Rito licenziamenti: profili sistematici e problemi applicativi

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Milano • Giuffrè Editore RIVISTA ITALIANA DI DIRITTO DEL LAVORO Anno XXXII Fasc. 2 - 2013 ISSN 0393-2494 Dino Buoncristiani RITO LICENZIAMENTI: PROFILI SISTEMATICI E PROBLEMI APPLICATIVI Estratto

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Milano9•9Giuffrè9Editore

RIVISTA ITALIANA DI DIRITTO DEL LAVOROAnno9XXXII9Fasc.929-92013

ISSN90393-2494

Dino9Buoncristiani

RITO LICENZIAMENTI: PROFILISISTEMATICI E PROBLEMI

APPLICATIVI

Estratto

DINO BUONCRISTIANI

Professore aggregato di diritto processuale civile nell’Università di Pisa

RITO LICENZIAMENTI: PROFILI SISTEMATICIE PROBLEMI APPLICATIVI (*)

SOMMARIO: 1. Nuovo rito per alcuni licenziamenti. Inquadramento e programmad’indagine. — 2. Rito o procedimento speciale? Obbligatorietà o facoltati-vità? Legittimità costituzionale di una tutela giurisdizionale differenziata. —3. Ambito di applicazione del nuovo rito. In particolare, estensione alladomanda subordinata di tutela debole ex art. 8 l. 604/1966? — 4. Modalità dicontrollo del rito. Disinnesco del principio iura novit curia. — 5. Qualedestino per la richiesta subordinata di tutela debole ex art. 8 l. 604/1966?Rischio per il lavoratore di «trovarsi tra le sedie». — 6. Profilo dinamico dellaquestione di rito. Sorte delle domande diverse da quella d’impugnazione dellicenziamento. — 7. Regime degli atti compiuti con il rito errato e dacompiere con il rito corretto. — 8. Architettura del nuovo rito. Il giudicecome signore dei tempi. Aspetto qualitativo del fattore tempo. Terminecongruo e non ordinatorio o perentorio. Costituzionalità. — 9. Bilanciamentodei poteri delle parti e del giudice. Indispensabilità degli atti d’istruzione. —10. Formalità e contraddittorio. — 11. Lacune di disciplina del nuovo rito emodalità per colmarle. Efficacia di giudicato?

1. Nuovo rito per alcuni licenziamenti. Inquadramento e pro-gramma d’indagine. — Il legislatore ha introdotto un nuovo ritospeciale rispetto al rito — già speciale — del lavoro (1).

(*) È il testo con note della relazione tenuta al Forum Lavoro - PalazzoGiureconsulti, Milano, il 14 marzo 2013.

(1) Tanto che R. CAPONI, La corsia preferenziale per alcune cause di lavororallenta le altre in assenza delle adeguate risorse, GDir, 2012, 18, 9 ss. (anche in re-te all’indirizzo http://www.lex24.ilsole24ore.com/redazione/newsletter/2012/16/GAD.pdf)parla di «una specie di rito speciale “al quadrato”». Su questo nuovo rito, v., exmultis, P. RAUSEI, Una corsa contro il tempo per decidere in tre gradi (più uno) iricorsi contro il licenziamento, in Lavoro: una riforma a metà del guado. Primeosservazioni sul DDL n. 3249/2012, Disposizioni in materia di riforma del mercato

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Questo nuovo rito speciale non si applica però ad ogni pro-cesso, in cui si contesta la liceità di un licenziamento, ma soltanto«alle controversie aventi ad oggetto l’impugnativa dei licenzia-

del lavoro in una prospettiva di crescita, a cura di P. RAUSEI - M. TIRABOSCHI, AdaptLabour Studies e-Book series, n. 1/2012, 172; ID., Tre gradi (più uno) in corsiapreferenziale nel nuovo processo per i licenziamenti, in Lavoro: una riforma sba-gliata. Ulteriori osservazioni sul DDL n. 5256/2012, Disposizioni in materia diriforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita, a cura di P. RAUSEI - M.TIRABOSCHI, Adapt Labour Studies e-Book series, n. 2/2012, 168 ss.; A. CIRIELLO - M.LISI, in Riforma del lavoro, a cura di G. PELLACANI, Giuffrè, 2012, 279 ss.; G.TREGLIA, Brevi note sul nuovo processo del licenziamento introdotto dalla riforma delmercato del lavoro, LG, 2012, 763 ss.; A. VALLEBONA, La riforma del lavoro 2012,Giappichelli, 2012, 72 ss.; D. DALFINO, Il nuovo procedimento in materia di impu-gnativa del licenziamento (nella l. 28 giugno 2012, n. 92), Giusto proc. civ., 2012, 759ss.; ID., L’impugnativa del licenziamento secondo il c.d. «rito Fornero»: questioniinterpretative, FI, 2013,V, 6; G. BENASSI, La Riforma del mercato del lavoro:modifiche processuali, LG, 2012, 749 ss.; R. CAPONI, Rito processuale veloce per lecontroversie in tema di licenziamento, www.judicium.it; F.P. LUISO, La disciplinaprocessuale speciale della legge n. 92 del 2012 nell’ambito del processo civile: modellidi riferimento ed inquadramento sistematico, www.judicium.it; M. DE CRISTOFARO -G. GIOIA, Il nuovo rito dei licenziamenti: l’anelito alla celerità per una tutelasostanziale dimidiata, www.judicium.it; I. PAGNI, I correttivi alla durata del processonella L. 28 giugno 2012, n. 92: brevi note sul nuovo rito in materia di licenziamenti,q. Riv., 2013, I, 339 ss.; D. BORGHESI, Licenziamenti: tentativo di conciliazione eprocedimento speciale, in Commentario alla Riforma Fornero, a cura di F. CARINCI

- M. MISCIONE, Supplemento a DPL n. 33, 2012, 14 ss., nonché LG, 2012, 910 ss.; C.CONSOLO - D. RIZZARDO, Vere o presunte novità, sostanziali e processuali, suilicenziamenti individuali, CG, 2012, 729 ss.; M. DE LUCA, Procedimento specifico peri licenziamenti nella recente riforma del mercato del lavoro (l. n. 92 del 2012): noteminime, FI, V, 345 ss.; ID., Diritti dei lavoratori: strumentalità del processo versusdeclino della tutela giurisdizionale effettiva (a quarant’anni dalla fondazione delnuovo processo del lavoro), CSDLE, It, n. 167/2013; ID., Riforma Fornero: ilprocedimento specifico per i licenziamenti spiegato dal presidente della sezione lavorodella Cassazione, www.cassazione.net; A. BOTTINI, Il nuovo processo per l’impugna-zione dei licenziamenti: obbligatorietà e selezione all’ingresso, q. Riv, 2012, II, 1104ss.; D. DE FEO, L’ambito applicativo del rito speciale per le controversie in materiadi licenziamenti, ADL, 2012, 1207; L. DE ANGELIS, Art. 18 dello Statuto dei lavoratorie processo: prime considerazioni, DLRI, 2012 e CSDLE, It, n. 152/2012; ID.,Licenziamenti, progetto Fornero e tormento del processo, intervento al XVII con-gresso nazionale dell’Aidlass tenutosi a Pisa il 7-9 giugno 2012, csdle.lex.unict.it; C.MAJER - A. PAONE, Nuovo rito in materia di licenziamento: prime osservazioni,www.indicitalia.it; R. RIVERSO, Indicazioni operative sul rito Fornero (con unadivagazione minima finale), LG, 2013, 17; G. PANICO, Prime riflessioni sullemodifiche all’art. 18 e sul nuovo rito, LG, 2013, 137; P. SORDI, L’ambito diapplicazione del nuovo rito per l’impugnazione dei licenziamenti e disciplina dellafase di tutela urgente, www.giuslavoristi.it; A. BOLLANI, Il rito speciale in materia dilicenziamento, in La nuova riforma del lavoro, a cura di M. MAGNANI - M. TIRABOSCHI,Giuffré, 2012, 309 ss.; P. CURZIO, Il nuovo rito per i licenziamenti, in Flessibilità etutele nel lavoro. Commentario della legge 28 giugno 2012, n. 92, a cura di P. CHIECO,

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menti nelle ipotesi regolate dall’art. 18 della legge 20 maggio 1970,n. 300, e successive modificazioni, anche quando devono essererisolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro».

È interessante l’indicazione che oggetto della controversiasarebbe «l’impugnativa dei licenziamenti»; ma tale espressione nonpuò essere enfatizzata, bensì va ricondotta alla constatazione chela liceità del licenziamento costituisce sicuramente il ponte leva-toio (questione preliminare) per arrivare alla tutela spettante.

Quanto al criterio di collegamento per l’applicazione di questonuovo rito speciale, non è un dato fattuale, come la consistenzanumerica dei dipendenti del datore di lavoro che ha comminato illicenziamento, in quanto nell’art. 18 sono state ricondotte anche leipotesi di licenziamento inefficace, per difetto della forma scritta,ovvero nullo, perché discriminatorio o per motivo illecito determi-nante o per altre previsioni normative. Ipotesi che valgono anchenel caso in cui il licenziamento sia stato comminato da un piccolodatore di lavoro.

Quindi, il criterio di collegamento è dato dal tipo di tutelarichiesta dal lavoratore ovvero, prima, dalla qualificazione delrapporto intercorso come di lavoro subordinato e, quindi, dell’in-terruzione di tale rapporto come licenziamento. Se, pertanto, illavoratore impugna il licenziamento e chiede l’applicazione dellac.d. tutela obbligatoria ex art. 8 l. 604/1966, dovrà seguire il rito“ordinario” del lavoro, non applicandosi questo rito speciale. Se, alcontrario, il lavoratore impugna il licenziamento e chiede l’appli-cazione di una delle tutele ex art. 18 St. lav., dovrà seguire questonuovo rito speciale.

Il criterio di collegamento per stabilire quale rito applicare(quello speciale o quello ordinario di lavoro) coincide, quindi, conil merito della controversia, coinvolgendo per di più il principioiura novit curia.

Cacucci, 2013, nonché in CSDLE, It, n. 158/2012; M. LEONE - A. TORRICE, Ilprocedimento per la impugnativa dei licenziamenti: il legislatore strabico, in La leggen. 92 del 2012 (Riforma Fornero): un’analisi ragionata, a cura di F. AMATO - R.SANLORENZO, www.magistraturademocratica.it; P. SPAZIANI, Le problematiche con-nesse con il nuovo rito per i licenziamenti, www.lanuovaproceduracivile.it, nonché, siparet, D. BUONCRISTIANI, Il licenziamento disciplinare. Tecnica procedimentale edimpugnatoria. Profili comparatistici (Francia, Spagna, Germania), Cedam, 2012,155 ss.

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Questi i problemi d’inquadramento del nuovo rito, che sipongono nel vuoto del dettato normativo:

a) obbligatorietà o facoltatività del nuovo rito speciale;b) ambito di applicazione del nuovo rito speciale, con par-

ticolare riferimento da un lato alla possibilità o meno di trattarecon il nuovo rito la subordinata richiesta di tutela obbligatoria exart. 8 l. 604/1966, e, dall’altro lato, al significato e quindi allaconsistenza da assegnare all’espressione domande diverse da quelled’impugnativa di licenziamento «che siano fondate sugli identicifatti costitutivi»;

c) modalità di controllo della correttezza del rito, cioè se ilgiudice deve attenersi a quanto affermato dal ricorrente nelladomanda o a quanto accerta nel corso del giudizio, tenuto contodell’interferenza del principio iura novit curia;

d) rilevabilità, quanto a legittimazione e termini, e modalitàdella decisione;

e) contenuto della decisione sul rito e, in particolare, inam-missibilità/improcedibilità o separazione, con conversione del rito,della domanda esulante il rito speciale; in caso di inammissibilità/improcedibilità, regime della decadenza dall’impugnativa del li-cenziamento, con il rischio per il lavoratore di «trovarsi tra lesedie»; in caso di mutamento del rito, regime delle decadenze epreclusioni degli atti del processo e regime degli atti compiuti conil rito errato.

Questi problemi, acuiti dalle differenti linee guida che si sonodati alcuni uffici giudiziari (2), saranno oggetto di analisi, oltre adaltri snodi di questo nuovo rito (3).

2. Rito o procedimento speciale? Obbligatorietà o facoltatività?Legittimità costituzionale di una tutela giurisdizionale differenziata.— Primo aspetto da analizzare è se può essere o meno riconosciutoun potere dispositivo sul nuovo rito “ad una sola delle parti

(2) V. Prime indicazioni dai Tribunali sul nuovo rito (le direttive dei Tribu-nali di Monza, Firenze e Venezia; un’ordinanza del Tribunale di Roma), q. Riv.,2012, II, 1110.

(3) Per una compiuta analisi di tutta la disciplina, v. per tutti D. DALFINO,op. cit.

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contendenti”, cioè all’attore. Scelta che s’impone sia al giudice siaalla controparte.

La sezione lavoro del tribunale di Firenze ha affermato lafacoltatività del rito, riconoscendo alla parte attrice la valutazionese per la stessa sia più utile procedere con il nuovo rito ovvero conl’ordinario rito lavoro. A supporto di questa tesi è stata indicata lagiurisprudenza della cassazione in materia di procedimento direpressione della condotta antisindacale (art. 28 St. lav.), nonchél’opportunità di trattare congiuntamente plurime domande, anchenon rientranti nel nuovo rito, invece che costringere la parte aproporre più cause.

In dottrina, si fa notare che il tenore letterale della legge,secondo cui «la domanda avente ad oggetto l’impugnativa dellicenziamento di cui al comma 47 si propone con ricorso» (art. 1,comma 48, l. 92/2012) più che “prescrivere” intende “descrivere” lecadenze del procedimento (4).

Ebbene, questa problematica va affrontata da un lato meta-giuridico, guardando quale è la finalità perseguita dal legislatore equali sono gli interessi tutelati (se, infatti, il nuovo rito proteggeanche interessi della controparte o addirittura pubblici, diventaarduo riconoscere un potere monopolistico di scelta del rito ad unasola delle parti contendenti), nonché da un lato giuridico-sistema-tico, che poggia non tanto sul solo dato letterale della norma, masulla distinzione tra rito e procedimento speciale.

Iniziamo dal lato metagiuridico, che introduce anche l’ulte-riore aspetto della legittimità costituzionale di una tutela giurisdi-zionale differenziata, riservata alle sole ipotesi in cui è in giocol’attribuzione di una delle tutele previste dal novellato art. 18 St.lav.

In particolare, al di là di differenti valutazioni circa l’oppor-tunità di questo nuovo rito, sono state sollevate critiche di costi-tuzionalità, in riferimento agli artt. 3 e 24 (5), in quanto in questomodo si è acuita la sperequazione tra lavoratore e lavoratore, a

(4) Così G. VERDE, Note sul processo nelle controversie in seguito a licenzia-menti regolati dall’articolo 18 Statuto lavoratori, relazione al convegno La nuovadisciplina dei licenziamenti - Incontro di studio in memoria di Pasquale Picone(Roma, Corte di Cassazione, 11 dicembre 2012), citato da DE LUCA, Diritti deilavoratori, op. cit., 22 ss.

(5) Cfr., ad es., C. CONSOLO - D. RIZZARDO, op. cit., 735, nota 29; L. DE

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seconda dell’essere dipendente di un datore di lavoro piccolo onon-piccolo, per cui il lavoratore meno tutelato a livello sostanzialedeve anche subire il processo più lento, ovvero in quanto non ècomprensibile come si possa differenziare, quanto a disciplinaprocessuale, tra tutela obbligatoria ex art. 18 statuto lavoratori (6)e tutela obbligatoria ex art. 8 l. 604/1966, risolvendosi comunquel’illiceità del licenziamento nel pagamento di una penale.

Abbiamo infatti un nuovo rito, che si caratterizza per la(almeno tendenziale) maggior velocità e duttilità di svolgimento,come espressamente dichiarato dal Governo (7).

Occorre ricercare la giustificazione di questa tutela giurisdizio-nale differenziata (in quanto più rapida, almeno negli intenti dellegislatore, e, per raggiungere tale fine, più duttile e diversamentearticolata) nei principi generali, che regolano i rapporti tra dirittosostanziale e diritto processuale. Infatti, pur nell’autonomia deldiritto processuale rispetto al diritto sostanziale, comunque, comenotato, «se l’effettività della tutela giurisdizionale richiede l’ema-nazione urgente di un provvedimento per neutralizzare un pericolonel ritardo, ciò non può che riflettersi anche sulla disciplina delprocedimento» (8).

Questa notazione va affinata, per superare l’obiezione che nonc’è bisogno di una tutela giurisdizionale differenziata per rispon-dere ad un’esigenza di tutela urgente, essendo sufficiente il ricorsoalla tutela cautelare. Del resto, fino alla riforma il lavoratore

ANGELIS, Licenziamenti, progetto Fornero e tormento del processo cit., 3; ID., Art. 18dello Statuto cit., § 1; D. DALFINO, op. cit., 762; C. MAJER - A. PAONE, op. cit.

(6) Ad es., quando si contesta l’illiceità del licenziamento per mera viola-zione di forma o di procedura ovvero per difetto di giustificazione non qualificato.

(7) Si fa riferimento al documento dal titolo La riforma del mercato dellavoro in una prospettiva di crescita, presentato dal Ministro del Lavoro e dellePolitiche Sociali con delega alle Pari Opportunità, Prof.ssa Elsa FORNERO, diconcerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, Prof. Mario MONTI, alConsiglio dei Ministri del 23 marzo 2012 e approvata dallo stesso nella medesimaseduta (vedilo in www.governo.it). Il punto 3.2 è rubricato come «rito processualeveloce per le controversie in tema di licenziamento», precisando che «al fine diconsentire la riduzione dei tempi del processo per quanto concerne le controversiegiudiziali in tema di licenziamento, si propone, attraverso l’azione di concerta-zione istituzionale con il Ministero della Giustizia, l’introduzione di un ritospeciale specificamente dedicato a tali controversie». V. anche il commento di R.CAPONI, Rito processuale veloce cit.

(8) R. CAPONI, op. ult. cit., paragrafo 3.

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poteva agire ex art. 700 c.p.c. per richiedere l’ordine provvisorio direintegrazione (e, quindi, di pagamento delle retribuzioni) e ilpericulum in mora era considerato quasi in re ipsa, dato che in balloc’era il posto di lavoro e, quindi, il rischio di restare “tagliato fuori”dal sistema produttivo e trovarsi “arrugginito” al momento in cuisi fosse giunti in via ordinaria ad accertare l’illiceità del licenzia-mento.

Parimenti, è sufficiente il ricorso alla tutela cautelare perovviare al pregiudizio (ancora una volta da considerare quasi in reipsa) costituito dal tetto massimo di dodici mensilità, a prescinderedalla durata del processo, spettanti al lavoratore, in caso di licen-ziamento con difetto di giustificazione qualificato, comminato dadatore di lavoro non-piccolo.

Occorre, pertanto, mutare punto di osservazione, spostandolodal lavoratore al datore di lavoro. Il datore di lavoro non puòrichiedere una tutela cautelare, essendosi già fatto giustizia da sécon il licenziamento ed in quanto difetta il periculum in mora, cioèil rischio che la durata del processo vada a danno della parte che haragione: se, infatti, ha ragione e il licenziamento è valido, la suasituazione resta identica, salvo acquistare stabilità, non essendopiù discutibile la legittimità dello scioglimento del rapporto dilavoro.

Tuttavia, è particolarmente defatigante e controproducentel’incertezza legata alla possibile controversia sul licenziamento, chepuò spingere il datore di lavoro a non assumere altro lavoratore alposto di quello licenziato (che, però, potrebbe essere reintegrato)ovvero a non investire l’elevata somma potenzialmente dovuta atitolo di indennità risarcitoria.

Ecco allora che il legislatore della riforma ha affiancato allasequenza decadenziale per impugnare il licenziamento (di cui haanche ridotto la durata temporale) un rito speciale, con una corsiapreferenziale di trattazione, per poter giungere rapidamente astabilire se il licenziamento è o meno illecito e, in caso affermativo,quale tutela spetti al lavoratore.

L’aver stabilito che il nuovo rito speciale si applica a tutte letutele previste dal novellato art. 18 St. lav., anche quando po-trebbe non essere disposta la reintegrazione in servizio, può dipen-dere dal fatto che si è scontata la probabilità che il lavoratorechieda sempre o molto spesso in tesi la tutela reintegratoria (ad es.,

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assumendo l’insussistenza del fatto contestato), salvo comunqueinstare per quella risarcitoria, con conseguente difficoltà a scinderee differenziare tra tutela e tutela, pur previste dall’art. 18; inoltre,può dipendere dall’entità della tutela risarcitoria (che può giungereanche a due anni di stipendio) e, quindi, dall’esigenza di darecertezza al datore di lavoro sulle somme che può investire inazienda, invece di tenerle nel cassetto per far fronte all’eventualecondanna al risarcimento dei danni causati dal licenziamento.Invece, in caso di tutela debole ex art. 8 l. 604/1966, l’indennitàrisarcitoria è notevolmente più contenuta, anche rispetto all’inden-nità prevista dall’art. 18 statuto lavoratori per il caso di solo viziodi forma o procedura.

Quindi, una possibile giustificazione della tutela giurisdizionaledifferenziata c’è, salvo approvarla o negarla. L’esigenza di unnuovo rito speciale tendenzialmente più rapido non è imposta oresa necessaria dalle modifiche sostanziali apportate alla disciplinadel licenziamento comminato da un datore di lavoro non-piccolo;infatti, l’esigenza di ridurre l’incertezza circa le conseguenze dellicenziamento e così favorire nuove assunzioni o nuovi investi-menti era ancora più marcata prima delle modifiche apportate,quando comunque all’illiceità del licenziamento (sia per vizi for-mali che sostanziali) seguiva la reintegrazione e il risarcimento deldanno, corrispondente a tutte le retribuzioni medio tempore matu-rate, senza alcuna limitazione (come adesso introdotta, in caso didifetto qualificato di giustificazione), salva soltanto la deducibilitàdell’aliunde perceptum et percipiendum.

L’introduzione del nuovo rito speciale si pone quindi non come“risposta” ma come “completamento” alle modifiche apportate aldiritto sostanziale: oltre a cercare di imbrigliare l’incertezza circal’esito del processo e il relativo costo (escludendo la reintegrazione,salvo l’ipotesi di difetto qualificato di giustificazione, e limitando ilquantum del risarcimento tra un minimo ed un massimo) (9), il

(9) In Francia, al contrario, il legislatore si limita a fissare il minimodell’indennità risarcitoria che il giudice può liquidare a favore del lavoratore, incaso di licenziamento ingiustificato. V., si paret, D. BUONCRISTIANI, Il licenziamentodisciplinare. Tecnica procedimentale ed impugnatoria. Profili comparatistici (Fran-cia, Spagna, Germania), Cedam, 2012, parte seconda, capitolo primo.

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legislatore ha inteso ridurre anche temporalmente quest’incer-tezza, intervenendo sulla disciplina processuale.

In sintesi, dal lato metagiuridico, occorre riconoscere che ilnuovo rito risponde anche a finalità pubbliche (10) oltre che adesigenze di tutela del datore di lavoro. Questo rende arduo ricono-scere ad uno dei due contendenti un potere monopolistico di sceltadel rito, senza possibilità di opposizione da parte dell’avversario esenza possibilità di intervento da parte del giudice.

Passando, poi, al lato giuridico-sistematico, va notato che illegislatore ha istituito un rito speciale, invece che, all’interno delrito del lavoro, un diverso e più rapido procedimento.

Quindi, “rito” e non “procedimento speciale”. Non è stataprevista una “possibile” diversa modulazione della trattazionedella controversia di lavoro, con scelta affidata all’attore, simil-mente a quanto accade con il “procedimento sommario di cogni-zione”, di cui agli artt. 702 bis e ss. c.p.c., ovvero con il “procedi-mento di repressione della condotta antisindacale”, di cui all’art.28 St. lav.

È vero che il legislatore nel d.lgs. 150/2011 ha poi elevato ilprocedimento sommario di cognizione alla dignità di rito sommariodi cognizione per le tipologie di controversie indicate negli artt.14-30, ma a monte occorre tener ben distinto il “rito” dal “proce-dimento”: infatti, per le materie adesso elencate negli artt. 14-30del d.lgs. 150/2011 “deve” essere seguito il rito sommario di cogni-zione; al contrario, per le cause in cui il tribunale giudica incomposizione monocratica, la parte attrice è libera di scegliere seavvalersi del procedimento sommario di cognizione ovvero sepercorrere il procedimento ordinario, proprio in quanto si tratta diun procedimento sommario e non di un rito speciale.

In fine, i motivi di opportunità a non costringere la parte aproporre più cause non spostano il piatto della bilancia: il legisla-tore ha consapevolmente voluto completare la riforma della disci-plina dei licenziamenti, prevedendo altresì una corsia riservata edaccelerata, con accesso limitato.

(10) Si osserva che il processo, oltre a luogo per l’accertamento e tutela deidiritti, sta diventando luogo per la realizzazione di pubbliche finalità (cfr. R.CAPONI, La corsia preferenziale cit.; M. LEONE - A. TORRICE, op. cit., 198).

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3. Ambito di applicazione del nuovo rito. In particolare, esten-sione alla domanda subordinata di tutela debole ex art. 8 l. 604/1966?— Come visto al paragrafo precedente, il legislatore ha fatto unascelta di campo, limitando il nuovo rito e la corsia preferenziale peresso prevista soltanto alle «controversie aventi ad oggetto l’impu-gnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall’art. 18 dellalegge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, anchequando devono essere risolte questioni relative alla qualificazionedel rapporto di lavoro», aggiungendo poi che «non possono essereproposte domande diverse da quelle di cui al comma 47 delpresente articolo [cioè quelle aventi ad oggetto l’impugnativa deilicenziamenti], salvo che siano fondate sugli identici fatti costitu-tivi».

Questa limitazione della capacità contenutistica è ripetuta poinella successiva ed eventuale fase di opposizione, con la varianteche è possibile rivolgere la domanda nei confronti dei soggettirispetto ai quali la causa è comune o dai quali si intende esseregarantiti (11), mentre va disposta la separazione dell’eventualedomanda riconvenzionale non fondata sugli stessi fatti costitutiviposti a base della domanda principale.

Si tratta di un tessuto normativo pasticciato, sol considerandoche:

a) l’impugnativa del licenziamento più che l’oggetto è l’oc-casione della richiesta di tutela;

b) i fatti sono costitutivi rispetto ad un diritto e non rispettoad una domanda giudiziale. Inoltre lo stesso limite degli «identicifatti costitutivi» può consentire un allargamento ampio o pressochénullo dell’oggetto del contendere, a seconda che si consentanodomande fondate “anche” ovvero “soltanto” sugli identici fatticostitutivi (12).

(11) Si pensi all’appalto, nonché al cambio di gestione di un appalto, con lapossibilità (ma non l’obbligo) per la ditta uscente di licenziare il personale addettoa quell’appalto e il diritto di questi lavoratori ad essere assunti dalla dittasubentrante, con possibili vari incastri di tutela. V., si paret, D. BUONCRISTIANI,Forme di tutela del lavoratore «ereditato» nel cambio di gestione di appalti labourintensive, q. Riv., 2007, I, 165.

(12) Escludono la possibilità di domande fondate “anche” sugli identicifatti costitutivi A. VALLEBONA, La riforma del lavoro 2012 cit., 74; L. DE ANGELIS,Licenziamenti, progetto Fornero e tormento del processo cit.; C. CONSOLO - D.

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Ebbene, certamente l’impugnativa del licenziamento rappre-senta il “ponte levatoio” per giungere alla concessione o al rigettodella tutela prevista in caso di licenziamento illecito, per quel tipodi illiceità. Comunque, deve considerarsi possibile far valere plu-rimi motivi d’illiceità del licenziamento impugnato, anche a se-guire l’impostazione giurisprudenziale, per cui ogni motivo indivi-dua e delimita una domanda, a prescindere dalla circostanza cheimplichi o meno la valorizzazione giuridica di fatti che non sianogià versati nell’involucro processuale (13): in ogni caso si tratta diuna controversia avente ad oggetto l’impugnativa del licenzia-mento nelle ipotesi regolate dal novellato art. 18 St. lav. e, quindi,attratta dal e nel nuovo rito speciale.

La stessa qualificazione del rapporto di lavoro è soltanto una«questione» (mutuando l’espressione utilizzata dal legislatore), cioèun tassello per giungere a qualificare il recesso come licenzia-mento (14) e, quindi, poter valutare se è lecito o illecito.

L’analisi dell’ambito di applicazione verrà condotta da unaprospettiva strettamente processuale, evitando, anche per neces-sità di spazio, di enumerare e differenziare le ipotesi sostanziali chestanno dentro o fuori del recinto di cui al nuovo rito (15).

RIZZARDO, op. cit., 737, osservano che sarebbe stato meglio prevedere il potere delgiudice di separare soltanto le domande, la cui trattazione rischia di comportareritardi nella definizione della controversia.

(13) Cfr. Cass. 9 marzo 2011, n. 5555; Cass. 2 luglio 2008, n. 18119; Cass. 28maggio 2009, n. 12522, NGL, 2009, 529; Cass. 12 giugno 2008, n. 15795. Quantoinvece a novità della domanda, pur senza necessità di allegare nuovi fatti, v. Cass.21 dicembre 2004, n. 23683, secondo cui «ove il lavoratore impugni il licenzia-mento ed agisca in giudizio deducendo il difetto di giusta causa o giustificatomotivo, l’eventuale motivo discriminatorio o ritorsivo, pur ricavabile da circo-stanze di fatto allegate [corsivo nostro], integra un ulteriore, e non già compreso,motivo di illegittimità del recesso, come tale non rilevabile d’ufficio dal giudice eneppure configurabile come mera diversa qualificazione giuridica della domanda».Per una diversa impostazione si rinvia, si paret, a D. BUONCRISTIANI, Il licenzia-mento disciplinare cit., parte prima, capitolo quarto.

(14) La qualificazione del rapporto costituisce un «antecedente logico giu-ridico necessario». Ampio il dibattito se poi il giudicato cada o meno anche su taleantecedente logico giuridico necessario, tenendo conto della differenza tra “pre-giudizialità in senso logico” e “pregiudizialità in senso tecnico”. V., anche perulteriori riferimenti, MENCHINI, Giudicato civile, Il diritto-Encicl. giur., IlSole24ore, 2007, vol. VI, 687, in particolare 693 ss.

(15) In particolare, si pone il problema dell’applicabilità del nuovo rito allecontroversie sui licenziamenti collettivi (ché non sono regolati, cioè contemplati,nell’art. 18, ma, se illegittimi, sono sanzionati ex art. 18 St. lav.); ai licenziamenti

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Dal punto di vista strettamente processuale, va invece analiz-zato il caso — frequente — in cui il lavoratore in tesi chiedal’applicazione della tutela ex art. 18 St. lav. e, in ipotesi, l’appli-cazione della tutela debole di cui all’art. 8 l. 604/1966.

Occorre stabilire se la domanda subordinata di tutela debole exart. 8 l. 604/1966 può essere trattata con il nuovo rito speciale, daapplicare «per trascinamento» (16), specie tenendo conto che ora-mai per orientamento consolidato il giudice accordava la tutela exart. 8 l. 604/1966, anche in assenza di espressa domanda dellavoratore (17). Quindi, se il lavoratore si limita a chiedere la tuteladebole ex art. 8 l. 604/1966, allora il giudice seguirà il rito “ordi-nario” del lavoro; ma se, invece, il lavoratore, anche per sfruttarela corsia preferenziale riservata prevista dal nuovo rito, chiede intesi l’applicazione della tutela ex art. 18 st. lav. e in subordine latutela debole ex art. 8 l. 604/1966, cosa deve fare il giudice?

Si pongono due ordini di problemi:

che, ratione temporis, non erano regolati dall’art. 18, come il licenziamento orale;ai licenziamenti del pubblico impiego contrattualizzato, stante quanto previstodall’art. 1, co. 7 ed 8, l. 92/2012; ai licenziamenti contestati nei confronti di datoredi lavoro diverso da quello apparente; all’impugnazione delle dimissioni; allaqualificazione del rapporto, ecc. Quanto alla possibilità di invocare tale rito per ildatore di lavoro (benché la sua domanda non sia d’impugnazione del licenzia-mento, ma al contrario di accertamento di validità ed efficacia), viene a monte inconsiderazione la sequenza decadenziale prevista dall’art. 32 l. 183/2010, per cui,se il legislatore ha riconosciuto al lavoratore 180 giorni successivamente all’im-pugnazione stragiudiziale per approntare i mezzi di attacco (es., dimostrazionemotivo illecito o discriminatorio) e difesa e, quindi, agire in giudizio, il datore dilavoro non può, agendo in prevenzione, comprimere questo spazio temporale.Inoltre dubbia è la configurabilità di un interesse ad agire, dato che il semplicedecorso di un breve lasso di tempo può garantirgli la stabilizzazione del recesso,ove non impugnato giudizialmente dal lavoratore. La tutela giudiziale si ponecome un come un nachträglichen Rechtswirksamkeitskontrolle, cioè come un suc-cessivo controllo di validità da parte del soggetto inciso da tale atto. Contra, I.PAGNI, op. cit.

(16) Cfr. A. VALLEBONA, op. cit., 73. Cfr. T. Napoli 16 ottobre 2012, q. Riv.,2012, II, 1085.

(17) Cfr. Cass. 9 settembre 1991, n. 9460; Cass., 11 settembre 2003, n.13375, FI, 2003, I, 3321; Cass. 11 settembre 2003, n. 13375; Cass. 19 novembre2001, n. 14486; Cass., 11 settembre 1997, n. 8906, FP, 1998, I, 10, nt. TARSITANO;Cass. 27 maggio 2011, n. 11777, in motivazione. V. I. PAGNI, op. cit., che parla diconcorso di norme anziché di diritti.

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1) modalità di decisione sul rito; in particolare, nel silenziodella legge, occorre stabilire se la correttezza del rito va valutata inbase al quid disputatum o al quid decisum, cioè in base a quantoaffermato dal ricorrente nella domanda o a quanto accertato;

2) possibilità comunque di decidere con il nuovo rito anchela domanda subordinata di tutela debole ex art. 8 l. 604/1966, inquanto sono attratte sotto il nuovo rito anche le domande “chesiano fondate sugli identici fatti costitutivi” (e la consistenzanumerica del datore di lavoro è fatto impeditivo della tutela ex art.18 St. lav. (18), per cui la domanda di tutela ex art. 18 St. lav. equella ex art. 8 l. 604/1966 hanno gli stessi fatti costitutivi, diffe-renziandosi soltanto per un fatto impeditivo. È vero che, ad es., incaso di licenziamento discriminatorio o illecito, la discriminazioneo il motivo illecito è fatto costitutivo del diritto alla tutela ex art.18 St. lav., per cui la domanda di tutela debole ex art. 8 l. 604/1966avrebbe gli stessi fatti costitutivi meno uno (19), ma, come ve-dremo, la previsione normativa potrebbe intendersi come riferitaalla domanda fondata su “parzialmente” identici fatti costitutivi).

Preliminarmente va affrontata la problematica dell’inquadra-mento della domanda subordinata di tutela debole come diversadomanda fondata su (totalmente o parzialmente) identici fatticostitutivi della domanda principale di tutela forte ex art. 18 St.lav.: se, infatti, questa proposta ricostruttiva fosse fondata, non siporrebbe neppure il problema della modalità di decisione della

(18) Così per Cass., S.U., 10 gennaio 2006, n. 141, q. Riv., 2006, II, 440, nt.VALLEBONA.

(19) Il giudice, per poter apprezzare l’efficacia determinativa esclusiva delmotivo illecito, deve escludere la sussistenza dei fatti contestati e posti a fonda-mento della giusta causa o del giustificato motivo di recesso. Cfr. Cass.14 luglio2005, n. 14816; Cass. 22 aprile 2008, n. 10352, MGL, 2008, 787, nt. CONTI e OGL,2008, I, 403 e NGL, 2008, 483, secondo cui «la giustificatezza del licenziamento persuperamento del comporto di malattia rende irrilevante qualsiasi eventualeulteriore motivo illecito del licenziamento stesso». Cfr., tra i giudici di merito, T.Milano 24 novembre 2006, OGL, 2007, I, 156; T. Alba 26 ottobre 2005, GPiem,2006, 118. Da precisare che nel novellato primo comma dell’art. 18 St. lav. siconsidera il licenziamento «determinato da motivo illecito determinante», senzaaggiungere alcun riferimento all’esclusività di tale motivo; tuttavia, si aggiunge«ai sensi dell’art. 1345 c.c.» e tale rinvio consente di recuperare anche l’esclusivitàdel motivo illecito.

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questione di rito, perché comunque la domanda principale ditutela forte e quella (anche implicita) subordinata di tutela debolesono dentro il recinto del nuovo rito.

La questione va esaminata:a) sul piano del “diritto sostanziale”. Ebbene, le fattispecie

normative sono in rapporto di esclusione e pertanto, «non potendocoesistere gli elementi, che contraddicono l’una fattispecie rispettoall’altra, il fatto storico non può, per definizione, integrarle en-trambe, cosicché una sola è la pretesa sostanziale» (20), anche secon diversa “tonalità”;

b) sul piano del diritto “processuale”: la limitazione delpotere cognitivo del giudice prevista dal nuovo rito può essereintesa come “restrizione dell’oggetto del processo” ovvero come“limitazione dei poteri di sussunzione del giudice”. Secondo laprima alternativa, l’art. 1, comma 47, l. 92/2012, che limita l’ap-plicazione del nuovo rito alle ipotesi regolate dall’art. 18 St. lav.,eleva tale profilo giuridico ad elemento di identificazione delladomanda, determinando una restrizione dell’oggetto del processo;ad ogni profilo giuridico corrisponde un autonomo e distinto An-spruch. È del tutto indifferente che, a livello di diritto sostanziale,la pretesa sostanziale sia in realtà una sola (anche se con diversatonalità); il fatto che tale pretesa sia ottenibile in base a titolidiversi, reciprocamente escludentisi, unitamente alla circostanzaprocessuale della limitazione del potere cognitivo del giudice adalcuni di questi profili giuridici, determina un frazionamento del-l’oggetto del processo e, quindi, ad ogni oggetto del processocorrisponde un’autonoma domanda. Oggetto del processo non èpiù un Recht, una situazione giuridica sostanziale, bensì unaRechtsfrage, cioè la questione giuridica relativa all’esistenza di undeterminato profilo giuridico-fattuale di una situazione sostan-ziale (21). Secondo l’altra alternativa, invece, l’art. 1, comma 47, l.92/2012 limita non l’oggetto del processo, ma soltanto il potere disussunzione del giudice. Ebbene, davvero si vuole ricondurre l’og-

(20) Così MENCHINI, I limiti oggettivi del giudicato civile, Giuffrè, 1987, 250,il quale riporta il pensiero di VON TUHR.

(21) Così l’antico processo tedesco retto dal principio di eventualità, inparticolare a partire dal c.d. jüngster Reichsabschied del 1654. Si rinvia, si paret, aD. BUONCRISTIANI, L’allegazione dei fatti nel processo civile. Profili sistematici,Giappichelli, 2002, 143 ss.

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getto del processo ad una Rechtsfrage? Con il perverso effetto che,essendo diverso l’oggetto del processo, il rigetto della tutela forte exart. 18 st. lav. per un fatto comune (ad es., decadenza dall’impu-gnativa), non impedisce di far valere la diversa domanda (cioè ladiversa Rechtsfrage) sulla tutela debole ex art. 8 l. 604/1966. Ep-pure è pacifico che il giudicato si forma sul motivo di rigetto (22).Ovvero con il perverso effetto di consentire la contemporaneapendenza di un processo in cui il lavoratore chiede la tutela forte exart. 18 st. lav. ed un processo in cui chiede la tutela debole ex art.8 l. 604/1966: essendo domande diverse in base ad oggetti diversi,non c’è litispendenza e, quindi, neppure successivo contrasto digiudicati.

In sintesi, non è possibile considerare domanda diversa ladomanda subordinata di tutela debole ex art. 8 l. 604/1966. Infatti,come detto, l’orientamento consolidato della giurisprudenza eranel senso di considerare implicita tale richiesta di tutela e conce-dibile d’ufficio (23), proprio perché non si tratta di un’autonomadomanda e, quindi, non c’è violazione del principio di corrispon-denza tra il chiesto ed il pronunciato.

Si passa adesso ad esaminare il problema della modalità dicontrollo del rito, per poi, nel paragrafo 5, vedere quale sia la sortedella richiesta (e non domanda) subordinata di tutela obbligatoriaex art. 8 l. 604/1966.

4. Modalità di controllo del rito. Disinnesco del principio iuranovit curia. — Le norme sul rito regolano lo sviluppo del contrad-dittorio, delineando i poteri delle parti e del giudice anche tramitela fissazione (o la mancata fissazione) di decadenze e preclusioni.Sono quindi norme che potenzialmente possono condizionare l’e-sito del processo. Occorre pertanto evitare che la parte scaltrapossa impunemente scegliersi il rito (nonché, nel nostro caso, unacorsia preferenziale per arrivare alla decisione).

Ad esempio, il lavoratore, per imporre all’avversario e algiudice di seguire il nuovo rito speciale, impugna il licenziamentoe chiede, in tesi, una delle tutele previste dall’art. 18 St. lav., sulpresupposto che il licenziamento sia stato comminato da un datore

(22) Cfr. F.P. LUISO, op. cit., 12.(23) V. retro nota 17.

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di lavoro non-piccolo, nonché, in subordine, la tutela obbligatoriaex art. 8 l. 604/1966; tanto, l’onere della prova del requisitooccupazionale per evitare l’applicazione dell’art. 18 St. lav. è acarico del datore di lavoro, che potrebbe anche, per un errore o unadimenticanza, rimanere contumace o comunque non articolaretempestivamente la prova. Se, invece, il datore di lavoro si costi-tuisce e prova di avere meno di sedici dipendenti, il giudice cosadeve fare? Deve disporre il mutamento di rito? Può farlo d’ufficioo occorre un’istanza di parte? Ed entro che termini? Se dispone ilmutamento di rito, ma il lavoratore invece intende insistere nellarichiesta di tutela ex art. 18 St. lav., come potrà dolersi di questadecisione sul rito? E il giudice d’impugnazione, se al contrario siconvince che il datore di lavoro ha più di quindici dipendentinell’unità produttiva o nel comune ove lavorava il dipendentelicenziato, dispone il mutamento del rito, o meglio, il ritorno al ritospeciale, con un movimento pendolare, che potrebbe ripetersi?

Il legislatore non ha fornito alcuna soluzione a questi interro-gativi. Il dilemma è stabilire se il giudice deve valutare la corret-tezza del rito in base al quid disputatum o al quid decisum, cioè inbase a quanto affermato dal ricorrente nella domanda o a quantoaccertato, a seguito di istruttoria (24).

Le risposte vanno quindi cercate a livello sistematico.Ebbene, innanzitutto occorre considerare che:

a) l’individuazione di un giudice e di un particolare rito perdeterminate materie vuol dire che il legislatore ha inteso affidare aquel giudice e con quel procedimento l’accertamento di quellamateria, a prescindere dall’esito positivo o negativo di tale accer-tamento;

b) il rito, infatti, deve sussistere per poter sia accogliere cherespingere la domanda;

c) occorre evitare il rischio di un effetto pendolo o caleido-scopio di mutamenti di rito, a seconda del diverso convincimentodi quanto accertato per poter decidere il merito;

d) occorre, però, anche evitare che la parte possa impune-mente scegliersi il rito, in base a quanto prospetta o alla tutela cherichiede al giudice;

(24) Cfr., si paret, D. BUONCRISTIANI, Giurisdizione, competenza, rito e merito(problemi attuali e possibili soluzioni), RDP, 1994, 192 ss.

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e) occorre tutelare il diritto di difesa del convenuto edevitare che si veda portare via la vittoria nel merito, una voltaconvinto il giudice che non spetta al ricorrente la tutela richiesta,perché ad es., manca un rapporto di lavoro subordinato; in talcaso, se la decisione sulla competenza va presa in base al quiddecisum, il giudice deve dichiararsi incompetente; ma tale deci-sione, essendo di rito e non di merito, comporta soltanto l’irretrat-tabilità della questione da parte dello stesso giudice in identicoprocesso, così esponendo il convenuto a dover subire un nuovoprocesso, in cui si torna a discutere dell’esistenza di quello stesso(anche a livello temporale) rapporto di lavoro subordinato;

f) occorre tutelare anche il diritto di azione dell’attore, datoche l’accoglimento della domanda di tutela presuppone l’esistenzadel rito speciale scelto; se, invece, il giudice, a seguito per di più dicognizione sommaria, dovesse disporre il mutamento di rito, l’at-tore non potrebbe ottenere la tutela richiesta, salvo un nuovomutamento di rito, così cadendo in quell’effetto pendolo o calei-doscopio indicato sub c).

Inoltre, legando la decisione sul rito al quid disputatum, cioè aquanto prospettato, il successivo controllo sulla spettanza o menodi una delle tutele previste dall’art. 18 statuto lavoratori conti-nuerà con il rito speciale, nelle fasi e gradi previsti. Al contrario, seil giudice avesse disposto il mutamento di rito, il lavoratore do-vrebbe contestare la decisione del giudice ed insistere nella richie-sta di una delle tutele ex art. 18 St. lav., appellando con il rito“ordinario” del lavoro la decisione finale presa a seguito di muta-mento del rito (25); il giudice d’appello dovrebbe esaminare se allavoratore spetta la tutela ex art. 18 St. lav., seguendo un rito nonprevisto per la tutela richiesta; se, poi, ritenesse fondata la richie-sta del lavoratore, invece di concedere la tutela, dovrebbe disporreil mutamento di rito, con ritorno al rito speciale.

La conclusione che si impone è pertanto quella di decidere laquestione di rito in base a quanto afferma nella domanda l’attore.In sintesi, va affermato il seguente principio: «quando uno stessofatto è rilevante sia per le questioni di rito che di merito, per la

(25) Va, infatti, applicato il principio di ultrattività del rito (cfr. Cass. 7giugno 2011, n. 12290, Arch. locazioni, 2012, 61; Cass. 27 maggio 2010, n. 12990;Cass. 6 agosto 2009, n. 18013).

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questione di rito diventa determinante non ciò che il giudiceaccerta ma ciò che l’attore afferma». Pertanto, il controllo del rito— al di là di specifiche richieste del lavoratore — dovrà essereeffettuato in base al tipo di tutela richiesta, cioè se è chiestal’applicazione dell’art. 18 St. lav.

Queste considerazioni valgono anche quando il criterio dicollegamento, come nel nostro caso, dipende dalla qualificazionegiuridica (ad es., subordinazione del rapporto intercorso; naturadiscriminatoria o illecita del recesso) o addirittura dal tipo di tutelarichiesta. Il principio iura novit curia, indiscutibile per quantoattiene al merito, non trova attuazione con riferimento al rito (26).È quanto si inizia a riconoscere (27).

5. Quale destino per la richiesta subordinata di tutela debole exart. 8 l. 604/1966? Rischio per il lavoratore di “trovarsi tra le sedie”.— Quindi, se il giudice accerta il difetto di un requisito comune(alla tutela forte ex art. 18 St. lav. e alla tutela debole ex art. 8 l.604/1966), manterrà il rito speciale e in base alle regole di tale ritodeciderà la lite. Il controllo della bontà di tale decisione seguirà leregole del nuovo rito, quanto alle successive fasi d’impugnazione.

Parimenti se il giudice accerta il difetto di un elemento quali-ficante la tutela forte ex art. 18 St. lav., manterrà il rito speciale ein base alle regole di tale rito rigetterà nel merito la domanda ditutela forte. E poi? Essendo possibile valutare se è concedibile latutela debole ex art. 8 l. 604/1966 (essendo stata soltanto negatal’esistenza dell’elemento qualificante la tutela forte, come la con-sistenza dell’azienda ovvero la natura di organizzazione di ten-denza), cosa deve fare il giudice?

La soluzione preferibile è quella di rispettare lo steccato erettodal legislatore per il nuovo rito; quindi, il modus operandi delgiudice dovrebbe essere:

1) innanzitutto affrontare l’accertamento dell’elementoqualificante la richiesta di tutela ex art. 18 St. lav. (ad es., la

(26) Cfr., si paret, D. BUONCRISTIANI, Tassa sulla salute e competenza: uninteressante caso di interferenza tra merito e rito, GC, 1991, I, 438 ss., cui adde inseguito F.P. LUISO, Il processo del lavoro, Utet, 1992, 90.

(27) Cfr. Cass. 1 dicembre 2005, n. 26208; Cass. 3 novembre 2011, n. 22760.Adesso sul nuovo rito licenziamenti, T. Napoli 16 ottobre 2012 cit.

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consistenza dell’azienda), anche per le esigenze di celerità impostedal nuovo rito ed ancor prima dal costituzionalizzato principio dieconomia processuale e di ragionevole durata del processo;

2) in caso di esito negativo, cioè se ritiene inesistente l’ele-mento qualificante, mantenere il rito speciale e, in base a taliregole, rigettare nel merito la domanda di tutela forte, con possibilecondanna alle spese (così anche da prevenire un’indebita scelta delnuovo rito e della corsia preferenziale);

3) con separata ordinanza, mutare il rito (da speciale a ritolavoro “ordinario”), trattare e decidere sulla tutela debole ex art. 8l. 604/1966.

In questo modo l’attore, che, in base ad una non veritieraprospettazione, aveva scelto (ed imposto) il rito speciale, pagheràcon la soccombenza nel merito e la condanna alle spese del pro-cesso.

Nel caso in cui, una volta negata la tutela ex art. 18 St. lav.,residui spazio per la tutela obbligatoria ex art. 8 l. 604/1966 e ilprocesso, mutato il rito, sia continuato, il coordinamento tra ladecisione sulla tutela ex art. 18 St. lav. (presa in fase di controllo oimpugnazione) e la decisione sulla tutela ex art. 8 l. 604/1966avverrà in applicazione dell’art. 336 c.p.c., con applicazione di-retta, in caso di decisione del giudice del reclamo o di cassazione, oestensiva, in caso di decisione del giudice di primo grado, ma dellaseconda fase di controllo prevista dal nuovo rito speciale. In-somma, comunque, se viene modificata la decisione sulla tutela exart. 18 statuto lavoratori, tale decisione, ex art. 336 c.p.c., andrà atravolgere l’eventuale decisione sulla tutela obbligatoria ex art. 8 l.604/1966.

Questa appare la soluzione imposta dal dettato normativo edai profili sistematici evidenziati (28).

Non condivisibile appaiono pertanto le linee guida del tribu-nale di Firenze, secondo cui il giudice, se esclude l’elemento qua-lificante della tutela forte ex art. 18 St. lav., deve respingere ilricorso e dichiarare inammissibile la domanda di tutela obbligato-ria di cui all’art. 8 l. 604/1966 (29): innanzitutto, come visto, non si

(28) In questi termini le linee guida del Tribunale di Venezia, q. Riv., 2012,II, 1116.

(29) V. q. Riv., 2012, II, 1111.

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tratta di una domanda diversa, ma di una diverso profilo giuridicodella stessa domanda; pertanto, il giudice, essendo competente, ètenuto a rispettare il principio della corrispondenza tra il chiesto edil pronunciato (si ricorda che la tutela debole ex art. 8 l. 604/1966è tralaticiamente considerata implicita rispetto a quella di tutela exart. 18 St. lav. ed esaminabile anche in assenza di formale do-manda) (30) e, quindi, non può dichiarare inammissibile la richie-sta subordinata di tutela e chiudere in rito, per di più con il fondatorischio per il lavoratore di arrivare troppo tardi, per intervenutadecadenza ex art. 32 l. 183/2010, e, quindi, di “trovarsi tra lesedie”.

Infine, pur riconoscendo la fondatezza della ricostruzione pro-posta (31), è stata suggerita la possibilità per il giudice, “al terminedell’istruttoria” (32), di decidere sulla tutela debole ex art. 8 l.604/1966 con il rito speciale, dato che «se il legislatore non subor-dina, come di fatto non subordina, all’accoglimento della domandaprincipale la decisione di merito di domande differenti dall’impu-gnazione del licenziamento, non si vede perché la stessa disciplinanon dovrebbe valere quando si tratta di decidere non di unadomanda differente, ma della stessa domanda (sia pure sotto undiverso profilo giuridico)» (33). È un’interessante provocazione,frutto di una forzatura (34) — ragionevole — del dettato norma-tivo, che, però, poggia su un cattivo esercizio dei poteri di direzionedel processo affidati al giudice, il quale, come detto, prima ancoradi istruire la causa sulla sussistenza della giusta causa o delgiustificato motivo, deve occuparsi dell’accertamento dell’ele-mento qualificante la tutela forte.

(30) V. retro nota 17.(31) Si fa riferimento a quanto scritto in Il licenziamento disciplinare cit.,

158 ss.(32) Quindi, se, a differenza di quanto indicato come modus operandi, il

giudice ha trattato congiuntamente sia dei profili qualificanti che dei profilicomuni della tutela forte e debole, salvo poi negare il profilo qualificante ericonoscere l’esistenza dei profili comuni.

(33) Così F.P. LUISO, op. cit., 14. V. anche I. PAGNI, op. cit.(34) Se, infatti, la domanda di tutela debole ex art. 8 l. 604/1966 non è

un’altra domanda, non è possibile invocare l’applicazione diretta dell’art. 1,comma 48, l. 92/2012; l’applicazione analogica è allora possibile solo se c’è unvuoto normativo (art. 12 preleggi); nel nostro caso, l’art. 1, comma 47, l. 92/2012espressamente limita l’applicazione del nuovo rito alle controversie aventi adoggetto l’impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall’art. 18 St. lav.

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Provocazione che è legge in Germania, ove è previsto, comeregola, che il giudice adito può decidere la controversia sotto tuttii profili di diritto, anche se demandati alla cognizione di differentivie legali (35). Ma questa previsione non c’è in Italia.

6. Profilo dinamico della questione di rito. Sorte delle domandediverse da quella d’impugnazione del licenziamento. — Nulla è dettodal legislatore quanto al profilo dinamico della questione di rito e,in particolare, quanto al termine di rilevazione e alla naturariservata alla parte o rilevabile d’ufficio del profilo di rito.

Il problema è complicato dal fatto che la possibile disciplina diriferimento è opposta: in particolare, applicando l’art. 4 d.lgs.150/2011 sulla semplificazione dei riti, il rilievo dell’errore di ritodovrebbe essere effettuato (e deciso) entro la prima udienza; ap-plicando invece gli artt. 426 e 427 c.p.c., il rilievo può avvenireanche oltre la prima udienza.

Inoltre, le linee guida di alcuni tribunali sono nel senso dipunire con la dichiarazione d’inammissibilità l’errore di rito com-messo dalla parte (36), benché tale soluzione non sia ricavabile nédall’art. 4 d.lgs. 150/2011 né dagli artt. 426 e 427 c.p.c.

In particolare, quanto alle domande ulteriori (rispetto a quelladi impugnativa del licenziamento) non fondate su identici fatticostitutivi, si osserva che:

a) «non possono essere proposte» (art. 1, comma 48, l. 92/2012), cioè siamo in presenza di una vicenda litis ingressus impe-diens;

b) soltanto con riferimento alla domanda riconvenzionaleproposta in fase di opposizione e non fondata su identici fatticostitutivi, il legislatore ha previsto che il giudice ne dispone laseparazione, per cui per le altre invece deve essere dichiaratal’inammissibilità, anche in base al principio che ubi lex voluit dixit,ubi noluit tacuit (37).

(35) Si fa riferimento ai §§ 17, 17a e 17b della GVG (Gerichtsverfassungsge-setz). V., si paret, D. BUONCRISTIANI, Giurisdizione, competenza, rito e merito cit., 181ss.

(36) Cfr. T. Milano 25 ottobre 2012, q. Riv., 2012, II, 1086.(37) Cfr. T. Milano 25 ottobre 2012 cit., 1094 s.

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Iniziamo allora con l’affrontare il problema del profilo dina-mico della questione di rito secondo i principi generali e sistematicidella materia processuale.

Ebbene, la scelta del rilievo da attribuire alla questione di rito,in un sistema processuale razionale e logico, deve tener conto delledifferenze tra il rito speciale e quello ordinario altrimenti applicabileper quanto riguarda la “tipologia” di atti previsti dal nuovo rito enon le “modalità temporali” di assunzione dell’atto, in quanto, nelpassaggio al rito corretto gli atti compiuti con il rito errato man-tengono la stessavalidità ed efficacia, anche se compiuti secondounascansione temporale diversa, mentre devono perdere ogni efficacia,se non sono previsti dal rito corretto. Pertanto, se nel momento delpassaggio di rito sono molti gli atti che perdono efficacia, in quantonon previsti dal rito corretto, facendo così barcollare anche i pochiatti salvabili, è meglio attribuire rilievo massimo alla questione dirito, dato che comunque il processo deve ripetere molti degli atticompiuti e praticamente reiniziare da capo.

In sintesi, il passaggio di rito opera come “selettore” degli atticompiuti; se da questo setaccio non passa la maggior parte degliatti compiuti (perché previsti da uno, ma non dall’altro rito), allorala questione di rito si pone come condizione di trattabilità nelmerito della controversia, cioè come presupposto processuale, percui tutti gli atti compiuti con il rito errato sono per ciò solo viziatie devono essere ripetuti con il rito corretto, previa sanatoria al finedi continuare il processo e mantenere gli effetti sostanziali delladomanda (tra cui, in primis, l’effetto impeditivo della decadenza el’effetto interruttivo e sospensivo della prescrizione). La questionedi rito, in quanto presupposto processuale, segue la regola generale(benché sempre più derogata, per esigenze di certezza ed economiaprocessuale) del rilievo anche d’ufficio, cui segue decisione consentenza (o provvedimento equiparabile), controllabile tramiteimpugnazione.

Se, invece, questo setaccio trattiene soltanto alcuni atti, chedevono pertanto essere eliminati (perché non previsti affatto dalrito corretto) ovvero ripetuti (perché diversamente disciplinati dalrito corretto), allora la questione di rito non assurge al livello dicondizione di trattabilità nel merito della controversia e, pertanto,seppure rilevabile anche d’ufficio (in quanto comunque rappre-senta una causa di possibile invalidità degli atti compiuti), può

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essere decisa con semplice ordinanza, non direttamente impugna-bile dalla parte, che potrà dolersi della decisione sul rito soltantotramite impugnazione della sentenza finale, adducendo e dimo-strando di aver subìto un pregiudizio a causa dell’utilizzo del ritoerrato (38).

Ebbene, poiché il nuovo rito speciale si caratterizza per lemodalità di attuazione del contraddittorio e, quanto agli atti,meramente per «l’omissione di ogni formalità non essenziale alcontraddittorio» (e questo limite espressamente previsto già tagliale gambe alla possibilità di impugnare la sentenza, lamentando unpregiudizio a causa dell’utilizzo del rito errato), la questione di ritoassume un rilievo minimo.

Pertanto, in assenza di espressa disciplina nella regolamenta-zione di questo nuovo rito, è possibile, in applicazione dei principigenerali enunciati, affermare che:

a) la questione di rito è rilevabile anche d’ufficio, in ognistato e grado delle fasi di merito, dato che le norme sul ritorappresentano comunque una causa di possibile invalidità degliatti compiuti e dato che regolano lo sviluppo del contraddittorio,delineando i poteri delle parti e del giudice e, quindi, sono normepotenzialmente in grado di condizionare l’esito del processo (39);

b) la questione di rito è decisa con ordinanza, non diretta-mente impugnabile, con possibilità di contestare tale decisionesoltanto con l’impugnazione della decisione finale, ottenendo sì lacorrezione del rito, ma non l’invalidazione dell’intera sentenza, senon allegando e dimostrando lo specifico pregiudizio che ne siaderivato;

c) l’errore di rito non è sanzionabile con una dichiarazione

(38) Cfr. Cass. 7 aprile 2010, n. 8245, secondo cui «l’omesso cambiamentodel rito, anche in appello, dal rito speciale del lavoro a quello ordinario oviceversa, non spiega effetti invalidanti sulla sentenza, che non è né inesistente,né nulla; l’errore consistito nell’utilizzazione di un diverso rito processuale puòessere dedotto come motivo di impugnazione ove si indichi lo specifico pregiudizioche ne sia derivato, per aver inciso sulla determinazione della competenza ovverosul contraddittorio o sui diritti di difesa». V. anche Cass., S.U., 17 febbraio 2009,n. 3758.

(39) Così, nel passaggio dal rito del lavoro al rito speciale per le controversiesui licenziamenti in regime di tutela ex art. 18 St. lav., la parte ha diritto di essererimessa in termini, poiché, come vedremo, nella prima fase del nuovo rito nonsono previste decadenze e preclusioni a carico delle parti.

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d’inammissibilità della domanda, ma con la conversione del rito,anche per far salvi gli effetti sostanziali e processuali della do-manda, tra cui, in primis, l’impedimento della sequenza decaden-ziale prevista dall’art. 32 riformato del c.d. Collegato lavoro, non-ché dell’attività e degli atti già compiuti e previsti anche dal ritocorretto;

d) se l’errore di rito riguarda soltanto alcune domande, ilgiudice non deve dichiararle inammissibili, ma deve convertire ilrito con trattazione separata o, in particolare se domanda ricon-venzionale proposta in fase d’opposizione, con formale separa-zione. Il fatto che il legislatore preveda che le domande nonfondate sugli identici fatti costitutivi della domanda principalenon possono essere proposte non vuol dire che, una volta proposte,debbano essere rigettate in rito (40). Il fatto che il legislatorepreveda espressamente la separazione soltanto per le domandericonvenzionali non fondate su identici fatti costitutivi della do-manda principale non vuol dire che le altre debbono essere dichia-rate inammissibili, potendo invece essere possibile, previa conver-sione del rito, una trattazione separata da parte dello stessogiudice, chiamato a decidere subito con sentenza parziale la do-manda d’impugnativa del licenziamento. E, comunque, perché perla domanda riconvenzionale erroneamente proposta il giudice devedisporre la separazione con conversione del rito e non per le altre,da dichiarare invece inammissibili, con conseguente perdita deglieffetti sostanziali e processuali della domanda, nonché dell’attivitàe degli atti già compiuti e previsti anche dal rito corretto? Come sigiustifica questa proposta differente disciplina a livello costituzio-nale con la tutela del diritto di azione?

In sintesi, l’errore sul rito, da apprezzare in base al quiddisputatum, è rilevabile anche d’ufficio, in ogni fase di merito delprocesso (41) e comporta la conversione del rito e la trattazioneseparata della domanda non ricompresa nel nuovo rito licenzia-menti.

(40) Così F.P. LUISO, op. cit., 14.(41) In Cassazione non ci sono differenze di rito e quindi non c’è un rito da

cambiare pro futuro, mentre per quanto riguarda il passato, come detto, occorreaver impugnato la sentenza d’appello, lamentando di aver subìto un pregiudizioa causa dell’utilizzo del rito errato.

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Rimane da trattare il regime degli atti compiuti e da compiere,una volta corretto il rito. È quanto si passa ad esaminare.

7. Regime degli atti compiuti con il rito errato e da compiere conil rito corretto. — Quanto al regime degli atti, abbiamo già detto cheil mutamento di rito funge da setaccio e potranno mantenerevalidità soltanto gli atti previsti anche dal rito corretto, mentre glialtri o dovranno essere eliminati (perché non previsti affatto dalrito corretto) ovvero ripetuti (perché diversamente disciplinati dalrito corretto).

Questa affermazione di principio va però affinata, tenendoconto non soltanto della “tipologia” dell’atto, ma anche delle“modalità temporali” di assunzione dell’atto: se, infatti, seguendoil rito errato la parte ha compiuto tardivamente un atto, questopuò essere recuperato, applicando il rito corretto? Ovvero, alcontrario, un atto compiuto tempestivamente in base al rito er-rato, ma tardivamente in base al rito corretto, va eliminato?

Ebbene, il nuovo rito corretto non potrà essere applicato agliatti già compiuti al fine di verificarne la ritualità e tempestività. Inbase al “principio di affidamento”, la parte è tenuta a rispettare leregole valide al momento in cui deve compiere l’atto. Pertanto, seha compiuto un atto in un momento temporale non più tempestivosecondo il rito corretto, non potrà per ciò solo vedersi annullatotale atto. Si pensi al regime dell’allegazione dei fatti, proposizionedi eccezioni e domande, richieste istruttorie. Al contrario, se unaparte ha compiuto tardivamente un atto secondo il rito errato, nonpotrà pretendere di attribuire validità a tale atto, in base al ritoche afferma corretto (42).

In sintesi, per quanto riguarda la ritualità e tempestività degliatti già compiuti, vale il principio per cui rilevante è il rito appli-

(42) Questo aspetto viene in considerazione soprattutto quanto a regimedelle impugnazioni, per cui la parte, anche se contesta la correttezza del rito,dovrà regolarsi in base al rito applicato, in base al cd. principio di ultrattività delrito. Cfr. Cass. 7 giugno 2011, n. 12290, Arch. locazioni, 2012, 61; Cass. 27 maggio2010, n. 12990; Cass. 6 agosto 2009, n. 18013. Cfr. anche Cass. 2 luglio 2003, n.10383, GDir, 2003, fasc. 37, 68; Cass. 8 luglio 1999, n. 7171, secondo cui allacontroversia che, pur riguardando un rapporto compreso tra quelli indicatidall’art. 409 o 442 c.p.c., sia stata decisa con il rito ordinario, è applicabile ilregime della sospensione dei termini di impugnazione nel periodo feriale.

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cato, finché non intervenga provvedimento di mutamento, in baseal principio di affidamento, per cui non si può danneggiare la parteche ha rispettato le norme al momento vigenti. Questa regola,desumibile dai principi generali, è adesso espressamente previstadall’art. 4, 5º comma, d.lgs. 150/2011.

Per quanto, invece, concerne gli atti “da compiere”, si imponeil rispetto delle norme procedimentali del rito corretto, altrimentinon avrebbe senso alcuno il mutamento di rito ed anzi si pregiudi-cherebbe il diritto della parte ad ottenere la tutela giudiziaria dellasituazione controversa secondo la corretta disciplina da applicare.

Il problema si pone, in particolare, nel caso in cui il regime dipreclusioni e decadenze del rito corretto sia meno rigido del regimeprevisto dal rito errato, per cui la parte, a seguito di mutamento dirito, riacquista poteri e facoltà che aveva perso con il rito errato (43).

Nel caso, invece, di passaggio ad un rito con un regime dipreclusioni e decadenze più rigido, dovrà essere data alla parte lapossibilità di integrare i propri mezzi di attacco e di difesa, simil-mente a quanto dispone l’art. 426 c.p.c., in caso di passaggio dalrito ordinario al rito del lavoro. Pertanto, poiché, come vedremo, laprima fase del nuovo rito sui licenziamenti si caratterizza perl’assenza di decadenze e preclusioni (nonché per il divieto diproporre domande, che non siano fondate sugli stessi fatti costitu-tivi), in caso di mutamento di rito durante la prima fase e passag-gio al rito del lavoro, il giudice dovrà concedere alle parti untermine perentorio per integrare gli atti, in base al nuovo regime didecadenze e preclusioni, nonché ai possibili mezzi di attacco edifesa previsti dal rito corretto.

8. Architettura del nuovo rito. Il giudice come signore dei tempi.Aspetto qualitativo del fattore tempo. Termine congruo e non ordina-

(43) Ad es., Cass. 13 ottobre 1992, n. 11148 ha affermato che «la parte,tenuta a proporre l’impugnazione nella forma e nei termini propri del rito(ordinario o del lavoro) adottato in concreto dal giudice, non ha l’onere diproporre, con i motivi di appello, eccezioni non consentite da tale rito; pertanto,nel caso in cui il tribunale ritenga che la causa, decisa in primo grado secondo ilrito speciale, riguardi un rapporto diverso da quelli previsti dall’art. 409 c.p.c. edisponga, ai sensi dell’art. 439, il passaggio al rito ordinario, le nuove eccezioni,vietate dall’art. 437 c.p.c. e consentite invece dall’art. 345 stesso codice, possonoessere proposte, ove non siano state già formulate con l’atto di appello, anchedopo il cambiamento del rito».

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torio o perentorio. Costituzionalità. — Per raggiungere lo scopo dellariduzione dei tempi del processo, è stata effettuata una scelta op-posta a quella fatta prima con il rito del lavoro e poi con la novel-lazione del rito ordinario, cioè si è abbandonato lo schemadella scan-sione predeterminata dal legislatore in maniera generale ed astratta,con la previsionedi distinte fasi (ad es., introduzione, trattazioneperprecisare i fatti controversi, istruzione, decisione), separate da rigidepreclusioni e con l’eventuale ulteriore scansione di ciascuna singolafase tramite preclusioni interne; al contrario è stato introdotto unprocedimento elastico, in cui è disciplinata soltanto la fase intro-duttiva e la tipologia ed efficacia del provvedimento decisionale,mentre, quanto all’attività di cognizione (che è quella che comportail maggior sforzo e richiede maggior tempo), sta al giudice:

a) procedere «nel modo che ritiene più opportuno»;b) «agli atti di istruzione indispensabili»;c) «sentite le parti e omessa ogni formalità non essenziale al

contraddittorio».I problemi che pone questo processo elastico e duttile, affidato

alla direzione del giudice, sono:1) “costituzionalità”, dato che a norma dell’art. 111 Cost. «la

giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dallalegge» e non dal giudice;

2) “bilanciamento dei poteri del giudice e delle parti”, nellaricerca di un punto di equilibrio tra iniziativa di parte e direzionedel giudice nella conduzione del processo, in mancanza di deca-denze previste dal legislatore e della possibilità per il giudice difissare termini perentori (44).

Quanto al profilo di costituzionalità del nuovo rito speciale, ildilemma di partenza è se l’espressione «regolato dalla legge», con-tenuta nella norma costituzionale dell’art. 111, vada letta nel sensoche è istituita una riserva di legge ovvero nel senso che l’architet-tura del processo può essere delineata soltanto dal legislatore e nondal giudice, con conseguente predeterminazione delle modalità direalizzazione del contraddittorio, al fine della costruzione dell’edi-

(44) A norma dell’art. 152, comma 1, c.p.c. i termini per il compimentodegli atti del processo «possono essere stabiliti dal giudice anche a pena didecadenza, soltanto se la legge lo permette espressamente».

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ficio del fatto e del convincimento del giudice sulla spettanza dellapretesa azionata (45).

Ebbene, innanzitutto questa visione manichea (46) va correttain partenza, in quanto i poteri di conduzione del processo even-tualmente riconosciuti al giudice non possono essere consideratiavulsi dal contesto e, in particolare, dai poteri delle parti, in basealla regola secondo la quale i poteri del giudice sono limitati nontanto dai poteri delle parti quanto dalle previsioni del legislatore.C’è un rapporto direttamente proporzionale, per cui a maggioripoteri del giudice corrispondono maggiori poteri delle parti.

Ecco che entra in gioco il rispetto del contraddittorio, incondizioni di parità, tra le parti, nel senso che ad “ogni attivitàinnovativa, sia di una parte che del giudice, deve corrispondere lapossibilità di liberamente difendersi in un tempo congruo”.

Vengono quindi in considerazione i concetti di attività inno-vativa, libertà di difendersi, tempo o termine congruo.

L’“attività innovativa” può riguardare:a) sia l’introduzione di un nuovo fatto sia la valorizzazione

giuridica di un fatto silente, avventizio (47), cioè un fatto entratonell’involucro processuale e risultante dagli atti, senza però che laparte lo abbia invocato a sostegno della propria pretesa e senza cheil giudice lo abbia valorizzato al fine di accogliere o respingere ladomanda, con le seguenti precisazioni: 1) al fine del rispetto delcontraddittorio è rilevante non qualsiasi fatto, ma il fatto chediventa mezzo di attacco o di difesa (moyen per i francesi), cioè ilfatto qualificato giuridicamente e posto dinamicamente e causal-mente in rapporto con l’effetto giuridico richiesto; 2) si esce dalladistinzione tra fatti principali e fatti secondari, rilevando soltantoche il fatto, principale o secondario, venga colorato giuridicamente

(45) Cfr., ex multis, S. CHIARLONI, Il nuovo art. 111 Cost. e il processo civile,RDP, 2000, 1010; R. CAPONI, Rito processuale veloce cit., paragrafo 4.

(46) Nel senso di tendere a due estremi opposti, in quanto per l’unaricostruzione (riserva di legge) è sufficiente che sia il legislatore a consegnare nellemani del giudice il potere di stabilire le regole del procedimento, mentre per l’altraricostruzione è necessario che il legislatore regolamenti in maniera precisa tutto ilprocedimento, tutta la sequenza di atti e attività.

(47) Questa terminologia è mutuata da H. MOTULSKY, La cause de lademande dans la délimitation de l’office du juge, D. (Recueil Dalloz), 1964, Chron.(Chronique), 235. V., si paret, D. BUONCRISTIANI, L’allegazione dei fatti cit., 2002,212.

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e diventi rilevante causalmente per l’attribuzione o la negazionedella tutela richiesta, così attualizzando l’esigenza di difesa dellacontroparte o di entrambe le parti, in caso di rilievo da parte delgiudice; 3) quanto al giudice, la possibilità di rilevare fatti silentinon può riguardare i fatti costitutivi individuatori del dirittocontroverso o i fatti impeditivi, modificativi ed estintivi oggetto dieccezioni riservate alla parte (48);

b) il mutamento di prospettazione giuridica della controver-sia, cioè il rilievo di una «questione di diritto» (cfr. art. 101, 2ºcomma, c.p.c.), sia ad opera di una parte che del giudice (49);

c) l’introduzione di un mezzo di prova.Quest’ultima attività innovativa è esemplare per meglio chia-

rire il significato della necessità di riconoscere alla controparte (oad entrambe le parti, in caso di attività innovativa del giudice) ildiritto di “liberamente” difendersi: sino all’intervento delle Sezioniunite con le sentenze nn. 8202 e 8203 del 2005 (50) si consentiva laproduzione in appello soltanto di prove documentali e, quanto alrispetto del contraddittorio, si osservava che le parti erano poste suuna posizione di parità, in quanto tale potere spettava ad en-trambe. La fallacità di tale impostazione stava (anche) nel fattoche è soltanto apparente l’equivalenza di poteri, poiché la partepotrebbe non disporre di prove precostituite, ma soltanto di provecostituende e, conseguentemente, si trova impossibilitata a difen-dersi rispetto all’iniziativa istruttoria dell’avversario (51).

Parimenti, con riferimento all’attività innovativa riguardantela costruzione dell’edificio del fatto (anche tramite la valorizza-zione giuridica di un fatto silente trasformato in mezzo di attaccoo di difesa) o il mutamento della prospettazione giuridica, ilrispetto del contraddittorio impone non soltanto che «all’iniziativa

(48) Si rinvia, si paret, a D. BUONCRISTIANI, L’allegazione dei fatti nel processocivile cit., 230.

(49) Si rinvia, si paret, anche per ulteriori riferimenti a D. BUONCRISTIANI, Ilnuovo art. 101, 2º comma, c.p.c. sul contraddittorio e sui rapporti tra parti e giudice,RDP, 2010, 399.

(50) In particolare la sentenza n. 8202, riguardante il rito del lavoro, q.Riv., 2006, II, 197, con mia nota di commento.

(51) V. in tema anche C. CONSOLO, Profili della nuova disciplina delle impu-gnazioni, con una rinnovata critica all’appello “chiuso” ai “nova”, in La riforma delprocesso civile, Cedam, 1992, 194; M. FORNACIARI, L’attività istruttoria nel rito civileordinario: poteri delle parti e poteri del giudice, GI, 1999, 442.

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di una parte debba poter seguire una consentanea replica dellacontroparte e in particolare che a questa siano conferiti poteriequivalenti [corsivo nostro] nonché i congrui strumenti — comuni-cazione ed adeguato spatium deliberandi — per esercitarli» (52), maimpone la possibilità di difendersi “liberamente”, cioè non soltantoesercitando poteri equivalenti, ma anche tramite l’allegazione dinuovi fatti e la richiesta di nuovi mezzi istruttori.

Ad esempio, con riferimento ai fatti avventizi o alla questionedi diritto, il riconoscimento di poteri equivalenti comporterebbesoltanto la possibilità di valorizzare altri fatti avventizi ovvero direplicare o sollevare altra questione di diritto, mentre ciò che serveè soprattutto poter “liberamente” difendersi, introducendo altrifatti resi “adesso” rilevanti dall’attività innovativa dell’avversarioo del giudice. Altrimenti, la parte scaltra potrebbe attendere chesia preclusa l’attività di allegazione di fatti e di richieste istruttorieovvero che il giudice si sia oramai riservato la decisione, dandotermine per note difensive, e, a questo punto, tirar fuori l’asso dallamanica, cioè valorizzare il fatto risultante dagli atti, ma prima nonutilizzato a fondamento della propria linea difensiva; la contro-parte avrebbe al più (se, giunti in fase decisoria, è stato assegnatoanche un termine per repliche) soltanto un potere equivalente ecioè la possibilità del tutto teorica di tirar fuori altri fatti versati incausa, cioè di contraddire in base al materiale di causa.

Si noti che non si può neppure obiettare che la parte, in fin deiconti, non è colta di sorpresa, in quanto l’attività innovativa haradici nel materiale di causa, che è a disposizione di tutti. Si puòinfatti replicare che non sempre l’attività innovativa poggia su ciòche risulta dagli atti, come ad es. in caso di una diversa impostazionein diritto della controversia con l’eventuale implicazione di fatti di-versi non allegati e provati dalle parti (53). La parte non gode di

(52) Così si esprime A. CERINO CANOVA, La domanda giudiziale e il suocontenuto, in Commentario del codice di procedura civile, diretto da E. ALLORIO, libroII, tomo I, Utet, 1980, 131 ss.

(53) Ad es., in caso di licenziamento per illecito utilizzo di autoveicoloaziendale causando un incidente, le parti hanno discusso se il lavoratore, nonspecificatamente autorizzato all’utilizzo del mezzo aziendale, poteva o menoutilizzare un mezzo pubblico ovvero se avesse o meno deviato dal percorsoottimale; il giudice, invece, d’ufficio ritiene rilevante stabilire se il lavoratore,quale promotore finanziario, agiva o meno in una zona assegnata in esclusiva ad

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facoltà divinatorie, per poter anticipare nella propria testa il ragio-namento che farà il giudice e così potersi correttamente difendere.

Inoltre, anche se la parte si fosse resa conto del fatto silente,per quale motivo dovrebbe portare l’attenzione e la discussione sudi esso, se è contrario ai propri interessi? Il principio di autore-sponsabilità non può tramutarsi in principio di autolesionismo. Ilprincipio del contraddittorio, anche tra giudice e parti, prevale sulprincipio di autoresponsabilità.

Si tenga anche conto del codificato principio di non contesta-zione (novellato art. 115 c.p.c.): affinché la parte sia posta in gradodi “specificamente” contestare i fatti affermati da controparte,occorre che l’avversario abbia “esplicitamente” valorizzato giuri-dicamente il fatto. Soltanto in tal caso scatta l’onere di contesta-zione e, in caso di mancato esercizio, l’espunzione dal thema pro-bandum. Fin tanto che siamo di fronte ad un fatto avventizio, laparte non è onerata di contestarlo; quindi, il giudice, in caso dirilievo ufficioso, dovrà sottoporlo all’attenzione delle parti, ancheper provocarne l’eventuale contestazione.

Infine, il principio iura novit curia legittima sì il giudice aricercare la corretta impostazione giuridica della situazione sostan-ziale dedotta in giudizio, ma non per questo lo autorizza a sorpren-dere le parti in sede di decisione. La sorpresa, che viola il diritto didifesa e il principio del contraddittorio, si ha tenendo conto dellaproiezione dinamica della questione di diritto, cioè quando lanorma di diritto evidenziata dal giudice e posta in rapporto conl’effetto giuridico richiesto fa entrare il contenzioso in un campo diindagine non arato, rimasto fuori del recinto entro il quale si èsvolto il dibattimento.

Abbiamo così affinato i concetti di “attività innovativa” e“libertà di difesa”. Manca il concetto di “tempo congruo” (54), alfine di avere in mano gli strumenti necessari per verificare ilrispetto del principio del contraddittorio.

altro lavoratore. Questa diversa prospettazione rende rilevante stabilire fattiprima non considerati (e, quindi, non allegati e provati), cioè l’esistenza di unaccordo di esclusiva e il fatto che il luogo dell’incidente ricade o meno in una zonaaffidata in esclusiva all’attività di altro lavoratore.

(54) Sul concetto di termine congruo e/o ragionevole vedi N. PICARDI - R.MARTINO, Termini: I) Diritto processuale civile, EGT, 1994, 17 ss. ed ivi ulterioricitazioni.

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Il giudice, infatti, pur potendo condurre questa fase del pro-cesso «nel modo che ritiene più opportuno», nel fissare l’ampiezzadella distantia temporis assegnata alle parti, deve tener conto “ingenerale”, della natura, urgenza e complessità della controversia,e, “in particolare”, dell’attività richiesta alla parte. Non vienequindi in rilievo la natura ordinatoria o perentoria ovvero dilatoriao acceleratoria del termine, ma la sua funzione qualitativa distrumento per il corretto svolgimento del contraddittorio, sentiti idiretti interessati, cioè gli avvocati delle parti.

Essenziale, quindi, per il buon funzionamento del rito è lacollaborazione tra le parti (cioè i difensori delle parti) e il giudice.Va quindi valorizzata l’indicazione «sentite le parti», che precedel’espressione «omessa ogni formalità non essenziale al contraddit-torio», anche per evitare di dover tornare sui propri passi e conce-dere proroghe o ammettere attività compiuta fuori termine, con ilrischio di aprire un subprocedimento teso a verificare la congruitào meno del termine originariamente assegnato unilateralmente,senza aver sentito le parti e senza, quindi, il loro accordo.

Altro e diverso problema è il bilanciamento dei poteri delleparti e del potere di conduzione del processo del giudice: in man-canza di una predeterminazione sequenziale dell’attività consen-tita e in considerazione del divieto per il giudice di assegnaretermini perentori per svolgere una certa attività (art. 152, 1ºcomma, c.p.c.), come può il giudice rifiutare alla parte la possibilitàdi una certa attività assertiva o probatoria, come può in tempirapidi portare a definizione il giudizio? Su questo particolareaspetto, ci soffermeremo, per la sua delicatezza, separatamenteinfra nel successivo paragrafo.

Per il momento è importante aver fissato i paletti entro cui ilgiudice può esercitare il suo potere di conduzione del processo «nelmodo che ritiene più opportuno», per cui, ogni qual volta questipaletti risultano abbattuti, la parte può impugnare la decisione dimerito sotto il profilo della violazione del diritto di difesa e delprincipio del contraddittorio.

Da aggiungere che comunque il giudice, nella conduzione delprocedimento, pur potendo regolarsi nel modo che ritiene piùopportuno, è tenuto a riservare particolari giorni nel calendariodelle udienze per la trattazione di queste controversie (art. 1, 65º

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comma, l. 92/2012), sotto la diretta vigilanza dei capi degli ufficigiudiziari (art. 1, 66º comma, l. 92/2012) (55).

In sintesi, non rileva tanto che sia lasciato al giudice il compitodi definire l’architettura del processo, ma che tali ampi poteriabbiano come contrappeso ampi poteri delle parti di poter libera-mente difendersi in tempo utile, con la possibilità di contestarel’uso di questo potere, sotto il profilo della violazione del diritto didifesa e del principio del contraddittorio. L’art. 111 Cost. è rispet-tato se la legge impone il rispetto del contraddittorio e del dirittodi difesa alle parti, l’una rispetto all’altra parte ed entramberispetto al giudice, con strumenti di controllo.

In ogni caso, il profilo di costituzionalità di questo nuovo ritoduttile ed elastico, affidato al potere di direzione e conduzione delgiudice, è temperato dal fatto che, dopo questa prima fase senzapredeterminazione legale della sequenza di atti e attività, segue (rec-tius: può seguire) una fase a cognizione piena (in cui si procederà atutti gli atti di istruzione «ammissibili e rilevanti richiesti dalle parti»e non soltanto a quelli «indispensabili»), scandita dalle rigide pre-clusioni del rito del lavoro (56).Quindi, la parte ha a suadisposizioneuna fase di controllo “ordinaria”, sempre di primo grado. Ma, comevedremo infra nel paragrafo 11, non è consentita la revoca o so-spensione dell’efficacia esecutiva dell’ordinanza che chiude la primafase; pertanto, la parte che ha subito un torto dalla conduzione delprocesso nella prima fase, pur disponendo di una fase di controllocadenzata dal legislatore, deve sopportare l’efficacia esecutiva delprovvedimento fino alla sentenza che chiude la fase di opposizione.Tuttavia, la valutazione di incostituzionalità deve riguardare il di-vieto di revoca o sospensione dell’efficacia esecutiva dell’ordinanza,piuttosto che la prima fase duttile e deformalizzata.

(55) Critici sull’utilità e sugli effetti di questa previsione C. CONSOLO - D.RIZZARDO, op. cit., 736; R. CAPONI, La corsia preferenziale, op. loc. cit. Da tenerconto, infatti, che non è previsto un aumento dell’organico né dei giudici né delpersonale di cancelleria, essendo al contrario precisato che dall’attuazione dellenuove disposizioni «non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico dellafinanza pubblica, ovvero minori entrate» (art. 1, comma 69, l. 92/2012).

(56) Come vedremo, è espressamente previsto che «l’opposto deve costitu-irsi mediante deposito in cancelleria di memoria difensiva a norma e con ledecadenze di cui all’art. 416 c.p.c.»; altrettanto, quanto a decadenze, varrà quindianche per l’opponente, che propone ricorso «contenente i requisiti di cui all’art.414 c.p.c.».

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9. Bilanciamento dei poteri delle parti e del giudice. Indispen-sabilità degli atti d’istruzione. — In questo nuovo rito il giudiceprocede “nel modo che ritiene più opportuno” ad istruire la con-troversia e portarla a decisione. Tale conduzione del processo èvincolata:

a) quanto al “fine”, dalla necessità di far presto a decideresulla richiesta di tutela ex art. 18 statuto lavoratori (57);

b) quanto al “mezzo”, dalla necessità di consentire alle partidi esercitare compiutamente la propria difesa, nel rispetto delprincipio del contraddittorio, come delineato nel precedente para-grafo.

Il problema è come raggiungere il fine, rispettando il mezzo,poiché il giudice non può imporre termini perentori, per espressodivieto normativo (art. 152, 1º comma, c.p.c.), come detto.

La chiave di volta può essere l’attributo “indispensabili” le-gato agli atti d’istruzione, come si passa a motivare.

Occorre partire dalla constatazione che il legislatore non pre-cisa il termine di relazione, rispetto al quale il giudice può chiuderel’istruttoria, una volta assunti gli «atti d’istruzione indispensabili».

Vediamo, quindi, se indicazioni possono essere tratte da altrenorme del codice, in cui ricorre l’aggettivo “indispensabile” legatoall’attività istruttoria.

Così nel procedimento cautelare uniforme, in cui, però, all’i-dentica espressione secondo cui «il giudice, sentite le parti, omessaogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modoche ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili» èaggiunto «in relazione ai presupposti e ai fini del provvedimentorichiesto». Quindi, il giudice cautelare, pur nell’assenza di unasequenza predeterminata legislativamente di atti e attività, noncorre il rischio di essere in balìa delle parti (o, meglio, della partecon interessi dilatori), in quanto, dopo aver dato alle parti un’oc-casione per far valere i propri mezzi di attacco e di difesa incondizioni di parità, può ritenere esaurita la cognizione, non do-vendo stabilire con certezza chi ha ragione e chi ha torto, ma

(57) È anche prevista, come vedremo, una fase accelerata per la faseintroduttiva; limiti alla possibilità di domande diverse da quelle di tutela ex art.18 St. lav.; giorni specifici nel calendario delle udienze dedicati alla trattazione diqueste controversie.

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soltanto apprezzare l’apparente o meno sussistenza del dirittocontroverso e del pregiudizio nel ritardo. Il fumus boni iuris e ilpericulum in mora sono i presupposti e i fini del provvedimentocautelare richiesto, in relazione ai quali il giudice ha il potere divalutare se ammettere o meno, in quanto indispensabile, l’attivitàistruttoria richiesta dalla parte (così come, in via di applicazioneestensiva o al più analogica, può ammettere o meno l’attivitàinnovativa in fatto o in diritto, specie se sposta la pretesa su undiverso quadro fattuale).

Ma, nel nuovo rito per i licenziamenti, non sono precisati ipresupposti e i fini del procedimento; non è indicato il termine direlazione cui legare l’indispensabilità degli atti istruttori; nulla sidice se si tratta di un procedimento sommario.

Passiamo allora ad esaminare altra previsione normativa, incui torna l’aggettivo «indispensabili» riferito ai mezzi istruttori.

Nella disciplina dell’appello la possibilità di nuovi mezzi diprova così come la produzione di nuovi documenti è ammessa, seritenuti «indispensabili ai fini della decisione» (artt. 437 c.p.c.; art.1, 59º comma, l. 92/2012) (58). L’attività istruttoria è stata giàsvolta in primo grado; la possibilità di riaprire in parte l’istruttoriapuò leggersi negli stessi termini in cui il giudice del lavoro puòdisporre d’ufficio l’ammissione di mezzi di prova, pur essendodecadute le parti dalle richieste istruttorie, cioè soltanto nel caso incui, al termine dell’istruttoria, dopo che ciascuna parte ha assoltoil proprio onere della prova, residuano comunque delle incertezze,dei “dubbi nelle risultanze istruttorie”, per cui è indispensabile peril giudice, ai fini della decisione, sciogliere queste incertezze, ricor-rendo a nuovi mezzi di prova invece che al giuramento suppleto-rio (59). Questa latitudine del concetto di “indispensabilità della

(58) La possibilità di ammettere nuovi mezzi di prova «indispensabili» eraanche prevista dall’art. 345 c.p.c. nell’appello del rito ordinario; tale previsione èstata cancellata dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito nella legge 7agosto 2012, n. 134, che ha contestualmente modificato l’art. 702 quater c.p.c.,sostituendo l’aggettivo «indispensabili» a «rilevanti», sempre «ai fini della deci-sione», con riferimento ai mezzi di prova nell’appello avverso l’ordinanza emessaa seguito di procedimento ordinario di cognizione.

(59) Cfr. Cass. 4 maggio 2012, n. 6753; Cass. 11 marzo 2011, n. 5878; Cass.5 febbraio 2007, n. 2379. In dottrina, v. G. MASSETANI, Prove indispensabili e provenecessarie: i poteri del giudice, FI, 2009, I, 2094. Poiché il giudice può intervenired’ufficio o può autorizzare in appello l’assunzione di nuovi mezzi di prova soltanto

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prova”, presupponendo un’istruzione già effettuata, non può ser-vire per spiegare quanto adesso previsto dal nuovo rito nella faseiniziale del processo.

Il significato di “indispensabilità” della prova va quindi ricer-cato non fuori, ma all’interno del nuovo rito. Occorre porre atten-zione alla diversità tra la prima e la seconda fase (eventuale, aseguito di opposizione) del primo grado di giudizio. Nella primafase il giudice procede agli atti d’istruzione «indispensabili»; nellaseconda fase, invece, a quelli «ammissibili e rilevanti». Poichél’ammissibilità e la rilevanza sono coessenziali al mezzo istruttorio,il requisito di indispensabilità deve aggiungere qualcosa di diverso.Questa diversità non può che essere intesa in senso restrittivo, valea dire che l’atto istruttorio, benché ammissibile e rilevante, non èperò ammesso, in quanto non è indispensabile.

Ecco, quindi, che emerge la natura sommaria della cognizionedella prima fase, nel senso che il giudice può chiudere questa faseprocessuale, quando ha raggiunto quel grado di convinzione indi-spensabile per stabilire, anche se in via provvisoria, a favore diquale parte pende la bilancia (60).

In questo modo il giudice, pur non potendo fissare terminiperentori e dichiarare decaduta una parte dall’attività assertiva oprobatoria, ha il coltello dalla parte del manico e non ha bisogno dirichiamare le parti ad una maggiore collaborazione: le parti sonoconsapevoli che il giudice può chiudere la cognizione e decidere lacontroversia non appena è convinto di aver raggiunto quel suffi-ciente grado di convinzione indispensabile per concedere o negarela tutela richiesta.

In sintesi, le parti non possono allegare fatti o richiedere mezziistruttori “alla spicciolata”, in base al quadro che si va delineando,potendo il giudice senza preavviso chiudere questa fase del giudizio.

in caso di “incertezza nelle risultanze istruttorie” e non già in caso di “lacunaistruttoria”, è fatta salva la sua terzietà ed imparzialità. In questo modo il giudicenon si erge a “cavaliere bianco” a favore di una parte e in danno dell’altra. Questalettura del termine «indispensabili» fungeva da setaccio molto stretto. Cionono-stante, come precisato retro nella nota precedente, il legislatore ha espunto talepossibilità nell’appello del rito ordinario.

(60) Cfr. I. PAGNI, op. cit., secondo cui è un rito con cognizione piena, se siguarda alla qualità della cognizione, mentre la sommarietà concerne soltanto ladeterminazione delle forme e dei termini affidata al giudice.

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Ciò che non può fare il giudice, pur brandendo il potere di limitarel’attività istruttoria soltanto ai mezzi di prova ritenuti indispensa-bili, è negare il diritto alla controprova tempestivamente richiestadalla parte, in quanto violerebbe il diritto di difesa e il principio dellaparità delle armi tra i due contendenti (Waffengleichheit).

10. Formalità e contraddittorio. — Rimane da dare un conte-nuto alla previsione di poter omettere ogni formalità non essenzialeal contraddittorio nell’istruire la causa.

Innanzitutto questa possibile deroga alle formalità riguarda lemodalità di assunzione degli atti d’istruzione e non già questiultimi. Non è infatti richiamata la tecnica delle sommarie infor-mazioni, ma, nei termini detti, è soltanto previsto che il giudicepuò limitarsi ad assumere gli atti d’istruzione, che ritiene indispen-sabili e non tutti quelli che sono ammissibili e rilevanti (61).

In caso di iniziativa istruttoria del giudice sui fatti allegati enon completamente provati (62), nel rispetto del principio delcontraddittorio, dovrà comunque essere concesso alle parti uncongruo termine per replicare e soprattutto per richiedere e pre-tendere una controprova, da assumere unitamente alla provadisposta d’ufficio.

Inoltre, questa iniziativa istruttoria d’ufficio, così come lastessa formulazione delle domande al testimone, devono concer-nere esclusivamente i fatti allegati dalle parti. In particolare ilgiudice non può operare maieuticamente come Socrate nell’inter-

(61) V. retro paragrafo precedente. Non condivisibile è pertanto quantoafferma G. TREGLIA, op. cit., 767, secondo il quale «quanto all’istruzione probatoriasiamo in presenza di un’istruttoria sommaria informata ad un principio diatipicità delle prove utilizzabili».

(62) Per mantenere la sua terzietà ed imparzialità, il giudice non puòsupplire con i suoi poteri istruttori a lacune probatorie, dovendo applicare inquesto caso la regola di giudizio dell’onere della prova (art. 2697 c.c.). Il suopotere ufficioso è invece doveroso, quando la parte ha assolto il proprio onere, conla richiesta e l’assunzione di prove, ma permangono delle incertezze nelle risul-tanze istruttorie. A contrario, il potere ufficioso non può essere esercitato, quandoqueste incertezze non ci sono, in quanto dalle prove richieste e raccolte è emersocon sufficiente certezza l’esistenza o l’inesistenza del fatto. Cfr. Cass., S.U., 17giugno 2004, n. 11353, FI, 2005, I, 1135, nt. FABIANI; GI 2005, 324; OGL, 2004, I,755, RGL, 2005, II, 95, nt. FABBRI; GC, 2005, I, 161; DRI, 2005, 481 (m), nt.CORVINO. V. anche Cass. 9 gennaio 2007, n. 209, in motivazione; Cass. 5 febbraio2007, n. 2379.

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rogare liberamente le parti o nel formulare le domande al testi-mone; non può cioè fare domande “alla ricerca” di fatti non allegatio, peggio, al fine di far emergere fatti non allegati, ma di cui abbiauna privata conoscenza (63).

In sintesi, l’omissione di formalità nell’assunzione dei mezziistruttori, per non violare il contraddittorio e ancor prima la paritàdi armi tra le parti e la terzietà ed imparzialità del giudice, deve:

a) rigorosamente rispettare il limite dei fatti allegati dalleparti, concentrandosi soltanto su questi, senza ricercare fatti nonallegati o tentare di fare emergere fatti privatamente conosciutidal giudice;

b) consentire alla/e parte/i di liberamente difendersi, in casodi attività innovativa o di iniziativa istruttoria d’ufficio.

11. Lacune di disciplina del nuovo rito e modalità per colmarle.Efficacia di giudicato? — Il legislatore tratteggia rapidamente ilnuovo rito, lasciando aperti molti vuoti di disciplina. Per colmarequeste lacune, occorre procedere per gradi. Innanzitutto occorre

(63) Cfr. Cass. 12 agosto 2011, n. 17272; Cass. 28 gennaio 2010, n. 1863,secondo cui «nel rito del lavoro, è corretto l’operato del giudice che, nell’ambito diuna controversia promossa per accertare la natura subordinata di un rapporto dilavoro, chieda al testimone di precisare, al di fuori delle circostanze capitolate, seveniva rispettato un orario di lavoro, quali fossero le mansioni svolte dal presta-tore nonché in quale posizione materiale la prestazione fosse effettuata, dovendosiritenere che la possibilità di porre tali domande sia consentita, se non ancheimposta, dall’art. 421 c.p.c., e ciò tanto più ove al ricorso siano stati allegaticonteggi elaborati sul presupposto dello svolgimento di determinate mansioni eorari e la controparte abbia contestato, oltre alla natura subordinata del rapporto,anche lo svolgimento di un orario a tempo pieno». Quanto a quest’ultima pro-nuncia, in motivazione si legge che il datore di lavoro contestava che le domandefatte al testimone dal giudice riguardano non solo fatti non contenuti nei capitolidi prova, ma neppure indicati nel ricorso introduttivo. La cassazione, pur digiustificare l’operato del giudice di merito, ritiene effettuata l’allegazione dei fattiimplicitamente all’interno del conteggio sindacale. Ebbene, certamente dal con-teggio non poteva desumersi il “dover rispettare” l’orario (fatto diverso dall’ora-rio svolto) né la posizione lavorativa, cioè l’esserci una postazione di lavoro perquel lavoratore all’interno dello studio professionale del presunto datore dilavoro. Inoltre, come argomentato retro nel paragrafo 8, quando viene valorizzatogiuridicamente il fatto silente, occorre consentire alla controparte di “libera-mente” difendersi, anche tramite rimessione in termini, ove necessaria. In fine, ilgiudice, prima di poter esercitare il suo potere istruttorio d’ufficio doveva rinviaread altra udienza, in modo da consentire alle parti di reagire, anche tramite larichiesta di controprova (richiamo dell’art. 420, comma 6, fatto dall’art. 421c.p.c.).

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elevare a sistema le disposizioni del nuovo rito e vedere se dallalettura unitaria di questo nuovo corpus normativo è possibiletrovare la disciplina non espressa. In particolare, occorre porre aconfronto le due fasi, in cui è suddiviso il primo grado di giudizio.

Ad es., «il ricorso deve avere i requisiti di cui all’art. 125 c.p.c.»e, poiché tra questi requisiti non è ad es. espressamente previstal’indicazione dei mezzi di prova, si potrebbe concludere che lerichieste istruttorie non devono essere formulate, a pena di deca-denza, nel ricorso. Tuttavia, questa prima considerazione non puòconsiderarsi esaustiva, tenendo conto che la norma dell’art. 125c.p.c. ha una caratura generale, riferendosi genericamente agli attidi parte tra cui anche il precetto, nonché avendo presente cheanche nel rito del lavoro non è prevista a carico del ricorrentealcuna decadenza, che però viene desunta dal rispetto del principiodi parità delle armi, dato che la decadenza da attività di allega-zione e prova è invece fissata dall’art. 416 c.p.c. a carico delconvenuto (64). Poiché nel nuovo rito è totalmente trascurata ladisciplina dell’atto di costituzione del convenuto, si potrebbe col-mare tale lacuna, applicando l’art. 416 c.p.c. (65), che porta “indote” anche le decadenze a carico del ricorrente, in quanto leprevede a carico del convenuto. Se, invece, innanzitutto si guardaal complesso delle disposizioni di questo nuovo rito per colmare lalacuna di disciplina, vediamo che, passando alla fase di opposi-zione, è stavolta espressamente affermato che l’opposto «devecostituirsi mediante deposito in cancelleria di memoria difensiva anorma e “con le decadenze” di cui all’art. 416 c.p.c.». Ma, allora, setali decadenze sono espressamente previste per la fase di opposi-zione, a contrario nella diversa e sommaria prima fase urgente digiudizio devono escludersi decadenze, che, comunque, rappresen-tando una limitazione all’esercizio del diritto di azione e di difesa,devono essere o espressamente previste o chiaramente deducibilida altra norma, che le pone chiaramente a carico dell’avversario.In sintesi, dai principi generali di teoria del processo nonché dallalettura combinata delle norme sulla fase introduttiva sia dellaprima che della seconda fase in cui si suddivide il primo grado di

(64) Cfr. C. cost. 14 gennaio 1977, n. 13, FI, 1977, I, 259.(65) Cfr. A. CIRIELLO - M. LISI, op. cit., 289.

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giudizio, si può affermare che le decadenze scatteranno nella fase diopposizione, ma non nella diversa e precedente fase.

Quindi, in primis le lacune dovranno essere colmate, elevandoa sistema il nuovo rito e cercando la soluzione all’interno di questocorpus di norme. Così, ancora, non è previsto come si introducel’eventuale giudizio di rinvio a seguito di cassazione della sentenzad’appello. Poiché, però, sia in primo grado che in appello, comeatto introduttivo del giudizio è previsto il ricorso, parimenti conricorso dovrà iniziarsi il giudizio di rinvio.

Così ad es. per quanto riguarda l’efficacia del provvedimento(ordinanza) preso al termine della prima fase, nel caso in cui nonsegua la seconda fase di opposizione. Il legislatore si limita adisciplinare l’efficacia esecutiva, senza nulla dire espressamente setale ordinanza, ove non opposta, acquisti efficacia di giudicato.

Iniziamo, quindi, con l’esame del corpus normativo di questonuovo rito. Il 51º comma dell’art. 1 l. 92/2012 prevede che:

a) “contro l’ordinanza di accoglimento o di rigetto” puòessere proposta opposizione;

b) “a pena di decadenza entro trenta giorni” dalla notificazioneo, se anteriore, dalla comunicazione del provvedimento opposto;

c) in tale fase di opposizione, sempre del primo grado digiudizio, il giudice procederà agli atti di istruzione “ammissibili erilevanti” (mentre nella prima fase l’istruzione era limitata agli attiindispensabili);

d) l’efficacia esecutiva dell’ordinanza “non può essere so-spesa o revocata fino alla pronuncia della sentenza” che chiude lafase di opposizione.

Si nota subito come questo corpus normativo richiama molto iltesto dell’art. 28 St. lav., in cui il procedimento di repressione dellacondotta antisindacale è diviso in due fasi (la prima sommaria e laseconda eventuale, a seguito di opposizione, a cognizione piena),con la previsione del mantenimento dell’efficacia esecutiva deldecreto emesso al termine della fase sommaria fino alla sentenza,con cui è decisa l’opposizione. Nulla è detto sull’efficacia o meno digiudicato del decreto non opposto, ma è questa la conclusione, chesi è affermata in dottrina e giurisprudenza (66).

(66) Cfr. L. LANFRANCHI, Prospettive ricostruttive in tema di art. 28 dello

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Acquisito altresì che l’efficacia di giudicato sostanziale pre-scinde dalla natura del provvedimento giudiziale, che non deveessere necessariamente una sentenza (67), rimane l’ostacolo rap-presentato dalla tipologia di cognizione, nel senso che per poterottenere il dolce frutto del giudicato occorre la cognizionepiena (68).

Ebbene, più che la “previa” cognizione piena, occorre la “pos-sibilità di una cognizione” piena, che può essere lasciata nelladisponibilità della parte interessata a reagire al provvedimento,che altrimenti acquista efficacia di giudicato.

Ecco, quindi, che si spiega il corpus normativo di questo ritospeciale, ove prevede che “contro” l’ordinanza di accoglimento o dirigetto e non “dopo” l’ordinanza di accoglimento o di rigetto puòessere proposta opposizione; non è prevista una fase di opposizioneintrodotta dalla parte vincitrice, al fine di ottenere una pronunciastabile, cioè con efficacia di giudicato. Al contrario, se l’ordinanzanon opposta non acquista efficacia di giudicato, il datore di lavoro,benché vittorioso al termine della prima fase, si troverebbe co-stretto a introdurre la fase di opposizione (a un provvedimento a sé

statuto dei lavoratori, RTDPC, 1971, 426 nota 69 e 430; M. PEDRAZZOLI, Tutelapenale dell’ordine del giudice e restaurazione dei diritti sindacali nell’art. 28 dellostatuto dei lavoratori, ivi, 1971, 844; M. TARUFFO, Efficacia della pronuncia sullicenziamento per motivi sindacali, ivi, 1971, 1508 ss.; A. PROTO PISANI, Il procedi-mento di repressione dell’attività sindacale, FI, 1973, V, 82; F. CARPI, Breviosservazioni sull’art. 28 dello statuto dei lavoratori, RTDPC, 1971, 1431; ID.,Efficacia «ultra partes» della sentenza civile, Giuffrè, 1975, 170; R. VACCARELLA, Ilprocedimento di repressione della condotta antisindacale, Franco Angeli, 1977, 115nota 2; E. GARBAGNATI, Profili processuali del licenziamento per motivi antisindacali,RDP, 1973, 615. Contra BONSIGNORI, Il procedimento dell’art. 28 dello “statuto” deilavoratori, RTDPC, 1971, 601 ss. In giurisprudenza, v. Cass. 5 maggio 1984, n.2744, AC, 1984, 1170; P. Roma 28 giugno 1993, OGL, 1993, 599; Cass. 23novembre 1989, n. 5039, GC, 1990, I, 2123, nt. F.P. LUISO e FP, 1990, I, 121, nt.BIANCO. Cfr. A. CIRIELLO - M. LISI, op. cit., 282, per il richiamo dell’art. 28 St. lav.al fine di affermare l’efficacia di giudicato dell’ordinanza non opposta a chiusuradella prima fase di questo nuovo rito speciale.

(67) Ed infatti l’opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c. può essere propostaanche avverso all’ordinanza di convalida di licenza o sfratto, benché non si trattidi una sentenza passata in giudicato, a seguito dell’intervento correttivo dellaCorte costituzionale (sentenze 26 maggio 1995, n. 192; 7 giugno 1984, n. 167; 22ottobre 1985, n. 237).

(68) Cfr. C. CONSOLO - D. RIZZARDO, op. cit., 735, per i quali sembra eccessivoattribuire efficacia di giudicato a questo provvedimento, in considerazione dellaforte informalità della fase sommaria.

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favorevole) per ottenere un accertamento con efficacia di giudi-cato, che lo protegga dal rischio di dover tornare a discutere dellalegittimità del licenziamento (69)

Ecco, quindi, che si spiega il termine di decadenza per proporrel’opposizione, al fine di impedire non già che l’ordinanza “perdaefficacia”, ma che l’efficacia esecutiva “diventi stabile”, essendoper di più previsto che tale efficacia resiste fino alla pronuncia dellasentenza, che chiude la fase di opposizione. Tale sistema verràabbattuto, ove, invece, si consentisse, “a decadenza maturata”, diagire comunque in giudizio in via ordinaria ed ottenere una sen-tenza che neghi quanto stabilito dal giudice con l’ordinanza, cosìda togliere alla stessa l’efficacia esecutiva (70).

In sintesi, dal corpus normativo di questo rito speciale èpossibile desumere che l’ordinanza non opposta, che chiude laprima fase, acquista efficacia di giudicato.

Ove, invece, la lacuna non si riesce a colmare, elevando asistema il nuovo rito e cercando la soluzione all’interno di questocorpus di norme, occorre guardare al rito rispetto al quale è specialee che, in mancanza di questo nuovo rito, sarebbe applicabile: il ritodel lavoro. Così, nulla si dice sulla competenza per territorio,limitandosi il legislatore a prescrivere che la domanda si proponecon ricorso al tribunale in funzione di giudice del lavoro. Quindi, èindividuata la competenza per materia e imposto il giudice specia-lizzato, ma non di quale foro. Tale lacuna potrà essere colmata,facendo riferimento alla disposizione dell’art. 413 c.p.c. e non aicriteri generali del rito ordinario (artt. 18-20 c.p.c.). Così quanto aprofilo dinamico della questione processuale “rito” da applicare, ilrinvio è alle disposizioni degli artt. 426 e 427 c.p.c., che comunquerispondono alla disciplina che sarebbe desumibile dai principîgenerali sistematici, come visto (71).

(69) Cfr. Cass. 10 marzo 2010, n. 5804.(70) Cfr. G. BENASSI, op. cit., 754, che richiama per analogia quanto previsto

dall’art. 702 quater c.p.c. A. VALLEBONA, La riforma del lavoro 2012 cit., 75, affermache «le statuizioni dell’ordinanza non opposta passano in giudicato», senza altroaggiungere o precisare.

(71) È quindi da scartare l’eventualità di fare ricorso alla speciale disciplinadell’art. 4 d.lgs. 150/2011, che per di più si occupa di ben precisati procedimenti.V., invece, G. BENASSI, op. cit., 753, che ritiene più opportuno applicare l’art. 4d.lgs. 150/2011, senza ulteriore spiegazione; C. CONSOLO - D. RIZZARDO, op. cit., 735

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Infine, se eccezionalmente neppure il ricorso al rito del lavoroconsente di colmare la lacuna, occorre ricercare la soluzione all’in-terno del rito ordinario, avendo cura di procedere con moltaattenzione e con gli opportuni adattamenti, al fine di evitare chel’innesto venga rigettato come corpo estraneo dal nuovo rito.

RITO LICENZIAMENTI: PROFILI SISTEMATICI E PROBLEMI APPLICATIVI. — Rias-sunto. L’A. analizza il nuovo rito sui licenziamenti introdotto dalla recente legge n. 92/2012, soffermandosisui profili sistematici dello stesso così da offrire una soluzione ad alcuni problemi applicativi, che si pongononell’assenza di espressa disciplina normativa. In particolare, sono affrontate le seguenti problematiche:obbligatorietà o facoltatività del nuovo rito speciale; ambito di applicazione del nuovo rito speciale, conparticolare riferimento alla possibilità o meno di trattare con il nuovo rito la subordinata richiesta di tutelaobbligatoria ex art. 8 l. 604/1966; modalità di controllo della correttezza del rito, cioè se il giudice deve attenersia quanto affermato dal ricorrente nella domanda o a quanto accerta nel corso del giudizio, tenuto contodell’interferenza del principio iura novit curia; rilievo, quanto a legittimazione e termini, della questione dirito e modalità della decisione; sorte della domanda esulante il rito speciale.

PROCEDURAL RULES ON DISMISSAL: SYSTEMATIC PROFILES AND PRACTICALPROBLEMS. — Summary. The A. analyzes the procedural rules on dismissals as amended by the recent lawno. 92/2012, by focusing on its systematic profiles and tackling some practical issues arising in the absence ofa statutory framework. In particular, the following issues are addressed: compulsory or volontary nature of thenew special procedural rules; scope of application of the new rules, with particular regard to the alternativeclaim for protection under art. 8 l. 604/1966; control system aimed at assessing the appropriateness of theprocedure, that is, establishing whether the court is expected to adhere to the parties allegations or to the findingof fact at the end of the proceedings, in compliance with the iura novit curia principle; detectability ofprocedural issues, as far as capacity and time-barring are concerned, and procedural rules for judgment;claims falling outside the scope of the procedural rules.

nota 29, secondo i quali la conversione del rito può seguire la disciplina dell’art.4 d.lgs. 150/2011 «forzando non poco la lettera della norma» o forse quella dell’art.426 c.p.c.

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