«La descrizione degli elementi naturali in Qo 1,4-7: problemi esegetici e linguistici». (Complete)
PROBLEMI POSTI DALLA SOCIETA’ MULTICULTURALE NELL’INDIA ATTUALE IN MERITO ALL’UNIFICAZIONE DEL...
Transcript of PROBLEMI POSTI DALLA SOCIETA’ MULTICULTURALE NELL’INDIA ATTUALE IN MERITO ALL’UNIFICAZIONE DEL...
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PAVIA FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA
PROBLEMI POSTI DALLA SOCIETA’ MULTICULTURALE NELL’INDIA
ATTUALE IN MERITO ALL’UNIFICAZIONE DEL DIRITTO
Relatore:
Prof. ssa Alba Negri
Tesi di laurea di
Giulia Greco
Anno accademico 2012/2013
- 2 -
PROBLEMI POSTI DALLA SOCIETA’ MUTICULTURALE NELL’INDIA
ATTUALE IN MERITO ALL’UNIFICAZIONE DEL DIRITTO
INDICE:
INTRODUZIONE…………………………………………………………………..1
CAPITOLO I “L’INDIA”
1. L’India e la sua storia
1.1 Premessa……………………………………………………………………….4
1.2 L’India prima dell’Indipendenza
1.2.1 L’India antica………………………………………………………………5
1.2.2 Dopo la cultura vedica……………………………………………………..7
1.2.3 L’ impero dei Gran Moghul………………………………………………..8
1.2.4 Dallo Stato coloniale della Compagnia delle Indie Orientali all’impero
vittoriano…………………………………………………………………..9
1.2.5 Lotta per l’Indipendenza………………………………………………….12
2. La tradizione hindu..............................................................................................20
2.1 I Veda…………………………………………………………………………21
2.2 Le Leggi di Manu……………………………………………………………..22
- 3 -
3. L’India indipendente e la sua Costituzione……………………………………29
3.1 Le istituzioni………………………………………………………………….37
3.1.1 Il Parlamento……………………………………………………………...37
3.1.2 Il Governo………………………………………………………………...38
3.1.3 Il potere giudiziario……………………………………………………….39
3.1.3.1 La Corte Suprema…………………………………………………….40
3.1.3.2 Le High Courts……………………………………………………….41
3.2 La struttura federale della Repubblica indiana……………………………….42
4. La cittadinanza indiana
4.1 I cittadini e lo Stato in tempo di globalizzazione……………………………44
4.2 Nazionalità vs. Cittadinanza…………………………………………………47
- 4 -
CAPITOLO II “IL DIRITTO INDIANO”
1. Evoluzione del diritto indiano…………………………………………………..53
1.1 Il diritto buddhista…………………………………………………………….55
1.2 Il diritto islamico……………………………………………………………...57
1.3 Jainismo, sikhismo, zoroastrianesimo, e altri modelli religiosi, tribali………59
1.4 Periodo coloniale: verso l’assetto moderno del diritto indiano………………61
2. Il diritto hindu…………………………………………………………………...65
2.1 Il Dharma……………………………………………………………………..66
2.2 Strutture organizzative dell’induismo………………………………………...70
2.3 Le fonti del diritto hindu tradizionale………………………………………..72
3. Fonti del diritto indiano
3.1 La complessità delle fonti del diritto indiano……………………………….76
3.1.1 I mutamenti prodotti dal periodo coloniale nel diritto indiano………….78
3.2 Le fonti formali e i formanti
3.2.1 La legislazione……………………………………………………………80
3.2.2 La giurisprudenza…………………………………………………………85
3.2.3 La dottrina………………………………………………………………...88
4. La lingua del diritto indiano……………………………………………………89
- 5 -
CAPITOLO III “IL DIRITTO DI FAMIGLIA”
1. Pluralità di sistemi dei diritti personali………………………………………98
2. Hindu Law: connessione tra diritto statale e religione………………………102
2.1 Hindu Code: la riforma del diritto hindu……………………………………105
2.1.1 Hindu Marriage Act……………………………………………………..108
2.1.2 Hindu Adoption and Maintanance Act e Hindu Succession Act………...117
3. Muslim Law…………………………………………………………………….120
3.1 Il matrimonio………………………………………………………………..122
3.2 Il divorzio……………………………………………………………………125
3.3 La successione………………………………………………………………131
4. Le Family Courts……………………………………………………………….132
5. Il conflitto tra diritto statale e diritti personali: il caso Shah Bano…………135
5.1 La cronologia dei fatti……………………………………………………….136
5.2 Gli articoli del Codice di Procedura Penale: da 125 a 128………………….138
5.3 La sentenza della Supreme Court…………………………………………...141
5.3.1 Le reazioni alla sentenza………………………………………………...142
5.3.1.1 Muslim Women Act (Protection of Rights on Divorce) Act
(MWPRDA)…………………………………………………………143
- 6 -
CAPITOLO IV “UNION CIVIL CODE”
1. Premessa………………………………………………………………………..150
2. Il problema dell’elaborazione di un diritto di famiglia uniforme:
motivazioni e storiche e politiche……………………………………………...155
2.1 Il multiculturalismo in India………………………………………………...157
3. Dibattito sull’elaborazione del codice civile uniforme fino agli anni ’90…...159
3.1 Uniformità delle leggi in India………………………………………………167
3.1.1 Perché l’India è così ossessionata dal concetto di uniformità?.................168
4. Dibattito sull’Uniform Civil Code in epoca recente………………………….175
4.1 Imparare a rispettare le differenze nell’India indipendente…………………179
4.2 La persistente differenza giuridica nell’India moderna……………………..182
4.3 Collaborazione tra il legislatore e le Corti…………………………………..185
4.4 Verso l’uniformità giuridica nonostante le leggi personali………………….188
CONCLUSIONI…………………………………………………………………..192
BIBLIOGRAFIA…………………………………………………………………197
SITOGRAFIA.........................................................................................................208
- 7 -
INTRODUZIONE
Quando si parla di “India”, tutti rimangono sempre affascinati dalla spiritualità
induista, dagli aspetti mistici della cultura e tradizione indiane; ma, l’India
innanzitutto, è una repubblica democratica, la più grande democrazia del mondo.
È un paese vasto, variegato in cui coesistono molteplici interessi, idee diversissime e
molte contraddizioni.
Gli elementi di pluralità, multiculturalità e multietnicità hanno influito sulla sua
struttura politica e giuridica, dopo l’Indipendenza.
Lo Stato indiano, durante la sua nascita ed evoluzione, si è basato sul principio
dell’“unità nella diversità”, che rappresenta la volontà di riconoscere la grande
varietà di comunità locali indiane e la consapevolezza di dover sviluppare una
comunicazione interculturale, per raggiungere l’unità nazionale.
Le diverse fedi religiose, i gruppi linguistici, le etnie, e le differenti pratiche sociali
sono tutelate dalla Costituzione indiana, del 1950, che assicura l’uguaglianza dei
diritti individuali, un ordinamento giuridico imparziale, e considera la religione come
elemento appartenente alla sfera personale dell’individuo.
Lo scopo della tesi è di individuare i problemi posti da questo tipo di società
multiculturale in merito all’unificazione del diritto, perché il sistema giuridico
indiano è sempre stato identificato, come la somma di una parte di diritto
tradizionale, e di un complesso normativo moderno, della famiglia di common law.
Già dal primo capitolo, con l’evoluzione storico-giuridica dell’India, ci si potrà
accorgere, come le diverse dominazioni, oltre a quella britannica, hanno influenzato
il diritto indiano e le sue istituzioni. In particolare, durante il regno Moghul, (periodo
di dominazione islamica), si elaborò il concetto di “usanze del popolo”: per
determinate amministrazioni e istituzioni, ogni comunità poteva usare il proprio
diritto o tradizione senza che fosse imposto uno specifico sistema giuridico.
Invece, gli Inglesi, avendo allacciato rapporti commerciali transnazionali e per
esigenze di amministrazione coloniale, vollero conoscere il diritto indiano per avere
gli strumenti adatti a risolvere i problemi pratici.
- 8 -
Infatti, lo studio del diritto indiano iniziò tra il XVIII e il XIX secolo durante
l’amministrazione coloniale inglese, grazie a figure di notevole spessore culturale
come Lord Macaulay e Hastings.
Dopo la proclamazione dell’Indipendenza, nel 1947, gli studi sul diritto indiano
s’interruppero, perché ormai il diritto indiano era ritenuto “occidentalizzato”, per la
parte che derivava dal diritto coloniale, e un’unione di diritti hindu e musulmano, che
si auguravano potesse essere modernizzata e riformata, con una serie di
provvedimenti, per la creazione un diritto unitario.
Come si osserverà nei capitoli seguenti, grazie alla crescente importanza che l’India
sta avendo a livello internazionale, in merito ad aspetti politici ed economici, ha
stimolato gli accademici e i giuristi a un nuovo studio sul diritto indiano, relativo al
sistema di diritti personali, e a un acceso dibattito sui motivi per cui non è stato
ancora emanato un codice civile uniforme.
La mancata introduzione di un diritto di famiglia unitario, in particolare, fa sì che sia
riconosciuta a ogni comunità religiosa, il diritto di amministrare, in modo autonomo,
il proprio sistema-famiglia. Di conseguenza sono in vigore diverse leggi tutte ispirate
alla tradizione religiosa.
Nel terzo capitolo affronterò, infatti, il tema del diritto di famiglia, cercando di
spiegare i motivi storico-politici per l’assenza di questa legislazione unitaria e
illustrerò la connessione tra il diritto e la religione hindu e i relativi conflitti che vi
possono nascere tra la legge statale e i diritti personali, analizzando un caso
giurisprudenziale, passato alla storia, il caso Shah Bano del 1985.
Come si vedrà nella trattazione della tesi, nessuno degli studiosi ha posto il problema
nell’ambito del multiculturalismo, che avrebbe consentito di collegare il problema
con la causa in modo immediato. Infatti, uno dei problemi fondamentali delle società
multiculturali è la necessità e la difficoltà di elaborare leggi unitarie, senza ledere i
diritti delle diverse comunità.
- 9 -
In un’ultima analisi tratterò il tema della mancata emanazione dell’Uniform Civil
Code e i relativi dibattiti che si sono susseguiti negli anni.
L’apparato giuridico indiano, dopo l’Indipendenza, ha conservato la distinzione tra
sfera pubblica e sistema dei diritti personali, sebbene i membri dell’Assemblea
Costituente avessero affermato, di volere l’uniformità delle leggi fondamentali, civili
e penali, considerandola essenziale per l’unità della nazione.
Il credo religioso non poteva costituire il fondamento dell’identità politica, come
avrebbero voluto i membri del partito nazionalista.
La Costituzione indiana ritiene la religione, una questione inerente alla sfera
personale e tutela la libertà di culto, gli interessi e gli statuti personali delle comunità
unite dalla stessa fede religiosa e vieta espressamente la discriminazione di religione,
razza, di casta e di sesso.
L’ambizione di raggiungere una legislazione civile comune è rimasta nell’art. 44
della Costituzione che chiede alla Stato di “adoperarsi per garantire ai cittadini un
codice civile uniforme su tutto il territorio indiano”.
Nell’ultimo capitolo, trattando del dibattito sull’Uniform Civil Code, si osserva come
la Costituzione stabilisca l’entrata in vigore di un codice civile unitario, ma non
garantisce la modificabilità e l’eliminazione definitiva dei vari statuti personali.
Se da una parte, il diritto dell’India classica è una fonte eccezionale di sapere
giuridico, dall’altra l’India attuale potrebbe ottenere una posizione rilevante nel
mondo giuridico contemporaneo con le sue idee, modelli e soluzioni giuridiche.
In base ai temi trattati si può affermare che apporteranno un notevole contributo al
dibattito sull’evoluzione del diritto nel mondo.
Se ciò accadesse, sarebbe ancora più interessante visto che, avrebbe come
protagonista un paese post-coloniale, che attraverso il recupero della propria
autonomia giuridica, potrebbe presentarsi come possibile modello per i diritti
occidentali.
- 10 -
CAPITOLO I “ L’INDIA ”
1. L’India e la sua storia
1.1 Premessa
La storia dell’India è molto antica. La data dell’origine della tradizione indiana è
fissata convenzionalmente al 1500 a.C., periodo nel quale si pensa sia avvenuto lo
stanziamento delle popolazioni arie nel subcontinente indiano.1
Dato questo lungo arco di tempo la tradizione indiana ha attraversato diverse fasi che
ne hanno determinato lo sviluppo, pur conservando degli elementi di continuità nel
passaggio da una fase all’altra.
La storia della Repubblica indiana prima dell’Indipendenza viene, solitamente
suddivisa, nelle seguenti “grandi epoche”: periodo vedico (1500 a.C.-800 a.C.),
periodo classico (800 a.C.-200 a.C.), periodo post-classico (200 a.C.-1100 d.C.),
insieme rappresentano la fase dello sviluppo del diritto hindu tradizionale; periodo
musulmano, dal 1100 d.C. e infine periodo coloniale che inizia nel 1600 e si
conclude nel 1947 con l’Indipendenza dello Stato indiano.2
1 A un diverso livello di analisi, occorre distinguere tra tradizione hindu e tradizione indiana. Si
intende per tradizione indiana l’insieme delle diverse tradizioni o subtradizioni che si sono sviluppate
o diffuse in india, inclusa quella musulmana o quella buddhista. Invece la tradizione hindu è quella più
antica e la sua origine viene identificata dagli studiosi come punto iniziale per lo studio della storia del
diritto indiano. A rigore dovrebbero essere considerati anche i diritti dravidici e della civiltà Harappa,
ma dal punto di vista giuridico hanno perso ogni rilevanza. Si veda TORRI M., Storia dell’India,
Laterza, Roma-Bari, 2000. 2 MENSKI W.F., “Diritto dell’India”, Enc. giur. Treccani, vol.11, Roma, 1989.
- 11 -
1.2 L’India prima dell’Indipendenza
1.2.1 L’India antica
Circa 8.000 anni fa nelle zone ai margini della valle dell’Indo, popolazioni stanziali,
gli Harappa, seppero conquistare anche lo sterminato terreno alluvionale dell’Indo.
La popolazione aumentò, sorsero grandi città. Testimonianza della grandezza di una
delle prime civiltà dell’umanità, mura imponenti e un dominio che si estendeva fino
al confine della pianura settentrionale del Gange e fino al Gujarat e al Maharashtra.
Nelle roccaforti delle città vi erano luoghi di culto e residenze di una società d’élite.
Si suppone che la regolamentazione e il mantenimento di quella civiltà fossero
affidate a una sorta di comunità sacerdotale.
La loro scrittura, che compare su numerosi sigilli, non è stata ancora decifrata:
tuttavia si ritiene che servisse in primo luogo a trasmettere informazioni di tipo
commerciale.
La rete commerciale della civiltà dell’Indo era molto sviluppata, comprendeva il
settore meridionale della penisola arabica, la Mesopotamia e giungeva fino in Africa.
Intorno al 1900 a.C. mutamenti climatici e presumibilmente anche rivolgimenti
tettonici posero fine alla civiltà dell’Indo.3
Mentre la civiltà dell’Indo stava ormai tramontando, in Afghanistan vivevano pastori
nomadi, gli “arya” (i puri).4
I loro soldati scendevano in battaglia su carri da guerra veloci e leggeri.
La civiltà dell’Indo non conosceva i cavalli e quindi neanche guerrieri simili a quelli
che arrivarono a cavallo e sottomisero l’India.
3 ROTHERMUND D., “Storia dell’India”, Il Mulino, Bologna, 2007, p. 7
4 La parola “aryano” o “ariano” deriva dal sanscrito “arya” e indica nobiltà o buona famiglia. Il suo
senso scientifico primario, però, è linguistico e si riferisce a coloro che parlavano lingue ariane o
indoeuropee.
- 12 -
Il periodo di siccità che aveva inaridito le foreste permise ai guerrieri sui carri di
disboscare quelle terre con il fuoco e di penetrare verso est.
Nelle loro scritture tramandate oralmente, i Veda, si parla del dio del fuoco Agni che
sarebbe loro “fiammeggiato davanti” nel cammino verso est.5
La regione al di là del fiume fu a lungo considerata dagli arya una terra impura.
Essi consolidarono il proprio dominio nella pianura del medio corso del Gange, dove
ebbe luogo una seconda urbanizzazione.
L’oriente “impuro” (Bihar e Bengala) offriva ai grandi regni che vi stavano sorgendo
un’enorme base di potere.
Nell’est si svilupparono anche nuove correnti religiose, che sfidavano la religione dei
Veda; Gautama fondò il buddhismo e Mahavira il jainismo.
Nel V e VI secolo a.C. queste dottrine conobbero una rapida diffusione.
5 ROTHERMUND D., “Storia dell’India”, Il Mulino, Bologna, 2007, p. 8
- 13 -
1.2.2 Dopo la cultura vedica
Tra il V secolo a.C. e XVI secolo d.C. ci furono le prime interazioni con i popoli
europei, le invasioni islamiche e tre forme di unificazione parziale del subcontinente
indiano: quella Maurya, quella Gupta e infine quella Moghul.
Il periodo si concluse poi con i primi contatti con le potenze coloniali europee.
Le più antiche interazioni con la popolazione dell’area riguardavano i rapporti con la
Persia, con il mondo islamico e, nel caso dei popoli europei, con la Grecia e Roma.
Un’importante occasione di contatto si ebbe con Alessandro Magno, il re macedone
che dopo aver conquistato la Persia si spinse fino all’India nel 326 a.C.
La campagna bellica contro gli Stati fu brutale, ma fu intrapresa da Alessandro anche
“con un forte senso della missione di unire occidente e oriente, creando una fusione
di culture cosmopolite”.6
Questa impresa greca in India espresse i continui legami tra India e occidente, non
solo nelle comuni radici linguistiche, ma anche in termini fisici e culturali.
Dopo la ritirata di Alessandro Magno, l’India raggiunse una prima unificazione con
la dinastia Maurya (IV-II sec. a.C.).
Famoso fu l’imperatore Ashoka, vissuto nel III secolo che, divenuto buddhista, si
propose di diffondere questa religione. Ashoka fu una figura politica straordinaria:
tra le sue iniziative il tentativo di risolvere le dispute con pratiche di conciliazione.
Dopo la dinastia Maurya, quella Gupta riuscì a ricostituire l’impero.
Durante la loro reggenza l’India conobbe una grande fioritura culturale: vide la luce
la poesia classica sanscrita e la scultura dei templi si contraddistinse per la grande
bellezza delle figure che sembravano vivere.
6 MURPHY R., “A history of Asia”, Pearson Longman, New Jersey, 2009, p.74; cit. in “India” di
COBALTI A., QUADERNO 51, Dipartimento di sociologia e ricerca sociale dell’Università degli
Studi di Trento, 2010.
- 14 -
L’”antichità classica” dell’India ebbe fine con la calata degli Unni, che assestò il
colpo di grazia al regno Gupta.
I re unni Toramana e Mihirakula, che ressero l’India nordoccidentale dal 506 al 528
a.C., annientarono la cultura urbana e rasero al suolo i monasteri buddhisti.
Alla fine i principi locali indiani cacciarono gli Unni, che subirono sconfitte anche in
Asia centrale, vedendo così esautorare il loro potere.
Per lungo tempo non fu più costituito alcun impero indiano.
Con il collasso di questa dinastia dovuta a invasori venuti dall’Iran o dall’Asia
centrale, e il ritorno a una struttura regionale, dal 1000 d.C. la storia dell’India fu
segnata dalle invasioni islamiche.7
7 ROTHERMUND D., “Storia dell’India”, Il Mulino, Bologna, 2007
- 15 -
1.2.3 L’impero dei Gran Moghul
La conquista islamica era iniziata nel 711 dal Sind, una provincia indiana nella parte
inferiore della valle dell’Indo, ed era avvenuta per via marittima.
Il Sind islamico rimase isolato per circa tre secoli fino a che alla fine del IX secolo,
attraverso il passo Khyber, le truppe afghane di Mahmud Gazni (“la spada
dell’islam”), penetrarono in India.
In India, in quest’era musulmana, si susseguirono dinastie di sultani, fino a che il
culmine dell’influenza islamica si affermò con la dinastia Moghul, che sarebbe poi
entrata in crisi irreversibile all’inizio del XVIII secolo.
La dinastia Moghul era originaria dell’Asia centrale; da lì nella prima metà del XVI
secolo mosse un’invasione che avrebbe portato nella parte settentrionale dell’India la
cultura persiana e la religione musulmana.
La sua stagione d’oro fu tra il XVI e il XVII secolo, con il nipote del suo fondatore,
Babur detto “la tigre”, discendente di Gengis Kahn.
Si trattava dell’imperatore Akbar (1542-1605) che regnò per cinquant’anni favorendo
la crescita culturale dell’India e la tolleranza religiosa.
Akbar realizzò radicali riforme amministrative che rimasero determinanti per i suoi
successori: inserì il sistema dell’assegnazione delle terre (iqta), in un nuovo ordine
gerarchico. L’attribuzione delle terre (jagir) corrispondeva al rango (mansab).8
I governatori delle province erano al vertice della scala gerarchica, ma non di rado
nelle province medesime si trovavano importanti fortezze i cui comandanti erano
anch’essi di alto rango e controbilanciavano il potere dei governatori.
Un altro problema che Akbar dovette risolvere fu quello dell’esatta valutazione
dell’assegnazione di terre e della determinazione dell’ammontare delle imposte.
La seconda questione, per sua stessa natura, comportava una decisione arbitraria, che
poteva prendere soltanto il sovrano personalmente. Egli doveva giudicare l’entità del
raccolto in base ai monsoni che potevano mutare di anno in anno.
Via via che il regno si espandeva si dovette tener conto delle differenze tra le varie
religioni che il Gran Moghul difficilmente poteva conoscere.
8 ROTHERMUND D., “Storia dell’India”, Il Mulino, Bologna, 2007
- 16 -
Akbar risolse questi problemi facendo confiscare tutte le assegnazioni e
sottoponendo per dieci anni tutte le terre all’amministrazione fiscale centrale, che
corrispondeva direttamente agli ufficiali e ai funzionari quanto era loro dovuto.
In questi dieci anni gli scritturali tributari registrarono l’esatta entità del raccolto, da
cui fu possibile calcolare una media decennale (dahsalnama) che consentì di
effettuare delle proiezioni; in seguito vennero riprese le assegnazioni.
L’amministrazione così sapeva esattamente in quale misura queste corrispondevano
al rango dell’assegnatario. Finché Akbar vigilò sul suo finanziamento, il sistema
dette buoni risultati.
Accanto ai beneficiari di assegnazioni fondiarie statali (jagirdar) c’erano anche quei
feudatari definiti con il termine generico zumindar, che potevano essere piccoli
sovrani sottomessi, capi tribù, vassalli di regimi precedenti.
In linea di massima erano tenuti a pagare le imposte fondiarie, ma l’amministrazione
era consapevole del fatto che spesso dai feudatari riottosi non si incassava nulla.
L’inquadramento tributario fondiario avrebbe in realtà richiesto l’agrimensura (zabt),
ma laddove ciò non fosse stato possibile, l’ammontare si poteva stabilire anche in
base a un calcolo forfettario (nasaq).
L’amministrazione fiscale partiva dal presupposto che solo raramente l’importo
stabilito (jama) corrispondeva a ciò che effettivamente veniva incassato.
Per mantenere l’enorme impero dei Gran Moghul era indispensabile che le imposte
fondiarie fossero pagate in denaro. Il valore della loro rupia d’argento corrispondeva
al metallo che questa effettivamente conteneva.
L’unica misura in materia di politica monetaria presa dall’amministrazione Moghul
consistette nell’accettare, negli uffici statali, le rupie in argento al loro intero valore
nominale nell’anno della coniazione. In seguito, per ogni anno, era calcolato un
ribasso, e ciò al fine di contrastare la tesaurizzazione delle monete e di stimolarne la
circolazione che, peraltro, non era affatto veloce, in quanto determinata dal ciclo
annuale agricolo.
Durante il regno di Akbar si svilupparono in maniera decisa l’economia, il sistema
monetario e quello fiscale.
Il sovrano era però interessato anche a mantenere la pace religiosa in India.
- 17 -
Abolì l’inviso testatico (jizya) per i non musulmani. Rinunciò così a considerevoli
introiti fiscali, ma in questo modo si guadagnò la lealtà degli indù, che continuavano
a rappresentare la stragrande maggioranza dei suoi sudditi.
I musulmani ortodossi non vedevano di buon occhio quest’atteggiamento tollerante,
ma si irritarono ancora di più quando Akbar si arrogò il diritto di esprimere giudizi
vincolanti su questioni di fede.
Secondo la concezione che i dottori musulmani avevano delle norme, il “pio sultano”
doveva attenersi strettamente al Corano e lasciare appunto ai dottori la sua
interpretazione.
Akbar rivendicò un’autorità spirituale autonoma a seguito di un’esperienza mistica
che gli sarebbe capitata nell’anno 1578. Appellandosi a quest’autorità arrivò persino
a predicare una propria dottrina religiosa, la Din-i-llahi (“Fede divina”).
Non si trattava tuttavia di una dottrina a cui Akbar pensava di convertire il popolo,
ma piuttosto di un ordine che accogliesse personalità eminenti del regno.9
Il lungo regno di Akbar terminò con la sua morte nel 1605.
9 WOLPERT S., A New History of India, Oxford, Oxford University Press, 1977, traduzione in
italiano curata da Giuliano Boccali, Storia dell’India, Bompiani, Milano, 1998, p.123.
Riguardo ad Akbar afferma A. SEN, Laicismo indiano (a cura di A. Massarenti), Feltrinelli, Milano
1998, p.43: “…era profondamente interessato alla filosofia e alla cultura indù, e tentò di fondere le
varie fedi dell’India in una sorta di religione sincretica…Intratteneva a corte intellettuali, artisti e
musicisti hindu e musulmani, e cercò in ogni modo di comportarsi con i propri sudditi in maniera
equanime e non settaria.”
- 18 -
1.2.4 Dallo stato coloniale della Compagnia delle Indie Orientali all’impero
vittoriano
La creazione di uno stato sul suolo indiano per opera di una compagnia mercantile
inglese fu un fatto stupefacente.10
Dal punto di vista organizzativo la Compagnia delle Indie Orientali non era
sufficientemente attrezzata per assumere il controllo territoriale del Bengala. I suoi
dipendenti, i covenanted servants, giungevano a ottenere il posto di lavoro tramite
conoscenze ed erano mal retribuiti ma, in base al loro contratto (covenant), dovevano
versare una cospicua cauzione, che superava di svariate volte lo stipendio annuale;
non avrebbero dovuto danneggiare gli interessi della Compagnia delle Indie
Orientali: ecco spiegata l’ingente cauzione.
La carica di governatore generale, che per la prima volta fu ricoperta da Warren
Hastings, fu creata nel 1784 con una legge del parlamento britannico allo scopo di
amministrare il governo dell’India senza ridurre i diritti della Compagnia delle Indie.
A Londra il governatore generale rispondeva al President of the Board of Control, il
precursore del futuro ministro delle Indie. Al governatore generale fu inoltre
affiancato un consiglio esecutivo costituito da quattro funzionari inviati da Londra,
che potevano metterlo in minoranza.
Durante il governatorato di Hastings in India si era verificato non solo un
consolidamento dell’amministrazione territoriale, ma anche una rapida diffusione
dell’amministrazione giudiziaria inglese.
Le gravose imposte giudiziarie non sostenevano soltanto i costi dei tribunali, ma
costituivano un’entrata supplementare per lo stato coloniale.
La sovranità giurisdizionale rafforzava quella territoriale.
10
La prima spedizione in India della Compagnia risale al 1608: tre navi, armate da mercanti londinesi
e comandate dal capitano Hawkins, gettarono l’ancora a Surat, il principale porto dell’impero mughal
che divenne la prima base inglese, rimanendo quartier generale della Compagnia, nella costa
occidentale, fino al 1687, quando quel ruolo chiave passò a Bombay. Quando Hawkins giunse a Surat,
“forte di venticinquemila monete d’oro e di una lettera da parte di Giacomo I per l’imperatore” la città
si presentava alquanto vivace: “Questa porta occidentale dell’India era colma di pellegrini musulmani
che attendevano la nave che ogni anno portava alla Mecca; i magazzini rigurgitavano di indaco, stoffe
di cotone e mercanzie varie pronte per essere esportate…nei bazar si pigiavano i mercanti provenienti
dall’Asia, che vendevano di tutto, dalle piume di pavone agli elefanti bianchi, dalla mercanzia più
comune all’oppio, dalle foglie di pala all’oro”. (WOLPERT S., Storia dell’India, a cura di Giuliano
Boccali, Bompiani, Milano 1998, pp. 136-137).
- 19 -
“ Già all’epoca dei sovrani locali il diritto del diwani era consuetudinario, a
differenza di quello islamico. Gli inglesi lo consolidarono e lo integrarono con il loro
diritto favorevole ai creditori.
Il giudice inglese William Jones, che in realtà, in quanto giudice supremo della Corte
di giustizia reale a Calcutta era competente in primo luogo per gli inglesi, che non
erano soggetti alla giurisdizione indiana, intervenne anche in quella del diwani e si
occupò soprattutto di “codificare” il diritto indù ”.11
Quest’opera di codificazione avvenne innanzitutto con la traduzione di “Le Leggi di
Manu”; il giudice Jones era un esperto di sanscrito e operando a stretto contatto con i
brahmani, questi lo aiutarono nel suo lavoro di traduzione e successivamente di
codificazione.12
Anche se fungevano da consulenti nelle questioni del diritto
indigeno, spesso i loro giudizi tendevano ad adattarsi alle condizioni date. Questa era
una caratteristica distintiva della giurisprudenza tradizionale. Naturalmente si perse
per strada quando Jones dette alle stampe il suo codice, che fu poi a disposizione di
tutti i giudici inglesi, oltremodo grati per quest’aiuto, poiché essi stessi capivano ben
poco di diritto indiano.
Con la diffusione del diritto anglo-indiano crebbe il numero degli avvocati indiani e,
infine, anche quello dei giudici indiani che, secondo l’uso britannico, erano reclutati
fra gli avvocati migliori. In questo modo, però, gli inglesi si tirarono addosso anche i
futuri critici della loro sovranità i quali, quando si trattò di mettere sotto accusa gli
effetti della colonizzazione, poterono citare i principi del diritto inglese.
La prima sfida alla sovranità coloniale arrivò da tutt’altra parte: i mercenari indiani
della Compagnia delle Indie Orientali congiurarono contro gli inglesi e fecero
scoppiare la grande rivolta del 1857.
Uno degli intenti dei rivoltosi fu quello di portare al governo l’ultimo imperatore
della dinastia Moghul. Essa fu sanguinosa, come anche la sua repressione, ma alla
fine la corona britannica assunse un diretto controllo del paese (1858) e nel 1876 la
regina Vittoria fu proclamata imperatrice d’India.
11
ROTHERMUND D., “Storia dell’India”, Il Mulino, Bologna, 2007, p.54 12
Lo storico scozzese W. ROBERTSON, autore della Historical Disquisition Concerning the
Knowledge that the Ancient had of India, Edinburgh 1791, paragonò questa compilazione al codice
giustinianeo per il grado di accuratezza dell’analisi e per la complessità della struttura (Robertson
riportato in G.D. ROMAGNOSI, Ricerche storiche sull’India antica…cit. p.187)
- 20 -
1.2.5 Lotta per l’Indipendenza
Il processo che portò all’indipendenza nel XX secolo fu operato da persone istruite in
inglese e professionisti che alla fine domandarono la libertà dal Raj britannico.
Il movimento di opposizione al dominio britannico, che crebbe nella seconda metà
del XIX secolo, ebbe una delle sue tappe più significativa, nella creazione del partito
dell’ “Indian National Congress” nel 1885:13
tra i suoi esponenti vi furono
Rabindranath Tagore, poeta e scrittore, primo Premio Nobel indiano nel 1913;
Babasaheb Ambedkar, risoluto oppositore del sistema delle caste e uno dei padri
della Costituzione indiana; Jawaharnal Nehru, diventato primo ministro dopo
l’Indipendenza e fondatore della “dinastia” dei Gandhi, che ha avuto tanta parte nel
governo dell’India e infine Mohandas Gandhi che riuscì a trasformare, dopo il suo
ritorno dal Sudafrica nel 1915, il National Congress in un partito della “non
violenza”.
Nel Congresso Nazionale Gandhi era già conosciuto e apprezzato come leader della
minoranza indiana in Sudafrica; aveva preso già posizione su questioni di carattere
nazionale. Il suo manifesto politico, Hind Swaraj, era apparso nel 1909. Conteneva i
primi cenni sulla sua futura politica, quella della “non cooperazione”. Gandhi
evidenziava come, senza l’aiuto degli indiani, gli inglesi non sarebbero stati in grado
di dominare l’India.
Allo stesso tempo Hind Swaraj conteneva una dura critica nei confronti della civiltà
occidentale, incomprensibile per gli indiani plasmati dalla formazione inglese: ebbe
un bel daffare per convincerli della giustezza delle sue opinioni.
La prima campagna nazionale sarebbe cominciata dopo la guerra. L’abolizione delle
leggi eccezionali per il tempo di guerra la rese possibile e creò al contempo
l’opportunità per l’intervento di Gandhi.
I notabili dovevano restituire le onorificenze e le decorazioni che avevano ricevuto
dagli inglesi. Gli studenti, invece, dovevano boicottare le università, gli avvocati i
tribunali. E, infine, non dovevano neppure prendere parte alle elezioni, che si
sarebbero svolte con la nuova riforma costituzionale.
13
Ironicamente, l’INC fu fondato da funzionari britannici. Essi videro nel “Congress”, che avrebbe
dovuto essere un punto d’incontro di politici indiani, una “valvola di sicurezza” per controllare meglio
lo scontento degli indiani ed impedire una rivolta. Fino alla Prima guerra mondiale raccolse
“intellettuali che parlavano inglese”, e non ebbe un ruolo politico significativo. Le cose cambiarono
nel 1920 con l’ascesa di Gandhi a figura dominante del movimento.
- 21 -
“ Per la sua campagna nazionale Gandhi aveva bisogno di una deliberazione del
Congresso e sollecitò quindi la convocazione di una seduta straordinaria, che si tenne
a Nagpur nel settembre del 1920. Ebbe soltanto una maggioranza risicata. […]
Nella sessione regolare del Congresso, tenutasi nel 1920 a Calcutta, Gandhi ottenne
una maggioranza schiacciante, a cui aveva contribuito in misura considerevole il
boicottaggio alle elezioni ”.14
Nel 1921 le cose per il movimento non erano messe bene come nell’anno precedente,
gli inglesi si resero conto che la campagna si sarebbe arenata e si guardarono bene
dall’alimentarla arrestando Gandhi e condannandolo a sei anni di prigione.
Gandhi scontò solo due anni di pena perché, dopo un’operazione subita nel 1924, fu
scarcerato per motivi di salute. I suoi contemporanei lo consideravano un uomo
senza futuro, la campagna di non cooperazione era fallita. La quotidianità politica era
dominata dai membri del Congresso, che si ripresentarono alle elezioni e
trasformarono la loro fama di agitatori in successo elettorale. Si venne a costituire
una nuova configurazione, in cui ci fu nuovamente bisogno di Gandhi come leader di
una campagna nazionale.
Nel 1929 il partito laburista era uscito vittorioso dalle urne e il suo ministro, Ramsay
Macdonald, era considerato amico dell’India. Il vicerè lord Irwin, che apparteneva al
partito conservatore, sarebbe stato pronto a concedere all’India una notevole
emancipazione costituzionale. Propose anche di discutere la riforma costituzionale in
una “Conferenza della Tavola Rotonda” a Londra e di trattare su una base di parità
con i rappresentanti indiani. Ma in quel periodo si stava facendo notare, come
imperialista senza tentennamenti, Winston Churchill, disposto a concedere all’India
una provincial autonomy, vale a dire la costituzione di governi locali indiani, fatto
salvo il mantenimento del potere centrale angloindiano.
14
ROTHERMUND D., Storia dell’India, Il mulino, Bologna, 2007, p.71.
- 22 -
Sul fronte opposto nel Congresso Nazionale si era costituito un gruppo che faceva
capo a Jawaharlal Nehru e a Subhas Chandra Bose, che chiedeva la totale
indipendenza dell’India e che a questo fine aveva fondato l’Indian Independent
League. Già alla fine del 1928 i due leaders vollero imporre al Congresso una
risoluzione in tal senso. In quell’occasione Gandhi intervenne e chiese un rinvio di
un anno: si doveva lasciare al viceré il tempo necessario per condurre le trattative
con il governo inglese.
Quando lord Irwin tornò da Londra a mani vuote, anche Gandhi dovette votare a
favore della risoluzione sull’indipendenza. Fu quindi incaricato dal Congresso
Nazionale di guidare una campagna di disobbedienza civile.
Cautamente Gandhi cercò di stilare un programma appropriato: fissò in undici punti
ciò che definì l’“essenza dell’indipendenza”.15
Jawaharlal Nehru rimase perplesso nel leggere questo singolare catalogo contenente
svariate rivendicazioni. Ma Gandhi, con il suo fiuto infallibile, aveva dato voce alle
rimostranze concrete delle diverse componenti della popolazione indiana.
“ Uno degli undici punti riguardava l’abolizione della tassa sul sale, che colpiva
proprio gli indiani più poveri.
Il governo se ne teneva stretto il monopolio; incorreva in un reato chi si produceva il
sale privatamente, tramite evaporazione, sia chi raccoglieva quello marino lungo le
spiagge. In questo caso c’era una legge, era ingiusta e si poteva trasgredire.
Gandhi ne inscenò molto accuratamente la violazione. Radunò un drappello di
fedelissimi e si mise in marcia verso la costa, seguito con grande attenzione dalla
stampa nazionale e internazionale.
Il 6 aprile 1930 raggiunse la spiaggia di Dandi nel Gujarat dove si rese punibile
raccogliendo un granello di sale. Nel paese tutti lo imitarono e le prigioni si
riempirono fino a scoppiare.
Gandhi aveva messo in scena una rivoluzione simbolica, che rimase perciò tale e che
in breve tempo avrebbe perso efficacia se la protesta nazionale non avesse ricevuto
nuovo impulso dalle ripercussioni della crisi economica mondiale ”.16
15
ROTHERMUND D., Storia dell’India, Il Mulino, Bologna, 2007 16
ROTHERMUND D., Storia dell’India, Il Mulino, Bologna, 2007, pp.73-74
- 23 -
Quando Gandhi cominciò la marcia del sale, gli effetti della crisi economica del 1929
non avevano ancora raggiunto l’India. Nell’estate del 1930 il prezzo del frumento si
dimezzò e la stessa sorte toccò al riso, nel gennaio del 1931.
I contadini con il reddito dimezzato, dovettero continuare a pagare le stesse tasse e
gli stessi interessi e si trovavano quindi in grosse difficoltà.
Dopo che la campagna del sale aveva perso il fascino della novità, presero il via
azioni di protesta contro il pagamento delle tasse e degli affitti fondiari.
Lord Irwin era molto interessato ad avviare una trattativa con Gandhi, perché temeva
un’insurrezione generale dei contadini dell’India; voleva anche ottenere che il
Congresso prendesse parte alla seconda Conferenza della Tavola Rotonda.17
Nella primavera del 1931 si giunse al patto Gandhi-Irwin, in cui il primo si
impegnava a sospendere la propria campagna e a prendere parte alla Conferenza
della Tavola Rotonda. Irwin, in cambio, non gli fece in pratica nessuna concessione,
ma per Gandhi poter trattare alla pari con il viceré era già di per sé una vittoria.
Churchill la pensava esattamente allo stesso modo e parlò di Gandhi come di un
“fachiro seminudo che osa salire le scale del palazzo di Sua Maestà”.18
Gandhi si era accordato con Irwin perché sperava, in occasione della propria
partecipazione alla Conferenza della Tavola Rotonda, di poter firmare un patto con il
primo ministro Mcdonald.
Quando arrivò a Londra però, nel settembre del 1931, il governo Macdonald era
appena caduto perché non era stato in grado di fronteggiare la crisi economica.
Nonostante Macdonald fosse ancora il leader di un “governo di unità nazionale”, in
realtà era soltanto ostaggio nelle mani dei conservatori, che ancora una volta
decidevano della politica indiana.
Per Gandhi le trattative della Tavola Rotonda furono motivo di frustrazione; deluso,
fece ritorno in India, dove fu immediatamente sbattuto in prigione.
17
ROTHERMUND D., Storia dell’India, Il Mulino, Bologna, 2007 18
ROTHERMUND D., Storia dell’India, Il Mulino, Bologna, 2007, p.74
- 24 -
Il nuovo viceré lord Willingdon disprezzava Gandhi e riteneva che il suo
predecessore Irwin avesse fatto un errore nel valorizzarlo.
Per due anni Willingdon governò con il pugno di ferro ed ebbe anche un discreto
successo, ma non poteva andare avanti ancora a lungo per quella strada, poiché alle
porte c’erano le riforme costituzionali e le elezioni, e una simile politica certo non
avrebbe portato a nulla.
In occasione delle elezioni per il parlamento centrale, che si tennero già nel 1934, il
Congresso Nazionale registrò una netta affermazione.
Quando estesero il diritto di voto in occasione delle elezioni parlamentari regionali,
gli inglesi tennero soprattutto in considerazione i contadini più ricchi, quelli che
godevano di legislazione anglo-indiana sulla tutela dei fittavoli. Speravano che il loro
voto andasse ai partiti agrari conservatori e non al ribelle Congresso. Come elettori,
gli agricoltori si attendevano che il Congresso Nazionale costituisse dei governi nelle
province e approvasse delle leggi in loro favore.
Jawaharlal Nehru era stato la vera forza trainante delle elezioni dei parlamenti
regionali nel 1936/37. Tramite l’affermazione elettorale egli voleva dimostrare che
non erano gli inglesi, bensì il Congresso, ad aver ricevuto il mandato dagli elettori.19
Voleva silurare la riforma costituzionale e intensificare la lotta per l’indipendenza.
I contadini non dimostrarono la minima simpatia verso un atteggiamento di così
netto rifiuto. Gandhi intervenne in funzione di mediatore, e Nehru dovette fare un
passo indietro: in sette delle nove province anglo-indiane nelle quali il Congresso
aveva ottenuto la maggioranza, formò anche i governi.
Lo scoppio della Seconda guerra mondiale portò alcuni indiani a inseguire le
promesse antibritanniche delle potenze dell’Asse, dei giapponesi in particolare.
Nonostante i tentativi britannici di calmare gli animi, annunciando limitate forme
d’indipendenza dopo la guerra, ci furono dei disordini, anche armati.
19
ROTHERMUND D., Storia dell’India, Il Mulino, Bologna, 2007
- 25 -
Uno dei leader del movimento nazionalista, Chadra Bose, arrivò a formare l’“Indian
National Army”, avviando contatti con le potenze dell’Asse. Pur non riuscendo ad
avere un impatto militare sensibile, mantenne alta la tensione nel Paese, anche
suscitando ammutinamenti nella marina indiana, controllata dai britannici.
Negli stessi anni turbolenti l’India fu teatro di disordini organizzati dai comunisti
dopo il 1940 e Bombay fu scossa nel 1946 da una rivolta della flotta.
Nel dopo guerra la situazione divenuta insostenibile indusse i britannici nel 1946 ad
avviare colloqui che avrebbero portato all’indipendenza. Ciò avvenne anche perché
l’ultimo difensore dell’impero, Winston Churchill, il primo ministro della resistenza
ai nazisti, era stato sconfitto alle elezioni nel 1945 e ai conservatori era subentrata
un’amministrazione laburista che giudicava negativamente l’esperienza coloniale.
L’insostenibilità della situazione era legata a quello che, secondo le circostanze, è
stato un punto di forza o di debolezza del Raj britannico: l’indirect rule. Questa
pratica consentiva di governare il Paese con relativamente poche persone, basandosi
molto sulla cooperazione degli indiani.
La proclamazione dell’indipendenza indiana avvenne nell’agosto del 1947
all’insegna di un successo politico e di un insuccesso ancora maggiore e per di più
carico di conseguenze.
Il primo consistette nella pacifica dissoluzione dell’Unione indiana degli Stati
principeschi, oltre cinquecento presenti su un’ampia area di territorio indiano, grande
più del 40% e che comprendevano quasi un quarto della popolazione.
Essere riusciti a dissolverli pacificamente nell’Unione è stato certamente un grande
successo politico, anche se il risultato non dipese soltanto dall’abilità dei leaders
indiani, ma dalle agitazioni delle popolazioni incluse in questi Stati, che richiedevano
gli stessi diritti dei cittadini del Raj britannico: se i principi cedettero così facilmente
il loro potere, fu anche per la consapevolezza della minaccia che proveniva loro dal
basso.
Quanto all’insuccesso, va ricordato che l’indipendenza segnò la partizione del
subcontinente indiano, fino a allora governato unitariamente dai britannici, in Unione
indiana e Pakistan. Quest’ultimo comprendeva anche una parte orientale, separata
dalla zona occidentale da più di mille chilometri, che nel 1971 raggiunse
l’indipendenza con il nome di Bangladesh.
- 26 -
2. La tradizione hindu
In origine essere indù era una caratteristica legata al territorio piuttosto che al credo;
essa si è gradualmente spostata sul credo man mano che quest’ultimo andava
diffondendosi. Tale diffusione indica che la rete poetica dei Veda aveva catturato
molti stili di vita locali, ricchi e vari, così che tutti (o molti) potevano riconoscersi
nella nuova e complessa dottrina vedica.20
L’antichità della tradizione indù è senza dubbio incontestabile.
Tuttavia anche altre religioni hanno avuto una lunga storia in India, paese multi-
religioso da antica data, che ha offerto asilo a molte fedi e credenze diverse. Senza
considerare l’ovvia e massiccia presenza musulmana, vecchia ben più di un
millennio, l’India non fu un “paese induista” neanche prima dell’arrivo dell’islam.
Il buddhismo è stato la sua religione dominante per quasi mille anni, tanto che i dotti
cinesi la chiamavano abitualmente “il regno buddhista”.
Difatti si può sostenere che il buddhismo è erede della prima tradizione indiana dei
Veda e delle Upanishad tanto quanto l’induismo, dato che entrambe le religioni si
rifanno a questi classici. I dotti cinesi, giapponesi, coreani, thailandesi e di altri paesi
in cui si è diffuso il buddhismo, hanno conosciuto le Upanishad soprattutto
attraverso i testi buddhisti. Quanto al jainismo, ha avuto una storia altrettanto lunga
ed è di fatto molto presente nell’India di oggi.
Ma in India c’è stata una lunga tradizione atea e agnostica, già ben sviluppata nel I
millennio a.C. a cui dobbiamo aggiungere la precoce presenza di cristiani, ebrei, e
parsi fin dal I millennio d.C., e l’emergere tardivo, ma importante, del sikhismo,
nella sua qualità di fede universalista che attinge tanto all’induismo quanto all’islam,
ma articolandoli in una visione religiosa originale.
20
PATRICK GLENN H., “Tradizioni iuridiche nel mondo. La sostenibilità della differenza”, Il
Mulino, Bologna, 2011, p.456
- 27 -
In India esistono nominalmente trecentotrenta milioni di dei e anche i testi sacri sono
molti; alcuni sono scritti in sanscrito e ne esistono versioni nelle lingue indiane
moderne, redatte a partire dal X secolo; ci sono poi testi più recenti, scritti nelle
lingue moderne, e infine i testi “visivi”: uno degli aspetti peculiari dell’induismo è
che, a eccezione dell’assoluto ineffabile, il divino si manifesta in forme pienamente
visibili. Ogni divinità ha una o più forme note a tutti e può essere rappresentata con
caratteristiche precise nei templi e negli altari domestici.21
“ In India esiste una grande varietà di lingue; ma la lingua sacra dell’induismo è
quasi esclusivamente il sanscrito, che è rimasto immutato da oltre tremila anni e
viene tuttora capito abbastanza bene dalle persone colte. La geografia tradizionale
raffigura l’India come un’isola situata al centro di un mondo costituito da masse
continentali concentriche alternate a oceani concentrici. Al centro dell’isola si
innalza Meru, la montagna d’oro più alta del sole e della luna. Questa sicurezza di sé
sopravisse a molte invasioni e l’induismo assorbì facilmente aspetti di altre religioni
senza sentire il bisogno di riconoscerne l’esistenza ”.22
L’induismo è insieme politeista, monoteista e monista. I suoi fedeli venerano molti
dei e molte dee. Vishnu, Shiva e Devi sono le divinità più amate, ma hanno molte
forme e molti nomi, ed esistono numerose altre divinità minori.
I fedeli solitamente scelgono una divinità specifica e la considerano la divinità
suprema.
Molti indù credono nella reincarnazione, anche se spesso si ritiene che la devozione a
una divinità porti direttamente in paradiso. Le azioni commesse nelle vite precedenti
determinano la condizione dell’individuo in questa vita, vale a dire ne determinano la
rinascita, anche se la devozione a una divinità può cancellare l’effetto delle azioni
precedenti, che costituisce il karma di ognuno.
Quanto è più elevata la casta, tanto più probabilmente i suoi membri ritengono che la
propria posizione attuale sia il risultato delle azioni commesse nelle vite precedenti.
Secondo la visione indù della realtà, gli esseri viventi, dal dio più sommo alla
creatura più infima, formano un’antica gerarchia.
21
SMITH D., Induismo e modernità, Bruno Mondadori, Milano, 2006 22
SMITH D., Induismo e modernità, Bruno Mondadori, Milano, 2006, p.50
- 28 -
Alcuni tra gli esseri umani sono semidivini, alcuni divini; esistono tecniche spirituali,
come lo yoga, che permettono agli esseri umani di conseguire poteri simili a quelli
divini o di diventare divinità.
“ L’ordine sociale è costituito da una gerarchia di caste e spesso si sente dire che una
definizione formale dell’indù è che deve essere nato in una casta. Si può sfuggire alla
propria casta diventando un asceta, mettendo simbolicamente fine alla propria vita di
capofamiglia e dedicando la propria esistenza al tentativo di sfuggire alla catena delle
morti e delle rinascite.
L’induismo stabilisce una chiara gerarchia fra i quattro scopi della vita umana:
Kama, piacere dei sensi
Artha, benessere materiale
Dharma, comportamento religioso che porta al paradiso o alla reincarnazione
in un essere superiore
Moksha, salvezza, liberazione dalla catena delle morti e delle rinascite
Tutti questi scopi sono ritenuti legittimi. Il quarto, moksha, che è il più elevato, può
essere perseguito solo tramite la “rinuncia”, ovvero la “quarta fase” della vita, che
può essere intrapresa in qualsiasi momento, a seconda del grado di spiritualità
raggiunto; il rinunciante abbandona il sistema delle caste ed è morto per la vita
sociale: lui solo è un individuo completo, un sé autonomo ”.23
23
SMITH D., Induismo e modernità, Bruno Mondadori, Milano, 2006, p.51
- 29 -
2.1 I Veda
Si pensa che i quattro libri dei Veda24
siano stati composti al di là del Khyber intorno
al 1500, o al 2000 a.C., ma qualcuno li fa risalire addirittura al 4000 a.C.
I Veda sono anche chiamati Sruti- dalla radice “sru”, “sentire, udire”- cosicché
costituiscono “quel che è stato sentito” e rivelato, e la loro natura divina o rivelata è
ripetutamente affermata. Come altre rivelazioni, i Veda non contengono granché di
riconoscibile come diritto; vi sono invece parecchi canti, preghiere, inni e detti
considerati essenziali per il modo di vita indù.
Quel che ne fa una rivelazione diversa dalle altre (a parte il contenuto) sta nel fatto
che i Veda si soffermano molto poco sul loro autore o sui suoi messaggeri.
Alcuni brani parlano semplicemente di rivelazione, altri di dei (o dee), altri ancora,
con il trascorrere del tempo, di Dio. Nessuno è definito come messaggero, profeta o
sapiente25
.
“ I Veda non hanno alcun rapporto né con il tempo, né con lo spazio. Sono
considerati senza inizio, anadi, autoesistenti e immanenti per sempre ”.26
Insegnare i Veda era compito dei brahmani (dalla radice sanscrita brh, “crescere”,
“espandersi”, ma Brahman è anche il termine che indica il concetto di “assoluto”,
supremo, di quel che sta al di là del particolare e del conoscibile);27
i brahmani
assolvevano la loro funzione in primo luogo avvalendosi della memoria e
registravano sui testi le differenti elaborazioni volte a soddisfare le esigenze locali.
24
Sui Veda in generale, LINGAT R., The Classical Law of India, 1973. Alcuni inni dei Veda si
riferiscono, però, agli eventi della migrazione vedico-ariana e denotano una redazione successiva. Si è
detto che l’intrinseca vaghezza della tradizione in fatto di cronologia sia “aggravata” dalla
circonstanza che, prima di essere affidato alle scritture, il loro contenuto venne memorizzato e
trasmesso oralmente per centinaia di anni. 25
PATRICK GLENN H., “Tradizioni giuridiche nel mondo. La sostenibilità della differenza”, Il
Mulino, Bologna, 2010, p.459 26
VENKARATARAM N.R., Raghavachariar’s Hindu Law, cit. in PATRICK GLENN H.,
“Tradizioni giuridiche nel mondo. La sostenibilità della differenza”, Il Mulino, Bologna, 2010, p.460. 27
PATRICK GLENN H., “Tradizioni giuridiche nel mondo. La sostenibilità della differenza”, Il
Mulino, Bologna, 2010, p.460
- 30 -
Insegnavano avvalendosi di espedienti mnemonici: i sutra- qualcosa di molto simile
a una sequenza o catene di idee, di nozioni e di regole “racchiuse in pochissime
parole che, assieme, costituivano una stringa come se dei grani di rosario fossero
messi insieme in uno stesso filo”.28
“ I sutra furono scritti dall’800 al 200 a.C. circa e oggi hanno perso gran parte della
loro importanza; non furono altro che la prima manifestazione dello sviluppo della
tradizione scritta.29
La tradizione in sé era generalmente chiamata Smriti (quel che
“viene ricordato”, la tradizione, in quanto cosa diversa da quel che “viene udito”), e
fu ulteriormente perfezionata con la redazione dei sastra- testi che riguardavano
molti aspetti della vita- e in particolare, dei dharmasastra, i testi giuridici più
importanti.
I dharmasastra si occupavano di molte più cose che del diritto in senso stretto.
Si estendevano alla pratica religiosa e alla penitenza, o espiazione, ma in seguito si
ebbe la tendenza a concentrarsi su ciò che oggi, in Occidente, chiamiamo diritto.
Esistono tre grandi dharmasastra, anche se il più importante è stato quello di Manu
o, almeno, del mitico Manu, poiché il vero autore pare sia ignoto ”.30
28
PATRICK GLENN H., “Tradizioni giuridiche nel mondo. La sostenibilità della differenza”, Il
Mulino, Bologna, 2010, p.460 29
Per una recente traduzione dei sutra più importanti, P. OLIVELLE, Dharmasutras, New York,
Oxford University Press, 1999, in particolare p.XXIV su una “competente trasmissione del Dharma”
come “tradizione giuridica”. 30
PATRICK GLENN H., “Tradizioni giuridiche nel mondo. La sostenibilità della differenza”, Il
Mulino, Bologna, 2010, pp.460-461
- 31 -
2.2 Le Leggi di Manu
Il più noto “codice” di leggi dell’induismo, Le Leggi di Manu (Manusmriti, 200 a.C.
circa), è l’esposizione più autorevole del varnashramadharma, il dharma del sistema
delle caste (varna) e degli stadi della vita (ashram).31
Quest’opera deve il suo successo al fatto che, oltre a trattare in maniera esaustiva le
leggi, le norme civili e religiose, si occupa anche di politica (artha).
In linea di principio, la “legge” può essere considerata come un “volere universale”.
L’espressione di questo volere in ogni stato dell’esistenza manifestata è designata
come Prajapati, o “Signore degli esseri prodotti”, e in ogni ciclo cosmico particolare
questo stesso volere si manifesta come il Manu che dà a tale ciclo la legge che gli è
propria.32
Il nome Manu non deve quindi essere inteso come il nome di un
personaggio mitico, leggendario o storico; esso designa un principio che si potrebbe
definire, secondo il significato della radice verbale “man”, come “intelligenza
cosmica” o “pensiero riflesso dell’ordine universale”. La “Legge di Manu” non è
altro che l’osservanza dei rapporti gerarchici naturali esistenti fra gli esseri sottoposti
alle condizioni speciali di quel ciclo o di quella collettività, e l’insieme delle
prescrizioni che normalmente ne risultano.
Per quanto ne riguarda la concezione dei cicli cosmici, non vi è una successione
cronologica, bensì una concatenazione logica e casuale, per cui ogni ciclo è
determinato nel suo insieme da quello antecedente e determina a sua volta il
conseguente in una produzione continua, sottomessa alla “legge d’armonia” che
stabilisce l’analogia costitutiva di tutti i modi della manifestazione universale.
Quando si giunge all’applicazione sociale, la “legge”, nella sua accezione
specificamente giuridica, potrà essere formulata in uno “shastra”, o codice, il quale,
in quanto espressione del “volere cosmico” al suo particolare livello, sarà riferito a
Manu o più precisamente al Manu del ciclo attuale. È evidente che quest’attribuzione
non ha il senso di definire il Manu come autore dello shastra.
Come per i testi vedici, non si può parlare di un’origine storica rigorosamente
definibile, e d’altronde, tale origine è d’importanza nulla dal punto di vista dottrinale.
31
SMITH D., Induismo e modernità, Bruno Mondadori, Milano, 2006 32
GUENON R., Introduzione generale allo studio delle dottrine indù, Edizioni Studi Tradizionali,
Torino, 1965.
- 32 -
Fra i due casi vi è da segnalare una grande differenza: mentre i testi vedici sono
designati con il termine “shruti”, come frutto di un’ispirazione diretta, il
dharmashastra appartiene solamente alla categoria di scritti tradizionali chiamata
“smriti”, la cui autorità è meno fondamentale, e che comprende sia i Purana che gli
Itihasa, incapace di cogliere il senso profondo che ne fa tutt’altra cosa che semplice
letteratura, unicamente come poemi mitici o epici.
La distinzione tra shruti e smriti corrisponde in fondo alla distinzione fra l’intuizione
intellettuale pura e immediata, che si applica esclusivamente al dominio dei principi
metafisici, e la coscienza stessa, di natura razionale, che si esercita sugli oggetti di
conoscenza appartenenti all’ordine individuale, com’è appunto il caso quando si
tratta di applicazioni sociali o simili. Ciò nonostante l’autorità tradizionale del
dharma-shastra non deriva affatto dagli autori umani che hanno potuto formularla-
oralmente all’inizio, per iscritto in seguito- ed è indubbiamente questa la ragione per
cui tali autori sono rimasti sconosciuti o indeterminati; essa deriva esclusivamente da
ciò che ne fa veramente l’espressione della “legge di Manu”, cioè dalla sua
conformità con l’ordine naturale delle esistenze che è destinata a governare.33
Nelle “Leggi di Manu” ha molta importanza l’istituzione delle caste.
La casta, designata indifferentemente dagli indù con le parole “jati” e “varna”, è una
funzione sociale determinata dalla natura propria di ogni essere umano. La natura
propria di ogni individuo implica necessariamente, fin dall’origine, tutto il complesso
delle tendenze e delle disposizioni che si svilupperanno e manifesteranno nel corso
della sua esistenza, le quali determineranno in particolare le sue attitudini per questa
o quell’altra funzione sociale. La conoscenza della natura individuale consentirà
quindi di assegnare a ciascun essere umano la funzione che gli conviene in virtù di
tale natura, in altri termini, il posto che esso deve normalmente occupare
nell’organizzazione sociale. Si tratta del fondamento di un’organizzazione veramente
gerarchica, strettamente conforme alla natura degli esseri, come nell’interpretazione
della nozione di dharma.34
33
GUENON R., Introduzione generale allo studio delle dottrine indù, Edizioni Studi Tradizionali,
Torino, 1965. 34
PATRICK GLENN H., Tradizioni giuridiche nel mondo. La sostenibilità della differenza”, Il
Mulino, Bologna, 2010: “Dharma è qualcosa che ci assegna un posto nella vita e persino obblighi
specifici nel viverla.”
- 33 -
La gerarchia sociale deve riprodurre analogicamente, secondo le proprie condizioni,
la costituzione dell’“Uomo universale”, cioè esiste una corrispondenza tra l’ordine
cosmico e l’ordine umano, e tale corrispondenza, che si ritrova naturalmente
nell’organizzazione dell’individuo, deve attualizzarsi ugualmente, secondo la
modalità che più particolarmente le conviene nell’organizzazione della società.
La descrizione simbolica dell’origine delle caste s’incontra in numerosi testi e in
primo luogo nel “Purusha-sukta” del Rig Veda: “Di Purusha il Brahmana fu la
bocca, lo Kshatriya, il Vaishya le anche; lo Shudra nacque sotto i suoi piedi”.35
Si tratta dell’enumerazione delle quattro caste la cui distinzione è il fondamento
dell’ordinamento sociale, anche se ognuna di esse può essere suscettibile di altre
suddivisioni, più o meno numerose e secondarie: i Brahmana costituiscono
essenzialmente l’autorità spirituale e intellettuale; gli Kshatriya costituiscono il
potere amministrativo, il quale comprende le attribuzioni giudiziarie e militari, di cui
la funzione regale non è che il grado più elevato; i Vaishya, invece, l’insieme delle
differenti funzioni economiche, industriali, commerciali e finanziarie; quanto ai
Shudra, è loro attribuito il compimento di tutti i lavori necessari ad assicurare la
sussistenza esclusivamente materiale della collettività.
I Brahmana hanno funzioni che comportano l’esecuzione di riti di differenti specie,
dovendo essi possedere le conoscenze necessarie a dare a tali riti tutta la loro
efficacia; ma soprattutto esse comportano la conservazione e la trasmissione regolare
della dottrina tradizionale. La partecipazione alla tradizione è pienamente effettiva
soltanto per i membri delle prime tre caste; ciò è espresso dalle diverse designazioni
che sono loro esclusivamente riservate, come quella di “arya” e quella di “dwija”, o
“nato due volte”; la concezione della seconda nascita è in senso puramente spirituale.
35
GUENON R., Introduzione generale allo studio delle dottrine indù, Edizioni Studi Tradizionali,
Torino, 1965.
- 34 -
Per gli Shudra, la partecipazione è soprattutto indiretta, e per così dire virtuale, in
quanto non deriva generalmente che dai loro rapporti con le caste superiori; d’altra
parte, le funzioni che essi esercitano non sono propriamente funzioni vitali, bensì
attività in un certo qual modo meccaniche, ed è per questo che essi vengono
raffigurati come nascenti non da una parte del corpo di Purusha, o dall’ “Uomo
universale”, ma dalla terra sotto i suoi piedi, cioè dall’elemento in cui si elabora il
nutrimento per il corpo.
In conclusione le leggi che governano l’India fanno ancora riferimento alle Leggi di
Manu e ad altri antichi codici. L’impiego di antichi codici di leggi per un periodo di
tempo così lungo e in regni e culture diversi si spiega con il fatto che si tratta di leggi
molto flessibili nella loro applicazione, che si piegano facilmente al significato dei
giuristi volevano attribuire loro.36
36
GUENON R., Introduzione generale allo studio delle dottrine indù, Edizioni Studi Tradizionali,
Torino, 1965.
- 35 -
3. L’India indipendente e la sua Costituzione
L’India ha conquistato l’Indipendenza nel 1947 attraverso un movimento di
liberazione dominato dalle figure di Gandhi e di altri grandi intellettuali e statisti
indiani. L’anno precedente erano iniziati i lavori dell’Assemblea Costituente e la
Costituzione, approvata nel 1949, è entrata in vigore nel 1950.
Con l’Indipendenza il popolo indiano è diventato soggetto autonomo delle proprie
scelte nel campo del diritto e da subito ha dovuto affrontare questioni delicatissime
per gli equilibri del nuovo Stato, a partire dalla struttura istituzionale e dai principi e
valori da porre a fondamento della Repubblica. Il popolo indiano ha dovuto definire
il proprio rapporto con l’eredità del periodo coloniale e, più in generale, il rapporto
tra i modelli giuridici indigeni e modelli occidentali.
La Costituzione ha la sua origine nella lotta per l’Indipendenza e conserva traccia
degli ideali e dei problemi che hanno rappresentato questo passaggio cruciale, in
particolare nella parte relativa al sistema istituzionale e in quella sui diritti
fondamentali.
In questa fase storica un forte impatto ebbe la partition37
, che fece nascere in un’area
culturalmente e politicamente unitaria due realtà statali: la Repubblica Indiana e la
Repubblica del Pakistan, divisa in una parte occidentale e in una parte orientale.
Quest’ultima nel 1971 diventerà autonoma come Repubblica del Bangladesh.
L’importanza della partition dal punto di vista politico e anche psicologico è
evidente e i suoi effetti continuano ancora oggi. Anche dal punto di vista giuridico si
tratta di un passaggio importante, in particolare se riferito al complesso della storia
indiana. Parti del subcontinente indiano che, con alterne vicende sin dal periodo
classico ma soprattutto nel periodo coloniale avevano avuto, oltre a una storia
culturale comune, anche un sistema giuridico e istituzionale unitario, per quanto non
uniforme, cominciarono da quel momento un’evoluzione giuridica diversa.
37
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010: la
partition è una pagina nera della storia dell’India, allo stesso tempo manifestazione delle tensioni
intercomunitarie preesistenti e radice dei futuri conflitti tra India e Pakistan e, all’interno della stessa
India, tra musulmani indiani e hindu indiani.
- 36 -
Nel periodo dell’Indipendenza, la situazione sociale dell’India era molto complessa e
attraversata da numerose tensioni che potevano compromettere la costruzione
dell’India indipendente. Occorreva ridefinire gli equilibri tra le comunità e le sotto-
comunità, che si contrapponevano secondo differenti interessi e identità, definibili in
termini religiosi, castali, linguistici e regionali.
Uno dei problemi da affrontare era quello linguistico, che si accompagnava alle
rivendicazioni autonomiste di alcune parti del paese. Più in generale, bisognava
evitare il rischio che alcuni Stati si sentissero discriminati e governati di fatto da altri
Stati. Ulteriori problemi di difficile soluzione, erano posti dalla definizione e tutela
sul piano giuridico delle minoranze, soprattutto se si considera che l’India è sempre
stata un paese a stragrande maggioranza hindu e che il sistema era caratterizzato
dalla difficile interazione tra diritto territoriale e diritti personali, che aveva assunto
la sua forma moderna nel periodo coloniale. La nuova India doveva trovare nuove
forme di inclusione politica, economica e sociale per la maggior parte della
popolazione appartenente a caste e comunità svantaggiate.
La Costituzione è stata il primo atto giuridico dell’Indipendenza. In particolare, nel
definire i rapporti con il diritto preesistente, la Costituzione dispone che siano
abrogate tutte le leggi precedenti in contrasto con i valori costituzionali.38
Subito dopo il 1950 furono istituite commissioni per definire quali parti del diritto
preesistente dovevano essere modificate.39
Questi erano solo i problemi più evidenti che l’India indipendente doveva affrontare
sul piano giuridico. Per ognuno di essi furono trovati degli equilibri che sono stati
incorporati nella Costituzione e costituiscono il punto di partenza che determinerà la
successiva fase giuridica indiana.
La Costituzione indiana può essere letta evidenziando i punti di equilibrio raggiunti
su alcuni aspetti qualificanti. Tra questi, in primo luogo l’equilibrio tra i diversi
poteri della Stato, l’equilibrio tra Unione e i singoli Stati e l’equilibrio tra principio
maggioritario e tutela dei diritti degli individui e delle minoranze.
38
V. testo dell’art.13 della Costituzione indiana 39
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010:
ruolo importantissimo fu svolto a questo riguardo in generale dalla Law Commission. Tra le
commissioni a cui vennero affidati compiti specifici di revisione della legislazione precedente in
alcune materie si può ricordare la commissione Ayyangar che lavorò sul diritto dei brevetti.
- 37 -
In questo paragrafo analizzerò i caratteri fondamentali della Costituzione indiana
mettendo in luce gli equilibri raggiunti, i valori fondanti e la politica del diritto
dell’India indipendente.
La prima questione da esaminare è quella del rapporto tra imitazione dei modelli
occidentali e autonomia nella stessa genesi della Costituzione della nuova
Repubblica indiana. Nella stesura della Costituzione furono presi a modello i testi
costituzionali di diversi paesi. Il modello adottato per la parte dei diritti fondamentali
è quello statunitense, mentre il sistema parlamentare si ispira a quello inglese. L’idea
di inserire una parte dedicata ai Directive Principles of State Policy è stata presa
dalla Costituzione irlandese. La controversa parte sullo stato di emergenza trova la
sua base nel modello del Reich tedesco e nel Government of India Act del 1935.40
All’interno dell’Assemblea Costituente “ vi furono alcune opinioni molto critiche
sull’utilizzo di questi modelli stranieri, e ciò è indicativo del fatto che sin dall’inizio
della storia dell’India indipendente si manifestò la tensione tra due modi, entrambi
indiani, di intendere la propria identità giuridica. Da una parte le idee di coloro che
consideravano i modelli occidentali non estranei e comunque importanti per la
modernizzazione del paese e, dall’altra, le idee di coloro che aspiravano a un distacco
da questi modelli in cui non erano più imposti dal potere coloniale, e a una maggiore
autonomia da fondare su valori indigeni ”.41
La mediazione tra queste posizioni può essere espressa con le parole del Presidente
dell’Assemblea Costituente, Ambedkar,42
secondo cui:
“One could ask whether there can be anything new in a Constitution framed at
this hour in the history of the world. More than hundred years have rolled when
the first written Constitution was drafted…Given these facts, all Constitutions
in their main provisions must look similar. The only new things, if there be any,
in a Constitution framed so late in the day are the variations made to remove
the faults and to accommodate it to the needs of the country.”
40
Sulla genesi della Costituzione indiana BASU D.D., Introduction to the Constitution of India, cit. in
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G Giappichelli Editore, Torino, 2010 41
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.60 42
La citazione proviene dai lavori dell’Assemblea Costituente ed è riportata da BASU D. D.,
Introduction to the Constitution of India, cit., p.32.
- 38 -
Quest’opinione, che divenne maggioritaria nei lavori dell’Assemblea Costituente,
mostra come l’India indipendente non abbia voluto intendere se stessa come separata
dalle migliori espressioni della cultura giuridica occidentale e abbia liberamente
scelto di porsi nel loro solco.
I modelli sono stati scelti in modo critico: più esperienze costituzionali furono prese
in considerazione, valutando per ognuna non solo l’aspetto formale ma le difficoltà
che si erano palesate nel loro funzionamento, al fine di evitare per quanto possibile il
ripetersi degli errori.
“ L’aspetto più interessante nella frase di Ambedkar citata è il riferimento
all’adattamento dei modelli ai bisogni del paese, che si trovava a fronteggiare enormi
problemi di coesione sociale e di sviluppo “.43
La Costituzione originaria era composta di 395 articoli e 8 allegati.
Era estremamente lunga e oggi è ancora più lunga, considerando i successivi
emendamenti, alcuni additivi altri abrogativi. I motivi di questa lunghezza della
Costituzione indiana hanno carattere sostanziale e permettono di comprendere alcune
questioni generali.
Un primo motivo che spiega la lunghezza della Costituzione è che essa si basa
sull’incorporazione di più modelli costituzionali e combina nella sua struttura parti
che sono in alcune costituzioni e non in altre.
La Costituzione indiana non ha utilizzato solo i testi costituzionali, ma ha anche
inglobato ed esplicitato alcuni punti sviluppati dalle giurisprudenze costituzionali dei
modelli considerati.44
Un secondo elemento che spiega la lunghezza della Costituzione indiana è che essa
rappresenta la Costituzione dell’Unione, ma anche quella dei singoli Stati, di cui
regola la struttura istituzionale in modo dettagliato. I rapporti tra Unione e Stati sono
disciplinati in modo molto analitico.45
La lunghezza del testo costituzionale approvato riflette anche l’esigenza di prevedere
costituzionalmente nel modo più dettagliato possibile anche una serie di aspetti
amministrativi, secondo il modello dell’Indian Government Act.
43
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino,
2010,p.61 44
BASU D. D., Introduction to the Constitution of India, cit. p.53 45
I singoli Stati non hanno una loro costituzione, fatta eccezione per lo Stato di Jammu e Kashmir.
- 39 -
Un altro elemento che contribuisce alla lunghezza della Costituzione è la tecnica
utilizzata che lascia poco spazio a clausole e principi generali, e che in molte parti
adotta lo stile tecnico e dettagliato tipico della legislazione ordinaria.46
Infine, intere parti della Costituzione, come quella dedicata a “scheduled castes and
tribes” e “other backward classes”, quella relativa alla questione linguistica o quella
relativa ai panchayat, sono presenti, o sono particolarmente estese, in ragione delle
peculiarità del contesto indiano.
In altri termini, un motivo della lunghezza della Costituzione è dato proprio dalla
vastità del paese e dalla complessità del suo tessuto sociale, che si riflette in tutta una
serie di disposizioni.
La tendenza verso la completezza e la combinazione dei modelli, il livello di
generalità di alcune parti, la regolazione dettagliata dei rapporti tra gli organi
costituzionali, la disciplina di molte questioni “speciali” danno il senso di uno stile
costituente guidato dalla volontà di limitare al minimo le lacune della Costituzione.
Per quanto riguarda la struttura, la Costituzione si compone di un preambolo,
ventidue parti di lunghezza molto diseguale e gli allegati. Le prime quattro parti
trattano dei diritti, doveri e principi fondamentali, nonché della stessa definizione
dell’Unione e della cittadinanza, le parti dalla quinta alla undicesima della struttura
dell’Unione e degli Stati, mentre le parti successive hanno carattere eterogeneo.
La Costituzione è stata redatta originariamente in inglese e solo successivamente è
stata preparata una versione ufficiale in hindi (sanvidhana).
Il preambolo della Costituzione contiene l’enunciazione solenne dei valori posti alla
base del patto costituzionale dell’India indipendente.
“ Il Preambolo indica la fonte dell’autorità della Costituzione e stabilisce gli obiettivi
perseguiti. Non è vincolante ma, dichiarando i fini e le aspirazioni dell’intera
Costituzione, è un importante documento interpretativo per le altre disposizioni
costituzionali e la Corte Suprema vi ha fatto spesso ricorso ”.47
46
Come osserva BASU D. D., Introduction to the Constitution of India, cit., p.33, gli indiani avevano
confidenza con il tipo di normativa del Government of India Act, caratterizzato da un alto livello di
dettaglio e dall’essere un testo di rilievo costituzionale ma non propriamente una Costituzione. 47
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappicchelli Editore, 2010, p.63
- 40 -
Il preambolo della Costituzione indiana si pone in modo evidente in continuità con le
grandi esperienze del costituzionalismo occidentale.48
L’inizio richiama la
Costituzione degli Stati Uniti; i valori posti al centro del preambolo, vale a dire
giustizia, libertà, uguaglianza e fratellanza sono i valori classici elaborati dalle grandi
filosofie europee tra Settecento e Ottocento, che sono sottesi alla maggior parte dei
testi costituzionali moderni. La Costituzione indiana si colloca storicamente in anni
importantissimi in cui vede la luce la Dichiarazione universale dei diritti umani.
Il Preambolo è stato modificato nel 1976 dal 42° emendamento, introducendo
“socialist secular” nell’enunciato “sovereign democratic Republic”, e aggiungendo
tra i valori che devono essere promossi, subito dopo quelli della dignità
dell’individuo e dell’unità, quello dell’integrità della nazione.49
La modifica del preambolo, attuata in un periodo molto travagliato della storia
istituzionale indiana, ha avuto funzione principalmente politica dando rilievo ad
alcuni caratteri, vale a dire socialismo, laicità e unità, che erano già presenti nella
filosofia originaria, ma che apparve utile rafforzare simbolicamente.
“ L’India è indipendente e sovrana. La Costituzione indiana non è stata concessa dal
Parlamento britannico. È stata invece il frutto del lavoro dell’Assemblea Costituente
indiana, pienamente legittimata e autonoma nell’adottare le scelte fondamentali per
la nuova Repubblica. L’inizio e la fine del preambolo “We, the people of India,…in
our Constituent Assembly this twenty-sixth day of November, 1949, do hereby adopt,
enact and give to ourselvesthis Consttution” esprimono in modo netto il fatto che è il
popolo indiano a dare a se steso la propria Costituzione.
La sovranità appartiene al popolo e la Costituzione si basa su questa sovranità
popolare. In questo senso, questa parte del preambolo può essere letta come
un’enunciazione solenne della propria indipendenza, proclamata nel 1947, come fatto
fondativo del sistema giuridico ”.50
48
Il testo del preambolo è il seguente: “ WE, THE PEOPLE OF INDIA, having solemnly resolved to
constitute India into a [SOVEREIGN SOCIALIST SECULAR DEMOCRATIC REPUBLIC] and to
secure to all its citizens: JUSTICE, social, economic and political; LIBERTY of thought, expression,
belief, faith and worship; EQUALITY of status and of opportunity; and to promote among them all
FRATERNITY assuring the dignity of the individual and the [unity and integrity of the Nation]; IN
OUR CONSTITUENT ASSEMBLY this twenty-sixth day of November, 1949, do HEREBY
ADOPT, ENACT AND GIVE TO OURSELVES THIS CONSTITUTION”. 49
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, 2010 50
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, 2010, p.64
- 41 -
L’India è divenuta subito Stato sovrano, non soggetto a nessun potere esterno, a
differenza del Pakistan, che è rimasto un Dominion britannico fino al 1956.
Dal 26 gennaio 1950, quando la Costituzione è entrata in vigore, la Corona britannica
ha smesso di avere qualsiasi autorità sull’India e gli indiani da sudditi sono divenuti
cittadini della Repubblica.
L’India è una repubblica democratica e può essere considerata la più grande
democrazia al mondo.
La democrazia delineata nella Costituzione non è solo politica, ma anche sociale,
dato che disegna non solo una forma di governo democratica, ma anche una società
democratica ispirata ai principi di giustizia, libertà, uguaglianza e fratellanza.51
La giustizia è espressa nel preambolo sia nei suoi aspetti sociali ed economici, sia in
quelli politici. La democrazia rappresentativa a suffragio universale è accompagnata
dall’ideale di un’uguaglianza completa tra cittadini nella sfera politica.
Pur rimanendo la società indiana profondamente non egalitaria, la politica indiana si
è sempre dimostrata sensibile a una composizione equilibrata dei diversi organi, dal
Parlamento alla Corte Suprema e appartenenze diverse in termini di genere, caste e
condizioni sociali sono rappresentate negli organi di vertice dello Stato.
La giustizia sociale ed economica che ispira la democrazia indiana si riflette nel
Welfare State che viene delineato nella parte quarta della Costituzione, dedicata ai
Directive Principles of State policy. I costituenti erano ben consapevoli della
specificità delle condizioni sociali dell’ India, un paese che ancora oggi ha vaste
fasce di popolazione che vivono sotto la soglia della povertà.
La giustizia sociale può essere considerata elemento strutturale della Costituzione, in
quanto forma per rimuovere gli squilibri sociali armonizzando gli interessi a volte
confliggenti delle diverse parti della società.
Oltre che la giustizia, la Repubblica deve assicurare a tutti i cittadini indiani libertà e
uguaglianza, i costituenti avevano ben chiara l’importanza della tutela dei diritti di
libertà e dell’uguaglianza sia formale che sostanziale: infatti inserirono nella
Costituzione un Bill of Rights molto esteso.52
51
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, 2010 52
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’india contemporanea, G. Giappichelli Editore, 2010
- 42 -
Per quanto riguarda la fratellanza, il preambolo declina questo valore in relazione
alla dignità degli esseri umani e all’unità della nazione. Il valore della fratellanza,
oltre a basarsi sull’uguaglianza in dignità di tutti gli esseri umani- che ha portata
particolare in un paese ancora fortemente stratificato in caste- promuove la
cooperazione nei cittadini indiani e il sentimento di essere tutti parte di una stessa
nazione nel rispetto delle differenze.
In diverse norme della Costituzione vi è l’idea di un sistema giuridico sorretto da una
base etica. Nel suo complesso la Costituzione indiana ha un consistente impianto
promozionale e pedagogico. L’esempio principale è fornito probabilmente dalla
nuova parte dei diritti fondamentali che promuove la formazione di una cittadinanza
indiana attiva. Nella stessa direzione programmatica di promozione del valore
dell’unità nella diversità si possono leggere le scelte linguistiche fatte dall’Unione.
Posto che molti conflitti si svolgono in India per motivi religiosi e comunitari, l’unità
riguarda anche la laicità dello Stato.53
Il principio della laicità deve essere inteso
nella specificità del contesto indiano, caratterizzato da un gran numero di fedi e
religioni profondamente mescolate nel tessuto sociale. Questo principio è inteso
costituzionalmente come neutralità e imparzialità nei confronti di tutte le religioni.
In India non esiste una religione di Stato e la separazione tra Stato e religioni sul
piano formale è netta, fino al punto che la Costituzione prevede il divieto
d’insegnamento della religione nelle scuole statali. Contemporaneamente è garantito
il diritto di libertà religiosa sia agli individui sia ai gruppi ed è riconosciuta la
possibilità di creare scuole private con ispirazione religiosa.
53
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, 2010
- 43 -
3.1 Le istituzioni
La dottrina classica della divisione dei poteri è stata ampiamente recepita nella
Costituzione indiana attraverso la distinzione fra funzione legislativa, esecutiva e
giudiziaria e l’attribuzione di queste funzioni in modo preminente a organi distinti:
Parlamento, Governo e Corti.
3.1.1 Il Parlamento
L’India è una democrazia parlamentare,54
il modello seguito dalla Costituzione è
chiaramente quello inglese.
Il Parlamento federale indiano è caratterizzato da un bicameralismo imperfetto. Si
compone di due camere, il Lok Sabha (House of the People) che è rappresentativo
del popolo e il Rajya Sabha (Council of States), in cui la rappresentanza è per Stati.
Fa parte del Parlamento anche il Presidente dell’Unione, secondo il modello inglese
del King of the Parliament.
La scelta della democrazia parlamentare segue in generale il cd. modello
Westminster, con governo di gabinetto e sistema uninominale puro, ed è interessante
notare come nei meccanismi istituzionali indiani siano state introdotte soluzioni che
sembrerebbero peculiari del sistema inglese e radicate nella sua storia.55
Il federalismo indiano ha avuto una genesi diversa rispetto ad altri paesi.
Nel contesto indiano non si trattava di passare da una pluralità di Stati autonomi a
una confederazione e poi a una federazione. Gran parte del subcontinente indiano
aveva già avuto un’esperienza unitaria e federale nel British Raj e le parti dell’India
che erano formalmente fuori dai territori coloniali non avevano certo al momento
dell’indipendenza una forza tale da poter negoziare concessioni sul punto della
rappresentanza nella camera federale. Il rapporto tra le due camere è caratterizzato da
una sostanziale parità funzionale nel procedimento legislativo. Le leggi devono
essere approvate con il sistema della doppia lettura.56
54
È interessante osservare a questo proposito che nella Costituzione indiana non sono previste forme
di democrazia diretta come referendum o iniziative popolari. 55
MENSKI W. F., Comparative Law in a Global Context: The Legal System of Asia and Africa, p.263
ss, cit. in FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino,
2010, p.71. 56
Fanno eccezione alcune leggi di spesa in cui la seconda camera può solo fare raccomandazioni.
- 44 -
Il Lok Sabha ha invece il primato nella funzione d’indirizzo politico, dato che il
governo risponde solo a questa Camera e qui può essere sfiduciato.
3.1.2 Il Governo
Quando si analizza il potere esecutivo federale, bisogna prendere in considerazione
sia il Presidente dell’Unione, sia il Governo.
Il Presidente dell’Unione è formalmente il capo dell’esecutivo; a questa carica non
sono attribuite semplici funzioni di garanzia istituzionale, ma anche rilevanti poteri
nell’esercizio delle diverse funzioni dello Stato.
L’organo costituzionale titolare della funzione esecutiva è in realtà il Council of
Ministers.57
Il primo ministro viene nominato dal Presidente dell’Unione e designa i
componenti del Consiglio dei ministri che sono nominati formalmente dal Presidente.
In India esiste un sistema di designazione informale del primo ministro, nel senso
che gli schieramenti politici indicano il nome del loro candidato premier.
Il Consiglio dei ministri ha una struttura complessa e al suo interno si può distinguere
il Cabinet, composto dai ministri più importanti, che peraltro non è previsto dalla
Costituzione. Anche su questo punto è stato seguito il modello inglese.
La consapevolezza della difficoltà di governare dal centro un paese complesso come
l’India ha portato ad adottare diverse forme di decentramento amministrativo, alcune
ispirate a modelli tradizionali, come nel caso delle assemblee locali, panchayat, che
hanno riconoscimento costituzionale, altre a modelli di governance, come quello
statunitense, che affidano le varie funzioni normativa, esecutiva e quasi-
giurisdizionale ad agenzie specializzate.
Al livello dei singoli Stati, il potere legislativo e quello esecutivo tendono a replicare
il modello federale. Gli organi dei singoli Stati sono previsti nella Costituzione come
quelli federali. Anche il potere esecutivo statale replica quello federale con un
Governor, che svolge le funzioni che a livello federale sono attribuite al Presidente
dell’Unione, anzi lo rappresenta, e un consiglio dei ministri, con un primo ministro
ed eventualmente un cabinet.58
57
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.74. 58
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.75.
- 45 -
3.1.3 Il potere giudiziario
In India non esiste un potere giudiziario statale distinto da quello federale: il sistema
indiano delle corti è unico.
Al vertice del sistema giudiziario si colloca la Supreme Court of India che è
considerata una delle corti supreme dotate di maggiori poteri al mondo.
La Supreme Court è composta dal Chief Justice e da un massimo di trenta giudici.
Questi sono nominati dal Presidente dell’Unione alla fine di un complesso processo
di consultazioni, in cui ha un ruolo importantissimo l’opinione del Chief Justice e di
altri componenti del giudiziario. Il Chief Justice viene nominato per anzianità.
Per essere nominati giudici della Corte suprema occorre essere cittadini indiani ed
essere giudici di High Courts da almeno cinque anni o avvocati presso le High
Courts da almeno dieci anni o giuristi di chiara fama. I giudici sono nominati a vita e
possono essere rimossi solo a seguito di procedura d’ impeachment.
Questa previsione, insieme ad altre contenute nella Costituzione, è una garanzia di
indipendenza del potere giudiziario.59
Le High Courts sono un altro livello di Corti superiori che costituiscono il potere
giudiziario. La Costituzione prevede una High Court per ogni Stato, conferendo al
Parlamento il potere di istituire una High Court competente su più Stati.
Attualmente le High Courts sono ventuno. Rappresentano il vertice del potere
giudiziario a livello statale, e operano come corti d’appello per tutte le sentenze
pronunciate nei distretti posti sotto la loro giurisdizione.
I giudici hanno le stesse garanzie di quelli della Corte Suprema.
Esiste, poi, un terzo livello di corti costituito da un complesso sistema di corti
inferiori, District Courts, che non è previsto nella Costituzione e può variare nei
singoli Stati. È anche presente un sistema di Tribunals che, seguendo il modello
anglosassone, comprende una serie di tribunali a cui sono attribuiti funzioni speciali
che svolgono sotto la supervisione delle corti superiori.
Nel suo complesso il sistema giudiziario presenta forti criticità di funzionamento, in
particolare per quel che riguarda la lunghezza dei processi.
59
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.76.
- 46 -
L’India punta soprattutto sullo sviluppo della mediazione come strumento per gestire
i conflitti in modo più efficiente di quanto non facciano già le Corti.60
3.1.3.1 La Corte Suprema
La Supreme Court rappresenta uno dei “motori” principali dell’evoluzione del diritto
indiano.
La giurisdizione della Corte Suprema può essere distinta in: original jurisdiction,
appellate jurisdiction e advisory jurisdiction.61
La Corte Suprema ha giurisdizione originaria in tutte le questioni che sorgono tra
Stati o tra uno Stato e l’Unione. Ma un caso molto importante di original jurisdiction
riguarda la tutela dei diritti fondamentali. Si parla in questo caso di giurisdizione
originaria perché è previsto l’accesso diretto alla giurisdizione della Corte Suprema
per violazione dei diritti fondamentali previsti nella parte terza della Costituzione,
ma non si tratta di una giurisdizione esclusiva, potendo le stesse questioni essere
sollevate presso le altre Corti.
La Supreme Court è competente come giudice d’appello nei confronti delle sentenze
delle High Courts. Il concetto di appello, come in generale nei sistemi di common
law, non coincide con quello proprio dei paesi di civil law; la Supreme Court, come
la Corte Suprema statunitense, decide in quali casi giudicare. Ha funzioni di indirizzo
della giurisprudenza, dato che i suoi precedenti sono vincolanti per tutte le Corti
inferiori.
La Corte Suprema normalmente giudica in appello sulle cause più complesse dal
punto di vista della questione di fatto, in particolare quando la sanzione da applicare
sia la pena di morte.
La Corte giudica anche sul merito e non è solo giudice di legittimità.
60
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.76. 61
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.76.
- 47 -
Per quel che riguarda l’advisory jurisdiction, la Corte Suprema viene regolarmente
interpellata, specialmente dal Presidente dell’Unione, a fornire pareri preventivi sulla
costituzionalità di alcuni provvedimenti normativi.
La Corte ha inoltre un potere di emettere orders con cui regola determinati
comportamenti degli organi statali, influendo in tal modo anche sull’esercizio
dell’attività amministrativa.
3.1.3.2 Le High Courts
Le High Courts sono considerate il vertice del sistema giudiziario dei singoli Stati,
ma non sono propriamente corti statali perché dipendono dall’Unione sotto diversi
aspetti, dalla definizione della competenza territoriale alla nomina dei giudici.
Esse operano principalmente come corti d’appello. La loro caratteristica
fondamentale è che hanno una extraordinary writ jurisdiction,62
parallela alla
giurisdizione della Supreme Court in materia di diritti fondamentali, ma più estesa
dato che nel loro caso la writ jurisdiction si può attivare anche se i diritti violati non
sono contemplati nella parte terza della Costituzione sui diritti fondamentali.
In generale si può osservare che Supreme Court e High Courts hanno spesso agito
all’unisono nella tutela dei diritti fondamentali e che, anzi, spesso alcuni principi
innovativi sono stati elaborati prima da una High Court e poi recepiti dalla Supreme
Court.63
62
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.78. 63
Mentre le Corti superiori, High courts e Supreme Court, giudicano sia in materia civile che penale,
le Corti inferiori sono distinte in corti civili e corti penali e giudicano su questioni minori.
- 48 -
3.2 La struttura federale della Repubblica indiana
La Repubblica indiana, che si autodefinisce “Union of States”, si compone oggi di
ventotto Stati e sette Union territories.
Pur considerandosi uno Stato federale, l’India ha una propria visione dei rapporti
federali, che tende ad accrescere il carattere unitario della federazione, tanto che
questo tipo di federalismo è chiamato dagli studiosi “cooperative federalism”.64
La divisione delle funzioni legislative tra Unione e singoli Stati è stata prevista nella
Costituzione seguendo il modello del Government of India Act del 1935 ed è basata
sull’elencazione analitica delle materie di competenza esclusiva dell’Unione e degli
Stati, prevedendo anche una serie di materie in cui vi è competenza concorrente.
Queste materie sono raggruppate in tre liste: Union list, State list e Concorrence list,
che costituiscono l’allegato settimo della Costituzione. Le liste sono lunghe e
dettagliate al fine di evitare, per quanto sia possibile, incertezze sulle attribuzioni
delle competenze e di disegnare una struttura organica dei poteri ai diversi livelli.
Le materie di competenza esclusiva dell’Unione includono la difesa, gli affari esteri,
la politica monetaria, il settore bancario e assicurativo e la fiscalità federale, mentre
quelle di competenza esclusiva degli Stati comprendono l’ordine pubblico e la
polizia, la salute pubblica e il sistema sanitario, l’agricoltura e la pesca, le foreste e
infine la fiscalità statale.
Nelle attribuzioni legislative concorrenti rientrano materie importantissime come il
diritto e la procedura penale, il diritto civile, in particolare la materia matrimoniale, i
contratti, i torts e i trust e la procedura civile65
. Sono anche concorrenti le materie sul
lavoro, la programmazione economica e sociale e l’istruzione.
Con questo tipo di sistema bisogna prendere in considerazione il principio della
competenza territoriale, per cui ogni Stato può legiferare solo per il suo territorio, il
che comporta la probabile mancanza di uniformità importanti.
La particolarità del federalismo indiano è il suo carattere “necessario” o “generico”.66
64
BASU D.D., Introduction to the Constitution of India, cit. in FRANCAVILLA D., Il diritto
nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino,2010, p.78. 65
Pertanto, ad esempio, esiste un Hindu Marriage Act indiano, ma possono esistere anche leggi statali,
ad esempio in materia di registrazione del matrimonio. 66
AMIRANTE D., India, Il Mulino, Bologna, 2007, p.53.
- 49 -
Se da una parte il sistema federale era necessario per la vastità del territorio e le
specificità locali rendevano impossibile far nascere un vero e proprio Stato unitario,
dall’altra gli Stati indiani non erano entità autonome e preesistenti e la federazione
indiana nasceva con una necessaria prevalenza dell’Unione.
Gli Stati che fanno parte dell’Unione sono stati definiti nella stessa Costituzione, in
molti casi ridisegnandone i confini. Ancora oggi la determinazione degli Stati è di
competenza dell’ Unione, così come la decisione su eventuali annessioni territoriali.
In conclusione la divisione dei poteri raggiunta nel contesto indiano soffre di alcune
incongruenze derivanti dalla complessità dei meccanismi e dall’assemblaggio di
elementi del modello inglese e di quello statunitense.
Nella divisione dei poteri è molto delicata la posizione del potere giudiziario che,
nonostante abbia avuto un ruolo molto importante nella tutela dei diritti
fondamentali, è stato criticato per la tendenza a svolgere attività di supplenza rispetto
agli altri poteri dello Stato.
Per quanto riguarda la struttura federale, il punto di riferimento, inevitabile, è il
modello statunitense, tenuto presente sia dall’Assemblea Costituente che
nell’interpretazione costituzionale. Il federalismo indiano, rispetto a quello
statunitense, è diverso nell’ispirazione, nella genesi, nei problemi e nelle soluzioni
tecniche.
Uno degli elementi di differenziazione più rilevante è sul piano sociale e culturale;
non bisogna dimenticare che l’India è un paese multilingue.
Sembra quasi paradossale che un sistema federale più unitario si accompagni in India
a una situazione sociale e culturale molto diversa rispetto a quanto non sia negli Stati
Uniti.67
67
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’india contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.82.
- 50 -
4. La cittadinanza in India
4.1 I cittadini e lo Stato indiano in tempo di globalizzazione
L’India è studiata come un caso rientrante nella categoria generale di “società che
cambiano” e che derivano da un governo coloniale o comunista.
La cittadinanza, che era considerata parte del problema generale di costruzione di
una nazione, ha progressivamente acquisito il carattere di un problema in sé
importante.
Questo cambiamento di prospettiva si è verificato come conseguenza della
globalizzazione e per la diffusione mondiale delle norme fondamentali dei diritti
umani.
Nel contesto contemporaneo, con riferimento ai problemi delle minoranze in
pericolo, le cui vite, dignità e benessere sono a rischio, il mondo si considera
moralmente in dovere di intervenire, se non militarmente almeno in termini di
invocazione della legge e della buona condotta.
In quanto tale, dal punto di vista dello Stato postcoloniale, sia la sua sovranità
nazionale sia la sua legittimità sono condizionate dal suo successo relativo alla
trasformazione dell’intera popolazione in cittadini.
Lo studio effettuato dal professor Subrata K. Mitra68
, e dai suoi collaboratori,
sostiene che questo è legato all’abilità dello stato postcoloniale di modificare le sue
leggi, i tribunali e l’amministrazione verso un’efficace gestione dell’identità e
dell’integrazione costituzionale del nucleo dei valori sociali.
Per quanto riguarda “rendere cittadini gli intoccabili”, l’esperimento indiano dà
lezioni importanti agli altri paesi caratterizzate da società multiculturali.
68
SUBRATA K. MITRA, “Level Playing Fields: The Post-Colonial State, Democracy, Courts and
Citizenship in India”, German Law Journal, Vol. 9 No. 03, 2008, p.343 ss.
- 51 -
Il problema della cittadinanza negli Stati postcoloniali si riferisce a due diverse
questioni. In primo luogo, come attori liberi nel diritto internazionale, questi “nuovi
Stati” condividono l’imperativo della sicurezza, dell’identità e del benessere
nazionali, sulle stesse basi degli stabili Stati postindustriali, sebbene le condizioni
politiche ed economiche siano ampiamente diverse. In secondo luogo, in contrasto
con le stabili democrazie industriali dell’Occidente, questi nuovi Stati hanno bisogno
di trasformare soggetti e immigrati -gruppi sociali marginali- in cittadini con la
capacità di godere di tutti i diritti politici e sociali.
L’India, essendo la più grande democrazia liberale del mondo, condivide alcune
caratteristiche fondamentali per la cittadinanza con le democrazie liberali
dell’Occidente. Questo la distanzia dalla maggior parte degli Stati postcoloniali.
Inoltre l’India è un paese estremamente vario, dove le diverse categorie di minoranze
spesso coesistono in un rapporto conflittuale. Queste minoranze includono le
comunità religiose, le caste e le comunità indigene conosciute come “tribali”.
Un aspetto molto importante in India è stato l’introduzione di una novità nelle leggi
sulla cittadinanza, vale a dire l’introduzione del “Overseas Citizenship of India”, nel
2003.
Questa forma di appartenenza dei cittadini indiani è chiaramente diversa dalla
cittadinanza tradizionale, ma non può essere facilmente inserita in una categoria
come un’altra forma comune di adesione. Ciò rende la cittadinanza in India un
concetto “a strati”, nel senso che all’interno dello stesso territorio diverse categorie di
cittadinanza, con diversi livelli di diritti e facoltà, coesistono.
Un secondo aspetto interessante del caso indiano è che la nozione di cittadinanza è
progressivamente scivolata da una base liberale, laica e inclusiva a una concezione di
cittadinanza più esclusiva ed etnica che è definita in termini di origine piuttosto che
di territorio.69
69
SUBRATA K. MITRA, “Level Playing Fields: The Post-Colonial State, Democracy, Courts and
Citizenship in India”, German Law Journal, Vol. 9 No. 03, 2008.
- 52 -
Un ulteriore aspetto riguarda lo status dell’India come Stato multiculturale. La
Costituzione indiana riconosce sia i diritti individuali sia quelli di gruppo. Un
assortimento d’istituzioni pubbliche quali il potere giudiziario, la Commissione
nazionale per le Minoranze e il processo politico competitivo forniscono la
condizione istituzionale necessaria per creare un terreno giusto per rivendicare la
cittadinanza.
Allo stesso tempo, anche i problemi visibili a livello internazionale quali le
violazioni dei diritti umani in Kashmir, la violenza frequente nei confronti delle
minoranze e il benessere delle donne ex intoccabili o abitanti della foresta (tribali)
hanno avuto un impatto sulla legislazione indiana con riferimento ai diritti dei
cittadini.70
70
SUBRATA K. MITRA, “Level Playing Fields: The Post-Colonial State, Democracy, Courts and
Citizenship in India”, German Law Journal, Vol. 9 No. 03, 2008, p.345.
- 53 -
4.2 Nazionalità vs. Cittadinanza
La visione locale dei pensatori della nuova repubblica aveva inteso la cittadinanza in
termini di territorialità.
Il distacco tra la definizione morale degli Indiani in termini di comunità e la
definizione giuridica in termini di territorio fu contestato durante i disordini del 1950
che portarono alla ridefinizione dei confini interni dell’India. Una seguente revisione
della definizione di cittadinanza si ebbe con la richiesta degli Indiani che vivevano
all’estero che rivendicavano la successione nei diritti di proprietà in India. Questo
condusse alla fine all’emanazione della Carta delle persone di origine indiana (PIO),
che riconosceva esplicitamente il diritto alla cittadinanza, nel 2002.
L’esercizio attivo della cittadinanza non è più legato agli elementi comuni di identità
e comunità; la cittadinanza era diventata un obiettivo che scivolava avanti e indietro
tra le comunità non territoriali definite in termini etnici e funzionali71
.
La nazionalità e la cittadinanza possono dipendere l’una dall’altra, ma non sono
necessariamente congruenti.
“ In termini di diritto internazionale, la nazionalità costituisce la base di giurisdizione
di uno Stato e un requisito essenziale per l’esercizio della protezione diplomatica in
relazione con gli altri Stati. In sostanza, gli Stati sono liberi di stabilire i requisiti di
acquisto della cittadinanza. Tuttavia, un’attribuzione meramente formale della
nazionalità non è sufficiente a creare un rapporto giuridico che gli Stati terzi sono
tenuti a riconoscere ”.72
Proprio quando il diritto legale di cittadinanza è accordato dallo Stato, l’identità e da
essa il diritto morale di appartenere è ciò che il popolo richiedendo la cittadinanza
vuole. Quando entrambi convergono nello stesso gruppo, il risultato è un senso di
cittadinanza legittima, dove l’individuo si sente sia legalmente autorizzato sia
moralmente impegnato. In caso contrario, le conseguenze sono una cittadinanza
legale priva di un senso d’identificazione con il territorio o d’identificazione
primordiale con la terra, ma senza un riconoscimento legittimo per questo.
71
ANDERSON J., Transnational Democracy: Political Spaces and Border Crossing, Routeledge,
2002, cit. in SUBRATA K. MITRA, “Level Playing Fields: The Post-Colonial State, Democracy,
Courts and Citizenship in India”, German Law Journal, Vol. 9 No. 03, 2008, p.346. 72
KADELBACH S., Union Citizenship, 2003, cit. in SUBRATA K. MITRA, “Level Playing Fields:
The Post-Colonial State, Democracy, Courts and Citizenship in India”, German Law Journal, Vol. 9
No. 03, 2008, p.347.
- 54 -
Queste situazioni possono portare a disordini violenti, scontri tra le comunità e
guerra civile.
In un contesto postcoloniale, i cittadini sono una categoria iniziale, un gruppo
cardine che collega lo Stato e la società. Una cittadinanza tranquilla e giusta è
possibile solo se il concetto è coprodotto da uno Stato moderno e una società
tradizionale.
L’India ha acquisito qualcosa di simile attraverso la sua forma di “cittadinanza a più
strati”.
La strategia indiana consisteva nel trasformare i ribelli in parti interessate.
La Costituzione, innovando le istituzioni e la cittadinanza, ha fatto da sfondo per una
serie di decisioni, processi e strategie politiche.
Il primato indiano di trasformare con successo i sudditi in cittadini ha un significato
trasversale nella nazione, perché invece di essere un attributo unico della cultura
indiana si basa su un accordo istituzionale contenente diversi parametri importanti.
Primi tra questi sono gli articoli della parte II della Costituzione indiana (articoli 5-
11).
La Costituzione indiana (come la maggior parte delle costituzioni) evita la
terminologia di nazione e nazionalità. “ La cittadinanza, d’altra parte, è la parola
chiave costituzionale per dividere il mondo tra “noi e loro” ”.73
La cittadinanza è quindi una forma di adesione a un corpo politico che identifica una
persona come membro a pieno titolo della stessa.
All’interno della Costituzione indiana vi sono i diritti dei cittadini che mirano a
proteggere l’individuo contro le ingerenze arbitrarie da parte dell’autorità statale.
Ciò che è costitutivo per lo status di un cittadino indiano sono i diritti positivi (in
particolare i diritti sociali) e i diritti politici (in primo luogo il diritto di voto e di
eleggibilità).
73
BASU D.D., Introduction to the Constitution of India, 2001, p.74, “The question of citizenship
became particulary important at the time of the making of our Constitution because the Constitution
sought to confer certain rights and privileges upon those who were entitled to Indian citizenship while
they were to be denied to ‘aliens’. The latter were even placed under certain disabilities.” Cit. in
SUBRATA K. MITRA, “Level Playing Fields: The Post-Colonial State, Democracy, Courts and
Citizenship in India”, German Law Journal, Vol. 9 No. 03, 2008, p.351.
- 55 -
La cittadinanza può aver avuto la sua origine nelle lotte politiche e nella filosofia
politica, ma come la Costituzione la tratta, è essenzialmente un concetto giuridico.
La Costituzione indiana se ne occupa nella parte II.
Nell’elaborare questa sezione, l’Assemblea Costituente immaginava chi poteva, nel
1950, aver diritto alla nazionalità indiana e alla cittadinanza. L’assenza del carattere
distintivo razziale come condizione necessaria per la cittadinanza era stato spiegato
da uno scambio cruciale di dibattiti all’interno dell’Assemblea Costituente.
La cittadinanza si dimostrò essere tra i temi più controversi, dibattuti per quasi due
anni e con più di centoventi emendamenti presentati durante l’Assemblea
Costituente. Questa tendenza fu portata avanti in altre iniziative politiche e nella loro
interpretazione. I tentativi dell’Assemblea Costituente furono limitati a garantire che
gli articoli trattassero la situazione esistente in quel momento. Tutte le altre regole
furono lasciate al parlamento perché decidesse in merito.
Il tentativo di questi articoli è stato principalmente di chiarire il concetto di chi
poteva essere indiano.74
La preoccupazione principale era il risultato della partition e come si traduceva
nell’identità di un Indiano. Il tentativo fu più quello di capire come scollegare il
concetto culturale di nazionalità dal diritto politico.
Fin dal principio, l’articolo 575
riflette chiaramente il pensiero del Dr. Ambedkar e
degli altri membri fissando lo scopo degli articoli e il desiderio di limitare la
questione sulla cittadinanza all’inizio della Costituzione.
La sequenza logica è mantenuta dall’articolo 676
che tratta della cittadinanza e si
occupa di migranti provenienti dal territorio dell’India indivisa, ora Pakistan.
74
SUBRATA K. MITRA, “Level Playing Fields: The Post-Colonial State, Democracy, Courts and
Citizenship in India”, German Law Journal, Vol. 9 No. 03, 2008, p.353. 75
Article 5: Citizenship at the commencement of the Constitution
-At the commencement of this Constitution, every person who has his domicile in the territory of
India and-
a) who was born in the territory of India; or
b) either of whose parents was born in the territory of India; or
c) who was been ordinarily resident in the territory of India for not less than five years immediately
preceding such commencement, shall be a citizen in India. 76
Article 6: Rights of citizenship of certain persons who have migrated to India from Pakistan.
-Notwithstanding anything in article 5, a person who was migrated to the territory of India from
territory now included in Pakistan shall be deemed to be citizen of India at the commencement of this
Constitution if-
a) he or either of his parents or any of his grandparents was born in India as defined in the
Government of India Act, 1935 (as originally enacted); and
- 56 -
Il problema della re-immigrazione è stato affrontato nell’articolo 777
che, pur
affermando che nessuna persona che emigrò in Pakistan era un cittadino dell’India,
tuttavia fece in modo di includere coloro che erano re-immigrati in India da questi
territori. Queste persone erano tenute ad avere un permesso di reinsediamento o di
ritorno permanente rilasciato dalle autorità competenti.
È interessante notare che la radice dell’idea PIO (persone di origine indiana) si
intravede nell’articolo 8,78
che si occupa di persone che risiedono al di fuori
dell’India, al momento dell’Indipendenza. Dà loro il diritto di chiedere la
cittadinanza sulla base dell’origine, a condizione che la persona sia iscritta a un
consolato indiano nel paese di residenza.
La necessità di escludere i cittadini dei territori appena divisi ed è inserita
nell’articolo 979
che stabilisce che coloro che hanno volontariamente acquisito la
cittadinanza di uno Stato straniero perdano il diritto alla rivendicazione della
cittadinanza indiana.
b) (i) in the case where such person has so migrated before the nineteenth day of July, 1948, he has
been ordinarily resident in the territory of India since the date of his migration, or
(ii) in the case where such person has so migrated on or after the nineteenth day of July, 1948, he has
been registered as a citizen of India by an officer appointed in that behalf by Government of the
Dominion of India on an application made by him therefore to such officer before the commencement
of this Constitution in the form and manner prescribed by that Government; provided that no person
shall be so registered unless he has been resident in the territory of India for at least six months
immediately preceding the date of his application. 77
Article 7: Rights of citizenship of certain migrants to Pakistan
-Notwithstanding anything in articles 5 and 6, a person who has after the first day of March, 1947,
migrated from the territory of India to the territory now included in Pakistan shall not be deemed to be
a citizen of India; provided that nothing in this article shall apply to a person who, after having so
migrated to the territory now included in Pakistan, has returned to the territory of India under a permit
for resettlement or permanent return issued by or under the authority of any law and every such person
shall for the purposes of clause (b) of article 6 be deemed to have migrated to the territory of India
after the nineteenth day of July, 1948. 78
Article 8: Rights of citizenship of certain persons of Indian origin residing outside India.
-Notwithstanding anything in article 5, any person who or either of whose parents or any of whose
grand-parents was born in India as defined in the Government of India Act, 1935 (as originally
enacted), and who is ordinarily residing in any country outside India as so defined shall be deemed to
be a citizen of India if he has been registered as a citizen of India by the diplomatic or consular
representative of India in the country where he is for the time being residing on an application made
by him therefor to such diplomatic or consular representative, whether before or after the
commencement of this Constitution, in the form and manner prescribed by the Government of the
Dominion of India or the Government of India. 79
Article 9: Persons voluntarily acquiring citizenship of a foreign State not to be citizens.- No person
shall be a citizen of India by virtue of article 5, or be deemed to be a citizen of India by virtue of
article 6 or article 8, if he has voluntarily acquired the citizenship of any foreign State.
- 57 -
L’Assemblea Costituente distinse tra cinque categorie di persone:
1. Le persone domiciliate in India e nate in India: in altre parole, le persone che
formavano il grosso della popolazione dell’India. Il periodo di domicilio era
minimo di cinque anni nonostante la giurisprudenza successiva avrebbe
deciso che il solo domicilio non era sufficiente;
2. Le persone che hanno la residenza in India: cioè, le persone non nate in India,
ma che avevano risieduto in India, per esempio le persone che erano soggette
a un ex protettorato portoghese o agli insediamenti francesi in India, o le
persone, anche se non nate in India, che avevano soggiornato per un lungo
periodo di tempo con l’indubbia intenzione di diventare cittadini indiani;
3. Persone che erano residenti in India, ma che emigrarono in Pakistan;
4. Le persone che erano residenti in Pakistan e che emigrarono in India;
5. Le persone i cui genitori erano nati in India, ma risiedevano al di fuori dello
Stato indiano, e quelli che emigrarono in Pakistan, ma tornarono in India.
Gli articoli riguardanti la cittadinanza si riferivano alla data di entrata in vigore della
Costituzione indiana. L’oggetto non è stato quello di redigere una legge permanente
sulla cittadinanza di questo paese. L’articolo 6 poteva effettivamente consentire al
Parlamento di togliere la cittadinanza a coloro che fossero stati dichiarati cittadini
all’entrata in vigore della Costituzione da quanto previsto dall’articolo 5, e anche
concedere la cittadinanza a coloro ai quali originariamente la Costituzione negava
questo privilegio.80
80
SUBRATA K. MITRA, “Level Playing Fields: The Post-Colonial State, Democracy, Courts and
Citizenship in India”, German Law Journal, Vol. 9 No. 03, 2008, p.357.
- 58 -
In conclusione la religione, come segno distintivo per la cittadinanza, è stata
esplicitamente respinta dall’Assemblea Costituente, anche se ci sono stati membri
che si auguravano di includere disposizioni che consolidassero i diritti degli indù e
dei sikh. L’accento è stato posto più sulla lealtà territoriale che sulla religione.
Riassumendo la Costituzione indiana accetta e riconosce la cittadinanza per nascita,
discendenza e naturalizzazione.
Dal caso indiano s’impara che per quanto riguarda i cittadini creati dal contesto
postcoloniale conta la formazione e la materia del diritto, ma anche la politica, e
soprattutto, conta enormemente la storia.
Il relativo esito dell’India nel trasformare i sudditi in cittadini, con maggior successo
perlomeno nei paesi vicini come il Pakistan e lo Sri Lanka, è funzione della struttura
politica dell’India, procedimento e memoria, tessuti insieme in un accordo
istituzionale che trae la sua ispirazione sia dallo Stato moderno sia dalla società
tradizionale.81
81
SUBRATA K. MITRA, “Level Playing Fields: The Post-Colonial State, Democracy, Courts and
Citizenship in India”, German Law Journal, Vol. 9 No. 03, 2008, p.366.
- 59 -
CAPITOLO II “ IL DIRITTO INDIANO ”
1. Evoluzione del diritto indiano
Il diritto dell’India di oggi è il risultato di un lungo processo di evoluzione e
stratificazione di norme, istituzioni e valori che nel corso della storia hanno trovato
diversi accomodamenti e integrazioni.
Il sistema giuridico indiano è molto complesso e presenta un grado di complessità
superiore rispetto alla media perché hanno avuto un ruolo molto importante un gran
numero di componenti. In primo luogo può essere vista come una complessità
strutturale che si può evincere da una coesistenza di un diritto territoriale, che è
applicato a tutti i cittadini indiani, e di un insieme di diritti personali che si applicano,
spesso nel diritto di famiglia, in base all’appartenenza a una determinata comunità
che si definisce di solito in termini religiosi.
È molto rilevante la complessità culturale del diritto indiano che deriva dalla co-
esistenza e interazione di concezioni, valori, norme e istituti di diverse origini.
Il contrasto più rappresentativo sul piano culturale è quello tra i diritti indigeni e i
diritti occidentali recepiti durante il periodo coloniale che sono diventati indiani dopo
l’Indipendenza perché l’India ha confermato la sua adesione ad essi. Al tempo stesso
nell’India contemporanea continuano ad esistere i fondamenti culturali tradizionali
soprattutto nel sistema dei diritti personali, in particolare nel diritto di famiglia e
delle successioni.
“ Dall’Indipendenza in poi l’India non ha mai smesso di cercare una propria identità
giuridica unendo gli elementi derivanti da questa complessità culturale ”.82
La complessità culturale del diritto indiano di oggi deriva anche da un’eterogeneità
interna per la varietà di popoli, culture, lingue, religioni e tradizioni83
.
Tenere insieme questa diversità è uno dei problemi principali della Repubblica
indiana e l’aspirazione all’unità nella diversità è un valore che è alla base della
Costituzione e quindi della stessa struttura giuridica istituzionale dell’India
indipendente.
82
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, cit.
p. 14 83
Nella Costituzione indiana all’art.51° si fa riferimento a “the heritage of our composite culture”; cit.
da FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.14.
- 60 -
Questa diversità è molto importante per il diritto perché l’intera storia del diritto
indiano può essere descritta tramite l’analisi della dinamica tra diversità e uniformità,
che ha creato nel tempo numerose combinazioni.
Questa complessità culturale è il frutto della stratificazione avvenuta nel corso dei
secoli.
Nelle varie epoche storiche numerosi ordinamenti giuridici hanno avuto origine e
altri hanno avuto molta importanza, ma l’assetto moderno del diritto indiano si è
avuto nel periodo coloniale attraverso l’importazione di modelli occidentali. È stata
molto importante anche la trasformazione del sistema delle fonti che si è
“occidentalizzato”.
Nell’India contemporanea non bisogna perdere di vista il fatto che esistono ancora
oggi degli ordinamenti giuridici che vivono ai margini del diritto ufficiale.
Le diverse culture che sono nate in India hanno contribuito alla formazione del diritto
indiano e ancora lo influenzano e modellano nella pratica.
In questo paragrafo analizzerò alcuni dei diversi sistemi che hanno contribuito alla
formazione del diritto indiano prima dell’Indipendenza perché l’India non è mai stata
esclusivamente hindu.
L’India è composta di più culture e questo si è manifestato anche sul piano giuridico.
Alcune di queste culture sono indigene, ad esempio quella buddhista o jainista,
mentre altre come l’Islam, pur non avendo avuto origine in India, vi hanno avuto
importanti manifestazioni.84
84
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.18.
- 61 -
1.1 Il diritto buddhista
Il diritto buddhista è una componente importantissima del diritto indiano; ha avuto
origine nel subcontinente indiano e ha profondamente influenzato la cultura indiana,
anche se la sua area di maggiore influenza si è successivamente spostata verso altri
paesi asiatici.
Il momento di svolta della religione buddhista si ebbe durante il regno di Ashoka che
trasformò questa religione settaria in civiltà ed estese la sua influenza in molte zone
del subcontinente indiano85
.
Il diritto buddhista interagì con il diritto hindu tanto che questo spinse lo stesso
induismo a riorganizzarsi culturalmente contrapponendosi al brahmanesimo.
Il buddhismo è una tradizione culturale composta di dottrine, regole di
comportamento e istituzioni che si ricollegano agli insegnamenti di Buddha.
Le idee chiave del buddhismo possono essere riassunte nel triratna, il “triplice
gioiello” aderendo al quale si conferma la propria appartenenza al buddhismo, che è
composto da Buddha, dharma e sangha.86
A parte l’importanza di Buddha e del
dharma da lui insegnato, è da segnalare la centralità del sangha, cioè
dell’organizzazione monastica, “ la cui continuità storica fornisce un centro di pratica
budhhista e una base sociale per la persistenza del pensiero e dei valori buddhisti ”.87
La nascita del buddhismo è collocata tra il VI e il V secolo a.C., quindi nel periodo
classico, ed è legata alla figura di Siddharta Gautama.
Siddharta si dedicò alle pratiche ascetiche che erano già diffuse in alcune forme
dell’induismo. Dopo una serie di vicende travagliate, egli raggiunse la liberazione,
divenne Buddha, il “risvegliato”, e cominciò a diffondere il suo messaggio.
85
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.37. 86
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, cit.
p. 38. 87
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, cit.
p.38.
- 62 -
“ I caratteri del buddhismo delle origini sono dibattuti dagli studiosi. Secondo alcuni
si trattava di una comunità di rinuncianti esclusivamente concentrata su discipline di
salvezza, mentre secondo altri il suo carattere originario era quello di una religione
popolare formatasi attorno a Buddha ”.88
Nel III secolo a.C., con il regno di Ashoka, il buddhismo entrò in una nuova fase e
subì una profonda trasformazione diventando una “civilation religion”.
L’imperatore della dinastia Maurya, attraverso una serie di campagne militari,
realizzò il primo impero che coincideva con quasi tutto il territorio del subcontinente
indiano.89
In seguito alla sanguinaria guerra di conquista del regno di Kalinga,
Ashoka attraversò una profonda crisi spirituale che lo portò ad abbracciare il
buddhismo.
Con Ashoka fu elaborata una politica basata sul dharma che consisteva in “ una
regola di vita formulata in termini accettabili dai seguaci di qualsiasi confessione
religiosa, indiana o non indiana: rispetto di ogni forma di vita, astensione da ogni
forma di violenza, osservanza dei doveri tradizionali verso i genitori, i maestri, i
parenti e gli amici, e comportamento amabile verso tutti, inclusi i servi e gli schiavi.
Inoltre, l’esortazione a manifestare rispettosa considerazione per ogni fede religiosa e
a non offendere i seguaci di religioni diverse dalla propria ”.90
Si affermò in quel periodo un’idea buddhista della legalità perché mentre il centro
del buddhismo delle origini era il monachesimo, con Ashoka, che era un buddhista
laico a capo di un potente impero, si creò una struttura istituzionale anche per i laici.
Dopo la morte dell’imperatore della dinastia Maurya, il buddhismo continuò a
diffondersi in tutta l’India, nello Sri Lanka e anche in Asia centrale. Nel corso del
suo sviluppo nel territorio asiatico, si affermò influenzando credenze e pratiche
indigene.
Dopo i primi secoli di grande sviluppo, il buddhismo perse terreno in India fino quasi
a scomparire.
88
REYNOLDS F.E.-HALLISEY C., “Buddhism: An overview” in ELIADE M. (a cura di), The
Encyclopedia of Religon, vol.2, MacMillan, New York, 1987, p.335, cit. in FRANCAVILLA D., Il
diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, cit. pp. 38-39. 89
TORRI M., La Storia dell’India, Editori Laterza, Bari, 2000. 90
PUGLIESE CARRATELLI G. (a cura di), Gli editti di Ashoka, Adelphi, Milano, 2003, pp.18-19;
cit. in FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino,
2010, cit. p.39.
- 63 -
1.2 Il diritto islamico
Il diritto islamico in India non è un diritto indigeno, non ha avuto origine in Asia
meridionale, ma la sua presenza è molto antica e di molto precedente al periodo della
colonizzazione britannica.
A questo riguardo l’Islam può essere considerato a pieno titolo parte integrante della
cultura indiana.
L’India ha avuto importanti sovrani islamici.
La presenza islamica in India inizia intorno al 700 d.C.. I musulmani indiani delle
origini erano principalmente hindu che si erano convertiti all’Islam, solo l’élite
musulmana era originariamente araba. Date le numerosissime conversioni all’Islam,
già dall’inizio il diritto islamico divenne il secondo diritto personale indiano per
numero di persone.91
Quando poi nel 1100 fu istituito il Sultanato di Delhi, con la dinastia Moghul,
l’importanza del diritto islamico nel complesso del diritto indiano aumentò in ragione
della connessione con il potere politico. Il diritto islamico divenne, in alcuni settori,
diritto generale per tutti i sudditi, inclusi quelli hindu. Questo fenomeno si manifestò
sul piano pubblicistico e istituzionale e su quello tributario. In particolare fu
applicato il diritto penale islamico agli hindu e agli appartenenti di altre comunità.
Sul piano privatistico, invece, la situazione era più complessa. I sovrani musulmani,
forse per convenienza politica, o per ragioni di reale apertura al pluralismo culturale
indiano, non proibirono ai loro sudditi di seguire il proprio diritto.
Durante il periodo musulmano, il diritto hindu subì delle trasformazioni, dovute
anche all’interazione con nuove pratiche e dottrine, ma per alcuni aspetti, proprio
perché le comunità hindu potevano continuare a vivere secondo il loro diritto, grazie
anche all’esistenza di sistemi di soluzione delle controversie di carattere non statale,
ci fu un potenziamento della tradizione hindu, testimoniato dal nascere dei nibandha
proprio in questo periodo, e dovuto anche ad un irrigidimento di altri istituti.92
91
MENSKI W.F., Diritto dell’India, Enciclopedia Giuridica, vol. XI, Roma, 1989; cit. in
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, cit.
p.42. 92
MENSKI W.F., Diritto dell’India, Enciclopedia Giuridica, vol. XI, Roma, 1989; cit. in
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, cit.
p.43.
- 64 -
Sul piano degli istituti le interazioni più significative si sono avute in materia di
diritto di famiglia, in merito al matrimonio poligamico, che è tipico della religione
islamica ma che aveva importanti manifestazioni in alcune comunità hindu, per
quanto l’ideale religioso fosse all’opposto monogamico.
Un altro aspetto molto importante connesso alla presenza musulmana in India è stata
l’affermazione del diritto islamico come diritto personale di una larga parte di
popolazione. La peculiarità del diritto islamico indiano consisteva nel fatto che esso
si era trovato ad interagire con consuetudini nuove e diverse rispetto a quelle arabe. Il
diritto islamico indiano nacque dall’interazione tra shari’a e consuetudini locali.
Per quanto riguarda le fonti, sia il diritto hindu sia il diritto musulmano si basano su
un diritto a elaborazione dottrinale in interazione con le consuetudini locali, anche se
in generale il diritto hindu era più “aperto” e frammentato.
Diritto hindu e diritto islamico furono i due grandi diritti con cui ebbero a che fare i
colonizzatori.
“ E’ stato osservato che al momento dell’arrivo degli Inglesi il diritto indiano nel suo
complesso, da intendere come insieme di sistemi giuridici locali, era in crisi, incerto
e arbitrario. Inoltre la dominazione musulmana era in effetti crollata prima
dell’arrivo degli Inglesi, alimentando ulteriormente il disordine soprattutto
amministrativo. In questo contesto un ruolo importante fu svolto dagli zamindar,
grandi proprietari terrieri che cominciarono ad assumere delle prerogative di
governo, anche in questo caso con grandi disequilibri nel funzionamento tradizionale
dei sistemi giuridici locali e gravi ingiustizie. Gli zamindar rimarranno figure
importanti fino a subito dopo l’Indipendenza ”.93
I colonizzatori britannici svilupparono sia un diritto anglo-hindu sia un diritto
anglo-musulmano.
Nell’India di oggi il diritto islamico ha una parte molto importante all’interno delle
materie del diritto personale. Il diritto statale indiano deve confrontarsi non solo con i
problemi che sono posti dalla tradizione hindu, ma anche con quelli posti dal diritto
islamico, in particolare per quanto riguarda la tutela delle donne.
93
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, cit.
p.44.
- 65 -
Nonostante hindu e musulmani abbiano vissuto fianco a fianco per secoli, esiste un
conflitto latente tra le due comunità che periodicamente esplode. Il caso più
indicativo di un potenziale conflitto tra i due diritti nell’India contemporanea è il
progetto di adozione di un codice civile unitario che risolverebbe le vicende
riguardanti i diritti personali.
1.3 Jainismo, sikhismo, zoroastrianesimo e altri modelli religiosi tribali
Le tre grandi componenti del diritto indiano prima della colonizzazione sono la
tradizione hindu, quella buddhista e quella islamica. Altre tradizioni hanno avuto
rilievo nella formazione del diritto indiano e tra queste bisogna ricordare jainismo,
sikhismo e zoroastrianesimo94
.
Nell’India contemporanea a jainisti e sikh viene applicato il diritto hindu, mentre i
parsi hanno un loro diritto personale in materia di diritto di famiglia e successioni.
Tra le componenti del diritto indiano non bisogna dimenticarsi dei diritti ctonici.95
“ Con il termine “ctonici” ci si riferisce a diritti ancestrali e antichi caratterizzati
dallo stretto rapporto tra terra e uomini, dalla mancata divisione tra diritto e altre
sfere normative, in generale da un olismo culturale.96
Si tratta inoltre di diritti
consuetudinari e verbalizzati solo oralmente ”. Questi caratteri si riscontrano in
piccole comunità molto unite tra loro che per mantenere l’ordine sociale ed
economico hanno bisogno di sistemi poco complessi. Si tratta di una forma giuridica
molto diffusa storicamente e ancora oggi molti dei diritti delle comunità tribali
presenti in India rientrano tra i diritti ctonici.
Le popolazioni tribali vivono nel subcontinente indiano da epoca antichissima e
hanno mantenuto le loro consuetudini grazie all’isolamento rispetto alle altre
comunità indiane. I diritti di queste comunità sono rimasti ai margini delle grandi
tradizioni giuridiche che si sono sviluppate.
94
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 201, p.45 95
MENSKI W.F., Diritto dell’India, Enciclopedia Giuridica, vol. XI, Roma, 1989; cit. in
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, cit.
p.45. 96
PATRICK GLENN H., Tradizioni Giuridiche nel Mondo, Il Mulino, Bologna, 2010, p.456.
- 66 -
In particolare dal punto di vista della tradizione hindu, le comunità tribali non sono
solo appartenenti alle caste più basse ma sono del tutto esterni all’induismo. Con il
tempo alcune comunità sono state inserite nell’induismo, nel cristianesimo o in altre
tradizioni ma hanno conservato delle tracce dei loro sistemi culturali tradizionali.
I diritti tribali non hanno contribuito in modo preponderante alla formazione
culturale del diritto indiano, ma devono essere citati perché sono stati e sono ancora
vigenti in India anche se solo all’interno di alcune tribù. Inoltre esiste una “questione
tribale” che viene anche trattata in alcune norme della Costituzione indiana.
“ […] Oggi le tribù hanno un regime giuridico differenziato con riconoscimento
costituzionale (come scheduled tribes) e sono destinatarie di una serie di interventi di
promozione sociale attraverso azioni positive da parte dello Stato97
. Anche sul piano
istituzionale la Costituzione prevede alcuni strumenti specifici di governance delle
popolazioni tribali ”.98
“ Si può osservare quindi che anche questi diritti, così disomogenei rispetto ai diritti
moderni, continuano la loro vicenda nell’India contemporanea ed anzi, recentemente,
è molto cresciuto anche l’interesse della comunità internazionale per questi sistemi
giuridici locali largamente consuetudinari con scarsi punti di contatto con il diritto
ufficiale indiano. Si ritiene infatti che i programmi di cooperazione allo sviluppo
debbano mirare al potenziamento di questi sistemi consuetudinari invece che alla
loro delegittimazione ”.99
97
È da sottolineare il fatto che le singole tribù sono state inventariate (scheduled tribes) e che quindi
l’inclusione in questo elenco è condizione per l’accesso a questa serie di misure promozionali. 98
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, cit.
p.47. 99
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, cit.
p.47.
- 67 -
1.4 Periodo coloniale: verso l’assetto moderno del diritto indiano
Il diritto indiano ha subito notevoli cambiamenti con l’arrivo degli Europei che
hanno poi influenzato l’attuale sistema giuridico.
Il periodo coloniale è considerato il momento iniziale della fase moderna del diritto
indiano.
L’acquisizione dei diritti occidentali è stata molto complessa.
In primo luogo gli Europei, in particolare i Britannici, hanno importato non un diritto
occidentale ma un modello coloniale.
Dall’esperienza indiana, come esempio di una manifestazione del modello coloniale,
si possono ricavare determinati caratteri. Il primo è la prevalenza degli aspetti
pubblicistici su quelli privatistici, dovendo i governi coloniali creare delle strutture
istituzionali e amministrative e, in secondo luogo, preoccuparsi di questioni
tributarie.
“ Nelle esperienze coloniali inglesi viene normalmente istituzionalizzato un sistema
di diritti personali, sia per ragioni di ordine pubblico sia per rispetto delle tradizioni
locali. Nelle altre parti del diritto, ad esempio quello commerciale, inevitabilmente il
diritto tende a essere prodotto a misura dai colonizzatori ”.100
Nelle prime fasi in cui iniziano ad operare le istituzioni, regole e principi del diritto
della madrepatria, si verifica una situazione di “diritto e frontiera”.101
Prima che le
istituzioni coloniali riuscissero a rendere efficiente il sistema governativo, i rapporti
erano regolati in modo informale e con notevole arbitrio.
100
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
cit. p.51. 101
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
cit. p.51.
- 68 -
“ Fino alla fine del Settecento e, comunque, nella restante parte del subcontinente
indiano di dominio inglese, denominata mofussil, la mancata applicazione tout court
del diritto inglese non fu dovuta soltanto alla scarsa preparazione giuridica dei
giudici. In questo periodo l’atteggiamento degli Inglesi verso gli Indiani non fu
caratterizzato dalla convinzione di un’innata superiorità razziale e culturale102
-come
poi avvenne nell’Ottocento- ma, anzi, dal rispetto e dall’interesse; pertanto, in una
prima fase della loro dominazione, essi non imposero il proprio diritto, ma cercarono
di applicare alla popolazione indiana le regole che alla stessa erano familiari e
congeniali, soprattutto con riferimento al diritto privato.
La religione hindu sembrava fondarsi su una concezione dei doveri dell’uomo
definiti e le leggi andavano ricercate nei testi sacri che dovevano rappresentare una
precisa guida per chi si trovava ad amministrare la giustizia. I tribunali costituiti nelle
province e nei distretti del mofussil amministravano la giustizia prevalentemente
secondo il diritto hindu e musulmano, avvalendosi della collaborazione di “esperti”
indigeni: per il diritto indù i pandit, che erano brahmani dotti, versati nella letteratura
del dharma; e per il diritto musulmano gli ulama, i quali erano, per lo più, ex giudici
delle corti mughal ”.103
La svolta della complicata vicenda giuridica coloniale si ebbe nel 1776 quando con
un regolamento di Warren Hastings, governatore del Bengala, fu introdotto il sistema
dei listed subjects, in base al quale il diritto hindu e il diritto islamico erano applicati
a hindu e musulmani per casi riguardanti il matrimonio e le successioni:
“ in tutte le cause civili concernenti beni ereditari e questioni in materia di
successioni per causa di morte, nonché quelle aventi ad oggetto questioni
matrimoniali o di casta, od ancora le costumanze religiose e le loro istituzioni, i
precetti del Corano con riguardo ai maomettani e gli insegnamenti dei shastra con
riguardo agli hindu saranno sempre applicati e seguiti ”.104
102
TORRI M., La Storia dell’India, Editori Laterza, Bari, 2000, p.375, cit. in ACQUARONE L., Tra
Dharma, Common Law e WTO, Edizioni Unicopli, 2006, p.33. 103
ACQUARONE L., Tra Dharma, Common Law e WTO, Edizioni Unicopli, 2006, cit. p.33. 104
Citato in MENSKI W.F., Diritto dell’India, Enciclopedia Giuridica, vol. XI, Roma, 1989; citato in
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli, Torino, 2010, cit. p.52.
- 69 -
Contemporaneamente gli Inglesi iniziarono a intervenire negli altri settori del diritto,
sia attraverso la produzione giurisprudenziale sia attraverso la legislazione. Essi
utilizzarono strumenti e istituti cambiandoli in base alla particolarità della condizione
indiana. Ricorsero anche allo strumento del codice che invece non aveva trovato
spazio in Inghilterra.
“ L’esigenza politica alla base delle codificazioni era quella di raggiungere una
maggiore uniformità e di riformare alcuni aspetti dei preesistenti diritti sviluppatisi in
India. Sotto questo profilo l’esempio più importante è l’Indian Penal Code (1860),
modellato direttamente sul diritto inglese del tempo. Nello stesso periodo vi furono
altri importanti atti legislativi destinati ad avere una profonda influenza
sull’ordinamento giuridico indiano, ad esempio in materia di diritto dei contratti e di
diritto commerciale. […]
Più in generale, in alcuni casi l’amministrazione coloniale intervenne anche in
materie rientranti nello statuto personale, cercando di riformare alcuni aspetti dei
diritti personali ritenuti meno accettabili dal punto di vista occidentale ”.105
Nel periodo coloniale, come conseguenza del sistema dei listed subjects, accadde un
fenomeno molto particolare: si formò il c.d. diritto anglo-hindu law, che risultava
dall’applicazione del diritto hindu nelle Corti coloniali. Quando i giudici inglesi si
trovarono a dover applicare il diritto hindu riscontrarono una notevole difficoltà.
“ Soprattutto all’inizio, essi sminuirono il ruolo delle consuetudini pensando che i
testi del dharmashastra potessero essere considerati gli equivalenti dei codici
occidentali e pertanto cercarono di applicare le regole in essi contenute. Per fare ciò
essi decisero di ricorrere all’ausilio dei pandit, esperti di sanscrito e in particolare dei
testi sul dharma, che erano incaricati di individuare in quella immensa letteratura le
regole di diritto applicabili al caso concreto. Ma questo esperimento non andò a buon
fine e, sottratto al gioco tradizionale delle fonti, il diritto hindu applicato nelle Corti
divenne un diritto che in realtà esisteva solo nella mente del giudice inglese ”.106
105
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
cit. pp.52-53. 106
MENSKI W.F., Hindu Law. Beyond Tradition and Modernity,Oxford University Press, 2009, cit.
in FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
cit. p.53.
- 70 -
Successivamente vennero introdotte nuove norme e nuovi concetti e tecniche
giuridiche del diritto inglese che cambiarono radicalmente il diritto indiano ma non
lo resero una semplice riproduzione del diritto inglese del tempo, come dimostrato
anche dall’uso stesso del codice che non era proprio del sistema inglese.
Alcuni meccanismi istituzionali e il sistema delle fonti del diritto hanno lasciato le
loro tracce sul sistema giuridico indiano indipendente. Molte regole riguardanti il
diritto penale e il diritto dei contratti sono giunti nell’India indipendente direttamente
dal periodo coloniale. Anche diversi caratteri della cultura inglese sono entrati nella
cultura giuridica indiana, e lo si nota nello stile dei giuristi, nell’influenza del
pensiero giuridico anglosassone e infine nella modalità di formazione della classe
forense.
Dopo l’Indipendenza, l’India ha deciso di non liberarsi dell’eredità coloniale, in parte
per un’esigenza di continuità, in parte per l’infiltrazione di alcuni valori all’interno
della società indiana.
“In un contesto come quello indiano, dove nel corso dei secoli si sono stratificate
diverse culture, la cultura occidentale è riuscita a trovare un suo posto stabile e,
interagendo con le altre culture, a produrre esiti positivi ”.107
“ L’India, così come altri paesi asiatici e africani, è stata “esposta” ai modelli
occidentali e ne ha recepito moltissimi elementi. Questa recezione non è avvenuta
però in modo lineare, essendo stata maggiore in alcuni settori, e soprattutto ha dato
origine a una complessa dinamica di conflitti e assimilazioni tra il diritto recepito e i
diritti indigeni. Il risultato di questa dinamica non poteva che essere una
riformulazione o un adattamento sia dei diritti recepiti che dei diritti indigeni, e
quindi della struttura sociale e culturale preesistente, nelle loro diverse componenti e
secondo modalità differenziate.
Questi processi evolutivi del diritto non sono iniziati con il periodo coloniale e non
sono finiti con l’Indipendenza indiana. Il sistema giuridico indiano contemporaneo si
caratterizza ancora per la ricerca di un equilibrio tra queste diverse componenti,
tradizionali e moderne, indigene e recepite […] ”.108
107
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
cit. p.54. 108
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
cit. p.55.
- 71 -
2. Il diritto hindu
Il diritto hindu rappresenta la componente giuridica più antica della tradizione
indiana ed è ancora adesso una componente ufficiale del diritto indiano, e come tale è
applicato nelle Corti. È un diritto hindu molto diverso da quello del periodo classico,
ma ha mantenuto lo stesso concetto di base sul ruolo del diritto nella società, gli
istituti e i valori.
Le differenze del diritto hindu contemporaneo rispetto a quello classico nascono
principalmente dalle nuove interazioni con il diritto statale indiano e quindi con altri
insiemi di norme e valori.
Il diritto hindu si è sviluppato in diverse varianti di modelli giuridici prima della
colonizzazione e ne è un esempio, il cd. modello brahmanico.
“ I Brahmani, i membri della casta sacerdotale che recitavano gli inni vedici,
compivano sacrifici, ed esercitavano, presso le corti reali, le funzioni di giudici,
consiglieri e confessori, hanno composto dei trattati sulle norme di comportamento,
mutuando le stesse dall’insieme dei principi morali contenuti sia nelle opere
appartenenti alla Rivelazione sia in quelle costituenti la Tradizione. I testi, redatti in
tal modo, fornivano un resoconto preciso e metodico, a volte pedante, della condotta
e dei doveri dell’individuo ”.109
Al centro della dottrina induista vi è il concetto di dharma, che conserva una
notevole importanza per la comprensione della tradizione indiana nel suo complesso
e del diritto contemporaneo.
109
ACQUARONE L., Tra Dharma, Common Law e WTO, Edizioni Unicopli, 2006, cit. p.6.
- 72 -
2.1 Il dharma
Il pensiero indù è incentrato sull’obbligo e questa nozione è stata estrapolata dando
origine al concetto, generale e astratto, di dharma.
“ Non è possibile definire il dharma; il termine però deriva dalla radice dhr, che
indica ciò che sostiene e sorregge la vita. Il dharma è tutto il collante sociale e regge
sia gli individui che la comunità, sia la vita materiale che quella spirituale. […] Si è
detto che lo si può definire soltanto mediante il suo contenuto, ma il suo contenuto
ultimo potrebbe essere altrettanto indeterminato quanto il contorno generale. E non
di meno ciascuno di noi può conoscere il suo dharma (che sarà largamente
determinato dal karma precedente), cosicchè il bisogno di una definizione generale è
solo una necessità di ordine sistematico e - ancora una volta- qui ci troviamo alle
prese con un sistema. Il dharma, ovviamente, è trasfuso nel diritto indù così come
negli altri obblighi della tradizione indù, e lo è in modo tale che quel che possiamo
ricavarne come diritto non è che una parte - e soltanto una parte- del dharma, che
talora è tradotto anche con il termine “religione”. Il dharma scorre in ogni cosa,
cosicchè sussiste una ragione prettamente indù per la quale è impossibile separare il
diritto dalla morale ”.110
Il dharma è alla base delle strutture socio-giuridiche tradizionali ancora presenti
nell’India contemporanea e di parti consistenti della cultura indiana.
Il dharma è importante perché alcune volte entra in contrasto con il diritto statale, ad
esempio nel caso del sistema delle caste o in materia di diritto di famiglia, ma più in
generale può influenzare altre parti del sistema giuridico.
Come si evince dalla definizione esposta in precedenza, il concetto di dharma è
difficile da definire: Lingat osserva che il dharma è difficile da definire perché
“ignora -o trascende- distinzioni che a noi sembrano essenziali e si basa su credenze
che sono tanto estranee a noi quanto familiari agli hindu ”.111
110
PATRICK GLENN H., Tradizioni giuridiche nel mondo, Il Mulino, Bologna, 2010, cit. p.473. 111
LINGAT R., La tradizione giuridica dell’India, Giuffrè Editore, 2003; cit. in FRANCAVILLA D.,
Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, cit. p.21.
- 73 -
Il termine dharma può essere tradotto secondo il contesto come “religione”, “legge”,
“diritto”, “giustizia”, “dovere”, “prerogativa”.
Come osservato da Olivelle: “ Il termine dharma può essere tradotto come diritto se
non ci limitiamo alla sua ristretta definizione moderna come insieme di leggi civili e
penali ma lo consideriamo includere tutte le regole di comportamento, compreso il
comportamento morale e religioso, che una comunità riconosce come vincolanti per i
suoi membri ”.112
Il dharma raggruppa tutti i doveri che l’uomo deve osservare per avere un
comportamento corretto. Non vi è distinzione tra le diverse sfere del dovere e quindi
non vi è distinzione tra norme etiche, sociali e giuridiche. Nei testi del dharma
troviamo sia norme che riguardano la corretta esecuzione dei riti sia norme relative la
proprietà fondiaria e alla soluzione delle controversie.
Ogni azione dharmica crea contemporaneamente una quantità di effetti sul piano, più
strettamente individuale, del merito religioso e su quello, più strettamente sociale,
della conservazione dell’ordine.
Il nucleo semantico della parola dharma, che deriva dalla radice indoeuropea dhri,
esprime l’azione del sostenere, quindi nel suo significato più generale il dharma è ciò
che sostiene il mondo e l’ordine sociale.
“ Richiamandosi a questa etimologia, Piano osserva che: “[il dharma] è nello stesso
tempo qualcosa di fisso, stabile, saldo, che non muta né vien meno, è la “forma”
delle cose, la loro stessa natura, quella forza cioè che le fa essere così come sono e
non altrimenti. Il dharma è quindi qualcosa di simile a quello che noi chiamiamo
“legge della natura”, è “norma” eterna e “ordine” sia del cosmo, sia della vita
individuale e sociale degli esseri umani” ”.113
112
OLIVELLE P., Dharmasutras. The law code of Apastamba, Gautama, Baudhayana and Vanishtha,
Oxford University Press, New York, 1999, cit. in FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India
contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, cit. pp.21-22. 113
PIANO S., Sanatanadharma. Un incontro con l’induismo, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo,
2006, cit. in FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G.Giappichelli Editore, Torino,
2010, cit. p.22.
- 74 -
Il concetto di dharma può essere rielaborato e inteso come un complesso di norme
che regolano il corso della natura e la vita sociale.
La riflessione sul dharma è stata condotta in stretta relazione con la riflessione sul
karma.
“ Il karma è ciò che facciamo nella vita, e ci sono buoni karma, che portano
benessere e piacere, e cattivi karma, che arrecano tristezza e sofferenza. Le azioni,
dunque, non possono mai essere separate dalle loro conseguenze114
.[…] L’anima è
immortale ed abita semplicemente in un rifugio temporaneo, quello dei corpi umani.
Quando il corpo umano muore, l’anima non si limita a volteggiare in un qualche
luogo stabilito e non verificabile: deve, invece, necessariamente rifugiarsi di nuovo
in un’altra forma fisica, qui su questa terra che tutti conosciamo e crediamo di
comprendere. E poiché si tratta della stessa anima, con la stessa storia di karma, il
suo karma precedente continuerà a produrre effetti. I karma cattivi impediranno la
salvezza, l’accostamento al Brahman; perciò, una nuova vita non è affatto un nuovo
inizio;[…] i debiti pregressi si cumulano all’asse ereditario, e la nuova vita è
semplicemente un’occasione per saldarli, nei limiti del possibile ”.115
Nella maggior parte delle filosofie hindu, dalla qualità del karma accumulato dipende
la qualità della rinascita, secondo la concezione ciclica dell’esistenza come serie di
rinascite successive.
Il dharma può quindi essere definito come ciò che deve essere fatto per sostenere il
cosmo e l’ordine sociale. Stabilire che un’azione è dharma non significa altro che
affermarne il valore e quindi la normatività e doverosità. Appartiene alla sfera del
dover essere.
Il ruolo del dharma come criterio nella formazione del diritto hindu comporta che la
sua rilevanza vada al di là della manifestazione della religiosità hindu e anzi
prescinda da un’autentica religiosità.
114
MAY, Law and Society,1985, p.34, cit. in PATRICK GLENN H., Tradizioni giuridiche nel mondo,
Il Mulino, Bologna, 2010, cit. p.470. 115
PATRICK GLENN H., Tradizioni giuridiche nel mondo, Il Mulino, Bologna, 2010, cit. pp.470-
471.
- 75 -
In altre parole, l’accezione di dharma, nella tradizione hindu, era un equivalente del
concetto di giustizia in Occidente;116
esso è stato in grado di orientare gli assetti delle
comunità e le vite degli uomini, insinuandosi in tutta la tradizione hindu.
Il diritto hindu si compone di un insieme di regole di comportamento differenziato a
seconda della classe sociale e della casta di appartenenza, nonché, sulla base del
piano di esistenza cui si è giunti. Questo sistema è denominato varnashamadharma.
Queste regole sono formalizzate nel periodo vedico e nel periodo classico vengono
enunciati nei testi del dharmasutra e del dharmashastra. Il diritto hindu è sempre
stato un diritto consuetudinario e questi testi, in molti casi, hanno consolidato regole
già osservate nella prassi consuetudinaria.117
Il dharma per sua natura è molto flessibile. In genere il diritto deve garantire dei
punti di riferimento per l’azione, il diritto di una comunità può essere più o meno
rigido, ma in linea di massima il dharma è sempre modificabile.
“ I singoli ordinamenti giuridici delle diverse parti del subcontinente indiano e delle
diverse comunità che appartengono all’induismo trovano nel dharma un elemento
unificante che li rende parte di un’unica tradizione. Il pluralismo hindu non è solo
una questione di fatto. Esso viene legittimato a partire dalla stessa struttura della
rivelazione vedica.
[…] La varietà delle credenze e delle pratiche che rientrano nell’induismo ha dei
riflessi anche sul piano organizzativo e istituzionale. La struttura organizzativa
dell’induismo è frastagliata sia sul piano strettamente religioso che sul piano sociale.
Concezione di base dell’induismo è che ogni hindu sia legittimato a vivere il suo
rapporto con la divinità e il dharma in modo autonomo ”.118
116
L’idea di giustizia che viene inglobata nel concetto di dharma non è basata su un concetto astratto
di bene morale ma sull’idea dell’appropriatezza e correttezza. In altri termini, è dharmica l’azione
appropriata per una determinata persona in un determinato contesto. Sulla base di una cosmologia per
cui ogni individuo ha il suo posto nel mondo e il suo dovere specifico da compiere, quel che conta sul
piano dharmico è che ognuno faccia ciò che corrisponde all sua natura. In tal modo, ognuno prende
parte al processo di conservazione nell’ordine, procurando a se stesso un merito spirituale. 117
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G.Giappichelli Editore, Torino, 2010,
cit. p.24. 118
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G.Giappichelli Editore, Torino, 2010,
cit. pp.24-25.
- 76 -
2.2 Strutture organizzative dell’induismo
Nell’induismo una determinata struttura sociale è legittimata nel quadro religioso ed
è uno degli aspetti caratterizzanti: il sistema delle caste.
Esistono altre strutture organizzative dell’induismo: sono la famiglia e le comunità a
livello locale.
Il diritto hindu è espressione di un insieme molto stratificato di appartenenze. Sul
piano strettamente giuridico a ogni livello, soprattutto a quello di casta,
corrispondono dei centri di decisione e di soluzione delle controversie.
Nel quadro istituzionale il sovrano impersona il potere politico, ma è solo uno dei
molti centri decisionali della comunità e il suo potere non ha carattere esclusivo.
Anche la teoria della sovranità è formulata con riferimento al dharma. Il sovrano,
come tutti, ha il suo raja-dharma. Il suo dovere principale è proteggere i sudditi dai
pericoli esterni ed interni. Il sovrano, permettendo ai suoi sudditi di vivere secondo il
proprio dharma, è tutore del dharma.
Secondo il diritto hindu “ i singoli individui e le singole comunità hanno titolo per la
definizione dell’insieme dei doveri che essi ritengono vincolanti nella vita sociale.
Il ruolo del re, che dispone della forza, del danda (lett. bastone), è far applicare
questo sistema di doveri ”.119
Uno dei ruoli più importanti del sovrano è l’amministrazione della giustizia che
consiste nel compito, non esclusivo, di risolvere le controversie.
Alle corti regie sono affiancati fori di casta, famiglia, gruppo sociale, di tipo non
ufficiale. Il vyavahara è la parte dedicata alla soluzione delle controversie contenuta
nei testi sul dharma.
Nelle corti regie, il brahmano, esperto del dharma, aveva un ruolo di spicco. Forniva
il proprio parere, sulla base della propria conoscenza del corpus normativo, al re o ai
suoi funzionari.
Nella produzione del diritto tradizionale è stata molto importante l’istituzione della
parishad, un consiglio di esperti del dharma e delle scienze vediche, che aveva la
funzione di pronunciarsi su punti interpretativi dubbi.120
119
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
cit. p.29. 120
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.29.
- 77 -
Molto significativo è anche il ruolo del panchayat, un consiglio istituzionalizzato a
livello di casta e di villaggio che poteva decidere le controversie e prendere decisioni
che riguardavano la collettività.
Questo livello istituzionale è stato superato nel quadro del diritto statale ma, al livello
del diritto non ufficiale, possono trovarsi istituzioni informali in continuità con la
tradizione. Inoltre, è degno di nota il fenomeno recente per cui i panchayat sono
riproposti come moderni strumenti di self-governance nell’India contemporanea.121
“ La Costituzione, nella sua versione originaria, contemplava la panchayat soltanto
tra le norme programmatiche. In sede di redazione della Costituzione tale istituto
aveva acceso il dibattito tra i Padri Fondatori, essendo sostenuti dai Gandhiani ma
osteggiato da Ambedkar. Quest’ultimo aveva una scarsa considerazione
dell’autogoverno dei villaggi che riteneva essere dominati dal provincialismo e dalle
caste. L’esito della discussione aveva condotto a una soluzione di compromesso: la
panchayat era stata prevista, ma senza che venisse attribuito alla stessa particolare
risalto. Con la previsione costituzionale del 1992, sono state inserite nella Carta
Fondamentale delle disposizioni che hanno riorganizzato e dato impulso alle
panchayat, attribuendo loro nuovi compiti e rendendo obbligatoria la consultazione
elettorale per il loro insediamento. La materia è stata, infatti, ri-sistemata
completamente: è stata stabilita l’elettività delle cariche e sono state determinate con
precisione le competenze di tale ente territoriale (inerenti soprattutto ai servizi sociali
e allo sviluppo agricolo); è stato inoltre stabilito che una quota dei seggi venga
riservata alle donne ”. 122
121
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
pp.29-30. 122
ACQUARONE L., ANNUNZIATA F., CAVALIERI R., COLOMBO G.F., MAZZA M., NEGRI
A., PASSANANTE L., ROSSOLILLO G., SEMPI L., Sistemi giuridici nel mondo, G. Giappichelli
Editore, Torino, 2012, p.169.
- 78 -
2.3 Le fonti del diritto hindu tradizionale
Le fonti del diritto hindu tradizionale sono principalmente le fonti del dharma.
Il termine sanscrito usato per indicare le fonti del dharma è dharmamula, che
significa letteralmente “radice del dharma”123
.
Le fonti riconosciute per la conoscenza del dharma sono quattro: shruti, smriti,
sadacara e manastushti.
“ La shruti s’identifica con i Veda, i testi sacri della tradizione hindu. Il termine
shruti letteralmente significa audizione, ciò che fu udito, e in questo contesto fa
riferimento all’audizione della parola vedica da parte di alcuni saggi ispirati, i rishi.
Pertanto, la forma della rivelazione nell’induismo è orale. Per i Veda si intende la
totalità della conoscenza valida e, più in particolare, quattro testi riconosciuti come
dotati di autorità dalla tradizione: Rigveda, Samaveda, Yajurveda e Atharvaveda. Si
tratta di testi dal carattere composito, formati da inni, canti, formule, a cui si
aggiungono trattati di carattere ritualistico e filosofico. Per ognuna di queste raccolte
esistono diverse versioni e, in generale, si può osservare che la rivelazione vedica
viene considerata come multiforme, essendo stata ricevuta da una pluralità di
soggetti ed essendo ammessa l’esistenza di una pluralità di testi e di tradizioni ”.124
I Veda sono ritenuti eterni e privi di autore; non solo non sono opera dell’uomo ma
non sono neanche opera divina.
“ L’autorità del testo rivelato non è fondata sulla divinità e infallibilità di un Dio
personale ma sulla divinità della stessa parola vedica ”.125
Il dharma può essere conosciuto solo attraverso il Veda perché appartiene alla sfera
del dover essere e quindi non può essere conosciuto né autonomamente dall’uomo né
per intuizione.
Tra le fonti di conoscenza del dharma per l’accertamento pratico della regola del
dharma, al Veda si aggiungono altre fonti che però hanno un’autorevolezza inferiore
rispetto al Veda, ma sono più importanti sul piano pratico.
123
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.30. 124
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
cit. pp. 30-31. 125
JHA G., Purva Mimamsa in its sources, Banaras Hindu University, Varanasi, 1964, cit. in
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, p.31.
- 79 -
“ La seconda fonte del dharma è la smriti. Il termine significa letteralmente memoria,
ciò che è ricordato, e la smriti può corrispondere latamente alla categoria della
“tradizione”. Nella smriti rientrano diversi tipi di testi. I più importanti dal punto di
vista del diritto sono i dharmashastra e i dharmasutra, che si distinguono
principalmente per i caratteri formali e, nella maggior parte dei casi, possono essere
considerati unitariamente ”.126
I dharmashastra sono testi interpretativi, sono il risultato del lavoro di esperti del
dharma, shishta, che pronunciano a favore di altri la conoscenza del dharma.127
Questi testi, essendo opera dell’uomo, potrebbero contenere errori o opinioni
personali non fondate su una reale conoscenza del dharma e quindi non possiedono
un’autorità autosufficiente. La loro autorità deve essere comunque fondata sui Veda
verificando che vi sia un collegamento tra le due fonti che di solito è trovato
attraverso il ritrovamento finto di un testo vedico scomparso su cui si fondano le
norme contenute nel dharmashastra.
“ In linea generale, le regole della smriti sono ritenute semplice trasmissione di
regole contenute nel Veda. In realtà, le corrispondenze tra testi vedici e testi della
smriti sono pochissime e quindi gli interpreti hanno elaborato la teoria per cui, se non
è possibile rintracciare un testo vedico esplicito che fornisca una base a un testo della
smriti, è possibile presumere che questo testo sia andato perduto. D’altra parte, la
funzione specifica dei dharmashastra è proprio quella di estrinsecare, organizzare e
trasmettere la conoscenza del dharma facendo ricorso a diverse fonti, incluso il
Veda”.128
A loro volta anche i dharmashastra sono stati oggetto d’interpretazione e questo ha
dato origine a due tipi di opere: i commenti (bhashya) e i c.d. digesti (nibandha).
I commenti sono costruiti sull’esegesi di un determinato dharmashastra; i nibandha,
invece, sono organizzati per materie e contengono titoli di testi normativi diversi.
126
“I due tipi di opere si differenziano in base ai seguenti elementi: maggiore antichità dei
dharmasutra; i dharmasutra sono scritti in prosa mentre i dharmashastra sono in versi; maggiore
spazio dedicato nei dharmashastra alle funzioni del re; i dharmasutra sono maggiormente legati alle
singole scuole vediche, mentre i dharmashastra sembrano avere maggiori pretese di universalità; i
dharmashastra sono opere più estese e la materia è oggetto di un’elaborazione complessa” da
LINGAT R., La tradizione giuridica dell’India, Giuffrè Editore, 2003 in FRANCAVILLA D., Il
diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, cit. p.31. 127
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.32. 128
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
cit. p.32.
- 80 -
I nibandha, in sostanza, sono degli strumenti di consultazione di opinioni autoritative
di cui possono usufruirne gli altri interpreti.129
Il ruolo degli interpreti è molto significativo nell’evoluzione del diritto hindu.
“Come osservato da Lingat, essi cercavano di trarre dall’insieme dei testi dotati di
autorità la regola del dharma che ritenevano appropriata. Se i testi potevano dare
luogo a diverse interpretazioni, doveva essere preferita quella che meglio si adattava
alle esigenze del tempo e maggiormente si avvicinava agli usi ”.130
I sadacara, detti anche shishta-acara, sono le pratiche dei virtuosi, cioè di coloro che
sono istruiti nel Veda e che agiscono secondo le regole. Si tratta essenzialmente di
modelli di comportamento considerati normativi in virtù delle qualità delle persone
che li mettono in atto, ma non sono consuetudini con carattere dharmico.
Anche i sadacara possono essere considerati come strumenti di divulgazione della
conoscenza del dharma.
Infine, “ l’atmanastushti consiste nel senso di soddisfazione interiore derivante dal
comportarsi nel modo appropriato in un determinato contesto. Naturalmente,
considerare fonte di conoscenza del dharma il senso di soddisfazione interiore non
significa che ognuno possa comportarsi nel modo che preferisce. Anche in questo
caso, come in quello dei sadacara, è richiesta una qualificazione soggettiva, per cui è
fonte del dharma solo l’approvazione di persone istruite nel Veda e che normalmente
si comportano conformemente ad esso. Questa quarta fonte del dharma, date le sue
peculiarità, è una fonte controversa ”.131
Secondo Robert Lingat “ la soddisfazione personale, non avendo un’autorità esterna
all’uomo, non deve essere considerata una vera e propria fonte ”.132
Invece Menski critica questa opinione evidenziando come questo fatto rifletta una
tipica difficoltà degli occidentali nel comprendere un sistema normativo che
riconosce agli individui un ruolo nel processo giuridico: in questo modo si
disconosce un elemento essenziale del modello hindu.
129
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.33. 130
Sul ruolo degli intepreti nel diritto hindu si veda LINGAT R., La tradizione giuridica dell’India,
Giuffrè Editore, 2003 come citato nella nota n.39 in FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India
contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, cit. p.33. 131
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
cit. p.34. 132
LINGAT R., La tradizione giuridica dell’India, Giuffrè Editore, 2003, cit. in FRANCAVILLA D.,
Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, p.34.
- 81 -
Sempre secondo Menski: “ Il lasciare la decisione prima di tutto
all’individuo…attribuisce suprema importanza alle percezioni individuali di cosa è
giusto o sbagliato. Il concetto classico di dharma, pertanto, si poggia sulla capacità
individuale di individuare l’azione appropriata, quasi per intuizione ”.133
Anche per l’autorità di sadacara e atmanastushti ci vuole il collegamento con il
Veda.
In conclusione tutte le fonti riconosciute dalla tradizione sono dotate di autorità nella
misura in cui sono fondate sul Veda.
Il sistema normativo conserva la sua unità grazie alla teoria della comune origine nel
Veda, e all’accettazione del fatto che lo stesso Veda è differenziato al suo interno.
La varietà interna del dharma corrisponde alla varietà interna del Veda.
Il sistema dharmico è pertanto un insieme molto ampio di modelli di comportamento
considerati tutti validi a prescindere dalla fonte che li contiene. È un sistema
indeterminato che si concretizza grazie al lavoro degli interpreti e con la pratica.
“ Il Veda è quindi fonte primaria del dharma nel senso che ha la funzione di
assicurare un fondamento a tutto il sistema delle fonti, mentre dal punto di vista del
funzionamento concreto del diritto hindu ha una scarsa rilevanza e il livello cruciale
è costituito dalle regole contenute nelle fonti inferiori, in particolare i sadacara, vale
a dire i modelli di comportamento e le regole consuetudinarie ”.134
133
MENSKI W. F., Comparative Law in a Global Context: the Legal Systems of Asia and Africa,
Cambridge University Press, Cambridge, 2006, cit. in FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India
contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, cit. p.34. 134
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
cit. p.36.
- 82 -
3. Fonti del diritto indiano
3.1 La complessità delle fonti del diritto indiano
Nell’analisi delle fonti del diritto indiano contemporaneo è opportuno che si
riconosca l’esistenza di una pluralità di centri di produzione del diritto sia a livello
ufficiale sia a livello non ufficiale.
Per comprendere il funzionamento del sistema giuridico indiano bisogna
necessariamente adottare una scelta di analisi pluralista e inclusiva che contempli sia
gli Acts del Parlamento sia le consuetudini non riconosciute ufficialmente dallo
Stato.135
Un altro elemento da tenere in considerazione è lo strumento che di solito si usa in
questo tipo di analisi, e che deve essere più complesso di una semplice descrizione
dei rapporti tra le fonti. In quest’ottica è utile la “teoria dei formanti”.136
“ Per “formante” s’intende ciascuno degli elementi che hanno un ruolo nella
formazione del sistema giuridico. I formanti principali sono quello legislativo,
giurisprudenziale e dottrinale. Sono formanti del sistema giuridico anche la
legittimazione, le teorie o ideologie, la formazione, la mentalità e gli stili dei giuristi.
Possiamo aggiungere le auto-rappresentazioni del proprio ruolo e della propria
identità o, con termine inglese più efficace, il self-understanding. Esistono inoltre
formanti nascosti, crittotipi, di cui anche coloro che operano all’interno di un
determinato sistema giuridico possono non essere consapevoli. Questi elementi
possono poi essere considerati con riferimento ai soli giuristi professionisti o a tutti
coloro che anche indirettamente hanno un ruolo nella formazione del sistema
giuridico ”.137
135
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.100. 136
Sulla teoria dei formanti vi veda SACCO R., Introduzione del diritto comparato, Utet, Torino,
1992, come citato nella nota n.4 p. 100 in FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea,
G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, 137
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
cit. p.100.
- 83 -
Nel contesto giuridico indiano la fonte primaria di legittimazione è quella
costituzionale, basata sulla sovranità popolare, mentre nei diritti personali operano
leggi di carattere diverso, che si basano su elementi religiosi, ad esempio la legge
vedica o coranica, o semplicemente tradizionali.
Sul piano metodologico si applica la “dissociazione dei formanti”; i rapporti tra i vari
formanti non sono fissi e lineari. Ad esempio la regola posta dal formante
giurisprudenziale può sembrare diversa e anche in contrasto con quella posta dal
formante legislativo o dottrinale. Inoltre le stesse regole sostanziali possono essere
legittimate in termini completamente diversi nel diritto hindu e nel diritto islamico,
entrambi parti ufficiali del sistema giuridico indiano.
“ Il quadro diventa ancora più complesso se si considera che tutti questi formanti
operano sia per il diritto ufficiale che per i diritti non ufficiali, che non sono applicati
dalle Corti, e che il sistema giuridico indiano riconosce ufficialmente il diritto hindu,
quello islamico e altri diritti personali, limitatamente ad alcune materie, ma questi
hanno autonomia culturale di sistemi giuridici completi e possono essere vigenti a
livello non ufficiale in altre materie che si presumono essere completamente regolate
dal diritto formale statale ”.138
La teoria dei formanti permette anche di svolgere comparazioni con altri sistemi
giuridici, in particolare con quelli di common law, per evidenziare rilevanti
differenze che altrimenti potrebbero non essere considerate. Utilizzando questo
metodo si può capire quale procedimento si sia verificato storicamente in India.
Il problema del rapporto tra diritto indiano e common law è molto complicato.
In base al sistema giuridico l’India è considerata un paese di common law che
presenta però delle peculiarità che lo contraddistinguono.
138
FRANCAVILLA D., il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
cit. p.101.
- 84 -
Nel diritto indiano ha ancora molta importanza la cultura tradizionale.
“ L’appartenenza del sistema giuridico indiano alla famiglia di common law è
chiaramente una conseguenza del periodo coloniale. In questo periodo sono state
introdotte in India non solo nuove norme ma anche nuove fonti e nuove categorie
giuridiche. Ad esempio, il diritto dei privati segue le partizioni e le classificazioni
proprie del common law. Ampiamente influenzate dal common law sono anche la
formazione e lo stile dei giuristi, nonché il linguaggio giuridico. Come rilevato da
diversi storici del diritto dell’India, la fase moderna del diritto indiano comincia con
il periodo coloniale ”.139
3.1.1 I mutamenti prodotti dal periodo coloniale nel diritto indiano
Il diritto indiano moderno trova le sue radici nelle profonde trasformazioni che si
sono compiute con l’incontro con il common law inglese.
In primo luogo si sono prodotti mutamenti istituzionali, che hanno avuto effetti sul
sistema delle fonti. Ad esempio, è stato introdotto un nuovo sistema di Corti e questa
innovazione ha portato significative novità nella formazione di un diritto
giurisprudenziale. In secondo luogo vi è stata l’istituzionalizzazione di un sistema di
diritti personali in materie legate al diritto privato affianco al diritto territoriale, con
la conseguenza del continuo risalto dei diritti tradizionali.
Pertanto la colonizzazione ha lasciato un’impronta molto importante sul diritto
indiano. Questa eredità è controversa.
Durante i lavori dell’Assemblea Costituente, alcuni membri volevano un ritorno alla
tradizione mettendo da parte tutto il periodo coloniale. Contro questa ipotesi operava
un principio di path-dependency.140
Provare a ricreare un sistema giuridico diverso da quello iniziato nell’era coloniale
era un’impresa impensabile.
Operava anche un principio culturale di accettazione, dell’appartenenza alla famiglia
di common law. Ciò non toglie che in India emerse la volontà di definire il proprio
diritto autonomamente.
139
FRANCAVILLA D., il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
cit. p.102. 140
Sull’ argomento si veda MATTEI U.-MONATERI P.G., Introduzione breve al diritto comparato,
cit. p.98 ss., citato nella nota n.8 in FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G.
Giappichelli Editore, Torino, 2010, cit. p.103.
- 85 -
Con riferimento alla questione generale delle fonti possono emergere altri problemi,
ad esempio quello dell’unitarietà e dell’uniformità del sistema giuridico.
Quanto all’unitarietà, si concepisce il sistema giuridico indiano come una somma di
parti distinte. In particolare da una parte vi è un diritto completamente moderno e
formale, di carattere territoriale, basato sulla Costituzione, e dall’altra una serie di
diritti religiosi e personali dotati del carattere dell’eccezionalità.
Quanto all’uniformità del diritto indiano, invece, “ la questione deve essere vista in
termini dinamici più che in termini statici, e quindi nella prospettiva di processi di
uniformazione in competizione con processi di pluralizzazione ”.141
L’uniformità è un problema comune in tutti i sistemi giuridici e nella situazione
indiana si potrebbe sostenere che il problema sorga dal rapporto tra uniformità e
diversità.
La tensione tra uniformità e diversità è particolarmente visibile in una realtà come
quell’indiana che offre una grande diversità culturale.
La dinamica uniformità-diversità si presenta anche all’interno dei singoli diritti
personali. È evidente per il diritto hindu, che è storicamente plurale e si applica
anche a buddhisti, jainisti e sikh.
Infine la questione uniformità-diversità riguarda l’India anche in quanto Stato
federale. Molte materie di diritto privato indiano rientrano nella Concurrence List,
così che si possono avere per alcuni casi discipline uniformi a livello federale, ma
con la facoltà di diversificazioni su punti specifici a livello statale.142
141
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
cit. p.104. 142
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.104.
- 86 -
3.2 Le fonti formali e i formanti
3.2.1 La legislazione
Al vertice del sistema indiano delle fonti di diritto vi è la Costituzione, la cui autorità
è superiore alla legislazione parlamentare. In ogni caso, la presenza della
Costituzione scritta, e di un judicial review, segna un avvicinamento della vicenda
giuridica indiana al modello statunitense e un allontanamento dal modello inglese.
Al secondo livello c’è la legislazione, Acts, che ha l’impostazione dei paesi
anglosassoni per lo stile, la forma e i principi interpretativi. Anche nelle leggi indiane
è sempre presente una parte dedicata alla definizione dei termini e si cerca di
raggiungere una certa autonomia del singolo testo legislativo rispetto al complessivo
quadro normativo. Inoltre, la dottrina e la giurisprudenza indiana utilizzano i principi
interpretativi di common law, come golden rule e mischief rule, espressamente
richiamandosi al diritto inglese.143
Con riferimento alla fonte legislativa, un’importante particolarità è l’esperienza del
progetto di codificazione in India, che mostra un tratto distintivo di questo sistema
rispetto al modello inglese e anche a quello statunitense.
Quando si parla di recezione in India di common law inglese nel periodo coloniale,
non si può dimenticare che gli Inglesi in realtà produssero un diritto nuovo e non
recepirono semplicemente il diritto della madrepatria.
Come osserva Menski, “ in generale gli Inglesi utilizzarono spesso il codice nei
possedimenti coloniali, quasi come un esperimento, un laboratorio per idee e progetti
che non potevano essere perseguiti nella madrepatria ”.144
143
SINGH A., Introduction to Jurisprudence, Wadhwa, New Delhi, 2005, cit. in FRANCAVILLA D.,
Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, cit. p.106. 144
MENSHI W.F., Comparative Law in a Global Context: The Legal Systems of Asia and Africa, cit.
p.239 ss., citato in FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore,
Torino, 2010, cit. p.106.
- 87 -
In questa vicenda fu molto importante il pensiero di Bentham che riteneva il codice
come uno strumento utile, se non necessario, per semplificare il diritto, o almeno
alcune delle sue parti, e raggiungere certezza e uniformità del diritto nei
possedimenti coloniali.
“ Lord Macaulay, presidente della Law Commission, chiariva così il principio
ispiratore da adottare nell’intervento sul diritto indiano preesistente: “ Our principle
is simply this: uniformity where you can have it - diversity where you must it- but in
all cases certainty ”.145
Macaulay era fortemente convinto della necessità della
codificazione in India nelle materie che non rientravano negli statuti personali.
Anche in queste ultime erano in realtà avvertite le stesse esigenze di certezza ma si
ritenne di privilegiare il rispetto della diversità rispetto all’uniformità ”.146
Sempre secondo Macaulay, “ no country ever stood so much in need of a code of law
as India, and…there never was a country in which the want might so easily be
supplied ”.147
“ Macaulay, nel giungere a questa conclusione, osservava che in India coesistevano
molti sistemi giuridici largamente diversi tra loro ma “coequal” ed enumerava tra
questi il diritto hindu, il diritto musulmano, il diritto parsi, il diritto inglese, che si
trovavano parzialmente a interagire e in realtà a disturbarsi. Ciò produceva
un’oggettiva difficoltà di gestione del sistema giuridico e una notevole incertezza,
considerato anche gli stessi singoli sistemi variavano dal luogo e dalle comunità ”.148
145
Citato in MITTAL J.L., Indian Legal and Constitutional History, Allahabad Law Agency,
Allahabad, 2004, p.210, citato in FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G.
Giappichelli Editore, Torino, 2010, cit. pp.106-107. 146
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
cit. pp.106-107. 147
MITTAL J.L., Indian Legal and Constitutional History, Allahabad Law Agency, Allahabad, 2004,
p.210, citato in FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore,
Torino, 2010, cit. p.107. 148
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
cit. p.107.
- 88 -
Il codice più importante adottato nel periodo coloniale è l’Indian Penal Code del
1860, ancora oggi vigente. Nel corso dei suoi 150 anni di vita il codice penale
indiano ha subito molte modifiche, ma nel complesso sono state relativamente poche.
Il codice penale è applicato a tutti i cittadini indiani, indipendentemente dalle loro
appartenenze religiose o comunitarie ed è quindi diritto territoriale.
Quando è stato adottato il codice penale in India, la situazione era caratterizzata
dall’applicazione generalizzata del diritto penale islamico in concorrenza con una
serie di regole locali di diversa origine.
Sul piano sostanziale il codice penale indiano ha introdotto norme e principi tipici del
diritto inglese. Ma, come osserva Menski “ gli Inglesi non intesero riprodurre
fedelmente il diritto penale inglese del tempo e utilizzarono diverse fonti, tra cui, ad
esempio, il codice della Louisiana. Inoltre, nell’elaborazione del codice fu sempre
presente l’idea che dovesse esservi un adattamento alle condizioni sociali e culturali
delle colonie ”.149
Negli anni successivi sono stati adottati il codice di procedura penale del 1872 e il
codice di procedura civile del 1908. La codificazione della materia processuale
serviva per la riorganizzazione dell’amministrazione della giustizia.
Accanto ai codici bisogna considerare una serie di leggi su intere parti del diritto
privato, tra cui l’Indian Contract Act del 1872.
Gli Inglesi sono intervenuti molto rapidamente con lo strumento legislativo su alcune
materie del diritto personale che consideravano particolarmente deplorevoli. È questo
il caso del Caste Disabilities Removal Act del 1850, o del Sati Regulation Act del
1829.
Sono state anche emanate leggi da applicare solo a determinate comunità come
l’Hindu Marriage Act del 1955.150
149
MENSKI W.F., Comparative Law in a Global Context: The legal Systems of Asia and Africa,
p.239 ss., citato in FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore,
Torino, 2010, cit. p.108. 150
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
cit. p.109.
- 89 -
È molto rilevante il fatto che la legislazione può essere usata anche nelle materie
rientranti nel diritto personale adottando il criterio del diritto territoriale, cioè
ponendo leggi in materia di diritto di famiglia ma applicabili a tutti i cittadini indiani
indipendentemente dalle loro appartenenze religiose o comunitarie. Un recente
esempio è The Prohibition of Child marriage Act del 2006.
Attraverso codici e legislazione, l’influenza del diritto inglese è stata profonda anche
sul piano degli istituti e delle regole. Intere parti della legislazione inglese sono state
importate nel periodo coloniale. Inoltre i codici, per quanto nuovi e adattati alla realtà
indiana, sono stati preparati inevitabilmente avendo presente il diritto inglese del
tempo.
Dopo l’Indipendenza molto del sistema legislativo e della giurisprudenza è stato
conservato, ma si è comunque avviato un procedimento di revisione e riforma.
“ In conclusione, rispetto ad altri paesi che si fanno rientrare nella famiglia di
common law, il diritto indiano presenta storicamente una notevole importanza della
legislazione e dei codici. La legislazione conserva comunque i caratteri che assume
generalmente nei paesi di common law, come intervento mirato ed eccezionale su un
corpus normativo non totalmente legislativo. In altri termini, anche in India la
legislazione non è comprensibile se non assieme al diritto giurisprudenziale e, in
particolare nella materia del diritto di famiglia, al diritto consuetudinario ”.151
Nell’esperienza indiana manca, però, l’idea di un codice civile unitario o anche di un
codice di commercio. Nelle materie di diritto privato, la scelta che è stata fatta
consiste nell’emanazione di leggi organiche.
Nell’art. 44 della Costituzione è previsto l’Union Civil Code, che può essere visto
come un segnale ulteriore dell’importanza dello strumento codicistico in India, ma
nonostante la previsione costituzionale non è stato ancora promulgato e molto
probabilmente non vedrà mai la luce.
151
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
cit. p.110.
- 90 -
Il rapporto tra le fonti deve essere analizzato anche prendendo in considerazione
l’interazione tra le fonti legislative federali e quelle statali.
Nelle materie concorrenti possono crearsi dei conflitti e, per quanto siano possibili
difficoltà interpretative, nei casi concreti il principio della prevalenza del diritto
federale è formulato chiaramente. Vi è la tendenza verso l’uniformazione dei diritti
dei singoli Stati per imitazione, indipendentemente dal livello federale.152
Sono molto importanti anche le fonti del potere esecutivo. Tra queste particolarmente
rilevanti sono le Ordinanze del Presidente dell’Unione, che possono essere
promulgate in casi specifici di urgenza e hanno un vero e proprio carattere
legislativo.
Esiste poi un ampio livello di legislazione delegata (rules, regulations), che in alcuni
casi è difficilmente distinguibile da atti di carattere prettamente amministrativo.
Infine, dato che il sistema delle fonti è sempre più transnazionale, non si può
trascurare la piena partecipazione dell’India nella comunità internazionale e quindi
anche l’evoluzione del diritto indiano grazie alle fonti internazionali del sistema delle
Nazioni Unite o di altri organismi regionali come la South Asian Association for
Regional Cooperation.153
L’appartenenza al sistema internazionale porta l’India ad adottare inevitabilmente
soluzioni nuove nell’ordinamento.
152
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
cit. p.110. 153
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
cit. p.111.
- 91 -
3.2.2 La giurisprudenza
Nonostante l’importanza della legislazione nell’India contemporanea, il formante
giurisprudenziale rimane un elemento indispensabile per la comprensione del sistema
delle fonti.154
Nessuna analisi del diritto indiano può prescindere dal prendere in esame l’operato
della Supreme Court, che ha avuto un ruolo importantissimo negli ultimi anni
nell’evoluzione di dottrine e istituti.
L’aspetto rilevante che bisogna osservare è quello del funzionamento del diritto
giurisprudenziale, di judge-made law indiano, con particolare riferimento alla regola
dello stare decisis. È il principio per cui le Corti si devono attenere alle sentenze
precedenti: è un tipico principio di common law.
La regola dello stare decisis si fonda sui rapporti gerarchici tra le Corti.
Come osservato nel capitolo precedente, in India le Corti, a qualsiasi livello,
conoscono e giudicano le controversie che sorgono sia in base al diritto federale che
a quello statale. Questo sistema unitario ha al vertice la Supreme Court, mentre il
potere giudiziario statale ha al suo vertice una High Court.
Il principio del precedente vincolante può operare verticalmente secondo un
principio gerarchico o orizzontalmente tra Corti di pari grado e per la stessa Corte.
Secondo il principio generale è vincolante solo la ratio decidendi, invece in India
vengono considerati vincolanti anche gli obiter dicta, cioè deliberazioni non
direttamente collegate alla decisione della causa.155
154
Una discussione dell’applicazione della dottrina del precedente vincolante nelle corti indiane può
essere letta in SINGH A., Introduction to Jurisrudence, cit. in BASU D.D., Introduction to the
Constitution of India, Wadhwa, New Delhi, 2004, dove si evidenzia la vicinanza al common law
americano piuttosto che a quello inglese come citato nella nota n.19 in FRANCAVILLA D., Il diritto
nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, cit. p.111. 155
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
cit. p.112.
- 92 -
L’art.142 della Costituzione stabilisce che “the law declared by the Supreme Court
shall be binding on all courts within the territory of India ”.156
Le decisioni della
Corte suprema vincolano quindi tutte le Corti indiane, e il principio è stato
costituzionalizzato.
“ La Corte suprema indiana non si è mai sentita invece vincolata dai propri
precedenti. Bisogna però considerare che la Corte può operare in diverse
composizioni ed esiste una vincolatività di alcuni precedenti secondo un principio
latamente gerarchico a seconda del bench inferiore ”.157
Il precedente di una High Court è vincolante per tutte le Corti inferiori che rientrano
sotto la sua giurisdizione.
Per quanto riguarda il potere di una High Court di distaccarsi dai propri precedenti,
anche qui dipende dal bench. In caso di due precedenti derivanti da decisioni di
coequal benchs prevarrà la decisione successiva, ma si avrà riguardo per la natura
della causa. Il procedimento normale da seguire in caso di dubbi sarebbe comunque
richiedere la pronuncia del full bench per garantire l’uniformità.
Le decisioni di una High Court non vincolano le altre ma hanno potere persuasivo.
Un’osservazione importante è che nell’India indipendente non solo è stato
conservato il principio del precedente vincolante, ma vi è anche continuità rispetto al
diritto giurisprudenziale sviluppatosi in epoca coloniale.
156
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
cit. p.112. 157
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
cit. pp.112-113.
- 93 -
“ L’art.225 della Costituzione relativamente alla giurisdizione delle High Court
stabilisce che “subject to the provisions of this Constitution and to the provinsions of
any law of the appropriate Legislature made by virtue of powers conferred on that
Legislature by this Constitution, the jurisdiction of, and the law administered in any
existing High Court…shall be the same as immediately before the commencement of
this Constitution ”. Questa norma, che segna la continuità del sistema giuridico
indiano indipendente con il periodo precedente, è importante anche con specifico
riguardo per la regola dello stare decisis, visto che l’espressione “law administered”
include anche i precedenti, e, di conseguenza, le High Courts sono ancora vincolate
ai precedenti coloniali ”.158
Le corti indiane hanno fatto spesso ricorso a precedenti inglesi, ma a partire dagli
anni ’80 hanno cercato di limitare il ricorso a fonti straniere e soprattutto delle Corti
dei paesi di common law.
Questa tendenza può essere interpretata sia come un processo di elaborazione della
propria cultura giuridica, sia come la necessità della società indiana di recuperare
aspetti della tradizione.
158
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
cit. p.113.
- 94 -
3.2.3 La dottrina
Il ruolo della dottrina come formante del diritto non è certo meno rilevante rispetto a
quello svolto dagli altri formanti.
La dottrina è stata un formante fondamentale per i diritti tradizionali, e in particolare
sia il diritto hindu sia il diritto musulmano sono stati elaborati come diritti dottrinali.
La dottrina indiana contemporanea non è emersa sinora per un suo carattere
innovativo. I grandi giuristi indiani sono principalmente giudici, mentre la figura del
giurista-scienziato del diritto, è rimasta molto secondaria.
I testi prodotti dalla dottrina indiana hanno carattere manualistico con nessun intento
di influenzare il pensiero giuridico.
La situazione però sta cambiando grazie al ruolo svolto dalle Law Schools. L’India
ha investito tantissimo nell’istruzione giuridica attraverso un sistema di National
Law Schools, che si stanno ponendo come centri molto avanzati di pensiero critico
del diritto.
Un notevole contributo della dottrina all’evoluzione del diritto indiano arriva dalla
Indian Law Commission, che ha una importante funzione consultiva. È presente
anche un Indian Law Institute, un prestigioso istituto per la ricerca e l’insegnamento
giuridico.
La formazione dei giuristi è affidata principalmente alle Law School e alla All India
Bar Association.
A differenza che in Inghilterra la professione di avvocato è unitaria, anche se vi sono
ancora presenti varie figure di professionisti derivanti dal periodo coloniale.
I giuristi indiani si riferiscono a loro stessi come giuristi di common law e questo
significa che sono parte di una determinata tradizione giuridica.
L’influenza del common law non si può limitare ai soli istituti, fonti e regole. La
cultura occidentale si è insinuata in India ed esistono nuovi legal postulates che si
confrontano con quelli vecchi.159
159
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.114.
- 95 -
4. La lingua del diritto indiano
Il tema della lingua del diritto è molto importante per capire il rapporto del diritto
indiano con la famiglia di common law e riguarda anche gli equilibri costituzionali
riferendosi alla protezione delle minoranze e, più in generale, la stessa identità
indiana.
La lingua del diritto indiano è l’inglese come conseguenza del periodo coloniale e
dell’appartenenza del sistema giuridico alla famiglia di common law.160
Dire che l’inglese è la lingua del diritto indiano è un’affermazione nella sostanza
corretta, ma solo ad un livello molto generale e semplificato perché in realtà
nasconde un insieme molto articolato di questioni.
Il sistema nel suo complesso si sta evolvendo verso il multilinguismo giuridico.
La relazione tra le lingue indiane e l’inglese può essere percepita come una
riproposizione di un aspetto singolare del complicato rapporto tra diritti indigeni e
common law. Da questo punto di vista, l’esame del problema della lingua del diritto è
utile anche per cogliere tendenze più generali dell’evoluzione del diritto dell’India
nella direzione di una propria autonomia e identità rispetto ai modelli occidentali.161
160
Il fatto che la lingua del diritto indiano contemporaneo sia l’inglese indubbiamente favorisce la sua
conoscibilità da parte dei giuristi occidentali. Bisogna però osservare che questa mancanza di barriere
linguistiche, a differenza che, ad esempio, per il diritto cinese o quello giapponese, di fatto ha
alimentato e continua ad alimentare la tendenza a sminuire l’originalità del diritto indiano. 161
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.123.
- 96 -
Esistono valide ragioni perché si conservi l’inglese come lingua ufficiale, e in
particolare come lingua giuridica, e la maggioranza degli stessi giuristi indiani è
d’accordo con questa soluzione. Rimane però il problema che l’inglese è conosciuto
solo dall’élite e non dalla maggioranza dei cittadini indiani. Esiste perciò un
problema generale di democraticità e di accesso alla conoscenza del diritto, che non
può essere trascurato e che promuove il progetto di rendere la lingua hindi la lingua
giuridica indiana.162
“ Questo progetto, a sua volta, deve confrontarsi con le rivendicazioni delle lingue
regionali. Non tutti gli Indiani parlano hindi e ciò ostacola la completa sostituzione
dell’hindi all’inglese come lingua ufficiale dell’Unione. In secondo luogo, al livello
dei singoli Stati, le stesse lingue regionali, come il Tamil, possono aspirare a
svilupparsi come lingue del diritto. In questo quadro, sempre più visibilmente sta
emergendo un multilinguismo giuridico caratterizzato dall’uso dell’inglese e, in
misura crescente, di hindi e lingue regionali ”.163
Come enunciato in precedenza, l’inglese è stato adottato come lingua del diritto in
India nel periodo coloniale. Quando fu proclamata l’indipendenza nel 1947, la
neonata Repubblica indiana aveva avuto la possibilità di superare l’eredità coloniale,
attraverso l’adozione come lingua ufficiale di una lingua indiana a sostituzione
dell’inglese.
Per comprendere la scelta effettuata dall’Assemblea Costituente, bisogna tenere ben
presente della grande diversità linguistica di cui è caratterizzato il subcontinente
indiano. Non esiste l’indiano, ma molte lingue indiane, parlate in diverse parti del
paese e talvolta in competizione tra loro.
162
Secondo il censimento più recente, solo il 23,18% degli indiani parla inglese, e solo come seconda
o terza lingua. La lingua inglese non è lingua madre per un indiano, neanche per un giudice della
Supreme Court, se non in pochi casi che non hanno rilievo statistico. Che la maggioranza degli indiani
sia in grado di parlare un inglese limitato e che esistano importanti giornali a diffusione nazionale in
inglese e una letteratura indiana in inglese non significa che sia ampiamente diffusa una conoscenza
dell’inglese che permetta non solo di interpretare una sentenza della Supreme Court, ma anche di
compilare semplicemente un modulo. 163
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
cit. p.123.
- 97 -
“ Le lingue indiane, oltre ad essere numerose, sono anche molto diverse e possono
essere classificate in cinque famiglie linguistiche distinte. Le più importanti sono
quella indoaria, cui appartiene la hindi, la principale lingua del Nord, e quella
dravidica, cui appartiene il tamil, una delle principali lingue del Sud. Questa
disomogeneità linguistica ha l’importantissima conseguenza della difficoltà di
comunicazione tra gli stessi Indiani provenienti da diverse parti del paese ”.164
Nel momento in cui dovettero decidere sulle lingue ufficiali, l’opinione maggioritaria
fu di scegliere solo una lingua. La lingua dell’Unione non poteva che essere l’hindi
anche se la percentuale della popolazione che parlava questa lingua era poco più del
cinquanta per cento.
Per altri però la lingua da preferire era l’inglese perché non creava posizioni
privilegiate tra le lingue indiane e quindi anche tra i cittadini indiani.
La scelta conclusiva fu di adottare l’ hindi come lingua ufficiale dell’Unione, ma si
stabilì di riconoscere nella Costituzione una serie di lingue regionali e si fissò un
periodo di transizione di quindici anni, durante il quale l’inglese sarebbe stato
utilizzato in tutti i casi in cui era utilizzato prima dell’Indipendenza e l’hindi gli
sarebbe stato gradualmente affiancato.
Quindi subito dopo l’Indipendenza bisognava garantire una certa continuità con il
periodo coloniale, anche solo per ragioni pratiche, ma venne scelta comunque la
lingua hindi in sostituzione dell’inglese, prevedendo un percorso graduale per
valutare la fattibilità di questa sostituzione e anche per sviluppare il linguaggio
tecnico in hindi e infine per favorirne una maggiore diffusione.
“ Come osservato da Jain furono prefigurate tre fasi: nella prima vi sarebbe stata la
prevalenza dell’inglese e affiancamento dell’hindi; nella seconda prevalenza
dell’hindi e affiancamento dell’inglese; infine, abbandono dell’inglese e sostituzione
con l’hindi ”.165
164
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
cit. pp.123-124. 165
JAIN M.P., Indian Constitutional Law, cit. p.779 ss., cit. in FRANCAVILLA D., Il diritto
nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, cit. p.125.
- 98 -
A più di sessant’anni dalla promulgazione della Costituzione indiana la lingua del
diritto indiano è l’inglese, anche se, dopo l’emanazione dell’Official Languages Act
del 1963, l’inglese è considerata lingua aggiuntiva, ma di fatto è ancora la lingua del
diritto.
“ La Costituzione non parla di lingua nazionale. D’altronde in un quadro del genere
la stessa idea di una lingua nazionale sarebbe insostenibile, se non in una qualche
forma di nazionalismo radicale che disconoscesse le specificità locali. Si parla invece
di una “lingua ufficiale” ”. 166
La Costituzione indiana ha riconosciuto ventidue lingue che sono state elencate
nell’Allegato VIII della Costituzione. L’inglese non è compresa nella lista, ma esiste
un movimento che mira a ottenere che sia incluso nell’Allegato in questione.167
Nell’elenco, invece, rientra il sanscrito, che è considerato una lingua propria
nonostante sia parlata, da solo quindicimila persone.
L’inserimento del sanscrito ha origini storiche e culturali, trattandosi della lingua
classica indiana che ha avuto e continua ad avere grande peso culturale, tanto che la
Costituzione ha conferito al sanscrito anche il ruolo di prima fonte per l’elaborazione
del lessico hindi moderno.
L’intervento della Costituzione si pone tra un’esigenza di unità e un riconoscimento
della diversità. Tanto è vero che è stata elaborata una distinzione tra Stato federale e i
singoli Stati. Se l’hindi è la lingua ufficiale dell’Unione allora i singoli Stati possono
avere la loro propria lingua ufficiale, che può essere diversa da Stato a Stato.
166
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
cit. p.125. 167
Sul tema si veda B. V. R. RAO, The Constitution and languages politics in India, B.R. Publishing
Corporation, New Delhi, 2003, cit. in ACQUARONE L., Tra Dharma, Common Law e WTO,
Edizioni Unicopli, 2006, p.83.
- 99 -
Sono state emanate norme interessanti relative alla lingua del diritto.
“ L’art.348 dispone che, indipendentemente dalle disposizioni generali, fino al
momento di un provvedimento sul punto del Parlamento, dovranno essere in inglese
tutti i proceedings della Corte Suprema e di tutte le High Courts, e tutti i testi
legislativi sia del Parlamento dell’Unione che di quelli statali. Devono essere in
inglese anche le ordinances promulgate dal Presidente o dai governatori di uno Stato.
Inoltre devono essere in inglese orders, rules, regolations e bye-laws adottati in base
alla Costituzione o in base a una qualsiasi legge del Parlamento o del Legislativo di
uno Stato.
La clausola 2 prevede che il governatore di uno Stato possa, con il consenso
preventivo del Presidente, autorizzare l’uso della lingua hindi o di qualsiasi altra
lingua utilizzata a fini ufficiali dello Stato nei proceedings della High Court, restando
fermo che questa clausola non si applica a sentenze, decreti o ordini, che devono
essere in inglese. La clausola 3 prevede poi che per Bills, Acts e Ordinanze
promulgati a livello statale in una lingua regionale debba essere pubblicata una
traduzione inglese ufficiale ”.168
Il periodo transitorio si è concluso con l’Official Languages Act del 1963 che ha
disposto che l’inglese venisse usato come lingua addizionale. Non è stato possibile
abolire del tutto l’uso dell’inglese a favore dell’hindi, ma questo ha guadagnato
maggiore spazio nei documenti ufficiali. Le leggi sono pubblicate sia in una versione
ufficiale in inglese sia in una versione ufficiale in hindi.
L’Official Languages Act ha previsto anche la possibilità per il governatore di uno
Stato di autorizzare l’uso dell’hindi o di un’altra lingua ufficiale indiana nelle High
Courts, ma deve esserci comunque la traduzione dell’atto giudiziario in lingua
inglese.169
168
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
cit. pp.126-127. 169
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.127.
- 100 -
In definitiva l’inglese rimane la lingua principale del diritto e lo dimostra anche il
fatto che la Corte Suprema deve esprimersi tutte le volte in lingua inglese.
Per capire i motivi di questa situazione bisogna aver presente la pluralità di elementi
di carattere sia culturale sia economico-politico a favore della conservazione
dell’inglese o a favorire l’hindi e le altre lingue regionali.
Questi elementi possono essere analizzati attraverso un rapporto della Law
Commission dal titolo “Nonfeasability of introduction of Hindi as compulsory
language in the Supreme Court of India (Report 216th)”, 2008.170
Questo rapporto della Law Commission si basa su una proposta d’introduzione della
lingua hindi al posto della lingua inglese nella Supreme Court.
Il rapporto esamina attentamente le previsioni costituzionali sull’argomento, e
include anche opinioni di eminenti giuristi indiani, in particolare ex giudici della
Corte Suprema, avvocati delle giurisdizioni superiori, professori.
Tra queste opinioni si può considerare quella di Iyer, uno dei più importanti giuristi
indiani, ex giudice della Corte Suprema.
“ L’argomento principale di Iyer è la necessità di un equilibrio tra le diverse lingue
indiane. […] Di fatto, l’accettazione della hindi come lingua ufficiale non è
sufficientemente diffusa e in Stati del Sud come il Tamil Nadu non verrebbe mai
accettata l’idea che nella Corte Suprema l’hindi abbia una posizione preminente.
Infatti, ciò renderebbe la conoscenza dell’hindi obbligatoria e costituirebbe un caso
di imperialismo della lingua di una parte dell’India sulle altre. D’altro canto, lo status
dell’inglese come lingua ufficiale è problematico, in particolare perché in tal modo le
sentenze della Corte Suprema, gli Acts del Parlamento federale e altri importanti
documenti normativi non sono pienamente accessibili a tutti i cittadini indiani. in
questo quadro, la soluzione che a Iyer sembra più soddisfacente è l’adozione di un
sistema trilingue in cui tutti gli atti ufficiali, incluse le sentenze della Corte Suprema,
dovrebbero essere pubblicate in tre versioni, inglese, hindi e almeno una lingua
regionale ”.171
170
Altra norma interessante è l’art.120 della Costituzione in base al quale, indipendentemente da
quanto previsto nella Parte XVII ma salve le disposizioni dell’art. 348, i lavori del Parlamento devono
essere condotti in hindi o in inglese. I presidenti delle due Camere possono autorizzare qualsiasi
membro del Parlamento a rivolgersi all’Assemblea nella propria lingua madre se non è in grado di
esprimersi correttamente in hindi o in inglese. 171
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
cit. p.128.
- 101 -
Questo tipo di soluzione presenta molte difficoltà nella realizzazione, ma sembra
quella più coerente con il multilinguismo indiano perché non sacrifica nessuno degli
elementi in gioco.
Un altro parere interessante è quello di Shrikrishna, secondo cui “ l’introduzione
dell’hindi come lingua obbligatoria nella Corte Suprema sarebbe una forma di
autolesionismo. Infatti, non tutti i giuristi indiani sono in grado di esprimersi in hindi
e un’innovazione del genere produrrebbe inevitabilmente disfunzioni nel sistema
giuridico. Occorrerebbero almeno due generazioni di giuristi educati in hindi perché
il funzionamento della Corte possa essere regolare ”.172
Secondo un’altra opinione l’inglese non deve essere più considerato come una lingua
straniera in India, anzi ormai è penetrato e accettato, al punto che esiste un Indian
English. Pertanto questo fa sì che gli Indiani possano prendere parte a una cultura
globale che si esprime in inglese.
Per quanto riguarda le Corti superiori, è molto importante che si pronuncino in
inglese perché così facilitano sia la comunicazione con le Corti di common law sia la
circolazione del sapere giuridico di cui possono usufruire le Corti indiane e non solo.
La necessità di garantire la conoscibilità delle sentenze, e delle altre fonti, a tutti i
cittadini indiani può essere realizzato attraverso la traduzione in hindi, fatta da
interpreti competenti. Gli stessi madrelingua hindi hanno difficoltà nel tradurre le
sentenze perché il diritto è un campo speciale.
L’uso della lingua inglese facilita le attività dei giuristi nelle High Courts e nella
Supreme Court; i testi su cui si preparano i giuristi sono in inglese e i corsi di studio
si svolgono principalmente in inglese.
Le opinioni dei giuristi indiani contenute nel Report e la stessa opinione della Law
Commission sono contrarie all’adozione dell’hindi come lingua obbligatoria nella
Supreme Court. Ciò si può racchiudere in tre argomenti.
172
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
cit. p.128.
- 102 -
“ Il primo è il caos che ne deriverebbe. Visto che non tutti i giudici conoscono l’hindi
e che anche i madrelingua hindi sono stati educati in inglese e abituati a ragionare e
interpretare testi in inglese, il passaggio li metterebbe in gravi difficoltà.
Bisognerebbe riformare l’intero sistema formativo e occorrerebbero generazioni per
farlo andare a regime. Il secondo argomento, collegato al primo, è la connessione tra
lingua e sistema giuridico. Non si vede il senso dell’abbandonare l’inglese come
lingua di espressione di un sistema appartenente al common law, che utilizza
categorie concettuali mediate dalla lingua inglese. L’inglese rende anche possibile la
circolazione del sapere giuridico e può aumentare il peso dell’India sulla scena
giuridica internazionale. Un terzo argomento, che riassume i precedenti e va a
rispondere a un’obiezione implicita, legata al fatto che l’inglese è lingua straniera e
coloniale, è che la lingua inglese e il common law sono oramai parte della cultura
indiana a tutti gli effetti ”.173
Nonostante l’inglese sia ancora la lingua del diritto non bisogna sottovalutare né
teoricamente né politicamente gli aspetti relativi allo sviluppo dell’hindi giuridico.
Nessuno ha deciso che l’hindi non sarà mai utilizzato, ma alcuni dubitano della
possibilità che la lingua hindi possa formulare un linguaggio giuridico adeguato e
analoghe riserve sono avanzate per le lingue giuridiche regionali.
Il problema lessicale è forse il più serio. Il lessico hindi deriva storicamente dal
sanscrito e per questo si basa e può continuare a ricavare dal sanscrito classico i
termini della maggior parte del lessico giuridico. Quando la lingua hindi non dispone
già di un termine adeguato, questo viene ricercato nel sanscrito.
Il lessico giuridico hindi è formato in parte da vocaboli già esistenti nel sanscrito
giuridico e in parte da neologismi ricavati dal sanscrito.
173
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
cit. p.129-130.
- 103 -
Se prendiamo in considerazione termini giuridici generali come contratto, famiglia o
proprietà, i corrispondenti in hindi derivano direttamente dal sanscrito.
I termini giuridici inglesi più specifici sono translitterati nell’alfabeto devanagari
utilizzato dall’hindi e lo stesso succede ai termini in hindi per la versione inglese.
“ La diffusione di versioni hindi ufficiali al fianco di quelle inglesi fa sì che si
presenti anche in India il problema dell’interpretazione di testi multilingue,
ampiamente studiato nel contesto europeo. Nell’interpretazione possono essere in
gioco, e molto rilevanti, anche termini non giuridici. L’esistenza di versioni ufficiali
in hindi della legislazione federale pone un problema interpretativo. In caso di
conflitto prevale la versione inglese, ma se non c’è conflitto si può utilizzare la
versione hindi al fine di accertare se una determinata parola inglese debba essere
interpretata come riferibile a uno specifico oggetto.
In definitiva, in una pluralità di contesti giuridici in India interagiscono quasi sempre
almeno due lingue, inglese e hindi, e in alcuni casi anche tre lingue. Considerando
che la tendenza sembra essere quella di una traduzione in tre lingue, l’inglese
probabilmente non sarà mai abbandonato, ma sarà sempre più affiancato da hindi e
lingue regionali. Si può anche dire che il sistema sta evolvendo in direzione del
multilinguismo ”.174
174
FRANCAVILLA D., Il diritto nell’India contemporanea, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
cit. pp.130-131.
- 104 -
CAPITOLO III “ IL DIRITTO DI FAMIGLIA ”
1. Pluralità di sistemi dei diritti personali
L’idea dell’India come Stato pluralistico ha svolto un ruolo decisivo nella struttura
politica e giuridica dell’India indipendente. Il principio dell’“unità nella diversità”175
,
su cui questa idea si basa, rappresenta al contempo la volontà di riconoscere
l’immensa diversità delle culture locali indiane e la consapevolezza del profondo
bisogno di comunicazione interculturale come fondamento dell’unità nazionale.
La co-esistenza di fedi religiose, gruppi linguistici, etnie e pratiche sociali differenti è
garantita dalla Costituzione, che afferma l’uguaglianza dei diritti individuali; da un
ordinamento giuridico imparziale; dalla separazione tra Stato e società e, infine, da
un approccio alla religione come elemento appartenente alla sfera personale
dell’individuo.
Nonostante l’India sia uno Stato laico, democratico e moderno, la Costituzione
indiana ha in sé un grande vuoto, tanto più grave, dato che riguarda un ambito di
importanza primaria: il diritto di famiglia.
Non esiste un corpus di leggi che regoli il diritto di famiglia in modo unitario, ma
esistono varie regolamentazioni, una per ogni comunità religiosa.
175
PRESTA G., “Minoranze tra legge secolare e statuti personali in India”, EUT Edizioni Università
di Trieste, 2001, p.143; cit. in “Il Kurdistan nelle fonti elettroniche" di MARZOCCHI S., in
Letteratura di Frontiera=Littératures Frontalières, XI, (2001) 1, pp.143-159.
- 105 -
“ A esse, nella maggior parte dei casi, è impossibile sottrarsi se non uscendo dalla
comunità stessa, per esempio, attraverso una conversione. Anche chi non desiderasse
aderire agli statuti personali della propria religione è, in qualche modo, forzato a
farlo perché non esiste alternativa se non poche leggi secolari frammentarie e spesso
scavalcate dalle stesse politiche governative.
Da questo punto di vista, un individuo non può essere semplicemente un cittadino
indiano, perché non c’è una legge civile che lo riguardi come tale: deve essere, in
ogni caso, un Indiano hindu o un Indiano musulmano o cristiano ecc. .
Nel processo di costruzione dell’identità nazionale post-indipendenza, dunque, le
comunità religiose avrebbero dovuto dissolversi in una Nazione di cittadini uguali di
fronte alla legge e con uguali diritti politici, ma nelle questioni quotidiane avrebbero
continuato a coesistere come entità separate ”.176
Per quanto riguarda le due comunità principali che compongono la società indiana, in
materia di: matrimonio, divorzio, successioni, tutela dei minori ecc., gli indù
osservano i principi stabiliti dalla cosiddetta Hindu Law, mentre i musulmani si
rifanno alla shari’a, secondo le interpretazioni riconosciute in India.177
Già al tempo degli imperatori moghul, essi diedero prova di tollerare il fatto che gli
hindu risolvessero dispute in materia civile con le loro regole e consuetudini e
avvalendosi della consulenza dei panchayat.
Gli Inglesi, invece, in merito al diritto di famiglia, fecero ricorso alla politica della
non interferenza, che normalmente adottavano nei confronti di questioni di ordine
religioso. La legislazione tradizionale regolava, sanciva e puniva usanze, pratiche e
costumi profondamente legati con la religione. La vita quotidiana, innanzitutto
nell’ambito della famiglia e dei rapporti che essa racchiude, era retta da principi
ampiamente ispirati dalla religione. Questo punto di vista portò i legislatori inglesi ad
avere una visione molto semplicistica dei Dharmashastra, i testi basati sul dharma.
176
PRESTA G., “Minoranze tra legge secolare e statuti personali in India”, EUT Edizioni Università
di Trieste, 2001, p.147; cit. in “Il Kurdistan nelle fonti elettroniche" di MARZOCCHI S., in
Letteratura di Frontiera=Littératures Frontalières, XI, (2001) 1, pp.143-159. 177
CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di
famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il
terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,
Franco Angeli, Milano, 2002, p.338.
- 106 -
Questi testi erano considerati dei meri compendi di norme giurisprudenziali, volti a
verificare la validità delle soluzioni legali connesse con situazioni precise;
considerarono i Dharmashastra come un codice di legge applicabile a tutti gli indù.
Ne derivò che, facendo riferimento ai Dharmashastra come testi di legge e unendoli
al loro sistema giudiziario basato sul precedente, le corti inglesi crearono una
“Anglo-Hindu Law”.
“ Quest’atteggiamento da parte degli Inglesi si inserisce nell’ambito più generale
della politica del “divide and rule”. Gli Inglesi mostrarono, infatti, una straordinaria
capacità di omogeneizzare ampi strati delle singole comunità, molto diversificate al
loro interno, e di contrapporre politicamente tra loro queste comunità, solo
virtualmente omogenee e compatte. Questo consentiva ai dominatori inglesi di
approfondire gli elementi di divisione della società indiana e di elaborare politiche e
strategie specifiche per ogni suo segmento. Questa prassi, finalizzata all’obiettivo
primario di mantenere la popolazione nella sua interezza in uno stato di
assoggettamento, contribuì ad alimentare i conflitti intercomunitari ”.178
Dopo l’Indipendenza, in India vi fu un esteso dibattito relativo ai provvedimenti da
adottare per modificare il sistema dei diritti personali. L’Assemblea costituente si
ritrovò davanti ad una situazione molto complicata relativamente ai diritti personali.
Molti ritenevano che un diritto civile uniforme sarebbe stato la manifestazione ideale
del principio della laicità indiana, separando in modo netto il diritto dalla religione.
D’altra parte, dare inizio alla stesura del codice civile uniforme all’inizio
dell’esperienza giuridica della Repubblica indiana avrebbe rappresentato una prova
molto impegnativa e pericolosa, visto il rischio di aumento dei contrasti all’interno
della società.
178
GYANENDRA PANDEY, “The Construction of Communalism in Colonial North India”, Oxford
University Press, New Delhi, 1999; cit. in CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il
problema dell’unificazione del diritto di famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo
Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni
sociali ed economiche, mutamento culturale, Franco Angeli, Milano, 2002, p.339.
- 107 -
“ Il cuore del problema era quello dell’uniformità o diversità del diritto. Per questo
motivo il progetto venne abbandonato e venne adottata una norma costituzionale di
carattere programmatico, inserita nella parte dedicata ai directive principles, l’art.44,
in base al quale: “The State shall endeavour to secure for the citizens a uniform civil
code throughout the territory of India ” ”.179
Parallelamente al sistema dei diritti personali è stato sviluppato un diritto di famiglia
uniforme, che ha il suo fondamento nello Special Marriage Act del 1954 e si applica
nei casi di matrimoni intercomunitari, ma può essere utilizzato da tutti in modo
facoltativo. Nonostante la presenza di questo diritto di famiglia uniforme, il diritto di
famiglia indiano rimane comunque nel sistema dei diritti personali.
“ In generale, per quanto riguarda il diritto di famiglia, in India vale un principio
molto simile a quello della Common Law britannica: non esiste un codice
formalizzato di leggi scritte, ma una serie di consuetudini, sancite dalla pratica e
perfezionate, dal punto di vista applicativo, da quelli che vengono definiti, secondo il
linguaggio giuridico anglosassone, Acts. Questi non sono che le leggi emanate per
intervento parlamentare, esattamente come avviene in Gran Bretagna. Una serie di
Acts ha rappresentato in parte un tentativo di codificare pratiche e consuetudini in
vigore presso le rispettive comunità, in parte quello di definire un criterio di equità
valido per tutte le confessioni ”.180
179
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
pp. 133-134. 180
CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di
famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il
terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,
Franco Angeli, Milano, 2002, p.340.
- 108 -
2. Hindu Law: connessione tra diritto statale e religione
“ Quando un bambino nasce, viene immediatamente classificato per religione e
quindi finisce sotto il sistema giuridico di quella religione. È possibile scegliere
un’identità laica per un figlio, ed esistono legislazioni laiche per matrimonio e
divorzio. Ma poiché la proprietà dei genitori è regolata dal diritto religioso al quale i
genitori appartengono, e nel caso degli induisti essa rientra in un complicato sistema
di vincoli o “successioni” dal quale non si può enucleare la porzione di ciascun
singolo individuo, è di fatto molto difficile sottrarsi a un sistema religioso, sia per
cambiare religione sia per passare a un’identità laica. Di conseguenza il sistema crea
notevoli difficoltà al libero esercizio della religione e alla libertà di proselitismo e di
conversione che pure è sancita esplicitamente a livello costituzionale.
Il sistema indiano è dunque, di fatto, un sistema di appartenenze religiose ufficiali; il
fatto più inconsueto, rispetto ai sistemi di legge personale odierni, è che qui il diritto
di proprietà viene incluso nel diritto di famiglia. Tale sistema ha molte delle
difficoltà che emergono sempre quando si parla di religioni ufficiali. Una difficoltà
potenziale, quella della discriminazione verso coloro che restano fuori, non sembra
pesare troppo. Ebrei e altre minoranze non ufficiali, governate dalle normali leggi
laiche su matrimonio, divorzio e proprietà, non sembrano soffrire particolari
svantaggi; al contrario, queste minoranze si sottraggono agli oneri non indifferenti
relativi alla farraginosità della burocrazia ufficiale ”.181
“ Il diritto hindu può essere definito come l’insieme delle regole di comportamento,
delle istituzioni, e delle concezioni ad esse collegate, che sono state elaborate
all’interno delle diverse tradizioni religiose e culturali che si considerano parte
dell’induismo.182
In questo senso, il diritto hindu è il diritto degli hindu. Il suo
carattere personale deriva dal fatto che viene osservato dagli hindu in quanto
appartenenti a una determinata comunità religiosa e culturale e non in quanto
residenti in un determinato territorio o soggetti ad una determinata entità politica ”.183
181
NUSSBAUM M.C., “Lo scontro dentro le civiltà”, Il Mulino, Bologna, 2009, p.198. 182
Non tutte le regole di comportamento sono anche regole giuridiche, ma nella cultura hindu non
vengono tracciate distinzioni nette tra diversi ambiti nella normatività. 183
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.135.
- 109 -
Non si può ignorare che il diritto induista riguarda circa l’80% della popolazione
indiana, in termini assoluti circa un miliardo di persone e poiché l’induismo è la
religione di maggioranza, il diritto hindu è dibattuto e riformato a livello nazionale.
Nell’India contemporanea vi sono due aspetti da riscontrare: in primo luogo,
nell’identità hindu vi è una fusione tra aspetto religioso, aspetto etnico e aspetto
socio-culturale; in secondo luogo, la definizione di hindu è data generalmente in
termini negativi, cioè può essere considerato hindu chi non appartiene espressamente
ad un’altra religione o comunità. Si può essere hindu pur non professando nessuna
religione e questo ha un riflesso anche sul piano strettamente giuridico, per cui
l’applicazione del diritto hindu continua ad essere, ancora oggi, molto inclusiva.
Il diritto hindu ufficiale si applica in materia di statuto personale a tutti coloro che
non sono musulmani, ebrei, parsi o cristiani, e in via generale a tutti coloro che non
provino che ad essi si dovrebbe applicare un diritto diverso.184
Sono considerati hindu, dal punto di vista dell’ordinamento statale e ai fini
dell’applicazione del diritto di famiglia, anche i buddhisti, i jainisti e i sikh.
Esiste quindi una differenza tra le definizioni di “hindu” nella scienza delle religioni
e le definizioni legali di “hindu”, che servono principalmente a chiarire quando deve
essere applicato il diritto induista.
Nel corso dell’evoluzione del diritto hindu, questo ha interagito con altri diritti.
Alcuni di questi sono stati “induizzati”, altri sono rimasti autonomi.
“ Il diritto hindu è quindi espressione di un complesso di religioni, filosofie e
pratiche elaborate in contesti molto diversi e non può che riflettere questa pluralità
interna alla tradizione, anche se non vi è necessariamente una corrispondenza tra una
determinata corrente dell’induismo e una determinata manifestazione del diritto
hindu. Pertanto sotto l’etichetta “diritto hindu” rientra in effetti una serie di diritti
che, pur riconoscendosi come parte di un’unica tradizione, possono essere molto
diversi tra loro ”.185
184
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.138. 185
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.139.
- 110 -
In passato il diritto hindu è stato un diritto tendenzialmente completo, con leggi
relative oltre che ai rapporti familiari anche ad altri settori del diritto; erano state
elaborate norme e istituzioni per diversi campi: dal rito al processo, dal matrimonio
alla proprietà. L’area propriamente religiosa, centrata sul dharma, era utilizzata come
criterio di valutazione della conformità di alcune regole, aventi la loro origine
altrove, con lo standard di comportamento richiesto a un hindu.
Con il dominio britannico il diritto hindu è diventato progressivamente diritto
positivo in materia di statuto personale e in poche altre materie che hanno subito il
tentativo di riforma da parte dello Stato. Altri ambiti del diritto hindu, invece, sono
stati sostituiti da norme di origine occidentale.
“ L’introduzione di fonti statali nel diritto hindu cambia in parte la natura di questo
diritto come diritto religioso, visto che la Repubblica indiana è laica e una legge che
regola i rapporti familiari tra hindu non può essere considerata produzione di diritto
religioso per quanto intervenga su un complesso di pratiche socio-religiose.
L’intervento statale sul diritto hindu non è però tale da configurare una completa
rottura con la tradizione, visto che larghe parti del diritto tradizionale sono
riconosciute e applicate dagli stessi organi statali ”.186
Il punto più importante è che il diritto ufficiale hindu non trascura il valore del diritto
hindu tradizionale a livello non ufficiale, vale a dire come diritto non riconosciuto
dallo Stato, sia per la vita degl’hindu sia per il suo carattere giuridico.
Il diritto hindu non ufficiale può contrapporsi al diritto hindu ufficiale oppure
coesistere con esso anche se in ambiti diversi.
Nel diritto dell’India classica, la parte concernente il rito e tutto l’insieme di norme
che regolava la vita dei gruppi sociali hindu era concepito in modo unitario con il
diritto di famiglia e con le altre parti del diritto che si fondavano sul dharma; ora
tutto questo non è scomparso, ma rimanendo nel suo contesto originario non è più
considerato giuridico.
186
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.139.
- 111 -
2.1 Hindu Code: la riforma del diritto hindu
“ L’India indipendente si è dovuta confrontare con un diritto estremamente
complesso e vario, parte fondamentale della storia giuridica indiana e, dato il suo
fondamento culturale, caratterizzato da uno spiccato carattere identitario per la
stragrande maggioranza della popolazione. La riforma del diritto hindu è stata
compiuta con quattro atti legislativi che sono talvolta indicati collettivamente, anche
se in modo alquanto improprio, come Hindu Code. Nel 1955 è stato promulgato
l’Hindu Marriage Act, e nel 1956 l’Hindu Minority and Guardianship Act, l’Hindu
Adoption and Maintenance Act e l’Hindu Succession Act ”.187
Queste leggi erano state presentate come tentativo di riformare e codificare le norme
del diritto hindu vigente; sono state estratte dall’Hindu Code Bill, introdotto
dall’Assemblea Costituente nell’aprile del 1947188
. Esse sono applicate:
“ (a) to any person who is a Hindu by religion in any of its forms or developments,
including a Virashaiva, a Lingayat of the Brahmo, Prarthana or Arya Samaj; (b) to
any person who is Buddhist, Jaina or Sikh by religion; and (c) to any other person
domiciled in the territories to which this Act extends who is not a Muslim, Christian,
Parsi or Jew by religion, unless it is proved that any such person would not have
been governed by the Hindu law or by any customs or usage as part of that law in
respect of any of the matters dealt with herein if this Act had not been passed ”.189
Le finalità primarie della codificazione del diritto di famiglia hindu sono
l’unificazione della comunità hindu e l’uniformità della sua legislazione.
187
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.140. 188
CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di
famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il
terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,
Franco Angeli, Milano, 2002, p.340. 189
The Hindu Marriage Act, 1955, Preliminary, sez.2, Application of Act. Questa formula, negli stessi
termini, viene ripetuta negli altri tre atti che compongono l’Hindu Code; cit. in nota CASOLARI M.,
“Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di famiglia in India”, in
Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il terzo millennio.
Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale, Franco Angeli,
Milano, 2002, p.341.
- 112 -
L’Hindu Code, nel suo insieme, è come una combinazione tra correnti giuridiche
differenti. Da un lato, vi è un insieme di norme giurisprudenziali prettamente laiche;
a queste si affiancano norme consuetudinarie, divulgate tra i diversi gruppi della
popolazione hindu, prima della codificazione dei quattro Acts. Queste consuetudini
derivano dalle pratiche tradizionali e sopravvivono nella legge codificata. Gli
elementi tradizionali che si trovano nell’Hindu Code derivano da consuetudini e
pratiche, culturali e religiose; queste rappresentano solo una piccola parte delle
usanze osservate dai membri della società hindu.
Infatti, le usanze e istituzioni di derivazione religiosa codificate dalla legge hindu,
non rappresentano minimamente la grande differenziazione esistente.
L’Hindu Code è il risultato di un lungo tentativo, piuttosto studiato, di uniformare le
differenze esistenti all’interno della società induista. Questo tentativo fu voluto dalla
componente nazionalista hindu, che voleva rafforzare la comunità che era abbastanza
indebolita dai conflitti interni, donandole maggiore unità. Perché questo processo
andasse a buon fine, era necessario dare uniformità ad alcune istituzioni ritenute
fondamentali come la lingua, il sistema giuridico e la stessa religione190
.
La riforma legislativa, basata sul diritto hindu preesistente, ha introdotto nuove
regole o generalizzato altre che prima erano osservate solo da una parte della
popolazione indù, come il divieto di bigamia o l’introduzione del divorzio. È
interessante osservare che, anche se il matrimonio hindu si basava su una concezione
monogamica, per alcune caste erano già ammesse forme di divorzio.
Nonostante l’intento riformista, il legislatore ha affrontato il problema
uniformità/diversità lasciando intatto un quadro di sostanziale pluralismo giuridico.
Ha rinunciato a disciplinare ogni aspetto della materia, ed ha riconosciuto il diritto
consuetudinario attraverso una serie di norme che individuano le consuetudini locali
dichiarandole ufficiali, secondo determinate condizioni.191
Il processo riformista della metà degli anni ’50, dell’India indipendente, può essere
visto come il punto di partenza di una politica del diritto indiana e non coloniale.
190
CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di
famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il
terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,
Franco Angeli, Milano, 2002, p.340. 191
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.140.
- 113 -
Naturalmente l’evoluzione del diritto hindu non si è fermata negli anni ’50,
successivamente sono state introdotte riforme su alcuni temi specifici: Marriage
(Amendment) Act del 1974 e il recente The Prohibition of Child Marriage Act del
2006.192
È riduttivo pensare che l’evoluzione del diritto hindu sia avvenuta negli ultimi
cinquant’anni, solo per il diritto ufficiale, visto che il diritto hindu è sostanzialmente
autonomo dal diritto statale. Gli istituti tradizionali stanno resistendo alla
modernizzazione compiuta dallo Stato, e possono essere considerati da alcune
comunità come diritto non ufficiale sia dal punto di vista sostanziale sia dal punto di
vista istituzionale.
“ Dall’Indipendenza in poi il diritto hindu non è rimasto immobile e si è sviluppato
soprattutto nel senso di una modernizzazione, ma non in modo lineare. Nel contrasto
tra tradizionalisti e riformisti si è sviluppata secondo un’opinione persuasiva di
Menski una nuova fase del diritto hindu, quella postmoderna, caratterizzata da un
superamento della logica della contrapposizione fra tradizione e modernità ”.193
192
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.141. 193
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.141.
- 114 -
2.1.1 Hindu Marriage Act
Gli atti legislativi riformatori dell’Hindu Code, in particolare l’Hindu Marriage Act,
hanno provocato dei notevoli cambiamenti nella concezione tradizionale del
matrimonio.
Nell’induismo il matrimonio è considerato un sacramento (samskara), e delinea il
più importante passaggio rituale, oltre che sociale, nella vita di un hindu194
. La
peculiarità del sacramento del matrimonio consiste nel compimento di una serie di
riti con cui i due sposi sono uniti in modo indissolubile ed eterno.
“ Nel periodo vedico il matrimonio era concepito come riproduzione sul piano
microcosmico dell’unione degli elementi macrocosmici. Nel periodo classico il
matrimonio era considerato chiaramente come uno dei doveri fondamentali di un
hindu e questo aspetto è rimasto costante. In particolare il matrimonio nel sistema
dell’ashramadharma segna il passaggio allo stadio del garhasthya, la vita del
capofamiglia, verso cui esiste una forte pressione sociale. Pertanto il matrimonio
segna un cambiamento di status, per l’uomo ma anche per la donna, per la quale anzi
si ritiene che il matrimonio costituisca l’unico grande passaggio rituale. Il
matrimonio viene vissuto come una questione di famiglia, intesa in senso ampio, più
che come fatto individuale ”.195
Nel diritto hindu tradizionale erano concepite otto forme di matrimonio; il termine
sanscrito per matrimonio, vivaha,196
conteneva probabilmente un significato più
ampio che si riferiva a diversi tipi di unioni.
194
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.141. 195
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.142. 196
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.142.
- 115 -
“ Inoltre, nel definire le otto forme di matrimonio gli interpreti si sono basati
sull’osservazione e istituzionalizzazione di quanto era dato loro osservare nella
pratica sociale, suggerendo alcuni tipi di unione e sconsigliandone o biasimandone
altri. Infatti, per le caste più alte è suggerito il matrimonio nella forma del
kanyadana, in cui è presente l’idea del dono fatto dal padre della sposa al marito.
Proprio l’elemento del dono ha fatto pensare all’esistenza di elementi contrattuali nel
matrimonio hindu tradizionale, pur rimanendo prevalente l’aspetto sacramentale. È
stato anche osservato che nelle caste basse in realtà è stato sempre prevalente
l’aspetto contrattuale su quello sacramentale ”.197
Il matrimonio, nel diritto hindu moderno, mantiene elementi di carattere
sacramentale e ne acquisisce altri di ordine contrattuale. Il requisito del consenso
acquista maggiore importanza, a differenza dell’aspetto dell’indissolubilità che
invece perde valore, essendo ormai possibile il divorzio, anche se considerato ancora,
a livello sociale, molto deplorevole.
A parte le otto forme di matrimonio, nel diritto hindu esistono più tipologie di
matrimonio con riti ed effetti diversi, con molte varianti a livello locale.
In generale, il matrimonio hindu non richiede nessuna forma di collaborazione o
d’intervento del potere pubblico e viene vissuto come fatto totalmente autoregolato a
livello comunitario. Si trova testimonianza di quest’aspetto, nel diritto matrimoniale
di oggi, dove solo recentemente si è iniziato a parlare di registrazione obbligatoria.
L’induismo è sempre stato caratterizzato dalla co-esistenza di una pluralità di modi
per celebrare il matrimonio; è normalmente costituito da una serie complessa di riti
coordinati. Il momento cerimoniale che è considerato tipico e fondamentale è il
saptapadi, il compimento di sette passi da parte degli sposi dinanzi al fuoco rituale,
recitando formule beneauguranti a ogni passo.
“Ma, come osserva Menski, il saptapadi non è mai stato richiesto per la celebrazione
di tutti i matrimoni hindu e non è mai stato la forma principale di celebrazione del
matrimonio in tutte le aree dell’India ”.198
197
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.142. 198
MENSKI W.F., Hindu Law. Beyond Tradition and Modernity, p.273ss., cit. in FRANCAVILLA D.,
“Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, p.143.
- 116 -
Il matrimonio, normalmente molto complesso sul piano rituale, e molto impegnativo
sul piano economico, può assumere caratteri anche informali. Ancora oggi i riti per
officiare il matrimonio sono molto vari, su base sia geografica sia comunitaria. Il
legislatore indiano avrebbe potuto semplificare il rito del matrimonio indicando una
forma di celebrazione o una serie definita di forme, ma non l’ha fatto, ha mantenuto
le consuetudini locali tipiche del modello hindu. In altri termini, il legislatore ha
lasciato al controllo sociale questa disciplina; ha proposto in chiave moderna l’idea
caratterizzante il diritto tradizionale hindu, in base alla quale ogni individuo e ogni
comunità deve vivere secondo le regole che riconosce, senza che un’autorità
superiore possa decidere in via generale le leggi da seguire.
L’art. 7 dell’Hindu Marriage Act, stabilisce che:
“ (1) A Hindu marriage may be solemnized in accordance with the customary rites
and ceremonies of either party thereto. (2) Where such rites and ceremonies include
the saptapadi (that is, the taking of seven steps by the brideroom and the bride jointly
before the sacred fire), the marriage becomes complete and binding when the
seventh step is taken ”.199
Il matrimonio hindu può essere officiato, in accordo, con i riti consuetudinari e le
cerimonie di una delle parti. La norma opera un rinvio alle regole locali osservate
nella comunità delle parti e non a una generica scelta degli sposi. La regola ha quindi
carattere consuetudinario.
199
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
pp.143-144.
- 117 -
“ L’art. 7 fa riferimento al saptapadi, i sette passi davanti al fuoco rituale, che
costituisce una delle forme di celebrazione più diffuse e sicuramente quella che ha
maggiore rilevanza culturale, essendo espressamente contemplata nei testi del
Dharmashastra. A questo proposito, una prima osservazione è che con l’art. 7 una
forma di matrimonio del diritto tradizionale viene ad essere espressamente recepita
dal diritto ufficiale statale indiano. Una seconda considerazione è che l’art. 7 non
prescrive il compimento del saptapadi, rendendo in tal modo generale una norma
maggioritaria a scapito di altre forme di celebrazione, ma si limita a stabilire che nel
caso le consuetudini seguite dagli sposi prevedano il saptapadi, il matrimonio si
ritiene perfezionato al momento del compimento del settimo passo. Tale precisazione
è stata fatta perché poteva effettivamente verificarsi una situazione di incertezza sul
momento a cui riconnettere tutti gli effetti giuridici del matrimonio nel caso di
interruzione del rito quando gli sposi avevano compiuto solo i primi passi ”.200
Com’è già stato detto, il matrimonio hindu è considerato un rito religioso e sociale
che non ha bisogno dell’intervento del potere pubblico.
Secondo l’Hindu Marriage Act il matrimonio può essere registrato, ma la
registrazione non è condizione di validità. “ È stato osservato da alcuni studiosi che
la non obbligatorietà della registrazione è uno degli elementi che permettono la
diffusione dei matrimoni di bambini e che quindi l’introduzione del sistema di
registrazione obbligatoria permetterebbe di fare fronte a questa e ad altre violazioni
dei diritti umani ”.201
200
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.144. 201
SAGADE J., Child Marriage in India. Socio-Legal and Human Rights Dimensions, Oxford
University press, New Delhi, 2005, cit. in FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”,
G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, pp.144-145.
- 118 -
In questo caso bisogna prendere in considerazione i vari aspetti del problema. Il
legislatore del 1955 non ha posto la registrazione come condizione di validità del
matrimonio perché era consapevole che in una situazione, come quella indiana, date
le dimensioni demografiche e geografiche, l’arretratezza culturale di gran parte della
popolazione e i considerevoli problemi di organizzazione amministrativa, avrebbero
portato a situazioni di ingiustizia. Anche se la registrazione fosse obbligatoria, molti
matrimoni hindu non sarebbero registrati. In casi del genere la tutela offerta dal
diritto statale potrebbe diminuire, non essendo riconosciuto giuridicamente un
matrimonio che invece è ritenuto valido dalla società. Una delle conseguenze della
non obbligatorietà della registrazione è che le Corti per accertare la validità del
matrimonio in giudizio si servono di prove testimoniali, e questo rappresenta un
elemento di grande incertezza giuridica.202
Per i requisiti del matrimonio, bisogna prendere in considerazione le diverse
caratteristiche dell’induismo: le caste e le diverse zone dell’India.
La monogamia è il modello ideale nell’induismo, nonostante sia sempre esistita una
forma di poligamia hindu, talmente diffusa da essere considerata come la vera regola
di fatto. La poligamia nell’induismo è giustificata con la tendenza a gerarchizzare le
diverse unioni, ma soprattutto considerando che certi legami utili devono essere
ammessi. Queste unioni che si riscontrano nella pratica sono valutate accettabili, e,
anche se non corrispondono al modello ideale, beneficiano di tutela.
Il caso più frequente è quello della sterilità della moglie: dato il dovere di generare
una discendenza, è ammessa la possibilità di avere un’altra moglie, senza che sia
necessario divorziare dalla prima moglie. Questi tipi di unioni sono sempre state
diffuse soprattutto nelle caste alte, ed erano considerate prova di potere economico e
prestigio sociale.203
202
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.145 203
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.145.
- 119 -
Le riforme del diritto hindu degli anni ’50 hanno sancito la nullità del matrimonio
poligamico, generalizzando così il modello ideale hindu però senza considerare la
poligamia informale. Ciò ha creato altri problemi, perché di fatto una legge dello
Stato non cancella le pratiche delle unioni poligamiche e di conseguenza molti
uomini per non essere condannati per poligamia hanno cominciato a negare
l’esistenza o la validità di uno dei matrimoni. La cosa era molto facile visto la grande
varietà di riti nell’induismo per officiare il matrimonio, ma soprattutto per l’assenza
dell’obbligo di registrazione.
Bisogna tener presente che il sistema dei diritti personali permette a un indiano
musulmano di avere un’unione poligamica, mentre ciò non è possibile per un indiano
hindu, anche se la poligamia è sempre esistita nella sua comunità.204
Per quanto riguarda il requisito dell’età per contrarre matrimonio, nel diritto
tradizionale era ammesso il matrimonio di bambini, indifferentemente per uomini e
donne, anche se le donne ancora oggi sono la categoria maggiormente coinvolta e
danneggiata dal fenomeno.
“Dal punto di vista teorico, quel che è importante è non solo la presenza del
fenomeno ma anche la legittimazione della pratica all’interno di una tradizione
giuridica. Una delle spiegazioni che vengono addotte è che questa pratica, ritenuta
estranea alla tradizione hindu originaria, si sia diffusa nel periodo delle invasioni
musulmane al fine di costituire le unioni tra hindu il prima possibile. Altra
spiegazione può essere ravvisata nella logica delle caste. Se il matrimonio è un
passaggio necessario nella vita di un hindu, e se un buon matrimonio deve possedere
tutta una serie di requisiti dal punto di vista della casta e del ceto sociale, allora
anticipare al massimo il momento del matrimonio può essere una strategia per
risolvere queste questioni nel modo più efficace possibile. In linea generale,
comunque, la finalità del matrimonio di bambini è quella di limitare le relazioni
sessuali extraconiugali, inserendole precocemente nel contesto lecito del
matrimonio”.205
204
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.146. 205
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.146.
- 120 -
Gli Inglesi cercarono di intervenire emanando alcune norme penali: l’art. 375 del
codice penale e il Child Marriage Restraint Act del 1929, ma non collegarono
conseguenze di natura civilistica al matrimonio di bambini, che rimaneva valido.
L’Hindu Marriage Act vieta questa pratica e stabilisce l’età minima per contrarre
matrimonio: ventuno anni per gli uomini e diciotto per le donne. In caso di
violazione della norma non è prevista come conseguenza l’invalidità del matrimonio,
quindi opinione dominante è che il matrimonio resti valido. È però prevista una
sanzione che può essere sia pecuniaria sia detentiva.
Solo recentemente con il The Prohibition of Child Marriage Act del 2006 si è
prevista l’annullabilità in generale del matrimonio dei minori, e la nullità per casi
particolarmente gravi, come per il matrimonio collegato alla sottrazione del minore.
Rimane comunque la possibilità di un conflitto tra la norma di diritto hindu ufficiale,
che proibisce il matrimonio tra minori, e la norma di diritto hindu non ufficiale, che
lo ritiene legittimo.206
Un altro requisito per il matrimonio è la capacità di intendere e di volere. Nel diritto
tradizionale, questo requisito era tenuto in considerazione, ma il consenso poteva
essere prestato da un tutore. Di fatto, questo requisito, anche nel diritto hindu
moderno, vuole escludere i casi di matrimonio contratti per errore o per inganno.
Nel diritto hindu tradizionale erano proibiti sia i matrimoni interreligiosi sia quelli
inter-casta. Invece nel diritto hindu moderno ufficiale è perfettamente valido un
matrimonio officiato tra membri di caste diverse perché il contrario andrebbe a
contrastare i principi fondamentali costituzionali.
206
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.147.
- 121 -
Per quanto riguarda i matrimoni interreligiosi si fa ricorso a un’altra legge emanata
nel 1954, lo Special Marriage Act. Questa legge ha un’impostazione laica, non è
menzionato nessun rito o consuetudine religiosa, e quindi poteva costituire l’unica
vera base di partenza per l’elaborazione di un diritto di famiglia uniforme. Lo Special
Marriage Act poteva essere accettato dalla parte più progressista dei Musulmani, non
senza difficoltà, oltre che dalla totalità dei laici. Questa legge sancisce
implicitamente il principio di preminenza del matrimonio civile su quello religioso.
Di fatto chi si sposa secondo questa legge, anche se in un secondo tempo celebra un
matrimonio religioso riconosciuto da qualsiasi legge personale, non può invocare
successivamente la legge di stampo religioso.207
Nella tradizione induista il matrimonio è il momento fondamentale nella vita di un
hindu e implica un radicale cambiamento di status sia per l’uomo sia per la donna. I
doveri coniugali del marito consistono nel proteggere la moglie, e nell’osservare il
dovere di fedeltà, di sostentamento, e di coabitazione. Questi doveri sono stati
conservati anche nel diritto hindu moderno, e non si è dato risalto al dovere di
protezione, ma più in generale essi sono stati inseriti in un quadro formale di
uguaglianza dei coniugi.
Secondo la concezione hindu, la donna con il matrimonio raggiunge un traguardo
decisivo della sua vita: entra a far parte della famiglia del marito. Da ciò derivano
tutta una serie di conseguenze sul piano patrimoniale e dei rapporti con gli altri
membri della famiglia dello sposo.208
207
CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di
famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il
terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,
Franco Angeli, Milano, 2002, p.345. 208
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.148.
- 122 -
Nel modello ideale di matrimonio hindu esiste un principio d’indissolubilità.
L’introduzione del divorzio è stata la vera novità del 1955. Anche se il divorzio era
già riconosciuto nel diritto tradizionale, in alcune zone e per alcune caste, questo è un
altro esempio di riconoscimento nel diritto statale di una regola consuetudinaria.
L’art. 29 (a) dell’Hindu Marriage Act stabilisce che: “ Nothing contained in this Act
shall be deemed to affect any right recognised by custom or conferred by any special
enactment to obtain the dissolution of a Hindu Marriage, whether solemnized before
or after the commencement of this Act ”.209
Il diritto statale, quindi, ammette forme di divorzio consuetudinario affianco a quella
prevista dalla legge. Questo è un altro esempio di stratificazione delle regole, che
guidano la vita degl’ hindu.
“ L’intervento modernizzatore dell’India sul diritto hindu, riportato nell’alveo
costituzionale e riformato in alcuni suoi aspetti, non muta il ruolo particolarmente
controverso del diritto hindu, così come degli altri diritti personali, a partire da quello
islamico, nel diritto indiano. Il diritto hindu rappresenta lo strato giuridico più antico
della tradizione indiana e si trova adesso ad essere una componente ufficiale
dell’ordinamento giuridico della Repubblica indiana. In questo passaggio, esso ha
subito dei significativi cambiamenti, ma sempre in un quadro in cui viene
riconosciuta la diversità giuridica degli hindu.
Il modello che viene contrapposto è quello di un diritto uniforme e laico, basato sulla
cittadinanza e non sull’appartenenza religiosa e comunitaria ”.210
209
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.148. 210
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.149.
- 123 -
2.1.2 Hindu Adoption and Maintenance Act e Hindu Succession Act
Non esiste una legge generale sul tema dell’adozione, ma è consentita dall’Hindu
Adoption and Maintenance Act e dalla consuetudine.
Dato che l’adozione è l’affiliazione legale di un bambino, si forma così la materia del
diritto personale.
Musulmani, Cristiani e Parsi, che non hanno leggi apposite riguardanti l’adozione,
possono chiedere l’affidamento di un bambino secondo le norme del Guardians and
Wards Act del 1890. Una volta che il bambino in affido raggiunge la maggiore età,
egli è libero di sciogliere i rapporti con la famiglia affidataria. Inoltre il bambino non
ha nessun diritto legale in linea successoria.
Anche gli stranieri, che vogliono adottare bambini indiani, devono rivolgersi al
giudice che si baserà su questa legge.
Il diritto hindu relativo all’adozione è stato modificato e codificato dal già citato
Hindu Adoption and Maintenance Act del 1956, secondo cui un uomo e una donna
hindu, aventi capacità giuridica, possono prendere in adozione un bambino o una
bambina.
Nell’affrontare la questione della tutela dei figli minori, come in altri settori del
diritto di famiglia, non esiste nessuna legge uniforme. Il diritto hindu, il diritto
musulman, e il Guardians and Wards Act del 1890 sono i tre sistemi giuridici su cui
fondarsi. 211
211
“Personal Law” in www.archive.gov.in/citizen/lawnorder, 2011.
- 124 -
L’Hindu Adoption and Maintenance Act stabilisce che i figli di un genitore hindu che
si sia convertito a un’altra religione prima della loro nascita non hanno diritto di
ereditare beni dei parenti hindu. Non solo, ma un genitore convertito perde persino la
custodia dei propri figli.
Il divieto, però, non riguarda la conversione al buddhismo, al giainismo o alla
religione sikh, bensì al cristianesimo, all’islam, al giudaismo o alla religione parsi. Si
tratta di una discriminazione su base religiosa, in contraddizione con i principi di uno
Stato laico e con gli stessi principi fondamentali contenuti nella Costituzione, in
particolare con l’art. 25.
È chiaro che queste limitazioni sono volte a creare una condizione di privilegio per i
seguaci della religione maggioritaria.212
L’Hindu Succession Act del 1956, invece, è in effetti, tutto incentrato sui complessi
procedimenti di successione che si sviluppano all’interno delle famiglie allargate
(joint families). Queste sono ancora molto diffuse in India, nonostante la crescente
tendenza, nei grandi centri urbani, a formare famiglie nucleari.
La legge prevede come riferimento il tipo di famiglia allargata più diffuso,
conosciuta con il nome di Mitakshara, e alcune altre tipologie diffuse al sud, note
come tarwad, tavazhi, kutumba, kavaru e illom.
Non analizzerò tutti i complessi procedimenti successori di tutte le tipologie di
famiglia allargata, ma in sintesi si può dire che le istituzioni familiari prese in
considerazione dalla riforma del 1956 e le consuetudini ereditarie che si tramandano,
sono retaggio di una tradizione secolare, legata a fattori culturali e religiosi.
212
CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di
famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il
terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,
Franco Angeli, Milano, 2002, p.342.
- 125 -
“ Bisogna inoltre rilevare che le donne non possono entrare a far parte di famiglie
tipo Mitakshara. Questo implica che, originariamente, le donne non potevano godere
di eredità, derivanti dalla famiglia allargata. La situazione è stata in parte modificata
dall’Hindu Women’s Right to Property Act del 1937. Anche questa legge, però, non
soddisfaceva in pieno gli interessi delle donne. Infatti, in caso di morte del marito, la
vedova riceveva in eredità una cifra limitata. L’altra possibilità era che la donna
prendesse la quota di comproprietà del marito nella joint family in una data scelta,
potendo percepire così gli interessi maturati. L’Hindu Succession Act del 1956
modifica la situazione nel senso che prevede che la moglie percepisca la quota di
comproprietà del marito, al momento della sua morte, per successione ereditaria o
testamentaria. In un paese dove le discriminazioni nei confronti delle donne sono
all’ordine del giorno, è chiaro che un simile sistema tuteli ben poco questi soggetti.
La stessa istituzione, della joint family, riserva in molti casi un ruolo di totale
subalternità alle donne ”.213
213
CASOLARI M. “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di
famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il
terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,
Franco Angeli, Milano, 2002, p.344.
- 126 -
3. Muslim Law
In India, la legge di famiglia musulmana è amministrata dall’autorità statale, come
accade al diritto di famiglia hindu. Com’è successo per l’Hindu Law, anche per il
diritto islamico sono stati provati alcuni limitati tentativi di codificazione. Per di più
anche l’applicazione del diritto di famiglia islamico è soggetto all’influenza del
precedente giurisprudenziale e dei provvedimenti legislativi adottati dallo Stato.
Anche in questo caso il sistema giuridico anglosassone ha influito sull’evoluzione del
diritto musulmano.
Le fonti della legge islamica sono il Corano e gli hadith, dei detti e delle azioni di
Maometto. Gli hadith furono compilati nei primi secoli di diffusione dell’Islam e
alcune delle più antiche scritture costituiscono dei classici della letteratura giuridica
musulmana.
Le due grandi correnti in cui si divide l’Islam, quella sunnita e quella sciita, seguono
i precetti di scritture diverse.
Un’altra fonte importante è l’ijma, letteralmente “consenso dei giuristi”, che è
formata da pareri dei seguaci e degli allievi del Profeta.
Infine il qiya, o “analogia”, è una raccolta di deduzioni che derivano dal raffronto tra
le prime tre fonti di norme.214
Avendo come base queste fonti, è stata formulata una successiva legge islamica che è
stata codificata secondo diverse versioni, a seconda della scuola giuridica a cui si
riferiva. Queste scuole sono comparse nella prima fase di evoluzione del diritto
islamico. Sono tutte valide e autorevoli, anche se non sono scambiabili tra loro: ogni
gruppo religioso presente nei paesi islamici o dove l’Islam si è diffuso, infatti, si
riferisce a scuole precise. In India sono riconosciute come principali scuole di diritto
islamico: la Hanafi, la Shafei, l’Ithna Anshari o Jafari, l’Ismaili o Fatimi. Le prime
due sono seguite dai Sunniti, e le altre dagli Sciiti.215
214
CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di
famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il
terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,
Franco Angeli, Milano, 2002, p.346. 215
CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di
famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il
terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,
Franco Angeli, Milano, 2002, p.347.
- 127 -
La formulazione e l’applicazione del diritto di famiglia, la shari’a, cambia in base
alle quattro scuole generalmente seguite in India.
Nonostante il fenomeno delle caste sia solo della società indù, non bisogna pensare
che la società musulmana non sia meno complessa e stratificata. All’interno della
comunità musulmana in India esiste una varietà di gruppi non solo religiosi, ma
anche etnici. Alcuni di questi gruppi si collocano su posizioni in un certo senso
eterodosse rispetto alla comunità e alle scuole dottrinali principali. Altre si
distinguevano per il carattere ibrido della loro fede, che univa elementi musulmani e
hindu.
In seguito si tentarono un’unificazione e un’uniformazione delle varie tendenze
dottrinali e legali in materia di legge personale del diritto musulmano, simili a quello
attuato e in parte realizzato per il diritto indiano.
Il Muslim Personal Law (Shariat) Application Act del 1937 estendeva l’applicazione
della shari’a, almeno teoricamente, a tutta la popolazione musulmana dell’India.216
“ 2. Notwithstanding any custom or usage to the contrary, in all questions regarding
intestate succession, special properties of females, including personal property
inherited or obtained under contract or gift or any other provision of personal law,
marriage, dissolution of marriage […], maintenance, dower, guardianship, gifts,
trust and trusts properties, and wakfs […] the rule of decision in cases where the
parties are Muslims shall be the Muslim Personal Law (Shariat) ”.217
216
CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di
famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il
terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,
Franco Angeli, Milano, 2002, p.347. 217
Muslim Personal Law (Shariat) Application Act, 1937, riportato da Mahmood, pp.299-300, cit. in
CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di
famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il
terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,
Franco Angeli, Milano, 2002, p.347.
- 128 -
Le scuole di diritto musulmane e altre comunità di minore importanza hanno adottato
solo in parte la shari’a, continuando a osservare le loro usanze consuetudinarie,
soprattutto in materia di eredità e successioni.
Non solo, ma la definizione uniformante di “Shariat” non rende la diversificazione
determinata dall’esistenza delle quattro scuole di diritto riconosciute in India. Perciò,
quando si parla della shari’a e della sua attuazione nel sistema indiano bisogna
sempre tener presente questa importante differenziazione.
3.1 Il matrimonio
Il matrimonio, secondo l’Islam, è un contratto, non un sacramento. Pertanto il
matrimonio è soggetto al consenso delle parti, alla risoluzione e all’adattamento dei
suoi termini secondo le richieste dei contraenti.
La stesura del contratto è resa più solenne dalla recitazione di alcuni versi del
Corano. I festeggiamenti che seguono non devono essere intesi come un rituale di
celebrazione.
In questi termini, il matrimonio islamico sembra essere un’istituzione molto liberale,
ma anche molto coercitiva. “ È infatti risaputo che il peso delle famiglie è
considerevole nella realizzazione dei matrimoni, ancora largamente combinati, nelle
società musulmane. Il consenso è quindi in moltissimi casi prevaricato dalla volontà
delle famiglie degli sposi. Una condizione che lede gravemente la libertà delle parti e
in molti casi compromette la felicità coniugale, con un danno quasi sempre maggiore
per la donna che per l’uomo.
Gli elementi potenzialmente progressisti del contratto di matrimonio musulmano
sarebbero in grado di emergere se fossero rispettate le condizioni di effettiva parità
tra i coniugi, che la tradizione coranica non preclude affatto. Non solo, ma se al
matrimonio musulmano fosse restituita la sua originale funzione di legalizzare i
rapporti amorosi e la procreazione, verrebbe anche superata la pratica deteriore del
matrimonio combinato ”.218
218
CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di
famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il
terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,
Franco Angeli, Milano, 2002, p.348.
- 129 -
Anche nel diritto di famiglia musulmano sono enunciate le cause d’impedimento che
renderebbero impossibile il matrimonio: queste sono sette.
In primo luogo il numero dei coniugi: è risaputo che il Corano stabilisce un massimo
di quattro mogli per il marito, mentre la donna deve essere rigorosamente
monogama.
La religione dei coniugi rappresenta un altro impedimento: le scuole di diritto seguite
in India permettono il matrimonio tra un uomo musulmano e una donna kitabiyya,
cioè devota a una delle religioni del “libro”, kitab. Perciò un uomo musulmano può
sposare una donna cristiana o ebrea.219
In India è considerato irregolare, ma non vietato, il matrimonio con seguaci di altre
religioni come hindu o parsi. Quest’atteggiamento di tolleranza giuridica era presente
già in epoca moghul.
Una donna musulmana, invece, può sposare solo un uomo musulmano. In India,
però, i matrimoni misti sono previsti, regolati e riconosciuti dalla legge, che in questo
caso non sarà religiosa. Come ho già accennato, lo Special Marriage Act del 1954 è
servito a rendere legittimi i matrimoni misti. Anche se in numero limitato, i
matrimoni tra hindu e musulmani si sono sempre celebrati in India, ma da alcuni anni
la propaganda di organizzazioni fondamentaliste hindu ha provocato il rafforzarsi
dell’idea contraria a queste unioni. Quando in un paese o in un quartiere di una città
si viene a sapere di un prossimo matrimonio misto, spesso succede che i due futuri
sposi e le loro famiglie siano vittime di minacce e violenze da parte di questi fanatici
hindu. 220
219
CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di
famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il
terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,
Franco Angeli, Milano, 2002, p.349. 220
CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di
famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il
terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,
Franco Angeli, Milano, 2002, p.349.
- 130 -
Un’altra causa d’impedimento del matrimonio è la consanguineità, come il rapporto
figlio-genitore adottivo. Inoltre un uomo non può sposare due donne unite da un
legame di parentela, come due sorelle o zia e nipote.
Il periodo di astinenza (idda), variabile secondo le scuole, che deve osservare la
donna dopo il divorzio, è una causa d’impedimento del matrimonio. Questa prassi
serve a evitare confusione nella paternità di eventuali figli concepiti prima del
divorzio. 221
Infine vi sono degli impedimenti misti, come il pellegrinaggio alla Mecca, durante il
quale si vietano le unioni coniugali e il divorzio, perché impedisce un successivo
matrimonio tra gli stessi coniugi. È però risaputo che, secondo l’Islam, quando è
pronunciata la formula del ripudio, quei due coniugi possono risposarsi tra loro solo
ad alcune condizioni. La donna deve osservare il periodo di astinenza, sposare un
altro uomo e consumare il matrimonio. A questo punto il secondo marito deve
divorziare perché la donna sia libera di risposare il suo primo marito. Le unioni
finalizzate a questo scopo sono concordate preliminarmente: è il c.d. matrimonio
fittizio.
221
CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di
famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il
terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,
Franco Angeli, Milano, 2002, p.350.
- 131 -
3.2 Il divorzio
Il divorzio è previsto e regolato dalla legislazione musulmana e finora è stato uno
strumento ad uso esclusivamente maschile.
“ È noto infatti che, mentre un uomo musulmano può divorziare dalla moglie
semplicemente sulla base dell’incompatibilità, questo diritto non è riconosciuto alla
donna, negli stessi termini in cui è riconosciuto all’uomo. Mentre un marito se la
cava semplicemente pronunciando la formula del ripudio, la donna deve sottoporre i
propri problemi all’attenzione di un giudice e avere dei testimoni o delle prove che
confermino la cattiva condotta del marito. Sia per il Corano che per la shari’a le
motivazioni che possono legittimare la richiesta di divorzio da parte della moglie
sono l’incuria del marito e l’incapacità di garantire benessere, non solo materiale,
alla famiglia, l’adulterio, la crudeltà. La posizione della donna musulmana in
relazione al divorzio è quindi di evidente svantaggio ”. 222
All’uomo musulmano è riconosciuto un potere assoluto di ripudiare sua moglie in
qualunque momento, anche senza ragione.
“ Il termine talaq, significa “ripudio”, “divorzio”, deriva dalla radice tallaqa, che
significa liberare un animale dalla catena che lo tiene legato o dalla cavezza. In
termini legali talaq significa quindi liberare la moglie dal legame del matrimonio.
Questo stesso termine è lo stesso che viene utilizzato dall’uomo nel momento in cui
pronuncia la formula del ripudio. Il divorzio è attivo nel momento in cui è
pronunciata la formula, anche in assenza di testimoni e della moglie, che non è
neppure necessario avvisare ”. 223
In India alcune scuole, come la Hanafi, non considerano alcuna formula specifica,
mentre altre, come la Ithna Ashari, pretendono che sia utilizzata una formula
specifica e che sia espressa in termini chiari e precisi l’intenzione di sciogliere il
matrimonio.
Le pronunce del talaq possono essere revocabili o irrevocabili.
222
CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di
famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il
terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,
Franco Angeli, Milano, 2002, p.350. 223
CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di
famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il
terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,
Franco Angeli, Milano, 2002, pp.350-351.
- 132 -
Un pronunciamento di divorzio revocabile concede all’uomo un locus penitentiae, la
formula irrevocabile, invece, produce il risultato dell’impossibilità di riconsiderare la
questione.
Le principali forme di divorzio possono essere ordinate nel seguente modo:
1. talaq-al-sunna, ovvero in conformità con i dettami del Profeta
a) ahsan, o la “più approvata”
b) hasan, approvata
2. talaq-al-bida, ovvero “secondo innovazione”, quindi non approvata
a) tre dichiarazioni di divorzio nello stesso momento, definito anche
“triplo divorzio”
b) una sola dichiarazione irrevocabile, solitamente resa per iscritto.224
“La forma ahsan consiste nel pronunciare la formula del divorzio una sola volta nel
periodo di tuhr, o di “purezza”, ovvero quando la moglie non ha il ciclo mestruale e
quindi si trova in un periodo potenzialmente fertile. A questo deve seguire un
periodo di astinenza, che dura per tutto il periodo di tuhr e per quello dell’idda. Dopo
la conclusione dell’idda, il divorzio è considerato irrevocabile. In caso di divorzio
l’idda ha una durata di tre cicli mestruali o fino al parto, se la donna aspetta un
figlio”. 225
Il periodo di astinenza serve appunto a non confondere la paternità di figli nati dopo
il divorzio, ma soprattutto è ritenuto un periodo di riflessione concesso al marito,
durante il quale egli può tornare sulla propria decisione. Il marito, infatti, può
revocare il divorzio in qualunque momento durante l’idda e manifestare la sua
decisione a parole o con fatti concreti: la ripresa dei rapporti sessuali è un chiaro
segno di revoca del divorzio.
224
CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di
famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il
terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,
Franco Angeli, Milano, 2002, p.351. 225
CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di
famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il
terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,
Franco Angeli, Milano, 2002, p.351.
- 133 -
Nel procedimento di divorzio, si può rilevare l’importanza fondamentale della
parola.
La legge musulmana conta sul senso di responsabilità dei singoli. Gli uomini
musulmani educati da famiglie virtuose crescono con l’idea che il divorzio sia uno
strumento di libertà, ma anche una pratica deteriore. Inoltre, quando i problemi di
coppia ormai sono molto evidenti, le famiglie e gli amici si adoperano perché si
appianino i dissapori. Nella maggior parte dei casi, quando uno dei due coniugi
esprime la volontà di divorziare, questa situazione è vissuta con grande rammarico
dai familiari e amici, tranne che il comportamento della controparte sia stato
inequivocabilmente riprovevole.
“ Il divorzio hasan è approvato, ma meno della precedente. Questa modalità consiste
nel ripetere la formula del ripudio per tre consecutivi periodi di “purezza”. Secondo
questa tipologia, il divorzio diviene effettivo dopo circa tre mesi. Se nel frattempo
riprendono i rapporti sessuali tra coniugi o il marito revoca il ripudio, il divorzio è
annullato. Se invece il periodo trascorre senza ripensamenti, alla sua conclusione il
divorzio diviene effettivo, i rapporti sessuali illegittimi e deve trascorrere il periodo
di idda, nelle modalità descritte. Secondo questa forma di divorzio, i due coniugi non
possono risposarsi tra loro, a meno che non si ricorra al matrimonio fittizio. Il
matrimonio fittizio rappresenta una sorta di punizione che l’uomo deve affrontare,
per aver commesso un’azione sostanzialmente peccaminosa come il divorzio ”.226
226
CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di
famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il
terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,
Franco Angeli, Milano, 2002. , p.352.
- 134 -
Le altre due forme di divorzio non sono riconosciute dalla scuola Ithna Ashari e
Fatimi e sono disapprovate da Sunniti e Sciiti perché vengono ritenute delle
deplorevoli scorciatoie. La formula della tripla dichiarazione consiste nel concentrare
in una sola volta le tre formule del ripudio che nella forma hasan sono diluite in tre
mesi. Invece la formula dell’unica dichiarazione irrevocabile, resa per iscritto, si
ritiene che sia una versione abbreviata del divorzio ahsan. Queste due forme di
divorzio sono oggi molto praticate in India a differenza che negli altri paesi
musulmani.227
Si assiste a una contraddizione per cui, nonostante non sia un paese
musulmano, l’India applica una delle istituzioni più retrograde della legge personale
islamica.
“ Un’altra importante forma di divorzio è rappresentata dal talaq-e tawfid, o divorzio
per delega. In questo caso viene stipulato un contratto secondo il quale, ad alcune
condizioni, il marito rimette la scelta del divorzio nelle mani della moglie. Uno dei
fini che rendono legittima questa forma di divorzio è il fatto di evitare che il marito
sposi una seconda moglie senza il consenso della prima. Un’altra importante ragione
è rappresentata dalla necessità di far fronte all’eventuale incapacità da parte del
marito di provvedere al mantenimento della moglie. Questa forma di divorzio è
l’arma più efficace che le donne hanno di ottenere il divorzio, senza ricorrere al
tribunale ”.228
In India, non essendoci ancora una legislazione uniforme in tal senso, questa pratica
di divorzio è molto diffusa tra le donne musulmane.
Bisogna prendere in considerazione anche il caso in cui un uomo musulmano sposi
una donna di religione diversa, visto che ciò è permesso dalla shari’a. In caso di
divorzio l’uomo potrà ricorrere al talaq, come previsto nella shari’a.
227
CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di
famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il
terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,
Franco Angeli, Milano, 2002, p. 352. 228
CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di
famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il
terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,
Franco Angeli, Milano, 2002, p.353.
- 135 -
Se invece egli si adegua alle formalità del paese della moglie non potrà ricorrere al
talaq, ma dovrà accettare le leggi in vigore nel paese della moglie. Lo Special
Mariage Act del 1954 regola il divorzio tra un uomo musulmano e una donna
hindu.229
La legislazione islamica disciplina anche il divorzio consensuale, che avviene
quando entrambi i coniugi prendono atto, di comune accordo, dell’impossibilità di
continuare il rapporto matrimoniale, per cause d’incompatibilità o altro. In questo
caso la donna può decidere di restituire all’uomo una parte o la totalità della cifra che
egli le aveva dato in dote al momento del contratto di matrimonio (mahr), ma questa
clausola è facoltativa.230
Quando si ha come causa di divorzio l’adulterio della donna, questo deve essere
provato e quindi interverrà il giudice perché non basterà che il marito pronunci la
formula del ripudio. Nel caso in cui l’adulterio non sia certo, l’uomo ha la possibilità
di ritrattare in udienza. Se invece non ha intenzione di ritrattare, sarà chiamato a
esprimersi con quattro dichiarazioni, alle quali la donna ha diritto di replica con
simili dichiarazioni d’innocenza. Le quattro dichiarazioni sostituiscono i quattro
testimoni, necessari per dimostrare l’adulterio secondo i principi classici della legge
musulmana.
Infine un’altra importante forma di divorzio è quella per decreto. In questo caso, i
coniugi, nell’incapacità di risolvere i contrasti, si rivolgono a un giudice che tenterà
di ricomporre la lite. Se la riappacificazione è irrealizzabile, il matrimonio è
annullato per decreto.
229
CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di
famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il
terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,
Franco Angeli, Milano, 2002, p.353. 230
CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di
famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il
terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,
Franco Angeli, Milano, 2002, p.353.
- 136 -
“ Questo tipo di divorzio è noto come faskh, un termine che deriva da una radice il
cui significato è “annullare” o “rescindere un contratto”.
Si tratta di una pratica che trae origine dal Corano, ma è stata introdotta in India dal
Dissolution of Marriage Act del 1939, che l’ha imposta a tutte le scuole di diritto
musulmano seguite nel paese. Attraverso il ricorso a un’entità super partes, questa
legge rafforza la posizione delle donne. ” 231
La richiesta di divorzio da parte della moglie può essere accettata se si verificano
determinate circostanze, ad esempio: la scomparsa del marito per un periodo non
inferiore a quattro anni, l’incapacità di mantenere moglie e prole, l’incarcerazione
per un periodo superiore a sette anni, l’incapacità di adempiere alle proprie funzioni
coniugali per un periodo inferiore ai tre anni, l’impotenza, la malattia mentale per un
periodo superiore a due anni, la lebbra o una malattia sessualmente trasmessa, la
crudeltà. A queste cause si deve aggiungere il matrimonio contratto da parte del
padre o del nonno della sposa, quando questa aveva un’età inferiore a quindici
anni.232
231
CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di
famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il
terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,
Franco Angeli, Milano, 2002, p.354. 232
CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di
famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il
terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,
Franco Angeli, Milano, 2002, p.354.
- 137 -
3.3 La successione
Il diritto islamico disciplina la successione in modo molto articolato e completo.
Il marito e la moglie possono essere eredi l’uno dell’altra; le donne possono
ereditare, anche se solo la metà di un capitale destinato all’uomo.
I genitori e i parenti di grado ascendente ereditano, anche se vi è un discendente
maschio.
Esistono alcune regole di esclusione dall’asse ereditario: i coniugi, i genitori e i figli
non possono essere mai esclusi dall’eredità, ma possono estromettere altre persone.
Motivi di estromissione possono essere la differenza di religione, lo stato di
schiavitù, l’illegittimità o il sesso.
L’Islam stabilisce che un non musulmano non può ereditare da un musulmano, anche
se in India questa regola non dovrebbe essere osservata perché lederebbe i principi
fondamentali della Costituzione. Questa regola, però, è seguita e spesso capita che
parenti hindu non riescano a ereditare da membri musulmani della famiglia.
Nonostante la schiavitù non esista più, questa regola è ancora in vigore in India.
I figli illegittimi possono ereditare dalla madre, ma non dal padre. Infine le figlie
femmine possono essere estromesse in base a norme consuetudinarie o regole che
sono in vigore in comunità minori.
La norma più importante e interessante riguardante la successione è quella
sull’eredità tra marito e moglie. Questa prevede che, se muore la moglie, in presenza
di figli, il marito eredita un quarto della cifra dedotte le spese funerarie, anche
eventuali debiti. Se invece non ci sono figli, il marito eredita la metà del patrimonio.
In caso di morte del marito, se ci sono figli, la moglie eredita un ottavo del
patrimonio, se invece non ci sono figli, eredita un quarto. Se vi sono più mogli,
queste dovranno dividere equamente la parte di un ottavo o di un quarto loro
destinata.
I figli dividono la parte rimanente, secondo il principio per cui ai figli maschi spetta
una parte in più delle femmine, vale a dire, rispettivamente due settimi e un
settimo.233
233
CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di
famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il
terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,
Franco Angeli, Milano, 2002, p.358.
- 138 -
4. Le Family Courts
Il matrimonio, come istituzione, è diventato oggetto di un esteso controllo
giurisdizionale. Esiste, infatti, una serie di provvedimenti che si occupano di
matrimonio in tutti i suoi aspetti.
La necessità di istituire tribunali di famiglia è stata sottolineata da Durgabi
Deshmukh, che nel 1953, dopo un suo viaggio in Cina, dove studiò il lavoro dei
tribunali di famiglia, propose l’istituzione di tali tribunali in India a Jawaharlal
Nehru, all’epoca Primo Ministro.
La costituzione dei tribunali di famiglia è considerata una pietra miliare nella storia
della giustizia indiana. Il Family Courts Act 234
del 1984 stabilì che la creazione di
tribunali di famiglia doveva essere resa nota e obbligatoria attraverso la
comunicazione sulla Gazzetta ufficiale da parte del Governo centrale. Queste Corti
dovevano essere situate in città, dove la popolazione superava il milione di abitanti o
in una qualsiasi zona in cui il Governo centrale lo ritenesse necessario.
Uno o più giudici compongono la Family Court, ma ogni giudice è competente ad
esercitare tutti i poteri della Corte.
Il Preambolo della legge, The Family Courts Act del 1984, emanata dal Parlamento
indiano, afferma che essa è: “ An Act to provide for the establishment of Family
Courts with view o promote conciliation in, and secure speedy settlement of disputes
relating to marriage and family affairs and for matters connected therewith. ”
Nel Preambolo, quindi, sono enunciati gli obiettivi in capo ai tribunali di famiglia
che consistono nel promuovere la conciliazione e garantire una rapida risoluzione
delle controversie in materia di matrimonio e diritto di famiglia per i casi connessi ad
esso.
I tribunali di famiglia sono liberi di sviluppare le proprie regole di procedura, e una
volta che il tribunale le applica, le leggi così inquadrate scavalcano le norme
procedurali contemplate nel codice di procedura civile. Difatti il codice di procedura
civile è stato modificato per poter permettere ai tribunali di famiglia di creare proprie
norme procedurali.
234
Adv. PHILIP MATHEW, BIMAL ANTONY, “Family Courts: Objectives and Functioning”,
2011, in www.academia.edu/3354551/familycourts-objectivesandfunctioning .
- 139 -
Molta importanza è data alla risoluzione delle controversie attraverso la mediazione e
la conciliazione. Questo assicura che la soluzione dei casi avvenga attraverso un
accordo tra entrambe le parti e riduce la possibilità di successivi conflitti.
Lo scopo, dunque, di questi tribunali è di creare un ambiente conforme dove le
controversie familiari siano risolte in via amichevole. I casi sono tenuti lontani dalle
trappole di un sistema giuridico formale.
La legge prevede che una parte non ha diritto a essere rappresentata da un avvocato
senza l’espressa autorizzazione della Corte. Tuttavia, immancabilmente la Corte
concede l’autorizzazione e solitamente è presente un avvocato che rappresenta le
parti.
L’aspetto più singolare riguardante il procedimento dinanzi al tribunale di famiglia è
che per prima cosa si attua la procedura di conciliazione per risolvere il caso, ma, se
la procedura di conciliazione non si ultima con successo, il caso sarà portato in
giudizio davanti alla Family Court. I conciliatori sono professionisti nominati
direttamente dalla Corte.
Una volta concluso il giudizio, la parte che si ritiene lesa dalla sentenza potrà
presentare ricorso dinanzi all’High Court. Tale appello sarà ascoltato da una Corte
composta di due giudici.
La giurisdizione dei tribunali di famiglia si occupa di tutti i casi che riguardano le
questioni matrimoniali, il mantenimento o gli alimenti e la custodia dei figli in una
controversia civile o di divorzio. Inoltre le Family Courts trattano i seguenti
argomenti:
- istanze o azioni legali tra le parti di un matrimonio: separazione legale,
annullamento del matrimonio o divorzio;
- questioni di mantenimento;
- in determinate circostanze, ordini d’ingiunzione derivanti da un rapporto
matrimoniale;
- accertamento dello stato di legittimità di qualsiasi persona;
- istanze o azioni legali riguardanti dispute tra le parti per la proprietà;
- tutela o custodia di eventuali minori o bambini.235
235
Adv. MATHEW P., ANTONY B., “Family Courts: Objectives and Functioning”, 2011, in
www.academia.edu/3354551/familycourts-objectivesandfunctioning .
- 140 -
Come già detto, i tribunali di famiglia sono abilitati a formulare le proprie norme
procedurali, ma fino ad allora devono seguire il codice di procedura civile. Questa è
una delle caratteristiche che rende unico il tribunale di famiglia indiano, e non è la
sola.
Non è necessario raccogliere testimonianze e la sentenza può essere concisa
contenendo solo la descrizione del caso e i motivi della decisione.
Il ricorso all’High Court può essere presentato entro trenta giorni dalla data della
sentenza, ordinanza o decreto emesso dal tribunale di famiglia.
Il procedimento può essere svolto nell’ufficio privato del giudice sa la parte lo
desidera.
Come affermato in precedenza, le parti non possono essere rappresentate da un
avvocato senza l’autorizzazione del giudice, ed egli può decidere di imporre i servizi
di un esperto legale come amicus curiae.
Secondo il Family Courts Act, il Governo statale, in consultazione con la High Court,
può stabilire norme riguardanti l’Association of social welfare agencies, per regolare
le sue funzioni e i suoi scopi relativamente alle attività svolte con il tribunale di
famiglia e si tratta di: regolare le istituzioni e organizzazioni che sono impegnate in
attività di assistenza sociale o dei loro rappresentanti; prevedere la presenza di
persone professionalmente impegnate in attività di promozione del benessere della
famiglia e infine il lavoro delle persone che si occupano del benessere sociale e di
qualsiasi altra persona facente parte di un’associazione che, lavorando con un
tribunale di famiglia, può esercitare la propria competenza in modo più efficace in
conformità con le finalità del Family Courts Act.236
In conclusione bisogna evidenziare che la mancanza di uniformità per quanto
riguarda le norme stabilite dai diversi Stati porta anche alla scorretta applicazione
della legge. Anche se la legge mirava a rimuovere il pregiudizio di genere nella
normativa vigente, l’obiettivo è ancora da raggiungere.
La sostituzione frequente dei consulenti matrimoniali sta causando molti problemi
alle donne perché a ogni nuovo consulente devono raccontare dall’inizio la loro
situazione e questo porta a un rallentamento nel procedimento civile.
236
MATHEW P., ANTONY B., “Family Courts: Objectives and Functioning”, 2011, in
www.academia.edu/3354551/familycourts-objectivesandfunctioning .
- 141 -
5. Il conflitto tra diritto statale e diritti personali: il caso Shah Bano
Un altro punto di vista della complicata interazione tra diritto statale e diritti religiosi
si evidenzia quando, per le caratteristiche dei casi trattati, devono essere applicate sia
norme che rientrano nel diritto personale, specifico di una determinata comunità, sia
norme di carattere territoriale, applicabili a tutti i cittadini indiani. A questo proposito
ha avuto importantissimo rilievo il caso Shah Bano deciso dalla Supreme Court nel
1985, che è considerato di grande interesse non solo per le delicate questioni
giuridiche affrontate, ma anche e soprattutto per le reazioni che provocò in tutta
l’India acuendo la contrapposizione tra le comunità musulmana e hindu.
“ Quel che entrò chiaramente in gioco nella vicenda giudiziaria legata al nome Shah
Bano fu l’uguaglianza della tutela dei diritti dei cittadini indiani, che si venne a
scontrare con l’applicazione di un diritto personale, con tutte le sue implicazioni che
ciò poteva avere sui sentimenti della comunità musulmana, molto sensibile al
riconoscimento delle proprie prerogative all’interno della società indiana e al
rapporto con le altre comunità ”.237
237
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.150.
- 142 -
5.1 La cronologia dei fatti
La vicenda riguarda un’anziana donna musulmana, Shah Bano, sposatasi con Ahmed
Khan, un avvocato benestante, nel 1932. Dopo quarantaquattro anni di matrimonio il
marito la allontanò di casa e nel 1978 essa gli fece causa per ottenere il
mantenimento. Qualche mese dopo il marito divorziò dalla donna con il
procedimento di talaq definitivo, come già descritto, un atto unilaterale di ripudio
che costituisce il metodo più comune di divorzio nel diritto islamico.
Il marito, a seguito del divorzio, chiedeva l’applicazione della norma del diritto
islamico per cui il periodo di mantenimento della donna divorziata è limitato
all’iddat, cioè tre mesi.
Nel 1980 l’High Court del Madhya Pradesh aveva riconosciuto il diritto al
mantenimento a Shah Bano e così la questione fu portata dall’ex marito davanti alla
Supreme Court.238
Shah Bano aveva basato la sua difesa sull’art. 125 del Codice di Procedura Penale:239
“ (1) If any person having suficient means neglets or refuses to maintain- (a) his
wife, unable to maintain herself…, a Magistrate of the first class may, upon proof of
such neglecter refusal, order such person to make a monthly allowance for the
maintenance of his wife ”.240
Lo stesso articolo prevede che in caso d’inadempimento sia comminata la pena del
carcere fino a un mese o fino al momento dell’effettuato pagamento, se precedente.
Il tema del mantenimento è materia del diritto civile.
“Questa disposizione del Codice di Procedura Penale è giustificata dal fatto che si è
inteso trovare un rimedio a situazioni d’indigenza che, potendo mettere a rischio la
vita delle persone, richiedono una tutela più rapida di quella che potrebbe essere
garantita da un costoso processo civile diretto ad accertare il diritto al
mantenimento”.241
238
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010. 239
Il Codice di Procedura Penale del 1973 deriva da quello del 1898, nel quale il beneficio
naturalmente non era previsto a favore delle done divorziate. 240
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
pp.150-151. 241
R. N. SAXENA, The Code Of Criminal Procedure, Central law Agency, Allahabad, 2004, cit. in
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.151.
- 143 -
Le domande a cui diede risposta la Corte Suprema, furono le seguenti:
- se con il pronunciamento del talaq, e con la fine del periodo dell’iddat, una moglie
divorziata cessa di essere moglie;
- se c’è conflitto tra le disposizioni dell’art.125 del Codice di Procedura Penale, e
quelle della legge personale musulmana riguardo alla responsabilità del marito
musulmano nel provvedere al mantenimento della moglie divorziata;
- se l’art.127 del Codice di Procedura Penale escluda il pagamento di un
mantenimento alla moglie divorziata, una volta che il mahr o dono nuziale sia stato
pagato;
- se la responsabilità del marito nel mantenere la moglie divorziata è limitata al
periodo dell’iddat;
- se il mahr è un mantenimento.242
La situazione che si creò fu quella di un conflitto tra il diritto musulmano, applicato
come legge personale, che pone dei limiti al diritto di mantenimento, e una legge
territoriale, quindi applicabile a tutti i cittadini indiani, inclusi i musulmani, che non
considera tale limite.
242
CAPUTO L., “Donne e diritti in India: il caso Shah Bano”, 2008, in
www.unipa.it/seminari/diritti_e_donne_in_india_shah_bano.doc .
- 144 -
5.2 Gli articoli del Codice di Procedura Penale indiano: da 125 a 128
Come già affermato, Shah Bano fondò la sua richiesta per il mantenimento in base
all’art. 125 del Codice di Procedura Penale. Gli artt. 125 e seguenti, del Codice di
Procedura Penale sono provvedimenti generici, utili ad assegnare un veloce e
contenuto rimedio economico a una classe di persone che non sono in grado di
mantenere se stesse. I soggetti dei provvedimenti sono persone indigenti che hanno
un parente prossimo abbiente, e quindi in grado di fornire loro un mantenimento che
le faccia sopravvivere. Il tipo di mantenimento previsto è simile a un’elemosina e per
molto tempo è stato sottoposto a un limite massimo di 500 rupie (limite rimosso solo
nel 2001).243
Questi articoli del codice hanno lo scopo di mantenere l’ordine pubblico, perché volti
alla prevenzione del vagabondaggio e dei suoi effetti sociali negativi.
Chiaramente, non si tratta di una materia di diritto civile riguardante il diritto al
mantenimento, da assegnarsi a una donna divorziata appartenente a una specifica
comunità religiosa.
Fino alla sentenza del 1985, gli articoli del Codice di Procedura Penale si
applicavano a tutte le comunità religiose visto che è legge penale generale.
L’ordinamento giuridico indiano, come si sa, è molto complesso, possiede un diritto
penale uniforme, mentre mantiene, per certi casi di diritto civile, le norme specifiche
di ogni comunità (Personal Laws). Ciò risale a una scelta britannica, volta a un non
intervento in questioni riguardanti usi e costumi legati alla religione specifica di ogni
comunità. Per questo motivo, già nel 1872, un articolo del Codice di Procedura
Penale, l’art. 488, era diretto antesignano dell’art. 125 c.p.p. del 1973.244
Invece per
le questioni inerenti il diritto civile vigono tutt’oggi le Personal Laws. Alcune di
queste regole personali, nel corso degli anni, sono state riviste. Fra le leggi che hanno
provveduto alla “revisione” vi è l’Hindu Code Bill, mentre il diritto personale
musulmano non è mai stata riformato.
243
CAPUTO L., “Donne e diritti in India: il caso Shah Bano”, 2008, in
www.unipa.it/seminari/diritti_e_donne_in_india_shah_bano.doc . 244
CAPUTO L., “Donne e diritti in India: il caso Shah Bano”, 2008, in
www.unipa.it/seminari/diritti_e_donne_in_india_shah_bano.doc .
- 145 -
Visto l’importanza dei temi che sono contenuti nei Personal Laws, soprattutto per
quanto riguarda i diritti delle donne, la modifica effettuata nel 1973 al Codice di
Procedura Penale ha permesso alle mogli divorziate il ricorso agli artt. 125 e seguenti
del codice stesso, dato che tale modifica faceva entrare tra gli aventi diritto anche
l’ex-moglie.
Il vantaggio del ricorso alla legge penale consiste nel fatto che dà risposte più veloci
ed efficaci.
Mohammed Ahmed Khan, ex-marito di Shah Bano, fece appello alla Corte Suprema
in merito all’art.127 del Codice di Procedura Penale.245
La norma, infatti, permette al
giudice di modificare un precedente ordine di mantenimento, assegnato ex art. 125
del Codice di Procedura Penale.
L’utilizzo dell’art. 127 è dovuto al fatto che nella legislazione islamica il matrimonio
è un contratto, che si può risolvere, e dopo il divorzio non resta nessun legame tra gli
ex-coniugi. La donna, generalmente, può risposarsi.
Essendoci diverse scuole di diritto islamico, la situazione può cambiare da zona a
zona.
Secondo la norma islamica l’uomo ha principalmente due doveri nei confronti
dell’ex-moglie: la restituzione del mahr, una sorte di dote che lo sposo deve alla
sposa per il solo fatto di aver contratto e consumato il matrimonio, e il pagamento del
mantenimento, per un preciso periodo di tempo, dopo la pronuncia del talaq. Questo
secondo obbligo, detto mata, nel diritto islamico indiano ha dato luogo a diverse
interpretazioni, poiché gli studiosi tentennano sul significato da dare alla parola, tra
“provvedere” e “mantenere”. L’accezione del termine mata è molto complicata e la
situazione di una donna divorziata cambia molto se si decide che abbia diritto ad un
mantenimento mensile o invece a un mantenimento limitato nel tempo.246
245
L’art. 127 c.p.p. riguarda le modifiche al provvedimento di sussidio (Alteration in allowance). 246
CAPUTO L., “Donne e diritti in India: il caso Shah Bano”, 2008, in
www.unipa.it/seminari/diritti_e_donne_in_india_shah_bano.doc .
- 146 -
Uno dei punti cruciali nell’interpretazione della regola islamica sulla questione del
mantenimento è proprio che, non essendoci più nessun legame tra gli ex-coniugi a
decorrere dalla fine dell’iddat, di solito si stabilisce che l’ex-moglie non abbia diritto
a un mantenimento oltre tale periodo.
Il senso dell’art. 127 c.p.p. è proprio quello di attenuare gli effetti dell’art. 125 c.p.p.,
secondo l’attuale visione della norma musulmana in India, come dimostra la sua
applicazione, contestuale alla modifica.247
247
CAPUTO L., “Donne e diritti in India: il caso Shah Bano”, 2008, in
www.unipa.it/seminari/diritti_e_donne_in_india_shah_bano.doc .
- 147 -
5.3 La sentenza della Supreme Court
La Corte Suprema, nell’aprile del 1985, si pronunciò a favore della prevalenza del
diritto territoriale su quello personale. Riconobbe all’anziana signora il diritto al
mantenimento in base all’art. 125 del Codice di Procedura Penale perché non
esisteva nessun motivo per escludere le donne musulmane dalla sua applicazione.
L’appartenenza a una determinata religione, sia essa musulmana, hindu, parsi o
qualunque altra, deve essere ritenuta totalmente irrilevante per l’applicazione di una
norma del Codice di Procedura Penale.
“ Lo scopo della norma, che è quello di evitare situazioni d’indigenza, “cut across
the barriers of religion” e il diritto personale delle parti non può avere nessun effetto
sull’applicabilità della norma, dal momento che la sua applicazione non viene
espressamente ristretta dalla legge. Infatti, l’art. 125 stabilendo l’applicabilità della
norma a una moglie, includendo anche la donna divorziata, non fa nessuna menzione
dell’appartenenza religiosa ”. 248
L’argomentazione della Corte ha però evitato di riconoscere un vero e proprio caso
di conflitto tra diritto islamico e diritto territoriale e, anche attraverso
l’interpretazione, in particolare delle norme coraniche, ha distinto lo stato della
donna che è in grado di provvedere a sé e agli altri, e la condizione della donna
esposta al rischio dell’indigenza. Pertanto la Corte, pur riconoscendo che in base al
diritto musulmano il diritto al mantenimento di una donna musulmana divorziata
termina allo scadere dell’iddat, ha creduto che questa norma non comprendesse il
caso in cui la donna divorziata non è in grado di provvedere per sé, cioè la situazione
prevista nell’art. 125 c.p.p., e quindi non vi è propriamente un conflitto.
In conclusione ciò che emerge è che se la donna divorziata può provvedere al suo
mantenimento, la responsabilità del marito termina con lo scadere dell’iddat, invece
la donna se non è in grado di mantenersi, ha il diritto di chiedere il mantenimento in
base all’art. 125 del Codice di Procedura Penale249
.
248
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.151. 249
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.152.
- 148 -
5.3.1 Le reazioni alla sentenza
I giudici interpretando sia la legge penale indiana sia alcune parti della normativa
personale islamica provocarono molte rimostranze: il verdetto ricevette una pessima
accoglienza da una buona parte della comunità islamica indiana e la società indiana
lo trasformò in un caso politico.
“ La valutazione della sentenza metteva in luce modi diversi di intendere la laicità
indiana, opponendo coloro che vedevano in essa una corretta applicazione del
principio e coloro che invece insistevano sul fatto che la laicità indiana includeva
necessariamente il rispetto dei diritti delle minoranze, mentre il caso Shah Bano si
traduceva, ad avviso di molti, in una violazione dei diritti della minoranza
musulmana, se non in una vera e propria aggressione contro l’identità musulmana.
[…] Mette in luce uno degli aspetti che diventeranno dominanti nel dibattito
sull’adozione del Codice civile uniforme, è la paura della comunità musulmana di
essere assimilata a quella hindu ”.250
È importante notare che le reazioni del Bharatiya Janata Party, il partito nazionalista
indiano, furono favorevoli perché la sentenza sembrava appoggiare il loro
programma politico di eliminazione di un diritto di famiglia musulmano distinto da
quello hindu, concepito come diritto nazionale.
Un altro aspetto della reazione musulmana, riguarda il rapporto tra diritti religiosi e
diritto statale. I diritti religiosi hindu, musulmano, e delle altre comunità sono
diventati diritti ufficiali, cioè sono applicati dalle Corti. Il giudice non è selezionato
in base alla sua fede religiosa e può capitare che un giudice hindu si occupi di una
materia di diritto islamico. Questo è quello che è successo per il caso Shah Bano, in
cui fu un giudice hindu non solo a intervenire sul diritto islamico, ma anche a
giustificare parte delle sue considerazioni in base all’interpretazione coranica,
scatenando la furia degli ulama, perché la consideravano un’intrusione.
250
TORRI M., Storia dell’India, Laterza, Roma-Bari, 2000, pp.719 e seguenti, cit. in
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.152.
- 149 -
5.3.1.1 Muslim Women (Protection of Rights on Divorce) Act (MWPRDA)
Dopo la sentenza del 1985 della Corte Suprema, ciò che ne seguì fu una complicata
situazione politica nazionale che indusse il primo ministro di allora, Rajiv Gandhi,
preoccupato di perdere peso elettorale presso i musulmani, a farsi ideatore di una
legge speciale.
Nel 1986 fu approvato il Muslim Women (Protection of Rights on Divorse) Act
(MWPRDA), con il quale fu regolata la materia del mantenimento in modo tale da
svuotare la decisione presa dalla Corte Suprema nel caso Shah Bano.
“ Il preambolo del MWPRDA dichiara che il fine dell’atto è “to protect the rights of
Muslim women who have been divorced by, or have obtained divorce from, their
husbands and to provide for matters connected therewith or incidental thereto.” E’
bene rimarcare che in questo caso siamo pienamente nella materia del diritto
personale musulmano e non del diritto territoriale ”.251
Il Parlamento, a seguito della crisi provocata dal caso Shah Bano, ricondusse la
materia nell’ambito del diritto personale islamico, accontentando così alcune
richieste della comunità musulmana.
La nuova legge cercò di porre fine a una situazione complessa derivante dalle
incertezze sulla definizione della norma di diritto musulmano.
Il MWPRDA è molto breve, composto di soli cinque articoli, e i più importanti per i
temi trattati, sono: il 3 e il 4.
L’art. 3 prevede che: “ Notwithstanding anything contained in any other law for the
time being in force, a divorced woman shall be entitled to – (a) a reasonable and fair
provision and maintenance to be made and paid to her within the iddat period by her
former husband ”.252
251
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.153. 252
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.153.
- 150 -
“ L’inizio dell’articolo chiaramente serve a escludere l’applicabilità dell’art. 125 del
Codice di procedura Penale, anche se va evidenziato che l’art. 5 prevede la
possibilità di assoggettamento volontario all’art. 125. L’art. 4 dispone invece che nel
caso in cui una donna divorziata, non risposata, “is not able to maintain herself after
iddat period” esiste il diritto al mantenimento.
Il punto spinoso è che questo diritto non è riconosciuto nei confronti del marito ma
nei confronti dei suoi parenti e, se questi non sono in grado di provvedervi, nei
confronti del wakf, vale a dire di una fondazione pia. Si può rimarcare allora la
differenza rispetto all’art. 125 del Codice di Procedura Penale dove il diritto al
mantenimento deve essere garantito dal marito ”.253
Daniel Latifi, che fu il difensore di Shah Bano durante il processo, ricorse contro
l’illegittimità costituzionale di tale legge254
.
Tra i vari argomenti sostenuti durante il ricorso, si può citare il seguente:
“ The Act is un-islamic and unconstitutional and it has the potential of suffocating
the Muslim women and it undermines the secular character, which is the basic
feature of the Constitution ”.255
L’Act è avvertito come una minaccia al carattere laico della Costituzione e al tempo
stesso come contrario agli sforzi di emancipazione delle donne musulmane.
253
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
pp.153-154. 254
Danial Latifi & Anr. v. Union of India (2001) http://indiankanoon.org/doc/410660/ 255
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.154.
- 151 -
“ L’argomento tecnico è che l’Act violerebbe gli artt. 14 e 21 della Costituzione che
stabiliscono il principio dell’uguaglianza di fronte alla legge e il diritto alla vita sia
perché è discriminatoria la stessa esclusione delle donne musulmane
dall’applicazione dell’art. 125 del Codice di Procedura Penale sia perché la tutela
derivante dalle sezioni 3 e 4 dell’Act è diversa256
.
Sull’altro fronte, l’opinione del Solicitor General, che rappresenta l’Unione indiana,
si concentra sul fatto che la questione del mantenimento rientra nel diritto personale e
che il diritto personale è “a legitimate basis for discrimination, if at all, and,
therefor, does not offend Article 14 of the Constitution.” Sotto altro profilo, è
osservato che il potere legislativo avrebbe pienamente la possibilità di modificare
l’art. 125 escludendo le donne musulmane. Quest’argomento, che sembra girare
attorno al problema con un approccio formalistico, in realtà centra la questione di
base, vale a dire l’esistenza in India di un sistema differenziato di diritti di famiglia e
la sua legittimità ”.257
La Corte, nel pronunciare la sua decisione, fa una premessa prendendo in
considerazione le condizioni sociali prevalenti nella società. Osserva che,
indipendentemente dall’appartenenza a una maggioranza o a una minoranza, si
evince che esiste un’ampia disparità tra uomini e donne per quanto riguarda la
disponibilità delle risorse economiche. La società indiana è “male dominated” 258
e
alle donne è assegnato un ruolo inferiore indipendentemente dalla classe sociale cui
appartengono. La Corte rileva anche che il matrimonio, a prescindere dal livello
d’istruzione della donna, frequentemente la porta a rinunciare alle proprie ambizioni
per dedicarsi alla famiglia, accentuando così la sua posizione di debolezza
economica e di dipendenza.
256
In base all’art. 14 “The State shall not deny to any person equality before the law or the equal
protection of the laws within the territory of India”. L’art. 21 stabilisce che “No person shall be
deprived of his life or personal liberty except according to procedure established by law” e include
anche il right to livelihood. 257
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.154. 258
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.155.
- 152 -
Secondo la Corte, il diritto al mantenimento delle donne che non riescono a
provvedere per sé sembra una questione di mera giustizia di genere e di diritti umani
“recognised by persons belonging to all religions and it is difficult to perceive that
Muslim law intends to provide a different kind of responsability ”.259
“ Ulteriormente la Corte afferma che la valutazione della questione deve essere
condotta in base al principio del secularism, che è parte della basic structure della
Costituzione. Infatti: “Solution to such societal problems of universal magnitude
pertaining to horizons of basic human rights, culture, dignity and decency of life and
dictates of necessity in the pursuit of social justice should be invariably left to be
decided on considerations other than religion or religious faith o beliefs or national,
sectarian, racial or communal constraints ”.260
Dopo aver pronunciato questo principio ispiratore, la Corte s’inoltra nell’analisi delle
disposizioni dell’Act. Il confronto delle disposizioni dell’Act con l’art. 125 del
Codice di Procedura Penale evidenzia, secondo i giudici, che le norme hanno lo
stesso scopo, vale a dire evitare l’indigenza imponendo a coloro che ne hanno la
possibilità di provvedere a chi si trova in grave difficoltà. Per questo motivo non si
può pensare che il regime differenziato dell’Act produca una discriminazione
privando un cittadino musulmano dei diritti che gli sono riconosciuti dal Codice. In
particolare, posto che gli stessi diritti che potevano essere difesi in base all’art. 125
possono ora essere tutelati dall’Act, quest’ultimo non può essere dichiarato
incostituzionale.
La Corte osserva anche che, nel momento in cui l’Act è entrato in vigore, il diritto
applicabile era quello sancito nel caso Shah Bano. Per l’accertamento del diritto
personale dei musulmani in merito ai diritti delle donne divorziate, il riferimento era
diventato il caso Shah Bano. La Corte ha evitato in questo caso di entrare
nuovamente nell’analisi delle norme di diritto islamico e di interpretare nuovamente i
versi del Corano e relativi commenti.261
259
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p. 155. 260
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p. 155. 261
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
pp. 155-156.
- 153 -
Quello che è invece importante prendere in considerazione, secondo la Corte, è se
l’Act abbia compiuto una deviazione dal diritto personale musulmano come stabilito
nel caso Shah Bano.
“ La conclusione della Corte su questo punto è che “The Act actually and in reality
codifies what was stated in Shah Bano’s case” ”.262
Come già affermato in precedenza, la ratio della norma del Codice di Procedura
Penale, su cui si basa il caso Shah Bano, è che il mantenimento serve a evitare
situazioni d’ indigenza e mendicità.
Le organizzazioni femministe, composte di donne musulmane che sono intervenute
in merito al caso Latifi, hanno criticato il fatto, che in realtà questo fine viene
perseguito non punendo il marito, ma provvedendo per il mantenimento a carico di
altri.
“ Ora, secondo la Corte, se le disposizioni dell’Act privassero la donna musulmana
divorziata del diritto di mantenimento nei confronti del proprio marito e disponessero
che il mantenimento debba essere pagato dai suoi parenti o in ultima analisi dal wakf
si avrebbe un’irragionevole e ingiusta sostituzione della disposizione dell’art. 125 del
Codice di Procedura Penale. La privazione del diritto conferito dall’art. 125, che
invece è garantito a tutte le altre donne indiane, comporterebbe un’irragionevole
discriminazione, visto che priverebbe le donne musulmane della tutela che invece è
riconosciuta alle donne hindu, parsi, jainiste, cristiane ecc. In tal caso vi sarebbe una
violazione dell’art. 14 della Costituzione, che prevede la equal protection of the law
in circostanze simili, e anche una violazione dell’art. 15, che proibisce ogni
discriminazione sulla base della religione, considerando che l’Act si applicherebbe
solo alle donne musulmane ”.263
La Corte per decidere prende come riferimento un principio fondamentale
d’interpretazione costituzionale, per cui nel caso di dubbio tra due interpretazioni
deve essere presa in considerazione, se possibile, l’interpretazione che permette di
mantenere la costituzionalità e quindi l’operatività della norma.
262
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.156. 263
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.156.
- 154 -
Il fulcro della questione diventa l’esistenza di un’interpretazione che consenta di
ritenere l’Act costituzionale e la Corte ritiene di coglierla nell’interpretazione
dell’art. 3 che permette di dire che il livello di tutela è lo stesso di quello previsto
nell’art. 125.
“ Secondo la Corte bisogna distinguere il dovere di provvedere equamente al
mantenimento e il momento in cui bisogna adempiervi. Sulla base di questa
distinzione, si può affermare che:
the Act would mean that on or before the expiration of the iddat period, the husband
is bound to make and pay a maintenance to the wife and if he fails to do so then the
wife is entitled to recover it by filing an application before the Magistrate as
provided in Section 3(2) but nowhere the Parliament has provided that reasonable
and fair provision and maintenance is limited only for the iddat period and not
beyond it. It would extend to the whole life of the divorced wife unless she gets
married for a second time ”.264
Perciò, la regola esposta dalla Corte è che un marito musulmano ha il dovere di
provvedere in modo ragionevole ed equo al futuro della moglie divorziata e il
mantenimento rientra in quest’obbligo. Più precisamente, il marito deve provvedere
al mantenimento della moglie per un periodo che si allunga oltre il periodo dei tre
mesi dell’iddat, e allora l’esigenza di tutela della vita e della dignità personale si
concretizza attraverso l’art.4 ponendo l’obbligo di solidarietà a carico dei parenti o
del wakf. 265
264
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
pp. 156-157. 265
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p. 157.
- 155 -
“ Alcuni studiosi, come Menski, hanno messo in luce come la politica dietro l’Act
del 1986 e la giurisprudenza formatasi su di esso siano più sofisticati di quanto possa
sembrare a prima vista, visto che è stato accettato formalmente il principio della
sottrazione delle donne musulmane alla tutela generale ma è stato introdotto
sostanzialmente lo stesso livello di tutela del diritto al mantenimento. Questa vicenda
mostra come il delicato equilibrio tra diritto statale e diritti religiosi possa assumere
diverse configurazioni e come l’analisi debba considerare sia gli aspetti formali, vale
a dire l’esistenza di leggi formali uniformi, sia gli aspetti sostanziali, vale a dire il
riconoscimento uniforme dei diritti ”.266
266
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p. 157.
- 156 -
CAPITOLO IV “ UNION CIVIL CODE”
1. Premessa
In epoche diverse, sono state promulgate leggi che avevano lo scopo di regolare in
modo uniforme tutte le comunità presenti in India.
Tra queste leggi, bisogna includere l’Indian Divorce Act del 1869, che, sebbene fosse
applicabile solo ai cristiani, in realtà costituì un importante inizio per la successiva
formulazione legislativa riguardante il divorzio, in particolare per le relative sezioni
dello Special Marriage Act del 1954 e dell’Hindu Marriage Act del 1955, citati nel
capitolo precedente.
Negli anni ’30 furono realizzate delle leggi, note come Matrimonial Causes Acts, che
chiarivano e regolavano temi come l’adulterio, la crudeltà ecc., e che consentirono di
perfezionare questa casistica all’interno delle leggi principali267
.
Nonostante il potere legislativo abbia compiuto importanti sforzi nella formulazione
di leggi in grado di fornire strumenti, anche se non uniformi, almeno utili per
un’ampia fascia di popolazione, non è riuscito nella creazione di un diritto di
famiglia laico e uguale per tutte le comunità indiane.
In India, continuando a sussistere un sistema vario di diritti di famiglia, si crea il
problema dell’uniformità e della diversità del diritto.
Il dibattito sull’adozione del codice civile unitario non si è mai spento in India. La
preparazione di questo codice è stata un punto fondamentale dell’agenda politica non
solo governativa, ma soprattutto delle associazioni per la protezione dei diritti umani.
Il caso Shah Bano è considerato il caso-simbolo dai sostenitori del codice civile
uniforme, proprio a evidenziare le conseguenze negative che il sistema dei diritti
personali può produrre sulla tutela di alcuni di essi, dividendo di fatto la società
indiana268
.
267
CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di
famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il
terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,
Franco Angeli, Milano, 2002, p.358. 268
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.158.
- 157 -
Malgrado ciò, il sistema dei diritti personali resiste ancora e non vi è nessun segnale
di un possibile sorpasso da parte del diritto hindu, di quello islamico o degli altri
diritti personali.
I punti salienti della questione sono ben espressi nella sentenza pronunciata dalla
Corte Suprema nel caso Shah Bano, che si conclude proprio, con una observation,
relativa alla possibilità di adottare il codice civile uniforme.
Richiamando l’art.44 della Costituzione, rimasto “dead letter”, e osservando che non
si riscontra nessuna iniziativa ufficiale per dotare il paese di un codice civile
uniforme, la Corte osserva:
“ A Common Civil Code will help the cause of national integration by removing
disparate loyalties to laws, which have conflicting ideologies. It is the State which is
charged with the duty of securing a uniform civil code for the citizens of the country
and, unquestionably, it has the legislative competence to do so. A beginning has to be
made if the Constitution is to have any meaning. Inevitably, the role of the reformer
has to be assumed by the courts because it is beyond the endurance of sensitive
minds to allow injustice to be suffered when it is so palpable. But piecemeal attempts
of courts to bridge the gap between personal laws cannot take the place of a common
Civil Code ”269
.
In altri termini, solo il legislatore ha la competenza di realizzare questa parte della
Costituzione rimasta inattuata e, in mancanza di questa riforma strutturale, il compito
dei giudici è quello di garantire la tutela dei diritti nei limiti dell’ordinamento270
.
Il conseguimento dell’uniformità è considerato da molti come necessario per il
processo di modernizzazione dell’ordinamento giuridico. Vi è interesse nell’analisi
di quest’argomento, nel diritto indiano, perché essa incontra il tema della tutela dei
diritti umani, uno dei fattori che determinano le politiche di cooperazione
internazionale con l’India.
269
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
pp.158-159. 270
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.159.
- 158 -
I punti più controversi della discussione sono, da una parte la fattibilità e, dall’altra,
l’utilità di un codice civile uniforme.
“ Per quel che riguarda il primo aspetto, abbiamo detto che questo codice dovrebbe
essere il frutto di scelte fatte dall’alto, in contrasto con il pluralismo tipico della
società indiana. In questo contesto, in cui una grande importanza è rivestita dalle
consuetudini e in cui esiste una forte resistenza ad abbandonare le proprie tradizioni
distintive, è molto probabile che un codice civile uniforme rimarrebbe largamente
ineffettivo. In secondo luogo si tratterebbe di un’operazione molto difficile sul piano
tecnico, a causa della grande diversità degli statuti personali attualmente esistenti, e
molto delicata sul piano politico e sociale, a causa del latente conflitto
intercomunitario che potrebbe riesplodere.
Quanto all’utilità o desiderabilità, in linea di principio l’uniformità giuridica realizza
di per sé un certo livello di uguaglianza ma non si possono trascurare le voci critiche
secondo cui il sistema attuale è in grado di gestire meglio di altri il pluralismo
indiano e la tutela delle minoranze. In questa prospettiva, l’India rappresenta un
grande laboratorio mondiale del multiculturalismo e un modello per altre esperienze.
Bisogna anche considerare che una riforma del diritto di famiglia attraverso
l’adozione di un codice civile uniforme potrebbe avere risultati opposti a quelli
desiderati, potendo, nel gioco complesso tra norme nuove e norme preesistenti,
portare paradossalmente a una minore protezione dei diritti dei soggetti deboli e
svantaggiati, in primo luogo le donne. Visto che larghi settori della società
continuerebbero presumibilmente a seguire le proprie regole tradizionali potrebbe
accentuarsi il divario tra diritto ufficiale e diritto non ufficiale e vi sarebbe il rischio
di una sottrazione a qualsiasi forma di controllo giurisdizionale con la possibile
diminuzione di fatto della tutela per i soggetti più deboli. Inoltre autori come Menski
evidenziano che, indipendentemente dall’uniformità formale, vi sono segni di una
progressiva uniformità sostanziale, vale a dire di un avvicinamento degli standard di
tutela previsti nei singoli diritti personali, oltre che di una riduzione dei possibili casi
di conflitto tra diritto personale e diritto territoriale valido per tutti ”271
.
271
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
pp.159-160.
- 159 -
In conclusione, molti fattori operano contro l’adozione del codice civile uniforme e,
con molta probabilità, i provvedimenti che saranno presi in merito al diritto di
famiglia saranno attuati in modo limitato e progressivo all’interno del sistema dei
diritti personali.
Il codice civile uniforme potrebbe rappresentare una netta spaccatura, ma l’intervento
statale sui diritti personali provoca problemi di carattere generale limitatamente a
questi diritti.
“ Menski ha evidenziato il fenomeno di ricostruzione dei diritti religiosi presenti in
India, in particolare di quello hindu, secondo il modello dei diritti moderni
occidentali. Già nel periodo coloniale, la scoperta occidentale del diritto hindu aveva
posto numerosi problemi derivanti dalla differenza culturale, che intrecciandosi con
le esigenze dell’amministrazione coloniale, avevano portato a un sostanziale
fraintendimento dei presupposti culturali e delle modalità operative del diritto hindu.
In seguito, queste ricostruzioni dei diritti religiosi sono state funzionali all’Agenda
riformista elaborata all’alba dell’Indipendenza. In altri termini, se si ritiene che il
diritto hindu sia omogeneo nel suo funzionamento al diritto statale moderno, diventa
anche possibile ritenere che esso possa venire riformato e superato mediante massicci
interventi legislativi. Ma queste ricostruzioni non sono realistiche: i due modelli si
basano su presupposti diversi e, sempre secondo Menski, non aver capito questo è
uno dei motivi del fallimento dei primi programmi di modernizzazione in India ”272
.
272
MENSKI W. F., Hindu Law. Beyond Tradition and Modernity, cit. in FRANCAVILLA D., “Il
diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, p.160.
- 160 -
Il popolo indiano stesso, anche dopo l’Indipendenza, ha rafforzato l’immagine del
diritto hindu considerandolo strutturalmente moderno, dotato di leggi scritte e quindi
facilmente riformabili attraverso l’intervento dello Stato.
In realtà, il diritto hindu è molto più complesso date le sue basi culturali e le sue
pratiche tradizionali. In particolare, l’identificazione del diritto hindu con la sua
versione statalizzata è molto riduttiva. Se ci basiamo sull’analisi storica e sullo studio
della realtà contemporanea, si può notare che in realtà il diritto hindu è vivente e in
continua trasformazione, si sviluppa in modo non ufficiale più che nella black letter
law statale273
.
“ Sarebbe quindi ingenuo pensare che, se in ipotesi il legislatore indiano decidesse di
superare il sistema dei diritti personali, il diritto hindu come tale scomparirebbe, o
anche che nuove leggi sul diritto degli hindu in un quadro di maggiore
semplificazione potrebbero soppiantare il diritto hindu tradizionale. Come si è detto
più volte, già oggi emergono forti problemi di ineffettività delle leggi statali e per
questo motivo il legislatore indiano è finora stato normalmente molto realistico,
cercando di intervenire solo su alcuni punti ”274
.
273
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.161. 274
FRANCAVILLA D., “Il diritto nell’India contemporanea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010,
p.161.
- 161 -
2. Il problema dell’elaborazione di un diritto di famiglia uniforme:
motivazioni storiche e politiche.
Il problema dell’elaborazione di un diritto di famiglia unico è stato studiato
essenzialmente da due punti di vista: quello strettamente legale e quello delle
conseguenze che le varie legislazioni, in particolare quella islamica, hanno avuto sui
diritti delle donne. Inspiegabilmente, nessuno degli studiosi che ha trattato
l’argomento, ha inteso quale fosse effettivamente l’aspetto più interessante. Non
hanno pensato a inserire l’ambito del multiculturalismo, pensavano che fosse solo un
problema legale o sociale.
“ La multiculturalità della società indiana è insieme causa e contesto dei fattori che
hanno ostacolato l’elaborazione di un diritto di famiglia comune in India ”275
.
L’India è un paese con una grande varietà di etnie, lingue e cultura e come già
sappiamo, alla componente predominante hindu va affiancata quella musulmana che
è una “minoranza” di circa cento milioni di persone276
.
Immediatamente dopo l’Indipendenza, quando fu istituita l’Assemblea Costituente,
l’India si trovava nel pieno del conflitto tra hindu e musulmani, che aveva portato
alla partition con il Pakistan. Lontano dall’appianare il conflitto, la separazione tra
India e Pakistan fu vissuta come un avvenimento molto doloroso.
Il ricordo della partition ha condizionato molto la politica indiana. Data la situazione
del paese da poco indipendente, i legislatori ritenevano molto difficile formulare un
diritto di famiglia laico e uniforme.
275
CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di
famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il
terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,
Franco Angeli, Milano, 2002, p.359. 276
CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di
famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il
terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,
Franco Angeli, Milano, 2002.
- 162 -
Le due principali comunità, quella induista e quella islamica, non erano per nulla
d’accordo di sacrificare ciò che consideravano il fondamento della loro identità
culturale. Il diritto di famiglia era ritenuto l’istituzione con cui si garantiva la tutela
delle tradizioni da cui dipendeva la sopravvivenza stessa della comunità. La famiglia
è, infatti, intesa come la struttura alla base della futura comunità che nascerà.
“ L’assenza di quello che viene definito Uniform Civil Code è stata percepita, in
India, in almeno tre modi. Sono favorevoli all’introduzione dello Uniform Code la
gran parte degli indiani, illustri esperti di diritto, come Tahir Mahmood, e
intellettuali. Tra questi ultimi si distingue Asghar Ali Engineer che, oltre ad essere
musulmano, è anche un appassionato analista dell’Islam in India e, nello specifico,
dei suoi aspetti giuridici. I detrattori dello Uniform Code sono una minoranza.
Storicamente, la più forte opposizione è arrivata dalla comunità musulmana, che ha
visto ogni eventuale tentativo di introdurre una legislazione di famiglia laica e
uniforme come una minaccia all’integrità delle proprie tradizioni e consuetudini
famigliari. Nonostante questo, si sono levate anche all’interno della comunità
musulmana forti voci a sostegno dell’introduzione dello Uniform Code. In primo
piano si collocano alcune organizzazioni femminili musulmane, che hanno
considerato alcuni aspetti della legislazione islamica come lesivi nei confronti dei
diritti delle donne. Questi aspetti riguardano soprattutto il divorzio, in particolare il
problema degli alimenti, e le questioni di trasmissione dell’eredità. Infine gli
esponenti della destra hindu si sono schierati a più riprese, dal ’48 a oggi, a favore
dell’introduzione dello Uniform Code, scagliandosi al tempo stesso contro le
consuetudini familiari islamiche, e in particolare contro l’istituzione della poligamia,
considerata come una potenziale minaccia alla crescita demografica della
maggioranza hindu ”277
.
277
CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di
famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il
terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,
Franco Angeli, Milano, 2002, p.361.
- 163 -
2.1 Il multiculturalismo in India
Tutte le società del mondo sono, in misura e in modi diversi, multietniche e, in molti
casi, multiculturali. Le democrazie liberali occidentali si sono munite di un diritto di
famiglia laico e unificato, tale da poter essere condiviso da tutta la popolazione come
conseguenza del fenomeno dell’immigrazione che ha fatto evidenziare la necessità di
integrare le cosiddette minoranze.
Ciò che accade nelle democrazie liberali dell’occidente è presente in modo analogo
anche nella società indiana.
L’India è un paese multietnico e multiculturale ed essendo un paese di provata
tradizione democratica, può essere messo a confronto con le società occidentali.
Esiste, però, una differenza sostanziale tra la natura della multietnicità della società
indiana e quella occidentale.
Will Kymlicka, professore di filosofia politica alla Queen’s University a Kingston
(Ontaria), uno dei maggiori teorici sui diritti collettivi per le minoranze etno-
culturali, afferma che sia nei Paesi occidentali sia in India, il multiculturalismo è
determinato dalla presenza di “minoranze nazionali”, o “comunità intatte e radicate”,
“insediate su terre che avevano occupato per molti secoli”278
.
Si cerca di riconoscere alle minoranze nazionali la stessa dignità delle componenti
numericamente maggioritarie. La soluzione che propone il professor Kymlicka
consiste nel definire l’appartenenza nazionale in termini d’integrazione in una
comunità culturale. L’appartenenza nazionale dovrebbe essere accessibile a chiunque
sia disposto a imparare la lingua e la storia della società, a partecipare alle sue
istituzioni sociali e politiche, a prescindere dalla razza o dal colore della pelle.
278
KYMLICKA W., La cittadinanza multiculturale, ed. italiana, Il Mulino, Bologna, 1999; cit. in
CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di
famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il
terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,
Franco Angeli, Milano, 2002, p.364.
- 164 -
Il multiculturalismo descritto dagli studiosi è un fenomeno antico, profondamente
legato agli stessi processi storici. “ Secondo questa definizione, in India, i musulmani
rappresentano la minoranza nazionale più numerosa e significativa. Esiste però,
rispetto alle minoranze nazionali, che compongono le società occidentali, un
paradosso di fondo: la “minoranza” dei musulmani indiani ha profondi legami storici
con la potente minoranza che ha dominato l’India per qualche secolo. Dei musulmani
indiani, la gran parte è costituita da Hindu convertiti all’Islam, magari da molte
generazioni, mentre sono pochissimi coloro che possono vantare una discendenza
diretta dai dominatori moghul. Nonostante ciò, la “minoranza” musulmana
dell’India, ha potuto godere di una condizione privilegiata, dovuta anche al solo fatto
di condividere la stessa cultura dei dominatori. Questo contribuisce a far sì che la
componente musulmana dell’India abbia una forte identità, determinata anche dalle
premesse storiche ”279
.
La tradizione culturale indiana è stata profondamente condizionata dall’Islam e
questo non può essere assolutamente sottovalutato. La comunità musulmana, in
India, partecipa integralmente alle istituzioni linguistiche, sociali e politiche indiane.
Le richieste nazionalistiche sono state portate avanti, invece, dalla maggioranza
hindu. Negli ultimi anni sono avvenuti tentativi di cancellazione dall’apparato
culturale indiano dei fattori che rappresentano il retaggio musulmano.
C’è da domandarsi se è legittimo definire “minoranza”280
(e trattare di conseguenza)
una comunità di circa 120 milioni di persone, dotata di un rilevante peso politico e
culturale, ma soprattutto bisognerebbe forse riflettere sul significato stesso del
termine minoranza rispetto alla realtà indiana.
279
CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di
famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il
terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,
Franco Angeli, Milano, 2002, pp.364-365. 280
CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di
famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il
terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,
Franco Angeli, Milano, 2002, p.365.
- 165 -
3. Dibattito sull’elaborazione del codice civile uniforme fino agli anni ‘90
In un paese vasto come l’India, con le sue molteplici eterogeneità, i principi sul
centralismo e l’uniformità del diritto, semplicemente non funzionano nell’azione
quotidiana, dove le minoranze, con le loro varietà e diversità, si riaffermavano in
modo sempre più autorevole.
Questo è stato riconosciuto anche da molta della più recente letteratura
sull’argomento.
Negli anni ’80, un autorevole costituzionalista, il professor S. P. Sathe, che aveva
preso l’impegno di redigere un codice civile uniforme, finì per esprimere le sue
riserve circa la fattibilità di un’uniformità giuridica totale. Egli aveva affermato che
nell’operazione di compilazione di tutte le leggi vigenti in materia di diritti personali,
che governavano le diverse comunità religiose, aveva incontrato difficoltà a estrarre
gli elementi religiosi dalle parti non religiose, di tali leggi. Riteneva, quindi, che
alcuni elementi di pluralità potessero essere previsti, anche in un codice civile
uniforme281
.
In quel periodo c’era la sensazione che il giorno in cui sarebbe stata intrapresa tale
riflessione era solo rimandato.
I problemi principali di quest’area hanno le radici non solo nella politica
giurisprudenziale di parte, ma anche nelle inadeguate ricostruzioni storiche che si
ripercuotono fino ad oggi.
Per molti studiosi è difficile comprendere la storia dell’Asia meridionale e il suo
sviluppo; tra i principali fattori troviamo la tradizione indiana, la presunta
arianizzazione del territorio, il lungo dominio musulmano e infine la significativa
influenza musulmana nei tempi recenti.
Partendo da origini vaghe e controverse, la cultura hindu per molto tempo si è
rifiutata di diventare un sistema monoteista, mono-culturale e centralizzato. Fin
dall’inizio, a quanto pare, esistevano così tanti punti di vista e percezioni circa le
questioni fondamentali sulla religione, la cultura e la vita che gli antichi asiatici del
sud non erano riusciti a trovare un accordo unificante.
281
DESHTA K., Uniform Civil Code: In Retrospect and Prospect, Deep & Deep Publications, 1995;
cit. in MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001, p.345.
- 166 -
Siamo portati a credere che anche altre culture antiche abbiano dato luogo a
un’assoluta, accentrata e uniforme posizione che era in qualche modo affermata da
un’élite dominante, sia politica o religiosa.
Molto tempo prima, tuttavia, le persone che oggi definiamo hindu, avevano
concordato di essere in disaccordo, e avevano consentito esplicitamente per il
pluralismo in ogni ambito.
Questo riconoscimento aperto della realtà del pluralismo può essere osservato in ogni
sfera della vita di un hindu e può essere studiato in merito a materiale molto antico,
scritto in lingue difficilissime, non in grado di insegnarci oggi quale fosse la
percezione delle persone a quel tempo.
Nel quadro concettuale della comprensione dell’ordine cosmico che abbraccia tutto e
tutti, i sistemi interconnessi sono stati considerati cruciali. Nessuno è stato percepito
come un caso isolato, un individuo autonomo. Tutti, compresi gli dei e gli altri esseri
superiori, hanno avuto ruoli da svolgere in relazione all’universo, alla società, al
clan, alla famiglia e a quelli più vicini alla propria vita personale.
Il legame simbiotico marito-moglie è diventato un punto centrale, di attenzione e
preoccupazione.
Se consideriamo il sacramento del matrimonio come un legame indissolubile tra un
uomo e una donna, o il cosiddetto sistema delle caste come immagine di tutte le parti
del corpo che funzionano insieme in complesso rapporto simbiotico, sono stati tutti
fraintesi o travisati in seguito.
Allo stesso modo, outsiders e addetti ai lavori li hanno considerati come meccanismi
complessi della “tradizione”282
, il cui scopo principale era quello di sopprimere
alcuni ed elevare altri.
Tuttavia i ricercatori oggi stanno mettendo in discussione la lettura, comunemente
accettata, di antiche tradizioni indiane come schemi uniformi di regole, che sono così
tipicamente non moderne e si concentrano a mantenere la diversità piuttosto che
lottare per l’uniformità.
Vi è una certa consapevolezza del fatto che se ognuno è trattato come diverso, allora
non ci può essere effettivamente uguaglianza nella diversità.
282
MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001, p.346.
- 167 -
Questo porta lontano dall’idea che un gruppo o un altro in una particolare società o è
“dominante”283
, o deve essere orientato a una maggiore standardizzazione.
In un certo senso, il modello post-coloniale indiano di laicismo ha cercato di ottenere
esattamente un tipo di scenario in cui le voci di tutti sarebbero state ascoltate in
eguale misura.
Tuttavia, la laicità moderna in India continua a essere seriamente fraintesa, come una
copia a buon mercato di quella occidentale con politiche anti-religiose, piuttosto che
un esplicito riconoscimento del semplice fatto di umane connessioni con diverse
entità superiori.
Attraverso la lettura dell’antica cultura indiana, dove costantemente sono posti in
rilievo i punti di vista dei Brahamini e loro richieste, e si trascurano le altre voci; ci si
è privati della possibilità di comprendere i concetti indigeni di uguaglianza relativa,
che continuano a sostenere le società dell’Asia meridionale.
Dovrebbe essere universalmente riconosciuto che tutte le società conservano
elementi di disuguaglianza socio-economica, nonostante asserzioni legali e politiche,
con l’effetto che l’uguaglianza prima della legge è un indicatore della modernità
giuridica.
La maggior parte della dottrina accademica non è seriamente interessata a un’analisi
socio-giuridico e a un confronto reale.
Sembra, però, che alcuni studiosi abbiano ammesso apertamente che l’Occidente e i
suoi sistemi giuridici moderni abbiano, esattamente, gli stessi problemi di attuazione
della giustizia e di tutela dei diritti umani, come quei sistemi giuridici
apparentemente arretrati.
Dopo aver dichiarato l’India antica ostile al riconoscimento della parità, in base sia al
sesso sia alla casta, qualsiasi elemento “tradizionale” nella legislazione moderna è
stato trattato con disprezzo e ha ricevuto forti richiami per le riforme giuridiche.
283
MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001, p.347.
- 168 -
Molti studiosi modernisti e attivisti hanno attaccato l’India, anche a fronte di prove
legali che testimoniavano il contrario.
Ad esempio, nonostante la maggior parte delle richieste d’introduzione del criterio di
rottura insanabile della convivenza coniugale, nella legge sul divorzio hindu, né la
legislazione moderna indiana, né le Corti sono andate fino in fondo per accettare il
criterio come causa principale nei processi di divorzio.
In questa particolare situazione, è importante rilevare ancora una volta che il concetto
“irretrievable breakdown”284
, non era sconosciuto al diritto indiano.
Secondo Menski, i recenti sviluppi della normativa sul mantenimento post-divorzio
confermano la prontezza dello Stato a ignorare i principi di uniformità giuridica
formale, mentre il potere legislativo e l’ordinamento giudiziario stanno cercando
comunque di raggiungere la parità nelle disposizioni di legge.
Così, come Vasudha Dhagamwar, un importante avvocato, attivista per i diritti delle
donne e professoressa universitaria, ha chiaramente riconosciuto che la legge indiana
moderna ha varie opzioni, per raggiungere una maggiore uguaglianza, e non potrà
mai essere una semplice strategia quella di imporre un codice civile uniforme
semplicemente dall’oggi al domani.
In realtà, esaminando finora la storia movimentata dell’uniformazione legale in
India, Dhagamwar coraggiosamente ha fissato nel suo ordine del giorno il dibattito
per un codice civile uniforme, ma ha avvertito:
“ A Uniform Civil Code that is compulsory from the beginning would by-pass all
these problems and create many of its own. Voluntary or compulsory, it seems that if
and when the Uniform Civil Code is introduced, there is a strong possibility of a
period of deep social unrest taking place. Unless the goverment is prepared to ride
out this period, if it than gives in to those who don’t want the Uniform Civil Code,
more damage will be done by introducing than by withholding the Uniform Civil
Code ”285
.
284
MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001, p.350. 285
DHAGAMWAR V., Towards the Uniform Civil Code, N. M. Tripathi, Bombay, 1989; cit. in
MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001, p.350.
- 169 -
Tali osservazioni, particolarmente ragionevoli e realistiche, sono rare.
È molto importante che anche gli autori noti (include anche giudici di alto profilo,
come V. R. Krishna Iyer), nella loro limitata considerazione dei concetti culturali
indiani e a volte per un’ammirazione non qualificata verso la modernità occidentale,
abbiano spacciato il mito dell’uniformità giuridica come strumento per il disperato
desiderio di modernizzare le leggi indiane286
.
Ad esempio, in uno studio importante sulle donne e la riforma del diritto di famiglia
nell’India moderna, la professoressa Archana Parashar sembrava affermare che il
legislatore britannico avesse introdotto il sistema del diritto personale in India, e
quindi, la riforma giuridica post-coloniale doveva prevedere l’abolizione di quel
sistema di diritti personali287
. Prima dell’introduzione del diritto britannico non vi era
alcuna distinzione tra leggi territoriali e diritti personali. Il diritto hindu e quello
islamico erano applicati alle persone che professavano quel determinato credo
religioso. Le leggi religiose si estendevano in ogni ambito, non vi era nessuna
distinzione tra diritto personale e pubblico o tra leggi religiose e laiche.
La distinzione tra diritti personali e le altre sfere del diritto fu introdotta dagli
amministratori britannici che, nella fase iniziale, avevano deciso di lasciare alla
popolazione indigena le leggi personali, apparentemente, perché facevano parte del
loro credo religioso. In seguito tutti gli altri aspetti del diritto, che erano ugualmente
religiosi, sia del sistema hindu sia di quello musulmano, furono modificati dagli
Inglesi.
286
MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001, p.351. 287
PARASHAR A., Women and family law reform in India: Uniform civil code and gender equality,
Sage Publications, New Delhi e Newbury Park, California, 1992; cit. in MENSKI W.F., Modern
Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001, pp. 351-352.
- 170 -
Anche durante il dominio musulmano, a hindu, cristiani e parsi veniva comunque
applicato il loro sistema di diritti personali. Non era mai esistita una legge uniforme
hindu o islamica nel subcontinente indiano.
Osservando il problema, si evidenzia che le richieste per una legislazione uniforme si
basavano, in effetti, su aspirazioni centralistiche che potevano facilmente scivolare in
abusi territoriali.
Questo confronto dimostra che i dibattiti non sono stati veramente sulla religione o
su una particolare legge religiosa, ma sull’estensione del controllo statale sulla
rispettiva popolazione di maggioranza: in altre parole, la discussione riguarda la
costruzione della nazione e la formazione dell’identità più che l’effettiva
regolamentazione giuridica o la preoccupazione di una giustizia certa.
Oggi sappiamo che dopo il caso Shah Bano, quando i musulmani andarono su tutte le
furie chiedendo la non applicazione degli articoli del Codice di Procedura Penale del
1973, e spingendo per una legge speciale, il moderno stato indiano era abbastanza
sicuro di poter rischiare il proprio ruolo di primo piano in questo gioco strategico288
.
Tuttavia, i dimostranti furono puniti con la realizzazione rapida di una norma
separata di diritto personale per i musulmani, come trovato nel MWPRDA del 1986,
che non ha dato agli uomini musulmani, la libertà dalla responsabilità finanziaria
verso le loro ex-mogli, come avrebbero voluto. Mentre un’analisi superficiale e
politicizzata ha visto l’Act del 1986 come un disastro per la nazione indiana e un
passo indietro in termini di politiche di uniformità giuridica.
Il moderno stato indiano è stato disposto ad abbandonare la sua politica
programmatica di uniformazione del diritto in termini formali, ma non per quanto
riguarda le disposizioni sostanziali.
I leaders della comunità musulmana hanno realizzato velocemente la situazione e in
seguito hanno smesso di protestare per la conservazione del loro diritto, sapendo che
lo stato si sarebbe attaccato a questo per elaborare altre riforme giuridiche.
288
MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001, p.353.
- 171 -
In questo scenario di stallo legislativo i giudici hanno svolto un ruolo molto
importante nel mantenere vivo in India il dibattito sull’uniformità giuridica. Ogni
tanto un caso era segnalato, per cui i giudici esprimevano la loro preoccupazione in
merito alle reiterate disuguaglianze giuridiche del moderno diritto indiano.
Tuttavia questo flusso e riflusso di argomenti ha mantenuto il dibattito sul codice
civile uniforme, all’ordine del giorno, ma non ha portato a risultati concreti. Infatti, a
seguito dell’ascesa al potere del partito nazionalista Bharatiya Janata Party (BJP) al
governo, e quindi di una forza politica hindu dominante al potere centrale, piuttosto
che l’Indian National Congress o una varietà di partiti regionali, lo stesso ordine del
giorno sull’uniformità giuridica fu radicalmente cambiato da un giorno all’altro289
. Il
movimento per l’uniformità giuridica in India era ormai quasi completamente
crollato, dato che i membri della lobby per l’uniformazione del diritto realizzarono
improvvisamente, con terrore, che in un’India dominata dagl’hindu il tema
dell’uniformità giuridica equivaleva a sottoscrivere una versione ricostruita
dell’ideologia hindu, piuttosto che il passaggio previsto a un modello laico in stile
occidentale.
Nel frattempo, tuttavia, i tribunali hanno trattato questioni pratiche, e un modello sta
emergendo in India, che si muove nella direzione dell’uniformità giuridica, però non
attraverso l’abolizione del sistema dei diritti personali.
In India l’opinione pubblica non è così fortemente a favore dell’uniformità giuridica
come suggeriscono alcuni trattati accademici.
Shiv Sahai Singh, professore alla University of Burdwan, riferisce:
“ Leading members of the majority communities agree that it may be premature to
aim at a Uniform Civil Code which will be applicable to all citizens in a country like
India, but they think that the time has come to codify personal law of each
community by highlighting its best points ”290
.
289
MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001, p.353. 290
SHIV SAHAI SINGH, Unification of Divorce Laws in India, Deep & Deep Publications, 1993; cit.
in MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001, p.354.
- 172 -
Guardando indietro agli anni’80-’90, Menski è sempre stato contrario all’uniformità
giuridica in India. In origine, il suo punto di vista nasceva dal fatto che, prendendo in
considerazione la storia giuridica e i millenni di esperienza e con quasi un miliardo di
persone da amministrare, per l’India era concettualmente, e praticamente impossibile
governare tutti con lo stesso sistema di regole. Ma alla fine degli anni ‘80 Menski
ritenne che lo Stato indiano lo avesse riconosciuto e avesse cambiato la sua politica,
ma lasciando un enorme interrogativo sull’esatta interpretazione dell’art.44 della
Costituzione indiana del 1950, che recita:
“ 44. Uniform civil code for the citizens. –
The State shall endeavour to secure for the citizens a uniform civil code throuhout
the territory of India. ”291
L’interpretazione classica di quest’articolo ha comportato un mandato per
l’introduzione di un codice civile uniforme per tutta la popolazione indiana, abolendo
così il sistema delle leggi personali e snellendo così il sistema giuridico indiano.
Oggi, invece, la legislazione indiana moderna sembra aver cambiato direzione. Vi è
una rinforzata consapevolezza dell’importanza della giustizia, dell’equità e del buon
senso. Nessun sistema giuridico al mondo ha raggiunto una giustizia perfetta, né mai
si vuole che questo accada.
Il punto più importante, per terminare quest’analisi giuridica, è dunque questo: la
legge indiana ha finalmente abbandonato i principi giuridici occidentali di uniformità
e respinge la norma che prevede che gli Stati debbano avere leggi uniformi per essere
chiamati, Stati moderni.
Tutto quello che oggi conosciamo, meglio, è che lo straordinario ottimismo indiano
post-coloniale, circa lo scopo di seguire strutture legali e principi occidentali, fu
forviato completamente292
.
291
MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001, p.355. 292
MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001.
- 173 -
3.1 Uniformità delle leggi in India
Sembra che il piano originale dei creatori della Costituzione indiana fosse quello di
sottoporre volontariamente i membri delle minoranze, gradualmente, a un sistema
giuridico uniforme laico. Quest’idea si è dimostrata certamente sbagliata.
Nonostante pregiudizi hindu o meno, la popolazione indiana non era apparentemente
pronta a essere governata da un sistema laico uniforme di diritto di famiglia, di
qualsiasi tipo. Il problema era, però, che nessuna delle rivalità e tensioni comuni,
doveva durare nel tempo.
In verità, i poli opposti erano chiaramente la legge ufficiale dello Stato e il diritto
personale. Lo Stato, con la sua centralizzazione, il suo sistema burocratico e la sua
ovvia e necessaria preoccupazione per il mantenimento dell’unità nazionale, mirava a
sviluppare standards uniformi in tutti i settori, compreso il diritto. D’altra parte,
sembra che non fosse vero, che tutte le comunità, in India, fossero unite dal desiderio
di conservare le differenti religioni e culture regionali e locali, e una pluralità di
leggi293
.
293
MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001.
- 174 -
3.1.1 Perché l’India è così ossessionata dal concetto di uniformità?
Uno dei problemi principali dello Stato indiano è che nonostante abbia un sistema di
voto democratico, non è rappresentativo di tutto il popolo indiano.
Dall’Indipendenza, in base alla Costituzione, si è sviluppato un corpo di leggi
ufficiale che aveva lo scopo di proteggere gli interessi di tutti i cittadini indiani in
modo uguale. In una certa misura, questo corpo di leggi sembra fornire il
riconoscimento delle diversità giuridiche. Ma queste norme non sono conosciute
dalla stragrande maggioranza della popolazione rurale indiana. In realtà, le loro vite
sono regolate da altre norme, a loro ben note, molte di loro tradizionali, dipendenti
dalla particolare situazione territoriale e temporale. Queste norme sono ignorate e
spesso non riconosciute dallo Stato, nonostante continuino a svilupparsi come fa ogni
sistema di diritto vivente. Così il sistema giuridico indiano ufficiale, compreso quello
dei diritti personali, non costituisce la totalità del corpo normativo indiano.
Il diritto “vivente” dell’India, oggi, è una combinazione del sistema giuridico
ufficiale e delle norme locali “non ufficiali” innumerevoli, che regolano la vita di
molte persone294
.
In india, da tempo immemore, le diverse identità locali etniche e religiose si sono
radicate anche nel sistema giuridico ufficiale, e continuano a influenzare gran parte
del diritto vivente.
La legge indiana, riconoscendo le norme dei diritti personali, appare in un certo
senso, più realistica; ma la disparità tra la legge ufficiale e il diritto reale è una delle
caratteriste del sistema dei diritti personali in India. Pertanto si pone la questione se
qualsiasi riforma nel sistema giuridico ufficiale, compresi i diritti personali, potrebbe
avere implicazioni dirette sul piano sociale.
294
MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001, p.368.
- 175 -
Si può osservare, che nemmeno il diritto generale è efficace nel far rispettare
standars uniformi: le radicali modifiche al Dowry Prohibition Act non hanno risolto
il problema delle morti per dote e non hanno abolito la dote stessa, i matrimoni tra
bambini continuano ad esistere e gli omicidi continuano a verificarsi in tutto il paese
come se non esistesse un Codice Penale indiano295
. Vi sono conflitti ancora aperti
che nessuna legislazione è riuscita ancora a risolvere. Anche se con ogni probabilità
l’India dovesse munirsi di un codice civile uniforme, ci sono poche possibilità che
questo sia applicato su larga scala.
Se l’India vuole intraprendere la strada dell’uniformità giuridica per i diritti
personali, anche altre questioni dovrebbero essere trattate allo stesso modo. Ad
esempio, bisognerebbe permettere i matrimoni poligami a tutti gli indiani, ma a
condizione che questi siano registrati e approvati per una serie di motivi accettabili,
tra i quali l’infertilità, come una delle condizioni previste nel Corano, che consentono
la poligamia.
I tentativi di escogitare una totale uniformità si sono presto bloccati, spesso a causa
dell’opposizione musulmana. Sarebbe ingiusto, comunque, incolpare solo i
musulmani per i mali del sistema indiano. Allo stesso tempo, il valido motivo è che
la discussione si è incentrata sulle questioni e preoccupazioni dei musulmani, e che il
governo ha ascoltato e contrastato troppo i musulmani conservatori.
In India il comunitarismo è così forte perché le diverse comunità non hanno la stessa
natura giuridica.
Il desiderio di creare un sistema giuridico nazionale è sempre stato visto come un
obiettivo legittimo per un moderno stato-nazione, ma questo non significa di per sé
uniformità giuridica totale, che rimane un modello ideale di legislazione, ma non è
un concetto realisticamente praticabile.
295
MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001, p.369.
- 176 -
Al momento dell’Indipendenza si sperava che la nazione appena creata potesse,
quindi, essere trasformata in una dimora di pace per tutte le comunità in India.
Questo doveva essere l’antidoto al male diffuso dei sistemi tradizionali, dei diritti
differenti e delle disuguaglianze. L’intenzione era di ridurre e infine eliminare il
sistema dei diritti personali basati su distinzioni religiose. La nuova configurazione
politica dello Stato indiano contemplava che tutti i membri sarebbero stati uguali
davanti alla legge e che le differenze di razza, sesso, religione e casta, sarebbero state
gradualmente cancellate per creare una razza standard: “il nuovo indiano”, un
individuo leale allo Stato centrale296
.
L’élite dei pensatori giuridici, in India, stava vivendo una profonda crisi: da un lato
c’era ancora la voglia di portare avanti l’idea del codice unitario, ma dall’altro era
evidente che non aveva funzionato fino ad ora e non credevano che avrebbe
funzionato in seguito.
Cominciava a crescere una consapevolezza per cui l’élite aveva il dovere di
concepire rimedi che si adattassero solamente a determinati scopi.
Come già affermato, i tentativi di concepire una totale uniformità, presto si
arrestarono, a causa della continua opposizione dell’opinione musulmana.
296
MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001, p.382.
- 177 -
Nel corso del processo del caso Shah Bano nel 1986, la Corte Suprema trattò di
nuovo la questione per cui i diritti personali dei musulmani avrebbero dovuto essere
esenti da alcuni aspetti della legge generale indiana.
Inoltre, la Corte, si espresse sul problema del codice civile uniforme:
“ It is also a matter of regret that Article 44 of our Constitution has remained a dead
letter. It provides that… There is no evidence of any official activity for framing a
common civil code for the country. A belief seems to have gained ground that it is
for the Muslim community to take a lead in the matter of reforms of their personal
law. A common Civil Code will help the cause of national integration by removing
disparate loyalties to laws which have conflicting ideologies. No community is likely
to bell the cat by making gratuitous concessions on this issue. It is the State which is
charged with the duty of securing a uniform civil code for the citizens of the country
and, unquestionably, it has the legislative competence to do so. A counsel in the case
whispered, somewhat audibly, that legislative competence is one thing, the political
courage to use that competence is quite another. We understand the difficulties
involved in bringing persons of different faiths and persuasions on a common
platform. But, a beginning has to be made if the Constitution is to have any meaning.
Inevitably, the role of the reformer has to be assumed by the courts because, it is
beyond the endurance of sensitive minds to allow injustice to be suffered when it is
so palpable. But piecemeal attempts of the courts to bridge the gaps between
personal laws cannot take the place of a common Civil Code. Justice to all is a far
more satisfactory way of dispensing justice than justice from case to case ”297
.
297
MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001, p.394.
- 178 -
Nel caso molto dibattuto e controverso di Sarla Mugdal v. Union of India del 1995,
che riguardava la legittimità di un secondo matrimonio contratto da un cittadino
hindu, che si era convertito all’Islam, e che riteneva di poter praticare la poligamia
ammessa solo per gli Indiani musulmani, la Corte Suprema aveva ancora una volta
sollevato la questione sul codice civile uniforme, affermando che la persistenza di
diverse leggi personali aveva portato a situazioni imbarazzanti e inaccettabili che
l’uniformità giuridica sarebbe stata in grado di evitare298
.
Il giudice della Corte Suprema Kuldip Singh J ritornò sull’argomento dell’uniformità
giuridica e in seguito criticò:
“ Article 44 is based on the concept that there is no necessary connection between
religion and personal law in a civilised society. Article 25 guarantees religious
freedom whereas Article 44 seeks to divert religion from social relations and
personal law. Marriage, succession and like matters of a secular character cannot be
brought within the guarantee enshrined under Articles 25, 26 and 27. The personal
law of the Hindus, such as relating to marriage, succession and the like have all a
sacramental origin, in the same manner as in the case of the Muslims or the
Christians. The Hindus along with Sikhs, Buddhists and Jains have forsaken their
sentiments in the cause of national unity and integration, some other communities
would not, though the Constitution enjoins the establishment of a “common civil
code” for the whole of India ”299
.
Anche il secondo giudice che componeva la Corte durante il processo, R. M. Sahai J,
era d’accordo con questo giudizio ma aggiunse alcune sue osservazioni per quanto
riguardava la questione di un codice civile uniforme. Il giudice erudito enfatizzò la
profonda importanza della religione nell’India moderna ed evidenziò esplicitamente
che “ la religione era più di una questione di fede”.
298
MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001, p.396. 299
MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001, pp.397-398.
- 179 -
Al tempo stesso però, annunciò un approccio razionale al diritto:
“ But these are matters of faith. Reason and logic have little role to play. The
sentiments and emotions have to be cooled and tempered by sincere effort. But today
there is no Raja Ram Mohan Rai who single handed brought about that atmosphere
which paved the way for Sati abolition. Nor is a statement of Pt. Nehru who could
pilot through, successfully, the Hindu Succession Act and Hindu Marriage Act
revolutionising the customary Hindu Law. The desirability of uniform Code can
hardly be doubted. But it can concretize only when social climate is properly built up
by elite of the society, statesmen among leaders who instead of gaining personal
mileage rise above and awaken the masses to accept the change ”300
.
Indicando altre riforme giuridiche sulla poligamia in molti paesi musulmani, e così
indicando una possibile riforma anche per i musulmani indiani, Sahai J concluse:
“ Therefore, a unified code is imperative both for protection of the oppressed and
promotion of national unity and solidarity. But the first step should be to rationalise
the personal law of the minorities to develop religious and cultural aminity. The
Government would be well advised to entrust the responsability to the Law
Commission which may in consultation with Minorities Commission examine the
matter and bring about the comprehensive legislation in keeping with modern day
concept of human rights for women.
The Government may also consider feasibility of appointing a Committee to enact
Conversion of Religion Act, immediately, to check the abuse of religion by any
person. The law may provide that every citizen who changes his religion cannot
marry another wife unless he divorces his wife. The provision should be made
applicable to every person whether he is a Hindu or a Muslim or a Christian or a Sikh
or Jain or a Budh. Provision may be made for maintenance and succession etc. also
to avoid clash of interest after death.
This would go a long way to solve the problem and pave the way for a uniform civil
code ”301
.
La reazione del governo indiano a quella sentenza era stata negativa.
300
MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001, p.398. 301
MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001, p.399
- 180 -
È stato ampiamente riportato dai giornali che nel corso del 1997 il governo indiano
rifiutava di introdurre un codice civile uniforme302
.
L’oggetto della discussione era cambiato radicalmente: sin dall’ascesa al potere a
Delhi e in alcuni stati indiani del partito nazionalista Bharatiya Janata Party, le voci
cosiddette moderniste non richiedevano più l’emanazione di un codice civile
uniforme per paura che risultasse, solamente, un codice induista.
Allo stesso tempo, c’era stato un intenso sviluppo legislativo tendente a
un’uniformazione dei provvedimenti legislativi nel diritto indiano moderno. Questo,
però, ha avuto luogo all’interno del riconoscimento esplicito delle diversità presenti
in India.
Principalmente, in quest’epilogo del dibattito sull’uniformità giuridica, l’India è
considerata come un mosaico complesso. Il Paese è paragonato, nel suo complesso, a
una famiglia tradizionale hindu, in cui tutti i membri della famiglia (che in
quest’immagine sono le varie comunità indiane) hanno un diritto di nascita
inalienabile, intrinseco e corrispondente a più obblighi.
Secondo alcuni studiosi, come Menski ad esempio, sostenevano che un codice civile
uniforme in India era semplicemente impraticabile, il che non significava che non ci
sarebbe dovuta essere una riforma legislativa per l’uniformazione del diritto, ma che
non doveva essere fatta solo per il bene dell’agenda politica e ai soli fini
dell’uniformazione.
La dottrina esistente in materia è rimasta confusa, è spesso forviante ed è
semplicemente inadeguata in molti casi303
.
302
MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001, p.399. 303
MENSKI W.F., Modern Indian Family Law, Curzon Press, Surrey, 2001, p.400.
- 181 -
4. Dibattito sull’Uniform Civil Code in epoca recente
L’ambizione modernista dell’India post-coloniale era di avere un codice civile
uniforme, come previsto nell’art. 44 della Costituzione indiana del 1950.
Il diritto indiano ha sviluppato propri metodi per gestire situazioni sensibili e
complessi problemi socio-giuridici.
Molti giudici della Corte Suprema, abbandonata quest’ambizione “progressista”304
,
chiedevano meno confusione nella giungla dei diritti personali, facendo richieste di
riforme fondamentali.
Ma circa mezzo secolo più tardi, subito dopo la fine del millennio, la realtà socio-
giuridica indiana prese una traiettoria diversa.
La confusione creata dal pluralismo giuridico persisteva. Vi erano più leggi dello
Stato ma non un codice civile uniforme.
Il diritto di famiglia indiano, è stato sapientemente riformato e armonizzato in modo
tale che il nuovo sistema legale sia costruito da vari sistemi giuridici tradizionali.
Le basi tangibili di questo pluralismo giuridico si sono sviluppate, quasi
impercettibilmente, attraverso interventi normativi positivisti, almeno dalla metà
degli anni ’70, sotto il governo di emergenza, molto discusso, di Indira Gandhi.
In particolare, questi principi cardine sono affiorati più chiaramente nel settembre
2001, e da allora sono stati impreziositi da nuovi statuti e da nuova giurisprudenza,
quasi di anno in anno.
Fino al 2001, le nuove forme di tutela, si erano manifestate chiaramente in India
dopo il 1985, con il diritto al mantenimento per tutte le ex-mogli fino alla morte o al
nuovo matrimonio, costruendo sul caso Shah Bano del 1985, una fama mondiale.
Questo è stato seguito dall’emanazione dell’Hindu Succession (Amendment) Act del
2005, The Prohibition of Child Marriage Act del 2006 e più recentemente
dell’importante Maintenance and Welfare of Parents and Senior Citizens Act del
2007305
.
304
MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing
Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.212, www.germanlawjournal.com. 305
MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing
Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.214, www.germanlawjournal.com.
- 182 -
La globalizzazione ha effettivamente incrementato la diversità locale e regionale
delle religioni, dei costumi e delle leggi, e quindi ha avuto un impatto diretto sulle
strutture giuridiche formali.
Mentre il desiderio per l’uguaglianza e di una legislazione statale uniforme è
chiaramente forte, la realtà è che il pluralismo giuridico è un fatto e resta la norma306
.
L’India, come ex-territorio colonizzato, non è stata immune da tali influenze e idee,
ma in realtà ha un’antica esperienza operativa, riccamente documentata, in sistemi
complessi di pluralismo giuridico, che non si poteva cancellare con secoli di
dominazione musulmana e coloniale britannica.
Lo Stato indiano post-coloniale, separato dall’islamico Pakistan, è stato, in parte,
tentato di seguire il pensiero giuridico e politico occidentale, ma è anche stato attirato
da M. K. Gandhi verso antichi concetti di governo e di legge hindu.
Al momento dell’Indipendenza, si percepiva l’India come un tutto indivisibile che
avrebbe dovuto dare un senso, al suo patrimonio pluralistico alla luce delle nuove
realtà socio-giuridiche e avrebbe dovuto convivere con il suo pluralismo giuridico,
anche se questo non sarebbe stato sempre facile.
Così, dopo accesi dibattiti in Assemblea Costituente, alla fine, fu inserito nella
Costituzione del 1950, un programma di compromesso per il futuro, che sembrava
privilegiare l’uniformità giuridica, che fece crescere l’aspettativa che alla fine ci
sarebbe stato un codice civile uniforme.
Quest’obiettivo per il futuro è previsto nell’art. 44 della Costituzione indiana, 1950,
una Directive Principle of State of Policy: “ The state shall endevour to secure for the
citizens a uniform civil code throughout the territory of India ”307
.
306
GRIFFITHS J., What is Legal Pluralism?, JOURNAL OF LEGAL PLURALISM AND
UNOFFICIAL LAW 1-56, 1986; cit. in MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law:
New Developments and Changing Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.216, www.germanlawjournal.com. 307
MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing
Agenda, Vol.09 n°03, 2008, pp.217-218, www.germanlawjournal.com.
- 183 -
Menski afferma che l’obiettivo e l’ambizione di un codice civile uniforme per tutta la
popolazione indiana, come codice condiviso da tutti i cittadini, che originariamente
era stato previsto dai creatori della Costituzione, non si sarebbero realizzati. Aveva
anche previsto che una completa uniformità giuridica, non avrebbe potuto realizzarsi
in India, come in qualsiasi altra parte del mondo308
. Ma quasi sessant’anni dopo il
primo ordine del giorno post-coloniale per l’uniformità giuridica, il diritto di famiglia
ha fatto un uso sapiente, di un diverso sistema di uniformità delle leggi:
l’armonizzazione, di cui i legislatori originari non percepivano la validità del metodo,
si rivelò essere la realtà giuridica ufficiale e dominante oggi in India.
Questo metodo indiano di emanare leggi uniformi senza avere un codice civile
uniforme codificato, si è sviluppato progressivamente, in diversi decenni. Lo Stato
indiano, con cautela, ha gradualmente unito le diverse leggi indiane sui diritti
personali, senza mettere in discussione il loro status di leggi personali separate.
Questo processo non porta certamente a un pericoloso passo radicale di un
emendamento uniforme introdotto nel diritto di famiglia per tutti i cittadini.
L’India ha elaborato una strategia di modifiche minori, attentamente pianificate, per
un lungo periodo, che in realtà è una complessa interazione tra attivismo giudiziario
e intervento parlamentare, che hanno conservato i vari organismi di diritto personale,
come entità separate309
.
L’India post-moderna, quindi, sembra aver trovato una soluzione piuttosto brillante
per l’enigma dell’uniformità giuridica che potrebbe diventare un modello da
divulgare in molti altri paesi.
Come risultato di questa strategia attentamente pianificata, le diverse leggi personali
indiane ora si assomigliano a vicenda più che mai, ma sono ancora identificabili in
termini d’identità etnica o religiosa, come hindu, musulmani, parsi, legge cristiana,
non solo dai loro titoli, ma anche nei contenuti.
308
MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing
Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.218, www.germanlawjournal.com. 309
MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing
Agenda, Vol.09 n°03, 2008, www.germanlawjournal.com.
- 184 -
Queste osservazioni valgono anche per la legge islamica in India, nonostante il suo
format in gran parte non codificato e l’apparente riluttanza dei leaders musulmani a
contemplare una riforma giuridica per le loro leggi.
Il fatto è che il diritto islamico indiano non è stato sottoposto a una codificazione
(come invece molti nazionalisti hindu continuavano a chiedere), ma non ha sottratto,
ugualmente, i diritti personali musulmani dal processo di ricostruzione indiano post-
moderno.
Piuttosto incautamente, gli stessi indiani musulmani chiesero una legge personale
separata, dopo la decisione del caso Shah Bano. Essi ottennero velocemente quello
che volevano dal governo di Rajiv Gandhi, vale a dire la promulgazione di una legge
musulmana separata che sembrava esentare i musulmani dall’applicazione delle
norme del Codice di Procedura Penale del 1973. Ma la ratio di tale legge, come si
comprese da molti casi delle High Courts, verso la fine degli anni ’80, negli aspetti
sostanziali non era molto diversa dalle vecchie disposizioni del codice del 1973, da
cui i musulmani volevano sottrarsi310
.
La legge indiana non è stata certamente statica negli ultimi cinquanta-sessant’anni.
Guidati dalla mano quasi invisibile dei maggiori burocrati “laici”311
, l’India ha ormai
quasi raggiunto il suo obiettivo di emanare una legge personale uniforme per tutti gli
indiani, attraverso la pianificazione della più grande armonizzazione delle leggi
personali e così raggiungere sostanzialmente l’uguaglianza per tutti i cittadini.
310
MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing
Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.219, www.germanlawjournal.com. 311
MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing
Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.220, www.germanlawjournal.com.
- 185 -
4.1 Imparare a rispettare le differenze nell’India indipendente
Da quel fatidico momento, l’Indipendenza, a metà agosto del 1947, è diventato
chiaro che l’India doveva essere il luogo di tutte le persone e non essere solo uno
stato hindu.
Le minoranze avrebbero dovuto affrontare più difficoltà se non fosse stata stabilita la
loro tutela all’interno della Costituzione indiana.
La legge hindu maggioritaria, non era stata prevista dalla Costituzione pluralista,
consapevole che sarebbe diventata la legge dell’intera nazione.
Il conseguente processo della costruzione dell’identità indiana postcoloniale è stato
molto difficile, non ci sono dubbi, ma ha anche portato alcuni risultati inattesi.
Gli studiosi che sostenevano con forza il codice civile uniforme, esprimevano
frustrazione per i lunghi “dibattiti sterili”, e avanzavano dubbi sulla possibilità della
sua attuazione312
.
Come affrontare legalmente le differenze culturali è un enigma generale, diffuso in
tutto il mondo, non solo in India.
Durante la ricostruzione postcoloniale, l’India, con la sua euforia riformista, ha
rischiato di perdere di vista il rispetto per le differenze locali e la cultura tradizionale.
Dopo l’indipendenza, nell’agosto 1947, l’India ebbe diverse opzioni: in particolare, il
tradizionale approccio gandhiano hindu-centrico e l’eccessivo approccio laico
modernista stato-centrico di Ambedkar. Nehru si trovò diviso tra questi due poli.
M. K. Gandhi voleva prediligere il villaggio, le culture locali, le norme
consuetudinarie e quindi, la pluralità giuridica, incentrata sui sistemi di ordinazione
autocontrollati del tradizionale dharma hindu. Pensava che la giustizia avrebbe
funzionato meglio, tenendo conto dei fatti e delle circostanze di ogni caso, piuttosto
che seguire un precedente codificato.
312
MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing
Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.229, www.germanlawjournal.com.
- 186 -
Ambedkar, invece, preferiva un forte stato centrale con leggi codificate e una più
possibile uniformità giuridica.
Mentre Gandhi voleva ritornare ad antichi modelli religiosi e culturali, i modernisti
volevano avanzare e seguire l’Occidente, per quanto possibile, lasciando il passato
dietro di sé.
Ambedkar, in particolare, voleva un’India laica e moderna con le stesse leggi per
tutti, un modello in stile occidentale come quello francese o tedesco, mentre altri
erano profondamente contrari a questo313
.
Mentre la tentazione di fare dell’India uno Stato interamente induista, era presente e
in qualche misura incarnata dal Mahatma Gandhi, Nehru e le persone intorno a lui,
imposero per l’India un particolare tipo di laicità, unico nel suo genere, ampiamente
frainteso, o piuttosto, non adeguatamente compreso.
In sostanza, il laicismo indiano significa equidistanza dello Stato da tutte le religioni.
Non è basato su una netta separazione tra diritto e religione, ma riconosce loro delle
interconnessioni e mira a garantire la parità di trattamento delle minoranze in un
nuovo stato hindu-dominato.
La riforma del diritto fu presentata nel programma nazionale di sviluppo; la pluralità
delle leggi, con il sistema dei diritti personali come elemento centrale, era ormai
semplicemente vincolata nel quadro generale della Costituzione indiana. Questo
presenta un compromesso intricato, tra uniformità e diversità, centralità e localismo.
Sebbene la Costituzione sembri simile alla Costituzione americana, in realtà è
tipicamente indiana, vi è il pieno riconoscimento delle differenze tra le diverse
comunità e rispettosa delle diversità a tutti i livelli.
La struttura della Costituzione indiana esprime in modo chiaro il compromesso tra
l’uniformità e la diversità314
.
313
MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing
Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.230, www.germanlawjournal.com. 314
MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing
Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.231, www.germanlawjournal.com.
- 187 -
Ambedkar, aveva sostenuto vigorosamente il codice civile uniforme, come
dispositivo laico, ma il suo progetto di uniformità e modernità non si completò, ma
per una buona ragione. A quanto pare la leadership indiana, ai tempi di Nehru, si era
già resa conto che l’uniformità non poteva essere creata a tavolino. Allo stesso modo,
i recenti tentativi dei nazionalisti hindu, per sbarazzarsi del diritto musulmano,
attraverso il progetto di emanazione del codice civile uniforme, erano falliti, e il
rispetto per la diversità ne uscì trionfante315
.
Durante gli aspri dibattiti, sulla codificazione hindu in India negli anni ’50, divenne
chiaro che la legge, perfino quella hindu nel suo complesso, era troppo diversa
internamente per essere sottoposta a un rigido processo di uniformazione e
codificazione.
Le diverse norme locali e consuetudinarie del diritto hindu non potevano essere
inserite in un codice uniforme di diritto hindu, così l’ambizioso progetto di
codificazione del diritto hindu fu abbandonato presto. Quattro Acts furono emanati,
per regolare alcuni aspetti del matrimonio con l’Hindu Marriage Act nel 1955 e tre
ulteriori atti di diritto hindu nel 1956316
. Come realtà giuridica, l’India aveva, verso
la metà degli anni ’50, un complesso normativo di diritto hindu. Buddhisti, giainisti e
sikh furono raggruppati sotto la legge hindu in questo processo di riforma.
315
MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing
Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.231, www.germanlawjournal.com. 316
MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing
Agenda, Vol.09 n°03, 2008, pp.231-232, www.germanlawjournal.com.
- 188 -
4.2 La persistente differenza giuridica nell’India moderna
Dopo il decennio iniziale di modernizzazione giuridica con la riforma del diritto
hindu negli anni ’50, l’India continuò ad applicare leggi personali diverse, per le
varie comunità.
Un esempio tangibile, per criticare questo modo di tornare “indietro” nel sistema
legislativo indiano, è che anche oggi potrebbe accadere che un uomo musulmano
possa sposare fino a quattro mogli contemporaneamente, mentre tutti gli altri uomini
indiani possono avere una sola moglie317
. Questa è almeno l’impressione che si ha
studiando solamente la legge statutaria e notando l’assenza di relative norme o di un
controllo della poligamia nel diritto islamico indiano.
Il problema principale e inevitabile nella legge indiana era se fosse stata
costituzionalmente legittimo mantenere tali distinzioni tra i cittadini indiani,
semplicemente sulla base della religione.
I cittadini indiani dovrebbero mantenere diversi diritti e doveri per il solo fatto di
appartenere a una particolare comunità religiosa?
Poiché la legge non può abolire le comunità, la legge indiana, almeno, può e deve
rimuovere le conseguenze giuridiche discriminatorie delle differenze sociali e
religiose?318
La questione è rimasta molto controversa e in realtà ciò che è stato, alla fine
contestato, è stata la spinosa questione sul mantenimento post-divorzio per le donne,
regolato dalla legge indiana.
317
MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing
Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.232, www.germanlawjournal.com. 318
MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing
Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.232, www.germanlawjournal.com.
- 189 -
Dopo il caso Shah Bano, del 1985, tanto citato e pesantemente abusato, anche da
molte persone in occidente che avevano la pretesa di conoscere il caso (anche se non
potevano sapere nulla sulla legge indiana), il successivo verdetto della Corte
Suprema indiana sul caso Danial Latifi, del 2001, ha confermato che la situazione
giuridica vigente, cioè fare distinzioni tra i cittadini, in base a determinati criteri, in
questo caso la religione, non è in sé costituzionale319
.
Tra il 1950 e il 2001, i dibattiti sul codice civile uniforme, in India, e sull’uniformità
del diritto in generale, hanno continuato a essere attivi. Il discorso ha preso pieghe
diverse, a seconda, dei periodi, delle politiche dell’epoca e dei nuovi sviluppi nel
diritto.
In un primo momento, le esigenze di modernizzazione che avrebbero condotto alla
globalizzazione, portarono verso la convinzione che l’India moderna avrebbe seguito
l’Occidente, in particolare, forse, la Gran Bretagna.
Un’irrispettosa modernizzazione nel campo del diritto di famiglia, avevano portato
molti giudici a ripensare alle strategie per gestire i conflitti familiari.
L’irragionevole modernizzazione è diventata indesiderata dal 1988 in poi. È stato
intrapreso un approccio più graduale, ma non sistematico.
Considerando più specificatamente i fatti e le circostanze del caso, i giudici ora
cercavano di tutelare le donne e i bambini, che potevano essere penalizzati dalle
norme sul divorzio.
Così, giudici indiani di diverse High Courts e della Corte Suprema, ma non il
Parlamento, erano diventati il motore principale, per importanti, quasi impercettibili
sviluppi nel diritto, che hanno inciso anche sulla questione del codice civile
uniforme320
.
È molto importante, nel contesto attuale, osservare che le implicazioni degli
interventi giurisprudenziali in diritto di famiglia non riguardavano principalmente i
problemi di differenza tra uomini e donne, ma principalmente le conseguenze
economiche risultanti dalle loro decisioni.
319
MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing
Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.233, www.germanlawjournal.com. 320
MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing
Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.212, www.germanlawjournal.com.
- 190 -
In India è diventato necessario intraprendere un profondo cambiamento delle
politiche di diritto di famiglia, soprattutto per quanto riguarda l’accesso ai fondi per
il divorzio e per il mantenimento dopo il divorzio.
Durante questo periodo, si nota un lieve cambiamento progressivo, estraneo alle
insistenti richieste per una legislazione e un codice civile uniforme per tutti i cittadini
indiani.
Ci sono stati casi piuttosto importanti, in cui i giudici hanno criticato l’assenza di un
codice civile uniforme. Questi processi stanno diventando sempre più rari, anche se
alcuni accademici indiani, ancora con entusiasmo, vorrebbero estendere il principio
dell’uniformità giuridica come obiettivo auspicabile per l’India di oggi.
Il nuovo principale messaggio per raggiungere l’uniformità è che tutti gli uomini
indiani, quali padroni della maggior parte delle proprietà e dei beni, sono i maggiori
responsabili per il benessere delle mogli e dei bambini, bisognosi di sostegno.
- 191 -
4.3 Collaborazione tra il legislatore e le Corti
Il legislatore indiano promulgando il Maintenance and Welfare of Parents and
Senior Citizens Act del 2007321
, ha compiuto un passo molto importante, è un
provvedimento che consiste in un diritto sociale uniforme, applicabile a tutti gli
indiani.
La nuova preoccupazione dominante, per i principi di tutela sociale, si fondava
fortemente su antichi principi di responsabilità, all’interno della situazione familiare.
In precedenza nel nuovo codice di procedura penale del 1973, che definiva
biecamente il termine “moglie”, fu compresa anche la donna divorziata.
Dato che il Codice è applicato a tutti gli indiani, è ora possibile per le donne
musulmane chiedere il mantenimento oltre il periodo tradizionale di tre mesi, iddat,
quindi per tutta la vita.
Questo è il modo in cui si sono evoluti i progressi giuridici post-moderni in India e
hanno contribuito all’armonizzazione del nuovo sistema di leggi personali.
Il famoso caso Shah Bano, era nato da questo tipo di questione giuridica. Ma ben
prima di questo caso, la sempre più operativa Corte Suprema indiana, nel 1979,
aveva stabilito che un ex-marito musulmano sarebbe stato esente da altri pagamenti
alla sua ex-moglie se questi erano sufficienti per lei “to keep body and soul
together”322
.
Evidentemente, il legislatore aveva messo basi solide nel Codice di Procedura Penale
del 1973, per questo tipo di approccio legale.
Così, importanti provvedimenti, per il benessere sociale in India, sono stati introdotti
con una combinazione di attivismo legale e prontezza legislativa, per aiutare le mogli
divorziate musulmane a evitare miseria e vagabondaggio.
321
MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing
Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.236, www.germanlawjournal.com. 322
BAI TAHIRA v. ALI HUSSAIN CHOTHIA, A.I.R. 1979, cit. in MENSKI W., The Uniform Civil
Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing Agenda, Vol.09 n°03, 2008, pp.236-
237, www.germanlawjournal.com.
- 192 -
Quando il marito di Shah Bano preparò la sua difesa, aggirando l’argomento del
mantenimento economico, i giudici della Corte Suprema, cinque Hindu, risposero e
puntualizzarono che anche in alcune disposizioni coraniche vi era l’obbligo, per un
marito divorziato musulmano, di essere premuroso e generoso con la propria ex-
moglie.
In questo modo, il caso Shah Bano aveva agito da catalizzatore per gli sviluppi
giuridici post-moderni nella legge indiana più recente.
Naturalmente dopo il caso Shah Bano, l’Act del 1986 sulla tutela dei diritti delle
mogli divorziate musulmane, aveva creato un enorme scalpore politico, in un primo
momento solo tra i musulmani ma in seguito anche tra i laici.
La preoccupazione iniziale sul mantenimento delle mogli divorziate musulmane fu
presto oscurata dalla partita politicizzata sul codice civile uniforme, di cui i giudici
trattarono verso la conclusione della sentenza del caso Shah Bano.
Rajiv Gandhi, in un tempo record, emanò una legge, the Muslim Women (Protection
of Rights on Divorce) Act, nel 1986, che tolse tutti i diritti alle mogli divorziate
musulmane per il mantenimento dovuto dai loro ex mariti.323
I modernisti e i laici avevano lamentato con forza il fatto che lo Stato indiano avesse
violato l’art.44 della Costituzione indiana, emanando una nuova legge personale,
specificatamente per i musulmani.
Valide considerazioni erano state fatte circa il fatto che lo Stato indiano avesse,
presumibilmente, deluso tutte le mogli divorziate musulmane.
In realtà, come si evince dal verdetto della Corte Suprema indiana sul caso Danial
Latifi del 2001, le mogli divorziate musulmane sono state tutte tutelate grazie alla
precedente sentenza del caso Shah Bano, e dalle disposizioni della legge stessa del
1986, che erano state fermamente difese, perché costituzionalmente legittime324
.
323
MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing
Agenda, Vol.09 n°03, 2008, 2008, pp.237-238, www.germanlawjournal.com. 324
MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing
Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.239, www.germanlawjournal.com.
- 193 -
Era stata la legge, sia per gli ex-mariti musulmani ai sensi dell’Act del 1986, sia per
tutti gli ex-mariti indiani ai sensi delle disposizioni artt.125 ss., del Codice di
Procedura Penale, del 1973, a essere garante per il mantenimento delle loro ex-mogli,
fino a quando furono emanate adeguati provvedimenti per la sopravvivenza della
donna ad un livello adeguato alle parti.325
Anche se questa non era la versione fornita ufficialmente, questa conclusione era
stata in precedenza documentata, in modo graduale, da un numero crescente di casi
delle High Courts. Tali casi sono stati segnalati fin dal 1988, con particolare forza e
con temi elaborati dall’High Court del Kerala.
I tribunali avevano cominciato a osservare che le azioni dovevano essere più
strettamente limitate nel tempo.
Ai sensi dell’art.3 dell’Act del 1986, come poi interpretato dalle High Courts in
decine di casi segnalati, un ex-marito musulmano, non solo, avrebbe dovuto
mantenere l’ex-moglie durante il periodo dell’iddat (come ogni buon musulmano
dovrebbe fare, ma molto spesso non riesce), ma entro tale periodo avrebbe anche
dovuto “ make and pay” gli alimenti per il periodo successivo all’iddat.326
In altre parole, una moglie musulmana divorziata, raggiunto la fine del suo periodo
d’iddat, poteva presentarsi in tribunale per rivendicare i suoi diritti, se il marito non
l’avesse mantenuta e non avesse provveduto in modo ragionevole al suo benessere
futuro (che poteva includere l’organizzazione di un nuovo matrimonio).
Menski, constatò che nel Sud dell’India, questo avrebbe potuto aiutare le donne nel
lottare per i loro diritti all’interno della famiglia. Allo stesso tempo era consapevole
delle critiche riguardo al presentarsi in tribunale per far rispettare i propri diritti, ciò
rimaneva un grave problema per la maggior parte delle donne in India, forse,
soprattutto, per la classe medio-bassa delle ex-mogli musulmane. Anzi, le nuove
leggi avevano contribuito enormemente, in questo campo, a far sì che le donne
prendessero coscienza.
325
MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing
Agenda, Vol.09 n°03,2008, p.239, www.germanlawjournal.com. 326
MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing
Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.240, www.germanlawjournal.com.
- 194 -
4.4 Verso l’uniformità giuridica nonostante le leggi personali
In India, per i mariti musulmani la situazione era peggiore, perché mentre il codice di
procedura penale del 1973, stabiliva un limite massimo di 500 rupie per il
mantenimento, non vi erano, invece, limiti economici per i diritti delle ex-mogli
musulmane ai sensi dell’Act del 1986. Così, alla base di questi provvedimenti, ora,
tutto dipendeva dalla situazione economica dei coniugi.
In effetti, c’è stato un caso, in particolare, nel Kerala, per cui una donna musulmana,
che aveva già un milione di rupie, pretendeva ancora più soldi dal marito milionario,
e ci riuscì. Questo assicurò ulteriormente i lontani legislatori di Delhi, che il clima
stava finalmente cambiando per garantire a tutte le donne indiane una maggiore
tutela economica.
I giudici, quali guardiani del sistema di welfare, spinsero, indiscutibilmente, i
musulmani verso il regime indiano di assistenza sociale. Il sistema di welfare non è
chiaramente costruito su un sostegno diretto dello Stato, come nei Paesi occidentali,
ma fu progettato abilmente per assicurare che le famiglie cercassero persone vicine,
ma soprattutto che gli uomini rimanessero responsabili del benessere delle loro ex-
mogli e dei loro figli.327
Come le interpretazioni dell’Act del 1986 mostrano, e dopo il caso Danial Latifi del
2001, sembra che la burocrazia statale indiana abbia realizzato, che bisognava
sacrificare o riassegnare la priorità, cioè il principio di uniformità giuridica formale,
per raggiungere lo scopo più alto di assicurare gli equi diritti legali, e questo poteva
essere realizzato in altri modi.
Così, si è evidentemente deciso che i musulmani possano avere o mantenere le loro
specifiche leggi personali se lo desiderano, ma non potranno esimersi dagli obblighi
di assistenza sociale che si applicano uniformemente a tutti gli indiani.
327
MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing
Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.241, www.germanlawjournal.com.
- 195 -
Sembra, quindi, che la legge indiana post-moderna abbia iniziato a incorporare alcuni
buoni elementi del diritto tradizionale, shari’a. In realtà, questa non è la prima volta
che un principio islamico è adottato in un’altra parte del diritto indiano.328
Come già accennato, la sentenza del caso Danial Latifi e il suo palese appoggiare le
donne costrinsero gli uomini musulmani a prendere i provvedimenti necessari per il
futuro mantenimento delle loro ex-mogli.
Dopo aver ricevuto questo verdetto, quasi inaspettato, si aprì presto la strada a un
governo in grado di fare importanti decreti per perfezionare il cammino verso una
maggiore uniformità giuridica nel diritto di famiglia indiano.
Si è notata un’altra crepa nello sviluppo giuridico del diritto di famiglia indiano, che
si è verificata due giorni dopo la sentenza sul caso Danial Latifi, il 24 settembre
2001, quando l’Act 50 del 2001, the Code of Criminal Procedure (Amendment) Act
del 2001, è stato approvato. L’impatto di questa piccola ma molto importante parte di
legislazione si sta facendo sentire dal 2007, molte più donne e gli altri familiari
svantaggiati, hanno preso coscienza di avere diritti legali nei confronti degli uomini
che controllano il patrimonio di famiglia329
.
In primo luogo, la legge ha semplicemente rimosso il tetto di 500 rupie per il
mantenimento previsto, in precedenza, nella sezione 125 del codice di procedura
penale del 1973 per tutti gli indiani. Questo ripristina l’uniformità giuridica al livello
di obbligo a mantenere le ex-mogli per tutti gli ex-mariti indiani.
In secondo luogo, la legge del 2001 introduce una nuova clausola per rafforzare i
diritti al mantenimento pendente lite o mantenimento provvisorio dato che molti
soffrono per la tardiva attuazione delle leggi in questo campo.
In ultimo, questa legge promette un’altra rapida condizione di smaltimento di altri
casi, per quanto possibile, entro sessanta giorni dalla data di notifica della relativa
comunicazione.330
328
“In 1976, the Marriage Laws (Amendment) Act inserted section 13 into the original Hindu
Marriage Act, permitting a Hindu wife exit through divorce from a marriage into which she had been
virtually forced, a rule taken from Muslim law”; cit. nota n°95 in MENSKI W., The Uniform Civil
Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.241,
www.germanlawjournal.com. 329
MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing
Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.242, www.germanlawjournal.com. 330
MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing
Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.242, www.germanlawjournal.com.
- 196 -
Bisognerebbe prendere in considerazione queste nuove disposizioni, anche se la loro
attuazione richiederà tempo e probabilmente mai in modo certo. Lo Stato indiano e il
suo popolo dovranno imparare a utilizzare questa nuova legge, ma ci sarà anche
molta resistenza.
Si teme che sempre più donne indiane siano uccise nei cosiddetti “omicidi per la
dote”, se fanno richiesta di un sostegno finanziario, considerato inaccettabile.331
Soprattutto, sarebbe necessaria, indubbiamente, una vigilanza giudiziaria per attuare
le disposizioni di legge indiane sui benefici del mantenimento post-divorzio.
Questa importante riforma giuridica indica la strada per un riallineamento di genere
delle responsabilità, dei relativi familiari indiani, rimanendo in un sistema
patriarcale, che nessuna legge statale potrà abolire.
Mentre questo tipo di legge sembra fondarsi su ipotesi molto diverse, rispetto ad altre
recenti leggi emanate dal Parlamento indiano, come l’Hindu Succession
(Amendment) Act del 2005, che sembra favorire i singoli diritti sul patrimonio, le
altre recenti promulgazioni hanno rafforzato di nuovo la responsabilità degli
individui vicini ai membri della famiglia.332
Il punto più rilevante della presente discussione sull’uniformità giuridica indiana è
che il quadro giuridico riguardante il mantenimento, prima creato per le ex-mogli
musulmane, con la legge del 1986, ora è stato esteso anche a tutte le ex-mogli
indiane.
331
MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing
Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.243, www.germanlawjournal.com. 332
MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing
Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.240, www.germanlawjournal.com.
- 197 -
La virtuale uniformità giuridica è stata ristabilita, dopo il 1986, con successo, dopo il
cambiamento della legge personale musulmana, anche se formalmente la legge in
questione si trovava nella versione modificata del Codice del 1973 e dell’Act del
1986. In sostanza, non vi è più differenza, ma l’identità della struttura della legge
personale è stata conservata.333
La graduale estensione di tale tutela a tutti i cittadini indiani in difficoltà, è, quindi,
un esempio del continuo potere della promulgazione di leggi personali attiviste e
progressiste nel diritto indiano, destinato a rafforzare la tutela dei diritti individuali,
la coesione nazionale e l’uniformità giuridica.
333
MENSKI W., The Uniform Civil Code Debate in Indian Law: New Developments and Changing
Agenda, Vol.09 n°03, 2008, p.243, www.germanlawjournal.com.
- 198 -
Conclusioni
La particolare realtà indiana è definita, principalmente, dalle conseguenze politiche
derivate dal problema dell’unificazione del diritto di famiglia.
Infatti in India troviamo, da un lato un diritto laico solo abbozzato, e, dall’altro,
sistemi giuridici fondati su basi religiose, che rappresentano comunità insediate nel
paese da secoli. Uno di questi sistemi è in vigore presso la componente
maggioritaria: la comunità hindu.
L’introduzione dell’Uniform Civil Code rischierebbe di risultare un’imposizione
dell’Hindu Code anche alle minoranze musulmana, cristiana, ebraica e parsi.
“ Contrariamente a quanto vorrebbero i fondamentalisti hindu, è difficile considerare
l’Hindu Code come un passo verso l’introduzione di una legge unitaria e unificante.
Anzi, si può dire che, così com’è concepito, l’Hindu Code rappresenta an
afterthought, apologetically or optimistically misconstruing the historical forces at
work. The codification of Hindu personal law rather belongs to the line of separate
social reforms within the communities ”334
.
Un’eventuale estensione dell’Hindu Code a tutta la popolazione indiana
implicherebbe la perdita automatica di una serie di diritti riconosciuti alle altre
comunità che sarebbero considerate come minoranze, e riconoscerebbe loro soltanto
dei diritti speciali.
Una parte dell’opinione pubblica indiana coglie nell’aspirazione all’uniformità il
rischio di compromettere la libertà di culto, sancita dalla Costituzione. In merito a
tale preoccupazione i membri dell’Assemblea Costituente, in sede di redazione della
Carta costituzionale, avevano espresso un’ipotesi:
“ Religion must be confined to its proper sphere, and the rest of life regulated un
unified so that we can become a strong and consolidated nation. Our first problemi s
national unity ”335
.
334
CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del diritto di
famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il subcontinente indiano verso il
terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,
Franco Angeli, Milano, 2002, p.381. 335
ACQUARONE L., Tra Dharma, Common Law e WTO, Edizioni Unicopli, 2006, cit. p.96.
- 199 -
Anche la Corte Suprema si pronunciò numerose volte sull’argomento, dimostrando
di condividere pienamente la loro opinione e segnalando al legislatore statale la
necessità di dare attuazione all’art.44 della Costituzione.
Nonostante le considerazioni espresse dai giudici della Corte Suprema, non si sono
ancora superate le resistenze all’uniformazione del diritto che fanno leva sul fatto che
la Costituzione pur proclamando principio del laicismo, garantisce a tutti non solo la
libertà di professare qualsiasi fede, ma la possibilità di vivere secondo la propria
religione.
Il governo indiano sembra seguire la politica dell’uguaglianza, anche se ulteriori
sviluppi dipenderanno dalle future condizioni politiche.
Bisogna porsi una domanda: l’India riuscirà a seguire le correnti delle democrazie
liberali nel mondo, proponendo all’esame del Parlamento proposte di legge, per un
diritto civile unitario o prenderà la strada dei nazionalismi etnici?
Forse è giunto il momento che l’India si avvalga dell’attuale differenziazione
legislativa, per raggiungere l’uniformità giuridica ispirata da apporti delle diverse
tradizioni.
Oggi, nella situazione in cui si trova il Paese, sarebbe auspicabile l’introduzione di
un diritto di famiglia unificato che rispecchi e rispetti la multiculturalità della società.
Dovrebbe attuarsi con un processo di adattamento generale che integri le diverse
tradizioni in un codice laico e uniforme.
- 200 -
Il processo d’integrazione può essere sviluppato solo se si riesce a individuare e
valorizzare gli istituti giuridicamente innovativi presenti all’interno di ogni tradizione
giuridica.
Un autorevole giurista musulmano indiano fa un appello, a favore dell’elaborazione
di un diritto di famiglia unitario, e scrive:
“ In pursuance of the goal of secularism, the State must stop administering religion-
based personal laws […]
Instead of wasting their energies in exerting theological and political pressure in
order to secure an “immunity” for their traditional personal law from the state’s
legislative jurisdiction, the Muslim will do well to begin exploring and demonstrating
how the true Islamic laws, purged of their time-worn and anachronistic
interpretations, can enrich the common civil code of India ”336
.
Il diritto hindu non è molto flessibile e ciò è dovuto a due fattori: in primo luogo, alla
volontà uniformante che lo ispira, e in secondo luogo al carattere ibrido che alla fine
ha assunto. Gli elementi di laicismo cercano di fondersi con i caratteri della
tradizione, semplificandoli e correggendoli in modo tale che si adattino meglio alla
società indiana. Ma, all’interno delle comunità rurali hindu le pratiche
consuetudinarie sono ancora molte, e questo complica il processo di uniformazione.
Anche il diritto islamico presenta molti elementi arcaici, ma anche delle innovazioni
intrinseche di laicismo che si possano utilizzare per realizzare un’autentica riforma
legislativa.
I passaggi da compiere sono principalmente due. Il primo comporta il consolidare e
rifinire gli strumenti giuridici e introdurre misure innovative. L’altro, invece, è
introdurre un diritto laico e uniforme, modellato sullo Special Marriage Act, del
1954, in cui il rapporto con le normative delle diverse comunità è risolto secondo le
norme del diritto privato internazionale.
336
MAHMOOD T., Muslim Personal Law, Vikas Publishing House, New Delhi, 1977, pp.200-202,
citazione riportata nel testo della sentenza Shah Bano, in ENGINEER A.A., The Shah Bano
Controversy, cit. p.33; cit. in CASOLARI M., “Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema
dell’unificazione del diritto di famiglia in India”, in Elisabetta Basile, Michelguglielmo Torri (eds.), Il
subcontinente indiano verso il terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed
economiche, mutamento culturale, Franco Angeli, Milano, 2002, p.382.
- 201 -
Negli ultimi anni i provvedimenti emanati per il diritto al mantenimento delle donne
divorziate indiane, indipendentemente dalla loro appartenenza religiosa sono stati il
primo passo verso l’uniformazione del diritto.
La necessità di una legislazione unitaria è divenuta molto meno interessante, tanto
più che il sistema dei diritti personali continua a dimostrare di contenere le pressioni
della potenziale disuguaglianza attraverso il complicato processo graduale di
armonizzazione di tutte le leggi personali indiane grazie alle norme costituzionali e
penali. Ciò non contraddice le finalità dello Stato indiano post-moderno, posto che i
diversi sistemi giuridici si comportano come identificatori etnici della celebrata unità
indiana nella diversità.
Le prospettive non sono cambiate totalmente, ma le priorità sono state riadattate, la
nazione prospera e le persone vulnerabili sono tutelate meglio, rispetto a prima.
I dibattiti giuridici e accademici, tuttavia, sono ancora molto indietro, rispetto allo
sviluppo del diritto, in forma sia di legge statutaria sia di giurisprudenza.
Queste nuove leggi, con il loro riconoscimento, hanno caratterizzato il pluralismo nel
senso più profondo.
Molti studiosi ancora oggi pensano che l’ideologia politica e giuridica di una totale
uniformità delle leggi e la creazione di un nuovo diritto di famiglia unitario che
potrebbe o dovrebbe essere legiferato dal Parlamento per tutti gli indiani non siano
realizzabili.
Una forzata uniformità giuridica difficilmente porterebbe a una situazione di
giustizia, che i sistemi induista e islamico hanno sempre cercato e tentano ancora di
raggiungere.
Sembra che l’India riesca ormai a gestire formalmente un sistema nazionale giuridico
uniforme, come la Costituzione e la maggior parte del diritto generale, ma il diritto
vigente stesso, e il diritto di famiglia in particolare, rimarranno legati a culture
specifiche, e quindi segnati da differenze.
Chiedere un Uniform Civil Code in stile approssimativamente uniforme, come
desiderato dai legislatori degli anni ’50, era come chiedere l’impossibile.
- 202 -
Attualmente, ciò che può presentare lo Stato indiano come diritto di famiglia
uniforme è solo un’immagine speculare di leggi personali armonizzate.
Il pluralismo giuridico che vige in India in materia di diritto di famiglia sembra
l’unica risposta adeguata al multiculturalismo e il diritto di famiglia indiano basato
sul sistema di diritti personali è indicato come modello testato da esportare nelle
società che hanno iniziato da poco a confrontarsi con la multiculturalità.
La sfida, ora, è di emanare leggi personali che funzionino al meglio per il popolo
indiano, nel rispetto della Costituzione.
- 203 -
Bibliografia
Acquarone L., Annunziata F., Cavalieri R., Colombo G. F., Mazza M., Negri A.,
Passanante L., Rossolillo G., Sempi L., Sistemi giuridici del mondo, G. Giappichelli
Ediore, Torino, 2012.
Acquarone L., Tra Dharma, common Law e WTO, Edizioni Unicopli, Milano, 2006.
Agarwal B., A Field of One’s Own: Gender and Land Rights in South Asia,
Cambridge University Press, Cambridge,1994.
Basu D. D., Introduction to the Constitution of India, Lexisnexis, Wahdwa Nagpur,
2013.
Casolari M., Aspetti giuridici e multiculturalismo. Il problema dell’unificazione del
diritto di famiglia in India,
in Basile E., Torri M. (eds.), Il subcontinente indiano verso il terzo millennio.
Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale,
Franco Angeli, Milano, 2002.
- 204 -
Chiba M., (a cura di), Asian Indigenous law in interaction with received law, KPI,
London and New York, 1986.
Conrad D., The Personal Law Question and Indian Nationalism,
in Vasudha Dalmia, Heinrich von Stietencron (a cura di), Representing
Hinduism. The Construction of Religious Tradition and National Identity, Sage
Publications, New Delhi-London, 1995.
D’orazi Flavoni F., Storia dell’India, Marsilio, Venezia, 2000.
Derrett M., Duncan J., A Critique of Modern Hindu Law, N.M. Tripathi, Bombay,
1970.
Dhagamwar V., Towards the Uniform Civil Code, N.M. Tripathi, Bombay, 1989.
Diwan P., Modern Hindu Law, Allahabad Law Agency, Allahabad, 2004.
- 205 -
Doniger W., Le Leggi di Manu, Adelphi, Milano, 1996.
Engineer A. A., (a cura di), The Shah Bano Controversy, Sangam Books, Hyderabad,
1987.
Foblets M. C., Gaudreault-Desbiens J. F., Dundes Renteln A., Cultural Diversity and
the Law. State Responses from Around the World , Editions Yvon Blais, Bruylant
Bruxelles 2006.
Francavilla D., Il diritto contemporaneo in India, G. Giappicheli Editore, Torino,
2010.
Glenn P. H., Tradizioni giuridiche nel mondo. La sostenibilità della differenza,
Società editrice Il Mulino, Bologna 2011.
Griffiths J., What is Legal Pluralism?, Journal of Legal Pluralism and Unofficial
Law 24, Birmingham, Canada, 1986.
- 206 -
Halbfass W., India and Europe: An Essay in Philosophical Understanding, Motilal
Banarsidass, Dehlhi, 1990.
Jacobsohn G. J., The Wheel of Law: India’s Secularism in Comparative
Constitutional Context, Princeton University Press, Princeton, 2003.
Jain M. P., Indian Constitutional Law, Wadhwa and Company Nagpur, New Delhi,
2003.
Kodhie N., Readings in Uniform Civil Code, Thacker, Bombay, 1975.
Kumar V., Uniform Civil Code Reviseted: A Juridical Analysis of John Vallamatton,
Journal of the Indian Law Institute 24, New Delhi, 2003.
Kymlicka W., La cittadinanza multiculturale, Il Mulino, Bologna, 1999.
- 207 -
Lingat R., La tradizione giuridica dell’India, Giuffrè, Milano, 2003.
Mahmood T., An Indian Civil Code and Islamic Law, Tripathi, Bombay, 1976.
Mahmood T., Personal Laws in Crisis, Metropolitan, 1986.
Mahmood T., The Muslim Law of India, Law Book Company, Allahabad, 1980.
Mattei U.- Monateri P. G., Introduzione breve al diritto comparato, Cedam, Padova,
1997, p.144 ss.
Menski W. F., Asking for the Moon: Legal Uniformity in India from a Kerala
Perspective, Kerala Law Times, Ernakulam, 2006.
- 208 -
Menski W. F., Comparative Law in a Global Context: The Legal Systems of Asia and
Africa, Cambridge University Press, Cambridge, 2006.
Menski W. F., Diritto dell’India, Enciclopedia giuridica Treccani, vol. 11, Roma,
1989.
Menski W. F., Hindu Law. Beyond Tradition and Modernity, Cambridge University
Press, New Delhi, 2003.
Menski W. F., Modern Indian family law, Curzon Press, Richmond, Surrey, 2001.
Mittal J. K., Indian Legal and Constitutional History, Allahabad Law Agency,
Allahabad, 2004, pp. 209-210.
Naipaul V. S., Una civiltà ferita: l’India, Adelphi, Milano, 1997.
- 209 -
Narang A. S., India: Ethnicity and Federalism, Indian Federalism in the New
Milennium,(a cura di B.D. Dua- M.P. Singh), Manohar, New Delhi,2003.
Nussbaum M. C., Lo scontro dentro le civiltà. Democrazia, radicalismo religioso e
futuro dell’india, Il mulino Bologna, 2009.
Olivelle P., Dharmasutras. The law codes of Apastamba, Gautama, Baudhayana and
Vasishtha, Oxford University Press, New York, 1999.
Pandey G., The Construction of Communalism in Colonial North India, Oxford
University Press, New Delhi, 1999.
Phillipson R., Linguistic Imperialism, Oxford University Press, Oxford, 1992.
Piano S., Sanatana Dharma. Un incontro con l’induismo, Edizioni San Paolo,
Cinisello Balsamo, 2006.
- 210 -
Presta G., Minoranze tra legge secolare e statuti personali in India, EUT Edizioni
Università di Trieste, 2001,
in Marzocchi S., Il Kurdistan nelle fonti elettroniche, Letterature di
Frontiera=Littératures Frontalières, XI, (2001)1, pp.143-159.
Rao B. V. R., The Constitution and languages politics in India, B. R. Publishing
Corporation, New Delhi, 2003.
Reynolds F. E.- Hallisey C., Buddhism: An Overview,
in Eliade M. (a cura di), The Encyclopedia of Religion, vol. 2, MacMillan,
New York, 1987, p.335.
Rothermund D., Storia dell’India, il Mulino Universale Paperbacks, Bologna 2007.
Sacco R., Language and Law, Yearbook of Legal Hermeneutics 5, Monaco, 2000.
Sathe S. P., Judicial Activism in India, Oxford University Press, Delhi, 2008.
- 211 -
Saxena R. N., The Code of Criminal Procedure, Central law Agency, Allahabad,
2004.
Sen A., L’altra India. La tradizione razionalista e scettica alle radici della cultura
indiana, Oscar Saggi Mondadori, Milano 2006.
Sen A., La democrazia degli altri. Perchè la libertà non è un’invenzione
dell’Occidente, Mondadori, Milano, 2004.
Singh A., Introduction to Jurisprudence, Wadhwa, New Delhi, 2005.
Singh M. P., Human Rights in the Indian Tradition- Alternatives in the
Understanding and Realization of the Human Rights Regime, Heidelberg, Journal of
International Law, vol. 63, pp.551-584.
Smith D., Induismo e modernità, Bruno Mondadori, Milano, 2006.
- 212 -
Sullivan R., The Challenges of Interpreting Multilingual, Multijural Legislation,
paper presented at Conference on “Creating and Interpreting Law in a Multilingual
Enviroment”, Brooklyn Journal of International Law, 29/3, 2004.
Tewari G. C., Law and Language, Creative Books, New Delhi, 1996.
Torri M., (a cura di), L’Asia negli anni del drago e dell’elefante. L’ascesa della Cina
e dell’India, l’imperativo energetico e le linee di tensione endogene ed esogene,
Guerini ed Associati, Milano 2007.
Torri M., (a cura di), L’Asia nel grande gioco. Il consolidamento dei protagonisti
asiatici nello scacchiere globale, Guerini e Associati, Milano 2008.
Torri M., Mocci N. (a cura di), L’Asia nel triangolo delle crisi giapponese araba ed
europea, Emil di Odoya, Bologna 2012.
Vatuk S., Muslim Women and Personal Law,
in Hasan Z. e Menon R. (a cura di), In a Minority: Essays on Muslim Women
in India, Delhi, Oxford Univesity Press, 2005.
- 213 -
Walzer M., Pluralism in Political Perspective,
in The Politics of Ethnicity, Harvard University Press, Cambridge, 1982.
Washbrook D., To each a language of his own: language, culture and society in
colonial India,
in Language History and Class, Corfield P. J., (a cura di) Cambridge
University Press, Cambridge, 1991.
Wolpert S., Storia dell’India, Bompiani, Milano, 2000.
- 214 -
Sitografia
www.academia.edu/359355/_across_the_border_a_new_avatar_for_indias_basic_-
structure_doctrine_in_seminar_a_monthly_journal_special_symposium_on_60_-
years_of_the_indian_constitution_1950-2010
www.academia.edu/3354551/family_courts_objectives_and_fnctioning
www.archive.india.gov.in/citizen/lawnorder
//articles.economictimes.indiatimes.com/keyword/uniform-civil-code
www.asiamaior.org
//boi.gov.in/content/person-indian-origin-pio
www.casas.org./papers/pdfpapers/pomolaw.pdf
- 215 -
//casi.sas.upenn.edu/iit/de
www.cdct.it/events/cmsallegatidwn.aspx?syspk=207%7c1
www.cdct.it/events/csmallegatidwn.aspx?syspk=219%7c1
www.csss-isla.com/draft%20code.pdf
www.csss-isla.com/iis-arch-aug-2012
www.dalitstudies.org.in/download/radseminar.pdf
//dirittoecclesiastico.files.wordpress.com/2010/02india.doc
www.diritto.it/articoli/antropologia/marotta
- 216 -
//dl4a.org/uploads/pdf/bjwa_genderinequalityreligiouspersonallaws_india.pdf
www.edt.it/lindia-dal-1989-a-oggi
www.epw.in/special-articles/whither-secularism-it-problem-definition
www.germanlawjournal.com
www.gianfrancobertagni.it/materiali/reneguenon/dottrineindu.pdf
www.hindu.com
www.iaml.org/cmsmedia/files/familylawandreligiontheindianexperience.pdf
www.indianexpress.com
- 217 -
www.indianexpress.com/news/from-shah-bano-to-salma
//india.gov.in/http://www.transparencyindia.org
//indiankanoon.org/doc/410660
//indiatoday.intoday.in/story/congress-highs-and-lows-in-eighties
www.ispionline.it/it/documents/volume%20sideri%20india.pdf
www.italindia.it
www.juragentium.org/topics/rol/it/giri
//lawcommissionofindia.nic.in
- 218 -
www.law.emory.edu/ifl/cases/india
www.openstarts.units.it/dspace/bitstream/10077/.../presta_lf_2001_1.pdf
www.rediff.com
www.repository.law.indiana.edu/cgi/viewcontent.cgi
www.resetdoc.org/story/
www.reunite.org/edit/files/islamic%20resource/india%20text.pdf
www.righttofoodindia.org/data/amartya
www.risonanzamorfica.net
- 219 -
www.sitotecacapitello.eu/storia/index.php?option=com_content&view=article&id=1
:lindia-nellantichita&catid=3:articoli&itemid=14
www.sviluppoepace.it/public/2/sistemi%20politici/india.doc
www.thehindu.com
www.thenewyorktimes.com
www.unipa.it/.../seminari.../diritti_e_donne_in_india_shah_bano.doc
www.unitn.it/files/quad51_0.pdf