, ma sono più importanti sul piano pratico.

123

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.30. 124

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

cit. pp. 30-31. 125

JHA G., Purva Mimamsa in its sources, Banaras Hindu University, Varanasi, 1964, cit. in

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, p.31.

- 79 -

“ La seconda fonte del dharma è la smriti. Il termine significa letteralmente memoria,

ciò che è ricordato, e la smriti può corrispondere latamente alla categoria della

“tradizione”. Nella smriti rientrano diversi tipi di testi. I più importanti dal punto di

vista del diritto sono i dharmashastra e i dharmasutra, che si distinguono

principalmente per i caratteri formali e, nella maggior parte dei casi, possono essere

considerati unitariamente ”.126

I dharmashastra sono testi interpretativi, sono il risultato del lavoro di esperti del

dharma, shishta, che pronunciano a favore di altri la conoscenza del dharma.127

Questi testi, essendo opera dell’uomo, potrebbero contenere errori o opinioni

personali non fondate su una reale conoscenza del dharma e quindi non possiedono

un’autorità autosufficiente. La loro autorità deve essere comunque fondata sui Veda

verificando che vi sia un collegamento tra le due fonti che di solito è trovato

attraverso il ritrovamento finto di un testo vedico scomparso su cui si fondano le

norme contenute nel dharmashastra.

“ In linea generale, le regole della smriti sono ritenute semplice trasmissione di

regole contenute nel Veda. In realtà, le corrispondenze tra testi vedici e testi della

smriti sono pochissime e quindi gli interpreti hanno elaborato la teoria per cui, se non

è possibile rintracciare un testo vedico esplicito che fornisca una base a un testo della

smriti, è possibile presumere che questo testo sia andato perduto. D’altra parte, la

funzione specifica dei dharmashastra è proprio quella di estrinsecare, organizzare e

trasmettere la conoscenza del dharma facendo ricorso a diverse fonti, incluso il

Veda”.128

A loro volta anche i dharmashastra sono stati oggetto d’interpretazione e questo ha

dato origine a due tipi di opere: i commenti (bhashya) e i c.d. digesti (nibandha).

I commenti sono costruiti sull’esegesi di un determinato dharmashastra; i nibandha,

invece, sono organizzati per materie e contengono titoli di testi normativi diversi.

126

“I due tipi di opere si differenziano in base ai seguenti elementi: maggiore antichità dei

dharmasutra; i dharmasutra sono scritti in prosa mentre i dharmashastra sono in versi; maggiore

spazio dedicato nei dharmashastra alle funzioni del re; i dharmasutra sono maggiormente legati alle

singole scuole vediche, mentre i dharmashastra sembrano avere maggiori pretese di universalità; i

dharmashastra sono opere più estese e la materia è oggetto di un’elaborazione complessa” da

LINGAT R., La tradizione giuridica dell’India, Giuffrè Editore, 2003 in FRANCAVILLA D., Il

diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, cit. p.31. 127

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.32. 128

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

cit. p.32.

- 80 -

I nibandha, in sostanza, sono degli strumenti di consultazione di opinioni autoritative

di cui possono usufruirne gli altri interpreti.129

Il ruolo degli interpreti è molto significativo nell’evoluzione del diritto hindu.

“Come osservato da Lingat, essi cercavano di trarre dall’insieme dei testi dotati di

autorità la regola del dharma che ritenevano appropriata. Se i testi potevano dare

luogo a diverse interpretazioni, doveva essere preferita quella che meglio si adattava

alle esigenze del tempo e maggiormente si avvicinava agli usi ”.130

I sadacara, detti anche shishta-acara, sono le pratiche dei virtuosi, cioè di coloro che

sono istruiti nel Veda e che agiscono secondo le regole. Si tratta essenzialmente di

modelli di comportamento considerati normativi in virtù delle qualità delle persone

che li mettono in atto, ma non sono consuetudini con carattere dharmico.

Anche i sadacara possono essere considerati come strumenti di divulgazione della

conoscenza del dharma.

Infine, “ l’atmanastushti consiste nel senso di soddisfazione interiore derivante dal

comportarsi nel modo appropriato in un determinato contesto. Naturalmente,

considerare fonte di conoscenza del dharma il senso di soddisfazione interiore non

significa che ognuno possa comportarsi nel modo che preferisce. Anche in questo

caso, come in quello dei sadacara, è richiesta una qualificazione soggettiva, per cui è

fonte del dharma solo l’approvazione di persone istruite nel Veda e che normalmente

si comportano conformemente ad esso. Questa quarta fonte del dharma, date le sue

peculiarità, è una fonte controversa ”.131

Secondo Robert Lingat “ la soddisfazione personale, non avendo un’autorità esterna

all’uomo, non deve essere considerata una vera e propria fonte ”.132

Invece Menski critica questa opinione evidenziando come questo fatto rifletta una

tipica difficoltà degli occidentali nel comprendere un sistema normativo che

riconosce agli individui un ruolo nel processo giuridico: in questo modo si

disconosce un elemento essenziale del modello hindu.

129

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.33. 130

Sul ruolo degli intepreti nel diritto hindu si veda LINGAT R., La tradizione giuridica dell’India,

Giuffrè Editore, 2003 come citato nella nota n.39 in FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India

contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, cit. p.33. 131

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

cit. p.34. 132

LINGAT R., La tradizione giuridica dell’India, Giuffrè Editore, 2003, cit. in FRANCAVILLA D.,

Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, p.34.

- 81 -

Sempre secondo Menski: “ Il lasciare la decisione prima di tutto

all’individuo…attribuisce suprema importanza alle percezioni individuali di cosa è

giusto o sbagliato. Il concetto classico di dharma, pertanto, si poggia sulla capacità

individuale di individuare l’azione appropriata, quasi per intuizione ”.133

Anche per l’autorità di sadacara e atmanastushti ci vuole il collegamento con il

Veda.

In conclusione tutte le fonti riconosciute dalla tradizione sono dotate di autorità nella

misura in cui sono fondate sul Veda.

Il sistema normativo conserva la sua unità grazie alla teoria della comune origine nel

Veda, e all’accettazione del fatto che lo stesso Veda è differenziato al suo interno.

La varietà interna del dharma corrisponde alla varietà interna del Veda.

Il sistema dharmico è pertanto un insieme molto ampio di modelli di comportamento

considerati tutti validi a prescindere dalla fonte che li contiene. È un sistema

indeterminato che si concretizza grazie al lavoro degli interpreti e con la pratica.

“ Il Veda è quindi fonte primaria del dharma nel senso che ha la funzione di

assicurare un fondamento a tutto il sistema delle fonti, mentre dal punto di vista del

funzionamento concreto del diritto hindu ha una scarsa rilevanza e il livello cruciale

è costituito dalle regole contenute nelle fonti inferiori, in particolare i sadacara, vale

a dire i modelli di comportamento e le regole consuetudinarie ”.134

133

MENSKI W. F., Comparative Law in a Global Context: the Legal Systems of Asia and Africa,

Cambridge University Press, Cambridge, 2006, cit. in FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India

contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, cit. p.34. 134

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

cit. p.36.

- 82 -

3. Fonti del diritto indiano

3.1 La complessità delle fonti del diritto indiano

Nell’analisi delle fonti del diritto indiano contemporaneo è opportuno che si

riconosca l’esistenza di una pluralità di centri di produzione del diritto sia a livello

ufficiale sia a livello non ufficiale.

Per comprendere il funzionamento del sistema giuridico indiano bisogna

necessariamente adottare una scelta di analisi pluralista e inclusiva che contempli sia

gli Acts del Parlamento sia le consuetudini non riconosciute ufficialmente dallo

Stato.135

Un altro elemento da tenere in considerazione è lo strumento che di solito si usa in

questo tipo di analisi, e che deve essere più complesso di una semplice descrizione

dei rapporti tra le fonti. In quest’ottica è utile la “teoria dei formanti”.136

“ Per “formante” s’intende ciascuno degli elementi che hanno un ruolo nella

formazione del sistema giuridico. I formanti principali sono quello legislativo,

giurisprudenziale e dottrinale. Sono formanti del sistema giuridico anche la

legittimazione, le teorie o ideologie, la formazione, la mentalità e gli stili dei giuristi.

Possiamo aggiungere le auto-rappresentazioni del proprio ruolo e della propria

identità o, con termine inglese più efficace, il self-understanding. Esistono inoltre

formanti nascosti, crittotipi, di cui anche coloro che operano all’interno di un

determinato sistema giuridico possono non essere consapevoli. Questi elementi

possono poi essere considerati con riferimento ai soli giuristi professionisti o a tutti

coloro che anche indirettamente hanno un ruolo nella formazione del sistema

giuridico ”.137

135

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.100. 136

Sulla teoria dei formanti vi veda SACCO R., Introduzione del diritto comparato, Utet, Torino,

1992, come citato nella nota n.4 p. 100 in FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea,

G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, 137

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

cit. p.100.

- 83 -

Nel contesto giuridico indiano la fonte primaria di legittimazione è quella

costituzionale, basata sulla sovranità popolare, mentre nei diritti personali operano

leggi di carattere diverso, che si basano su elementi religiosi, ad esempio la legge

vedica o coranica, o semplicemente tradizionali.

Sul piano metodologico si applica la “dissociazione dei formanti”; i rapporti tra i vari

formanti non sono fissi e lineari. Ad esempio la regola posta dal formante

giurisprudenziale può sembrare diversa e anche in contrasto con quella posta dal

formante legislativo o dottrinale. Inoltre le stesse regole sostanziali possono essere

legittimate in termini completamente diversi nel diritto hindu e nel diritto islamico,

entrambi parti ufficiali del sistema giuridico indiano.

“ Il quadro diventa ancora più complesso se si considera che tutti questi formanti

operano sia per il diritto ufficiale che per i diritti non ufficiali, che non sono applicati

dalle Corti, e che il sistema giuridico indiano riconosce ufficialmente il diritto hindu,

quello islamico e altri diritti personali, limitatamente ad alcune materie, ma questi

hanno autonomia culturale di sistemi giuridici completi e possono essere vigenti a

livello non ufficiale in altre materie che si presumono essere completamente regolate

dal diritto formale statale ”.138

La teoria dei formanti permette anche di svolgere comparazioni con altri sistemi

giuridici, in particolare con quelli di common law, per evidenziare rilevanti

differenze che altrimenti potrebbero non essere considerate. Utilizzando questo

metodo si può capire quale procedimento si sia verificato storicamente in India.

Il problema del rapporto tra diritto indiano e common law è molto complicato.

In base al sistema giuridico l’India è considerata un paese di common law che

presenta però delle peculiarità che lo contraddistinguono.

138

FRANCAVILLA D., il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

cit. p.101.

- 84 -

Nel diritto indiano ha ancora molta importanza la cultura tradizionale.

“ L’appartenenza del sistema giuridico indiano alla famiglia di common law è

chiaramente una conseguenza del periodo coloniale. In questo periodo sono state

introdotte in India non solo nuove norme ma anche nuove fonti e nuove categorie

giuridiche. Ad esempio, il diritto dei privati segue le partizioni e le classificazioni

proprie del common law. Ampiamente influenzate dal common law sono anche la

formazione e lo stile dei giuristi, nonché il linguaggio giuridico. Come rilevato da

diversi storici del diritto dell’India, la fase moderna del diritto indiano comincia con

il periodo coloniale ”.139

3.1.1 I mutamenti prodotti dal periodo coloniale nel diritto indiano

Il diritto indiano moderno trova le sue radici nelle profonde trasformazioni che si

sono compiute con l’incontro con il common law inglese.

In primo luogo si sono prodotti mutamenti istituzionali, che hanno avuto effetti sul

sistema delle fonti. Ad esempio, è stato introdotto un nuovo sistema di Corti e questa

innovazione ha portato significative novità nella formazione di un diritto

giurisprudenziale. In secondo luogo vi è stata l’istituzionalizzazione di un sistema di

diritti personali in materie legate al diritto privato affianco al diritto territoriale, con

la conseguenza del continuo risalto dei diritti tradizionali.

Pertanto la colonizzazione ha lasciato un’impronta molto importante sul diritto

indiano. Questa eredità è controversa.

Durante i lavori dell’Assemblea Costituente, alcuni membri volevano un ritorno alla

tradizione mettendo da parte tutto il periodo coloniale. Contro questa ipotesi operava

un principio di path-dependency.140

Provare a ricreare un sistema giuridico diverso da quello iniziato nell’era coloniale

era un’impresa impensabile.

Operava anche un principio culturale di accettazione, dell’appartenenza alla famiglia

di common law. Ciò non toglie che in India emerse la volontà di definire il proprio

diritto autonomamente.

139

FRANCAVILLA D., il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

cit. p.102. 140

Sull’ argomento si veda MATTEI U.-MONATERI P.G., Introduzione breve al diritto comparato,

cit. p.98 ss., citato nella nota n.8 in FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G.

Giappichelli Editore, Torino, 2010, cit. p.103.

- 85 -

Con riferimento alla questione generale delle fonti possono emergere altri problemi,

ad esempio quello dell’unitarietà e dell’uniformità del sistema giuridico.

Quanto all’unitarietà, si concepisce il sistema giuridico indiano come una somma di

parti distinte. In particolare da una parte vi è un diritto completamente moderno e

formale, di carattere territoriale, basato sulla Costituzione, e dall’altra una serie di

diritti religiosi e personali dotati del carattere dell’eccezionalità.

Quanto all’uniformità del diritto indiano, invece, “ la questione deve essere vista in

termini dinamici più che in termini statici, e quindi nella prospettiva di processi di

uniformazione in competizione con processi di pluralizzazione ”.141

L’uniformità è un problema comune in tutti i sistemi giuridici e nella situazione

indiana si potrebbe sostenere che il problema sorga dal rapporto tra uniformità e

diversità.

La tensione tra uniformità e diversità è particolarmente visibile in una realtà come

quell’indiana che offre una grande diversità culturale.

La dinamica uniformità-diversità si presenta anche all’interno dei singoli diritti

personali. È evidente per il diritto hindu, che è storicamente plurale e si applica

anche a buddhisti, jainisti e sikh.

Infine la questione uniformità-diversità riguarda l’India anche in quanto Stato

federale. Molte materie di diritto privato indiano rientrano nella Concurrence List,

così che si possono avere per alcuni casi discipline uniformi a livello federale, ma

con la facoltà di diversificazioni su punti specifici a livello statale.142

141

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

cit. p.104. 142

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.104.

- 86 -

3.2 Le fonti formali e i formanti

3.2.1 La legislazione

Al vertice del sistema indiano delle fonti di diritto vi è la Costituzione, la cui autorità

è superiore alla legislazione parlamentare. In ogni caso, la presenza della

Costituzione scritta, e di un judicial review, segna un avvicinamento della vicenda

giuridica indiana al modello statunitense e un allontanamento dal modello inglese.

Al secondo livello c’è la legislazione, Acts, che ha l’impostazione dei paesi

anglosassoni per lo stile, la forma e i principi interpretativi. Anche nelle leggi indiane

è sempre presente una parte dedicata alla definizione dei termini e si cerca di

raggiungere una certa autonomia del singolo testo legislativo rispetto al complessivo

quadro normativo. Inoltre, la dottrina e la giurisprudenza indiana utilizzano i principi

interpretativi di common law, come golden rule e mischief rule, espressamente

richiamandosi al diritto inglese.143

Con riferimento alla fonte legislativa, un’importante particolarità è l’esperienza del

progetto di codificazione in India, che mostra un tratto distintivo di questo sistema

rispetto al modello inglese e anche a quello statunitense.

Quando si parla di recezione in India di common law inglese nel periodo coloniale,

non si può dimenticare che gli Inglesi in realtà produssero un diritto nuovo e non

recepirono semplicemente il diritto della madrepatria.

Come osserva Menski, “ in generale gli Inglesi utilizzarono spesso il codice nei

possedimenti coloniali, quasi come un esperimento, un laboratorio per idee e progetti

che non potevano essere perseguiti nella madrepatria ”.144

143

SINGH A., Introduction to Jurisprudence, Wadhwa, New Delhi, 2005, cit. in FRANCAVILLA D.,

Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, cit. p.106. 144

MENSHI W.F., Comparative Law in a Global Context: The Legal Systems of Asia and Africa, cit.

p.239 ss., citato in FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore,

Torino, 2010, cit. p.106.

- 87 -

In questa vicenda fu molto importante il pensiero di Bentham che riteneva il codice

come uno strumento utile, se non necessario, per semplificare il diritto, o almeno

alcune delle sue parti, e raggiungere certezza e uniformità del diritto nei

possedimenti coloniali.

“ Lord Macaulay, presidente della Law Commission, chiariva così il principio

ispiratore da adottare nell’intervento sul diritto indiano preesistente: “ Our principle

is simply this: uniformity where you can have it - diversity where you must it- but in

all cases certainty ”.145

Macaulay era fortemente convinto della necessità della

codificazione in India nelle materie che non rientravano negli statuti personali.

Anche in queste ultime erano in realtà avvertite le stesse esigenze di certezza ma si

ritenne di privilegiare il rispetto della diversità rispetto all’uniformità ”.146

Sempre secondo Macaulay, “ no country ever stood so much in need of a code of law

as India, and…there never was a country in which the want might so easily be

supplied ”.147

“ Macaulay, nel giungere a questa conclusione, osservava che in India coesistevano

molti sistemi giuridici largamente diversi tra loro ma “coequal” ed enumerava tra

questi il diritto hindu, il diritto musulmano, il diritto parsi, il diritto inglese, che si

trovavano parzialmente a interagire e in realtà a disturbarsi. Ciò produceva

un’oggettiva difficoltà di gestione del sistema giuridico e una notevole incertezza,

considerato anche gli stessi singoli sistemi variavano dal luogo e dalle comunità ”.148

145

Citato in MITTAL J.L., Indian Legal and Constitutional History, Allahabad Law Agency,

Allahabad, 2004, p.210, citato in FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G.

Giappichelli Editore, Torino, 2010, cit. pp.106-107. 146

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

cit. pp.106-107. 147

MITTAL J.L., Indian Legal and Constitutional History, Allahabad Law Agency, Allahabad, 2004,

p.210, citato in FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore,

Torino, 2010, cit. p.107. 148

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

cit. p.107.

- 88 -

Il codice più importante adottato nel periodo coloniale è l’Indian Penal Code del

1860, ancora oggi vigente. Nel corso dei suoi 150 anni di vita il codice penale

indiano ha subito molte modifiche, ma nel complesso sono state relativamente poche.

Il codice penale è applicato a tutti i cittadini indiani, indipendentemente dalle loro

appartenenze religiose o comunitarie ed è quindi diritto territoriale.

Quando è stato adottato il codice penale in India, la situazione era caratterizzata

dall’applicazione generalizzata del diritto penale islamico in concorrenza con una

serie di regole locali di diversa origine.

Sul piano sostanziale il codice penale indiano ha introdotto norme e principi tipici del

diritto inglese. Ma, come osserva Menski “ gli Inglesi non intesero riprodurre

fedelmente il diritto penale inglese del tempo e utilizzarono diverse fonti, tra cui, ad

esempio, il codice della Louisiana. Inoltre, nell’elaborazione del codice fu sempre

presente l’idea che dovesse esservi un adattamento alle condizioni sociali e culturali

delle colonie ”.149

Negli anni successivi sono stati adottati il codice di procedura penale del 1872 e il

codice di procedura civile del 1908. La codificazione della materia processuale

serviva per la riorganizzazione dell’amministrazione della giustizia.

Accanto ai codici bisogna considerare una serie di leggi su intere parti del diritto

privato, tra cui l’Indian Contract Act del 1872.

Gli Inglesi sono intervenuti molto rapidamente con lo strumento legislativo su alcune

materie del diritto personale che consideravano particolarmente deplorevoli. È questo

il caso del Caste Disabilities Removal Act del 1850, o del Sati Regulation Act del

1829.

Sono state anche emanate leggi da applicare solo a determinate comunità come

l’Hindu Marriage Act del 1955.150

149

MENSKI W.F., Comparative Law in a Global Context: The legal Systems of Asia and Africa,

p.239 ss., citato in FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore,

Torino, 2010, cit. p.108. 150

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

cit. p.109.

- 89 -

È molto rilevante il fatto che la legislazione può essere usata anche nelle materie

rientranti nel diritto personale adottando il criterio del diritto territoriale, cioè

ponendo leggi in materia di diritto di famiglia ma applicabili a tutti i cittadini indiani

indipendentemente dalle loro appartenenze religiose o comunitarie. Un recente

esempio è The Prohibition of Child marriage Act del 2006.

Attraverso codici e legislazione, l’influenza del diritto inglese è stata profonda anche

sul piano degli istituti e delle regole. Intere parti della legislazione inglese sono state

importate nel periodo coloniale. Inoltre i codici, per quanto nuovi e adattati alla realtà

indiana, sono stati preparati inevitabilmente avendo presente il diritto inglese del

tempo.

Dopo l’Indipendenza molto del sistema legislativo e della giurisprudenza è stato

conservato, ma si è comunque avviato un procedimento di revisione e riforma.

“ In conclusione, rispetto ad altri paesi che si fanno rientrare nella famiglia di

common law, il diritto indiano presenta storicamente una notevole importanza della

legislazione e dei codici. La legislazione conserva comunque i caratteri che assume

generalmente nei paesi di common law, come intervento mirato ed eccezionale su un

corpus normativo non totalmente legislativo. In altri termini, anche in India la

legislazione non è comprensibile se non assieme al diritto giurisprudenziale e, in

particolare nella materia del diritto di famiglia, al diritto consuetudinario ”.151

Nell’esperienza indiana manca, però, l’idea di un codice civile unitario o anche di un

codice di commercio. Nelle materie di diritto privato, la scelta che è stata fatta

consiste nell’emanazione di leggi organiche.

Nell’art. 44 della Costituzione è previsto l’Union Civil Code, che può essere visto

come un segnale ulteriore dell’importanza dello strumento codicistico in India, ma

nonostante la previsione costituzionale non è stato ancora promulgato e molto

probabilmente non vedrà mai la luce.

151

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

cit. p.110.

- 90 -

Il rapporto tra le fonti deve essere analizzato anche prendendo in considerazione

l’interazione tra le fonti legislative federali e quelle statali.

Nelle materie concorrenti possono crearsi dei conflitti e, per quanto siano possibili

difficoltà interpretative, nei casi concreti il principio della prevalenza del diritto

federale è formulato chiaramente. Vi è la tendenza verso l’uniformazione dei diritti

dei singoli Stati per imitazione, indipendentemente dal livello federale.152

Sono molto importanti anche le fonti del potere esecutivo. Tra queste particolarmente

rilevanti sono le Ordinanze del Presidente dell’Unione, che possono essere

promulgate in casi specifici di urgenza e hanno un vero e proprio carattere

legislativo.

Esiste poi un ampio livello di legislazione delegata (rules, regulations), che in alcuni

casi è difficilmente distinguibile da atti di carattere prettamente amministrativo.

Infine, dato che il sistema delle fonti è sempre più transnazionale, non si può

trascurare la piena partecipazione dell’India nella comunità internazionale e quindi

anche l’evoluzione del diritto indiano grazie alle fonti internazionali del sistema delle

Nazioni Unite o di altri organismi regionali come la South Asian Association for

Regional Cooperation.153

L’appartenenza al sistema internazionale porta l’India ad adottare inevitabilmente

soluzioni nuove nell’ordinamento.

152

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

cit. p.110. 153

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

cit. p.111.

- 91 -

3.2.2 La giurisprudenza

Nonostante l’importanza della legislazione nell’India contemporanea, il formante

giurisprudenziale rimane un elemento indispensabile per la comprensione del sistema

delle fonti.154

Nessuna analisi del diritto indiano può prescindere dal prendere in esame l’operato

della Supreme Court, che ha avuto un ruolo importantissimo negli ultimi anni

nell’evoluzione di dottrine e istituti.

L’aspetto rilevante che bisogna osservare è quello del funzionamento del diritto

giurisprudenziale, di judge-made law indiano, con particolare riferimento alla regola

dello stare decisis. È il principio per cui le Corti si devono attenere alle sentenze

precedenti: è un tipico principio di common law.

La regola dello stare decisis si fonda sui rapporti gerarchici tra le Corti.

Come osservato nel capitolo precedente, in India le Corti, a qualsiasi livello,

conoscono e giudicano le controversie che sorgono sia in base al diritto federale che

a quello statale. Questo sistema unitario ha al vertice la Supreme Court, mentre il

potere giudiziario statale ha al suo vertice una High Court.

Il principio del precedente vincolante può operare verticalmente secondo un

principio gerarchico o orizzontalmente tra Corti di pari grado e per la stessa Corte.

Secondo il principio generale è vincolante solo la ratio decidendi, invece in India

vengono considerati vincolanti anche gli obiter dicta, cioè deliberazioni non

direttamente collegate alla decisione della causa.155

154

Una discussione dell’applicazione della dottrina del precedente vincolante nelle corti indiane può

essere letta in SINGH A., Introduction to Jurisrudence, cit. in BASU D.D., Introduction to the

Constitution of India, Wadhwa, New Delhi, 2004, dove si evidenzia la vicinanza al common law

americano piuttosto che a quello inglese come citato nella nota n.19 in FRANCAVILLA D., Il diritto

nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, cit. p.111. 155

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

cit. p.112.

- 92 -

L’art.142 della Costituzione stabilisce che “the law declared by the Supreme Court

shall be binding on all courts within the territory of India ”.156

Le decisioni della

Corte suprema vincolano quindi tutte le Corti indiane, e il principio è stato

costituzionalizzato.

“ La Corte suprema indiana non si è mai sentita invece vincolata dai propri

precedenti. Bisogna però considerare che la Corte può operare in diverse

composizioni ed esiste una vincolatività di alcuni precedenti secondo un principio

latamente gerarchico a seconda del bench inferiore ”.157

Il precedente di una High Court è vincolante per tutte le Corti inferiori che rientrano

sotto la sua giurisdizione.

Per quanto riguarda il potere di una High Court di distaccarsi dai propri precedenti,

anche qui dipende dal bench. In caso di due precedenti derivanti da decisioni di

coequal benchs prevarrà la decisione successiva, ma si avrà riguardo per la natura

della causa. Il procedimento normale da seguire in caso di dubbi sarebbe comunque

richiedere la pronuncia del full bench per garantire l’uniformità.

Le decisioni di una High Court non vincolano le altre ma hanno potere persuasivo.

Un’osservazione importante è che nell’India indipendente non solo è stato

conservato il principio del precedente vincolante, ma vi è anche continuità rispetto al

diritto giurisprudenziale sviluppatosi in epoca coloniale.

156

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

cit. p.112. 157

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

cit. pp.112-113.

- 93 -

“ L’art.225 della Costituzione relativamente alla giurisdizione delle High Court

stabilisce che “subject to the provisions of this Constitution and to the provinsions of

any law of the appropriate Legislature made by virtue of powers conferred on that

Legislature by this Constitution, the jurisdiction of, and the law administered in any

existing High Court…shall be the same as immediately before the commencement of

this Constitution ”. Questa norma, che segna la continuità del sistema giuridico

indiano indipendente con il periodo precedente, è importante anche con specifico

riguardo per la regola dello stare decisis, visto che l’espressione “law administered”

include anche i precedenti, e, di conseguenza, le High Courts sono ancora vincolate

ai precedenti coloniali ”.158

Le corti indiane hanno fatto spesso ricorso a precedenti inglesi, ma a partire dagli

anni ’80 hanno cercato di limitare il ricorso a fonti straniere e soprattutto delle Corti

dei paesi di common law.

Questa tendenza può essere interpretata sia come un processo di elaborazione della

propria cultura giuridica, sia come la necessità della società indiana di recuperare

aspetti della tradizione.

158

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

cit. p.113.

- 94 -

3.2.3 La dottrina

Il ruolo della dottrina come formante del diritto non è certo meno rilevante rispetto a

quello svolto dagli altri formanti.

La dottrina è stata un formante fondamentale per i diritti tradizionali, e in particolare

sia il diritto hindu sia il diritto musulmano sono stati elaborati come diritti dottrinali.

La dottrina indiana contemporanea non è emersa sinora per un suo carattere

innovativo. I grandi giuristi indiani sono principalmente giudici, mentre la figura del

giurista-scienziato del diritto, è rimasta molto secondaria.

I testi prodotti dalla dottrina indiana hanno carattere manualistico con nessun intento

di influenzare il pensiero giuridico.

La situazione però sta cambiando grazie al ruolo svolto dalle Law Schools. L’India

ha investito tantissimo nell’istruzione giuridica attraverso un sistema di National

Law Schools, che si stanno ponendo come centri molto avanzati di pensiero critico

del diritto.

Un notevole contributo della dottrina all’evoluzione del diritto indiano arriva dalla

Indian Law Commission, che ha una importante funzione consultiva. È presente

anche un Indian Law Institute, un prestigioso istituto per la ricerca e l’insegnamento

giuridico.

La formazione dei giuristi è affidata principalmente alle Law School e alla All India

Bar Association.

A differenza che in Inghilterra la professione di avvocato è unitaria, anche se vi sono

ancora presenti varie figure di professionisti derivanti dal periodo coloniale.

I giuristi indiani si riferiscono a loro stessi come giuristi di common law e questo

significa che sono parte di una determinata tradizione giuridica.

L’influenza del common law non si può limitare ai soli istituti, fonti e regole. La

cultura occidentale si è insinuata in India ed esistono nuovi legal postulates che si

confrontano con quelli vecchi.159

159

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.114.

- 95 -

4. La lingua del diritto indiano

Il tema della lingua del diritto è molto importante per capire il rapporto del diritto

indiano con la famiglia di common law e riguarda anche gli equilibri costituzionali

riferendosi alla protezione delle minoranze e, più in generale, la stessa identità

indiana.

La lingua del diritto indiano è l’inglese come conseguenza del periodo coloniale e

dell’appartenenza del sistema giuridico alla famiglia di common law.160

Dire che l’inglese è la lingua del diritto indiano è un’affermazione nella sostanza

corretta, ma solo ad un livello molto generale e semplificato perché in realtà

nasconde un insieme molto articolato di questioni.

Il sistema nel suo complesso si sta evolvendo verso il multilinguismo giuridico.

La relazione tra le lingue indiane e l’inglese può essere percepita come una

riproposizione di un aspetto singolare del complicato rapporto tra diritti indigeni e

common law. Da questo punto di vista, l’esame del problema della lingua del diritto è

utile anche per cogliere tendenze più generali dell’evoluzione del diritto dell’India

nella direzione di una propria autonomia e identità rispetto ai modelli occidentali.161

160

Il fatto che la lingua del diritto indiano contemporaneo sia l’inglese indubbiamente favorisce la sua

conoscibilità da parte dei giuristi occidentali. Bisogna però osservare che questa mancanza di barriere

linguistiche, a differenza che, ad esempio, per il diritto cinese o quello giapponese, di fatto ha

alimentato e continua ad alimentare la tendenza a sminuire l’originalità del diritto indiano. 161

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.123.

- 96 -

Esistono valide ragioni perché si conservi l’inglese come lingua ufficiale, e in

particolare come lingua giuridica, e la maggioranza degli stessi giuristi indiani è

d’accordo con questa soluzione. Rimane però il problema che l’inglese è conosciuto

solo dall’élite e non dalla maggioranza dei cittadini indiani. Esiste perciò un

problema generale di democraticità e di accesso alla conoscenza del diritto, che non

può essere trascurato e che promuove il progetto di rendere la lingua hindi la lingua

giuridica indiana.162

“ Questo progetto, a sua volta, deve confrontarsi con le rivendicazioni delle lingue

regionali. Non tutti gli Indiani parlano hindi e ciò ostacola la completa sostituzione

dell’hindi all’inglese come lingua ufficiale dell’Unione. In secondo luogo, al livello

dei singoli Stati, le stesse lingue regionali, come il Tamil, possono aspirare a

svilupparsi come lingue del diritto. In questo quadro, sempre più visibilmente sta

emergendo un multilinguismo giuridico caratterizzato dall’uso dell’inglese e, in

misura crescente, di hindi e lingue regionali ”.163

Come enunciato in precedenza, l’inglese è stato adottato come lingua del diritto in

India nel periodo coloniale. Quando fu proclamata l’indipendenza nel 1947, la

neonata Repubblica indiana aveva avuto la possibilità di superare l’eredità coloniale,

attraverso l’adozione come lingua ufficiale di una lingua indiana a sostituzione

dell’inglese.

Per comprendere la scelta effettuata dall’Assemblea Costituente, bisogna tenere ben

presente della grande diversità linguistica di cui è caratterizzato il subcontinente

indiano. Non esiste l’indiano, ma molte lingue indiane, parlate in diverse parti del

paese e talvolta in competizione tra loro.

162

Secondo il censimento più recente, solo il 23,18% degli indiani parla inglese, e solo come seconda

o terza lingua. La lingua inglese non è lingua madre per un indiano, neanche per un giudice della

Supreme Court, se non in pochi casi che non hanno rilievo statistico. Che la maggioranza degli indiani

sia in grado di parlare un inglese limitato e che esistano importanti giornali a diffusione nazionale in

inglese e una letteratura indiana in inglese non significa che sia ampiamente diffusa una conoscenza

dell’inglese che permetta non solo di interpretare una sentenza della Supreme Court, ma anche di

compilare semplicemente un modulo. 163

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

cit. p.123.

- 97 -

“ Le lingue indiane, oltre ad essere numerose, sono anche molto diverse e possono

essere classificate in cinque famiglie linguistiche distinte. Le più importanti sono

quella indoaria, cui appartiene la hindi, la principale lingua del Nord, e quella

dravidica, cui appartiene il tamil, una delle principali lingue del Sud. Questa

disomogeneità linguistica ha l’importantissima conseguenza della difficoltà di

comunicazione tra gli stessi Indiani provenienti da diverse parti del paese ”.164

Nel momento in cui dovettero decidere sulle lingue ufficiali, l’opinione maggioritaria

fu di scegliere solo una lingua. La lingua dell’Unione non poteva che essere l’hindi

anche se la percentuale della popolazione che parlava questa lingua era poco più del

cinquanta per cento.

Per altri però la lingua da preferire era l’inglese perché non creava posizioni

privilegiate tra le lingue indiane e quindi anche tra i cittadini indiani.

La scelta conclusiva fu di adottare l’ hindi come lingua ufficiale dell’Unione, ma si

stabilì di riconoscere nella Costituzione una serie di lingue regionali e si fissò un

periodo di transizione di quindici anni, durante il quale l’inglese sarebbe stato

utilizzato in tutti i casi in cui era utilizzato prima dell’Indipendenza e l’hindi gli

sarebbe stato gradualmente affiancato.

Quindi subito dopo l’Indipendenza bisognava garantire una certa continuità con il

periodo coloniale, anche solo per ragioni pratiche, ma venne scelta comunque la

lingua hindi in sostituzione dell’inglese, prevedendo un percorso graduale per

valutare la fattibilità di questa sostituzione e anche per sviluppare il linguaggio

tecnico in hindi e infine per favorirne una maggiore diffusione.

“ Come osservato da Jain furono prefigurate tre fasi: nella prima vi sarebbe stata la

prevalenza dell’inglese e affiancamento dell’hindi; nella seconda prevalenza

dell’hindi e affiancamento dell’inglese; infine, abbandono dell’inglese e sostituzione

con l’hindi ”.165

164

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

cit. pp.123-124. 165

JAIN M.P., Indian Constitutional Law, cit. p.779 ss., cit. in FRANCAVILLA D., Il diritto

nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, cit. p.125.

- 98 -

A più di sessant’anni dalla promulgazione della Costituzione indiana la lingua del

diritto indiano è l’inglese, anche se, dopo l’emanazione dell’Official Languages Act

del 1963, l’inglese è considerata lingua aggiuntiva, ma di fatto è ancora la lingua del

diritto.

“ La Costituzione non parla di lingua nazionale. D’altronde in un quadro del genere

la stessa idea di una lingua nazionale sarebbe insostenibile, se non in una qualche

forma di nazionalismo radicale che disconoscesse le specificità locali. Si parla invece

di una “lingua ufficiale” ”. 166

La Costituzione indiana ha riconosciuto ventidue lingue che sono state elencate

nell’Allegato VIII della Costituzione. L’inglese non è compresa nella lista, ma esiste

un movimento che mira a ottenere che sia incluso nell’Allegato in questione.167

Nell’elenco, invece, rientra il sanscrito, che è considerato una lingua propria

nonostante sia parlata, da solo quindicimila persone.

L’inserimento del sanscrito ha origini storiche e culturali, trattandosi della lingua

classica indiana che ha avuto e continua ad avere grande peso culturale, tanto che la

Costituzione ha conferito al sanscrito anche il ruolo di prima fonte per l’elaborazione

del lessico hindi moderno.

L’intervento della Costituzione si pone tra un’esigenza di unità e un riconoscimento

della diversità. Tanto è vero che è stata elaborata una distinzione tra Stato federale e i

singoli Stati. Se l’hindi è la lingua ufficiale dell’Unione allora i singoli Stati possono

avere la loro propria lingua ufficiale, che può essere diversa da Stato a Stato.

166

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

cit. p.125. 167

Sul tema si veda B. V. R. RAO, The Constitution and languages politics in India, B.R. Publishing

Corporation, New Delhi, 2003, cit. in ACQUARONE L., Tra Dharma, Common Law e WTO,

Edizioni Unicopli, 2006, p.83.

- 99 -

Sono state emanate norme interessanti relative alla lingua del diritto.

“ L’art.348 dispone che, indipendentemente dalle disposizioni generali, fino al

momento di un provvedimento sul punto del Parlamento, dovranno essere in inglese

tutti i proceedings della Corte Suprema e di tutte le High Courts, e tutti i testi

legislativi sia del Parlamento dell’Unione che di quelli statali. Devono essere in

inglese anche le ordinances promulgate dal Presidente o dai governatori di uno Stato.

Inoltre devono essere in inglese orders, rules, regolations e bye-laws adottati in base

alla Costituzione o in base a una qualsiasi legge del Parlamento o del Legislativo di

uno Stato.

La clausola 2 prevede che il governatore di uno Stato possa, con il consenso

preventivo del Presidente, autorizzare l’uso della lingua hindi o di qualsiasi altra

lingua utilizzata a fini ufficiali dello Stato nei proceedings della High Court, restando

fermo che questa clausola non si applica a sentenze, decreti o ordini, che devono

essere in inglese. La clausola 3 prevede poi che per Bills, Acts e Ordinanze

promulgati a livello statale in una lingua regionale debba essere pubblicata una

traduzione inglese ufficiale ”.168

Il periodo transitorio si è concluso con l’Official Languages Act del 1963 che ha

disposto che l’inglese venisse usato come lingua addizionale. Non è stato possibile

abolire del tutto l’uso dell’inglese a favore dell’hindi, ma questo ha guadagnato

maggiore spazio nei documenti ufficiali. Le leggi sono pubblicate sia in una versione

ufficiale in inglese sia in una versione ufficiale in hindi.

L’Official Languages Act ha previsto anche la possibilità per il governatore di uno

Stato di autorizzare l’uso dell’hindi o di un’altra lingua ufficiale indiana nelle High

Courts, ma deve esserci comunque la traduzione dell’atto giudiziario in lingua

inglese.169

168

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

cit. pp.126-127. 169

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.127.

- 100 -

In definitiva l’inglese rimane la lingua principale del diritto e lo dimostra anche il

fatto che la Corte Suprema deve esprimersi tutte le volte in lingua inglese.

Per capire i motivi di questa situazione bisogna aver presente la pluralità di elementi

di carattere sia culturale sia economico-politico a favore della conservazione

dell’inglese o a favorire l’hindi e le altre lingue regionali.

Questi elementi possono essere analizzati attraverso un rapporto della Law

Commission dal titolo “Nonfeasability of introduction of Hindi as compulsory

language in the Supreme Court of India (Report 216th)”, 2008.170

Questo rapporto della Law Commission si basa su una proposta d’introduzione della

lingua hindi al posto della lingua inglese nella Supreme Court.

Il rapporto esamina attentamente le previsioni costituzionali sull’argomento, e

include anche opinioni di eminenti giuristi indiani, in particolare ex giudici della

Corte Suprema, avvocati delle giurisdizioni superiori, professori.

Tra queste opinioni si può considerare quella di Iyer, uno dei più importanti giuristi

indiani, ex giudice della Corte Suprema.

“ L’argomento principale di Iyer è la necessità di un equilibrio tra le diverse lingue

indiane. […] Di fatto, l’accettazione della hindi come lingua ufficiale non è

sufficientemente diffusa e in Stati del Sud come il Tamil Nadu non verrebbe mai

accettata l’idea che nella Corte Suprema l’hindi abbia una posizione preminente.

Infatti, ciò renderebbe la conoscenza dell’hindi obbligatoria e costituirebbe un caso

di imperialismo della lingua di una parte dell’India sulle altre. D’altro canto, lo status

dell’inglese come lingua ufficiale è problematico, in particolare perché in tal modo le

sentenze della Corte Suprema, gli Acts del Parlamento federale e altri importanti

documenti normativi non sono pienamente accessibili a tutti i cittadini indiani. in

questo quadro, la soluzione che a Iyer sembra più soddisfacente è l’adozione di un

sistema trilingue in cui tutti gli atti ufficiali, incluse le sentenze della Corte Suprema,

dovrebbero essere pubblicate in tre versioni, inglese, hindi e almeno una lingua

regionale ”.171

170

Altra norma interessante è l’art.120 della Costituzione in base al quale, indipendentemente da

quanto previsto nella Parte XVII ma salve le disposizioni dell’art. 348, i lavori del Parlamento devono

essere condotti in hindi o in inglese. I presidenti delle due Camere possono autorizzare qualsiasi

membro del Parlamento a rivolgersi all’Assemblea nella propria lingua madre se non è in grado di

esprimersi correttamente in hindi o in inglese. 171

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

cit. p.128.

- 101 -

Questo tipo di soluzione presenta molte difficoltà nella realizzazione, ma sembra

quella più coerente con il multilinguismo indiano perché non sacrifica nessuno degli

elementi in gioco.

Un altro parere interessante è quello di Shrikrishna, secondo cui “ l’introduzione

dell’hindi come lingua obbligatoria nella Corte Suprema sarebbe una forma di

autolesionismo. Infatti, non tutti i giuristi indiani sono in grado di esprimersi in hindi

e un’innovazione del genere produrrebbe inevitabilmente disfunzioni nel sistema

giuridico. Occorrerebbero almeno due generazioni di giuristi educati in hindi perché

il funzionamento della Corte possa essere regolare ”.172

Secondo un’altra opinione l’inglese non deve essere più considerato come una lingua

straniera in India, anzi ormai è penetrato e accettato, al punto che esiste un Indian

English. Pertanto questo fa sì che gli Indiani possano prendere parte a una cultura

globale che si esprime in inglese.

Per quanto riguarda le Corti superiori, è molto importante che si pronuncino in

inglese perché così facilitano sia la comunicazione con le Corti di common law sia la

circolazione del sapere giuridico di cui possono usufruire le Corti indiane e non solo.

La necessità di garantire la conoscibilità delle sentenze, e delle altre fonti, a tutti i

cittadini indiani può essere realizzato attraverso la traduzione in hindi, fatta da

interpreti competenti. Gli stessi madrelingua hindi hanno difficoltà nel tradurre le

sentenze perché il diritto è un campo speciale.

L’uso della lingua inglese facilita le attività dei giuristi nelle High Courts e nella

Supreme Court; i testi su cui si preparano i giuristi sono in inglese e i corsi di studio

si svolgono principalmente in inglese.

Le opinioni dei giuristi indiani contenute nel Report e la stessa opinione della Law

Commission sono contrarie all’adozione dell’hindi come lingua obbligatoria nella

Supreme Court. Ciò si può racchiudere in tre argomenti.

172

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

cit. p.128.

- 102 -

“ Il primo è il caos che ne deriverebbe. Visto che non tutti i giudici conoscono l’hindi

e che anche i madrelingua hindi sono stati educati in inglese e abituati a ragionare e

interpretare testi in inglese, il passaggio li metterebbe in gravi difficoltà.

Bisognerebbe riformare l’intero sistema formativo e occorrerebbero generazioni per

farlo andare a regime. Il secondo argomento, collegato al primo, è la connessione tra

lingua e sistema giuridico. Non si vede il senso dell’abbandonare l’inglese come

lingua di espressione di un sistema appartenente al common law, che utilizza

categorie concettuali mediate dalla lingua inglese. L’inglese rende anche possibile la

circolazione del sapere giuridico e può aumentare il peso dell’India sulla scena

giuridica internazionale. Un terzo argomento, che riassume i precedenti e va a

rispondere a un’obiezione implicita, legata al fatto che l’inglese è lingua straniera e

coloniale, è che la lingua inglese e il common law sono oramai parte della cultura

indiana a tutti gli effetti ”.173

Nonostante l’inglese sia ancora la lingua del diritto non bisogna sottovalutare né

teoricamente né politicamente gli aspetti relativi allo sviluppo dell’hindi giuridico.

Nessuno ha deciso che l’hindi non sarà mai utilizzato, ma alcuni dubitano della

possibilità che la lingua hindi possa formulare un linguaggio giuridico adeguato e

analoghe riserve sono avanzate per le lingue giuridiche regionali.

Il problema lessicale è forse il più serio. Il lessico hindi deriva storicamente dal

sanscrito e per questo si basa e può continuare a ricavare dal sanscrito classico i

termini della maggior parte del lessico giuridico. Quando la lingua hindi non dispone

già di un termine adeguato, questo viene ricercato nel sanscrito.

Il lessico giuridico hindi è formato in parte da vocaboli già esistenti nel sanscrito

giuridico e in parte da neologismi ricavati dal sanscrito.

173

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

cit. p.129-130.

- 103 -

Se prendiamo in considerazione termini giuridici generali come contratto, famiglia o

proprietà, i corrispondenti in hindi derivano direttamente dal sanscrito.

I termini giuridici inglesi più specifici sono translitterati nell’alfabeto devanagari

utilizzato dall’hindi e lo stesso succede ai termini in hindi per la versione inglese.

“ La diffusione di versioni hindi ufficiali al fianco di quelle inglesi fa sì che si

presenti anche in India il problema dell’interpretazione di testi multilingue,

ampiamente studiato nel contesto europeo. Nell’interpretazione possono essere in

gioco, e molto rilevanti, anche termini non giuridici. L’esistenza di versioni ufficiali

in hindi della legislazione federale pone un problema interpretativo. In caso di

conflitto prevale la versione inglese, ma se non c’è conflitto si può utilizzare la

versione hindi al fine di accertare se una determinata parola inglese debba essere

interpretata come riferibile a uno specifico oggetto.

In definitiva, in una pluralità di contesti giuridici in India interagiscono quasi sempre

almeno due lingue, inglese e hindi, e in alcuni casi anche tre lingue. Considerando

che la tendenza sembra essere quella di una traduzione in tre lingue, l’inglese

probabilmente non sarà mai abbandonato, ma sarà sempre più affiancato da hindi e

lingue regionali. Si può anche dire che il sistema sta evolvendo in direzione del

multilinguismo ”.174

174

FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

cit. pp.130-131.

- 104 -

CAPITOLO III “ IL DIRITTO DI FAMIGLIA ”

1. Pluralità di sistemi dei diritti personali

L’idea dell’India come Stato pluralistico ha svolto un ruolo decisivo nella struttura

politica e giuridica dell’India indipendente. Il principio dell’“unità nella diversità”175

,

su cui questa idea si basa, rappresenta al contempo la volontà di riconoscere

l’immensa diversità delle culture locali indiane e la consapevolezza del profondo

bisogno di comunicazione interculturale come fondamento dell’unità nazionale.

La co-esistenza di fedi religiose, gruppi linguistici, etnie e pratiche sociali differenti è

garantita dalla Costituzione, che afferma l’uguaglianza dei diritti individuali; da un

ordinamento giuridico imparziale; dalla separazione tra Stato e società e, infine, da

un approccio alla religione come elemento appartenente alla sfera personale

dell’individuo.

Nonostante l’India sia uno Stato laico, democratico e moderno, la Costituzione

indiana ha in sé un grande vuoto, tanto più grave, dato che riguarda un ambito di

importanza primaria: il diritto di famiglia.

Non esiste un corpus di leggi che regoli il diritto di famiglia in modo unitario, ma

esistono varie regolamentazioni, una per ogni comunità religiosa.

175

PRESTA G., “Minoranze tra legge secolare e statuti personali in India”, EUT Edizioni Università

di Trieste, 2001, p.143; cit. in “Il Kurdistan nelle fonti elettroniche" di MARZOCCHI S., in

Letteratura di Frontiera=Littératures Frontalières, XI, (2001) 1, pp.143-159.

- 105 -

“ A esse, nella maggior parte dei casi, è impossibile sottrarsi se non uscendo dalla

comunità stessa, per esempio, attraverso una conversione. Anche chi non desiderasse

aderire agli statuti personali della propria religione è, in qualche modo, forzato a

farlo perché non esiste alternativa se non poche leggi secolari frammentarie e spesso

scavalcate dalle stesse politiche governative.

Da questo punto di vista, un individuo non può essere semplicemente un cittadino

indiano, perché non c’è una legge civile che lo riguardi come tale: deve essere, in

ogni caso, un Indiano hindu o un Indiano musulmano o cristiano ecc. .

Nel processo di costruzione dell’identità nazionale post-indipendenza, dunque, le

comunità religiose avrebbero dovuto dissolversi in una Nazione di cittadini uguali di

fronte alla legge e con uguali diritti politici, ma nelle questioni quotidiane avrebbero

continuato a coesistere come entità separate ”.176

Per quanto riguarda le due comunità principali che compongono la società indiana, in

materia di: matrimonio, divorzio, successioni, tutela dei minori ecc., gli indù

osservano i principi stabiliti dalla cosiddetta Hindu Law, mentre i musulmani si

rifanno alla shari’a, secondo le interpretazioni riconosciute in India.177

Già al tempo degli imperatori moghul, essi diedero prova di tollerare il fatto che gli

hindu risolvessero dispute in materia civile con le loro regole e consuetudini e

avvalendosi della consulenza dei panchayat.

Gli Inglesi, invece, in merito al diritto di famiglia, fecero ricorso alla politica della

non interferenza, che normalmente adottavano nei confronti di questioni di ordine

religioso. La legislazione tradizionale regolava, sanciva e puniva usanze, pratiche e

costumi profondamente legati con la religione. La vita quotidiana, innanzitutto

nell’ambito della famiglia e dei rapporti che essa racchiude, era retta da principi

ampiamente ispirati dalla religione. Questo punto di vista portò i legislatori inglesi ad

avere una visione molto semplicistica dei Dharmashastra, i testi basati sul dharma.

176

PRESTA G., “Minoranze tra legge secolare e statuti personali in India”, EUT Edizioni Università

di Trieste, 2001, p.147; cit. in “Il Kurdistan nelle fonti elettroniche" di MARZOCCHI S., in

Letteratura di Frontiera=Littératures Frontalières, XI, (2001) 1, pp.143-159. 177

CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di

famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il

terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,

Franco Angeli, Milano, 2002, p.338.

- 106 -

Questi testi erano considerati dei meri compendi di norme giurisprudenziali, volti a

verificare la validità delle soluzioni legali connesse con situazioni precise;

considerarono i Dharmashastra come un codice di legge applicabile a tutti gli indù.

Ne derivò che, facendo riferimento ai Dharmashastra come testi di legge e unendoli

al loro sistema giudiziario basato sul precedente, le corti inglesi crearono una

“Anglo-Hindu Law”.

“ Quest’atteggiamento da parte degli Inglesi si inserisce nell’ambito più generale

della politica del “divide and rule”. Gli Inglesi mostrarono, infatti, una straordinaria

capacità di omogeneizzare ampi strati delle singole comunità, molto diversificate al

loro interno, e di contrapporre politicamente tra loro queste comunità, solo

virtualmente omogenee e compatte. Questo consentiva ai dominatori inglesi di

approfondire gli elementi di divisione della società indiana e di elaborare politiche e

strategie specifiche per ogni suo segmento. Questa prassi, finalizzata all’obiettivo

primario di mantenere la popolazione nella sua interezza in uno stato di

assoggettamento, contribuì ad alimentare i conflitti intercomunitari ”.178

Dopo l’Indipendenza, in India vi fu un esteso dibattito relativo ai provvedimenti da

adottare per modificare il sistema dei diritti personali. L’Assemblea costituente si

ritrovò davanti ad una situazione molto complicata relativamente ai diritti personali.

Molti ritenevano che un diritto civile uniforme sarebbe stato la manifestazione ideale

del principio della laicità indiana, separando in modo netto il diritto dalla religione.

D’altra parte, dare inizio alla stesura del codice civile uniforme all’inizio

dell’esperienza giuridica della Repubblica indiana avrebbe rappresentato una prova

molto impegnativa e pericolosa, visto il rischio di aumento dei contrasti all’interno

della società.

178

GYANENDRA PANDEY, “The Construction of Communalism in Colonial North India”, Oxford

University Press, New Delhi, 1999; cit. in CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il

problema dell’unificazione del diritto di famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo

Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni

sociali ed economiche, mutamento culturale, Franco Angeli, Milano, 2002, p.339.

- 107 -

“ Il cuore del problema era quello dell’uniformità o diversità del diritto. Per questo

motivo il progetto venne abbandonato e venne adottata una norma costituzionale di

carattere programmatico, inserita nella parte dedicata ai directive principles, l’art.44,

in base al quale: “The State shall endeavour to secure for the citizens a uniform civil

code throughout the territory of India ” ”.179

Parallelamente al sistema dei diritti personali è stato sviluppato un diritto di famiglia

uniforme, che ha il suo fondamento nello Special Marriage Act del 1954 e si applica

nei casi di matrimoni intercomunitari, ma può essere utilizzato da tutti in modo

facoltativo. Nonostante la presenza di questo diritto di famiglia uniforme, il diritto di

famiglia indiano rimane comunque nel sistema dei diritti personali.

“ In generale, per quanto riguarda il diritto di famiglia, in India vale un principio

molto simile a quello della Common Law britannica: non esiste un codice

formalizzato di leggi scritte, ma una serie di consuetudini, sancite dalla pratica e

perfezionate, dal punto di vista applicativo, da quelli che vengono definiti, secondo il

linguaggio giuridico anglosassone, Acts. Questi non sono che le leggi emanate per

intervento parlamentare, esattamente come avviene in Gran Bretagna. Una serie di

Acts ha rappresentato in parte un tentativo di codificare pratiche e consuetudini in

vigore presso le rispettive comunità, in parte quello di definire un criterio di equità

valido per tutte le confessioni ”.180

179

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

pp. 133-134. 180

CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di

famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il

terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,

Franco Angeli, Milano, 2002, p.340.

- 108 -

2. Hindu Law: connessione tra diritto statale e religione

“ Quando un bambino nasce, viene immediatamente classificato per religione e

quindi finisce sotto il sistema giuridico di quella religione. È possibile scegliere

un’identità laica per un figlio, ed esistono legislazioni laiche per matrimonio e

divorzio. Ma poiché la proprietà dei genitori è regolata dal diritto religioso al quale i

genitori appartengono, e nel caso degli induisti essa rientra in un complicato sistema

di vincoli o “successioni” dal quale non si può enucleare la porzione di ciascun

singolo individuo, è di fatto molto difficile sottrarsi a un sistema religioso, sia per

cambiare religione sia per passare a un’identità laica. Di conseguenza il sistema crea

notevoli difficoltà al libero esercizio della religione e alla libertà di proselitismo e di

conversione che pure è sancita esplicitamente a livello costituzionale.

Il sistema indiano è dunque, di fatto, un sistema di appartenenze religiose ufficiali; il

fatto più inconsueto, rispetto ai sistemi di legge personale odierni, è che qui il diritto

di proprietà viene incluso nel diritto di famiglia. Tale sistema ha molte delle

difficoltà che emergono sempre quando si parla di religioni ufficiali. Una difficoltà

potenziale, quella della discriminazione verso coloro che restano fuori, non sembra

pesare troppo. Ebrei e altre minoranze non ufficiali, governate dalle normali leggi

laiche su matrimonio, divorzio e proprietà, non sembrano soffrire particolari

svantaggi; al contrario, queste minoranze si sottraggono agli oneri non indifferenti

relativi alla farraginosità della burocrazia ufficiale ”.181

“ Il diritto hindu può essere definito come l’insieme delle regole di comportamento,

delle istituzioni, e delle concezioni ad esse collegate, che sono state elaborate

all’interno delle diverse tradizioni religiose e culturali che si considerano parte

dell’induismo.182

In questo senso, il diritto hindu è il diritto degli hindu. Il suo

carattere personale deriva dal fatto che viene osservato dagli hindu in quanto

appartenenti a una determinata comunità religiosa e culturale e non in quanto

residenti in un determinato territorio o soggetti ad una determinata entità politica ”.183

181

NUSSBAUM M.C., “Lo scontro dentro le civiltà”, Il Mulino, Bologna, 2009, p.198. 182

Non tutte le regole di comportamento sono anche regole giuridiche, ma nella cultura hindu non

vengono tracciate distinzioni nette tra diversi ambiti nella normatività. 183

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.135.

- 109 -

Non si può ignorare che il diritto induista riguarda circa l’80% della popolazione

indiana, in termini assoluti circa un miliardo di persone e poiché l’induismo è la

religione di maggioranza, il diritto hindu è dibattuto e riformato a livello nazionale.

Nell’India contemporanea vi sono due aspetti da riscontrare: in primo luogo,

nell’identità hindu vi è una fusione tra aspetto religioso, aspetto etnico e aspetto

socio-culturale; in secondo luogo, la definizione di hindu è data generalmente in

termini negativi, cioè può essere considerato hindu chi non appartiene espressamente

ad un’altra religione o comunità. Si può essere hindu pur non professando nessuna

religione e questo ha un riflesso anche sul piano strettamente giuridico, per cui

l’applicazione del diritto hindu continua ad essere, ancora oggi, molto inclusiva.

Il diritto hindu ufficiale si applica in materia di statuto personale a tutti coloro che

non sono musulmani, ebrei, parsi o cristiani, e in via generale a tutti coloro che non

provino che ad essi si dovrebbe applicare un diritto diverso.184

Sono considerati hindu, dal punto di vista dell’ordinamento statale e ai fini

dell’applicazione del diritto di famiglia, anche i buddhisti, i jainisti e i sikh.

Esiste quindi una differenza tra le definizioni di “hindu” nella scienza delle religioni

e le definizioni legali di “hindu”, che servono principalmente a chiarire quando deve

essere applicato il diritto induista.

Nel corso dell’evoluzione del diritto hindu, questo ha interagito con altri diritti.

Alcuni di questi sono stati “induizzati”, altri sono rimasti autonomi.

“ Il diritto hindu è quindi espressione di un complesso di religioni, filosofie e

pratiche elaborate in contesti molto diversi e non può che riflettere questa pluralità

interna alla tradizione, anche se non vi è necessariamente una corrispondenza tra una

determinata corrente dell’induismo e una determinata manifestazione del diritto

hindu. Pertanto sotto l’etichetta “diritto hindu” rientra in effetti una serie di diritti

che, pur riconoscendosi come parte di un’unica tradizione, possono essere molto

diversi tra loro ”.185

184

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.138. 185

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.139.

- 110 -

In passato il diritto hindu è stato un diritto tendenzialmente completo, con leggi

relative oltre che ai rapporti familiari anche ad altri settori del diritto; erano state

elaborate norme e istituzioni per diversi campi: dal rito al processo, dal matrimonio

alla proprietà. L’area propriamente religiosa, centrata sul dharma, era utilizzata come

criterio di valutazione della conformità di alcune regole, aventi la loro origine

altrove, con lo standard di comportamento richiesto a un hindu.

Con il dominio britannico il diritto hindu è diventato progressivamente diritto

positivo in materia di statuto personale e in poche altre materie che hanno subito il

tentativo di riforma da parte dello Stato. Altri ambiti del diritto hindu, invece, sono

stati sostituiti da norme di origine occidentale.

“ L’introduzione di fonti statali nel diritto hindu cambia in parte la natura di questo

diritto come diritto religioso, visto che la Repubblica indiana è laica e una legge che

regola i rapporti familiari tra hindu non può essere considerata produzione di diritto

religioso per quanto intervenga su un complesso di pratiche socio-religiose.

L’intervento statale sul diritto hindu non è però tale da configurare una completa

rottura con la tradizione, visto che larghe parti del diritto tradizionale sono

riconosciute e applicate dagli stessi organi statali ”.186

Il punto più importante è che il diritto ufficiale hindu non trascura il valore del diritto

hindu tradizionale a livello non ufficiale, vale a dire come diritto non riconosciuto

dallo Stato, sia per la vita degl’hindu sia per il suo carattere giuridico.

Il diritto hindu non ufficiale può contrapporsi al diritto hindu ufficiale oppure

coesistere con esso anche se in ambiti diversi.

Nel diritto dell’India classica, la parte concernente il rito e tutto l’insieme di norme

che regolava la vita dei gruppi sociali hindu era concepito in modo unitario con il

diritto di famiglia e con le altre parti del diritto che si fondavano sul dharma; ora

tutto questo non è scomparso, ma rimanendo nel suo contesto originario non è più

considerato giuridico.

186

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.139.

- 111 -

2.1 Hindu Code: la riforma del diritto hindu

“ L’India indipendente si è dovuta confrontare con un diritto estremamente

complesso e vario, parte fondamentale della storia giuridica indiana e, dato il suo

fondamento culturale, caratterizzato da uno spiccato carattere identitario per la

stragrande maggioranza della popolazione. La riforma del diritto hindu è stata

compiuta con quattro atti legislativi che sono talvolta indicati collettivamente, anche

se in modo alquanto improprio, come Hindu Code. Nel 1955 è stato promulgato

l’Hindu Marriage Act, e nel 1956 l’Hindu Minority and Guardianship Act, l’Hindu

Adoption and Maintenance Act e l’Hindu Succession Act ”.187

Queste leggi erano state presentate come tentativo di riformare e codificare le norme

del diritto hindu vigente; sono state estratte dall’Hindu Code Bill, introdotto

dall’Assemblea Costituente nell’aprile del 1947188

. Esse sono applicate:

“ (a) to any person who is a Hindu by religion in any of its forms or developments,

including a Virashaiva, a Lingayat of the Brahmo, Prarthana or Arya Samaj; (b) to

any person who is Buddhist, Jaina or Sikh by religion; and (c) to any other person

domiciled in the territories to which this Act extends who is not a Muslim, Christian,

Parsi or Jew by religion, unless it is proved that any such person would not have

been governed by the Hindu law or by any customs or usage as part of that law in

respect of any of the matters dealt with herein if this Act had not been passed ”.189

Le finalità primarie della codificazione del diritto di famiglia hindu sono

l’unificazione della comunità hindu e l’uniformità della sua legislazione.

187

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.140. 188

CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di

famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il

terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,

Franco Angeli, Milano, 2002, p.340. 189

The Hindu Marriage Act, 1955, Preliminary, sez.2, Application of Act. Questa formula, negli stessi

termini, viene ripetuta negli altri tre atti che compongono l’Hindu Code; cit. in nota CASOLARI M.,

“Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di famiglia in India”, in

Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il terzo millennio.

Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale, Franco Angeli,

Milano, 2002, p.341.

- 112 -

L’Hindu Code, nel suo insieme, è come una combinazione tra correnti giuridiche

differenti. Da un lato, vi è un insieme di norme giurisprudenziali prettamente laiche;

a queste si affiancano norme consuetudinarie, divulgate tra i diversi gruppi della

popolazione hindu, prima della codificazione dei quattro Acts. Queste consuetudini

derivano dalle pratiche tradizionali e sopravvivono nella legge codificata. Gli

elementi tradizionali che si trovano nell’Hindu Code derivano da consuetudini e

pratiche, culturali e religiose; queste rappresentano solo una piccola parte delle

usanze osservate dai membri della società hindu.

Infatti, le usanze e istituzioni di derivazione religiosa codificate dalla legge hindu,

non rappresentano minimamente la grande differenziazione esistente.

L’Hindu Code è il risultato di un lungo tentativo, piuttosto studiato, di uniformare le

differenze esistenti all’interno della società induista. Questo tentativo fu voluto dalla

componente nazionalista hindu, che voleva rafforzare la comunità che era abbastanza

indebolita dai conflitti interni, donandole maggiore unità. Perché questo processo

andasse a buon fine, era necessario dare uniformità ad alcune istituzioni ritenute

fondamentali come la lingua, il sistema giuridico e la stessa religione190

.

La riforma legislativa, basata sul diritto hindu preesistente, ha introdotto nuove

regole o generalizzato altre che prima erano osservate solo da una parte della

popolazione indù, come il divieto di bigamia o l’introduzione del divorzio. È

interessante osservare che, anche se il matrimonio hindu si basava su una concezione

monogamica, per alcune caste erano già ammesse forme di divorzio.

Nonostante l’intento riformista, il legislatore ha affrontato il problema

uniformità/diversità lasciando intatto un quadro di sostanziale pluralismo giuridico.

Ha rinunciato a disciplinare ogni aspetto della materia, ed ha riconosciuto il diritto

consuetudinario attraverso una serie di norme che individuano le consuetudini locali

dichiarandole ufficiali, secondo determinate condizioni.191

Il processo riformista della metà degli anni ’50, dell’India indipendente, può essere

visto come il punto di partenza di una politica del diritto indiana e non coloniale.

190

CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di

famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il

terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,

Franco Angeli, Milano, 2002, p.340. 191

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.140.

- 113 -

Naturalmente l’evoluzione del diritto hindu non si è fermata negli anni ’50,

successivamente sono state introdotte riforme su alcuni temi specifici: Marriage

(Amendment) Act del 1974 e il recente The Prohibition of Child Marriage Act del

2006.192

È riduttivo pensare che l’evoluzione del diritto hindu sia avvenuta negli ultimi

cinquant’anni, solo per il diritto ufficiale, visto che il diritto hindu è sostanzialmente

autonomo dal diritto statale. Gli istituti tradizionali stanno resistendo alla

modernizzazione compiuta dallo Stato, e possono essere considerati da alcune

comunità come diritto non ufficiale sia dal punto di vista sostanziale sia dal punto di

vista istituzionale.

“ Dall’Indipendenza in poi il diritto hindu non è rimasto immobile e si è sviluppato

soprattutto nel senso di una modernizzazione, ma non in modo lineare. Nel contrasto

tra tradizionalisti e riformisti si è sviluppata secondo un’opinione persuasiva di

Menski una nuova fase del diritto hindu, quella postmoderna, caratterizzata da un

superamento della logica della contrapposizione fra tradizione e modernità ”.193

192

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.141. 193

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.141.

- 114 -

2.1.1 Hindu Marriage Act

Gli atti legislativi riformatori dell’Hindu Code, in particolare l’Hindu Marriage Act,

hanno provocato dei notevoli cambiamenti nella concezione tradizionale del

matrimonio.

Nell’induismo il matrimonio è considerato un sacramento (samskara), e delinea il

più importante passaggio rituale, oltre che sociale, nella vita di un hindu194

. La

peculiarità del sacramento del matrimonio consiste nel compimento di una serie di

riti con cui i due sposi sono uniti in modo indissolubile ed eterno.

“ Nel periodo vedico il matrimonio era concepito come riproduzione sul piano

microcosmico dell’unione degli elementi macrocosmici. Nel periodo classico il

matrimonio era considerato chiaramente come uno dei doveri fondamentali di un

hindu e questo aspetto è rimasto costante. In particolare il matrimonio nel sistema

dell’ashramadharma segna il passaggio allo stadio del garhasthya, la vita del

capofamiglia, verso cui esiste una forte pressione sociale. Pertanto il matrimonio

segna un cambiamento di status, per l’uomo ma anche per la donna, per la quale anzi

si ritiene che il matrimonio costituisca l’unico grande passaggio rituale. Il

matrimonio viene vissuto come una questione di famiglia, intesa in senso ampio, più

che come fatto individuale ”.195

Nel diritto hindu tradizionale erano concepite otto forme di matrimonio; il termine

sanscrito per matrimonio, vivaha,196

conteneva probabilmente un significato più

ampio che si riferiva a diversi tipi di unioni.

194

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.141. 195

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.142. 196

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.142.

- 115 -

“ Inoltre, nel definire le otto forme di matrimonio gli interpreti si sono basati

sull’osservazione e istituzionalizzazione di quanto era dato loro osservare nella

pratica sociale, suggerendo alcuni tipi di unione e sconsigliandone o biasimandone

altri. Infatti, per le caste più alte è suggerito il matrimonio nella forma del

kanyadana, in cui è presente l’idea del dono fatto dal padre della sposa al marito.

Proprio l’elemento del dono ha fatto pensare all’esistenza di elementi contrattuali nel

matrimonio hindu tradizionale, pur rimanendo prevalente l’aspetto sacramentale. È

stato anche osservato che nelle caste basse in realtà è stato sempre prevalente

l’aspetto contrattuale su quello sacramentale ”.197

Il matrimonio, nel diritto hindu moderno, mantiene elementi di carattere

sacramentale e ne acquisisce altri di ordine contrattuale. Il requisito del consenso

acquista maggiore importanza, a differenza dell’aspetto dell’indissolubilità che

invece perde valore, essendo ormai possibile il divorzio, anche se considerato ancora,

a livello sociale, molto deplorevole.

A parte le otto forme di matrimonio, nel diritto hindu esistono più tipologie di

matrimonio con riti ed effetti diversi, con molte varianti a livello locale.

In generale, il matrimonio hindu non richiede nessuna forma di collaborazione o

d’intervento del potere pubblico e viene vissuto come fatto totalmente autoregolato a

livello comunitario. Si trova testimonianza di quest’aspetto, nel diritto matrimoniale

di oggi, dove solo recentemente si è iniziato a parlare di registrazione obbligatoria.

L’induismo è sempre stato caratterizzato dalla co-esistenza di una pluralità di modi

per celebrare il matrimonio; è normalmente costituito da una serie complessa di riti

coordinati. Il momento cerimoniale che è considerato tipico e fondamentale è il

saptapadi, il compimento di sette passi da parte degli sposi dinanzi al fuoco rituale,

recitando formule beneauguranti a ogni passo.

“Ma, come osserva Menski, il saptapadi non è mai stato richiesto per la celebrazione

di tutti i matrimoni hindu e non è mai stato la forma principale di celebrazione del

matrimonio in tutte le aree dell’India ”.198

197

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.142. 198

MENSKI W.F., Hindu Law. Beyond Tradition and Modernity, p.273ss., cit. in FRANCAVILLA D.,

“Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, p.143.

- 116 -

Il matrimonio, normalmente molto complesso sul piano rituale, e molto impegnativo

sul piano economico, può assumere caratteri anche informali. Ancora oggi i riti per

officiare il matrimonio sono molto vari, su base sia geografica sia comunitaria. Il

legislatore indiano avrebbe potuto semplificare il rito del matrimonio indicando una

forma di celebrazione o una serie definita di forme, ma non l’ha fatto, ha mantenuto

le consuetudini locali tipiche del modello hindu. In altri termini, il legislatore ha

lasciato al controllo sociale questa disciplina; ha proposto in chiave moderna l’idea

caratterizzante il diritto tradizionale hindu, in base alla quale ogni individuo e ogni

comunità deve vivere secondo le regole che riconosce, senza che un’autorità

superiore possa decidere in via generale le leggi da seguire.

L’art. 7 dell’Hindu Marriage Act, stabilisce che:

“ (1) A Hindu marriage may be solemnized in accordance with the customary rites

and ceremonies of either party thereto. (2) Where such rites and ceremonies include

the saptapadi (that is, the taking of seven steps by the brideroom and the bride jointly

before the sacred fire), the marriage becomes complete and binding when the

seventh step is taken ”.199

Il matrimonio hindu può essere officiato, in accordo, con i riti consuetudinari e le

cerimonie di una delle parti. La norma opera un rinvio alle regole locali osservate

nella comunità delle parti e non a una generica scelta degli sposi. La regola ha quindi

carattere consuetudinario.

199

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

pp.143-144.

- 117 -

“ L’art. 7 fa riferimento al saptapadi, i sette passi davanti al fuoco rituale, che

costituisce una delle forme di celebrazione più diffuse e sicuramente quella che ha

maggiore rilevanza culturale, essendo espressamente contemplata nei testi del

Dharmashastra. A questo proposito, una prima osservazione è che con l’art. 7 una

forma di matrimonio del diritto tradizionale viene ad essere espressamente recepita

dal diritto ufficiale statale indiano. Una seconda considerazione è che l’art. 7 non

prescrive il compimento del saptapadi, rendendo in tal modo generale una norma

maggioritaria a scapito di altre forme di celebrazione, ma si limita a stabilire che nel

caso le consuetudini seguite dagli sposi prevedano il saptapadi, il matrimonio si

ritiene perfezionato al momento del compimento del settimo passo. Tale precisazione

è stata fatta perché poteva effettivamente verificarsi una situazione di incertezza sul

momento a cui riconnettere tutti gli effetti giuridici del matrimonio nel caso di

interruzione del rito quando gli sposi avevano compiuto solo i primi passi ”.200

Com’è già stato detto, il matrimonio hindu è considerato un rito religioso e sociale

che non ha bisogno dell’intervento del potere pubblico.

Secondo l’Hindu Marriage Act il matrimonio può essere registrato, ma la

registrazione non è condizione di validità. “ È stato osservato da alcuni studiosi che

la non obbligatorietà della registrazione è uno degli elementi che permettono la

diffusione dei matrimoni di bambini e che quindi l’introduzione del sistema di

registrazione obbligatoria permetterebbe di fare fronte a questa e ad altre violazioni

dei diritti umani ”.201

200

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.144. 201

SAGADE J., Child Marriage in India. Socio-Legal and Human Rights Dimensions, Oxford

University press, New Delhi, 2005, cit. in FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”,

G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, pp.144-145.

- 118 -

In questo caso bisogna prendere in considerazione i vari aspetti del problema. Il

legislatore del 1955 non ha posto la registrazione come condizione di validità del

matrimonio perché era consapevole che in una situazione, come quella indiana, date

le dimensioni demografiche e geografiche, l’arretratezza culturale di gran parte della

popolazione e i considerevoli problemi di organizzazione amministrativa, avrebbero

portato a situazioni di ingiustizia. Anche se la registrazione fosse obbligatoria, molti

matrimoni hindu non sarebbero registrati. In casi del genere la tutela offerta dal

diritto statale potrebbe diminuire, non essendo riconosciuto giuridicamente un

matrimonio che invece è ritenuto valido dalla società. Una delle conseguenze della

non obbligatorietà della registrazione è che le Corti per accertare la validità del

matrimonio in giudizio si servono di prove testimoniali, e questo rappresenta un

elemento di grande incertezza giuridica.202

Per i requisiti del matrimonio, bisogna prendere in considerazione le diverse

caratteristiche dell’induismo: le caste e le diverse zone dell’India.

La monogamia è il modello ideale nell’induismo, nonostante sia sempre esistita una

forma di poligamia hindu, talmente diffusa da essere considerata come la vera regola

di fatto. La poligamia nell’induismo è giustificata con la tendenza a gerarchizzare le

diverse unioni, ma soprattutto considerando che certi legami utili devono essere

ammessi. Queste unioni che si riscontrano nella pratica sono valutate accettabili, e,

anche se non corrispondono al modello ideale, beneficiano di tutela.

Il caso più frequente è quello della sterilità della moglie: dato il dovere di generare

una discendenza, è ammessa la possibilità di avere un’altra moglie, senza che sia

necessario divorziare dalla prima moglie. Questi tipi di unioni sono sempre state

diffuse soprattutto nelle caste alte, ed erano considerate prova di potere economico e

prestigio sociale.203

202

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.145 203

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.145.

- 119 -

Le riforme del diritto hindu degli anni ’50 hanno sancito la nullità del matrimonio

poligamico, generalizzando così il modello ideale hindu però senza considerare la

poligamia informale. Ciò ha creato altri problemi, perché di fatto una legge dello

Stato non cancella le pratiche delle unioni poligamiche e di conseguenza molti

uomini per non essere condannati per poligamia hanno cominciato a negare

l’esistenza o la validità di uno dei matrimoni. La cosa era molto facile visto la grande

varietà di riti nell’induismo per officiare il matrimonio, ma soprattutto per l’assenza

dell’obbligo di registrazione.

Bisogna tener presente che il sistema dei diritti personali permette a un indiano

musulmano di avere un’unione poligamica, mentre ciò non è possibile per un indiano

hindu, anche se la poligamia è sempre esistita nella sua comunità.204

Per quanto riguarda il requisito dell’età per contrarre matrimonio, nel diritto

tradizionale era ammesso il matrimonio di bambini, indifferentemente per uomini e

donne, anche se le donne ancora oggi sono la categoria maggiormente coinvolta e

danneggiata dal fenomeno.

“Dal punto di vista teorico, quel che è importante è non solo la presenza del

fenomeno ma anche la legittimazione della pratica all’interno di una tradizione

giuridica. Una delle spiegazioni che vengono addotte è che questa pratica, ritenuta

estranea alla tradizione hindu originaria, si sia diffusa nel periodo delle invasioni

musulmane al fine di costituire le unioni tra hindu il prima possibile. Altra

spiegazione può essere ravvisata nella logica delle caste. Se il matrimonio è un

passaggio necessario nella vita di un hindu, e se un buon matrimonio deve possedere

tutta una serie di requisiti dal punto di vista della casta e del ceto sociale, allora

anticipare al massimo il momento del matrimonio può essere una strategia per

risolvere queste questioni nel modo più efficace possibile. In linea generale,

comunque, la finalità del matrimonio di bambini è quella di limitare le relazioni

sessuali extraconiugali, inserendole precocemente nel contesto lecito del

matrimonio”.205

204

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.146. 205

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.146.

- 120 -

Gli Inglesi cercarono di intervenire emanando alcune norme penali: l’art. 375 del

codice penale e il Child Marriage Restraint Act del 1929, ma non collegarono

conseguenze di natura civilistica al matrimonio di bambini, che rimaneva valido.

L’Hindu Marriage Act vieta questa pratica e stabilisce l’età minima per contrarre

matrimonio: ventuno anni per gli uomini e diciotto per le donne. In caso di

violazione della norma non è prevista come conseguenza l’invalidità del matrimonio,

quindi opinione dominante è che il matrimonio resti valido. È però prevista una

sanzione che può essere sia pecuniaria sia detentiva.

Solo recentemente con il The Prohibition of Child Marriage Act del 2006 si è

prevista l’annullabilità in generale del matrimonio dei minori, e la nullità per casi

particolarmente gravi, come per il matrimonio collegato alla sottrazione del minore.

Rimane comunque la possibilità di un conflitto tra la norma di diritto hindu ufficiale,

che proibisce il matrimonio tra minori, e la norma di diritto hindu non ufficiale, che

lo ritiene legittimo.206

Un altro requisito per il matrimonio è la capacità di intendere e di volere. Nel diritto

tradizionale, questo requisito era tenuto in considerazione, ma il consenso poteva

essere prestato da un tutore. Di fatto, questo requisito, anche nel diritto hindu

moderno, vuole escludere i casi di matrimonio contratti per errore o per inganno.

Nel diritto hindu tradizionale erano proibiti sia i matrimoni interreligiosi sia quelli

inter-casta. Invece nel diritto hindu moderno ufficiale è perfettamente valido un

matrimonio officiato tra membri di caste diverse perché il contrario andrebbe a

contrastare i principi fondamentali costituzionali.

206

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.147.

- 121 -

Per quanto riguarda i matrimoni interreligiosi si fa ricorso a un’altra legge emanata

nel 1954, lo Special Marriage Act. Questa legge ha un’impostazione laica, non è

menzionato nessun rito o consuetudine religiosa, e quindi poteva costituire l’unica

vera base di partenza per l’elaborazione di un diritto di famiglia uniforme. Lo Special

Marriage Act poteva essere accettato dalla parte più progressista dei Musulmani, non

senza difficoltà, oltre che dalla totalità dei laici. Questa legge sancisce

implicitamente il principio di preminenza del matrimonio civile su quello religioso.

Di fatto chi si sposa secondo questa legge, anche se in un secondo tempo celebra un

matrimonio religioso riconosciuto da qualsiasi legge personale, non può invocare

successivamente la legge di stampo religioso.207

Nella tradizione induista il matrimonio è il momento fondamentale nella vita di un

hindu e implica un radicale cambiamento di status sia per l’uomo sia per la donna. I

doveri coniugali del marito consistono nel proteggere la moglie, e nell’osservare il

dovere di fedeltà, di sostentamento, e di coabitazione. Questi doveri sono stati

conservati anche nel diritto hindu moderno, e non si è dato risalto al dovere di

protezione, ma più in generale essi sono stati inseriti in un quadro formale di

uguaglianza dei coniugi.

Secondo la concezione hindu, la donna con il matrimonio raggiunge un traguardo

decisivo della sua vita: entra a far parte della famiglia del marito. Da ciò derivano

tutta una serie di conseguenze sul piano patrimoniale e dei rapporti con gli altri

membri della famiglia dello sposo.208

207

CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di

famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il

terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,

Franco Angeli, Milano, 2002, p.345. 208

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.148.

- 122 -

Nel modello ideale di matrimonio hindu esiste un principio d’indissolubilità.

L’introduzione del divorzio è stata la vera novità del 1955. Anche se il divorzio era

già riconosciuto nel diritto tradizionale, in alcune zone e per alcune caste, questo è un

altro esempio di riconoscimento nel diritto statale di una regola consuetudinaria.

L’art. 29 (a) dell’Hindu Marriage Act stabilisce che: “ Nothing contained in this Act

shall be deemed to affect any right recognised by custom or conferred by any special

enactment to obtain the dissolution of a Hindu Marriage, whether solemnized before

or after the commencement of this Act ”.209

Il diritto statale, quindi, ammette forme di divorzio consuetudinario affianco a quella

prevista dalla legge. Questo è un altro esempio di stratificazione delle regole, che

guidano la vita degl’ hindu.

“ L’intervento modernizzatore dell’India sul diritto hindu, riportato nell’alveo

costituzionale e riformato in alcuni suoi aspetti, non muta il ruolo particolarmente

controverso del diritto hindu, così come degli altri diritti personali, a partire da quello

islamico, nel diritto indiano. Il diritto hindu rappresenta lo strato giuridico più antico

della tradizione indiana e si trova adesso ad essere una componente ufficiale

dell’ordinamento giuridico della Repubblica indiana. In questo passaggio, esso ha

subito dei significativi cambiamenti, ma sempre in un quadro in cui viene

riconosciuta la diversità giuridica degli hindu.

Il modello che viene contrapposto è quello di un diritto uniforme e laico, basato sulla

cittadinanza e non sull’appartenenza religiosa e comunitaria ”.210

209

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.148. 210

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.149.

- 123 -

2.1.2 Hindu Adoption and Maintenance Act e Hindu Succession Act

Non esiste una legge generale sul tema dell’adozione, ma è consentita dall’Hindu

Adoption and Maintenance Act e dalla consuetudine.

Dato che l’adozione è l’affiliazione legale di un bambino, si forma così la materia del

diritto personale.

Musulmani, Cristiani e Parsi, che non hanno leggi apposite riguardanti l’adozione,

possono chiedere l’affidamento di un bambino secondo le norme del Guardians and

Wards Act del 1890. Una volta che il bambino in affido raggiunge la maggiore età,

egli è libero di sciogliere i rapporti con la famiglia affidataria. Inoltre il bambino non

ha nessun diritto legale in linea successoria.

Anche gli stranieri, che vogliono adottare bambini indiani, devono rivolgersi al

giudice che si baserà su questa legge.

Il diritto hindu relativo all’adozione è stato modificato e codificato dal già citato

Hindu Adoption and Maintenance Act del 1956, secondo cui un uomo e una donna

hindu, aventi capacità giuridica, possono prendere in adozione un bambino o una

bambina.

Nell’affrontare la questione della tutela dei figli minori, come in altri settori del

diritto di famiglia, non esiste nessuna legge uniforme. Il diritto hindu, il diritto

musulman, e il Guardians and Wards Act del 1890 sono i tre sistemi giuridici su cui

fondarsi. 211

211

“Personal Law” in www.archive.gov.in/citizen/lawnorder, 2011.

- 124 -

L’Hindu Adoption and Maintenance Act stabilisce che i figli di un genitore hindu che

si sia convertito a un’altra religione prima della loro nascita non hanno diritto di

ereditare beni dei parenti hindu. Non solo, ma un genitore convertito perde persino la

custodia dei propri figli.

Il divieto, però, non riguarda la conversione al buddhismo, al giainismo o alla

religione sikh, bensì al cristianesimo, all’islam, al giudaismo o alla religione parsi. Si

tratta di una discriminazione su base religiosa, in contraddizione con i principi di uno

Stato laico e con gli stessi principi fondamentali contenuti nella Costituzione, in

particolare con l’art. 25.

È chiaro che queste limitazioni sono volte a creare una condizione di privilegio per i

seguaci della religione maggioritaria.212

L’Hindu Succession Act del 1956, invece, è in effetti, tutto incentrato sui complessi

procedimenti di successione che si sviluppano all’interno delle famiglie allargate

(joint families). Queste sono ancora molto diffuse in India, nonostante la crescente

tendenza, nei grandi centri urbani, a formare famiglie nucleari.

La legge prevede come riferimento il tipo di famiglia allargata più diffuso,

conosciuta con il nome di Mitakshara, e alcune altre tipologie diffuse al sud, note

come tarwad, tavazhi, kutumba, kavaru e illom.

Non analizzerò tutti i complessi procedimenti successori di tutte le tipologie di

famiglia allargata, ma in sintesi si può dire che le istituzioni familiari prese in

considerazione dalla riforma del 1956 e le consuetudini ereditarie che si tramandano,

sono retaggio di una tradizione secolare, legata a fattori culturali e religiosi.

212

CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di

famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il

terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,

Franco Angeli, Milano, 2002, p.342.

- 125 -

“ Bisogna inoltre rilevare che le donne non possono entrare a far parte di famiglie

tipo Mitakshara. Questo implica che, originariamente, le donne non potevano godere

di eredità, derivanti dalla famiglia allargata. La situazione è stata in parte modificata

dall’Hindu Women’s Right to Property Act del 1937. Anche questa legge, però, non

soddisfaceva in pieno gli interessi delle donne. Infatti, in caso di morte del marito, la

vedova riceveva in eredità una cifra limitata. L’altra possibilità era che la donna

prendesse la quota di comproprietà del marito nella joint family in una data scelta,

potendo percepire così gli interessi maturati. L’Hindu Succession Act del 1956

modifica la situazione nel senso che prevede che la moglie percepisca la quota di

comproprietà del marito, al momento della sua morte, per successione ereditaria o

testamentaria. In un paese dove le discriminazioni nei confronti delle donne sono

all’ordine del giorno, è chiaro che un simile sistema tuteli ben poco questi soggetti.

La stessa istituzione, della joint family, riserva in molti casi un ruolo di totale

subalternità alle donne ”.213

213

CASOLARI M. “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di

famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il

terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,

Franco Angeli, Milano, 2002, p.344.

- 126 -

3. Muslim Law

In India, la legge di famiglia musulmana è amministrata dall’autorità statale, come

accade al diritto di famiglia hindu. Com’è successo per l’Hindu Law, anche per il

diritto islamico sono stati provati alcuni limitati tentativi di codificazione. Per di più

anche l’applicazione del diritto di famiglia islamico è soggetto all’influenza del

precedente giurisprudenziale e dei provvedimenti legislativi adottati dallo Stato.

Anche in questo caso il sistema giuridico anglosassone ha influito sull’evoluzione del

diritto musulmano.

Le fonti della legge islamica sono il Corano e gli hadith, dei detti e delle azioni di

Maometto. Gli hadith furono compilati nei primi secoli di diffusione dell’Islam e

alcune delle più antiche scritture costituiscono dei classici della letteratura giuridica

musulmana.

Le due grandi correnti in cui si divide l’Islam, quella sunnita e quella sciita, seguono

i precetti di scritture diverse.

Un’altra fonte importante è l’ijma, letteralmente “consenso dei giuristi”, che è

formata da pareri dei seguaci e degli allievi del Profeta.

Infine il qiya, o “analogia”, è una raccolta di deduzioni che derivano dal raffronto tra

le prime tre fonti di norme.214

Avendo come base queste fonti, è stata formulata una successiva legge islamica che è

stata codificata secondo diverse versioni, a seconda della scuola giuridica a cui si

riferiva. Queste scuole sono comparse nella prima fase di evoluzione del diritto

islamico. Sono tutte valide e autorevoli, anche se non sono scambiabili tra loro: ogni

gruppo religioso presente nei paesi islamici o dove l’Islam si è diffuso, infatti, si

riferisce a scuole precise. In India sono riconosciute come principali scuole di diritto

islamico: la Hanafi, la Shafei, l’Ithna Anshari o Jafari, l’Ismaili o Fatimi. Le prime

due sono seguite dai Sunniti, e le altre dagli Sciiti.215

214

CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di

famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il

terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,

Franco Angeli, Milano, 2002, p.346. 215

CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di

famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il

terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,

Franco Angeli, Milano, 2002, p.347.

- 127 -

La formulazione e l’applicazione del diritto di famiglia, la shari’a, cambia in base

alle quattro scuole generalmente seguite in India.

Nonostante il fenomeno delle caste sia solo della società indù, non bisogna pensare

che la società musulmana non sia meno complessa e stratificata. All’interno della

comunità musulmana in India esiste una varietà di gruppi non solo religiosi, ma

anche etnici. Alcuni di questi gruppi si collocano su posizioni in un certo senso

eterodosse rispetto alla comunità e alle scuole dottrinali principali. Altre si

distinguevano per il carattere ibrido della loro fede, che univa elementi musulmani e

hindu.

In seguito si tentarono un’unificazione e un’uniformazione delle varie tendenze

dottrinali e legali in materia di legge personale del diritto musulmano, simili a quello

attuato e in parte realizzato per il diritto indiano.

Il Muslim Personal Law (Shariat) Application Act del 1937 estendeva l’applicazione

della shari’a, almeno teoricamente, a tutta la popolazione musulmana dell’India.216

“ 2. Notwithstanding any custom or usage to the contrary, in all questions regarding

intestate succession, special properties of females, including personal property

inherited or obtained under contract or gift or any other provision of personal law,

marriage, dissolution of marriage […], maintenance, dower, guardianship, gifts,

trust and trusts properties, and wakfs […] the rule of decision in cases where the

parties are Muslims shall be the Muslim Personal Law (Shariat) ”.217

216

CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di

famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il

terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,

Franco Angeli, Milano, 2002, p.347. 217

Muslim Personal Law (Shariat) Application Act, 1937, riportato da Mahmood, pp.299-300, cit. in

CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di

famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il

terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,

Franco Angeli, Milano, 2002, p.347.

- 128 -

Le scuole di diritto musulmane e altre comunità di minore importanza hanno adottato

solo in parte la shari’a, continuando a osservare le loro usanze consuetudinarie,

soprattutto in materia di eredità e successioni.

Non solo, ma la definizione uniformante di “Shariat” non rende la diversificazione

determinata dall’esistenza delle quattro scuole di diritto riconosciute in India. Perciò,

quando si parla della shari’a e della sua attuazione nel sistema indiano bisogna

sempre tener presente questa importante differenziazione.

3.1 Il matrimonio

Il matrimonio, secondo l’Islam, è un contratto, non un sacramento. Pertanto il

matrimonio è soggetto al consenso delle parti, alla risoluzione e all’adattamento dei

suoi termini secondo le richieste dei contraenti.

La stesura del contratto è resa più solenne dalla recitazione di alcuni versi del

Corano. I festeggiamenti che seguono non devono essere intesi come un rituale di

celebrazione.

In questi termini, il matrimonio islamico sembra essere un’istituzione molto liberale,

ma anche molto coercitiva. “ È infatti risaputo che il peso delle famiglie è

considerevole nella realizzazione dei matrimoni, ancora largamente combinati, nelle

società musulmane. Il consenso è quindi in moltissimi casi prevaricato dalla volontà

delle famiglie degli sposi. Una condizione che lede gravemente la libertà delle parti e

in molti casi compromette la felicità coniugale, con un danno quasi sempre maggiore

per la donna che per l’uomo.

Gli elementi potenzialmente progressisti del contratto di matrimonio musulmano

sarebbero in grado di emergere se fossero rispettate le condizioni di effettiva parità

tra i coniugi, che la tradizione coranica non preclude affatto. Non solo, ma se al

matrimonio musulmano fosse restituita la sua originale funzione di legalizzare i

rapporti amorosi e la procreazione, verrebbe anche superata la pratica deteriore del

matrimonio combinato ”.218

218

CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di

famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il

terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,

Franco Angeli, Milano, 2002, p.348.

- 129 -

Anche nel diritto di famiglia musulmano sono enunciate le cause d’impedimento che

renderebbero impossibile il matrimonio: queste sono sette.

In primo luogo il numero dei coniugi: è risaputo che il Corano stabilisce un massimo

di quattro mogli per il marito, mentre la donna deve essere rigorosamente

monogama.

La religione dei coniugi rappresenta un altro impedimento: le scuole di diritto seguite

in India permettono il matrimonio tra un uomo musulmano e una donna kitabiyya,

cioè devota a una delle religioni del “libro”, kitab. Perciò un uomo musulmano può

sposare una donna cristiana o ebrea.219

In India è considerato irregolare, ma non vietato, il matrimonio con seguaci di altre

religioni come hindu o parsi. Quest’atteggiamento di tolleranza giuridica era presente

già in epoca moghul.

Una donna musulmana, invece, può sposare solo un uomo musulmano. In India,

però, i matrimoni misti sono previsti, regolati e riconosciuti dalla legge, che in questo

caso non sarà religiosa. Come ho già accennato, lo Special Marriage Act del 1954 è

servito a rendere legittimi i matrimoni misti. Anche se in numero limitato, i

matrimoni tra hindu e musulmani si sono sempre celebrati in India, ma da alcuni anni

la propaganda di organizzazioni fondamentaliste hindu ha provocato il rafforzarsi

dell’idea contraria a queste unioni. Quando in un paese o in un quartiere di una città

si viene a sapere di un prossimo matrimonio misto, spesso succede che i due futuri

sposi e le loro famiglie siano vittime di minacce e violenze da parte di questi fanatici

hindu. 220

219

CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di

famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il

terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,

Franco Angeli, Milano, 2002, p.349. 220

CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di

famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il

terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,

Franco Angeli, Milano, 2002, p.349.

- 130 -

Un’altra causa d’impedimento del matrimonio è la consanguineità, come il rapporto

figlio-genitore adottivo. Inoltre un uomo non può sposare due donne unite da un

legame di parentela, come due sorelle o zia e nipote.

Il periodo di astinenza (idda), variabile secondo le scuole, che deve osservare la

donna dopo il divorzio, è una causa d’impedimento del matrimonio. Questa prassi

serve a evitare confusione nella paternità di eventuali figli concepiti prima del

divorzio. 221

Infine vi sono degli impedimenti misti, come il pellegrinaggio alla Mecca, durante il

quale si vietano le unioni coniugali e il divorzio, perché impedisce un successivo

matrimonio tra gli stessi coniugi. È però risaputo che, secondo l’Islam, quando è

pronunciata la formula del ripudio, quei due coniugi possono risposarsi tra loro solo

ad alcune condizioni. La donna deve osservare il periodo di astinenza, sposare un

altro uomo e consumare il matrimonio. A questo punto il secondo marito deve

divorziare perché la donna sia libera di risposare il suo primo marito. Le unioni

finalizzate a questo scopo sono concordate preliminarmente: è il c.d. matrimonio

fittizio.

221

CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di

famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il

terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,

Franco Angeli, Milano, 2002, p.350.

- 131 -

3.2 Il divorzio

Il divorzio è previsto e regolato dalla legislazione musulmana e finora è stato uno

strumento ad uso esclusivamente maschile.

“ È noto infatti che, mentre un uomo musulmano può divorziare dalla moglie

semplicemente sulla base dell’incompatibilità, questo diritto non è riconosciuto alla

donna, negli stessi termini in cui è riconosciuto all’uomo. Mentre un marito se la

cava semplicemente pronunciando la formula del ripudio, la donna deve sottoporre i

propri problemi all’attenzione di un giudice e avere dei testimoni o delle prove che

confermino la cattiva condotta del marito. Sia per il Corano che per la shari’a le

motivazioni che possono legittimare la richiesta di divorzio da parte della moglie

sono l’incuria del marito e l’incapacità di garantire benessere, non solo materiale,

alla famiglia, l’adulterio, la crudeltà. La posizione della donna musulmana in

relazione al divorzio è quindi di evidente svantaggio ”. 222

All’uomo musulmano è riconosciuto un potere assoluto di ripudiare sua moglie in

qualunque momento, anche senza ragione.

“ Il termine talaq, significa “ripudio”, “divorzio”, deriva dalla radice tallaqa, che

significa liberare un animale dalla catena che lo tiene legato o dalla cavezza. In

termini legali talaq significa quindi liberare la moglie dal legame del matrimonio.

Questo stesso termine è lo stesso che viene utilizzato dall’uomo nel momento in cui

pronuncia la formula del ripudio. Il divorzio è attivo nel momento in cui è

pronunciata la formula, anche in assenza di testimoni e della moglie, che non è

neppure necessario avvisare ”. 223

In India alcune scuole, come la Hanafi, non considerano alcuna formula specifica,

mentre altre, come la Ithna Ashari, pretendono che sia utilizzata una formula

specifica e che sia espressa in termini chiari e precisi l’intenzione di sciogliere il

matrimonio.

Le pronunce del talaq possono essere revocabili o irrevocabili.

222

CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di

famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il

terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,

Franco Angeli, Milano, 2002, p.350. 223

CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di

famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il

terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,

Franco Angeli, Milano, 2002, pp.350-351.

- 132 -

Un pronunciamento di divorzio revocabile concede all’uomo un locus penitentiae, la

formula irrevocabile, invece, produce il risultato dell’impossibilità di riconsiderare la

questione.

Le principali forme di divorzio possono essere ordinate nel seguente modo:

1. talaq-al-sunna, ovvero in conformità con i dettami del Profeta

a) ahsan, o la “più approvata”

b) hasan, approvata

2. talaq-al-bida, ovvero “secondo innovazione”, quindi non approvata

a) tre dichiarazioni di divorzio nello stesso momento, definito anche

“triplo divorzio”

b) una sola dichiarazione irrevocabile, solitamente resa per iscritto.224

“La forma ahsan consiste nel pronunciare la formula del divorzio una sola volta nel

periodo di tuhr, o di “purezza”, ovvero quando la moglie non ha il ciclo mestruale e

quindi si trova in un periodo potenzialmente fertile. A questo deve seguire un

periodo di astinenza, che dura per tutto il periodo di tuhr e per quello dell’idda. Dopo

la conclusione dell’idda, il divorzio è considerato irrevocabile. In caso di divorzio

l’idda ha una durata di tre cicli mestruali o fino al parto, se la donna aspetta un

figlio”. 225

Il periodo di astinenza serve appunto a non confondere la paternità di figli nati dopo

il divorzio, ma soprattutto è ritenuto un periodo di riflessione concesso al marito,

durante il quale egli può tornare sulla propria decisione. Il marito, infatti, può

revocare il divorzio in qualunque momento durante l’idda e manifestare la sua

decisione a parole o con fatti concreti: la ripresa dei rapporti sessuali è un chiaro

segno di revoca del divorzio.

224

CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di

famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il

terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,

Franco Angeli, Milano, 2002, p.351. 225

CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di

famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il

terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,

Franco Angeli, Milano, 2002, p.351.

- 133 -

Nel procedimento di divorzio, si può rilevare l’importanza fondamentale della

parola.

La legge musulmana conta sul senso di responsabilità dei singoli. Gli uomini

musulmani educati da famiglie virtuose crescono con l’idea che il divorzio sia uno

strumento di libertà, ma anche una pratica deteriore. Inoltre, quando i problemi di

coppia ormai sono molto evidenti, le famiglie e gli amici si adoperano perché si

appianino i dissapori. Nella maggior parte dei casi, quando uno dei due coniugi

esprime la volontà di divorziare, questa situazione è vissuta con grande rammarico

dai familiari e amici, tranne che il comportamento della controparte sia stato

inequivocabilmente riprovevole.

“ Il divorzio hasan è approvato, ma meno della precedente. Questa modalità consiste

nel ripetere la formula del ripudio per tre consecutivi periodi di “purezza”. Secondo

questa tipologia, il divorzio diviene effettivo dopo circa tre mesi. Se nel frattempo

riprendono i rapporti sessuali tra coniugi o il marito revoca il ripudio, il divorzio è

annullato. Se invece il periodo trascorre senza ripensamenti, alla sua conclusione il

divorzio diviene effettivo, i rapporti sessuali illegittimi e deve trascorrere il periodo

di idda, nelle modalità descritte. Secondo questa forma di divorzio, i due coniugi non

possono risposarsi tra loro, a meno che non si ricorra al matrimonio fittizio. Il

matrimonio fittizio rappresenta una sorta di punizione che l’uomo deve affrontare,

per aver commesso un’azione sostanzialmente peccaminosa come il divorzio ”.226

226

CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di

famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il

terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,

Franco Angeli, Milano, 2002. , p.352.

- 134 -

Le altre due forme di divorzio non sono riconosciute dalla scuola Ithna Ashari e

Fatimi e sono disapprovate da Sunniti e Sciiti perché vengono ritenute delle

deplorevoli scorciatoie. La formula della tripla dichiarazione consiste nel concentrare

in una sola volta le tre formule del ripudio che nella forma hasan sono diluite in tre

mesi. Invece la formula dell’unica dichiarazione irrevocabile, resa per iscritto, si

ritiene che sia una versione abbreviata del divorzio ahsan. Queste due forme di

divorzio sono oggi molto praticate in India a differenza che negli altri paesi

musulmani.227

Si assiste a una contraddizione per cui, nonostante non sia un paese

musulmano, l’India applica una delle istituzioni più retrograde della legge personale

islamica.

“ Un’altra importante forma di divorzio è rappresentata dal talaq-e tawfid, o divorzio

per delega. In questo caso viene stipulato un contratto secondo il quale, ad alcune

condizioni, il marito rimette la scelta del divorzio nelle mani della moglie. Uno dei

fini che rendono legittima questa forma di divorzio è il fatto di evitare che il marito

sposi una seconda moglie senza il consenso della prima. Un’altra importante ragione

è rappresentata dalla necessità di far fronte all’eventuale incapacità da parte del

marito di provvedere al mantenimento della moglie. Questa forma di divorzio è

l’arma più efficace che le donne hanno di ottenere il divorzio, senza ricorrere al

tribunale ”.228

In India, non essendoci ancora una legislazione uniforme in tal senso, questa pratica

di divorzio è molto diffusa tra le donne musulmane.

Bisogna prendere in considerazione anche il caso in cui un uomo musulmano sposi

una donna di religione diversa, visto che ciò è permesso dalla shari’a. In caso di

divorzio l’uomo potrà ricorrere al talaq, come previsto nella shari’a.

227

CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di

famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il

terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,

Franco Angeli, Milano, 2002, p. 352. 228

CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di

famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il

terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,

Franco Angeli, Milano, 2002, p.353.

- 135 -

Se invece egli si adegua alle formalità del paese della moglie non potrà ricorrere al

talaq, ma dovrà accettare le leggi in vigore nel paese della moglie. Lo Special

Mariage Act del 1954 regola il divorzio tra un uomo musulmano e una donna

hindu.229

La legislazione islamica disciplina anche il divorzio consensuale, che avviene

quando entrambi i coniugi prendono atto, di comune accordo, dell’impossibilità di

continuare il rapporto matrimoniale, per cause d’incompatibilità o altro. In questo

caso la donna può decidere di restituire all’uomo una parte o la totalità della cifra che

egli le aveva dato in dote al momento del contratto di matrimonio (mahr), ma questa

clausola è facoltativa.230

Quando si ha come causa di divorzio l’adulterio della donna, questo deve essere

provato e quindi interverrà il giudice perché non basterà che il marito pronunci la

formula del ripudio. Nel caso in cui l’adulterio non sia certo, l’uomo ha la possibilità

di ritrattare in udienza. Se invece non ha intenzione di ritrattare, sarà chiamato a

esprimersi con quattro dichiarazioni, alle quali la donna ha diritto di replica con

simili dichiarazioni d’innocenza. Le quattro dichiarazioni sostituiscono i quattro

testimoni, necessari per dimostrare l’adulterio secondo i principi classici della legge

musulmana.

Infine un’altra importante forma di divorzio è quella per decreto. In questo caso, i

coniugi, nell’incapacità di risolvere i contrasti, si rivolgono a un giudice che tenterà

di ricomporre la lite. Se la riappacificazione è irrealizzabile, il matrimonio è

annullato per decreto.

229

CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di

famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il

terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,

Franco Angeli, Milano, 2002, p.353. 230

CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di

famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il

terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,

Franco Angeli, Milano, 2002, p.353.

- 136 -

“ Questo tipo di divorzio è noto come faskh, un termine che deriva da una radice il

cui significato è “annullare” o “rescindere un contratto”.

Si tratta di una pratica che trae origine dal Corano, ma è stata introdotta in India dal

Dissolution of Marriage Act del 1939, che l’ha imposta a tutte le scuole di diritto

musulmano seguite nel paese. Attraverso il ricorso a un’entità super partes, questa

legge rafforza la posizione delle donne. ” 231

La richiesta di divorzio da parte della moglie può essere accettata se si verificano

determinate circostanze, ad esempio: la scomparsa del marito per un periodo non

inferiore a quattro anni, l’incapacità di mantenere moglie e prole, l’incarcerazione

per un periodo superiore a sette anni, l’incapacità di adempiere alle proprie funzioni

coniugali per un periodo inferiore ai tre anni, l’impotenza, la malattia mentale per un

periodo superiore a due anni, la lebbra o una malattia sessualmente trasmessa, la

crudeltà. A queste cause si deve aggiungere il matrimonio contratto da parte del

padre o del nonno della sposa, quando questa aveva un’età inferiore a quindici

anni.232

231

CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di

famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il

terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,

Franco Angeli, Milano, 2002, p.354. 232

CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di

famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il

terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,

Franco Angeli, Milano, 2002, p.354.

- 137 -

3.3 La successione

Il diritto islamico disciplina la successione in modo molto articolato e completo.

Il marito e la moglie possono essere eredi l’uno dell’altra; le donne possono

ereditare, anche se solo la metà di un capitale destinato all’uomo.

I genitori e i parenti di grado ascendente ereditano, anche se vi è un discendente

maschio.

Esistono alcune regole di esclusione dall’asse ereditario: i coniugi, i genitori e i figli

non possono essere mai esclusi dall’eredità, ma possono estromettere altre persone.

Motivi di estromissione possono essere la differenza di religione, lo stato di

schiavitù, l’illegittimità o il sesso.

L’Islam stabilisce che un non musulmano non può ereditare da un musulmano, anche

se in India questa regola non dovrebbe essere osservata perché lederebbe i principi

fondamentali della Costituzione. Questa regola, però, è seguita e spesso capita che

parenti hindu non riescano a ereditare da membri musulmani della famiglia.

Nonostante la schiavitù non esista più, questa regola è ancora in vigore in India.

I figli illegittimi possono ereditare dalla madre, ma non dal padre. Infine le figlie

femmine possono essere estromesse in base a norme consuetudinarie o regole che

sono in vigore in comunità minori.

La norma più importante e interessante riguardante la successione è quella

sull’eredità tra marito e moglie. Questa prevede che, se muore la moglie, in presenza

di figli, il marito eredita un quarto della cifra dedotte le spese funerarie, anche

eventuali debiti. Se invece non ci sono figli, il marito eredita la metà del patrimonio.

In caso di morte del marito, se ci sono figli, la moglie eredita un ottavo del

patrimonio, se invece non ci sono figli, eredita un quarto. Se vi sono più mogli,

queste dovranno dividere equamente la parte di un ottavo o di un quarto loro

destinata.

I figli dividono la parte rimanente, secondo il principio per cui ai figli maschi spetta

una parte in più delle femmine, vale a dire, rispettivamente due settimi e un

settimo.233

233

CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di

famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il

terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,

Franco Angeli, Milano, 2002, p.358.

- 138 -

4. Le Family Courts

Il matrimonio, come istituzione, è diventato oggetto di un esteso controllo

giurisdizionale. Esiste, infatti, una serie di provvedimenti che si occupano di

matrimonio in tutti i suoi aspetti.

La necessità di istituire tribunali di famiglia è stata sottolineata da Durgabi

Deshmukh, che nel 1953, dopo un suo viaggio in Cina, dove studiò il lavoro dei

tribunali di famiglia, propose l’istituzione di tali tribunali in India a Jawaharlal

Nehru, all’epoca Primo Ministro.

La costituzione dei tribunali di famiglia è considerata una pietra miliare nella storia

della giustizia indiana. Il Family Courts Act 234

del 1984 stabilì che la creazione di

tribunali di famiglia doveva essere resa nota e obbligatoria attraverso la

comunicazione sulla Gazzetta ufficiale da parte del Governo centrale. Queste Corti

dovevano essere situate in città, dove la popolazione superava il milione di abitanti o

in una qualsiasi zona in cui il Governo centrale lo ritenesse necessario.

Uno o più giudici compongono la Family Court, ma ogni giudice è competente ad

esercitare tutti i poteri della Corte.

Il Preambolo della legge, The Family Courts Act del 1984, emanata dal Parlamento

indiano, afferma che essa è: “ An Act to provide for the establishment of Family

Courts with view o promote conciliation in, and secure speedy settlement of disputes

relating to marriage and family affairs and for matters connected therewith. ”

Nel Preambolo, quindi, sono enunciati gli obiettivi in capo ai tribunali di famiglia

che consistono nel promuovere la conciliazione e garantire una rapida risoluzione

delle controversie in materia di matrimonio e diritto di famiglia per i casi connessi ad

esso.

I tribunali di famiglia sono liberi di sviluppare le proprie regole di procedura, e una

volta che il tribunale le applica, le leggi così inquadrate scavalcano le norme

procedurali contemplate nel codice di procedura civile. Difatti il codice di procedura

civile è stato modificato per poter permettere ai tribunali di famiglia di creare proprie

norme procedurali.

234

Adv. PHILIP MATHEW, BIMAL ANTONY, “Family Courts: Objectives and Functioning”,

2011, in www.academia.edu/3354551/familycourts-objectivesandfunctioning .

- 139 -

Molta importanza è data alla risoluzione delle controversie attraverso la mediazione e

la conciliazione. Questo assicura che la soluzione dei casi avvenga attraverso un

accordo tra entrambe le parti e riduce la possibilità di successivi conflitti.

Lo scopo, dunque, di questi tribunali è di creare un ambiente conforme dove le

controversie familiari siano risolte in via amichevole. I casi sono tenuti lontani dalle

trappole di un sistema giuridico formale.

La legge prevede che una parte non ha diritto a essere rappresentata da un avvocato

senza l’espressa autorizzazione della Corte. Tuttavia, immancabilmente la Corte

concede l’autorizzazione e solitamente è presente un avvocato che rappresenta le

parti.

L’aspetto più singolare riguardante il procedimento dinanzi al tribunale di famiglia è

che per prima cosa si attua la procedura di conciliazione per risolvere il caso, ma, se

la procedura di conciliazione non si ultima con successo, il caso sarà portato in

giudizio davanti alla Family Court. I conciliatori sono professionisti nominati

direttamente dalla Corte.

Una volta concluso il giudizio, la parte che si ritiene lesa dalla sentenza potrà

presentare ricorso dinanzi all’High Court. Tale appello sarà ascoltato da una Corte

composta di due giudici.

La giurisdizione dei tribunali di famiglia si occupa di tutti i casi che riguardano le

questioni matrimoniali, il mantenimento o gli alimenti e la custodia dei figli in una

controversia civile o di divorzio. Inoltre le Family Courts trattano i seguenti

argomenti:

- istanze o azioni legali tra le parti di un matrimonio: separazione legale,

annullamento del matrimonio o divorzio;

- questioni di mantenimento;

- in determinate circostanze, ordini d’ingiunzione derivanti da un rapporto

matrimoniale;

- accertamento dello stato di legittimità di qualsiasi persona;

- istanze o azioni legali riguardanti dispute tra le parti per la proprietà;

- tutela o custodia di eventuali minori o bambini.235

235

Adv. MATHEW P., ANTONY B., “Family Courts: Objectives and Functioning”, 2011, in

www.academia.edu/3354551/familycourts-objectivesandfunctioning .

- 140 -

Come già detto, i tribunali di famiglia sono abilitati a formulare le proprie norme

procedurali, ma fino ad allora devono seguire il codice di procedura civile. Questa è

una delle caratteristiche che rende unico il tribunale di famiglia indiano, e non è la

sola.

Non è necessario raccogliere testimonianze e la sentenza può essere concisa

contenendo solo la descrizione del caso e i motivi della decisione.

Il ricorso all’High Court può essere presentato entro trenta giorni dalla data della

sentenza, ordinanza o decreto emesso dal tribunale di famiglia.

Il procedimento può essere svolto nell’ufficio privato del giudice sa la parte lo

desidera.

Come affermato in precedenza, le parti non possono essere rappresentate da un

avvocato senza l’autorizzazione del giudice, ed egli può decidere di imporre i servizi

di un esperto legale come amicus curiae.

Secondo il Family Courts Act, il Governo statale, in consultazione con la High Court,

può stabilire norme riguardanti l’Association of social welfare agencies, per regolare

le sue funzioni e i suoi scopi relativamente alle attività svolte con il tribunale di

famiglia e si tratta di: regolare le istituzioni e organizzazioni che sono impegnate in

attività di assistenza sociale o dei loro rappresentanti; prevedere la presenza di

persone professionalmente impegnate in attività di promozione del benessere della

famiglia e infine il lavoro delle persone che si occupano del benessere sociale e di

qualsiasi altra persona facente parte di un’associazione che, lavorando con un

tribunale di famiglia, può esercitare la propria competenza in modo più efficace in

conformità con le finalità del Family Courts Act.236

In conclusione bisogna evidenziare che la mancanza di uniformità per quanto

riguarda le norme stabilite dai diversi Stati porta anche alla scorretta applicazione

della legge. Anche se la legge mirava a rimuovere il pregiudizio di genere nella

normativa vigente, l’obiettivo è ancora da raggiungere.

La sostituzione frequente dei consulenti matrimoniali sta causando molti problemi

alle donne perché a ogni nuovo consulente devono raccontare dall’inizio la loro

situazione e questo porta a un rallentamento nel procedimento civile.

236

MATHEW P., ANTONY B., “Family Courts: Objectives and Functioning”, 2011, in

www.academia.edu/3354551/familycourts-objectivesandfunctioning .

- 141 -

5. Il conflitto tra diritto statale e diritti personali: il caso Shah Bano

Un altro punto di vista della complicata interazione tra diritto statale e diritti religiosi

si evidenzia quando, per le caratteristiche dei casi trattati, devono essere applicate sia

norme che rientrano nel diritto personale, specifico di una determinata comunità, sia

norme di carattere territoriale, applicabili a tutti i cittadini indiani. A questo proposito

ha avuto importantissimo rilievo il caso Shah Bano deciso dalla Supreme Court nel

1985, che è considerato di grande interesse non solo per le delicate questioni

giuridiche affrontate, ma anche e soprattutto per le reazioni che provocò in tutta

l’India acuendo la contrapposizione tra le comunità musulmana e hindu.

“ Quel che entrò chiaramente in gioco nella vicenda giudiziaria legata al nome Shah

Bano fu l’uguaglianza della tutela dei diritti dei cittadini indiani, che si venne a

scontrare con l’applicazione di un diritto personale, con tutte le sue implicazioni che

ciò poteva avere sui sentimenti della comunità musulmana, molto sensibile al

riconoscimento delle proprie prerogative all’interno della società indiana e al

rapporto con le altre comunità ”.237

237

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.150.

- 142 -

5.1 La cronologia dei fatti

La vicenda riguarda un’anziana donna musulmana, Shah Bano, sposatasi con Ahmed

Khan, un avvocato benestante, nel 1932. Dopo quarantaquattro anni di matrimonio il

marito la allontanò di casa e nel 1978 essa gli fece causa per ottenere il

mantenimento. Qualche mese dopo il marito divorziò dalla donna con il

procedimento di talaq definitivo, come già descritto, un atto unilaterale di ripudio

che costituisce il metodo più comune di divorzio nel diritto islamico.

Il marito, a seguito del divorzio, chiedeva l’applicazione della norma del diritto

islamico per cui il periodo di mantenimento della donna divorziata è limitato

all’iddat, cioè tre mesi.

Nel 1980 l’High Court del Madhya Pradesh aveva riconosciuto il diritto al

mantenimento a Shah Bano e così la questione fu portata dall’ex marito davanti alla

Supreme Court.238

Shah Bano aveva basato la sua difesa sull’art. 125 del Codice di Procedura Penale:239

“ (1) If any person having suficient means neglets or refuses to maintain- (a) his

wife, unable to maintain herself…, a Magistrate of the first class may, upon proof of

such neglecter refusal, order such person to make a monthly allowance for the

maintenance of his wife ”.240

Lo stesso articolo prevede che in caso d’inadempimento sia comminata la pena del

carcere fino a un mese o fino al momento dell’effettuato pagamento, se precedente.

Il tema del mantenimento è materia del diritto civile.

“Questa disposizione del Codice di Procedura Penale è giustificata dal fatto che si è

inteso trovare un rimedio a situazioni d’indigenza che, potendo mettere a rischio la

vita delle persone, richiedono una tutela più rapida di quella che potrebbe essere

garantita da un costoso processo civile diretto ad accertare il diritto al

mantenimento”.241

238

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010. 239

Il Codice di Procedura Penale del 1973 deriva da quello del 1898, nel quale il beneficio

naturalmente non era previsto a favore delle done divorziate. 240

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

pp.150-151. 241

R. N. SAXENA, The Code Of Criminal Procedure, Central law Agency, Allahabad, 2004, cit. in

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.151.

- 143 -

Le domande a cui diede risposta la Corte Suprema, furono le seguenti:

- se con il pronunciamento del talaq, e con la fine del periodo dell’iddat, una moglie

divorziata cessa di essere moglie;

- se c’è conflitto tra le disposizioni dell’art.125 del Codice di Procedura Penale, e

quelle della legge personale musulmana riguardo alla responsabilità del marito

musulmano nel provvedere al mantenimento della moglie divorziata;

- se l’art.127 del Codice di Procedura Penale escluda il pagamento di un

mantenimento alla moglie divorziata, una volta che il mahr o dono nuziale sia stato

pagato;

- se la responsabilità del marito nel mantenere la moglie divorziata è limitata al

periodo dell’iddat;

- se il mahr è un mantenimento.242

La situazione che si creò fu quella di un conflitto tra il diritto musulmano, applicato

come legge personale, che pone dei limiti al diritto di mantenimento, e una legge

territoriale, quindi applicabile a tutti i cittadini indiani, inclusi i musulmani, che non

considera tale limite.

242

CAPUTO L., “Donne e diritti in India: il caso Shah Bano”, 2008, in

www.unipa.it/seminari/diritti_e_donne_in_india_shah_bano.doc .

- 144 -

5.2 Gli articoli del Codice di Procedura Penale indiano: da 125 a 128

Come già affermato, Shah Bano fondò la sua richiesta per il mantenimento in base

all’art. 125 del Codice di Procedura Penale. Gli artt. 125 e seguenti, del Codice di

Procedura Penale sono provvedimenti generici, utili ad assegnare un veloce e

contenuto rimedio economico a una classe di persone che non sono in grado di

mantenere se stesse. I soggetti dei provvedimenti sono persone indigenti che hanno

un parente prossimo abbiente, e quindi in grado di fornire loro un mantenimento che

le faccia sopravvivere. Il tipo di mantenimento previsto è simile a un’elemosina e per

molto tempo è stato sottoposto a un limite massimo di 500 rupie (limite rimosso solo

nel 2001).243

Questi articoli del codice hanno lo scopo di mantenere l’ordine pubblico, perché volti

alla prevenzione del vagabondaggio e dei suoi effetti sociali negativi.

Chiaramente, non si tratta di una materia di diritto civile riguardante il diritto al

mantenimento, da assegnarsi a una donna divorziata appartenente a una specifica

comunità religiosa.

Fino alla sentenza del 1985, gli articoli del Codice di Procedura Penale si

applicavano a tutte le comunità religiose visto che è legge penale generale.

L’ordinamento giuridico indiano, come si sa, è molto complesso, possiede un diritto

penale uniforme, mentre mantiene, per certi casi di diritto civile, le norme specifiche

di ogni comunità (Personal Laws). Ciò risale a una scelta britannica, volta a un non

intervento in questioni riguardanti usi e costumi legati alla religione specifica di ogni

comunità. Per questo motivo, già nel 1872, un articolo del Codice di Procedura

Penale, l’art. 488, era diretto antesignano dell’art. 125 c.p.p. del 1973.244

Invece per

le questioni inerenti il diritto civile vigono tutt’oggi le Personal Laws. Alcune di

queste regole personali, nel corso degli anni, sono state riviste. Fra le leggi che hanno

provveduto alla “revisione” vi è l’Hindu Code Bill, mentre il diritto personale

musulmano non è mai stata riformato.

243

CAPUTO L., “Donne e diritti in India: il caso Shah Bano”, 2008, in

www.unipa.it/seminari/diritti_e_donne_in_india_shah_bano.doc . 244

CAPUTO L., “Donne e diritti in India: il caso Shah Bano”, 2008, in

www.unipa.it/seminari/diritti_e_donne_in_india_shah_bano.doc .

- 145 -

Visto l’importanza dei temi che sono contenuti nei Personal Laws, soprattutto per

quanto riguarda i diritti delle donne, la modifica effettuata nel 1973 al Codice di

Procedura Penale ha permesso alle mogli divorziate il ricorso agli artt. 125 e seguenti

del codice stesso, dato che tale modifica faceva entrare tra gli aventi diritto anche

l’ex-moglie.

Il vantaggio del ricorso alla legge penale consiste nel fatto che dà risposte più veloci

ed efficaci.

Mohammed Ahmed Khan, ex-marito di Shah Bano, fece appello alla Corte Suprema

in merito all’art.127 del Codice di Procedura Penale.245

La norma, infatti, permette al

giudice di modificare un precedente ordine di mantenimento, assegnato ex art. 125

del Codice di Procedura Penale.

L’utilizzo dell’art. 127 è dovuto al fatto che nella legislazione islamica il matrimonio

è un contratto, che si può risolvere, e dopo il divorzio non resta nessun legame tra gli

ex-coniugi. La donna, generalmente, può risposarsi.

Essendoci diverse scuole di diritto islamico, la situazione può cambiare da zona a

zona.

Secondo la norma islamica l’uomo ha principalmente due doveri nei confronti

dell’ex-moglie: la restituzione del mahr, una sorte di dote che lo sposo deve alla

sposa per il solo fatto di aver contratto e consumato il matrimonio, e il pagamento del

mantenimento, per un preciso periodo di tempo, dopo la pronuncia del talaq. Questo

secondo obbligo, detto mata, nel diritto islamico indiano ha dato luogo a diverse

interpretazioni, poiché gli studiosi tentennano sul significato da dare alla parola, tra

“provvedere” e “mantenere”. L’accezione del termine mata è molto complicata e la

situazione di una donna divorziata cambia molto se si decide che abbia diritto ad un

mantenimento mensile o invece a un mantenimento limitato nel tempo.246

245

L’art. 127 c.p.p. riguarda le modifiche al provvedimento di sussidio (Alteration in allowance). 246

CAPUTO L., “Donne e diritti in India: il caso Shah Bano”, 2008, in

www.unipa.it/seminari/diritti_e_donne_in_india_shah_bano.doc .

- 146 -

Uno dei punti cruciali nell’interpretazione della regola islamica sulla questione del

mantenimento è proprio che, non essendoci più nessun legame tra gli ex-coniugi a

decorrere dalla fine dell’iddat, di solito si stabilisce che l’ex-moglie non abbia diritto

a un mantenimento oltre tale periodo.

Il senso dell’art. 127 c.p.p. è proprio quello di attenuare gli effetti dell’art. 125 c.p.p.,

secondo l’attuale visione della norma musulmana in India, come dimostra la sua

applicazione, contestuale alla modifica.247

247

CAPUTO L., “Donne e diritti in India: il caso Shah Bano”, 2008, in

www.unipa.it/seminari/diritti_e_donne_in_india_shah_bano.doc .

- 147 -

5.3 La sentenza della Supreme Court

La Corte Suprema, nell’aprile del 1985, si pronunciò a favore della prevalenza del

diritto territoriale su quello personale. Riconobbe all’anziana signora il diritto al

mantenimento in base all’art. 125 del Codice di Procedura Penale perché non

esisteva nessun motivo per escludere le donne musulmane dalla sua applicazione.

L’appartenenza a una determinata religione, sia essa musulmana, hindu, parsi o

qualunque altra, deve essere ritenuta totalmente irrilevante per l’applicazione di una

norma del Codice di Procedura Penale.

“ Lo scopo della norma, che è quello di evitare situazioni d’indigenza, “cut across

the barriers of religion” e il diritto personale delle parti non può avere nessun effetto

sull’applicabilità della norma, dal momento che la sua applicazione non viene

espressamente ristretta dalla legge. Infatti, l’art. 125 stabilendo l’applicabilità della

norma a una moglie, includendo anche la donna divorziata, non fa nessuna menzione

dell’appartenenza religiosa ”. 248

L’argomentazione della Corte ha però evitato di riconoscere un vero e proprio caso

di conflitto tra diritto islamico e diritto territoriale e, anche attraverso

l’interpretazione, in particolare delle norme coraniche, ha distinto lo stato della

donna che è in grado di provvedere a sé e agli altri, e la condizione della donna

esposta al rischio dell’indigenza. Pertanto la Corte, pur riconoscendo che in base al

diritto musulmano il diritto al mantenimento di una donna musulmana divorziata

termina allo scadere dell’iddat, ha creduto che questa norma non comprendesse il

caso in cui la donna divorziata non è in grado di provvedere per sé, cioè la situazione

prevista nell’art. 125 c.p.p., e quindi non vi è propriamente un conflitto.

In conclusione ciò che emerge è che se la donna divorziata può provvedere al suo

mantenimento, la responsabilità del marito termina con lo scadere dell’iddat, invece

la donna se non è in grado di mantenersi, ha il diritto di chiedere il mantenimento in

base all’art. 125 del Codice di Procedura Penale249

.

248

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.151. 249

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.152.

- 148 -

5.3.1 Le reazioni alla sentenza

I giudici interpretando sia la legge penale indiana sia alcune parti della normativa

personale islamica provocarono molte rimostranze: il verdetto ricevette una pessima

accoglienza da una buona parte della comunità islamica indiana e la società indiana

lo trasformò in un caso politico.

“ La valutazione della sentenza metteva in luce modi diversi di intendere la laicità

indiana, opponendo coloro che vedevano in essa una corretta applicazione del

principio e coloro che invece insistevano sul fatto che la laicità indiana includeva

necessariamente il rispetto dei diritti delle minoranze, mentre il caso Shah Bano si

traduceva, ad avviso di molti, in una violazione dei diritti della minoranza

musulmana, se non in una vera e propria aggressione contro l’identità musulmana.

[…] Mette in luce uno degli aspetti che diventeranno dominanti nel dibattito

sull’adozione del Codice civile uniforme, è la paura della comunità musulmana di

essere assimilata a quella hindu ”.250

È importante notare che le reazioni del Bharatiya Janata Party, il partito nazionalista

indiano, furono favorevoli perché la sentenza sembrava appoggiare il loro

programma politico di eliminazione di un diritto di famiglia musulmano distinto da

quello hindu, concepito come diritto nazionale.

Un altro aspetto della reazione musulmana, riguarda il rapporto tra diritti religiosi e

diritto statale. I diritti religiosi hindu, musulmano, e delle altre comunità sono

diventati diritti ufficiali, cioè sono applicati dalle Corti. Il giudice non è selezionato

in base alla sua fede religiosa e può capitare che un giudice hindu si occupi di una

materia di diritto islamico. Questo è quello che è successo per il caso Shah Bano, in

cui fu un giudice hindu non solo a intervenire sul diritto islamico, ma anche a

giustificare parte delle sue considerazioni in base all’interpretazione coranica,

scatenando la furia degli ulama, perché la consideravano un’intrusione.

250

TORRI M., Storia dell’India, Laterza, Roma-Bari, 2000, pp.719 e seguenti, cit. in

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.152.

- 149 -

5.3.1.1 Muslim Women (Protection of Rights on Divorce) Act (MWPRDA)

Dopo la sentenza del 1985 della Corte Suprema, ciò che ne seguì fu una complicata

situazione politica nazionale che indusse il primo ministro di allora, Rajiv Gandhi,

preoccupato di perdere peso elettorale presso i musulmani, a farsi ideatore di una

legge speciale.

Nel 1986 fu approvato il Muslim Women (Protection of Rights on Divorse) Act

(MWPRDA), con il quale fu regolata la materia del mantenimento in modo tale da

svuotare la decisione presa dalla Corte Suprema nel caso Shah Bano.

“ Il preambolo del MWPRDA dichiara che il fine dell’atto è “to protect the rights of

Muslim women who have been divorced by, or have obtained divorce from, their

husbands and to provide for matters connected therewith or incidental thereto.” E’

bene rimarcare che in questo caso siamo pienamente nella materia del diritto

personale musulmano e non del diritto territoriale ”.251

Il Parlamento, a seguito della crisi provocata dal caso Shah Bano, ricondusse la

materia nell’ambito del diritto personale islamico, accontentando così alcune

richieste della comunità musulmana.

La nuova legge cercò di porre fine a una situazione complessa derivante dalle

incertezze sulla definizione della norma di diritto musulmano.

Il MWPRDA è molto breve, composto di soli cinque articoli, e i più importanti per i

temi trattati, sono: il 3 e il 4.

L’art. 3 prevede che: “ Notwithstanding anything contained in any other law for the

time being in force, a divorced woman shall be entitled to – (a) a reasonable and fair

provision and maintenance to be made and paid to her within the iddat period by her

former husband ”.252

251

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.153. 252

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.153.

- 150 -

“ L’inizio dell’articolo chiaramente serve a escludere l’applicabilità dell’art. 125 del

Codice di procedura Penale, anche se va evidenziato che l’art. 5 prevede la

possibilità di assoggettamento volontario all’art. 125. L’art. 4 dispone invece che nel

caso in cui una donna divorziata, non risposata, “is not able to maintain herself after

iddat period” esiste il diritto al mantenimento.

Il punto spinoso è che questo diritto non è riconosciuto nei confronti del marito ma

nei confronti dei suoi parenti e, se questi non sono in grado di provvedervi, nei

confronti del wakf, vale a dire di una fondazione pia. Si può rimarcare allora la

differenza rispetto all’art. 125 del Codice di Procedura Penale dove il diritto al

mantenimento deve essere garantito dal marito ”.253

Daniel Latifi, che fu il difensore di Shah Bano durante il processo, ricorse contro

l’illegittimità costituzionale di tale legge254

.

Tra i vari argomenti sostenuti durante il ricorso, si può citare il seguente:

“ The Act is un-islamic and unconstitutional and it has the potential of suffocating

the Muslim women and it undermines the secular character, which is the basic

feature of the Constitution ”.255

L’Act è avvertito come una minaccia al carattere laico della Costituzione e al tempo

stesso come contrario agli sforzi di emancipazione delle donne musulmane.

253

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

pp.153-154. 254

Danial Latifi & Anr. v. Union of India (2001) http://indiankanoon.org/doc/410660/ 255

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.154.

- 151 -

“ L’argomento tecnico è che l’Act violerebbe gli artt. 14 e 21 della Costituzione che

stabiliscono il principio dell’uguaglianza di fronte alla legge e il diritto alla vita sia

perché è discriminatoria la stessa esclusione delle donne musulmane

dall’applicazione dell’art. 125 del Codice di Procedura Penale sia perché la tutela

derivante dalle sezioni 3 e 4 dell’Act è diversa256

.

Sull’altro fronte, l’opinione del Solicitor General, che rappresenta l’Unione indiana,

si concentra sul fatto che la questione del mantenimento rientra nel diritto personale e

che il diritto personale è “a legitimate basis for discrimination, if at all, and,

therefor, does not offend Article 14 of the Constitution.” Sotto altro profilo, è

osservato che il potere legislativo avrebbe pienamente la possibilità di modificare

l’art. 125 escludendo le donne musulmane. Quest’argomento, che sembra girare

attorno al problema con un approccio formalistico, in realtà centra la questione di

base, vale a dire l’esistenza in India di un sistema differenziato di diritti di famiglia e

la sua legittimità ”.257

La Corte, nel pronunciare la sua decisione, fa una premessa prendendo in

considerazione le condizioni sociali prevalenti nella società. Osserva che,

indipendentemente dall’appartenenza a una maggioranza o a una minoranza, si

evince che esiste un’ampia disparità tra uomini e donne per quanto riguarda la

disponibilità delle risorse economiche. La società indiana è “male dominated” 258

e

alle donne è assegnato un ruolo inferiore indipendentemente dalla classe sociale cui

appartengono. La Corte rileva anche che il matrimonio, a prescindere dal livello

d’istruzione della donna, frequentemente la porta a rinunciare alle proprie ambizioni

per dedicarsi alla famiglia, accentuando così la sua posizione di debolezza

economica e di dipendenza.

256

In base all’art. 14 “The State shall not deny to any person equality before the law or the equal

protection of the laws within the territory of India”. L’art. 21 stabilisce che “No person shall be

deprived of his life or personal liberty except according to procedure established by law” e include

anche il right to livelihood. 257

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.154. 258

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.155.

- 152 -

Secondo la Corte, il diritto al mantenimento delle donne che non riescono a

provvedere per sé sembra una questione di mera giustizia di genere e di diritti umani

“recognised by persons belonging to all religions and it is difficult to perceive that

Muslim law intends to provide a different kind of responsability ”.259

“ Ulteriormente la Corte afferma che la valutazione della questione deve essere

condotta in base al principio del secularism, che è parte della basic structure della

Costituzione. Infatti: “Solution to such societal problems of universal magnitude

pertaining to horizons of basic human rights, culture, dignity and decency of life and

dictates of necessity in the pursuit of social justice should be invariably left to be

decided on considerations other than religion or religious faith o beliefs or national,

sectarian, racial or communal constraints ”.260

Dopo aver pronunciato questo principio ispiratore, la Corte s’inoltra nell’analisi delle

disposizioni dell’Act. Il confronto delle disposizioni dell’Act con l’art. 125 del

Codice di Procedura Penale evidenzia, secondo i giudici, che le norme hanno lo

stesso scopo, vale a dire evitare l’indigenza imponendo a coloro che ne hanno la

possibilità di provvedere a chi si trova in grave difficoltà. Per questo motivo non si

può pensare che il regime differenziato dell’Act produca una discriminazione

privando un cittadino musulmano dei diritti che gli sono riconosciuti dal Codice. In

particolare, posto che gli stessi diritti che potevano essere difesi in base all’art. 125

possono ora essere tutelati dall’Act, quest’ultimo non può essere dichiarato

incostituzionale.

La Corte osserva anche che, nel momento in cui l’Act è entrato in vigore, il diritto

applicabile era quello sancito nel caso Shah Bano. Per l’accertamento del diritto

personale dei musulmani in merito ai diritti delle donne divorziate, il riferimento era

diventato il caso Shah Bano. La Corte ha evitato in questo caso di entrare

nuovamente nell’analisi delle norme di diritto islamico e di interpretare nuovamente i

versi del Corano e relativi commenti.261

259

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p. 155. 260

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p. 155. 261

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

pp. 155-156.

- 153 -

Quello che è invece importante prendere in considerazione, secondo la Corte, è se

l’Act abbia compiuto una deviazione dal diritto personale musulmano come stabilito

nel caso Shah Bano.

“ La conclusione della Corte su questo punto è che “The Act actually and in reality

codifies what was stated in Shah Bano’s case” ”.262

Come già affermato in precedenza, la ratio della norma del Codice di Procedura

Penale, su cui si basa il caso Shah Bano, è che il mantenimento serve a evitare

situazioni d’ indigenza e mendicità.

Le organizzazioni femministe, composte di donne musulmane che sono intervenute

in merito al caso Latifi, hanno criticato il fatto, che in realtà questo fine viene

perseguito non punendo il marito, ma provvedendo per il mantenimento a carico di

altri.

“ Ora, secondo la Corte, se le disposizioni dell’Act privassero la donna musulmana

divorziata del diritto di mantenimento nei confronti del proprio marito e disponessero

che il mantenimento debba essere pagato dai suoi parenti o in ultima analisi dal wakf

si avrebbe un’irragionevole e ingiusta sostituzione della disposizione dell’art. 125 del

Codice di Procedura Penale. La privazione del diritto conferito dall’art. 125, che

invece è garantito a tutte le altre donne indiane, comporterebbe un’irragionevole

discriminazione, visto che priverebbe le donne musulmane della tutela che invece è

riconosciuta alle donne hindu, parsi, jainiste, cristiane ecc. In tal caso vi sarebbe una

violazione dell’art. 14 della Costituzione, che prevede la equal protection of the law

in circostanze simili, e anche una violazione dell’art. 15, che proibisce ogni

discriminazione sulla base della religione, considerando che l’Act si applicherebbe

solo alle donne musulmane ”.263

La Corte per decidere prende come riferimento un principio fondamentale

d’interpretazione costituzionale, per cui nel caso di dubbio tra due interpretazioni

deve essere presa in considerazione, se possibile, l’interpretazione che permette di

mantenere la costituzionalità e quindi l’operatività della norma.

262

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.156. 263

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.156.

- 154 -

Il fulcro della questione diventa l’esistenza di un’interpretazione che consenta di

ritenere l’Act costituzionale e la Corte ritiene di coglierla nell’interpretazione

dell’art. 3 che permette di dire che il livello di tutela è lo stesso di quello previsto

nell’art. 125.

“ Secondo la Corte bisogna distinguere il dovere di provvedere equamente al

mantenimento e il momento in cui bisogna adempiervi. Sulla base di questa

distinzione, si può affermare che:

the Act would mean that on or before the expiration of the iddat period, the husband

is bound to make and pay a maintenance to the wife and if he fails to do so then the

wife is entitled to recover it by filing an application before the Magistrate as

provided in Section 3(2) but nowhere the Parliament has provided that reasonable

and fair provision and maintenance is limited only for the iddat period and not

beyond it. It would extend to the whole life of the divorced wife unless she gets

married for a second time ”.264

Perciò, la regola esposta dalla Corte è che un marito musulmano ha il dovere di

provvedere in modo ragionevole ed equo al futuro della moglie divorziata e il

mantenimento rientra in quest’obbligo. Più precisamente, il marito deve provvedere

al mantenimento della moglie per un periodo che si allunga oltre il periodo dei tre

mesi dell’iddat, e allora l’esigenza di tutela della vita e della dignità personale si

concretizza attraverso l’art.4 ponendo l’obbligo di solidarietà a carico dei parenti o

del wakf. 265

264

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

pp. 156-157. 265

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p. 157.

- 155 -

“ Alcuni studiosi, come Menski, hanno messo in luce come la politica dietro l’Act

del 1986 e la giurisprudenza formatasi su di esso siano più sofisticati di quanto possa

sembrare a prima vista, visto che è stato accettato formalmente il principio della

sottrazione delle donne musulmane alla tutela generale ma è stato introdotto

sostanzialmente lo stesso livello di tutela del diritto al mantenimento. Questa vicenda

mostra come il delicato equilibrio tra diritto statale e diritti religiosi possa assumere

diverse configurazioni e come l’analisi debba considerare sia gli aspetti formali, vale

a dire l’esistenza di leggi formali uniformi, sia gli aspetti sostanziali, vale a dire il

riconoscimento uniforme dei diritti ”.266

266

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p. 157.

- 156 -

CAPITOLO IV “ UNION CIVIL CODE”

1. Premessa

In epoche diverse, sono state promulgate leggi che avevano lo scopo di regolare in

modo uniforme tutte le comunità presenti in India.

Tra queste leggi, bisogna includere l’Indian Divorce Act del 1869, che, sebbene fosse

applicabile solo ai cristiani, in realtà costituì un importante inizio per la successiva

formulazione legislativa riguardante il divorzio, in particolare per le relative sezioni

dello Special Marriage Act del 1954 e dell’Hindu Marriage Act del 1955, citati nel

capitolo precedente.

Negli anni ’30 furono realizzate delle leggi, note come Matrimonial Causes Acts, che

chiarivano e regolavano temi come l’adulterio, la crudeltà ecc., e che consentirono di

perfezionare questa casistica all’interno delle leggi principali267

.

Nonostante il potere legislativo abbia compiuto importanti sforzi nella formulazione

di leggi in grado di fornire strumenti, anche se non uniformi, almeno utili per

un’ampia fascia di popolazione, non è riuscito nella creazione di un diritto di

famiglia laico e uguale per tutte le comunità indiane.

In India, continuando a sussistere un sistema vario di diritti di famiglia, si crea il

problema dell’uniformità e della diversità del diritto.

Il dibattito sull’adozione del codice civile unitario non si è mai spento in India. La

preparazione di questo codice è stata un punto fondamentale dell’agenda politica non

solo governativa, ma soprattutto delle associazioni per la protezione dei diritti umani.

Il caso Shah Bano è considerato il caso-simbolo dai sostenitori del codice civile

uniforme, proprio a evidenziare le conseguenze negative che il sistema dei diritti

personali può produrre sulla tutela di alcuni di essi, dividendo di fatto la società

indiana268

.

267

CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di

famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il

terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,

Franco Angeli, Milano, 2002, p.358. 268

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.158.

- 157 -

Malgrado ciò, il sistema dei diritti personali resiste ancora e non vi è nessun segnale

di un possibile sorpasso da parte del diritto hindu, di quello islamico o degli altri

diritti personali.

I punti salienti della questione sono ben espressi nella sentenza pronunciata dalla

Corte Suprema nel caso Shah Bano, che si conclude proprio, con una observation,

relativa alla possibilità di adottare il codice civile uniforme.

Richiamando l’art.44 della Costituzione, rimasto “dead letter”, e osservando che non

si riscontra nessuna iniziativa ufficiale per dotare il paese di un codice civile

uniforme, la Corte osserva:

“ A Common Civil Code will help the cause of national integration by removing

disparate loyalties to laws, which have conflicting ideologies. It is the State which is

charged with the duty of securing a uniform civil code for the citizens of the country

and, unquestionably, it has the legislative competence to do so. A beginning has to be

made if the Constitution is to have any meaning. Inevitably, the role of the reformer

has to be assumed by the courts because it is beyond the endurance of sensitive

minds to allow injustice to be suffered when it is so palpable. But piecemeal attempts

of courts to bridge the gap between personal laws cannot take the place of a common

Civil Code ”269

.

In altri termini, solo il legislatore ha la competenza di realizzare questa parte della

Costituzione rimasta inattuata e, in mancanza di questa riforma strutturale, il compito

dei giudici è quello di garantire la tutela dei diritti nei limiti dell’ordinamento270

.

Il conseguimento dell’uniformità è considerato da molti come necessario per il

processo di modernizzazione dell’ordinamento giuridico. Vi è interesse nell’analisi

di quest’argomento, nel diritto indiano, perché essa incontra il tema della tutela dei

diritti umani, uno dei fattori che determinano le politiche di cooperazione

internazionale con l’India.

269

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

pp.158-159. 270

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.159.

- 158 -

I punti più controversi della discussione sono, da una parte la fattibilità e, dall’altra,

l’utilità di un codice civile uniforme.

“ Per quel che riguarda il primo aspetto, abbiamo detto che questo codice dovrebbe

essere il frutto di scelte fatte dall’alto, in contrasto con il pluralismo tipico della

società indiana. In questo contesto, in cui una grande importanza è rivestita dalle

consuetudini e in cui esiste una forte resistenza ad abbandonare le proprie tradizioni

distintive, è molto probabile che un codice civile uniforme rimarrebbe largamente

ineffettivo. In secondo luogo si tratterebbe di un’operazione molto difficile sul piano

tecnico, a causa della grande diversità degli statuti personali attualmente esistenti, e

molto delicata sul piano politico e sociale, a causa del latente conflitto

intercomunitario che potrebbe riesplodere.

Quanto all’utilità o desiderabilità, in linea di principio l’uniformità giuridica realizza

di per sé un certo livello di uguaglianza ma non si possono trascurare le voci critiche

secondo cui il sistema attuale è in grado di gestire meglio di altri il pluralismo

indiano e la tutela delle minoranze. In questa prospettiva, l’India rappresenta un

grande laboratorio mondiale del multiculturalismo e un modello per altre esperienze.

Bisogna anche considerare che una riforma del diritto di famiglia attraverso

l’adozione di un codice civile uniforme potrebbe avere risultati opposti a quelli

desiderati, potendo, nel gioco complesso tra norme nuove e norme preesistenti,

portare paradossalmente a una minore protezione dei diritti dei soggetti deboli e

svantaggiati, in primo luogo le donne. Visto che larghi settori della società

continuerebbero presumibilmente a seguire le proprie regole tradizionali potrebbe

accentuarsi il divario tra diritto ufficiale e diritto non ufficiale e vi sarebbe il rischio

di una sottrazione a qualsiasi forma di controllo giurisdizionale con la possibile

diminuzione di fatto della tutela per i soggetti più deboli. Inoltre autori come Menski

evidenziano che, indipendentemente dall’uniformità formale, vi sono segni di una

progressiva uniformità sostanziale, vale a dire di un avvicinamento degli standard di

tutela previsti nei singoli diritti personali, oltre che di una riduzione dei possibili casi

di conflitto tra diritto personale e diritto territoriale valido per tutti ”271

.

271

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

pp.159-160.

- 159 -

In conclusione, molti fattori operano contro l’adozione del codice civile uniforme e,

con molta probabilità, i provvedimenti che saranno presi in merito al diritto di

famiglia saranno attuati in modo limitato e progressivo all’interno del sistema dei

diritti personali.

Il codice civile uniforme potrebbe rappresentare una netta spaccatura, ma l’intervento

statale sui diritti personali provoca problemi di carattere generale limitatamente a

questi diritti.

“ Menski ha evidenziato il fenomeno di ricostruzione dei diritti religiosi presenti in

India, in particolare di quello hindu, secondo il modello dei diritti moderni

occidentali. Già nel periodo coloniale, la scoperta occidentale del diritto hindu aveva

posto numerosi problemi derivanti dalla differenza culturale, che intrecciandosi con

le esigenze dell’amministrazione coloniale, avevano portato a un sostanziale

fraintendimento dei presupposti culturali e delle modalità operative del diritto hindu.

In seguito, queste ricostruzioni dei diritti religiosi sono state funzionali all’Agenda

riformista elaborata all’alba dell’Indipendenza. In altri termini, se si ritiene che il

diritto hindu sia omogeneo nel suo funzionamento al diritto statale moderno, diventa

anche possibile ritenere che esso possa venire riformato e superato mediante massicci

interventi legislativi. Ma queste ricostruzioni non sono realistiche: i due modelli si

basano su presupposti diversi e, sempre secondo Menski, non aver capito questo è

uno dei motivi del fallimento dei primi programmi di modernizzazione in India ”272

.

272

MENSKI W. F., Hindu Law. Beyond Tradition and Modernity, cit. in FRANCAVILLA D., “Il

diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, p.160.

- 160 -

Il popolo indiano stesso, anche dopo l’Indipendenza, ha rafforzato l’immagine del

diritto hindu considerandolo strutturalmente moderno, dotato di leggi scritte e quindi

facilmente riformabili attraverso l’intervento dello Stato.

In realtà, il diritto hindu è molto più complesso date le sue basi culturali e le sue

pratiche tradizionali. In particolare, l’identificazione del diritto hindu con la sua

versione statalizzata è molto riduttiva. Se ci basiamo sull’analisi storica e sullo studio

della realtà contemporanea, si può notare che in realtà il diritto hindu è vivente e in

continua trasformazione, si sviluppa in modo non ufficiale più che nella black letter

law statale273

.

“ Sarebbe quindi ingenuo pensare che, se in ipotesi il legislatore indiano decidesse di

superare il sistema dei diritti personali, il diritto hindu come tale scomparirebbe, o

anche che nuove leggi sul diritto degli hindu in un quadro di maggiore

semplificazione potrebbero soppiantare il diritto hindu tradizionale. Come si è detto

più volte, già oggi emergono forti problemi di ineffettività delle leggi statali e per

questo motivo il legislatore indiano è finora stato normalmente molto realistico,

cercando di intervenire solo su alcuni punti ”274

.

273

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.161. 274

FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,

p.161.

- 161 -

2. Il problema dell’elaborazione di un diritto di famiglia uniforme:

motivazioni storiche e politiche.

Il problema dell’elaborazione di un diritto di famiglia unico è stato studiato

essenzialmente da due punti di vista: quello strettamente legale e quello delle

conseguenze che le varie legislazioni, in particolare quella islamica, hanno avuto sui

diritti delle donne. Inspiegabilmente, nessuno degli studiosi che ha trattato

l’argomento, ha inteso quale fosse effettivamente l’aspetto più interessante. Non

hanno pensato a inserire l’ambito del multiculturalismo, pensavano che fosse solo un

problema legale o sociale.

“ La multiculturalità della società indiana è insieme causa e contesto dei fattori che

hanno ostacolato l’elaborazione di un diritto di famiglia comune in India ”275

.

L’India è un paese con una grande varietà di etnie, lingue e cultura e come già

sappiamo, alla componente predominante hindu va affiancata quella musulmana che

è una “minoranza” di circa cento milioni di persone276

.

Immediatamente dopo l’Indipendenza, quando fu istituita l’Assemblea Costituente,

l’India si trovava nel pieno del conflitto tra hindu e musulmani, che aveva portato

alla partition con il Pakistan. Lontano dall’appianare il conflitto, la separazione tra

India e Pakistan fu vissuta come un avvenimento molto doloroso.

Il ricordo della partition ha condizionato molto la politica indiana. Data la situazione

del paese da poco indipendente, i legislatori ritenevano molto difficile formulare un

diritto di famiglia laico e uniforme.

275

CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di

famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il

terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,

Franco Angeli, Milano, 2002, p.359. 276

CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di

famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il

terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,

Franco Angeli, Milano, 2002.

- 162 -

Le due principali comunità, quella induista e quella islamica, non erano per nulla

d’accordo di sacrificare ciò che consideravano il fondamento della loro identità

culturale. Il diritto di famiglia era ritenuto l’istituzione con cui si garantiva la tutela

delle tradizioni da cui dipendeva la sopravvivenza stessa della comunità. La famiglia

è, infatti, intesa come la struttura alla base della futura comunità che nascerà.

“ L’assenza di quello che viene definito Uniform Civil Code è stata percepita, in

India, in almeno tre modi. Sono favorevoli all’introduzione dello Uniform Code la

gran parte degli indiani, illustri esperti di diritto, come Tahir Mahmood, e

intellettuali. Tra questi ultimi si distingue Asghar Ali Engineer che, oltre ad essere

musulmano, è anche un appassionato analista dell’Islam in India e, nello specifico,

dei suoi aspetti giuridici. I detrattori dello Uniform Code sono una minoranza.

Storicamente, la più forte opposizione è arrivata dalla comunità musulmana, che ha

visto ogni eventuale tentativo di introdurre una legislazione di famiglia laica e

uniforme come una minaccia all’integrità delle proprie tradizioni e consuetudini

famigliari. Nonostante questo, si sono levate anche all’interno della comunità

musulmana forti voci a sostegno dell’introduzione dello Uniform Code. In primo

piano si collocano alcune organizzazioni femminili musulmane, che hanno

considerato alcuni aspetti della legislazione islamica come lesivi nei confronti dei

diritti delle donne. Questi aspetti riguardano soprattutto il divorzio, in particolare il

problema degli alimenti, e le questioni di trasmissione dell’eredità. Infine gli

esponenti della destra hindu si sono schierati a più riprese, dal ’48 a oggi, a favore

dell’introduzione dello Uniform Code, scagliandosi al tempo stesso contro le

consuetudini familiari islamiche, e in particolare contro l’istituzione della poligamia,

considerata come una potenziale minaccia alla crescita demografica della

maggioranza hindu ”277

.

277

CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di

famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il

terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,

Franco Angeli, Milano, 2002, p.361.

- 163 -

2.1 Il multiculturalismo in India

Tutte le società del mondo sono, in misura e in modi diversi, multietniche e, in molti

casi, multiculturali. Le democrazie liberali occidentali si sono munite di un diritto di

famiglia laico e unificato, tale da poter essere condiviso da tutta la popolazione come

conseguenza del fenomeno dell’immigrazione che ha fatto evidenziare la necessità di

integrare le cosiddette minoranze.

Ciò che accade nelle democrazie liberali dell’occidente è presente in modo analogo

anche nella società indiana.

L’India è un paese multietnico e multiculturale ed essendo un paese di provata

tradizione democratica, può essere messo a confronto con le società occidentali.

Esiste, però, una differenza sostanziale tra la natura della multietnicità della società

indiana e quella occidentale.

Will Kymlicka, professore di filosofia politica alla Queen’s University a Kingston

(Ontaria), uno dei maggiori teorici sui diritti collettivi per le minoranze etno-

culturali, afferma che sia nei Paesi occidentali sia in India, il multiculturalismo è

determinato dalla presenza di “minoranze nazionali”, o “comunità intatte e radicate”,

“insediate su terre che avevano occupato per molti secoli”278

.

Si cerca di riconoscere alle minoranze nazionali la stessa dignità delle componenti

numericamente maggioritarie. La soluzione che propone il professor Kymlicka

consiste nel definire l’appartenenza nazionale in termini d’integrazione in una

comunità culturale. L’appartenenza nazionale dovrebbe essere accessibile a chiunque

sia disposto a imparare la lingua e la storia della società, a partecipare alle sue

istituzioni sociali e politiche, a prescindere dalla razza o dal colore della pelle.

278

KYMLICKA W., La cittadinanza multiculturale, ed. italiana, Il Mulino, Bologna, 1999; cit. in

CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di

famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il

terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,

Franco Angeli, Milano, 2002, p.364.

- 164 -

Il multiculturalismo descritto dagli studiosi è un fenomeno antico, profondamente

legato agli stessi processi storici. “ Secondo questa definizione, in India, i musulmani

rappresentano la minoranza nazionale più numerosa e significativa. Esiste però,

rispetto alle minoranze nazionali, che compongono le società occidentali, un

paradosso di fondo: la “minoranza” dei musulmani indiani ha profondi legami storici

con la potente minoranza che ha dominato l’India per qualche secolo. Dei musulmani

indiani, la gran parte è costituita da Hindu convertiti all’Islam, magari da molte

generazioni, mentre sono pochissimi coloro che possono vantare una discendenza

diretta dai dominatori moghul. Nonostante ciò, la “minoranza” musulmana

dell’India, ha potuto godere di una condizione privilegiata, dovuta anche al solo fatto

di condividere la stessa cultura dei dominatori. Questo contribuisce a far sì che la

componente musulmana dell’India abbia una forte identità, determinata anche dalle

premesse storiche ”279

.

La tradizione culturale indiana è stata profondamente condizionata dall’Islam e

questo non può essere assolutamente sottovalutato. La comunità musulmana, in

India, partecipa integralmente alle istituzioni linguistiche, sociali e politiche indiane.

Le richieste nazionalistiche sono state portate avanti, invece, dalla maggioranza

hindu. Negli ultimi anni sono avvenuti tentativi di cancellazione dall’apparato

culturale indiano dei fattori che rappresentano il retaggio musulmano.

C’è da domandarsi se è legittimo definire “minoranza”280

(e trattare di conseguenza)

una comunità di circa 120 milioni di persone, dotata di un rilevante peso politico e

culturale, ma soprattutto bisognerebbe forse riflettere sul significato stesso del

termine minoranza rispetto alla realtà indiana.

279

CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di

famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il

terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,

Franco Angeli, Milano, 2002, pp.364-365. 280

CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di

famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il

terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,

Franco Angeli, Milano, 2002, p.365.

- 165 -

3. Dibattito sull’elaborazione del codice civile uniforme fino agli anni ‘90

In un paese vasto come l’India, con le sue molteplici eterogeneità, i principi sul

centralismo e l’uniformità del diritto, semplicemente non funzionano nell’azione

quotidiana, dove le minoranze, con le loro varietà e diversità, si riaffermavano in

modo sempre più autorevole.

Questo è stato riconosciuto anche da molta della più recente letteratura

sull’argomento.

Negli anni ’80, un autorevole costituzionalista, il professor S. P. Sathe, che aveva

preso l’impegno di redigere un codice civile uniforme, finì per esprimere le sue

riserve circa la fattibilità di un’uniformità giuridica totale. Egli aveva affermato che

nell’operazione di compilazione di tutte le leggi vigenti in materia di diritti personali,

che governavano le diverse comunità religiose, aveva incontrato difficoltà a estrarre

gli elementi religiosi dalle parti non religiose, di tali leggi. Riteneva, quindi, che

alcuni elementi di pluralità potessero essere previsti, anche in un codice civile

uniforme281

.

In quel periodo c’era la sensazione che il giorno in cui sarebbe stata intrapresa tale

riflessione era solo rimandato.

I problemi principali di quest’area hanno le radici non solo nella politica

giurisprudenziale di parte, ma anche nelle inadeguate ricostruzioni storiche che si

ripercuotono fino ad oggi.

Per molti studiosi è difficile comprendere la storia dell’Asia meridionale e il suo

sviluppo; tra i principali fattori troviamo la tradizione indiana, la presunta

arianizzazione del territorio, il lungo dominio musulmano e infine la significativa

influenza musulmana nei tempi recenti.

Partendo da origini vaghe e controverse, la cultura hindu per molto tempo si è

rifiutata di diventare un sistema monoteista, mono-culturale e centralizzato. Fin

dall’inizio, a quanto pare, esistevano così tanti punti di vista e percezioni circa le

questioni fondamentali sulla religione, la cultura e la vita che gli antichi asiatici del

sud non erano riusciti a trovare un accordo unificante.

281

DESHTA K., Uniform Civil Code: In Retrospect and Prospect, Deep & Deep Publications, 1995;

cit. in MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001, p.345.

- 166 -

Siamo portati a credere che anche altre culture antiche abbiano dato luogo a

un’assoluta, accentrata e uniforme posizione che era in qualche modo affermata da

un’élite dominante, sia politica o religiosa.

Molto tempo prima, tuttavia, le persone che oggi definiamo hindu, avevano

concordato di essere in disaccordo, e avevano consentito esplicitamente per il

pluralismo in ogni ambito.

Questo riconoscimento aperto della realtà del pluralismo può essere osservato in ogni

sfera della vita di un hindu e può essere studiato in merito a materiale molto antico,

scritto in lingue difficilissime, non in grado di insegnarci oggi quale fosse la

percezione delle persone a quel tempo.

Nel quadro concettuale della comprensione dell’ordine cosmico che abbraccia tutto e

tutti, i sistemi interconnessi sono stati considerati cruciali. Nessuno è stato percepito

come un caso isolato, un individuo autonomo. Tutti, compresi gli dei e gli altri esseri

superiori, hanno avuto ruoli da svolgere in relazione all’universo, alla società, al

clan, alla famiglia e a quelli più vicini alla propria vita personale.

Il legame simbiotico marito-moglie è diventato un punto centrale, di attenzione e

preoccupazione.

Se consideriamo il sacramento del matrimonio come un legame indissolubile tra un

uomo e una donna, o il cosiddetto sistema delle caste come immagine di tutte le parti

del corpo che funzionano insieme in complesso rapporto simbiotico, sono stati tutti

fraintesi o travisati in seguito.

Allo stesso modo, outsiders e addetti ai lavori li hanno considerati come meccanismi

complessi della “tradizione”282

, il cui scopo principale era quello di sopprimere

alcuni ed elevare altri.

Tuttavia i ricercatori oggi stanno mettendo in discussione la lettura, comunemente

accettata, di antiche tradizioni indiane come schemi uniformi di regole, che sono così

tipicamente non moderne e si concentrano a mantenere la diversità piuttosto che

lottare per l’uniformità.

Vi è una certa consapevolezza del fatto che se ognuno è trattato come diverso, allora

non ci può essere effettivamente uguaglianza nella diversità.

282

MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001, p.346.

- 167 -

Questo porta lontano dall’idea che un gruppo o un altro in una particolare società o è

“dominante”283

, o deve essere orientato a una maggiore standardizzazione.

In un certo senso, il modello post-coloniale indiano di laicismo ha cercato di ottenere

esattamente un tipo di scenario in cui le voci di tutti sarebbero state ascoltate in

eguale misura.

Tuttavia, la laicità moderna in India continua a essere seriamente fraintesa, come una

copia a buon mercato di quella occidentale con politiche anti-religiose, piuttosto che

un esplicito riconoscimento del semplice fatto di umane connessioni con diverse

entità superiori.

Attraverso la lettura dell’antica cultura indiana, dove costantemente sono posti in

rilievo i punti di vista dei Brahamini e loro richieste, e si trascurano le altre voci; ci si

è privati della possibilità di comprendere i concetti indigeni di uguaglianza relativa,

che continuano a sostenere le società dell’Asia meridionale.

Dovrebbe essere universalmente riconosciuto che tutte le società conservano

elementi di disuguaglianza socio-economica, nonostante asserzioni legali e politiche,

con l’effetto che l’uguaglianza prima della legge è un indicatore della modernità

giuridica.

La maggior parte della dottrina accademica non è seriamente interessata a un’analisi

socio-giuridico e a un confronto reale.

Sembra, però, che alcuni studiosi abbiano ammesso apertamente che l’Occidente e i

suoi sistemi giuridici moderni abbiano, esattamente, gli stessi problemi di attuazione

della giustizia e di tutela dei diritti umani, come quei sistemi giuridici

apparentemente arretrati.

Dopo aver dichiarato l’India antica ostile al riconoscimento della parità, in base sia al

sesso sia alla casta, qualsiasi elemento “tradizionale” nella legislazione moderna è

stato trattato con disprezzo e ha ricevuto forti richiami per le riforme giuridiche.

283

MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001, p.347.

- 168 -

Molti studiosi modernisti e attivisti hanno attaccato l’India, anche a fronte di prove

legali che testimoniavano il contrario.

Ad esempio, nonostante la maggior parte delle richieste d’introduzione del criterio di

rottura insanabile della convivenza coniugale, nella legge sul divorzio hindu, né la

legislazione moderna indiana, né le Corti sono andate fino in fondo per accettare il

criterio come causa principale nei processi di divorzio.

In questa particolare situazione, è importante rilevare ancora una volta che il concetto

“irretrievable breakdown”284

, non era sconosciuto al diritto indiano.

Secondo Menski, i recenti sviluppi della normativa sul mantenimento post-divorzio

confermano la prontezza dello Stato a ignorare i principi di uniformità giuridica

formale, mentre il potere legislativo e l’ordinamento giudiziario stanno cercando

comunque di raggiungere la parità nelle disposizioni di legge.

Così, come Vasudha Dhagamwar, un importante avvocato, attivista per i diritti delle

donne e professoressa universitaria, ha chiaramente riconosciuto che la legge indiana

moderna ha varie opzioni, per raggiungere una maggiore uguaglianza, e non potrà

mai essere una semplice strategia quella di imporre un codice civile uniforme

semplicemente dall’oggi al domani.

In realtà, esaminando finora la storia movimentata dell’uniformazione legale in

India, Dhagamwar coraggiosamente ha fissato nel suo ordine del giorno il dibattito

per un codice civile uniforme, ma ha avvertito:

“ A Uniform Civil Code that is compulsory from the beginning would by-pass all

these problems and create many of its own. Voluntary or compulsory, it seems that if

and when the Uniform Civil Code is introduced, there is a strong possibility of a

period of deep social unrest taking place. Unless the goverment is prepared to ride

out this period, if it than gives in to those who don’t want the Uniform Civil Code,

more damage will be done by introducing than by withholding the Uniform Civil

Code ”285

.

284

MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001, p.350. 285

DHAGAMWAR V., Towards the Uniform Civil Code, N. M. Tripathi, Bombay, 1989; cit. in

MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001, p.350.

- 169 -

Tali osservazioni, particolarmente ragionevoli e realistiche, sono rare.

È molto importante che anche gli autori noti (include anche giudici di alto profilo,

come V. R. Krishna Iyer), nella loro limitata considerazione dei concetti culturali

indiani e a volte per un’ammirazione non qualificata verso la modernità occidentale,

abbiano spacciato il mito dell’uniformità giuridica come strumento per il disperato

desiderio di modernizzare le leggi indiane286

.

Ad esempio, in uno studio importante sulle donne e la riforma del diritto di famiglia

nell’India moderna, la professoressa Archana Parashar sembrava affermare che il

legislatore britannico avesse introdotto il sistema del diritto personale in India, e

quindi, la riforma giuridica post-coloniale doveva prevedere l’abolizione di quel

sistema di diritti personali287

. Prima dell’introduzione del diritto britannico non vi era

alcuna distinzione tra leggi territoriali e diritti personali. Il diritto hindu e quello

islamico erano applicati alle persone che professavano quel determinato credo

religioso. Le leggi religiose si estendevano in ogni ambito, non vi era nessuna

distinzione tra diritto personale e pubblico o tra leggi religiose e laiche.

La distinzione tra diritti personali e le altre sfere del diritto fu introdotta dagli

amministratori britannici che, nella fase iniziale, avevano deciso di lasciare alla

popolazione indigena le leggi personali, apparentemente, perché facevano parte del

loro credo religioso. In seguito tutti gli altri aspetti del diritto, che erano ugualmente

religiosi, sia del sistema hindu sia di quello musulmano, furono modificati dagli

Inglesi.

286

MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001, p.351. 287

PARASHAR A., Women and family law reform in India: Uniform civil code and gender equality,

Sage Publications, New Delhi e Newbury Park, California, 1992; cit. in MENSKI W.F., Modern

Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001, pp. 351-352.

- 170 -

Anche durante il dominio musulmano, a hindu, cristiani e parsi veniva comunque

applicato il loro sistema di diritti personali. Non era mai esistita una legge uniforme

hindu o islamica nel subcontinente indiano.

Osservando il problema, si evidenzia che le richieste per una legislazione uniforme si

basavano, in effetti, su aspirazioni centralistiche che potevano facilmente scivolare in

abusi territoriali.

Questo confronto dimostra che i dibattiti non sono stati veramente sulla religione o

su una particolare legge religiosa, ma sull’estensione del controllo statale sulla

rispettiva popolazione di maggioranza: in altre parole, la discussione riguarda la

costruzione della nazione e la formazione dell’identità più che l’effettiva

regolamentazione giuridica o la preoccupazione di una giustizia certa.

Oggi sappiamo che dopo il caso Shah Bano, quando i musulmani andarono su tutte le

furie chiedendo la non applicazione degli articoli del Codice di Procedura Penale del

1973, e spingendo per una legge speciale, il moderno stato indiano era abbastanza

sicuro di poter rischiare il proprio ruolo di primo piano in questo gioco strategico288

.

Tuttavia, i dimostranti furono puniti con la realizzazione rapida di una norma

separata di diritto personale per i musulmani, come trovato nel MWPRDA del 1986,

che non ha dato agli uomini musulmani, la libertà dalla responsabilità finanziaria

verso le loro ex-mogli, come avrebbero voluto. Mentre un’analisi superficiale e

politicizzata ha visto l’Act del 1986 come un disastro per la nazione indiana e un

passo indietro in termini di politiche di uniformità giuridica.

Il moderno stato indiano è stato disposto ad abbandonare la sua politica

programmatica di uniformazione del diritto in termini formali, ma non per quanto

riguarda le disposizioni sostanziali.

I leaders della comunità musulmana hanno realizzato velocemente la situazione e in

seguito hanno smesso di protestare per la conservazione del loro diritto, sapendo che

lo stato si sarebbe attaccato a questo per elaborare altre riforme giuridiche.

288

MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001, p.353.

- 171 -

In questo scenario di stallo legislativo i giudici hanno svolto un ruolo molto

importante nel mantenere vivo in India il dibattito sull’uniformità giuridica. Ogni

tanto un caso era segnalato, per cui i giudici esprimevano la loro preoccupazione in

merito alle reiterate disuguaglianze giuridiche del moderno diritto indiano.

Tuttavia questo flusso e riflusso di argomenti ha mantenuto il dibattito sul codice

civile uniforme, all’ordine del giorno, ma non ha portato a risultati concreti. Infatti, a

seguito dell’ascesa al potere del partito nazionalista Bharatiya Janata Party (BJP) al

governo, e quindi di una forza politica hindu dominante al potere centrale, piuttosto

che l’Indian National Congress o una varietà di partiti regionali, lo stesso ordine del

giorno sull’uniformità giuridica fu radicalmente cambiato da un giorno all’altro289

. Il

movimento per l’uniformità giuridica in India era ormai quasi completamente

crollato, dato che i membri della lobby per l’uniformazione del diritto realizzarono

improvvisamente, con terrore, che in un’India dominata dagl’hindu il tema

dell’uniformità giuridica equivaleva a sottoscrivere una versione ricostruita

dell’ideologia hindu, piuttosto che il passaggio previsto a un modello laico in stile

occidentale.

Nel frattempo, tuttavia, i tribunali hanno trattato questioni pratiche, e un modello sta

emergendo in India, che si muove nella direzione dell’uniformità giuridica, però non

attraverso l’abolizione del sistema dei diritti personali.

In India l’opinione pubblica non è così fortemente a favore dell’uniformità giuridica

come suggeriscono alcuni trattati accademici.

Shiv Sahai Singh, professore alla University of Burdwan, riferisce:

“ Leading members of the majority communities agree that it may be premature to

aim at a Uniform Civil Code which will be applicable to all citizens in a country like

India, but they think that the time has come to codify personal law of each

community by highlighting its best points ”290

.

289

MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001, p.353. 290

SHIV SAHAI SINGH, Unification of Divorce Laws in India, Deep & Deep Publications, 1993; cit.

in MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001, p.354.

- 172 -

Guardando indietro agli anni’80-’90, Menski è sempre stato contrario all’uniformità

giuridica in India. In origine, il suo punto di vista nasceva dal fatto che, prendendo in

considerazione la storia giuridica e i millenni di esperienza e con quasi un miliardo di

persone da amministrare, per l’India era concettualmente, e praticamente impossibile

governare tutti con lo stesso sistema di regole. Ma alla fine degli anni ‘80 Menski

ritenne che lo Stato indiano lo avesse riconosciuto e avesse cambiato la sua politica,

ma lasciando un enorme interrogativo sull’esatta interpretazione dell’art.44 della

Costituzione indiana del 1950, che recita:

“ 44. Uniform civil code for the citizens. –

The State shall endeavour to secure for the citizens a uniform civil code throuhout

the territory of India. ”291

L’interpretazione classica di quest’articolo ha comportato un mandato per

l’introduzione di un codice civile uniforme per tutta la popolazione indiana, abolendo

così il sistema delle leggi personali e snellendo così il sistema giuridico indiano.

Oggi, invece, la legislazione indiana moderna sembra aver cambiato direzione. Vi è

una rinforzata consapevolezza dell’importanza della giustizia, dell’equità e del buon

senso. Nessun sistema giuridico al mondo ha raggiunto una giustizia perfetta, né mai

si vuole che questo accada.

Il punto più importante, per terminare quest’analisi giuridica, è dunque questo: la

legge indiana ha finalmente abbandonato i principi giuridici occidentali di uniformità

e respinge la norma che prevede che gli Stati debbano avere leggi uniformi per essere

chiamati, Stati moderni.

Tutto quello che oggi conosciamo, meglio, è che lo straordinario ottimismo indiano

post-coloniale, circa lo scopo di seguire strutture legali e principi occidentali, fu

forviato completamente292

.

291

MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001, p.355. 292

MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001.

- 173 -

3.1 Uniformità delle leggi in India

Sembra che il piano originale dei creatori della Costituzione indiana fosse quello di

sottoporre volontariamente i membri delle minoranze, gradualmente, a un sistema

giuridico uniforme laico. Quest’idea si è dimostrata certamente sbagliata.

Nonostante pregiudizi hindu o meno, la popolazione indiana non era apparentemente

pronta a essere governata da un sistema laico uniforme di diritto di famiglia, di

qualsiasi tipo. Il problema era, però, che nessuna delle rivalità e tensioni comuni,

doveva durare nel tempo.

In verità, i poli opposti erano chiaramente la legge ufficiale dello Stato e il diritto

personale. Lo Stato, con la sua centralizzazione, il suo sistema burocratico e la sua

ovvia e necessaria preoccupazione per il mantenimento dell’unità nazionale, mirava a

sviluppare standards uniformi in tutti i settori, compreso il diritto. D’altra parte,

sembra che non fosse vero, che tutte le comunità, in India, fossero unite dal desiderio

di conservare le differenti religioni e culture regionali e locali, e una pluralità di

leggi293

.

293

MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001.

- 174 -

3.1.1 Perché l’India è così ossessionata dal concetto di uniformità?

Uno dei problemi principali dello Stato indiano è che nonostante abbia un sistema di

voto democratico, non è rappresentativo di tutto il popolo indiano.

Dall’Indipendenza, in base alla Costituzione, si è sviluppato un corpo di leggi

ufficiale che aveva lo scopo di proteggere gli interessi di tutti i cittadini indiani in

modo uguale. In una certa misura, questo corpo di leggi sembra fornire il

riconoscimento delle diversità giuridiche. Ma queste norme non sono conosciute

dalla stragrande maggioranza della popolazione rurale indiana. In realtà, le loro vite

sono regolate da altre norme, a loro ben note, molte di loro tradizionali, dipendenti

dalla particolare situazione territoriale e temporale. Queste norme sono ignorate e

spesso non riconosciute dallo Stato, nonostante continuino a svilupparsi come fa ogni

sistema di diritto vivente. Così il sistema giuridico indiano ufficiale, compreso quello

dei diritti personali, non costituisce la totalità del corpo normativo indiano.

Il diritto “vivente” dell’India, oggi, è una combinazione del sistema giuridico

ufficiale e delle norme locali “non ufficiali” innumerevoli, che regolano la vita di

molte persone294

.

In india, da tempo immemore, le diverse identità locali etniche e religiose si sono

radicate anche nel sistema giuridico ufficiale, e continuano a influenzare gran parte

del diritto vivente.

La legge indiana, riconoscendo le norme dei diritti personali, appare in un certo

senso, più realistica; ma la disparità tra la legge ufficiale e il diritto reale è una delle

caratteriste del sistema dei diritti personali in India. Pertanto si pone la questione se

qualsiasi riforma nel sistema giuridico ufficiale, compresi i diritti personali, potrebbe

avere implicazioni dirette sul piano sociale.

294

MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001, p.368.

- 175 -

Si può osservare, che nemmeno il diritto generale è efficace nel far rispettare

standars uniformi: le radicali modifiche al Dowry Prohibition Act non hanno risolto

il problema delle morti per dote e non hanno abolito la dote stessa, i matrimoni tra

bambini continuano ad esistere e gli omicidi continuano a verificarsi in tutto il paese

come se non esistesse un Codice Penale indiano295

. Vi sono conflitti ancora aperti

che nessuna legislazione è riuscita ancora a risolvere. Anche se con ogni probabilità

l’India dovesse munirsi di un codice civile uniforme, ci sono poche possibilità che

questo sia applicato su larga scala.

Se l’India vuole intraprendere la strada dell’uniformità giuridica per i diritti

personali, anche altre questioni dovrebbero essere trattate allo stesso modo. Ad

esempio, bisognerebbe permettere i matrimoni poligami a tutti gli indiani, ma a

condizione che questi siano registrati e approvati per una serie di motivi accettabili,

tra i quali l’infertilità, come una delle condizioni previste nel Corano, che consentono

la poligamia.

I tentativi di escogitare una totale uniformità si sono presto bloccati, spesso a causa

dell’opposizione musulmana. Sarebbe ingiusto, comunque, incolpare solo i

musulmani per i mali del sistema indiano. Allo stesso tempo, il valido motivo è che

la discussione si è incentrata sulle questioni e preoccupazioni dei musulmani, e che il

governo ha ascoltato e contrastato troppo i musulmani conservatori.

In India il comunitarismo è così forte perché le diverse comunità non hanno la stessa

natura giuridica.

Il desiderio di creare un sistema giuridico nazionale è sempre stato visto come un

obiettivo legittimo per un moderno stato-nazione, ma questo non significa di per sé

uniformità giuridica totale, che rimane un modello ideale di legislazione, ma non è

un concetto realisticamente praticabile.

295

MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001, p.369.

- 176 -

Al momento dell’Indipendenza si sperava che la nazione appena creata potesse,

quindi, essere trasformata in una dimora di pace per tutte le comunità in India.

Questo doveva essere l’antidoto al male diffuso dei sistemi tradizionali, dei diritti

differenti e delle disuguaglianze. L’intenzione era di ridurre e infine eliminare il

sistema dei diritti personali basati su distinzioni religiose. La nuova configurazione

politica dello Stato indiano contemplava che tutti i membri sarebbero stati uguali

davanti alla legge e che le differenze di razza, sesso, religione e casta, sarebbero state

gradualmente cancellate per creare una razza standard: “il nuovo indiano”, un

individuo leale allo Stato centrale296

.

L’élite dei pensatori giuridici, in India, stava vivendo una profonda crisi: da un lato

c’era ancora la voglia di portare avanti l’idea del codice unitario, ma dall’altro era

evidente che non aveva funzionato fino ad ora e non credevano che avrebbe

funzionato in seguito.

Cominciava a crescere una consapevolezza per cui l’élite aveva il dovere di

concepire rimedi che si adattassero solamente a determinati scopi.

Come già affermato, i tentativi di concepire una totale uniformità, presto si

arrestarono, a causa della continua opposizione dell’opinione musulmana.

296

MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001, p.382.

- 177 -

Nel corso del processo del caso Shah Bano nel 1986, la Corte Suprema trattò di

nuovo la questione per cui i diritti personali dei musulmani avrebbero dovuto essere

esenti da alcuni aspetti della legge generale indiana.

Inoltre, la Corte, si espresse sul problema del codice civile uniforme:

“ It is also a matter of regret that Article 44 of our Constitution has remained a dead

letter. It provides that… There is no evidence of any official activity for framing a

common civil code for the country. A belief seems to have gained ground that it is

for the Muslim community to take a lead in the matter of reforms of their personal

law. A common Civil Code will help the cause of national integration by removing

disparate loyalties to laws which have conflicting ideologies. No community is likely

to bell the cat by making gratuitous concessions on this issue. It is the State which is

charged with the duty of securing a uniform civil code for the citizens of the country

and, unquestionably, it has the legislative competence to do so. A counsel in the case

whispered, somewhat audibly, that legislative competence is one thing, the political

courage to use that competence is quite another. We understand the difficulties

involved in bringing persons of different faiths and persuasions on a common

platform. But, a beginning has to be made if the Constitution is to have any meaning.

Inevitably, the role of the reformer has to be assumed by the courts because, it is

beyond the endurance of sensitive minds to allow injustice to be suffered when it is

so palpable. But piecemeal attempts of the courts to bridge the gaps between

personal laws cannot take the place of a common Civil Code. Justice to all is a far

more satisfactory way of dispensing justice than justice from case to case ”297

.

297

MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001, p.394.

- 178 -

Nel caso molto dibattuto e controverso di Sarla Mugdal v. Union of India del 1995,

che riguardava la legittimità di un secondo matrimonio contratto da un cittadino

hindu, che si era convertito all’Islam, e che riteneva di poter praticare la poligamia

ammessa solo per gli Indiani musulmani, la Corte Suprema aveva ancora una volta

sollevato la questione sul codice civile uniforme, affermando che la persistenza di

diverse leggi personali aveva portato a situazioni imbarazzanti e inaccettabili che

l’uniformità giuridica sarebbe stata in grado di evitare298

.

Il giudice della Corte Suprema Kuldip Singh J ritornò sull’argomento dell’uniformità

giuridica e in seguito criticò:

“ Article 44 is based on the concept that there is no necessary connection between

religion and personal law in a civilised society. Article 25 guarantees religious

freedom whereas Article 44 seeks to divert religion from social relations and

personal law. Marriage, succession and like matters of a secular character cannot be

brought within the guarantee enshrined under Articles 25, 26 and 27. The personal

law of the Hindus, such as relating to marriage, succession and the like have all a

sacramental origin, in the same manner as in the case of the Muslims or the

Christians. The Hindus along with Sikhs, Buddhists and Jains have forsaken their

sentiments in the cause of national unity and integration, some other communities

would not, though the Constitution enjoins the establishment of a “common civil

code” for the whole of India ”299

.

Anche il secondo giudice che componeva la Corte durante il processo, R. M. Sahai J,

era d’accordo con questo giudizio ma aggiunse alcune sue osservazioni per quanto

riguardava la questione di un codice civile uniforme. Il giudice erudito enfatizzò la

profonda importanza della religione nell’India moderna ed evidenziò esplicitamente

che “ la religione era più di una questione di fede”.

298

MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001, p.396. 299

MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001, pp.397-398.

- 179 -

Al tempo stesso però, annunciò un approccio razionale al diritto:

“ But these are matters of faith. Reason and logic have little role to play. The

sentiments and emotions have to be cooled and tempered by sincere effort. But today

there is no Raja Ram Mohan Rai who single handed brought about that atmosphere

which paved the way for Sati abolition. Nor is a statement of Pt. Nehru who could

pilot through, successfully, the Hindu Succession Act and Hindu Marriage Act

revolutionising the customary Hindu Law. The desirability of uniform Code can

hardly be doubted. But it can concretize only when social climate is properly built up

by elite of the society, statesmen among leaders who instead of gaining personal

mileage rise above and awaken the masses to accept the change ”300

.

Indicando altre riforme giuridiche sulla poligamia in molti paesi musulmani, e così

indicando una possibile riforma anche per i musulmani indiani, Sahai J concluse:

“ Therefore, a unified code is imperative both for protection of the oppressed and

promotion of national unity and solidarity. But the first step should be to rationalise

the personal law of the minorities to develop religious and cultural aminity. The

Government would be well advised to entrust the responsability to the Law

Commission which may in consultation with Minorities Commission examine the

matter and bring about the comprehensive legislation in keeping with modern day

concept of human rights for women.

The Government may also consider feasibility of appointing a Committee to enact

Conversion of Religion Act, immediately, to check the abuse of religion by any

person. The law may provide that every citizen who changes his religion cannot

marry another wife unless he divorces his wife. The provision should be made

applicable to every person whether he is a Hindu or a Muslim or a Christian or a Sikh

or Jain or a Budh. Provision may be made for maintenance and succession etc. also

to avoid clash of interest after death.

This would go a long way to solve the problem and pave the way for a uniform civil

code ”301

.

La reazione del governo indiano a quella sentenza era stata negativa.

300

MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001, p.398. 301

MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001, p.399

- 180 -

È stato ampiamente riportato dai giornali che nel corso del 1997 il governo indiano

rifiutava di introdurre un codice civile uniforme302

.

L’oggetto della discussione era cambiato radicalmente: sin dall’ascesa al potere a

Delhi e in alcuni stati indiani del partito nazionalista Bharatiya Janata Party, le voci

cosiddette moderniste non richiedevano più l’emanazione di un codice civile

uniforme per paura che risultasse, solamente, un codice induista.

Allo stesso tempo, c’era stato un intenso sviluppo legislativo tendente a

un’uniformazione dei provvedimenti legislativi nel diritto indiano moderno. Questo,

però, ha avuto luogo all’interno del riconoscimento esplicito delle diversità presenti

in India.

Principalmente, in quest’epilogo del dibattito sull’uniformità giuridica, l’India è

considerata come un mosaico complesso. Il Paese è paragonato, nel suo complesso, a

una famiglia tradizionale hindu, in cui tutti i membri della famiglia (che in

quest’immagine sono le varie comunità indiane) hanno un diritto di nascita

inalienabile, intrinseco e corrispondente a più obblighi.

Secondo alcuni studiosi, come Menski ad esempio, sostenevano che un codice civile

uniforme in India era semplicemente impraticabile, il che non significava che non ci

sarebbe dovuta essere una riforma legislativa per l’uniformazione del diritto, ma che

non doveva essere fatta solo per il bene dell’agenda politica e ai soli fini

dell’uniformazione.

La dottrina esistente in materia è rimasta confusa, è spesso forviante ed è

semplicemente inadeguata in molti casi303

.

302

MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001, p.399. 303

MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001, p.400.

- 181 -

4. Dibattito sull’Uniform Civil Code in epoca recente

L’ambizione modernista dell’India post-coloniale era di avere un codice civile

uniforme, come previsto nell’art. 44 della Costituzione indiana del 1950.

Il diritto indiano ha sviluppato propri metodi per gestire situazioni sensibili e

complessi problemi socio-giuridici.

Molti giudici della Corte Suprema, abbandonata quest’ambizione “progressista”304

,

chiedevano meno confusione nella giungla dei diritti personali, facendo richieste di

riforme fondamentali.

Ma circa mezzo secolo più tardi, subito dopo la fine del millennio, la realtà socio-

giuridica indiana prese una traiettoria diversa.

La confusione creata dal pluralismo giuridico persisteva. Vi erano più leggi dello

Stato ma non un codice civile uniforme.

Il diritto di famiglia indiano, è stato sapientemente riformato e armonizzato in modo

tale che il nuovo sistema legale sia costruito da vari sistemi giuridici tradizionali.

Le basi tangibili di questo pluralismo giuridico si sono sviluppate, quasi

impercettibilmente, attraverso interventi normativi positivisti, almeno dalla metà

degli anni ’70, sotto il governo di emergenza, molto discusso, di Indira Gandhi.

In particolare, questi principi cardine sono affiorati più chiaramente nel settembre

2001, e da allora sono stati impreziositi da nuovi statuti e da nuova giurisprudenza,

quasi di anno in anno.

Fino al 2001, le nuove forme di tutela, si erano manifestate chiaramente in India

dopo il 1985, con il diritto al mantenimento per tutte le ex-mogli fino alla morte o al

nuovo matrimonio, costruendo sul caso Shah Bano del 1985, una fama mondiale.

Questo è stato seguito dall’emanazione dell’Hindu Succession (Amendment) Act del

2005, The Prohibition of Child Marriage Act del 2006 e più recentemente

dell’importante Maintenance and Welfare of Parents and Senior Citizens Act del

2007305

.

304

MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing

Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.212, www.germanlawjournal.com. 305

MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing

Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.214, www.germanlawjournal.com.

- 182 -

La globalizzazione ha effettivamente incrementato la diversità locale e regionale

delle religioni, dei costumi e delle leggi, e quindi ha avuto un impatto diretto sulle

strutture giuridiche formali.

Mentre il desiderio per l’uguaglianza e di una legislazione statale uniforme è

chiaramente forte, la realtà è che il pluralismo giuridico è un fatto e resta la norma306

.

L’India, come ex-territorio colonizzato, non è stata immune da tali influenze e idee,

ma in realtà ha un’antica esperienza operativa, riccamente documentata, in sistemi

complessi di pluralismo giuridico, che non si poteva cancellare con secoli di

dominazione musulmana e coloniale britannica.

Lo Stato indiano post-coloniale, separato dall’islamico Pakistan, è stato, in parte,

tentato di seguire il pensiero giuridico e politico occidentale, ma è anche stato attirato

da M. K. Gandhi verso antichi concetti di governo e di legge hindu.

Al momento dell’Indipendenza, si percepiva l’India come un tutto indivisibile che

avrebbe dovuto dare un senso, al suo patrimonio pluralistico alla luce delle nuove

realtà socio-giuridiche e avrebbe dovuto convivere con il suo pluralismo giuridico,

anche se questo non sarebbe stato sempre facile.

Così, dopo accesi dibattiti in Assemblea Costituente, alla fine, fu inserito nella

Costituzione del 1950, un programma di compromesso per il futuro, che sembrava

privilegiare l’uniformità giuridica, che fece crescere l’aspettativa che alla fine ci

sarebbe stato un codice civile uniforme.

Quest’obiettivo per il futuro è previsto nell’art. 44 della Costituzione indiana, 1950,

una Directive Principle of State of Policy: “ The state shall endevour to secure for the

citizens a uniform civil code throughout the territory of India ”307

.

306

GRIFFITHS J., What is Legal Pluralism?, JOURNAL OF LEGAL PLURALISM AND

UNOFFICIAL LAW 1-56, 1986; cit. in MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law:

New Developments and Changing Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.216, www.germanlawjournal.com. 307

MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing

Agenda, Vol.09 n°03, 2008, pp.217-218, www.germanlawjournal.com.

- 183 -

Menski afferma che l’obiettivo e l’ambizione di un codice civile uniforme per tutta la

popolazione indiana, come codice condiviso da tutti i cittadini, che originariamente

era stato previsto dai creatori della Costituzione, non si sarebbero realizzati. Aveva

anche previsto che una completa uniformità giuridica, non avrebbe potuto realizzarsi

in India, come in qualsiasi altra parte del mondo308

. Ma quasi sessant’anni dopo il

primo ordine del giorno post-coloniale per l’uniformità giuridica, il diritto di famiglia

ha fatto un uso sapiente, di un diverso sistema di uniformità delle leggi:

l’armonizzazione, di cui i legislatori originari non percepivano la validità del metodo,

si rivelò essere la realtà giuridica ufficiale e dominante oggi in India.

Questo metodo indiano di emanare leggi uniformi senza avere un codice civile

uniforme codificato, si è sviluppato progressivamente, in diversi decenni. Lo Stato

indiano, con cautela, ha gradualmente unito le diverse leggi indiane sui diritti

personali, senza mettere in discussione il loro status di leggi personali separate.

Questo processo non porta certamente a un pericoloso passo radicale di un

emendamento uniforme introdotto nel diritto di famiglia per tutti i cittadini.

L’India ha elaborato una strategia di modifiche minori, attentamente pianificate, per

un lungo periodo, che in realtà è una complessa interazione tra attivismo giudiziario

e intervento parlamentare, che hanno conservato i vari organismi di diritto personale,

come entità separate309

.

L’India post-moderna, quindi, sembra aver trovato una soluzione piuttosto brillante

per l’enigma dell’uniformità giuridica che potrebbe diventare un modello da

divulgare in molti altri paesi.

Come risultato di questa strategia attentamente pianificata, le diverse leggi personali

indiane ora si assomigliano a vicenda più che mai, ma sono ancora identificabili in

termini d’identità etnica o religiosa, come hindu, musulmani, parsi, legge cristiana,

non solo dai loro titoli, ma anche nei contenuti.

308

MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing

Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.218, www.germanlawjournal.com. 309

MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing

Agenda, Vol.09 n°03, 2008, www.germanlawjournal.com.

- 184 -

Queste osservazioni valgono anche per la legge islamica in India, nonostante il suo

format in gran parte non codificato e l’apparente riluttanza dei leaders musulmani a

contemplare una riforma giuridica per le loro leggi.

Il fatto è che il diritto islamico indiano non è stato sottoposto a una codificazione

(come invece molti nazionalisti hindu continuavano a chiedere), ma non ha sottratto,

ugualmente, i diritti personali musulmani dal processo di ricostruzione indiano post-

moderno.

Piuttosto incautamente, gli stessi indiani musulmani chiesero una legge personale

separata, dopo la decisione del caso Shah Bano. Essi ottennero velocemente quello

che volevano dal governo di Rajiv Gandhi, vale a dire la promulgazione di una legge

musulmana separata che sembrava esentare i musulmani dall’applicazione delle

norme del Codice di Procedura Penale del 1973. Ma la ratio di tale legge, come si

comprese da molti casi delle High Courts, verso la fine degli anni ’80, negli aspetti

sostanziali non era molto diversa dalle vecchie disposizioni del codice del 1973, da

cui i musulmani volevano sottrarsi310

.

La legge indiana non è stata certamente statica negli ultimi cinquanta-sessant’anni.

Guidati dalla mano quasi invisibile dei maggiori burocrati “laici”311

, l’India ha ormai

quasi raggiunto il suo obiettivo di emanare una legge personale uniforme per tutti gli

indiani, attraverso la pianificazione della più grande armonizzazione delle leggi

personali e così raggiungere sostanzialmente l’uguaglianza per tutti i cittadini.

310

MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing

Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.219, www.germanlawjournal.com. 311

MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing

Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.220, www.germanlawjournal.com.

- 185 -

4.1 Imparare a rispettare le differenze nell’India indipendente

Da quel fatidico momento, l’Indipendenza, a metà agosto del 1947, è diventato

chiaro che l’India doveva essere il luogo di tutte le persone e non essere solo uno

stato hindu.

Le minoranze avrebbero dovuto affrontare più difficoltà se non fosse stata stabilita la

loro tutela all’interno della Costituzione indiana.

La legge hindu maggioritaria, non era stata prevista dalla Costituzione pluralista,

consapevole che sarebbe diventata la legge dell’intera nazione.

Il conseguente processo della costruzione dell’identità indiana postcoloniale è stato

molto difficile, non ci sono dubbi, ma ha anche portato alcuni risultati inattesi.

Gli studiosi che sostenevano con forza il codice civile uniforme, esprimevano

frustrazione per i lunghi “dibattiti sterili”, e avanzavano dubbi sulla possibilità della

sua attuazione312

.

Come affrontare legalmente le differenze culturali è un enigma generale, diffuso in

tutto il mondo, non solo in India.

Durante la ricostruzione postcoloniale, l’India, con la sua euforia riformista, ha

rischiato di perdere di vista il rispetto per le differenze locali e la cultura tradizionale.

Dopo l’indipendenza, nell’agosto 1947, l’India ebbe diverse opzioni: in particolare, il

tradizionale approccio gandhiano hindu-centrico e l’eccessivo approccio laico

modernista stato-centrico di Ambedkar. Nehru si trovò diviso tra questi due poli.

M. K. Gandhi voleva prediligere il villaggio, le culture locali, le norme

consuetudinarie e quindi, la pluralità giuridica, incentrata sui sistemi di ordinazione

autocontrollati del tradizionale dharma hindu. Pensava che la giustizia avrebbe

funzionato meglio, tenendo conto dei fatti e delle circostanze di ogni caso, piuttosto

che seguire un precedente codificato.

312

MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing

Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.229, www.germanlawjournal.com.

- 186 -

Ambedkar, invece, preferiva un forte stato centrale con leggi codificate e una più

possibile uniformità giuridica.

Mentre Gandhi voleva ritornare ad antichi modelli religiosi e culturali, i modernisti

volevano avanzare e seguire l’Occidente, per quanto possibile, lasciando il passato

dietro di sé.

Ambedkar, in particolare, voleva un’India laica e moderna con le stesse leggi per

tutti, un modello in stile occidentale come quello francese o tedesco, mentre altri

erano profondamente contrari a questo313

.

Mentre la tentazione di fare dell’India uno Stato interamente induista, era presente e

in qualche misura incarnata dal Mahatma Gandhi, Nehru e le persone intorno a lui,

imposero per l’India un particolare tipo di laicità, unico nel suo genere, ampiamente

frainteso, o piuttosto, non adeguatamente compreso.

In sostanza, il laicismo indiano significa equidistanza dello Stato da tutte le religioni.

Non è basato su una netta separazione tra diritto e religione, ma riconosce loro delle

interconnessioni e mira a garantire la parità di trattamento delle minoranze in un

nuovo stato hindu-dominato.

La riforma del diritto fu presentata nel programma nazionale di sviluppo; la pluralità

delle leggi, con il sistema dei diritti personali come elemento centrale, era ormai

semplicemente vincolata nel quadro generale della Costituzione indiana. Questo

presenta un compromesso intricato, tra uniformità e diversità, centralità e localismo.

Sebbene la Costituzione sembri simile alla Costituzione americana, in realtà è

tipicamente indiana, vi è il pieno riconoscimento delle differenze tra le diverse

comunità e rispettosa delle diversità a tutti i livelli.

La struttura della Costituzione indiana esprime in modo chiaro il compromesso tra

l’uniformità e la diversità314

.

313

MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing

Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.230, www.germanlawjournal.com. 314

MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing

Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.231, www.germanlawjournal.com.

- 187 -

Ambedkar, aveva sostenuto vigorosamente il codice civile uniforme, come

dispositivo laico, ma il suo progetto di uniformità e modernità non si completò, ma

per una buona ragione. A quanto pare la leadership indiana, ai tempi di Nehru, si era

già resa conto che l’uniformità non poteva essere creata a tavolino. Allo stesso modo,

i recenti tentativi dei nazionalisti hindu, per sbarazzarsi del diritto musulmano,

attraverso il progetto di emanazione del codice civile uniforme, erano falliti, e il

rispetto per la diversità ne uscì trionfante315

.

Durante gli aspri dibattiti, sulla codificazione hindu in India negli anni ’50, divenne

chiaro che la legge, perfino quella hindu nel suo complesso, era troppo diversa

internamente per essere sottoposta a un rigido processo di uniformazione e

codificazione.

Le diverse norme locali e consuetudinarie del diritto hindu non potevano essere

inserite in un codice uniforme di diritto hindu, così l’ambizioso progetto di

codificazione del diritto hindu fu abbandonato presto. Quattro Acts furono emanati,

per regolare alcuni aspetti del matrimonio con l’Hindu Marriage Act nel 1955 e tre

ulteriori atti di diritto hindu nel 1956316

. Come realtà giuridica, l’India aveva, verso

la metà degli anni ’50, un complesso normativo di diritto hindu. Buddhisti, giainisti e

sikh furono raggruppati sotto la legge hindu in questo processo di riforma.

315

MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing

Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.231, www.germanlawjournal.com. 316

MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing

Agenda, Vol.09 n°03, 2008, pp.231-232, www.germanlawjournal.com.

- 188 -

4.2 La persistente differenza giuridica nell’India moderna

Dopo il decennio iniziale di modernizzazione giuridica con la riforma del diritto

hindu negli anni ’50, l’India continuò ad applicare leggi personali diverse, per le

varie comunità.

Un esempio tangibile, per criticare questo modo di tornare “indietro” nel sistema

legislativo indiano, è che anche oggi potrebbe accadere che un uomo musulmano

possa sposare fino a quattro mogli contemporaneamente, mentre tutti gli altri uomini

indiani possono avere una sola moglie317

. Questa è almeno l’impressione che si ha

studiando solamente la legge statutaria e notando l’assenza di relative norme o di un

controllo della poligamia nel diritto islamico indiano.

Il problema principale e inevitabile nella legge indiana era se fosse stata

costituzionalmente legittimo mantenere tali distinzioni tra i cittadini indiani,

semplicemente sulla base della religione.

I cittadini indiani dovrebbero mantenere diversi diritti e doveri per il solo fatto di

appartenere a una particolare comunità religiosa?

Poiché la legge non può abolire le comunità, la legge indiana, almeno, può e deve

rimuovere le conseguenze giuridiche discriminatorie delle differenze sociali e

religiose?318

La questione è rimasta molto controversa e in realtà ciò che è stato, alla fine

contestato, è stata la spinosa questione sul mantenimento post-divorzio per le donne,

regolato dalla legge indiana.

317

MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing

Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.232, www.germanlawjournal.com. 318

MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing

Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.232, www.germanlawjournal.com.

- 189 -

Dopo il caso Shah Bano, del 1985, tanto citato e pesantemente abusato, anche da

molte persone in occidente che avevano la pretesa di conoscere il caso (anche se non

potevano sapere nulla sulla legge indiana), il successivo verdetto della Corte

Suprema indiana sul caso Danial Latifi, del 2001, ha confermato che la situazione

giuridica vigente, cioè fare distinzioni tra i cittadini, in base a determinati criteri, in

questo caso la religione, non è in sé costituzionale319

.

Tra il 1950 e il 2001, i dibattiti sul codice civile uniforme, in India, e sull’uniformità

del diritto in generale, hanno continuato a essere attivi. Il discorso ha preso pieghe

diverse, a seconda, dei periodi, delle politiche dell’epoca e dei nuovi sviluppi nel

diritto.

In un primo momento, le esigenze di modernizzazione che avrebbero condotto alla

globalizzazione, portarono verso la convinzione che l’India moderna avrebbe seguito

l’Occidente, in particolare, forse, la Gran Bretagna.

Un’irrispettosa modernizzazione nel campo del diritto di famiglia, avevano portato

molti giudici a ripensare alle strategie per gestire i conflitti familiari.

L’irragionevole modernizzazione è diventata indesiderata dal 1988 in poi. È stato

intrapreso un approccio più graduale, ma non sistematico.

Considerando più specificatamente i fatti e le circostanze del caso, i giudici ora

cercavano di tutelare le donne e i bambini, che potevano essere penalizzati dalle

norme sul divorzio.

Così, giudici indiani di diverse High Courts e della Corte Suprema, ma non il

Parlamento, erano diventati il motore principale, per importanti, quasi impercettibili

sviluppi nel diritto, che hanno inciso anche sulla questione del codice civile

uniforme320

.

È molto importante, nel contesto attuale, osservare che le implicazioni degli

interventi giurisprudenziali in diritto di famiglia non riguardavano principalmente i

problemi di differenza tra uomini e donne, ma principalmente le conseguenze

economiche risultanti dalle loro decisioni.

319

MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing

Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.233, www.germanlawjournal.com. 320

MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing

Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.212, www.germanlawjournal.com.

- 190 -

In India è diventato necessario intraprendere un profondo cambiamento delle

politiche di diritto di famiglia, soprattutto per quanto riguarda l’accesso ai fondi per

il divorzio e per il mantenimento dopo il divorzio.

Durante questo periodo, si nota un lieve cambiamento progressivo, estraneo alle

insistenti richieste per una legislazione e un codice civile uniforme per tutti i cittadini

indiani.

Ci sono stati casi piuttosto importanti, in cui i giudici hanno criticato l’assenza di un

codice civile uniforme. Questi processi stanno diventando sempre più rari, anche se

alcuni accademici indiani, ancora con entusiasmo, vorrebbero estendere il principio

dell’uniformità giuridica come obiettivo auspicabile per l’India di oggi.

Il nuovo principale messaggio per raggiungere l’uniformità è che tutti gli uomini

indiani, quali padroni della maggior parte delle proprietà e dei beni, sono i maggiori

responsabili per il benessere delle mogli e dei bambini, bisognosi di sostegno.

- 191 -

4.3 Collaborazione tra il legislatore e le Corti

Il legislatore indiano promulgando il Maintenance and Welfare of Parents and

Senior Citizens Act del 2007321

, ha compiuto un passo molto importante, è un

provvedimento che consiste in un diritto sociale uniforme, applicabile a tutti gli

indiani.

La nuova preoccupazione dominante, per i principi di tutela sociale, si fondava

fortemente su antichi principi di responsabilità, all’interno della situazione familiare.

In precedenza nel nuovo codice di procedura penale del 1973, che definiva

biecamente il termine “moglie”, fu compresa anche la donna divorziata.

Dato che il Codice è applicato a tutti gli indiani, è ora possibile per le donne

musulmane chiedere il mantenimento oltre il periodo tradizionale di tre mesi, iddat,

quindi per tutta la vita.

Questo è il modo in cui si sono evoluti i progressi giuridici post-moderni in India e

hanno contribuito all’armonizzazione del nuovo sistema di leggi personali.

Il famoso caso Shah Bano, era nato da questo tipo di questione giuridica. Ma ben

prima di questo caso, la sempre più operativa Corte Suprema indiana, nel 1979,

aveva stabilito che un ex-marito musulmano sarebbe stato esente da altri pagamenti

alla sua ex-moglie se questi erano sufficienti per lei “to keep body and soul

together”322

.

Evidentemente, il legislatore aveva messo basi solide nel Codice di Procedura Penale

del 1973, per questo tipo di approccio legale.

Così, importanti provvedimenti, per il benessere sociale in India, sono stati introdotti

con una combinazione di attivismo legale e prontezza legislativa, per aiutare le mogli

divorziate musulmane a evitare miseria e vagabondaggio.

321

MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing

Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.236, www.germanlawjournal.com. 322

BAI TAHIRA v. ALI HUSSAIN CHOTHIA, A.I.R. 1979, cit. in MENSKI W., The Uniform Civil

Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing Agenda, Vol.09 n°03, 2008, pp.236-

237, www.germanlawjournal.com.

- 192 -

Quando il marito di Shah Bano preparò la sua difesa, aggirando l’argomento del

mantenimento economico, i giudici della Corte Suprema, cinque Hindu, risposero e

puntualizzarono che anche in alcune disposizioni coraniche vi era l’obbligo, per un

marito divorziato musulmano, di essere premuroso e generoso con la propria ex-

moglie.

In questo modo, il caso Shah Bano aveva agito da catalizzatore per gli sviluppi

giuridici post-moderni nella legge indiana più recente.

Naturalmente dopo il caso Shah Bano, l’Act del 1986 sulla tutela dei diritti delle

mogli divorziate musulmane, aveva creato un enorme scalpore politico, in un primo

momento solo tra i musulmani ma in seguito anche tra i laici.

La preoccupazione iniziale sul mantenimento delle mogli divorziate musulmane fu

presto oscurata dalla partita politicizzata sul codice civile uniforme, di cui i giudici

trattarono verso la conclusione della sentenza del caso Shah Bano.

Rajiv Gandhi, in un tempo record, emanò una legge, the Muslim Women (Protection

of Rights on Divorce) Act, nel 1986, che tolse tutti i diritti alle mogli divorziate

musulmane per il mantenimento dovuto dai loro ex mariti.323

I modernisti e i laici avevano lamentato con forza il fatto che lo Stato indiano avesse

violato l’art.44 della Costituzione indiana, emanando una nuova legge personale,

specificatamente per i musulmani.

Valide considerazioni erano state fatte circa il fatto che lo Stato indiano avesse,

presumibilmente, deluso tutte le mogli divorziate musulmane.

In realtà, come si evince dal verdetto della Corte Suprema indiana sul caso Danial

Latifi del 2001, le mogli divorziate musulmane sono state tutte tutelate grazie alla

precedente sentenza del caso Shah Bano, e dalle disposizioni della legge stessa del

1986, che erano state fermamente difese, perché costituzionalmente legittime324

.

323

MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing

Agenda, Vol.09 n°03, 2008, 2008, pp.237-238, www.germanlawjournal.com. 324

MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing

Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.239, www.germanlawjournal.com.

- 193 -

Era stata la legge, sia per gli ex-mariti musulmani ai sensi dell’Act del 1986, sia per

tutti gli ex-mariti indiani ai sensi delle disposizioni artt.125 ss., del Codice di

Procedura Penale, del 1973, a essere garante per il mantenimento delle loro ex-mogli,

fino a quando furono emanate adeguati provvedimenti per la sopravvivenza della

donna ad un livello adeguato alle parti.325

Anche se questa non era la versione fornita ufficialmente, questa conclusione era

stata in precedenza documentata, in modo graduale, da un numero crescente di casi

delle High Courts. Tali casi sono stati segnalati fin dal 1988, con particolare forza e

con temi elaborati dall’High Court del Kerala.

I tribunali avevano cominciato a osservare che le azioni dovevano essere più

strettamente limitate nel tempo.

Ai sensi dell’art.3 dell’Act del 1986, come poi interpretato dalle High Courts in

decine di casi segnalati, un ex-marito musulmano, non solo, avrebbe dovuto

mantenere l’ex-moglie durante il periodo dell’iddat (come ogni buon musulmano

dovrebbe fare, ma molto spesso non riesce), ma entro tale periodo avrebbe anche

dovuto “ make and pay” gli alimenti per il periodo successivo all’iddat.326

In altre parole, una moglie musulmana divorziata, raggiunto la fine del suo periodo

d’iddat, poteva presentarsi in tribunale per rivendicare i suoi diritti, se il marito non

l’avesse mantenuta e non avesse provveduto in modo ragionevole al suo benessere

futuro (che poteva includere l’organizzazione di un nuovo matrimonio).

Menski, constatò che nel Sud dell’India, questo avrebbe potuto aiutare le donne nel

lottare per i loro diritti all’interno della famiglia. Allo stesso tempo era consapevole

delle critiche riguardo al presentarsi in tribunale per far rispettare i propri diritti, ciò

rimaneva un grave problema per la maggior parte delle donne in India, forse,

soprattutto, per la classe medio-bassa delle ex-mogli musulmane. Anzi, le nuove

leggi avevano contribuito enormemente, in questo campo, a far sì che le donne

prendessero coscienza.

325

MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing

Agenda, Vol.09 n°03,2008, p.239, www.germanlawjournal.com. 326

MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing

Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.240, www.germanlawjournal.com.

- 194 -

4.4 Verso l’uniformità giuridica nonostante le leggi personali

In India, per i mariti musulmani la situazione era peggiore, perché mentre il codice di

procedura penale del 1973, stabiliva un limite massimo di 500 rupie per il

mantenimento, non vi erano, invece, limiti economici per i diritti delle ex-mogli

musulmane ai sensi dell’Act del 1986. Così, alla base di questi provvedimenti, ora,

tutto dipendeva dalla situazione economica dei coniugi.

In effetti, c’è stato un caso, in particolare, nel Kerala, per cui una donna musulmana,

che aveva già un milione di rupie, pretendeva ancora più soldi dal marito milionario,

e ci riuscì. Questo assicurò ulteriormente i lontani legislatori di Delhi, che il clima

stava finalmente cambiando per garantire a tutte le donne indiane una maggiore

tutela economica.

I giudici, quali guardiani del sistema di welfare, spinsero, indiscutibilmente, i

musulmani verso il regime indiano di assistenza sociale. Il sistema di welfare non è

chiaramente costruito su un sostegno diretto dello Stato, come nei Paesi occidentali,

ma fu progettato abilmente per assicurare che le famiglie cercassero persone vicine,

ma soprattutto che gli uomini rimanessero responsabili del benessere delle loro ex-

mogli e dei loro figli.327

Come le interpretazioni dell’Act del 1986 mostrano, e dopo il caso Danial Latifi del

2001, sembra che la burocrazia statale indiana abbia realizzato, che bisognava

sacrificare o riassegnare la priorità, cioè il principio di uniformità giuridica formale,

per raggiungere lo scopo più alto di assicurare gli equi diritti legali, e questo poteva

essere realizzato in altri modi.

Così, si è evidentemente deciso che i musulmani possano avere o mantenere le loro

specifiche leggi personali se lo desiderano, ma non potranno esimersi dagli obblighi

di assistenza sociale che si applicano uniformemente a tutti gli indiani.

327

MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing

Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.241, www.germanlawjournal.com.

- 195 -

Sembra, quindi, che la legge indiana post-moderna abbia iniziato a incorporare alcuni

buoni elementi del diritto tradizionale, shari’a. In realtà, questa non è la prima volta

che un principio islamico è adottato in un’altra parte del diritto indiano.328

Come già accennato, la sentenza del caso Danial Latifi e il suo palese appoggiare le

donne costrinsero gli uomini musulmani a prendere i provvedimenti necessari per il

futuro mantenimento delle loro ex-mogli.

Dopo aver ricevuto questo verdetto, quasi inaspettato, si aprì presto la strada a un

governo in grado di fare importanti decreti per perfezionare il cammino verso una

maggiore uniformità giuridica nel diritto di famiglia indiano.

Si è notata un’altra crepa nello sviluppo giuridico del diritto di famiglia indiano, che

si è verificata due giorni dopo la sentenza sul caso Danial Latifi, il 24 settembre

2001, quando l’Act 50 del 2001, the Code of Criminal Procedure (Amendment) Act

del 2001, è stato approvato. L’impatto di questa piccola ma molto importante parte di

legislazione si sta facendo sentire dal 2007, molte più donne e gli altri familiari

svantaggiati, hanno preso coscienza di avere diritti legali nei confronti degli uomini

che controllano il patrimonio di famiglia329

.

In primo luogo, la legge ha semplicemente rimosso il tetto di 500 rupie per il

mantenimento previsto, in precedenza, nella sezione 125 del codice di procedura

penale del 1973 per tutti gli indiani. Questo ripristina l’uniformità giuridica al livello

di obbligo a mantenere le ex-mogli per tutti gli ex-mariti indiani.

In secondo luogo, la legge del 2001 introduce una nuova clausola per rafforzare i

diritti al mantenimento pendente lite o mantenimento provvisorio dato che molti

soffrono per la tardiva attuazione delle leggi in questo campo.

In ultimo, questa legge promette un’altra rapida condizione di smaltimento di altri

casi, per quanto possibile, entro sessanta giorni dalla data di notifica della relativa

comunicazione.330

328

“In 1976, the Marriage Laws (Amendment) Act inserted section 13 into the original Hindu

Marriage Act, permitting a Hindu wife exit through divorce from a marriage into which she had been

virtually forced, a rule taken from Muslim law”; cit. nota n°95 in MENSKI W., The Uniform Civil

Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.241,

www.germanlawjournal.com. 329

MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing

Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.242, www.germanlawjournal.com. 330

MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing

Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.242, www.germanlawjournal.com.

- 196 -

Bisognerebbe prendere in considerazione queste nuove disposizioni, anche se la loro

attuazione richiederà tempo e probabilmente mai in modo certo. Lo Stato indiano e il

suo popolo dovranno imparare a utilizzare questa nuova legge, ma ci sarà anche

molta resistenza.

Si teme che sempre più donne indiane siano uccise nei cosiddetti “omicidi per la

dote”, se fanno richiesta di un sostegno finanziario, considerato inaccettabile.331

Soprattutto, sarebbe necessaria, indubbiamente, una vigilanza giudiziaria per attuare

le disposizioni di legge indiane sui benefici del mantenimento post-divorzio.

Questa importante riforma giuridica indica la strada per un riallineamento di genere

delle responsabilità, dei relativi familiari indiani, rimanendo in un sistema

patriarcale, che nessuna legge statale potrà abolire.

Mentre questo tipo di legge sembra fondarsi su ipotesi molto diverse, rispetto ad altre

recenti leggi emanate dal Parlamento indiano, come l’Hindu Succession

(Amendment) Act del 2005, che sembra favorire i singoli diritti sul patrimonio, le

altre recenti promulgazioni hanno rafforzato di nuovo la responsabilità degli

individui vicini ai membri della famiglia.332

Il punto più rilevante della presente discussione sull’uniformità giuridica indiana è

che il quadro giuridico riguardante il mantenimento, prima creato per le ex-mogli

musulmane, con la legge del 1986, ora è stato esteso anche a tutte le ex-mogli

indiane.

331

MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing

Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.243, www.germanlawjournal.com. 332

MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing

Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.240, www.germanlawjournal.com.

- 197 -

La virtuale uniformità giuridica è stata ristabilita, dopo il 1986, con successo, dopo il

cambiamento della legge personale musulmana, anche se formalmente la legge in

questione si trovava nella versione modificata del Codice del 1973 e dell’Act del

1986. In sostanza, non vi è più differenza, ma l’identità della struttura della legge

personale è stata conservata.333

La graduale estensione di tale tutela a tutti i cittadini indiani in difficoltà, è, quindi,

un esempio del continuo potere della promulgazione di leggi personali attiviste e

progressiste nel diritto indiano, destinato a rafforzare la tutela dei diritti individuali,

la coesione nazionale e l’uniformità giuridica.

333

MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing

Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.243, www.germanlawjournal.com.

- 198 -

Conclusioni

La particolare realtà indiana è definita, principalmente, dalle conseguenze politiche

derivate dal problema dell’unificazione del diritto di famiglia.

Infatti in India troviamo, da un lato un diritto laico solo abbozzato, e, dall’altro,

sistemi giuridici fondati su basi religiose, che rappresentano comunità insediate nel

paese da secoli. Uno di questi sistemi è in vigore presso la componente

maggioritaria: la comunità hindu.

L’introduzione dell’Uniform Civil Code rischierebbe di risultare un’imposizione

dell’Hindu Code anche alle minoranze musulmana, cristiana, ebraica e parsi.

“ Contrariamente a quanto vorrebbero i fondamentalisti hindu, è difficile considerare

l’Hindu Code come un passo verso l’introduzione di una legge unitaria e unificante.

Anzi, si può dire che, così com’è concepito, l’Hindu Code rappresenta an

afterthought, apologetically or optimistically misconstruing the historical forces at

work. The codification of Hindu personal law rather belongs to the line of separate

social reforms within the communities ”334

.

Un’eventuale estensione dell’Hindu Code a tutta la popolazione indiana

implicherebbe la perdita automatica di una serie di diritti riconosciuti alle altre

comunità che sarebbero considerate come minoranze, e riconoscerebbe loro soltanto

dei diritti speciali.

Una parte dell’opinione pubblica indiana coglie nell’aspirazione all’uniformità il

rischio di compromettere la libertà di culto, sancita dalla Costituzione. In merito a

tale preoccupazione i membri dell’Assemblea Costituente, in sede di redazione della

Carta costituzionale, avevano espresso un’ipotesi:

“ Religion must be confined to its proper sphere, and the rest of life regulated un

unified so that we can become a strong and consolidated nation. Our first problemi s

national unity ”335

.

334

CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di

famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il

terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,

Franco Angeli, Milano, 2002, p.381. 335

ACQUARONE L., Tra Dharma, Common Law e WTO, Edizioni Unicopli, 2006, cit. p.96.

- 199 -

Anche la Corte Suprema si pronunciò numerose volte sull’argomento, dimostrando

di condividere pienamente la loro opinione e segnalando al legislatore statale la

necessità di dare attuazione all’art.44 della Costituzione.

Nonostante le considerazioni espresse dai giudici della Corte Suprema, non si sono

ancora superate le resistenze all’uniformazione del diritto che fanno leva sul fatto che

la Costituzione pur proclamando principio del laicismo, garantisce a tutti non solo la

libertà di professare qualsiasi fede, ma la possibilità di vivere secondo la propria

religione.

Il governo indiano sembra seguire la politica dell’uguaglianza, anche se ulteriori

sviluppi dipenderanno dalle future condizioni politiche.

Bisogna porsi una domanda: l’India riuscirà a seguire le correnti delle democrazie

liberali nel mondo, proponendo all’esame del Parlamento proposte di legge, per un

diritto civile unitario o prenderà la strada dei nazionalismi etnici?

Forse è giunto il momento che l’India si avvalga dell’attuale differenziazione

legislativa, per raggiungere l’uniformità giuridica ispirata da apporti delle diverse

tradizioni.

Oggi, nella situazione in cui si trova il Paese, sarebbe auspicabile l’introduzione di

un diritto di famiglia unificato che rispecchi e rispetti la multiculturalità della società.

Dovrebbe attuarsi con un processo di adattamento generale che integri le diverse

tradizioni in un codice laico e uniforme.

- 200 -

Il processo d’integrazione può essere sviluppato solo se si riesce a individuare e

valorizzare gli istituti giuridicamente innovativi presenti all’interno di ogni tradizione

giuridica.

Un autorevole giurista musulmano indiano fa un appello, a favore dell’elaborazione

di un diritto di famiglia unitario, e scrive:

“ In pursuance of the goal of secularism, the State must stop administering religion-

based personal laws […]

Instead of wasting their energies in exerting theological and political pressure in

order to secure an “immunity” for their traditional personal law from the state’s

legislative jurisdiction, the Muslim will do well to begin exploring and demonstrating

how the true Islamic laws, purged of their time-worn and anachronistic

interpretations, can enrich the common civil code of India ”336

.

Il diritto hindu non è molto flessibile e ciò è dovuto a due fattori: in primo luogo, alla

volontà uniformante che lo ispira, e in secondo luogo al carattere ibrido che alla fine

ha assunto. Gli elementi di laicismo cercano di fondersi con i caratteri della

tradizione, semplificandoli e correggendoli in modo tale che si adattino meglio alla

società indiana. Ma, all’interno delle comunità rurali hindu le pratiche

consuetudinarie sono ancora molte, e questo complica il processo di uniformazione.

Anche il diritto islamico presenta molti elementi arcaici, ma anche delle innovazioni

intrinseche di laicismo che si possano utilizzare per realizzare un’autentica riforma

legislativa.

I passaggi da compiere sono principalmente due. Il primo comporta il consolidare e

rifinire gli strumenti giuridici e introdurre misure innovative. L’altro, invece, è

introdurre un diritto laico e uniforme, modellato sullo Special Marriage Act, del

1954, in cui il rapporto con le normative delle diverse comunità è risolto secondo le

norme del diritto privato internazionale.

336

MAHMOOD T., Muslim Personal Law, Vikas Publishing House, New Delhi, 1977, pp.200-202,

citazione riportata nel testo della sentenza Shah Bano, in ENGINEER A.A., The Shah Bano

Controversy, cit. p.33; cit. in CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema

dell’unificazione del diritto di famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il

subcontinente indiano verso il terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed

economiche, mutamento culturale, Franco Angeli, Milano, 2002, p.382.

- 201 -

Negli ultimi anni i provvedimenti emanati per il diritto al mantenimento delle donne

divorziate indiane, indipendentemente dalla loro appartenenza religiosa sono stati il

primo passo verso l’uniformazione del diritto.

La necessità di una legislazione unitaria è divenuta molto meno interessante, tanto

più che il sistema dei diritti personali continua a dimostrare di contenere le pressioni

della potenziale disuguaglianza attraverso il complicato processo graduale di

armonizzazione di tutte le leggi personali indiane grazie alle norme costituzionali e

penali. Ciò non contraddice le finalità dello Stato indiano post-moderno, posto che i

diversi sistemi giuridici si comportano come identificatori etnici della celebrata unità

indiana nella diversità.

Le prospettive non sono cambiate totalmente, ma le priorità sono state riadattate, la

nazione prospera e le persone vulnerabili sono tutelate meglio, rispetto a prima.

I dibattiti giuridici e accademici, tuttavia, sono ancora molto indietro, rispetto allo

sviluppo del diritto, in forma sia di legge statutaria sia di giurisprudenza.

Queste nuove leggi, con il loro riconoscimento, hanno caratterizzato il pluralismo nel

senso più profondo.

Molti studiosi ancora oggi pensano che l’ideologia politica e giuridica di una totale

uniformità delle leggi e la creazione di un nuovo diritto di famiglia unitario che

potrebbe o dovrebbe essere legiferato dal Parlamento per tutti gli indiani non siano

realizzabili.

Una forzata uniformità giuridica difficilmente porterebbe a una situazione di

giustizia, che i sistemi induista e islamico hanno sempre cercato e tentano ancora di

raggiungere.

Sembra che l’India riesca ormai a gestire formalmente un sistema nazionale giuridico

uniforme, come la Costituzione e la maggior parte del diritto generale, ma il diritto

vigente stesso, e il diritto di famiglia in particolare, rimarranno legati a culture

specifiche, e quindi segnati da differenze.

Chiedere un Uniform Civil Code in stile approssimativamente uniforme, come

desiderato dai legislatori degli anni ’50, era come chiedere l’impossibile.

- 202 -

Attualmente, ciò che può presentare lo Stato indiano come diritto di famiglia

uniforme è solo un’immagine speculare di leggi personali armonizzate.

Il pluralismo giuridico che vige in India in materia di diritto di famiglia sembra

l’unica risposta adeguata al multiculturalismo e il diritto di famiglia indiano basato

sul sistema di diritti personali è indicato come modello testato da esportare nelle

società che hanno iniziato da poco a confrontarsi con la multiculturalità.

La sfida, ora, è di emanare leggi personali che funzionino al meglio per il popolo

indiano, nel rispetto della Costituzione.

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