Punti fermi o quasi nel rapporto tra le Chiese e Israele

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PUNTI FERMI (O QUASI). Una teshuvà delle Chiese cristiane nei confronti di Israele Luigi Nason Si tratta di delineare alcuni punti fermi che si devono considerare acquisiti dalla coscienza cristiana per un modo corretto di parlare degli ebrei e dell’ebraismo nella vita quotidiana delle comunità. Da I dieci punti di Seelisberg (5 agosto 1947) ad oggi molti documenti delle chiese cristiane offrono nuove tracce di cammino. Già nel 1982 Renzo Fabris scriveva: “Giunti al giorno d’oggi, quando cioè il programma di Seelisberg si è realizzato, cosa dobbiamo fare?”. E citava un passaggio di un discorso rivolto dal cardinale Etchegaray ad alcuni membri dell’Amicizia ebraico-cristiana di Francia nel 1981: “Oggi si apre una nuova epoca che esigerà da noi forse una nuova carta di Seelisberg, aggiornata e soprattutto ancor più audace”. Continuava poi prospettando un modo di proseguire il cammino iniziato: “Insomma, per un’apertura verso il futuro dell’amicizia tra ebrei e cristiani, bisogna cercare non solamente di diffondere tra i cristiani le acquisizioni del cammino percorso, - farle cioè divenire realtà di vita nella catechesi, nella liturgia, nella teologia e nella pastorale della chiesa, nel costume e nella cultura quotidiani dei cristiani: sappiamo tutti quanto ciò sia urgente e necessario! -, ma bisogna anche cercare di darsi delle mete nuove, alle quali possano guardare quei gruppi che, da Seelisberg a oggi, hanno cercato di orientare lo sforzo degli altri cristiani” 1 . Questo capitolo non ha la pretesa di offrire una nuova carta di Seelisberg, ma intende, più modestamente, dare un contributo perché i cristiani delle nostre comunità possano essere aiutati a superare stereotipi e pregiudizi purtroppo ancora diffusi nel modo di pensare e di parlare degli ebrei e dell’ebraismo. Due convinzioni generano questo contributo: 1 R. FABRIS, Uno nella mia mano. Israele e Chiesa in cammino verso l’unità , Qiqajon, Magnano (VC) 1999, 159. 161. 1

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PUNTI FERMI (O QUASI).

Una teshuvà delle Chiese cristiane nei confronti di Israele

Luigi Nason

Si tratta di delineare alcuni punti fermi che si devonoconsiderare acquisiti dalla coscienza cristiana per un modocorretto di parlare degli ebrei e dell’ebraismo nella vitaquotidiana delle comunità.Da I dieci punti di Seelisberg (5 agosto 1947) ad oggi molti documentidelle chiese cristiane offrono nuove tracce di cammino. Già nel1982 Renzo Fabris scriveva: “Giunti al giorno d’oggi, quando cioèil programma di Seelisberg si è realizzato, cosa dobbiamo fare?”.E citava un passaggio di un discorso rivolto dal cardinaleEtchegaray ad alcuni membri dell’Amicizia ebraico-cristiana diFrancia nel 1981: “Oggi si apre una nuova epoca che esigerà da noiforse una nuova carta di Seelisberg, aggiornata e soprattuttoancor più audace”. Continuava poi prospettando un modo diproseguire il cammino iniziato: “Insomma, per un’apertura verso ilfuturo dell’amicizia tra ebrei e cristiani, bisogna cercare nonsolamente di diffondere tra i cristiani le acquisizioni delcammino percorso, - farle cioè divenire realtà di vita nellacatechesi, nella liturgia, nella teologia e nella pastorale dellachiesa, nel costume e nella cultura quotidiani dei cristiani:sappiamo tutti quanto ciò sia urgente e necessario! -, ma bisognaanche cercare di darsi delle mete nuove, alle quali possanoguardare quei gruppi che, da Seelisberg a oggi, hanno cercato diorientare lo sforzo degli altri cristiani”1.Questo capitolo non ha la pretesa di offrire una nuova carta diSeelisberg, ma intende, più modestamente, dare un contributoperché i cristiani delle nostre comunità possano essere aiutati asuperare stereotipi e pregiudizi purtroppo ancora diffusi nel mododi pensare e di parlare degli ebrei e dell’ebraismo.

Due convinzioni generano questo contributo:

1 R. FABRIS, Uno nella mia mano. Israele e Chiesa in cammino verso l’unità, Qiqajon, Magnano (VC)1999, 159. 161.

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- è indispensabile una teshuvà (conversione) delle chiese cristianenei confronti dell’ebraismo a partire dalle Scritture, che sonoprima ebraiche che cristiane e che perciò devono essere lettenon contro gli ebrei, ma solo insieme con loro, cioè in ascoltodella tradizione2 di Israele che le interpreta;

- è fondamentale che le Chiese cristiane si pongano in ascolto diIsraele non solo per conoscere come Israele si autocomprende, masoprattutto per riscoprire le proprie radici e quindi la propriaidentità. “Non si tratta più, ora, di definire Israele dal puntodi vista cristiano, ma di ridefinire il cristianesimo alla lucedell’esistenza del popolo ebraico”3. “In ogni caso è assaiimportante, per i cristiani, promuovere la comprensione dellatradizione ebraica per riuscire a capire più autenticamente sestessi”4.

1. Il legame intrinseco tra Chiesa e Israele

“Cristiani ed ebrei hanno nella loro fede radici comuni. A lungonoi cristiani lo abbiamo dimenticato e abbiamo messo in evidenzasoltanto le differenze rispetto agli ebrei. Così abbiamo compresosempre meno le radici della nostra fede cristiana”5. La pretesa,infatti, di definire l’identità cristiana in opposizioneall’ebraismo, una pretesa saldamente radicata nella mentalità deicristiani, finisce inevitabilmente per snaturare la stessa fedecristiana. E’ necessario perciò “mostrare ora come l’identitàcristiana implica un riferimento, e anche una comunione con ilpopolo di Israele……La Chiesa non può parlare del popolo ebraicocome di una realtà che le sarebbe estranea….La comunione conIsraele è inscritta nella stessa identità cristiana”6.

2 Con il termine “tradizione” ci si riferisce alla Torà orale che ingloba e interpreta la Scrittura attraverso il midrash e la preghiera liturgica.3 R. RENDTORFF, Cristiani ed Ebrei oggi. Nuove consapevolezze e nuovi compiti, Claudiana, Torino1999, 115 (titolo originale: Christen und Juden heute. Neue Einsichten und neue Aufgaben,Neukirchen-Vluyn 1998).4 C. M. MARTINI, Israele, radice santa, Centro Ambrosiano – Vita e Pensiero, Milano 1993,47.5 SINODO REGIONALE DELLA CHIESA EVANGELICO-LUTERANA DELLA BAVIERA , 23 aprile 1997.6 M. REMAUD, Israël serviteur de Dieu, CCEJ-Ratisbonne, Jérusalem 1996, 127-128. 139. Suquesto tema è certamente utile la lettura di tutto il capitolo intitolato“Identité chrétienne en communion avec Israël”, 127-140 (traduzione italiana:

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“La religione ebraica non ci è «estrinseca», ma in un certo modo è«intrinseca» alla nostra religione. Abbiamo quindi verso di essadei rapporti che non abbiamo con nessun’altra religione”7.La storia dei rapporti tra cristiani ed ebrei è stata fino allametà del XX secolo una storia di contrapposizione fondatasull’atteggiamento del disprezzo8. Una storia segnata dalla ferita,non ancora rimarginata, della separazione tra Chiesa e Sinagoga,il cosiddetto “protoscisma”, una separazione tra fratelli natiall’interno dello stesso mondo religioso, quello del giudaismo, omeglio dei diversi giudaismi, del Secondo Tempio9.Come ogni scisma e più che ogni altro successivo scisma, questarottura ha privato la Chiesa dei preziosi contributi dellatradizione ebraica10. Ancor più, anche a causa della sua aperturaal mondo greco-romano, l’ha portata a dimenticare già nel IIsecolo le sue radici11, affermando che essa stessa si erasostituita a Israele12, che essa stessa era ormai il ”veroIsraele”. E ciò avvenne in base ad una argomentazione di tipoCristiani di fronte a Israele, Morcelliana, Brescia 1985, 161-179, qui 161-162. 179.7 GIOVANNI PAOLO II, Allocuzione presso la Sinagoga di Roma, 13 aprile 1986.8 Questa espressione è di J. Isaac: Cf. J. ISAAC, L’Enseignement du mépris, Fasquelle,Paris 1962.9 Cf. D. MARGUERAT (èd.), Le déchirement. Juifs et chrétiens au premier siècle, Labor et Fides,Genève 1996, 25-95; G. BOCCACINI, “La rottura fra Sinagoga e Chiesa: uno scismaall’interno del giudaismo tra il I e II secolo?”, in M. DEGLI INNOCENTI (a cura di),Alle radici della divisione. Una rilettura dei grandi scismi storici, Ancora, Milano 2000, 111-132.10 C. M. MARTINI elenca alcune conseguenze di questo mancato apporto nellarelazione tenuta all’International Council of Christians and Jews , Vallombrosa,9 luglio 1984, inserita in op. cit., 46-47.11 Si può ricordare l’Epistola di Barnaba (inizio del II secolo) e il Dialogo con l’ebreoTrifone di Giustino (ca. 160), che costituisce l’opera più importante della primaapologetica cristiana verso l’ebraismo. Una presentazione sinteticadell’atteggiamento polemico verso l’ebraismo nell’insegnamento patristico si puòtrovare in M. REMAUD, Chrétiens et Juifs entre le passé et l’avenir, Bruxelles 2000, 21-62 e inD. CERBELAUD, Ecouter Israël. Une théologie chrétienne en dialogue, Paris 1995, 119-134. Cf.anche G. STROUMSA, La formazione dell’identità cristiana, Brescia 1999, 85-117. Un saggio,che si pone tra la ricerca storico-esegetica e antropologico-religiosa, sulleradici profonde dell’antigiudaismo, individuate nella lettura fatta dalla Chiesadell’episodio biblico del vitello d’oro, come espressione della “carnalitàebraica” in contrapposizione allo “spirito”, privilegio dei cristiani, si trovain P. C. BORI, Il Vitello d’oro. Le radici della controversia antigiudaica, Boringhieri, Torino1983. Una selezione di testi e di documenti, che sono all’origine delcostituirsi della figura negativa dell’ebreo nell’immaginario occidentale, sipuò trovare in G. GARDENAL, L’antigiudaismo nella letteratura cristiana antica e medievale,Morcelliana, Brescia 2001. La maggior parte delle ricerche su questo tema sisono mosse a partire dagli studi di J. PARKES, The Conflict of the Church and the Synagogue.A Study in the Origins of Antisemitism, Cleveland-New York-Philadelphia 1961 (primaedizione: London 1934) e M. SIMON, Verus Israel. Relations entre juifs et chrétiens dans l’empireromain (135-425), Paris 1983 (prima edizione 1948).

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apologetico: se Gesù è il Messia inviato da Dio al suo popoloIsraele, ma solo una parte di questo popolo lo riconosce e loaccoglie come tale, allora coloro che lo riconoscono sono il“vero” Israele, sono il nuovo popolo eletto, mentre gli altri nonlo sono più. Il “vecchio Israele” era ormai estinto e ad esso erasubentrata la Chiesa come il “nuovo” Israele. In questo modo icristiani hanno decretato la non-esistenza degli ebrei13. Siparlava ormai solo dell’Israele biblico, dimenticando che Israelecontinuava di fatto ad esistere in continuità con il popolo elettodella Bibbia e dimenticando di leggere questa durevole epermanente esistenza di Israele come un segno della fedeltà di Dioalle sue promesse. “Dio non ha ripudiato il suo popolo, che egliha scelto fin da principio” (Rom 11, 2).E anche nei confronti dell’Israele biblico i cristiani hannocostantemente affermato la loro novità e la loro superiorità,facendo del Dio della Bibbia ebraica il Dio della vendetta e dellaviolenza, e della religione ebraica la religione della legge,intesa come legalismo formale, della paura, in contrapposizione alNuovo Testamento come fondamento di una religione nuova basatasull’amore di Dio, sulla novità dello Spirito e sull’amore delprossimo. Dal secondo secolo in poi il rapporto tra ebraismo ecristianesimo è stato presentato secondo diversi modelli teologiciche possono essere ricondotti a queste quattro formule:

1. “La chiesa sostituisce Israele: il Cristo della chiesa non èil Messia d’Israele.

2. La chiesa integra Israele: la chiesa si fonda su Israele, maIsraele sbocca nella chiesa.

3. La chiesa è superiore ad Israele: essa è il nuovoescatologico popolo di Dio, è l’Israele secondo lo Spirito(Israel kata pneuma contro Israel kata sarka).

4. Israele è il corrispettivo in negativo della chiesa: lachiesa rappresenta il vangelo della grazia, Israele èspecchio della legge”14.

12 La cosiddetta “teologia della sostituzione” ha dominato incontrastata finoalla metà del XX secolo e anche oggi è tutt’altro che abbandonata. Cf. D.POLLEFEYT (ed.), Jews and Christians: Rivals or Partner for the Kingdom of God? In Search of anAlternative for the Theology of Substitution, Peeters Press et W. B. Berdmans, Louvain 1997.13 Cf. R. RENDTORFF, op. cit., 110-114.14 H. BANSE, “Per un cristianesimo segno di riconciliazione”, in CENTRO ECUMENICOEUROPEO PER LA PACE, Quale riconciliazione? I cristiani d’Europa si interrogano, Centro Ambrosiano,Milano 1997, 90.

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Contro questo stereotipo della contrapposizione troviamo inOrientamenti queste affermazioni: “L’Antico Testamento e latradizione ebraica su di esso fondata non debbono essereconsiderati in opposizione al Nuovo Testamento, come se essicostituissero una religione della sola giustizia, del timore e dellegalismo senza appello all’amore di Dio e del prossimo (cf. Dt 6,5; Lv 19, 18; Mt 22, 34-40)”15.Questa lettura dell’Antico Testamento, viziata dai pregiudizi e daun’avversione irrazionale all’ebraismo, è favorita dalla mancanzadi “un’analisi storicamente differenziata dei singoli testi, del lorolinguaggio simbolico e della loro intenzione espressiva”16 oltre cheda traduzioni imprecise e talora scorrette che rendono ancora piùproblematico il testo.E’ fondamentale per le Chiese cristiane riscoprire il loro legameintrinseco e vitale con l’ebraismo. Perciò esse hanno la necessitànon solo di un dialogo con Israele, ma anzitutto di porsi inascolto di Israele17. E questo non solo per conoscere come Israelesi autocomprende, ma per conoscere la loro stessa identità.Soltanto in questo modo i cristiani possono capire il significatodella sequela dell’ebreo Gesù, colui che ha confermato e vissutola Torà, annunciandola alle genti, e ha interpretato e fattocomprendere il senso della sua vita alla luce delle Scritture diIsraele.

2. Il rinnovamento dell’alleanza

15 SEGRETARIATO PER L’UNIONE DEI CRISTIANI (Commissione per i rapporti religiosi conl’ebraismo), Orientamenti e suggerimenti per l’applicazione della dichiarazione “Nostra aetate” (n. 4),III in Enchiridion Vaticanum, vol. 5, n. 785.16 E. ZENGER, Il Primo Testamento. La Bibbia ebraica e i Cristiani, Queriniana, Brescia 1997, 59(titolo originale: Das Ernste Testament. Die jüdische Bibel und die Christen, Patmos Verlag,Düsseldorf 1991, 1992²). Su questo tema si trovano precisazioni echiarificazioni, fatte con la competenza biblica indiscutibile del noto biblistadi Münster, alle pagine 33-97. Circa il “tradurre” che spesso diventa un“tradire”, Cf. P. LAPIDE, Bibbia tradotta Bibbia tradita, EDB, Bologna 1999 (titolooriginale: Ist die Bibel richtig übersetzt, Bd. 1 und 2, Gütersloher Verlagshaus,Güttersloh 1996).17 Cf. R. FONTANA, “Variations sur le thème de l’écoute chrétienne d’Israël”, inCahiers Ratisbonne 7 (1999), 72-81.

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“La prima dimensione di questo dialogo, cioè l’incontro fra ilpopolo di Dio dell’Antica Alleanza, da Dio mai revocata (cf. Rom11, 29), e quello della Nuova Alleanza, è al tempo stesso undialogo interno alla nostra chiesa, per così dire tra la prima ela seconda parte della Bibbia”18.Questa espressione è stata ripresa da un documento ufficiale dellaChiesa cattolica che la definisce “una formula teologicaparticolarmente felice”19.Questa posizione trova un riscontro in un documento approvato dalSinodo evangelico regionale della Renania. In esso leggiamo: “Persecoli, nell’interpretazione della Bibbia il termine “nuovo” fuusato contro il popolo ebraico: il nuovo patto fu compreso comeopposizione al vecchio patto, il nuovo popolo di Dio fu compresocome sostituto del vecchio”20.Il modo con cui si concepisce il rapporto tra antica e nuovaalleanza condiziona ed è a sua volta condizionato dal modo secondocui si interpreta il rapporto tra l’Antico e il Nuovo Testamento,le due parti in cui è tradizionalmente divisa la Bibbia cristiana,che un sussidio delle Chiese riformate d’Olanda del 1983preferisce chiamare “Primo libro dell’Alleanza” e “Secondo librodell’Alleanza”21.Parlare di due “alleanze” appartiene ad una lunga tradizioneecclesiale. Purtroppo questa tradizione è viziata da unpregiudizio difficile da sradicare secondo il quale “antico” eradiventato sinonimo di “invecchiato”, “superato”22. Perciò tra le18 Così si esprimeva Giovanni Paolo II nella sua allocuzione al Consigliocentrale degli ebrei in Germania ed alla Conferenza dei rabbini il 17 novembre1980 a Mainz. Il testo si può trovare in L. SESTIERI – G. CERETI, Le chiese cristiane el’ebraismo, Marietti, Casale Monferrato 1983, 331-334.19 SEGRETARIATO PER L’UNIONE DEI CRISTIANI (Commissione per i rapporti religiosi conl’ebraismo), Ebrei ed ebraismo nella predicazione e nella catechesi. Sussidi per una correttapresentazione, 24 giugno 1985.20 Risoluzione sinodale sul rinnovamento dei rapporti fra cristiani ed ebrei, approvata dal Sinodoevangelico regionale della Renania (gennaio 1980). Il testo si trova in AA.VV.,Ebrei ed ebraismo nel Nuovo Testamento, vol. I, Edizioni Dehoniane, Roma 1989, 27-46.21 Lasciamo per ora aperto il problema se sia opportuno qualificare diversamentele due parti della Bibbia per non continuare ad alimentare fraintendimenti edequivoci. Il testo di questo sussidio si trova in R. RENDTORFF - H. H. HENRIX(hrsg.), Die Kirchen und das Judentum. Dokumente von 1945-1985, Bonifatius-Druckerei –Chr. Kaiser, Paderborn - München 1988, nota 7, 518s.22 Cf. F. ROSSI DE GASPERIS, E videro la sua gloria (Lc 9, 32). Una scuola della fede secondo la liturgiadell’anno C, ADP, Roma 1995, 155-163. L’autore mostra come questa mentalità sia“ancora diffusa e coltivata in non pochi strati della Chiesa”. Egli lo constata,per esempio, leggendo la traduzione che l’edizione italiana del Messale Romanooffre dell’orazione dopo la comunione del venerdì della quarta settimana del tempo di quaresima.Essa introduce un’identità tra l’Antica Alleanza e il regime dell’uomo vecchio

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due alleanze si vedeva un contrasto sostanziale, fondato sullaclassica contrapposizione tra “legge” e “vangelo”. Così l’alleanzanuova decretava di fatto la fine dell’antica23.Questo pregiudizio è espresso con chiarezza in un testo che haesercitato un forte influsso sulla catechesi biblica della primametà del secolo XX: “L’alleanza antica [in minuscolo!], stipulataper mezzo di Mosè, era una legge esteriore, scritta su tavole dipietra, da osservare per timore e incapace di produrregiustificazione e santificazione. La legge della Nuova Alleanza[in maiuscolo!] è scritta nei cuori dallo Spirito, per cui è unalegge interiore, accettata con amore e in grado di purificare daipeccati e santificare”24.Il disprezzo per l’«antica» alleanza e l’esaltazione della «nuova»nascono frequentemente da un’esegesi “fondamentalista”25 di Ger 31,31-34.Ma se l’antica alleanza non è stata revocata, come si puòconcepire una nuova alleanza che sostituisca l’antica?

che non esiste nel testo ufficiale latino del Messale in cui non si trovaneppure la menzione dell’Antica Alleanza. L’autore confronta poi tra loro letraduzioni in diverse lingue europee.23 D. Pollefeyt sostiene che “l’idea di sostituzione è il fondamentale problemateologico delle odierne relazioni ebraico-cristiane. Finché la relazione tra lealleanze ebraica e cristiana è concepita in offensive, e perfino distruttive,variazioni dello schema promessa-compimento, vecchio-nuovo, imperfezione-perfezione, annuncio-realizzazione, e così via, Cristiani ed Ebrei nongiungeranno mai ad un vero incontro…” . Cf. D. POLLEFEYT, “Jews and Christiansafter Auschwitz: form substitution to interreligious dialogue”, in D. POLLEFEYT(ed.), Jews and Christians: Rivals or Partners for the Kingdom of God? In search of an Alternative for theTheology of Substitution, Louvain 1997, 10-37 (qui 29-30).Egli continua affermando che un nuovo modo di comprendere la tipologia èindispensabile se non si vuole vanificare l’identità e la concretezzadell’Israele vivente e nello stesso tempo si vuole rendere possibilel’affermazione dell’identità cristiana. Essa si basa sul piano divino della“uguaglianza nella separazione”. Come l’alleanza con Abramo non costituisce lafine, ma “l’intensificazione” dell’alleanza con Noè, così l’alleanza con Gesùnon abolisce l’alleanza del Sinai, ma la estende alle genti. “In altre parole,le due alleanze non devono essere in concorrenza. Invece esse devono esserepensate come simultanee (simultaneous). L’alleanza cristiana, presentata inquesto modo, non è più il compimento dell’alleanza del Sinai, ma dell’alleanzacon Noè”. Pollefeyt chiama questa interpretazione “teologia della simultaneità”(Cf. D. POLLEFEYT, op. cit., 30-31).24 F. J. KNECHT, Praktischer Kommentar zur Biblischen Geschichte (Commento pratico dellastoria biblica), Freiburg 1881, 297. Questo testo è citato da E. ZENGER, in op. cit.,105.25 Cf. E. ZENGER, op. cit., 105. Sui pericoli di una “lettura fondamentalista” dellaScrittura, Cf. PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa,Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1993, 62-65.

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Una posizione biblicamente fondata è espressa dal già citatoSinodo della Chiesa renana del 1980: “Crediamo nella permanenteelezione del popolo ebraico a popolo di Dio, e riconosciamo che lachiesa per tramite di Gesù Cristo è stata introdotta nell’Alleanzadi Dio con il suo popolo”26.“Il Sinodo fa una chiara distinzione tra «popolo di Dio» e«alleanza di Dio con il suo popolo». Secondo questa formulazionela chiesa non è parte del popolo di Dio, ma è entratanell’alleanza tra Dio e il suo popolo, cioè è diventata partner diIsraele nell’alleanza con Dio. In conclusione….posso direcollegandomi a Karl Barth: la riconciliazione di Dio con Israele ele genti, la riconciliazione del mondo con Dio per mezzo delCristo crocifisso, sul fondamento della quale noi (i cristiani)speriamo la redenzione di Israele, dei popoli e del cosmo, riposasull’alleanza mai revocata tra Dio e Israele”27. Gesù Cristo, pertanto, non rende affatto “antiquata” l’alleanzadi Dio con Israele28.Essa, infatti, è espressione della iniziativa e della fedeltà diDio e, come tale, è anzitutto “grazia” e “promessa”incondizionata29 mediante la quale Dio sceglie Israele perché siasua “speciale proprietà” e suo “gioiello prezioso”30 con il compitodi essere “il testimone dell’amore di Dio in mezzo alle genti”31.Ma “Israele diventa «popolo» di Dio soltanto se, nell’ascoltodella sua parola, si lascia plasmare in comunità solidale difratelli e sorelle, anzi in «famiglia di JHWH»”32.26 Risoluzione sinodale sul rinnovamento dei rapporti fra cristiani ed ebrei, approvata dal Sinodoevangelico regionale della Renania (gennaio 1980), 4. 4. Il testo si trova inAA.VV., Ebrei ed ebraismo nel Nuovo Testamento, già citato, 27-46.27 H. BANSE, art. cit., 94.28 Una interessante “lettura a due voci” di Ger 31, 31-34 (“The Joint Study ofScripture”) si può trovare in J. J PETUCHOWSKI (ed.), When Jews and Christians Meet,State University of New York Press, Albany, N. Y. 1988. Questo volume raccogliele relazioni tenute durante il “Second Bronstein Colloquium on Judaeo-ChristianStudies”, sponsorizzato da Hebrew Union College-Jewish Institute of Religion diCincinnati, Ohio (17-19 marzo 1986): R. M. HALS, “Some Aspects of the Exegesis ofJeremiah 31: 31-34”, 87-87; R. S. SARASON, “The Interpretation of Jeremiah 31:31-34 in Judaism”, 99-123. Cf. anche D. BANON, “L’alliance irrévocable: une lectureJuive de Jéremie 31, 31-36”, in Foi et Vie 93 (1994), 3-8; PH. DE ROBERT, “La nouvelleAlliance selon Jérémie”, in Foi et Vie 93 (1994), 9-13.29 Cf. Dt 7, 7-9.30 Cf. Es 19, 5-6.31 COMITÉ EPISCOPAL FRANÇAIS POUR LES RELATIONS AVEC LE JUDAÏSME, Lire l’Ancien Testament. Contributionà une lecture catholique de l’Ancien Testament pour permettre le dialogue entre juifs et chrétiens,Centurion – Cerf, Paris 1997, 32.32 E. ZENGER, op. cit., 113. Il testo di base della “formula d’alleanza” si trova inDt 26, 17-19.

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“Quando la Scrittura parla di più alleanze, essa mette in evidenzala necessità di approfondimenti e di riprese attraverso il tempo.Essa non intende accreditare l’idea della sostituzione diun’alleanza con l’altra, ma al contrario sottolinea la fedeltà diDio e la continuità del progetto divino iniziale. Di fatto,l’Alleanza conclusa con il popolo ha potuto essere rotta a causadel peccato degli uomini…Ma, dopo questi tempi di rottura,l’Alleanza nuova annunciata dai profeti non sarà di una naturadiversa dalla precedente; si tratta sempre della stessa Alleanza:la novità risiede nel fatto che essa sarà «inscritta nel profondodel loro essere» o ancora «scritta sul loro cuore» (Ger 31, 33)”33.Il testo di Ger 31, 31-34, che non deve essere isolato dagli altrinumerosi testi profetici e che, in particolare, deve essere lettonel contesto del cosiddetto “libro della consolazione”34, è statoletto dai cristiani come se annunciasse questa promessa di“alleanza nuova” alla Chiesa, escludendone gli ebrei, benché neltesto si dica che l’alleanza nuova è promessa alla “casa diIsraele” e alla “casa di Giuda”35, ossia alla totalità di Israele.“L’idea stessa di nuova alleanza è un concetto eminentementevetero-testamentario, e, addirittura, è da Israele che la Chiesariceve quella novità stessa mediante la quale essa si definisce”36.L’aggettivo “nuovo” nella lingua ebraica dell’Antico Testamentosignifica “inesausto”, come inesausta è la misericordia di YHWHche si rinnova ad ogni mattino37. “Nuovo” significa anche “fresco”,come i frutti d’annata38. E ancora “costruito, ultimato da poco”,come una casa, un mantello, un canto…“«Far nuovo» significa«produrre», «rinnovare ciò che era consunto, distrutto», non però«inventare cose nuove». «Nuova alleanza», quindi, significaalleanza dalla vitalità e freschezza inesauste; un patto che rimarràsempre «nuovo», cioè «fresco» (cf. Is 65, 17ss.). Qualificarequesta alleanza come «nuova» non vuol dire allora contrapporlaall’«antica», questa intesa come «antiquata», quindi «abolita» (inGer 31, 31-34 la categoria di «antico» non compare nemmeno), maconsiderarla come alleanza rinnovata. Qui «nuovo» è una categoria

33 Lire l’Ancien Testament, 34. 34 Con questo termine gli esegeti indicano l’unità formata da Ger 30, 1 - 31, 40.Per una lettura sincronica del testo nella sua forma attuale Cf. B. BOZAC, Life‘Anew’. A Literary-Theological Study of Jer. 30-31, Analecta Biblica 122, PIB, Roma 1991. 35 Ger 31, 31.36 M. REMAUD, Israël serviteur de Dieu, CCEJ-Ratisbonne, Jérusalem 1996, 138.37 Lam 3, 23.38 Lv 23, 16; 26, 10; Nm 28, 26; Ct 7, 14.

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escatologica, non apocalittica”39. Si tratta perciò di un’alleanzarinnovata che rimane perennemente nuova40.Il bisogno di un’alleanza nuova nasce dal fatto che essa è stata“rotta” e quindi deve essere ricostruita: la sua finalità è lastessa dell’alleanza stipulata al Sinai ed è riassunta dallaformula d’alleanza “Io sarò il vostro Signore e voi il miopopolo”41. Il suo contenuto è la Torà, come via che conduce allavita42. Non si tratta di una nuova Torà, ma della stessa Torà delSinai che YHWH “scriverà” sul cuore dei figli di Israele,rendendoli capaci di essere fedeli all’alleanza, come era giàstato annunciato in Os 2, 21-2543.A questo proposito è importante ricordare che una lettura di Es32-34, nel contesto complessivo di Es 19-40 e alla luce di Dt 9,7-21; 10,1-11 e 28,69-30,20 (l’alleanza rinnovata nelle steppe diMoab), permette facilmente di scoprire che l’alleanza è nuova findall’inizio, perché le tavole di pietra della testimonianza (luchotha’eben / luchot ha‘edut) vengono date da YHWH a Mosè per essere rottecon un gesto simbolico che indica la rottura dell’Alleanza. Lasuccessiva riscrittura delle tavole, che può essere definita comepostlapsaria, diventa il segno del perdono a Israele edell’Alleanza da YHWH stesso rinnovata per l’intercessione diMosè. “In altri termini, per Dt non di dà un’alleanza sinaitica senon nella prospettiva e alla luce di una nuova alleanza: il donodella legge può essere vissuto solo come perdono accordato da Dio(lettura teologica dell’esilio); l’adempimento della prima alleanzasi può avere solo con la circoncisione del cuore, operata da JHWHstesso (Dt 30,6). In questo modo , Dt esprime la radicalepeccabilità dell’uomo e la necessità dello Spirito per adempierepienamente il dettato della legge. La medesima prospettiva staalla base di Es 19-40, la cui trama narrativa sviluppa unapartitura già scritta nella testimonianza di Mosè (Dt 9,7-21 e10,1-11)……Una tale prospettiva teologica presuppone lapredicazione profetica e, in particolare, i testi di Ger 31,31-34ed Ez 36,24-28”44.39 E. ZENGER, op. cit., 130-131.40 Cf. P. BEAUCHAMP, L’un et l’autre Testament. Essai de lecture, Seuil, Paris 1976, 229-274(« La Nouvelle Alliance »). 41 Cf. Dt 26, 16-19.42 Dt 30, 15-20.43 Una presentazione sintetica delle conclusioni a cui conduce un’attenta letturadel testo di Ger 31, 31-34 si può trovare in F. ROSSI DE GASPERIS, Cominciando daGerusalemme, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1997, 210-213.44 G. BORGONOVO, “Scrittura e tyrb in Es 19-40”, in Teologia 26 (2001), 129-154, qui142.

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Quella della “nuova alleanza”, fondata sul perdono dei peccati45, èpertanto una categoria tipica dell’Antico Testamento. In questatensione spirituale, sostenuta dalla promessa, protesa verso ilfuturo, è vissuto l’Israele del tempo biblico e in essa ècresciuto anche l’ebreo Gesù di Nazaret, come membro del popolodell’alleanza46.“Noi cristiani confessiamo, insieme al Nuovo Testamento, che perla morte e risurrezione di Gesù ci è stato dischiuso il nuovopatto con Dio… Ebbene, questa non è un’altra alleanza, che avrebberimpiazzato quella sinaitica. Si tratta dell’unica e medesimaalleanza di grazia…L’alleanza è stata stabilita innanzitutto conIsraele e solo successivamente, «per mezzo di Gesù Cristo einsieme al suo popolo, vi si è inserita anche la chiesa»….Chifonda in primo luogo l’esistenza anche della chiesa è dunque nonil Nuovo Testamento ma l’Antico. E se la chiesa rinunciasse almessaggio dell’Antico Testamento rinuncerebbe pure a se stessa,quale chiesa della nuova alleanza”47.Al significato della nuova alleanza in Gesù Cristo eall’Eucaristia che di questa alleanza costituisce il memoriale, unmemoriale che, in linea con la tradizione ebraica, attestal’attualità dell’alleanza sinaitica48, dedica alcune riflessioni,che meritano di essere riprese, il documento, già citato, delComitato episcopale francese per i rapporti con l’ebraismo.

45 Cf. Ger 31, 34 e Es 34, 9-10.46 E’ importante leggere il tema biblico del rinnovamento dell’alleanza alla lucedella tradizione del giudaismo rabbinico. Il “rinnovamento” è espresso inebraico con il termine “chiddush”. Il “chiddush” è l’attività mediante la qualeun ebreo, maestro o discepolo, manifesta un nuovo aspetto della Torà orale oscritta. Il termine indica anche il risultato di questa attività, ossia unaspetto nuovo della Torà., un “nuovo”, talvolta radicale, che assicuraun’autentica continuità con l’antico. Un midrash su Lv 26, 9 citando Ger 31,31-32 presenta il “chiddush” dell’alleanza, ossia il fatto di non poterla piùviolare, come una conseguenza dell’azione di Dio che scrive la Torà nel cuore diIsraele. Un importante dibattito, tenuto dai maestri della Mishnà, ci fa capirecome si deve interpretare il testo di Ger 23, 7-8 sulla redenzione ultima.Questo dibattito chiarisce anche il rapporto che esiste tra la “nuova” alleanzae la redenzione ultima. “Il nuovo non è assolutamente nuovo nel senso che non visia più un rapporto sostanziale, vitale, organico, storico con l’antico. Ilnuovo è radicalmente nuovo manifestando ciò che era sconosciuto, inaudito nellaradice antica che lo porta”. Su questo tema Cf. P. LENHARDT, “Le renouvellement(hiddush) de l’alliance dans le judaïsme rabbinique”, in Cahiers Ratisbonne 3(1997), 126-176 , (la citazione è a p. 174). 47 E. ZENGER, op. cit., 133-135. La citazione contenuta nel testo appartiene a unaproposizione formulata dal già citato Sinodo della chiesa renana del 1980.48 Cf. Dt 5, 3.

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“Non si tratta dunque di sostituzione come si è talvoltaaffermato, a partire da una interpretazione della lettera agliEbrei49, ma di un avvenimento nuovo – l’azione di grazie del Figlioche dona la sua vita – iscritto nel cuore dell’alleanza….Così ènato un rapporto nuovo tra Israele e le genti. Paolo scrive agliEfesini (2, 13-14): «Ma ora, in Gesù Cristo, voi che un tempoeravate lontani, voi siete diventati vicini per mezzo del sanguedi Cristo. E’ lui, infatti, che è la nostra pace: di ciò che eradiviso, egli ha fatto una unità» …..L’Alleanza è antica poichéessa è fondata sulla promessa di Dio. Il popolo ebraico ne restaper sempre il testimone…….L’Alleanza antica è tuttavia nuova in unsenso originale e specifico per le genti: già incluse nellabenedizione di Abramo (Gen 12, 3), esse hanno ora direttamenteaccesso all’Alleanza (Ef 2, 18; cf. Ef 4, 5-6). Dal punto di vistadella fede cristiana, l’Alleanza è nuova anche per il popolo diIsraele chiamato dall’origine ad un rinnovamento escatologico”50.

3. Il rapporto tra l’Antico e il Nuovo Testamento

Il rapporto tra l’Antico e il Nuovo Testamento non è quello trapromessa e adempimento.Un’interpretazione assai diffusa dell’Antico Testamento parte dalpresupposto che esso è soltanto “preistoria” e “preparazione” alNuovo Testamento. E’ una visione che è ancora presente nellaCostituzione sulla Divina Rivelazione, Dei Verbum, del ConcilioVaticano II. Partendo da questo presupposto, la tradizionecristiana ha letto e interpretato l’Antico Testamento in funzionedel Nuovo. E così essa, appropriandosi della tradizione ebraica,ha finito più o meno consapevolmente per espropriarne gli ebrei.“Questa visione tradizionale dell’Antico Testamento, comepreparatorio e preliminare, e del Nuovo Testamento, comedefinitivo compimento, necessita di una seria revisione”51.49 In particolare Eb 8, 7-13. L’autore, che scrive dopo l’anno 70, risente deiproblemi legati ad un’epoca in cui, in seguito alla distruzione del Tempio, èrichiesto un ripensamento delle osservanze rituali legate al culto sacrificale.50 Lire l’Ancien Testament, 38-39. 41-43. Riguardo al testo di Ef 2, 13-14 si possonoleggere le stimolanti riflessioni di D. GARRONE, “Riconciliazione in Cristo(Efesini 2, 11-22)”, in CENTRO ECUMENICO EUROPEO PER LA PACE (a cura di), Qualericonciliazione? I cristiani d’Europa si interrogano, Centro Ambrosiano, Milano 1997, 29-46.51 P. VAN BUREN, According to the Scriptures. The Origins of the Gospel and of the Church’s Old Testament,W. B. Eerdmans, Grand Rapids, Michigan – Cambridge, U. K. 1998., 129.

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Non intendiamo affermare che questi testi non siano anche nostri.Sono anche nostri, ma prima che nostri sono stati e sono degliebrei. “….abbiamo pieno diritto su questi testi, non però contro gliebrei, ma solo insieme a loro; e nella piena consapevolezza che loroci precedono, che sono coloro che già prima di noi possedevanoqueste tradizioni che ora noi abbiamo il privilegio di condividerecon loro. Lo si constata del resto molto chiaramente in tutti icasi in cui nel Nuovo Testamento viene citata esplicitamente «laScrittura», cioè la Bibbia di Israele. Gesù, Paolo e gli altriautori del Nuovo Testamento attingono molto di ciò che annuncianodirettamente da questa Bibbia, la loro Bibbia. E ogni voltaritengono importante esplicitare questo nesso, perché cosìdimostrano che il loro messaggio è fondato sulla Bibbia”52.E’ interessante ciò che scrive P. Van Buren a partire da quelloche Paolo, con un vocabolario tipicamente rabbinico53, chiamal’evangelo da lui “ricevuto” e da lui “trasmesso” in 1 Cor 15, 1-5: ”Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch’io horicevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo leScritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo leScritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici” (vv. 3-5). Ilmovimento cristiano, sorto all’interno del giudaismo, nella suaricerca di una interpretazione che rendesse comprensibilel’avvenimento sconcertante della morte di Gesù, fece quello cheavrebbe fatto ogni ebreo di quel tempo. I discepoli di Gesù pertrovare le parole e i simboli di cui avevano bisogno “si rivolseroistintivamente al mondo che essi conoscevano meglio, quello di cuipotevano fidarsi e quello in cui poteva essere trovata la volontàdi Dio, il mondo dello loro sacre scritture”54. Ed, evidentemente,al mondo delle loro sacre scritture così come erano interpretatenei targumim e nei midrashim55.52 R. RENDTORFF, op. cit., 31-32.53 Cf. A. M. SOMEKH (a cura di), Pirké Avòt. Lezioni dei Padri, Morashà, Milano 1996, I, 1:“Moshè ricevette la Torà dal Sinai e la trasmise…”. Sul tema della continuitàebraica, fondata sulla recezione e sulla trasmissione della Torà, Cf. P. LENHARDT,“Voies de la continuité juive. Aspects de la relation maître-disciple d’après lalittérature rabbinique ancienne”, in Recherches de Science Religeuse 66 (1978), 489-516.54 P. VAN BUREN, op. cit., 23-29, qui 25. 55 E’ importante sottolineare che la Scrittura su cui si fonda il NuovoTestamento è la Scrittura portata da un popolo che vive di una tradizione dilettura interpretativa e di preghiera liturgica. La Chiesa ci invita a ritrovareil contatto diretto con il giudaismo che ci insegna come comprendere il”compimento” delle Scritture e come valorizzare ciò che è radicalmente nuovo apartire dall’antico sullo sfondo della continuità ebraica. Cf. P. LENHARDT,“L’importance des sources juives pour un chrétien”, in Cahiers Ratisbonne 7 (1999),

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Così si esprime anche R. Penna: “Per i primi cristiani erainevitabile scrivere e persino ragionare della loro fede in basealle Scritture d’Israele semplicemente a motivo della loroebraicità. In primo luogo, infatti, Gesù fu e resta un ebreo……..Insecondo luogo, poi, anche gli scrittori delle origini cristianefurono di fatto tutti di provenienza giudaica (forse conl’eccezione di Luca?), e anche questo spiega perché pure essiabbiano ragionato su Gesù in termini perlopiù dedotti da quellemedesime Scritture, di cui utilizzarono le categorie comestrumento ermeneutico della novità cristiana……”56.È ciò che l’ultimo documento della Pontificia Commissione Biblicaafferma in questi termini: “È alla luce dell’Antico Testamento cheil Nuovo comprende la vita, la morte e la glorificazione di Gesù(cf. 1 Cor 15,3-4)57.“E’ perciò fuorviante dire che la chiesa trovò Gesù nellescritture, il cosiddetto Antico Testamento. Ciò che essa trovò èche le scritture parlano di Gesù, poiché fu dalle scritture diIsraele che essa all’inizio imparò come parlare di lui. Essaimparò fin dall’inizio a parlare di lui nel linguaggio diIsraele……Senza quelle scritture e senza la convinzione deidiscepoli che una verità (reality) doveva essere trovata in esse,non ci sarebbe stato l’evangelo, e così non ci sarebbe stata né lachiesa né i Vangeli”58. Perciò la riflessione della chiesa su ciòche gli autori del Nuovo Testamento hanno espresso “secondo lescritture” si impoverisce quando essa non riesce a leggere il

102-126. Questo articolo si trova, tradotto in italiano, in questa stessapubblicazione. Una presentazione chiara e sintetica di queste forme di letturaebraica della Scrittura si trova in P. CAPELLI, “Ebraismo. Secondo quaderno. Laletteratura rabbinica dall’epoca di Gesù alla chiusura del Talmud”, in Sette eReligioni 6 (1996). Cf. anche A. C. AVRIL - P. LENHARDT, La lettura ebraica della Scrittura,Qiqajon, Magnano 1984 (titolo originale: La lecture juive de l’Ecriture, Conférences de laFaculté de Théologie, Lyon 1982); P. LENHARDT, “L’exégèse (midrash) de la Traditiond’Israël. Sa grandeur et ses limites”, in Cahiers Ratisbonne 5 (1998), 9-43; P. DEBENEDETTI, Introduzione al giudaismo, Morcelliana, Brescia 1999; A. MELLO, Ebraismo,Queriniana, Brescia 2000.56 R. PENNA, “Appunti sul come e perché il Nuovo Testamento si rapportaall’Antico”, in Biblica 81 (2000), 101. Questo articolo è la versione per lastampa della relazione tenuta a Roma il 7 maggio 1999, nella cornice dellacelebrazione del 90° Anniversario della fondazione del Pontificio IstitutoBiblico.57 PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, Il popolo ebraico e le sue sacre Scritture nella Bibbia cristiana,Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2001, n.19. Ho potuto leggerequesto documento solo quando avevo ormai terminato la stesura del miocontributo. 58 P. VAN BUREN, op. cit., 65. Egli cita in nota F. W. MARQUARDT, Das christliche Bekenntnis zuJesus, dem Juden, 2 vols, Kaiser, Munich 1988, specialmente I, 140ss.

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Nuovo Testamento alla luce dell’Antico Testamento. Non solo, ma“l’Antico Testamento è e deve essere per la chiesa la suprema(ultimate) norma per l’interpretazione del suo Nuovo Testamento”59.Sono certamente significative le affermazioni che troviamo nel giàcitato documento della Pontificia Commissione Biblica: “…il NuovoTestamento può essere pienamente compreso solo alla lucedell’Antico Testamento……Senza l’Antico Testamento, il NuovoTestamento sarebbe un libro indecifrabile, una pianta privatadelle sue radici e destinata a seccarsi”60. Di fatto, il problema del rapporto tra l’Antico e il NuovoTestamento è stato risolto dalla Chiesa, già dai tempi apostolicie poi lungo tutta la sua tradizione, attraverso la tipologia “chesottolinea il valore fondamentale dell’Antico Testamento nellavisione cristiana. Ma la tipologia suscita in molti un senso didisagio che è forse l’indizio di un problema non risolto”61. Lalettura tipologica, sottolinea ancora il documento citato, nondeve far dimenticare il fatto che l’Antico Testamento mantiene ilsuo valore di rivelazione, “che spesso il Nuovo Testamento nonfarà che riprendere (Cf. Mc 12, 29-31). Del resto, lo stesso NuovoTestamento esige parimenti di essere letto alla lucedell’Antico….La tipologia inoltre significa proiezione verso ilcompimento del piano divino, quando «Dio sarà tutto in tutti»(1Cor 15, 28). Questo fatto vale anche per la Chiesa che, giàrealizzata in Cristo, non di meno attende la sua perfezionedefinitiva come corpo di Cristo”62.Sembra di poter ravvisare in queste espressioni la necessità disuperare un modello di tipologia a “due tempi” che sottolinea ilrapporto che esiste tra “promessa” e “adempimento” e di orientarsiverso un modello più coerente con l’attesa escatologica dellaprima comunità cristiana, precisamente una tipologia a “tretempi”, nella linea di una tensione tra il già e il non-ancora,scandita da queste tappe: “promessa”, “adempimento messianico”,“compimento escatologico”.In questa direzione si muove il documento “Lire l’Ancien Testament”. Essosi interroga su questa espressione che ricorre con frequenza nelNuovo Testamento: “Affinché si adempisse la Scrittura”63. E sichiede: come intenderla in modo che non svaluti la lettura59 P. VAN BUREN, op. cit., 133.60 PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, Il popolo ebraico e le sue sacre Scritture…, nn.21 e 84:quest’ultima affermazione è citata dal card. J. Ratzinger nella prefazione aldocumento.61 Ebrei ed ebraismo nella predicazione e nella catechesi. Sussidi per una corretta presentazione, II, 3.Cf. Enchiridion Vaticanum, vol. 9, n. 1627.62 Ibid., II, 7-8. Cf. Enchiridion Vaticanum, vol. 9, nn. 1631-1632.

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dell’Antico Testamento e che rimanga pienamente aperta allacomprensione che il Nuovo Testamento ci svela?Il documento nota anzitutto che l’idea di “completamento,compiutezza” (“achèvement”) o di “fine della storia” non ècontenuta nel verbo greco plhro/w / plēróō che il Nuovo Testamentoutilizza spesso per evocare l’adempimento della Scrittura. Questaespressione «adempimento della Scrittura» ha parecchi significati.Essa ha anzitutto il senso di obbedienza e dunque di adempimentodella Torah come cammino di vita. Il cardinale Ratzinger, citandoil Catechismo della Chiesa cattolica, scrive: “…il Catechismo….si attieneall’immagine di Gesù del Vangelo di Matteo e vede in Gesù ilMessia, il più grande nel regno dei cieli; come tale egli sisapeva obbligato a «osservare la Legge, praticandola nella suaintegralità fin nei minimi precetti» (578)”64.L’adempimento è anche una nozione legata a quella della promessa.I discepoli, scrutando la Legge, i profeti e i salmi, hannocercato il senso della vita e della morte di Gesù.Gesù stesso ha dichiarato che egli era venuto a dare compimentoalle Scritture65, cioè ad aprirne l’intelligenza, a realizzarlepienamente nella sua vita.Proprio in questo atteggiamento di obbedienza di Gesù neiconfronti delle Scritture, nelle quali egli cerca e trova lavolontà del Padre66, si trova l’ispirazione ultima di una lettura“cristica” dell’Antico Testamento67, un’esegesi tipologica che “haper finalità di «aprire l’intelligenza» (Lc) alla fede nel mistero

63 Mt 1, 22; 2, 15. 17. 23; 4, 14; 8, 17; 13, 14. 35; 21, 4; 26, 56 e passiparalleli; 27, 9; Gv 13, 18; 15, 25; 17, 12; 18, 9; 19, 28. 36.64 J. RATZINGER, La Chiesa, Israele e le religioni del mondo, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI)2000, 15.65 Mt 5, 17; 26, 54 e passi paralleli; Lc 24, 44.66 Essa prende la forma dell’accettazione libera di un “deve”, “bisogna”, “ènecessario”: “…deve compiersi in me questa parola della Scrittura: E fu annoveratotra i malfattori” (Lc 22, 37; Cf. anche Mt 26, 54; Lc 24, 44).67 L’ espressione «lecture christique» è usata da P. Beauchamp in un articolo cheha come base il testo di una conferenza da lui tenuta in occasione del 90°anniversario del Pontificio Istituto Biblico in Roma l’8 maggio 1999. Cf. P.BEAUCHAMP, “Lecture christique de l’Ancien Testament”, in Biblica 81 (2000), 105-115. L’autore stesso precisa che il contenuto di questo articolo si fonda sullesue ricerche che hanno già prodotto opere certamente significative. Cf. L’Un etl’Autre Testament. 2. Accomplir les Écritures, Paris 1990, in particolare, i capitoli III,VII, V §7 (traduzione italiana : L’uno e l’altro Testamento. 2. Compiere le Scritture, Glossa,Milano 2001, 105-152. 269-302. 219-237) ; Le Récit,, la lettre et le corps, Paris 1992²,capitoli II e III ; "Le Pentateuque et la lecture typologique", in P. HAUDEBERT(éd.), Le Pentateuque. Débats et recherches, LD 151, Paria 1992, 241-259.

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di Cristo”68. La tipologia non deve essere confusa con l’allegoria,nel senso moderno di questo temine, poiché “essa parte dalla «res»dell’Antico Testamento nel suo rapporto alla «res» del Nuovo. Latipologia è ciò che collega una realtà del passato ad una realtàfutura che l’adempirà dando un significato pieno, debordante,imprevedibile, alle parole che la descrivevano”69.Di fatto, l’uso della tipologia con intenzione polemica ha portatoi cristiani a confondere troppo spesso “accomplissement”(compimento, adempimento) e “achèvement” (completamento,compiutezza)70. “Questa intima connessione tra Gesù e le scritture,tuttavia, non è senza problemi, e questi sono ben visibili già nelNuovo Testamento…..entro forse solo una generazione la chiesasembrò aver dimenticato che queste erano dopotutto, e prima ditutto, le scritture di un Israele che continuava a vivere…In ognicaso e sempre più, la chiesa lesse questi testi come se non vifosse nessun’altra possibile lettura di essi che la propria”71.

68 P. BEAUCHAMP, art. cit., 114. L’autore precisa però che « non solo l’interpretazionecristica dell’Antico Testamento non può essere esclusiva di altre letture, manon deve esserlo » (nota 14).69 P. BEAUCHAMP, art. cit., 113. L’autore sottolinea che la tipologia così compresa«non ha, in linea di massima, un effetto negativo nel dialogo ebraico-cristiano…L’ostacolo non è del resto nella tipologia stessa, non estranea al giudaismo, manella designazione del mistero di Cristo come antitipo» (nota 23). Cf. M.FISHBAINE, Biblical Interpretation in Ancient Israel, Oxford 1986³, 350-379. Il DOCUMENTO DELLAPONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa (15 aprile 1993) cosìpresenta il senso tipologico : “Uno degli aspetti del senso spirituale è quellotipologico, di cui si dice abitualmente che non appartiene alla Scritturastessa, ma alle realtà espresse dalla Scrittura…..In effetti, il rapporto ditipologia è ordinariamente basato sul modo in cui la Scrittura descrive larealtà antica (….) e non semplicemente su questa realtà. Di conseguenza, sitratta allora proprio di un senso della Scrittura”  (edizione della LibreriaEditrice Vaticana, 75 ; Enchiridion Biblicum n. 1419 ; Enchiridion Vaticanum, vol. 13, n.3009). “Così il Documento conferma fondamentalmente almeno in parte latradizionale dottrina ecclesiale, e tuttavia pone chiari limiti ad unainterpretazione «spirituale» dell’Antico Testamento, dal momento che, viceversa,questo perderebbe completamente il suo valore specifico nel rapporto con ilNuovo Testamento” (L. RUPPERT, “Neue Impulse aus Rom für die Bibelauslegung – Zumneuesten Dokument der Päplistchen Bibelkommission”, in Bibel und Leben 49 (1994),43, citato da R. VIGNOLO, “Metodi, ermeneutica, statuto del testo biblico.Riflessioni a partire da L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa (1993)”, in G. ANGELINI ( acura di), La rivelazione attestata. La Bibbia fra Testo e Teologia, Glossa, Milano 1998, 80.Sulla differenza tra la “rilettura” tipologica e la “rilettura” allegorica cf.anche l’ultimo DOCUMENTO DELLA PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA Il popolo ebraico e le sue sacreScritture…, nn.19-20.70 Lire l’Ancien Testament, 20-23.71 P. VAN BUREN, op. cit., 75.

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In realtà, il disegno di Dio sull’umanità non è ancora compiuto inpienezza, né totalmente svelato, né completato72. “La letturadell’Antico Testamento, anche illuminata dalla fede in Cristo,richiama ancora e sempre la speranza degli inizi, essa conservaun aspetto incoativo e non esaurisce il senso della Scrittura,poiché il disegno di Dio che supera ogni attesa è incompiuto”73.Questa precisazione importante è ripresa dall’ultimo documentodella Pontificia Commissione Biblica: “La nozione di compimento èestremamente complessa…..Il compimento definitivo sarà quellodella fine, con la risurrezione dei morti, i cieli nuovi e laterra nuova. L’attesa messianica ebraica non è vana. Essa puòdiventare per noi un forte stimolo a mantenere viva la dimensioneescatologica della nostra fede. Anche noi, come loro, viviamonell’attesa. La differenza sta nel fatto che per noi Colui cheverrà avrà i tratti di quel Gesù che è già venuto ed è giàpresente e attivo tra noi”74.La letteratura rabbinica sottolinea con insistenza che il midrash75

compie la Scrittura e interpreta il verbo “compiere” a trelivelli: scoprire, attraverso il midrash, ciò a cui la Scritturaimpegna, agire conformemente alla esegesi della Scrittura scopertadal midrash e, infine, attendere il compimento delle promessecontenute nella Torà e nei Profeti76.“Adempimento” significa dunque conferma, convalida, suggello. IlNuovo Testamento “non porta la presenza piena di un mondo«migliore, trasformato»…, ma, con l’apparizione di Gesù Cristo,

72 Cf. Lire l’Ancient Testament, 25.73 Ibid., 26.74 PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, Il popolo ebraico e le sue sacre Scritture…, n.21.75 Il termine ebraico “midrash” (letteralmente “ricerca”) indica la ricerca deisensi della Torà. Esso indica anche la letteratura prodotta da questa ricerca.Una raccolta di testi “midrashici”, tradotti e presentati, si può trovare in E.KETTERER – M. REMAUD (a cura di), Le midrash, Cahiers Evangile 82 Sup., Cerf, Paris1992. Per una presentazione dei metodi “midrashici” vedi A. LUZZATTO, Leggere ilMidrash. Le interpretazioni ebraiche della Bibbia, Morcelliana, Brescia 1999. Una raccolta disaggi che illustrano i diversi approcci alla Bibbia nella storia dell’ebraismosi trova in G. STEMBERGER, Ermeneutica ebraica della Bibbia, Paideia, Brescia 2000(edizioni originali: Göttingen 1966; Freiburg im Breisgau 1966; Stuttgart 1966).76 “Qiyyem” è la forma Piel del verbo “qûm”: è una forma rabbinica usata peresprimere la conferma, il compimento di una realtà. Cf. P. LENHARDT, “Lerenouvellement (hiddush) de l’alliance dans le judaïsme rabbinique”, in CahiersRatisbonne 3 (1997), 149-151; ID., “L’exégèse (midrash) de la Tradition d’Israël.Sa grandeur et ses limites”, in Cahiers Ratisbonne 5 (1998), 9-43; A. C. AVRIL – P.LENHARDT, La lettura ebraica della Scrittura, Qiqajon, Magnano 1984, 47-49.

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l’aspettativa e speranza, ancor più intense, della redenzione ecompimento del mondo, della nuova creazione (2 Pt 3, 13)”77.Gesù non è solo l’adempimento delle promesse dell’AnticoTestamento, ma la nuova promessa dentro la lunga storia dipromesse del Dio di Abramo78. “Gesù è dunque il Messia, ma nonpienamente, perché deve ancora venire a portare il regno delloshalom universale, quello che i profeti hanno promesso come dono diDio”79.Il problema del rapporto tra l’Antico e il Nuovo Testamento vaaffrontato tenendo presente che l’Antico Testamento si apre a due“continuazioni”: nel Talmud ebraico e nel Nuovo Testamentocristiano. “Così si sono venute lentamente a profilare duetradizioni, anzi «due tipi di fede»: quella cristiana dall’Anticoe dal Nuovo Testamento, e quella ebraica dal Tenak e dal Talmud…”80.In questa linea si esprime anche il Sinodo delle Chiese valdesi emetodiste: “Gli ebrei attraverso la tradizione rabbinica (inparticolare il Talmud), i cristiani attraverso il NuovoTestamento, radicano la propria fede e la propria azione nelleScritture di Israele, l’Antico Testamento del canone cristiano. Ilconfronto di letture per secoli distinte, quando non contrapposte,è spiritualmente fecondo in quanto può approfondire lacomprensione delle Scritture comuni”81.L’ultimo documento della Pontificia Commissione biblica precisache “i cristiani possono e devono ammettere che la lettura ebraicadella Bibbia è una lettura possibile, che si trova in continuitàcon le sacre Scritture ebraiche dell’epoca del secondo Tempio ed èanaloga alla lettura cristiana, che si è sviluppata parallelamentead essa….Sul piano concreto dell’esegesi, i cristiani possono,nondimeno, apprendere molto dall’esegesi ebraica praticata da piùdi duemila anni…”82.Poiché la dizione tradizionale “Antico Testamento” è legata atutta una serie di pregiudizi e di fraintendimenti, sembra utile77 H. J. KRAUS, "Perspektiven eines messianischen Christusglaubens", in J. J.PETUCHOWSKI – W. STROLZ (Hrsg.), Offenbarung im jüdischen und christlichen Verständnis (QD),Freiburg 1981, 260. Questo testo è citato da E. ZENGER, in op. cit., 145.78 Cf. la predica di Pietro in At 3, 19s.79 E. ZENGER, op. cit., 149.80 SINODO GENERALE DELLE CHIESE RIFORMATE D’OLANDA, Chiesa e Israele si appartengono come unicarealtà, 1983, in R. RENDTORFF – H. H. HENRIX (hrsg.), op. cit., 516. 519. Cf. P. VAN BUREN,op. cit., 83-128.81 Documento del Sinodo delle Chiese valdesi e metodiste, 1998, 54 in SeFeR - Studi Fatti Ricerche 85(1999), 14.82 PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, Il popolo ebraico e le sue sacre Scritture…, n.22. Cf. ildocumento precedente della stessa Commissione L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa,I.C.2: “Approccio mediante il ricorso alle tradizioni interpretative giudaiche”.

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ricercare un nuovo modo per qualificarlo. Nella tradizionecristiana questa qualifica, non biblica, risale alla fine del IIsecolo d. C. In questi ultimi anni sono state fatte diverseproposte83. Sembra oggi preferibile, senza escludere altredenominazioni, parlare di Primo Testamento 84. Questa qualificavorrebbe mettere in evidenza che “la prima parte della Bibbiacristiana costituisce il fondamento fondante, quello che è statoposto per primo e sul quale poggia l’agire di Dio in Gesù e intutti coloro che seguono Gesù: quale sua attualizzazione rinnovatae rinnovante”85.

4. L’interpretazione antigiudaica di alcuni testi del Nuovo Testamento

E’ difficile non riconoscere che le radici dell’antigiudaismo, cheha caratterizzato profondamente la tradizione cristiana, sitrovano in alcuni testi del Nuovo Testamento86. Si tratta, inconcreto, di precisare in quali casi l’antigiudaismo è un datointerno al testo e in quali casi invece esso è “un effettoperverso della sua lettura”87.“E’ indiscutibile, e oggi non viene più contestato da nessuno, chenel Nuovo Testamento vi siano affermazioni antigiudaiche”88. Unacorretta interpretazione di queste affermazioni deve pertantonecessariamente tenere presente la complessa situazione storica incui sono nati gli scritti del Nuovo Testamento89.Queste affermazioni non si limitano alle dispute di Gesù con ifarisei che sono dispute all’interno del giudaismo sul modo di83 Cf. R. RENDTORFF, op. cit., 66-71; E. ZENGER, op. cit., 164-174.84 La proposta è stata fatta nel 1987 da J. A. SANDERS sul Biblical Theology Bulletin.85 E. ZENGER, op. cit., 172-173.86 Sulla distinzione tra Nuovo Testamento e scritti neotestamentari e sulladifferenza tra gli scritti neotestamentari, considerati ciascuno per sé, e latradizione teologica cristiana successiva si trovano importanti riflessionimetodologiche in M. PESCE, “Antigiudaismo nel Nuovo Testamento e nella suautilizzazione. Riflessioni metodologiche”, in Annali di Storia dell’esegesi 14/1 (1997),11-38. 87 D. MARGUERAT, La première histoire du christianisme. Les Actes des apôtres, Paris – Genève 1999,205.88 R. RENDTORFF, op. cit., 108.89 È ciò che cerca di fare l’ultimo documento della Pontificia CommissioneBiblica Il popolo ebraico e le sue sacre Scritture…, soffermandosi sui singoli scritti delNuovo Testamento, cf. nn.66-83.

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interpretare la Scrittura. Il giudaismo ha sempre riconosciuto ildibattito, la discussione, la controversia, il confronto (inebraico la machloqet) come “forma privilegiata di studio”90. “Se siguarda il Talmud si comprende come senza dibattito non vi siagiudaismo. Il «conflitto di interpretazioni» gli è in questo sensocaratteristico ed essenziale”91. In questa linea si collocanoquelle parole di Gesù, situate nel contesto del “discorso dellamontagna”, che solitamente sono chiamate “antitesi”, utilizzandoun’espressione purtroppo non felice perché si presta facilmente adessere misinterpretata. “E’ il linguaggio che si usava nell’ambitodella polemica retorica circa il modo corretto d’intendere la Toràe la prassi ad essa ispirata”92. Gesù interpreta la Torà conautorità, ma non intende affatto eliminarla93.Non mancano però nel Nuovo Testamento testi in cui i farisei sonopresentati in un modo così negativo che può certamente favorireun’interpretazione antigiudaica94. “Attraverso l’ingannevoleschematizzazione dei vangeli è sufficiente riconoscere che ilCristo ha condannato, non già la famiglia spirituale che AndréNeher chiama farisianismo, ma il fariseismo, cioè il permanentepericolo che minaccia ogni spirito religioso quando raccorda laricerca di Dio con i propri risultati circa l’applicazione dellaLegge”95. Le forti critiche ai farisei sono in realtà rivolte allaChiesa per metterla in guardia di fronte alla rovina cui vaincontro se essa si sente presuntuosamente sicura della salvezza96.Per interpretare correttamente questi ed altri testi che siprestano ad essere letti in chiave antigiudaica, non bisogna maidimenticare che gli scritti del Nuovo Testamento sono nati in unclima storico sempre più segnato dai conflitti tra la comunità dei

90 R. FONTANA, “«Tarbut Ha-Mahloqet». Una cultura della discussione”, in CahiersRatisbonne 2 (1997), 118.91 R. FONTANA, Sinai e Sion. Luogo della sapienza agli uomini, Les Éditions CCEJ – Ratisbonne,Jérusalem 1997, 115.92 E. ZENGER, op. cit., 119.93 Mt 5, 17-48.94 Cf. Mt 23.95 Cf. R. ETCHEGARAY, “Défense du pharisien”, in Rencontre chrétiens et juifs 66 (1980),174-175. Il testo è citato da R. FABRIS, op. cit., 165.96 Cf. D. MARGUERAT, “Matthieu et le judaïsme: une rivalité de frères ennemis”, inLe Nouveau Testament est-il anti-juif?, Cahiers Evangile 108 (1999), 16-23; U. LUZ, “Leproblème historique et théologique de l’antijudaïsme dans l’évangile deMatthieu”, in D. MARGUERAT (éd.), Le déchirement. Juifs et chrétiens au premier siècle, Labor etFides, Genève 1996, 127-150 ; P. BEAUCHAMP, “L’Evangile de Matthieu et l’héritaged’Israël”, in Recherches de Science Religieuse 76 (1988), 5-38; S. LÉGASSE,“L’«antijudaïsme» dans l’Évangile selon Matthieu”, in M. DIDIER (éd.), L’Évangileselon Matthieu. Rédaction et théologie, BETL XXIX, J. Duculot, Gembloux 1972, 417-428.

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discepoli di Gesù e il giudaismo rabbinico: un conflitto trafratelli diventati nemici che porterà alla rottura (il cosiddetto“protoscisma”) tra la Chiesa e la Sinagoga e alla espulsione deidiscepoli di Gesù dalla Sinagoga.A questa attenzione orientano i Sussidi : “Non è quindi escluso chealcuni riferimenti ostili o poco favorevoli agli ebrei abbianocome contesto storico i conflitti tra la chiesa nascente e lacomunità ebraica. Alcune polemiche riflettono le condizioni deirapporti tra ebrei e cristiani, che, cronologicamente, sono moltoposteriori a Gesù. Questa constatazione resta fondamentale se sivuole cogliere per i cristiani di oggi il senso di alcuni testidei Vangeli”97.Tra i riferimenti ostili va certamente segnalata la scena delprocesso contro Gesù nel Vangelo di Matteo perché ha lasciatotracce profonde nell’antigiudaismo cristiano: “E tutto il popolorispose: «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli»”98.Questa frase, che si trova solo nel Vangelo di Matteo, si collegacon la parabola del banchetto di nozze che un re organizza per suofiglio99. Essa, nella redazione matteana ha delle varianticertamente significative rispetto a quella di Luca100. E’ evidenteche questa scena, redatta alla luce della distruzione diGerusalemme nel 70 d. C., interpreta questa distruzione comecastigo degli ebrei in cui si avvera ciò che la folla avevagridato durante il processo di Gesù. Anche la parabola dei“vignaioli omicidi”101, al di là probabilmente dell’intenzione diMatteo, è stata interpretata in modo da avallare la teologia dellasostituzione. In particolare, è stata interpretata in questo sensol’espressione del versetto 43 che la Bibbia-CEI traduce: “Perciòvi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo chelo farà fruttificare”. Nel testo greco non esiste il termine“lao,j / laós” (“popolo”), sempre usato negli scritti del NuovoTestamento per designare Israele in quanto popolo di Dio, ma iltermine “e;qvnoj / éthnos”102. “La scelta delle parole (éthnos invecedi laós) suggerisce che dovremmo andare cauti nell’attribuire aMatteo un’esplicita concezione della chiesa quale «nuovo» o «vero»97 Ebrei ed ebraismo nella predicazione e nella catechesi. Sussidi per una corretta presentazione, IV, 1.Cf. Enchiridion Vaticanum, vol. 9, n. 1645.98 Mt 27, 24s.99 Mt 22, 1-14.100 Lc 14, 16-24.101 Mt 21, 33-45.102 Negli scritti del Nuovo Testamento questo termine al plurale, “tà éthne”, èusato per designare “le genti”, in quanto distinte da Israele. Cf. G. ABBOT-SMITH,A Manual Greek Lexicon of the New Testament, Edinburgh 1936.

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Israele”103, come invece è stata tradizionalmente interpretataquesta frase104.Si può infine sottolineare l’ambiguità dell’espressione “i Giudei”nel Vangelo di Giovanni105. Ad essa un documento della Chiesacattolica del 1974 dedica una nota: “Così in san Giovanni laformula «i giudei» designa talvolta, a seconda dei contesti, «icapi dei giudei», oppure «gli avversari di Gesù», espressioni chemeglio corrispondono al pensiero dell’evangelista ed evitanol’impressione di chiamare in causa il popolo ebraico come tale”106.E’ inutile cercare di rimuovere i problemi che ha suscitato esuscita questa espressione. Di fatto sono numerosi i tentativi diinterpretarla in un senso non antigiudaico. B. Maggioni scrive:“Più che una figura storica….., il termine Giudeo assume qui unavalenza teologica. Nel personaggio vengono concentrati tutti itratti dell’incredulità di ogni tempo, del Giudeo come delcristiano, dell’uomo di allora come dell’uomo di oggi”107.Tra i testi la cui interpretazione antigiudaica è dovuta ad unalettura superficiale e, soprattutto, non attenta al contesto,alcuni si trovano negli Atti degli Apostoli. Essi, secondo unoschema che ritorna più volte108, presentano l’annuncio dell’evangeloda parte di Paolo sempre inizialmente rivolto ai giudei che poi,

103 H. B. GREEN, The Gospel according to Matthew in the Revised Standard Version, Oxford 1987(1975¹), 180.104 Cf. W. TRILLING, Il vero Israele, Piemme, Casale Monferrato 1992.105 Cf. in particolare Gv 8, 44: troviamo qui un’espressione che F. Porschdefinisce “la formula più antigiudaica di tutto il Nuovo Testamento”. Non sideve dimenticare però Gv 4, 22: “…perché la salvezza viene dai Giudei”. Senzaalcun appoggio dei manoscritti molti esegeti hanno voluto considerare questopassaggio come una interpolazione.106 SEGRETARIATO PER L’UNIONE DEI CRISTIANI (Commissione per i rapporti religiosi conl’ebraismo), Orientamenti e suggerimenti per l’applicazione della dichiarazione «Nostra Aetate» (n. 4),1 dicembre 1974, II, in nota. Cf. Enchiridion Vaticanum, vol. 5, n. 782.107 B. MAGGIONI, La brocca dimenticata. I dialoghi di Gesù nel vangelo di Giovanni, Vita e Pensiero,Milano 1999, 90-91. Cf. anche A. MARCHADOUR, “Les Juifs dans l’évangile de Jean”,in Le Nouveau Testament est-il anti-juif?, Cahiers Evangile 108 (1999), 37-47 ; M. C. DEBOER, “L’évangile de Jean et le christianisme Juif (Nazoréen) ”, in D. MARGUERAT(éd.), Le déchirement. Juifs et chrétiens au premier siècle, Labor et Fides, Genève 1996, 179-202. R. Vignolo, nella recente edizione della Bibbia a cura di Mondadori, traduce einterpreta l’espressione “oi Ioudaîoi” dando all’articolo un senso deittico: “queigiudei” (Cf. La Bibbia. I Vangeli, Oscar Mondadori, Milano 2000).108 At 13, 44-52 ; 14, 1-7 ; 17, 1-9. 10-14 ; 18, 1-10 ; 28, 16-31 (questo testo,che è la finale del libro, presenta però alcune varianti significative ed ècaratterizzato da un procedimento retorico di sospensione narrativa che lo rendeenigmatico).

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in seguito al parziale insuccesso della sua missione, decide dirivolgersi ai pagani che accolgono con gioia l’evangelo.In realtà una lettura attenta dei testi, collocati nel contestodell’intera opera lucana, ci rivela che essi non offrono un voltouniforme del giudaismo, ma due facce diverse che, in una tensionedialettica che resta irrisolta sino alla fine, sono utilizzate daLuca per presentare il rapporto tra il cristianesimo nascente e ilgiudaismo in termini nello stesso tempo di continuità e didiscontinuità109.E’ difficile negare la terribile storia degli effetti di questi edi altri testi del Nuovo Testamento. L’antigiudaismo cristianotrova in essi le sue radici che hanno iniziato a svilupparsi nelII secolo e che, dopo che il cristianesimo contrasse un fortelegame con il potere politico agli inizi del IV secolo, sonoandate crescendo fino all’epoca moderna.Anche l’ultimo documento della Pontificia Commissione Biblica,dopo aver affermato, a conclusione del capitolo su “Gli ebrei nelNuovo Testamento”, che “un vero antigiudaismo…non esiste in alcuntesto del Nuovo Testamento ed è incompatibile con l’insegnamentoche esso contiene”, non può fare a meno di riconoscere che “moltidi questi passi si prestano a servire da pretestoall’antigiudaismo” e che “sono stati effettivamente utilizzati inquesto senso”110.E. Wiesel ha scritto: “Il cristiano che riflette sa che adAuschwitz non è morto il popolo ebraico, ma il cristianesimo”111.“Che cosa ha a che fare il cristianesimo con Auschwitz? Sonoconvinto che una delle più importanti prese di coscienza di molticristiani negli scorsi decenni, forse in assoluto la piùimportante, sia stata riconoscere che il cristianesimo è tra icorresponsabili e complici di Auschwitz”112.E’ certamente un’espressione che vuole essere sanamenteprovocatoria. Con non minore forza si esprime E. Zenger: “Se c’èun caso in cui la riflessione teologica è autorizzata a parlare dipeccati strutturali , di coinvolgimento nella colpa, di «peccatooriginale», è senz’altro quello che riguarda la cecità che

109 D. MARGUERAT, La première histoire du christianisme. Les Actes des apôtres, Paris – Genève 1999,205-237. 310-334; D. MARGUERAT, “Juifs et chrétiens selon Luc-Actes”, in D.

MARGUERAT (éd.), Le déchirement. Juifs et chrétiens au premier siècle, Labor et Fides, Genève1996, 151-178.110 PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, Il popolo ebraico e le sue sacre Scritture…, n.87.111 R. MCAFEE BROWN, Elie Wiesel. Zeuge für die Menscheit (ed. originale americana 1983), 1990,184.112 R. RENDTORFF, op. cit., 105.

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purtroppo hanno dimostrato una teologia ed una chiesa che persecoli hanno ignorato, disprezzato e violato la dignità del popoloebraico”113.

5. Il permanere di Israele come fatto storico: un segno da interpretare

“Il permanere di Israele…è un fatto storico e segno dainterpretare nel piano di Dio. Occorre in ogni modo abbandonare laconcezione tradizionale del popolo punito, conservato come argomentovivente per l’apologetica cristiana. Esso resta il popolo prescelto,«l’olivo buono sul quale sono stati innestati i rami dell’olivoselvatico che sono i gentili» (l’allusione a Rm 11, 17-24 èpresente nel discorso, sopra citato, di papa Giovanni Paolo II, 6marzo 1982)”114.La storia di Israele non finisce nell’anno 70 d. C. con ladistruzione del Secondo Tempio, come vorrebbe la tesi che haportato la tradizione cristiana ad affermare che l’inizio delcristianesimo coincide con la fine dell’ebraismo115.La permanenza dell’Israele biblico è affermata con chiarezza dallacosiddetta “Dichiarazione di Drieberga sull’incontro tra cristianiluterani ed ebrei”116 con queste parole: “Crediamo che Dio nella suafedeltà ha guidato il suo popolo Israele lungo la storia e lo haconservato come popolo per mezzo della tradizione di fede ebraica.Riconosciamo il ritorno nella terra dei padri quale segno dellafedeltà di Dio all’alleanza”.La nostra identità non è fondata sul fatto che abbiamo preso ilposto di Israele. Perciò dobbiamo abbandonare l’idea che la chiesasia il “nuovo Israele”. L’Israele della Bibbia trova la suacontinuità nell’Israele vivente117. Partendo da questa premessa,

113 E. ZENGER, op. cit., 16.114 Ebrei ed ebraismo nella predicazione e nella catechesi. Sussidi per una corretta presentazione, VI, 1.Cf. Enchiridion Vaticanum, vol. 9, n. 1655.115 Sul tema della “permanenza di Israele” e sull’interpretazione teologica diquesto fatto Cf. F. ROSSI DE GASPERIS, Cominciando da Gerusalemme, Piemme, CasaleMonferrato (AL) 1997, 184-228.116 Questa Dichiarazione è stata approvata dall’assemblea generale dellaCommissione Europea Luterana “Chiesa ed Ebraismo” a Drieberga (Olanda) l’8maggio 1990. Il testo è citato da H. Banse in op. cit., 92. 117 Cf. M. REMAUD, Chrétiens et Juifs entre le passé et l’avenir, Bruxelles 2000, 129-136 (“Surla pérennité d’Israël ”).

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dobbiamo allora riconoscere che al popolo ebraico, nella suaconcretezza storica, comunque essa si manifesti, appartiene ancheil titolo biblico di “popolo di Dio”. Ma possiamo allora noicristiani servirci di questa denominazione, chiamando la chiesapopolo di Dio, ora che stiamo imparando a riconoscere l’esistenzaconcreta del popolo ebraico?“Se continuiamo a denominare noi stessi, la cristianità o lachiesa, «popolo di Dio», sottraiamo agli ebrei ciò che appartienea loro….La chiesa non si colloca in questa continuità immediatacon l’Israele biblico, ma rappresenta qualcosa di nuovo. Come sipossa formulare questo «nuovo» senza ledere i diritti di Israele èuno degli interrogativi a cui ancora dobbiamo dare risposta”118.I cristiani di fronte a Israele sono posti davanti a un fattostorico concreto e non davanti ad un’idea. Per di più il permaneredi Israele costituisce un segno della fedeltà di Dio alle suepromesse, un segno molto singolare data la singolarità assoluta diIsraele. “Israele e l’ebraismo infatti non sono una religione, mauna realtà storica che fa corpo con la rivelazione biblica e vaoltre questa stessa rivelazione, giungendo concretamente sino aigiorni nostri”119.Anche se è vero, in un certo senso, che Israele ha bisogno dellegenti per poter vivere la propria elezione e la propria missionedi essere luce per le genti e che l’attenzione dei cristiani versol’ebraismo potrebbe condurre gli ebrei ad approfondire il sensodella loro chiamata da parte di Dio, le chiese non devono tuttaviadimenticare il carattere asimmetrico del rapporto cristiano-ebraico. Questa tesi sull’asimmetria del rapporto cristiano-ebraico, formulata da Zwi Werblowski, dice che i cristiani, peressere cristiani, non possono fare a meno del rapporto conl’ebraismo, poiché la chiesa deriva dal popolo ebraico; gli ebreiinvece non hanno bisogno dei cristiani per essere ebrei120.

118 R. RENDTORFF, op. cit., 120-121 e 36.119 R. FABRIS, op. cit., 14.120 Faccio fatica a capire e ad accettare la posizione di M. Cunz, espressa in M.CUNZ, “Quarant’anni dopo Seelisberg: come andare avanti. Dieci tesi”, in SeFeR –Studi Fatti Ricerche 40 (1987), 7. Egli scrive: “Con questa tesi (asimmetria)formulata da Zwi Werblowski, che a prima vista sembra convincente, gli ebreifanno se stessi un cattivo servizio. Essa porta gli ebrei a rinchiudersi in sestessi e, in ultima analisi, a rinunciare con l’applauso cristiano alla propriavocazione”.

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6. Quattro provocazioni per le chiese cristiane

Riconoscere la presenza permanente di Israele significa per leChiese cristiane lasciarsi interpellare da un fatto preciso edalle domande che pone, domande che spesso esse hanno eluso, nonvolendo ammettere l’esistenza di Israele per ciò che era ed èautenticamente o cercando di vedere gli ebrei in un modo viziatodalla teologia della sostituzione e dall’atteggiamento deldisprezzo. “Spesso la riflessione teologica dei cristiani suIsraele è stata ed è tuttora l’esorcizzazione della concretezzad’Israele”121.Il problema delle relazioni ebraico-cristiane “si è fatto piùpreciso e decisivo per il futuro stesso della chiesa. La posta ingioco non è semplicemente la maggiore o minore continuazione di undialogo, bensì l’acquisizione della coscienza, nei cristiani, deiloro legami con il gregge di Abramo e le conseguenze che nederiveranno sul piano dottrinale, per la disciplina, la liturgia,la vita spirituale della chiesa e addirittura per la sua missionenel mondo d’oggi”122.Si tratta di cambiare una mentalità, quella che ha condotto icristiani a definire la loro identità contro Israele. “Non sitratta solo di condannare l’antisemitismo come peccato contro Dioe l’umanità, si tratta di rivedere la teologia: abolendo ilsostituzionismo; riscoprendo il radicamento ebraico delcristianesimo; riaffermando l’elezione di Israele; traendone leconseguenze a tutti i livelli”123.La prima provocazione deriva dal rifiuto di considerare le Chiesee Israele come cammini religiosi antitetici, un rifiuto che nongiunge però all’accettazione delle Chiese e di Israele come duevie parallele di salvezza124.N. Lohfink, anche se in modo che lui stesso definisce cauto eprudente, formula e spiega però questa tesi: “Non si dovrebbeparlare di due «alleanze» e tanto meno di più «alleanze», ma solodell’unica «alleanza». Per contro, la formulazione di una «duplice

121 R. FABRIS, op. cit., 21.122 C. M. MARTINI, “Ebrei e cristiani di fronte alla sfida del nostro tempo”, inNuova umanità 37 (1985), 51. Cf. ID., Israele, radice santa, 37-38.123 D. GARRONE, “Le Chiese cristiane e il popolo ebraico”, in Ambrosius 1 (2000),19.124 I Sussidi (I, 7) escludono questa possibilità: Cf. Enchiridion Vaticanum, vol. 9, n.1623.

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via di salvezza» è difendibile, purché la si intenda in modo«drammatico»”125.In realtà l’espressione “vie di salvezza”, in questo casoparticolare e in quello più ampio della teologia del pluralismoreligioso, non è priva di ambiguità e perciò rischia di diventarefonte di equivoci. Secondo la prospettiva neotestamentaria “comefede nell’evangelo il cristianesimo testimonia che «via disalvezza» non è quella che percorre l’uomo religioso perconquistare il cielo, ma quella che Dio percorre nell’eventodell’incarnazione del Verbo per raggiungere ogni creatura umana.Come religione esso, non diversamente da altre religioni, resta ungrido, ovvero un luogo, un percorso, un’esperienza da cui invocaresalvezza”126.Nella relazione tenuta all’International Council of Christians andJews a Vallombrosa nel 1984, il card. Martini diceva: “Forse ogginon è ancora chiaro come la missione della Chiesa e quella delpopolo ebraico possano arricchirsi e integrarsi reciprocamentesenza venire meno a ciò che l’una e l’altra hanno di essenziale edi irrinunciabile. C’è tuttavia un obiettivo finale: quando saremoun unico popolo e il Signore ci benedirà dicendo: «Benedetto sial’Egitto mio popolo, la Siria opera delle mie mani, Israele miaeredità». Dice san Paolo che le promesse di Dio sono senzapentimento!”127.La seconda provocazione riguarda la persona di Gesù. Si domandacoraggiosamente A. Mello: “Fino a che punto la nostra fedecristiana è veramente conciliabile con l’ebraismo di Gesù? Nonabbiamo noi sradicato Gesù dall’ebraismo per innestarlo nellenostre culture e ideologie, anziché essere noi ad innestarci sullaradice santa d’Israele, come voleva Paolo in Rm 11, 16-24?”128.Introducendo il Colloquio Vaticano sul rapporto tra cristiani edebrei, Giovani Paolo II ha rivolto un discorso dove troviamoqueste affermazioni: “….quanti considerano il fatto che Gesù fu

125 N. LOHFINK, L’alleanza mai revocata. Riflessioni esegetiche per il dialogo tra cristiani ed ebrei,Queriniana, Brescia 1991, 86-91 (titolo originale: Der niemals gekündigte Bund.Exegetische Gedanken zum christlich-jüdischen Dialog, Freiburg im Breisgau 1989).126 G. BOTTONI, “Il cristiano e il pluralismo religioso”, in F. BALLABIO - B. SALVARANI,Religioni in Italia. Il nuovo pluralismo religioso, EMI, Bologna 2001, 157-183, qui 175.L’autore poco prima ha sottolineato il rapporto dialettico tra fede e religione,messo in evidenza dalla critica barthiana, precisando che fede e religione nonpossono essere confuse, anche se si implicano a vicenda e non devono esserecontrapposte (173-174).127 C. M. MARTINI, Israele, radice santa, Centro Ambrosiano – Vita e Pensiero, Milano1993, 51.128 A. MELLO, “L’ebraismo di Gesù”, in SeFeR – Studi Fatti Ricerche 25 (1984), 6.

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ebreo e che il suo ambiente era il mondo giudaico come semplicidati culturali contingenti, ai quali sarebbe possibile sostituirequalsiasi altra tradizione religiosa da cui la persona del Signorepotrebbe essere distaccata senza perdere la propria identità, nonsolo misconoscono il senso della storia della salvezza, ma piùradicalmente attaccano la verità stessa dell’Incarnazione erendono impossibile una concezione autenticadell’inculturazione”129.La terza provocazione nasce dall’esperienza drammatica della shoà..Essa chiama in causa la corresponsabilità dei cristiani che nehanno posto le premesse attraverso secoli di antigiudaismo echiede a loro una profonda e radicale teshuvà. Nella “Dichiarazionedi pentimento” della Chiesa francese del 1997 troviamo espressi,con precisa e lucida consapevolezza, questi giudizi che sitraducono in una richiesta di perdono. “Secondo il giudizio deglistorici, è un fatto attestato che, durante i secoli, nel popolocristiano ha prevalso, fino al Concilio Vaticano II, unatradizione di antigiudaismo che ha segnato a livelli diversi ladottrina e l’insegnamento cristiani, la teologia e l’apologetica,la predicazione e la liturgia. Su questo terreno è cresciuta lapianta velenosa dell’odio per gli ebrei. Di qui giunge, fino nelnostro secolo, una pesante eredità con conseguenze difficili dacancellare. Di qui le ferite ancora aperte….”. E, riferendosi allashoà, continua: “Di fronte all’ampiezza del dramma e al carattereinaudito del crimine troppi pastori della Chiesa hanno, con illoro silenzio, offeso la Chiesa stessa e la sua missione. Oggi,confessiamo che questo silenzio fu un errore….Imploriamo ilperdono di Dio e chiediamo al popolo ebraico di sentire questaparola di pentimento”130. E’ significativo che ci sia un riferimentoesplicito, anche se molto cauto, alla shoà nel recente documentodella Commissione Teologica Internazionale della Chiesa cattolica:“La Shoah fu certamente il risultato di un’ideologia pagana, qualeera il nazismo, animata da uno spietato antisemitismo…..Tuttavia,«ci si deve chiedere se la persecuzione del nazismo nei confrontidegli ebrei non sia stata facilitata dai pregiudizi antigiudaicipresenti nelle menti e nei cuori di alcuni cristiani […]. I129 Il testo di questo discorso si trova nella lingua originale francese in Radicidell’antigiudaismo in ambiente cristiano. Colloquio Intra-Ecclesiale, Atti del Simposio teologico-storico, Città del Vaticano, 30 ottobre – 1 novembre 1997, Libreria EditriceVaticana, Città del Vaticano 2000, 15-18, qui 17. Cf. la traduzione italiana inSeFeR - Studi Fatti Ricerche 80 (1997), 10-11, qui 10.130 “Dichiarazione di pentimento” della Chiesa francese, 30 settembre 1997, inSeFeR – Studi Fatti Ricerche 80 (1997), 8-9, qui 9. Cf. anche il documento dellaNational Conference of Catholic Bishops, Catholics Remember the Holocaust, USA 1998.

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cristiani offrirono ogni possibile assistenza ai perseguitati, ein particolare agli ebrei?»…..”131. Auschwitz è una tragediaterribile che un ebreo è chiamato a ricordare e a raccontare,perché non si dimentichi ciò che è accaduto. Di fronte ad essal’ebraismo balbetta senza saper ancora dare risposte e il suoatteggiamento rivela una profonda insofferenza per qualsiasispiegazione tradizionale. Hans Jonas ha scritto che per l’ebreo,di fronte alla shoà è possibile ammettere la comprensibilità e labontà di Dio solo al prezzo di fare a meno della sua onnipotenza.“Dopo essersi affidato interamente al divenire del mondo, Dio nonha più nulla da dare: ora chi deve dare è l’uomo. E l’uomo puòdare nella misura in cui non faccia sì che, per il suocomportamento o per la sua colpa, Dio si penta di avere tolleratoil divenire del mondo”132.L’ultima provocazione sorge dalla nascita dello Stato di Israele.A quarant’anni da Seelisberg la situazione attuale del rapportoebraico-cristiano è condizionato dalla shoà e dalla fondazionedello Stato di Israele. “Il popolo ebraico dal 1945 e dal 1948 èdiverso da quello che era prima. Anche la chiesa si trova in unanuova situazione. La questione è soltanto se essa ne abbiacoscienza. L’ora zero delle relazioni cristiano-ebraiche non è piùl’epoca del Secondo Tempio, cioè del Nuovo Testamento. Noi nonviviamo più nel «dopo 70», ma nel «dopo 45» e «dopo 48». Ciò nonvuol dire che il dialogo cristiano-ebraico si possa ridurre dalpunto di vista tematico ai due eventi decisivi della più recentestoria ebraica e cristiana, ma che esso si gioca sull’orizzonte diquesti eventi”133.Non si sa bene dove porti l’accettazione di Israele, megliol’amore per Israele. L’amore per Israele, dice il card. Martini,“non è per noi un’opzione; è un imperativo teologico checondiziona l’annuncio della salvezza”134.

131 COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato,Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2000, 5. 4, 56-58. La citazione ètratta da un documento della COMMISSIONE PER I RAPPORTI RELIGIOSI CON L’EBRAISMO, Noiricordiamo: una riflessione sulla Shoah , Roma, 16 marzo 1998, 3. Un giudizio preciso echiaro su questo tema si trova in Dabru emet. A Jewish statement on Christians andChristianity , un documento elaborato dall’Istituto “for Christian and JewishStudies”, Baltimora 2000, che si trova, tradotto in italiano, in questapubblicazione.132 H. JONAS, Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Una voce ebraica, Il Melangolo, Genova 1990(titolo originale: Der Gottesbegriff nach Auschwitz. Eine Jüdische Stimme, Frankfurt a. M.1984).133 M. CUNZ, Quarant’anni dopo Seelisberg: come andare avanti. Dieci tesi, in SeFeR – Studi FattiRicerche 40 (1987), 7.

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La chiesa che accoglie con amore Israele sa che, così facendo,segue il suo maestro Gesù. Infatti, Gesù è ebreo e lo è persempre135.

7. La terra di Israele e il suo significato

Le complesse vicende che hanno portato alla nascita dello stato diIsraele e, come conseguenza, al sorgere della “questionepalestinese” sono forse all’origine delle posizioni a lungo tenutedalla Chiesa cattolica e che sono presentate così dai Sussidi: “Icristiani sono invitati a comprendere questo vincolo religioso cheaffonda le sue radici nella tradizione biblica, pur non dovendofar propria un’interpretazione religiosa particolare di talerelazione….Per quanto si riferisce all’esistenza dello stato diIsraele e alle sue scelte politiche, esse vanno viste in un’otticache non è di per sé religiosa, ma che si richiama ai principicomuni del diritto internazionale”136.Secondo i Sussidi la terra di Israele e il riconoscimento del suosignificato non rientrano tra i valori che costituiscono il“grande patrimonio spirituale comune” agli ebrei e ai cristianiche deve essere riconosciuto ascoltando la tradizione di Israele.Queste posizioni a riguardo della terra di Israele sono“insufficienti” e “incoerenti”. “Non si può dichiarare di volerconoscere il popolo ebraico e la sua Tradizione in se stessi eignorare ciò che è centrale e manifesto per questo popolo e per lasua Tradizione: l’importanza della terra d’Israele per gli ebreie, loro tramite, per tutta l’umanità”137.

134 C. M. MARTINI, “L’amore per Israele è un imperativo teologico”, in Ambrosius 1(2000), 15.135 Ebrei ed ebraismo nella predicazione e nella catechesi. Sussidi per una corretta presentazione, III,1. Cf. Enchiridion Vaticanum, vol. 9, n. 1636. Nel testo originale in francese e ininglese dei Sussidi questa espressione suona così: “Jésus était juif et l’esttoujours resté”; “Jesus was and always remained a Jew”.136 Sussidi VI, 1. Cf. Enchiridion Vaticanum, vol. 9, n. 1655.137 P. LENHARDT, La terra d’Israele e il suo significato per i cristiani. Il punto di vita di un cattolico,Morcelliana, Brescia 1994, 22. Una presentazione dei modelli interpretativi deltema della Terra messi in evidenza dalla tradizione ebraica, accompagnata dastimolanti spunti di riflessione per una teologia cristiana della terra diIsraele, si può trovare in R. FONTANA, Gerusalemme e dintorni, Les Éditions CCEJ –Ratisbonne, Jérusalem 1996, 51-62.

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La firma di un accordo tra la Santa Sede e lo Stato d’Israele,avvenuta il 30 dicembre 1993, dà origine ad una situazione nuovanella quale le due parti fanno riferimento alla “natura unicadella relazione tra chiesa cattolica e popolo ebraico” e affermanoche il progresso si fa nella “mutua comprensione e amicizia tracattolici ed ebrei”138.Queste affermazioni, contenute nel preambolo del testodell’accordo, aprono, “in maniera che mi pare insperata einaudita, possibilità illimitate”139.Sono, infatti, affermazioni che non hanno solo e anzitutto unavalenza politica, ma un significato teologico.La permanente elezione di Israele è una certezza che “appartienetanto al credo che al catechismo cristiano”140. Essa è “inseparabiledal legame particolare stabilito dal Signore, secondo latradizione di Israele, tra il popolo d’Israele e la terra diCanaan divenuta terra di Israele”141. E’ proprio questa tradizione che, interpretando la Scrittura142,afferma che fuori dalla terra di Israele si rischia di diventareidolatri143.“….ogni figlio di Israele che risiede in terra di Israele ricevesu di sé il giogo del regno e chiunque esce dalla terra di Israeleè come un idolatra”144.Il Signore, Dio di Israele, infatti, può essere pienamenteconosciuto e servito attraverso l’osservanza dei comandamenti soloin terra di Israele145, “la terra su cui si posano sempre gli occhidel Signore”146.138 Per il testo di questo accordo, nella traduzione italiana dall’originaleinglese, Cf. Il Regno-Documenti 3 (1994), 81-83.139 P. LENHARDT, op. cit., 82.140 P. VON DER OSTER-SACKEN, Katechismus und Siddur, Berlin-München 1984. L’autore,esegeta e teologo luterano, formula tale certezza con questa proposizione: “…Diomantiene l’elezione di Israele e la sua predilezione per il suo popolo, anchequando questo popolo dice no a Gesù Cristo…”. La citazione si trova in P.LENHARDT, op. cit., 25.141 P. LENHARDT, op. cit., 25.142 Lv 25, 38.143 Cf. T b Ketubbot 110 b e Sifra sul Levitico 25 ,38 109 c.144 Sifra sul Levitico 25, 38 109 c.145 T b Sotah 14a ; Kelim 1, 6. W. Davies sottolinea che una specie di cordoneombelicale collega Israele alla terra: “Se un terzo della Mishnah…è in rapportocon la terra, ciò non è casuale. I nove decimi del primo trattato della Mishnah,Zeraim (sementi), del quinto, Qodashim (cose sacre), del sesto, Tehorot (purità)contengono delle leggi relative alla terra e lo stesso si può dire delle altreparti della Mishnah” (Cf. W. D. DAVIES, “La dimension “territoriale” du judaïsme”,in Recherches de Science Religieuse 66 (1978), 533-568, qui 536).146 Dt 11, 12

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Partendo da questo passo del Deuteronomio, in cui Dio è presentatocome colui che cerca (doresh) la terra di Israele, la tradizione sichiede: “Solamente questo paese egli cerca?”. E risponde a questadomanda affermando: “Se così si può dire, egli non cerca che quelpaese (la terra di Israele); ma in virtù della ricerca con cui locerca, cerca anche tutte le altre terre insieme ad esso”147.Questo testo ci insegna che “l’amore universale di Dio per tuttele terre ha inizio nel suo amore particolare per la terra diIsraele……la premura con la quale Dio custodisce Israele, fonda egarantisce la premura con la quale egli custodisce tutti ipopoli”148.La decima benedizione della ‘Amidah feriale149 chiede lariunificazione degli esiliati. Il testo liturgico non nomina laterra di Israele, ma evidentemente la presuppone come luogo in cuiavverrà questa riunificazione.Si tratta certamente della riunificazione e della redenzionefinale. “Tuttavia, benché si tratti della riunificazione e dellaredenzione finale, non è escluso che esse abbiano già un realeinizio nell’oggi del popolo ebraico, nel ritorno di numerosiesiliati in terra di Israele”150.Purtroppo questo segno che la terra di Israele dovrebbe offrire èoscurato , anzi annullato, dal conflitto tra ebrei ed arabi, unconflitto che sembra ancora lontano da una pace fondata sullacondivisione della terra151. “Invece di essere un segno positivo diredenzione, la terra diventa l’oggetto di un «giorno della terra»celebrato dagli arabi cittadini dello stato di Israele perprotestare contro l’ingiustizia degli espropri”152.Questa realtà tiene drammaticamente viva la convinzione, espressadalla undecima benedizione, che la costituzione dello stato diIsraele non è ancora la realizzazione del regno di Dio solo, cheama il “diritto” e la “giustizia”, ma solo “l’inizio della

147 Sifré su Dt 11,12.148 P. LENHARDT, op. cit., 31-32.149 La ‘Amidah (letteralmente: “stazione eretta”; e questo per il fatto che si dicementre la comunità sta in piedi) è chiamata anche con il nome di preghiera delle“Diciotto benedizioni” (shemoneh ‘esreh). Questa preghiera costituisce il centrodelle preghiere quotidiane ed è l’unica che sia stata designata dai sapientiproprio con questo nome : “la Preghiera” (Tefillah).150 P. LENHARDT, op. cit., 55.151 Cf. F. ROSSI DE GASPERIS, “La terra promessa, un dono da condividere”, in ID.,Cominciando da Gerusalemme (Lc 24, 47). La sorgente della fede e dell’esistenza cristiana, Piemme,Casale Monferrato (AL) 1997, 505-511. 152 P. LENHARDT, op. cit., 58.

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germinazione della nostra redenzione” (reshit tzemichat ge’ullatenu)153.Anche se resta vero che la terra di Israele, in quanto inizioreale di questo regno, è chiamata ad essere “il segno efficace, ilsacramento – potremmo dire in linguaggio cristiano – della vitaeterna”154. Questa unità della terra e della vita eterna è ciò cheinsegna anche il Nuovo Testamento quando, ispirandosi al salmo37155, proclama: “Beati i miti, perché erediteranno la terra”156.Un’esperienza che potrebbe favorire la scoperta da parte deicristiani del significato della terra di Israele è quella diitinerari biblici che uniscano la Terra e la Parola. Lapeculiarità di questo “approccio al paese della Bibbia è lapretesa di farvi una «lectio divina » canonica non solo della «SacraPagina», ma della stessa Terra santa”157. L’importanza di leggere laScrittura nella terra di Israele nasce dal fatto che essa è“l’espressione dell’esperienza della fede – un’esperienza globaleprofondamente umana – di un popolo, mediata dall’evoluzionestorica della coscienza che esso ha gradualmente presodell’alleanza eterna che il Signore Dio ha stretto con lui” epertanto per chi vuole comprendere la Scrittura “è necessaria unaconversione prima di tutto linguistica ai mezzi espressivi dellaBibbia; un’inculturazione nella tradizione, nella storia e nellacultura del suo popolo, e nella sua terra”158. Vissuti con questo stile ipellegrinaggi cristiani potrebbero aiutare coloro che vipartecipano a scoprire la terra “quale alfabeto ricco eindispensabile”159 per comprendere la parola di Dio.

153 Questa espressione si trova nella preghiera per la pace nello stato di Israele, istituita dal gran rabbinato di Israele per il Giorno dell’Indipendenza.154 P. LENHARDT, op. cit., 67. 155 Sal 37, 11.156 Mt 5, 5.157 A. CARFAGNA – F. ROSSI DE GASPERIS, Terra Santa e Libro Santo. Una lectio divina, EDB, Bologna2000. In questo libro gli autori propongono due itinerari, di sedici e di diecigiorni, di una lectio divina che unisce la Terra e la Parola. Cf. anche F. ROSSI DEGASPERIS, La roccia che ci ha generato. Un pellegrinaggio nella Terra santa come esercizio spirituale,ADP, Roma 1994. Per seguire alcuni possibili itinerari di “lectio del Libro”, insintonia con questi itinerari di “lectio della Terra”, gli autori invitano aconsultare i loro volumi: ID., Prendi il Libro e mangia! 1. Dalla creazione alla Terra promessa,EDB, Bologna 1997; Prendi il Libro e mangia! 2. Dai Giudici alla fine del Regno, EDB, Bologna1999. Il terzo volume (Dall’esilio a una nuova alleanza e alla vigilia del Nuovo Testamento) è inpreparazione.158 F. ROSSI DE GASPERIS, “L’Evangelo comincia sempre da Gerusalemme (cfr Lc 24,47)”, in ID., Cominciando da Gerusalemme, 15-25, qui 22.159 ID., 23.

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8. L’ascolto cristiano di Israele

Una “teshuvà” delle chiese cristiane nei confronti dell’ebraismo apartire dalle Scritture, che non voglia rischiare di ridursi adaffermazioni di principio, può trovare la sua dimensione diautenticità soltanto nell’ascolto dell’Israele vivente. Un umile esincero atteggiamento di ascolto esige che anzitutto ci siinterroghi su ciò che esso può significare.Se l’amore per Israele è “un imperativo teologico”160, esso richiedeuna risposta concreta e precisamente una risposta che non puòesaurirsi nell’essere contro l’antisemitismo o control’antigiudaismo, che ne è la matrice religiosa, e neppure nelriconoscimento teorico dell’esistenza di Israele. “Non èsufficiente essere contro chi è contro; bisogna piuttosto essereper ed esserlo in maniera conseguente e programmatica. Bisognaquindi essere per il popolo ebraico, per la sua cultura, per i suoivalori, per la sua ricchezza umana e spirituale, per la suastoria, per la sua straordinaria testimonianza religiosa. E, alfine di essere per, si rende necessario studiare le tradizioniebraiche, divulgarle, farle conoscere nel loro fascino e nellaloro perenne validità: dalle pagine della Torah (che noi cristianichiamiamo Pentateuco), fino ai profeti, ai salmi, al Talmud,all’esegesi rabbinica, ai racconti chassidici, alla cabbala e atutte le diverse espressioni della mistica”161.Ciò può avvenire solo cercando di ascoltare Israele attraverso uncontatto e sotto la guida dei maestri di Israele di ieri esoprattutto di oggi. “L’incontro con Dio nello studio della Torah èpossibile anche per i cristiani. Fa sentire qualcosa della «Gioiadella Torah», di un’esperienza specificamente ebraica”162. In questomodo i cristiani sono chiamati a fare “l’esperienza del Sinai”.Infatti “attraverso lo studio della Torah è l’esperienza del Sinaiche si trasmette di generazione in generazione. Fare l’esperienzadel bet ha-midrash è fare l’esperienza del Sinai”163.160 Cf. il testo già citato di C. M. MARTINI, in Ambrosius 1 (2000), 15.161 C. M. MARTINI, Israele, radice santa, Centro Ambrosiano – Vita e Pensiero, Milano1993, 115.162 P. LENHARDT, “Lo studio della Torah anche per i cristiani?”, in Qol 73 (1998), 8(traduzione dal tedesco).163 R. FONTANA, Sinai e Sion. Luogo della sapienza agli uomini, Les Éditions CCEJ – Ratisbonne,Jérusalem 1997, 183. Questa “opera di alto contenuto…in cui l’autore insistesull’esperienza del bet ha-midrash con il talmud Torah,…..ha il coraggio di

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Il Sinai parla attraverso Sion. Essi non sono in fondo che unostesso monte164: “Sion colma con la sua presenza il vuotodell’introvabile Sinai, il Sinai invece dà la sua voce a Sionfacendone un centro non solo cosmico ma anche morale. «La presenzaè la presenza di Sion, ma la voce è la voce del Sinai».”165. La vocedel Sinai risuona ancora oggi per chi la sa ascoltare attraversola testimonianza di Israele, attraverso la voce vivente di unIsraele reale166.E’ proprio ciò che i cristiani hanno dimenticato in questi duemilaanni, pensando che gli ebrei non potessero fare altro che offrireai cristiani dei testi che essi non erano più in grado dicomprendere. Ma ci sono segni che giustificano la speranza in una“teshuvà” dell’atteggiamento delle Chiese cristiane verso Israele.“Il fatto che siano oggi dei cristiani a portare il peso dei testisacri della tradizione ebraica, testi che non comprendono, ma chevorrebbero capire, e che perciò facciano appello ai maestri diIsraele per ricevere la loro parte di Torah, è qualcosa distraordinario”167

Se la responsabilità educativa di Israele nei confronti dellenazioni è un aspetto essenziale della sua testimonianza, l’umiltàdi chi sa che ha molto da imparare alla scuola di Israele loporterà “a bussare alla porta delle scuole di Israele, domandandola Torah”168.Ai piedi del Sinai non furono presenti le nazioni e perciò la Toràfu accolta solo da Israele. Ma è parte della sua speranza chel’umanità intera scopra il valore e il significato universale delSinai.

affondare dentro un territorio pressoché negletto: i cristiani alla scuola diIsraele” (dalla presentazione di Tommaso Federici). Meritano di esseresegnalati, in particolare, gli ultimi tre capitoli: “Discepoli e maestri”,“Cristiani alla scuola di Israele”, “Sinai e Sion”, 165-216. Si ispirano in modoesplicito a quest’opera due articoli di P. LOMBARDINI: Cf. “Tra il Sinai e ilSion. Un ingresso nella Bibbia ebraica”, in Qol 85 (2000), 2-7; “Luce dellegenti. Sion, la montagna del tempio”, in Qol 86/87 (2000), 8-10.164 Cf. R. FONTANA, "Variations sur le thème de l’écoute chrétienne d’Israël ", inCahiers Ratisbonne 7 (1999), 75.165 R. FONTANA, op. cit., 203. L’autore afferma esplicitamente di essersi ispiratoall’opera di J. D. LEVENSON, Sinai and Zion. An Entry into the Jewish Bible, Minneapolis –Chicago – New York 1984, in particolare 187-217, qui 188.166 Cf. R. FONTANA, art. cit., 73.167 R. FONTANA, art. cit., 74.168 R. FONTANA, art. cit., 73.

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“Se vogliono, tutti possono studiare. Non vi sono ostacoli ebarriere per chi voglia fare ritorno al Sinai. Il Sinai è apertoalla famiglia umana”169.Ci sono certamente all’interno dell’ebraismo anche posizioni menoaperte sulla possibilità di aprire lo studio della Torà aigentili. Ci sono oggi, ma erano già presenti nel giudaismofarisaico del primo secolo, due tendenze di fonte al mondo deigoyim. La prima, particolarista e preoccupata soprattutto dellaomogeneità e della perfezione spirituale di Israele, si ispirava aEsdra e Neemia. La seconda, erede dei profeti biblici, si ispiravaall’assioma di Hillel: “Amate la pace e ricercatela, amatel’umanità e avvicinatela alla Torà”170. C’è comunque nel Talmud untesto che merita di essere ricordato: “R. Meir usava dire: «Dadove sappiamo che persino un gentile che studi la Torah è come unSommo Sacerdote? Dal versetto «Voi quindi vi uniformerete ai mieistatuti e ai miei giudizi che se l’uomo così farà, vivrà in essi».Non i sacerdoti, i leviti e gli israeliti, bensì gli uomini sonomenzionati: potresti quindi scoprire che persino un gentile chestudi la Torah può considerarsi come il Sommo Sacerdote! Ciò siriferisce alle loro sette leggi”171.

9. La chiesa alla luce del “mistero” di Israele

Il permanere dell’elezione di Israele non è un “problema”, ma un“mistero”172, ossia un evento che solo la rivelazione di Dio fascoprire, aprendo per l’uomo un cammino di ricerca mai compiuta,

169 Questa affermazione certamente significativa per il suo tono chiaro e decisoè stata fatta da David Hartman. Cf. R. FONTANA, “Per una responsabilitàeducativa. A colloquio con David Hartman”, in Humanitas 3 (1996), 415. Il rabbinoDavid Hartman è professore al Dipartimento di Jewish Thought and Philosophy allaHebrew University of Jerusalem.170 Cf. A. CHOURAQUI, Gesù e Paolo. Figli di Israele, Qiqajon, Magnano(VC) 2000, 75-78(“Riconciliare Israele e le genti”).171 T b Sanhedrin 57a, citato da A. LICHTENSTEIN, Le sette leggi di Noè, Lamed, Milano s. d.,99 (titolo originale: The seven laws of Noah, Rabbi Jacob Joseph School Press, NewYork , 1981).172 Rm 11, 25.

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ma sempre illuminata dalla luce della parola. Infatti, secondo latradizione biblica, “il mistero è una realtà salvifica per l’uomo,una realtà che, contrariamente a ciò che comunemente si pensa, siriconnette più alla luce che all’oscurità173.Il problema nasce dall’atteggiamento dei cristiani che hanno fattoe ancora oggi fanno fatica a lasciarsi “inquietare” dal misterodell’elezione di Israele. B. Childs scrive di essere d’accordo con il teologo J. Moltmannquando dichiara, con una felice formulazione: “Là dove Israeleresta fedele alla sua chiamata, resta una spina nel fianco dellachiesa…E là dove la chiesa resta fedele alla sua chiamata,anch’essa resta una spina nel fianco di Israele” (La chiesa nella forzadello Spirito, ed. inglese, 148)174.M. Cunz preferisce invece parlare di Israele come “la crisi dellachiesa”. Egli scrive: “In fondo Israele come tale è giàl’interrogativo fondamentale posto alla chiesa. Israele continueràa mettere in crisi la chiesa fino alla fine dei tempi, anzi, Israeleè la crisi della chiesa….La crisi è perenne, è ontologica, fa parteintegrante dell’esistenza della chiesa. Si tratta solo di saperecome la chiesa vive e si comporta in mezzo a questa crisi. Ildialogo è un modo relativamente nuovo di affrontare la crisiontologica della chiesa, ed esso è ascolto, è gioia che l’altroesista”175.Ma non basta affermare il mistero della permanenza dell’elezionedi Israele. Occorre che i cristiani si interroghino sulsignificato di questa affermazione e ne traggano le conseguenzeimplicate.P. Stefani si è espresso più volte in questi ultimi annisull’importanza che la riflessione teologica non continui aincentrarsi sul rapporto “Israele-Chiesa”, ma ripensi il temadell’elezione all’interno della polarità “Israele-Genti”.L’elezione di Israele come “popolo particolare” è da situare inrapporto alle Genti e non alla Chiesa, come comunità dei discepolidi Gesù. Altrimenti, una volta che si è arrivati ad affermare chel’elezione di Israele e quella della Chiesa non si devono piùconsiderare come reciprocamente escludenti, non si riesce poi acapire come possano vicendevolmente integrarsi.

173 R. FABRIS, op. cit., 31-32.174 B. S. CHILDS, Teologia Biblica. Antico e Nuovo Testamento, Piemme, Casale Monferrato (AL)1998, 481 (titolo originale: Biblical Theology of the Old and New Testament, London 1992).175 M. CUNZ, I problemi posti alla teologia dal dialogo ebraico-cristiano, testo ciclostilato dellaconferenza tenuta presso il Sidic di Roma il 5 novembre 1985, citato da R. FABRIS,in op. cit., 96.

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“Non solo la coscienza dell’unità di due testamenti è richiestaper evitare possibili derive nell’interpretazione della novitàcristiana, ma anche la consapevolezza che, nella prospettivabiblica, due sono i soggetti destinatari dell’iniziativa salvificadi Dio: le genti e Israele….Il nuovo testamento è consapevole diquesto rapporto tra la novità cristiana e l’esistenza dei duesoggetti. Il testo di Efesini 2, 11-22 è eco significativa diquesta consapevolezza: Gesù il Cristo ha formato in se stesso, deidue «popoli», un solo «uomo nuovo»”176.L’elezione di Israele non deve essere considerata come unprivilegio da imitare per diventarne partecipi, ma come una graziae un compito che il Dio di Israele, che è il Dio di tutta laterra, gli affida perché, mediante la sua testimonianza, possaessere realmente riconosciuto come Dio dalle genti. “Rimane quindi irrevocabile che Israele è stato eletto come lucedel mondo e salvezza fino ai confini della terra per testimoniareil Dio Uno e Unico e farlo conoscere ai popoli fino alla fine delmondo”177.Un’esegesi non tendenziosa di Es 19, 5-6 presenta il rapporto diIsraele con le Genti come un riferimento indispensabile percomprendere il senso della sua elezione e della missione che daessa deriva. E’ preferibile tradurre questi versetti in un modoche evidenzi la loro struttura chiasmatica178:“Voi sarete il mio tesoro personale / tra tutti i popoli. / Sìtutta la terra è mia. / Ma voi sarete per me un regno di sacerdotie una nazione santa”.Paul Van Buren ha espresso in modo chiaro e incisivo questa realtàcon questi termini: “Noi non diciamo che Dio è la proprietàd’Israele: ma piuttosto, come Israele l’ha sempre creduto e comelo credono gli ebrei oggi, noi parliamo di Dio come colui che hafatto di Israele la sua proprietà particolare”179.

176 G. BOTTONI, “Il cristiano e il pluralismo religioso”, in op. cit., 166-169, qui166-167. Nel testo greco di Ef 2, 11-22 non ricorre il termine “popolo”,introdotto dalla traduzione CEI: “Egli (Cristo Gesù) infatti è la nostra pace,colui che ha fatto di ambedue uno…per creare in sé , a partire dai due (le gentie Israele), un solo uomo nuovo…” (vv. 14-15). Non si afferma che dei due Gesùabbia formato “un solo popolo”, ma un “solo uomo nuovo”. Ciò implica che isoggetti restino due: Israele e le genti. Cf. D. GARRONE, “Riconciliazione inCristo (Efesini 2, 11-22)”, già citato, in particolare 29-35. Un’esegesi diquesto testo non facile si può trovare in R. PENNA, La lettera agli Efesini. Traduzione ecommento, (SOC 10), EDB, Bologna 1988.177 H. BANSE, art. cit., 92.178 B. RENAUD, La théophanie du Sinaï. Ex 19-24. Exégèse et Théologie, Paris 1991, 51.179 P. M. VAN BUREN, “L’église et le peuple juif”, in Lumière et Vie 196 (1990), 67.

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La Chiesa non nasce anzitutto dal “no” pronunciato dalla granparte di Israele come, riproponendo solo un aspettodell’argomentazione di Paolo in Rm 11180, sostiene la riflessioneteologica contemporanea con la conseguenza di concepire la Chiesacostituita, di fatto e di diritto, tutta e solo da gentili. Ciònon è vero, oltre che dal punto di vista storico, anche dal puntodi vista del complesso e sofferto argomentare paolino che puresostiene la provvidenzialità del rifiuto della maggior parte delpopolo ebraico181. La Chiesa, infatti, sorge anzitutto dal “sì”ebraico a Cristo. Una lettura attenta del non facile capitolo 11della lettera ai Romani permette di constatare che Paolo, prima diaffermare il ruolo decisivo del "no" ebraico a Cristo per la180 Uno studio interessante su Rm 9-11 si trova in J.-N. ALETTI, Le lettera ai Romani e lagiustizia di Dio, Borla, Roma 1997, 145-195. Cf. anche lo studio più recente dellostesso autore: Israël et la Loi dans la lettre aux Romains, Paris 1998, in particolare ,233-236. L’insegnamento contenuto in questi capitoli e, in particolare, la“pluralità di vocabolari” che Paolo usa per parlare degli ebrei che non hannoaccettato il Cristo, è presentata, in forma sintetica, da M. REMAUD, in Israëlserviteur de Dieu, già citato, 141-154 (traduzione italiana citata, 181-192). Egliintroduce così la sua presentazione: “Per designare gli ebrei che non hannoaderito all’Evangelo, Paolo si esprime infatti in quattro modi differenti, che èdifficile a prima vista armonizzare tra loro. Queste apparenti contraddizionimanifestano la complessità del soggetto, e devono dissuadere dal trarre delleconclusioni affrettate o esclusive da un passo isolato dall’insieme”. Lo stessoautore riprende l’analisi di questi capitoli della lettera ai Romani in un’operadi recente pubblicazione: Chrétiens et Juifs entre le passé et l’avenir, Bruxelles 2000, 137-149. Cf. anche J.-M. GARRIGUES (sous la direction de), L’unique Israël de Dieu. Approcheschrétiennes du Mystère d’Israël, Éditions Critérion, Limoges 1987, 111-115 e E. W.

STEGEMANN, “Le sujet de l’Épître aux Romains et Romains 9-11”, in D. MARGUERAT(éd.), Le déchirement. Juifs et chrétiens au premier siècle, Labor et Fides, Genève 1996, 113-125 Uno studio ampio e accurato su questa terza parte della sezione dottrinaledella lettera ai Romani si trova nell’opera magistrale di J. A. FITZMYER, Lettera aiRomani. Commentario critico-teologico, Piemme, Casale Monferrato 1999 (titolo originale:Romans, Anchor Bible, Doubleday, New York 1993). Una “lettura a due voci” di due testi dell’epistolario paolino si può trovarenell’opera già citata di J. J. PETUCHOWSKI (Ed.), When Jews and Christians Meet, StateUniversity of New York Press, Albany, N. Y. 1988: M. J. COOK, “The Ties thatBlind: An Exposition of II Corinthians 3: 12-4:6 and Romans 11: 7-10”, 125-139 eG. W. BUCHANAN, “Paul and the Jews (II Corinthians 3:4-4:6 and Romans 11:7-10)”,141-162. Un’analisi dei testi delle lettere ritenute sicuramente autentiche chemostra un’evoluzione dell’atteggiamento di Paolo verso gli ebrei si trova in R.PENNA, L’apostolo Paolo. Studi di esegesi e teologia, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1991,332-366. Cf. anche T. FEDERICI, “Ebrei ed ebraismo nelle lettere di Paolo”, inASSOCIAZIONE AMICIZIA EBRAICO-CRISTIANA DI ROMA (a cura di), Ebrei ed ebraismo nel NuovoTestamento, vol. 3, Dehoniane, Roma 1990, 43-95 e L. BALLARINI, Paolo e il dialogo Chiesa-Israele. Proposta di un cammino esegetico, EDB, Bologna 1997.181 Cf. Rm 11, 11-12.

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“riconciliazione” delle Genti, sottolinei l’esistenza di un“resto” di Israele che ha creduto in Cristo182.“Proprio dando un peso prioritario al «sì» di Israele a GesùCristo si può comprendere perché la Chiesa si dia all’origineformata costitutivamente da una ecclesia ex circumcisione e da una ecclesiaex gentibus. …Tutto ciò, a propria volta, sta ad indicare una speciedi originaria e ineliminabile dipendenza della Chiesa da quanto laprecede (questo è appunto il senso pieno da attribuire a quell’ex),da cui deriva la sua radicale impossibilità di annullare in sestessa la polarità Israele-Genti nel momento stesso in cui esprimeil mistero dell’unità, in Cristo, del Giudeo e del Greco183….Inrealtà, Israele è scelto fra e per le Genti, mentre la Chiesa è lacomunità dei credenti che sono uno in Cristo pur conservando ilsenso legato alla loro provenienza ex circumcisione ed ex gentibus”184.Una delle più suggestive ed efficaci icone di questa realtà sitrova nel mosaico paleocristiano di Santa Sabina in Roma, dove duematrone raffigurano l’una “ l’ecclesia ex circumcisione” e l’altra“l’ecclesia ex gentibus”. Un’icona che purtroppo sarà in seguitosostituita da un’altra immagine, ben conosciuta, in cui allafigura regale e solenne della Chiesa si contrappone quella dimessae velata della Sinagoga.“Israele è scelto fra le Genti e fin che sussiste nella suasingolarità risulta per questo inimitabile. Da esso provieneCristo, il quale con la sua morte e risurrezione consente aichiamati fra gli ebrei e i gentili di entrare in comunione fraloro conservando il senso connesso alla loro diversa provenienza.Nell’orizzonte determinato da questo passare, in cui ognuno deimembri successivi presuppone i precedenti (non si dà Israele senzaGenti, né Cristo senza Israele, né Chiesa senza Cristo), nascel’interrogativo su quale via debba essere percorsa dalla Chiesache riconosce la perennità dell’elezione di Israele (cioè lavalidità attuale della distinzione Israele-Genti) al fine diannunciare ai figli dei popoli e di testimoniare al seme di Abramoil mistero dell’unità in Cristo tra Israele e Genti”185.Ancora Van Buren scrive: “«Gentile» è, certamente, un concettoebraico, come la maggior parte di quelli che noi utilizziamo nellaChiesa, poiché essa è iniziata come un movimento all’interno delpopolo ebraico. «Gentile» è il termine ebraico per designare tutte

182 Rm 11, 5.183 Cf. Gal 3, 26-29.184 P. STEFANI, Luce per le Genti. Prospettive messianiche ebraiche e fede cristiana, Paoline, Milano1999, 239.185 P. STEFANI, op. cit., 240.

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le altre nazioni, tutti coloro che non sono ebrei. Utilizzarequesto termine, è soltanto dire che, dal punto di vista degliebrei, noi non facciamo parte del loro popolo……Noi non siamo néIsraele, né un nuovo Israele, né un Israele spirituale, né il veroIsraele. Tutti questi termini sono stati usati nella teologiaantigiudaica della sostituzione……Noi non siamo neppure il popolodi Dio, nel senso in cui Israele è un popolo, poiché noi non siamoun popolo nel senso in cui gli ebrei sono un popolo….noi siamo sìla Chiesa di Dio, ma non il popolo di Dio poiché questa è lavocazione propria a Israele……Noi siamo dei gentili, ma non siamotutti i gentili. Un solo fatto ci distingue dagli altri gentili:noi siamo coloro che hanno riconosciuto la chiamata del Diod’Israele a servirlo, non come ebrei, ma come gentili; non incompetizione, ma in collaborazione con loro. Ecco ciò che noisiamo, in quanto Chiesa del Dio d’Israele!”186. Questa affermazionesembra richiamare una tesi enunciata nel 1988 nello Statement ofPrinciples of Conservative Judaism: “L’umiltà teologica esige da noi ilriconoscere che sebbene noi abbiamo soltanto un unico Dio, Dio hapiù che un’unica nazione”187.La Chiesa resta pertanto costitutivamente in rapporto con Israelee le genti, perché essa è la comunità dei discepoli di Gesù,tratti da Israele e dalle genti. Essa è “la comunità di coloro,che, anche se provenienti dai popoli pagani, professano lasignoria del Dio di Israele e dell’ebreo Gesù suo Messia e, per lapotenza dello Spirito divino, partecipano alle prerogativedell’alleanza di Dio con il suo popolo: di esso, infatti,l’alleanza rinnovata da Dio nel Crocifisso Risorto allarga iconfini spirituali alle genti, già in questo tempo in cui ci èdato di attendere e pregustare la manifestazione dell’eschaton”188.

Conclusione

186 P. M. VAN BUREN, art. cit., 66-67.187 Emet ve Emunah: Statement of Principles of Conservative Judaism, Jewish Theological Seminaryof America, New York 1988, 43. Si tratta certamente di un’affermazione forte(Van Buren non esita a chiamarla “stunning”, sbalorditiva) che vale la pena diriportare nella lingua originale: “Theological humility requires us to recognizethat although we have but one God, God has more than one nation”.188 G. BOTTONI, op. cit., 168-169.

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Il card. C. M. Martini concludeva la VI Cattedra dei non credenti(ottobre-novembre 1992) sul tema “Chi è come te tra i muti? L’uomodi fronte al silenzio di Dio”, citando alcune parole di MartinBuber. In una riunione di missionari cristiani a Stoccarda, eglisi chiedeva: “Che cosa abbiamo in comune? Un libro e un’attesa. Lavostra attesa è diretta alla seconda venuta del Signore; lanostra, di ebrei, alla venuta che non è stata anticipata dallaprima. Ma possiamo attendere insieme l’avvento dell’Uno, e vi sonomomenti in cui possiamo preparare la via davanti a lui, insieme”189.Questa dimensione comune dell’attesa è sottolineata dalla Chiesaevangelica della Renania che nel 1996 ha inserito nella sintetica“confessione” della Chiesa, che precede l’esposizione del suo“ordinamento ecclesiastico”, questa affermazione: “[La Chiesaevangelica della Renania] testimonia la fedeltà di Dio che restafedele all’elezione del suo popolo Israele. Con Israele spera inun nuovo cielo ed in una nuova terra”190.Nella luce della promessa profetica del pellegrinaggio delle Gentia Sion191, i cristiani insieme agli ebrei sono al servizio dellavenuta del regno di Dio e della sua giustizia e perciò sonochiamati a custodire insieme, anche se attraverso vie diverse, lavivente speranza del regno che viene (‘olam ha-ba)192 e dellacreazione nuova dei cieli e della terra in cui abiterà lagiustizia193.

INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE

189 AA.VV., Chi è come te fra i muti? L’uomo di fronte al silenzio di Dio, Garzanti, Milano 1993,113-127 (il testo citato si trova a p. 127). Questa relazione conclusiva è statapubblicata anche in C. M. MARTINI, Israele, radice santa, Centro Ambrosiano – Vita ePensiero, Milano 1993, 85-108.190 Cf. D. GARRONE, “Le Chiese cristiane e il popolo ebraico” , in Ambrosius 1(2000), 21.191 Cf. Is 2, 2-5.192 MENACHEM M. BROD, I giorni del Messia. Redenzione e avvento messianico nelle fonti della tradizioneebraica, Mamash, Milano 1997 (titolo originale: Yemòt Hamashìach, Chabad YouthOrganization of Israel 1992).193 Cf. 2 Pt 3, 13.

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