Il linguaggio artistico di Michele Sambin dal film alla video-performance musicale (1968-1982)....

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA DIPARTIMENTO DEI BENI CULTURALI: Archeologia, Storia dell’arte, del cinema e della musica Corso di laurea magistrale in Storia dell’Arte Il linguaggio artistico di Michele Sambin dal film alla video-performance musicale (1968-1982). Ipotesi per la conservazione, il restauro e la riproposta attuale di Looking for listening (1977). Relatore: Chiar.mo Prof. Guido Bartorelli Correlatore: Chiar.ma Prof. Cosetta G. Saba Laureanda: Lisa Parolo Nr. Matr. 1014861 Anno accademico 2011/2012

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA

DIPARTIMENTO DEI BENI CULTURALI:

Archeologia, Storia dell’arte, del cinema e della musica

Corso di laurea magistrale in Storia dell’Arte

Il linguaggio artistico di Michele Sambin dal film alla video-performance musicale (1968-1982).

Ipotesi per la conservazione, il restauro e la riproposta attuale di Looking for listening (1977).

Relatore: Chiar.mo Prof. Guido Bartorelli

Correlatore: Chiar.ma Prof. Cosetta G. Saba

Laureanda: Lisa Parolo

Nr. Matr. 1014861

Anno accademico 2011/2012

INDICE

1. Introduzione ................................................................................................................................ 1

2. La sperimentazione della pellicola cinematografica ................................................................ 7

2.1 Accenni al contesto cinematografico tra gli anni Sessanta e Settanta ........................................ 7

2.2 Il contesto cinematografico tra Padova e Venezia (1968-1977) .............................................. 12

2.3 L’uso sperimentale dell’immagine filmica ............................................................................... 15

3. La sperimentazione del video ................................................................................................... 29

3.1 Ricostruzione del contesto storico video; dal 1974 al 1982 ..................................................... 29

3.2 Premesse all’uso sperimentale del video .................................................................................. 35

3.3 L’uso sperimentale del video; alcune questioni tecniche sulle opere video di Michele Sambin ........................................................................................................................................................ 36

3.4 I diversi approcci al supporto video nelle opere di Michele Sambin ...................................... 38

4. Il rapporto immagine e suono come linguaggio ..................................................................... 49

4.1 Accenni al contesto storico musicale tra gli anni Sessanta e Settanta ...................................... 49

4.2 Il contesto storico musicale tra Padova e Venezia (dal 1968 al 1982) ..................................... 55

4.3 La sperimentazione del linguaggio audiovisivo attraverso la pellicola ................................... 59

4.4 La sperimentazione del linguaggio audiovisivo attraverso il video ......................................... 73

5. Premesse alla seconda parte; lo studio di caso sull’opera Looking for listening ................. 87

6. Modelli di approccio all’opera ................................................................................................. 91

6.1 Documentazione ....................................................................................................................... 93

6.2 Intervista ................................................................................................................................... 95

7. Ricostruzione della storia della video-performance Looking for listening: dall’evento

dell’ASAC “Artisti e videotape” (1977) allo Studio Trisorio di Napoli (1982). ................ 105

7.1 La nuova organizzazione dell’ASAC e le attività del 1977. .................................................. 105

7.2 La partecipazione di Sambin ad “Artisti e videotape” ........................................................... 111

7.3 Descrizione preliminare della video-performance nella modalità in cui è stata presentata presso “Artisti e videotape” (1977) .............................................................................................. 112

7.4 Presentazione di Looking for listening presso il Palazzo dei Diamanti di Ferrara (1978); la Biennale Musica (1979); lo Studio Trisorio a Napoli (1982). ..................................................... 116

8. Looking for listening; analisi dell’opera ............................................................................... 119

8.1 La progettazione di Looking for listening: i disegni preparatori e lo spartito ........................ 119

8.2 Descrizione e ricostruzione comparativa tra lo spartito e i tre video costituenti Looking for listening ........................................................................................................................................ 125

8.3 Interpretazione della video-performance Looking for listening............................................. 127

9. Digitalizzazione e Restauro dei video di Looking for listening ............................................ 133

9.1 Metodologia e processo di digitalizzazione dei tre nastri ...................................................... 133

9.2 Il restauro digitale; l’opinione e l’intervento dell’artista........................................................ 137

9.3 Realizzazione della sintesi digitale......................................................................................... 142

10. La presentazione dei video digitalizzati di Looking for listening presso Audioart02 (2011,

Pola) e VIDEO MEDIUM INTERMEDIUM (2011, Venezia) ............................................ 145

11. Www.michelesambin.com; ipotesi per un archivio on-line ................................................. 151

11.1 Premesse ............................................................................................................................... 151

11.2 Identificazione dei contenuti e degli intenti ......................................................................... 152

11.3 Raccolta del materiale digitalizzato e digitalizzazione del materiale cartaceo .................... 153

11.4 Upload dei contenuti ............................................................................................................ 153

11.5 Creazione della timeline ....................................................................................................... 155

11.6 Esempio di presentazione di un’opera all’interno del sito; Looking for listening ............... 156

12. Il futuro dell’opera .................................................................................................................. 159

12.1 L’ipotesi performativa .......................................................................................................... 161

12.2 Le due ipotesi installative ..................................................................................................... 163

12.2.1 Prima ipotesi installativa; l’esempio di Pola (2011) ...................................................... 164

12.2.2 Seconda ipotesi installativa; ripresa dell’intento iniziale .............................................. 166

13. Conclusioni .............................................................................................................................. 169

BIBLIOGRAFIA ............................................................................................................................ 173

1

1. Introduzione

Tra il 1995 e il 1997, il progetto di ricerca “Modern Art: Who Cares?”, instituito dal Netherlands

Institute for Cultural Heritage (ICN) e dalla Foundation for the Conservation of Contemporary Art

(SBMK), è stato uno dei primi progetti, seguito poi da una conferenza internazionale dall’omonimo

titolo, basato sulla ricerca di un approccio per la conservazione, il restauro e la riproposta dell’arte

contemporanea. Successivamente, nel 2010, in seguito all’inizio del progetto europeo “Inside

Installations. Preservation and Presentation of Installation Art”, è stato istituito il simposio

internazionale dal titolo “Contemporary art. Who cares?”. In esso si sono discusse le problematiche

riferite alle pratiche conservative che, si è costatato, diventano sempre più complesse.1 È con la

speranza di contribuire a tale dibattito che si è scelto di studiare una metodologia d’indagine per

l’analisi dell’arte contemporanea e, in particolare, per una tipologia di opere che: presentino

caratteristiche multidisciplinari; presentino componenti a base tecnologica, elemento che le rende,

attualmente, a rischio di obsolescenza; infine, presentino la proprietà effimera data dall’elemento

performativo.

Al fine di individuare tale metodologia, è stato preso in considerazione il percorso artistico di

Michele Sambin, artista padovano che, tra gli anni Sessanta (in particolare il 1968, data del suo

primo film, Anamnesi) e gli anni Ottanta (momento in cui l’artista inizierà a dedicarsi

esclusivamente al teatro), si caratterizza appunto per l’estrema multidisciplinarietà e l’utilizzo di

differenti media sub specie tecnologica. All’interno del periodo preso in considerazione, è stata in

seguito individuata un’opera, Looking for listening (1977, realizzata in occasione dell’evento

“Artisti e videotapes” presso l’Archivio Storico delle Arti Contemporanee), la quale, essendo stata

realizzata sotto forma di video-performance musicale, si presenta con quelle caratteristiche

effimere, di obsolescenza e interdisciplinarietà vantaggiose ai fini della seguente tesi.

Per affrontare lo studio di caso su Looking for li stening è stato, prima di tutto, necessario ricostruire

l’evoluzione della poetica dell’artista; per questo, si è proceduto al riordino del suo archivio.

L’analisi dei disegni progettuali, degli studi preparatori, delle opere, dei luoghi in cui Sambin si è

1 Cfr., Lydia Beerkens (a cura di), The artist interview. For Conservation and Preservation of Contemporary Art. Guideline and practice, Japsam Books, Heyningen, 2012

2

recato, così come delle manifestazioni e degli eventi cui ha preso parte, hanno permesso di

analizzarne il percorso artistico e il contesto in cui egli ha vissuto, che, come vedremo, ha

necessariamente influito.

Il periodo storico preso in analisi, si presenta di difficile interpretazione, giacché è proprio tra gli

anni Sessanta e Settanta che si assiste alla completa destrutturazione e alla ricostruzione secondo

nuove “regole”, del linguaggio artistico pittorico, scultoreo, cinematografico, video e musicale; il

processo, che ha le sue radici nelle Avanguardie del primo ‘900, non solo, quindi, mette in

discussione le diverse pratiche artistiche consolidatesi fino a quel momento, ma porta a una visione

dell’arte totalizzante, caratterizzata da un’apertura multidisciplinare - in cui non vi sono più confini

tra i diversi ambiti artistici - e dal coinvolgimento dello spettatore, il quale viene implicato

attivamente dall’artista attraverso un processo di responsabilizzazione e di attivazione al pensiero

critico. L’arte diventa didattica, politica, sociale, puro concetto e, nel raggiungimento di tali scopi,

l’artista fa uso di qualsiasi medium a sua disposizione. Anche Sambin, come già accennato, si serve

di differenti supporti, da quelli più tradizionali (pittura e scultura) a quelli più sperimentali

com’erano considerati, a quel tempo, la pellicola (che l’artista utilizza dal 1968 al 1974) e il tape

(che l’artista utilizza dal 1974 al 1982). Dall’altro lato, e contemporaneamente alla sperimentazione

sull’immagine visiva, l’artista compie un intenso studio sul suono, al fine di realizzare un

linguaggio fondato sul rapporto tra visivo ed uditivo. Quando si asserisce che Sambin fa uso di

diversi supporti al fine di dare voce alla sua poetica, non si intende solo il fatto che egli usa

indistintamente film e nastro magnetico, ma anche il fatto che, per esempio, opere come Ascolto

(1976) si trovano in forma video ma anche, nello stesso anno, in performance; e opere come

Autoritratto per quattro camere e quattro voci (1977), sono video-performances musicali ma in

esse è svolta un’indagine sul tempo e sullo spazio, che le rende connotabili (anche) come

installazioni.

Non solo. Come si noterà analizzando l’uso che Sambin fa dei diversi supporti, indipendentemente

dal fatto che essi siano attuali in quel tempo egli, di questi, ne replica spesso l’aspetto primitivo:

musicando i film live, di fronte al pubblico, nonostante già nell’epoca del film sonoro, per esempio,

l’artista continua un’attività «spontanea [che, nda] sarebbe stata resa obsoleta

dall’industrializzazione del cinema nelle mani dei grandi studi hollywoodiani ed europei»2. Lo

stesso, nel momento in cui egli dimostra «la possibilità di sfidare il sistema a prodursi da sé un film,

con budget praticamente zero».3 In questo senso, l’artista potrebbe essere inserito all’interno di

2 Rosalind Krauss, L’arte nell’era postmediale. Marcel Broodthaers, ad esempio, Postmedia Books, Milano, 2005, p. 47. 3 Ivi, p. 47.

3

quella che, Rosalind Krauss, definisce era postmediale4, in cui non è il supporto che costituisce il

medium ma, piuttosto, quest’ultimo, è da individuarsi nell’utilizzo che viene fatto degli strumenti a

disposizione. In altre parole, in questo caso il medium dell’opera non è il materiale di cui essa è

costituita - come sanciva McLuhan tra gli anni Sessanta e Settanta - ma un sistema di regole (il

come) da cui scaturisce il linguaggio dell’artista (il messaggio).

L’aspetto interdisciplinare che caratterizza il lavoro di Sambin, ha portato alla necessità di

suddividere la prima parte della tesi in tre capitoli. La divisione tra film (§ 2) e video (§ 2) è

risultata di estrema importanza, non solo al fine di organizzare il testo, ma anche con l’obiettivo di

contestualizzare i lavori dell’artista e d’individuarne le dipendenze e le influenze; in terzo luogo, si

è ritenuto indispensabile analizzare le opere valutandone la dipendenza con i supporti adottati. Le

caratteristiche intrinseche ai mezzi utilizzati hanno necessariamente influito sull’uso che fa Sambin

dell’immagine, nonché sulle relazioni di quest’ultima con la componente sonora, la quale corre

parallela a pellicola e tape e, per questo, è stata affrontata in un capitolo a parte (§ 4);. Durante la

lettura, risulterà palese che non è possibile, in realtà, scindere le diverse pratiche artistiche, e che il

linguaggio sperimentato dall’artista è comprensibile solo nel momento in cui si guardi al rapporto

tra immagine e suono (§ 4.3; § 4.4). A titolo d’esempio, si pensi alla relazione tra il ritmo del

montaggio cinematografico e il ritmo della composizione musicale che lo accompagna; o alla stretta

relazione instauratasi tra il movimento orizzontale della telecamera e i lunghi movimenti d’arcata

del violoncello.

La prima parte della tesi evidenzia che, progressivamente, Sambin passa dall’uso della pellicola a

quello del video e, in seguito, evolve la sua poetica verso un’arte che coinvolge sempre più lo

spazio tridimensionale e l’aspetto performativo; quest’ultimo elemento, in particolare, gli permette

non solo un maggiore rapporto con il pubblico, ma anche di evidenziare gli aspetti musicali

sperimentali in esecuzioni live. Il continuo cambiamento, non solo dei supporti, ma anche delle

regole che fondano il nuovo linguaggio di volta in volta, è dovuto all’approccio scientifico che ha

Sambin nel realizzare le sue opere: come si vedrà, anche attraverso l’analisi dei disegni preparatori,

l’artista, al progettare, formula una serie d’ipotesi che sono successivamente corroborate (messe in

pratica) e, in seguito, sviluppate attraverso la realizzazione artistica seguente. Il particolare tipo di

approccio di cui si è servito l’artista, connesso all’uso di strumentazioni sub specie tecnologica, ha

fatto sì che, in alcuni casi, egli abbia guardato alle sue opere come a degli elementi “organici” in

continua evoluzione. Questo, negli anni, l’ha portato a riprendere in mano spesso i suoi lavori, per

modificarli e aggiornarli attraverso nuovi strumenti e nuove poetiche, al fine di rendere sempre più

4Cfr., Rosalind Krauss, L’arte nell’era postmediale. Marcel Broodthaers, ad esempio, Postmedia Books, Milano, 2005.

4

chiaramente il suo linguaggio; in più, a seconda del contesto, uno stesso lavoro di Sambin può

essere stato presentato secondo forme, e quindi essenze, diverse.

Le opere, in questo modo, diventano fluide; di esse esistono più versioni che si stratificano nel

tempo. Ciò porta a doverci confrontare con un «“irrisolto teorico” che nel sistema dell’arte […]

problematicamente rimette in causa il concetto di “multiplo senza originale”»5. In questo caso,

infatti, «la nozione di opera originale, di unicum, si frammenta in modo seriale in forza della

riproducibilità tecnica»6 e, da parte del conservatore, del restauratore o di un ipotetico curatore,

diventa sempre più complesso individuare le modalità attraverso cui conservare, restaurare o

presentare l’arte contemporanea. Non solo. Data la multidisciplinarietà che caratterizza l’operato di

Sambin – e di tanti artisti fino ad oggi - si fa sempre più necessario l’intervento di molteplici

specialisti che si occupino, ognuno, di un ambito specifico, al fine di sperimentare e individuare

delle pratiche conservative, restaurative e curatoriali ad hoc.

Come già detto, è stata proprio la problematicità di un tale tema che ha spinto, nella seconda parte

della tesi, ad uno studio di caso su Looking for listening (§ 5). Al fine di indagare l’opera, è stato

scelto di fare riferimento alle metodologie proposte dal network denominato INCCA (International

Network for the Conservation of Contemporary Art7) che, nel sito www.INCCA.org, presenta

numerosi studi specifici riguardanti il restauro, la conservazione e la ripresentazione dell’arte

contemporanea tutta (§ 6).

Durante la presa visione delle metodologie proposte, si è costatato che il metodo dell’intervista è

posto al centro dell’indagine sull’opera; per questo, si è scelto di prendere come punto di

riferimento iniziale The Artist Interview8. Tale modello, individuato perché il più generalizzabile tra

quelli proposti, è risultato d’aiuto nell’approfondimento dello studio di caso, ma non esaustivo, in

quanto l’intervista presentava alcune “lacune” dovute, per l’appunto, alla mancanza di specificità

rispetto alla forma artistica presa in considerazione. Per questo motivo, si è reso indispensabile

integrare alcune parti dell’intervista con altri modelli, specifici per il video (The conservation and

documentation of video art9) o per la forma performativa (Accomodating the Unpredictable: The

5 Cosetta. G. Saba (a cura di), Arte in videotape, Silvana Editoriale Spa, Milano, 2007, p. 51. 6 Ibidem. 7 «INCCA is a network of professionals connected to the conservation of contemporary art. Conservators, curators, scientists, registrars, archivists, art historians and researchers are among its members. Members allow access to each others unpublished information (artist interviews, condition reports, installation instructions etc) through the INCCA Database.». Cfr., www.INCCA.org, visionato in data 1/09/2012. 8 Cfr., Lydia Beerkens (a cura di), The artist interview … Heyningen, 2012. 9 Pip Laurenson, The conservation and documentation of video art, 1999. In www.INCCA.org , visionato in data 2/09/2012.

5

Variable Media Questionnaire 10). Il confronto tra le metodologie, ha reso possibile la creazione di

un’intervista che fosse compatibile alla forma artistica indagata; d’altro canto, proprio grazie allo

studio di caso è stato possibile individuare e aggiungere, al metodo scelto inizialmente, alcune

domande specifiche che potrebbero essere d’aiuto nel momento in cui si affronti un’indagine simile.

La metodologia considerata, oltre all’intervista, prevede un primo momento riferito alla necessaria

documentazione preliminare, che si divide a sua volta in due: da una parte è imprescindibile una

ricerca sulle fonti documentarie; dall’altra, una ricerca sui materiali costituenti l’opera, il che ha

significato, nel caso in questione, coinvolgere la Camera Ottica dell’Università di Udine (per il

trasferimento in digitale dei video e per le considerazioni sull’eventuale restauro digitale

dell’immagine) e il C. S. C. dell’Università degli Studi di Padova -per ciò che invece concerneva il

restauro del suono (§ 9).

Alla fase di documentazione preliminare, segue poi l’intervista; la metodologia scelta propone un

modello più o meno chiuso (secondo le scelte dell’intervistatore), il quale si presenta suddiviso in

ambiti che comprendano: l’approfondimento del processo creativo e il percorso dell’opera, una

volta che essa è stata eseguita la prima volta (§ 7; § 10); l’interpretazione del significato dell’opera

(§ 8); le modalità in cui l’artista vorrebbe che l’opera fosse, nell’oggi, proposta (§ 12).

Confrontando i diversi metodi d’indagine, è stato possibile, inoltre, colmare un’altra lacuna riferita

all’accessibilità dell’opera; infatti, nel caso di lavori (anche) in video, è necessario individuare le

modalità di accesso all’opera e alla sua documentazione, non solo nel momento espositivo (sotto

forma d’installazione o performance) ma anche quando si voglia rendere, il tutto, sempre

consultabile da parte degli studiosi. Per questo stesso motivo, in conseguenza al riordino del

materiale in possesso di Sambin, è stato anche realizzato un archivio on-line (§ 11), dove fosse

possibile visionare tutte le opere prodotte dall’artista; l’obiettivo, anche in questo caso, non è solo

quello di presentare i lavori al fine di facilitarne lo studio; la volontà è stata quella d’ipotizzare un

modello che fungesse da utile strumento per la diffusione di un sapere che, ad oggi, non ha ancora

ricevuto un’attenzione adeguata.

10 Jon Ippolito, Accomodating the Unpredictable: The Variable Media Questionnaire, in Jon Ippolito, Alain epoca e Caitlin Jones, The variable media approach. Permanence through change, Guggenheim, New York, 2003; scaricabile nel sito www.variablemedia.net, visionato in data 2/09/2012.

7

2. La sperimentazione della pellicola cinematografica

2.1 Accenni al contesto cinematografico tra gli anni Sessanta e Settanta

Michele sambin nasce a Padova nel 195111; i suoi primi film risalgono alla fine degli anni Sessanta,

un periodo che rivoluzionerà definitivamente l’andamento della storia e della storia dell’arte, dando

il via a numerosissime correnti all’insegna della sperimentazione.

In campo cinematografico, quello che c’interessa ai fini di questo capitolo, gli anni Sessanta

continuano la tradizione del cosiddetto cinema d’autore con registi quali Louis Buñuel, Ingmar

Bergman, Federico Fellini, Michelangelo Antonioni; vedono la nascita della nuova corrente

denominata Nouvelle Vague; infine, si assiste al fenomeno del cinema indipendente, prima negli

Stati Uniti (New American Cinema o cinema underground) e poco dopo anche in Italia (conosciuto

anche come cinema sperimentale o cinema underground).12

Tra i generi di film cui abbiamo accennato e che saranno fondamentali per la produzione filmica di

Sambin, notiamo subito che vi sono degli elementi in comune, gli stessi che ritroveremo nelle

creazioni dell’artista in analisi. Per prima cosa sarà quindi bene tracciare le caratteristiche di ogni

genere per poi confrontarle con il lavoro di Sambin.

Il cinema d’autore è chiamato in questo modo perché è riconosciuta al regista del film la paternità

sull'opera. Le caratteristiche principali di tale genere, elencate da Paolo Bertetto all’interno del suo

volume Introduzione alla storia del cinema13, sono le seguenti: 1) il regista segue ora tutte le fasi

della produzione cinematografica, dallo sviluppo dell’idea al montaggio, con particolare attenzione

alla sceneggiatura; 2) sono affrontati contenuti complessi e poco commerciali, similmente ai

11 Per maggiori informazioni riferiti alla biografia dell’artista, si veda Appendice, pp. 1-3. 12La differenza terminologica è dovuta ai diversi tipi di approcci utilizzati: nel caso ci si riferisca al cinema indipendente si fa riferimento per lo più a quei film-maker che hanno partecipato alle Cooperative del Cinema Indipendente sorte in molte città italiane; nel caso in cui si faccia riferimento al cinema sperimentale, si intende invece parlare di quei film-maker italiani che hanno approcciato la pellicola secondo un uso che rompeva il tradizionale linguaggio cinematografico; nel caso si parli di cinema underground si sottolinea, invece, la discendenza dei film-maker dal contesto del New American Cinema. Poiché molti dei film-maker implicati in ognuna delle tre categorie appartengono anche alle altre, ci si riferirà ai tre termini alternandoli. 13 Cfr., Paolo Bertetto (a cura di ), Introduzione alla storia del cinema. Autori, film, correnti, UTET, Torino, 2012.

8

romanzi o ad un’opera teatrale; 3) in questo genere si vuole far riflettere lo spettatore, che non può

assistere passivamente alla proiezione.

Il regista partecipa, quindi, a tutte le fasi del film, e questo è un dato importante che ci fa pensare al

nuovo ruolo dell’autore, il quale deve acquisire notevoli conoscenze in molti ambiti

multidisciplinari; questo elemento, insieme agli altri due punti elencati da Bertetto, mette in

relazione questa tipologia di film con le pellicole di Sambin, pensate, realizzate e sonorizzate

interamente da lui.

Ciò che invece caratterizza la Nouvelle Vague14, è che essa si pone come il primo movimento

cinematografico a testimoniare la realtà in cui esso stesso prende vita. I film che ne fanno parte sono

girati nelle strade e, proprio per la loro singolarità, hanno la sincerità di un diario intimo di una

generazione nuova, disinvolta e inquieta; gli stessi registi che si riconoscevano in questo movimento

- tutti poco più che ventenni – facevano, anche loro, parte di quella nuova generazione, di quel

nuovo modo di pensare, di leggere, di vivere il cinema che fu chiamato, per l’appunto, Onda Nuova.

Lontana dall’ortodossia, la Nouvelle Vague introdusse la personalizzazione nel cinema: un film non

era più quel mezzo d’intrattenimento universale della tradizione, ma era una cosa privata,

un’espressione personale del regista. Non è quindi un caso che molti dei film della Nouvelle Vague

trattino il tema della fuga da costrizioni, siano esse familiari o istituzionali.15

Se lo scopo cinematografico della Nouvelle Vague era catturare “il vero”, nella realizzazione delle

pellicole veniva eliminato ogni sorta di artificio che potesse compromettere la realtà: non erano

utilizzati proiettori, costose attrezzature e complesse scenografie; i film venivano girati alla luce

naturale del giorno, per strada o negli appartamenti degli stessi registi, con attori poco noti, se non

addirittura amici del regista; le riprese erano effettuate con una camera a mano, accompagnata da

una troupe tecnica, costituita anch’essa per lo più da conoscenti. In questo avvicinarsi sempre

maggiormente alla realtà, i giovani registi furono avvantaggiati anche dai progressi tecnologici: in

particolare dall'avvento del Nagra, un registratore audio sincronizzato portatile, affiancabile alla

cinepresa 16 mm, leggera e silenziosa. Questa rottura tra riprese in studio e in esterni è illustrata

soprattutto in Effetto notte (1973) di François Truffaut: il film ci mostra la realizzazione di un’altra

14 Qui per Nouvelle Vague non mi riferisco solo a quella francese, ma anche a quella italiana. La distinzione tra le due, espressa molto bene da Gianpiero Brunetta, è costituita dal fatto che, mentre la prima ha avuto bisogno di un terreno e un laboratorio di formazione comune (Cahiers du cinéma) e ha tagliato i ponti con il “cinema di papà”, la seconda non doveva fare altro che riconoscere il senso di continuità intellettuale, ideale e poetica con le generazioni che la avevano preceduta (Neorealismo). Cfr., Gian Pietro Brunetta, Cent’anni di cinema italiano.2. Dal 1945 ai giorni nostri, Laterza, Bari, 2010. 15 Si veda a questo proposito, per esempio, il film 400 Colpi (1959) di Truffaut. La tematica della fuga dalle costrizioni sarà centrale anche in Anamnesi (1968) di Sambin.

9

pellicola, evidenziando le finzioni tecniche tipiche del cinema classico (scene invernali girate in

piena estate, o scene notturne girate con il famoso "effetto notte" appunto, in pieno giorno).16

Da questa breve descrizione, si possono trarre alcuni dati importanti che connettono la Nouvelle

Vague al cinema sperimentale (sebbene in realtà essi si pongano in forte contrasto) e, soprattutto, ai

lavori di Sambin; prima di tutto, il fatto che questo genere punti a fotografare la realtà con estrema

urgenza; in secondo luogo, è importante rilevare che i film in questione sono particolarmente

autobiografici, sia nel senso che prendono spunto dalla vita del regista, sia nel senso che rendono

perfettamente il modo di vivere di una nuova generazione; in terzo luogo, è importante rimarcare

l’utilizzo del formato 16 mm che, essendo più economico e più semplice da utilizzare, permette una

grande libertà (economica ed espressiva) nelle riprese; in ultimo, si porrà l’attenzione sulla scelta

degli attori, non professionisti e spesso conoscenti del regista. Questi elementi, come vedremo, sono

centrali soprattutto nei primi film di Sambin (anche se egli utilizzerà inizialmente il formato

Super8), mentre è evidente che i successivi sono legati molto anche al cinema sperimentale.

La nascita del cinema indipendente si deve principalmente al connubio tra un’esigenza espressiva

più libera e diffusa e l’uscita sul mercato di proiettori e pellicole cinematografiche a passo ridotto17

(16mm, 8 mm e Super818), le quali potevano essere acquistate e utilizzate in maniera più estesa;

questi due elementi saranno le cause principali della diffusione di film a bassissimo costo che

garantivano, almeno agli autori più creativi e anticonformisti, il più ampio margine di libertà

espressiva. Senza un programma comune e una cultura di riferimento alle spalle, il cinema

sperimentale italiano ha le sue fonti d’ispirazione nelle Avanguardie dei primi del Novecento e nel

New American Cinema (N. A. C.), movimento eterogeneo di registi indipendenti nato all’inizio

degli anni Sessanta negli Stati Uniti e caratterizzato da un’aperta opposizione all’industria

hollywoodiana. Il gruppo costituitisi sotto questo nome, grazie all’impegno di Jonas Mekas, tentò

16 Cfr., Renzo Gilodi, Nouvelle vague: il cinema, la vita, Effata Editrice, Torino, 2007. 17 L’uso di pellicole a passo ridotto e di pellicole scadute, ha fatto sì che la maggior parte dei lavori cinematografici fosse poco conosciuta per l'oggettiva difficoltà di reperimento delle copie, prematuramente danneggiate se non addirittura perse. Cfr, C. G. Saba (a cura di), Arte in videotape …Milano, 2007. 18Ciascun formato presenta particolari caratteristiche; il formato 16 mm, introdotto nel 1923, è perforato su entrambi i lati e presenta la colonna sonora (aggiunta solo negli anni Trenta) a destra dei fotogrammi; intero, il film ha uno spessore di 16 mm ma i fotogrammi misurano 10,26 mm. Il formato 8 mm - uscito sul mercato negli anni Trenta, chiamato anche Duble 8 in quanto la pellicola era composta da due bande e veniva impressionata prima in un verso e poi nell’altro per poi essere successivamente tagliata - è perforato solo sulla destra. Sullo stesso lato era possibile l’applicazione della colonna sonora; intero, il film ha uno spessore di 8 mm ma l’area impressionabile misura 4,5 mm. In ultimo, il formato Super 8 è un’evoluzione dell’8 mm, esce sul mercato verso la metà degli anni Sessanta e si differenzia dal suo antenato in quanto i fori, sempre sulla destra, sono più piccoli dell’8 mm e questo consente un maggiore spazio impressionabile (5,7 mm). Lo spazio per la colonna sonora non era inizialmente presente in questo formato, ma questa poteva essere applicata in un secondo momento sulla sinistra della pellicola. Un’altra caratteristica che rende la 16 mm più professionale rispetto alla 8mm e alla Super 8 è il fatto che quest’ultimi due sono formati poveri e consentono un numero di interventi limitati sulla pellicola. Cfr., Cosetta G. Saba, Cinema Video Internet …Bologna, 2006.

10

un’organizzazione e una distribuzione alternative istituendo a New York la prima grande Film

Makers Cooperative.

Sotto la denominazione N. A. C. si comprendono due principali schieramenti: coloro che, sia sul

piano produttivo sia su quello artistico, vogliono agire autonomamente rispetto alle leggi del

mercato industriale e i registi della tendenza più radicalmente sperimentale che vedono nel film la

realizzazione di un lavoro strettamente personale e poetico. Le opere dei primi hanno una matrice

realistica, ma rivelano anche forti caratteri di a-logicità, incoerenza, improvvisazione e immediate

corrispondenze con i più importanti fenomeni dell’arte contemporanea americana. I film del gruppo

più sperimentale (autori come James Broughton, Curtis Harrington, Stan Brakhage, Romert Breer,

Stan Vanderbeek e Michael Snow) muovono invece da motivi, temi, stili storicamente legati alle

avanguardie cinematografiche e artistiche.

Ciò che è interessante costatare, e che relaziona il N. A. C. alle opere di Sambin, è ciò che prefigura

Mekas riguardo al cinema sperimentale: il nuovo stile doveva caratterizzarsi per gli elementi di

casualità, spontaneità, frammentarietà, impurità, che dovevano divenire dei veri strumenti di

espressione e di sostituzione delle rigide norme comuni e dei canoni cinematografici della bellezza.

Il film-maker appare ora un artista che usa le imperfezioni tecniche, sfugge alle prescrizioni della

critica e della teoria del film, offre un preciso obiettivo di rivolta culturale allo scopo di riavvicinare

l’arte e la vita.19

Il New American Cinema di Mekas e compagni diventa naturalmente un modello

imprescindibile e molti autori italiani avranno modo di vedere i film di Warhol,

Anger, Mekas, Markopoulos o Brackhage, grazie ad una serie di retrospettive20,

tra cui le più significative sono quelle organizzate a Porretta Terme nel 1964 e a

Pesaro nel 1967, mentre il Filmstudio di Roma, a partire dal 1967, diventa il

cineclub privilegiato dai film-maker sperimentali, il luogo dove è possibile vedere

sistematicamente l’underground italiano e sperimentale.21

In Italia, Massimo Bacigalupo, Tonino De Bernardi, Alberto Grifi, Luca Maria Patella e Sirio

Luginbhül (per citare alcuni dei nomi più conosciuti del cinema underground) iniziano ad

19 Cfr., Fernaldo Di Giammatteo, Dizionario del cinema, Editori Riuniti, Roma, 1994. 20 «La prima rassegna del NAC in Italia fu organizzata nel Giugno-Luglio del 1961 nell’ambito del Festival dei due Mondi di Spoleto». Cosetta G. Saba (a cura di), Cinema Video Internet … Bologna, 2006. 21 Ivi, p. 150.

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interessarsi al N.A.C. e a quel mondo sotterraneo e poco conosciuto cui, in Italia, fu assegnato il

nome di C. C. I.22

All’interno della categoria del cinema sperimentale giace poi una sottocategoria che ci aiuta a

restringere il campo e ad avvicinarci ancora di più all’ambito in cui Sambin realizza i suoi film: il

cinema d’artista. L’intervento di Vittorio Fagone nel catalogo della Biennale del 197823, già

utilizzato da Angela Madesani, è d’aiuto nell’individuazione delle caratteristiche di questa

sottocategoria, cui spesso non è stato dato il giusto peso:

Il cinema d’avanguardia, il cinema indipendente, non si contrappone certo al

cinema d’artista. Esso anzi pretende di assorbirlo e rappresentarlo. Il cinema si

rinnova criticamente dentro questo spazio estremamente specifico e diverso. Da lì

media anche alcune esperienze che appartengono allo sviluppo delle arti visive.

Ma nella stessa zona di scambio arriva il cinema d’artista non più un mezzo

esterno, ma assorbito alla realtà della ricerca visuale dall’esplosione

metalinguistica che gli ultimi anni hanno registrato. […] Così il film d’artista può

tenere nella sua illusoria realtà le dichiarazioni del gesto e del corpo, la dilatazione

dell’ambiente di relazione e nello stesso tempo rivolgersi a questi momenti

analizzandone, sovrainvestendone gli attimi costitutivi: farsi oltre che oggetto,

strumento di pratica analitica.24

I film d’artista sono quindi una sorta di sintesi tra le ricerche visuali che si stavano diffondendo in

quegli anni e la possibilità dell’utilizzo della pellicola cinematografica, non solo come mezzo di

documentazione, ma soprattutto come strumento e oggetto da sperimentare; a dimostrazione di un

certo utilizzo della pellicola cinematografica, è interessante soffermarsi anche sul movimento

Fluxus25 che, nel 1966, realizza il programma cinematografico Fluxfilm Program, con brevi film di

22 Fondata ufficialmente a Napoli nel Maggio ’67, la C.C.I. fu poi costituita anche presso le città di Roma, Torino e Padova. La prima rassegna di cinema indipendente italiano è invece dal 2 al 7 marzo del 1968 presso il Filmstudio di Roma. Proprio per il suo carattere indipendente e decentrato rispetto alle tendenze artistiche e cinematografiche coeve, non è ben chiaro quando si chiude il periodo della C.C.I. nelle varie città italiane ma quasi tutte terminarono all’inizio degli anni Settanta, anche se alcuni film-maker continueranno a realizzare film. Cfr., Cosetta G. Saba (a cura di), Cinema Video Internet …Bologna, 2006, p. 150. 23 L’evento Arte e Cinema. Opere storiche, documenti e materali attuali 1916/1978. Proiezioni e installazioni (1978) presso Ca’ Corner della Regina vede partecipe Sambin con il film Tob & Lia (1974). Alla stessa prendono parte molti altri artisti/film-maker degli anni Settanta ma anche delle sperimentazioni dell’avanguardia. 24 Angela Madesani, Le icone fluttuanti, Mondadori, Milano, 2002, p. 67. 25 «Che cos’è Fluxus? Un raggruppamento di musicisti, [film-maker, nda] e artisti d’Europa e d’America, spesso in contatto fra loro solo per posta, a cui il festival internazionale della ‘Neuester Musik’ di Weisbaden, nel Settembre del ’62, permette di formarsi e darsi un nome. Gli animatori di allora – George Maciunas, Wolf Vostell, N. J. Paik – non si faranno mai più leaders, il gruppo resta a tutt’oggi fuori dai crassi recuperi mercantili. Fluxus è processo». Cfr., S.A., Giuseppe Chiari, Musica e insegnamento, 1974, p. 53.

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John Cavannaugh, George Brecht, John Cale, Albert Fine, Robert Watts, Pieter Vanderbeck, Wolf

Vostell, George Landow e Yoko Ono. Ciò che caratterizza questo programma sono le immagini,

particolarmente espressive, che stravolgono le abitudini della comunicazione quotidiana:

Il procedimento che il gruppo Fluxus impiega è di due tipi: raccoglie immagini

quotidiane sviluppate in sequenze non obbligate a uno svolgimento narrativo, le

distorce nel tempo accelerando o rallentando, sino a sfidare le soglie della

percezione del movimento, ogni dinamismo. Le immagini distorte e

violentemente accelerate, raccolte dentro una temporalità artificiale, inducono una

visione nuova che colpisce chi guarda.26

Questi brevi accenni alla descrizione dei film creati dal gruppo Fluxus sono importanti perché sono

dimostrativi di un certo clima cresciuto tra gli artisti di quegli anni e che presenta numerosi punti in

comune con l’artista padovano.

2.2 Il contesto cinematografico tra Padova e Venezia (1968-1977)

I film di cui parleremo, sono stati girati tra Padova e Venezia; per questo, è bene ricostruire la storia

delle due città particolarmente “al passo” con le correnti artistiche ed espressive contemporanee; e

se da un lato la città lagunare poteva contare sulla storica Biennale (di Arte, Musica e Cinema), su

gallerie quali quella del Cavallino, sul Peggy Guggenheim Museum e sui numerosi artisti

insediatisi, dall’altra Padova aveva la sua antica università.

Nel catalogo della mostra Una generazione intermedia. Percorsi artistici a Venezia negli anni ‘70

(2007), Carlo Montanaro ci dà una fotografia del contesto veneziano e del suo rapporto con l’arte

filmica dicendoci che Venezia non solo era la più cinematografica tra le città non tradizionalmente

sedi di stabilimenti cinematografici,27 ma anche che negli anni Settanta vi erano numerose

organizzazioni e cinema che permettevano un’enorme diffusione filmica, commerciale e

sperimentale. Secondo la ricerca contenuta nel volumetto L’altro schermo, libro bianco sui

Cineclub, le sale d’Essai e i punti di Diffusione Cinematografica Alternativa, uno dei primi

26 V. Fagone, L’immagine del video. Arti visuali e nuovi media elettronici, Feltrinelli, Milano, 1990. 27 Le liste messe a punto da Piero Zanotto, lo storico per eccellenza dei film prodotti a Venezia, sono solo la base di partenza per capire quanto cinema, quanta TV, quanta pubblicità ha avuto come sfondo la Serenissima. Cfr. Riccardo Caldura, Una generazione…Mestre, 2007, p. 15.

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Quaderni del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani, curato da Giovanna Grassi

(1978, Marsilio) esistevano a Venezia: il Cineclub Venezia aderente alla FEDIC28; il Cineforum

Cinema Nostro Venezia, Frari, Veneziani e Lido aderenti al CINIT29; il Nuova Cultura e il San Stae

aderenti alla FIC (Federazione Italiana Cineforum, anch’essa interessata al cinema d’autore); le sale

d’essai Accademia30, Nazionale ed Edison aderenti al FAC – che spesso ospitavano anche

proiezioni di cinema sperimentale31; il circolo “La Comune” di Venezia, centro nevralgico del

cinema più militante caratterizzato da film-maker che partono dalle loro esperienze di base per

realizzare documentari di lotta32.

È interessante costatare che l’Accademia delle Belle Arti di Venezia si apre all’insegnamento di

“Storia del Cinema” solo nel 1974 e a dirigerlo è Montanaro stesso; nel medesimo anno, la Ca’

Foscari di Venezia attiva un analogo corso la cui cattedra viene data inizialmente ad un’altra figura

importantissima di quel tempo, Giorgio Tinazzi.33 Questo dimostra che il cinema si rendeva in

quegli anni necessario nella formazione di giovani artisti; non però quello underground e lo

conferma il fatto che il giornalista e storico del cinema italiano Tinazzi non era interessato alle

sperimentazioni di quegli anni;34 egli, comunque, iniziava in quel periodo la sua carriera

accademica da pendolare tra le città di Venezia e Padova, la quale era, in quei tempi - come ricorda

Luginbhül, un altro personaggio diviso tra le due città - «una fucina»35: non solo artisticamente

(ricordiamo il famoso Gruppo N) e musicalmente (il gruppo Nuove Proposte Sonore), ma anche

rispetto al mondo cinematografico.

Nella città di provincia era molto attivo il C. U. C. (Centro Universitario Cinematografico), fondato

nel 1945 da alcuni studenti, che si era «prefisso fin dall'inizio delle proprie attività di diffondere ed

accrescere l'interesse per la cultura cinematografica, utilizzando gli strumenti audiovisivi a scopo

28 Federazione Italiana dei Cineclub, fondata nel 1949, proiettava cinema amatoriale e cinema indipendente d'autore, «ossia quelle opere di qualità, in pellicola o in video, che per formato, per durata o per scelte stilistiche e tematiche non trovano spazi adeguati d'incontro con il pubblico Cfr., http://www.fedic.it/ , visionato in data 17/06/2012. 29CINeforum Italiano, associazione che s’impegnava - e s’impegna - a diffondere il cinema d’essai Cfr., http://www.cinit.it, visionato in data 17/06/2012. 30 È presso il Cinema Accademia che Sambin vede il lungometraggio Nostra signora dei Turchi (1968), diretto ed interpretato da Carmelo Bene; non è stato possibile però risalire all’anno in cui l’opera è stata proiettata presso il Cinema. 31 Cfr, Riccardo Caldura, Una generazione…Mestre, 2007, p. 16. 32 Cfr., Simonetta Fadda, Definizione Zero, Costlan, Milano, 2005. 33Sambin conosce Giorgio Tinazzi per via dei rapporti tra le famiglie; sarà un punto di riferimento importante per Michele e sebbene egli si terrà sempre in disparte rispetto ad un certo cinema indipendente, sarà uno dei visiting professors all’UIA nel 1973, cosa che stringerà ulteriormente i contatti tra i due. 34 Cfr., Intervista di Michele Sambin, in data 22 Marzo 2012. 35 Riccardo Caldura, Una generazione intermedia…Mestre, 2007.

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educativo ed artistico»36 e che in quegl’anni proiettava tutti quei film guardando i quali «lo

spettatore cominciava ad agitarsi sulla poltroncina».37

Del C. U. C. faceva parte anche Pietro Tortolina, un cinephile che aveva da poco iniziato

l’esperienza del Cinema 1.38

All’epoca, siamo negli anni sessanta, la cultura critica italiana è ancora molto

ideologica e soprattutto molto letteraria. Giudica le storie, i contenuti, studia i film

sulle sceneggiature, non percepisce molto l’aspetto cinematografico in sé e per sé,

non parla di inquadrature e movimenti di macchina, non sa riconosce un 16

millimetri da un 35, è ancorata all’idea di cinema come succedaneo della

letteratura. Ed invece la nuova cultura cinematografica lentamente permea di sé i

cineclub, dove il dibattito classico comincia a latitare, e, se c’è, comincia

faticosamente a sottolineare aspetti propriamente cinematografici, anche se poi

finisce per insaccarsi nel dato contenutistico.

Ecco, Piero Tortolina è uno dei protagonisti di questo svecchiamento, di questa

rivoluzione. A Padova certamente, ma anche in Italia, e non è forse un caso se

qualcuno dei critici che oggi hanno sessant’anni e che sono stati protagonisti di

una svolta decisiva, Enrico Ghezzi tanto per fare un nome, riconosce in lui un

progenitore e soprattutto qualcuno che ha reso possibile vedere concretamente

quei film di cui si parlava nelle riviste francesi, inglesi, americane.

Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio del Settanta col CUC Piero Tortolina

avvia l’esperienza del Cinema 1, ovvero un cineclub che proietta due film al

giorno e tutti i giorni. Tortolina lo programma, proietta film in lingua originale, le

opere dei film-maker americani, in base ad un unico principio, che ruba ad

Alberto Arbasino: “qui si fa cinema e non opere di bene”. Che significa che si

proietta tutto ciò che piace, tutto ciò che è interessante e questo è l’unico criterio.

Piero Tortolina è il primo, in Italia, a far rivedere i film di Busby Berkeley, il

primo a dedicare il giusto spazio ai fratelli Marx e probabilmente a Jerry Lewis.39

36 http://www.unipd.it/unipdWAR/page/unipd/studenti5/it_5_15_5_P7, visionato in data 09/05/2012. 37La citazione è ripresa dal testo di Massimo Bacigalupo, 40 anni dopo. Il cinema underground italiano, in, Il cinema indipendente italiano 1964-1984 (Filmstudio, Roma, 2003) ed indica quella determinata tipologia di cinema sperimentale che, più che cinema stricto sensu, è da considerarsi oggetto artistico e come tale necessita di un pubblico molto consapevole e preparato. 38 Le caratteristiche del Cinema 1 possono essere facilmente paragonate al Filmstudio romano con l’unica differenza che il primo, essendo fondato da Tortolina, cinephile attento al cinema tutto, non proponeva esclusivamente i film underground ma tutti i film ritenuti degni di essere proiettati, dal cinema d’autore a quello indipendente, passando per i Musicals. 39 Ezio Leoni (a cura di), Luci sulla città. Padova e il cinema, Marsilio, Venezia, 2012, p. 149.

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Fa parte dell’esperienza del Cinema 1 anche un'altra associazione creatasi a Padova nel 1970, la

Cooperativa Cinema Indipendente40, voluta da Siro Luginbhül41 e Antonio Concolato; a questa

aderirà subito Sambin. È interessante notare come ognuno dei personaggi citati ha portato con sé,

nella programmazione delle proiezioni presso il Cinema 1, la propria idea di cinema e film

aiutando, come dice anche il testo appena citato, lo “svecchiamento” di una certa maniera di fare

critica cinematografica.

Il nome C. C. I. era stato sicuramente scelto per indicare l’appartenenza di tale gruppo al clima

sperimentale di quegli anni, ma non è chiaro se la C. C. I. di Padova fosse in rapporto diretto con

quella di Roma; sicuramente vi fu un personaggio, Paolo Gioli, che - incontrando spesso alla

Cooperativa Sambin, Luginbhül e gli altri esponenti – funse da collegamento tra il mondo

underground padovano e quello della capitale.

Già da questi accenni storiografici, si possono costatare i numerosi scambi che sono avvenuti non

solo tra i generi cui farà riferimento Sambin, ma anche tra le due città e tra i vari artisti e critici che

in queste risiedevano; nel prossimo capitolo saranno invece analizzate le opere filmiche di Sambin

con l’obiettivo di rilevare i debiti e le novità del suo lavoro artistico.

2.3 L’uso sperimentale dell’immagine filmica

Per analizzare i film di Sambin è importante, prima di tutto, stabilire il processo di elaborazione

cinematografica e di sonorizzazione messo in atto dall’artista.

I primi film del film-maker padovano sono realizzati in Super 8, un formato che non presenta, alla

nascita, lo spazio per la colonna sonora mentre, dal 1972, Sambin realizza i film in 16 mm, pellicola

che si differenzia dalla precedente grazie alla maggiore professionalità e al fatto che nasce già

completa dello spazio per l’inserimento del nastro audio. Le differenze nei formati utilizzati -

nonostante in alcuni casi abbiano influito sulle caratteristiche del film d’artista e nonostante il fatto

che grazie alla 16 mm Sambin abbia messo in pratica una maggiore sperimentazione dal punto di

40 La C. C. I. di Padova nasce nel 1970, e quindi successivamente all’omonima esperienza presso Napoli e Roma; nonostante questo, le due cooperative portavano avanti la stessa idea di un cinema controcorrente e sperimentale, che nasce dalle teorizzazioni delle avanguardie artistiche di primo ‘900 e prosegue attraverso la Film Makers Cooperative di New York. Per maggiori informazioni, si veda, Sirio Luginbhül e Raffaele Perrotta, Lo schermo negato. Cronache del cinema italiano non ufficiale, La centrale, Milano, 1976. 41 Il rapporto tra i due permette a Sambin di migliorare ulteriormente le conoscenze in campo cinematografico, sia dal punto di vista tecnico - l’artista collaborerà alla creazione dei due film di Luginbhül Ritratti di rose (1974) e Congiunzione astrale (1977/78, 16mm, b/n e colore, 15’) - che teorico (Luginbhül introdurrà spesso Sambin ai Festival di cinema indipendente).

16

vista visivo - hanno influito poco sul processo di sonorizzazione che, in tutte le opere di Sambin, è

avvenuto praticamente nello stesso modo.

In generale, dopo una prima fase di progettazione, Sambin impressionava la pellicola che veniva in

seguito inviata al Laboratorio Lorenzetti di Milano; dopo circa un periodo di due settimane, durante

le quali avveniva la fase di sviluppo del materiale, l’artista in analisi tornava in possesso del proprio

operato; procedeva quindi alla fase del montaggio. Fino a quando l’artista realizza i suoi film in

Super 8, egli monta la pellicola presso la casa dell’amico Mario Angi; nel caso invece del 16 mm, il

lavoro di montaggio avviene presso il Centro di Cinematografia Scientifica Didattica

dell’Università di Padova.

Dopo la fase di montaggio, sia i film realizzati in Super 8 che quelli in 16 mm venivano

nuovamente inviati a Milano per l’applicazione della banda magnetica42. Una volta rivenuto in

possesso delle pellicole, Sambin si recava nuovamente presso la casa di Mario Angi (Super 8), dove

il proiettore presentava un sistema input per l’audio; o, nel caso del 16 mm, presso il Centro di

Cinematografia.43 Qui si procedeva alla sonorizzazione ed eventuale doppiaggio.

Abbiamo già accennato al perché Sambin inizi ad utilizzare la pellicola: il suo obiettivo è dare un

tempo determinato all’immagine che, in questo modo, può più facilmente legarsi e viaggiare

all’unisono con la musica. La motivazione prevalente non è inizialmente dettata solo dalla scoperta

del mondo underground, che influirà su di lui in un secondo momento, ma è piuttosto frutto di un

forte impulso verso la musica e le arti figurative, così come della necessità di esprimersi in entrambi

gli ambiti contemporaneamente44.

Una dimostrazione del fatto che l’approccio alla pellicola avviene per motivazioni legate alla sua

poetica, e non è dettato in prima istanza dalla partecipazione al movimento underground, è data

proprio da Anamnesi (1968, Scheda 1, Schede dei film) e 1 e 2 (1969, Scheda 2, Schede dei film);

42 Sambin non disponeva di attrezzature in grado di registrare i rumori in diretta (per esempio un Nagra) perciò anche i film realizzati in formato più professionale venivano montati come pellicole mute e solo successivamente sonorizzati. 43 Al Centro di Cinematografia Didattica dell’Università di Padova non vi era un lettore per il formato Super 8 ed è questo uno dei motivi per cui Sambin è costretto, con i primi film, ad una sonorizzazione ancora molto artigianale. E’ inoltre importante constatare che in quel tempo la direttrice del Centro era Paola Robuschi, il tecnico Tullio Facchi. Durante la sonorizzazione di Blud’acqua, però, Sambin chiamerà a collaborare anche il fonico dell’ensamble Free Jazz costituito dal fratello Marco Sambin e da Francesco Bergamo, Renzo Storti. 44 «L’immagine pittorica che tempo ha? Ha il tempo della realizzazione, il tempo di uno sguardo, un tempo soggettivo dato cioè da quel che v’impiega il realizzatore oppure che vi dedica l’osservatore. La musica che tempo ha se non quello assolutamente imprescindibile del suo sviluppo, dall’istante in cui comincia all’istante in cui finisce? Per uno che voglia unire queste due forme non c’è altro modo se non far sì che la pittura si adegui alla musica e acquisisca un tempo determinato». Intervista di Michele Sambin in, Riccardo Caldura, Una generazione intermedia. Percorsi artistici a Venezia negli anni ’70, Centro Culturale Candiani, Mestre, 2007, p. 58; Cfr., anche Breve Viografia di Michele Sambin, pp. 1-3, Appendice.

17

infatti, in questi film, è evidente una forte adesione non tanto al cinema sperimentale, quanto al

cinema d’autore e alla Nouvelle Vague45.

Abbiamo già accennato alle peculiarità di questi movimenti ed è possibile riscontrare che le opere

in questione presentano proprio quelle stesse caratteristiche: l’artista è autore e regista dell’opera

(nel caso di Sambin anche esecutore della colonna sonora); i film presentano tuttavia una tipologia

di narrazione tradizionale, nonostante si possa già costatare un iniziale tentativo di destrutturazione

linguistica conforme ad alcuni film della Nouvelle Vague; gli attori non sono professionisti ma

amici o conoscenti dell’artista; è richiesta una partecipazione attiva da parte dello spettatore, che

deve tentare di comprendere il linguaggio proposto46; infine, è riscontrabile, come nei film della

Nouvelle Vague, il tentativo di catturare “il vero” della realtà contemporanea, descrivendola però

secondo il vissuto del protagonista (alter ego dell’artista).

L’avvicinamento al dato reale in Anamnesi è dato prima di tutto dal fatto che ciò che è narrato è

altamente autobiografico, in secondo luogo dalla presentazione dei personaggi, ognuno dei quali è

archetipo della categoria sociale che rappresenta. Nel film è inoltre ravvisabile una buona

consapevolezza nella tecnica del montaggio – in alcuni punti si assiste ad un collage di lunghi

frammenti di pellicola che potremmo tecnicamente accostare alla sequenza iniziale di Hiroshima

mon amour (1959, Alain Resnais) – e consta di numerose riprese en plain air tipiche della

tradizione Vague.

Già in questo film, però, si può costatare che Sambin è particolarmente attento all’aspetto simbolico

dell’immagine; in più momenti, infatti, l’obiettivo della cinepresa indugia nella cattura di alcuni

particolari, quali per esempio la lenta morte di un papavero avvicinato al fuoco della candela –

facile simbolo depressivo - o il gioco di specchi su cui compare il volto del protagonista di spalle

(tipico escamotage di molti film Vague e, in questo caso, metafora di riflessione su se stessi, Fig.,

1).

1 e 2 è tecnicamente meno complesso rispetto ad Anamnesi, sebbene si riscontri lo stesso uso

realistico della cinepresa e l’ambientazione sia letteralmente “fatta in casa”; in più, in questo film è

interessante scoprire, nelle ultime due sequenze, l’utilizzo di fotogrammi che non sono stati

impressionati da Sambin ma che sono realizzati mediante la ripresa di due foto di un giornale

politico (Fig., 3).47 Questo elemento ci porta a pensare che l’artista padovano abbia già iniziato a

45 Lo stesso percorso cinematografico lo si riscontra in un altro grande film-maker di quegl’anni, Bacigalupo, che inizia con un film più legato alla Nouvelle Vague che all’underground come Quasi una tangente (1966). 46 Sin dall’inizio, ma lo si vedrà meglio quando l’artista inizierà ad un utilizzare il video, Sambin è interessato allo stretto coinvolgimento della spettatore, il quale deve svolgere un ruolo attivo e non limitarsi alla mera contemplazione di ciò che appare proiettato. Il coinvolgimento dello spettatore sarà sempre più necessario, cosa che spingerà l’artista, dalla fine degli anni Settanta, verso l’atto performativo e, successivamente, verso il teatro. 47Sarebbe interessante approfondire da un punto di vista storico/artistico il montaggio di fotogrammi ready made all’interno dei film, che si riscontra in molti artisti di quell’epoca, passando per il film La società dello spettacolo

18

dirigersi verso una maggiore sperimentazione vicina a film come La verifica incerta (1964, Grifi e

Baruchello), composto interamente dal montaggio di pellicole hollywoodiane destinate al macero.48

La componente realistica (e in alcuni punti reale) delle prime opere, sembra rispondere alle teorie

del grande teorico del neo-realismo italiano, Cesare Zavattini49: egli ipotizzava un cinema creato da

ragazzi che, camminando per la città, avrebbero dovuto riprendere il loro intorno; se ai tempi di

Zavattini, con le cineprese utilizzate allora, era impossibile ipotizzare la realisticità di una tale

teorizzazione, questo era meno impensabile nel momento in cui Sambin realizza i suoi primi film

poiché il progresso aveva creato ormai delle macchine trasportabili (macchina da presa a mano) con

pellicole a passo ridotto, più piccole, più economiche e più sensibili alla luce.

Siamo così giunti a un gruppo di opere in cui si può parlare di un “cinema verità”

o “cinema diretto”. Come si sa queste definizioni sono nate in Francia, Canada e

Stati Uniti in relazione a opere di carattere documentaristico realizzate con una

strumentazione tecnica (16 mm) estremamente leggera e tale da consentire un

minimo di mediazione tra chi filma e la realtà filmata.50

Sebbene Sambin, nel cogliere la realtà attorno a lui, utilizzi inizialmente la pellicola Super8 - ma

questo è dettato dalla necessità di far fronte alle problematiche economiche51 e non da una scelta

poetica – vi sono due film successivi, realizzati in 16 mm per l’appunto, che rispondono ancora

meglio alla categorizzazione da un lato di cinema documentaristico – Murales (1974, Scheda 6,

Schede dei film) – dall’altro di “cinema verità” – Scala F interno 19 (1975, Scheda 7, achede dei

film).

Prima di tutto, è importante rilevare che Murales è stato commissionato da Romano Perusini a

Sambin con il chiaro intento di documentare, tra l’Ottobre e il Novembre del 1974, la

manifestazione “Libertà al Cile” sui muralistas cileni, promossa dalla Biennale di Venezia e

(1973, Guy Debord) e arrivando fina a noi con l’opera The Clock (2011) di Christian Marclay; esso potrebbe essere ricollegato alle avanguardie Cubista (primo inserimento della realtà all’interno di un quadro) e Dadaista (ripresa di un oggetto reale). 48Non è possibile sapere se Sambin, al 1969, conoscesse già i film sperimentali dei film-maker romani, ma è da supporre che non sia così, in quanto è solo dopo aver conosciuto Luginbhül (1970) che l’artista viene a contatto con i festival di cinema indipendente. 49Cfr, Cesare Zavattini, Diario Cinematografico, Neorealismo ecc., a cura di V. Forchiari e M. Argenteri, Milano, Bompani, 2002. 50 Adriano Aprà, Cinema sperimentale e mezzi di massa in Italia, in Cosetta G. Saba (a cura di), Cinema Video Internet… Bologna, 2006, p. 189. 51 La prima cinepresa nella mani di Sambin non è di sua proprietà bensì della famiglia dell’amico Mario Angi - che collabora con lui alla realizzazione dei primi due film e proprio per questo motivo è citato nei titoli di coda.

19

coordinata da Vittorio Basaglia e dallo stesso Perusini;52 nascendo il film come documento, in esso

Sambin mette in gioco un uso completamente diverso dell’immagine e del suono. Dal punto di vista

visivo, qui si consideri che il film rispecchia molto bene quanto scrive Adriano Aprà a proposito del

“cinema diretto”: «la cronaca è il materiale di base della ripresa»,53 materiale che viene

successivamente riorganizzato grazie al montaggio. Nel caso di Murales, diversamente da quanto

avviene per esempio nei film-documentari di Guido Lombardi, Anna Lajolo e Alfredo Leonardi,

non vi è presa diretta del suono, ma le opinioni di chi assiste alle azioni dei muralistas sono

comunque registrate in differita ed inserite in alcune parti del film, acquistando un «nuovo valore di

testimonianza».54

Il film Scala F int. 19 rappresenta un diverso tentativo di cogliere e riprendere la realtà: la pellicola

non è definibile un film documentale stricto sensu ma è piuttosto avvicinabile alle sperimentazioni

che negli stessi anni vedevano Grifi e Massimo Sarchielli alle prese con Anna (1972-1975). Il

confronto tra questi due film è interessante perché il secondo viene presentato alla Biennale di

Venezia nel 1975 suscitando un grande interesse; in questo contesto l’artista padovano conosce

sicuramente Anna ed è appunto nello stesso anno che Sambin realizza Scala F int. 19.

Nonostante il fatto che l’artista padovano si sia già confrontato con il nuovo medium video, il film è

realizzato interamente in pellicola e sonorizzato in un secondo momento, elemento che lo distanzia

da Anna (registrato con un VTR Akai che utilizza il nastro ¼ di pollice e poi trasferito in pellicola)

e che dimostra che non tutti i film-maker, nonostante la comparsa del nuovo medium, lasciano in

quegli anni la “vecchia” tecnologia in favore del nuovo mezzo.

Come nel caso di Anna, il film narra una realtà quotidiana ma, come accade anche all’inizio della

pellicola di Grifi (quando l’autore ha ancora a disposizione solo la cinepresa), sorge subito il

problema dell’impossibilità del protagonista di agire naturalmente di fronte alle riprese; a

dimostrazione della distanza tra girato e vita reale, vi è il dialogo al telefono del protagonista di

Scala F int. 19: ciò che si vede è una copia della realtà, non la realtà stessa; il cinema è un

fondamentale strumento che documenta l’esistenza, ma nello stesso momento in cui è messa in

moto la cinepresa, non è più possibile riprendere la realtà, ciò che vediamo è solo un suo

simulacro.55

52 Una copia di Murales è stata comprata dall’ASAC nel 1975; il film è presente nel Catalogo cineteca redatto dall’ASAC nel 2005 ma non è presente il numero di inventario di riferimento, Cfr. Michele Manigione (a cura di), ASAC strumenti. Catalogo cineteca, ASAC, Venezia, 2005. 53 Adriano Aprà, Cinema sperimentale e mezzi di massa in Italia, in Cosetta G. Saba (a cura di), Cinema Video Internet…Bologna, 2006, p. 187. 54 Ivi, p. 188. 55L’elemento meta-filmico che ricorda allo spettatore che ciò che sta vedendo è solo l’ombra della realtà, è un elemento molto caro allo stesso artista e che tornerà, anche se in modo diverso, nell’opera Looking for listening (1977) . Inoltre, l’escamotage narrativo di un film che parli di un film è utilizzato in quegli anni non solo da alcuni artisti del cinema

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Ritornando ad Anamnesi e 1 e 2 - che avevamo lasciato per tracciare un certo percorso “di verità”

nei film di Sambin - dal punto di vista tematico, essi fotografano entrambi il contesto storico in cui

vive l’artista e sono ambientati il primo nella città di Padova, il secondo a Venezia, segno

dell’avvenuta acclimatazione di Sambin nel contesto lagunare: Anamnesi, come già accennato, è

particolarmente autobiografico in quanto, nella prima parte, è rappresentata principalmente la

solitudine del protagonista (l’artista stesso) che trova pace solo nello studio o in compagnia del suo

cane, immerso nella natura;56 nella seconda parte, invece, Sambin si dedica ad una descrizione

precisa dell’umanità intorno a lui tracciandone le caratteristiche principali attraverso un originale

linguaggio la cui analisi è rimandata al quarto capitolo. 1 e 2 è invece più ideologico, e ciò è

sicuramente dettato dal diffondersi di un impegno politico, morale e civile anche nel mondo

artistico e, soprattutto, underground.

Tra il 1970 e il 1971 Sambin frequenta l’U.I.A, Università Internazionale dell’Arte, che allora aveva

la sede a Palazzo Fortuny ed era nata (nel 1970) con l’intento di creare una nuova idea d’università,

più libera e dove fosse possibile un rapporto diretto tra maestri57 e studenti. Sambin vive in stretto

contatto con illustri personaggi d’arte tra cui Mario de Luigi58 che lo porta ad indagare la pittura

astratta/informale. Queste influenze sono evidenti nei due film successivi: in Laguna (1971, Scheda

3, Schede dei film) alcuni ragazzi spargono attorno a loro sul bagnasciuga dei secchi di colore

(tecnica tipica dell’action painting ma che sicuramente ha anche qualcosa dell’immaginario della

Land Art) e, verso la fine del film, gli stessi costruiscono degli oggetti scultorei (Fig., 6). I Lampadù

(1971, Fig., 8) appartengono ad una serie di strutture che in alcuni casi assolvono una funzione

estetica e ludica; in altri casi, ne dà notizia un articolo di giornale di quello stesso anno59, dovevano

aiutare l’ossigenazione dell’acqua: grazie al braccio meccanico che si alzava e ribassava le

immobili acque lagunari venivano “smosse”.60 Gli stessi, saranno notati dal celebre artista Mark di

Suvero che in quegli anni era professore all’UIA; ciò farà sì che, nel 1972, Sambin diventerà

l’assistente dello scultore.

sperimentale, ma anche da registi d’autore e Vague, si pensi per esempio a Roma (1972, Fellini) o a Effetto notte (1973, Trouffau). 56 E che potremmo facilmente accostare ad alcune trame della Nouvelle Vague come d’altronde si può fare anche per il primo film di Bacigalupo Quasi una tangente (1966), che narra del suicidio di un giovane con il gas. 57Per avere una panoramica degli artisti e teorici che hanno fatto parte dell’UIA si veda il sito http://www.univarte.it/, visionato in data 09/05/2012. 58 Mario de Luigi è stato un pittore spazialista; questo elemento potrebbe aver influito sulla volontà di Sambin di inserire all’interno dei suoi film i quadri astratti di cui si parlerà in quanto, come sappiamo, il movimento spazialista fu il primo a teorizzare, nel famoso Manifesto del Movimento Spazialista per la Televisione (1952), la trasmissione delle nuove forme d’arte attraverso la televisione. 59S.A., Il Gazzettino, Una città tutta da usare, Febbraio 1971. 60Tra i vari oggetti scultorei, ve n’è uno chiamato Dud'acqua (1972, Fig., 7), «un grande oggetto progettato per essere integrato nel paesaggio lagunare. Sfruttando l'escursione della marea, i lunghi bracci della strutturam, per mezzo di un sistema di leve, compiono un ampio movimento modificando la forma della scultura. L'oggetto ha la doppia funzione: estetica e di segnalatore del livello della marea». Cfr., http://www.michelesambin.com/contributo/dudacqua, visionato in data 16/06/2012.

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Anche in Blud’acqua (1972, Scheda 4, Schede dei film) l’artista padovano procede all’inserimento

d’arte astratta all’interno del film (Fig., 10); in questo caso l’utilizzo che fa l’autore delle pitture non

è esclusivamente estetico ma anche concettuale e funzionale (ed è infatti il trait d’union tra le varie

sequenze d’immagini). Come nel film precedente, Sambin inserisce all’interno dei film oggetti

artistici; in questo caso le pitture sono state costruite in funzione dell’idea di sviluppo presente nel

film.

I quadri astratti all’interno di Blud’acqua traggono ispirazione dalla serie Relazioni (1970-72, Fig.,

11)61, opere pittoriche create dall’artista e caratterizzate dalla possibilità di un’interrelazione con il

pubblico; infatti, dopo aver eseguito la stesura pittorica, la superficie colorata era ritagliata in tanti

piccoli pezzi di forma regolare e, grazie all’applicazione di un magnete sotto ognuno di essi, questi

potevano essere spostati all’interno di un grande supporto metallico.

Se pensiamo che in quegli anni era molto diffusa l’idea che il pubblico diventasse partecipante

attivo degli oggetti/concetti artistici e che spesso le opere potevano e dovevano essere toccate da

parte dei visitatori; se pensiamo che pochi anni prima erano nate le correnti Optical e che una di

esse, il Gruppo N62, era molto attivo a Padova, possiamo ipotizzare che il contesto abbia influito

(ma in maniera indiretta) sulla scelta artistica di Sambin. Inoltre, il fatto che le pitture fossero

mobili, faceva sì che esse potessero mutare nel tempo e, in questo modo, andare incontro alla

ricerca di Sambin di un’arte visiva che, come la musica, avesse una durata. Nel film i ritagli

magnetici si spostano in continuazione e il processo, che ai nostri occhi appare continuo e

automatico grazie alla tecnica d’animazione denominata stop-motion63, fa sì che i colori sfumino dal

nero (assenza di colore) e, attraverso un’esasperazione di relazioni tra colori arrivino alla massima

astrazione (bianco).

Il 1970 (data della pellicola Laguna) è un anno importante perché Sambin, introdotto da Luginbhül,

inizia a partecipare alla C. C. I.; è quindi ipotizzabile che da questi anni cresca nell’artista

l’attenzione verso il cinema indipendente italiano ed oltreoceano, incoraggiato anche dall’amico

sulla via della sperimentazione; sebbene i due artisti, nel realizzare i propri film, prenderanno strade

61Uno di questi quadri è stato realizzato in occasione del concorso del 1970 presso Bevilacqua la Masa. Il quadro ha vinto il “Premio Acquisto” e probabilmente si trova ora nei magazzini di Cà Pesaro. Si veda a questo proposito il sito www.michelesambin/archivio, visionato in data 26/01/2012. 62 Nel quarto capitolo saranno approfondite le relazioni che potrebbero aver portato Sambin ad avvicinarsi alla corrente Optical, ma qui è già importante accennare al fatto che l’artista padovano era in quegli anni in contatto con Teresa Rampazzi, musicista delle N. P. S., gruppo musicale di cui ha fatto parte per un periodo (1965-1967) anche Ennio Chiggio, artista del Gruppo N. 63 Tecnica inventata già ai tempi del film Dreams that Money Can’t Buy (1947) di Hans Richter, Man Ray, Duchamp e molti altri artisti delle avanguardie europee emigrati negli Stati Uniti. L’insegnamento di Richter a New York, la cui importanza è generalmente sottovalutata, fu invece determinante per la formazione di diversi autori come ad esempio Mekas e Anger. È da quell’insegnamento che nasce nei film-maker newyorkesi l’esigenza di una riappropriazione del mezzo cinematografico e delle sue tecniche; fondamentale presa di coscienza che gli autori americani, a loro volta, trasmetteranno al cinema sperimentale italiano ed europeo.

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completamente diverse - Sirio risolverà le sue sperimentazioni attraverso un uso voyeuristico della

cinepresa - in Laguna e Blud’acqua la vicinanza al cinema sperimentale d’artista è evidente

nell’avvenuta destrutturazione di una narrazione tradizionale, in favore d’immagini che - grazie a

montaggi serrati – non significano più ciò che sono ma fanno parte di un disegno più complesso.

Questo corrobora ciò che scrive Bacigalupo:

I film sperimentali […] furono un progetto visivo, quasi figurativo e, infatti,

furono spesso distribuiti in musei d’arte contemporanea. Tutto nasceva dalla

suggestione dell’immagine, atta a rappresentare quello che si agitava nelle menti

dei film-maker, che insieme scoprivano tecniche e cose che pensavano di voler e

riuscire a dire. Ma l’impatto dell’immagine è una quantità indeterminata; un segno

significa solo nell’ambito di una sintassi. Isolato corre il rischio di essere un mero

oggetto. I film sperimentali sono in effetti oggetti, che però occupano del tempo

per svolgersi.64

Questa caratteristica che fa dei film sperimentali quasi degli oggetti che occupano del tempo per

svolgersi, è molto significativa se accostata alla poetica di Sambin e alla sua volontà di dare una

durata all’immagine pittorica; da questo momento in poi, e sempre più visibilmente, nei film di

Sambin le immagini saranno trattate come colori in un quadro di un pittore; nel caso di Laguna e

Blud’acqua è come se l’artista passasse, nella durata del film, da un linguaggio figurativo ad uno

sempre più astratto (e in un certo senso poetico) che sfocerà, in Blud’acqua ma anche in Film a

strisce (1976, Scheda 8, Schede dei film)65 di cui parleremo tra poco, nel colore più astratto per

eccellenza: il monocromo bianco.

Il fatto che Sambin indaghi l’immagine al fine di dar voce alle sue dichiarazioni di poetica, lo

inserisce in quel gruppo di artisti che si dedicano ai film senza perdere di vista la propria

provenienza; uno di questi, per esempio, è Mario Schifano con il suo film Umano non umano (16

mm e 35 mm, colore, 95’, 1969), in cui è condotta una ricerca sull’immagine dove risulta evidente

la matrice pop di riferimento. L’immagine astratta - o l’immagine figurativa utilizzata in modo

astratto - ha un valore essenziale per Sambin perché la rende più avvicinabile al suono; ancora una

volta sarà bene accennare brevemente al fatto che, se l’immagine può essere figurativa e astratta, la

sua essenza è sempre materica e quindi concreta, mentre il suono, nonostante abbia anch’esso una

64 Massimo Bacigalupo, 40 anni dopo. Il cinema underground italiano, in, Il cinema indipendente italiano 1964-1984, Filmstudio, Roma, 2003. 65www.michelesambin.com/archivio, visionato in data 30/01/2012.

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sua fisicità in forma d’onde è, per sua stessa natura, astratto; si guardi, per esempio, anche ai film di

Norman McLaren, la maggior parte dei quali presenta un rapporto tra ritmo sonoro e ritmo

dell’immagine astratta.66

Un altro elemento su cui è necessario porre l’attenzione è il nuovo ruolo che acquista Sambin

all’interno del suo film Laguna. Mentre in Anamnesi l’artista recitava il ruolo del protagonista

immedesimandosi nel ragazzo isolato dal mondo, qui lo ritroviamo in un prato mentre suona il suo

clarinetto. Ecco che l’artista inizia a rappresentare e presentare se stesso attraverso una delle azioni

che più lo caratterizzano: il suonare. Si potrebbe quasi dire che Sambin agisca una performance

assimilabile a quelle che vedremo pienamente realizzarsi dal 1976.67

Dal punto di vista tematico, entrambi i film in questione trattano il rapporto tra la natura, la città e

l’uomo, tra la laguna di Venezia e la zona industriale di Marghera che avanza prepotentemente;

indagano le possibilità dell’essere umano di far fronte alla cementificazione incombente cercando

un’alternativa al grigio materiale nella creatività degli individui che abitano l’ambiente68. Appare

chiaro che i contenuti dei film sono molto diversi da quelli delle pellicole precedenti: non vi è più

nessun discorso preciso che l’artista intenda fare, egli pone di fronte a noi delle immagini che, come

appunto colori, rimandano ad altri significati che sta allo spettatore cogliere e decifrare. Nelle

pellicole è sempre più evidente che non è importante cosa viene detto ma come viene detto, allo

stesso modo in cui non importa cosa dipinge Pollock ma come lo dipinge…. senza che questo, però,

significhi rendere completamente ermetico il proprio lavoro, come pare ad un primo sguardo in

molti film sperimentali Fluxus, o in quelli di Paolo Gioli, per citare un autore vicino a Sambin; nei

film di quest’ultimo, sebbene la narrazione tradizionale sia ormai del tutto abbandonata, vi sono

sempre un inizio, uno sviluppo ed una fine a tracciarne le linee interpretative. Come Sambin riesca a

realizzare un linguaggio astratto e allo stesso tempo fortemente comunicativo sarà spiegato nel

capitolo riguardo al rapporto tra immagine e suono perché è solo esaminando anche quest’ultima

componente che è possibile tracciare le linee interpretative dei film.

L’obiettivo dell’artista padovano, comunque, sarà sempre la ricerca di un linguaggio che sappia

comunicare altro, non è interessato ad un cinema impegnato stricto sensu 69 ma è interessato, come

66 A titolo d’esempio Dots (1940), Hen Hopi (1942), Boogie Doodle (1940). 67 Il 1976 è la data della performance Ascolto. Nel 1977 Sambin partecipa alla Settimana internazionale della performance di Bologna e al laboratorio Artisti e videotapes voluto all’ASAC da Maria Gloria Bicocchi. Cfr., R. Barilli e altri (a cura di), La performance, La nuova foglio s.p.a., Bologna, 1977 e C. G. Saba (a cura di), Arte in videotape …Milano, 2007. 68Dal punto di vista tematico, così come nella scelta delle immagini e dei suoni, è interessante confrontare Laguna con Roma (1972, Fellini); in quest’ultimo film, che si ritiene abbia molti debiti nei confronti di un certo cinema underground, la capitale negli anni Settanta viene presentata attraverso i suoi spazi naturali e industriali. 69 In questo senso egli può essere accostato a quegli artisti che negli stessi anni si dedicano al cinema spinti dalla contestazione politica, quali per esempio Barucchello, Anna e Martino Oberto, Luigi Sartri ed Enzo Mari. Cfr, Angela Madesani, Le icone…Milano, 2002, pp. 68 e 69.

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del resto molti altri artisti underground di quel periodo, a proporre un’alternativa all’uso

dell’immagine filmica tradizionale. Legittimare un’altra maniera di fare film vuol dire, in quegli

anni, impegnarsi comunque nella lotta contro l’industrializzazione e la standardizzazione della

cosiddetta settima arte. Una sfida giocata a livelli molto più alti rispetto alla semplice

controinformazione; si trattava di uno studio sulla destrutturazione e ricreazione delle immagini

filmiche al fine di proporre un’altra visione del mondo e dell’uso della pellicola rispetto a quella

presentata dal mercato del cinema. Ancora più esemplificativi di ciò sono i film Tob & Lia (1974,

Scheda 5, Schede dei film) e Film a strisce o Petit mort.

Prima di approfondire questi ultimi lavori, è bene però accennare ad altri due elementi che

riguardano i film appena analizzati: il fatto che Sambin dal 1972 in poi utilizzi la pellicola 16 mm al

posto della Super8 è importante perché indica una crescita dell’artista, che ora ha a disposizione un

mezzo più professionale; ciò si nota soprattutto nel montaggio, che è sempre più preciso e veloce70

in funzione di ciò che l’artista vuole comunicare.

Un’altra cosa da ricordare è che Sambin, dal 1972, si muoverà in un contesto molto più ampio,

nazionalmente ed internazionalmente. Questo si deve principalmente a più fattori: in primis alla

creazione della C. C. I., che lo porta a partecipare a numerose mostre in Europa71 al fianco

dell’amico Luginbhül, elemento importantissimo grazie al quale egli potrà confrontarsi con artisti

provenienti da quasi tutto il mondo; in secondo luogo, il fatto che dal 1972 al 1975 Sambin sarà

assistente di scultura e di cinema (collaborando con Tinazzi) all’UIA, gli darà la possibilità di

conoscere non solo altre grandi personalità artistiche ma, nel 1974, gli consentirà di venire a

contatto per la prima volta con il mezzo video; terzo, dal 1975 Sambin entra a far parte del gruppo

di artisti della Galleria del Cavallino e questa sarà una svolta decisiva in quanto, grazie alla galleria,

egli si rapporterà a persone che svolgono ricerche in campi simili o affini al suo.

La Galleria del Cavallino dimostrava in quel periodo una grande apertura verso la sperimentazione,

prima cinematografica e poi video; a dimostrazione di ciò, basti accennare che nel 1972, alla

galleria, era stata organizzata la proiezione dei film sperimentali di Luginbhül, Franco Vaccari,

Sambin e di molti artisti internazionali come Stan Brakhage, Andy Warhol e Stan Vanderbeek

70Il 16 mm presentava una superficie maggiore, per questo era possibile realizzare un numero maggiore di giunture rispetto alla pellicola Super 8. I montaggi, in tal nodo, risultano a volte realizzati con frammenti di pellicola fino alla lunghezza di 4 fotogrammi. 71 Si ricordino per esempio il festival “Exprmntl 5” di Knokke in Belgio dal 25 Dicembre1974 al 2 Gennaio 1975; la rassegna “Experiment Palermo ‘75” presso Palermo nel Marzo del 1975; il “23° festival internazionale del film sull’arte e di biografie d’artisti” presso Asolo tra il 31 Maggio e il 5 Giugno 1975; la “Rassegnadi films sperimentali” presso il Teatro- laboratorio di Verona nel Febbraio del 1976; la rassegna del cinema indipendente presso la Sala Multipla di Milano nel Giugno del 1976; la rassegna di cinema sperimentale “Antidogma” presso Torino nel 1976; la rassegna “cinemarge/2” dal 18 al 27 Giugno 1976 presso La Rochelle a Parigi; la rassegna sul “Cinema d’artista e film sperimentale in Italia” al Beaubourg (Pompidou, Parigi) nel 1978; la rassegna “L’occhio dell’immaginario. Il cinema sperimentale e il cinema d’artista in Italia” presso la Galleria d’Arte Moderna di Torino nel Maggio 1978; la rassegna d i “Arte e Cinema” presso la Biennale di Venezia nel Luglio del 1978.

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dimostrando una grande attenzione verso l’avanguardia cinematografica americana ed europea;

l’anno successivo, il 1973, saranno presentati, inoltre, alcuni film sperimentali di autori britannici

come Permutation (1968) dell’artista John Whitney, Stand up and be continued72 di Scott e Freude

Bartlett, My name is Oona (1969) e Take off (1972) di Gunvor Nelson e Necrology (1970) di

Standish Lawder. Sicuramente le pellicole viste in queste occasioni hanno influito sull’immaginario

di Sambin: alcuni dei film si concentrano proprio sul rapporto tra grafica e visualizzazione del

suono; mentre My name is Oona, come vedremo, ha molto in comune con Tob & Lia.73

Tob & Lia presenta un maggior grado di sperimentazione che è dato, in primo luogo, dal fatto che il

film ha una durata inferiore rispetto alle opere precedenti, segno forse che sempre di più Sambin è

interessato a dimostrare le sue ricerche sull’uso dell’immagine e del suono, sperimentando un

nuovo linguaggio e tralasciando tutto ciò che è pura cornice.

Il film è costruito sul rapporto tra due diversi cuccioli: la relazione tra i due (che nella realtà non si

sono mai visti) è realizzata attraverso differenti escamotage: nella prima parte Sambin utilizza il

rapporto tra immagine e suono per simulare l’incontro tra il cane (Fig., 12, Cfr., Paragrafo 4.3) e la

bambina; nella seconda parte è invece attraverso la tecnica dell’esposizione multipla74 (Fig., 13) che

l’artista mette in relazione visiva il cane e Lia. La possibilità di sovra impressionare la pellicola

deriva dall’attrezzatura a disposizione di Sambin. La nuova cinepresa consente ora di far girare il

film in entrambi i versi, in avanti e indietro; ciò fa sì che il film-maker possa girare prima di tutto le

scene del cane, prendendo nota del numero di fotogrammi dedicati ad ogni sequenza; in un secondo

momento, calcoli alla mano, egli procede al girato della bambina; il risultato finale ci dà

l’impressione che i due cuccioli abbiano riso e giocato assieme durante tutto il film.

Le similitudini con My name is Oona derivano dal fatto che anche in questo film il soggetto

privilegiato è l’infanzia e, durante la visione della pellicola, si noterà che vi sono numerose

esposizioni multiple che enfatizzano la ricerca sull’immagine proponendo un linguaggio che, alla

vista, è strettamente collegato a quello dell’artista padovano nel film in analisi. Anche il rapporto tra

immagine e suono è molto particolare ma non è avvicinabile al film Tob & Lia quanto, piuttosto,

alle sperimentazioni che dal 1974 in poi Sambin attuerà anche con il video.

Film a strisce, l’ultima pellicola di cui parleremo, risente da un lato delle numerose ricerche nel

campo del video che l’artista stava svolgendo parallelamente, dall’altro della conoscenza sempre

maggiore d’artisti quali Brakhage e Michael Snow (visto per la prima volta al “Pesaro Film

72 Non sono state trovate informazioni riguardo alla data esatta di Stand up and be continued. 73 Cfr, Dino Marangon, Videotapes del Cavallino, Cavallino, Venezia, 2004. 74La tecnica dell’esposizione multipla consiste nel riavvolgere continuamente la pellicola nella chiassis della cinepresa 16mm. L’escamotage della sovrimpressione è centrale nelle sperimentazioni di molti film-maker, tra i quali si possono citare Tonino De Bernardi e Bacigalupo. Cfr., Cosetta G. Saba, Cinema Video Internet…Bologna, 2006, p. 155

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Festival” dove si è recato spesso con Luginbhül)75 che influiranno notevolmente sull’immaginario

filmico di Sambin.

Ciò che giustifica la durata così breve di questa pellicola non è solo dovuto, com’era invece per Tob

& Lia, alla maggiore concentrazione dei concetti espressi dall’artista, ma è anche motivato, ed è lo

stesso Sambin che lo dichiara,76 dal fatto che in quest’opera non è più la sperimentazione del

linguaggio ad essere il centro dell’interesse dell’artista. Il film ha piuttosto un obiettivo più estetico

ed è paragonato alla poesia; è come se, ora che il video permette una sperimentazione più scientifica

e didattica del concetto di rapporto immagine-suono, nei film il nostro artista possa lasciarsi andare

ed utilizzare il suo linguaggio in maniera più poetica.

La tecnica con cui è realizzato Film a strisce risente da un lato, come per Tob & Lia, dell’utilizzo

del formato 16 mm che permette all’autore di agire sull’effetto finale della pellicola senza che sia

necessario prima lo sviluppo; dall’altro dell’avvento del video, che consente agli artisti una più

semplice alterazione creativa dell’immagine elettronica77, e giustifica una ancor maggiore ricerca di

Sambin in questo campo. Nella pellicola in analisi la realtà è ripresa dalla cinepresa in movimento

ed è filtrata da supporti neri con diversi tipi di fenditure posti di fronte all’obiettivo. Attraverso la

sovraimpressione, il film è riavvolto e rifatto partire numerose volte; cambiando ad ogni

riavvolgimento la fessura del filtro, si ottiene «un’immagine frammentata in tante visioni

sovrapposte fino a giungere all’astrazione della pura luce»78. Sambin, in questo caso, compie un

minuzioso labor limae calcolando, dall’inizio alla fine, i singoli secondi in cui devono essere

utilizzate le singole fenditure, facendo in modo che tutto il lavoro sia prodotto prima del finale

sviluppo. Il montaggio è in macchina, segno che ormai ci si sta abituando al mezzo video e ad un

uso più immediato dell’immagine in movimento.

Un’altra motivazione del fatto che Sambin si concentra ora, con maggiore attenzione, sulla

sperimentazione di nuovi modi di ripresa potrebbe essere dovuto, come già accennato, anche

all’influenza degli esponenti del N. A. C.. In particolare, è interessante confrontare Film a strisce

con Mothlight (BoPet, B/N, 4’, 1962) di Brakhage, in cui l’artista non utilizza la camera, ma preme

ali di farfalle, petali di fiori e fili d’erba tra due strisce della particolare pellicola utilizzata,

facendole successivamente passare sotto una stampante ottica. Nonostante la tecnica utilizzata si

distacchi completamente da quella di Sambin, l’effetto che si crea in Mothlight è pittorico/astratto,

molto vicino a quello che si crea in Film a strisce (Fig., 18, 19) e che sarà sviluppato anche

attraverso il video in opere quali 100’’ per… (1976, non a caso dello stesso anno) e Sax soprano 75 Cfr., Intervista di Michele Sambin, in data 22 Marzo 2012. 76 Ibidem. 77 Cfr. Alessando Amaducci, Il video. L’immagine elettronica creativa, Lindau, Torino, 1997 per ulteriori informazioni riguardo la possibilità di alterazione dell’immagine elettronica. 78Cfr., www.michelesambin.com/archivio, visionato in data 30/01/2012.

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due (1979). Si confronti invece l’effetto visivo derivato dall’apposizione di filtri neri di fronte

all’obiettivo in Film a strisce con i fotogrammi iniziali di La Region Centrale (1971) di Michael

Snow: si scoprirà che essi sono realizzati con la stessa tecnica.

Abbiamo più sopra citato una frase di Sambin che parla delle visioni sovrapposte nel film al fine di

tendere all’«astrazione di pura luce»79; questa sua stessa indicazione non fa che corroborare l’idea

che nei suoi film sia importantissimo un utilizzo astratto del materiale filmico, il quale è indagato

come sema da cui, insieme alla musica, sarà possibile successivamente creare un nuovo lessico. In

particolare, in questo caso, diversamente dai precedenti, tutto il film pone l’accento sulla

sperimentazione di una tecnica che potremmo definire pittorica in quanto sullo schermo le linee

create dai filtri posti di fronte all’obiettivo, sembrano vere e proprie pennellate che, diventando

sempre più frequenti, finiscono appunto per dissolversi in pura luce.

Il bianco80 monocromo alla fine del film sembra ricondurci a due ricerche che si stavano svolgendo

in quegli anni, molto collegate tra loro: da un lato vi sono i monocromi blu di Yves Klein (fine anni

Cinquanta, inizio anni Sessanta) che suggeriranno a Manzoni i suoi Achromes (1958), tele di colore

bianco o piuttosto tele incolore; dall’altro vi è il film di Nam June Paik intitolato Zen for film

(1964/65), sicuramente ispiratosi anche ai monocromi di Klein, che propone ventitré minuti di

pellicola bianca di fronte alla quale lo spettatore è invitato alla meditazione.

Sicuramente il senso del film di Paik si distanzia nettamente da quello di Sambin, ne dà prova il

fatto che quest’ultimo non si è mai avvicinato al mondo orientale e all’estetica del vuoto come

invece fanno l’artista coreano e quello francese; dall’altro lato il monocromo bianco di Sambin non

è avvicinabile neppure agli Achromes manzoniani poiché per l’artista padovano il bianco è ancora

un colore e non assume la dimensione concettuale che gli è data dall’artista milanese.

Il fatto che vi sia una ripetitività del bianco nei lavori di alcuni film-maker non può però che

confermare il debito di molti film sperimentali verso le arti più tradizionali; in più, può farci pensare

al clima vissuto da Sambin in quegli anni e alle influenze, anche forse inconsapevoli, che l’hanno

portato ad elaborare la sua poetica. Dall’altro lato, l’associazione particolare fatta dall’artista in

analisi tra il bianco della pellicola e il suono, ci porta a conferma che egli, seppur assorbendo il

clima artistico a lui contemporaneo, saprà sempre elaborare un proprio personale discorso; nel

quarto capitolo, vedremo il significato attribuito al bianco da parte di Sambin.

79Cfr., www.michelesambin.com/archivio, visionato in data 30/01/2012. 80Si veda anche il significato del bianco negli artisti astratti delle avanguardie. Nel volume di Jolanda Nigro Covres, la studiosa affronta il valore simbolico dei colori e si sofferma in modo particolare sul colore in questione. E’ anche interessante notare che, nello stesso volume, si giustifica l’affacciarsi di molti autori all’astrattismo con il loro interesse nei confronti della musica. Cfr., Jolanda Nigro Covres, Astrattismo, Federico Motta Editore, Milano, 2002.

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3. La sperimentazione del video

3.1 Ricostruzione del contesto storico video; dal 1974 al 1982

Abbiamo già accennato al momento in cui Michele Sambin entra in contatto per la prima volta con

il mezzo video: nell’ambito della sua permanenza all’UIA, precisamente nel 1974, l’artista è

mandato da Giuseppe Mazzariol a Milano a comprare il mezzo di registrazione audio e video Akai

(con nastro ¼ di pollice, quindi delle stesse dimensioni di quello audio). Sicuramente però,

nonostante il primo video di Sambin risalga appunto al 1974, egli era già a conoscenza della

diffusione di questo mezzo, complice per prima la Galleria del Cavallino, con cui egli era in

contatto già dal 1972; quell’anno, infatti, era stata realizzata la rassegna di film sperimentali che lo

vede protagonista insieme ad altri artisti/cineasti. Nel libro di Dino Marangon81 sulla Galleria del

Cavallino, Paolo Cardazzo ricorda che il nuovo mezzo, in commercio da poco, era stato comprato,

verso la fine degli anni Sessanta, con l’obiettivo di documentare le attività della galleria. Il primo

video di cui si ha notizia, creato da Paolo stesso, fu fatto in occasione della mostra “Anticipazioni

memorative” nell’estate del 1970 e consisteva in trenta minuti d’interviste degli artisti esposti (Toni

Fulgenzi, Romano Perusini, Anselmo Anselmi, Franco Costalonga e Paolo Patelli); «s’intendeva

così instaurare un nuovo e più articolato rapporto tra gli “addetti ai lavori” e il più vasto pubblico al

quale venivano così forniti tutta una serie di nuovi dati concernenti le varie fasi dei processi creativi

e la preparazione di un’esposizione»82.

Le apparecchiature nella maggior parte dei casi sono recuperate soltanto in

occasione degli eventi video, mentre l’intenzione di costruire degli archivi resta

spesso a una fase progettuale, salvo rare eccezioni. […] Al di là dell’entusiasmo

iniziale, manca la volontà di investire concretamente sul nuovo mezzo. Ci sono,

per fortuna alcune eccezioni, come nel caso della Galleria del Cavallino.83

81 Cfr, Dino Marangon, Videotapes … Venezia, 2004. 82 Ibidem, p. 16. 83 Simonetta Fadda, Definizione … Milano, 2005, p. 101.

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L’impatto iniziale del Cavallino con il video è prettamente documentale, ma la stessa Galleria non

tarderà molto ad aprirsi alla considerazione del nuovo medium come vero e proprio

oggetto/strumento artistico. Nel 1972 la 36a Biennale di Venezia, con il tema “Opera e

comportamento”, presenterà nel padiglione centrale alcuni videonastri di John Baldessarri, Joseph

Beuys, Daniel Buren. Gino de Dominicis e di molti altri artisti; nella stessa, viene presentato il

celebre Land Art (1969), trasmesso per la prima volta nel 1969 dalla rete nazionale tedesca ARD

con i lavori di land-artisti europei ed americani.84 Nel testo di presentazione della video-gallery,

Gerry Shum sottolineava che gli artisti potevano considerare ora i video-oggetti come le loro opere

proprie, in tutto e per tutto equivalenti alle pitture e alle sculture e questo, quindi, legittimava un

nuovo uso del video rispetto a quello prettamente documentativo.85 A differenza del film quindi,

che nasce come pratica a se stante e che solo in un secondo momento sarà assorbito dal mondo

artistico, la registrazione video è stata subito presa in considerazione dagli artisti ma inizialmente –

se escludiamo i decollages di Wolf Vostell, gli interventi di Nam June Paik e di altri componenti di

Fluxus attivi già agli inizi degli anni Sessanta - essa risultava utile solo a fini documentaristici (il

nuovo mezzo era uno strumento ideale in grado di eliminare quello scarto presente nella fotografia

determinato dal tempo).

La Galleria del Cavallino, dall’anno 1973 cambierà, come accennato, l’approccio al video passando

dalla pura documentazione (Cold Video86) ad una vera e propria sperimentazione del nuovo medium

(Hot Video). Secondo lo storico Marangoni, questo non è dovuto solamente all’influenza della

Biennale del ‘72, ma anche al contatto avvenuto con il cinema d’artista (ed in particolare con Sirio

Luginbhül87). Inoltre, sarà importante il rapporto che la galleria intrattenne in quello stesso anno e

nei successivi con alcune importanti istituzioni createsi attorno alla ricerca con il video: durante

l’anno 1973 avviene, infatti, l’incontro di Paolo Cardazzo con Maria Gloria Bicocchi, fautrice e

promotrice del primo centro di video arte italiana - art/tapes/22 - un laboratorio di produzione e

distribuzione di videotapes d’artista in cui sono forti la connessione, gli scambi e le esperienze con 84 «Land Art è il film realizzato da Schum e successivamente trasferito in video e poi trasmesso dalla rete televisiva Freies Berlin il 15 Aprile 1969: si tratta degli interventi artistici in spazi aperti di Dennis Oppenheim, Richard Long, Robert Smithson, Jan Dibbets, Berry Flanagan, Marinus Boezem, Michael Heizer e Walter De Maria». Cosetta G. Saba, Cinema Video Internet …Bologna, 2006, p. 59. 85 A questo proposito, è bene ricordare – e lo fa lo stesso Gerrry Shum nella presentazione della sua galleria televisiva – che vi è in Italia un uso analogo del video come documentazione artistica: la mostra “Gennaio ‘70”, apertasi a Bologna nel Marzo del 1970, consisteva infatti nella registrazione video di “azioni” svolte da altrettanti artisti (Alighiero Boetti, Pier Paolo Calzolari, Jannis Kounellis, Mario e Marisa Merz, Ugo Nespolo, Luca Patella, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini, Gianni Emilio Simonetti, Gilberto Zorio). 86Per le caratteristiche relative ad Hot Video e Cold Video, così come per la Classificazione degli impieghi del video in arte, testo redatto da Luciano Giaccari nel 1975, da cui prende spunto la catalogazione delle opere di Sambin, Cfr, Angela Madesani, Le icone … Milano, 2002, pp. 92-93. 87 A dimostrazione del rapporto tra Luginbhül e Cardazzo vi è il libro Videotapes. Arte, tecnica e storia, (Mastrogiacomo, Padova, 1980) redatto a due mani dagli stessi.

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quanto avveniva in Europa, negli Stati Uniti e in Giappone.88 Il rapporto creatosi tra le due realtà

italiane è fondamentale nella storia della video arte per vari motivi: da un lato questo consentirà a

Maria Gloria di venire a contatto con l’ambiente veneziano e con l’allora presidente della Biennale

Carlo Ripa di Meana; questo farà sì che, quando nel 1976 Art/tapes/22 sarà costretto a chiudere per

mancanza di finanziamenti, è la Biennale ad acquisire l’archivio video del centro toscano; l’anno

dopo, inoltre, lo stesso presidente nominerà la Bicocchi responsabile della promozione e

divulgazione della video arte.89

Il rapporto tra le due realtà produrrà anche un grande scambio d’opere, tra le quali è importante

ricordare che Maria Gloria comprerà Spartito per violoncello (1974-75, Scheda 1, Schede dei

video) e Echos (1976, Scheda 2, Schede dei video) di Sambin (attivo all’interno del Cavallino dal

1975). Questo, non solo indica un apprezzamento da parte di Maria Gloria nei confronti dell’artista

padovano, ma chiarisce anche perché, nel contesto laboratoriale costituitosi in un secondo momento

all’ASAC nel 197790, Maria Gloria inviterà a parteciparvi anche Sambin. Il rapporto creatosi91

consentirà, quindi, un enorme scambio d’informazioni tecniche e approcci al mezzo video; come

succederà anche presso art/tapes/22; inoltre, occorre tenere presente che l’approccio verso il

videotape vedrà frequentemente la collaborazione e lo scambio tra gli artisti ma anche tra tecnici e

artisti, sempre e comunque nel rispetto delle singole individualità; a titolo d’esempio, basti citare

Andrea Varisco, il tecnico del Cavallino e Bill Viola, che inizierà la sua carriera artistica proprio

grazie all’esperienza presso Art/tapes/22.

Indirizzati verso la sperimentazione del nuovo medium, gli artisti del Cavallino avranno, negli anni,

plurime occasioni d’incontro con altre realtà, italiane e straniere; questo farà sì che, all’interno delle

opere, siano visibili numerosi influssi e idee, analizzando le quali non sempre è individuabile un

debito preciso, ma piuttosto si riscontreranno molte tematiche che si può pensare fossero “nell’aria”

in quel tempo. Tra le varie istituzioni con cui è in contatto Paolo Cardazzo, ricordiamo sin da ora la

partecipazione agli incontri organizzati dalla Galleria Pet Kula di Motovun, dal Museo Etnografico

di Pisino e dallo stesso Cavallino nella cittadina istriana di Motovun (Montona). A queste iniziative,

88 Tra i numerosi artisti che presero parte al laboratorio sperimentale ricordiamo Ketty La Rocca, Vito Acconci, Vincenzo Agnetti, Joseph Beuys, Allan Kaprow, Jannis Kounellis, Cherlemagne Palestine, Bill Viola, Giuseppe Chiari, Gino De Domincis, Marina Abramovic e molti altri. Cfr, M. G. Bicocchi, Tra Firenze e Santa Teresa, dentro le quinte dell’arte. Art/Tapes/22, Cavallino, Venezia, 2003. 89Cfr, Ibidem. 90 Si tratta del laboratorio “Artisti e VideoTape” a cui Sambin partecipa con l’opera Looking for listening (1977) il cui studio sarà approfondito nella seconda parte. 91 A rimarcare il rapporto tra le due istituzioni vi è anche il fatto che esse parteciperanno assieme ad “Arte Fiera” a Bologna nel 1975.

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che saranno progettate annualmente dal 197492, parteciperà anche Sambin (nel 1976) e vedremo in

seguito le opere che questi produrrà in quell’occasione.

La Galleria, già notissima per l’intensa attività collezionistica del padre di Carlo Cardazzo, ha un

ruolo sempre più rilevante nel contesto video artistico grazie agli stretti rapporti intrattenuti con le

altre realtà e grazie al fatto di essere uno dei primi e pochi centri di video arte in Italia; ciò farà sì

che gli artisti, anche singolarmente, prendano parte ai molti incontri organizzati attorno alla

tematica del video. Nel 1975 Michele Sambin partecipa, come artista del Cavallino, al terzo

incontro internazionale del video organizzato dal Cayc (Centro de Arte y Comunicaciò di Buenos

Aires) e da Lola Bonora a Ferrara, così come le sue opere saranno inviate ai successivi incontri ad

Anversa (il quinto, 1976) organizzato con la collaborazione dell’I.C.C. (International Cultureel

Centrum) e a Barcellona (il sesto, 1977) organizzato in collaborazione con la Fundaciò Joan Mirò.

I numerosi incontri elencati finora sono molto importanti perché ci danno un’idea in primis

dell’interesse suscitato dalla video arte in quegli anni, la quale si diffonde non solo negli Stati Uniti,

in Giappone e in Europa, ma anche in Sud America; dall’altro lato, questo ciclo d’incontri mette in

luce un’altra città italiana che deve essere tenuta in considerazione per tracciare la storia del video

in Italia, nonché quella dello stesso Sambin: Ferrara. Grazie alla direzione di Lola Bonora con la

collaborazione di Carlo Ansaloni, nella città emiliana viene fondato il Centro di Video Arte presso

la Galleria Civica d’Arte Moderna di Palazzo dei Diamanti, che vede la sua nascita nel 1971, circa

negli stessi anni rispetto ad art/tapes/22 (1972) e a quando il Cavallino inizia ad interessarsi di

video; il centro è caratterizzato, come gli altri due, da un intenso dialogo e scambio d’idee e

valutazioni tra gli artisti, gli organizzatori, i critici e gli specialisti. Ciò che però rende singolare

l’esperienza ferrarese, è che è stata l’unica struttura pubblica italiana dedicata alla produzione

video; essa, inoltre, non viene inizialmente creata con lo scopo di fare video arte – cosa che avviene

successivamente e che farà dimenticare le complesse aspirazioni iniziali - ma piuttosto dalla volontà

della Regione Emilia di dare il via ad una televisione alternativa al monopolio di Stato, prodotta dal

basso, dai cittadini e dai gruppi della società civile.

Nel 1977, Sambin si presenta con un’opera performativa presso la Galleria Comunale d’Arte

Moderna di Bologna che aveva, sotto la cura di Renato Barilli, organizzato “La settimana della

performance”. Autoritratto per quattro camere e quattro voci (1977), se confrontiamo il catalogo

dell’evento93, risulta essere una delle poche performances in cui si fa uso del video all’interno della

settimana; insieme con essa troviamo Two and tow – terra/aria/fuoco/acqua (1977, Fabrizio Plessi 92 Dopo l’incontro a Motovun nel 1974 si decide di creare questo tipo di laboratorio annualmente, come infatti avviene fino al 1976; a partire dal 1977, invece, fino al 1980, il laboratorio si sposta presso la galleria del Cavallino che, interrotto il normale ritmo delle esposizioni, dedica un mese all’anno (Febbraio) alla produzione di videotape d’artista, adattando le sale della galleria a laboratorio televisivo. 93 Cfr., R. Barilli e altri (a cura di), La performance … Bologna, 1977.

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e Christina Kubisch), dove, però, i performer sono solo intravvisti attraverso una finta grata di legno

e sono i monitor a mostrarne l’azione in diretta. È interessante notare, invece, che l’uso del mezzo

audiovisivo funge piuttosto, all’interno delle perfomances, come documento dei dibattiti del

C.E.A.C.94 o come materiale di documentazione in Uno spettro si aggira per l’Europa (1977, Mario

Capponi, Francesco Colonnelli, Massimo Ventura). Infine, troviamo il video in forma

d’installazione95, dove è il pubblico ad assumere il ruolo performativo.

Arrivati a questo punto, sembra interessante costatare che, negli stessi anni e in diverse città

italiane, l’approccio verso il video avviene sempre in una situazione laboratoriale, di

sperimentazione, di collaborazione e di scambio, non solo all’interno dei vari centri, ma anche tra i

centri stessi. Questo elemento ha sicuramente le sue radici nel momento storico in cui nasce, il

quale presenta, sia dal punto di vista artistico che sociale e culturale, un forte connotato ideologico e

politico volto alla solidarietà di un gruppo contro il sistema capitalistico e la famosa società dello

spettacolo.

Il fenomeno video, però, appare complesso in quanto, come abbiamo visto e vedremo ancora

analizzando le opere di Sambin, è trasversale alle correnti artistiche createsi in quegli anni e sfugge

a qualsiasi tentativo di classificazione; la video arte non può essere definita una corrente giacché è

utilizzata da artisti provenienti dai più diversi ambiti artistici; ma è proprio questa sua specificità

che la rende così interessante e meritevole di essere riconosciuta come un capitolo importante della

storia non solo internazionale ma anche italiana.

Il video dovrebbe essere considerato il mezzo più rappresentativo del particolare momento storico

che sono gli anni Settanta non solo perché, come abbiamo visto, è il più internazionale dei media di

quegli anni, ma anche perché esso seppe rispondere a plurime richieste: prima di tutto esso arriva in

un momento in cui si assiste alla completa destrutturazione di un’idea di arte tradizionalmente

intesa; infatti, soprattutto dagli anni Sessanta (ma le radici del cambiamento sono da considerarsi le

Avanguardie del primo ‘900), l’arte non è più fatta di oggetti ma piuttosto di situazioni96 e di idee.

L’artista non ha più solo un dovere estetico nei confronti della realtà che lo circonda, ma è piuttosto

portatore di pensieri moderni, nuovi principi attorno a cui costruire una società che si distacchi da

quella consumistica ben rappresentata dall’arte Pop.

Se l’arte ora è fatta d’idee e di processi, il video è lo strumento che può più utilmente servire a

questo scopo grazie alla sua immediatezza, alla sua facilità d’uso, alla sua capacità di riprendere

94 Centre for Experimental Art and Communication, la performance è intitolata Contextually defined behaviour, Cfr., R. Barilli e altri (a cura di), La performance …Bologna, 1977. 95 Nell’opera ALPHAperformed (1977, Peter d’Agostino), Cfr., Ibidem. 96 Si ricordi a tal proposito l’Internazionale Situazionista e il teorico Guy Debord che porta avanti un’idea di arte ormai completamente destrutturata ma che può ancora essere utile a creare delle situazioni in cui l’autonomia del singolo possa essere rivendicata.

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azioni prolungate nel tempo; ma grazie anche alla sua natura elettrica e quindi trasmissibile via

etere. Non è un caso che molte delle teorie riguardo al video appoggiarono il famoso motto VT is

not TV97; vi era l’intenzione di creare un’alternativa alla cultura di massa e il passaggio attraverso il

tubo catodico era d’obbligo.

L’artista, ora sciamano del suo contemporaneo, si fa portavoce di cambiamento; dall’altro lato, si

pone come sperimentatore di questo cambiamento. Non è un caso che i video artisti - soprattutto

negli Stati Uniti perché finanziati dalle stesse industrie produttrici - non solo hanno fatto ricerche

artistiche attraverso la tecnologia ma, dall’altro lato, hanno fatto ricerche tecnologiche attraverso

l’arte; in questo modo, hanno contribuito ad aprire le porte ad un uso più massificato del nuovo

medium che ha necessariamente portato, infine, alla dissoluzione di quella prima fase archeologica

del video. Il video-tape è diventato, dagli anni Ottanta, un mezzo “a portata di mano” e sicuramente

ciò è avvenuto anche grazie ai laboratori di artisti che sperimentavano il medium e ne diffondevano

il funzionamento negli anni Settanta. Questo ci porta a fare una riflessione sul ruolo pioneristico che

hanno avuto i videoartisti nell’indagare il nuovo mezzo, nonché sul ruolo didattico che questi

laboratori spesso si sono attribuiti e che potremo costatare anche nelle opere di Sambin.

Se confrontiamo la storia della video arte con quella di un’altra “grande dimenticata” dell’arte

contemporanea, la Net.Art, possiamo confrontare ciò che abbiamo appena detto con quanto

teorizzato da Natalie Bookchin e Alexei Shulgin nel documento/manifesto Introduction to net.art

(1994-1999) 98; già nel presentare i punti programmatici della nuova corrente, è possibile costatare

che il testo ha uno stile didattico, al fine di «rompere le discipline autonome e le classificazioni

fuori moda imposte da varie pratiche artistiche»99 coinvolgendo un più ampio pubblico possibile.

Un altro punto fondamentale del manifesto mette in risalto il fatto che, una volta diffusasi

capillarmente la Net.Art, si assisterà naturalmente alla nascita di artigiani del web, con la

conseguente morte della corrente che aveva aperto le porte al cambiamento.

Da quanto è possibile costatare, e se siamo d’accordo che video-art e Net.Art si basano sugli stessi

principi e hanno una storia molto simile, è chiaro che uno dei motivi per cui, agli inizi degli anni

Ottanta, sono venuti meno i laboratori sperimentali nati nel decennio precedente, è dovuto al fatto

che è stato diffuso il suo utilizzo anche e soprattutto ad ambiti extra-artistici. Sandra Lischi dichiara

97 Lo slogan significativo VT is not TV (il videotape non è la televisione) è utilizzato per la prima volta nel 1977 durante l’inaugurazione di Documenta 6 a Kassel a cui parteciparono i più interessanti video artisti a livello mondiale. Lo slogan esprimeva in quel tempo il disappunto verso un certo utilizzo delle nuove tecnologie (viste come meri strumenti al servizio del potere capitalistico) e metteva in prima linea la video arte come alternativa ai “normali” programmi televisivi, con l’utopistico obiettivo di diffondere nelle case di ogni cittadino (sostituendosi ai programmi televisivi) forme nuove di espressione artistica che avrebbero dovuto contribuire alla rivoluzione sociale allora in atto; in questo modo si aderiva tra l’altro all’idea, allora diffusa, della democratizzazione dell’arte. 98 Cfr., http://easylife.org/netart/, Visionato in data 09/07/2012. 99 Ibidem.

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che, negli anni Ottanta, la RAI istituisce un settore dedicato alla «“Ricerca e sperimentazione

programmi”, aperto al contributo di registi cinematografici, televisivi, e teatrali, drammaturghi,

scrittori, e specificatamente dedicato all’esplorazione di una nuova “narratività” ispirata alle risorse

dell’immagine elettronica, insomma della tecnologia e dei linguaggi della televisione; anche le sedi

regionali della RAI, in quegli anni, dettero spazio a operazioni innovative»100.

La dissoluzione delle correnti più sperimentali ha fatto sì che molti degli artisti impegnati negli anni

Settanta in ambiti multidisciplinari prendano successivamente – dall’ Ottanta in poi – strade molto

diverse tra di loro, ma alcuni continueranno su percorsi molto affini alle tendenze già riscontrabili

nelle singole poetiche precedenti. Il caso di Sambin è eclatante in questo senso, in quanto la sua

arte, sempre più performativa, sfocerà dall’inizio degli anni Ottanta nel teatro.

3.2 Premesse all’uso sperimentale del video

Prima di procedere all’analisi dell’uso dell’immagine nei video di Sambin, sarà bene chiarire alcune

caratteristiche del nuovo medium che lo rendono così curioso e degno di divenire il centro delle

attenzioni dell’artista padovano: per prima cosa è necessario allontanarsi dalla facile identità

video/film e renderci conto che quando si parla di video si è di fronte ad un procedimento diverso

da quello ottico - meccanico della pellicola.

Il nastro discende piuttosto delle invenzioni della radio e della televisione ed è alla nascita di

quest’ultima che si deve la scoperta che l’immagine reale può essere trasformata in vibrazioni

elettriche di diversa intensità (prendendo quindi il nome d’immagine elettronica); esse sono

successivamente riconvertite in impulsi luminosi sullo schermo. «Non si tratta più di una

successione d’immagini statiche ma di un’incessante formazione di segnali che nascono e muoiono

alla velocità della luce e che intessono una trama di linee e punti in vibrazione costante»101.

Alla luce di ciò, si capisce quanto l’immagine elettronica sia “nuova” grazie al suo essere un «flusso

energetico: in quanto flusso non ha limite, né temporale né spaziale»102; la durata del segnale video

è virtualmente infinita (basti pensare alle telecamere di sorveglianza), caratteristica questa che lo

porterà in prima linea nel mondo dell’arte.

Le possibilità, per esempio, di rallentare o velocizzare un’azione e di manipolare l’immagine

applicando delle calamite al monitor simultaneamente alle riprese - sperimentazioni che eseguì per

100 Sandra Lischi, Il linguaggio del video, Carocci, Roma, 2007, p. 57. 101Ivi, p. 12. 102 Alessandro Amaducci, La linea, la spirale e la sfera, in S. Lischi, (a cura di), Cine ma video, ETS, Pisa, 1996, p. 66.

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esempio Nam June Paik agli inizi degli anni Sessanta – fanno sì che per Sambin il video assuma la

funzione di un block-notes dove prendere appunti e registrare le proprie idee nello stesso momento

in cui le ha; questo stream of consciousness è possibile perché ciò che viene ripreso è direttamente

mostrato sullo schermo; in più, il nastro è riscrivibile e ciò implica che esso può essere utilizzato

numerose volte senza che questo comporti un’ingente spesa di denaro.

Non si ha, in questo luogo, la pretesa di elencare tutte e quante le caratteristiche positive del nastro

elettromagnetico e, andando avanti con la lettura, sarà sicuramente possibile riscontrare ulteriori

elementi caratterizzanti.

Si ritiene importante, invece, stabilire anche alcuni aspetti “negativi” del video nel suo rapporto con

la pellicola: negli anni Settanta la definizione del supporto magnetico è ancora molto bassa,

l’immagine è in bianco e nero (è solo dal 1977 che comparirà in Italia il video a colori) ed è

impossibile il montaggio.

Questi elementi fanno sì che in campo artistico – e per Sambin in particolare – il video venga, come

già detto, considerato prima di tutto un mezzo di documentazione e poi, quando s’inizia a

considerarlo un medium artistico, non sia utilizzato esteticamente ma piuttosto come uno strumento

alle dipendenze del concettuale: un nuovo luogo che consente all’artista di fermare alcuni concetti e

di diffonderli con un più ampio raggio d’azione.

Ciò che a noi interessa ai fini di questa tesi è anche sottolineare che il video subisce lo stesso

processo del nastro audio; infatti, già dagli anni Trenta del ‘900 si era trovato il modo di trasformare

il suono in impulsi elettrici che successivamente venivano “congelati” su nastro103. Con la nascita

del video, finalmente, immagine e suono possono essere registrati contemporaneamente e “incisi”

sullo stesso supporto, subendo entrambi lo stesso tipo di trasformazione.

3.3 L’uso sperimentale del video; alcune questioni tecniche sulle opere video di Michele Sambin

Nell’analizzare le opere video di Sambin, è qui venuto il momento di elencare le diverse tipologie

di supporti magnetici utilizzati dall’artista; questo è importante non solo per tracciare il percorso del

video-maker ma anche per rispondere all’esigenza di riordino delle opere video degli anni Settanta,

il cui restauro, catalogazione e aggiornamento di formato spesso non hanno ricevuto, ad oggi, una

cura adeguata.104

103 Cfr, Sirio Luginbuhl e Paolo Cardazzo, Videotapes. Arte, tecnica e storia..Mastrogiacomo, Padova, 1980, p. 13. 104 Questo argomento è trattato più dettagliatamente nella seconda parte di questa tesi; ad ogni modo, si tenga presente che il materiale che costituisce il nastro magnetico è soggetto ad un veloce degrado e, se non si procede

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Il primo registratore video con cui ha a che fare Sambin nel 1974, e con lui molti altri artisti tra i

quali Grifi, è un Akai con nastro ¼ di pollice105; sarà interessante notare che la dimensione del

nastro video è identica a quella dell’audio che l’artista utilizzava già per le registrazioni dei suoi

pezzi musicali. Possiamo immaginare lo stupore di Sambin nell’avere per la prima volta, e con lo

stesso supporto, non solo la registrazione dei suoni ma anche quella delle immagini.

Il ¼ di pollice però, com’è chiaro dalle schede delle opere, è subito abbandonato in quanto Sambin

entra in contatto con la Galleria del Cavallino, la quale gli mette a disposizione il videoregistratore

LDL 1000 della Philips e il Sony Portapack106, che utilizzano entrambi il nastro ½ pollice.

L’utilizzo di questi nuovi supporti, come vedremo, non influirà subito sulle opere di Sambin, ma

sarà necessario nel momento in cui l’artista realizzerà i suoi video-loop; infatti, solo la possibilità di

giuntare inizio e fine del nastro in un sistema di bobine aperto consente al video-maker di inventare

questa tecnica107. Questo elemento funge da spia quando, guardando i formati in cui si trovano a

volte le opere di Sambin – Sax soprano due (1980, Scheda 9, Schede dei video) per esempio -

noteremo che alcuni video realizzati con il loop risultano in formato U-Matic: paradossalmente,

anche se più recente, il sistema U-Matic non consente l’apertura della bobina, trovandosi il nastro

già chiuso all’interno di una cassetta. Questo ci porta a costatare che il ½ pollice, nel caso del loop,

ha una funzione solo strumentale mentre l’U-Matic viene utilizzato al fine di documentare il

processo live. Nel catalogare i video, quindi, sarà necessario fare attenzione a non dare per scontato

il formato originario del tape al fine di catalogare con esattezza quanto abbiamo di fronte. Sax

soprano due, così come tutte le opere in loop, è stata creata con il ½ pollice ed è stata registrata

attraverso l’U-Matic.

Una volta chiarito quest’aspetto, è necessario tenere presente anche che:

[…] i video d’artista che circolano in Italia in quel periodo sono per lo più

documentazioni di eventi, di performances, di mostre, oppure ricostruzioni in

video di lavoro tecnico alla base dell’opera dei vari artisti e videointerviste: più

che l’interesse a realizzare con il video opere in sé autonome, concepite per il

video e possibili unicamente per mezzo del video e del suo linguaggio, prevale

l’intento didattico […].

all’aggiornamento del supporto (digitalizzazione), si rischia di perdere la passibilità di visionare quanto realizzato negli anni Settanta. Cfr., Cap. 9. 105 La giapponese Akai sviluppò nel 1967 un sistema su nastro magnetico da 1/4 di pollice, a bobina aperta, dotato anche di una telecamera portatile, per il mercato allora nascente del video domestico. Questo sistema, chiamato semplicemente 1/4 pollice Akai, era dotato di alcuni opzioni, come un monitor staccabile e un modulatore RF per riprodurre il video direttamente su un televisore. 106 Crf., Dino Marangon, Videotapes … Venezia, 2004. 107 A questo proposito, si veda p. 44.

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[…] Così, la carenza di mezzi, la mancanza di un sostegno economico e

istituzionale per la ricerca e la difficoltà di organizzare un circuito per la

distribuzione e la visione dei lavori in video, concorrono tutti a penalizzare un uso

consapevole e maturo del dispositivo elettronico. Nell’Italia degli anni Settanta, il

video è vissuto e trattato come una moda, effimera per definizione, più che come

un mezzo linguistico ricco di potenzialità espressive ancora da individuare.108

Quanto scrive Simonetta Fadda, fa riferimento alla poca attenzione da parte della critica rispetto ai

lavori video italiani; questo è uno dei motivi che ha portato, per molto tempo, alla disattenzione nei

confronti di una giusta conservazione e preservazione dei lavori audiovisivi. Nell’analizzare i video,

quindi, sarà necessario ricostruire non solo il formato dell’originale, ma anche la funzione che

aveva il nastro all’interno dell’opera stessa: in alcuni casi, noteremo che manca la documentazione

video di alcune performances (Ascolto, 1976); al contrario, alcune performances realizzate alla

Galleria del Cavallino sono state documentate ma non sono considerate dagli autori opere video

stricto sensu e non appartengono quindi alla loro videografia109; in molti altri casi il video non

funge solo da documento di azioni performative, ma è un elemento costitutivo dell’opera stessa. Un

esempio di quest’ultimo utilizzo è Autoritratto per quattro camere e quattro voci (1977, Scheda 8,

Schede dei video), della quale non rimangono che le foto del catalogo110 (Figg., 41-47) ; un nastro

magnetico con la realizzazione dell’audio (che non è stato realizzato in performance ma che è stato

ascoltato dal pubblico in quell’occasione); le foto da monitor (Fig., 40); e l’opera grafica di Sambin,

la stessa che era stata inviata dall’artista a Barilli prima della Settimana per presentare il suo

progetto (Figg., 34-39)111. In questo caso, è stato necessario, quindi, confrontare il materiale a

disposizione per ricostruire ciò che è avvenuto, ma rimane chiaro che l’atto performativo così

com’è stato resta solo nella memoria degli spettatori che l’hanno vissuto. Un altro elemento che è

stato essenziale, per ricostruire la storia dei video, è stato il metodo dell’intervista di cui parleremo

più dettagliatamente nella seconda parte di questa tesi, ma che ha permesso di chiarire molte

incertezze riguardo alla natura delle opere e al ruolo che in esse ha giocato il tape.

3.4 I diversi approcci al supporto video nelle opere di Michele Sambin

108 Simonetta Fadda, Definizione … Milano, 2005, pp. 98-99. 109 Si veda per esempio Il suono ci circonda (1976). 110 R. Barilli e altri (a cura di), La performance …Bologna, 1977. 111 Cfr., Scheda 8, in Schede dei Video, Appendice.

39

Le caratteristiche del video che abbiamo elencato, suscitano in Sambin un’esplorazione più diretta

verso la relazione visiva - uditiva ed è quindi difficile fare un’analisi che guardi esclusivamente

all’immagine tralasciando il sonoro com’è stato fatto per i film sperimentali di Sambin; per questo,

nel presente capitolo, ci si limiterà a identificare l’uso che Sambin fa del nuovo mezzo tralasciando

un’indagine più approfondita che sarà realizzata solo nel quarto capitolo.

Il primo video di Sambin è Spartito per violoncello, realizzato tra il 1974 e il 1975; l’opera così

come oggi ci appare, consta di due diversi momenti che dimostrano due diversi approcci dell’artista

nei confronti del nuovo medium: il video sul monitor all’interno dell’opera è frutto di una vera e

propria sperimentazione del risultato visivo dell’immagine ripresa dalla telecamera, è del 1974 ed è

considerabile un hot video in quanto è lo stesso artista a riprendere ciò che vediamo (Akai; 1/4

pollice); il video complessivo che racchiude il precedente, invece, è piuttosto definibile come

documentazione dell’azione che Sambin svolge all’interno della Galleria del Cavallino, un cold

video, in quanto le riprese non sono state effettuate da Sambin ma da Paolo Cardazzo (european

standard; 1/2 pollice). Questo elemento chiarisce ancora una volta che gli approcci verso questo

mezzo risultano molto eterogenei; inoltre, se guardiamo il video del 1974 con più attenzione, ci

rendiamo conto che il trattamento dell’immagine è sin dall’inizio diverso da quello effettuato con la

pellicola.

L’uso di questo medium, grazie anche alla sua immediatezza, suscita subito nell’artista la volontà di

sperimentarne la resa visiva in relazione con il suono, senza quindi preoccuparsi di una buona

ripresa dei vari oggetti ma lanciandosi in un vero e proprio studio del nuovo mezzo; Sambin indaga

la restituzione sul monitor di oggetti ripresi utilizzando lo zoom, il movimento veloce della camera,

lo sfuocato e gettando alcuni di essi con forza sul tavolo, cosa che evidenzia la possibilità di

registrare simultaneamente anche il sonoro. Con questo è evidente che, se nei film dei primi anni

Settanta, nonostante l’approccio fortemente sperimentale, Sambin rimaneva ancora legato ad

un’idea tradizionale d’immagine in movimento, l’avvento del video, nuovo medium, gli consente di

rivoluzionare completamente la sua indagine e di andare incontro in maniera più definita a quelle

che sono le sue esigenze di relazione immagine-suono.

In Spartito per violoncello, è possibile notare che egli pone già l’accento sull’aspetto fortemente

sperimentale del nuovo mezzo; se consideriamo l’evoluzione della filmografia di Sambin, noteremo

che al 1974 risale Tob & Lia, il quale presenta anch’esso un approccio sperimentale della pellicola

(Murales, dello stesso anno, poiché realizzato su richiesta, non è rilevante ai fini di questo

discorso); all’anno successivo, invece, risale Scala F interno 19, opera che si distacca

completamente dalle ricerche precedenti per la dimensione “di verità” – sonora e visiva – insita in

essa. Nel 1976, a due anni dalla scoperta del video, abbiamo invece Film a strisce che, lo abbiamo

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già detto, risente, dal punto di vista dell’immagine e della tecnica, dell’influsso del video. Questo

elemento potrebbe dimostrare che Sambin, scoperta la facilità del nuovo medium e le possibilità

sperimentali insite in esso, si stia dirigendo verso il tape per le sue sperimentazioni ai confini tra

immagini e suoni e che Film a strisce potrebbe considerarsi la trasposizione poetica delle

sperimentazioni audiovisive; infatti, sappiamo che qui, Sambin, si dedica ad un lavoro artistico

stricto sensu, come lui stesso lo considera.112 Non più didattico quindi, come invece era avvenuto

nel caso dei film precedenti. Possiamo quindi pensare che sia vera l’affermazione di Sambin quando

sostiene che per lui «il video sta al cinema come il block notes sta alla tela»113. Confrontando poi gli

esercizi svolti nel contesto di Motovun (1976), potremo mettere in relazione ancora più stretta la

ricerca dell’immagine astratta, così com’è pensata in Film a strisce, e quella parallela che avveniva

nel video.

Tornando a Spartito per violoncello, abbiamo accennato al fatto che l’opera può essere definita la

video-documentazione di ciò che Sambin eseguiva al Cavallino114; ma già da questo primo lavoro è

evidente che per l’artista il nastro elettromagnetico non ha affatto solamente un valore documentale

e diviene sin da subito uno strumento essenziale alla sua poetica.

Ciò è ancora più chiaro in Echos (1976, Scheda 2, Schede dei video); anche se in questo, come nel

video precedente, è visibile Sambin suonare il violoncello, e anche se non è lo stesso artista ad

eseguire le riprese (cosa che porterebbe a definire l’opera un cold video) – il VTR non è affatto una

video-documentazione. Infatti, sotto indicazione di Sambin, Vidolin fa un uso della telecamera

molto particolare: egli riprende il soggetto eseguendo zoomate e spostamenti “a suon” di ciò che

l’artista padovano compie con il violoncello; è proprio questo elemento che fa di Echos un’opera

video stricto sensu, poiché è il come è stato fatto il video ad essere importante, è la telecamera che

suona ciò che Sambin esegue, il video è una vera e propria dichiarazione di poetica.

Lo stesso principio vale per Ascolto (1976, Scheda 7, Schede dei video), dove però l’artista appare

davanti alla telecamera privo di strumenti sonori. Il caso dell’opera appena citata risulta molto

particolare in quanto, com'è possibile costatare dalla scheda relativa al lavoro115, il titolo fa

riferimento a due diverse pratiche artistiche. Prima di tutto Sambin idea il video Ascolto e questo è

testimoniato dai disegni preparatori (Figg., 30, 31), dov’è espressamente scritto che il progetto è per

un’opera video. Successivamente però, Sambin decide di eseguire quanto effettuato di fronte al

monitor anche alla presenza del pubblico, senza l’intervento della videocamera. Il concetto delle 112 Cfr., Intervista di Michele Sambin, in data 22 Marzo 2012. 113Riccardo Caldura, Una generazione intermedia…Mestre, 2007, p. 58. 114 Nonostante questo, però, Sambin considera suo il video realizzato in collaborazione con Cardazzo in quanto le riprese dell’azione di Sambin sono l’unica prova dell’esistenza di Spartito per violoncello. Inoltre, egli sostiene che è la poca confidenza con l’allora proprietario del Cavallino a far sì che le riprese non avvengano nella forma che sarà successivamente sviluppata con particolare evidenza in Echos. 115 Cfr., Scheda 7, in Schede dei Video, Appendice; Figg., 30-33.

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due opere omonime è lo stesso, solo che questo viene dimostrato secondo due modalità diverse.

Durante la durata della performance senza pubblico, la telecamera compie una lenta zoomata sul

volto dell’artista e questo ci porta già a supporre, anche senza che l’artista lo dica espressamente

durante l’intervista, che il video non fosse esclusivamente un vezzo documentaristico.

Per quanto riguarda la performance, a documentarla rimane solo un disegno (Fig., 33) che ritrae

Sambin di fronte al pubblico; ciò che è interessante, è che non vi sono rappresentati né monitor né

telecamera, a dimostrazione che i due momenti, video e performance, sono stati concepiti come

autonomi.

A dimostrazione, invece, di un uso del video e documentale e intrinseco al funzionamento

dell’opera c’è Duo (1979, Scheda 10, Schede dei video); durante questa video-performance sono

presenti in scena due telecamere: una puntata verso il sito dove si trova Sambin, nella stessa

direzione dello sguardo del pubblico, l’altra che porge il fianco sinistro agli spettatori e inquadra

l’artista rivolto verso di essa. La prima telecamera avrà lo scopo di documentare ciò che avviene

mentre la seconda è strettamente funzionale alla creazione dell’opera in performance (Figg., 48-50).

Tornando all’anno 1976 Sambin, come già accennato, partecipa al suo primo incontro a Motovun

dove ha l’opportunità di collaborare con diversi artisti; durante il laboratorio, che ha una tematica

precisa, Identità116, Sambin non elabora solo video interessanti dal punto di vista visivo/sonoro ma,

influenzato dal contesto, produce anche brevissimi video che indagano la capacità illusionistica del

nuovo medium. In Oihcceps (1976, Scheda 3, Schede dei video) e in 100’’ per… (1976, Scheda 4,

Schede dei video) è interessante costatare come Sambin si concentri sull’ingannare lo spettatore.

Le due opere, così come il tema dell’incontro, sono molto interessanti perché riflettono sulle

peculiarità del mezzo da diverse prospettive. E’ risaputo che il video è spesso utilizzato da molti

artisti come uno specchio riflettente i corpi degli stessi e la realtà. Calzante, per certi aspetti, appare

la definizione di Rosalind Krauss, proposta nel 1976, per il particolare uso del mezzo elettronico

nella body-art (ma potremmo estendere quest’utilizzo a tutte le arti performative). Quest’ultima

considera il video come il mezzo che dà voce all’estetica del narcisismo, assumendo sovente la

funzione di specchio del corpo dell’artista e della sua identità. Scrive la Krauss:

Cosa significa dire che il medium del video è il narcisismo? […] Due sono gli

aspetti del quotidiano uso del medium utili per una discussione sul video: la

ricezione e la proiezione simultanea di un’immagine; e la psiche umana usata

come conduttore.

116 Catalogo, IV susret u motovunu – IV incontro a motovun 1976, Identitet – identità, Venezia, 1977.

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[…] Gran parte delle opere prodotte nel breve arco dell’esistenza della video arte

hanno usato il corpo umano come strumento centrale. Nel caso dei nastri è stato

per lo più il corpo dell’artista. Nel caso delle videoinstallazioni è stato di solito il

corpo dell’osservatore. Diversamente dalle altre arti visuali, il video è capace di

registrare e trasmettere nello stesso tempo, producendo un feedback istantaneo.

Dunque è come se il corpo fosse posto in mezzo a due macchine che sono

l’apertura e la chiusura di una parentesi. La prima è la telecamera; la seconda è il

monitor, che proietta l’immagine del performer con l’immediatezza di uno

specchio.117

La possibilità inoltre che, nell’attuale società mass-mediale, «il lavoro dell’artista sia pubblicato,

riprodotto e diffuso attraverso i media è diventata […] virtualmente l’unica maniera di verificare la

sua esistenza all’interno del mondo dell’arte»118. Secondo Rosalind Krauss, quindi, questi due sono

i motivi più urgenti che hanno spinto molti artisti ad avvicinarsi al video.

Forse non è un caso che il tema dell’incontro a Motovun intitoli Identità, essendo stato organizzato

nell’estate del 1976, poco dopo l’uscita dell’articolo della studiosa; il nuovo medium è visto come

strumento d’indagine sull’uomo, sul modo in cui esso si percepisce ed è percepito.

Il concetto d’identità è utilizzato in sociologia per indicare il modo in cui un individuo riconosce se

stesso, ma è anche il modo in cui le norme di un determinato gruppo consentono a ciascun

individuo di pensarsi, muoversi e relazionarsi rispetto a se medesimo. All’interno di quest’indagine,

dunque, sarà facile inserire Oihcceps, il cui titolo già rimanda al concetto di specchio; qui però non

solo si gioca sul fatto che il videotape può fungere da mezzo riflettente e di riflessione per l’artista,

ma il video si presenta ancora più complesso. La telecamera non è posta di fronte a Sambin, bensì

nella stessa direzione dello sguardo dell’artista che si specchia su un vassoio d’acqua. Il video vuole

essere una dichiarazione delle possibilità del medium, ma anche un’indagine sul concetto di realtà.

Ciò che noi pensiamo essere Sambin in carne d’ossa, altro non è che il riflesso dell’artista; così

come, nel mondo della televisione, ciò che noi pensiamo presentarsi reale, spesso è solamente puro

spettacolo.

Sambin non è l’unico artista che, nell’occasione, si confronta con l’idea del video come specchio.

Senza la pretesa di citarli tutti, si ricordino le opere Make up –Make down e Monument di Sanja

Ivekovic, Trittico e Video Immunity di Dalbor Martinis Autoidentikit e Hair Cut di Claudio

117 Rosalind Krauss, Inventario perpetuo, Mondadori, Milano, 2011, pp. 4, 5. 118 Ivi, p. 8.

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Ambrosini.119 In tutti questi video il soggetto della telecamera è l’artista stesso o uno o più artisti

presenti all’incontro; ogni opera è eseguita analizzando i diversi modi della rappresentazione del sé

o dell’altro, della singolarità e molteplicità della personalità di un individuo, attuando spesso

confronti tra la descrizione verbale e quella visiva grazie appunto alla capacità del video di

registrare contemporaneamente il visivo e il sonoro.

Il tema dell’identità però, considerato dal punto di vista matematico, può anche riferirsi ad

un’espressione in cui x=x; nel caso di Motovun, molte opere degli artisti indagano il mezzo stesso

con cui sono create realizzando una sorta di tautologia. 100’’ per… di Sambin può essere inserita,

insieme per esempio a Cut o a Discoteca di Goran Trbuljak, all’interno di questa categoria di video

particolarmente autoreferenziali. Nell’opera dell’artista padovano, egli imita il disturbo del

televisore ma, all’occhio dello spettatore, sembrerà, nei primi novantanove secondi, che la

telecamera inquadri veramente un monitor mal funzionante in un loop d’input e output. Nei due

video di Trbuljak sono sempre gli strumenti che lo compongono ad essere inquadrati e a divenire gli

oggetti e i soggetti dell’indagine; in particolare, in Discoteca, «la camera riprende il

videoregistratore e una mano che posa su di esso un disco, quasi per mettere a tema l’integrazione

tra immagine e suono»120..x inquadra x per autodefinirsi.

Un altro elemento che rende importante 100’’ per.. è da individuarsi nel fatto che l’opera non

indaga solamente l’ipotetico loop della telecamera che riprende il monitor che trasmette ciò che è

ripreso dalla telecamera; la tecnica con cui viene creato l’inganno, seppur molto semplice, risponde

magistralmente all’uso del video come medium creativo stricto sensu; infatti, come ha ben espresso

Marangoni:

Qui Sambin sembra quasi tornare alle origini del video, a quel lontano 11

Settembre 1963, allorché alla galleria Parnass di Wuppertal, con 13 televisori, 13

distorted TV sets, Nam June Paik, riuscendo tramite l’uso dei magneti a dar

origine a sequenze simultanee d’immagini indefinite, astratte, facendo in modo

che i televisori supportassero l’azione aleatoria di una creazione elettronica priva

di riferimenti reali, trasmettendo segnali e vibrazioni lontane dalle solite immagini

televisive, veniva così utilizzando per la prima volta il televisore come medium

creativo. In 100’’ per… non c’è bisogno di ricorrere ad energie esterne,

all’irradiarsi di campi magnetici […] Non senza ironia viene problematizzata la

falsa alternativa tra astrazione e referenzialità. Ma ciò che emerge sembra essere

119 Cfr, Dino Marangon, Videotapes …Venezia, 2004. 120 Ivi, pp. 49-50.

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soprattutto la possibilità di far vedere come il video possa offrire sembianze ed

emozioni nuove, immagini inedite del reale.121

Si ritorna quindi in questo caso a parlare dell’indagine dei mezzi di registrazione come strumenti

pittorici. Sambin in qualche modo si riavvicina all’idea di astratto e lo fa sia attraverso il video sia,

nello stesso anno, attraverso Film a strisce; come abbiamo detto, possiamo pensare che

quest’ultimo sia frutto degli “studi preparatori” con il video.

La tecnologia video, infatti, permette la creazione “automatica” d’immagini e

suoni, generati unicamente dalla manipolazione dei flussi d’energia senza

l’intervento della telecamera. [Woody e Steina Vasulka, Stephen Beck, Bill Etra,

Paik nda]. Dato che sia il segnale audio sia quello video si muovono sulla stessa

lunghezza d’onda, queste sperimentazioni hanno generato opere video il cui suono

elettronico e immagine “astratta” sono strettamente intrecciati.122

Benché Sambin non faccia uso di sintetizzatori, colorizzatori o elaboratori è palese che il video gli

permette di sperimentare dei risultati visivi inesplorati con la pellicola. A dimostrazione dell’intento

astratto possiamo citare una delle ultime opere dell’artista padovano, Sax soprano due (1980,

Scheda 9, Schede dei video), realizzata attraverso la tecnica del video-loop: quest’ultimo, parte

dall’idea di “tempo differito”, sviluppata anche da Dan Graham, che consisteva nell’utilizzo di due

videoregistratori a bobina aperta sui quali passava lo stesso nastro magnetico; uno dei due lettori era

poi collegato ad un monitor ed era la distanza tra i due videoregistratori o, per meglio dire, tra la

testina di registrazione del primo e quella di lettura e trasmissione del secondo, che determinava il

ritardo e permetteva a Sambin di realizzare il suo loop. La telecamera inquadrava la superficie dello

schermo e riprendeva continuamente ciò che compariva su di esso.

La tecnica del videoloop, nonostante abbia dei punti in comune con le realizzazioni di Graham, in

Sambin deve la sua origine alle sperimentazioni sonore; in particolare, il sistema non è altro che la

trasposizione sul visivo di quanto l’artista padovano faceva già con l’audio e che gli era stato

suggerito dal concerto di Terry Riley123 presso il Centro D’Arte di Padova.124

121 Dino Marangon, Videotapes … Venezia, 2004, pp. 51-52. 122 Simonetta Fadda, Definizione … Milano, 2005, p. 61. 123 Ad esempio, si prenda l’album Rainbow in curved air (1969) registrato tra il 1967 e il 1968, uscito sul mercato nel 1969. La tecnica con cui Riley compone quest’album è quella dell’overdubbing; nata negli anni Cinquanta, utilizzata da musicisti e da studi di registrazione, consiste nell’inserire una determinata serie di suoni all’interno di una session precedentemente registrata. Il passaggio successivo, che consente al musicista di eseguire le sue musiche live, è il loop. 124 Purtroppo, visionando l’archivio del Centro d’Arte di Padova, (http://www.centrodarte.it/concerti/archivio.html) non è possibile risalire all’anno né all’occasione in cui Terry Riley viene nella città patavina in quanto l’archivio fa

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Ritornando a Sax soprano due, notiamo che all’inizio compare dall’alto il volto dell’artista, tra

monitor e telecamera; dopo un determinato numero di secondi (il tempo differito) Sambin si sposta

dall’obiettivo. Rivediamo l’artista comparire nella stessa posizione ma ci accorgiamo subito che

l’immagine questa volta non è reale ma è quella emessa dal monitor verso il quale è indirizzata la

telecamera. Quasi simultaneamente ricompare l’artista “reale” leggermente spostato e questo ci dà

l’impressione che siano due Sambin ora a suonare.

Il procedimento segue per alcuni minuti e, successivamente, Sambin smette di interferire tra la

camera e lo schermo definitivamente. Suono e immagine sono così registrati e ritrasmessi nello

stesso modo ma, ogni volta che il nastro registra il suo prodotto, quest’ultimo viene iscritto con

qualità sempre inferiore; verso la fine del video noteremo che, sullo schermo, ciò che una volta era

l’immagine di Sambin mentre suonava è diventata ora una schermata di macchie bianche e nere in

movimento continuo. Se confrontiamo altri video di Sambin realizzati con la stessa tecnica,

noteremo che Sax soprano due presenta un’immagine astratta molto più definita; ciò è possibile

perché l’artista agisce sullo zoom della telecamera e aumenta il contrasto del monitor nel momento

in cui egli non compare più sullo schermo.

Considerando le ricerche sull’immagine nei video di Sambin analizzate finora, ci si sente di

criticare la generalizzazione per cui «l’auto-incapsulamento – il corpo o la psiche come proprio

ambiente – si può trovare da ogni parte nel corpus della video arte»125. Il video non è

esclusivamente il medium del narcisismo e non pone sempre al centro della sua indagine il corpo o

l’ambiente; molti artisti si avvicinano al nuovo medium per indagarne piuttosto le sue intrinseche

caratteristiche. Altri artisti - Sambin lo dichiara esplicitamente durante l’intervista – utilizzano la

propria immagine per rimarcare l’autorialità dell’opera in un momento in cui, persa ogni

concretezza dell’oggetto artistico, è molto più complesso identificarne l’autore. Altri ancora,

utilizzano il proprio corpo all’interno delle opere perché esso è lo strumento più facile e più

immediato con cui studiare le potenzialità del nuovo medium, come dicono espressamente Sambin e

Giuseppe Chiari, parlando delle sperimentazioni musicali, spesso documentate dal video o

realizzate attraverso di esso.

Ho scritto pezzi per il corpo umano come il Concerti per donna (1968) e Fare

qualcosa con il proprio corpo e il muro (1966). […] Voglio comunque subito

precisare che per me il corpo è una cosa come la altre. Io ho scritto pezzi per

riferimento solo agli anni tra il 2009 e il 2011. Sicuramente la venuta di Riley a Padova è da datarsi prima dell’evento Musica Aperta. Con i solisti dell’Orchestra da Camera Internazionale Anton Webern della Biennale di Venezia (1975) presso cui Riley viene invitato ad eseguire In C (1964 perchè a quella data Sambin conosceva già la musica del minimalista ripetitivo. 125 Rosalind Krauss, Inventario … Milano, 2011, p. 8.

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donna ma anche per bicicletta, per collana, per registratore, per televisore, per

città […].126

A dimostrazione del corpo utilizzato come strumento sonoro di fronte al video e, quindi, non solo

nella concezione narcisistica delineata dalla Krauss, vi è anche l’ultimo video realizzato all’interno

del contesto di Motovun, Un suono a testa (1976, Scheda 5, Schede dei video).

L’opera risulta interessante non solo per il suo valore artistico ma anche per il suo valore

documentale, essendo concentrata sui ritratti di quasi tutti gli artisti presenti all’incontro.127 Questa

volta l’indagine sull’individuo è svolta attraverso le tonalità musicali; spiegheremo in seguito in che

modo esso s’inserisce all’interno del linguaggio audio/visivo di Sambin, qui basti riflettere ancora

una volta sul nastro video magnetico e sul suo rapporto con il ritratto; è vero che, anche in questo

video, al centro del monitor compaiono i volti degli artisti coinvolti nell’opera, ma l’immagine è

funzionale ad un altro scopo, quello appunto musicale.

Lo stesso principio vale per Autoritratto per quattro camere e quattro voci (1977), performance

eseguita, come già accennato, durante la “Settimana internazionale della performance” presso la

Galleria Comunale di Arte Moderna a Bologna.128

Per la prima volta, in Autoritratto, Sambin presenta al pubblico un complesso sistema in cui vi sono

quattro monitor posti orizzontalmente ed in cui è trasmesso il volto di Sambin che si trova dietro

agli schermi, seduto su una sedia girevole. La catalogazione di Autoritratto risulta alquanto

complessa perché l’opera in questo caso acquisisce anche lo statuto d’installazione video, in cui i

monitor, le telecamere e alcuni cartoncini esplicativi del funzionamento, occupano uno spazio ben

determinato nella sala. In Autoritratto, gli schermi servono ad incorniciare gli aspetti più importanti

dell’esecuzione indirizzando l’occhio dello spettatore; le telecamere sono poste ai quattro punti

cardinali e puntano l’obiettivo sull’artista. Non è casuale la disposizione effettuata di monitor e

telecamere in quanto essa indica la nuova possibilità, con il video, di modificare lo spazio reale

passando simultaneamente da una realtà tridimensionale ad una bidimensionale.

Le videoinstallazioni più complesse realizzano una dialettica dello spazio-tempo

[…] L’espansione nello spazio non è un’operazione di semplice crescita

geometrica. Frank Popper, che ha lungamente studiato la “nuova dimensione

spaziale”, come si è notato, ha tenuto a mettere in rilievo queste tre caratteristiche:

1) la socialità – l’installazione non nega gli elementi diretti della comunicazione, 126 Cosetta G. Saba (a cura di), Arte in videotape …Milano, 2007, p. 146. 127 Sanja Iverkovic, Ziva Kraus, Dalibor Martins, Marijan Susovki e altri. 128 Cfr, R. Barilli (e altri), La Performance …Bologna, 1977.

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ma accresce la loro forza e li estende; 2) la realtà – la spazialità non è illusoria,

comprime e mette a nudo una dimensione estetica che è nelle immagini come

limite di un universo concreto prima ancora di essere visibile; 3) la più ampia e

complessa umanità realizzata mediante l’attivazione e la sintesi di diverse

esperienze, e dei loro corollari (polisensorialità). A tutto questo si può aggiungere

che nelle nuove disposizioni spaziali si ha una forte “messa in evidenza” del

tempo.129

L’indagine di spazio e tempo è caratteristica delle video-installazioni e Sambin, nella sua opera,

affronta entrambe le tematiche; il tempo per l’artista è un tempo a spirale, che si avvolge su se

stesso, ma non si ripete mai; in questo caso i quattro monitor registrano le azioni dell’artista per poi

continuare in loop. Gli schermi dialogano tra loro e, insieme, ricompongono il volto di Sambin da

quattro prospettive diverse. La videoinstallazione/performance ha quindi due tempi, quello

simultaneo del circuito chiuso e quello ripetitivo del loop; la possibilità di avere, in una stessa

opera, due diverse tipologie di tempo, non è nuova nella storia della video arte anzi, è un elemento

centrale in moltissimi tapes di quegli anni. Tra gli altri è interessante l’installazione a circuito

chiuso di Bruce Nauman, Video Corridors (1971) riferita alla simultaneità tra azione e visione e

Remote Control (1971) di Vito Acconci che è invece costituita da due monitor che si ripetono in

loop; quest’ultima opera è interessante anche perché presenta uno stretto dialogo tra due diversi

monitor, la stessa cosa che avviene nella video performance Duo (1979, Scheda 10, Schede dei

video) – anche se, a differenza dell’opera di Acconci, qui è presente anche il tempo simultaneo

dell’azione di fronte al pubblico – e, anche se con un obiettivo diverso, in Looking for listening

(1977).

L’impossibilità di definire Autoritratto attraverso una terminologia che consideri e l’aspetto video-

performativo e quello installativo, connessa al fatto che di quest’opera non rimangono

documentazioni audiovisive di nessun genere, ci porta a considerare una problematica che sarà

affrontata in modo approfondito nella seconda parte di questa tesi; infatti, l’opera qui analizzata,

presenta una situazione molto simile e, allo stesso tempo, inversa, rispetto a Looking for listening,

realizzata da Sambin pochi mesi dopo Bologna.

Tornando ad Autoritratto per quattro camere e quattro voci, è necessario fare accenno anche al

termine “autoritratto” utilizzato da Sambin all’interno dell’opera perché, come ben ha sintetizzato

129 V. Fagone, L’immagine del video …Milano, 1990, pp. 45-46.

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Raymond Bellour, con l’avvento del video si è passati dall’autobiografia all’autoritratto.130 In

questo caso è ben visibile, nel momento in cui l’artista si presenta alla telecamera, l’intento di

Sambin di rendere palese l’autorialità dell’opera; ma il suo viso, visto a 360°, ha anche la funzione

strumentale di dimostrare, come sempre, le potenzialità del medium e il suo interesse a fini artistici.

L’anno 1977 segna un momento importante nella storia di Sambin in quanto egli è anche chiamato

da Maria Gloria Bicocchi a partecipare al laboratorio Artisti e Videotapes presso l’ASAC; in questa

occasione egli produrrà, come appena detto, Looking for listening, che sarà analizzata in dettaglio

nella seconda parte della tesi.

130Raymond Bellour, L'autoportrait, in Anne-Marie Duguet e Raymond Bellour, «Vidéo, Communications», n°48, Paris, Éditions du Seuil, 1988, p.327-387.

49

4. Il rapporto immagine e suono come linguaggio

4.1 Accenni al contesto storico musicale tra gli anni Sessanta e Settanta

Parlare del contesto musicale131 in cui s’inserisce Sambin è molto complesso in quanto, com’è stato

per i film e la video arte, all’inizio della sua formazione non si costatano veri e propri maestri che

abbiano influenzato l’artista, sebbene vi siano stati comunque alcune personalità artistiche che

hanno influito successivamente sul suo percorso. Come abbiamo già avuto modo di costatare,

soprattutto negli anni giovanili, la dislessia che l’artista accusava non gli permetteva un facile

apprendimento attraverso i metodi d’insegnamento classici ed egli abbandona molto presto le

lezioni di pianoforte e violoncello cui i genitori lo mandano per dedicarsi a uno studio più libero e

autonomo degli strumenti. La musica, come l’arte, è sempre stata per l’artista in analisi uno dei

media attraverso i quali esprimersi.

Verso la fine degli anni Sessanta, Sambin è un attento ascoltatore di molti generi musicali,

soprattutto di quelli più sperimentali e si può costatare che, come l’arte visiva, anche la musica in

quegli stessi anni si stava aprendo alle più diverse possibilità compositive abbandonando il

linguaggio accademico per lasciare ampio spazio all’improvvisazione.

I due generi che Sambin assorbe con più attenzione inizialmente sono il Jazz e la cosiddetta Musica

Sperimentale132 che, come vedremo, discende dalle sperimentazioni di John Cage e della sua scuola

131 Per alcuni approfondimenti del rapporto di Sambin con la musica e i suoi protagonisti, si veda anche Veniero Rizzardi, Le fonti sonore, in F. Marchiori, Megaloop… Pisa, 2010. 132 Il termine musica sperimentale è usato in questo testo nell’accezione che ne dà Michael Nyman nel libro La musica sperimentale, (2011, Milano); come scrive lo stesso artista nella prefazione alla seconda edizione (la prima fu pubblicata nel 1974) «nel 1972, quella che ho battezzato “musica sperimentale” era uno sport minore, praticato generalmente in spazi non musicali di fronte ad un pubblico di discepoli attirati più dal mondo delle belle arti, della danza e del cinema che da quello della musica; era disprezzata, ignorata o usata come materiale grezzo dall’avanguardia allora dominante, e dalle istituzioni culturali che la sostenevano (tranne quando Darmstadt trovava conveniente aprire temporaneamente le sue porte all’“opposizione”). Dico “quella che ho battezzato musica sperimentale”, ma il titolo del libro e la cultura musicale che celebra sono stati in realtà decisi da altri: il saggio faceva parte di una serie di monografie pubblicate da Studio Vista su film, teatro, danza e pittura sperimentali; ma mentre gli autori degli altri volumi sono stati costretti a creare le loro definizioni di ciò che credevano essere “sperimentale” nel loro medium, John Cage aveva fortunatamente già delineato il termine in campo musicale e mi aveva offerto un “ready-made” – una definizione e una pratica estetica che mi sono messo a ridefinire, descrivere, contestualizzare, analizzare ed espandere nel mio libro». Michael Nyman, La musica sperimentale, Shake edizioni, Milano, 2011, p. 8.

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di New York (tra cui non sorprenderà ritrovare un nome già citato come quello di Paik); è inoltre

importante ricordare che lo steso Cage era stato, a sua volta, allievo dei grandi maestri della musica

d’avanguardia come Arnold Shoenberg ed Edgar Varèse che non sono indifferenti all’orecchio

attento di Sambin133.

Questi due generi musicali, sebbene all’ascolto molto distinti, hanno moltissimo in comune e sarà

bene individuarne i singoli elementi condivisi in quanto quest’ultimi sono riscontrabili anche nella

poetica di Sambin. Per prima cosa, preme sottolineare la relazione che il Jazz e la Musica

Sperimentale hanno da sempre avuto con le nuove tecnologie. Come dichiara John F. Szwed nel suo

libro

nei vari momenti della storia di questa musica [il Jazz, nda] diversi media hanno

dominato, e i mezzi attraverso i quali essa poteva essere ascoltata, ne hanno

modellate la ricezione e la comprensione.134

La dipendenza del Jazz rispetto ai nuovi media che di volta in volta sono andati perfezionandosi è

dovuta al fatto che:

nei primissimi anni il Jazz si poteva ascoltare solo suonato dal vivo nelle sale da

ballo. Più tardi, negli anni Venti, molti l’ascoltarono per la prima volta sui dischi

del fonografo, oltre che nei locali notturni. Negli anni Trenta, Quaranta, Cinquanta

le fonti primarie divennero la radio, i dischi, i film e le orchestre da ballo. […].

«I dischi sono i nostri libri di testo», disse una volta Max Roach, e anche se i

musicisti spesso si lamentano che essi restituiscono solo momenti congelati nel

tempo, non rappresentativi di una musica che in realtà va sentita dal vivo,

rimangono tuttavia le nostre cartine tornasole, i nostri punti di riferimento, la

nostra letteratura. Al contrario di quanto accade per la musica classica, per la

maggior parte del Jazz non ci sono partiture da dover esaminare, e anche quando

ci sono, il modo in cui vengono eseguite può essere molto diverso. In ogni caso, le

improvvisazioni solistiche non compaiono sugli spartiti.135

133 È interessante notare come i generi musicali che ascolta e ama Sambin sono gli stessi da cui parte un altro video-artista moto noto, Giuseppe Chiari. 134 J. F. Szwed, Jazz! Una guida completa per ascoltare e amare la musica jazz, EDT srl, Torino, 2009, p. 10. 135 Ibidem.

51

Quanto detto sul Jazz mette in luce un concetto importantissimo che, come vedremo, è alla base

anche della Musica Sperimentale: questo genere musicale non utilizza il tradizionale spartito ma

segue piuttosto un “canovaccio” che detta alcuni limiti temporali e/o melodici, lasciando un ampio

spazio all’improvvisazione; di conseguenza, ciò che risulta veramente importante rispetto al

risultato finale, è dettato dalla performance giocata nell’hic et nunc del momento, in uno stretto

rapporto con gli spettatori; una sorta di work in progress caratterizza questo tipo di musica e ciò

implica che quest’ultima non è riproducibile nello stesso identico modo nell’arco di diverse serate.

Per sopperire a questa problematica, il Jazz si è dunque servito sin dall’inizio dei nuovi media a

disposizione, dipendendo di fatto da quest’ultimi per la sua sopravvivenza e diffusione.

Le stesse caratteristiche sono riscontrabili nella Musica Contemporanea e Sperimentale. I generi in

questione – il secondo dei quali, com’è stato detto discende, dal primo - essendo particolarmente

aperti alla ricerca, presentano numerosissime differenze che vanno di pari passo con il numero di

compositori che ne hanno, di volta in volta, fatto parte; vi sono, però, degli elementi comuni, facenti

capo alle prime teorizzazioni di Cage, che rendono la Musica Contemporanea, e soprattutto quella

Sperimentale, strettamente avvicinabili al Jazz. Prendiamo ad esempio uno dei pezzi più noti e forse

più radicali del musicista americano, 4’33’’ (1952); questo brano è prova del cambiamento

significativo nei metodi e nelle funzioni della notazione introdotto dall’artista. La partitura della

composizione presenta «un’opera in tre movimenti, indicati con i numeri romani I, II, III; ogni

movimento è contrassegnato da un “TACET”».136

Da ciò deriva che, con la Musica Sperimentale:

una partitura potrebbe non “rappresentare” più i suoni per mezzo dei simboli

specifici che chiamiamo notazione musicale, simboli letti dall’esecutore che fa del

suo meglio per “riprodurre” il più accuratamente possibile i suoni che

inizialmente il compositore ha “udito” e quindi messo nero su bianco.

[…] Nel complesso, i compositori sperimentali non sono interessati a imporre un

tempo-oggetto definito i cui materiali, strutturazione e relazioni siano pre-calcolati

e pre-disposti, ma sono più stimolati dalla prospettiva di abbozzare una situazione

nella quale i suoni possano avvenire, un processo per generare un’azione (sonora

o meno) un campo delineato da certe “regole” compositive.137

136 Michael Nyman, La musica …Milano, 2011, p. 18. 137 Ivi, p. 18-19.

52

La Musica Sperimentale quindi è ugualmente legata all’improvvisazione e all’atto performativo

nonostante abbia anch’essa delle “regole compositive” cui deve sottostare; va da ciò che ogni volta

che David Tudor (e molti altri dopo di lui) ha eseguito 4’33’’, il risultato è stato diverso in base alle

reazioni degli spettatori coinvolti e, necessariamente, sarà stato essenziale l’ausilio dei media a

disposizione per congelare le singole esecuzioni.138 Come nel Jazz,

l’esecuzione di una composizione indeterminata in merito alla sua esecuzione è

necessariamente unica. Non può essere ripetuta. Quando eseguita una seconda

volta, il risultato sarà diverso. Quindi niente si ottiene con una tale performance,

in quanto non può essere afferrata come un oggetto nel tempo.139 [Cage, 1958]

Parlando di una composizione indeterminata nella sua esecuzione, Cage dice che la registrazione di

questo tipo di lavoro «ha lo stesso valore di una cartolina; fornisce la conoscenza di qualcosa che è

accaduto, mentre, invece, l’azione consisteva nella non conoscenza di qualcosa che ancora doveva

accadere».140 Sarà quindi sempre indispensabile tenere conto del valore prettamente documentale

che hanno i nuovi media nei confronti di questi generi musicali.

All’interno della composizione sperimentale, come nel Jazz, le notazioni di tempo (ma non solo)

delimitano i confini entro i quali il musicista può esprimersi liberamente; questo pone in primo

piano il processo, che nel caso del Jazz potremmo definire “istintivo” e, nel caso di Cage, è definito

“processo di scelta casuale”141.

Fino ad ora abbiamo quindi identificato molti punti in comune tra i due generi che ci aiuteranno ad

addentrarci nel mondo artistico/musicale di Sambin: in primo luogo, nonostante la difficoltà da

parte di musicisti e compositori nell’accettarlo, il progresso tecnico è stato fondamentale affinché

138 Credo che dovrebbe essere analizzata a fondo la relazione strettissima tra la scoperta del nastro audio e della radio e la scomparsa della scrittura musicale tradizionale, unico elemento quest’ultimo che faceva della musica un’arte concreta e non completamente astratta e sfuggente. La perduta necessità di scrivere su carta ciò che veniva eseguito (in quanto chiunque, ascoltando la registrazione, poteva riascoltare quanto suonato) potrebbe essere uno dei motivi che portano a teorizzare delle alternative rispetto allo spartito tradizionale, in favore di un’esecuzione più casuale o improvvisata. 139 Michael Nyman, La musica…Milano, 2011, p. 25. 140 Ibidem. 141Questo è nel caso di Cage, che utilizza l’I-Ching, un antico Libro degli Oracoli cinese, usato per rispondere alle domande sull’articolazione del suo materiale. Altri artisti utilizzano invece, sempre all’interno del processo casuale, l’elenco telefonico (Le Monte Young) o le carte mescolate (George Brecht). Si identificano però nella musica sperimentale altri tipi di processi che, come vedremo, potrebbero aver influenzato o condotto Sambin verso il suo personale metodo di composizione musicale. Esistono processi definiti “contestuali” che riguardano azioni che dipendono da condizioni imprevedibili e da variabili che nascono all’interno della continuità musicale; vi sono poi i processi che utilizzano la ripetizione insistita come mezzo per generare movimento (processi di ripetizione); altri sono i cosiddetti processi “di persone” che consentono agli esecutori di muoversi nell’ambito dei materiali dati o suggeriti, ciascuno alla propria velocità. In ultimo, la musica sperimentale prevede processi elettronici. Un buon esempio di quest’ultimo processo, tralasciando Cartridge Music (1960) di Cage, può essere Runthrogh (1970) di David Behrman, che richiede solo un’attrezzatura elettronica particolare composta da generatori e modulatori provvisti di visori, tasti e di un distributore a fotocellule che tre o quattro persone usano per improvvisare.

53

rimanesse traccia delle performances musicali eseguite di volta in volta; in secondo luogo, in

entrambi questi generi è centrale l’aspetto performativo, d’improvvisazione, giocato spesso nel

rapporto con il pubblico, l’unico vero e proprio testimone di questi eventi.

Riguardo alla Musica Sperimentale, e alla sua differenza rispetto alla Musica Contemporanea, è

interessante anche la descrizione delle opere di Giuseppe Chiari, in un articolo del 1974142;

quest’ultimo è stato uno dei maggiori esponenti italiani del Fluxus143 e promuoveva una ricerca

musicale molto vicina a quella di Cage (che aveva conosciuto grazie all’intermediario Sylvano

Bussotti):

[…] come già Cage («un compositore è solo uno che dice agli altri cosa fare»)

Chiari abbandona lo statuto tradizionale di compositore di musica per liberarsi (e

liberare gli altri) dall’alienazione del lavoro separato e gerarchico che divide

compositore/esecutore/ascoltatore. La nozione di totalità è anzitutto un atto di

rivolta sociale. Chiari lo compie buttando alle ortiche un’altra nozione, quella di

cui l’arte moderna va forse più fiera, la nozione di specificità del linguaggio. Solo

adesso i più constatano che pensare in termini di specificità non permette più di

comprendere la complessità delle trasformazioni.

[…]«La musica nuova di Shoenberg e della scuola viennese», ricorda Chiari,

«non s’interessava di Jazz, di musica popolare, né di fenomeni artistici. Mentre

noi della ‘Neuester Musik’, della musica ancora più nuova, non parlavamo

neppure di musica». I suoi concerti diventano teatro in cui «la rivoluzione della

parola contro il canto e del rumore contro il suono prende la svolta radicale contro

l’assoluto predominio dell’acustico».144

La Musica Sperimentale, quindi, va oltre alla, ormai tradizionale, Musica Contemporanea

sconfinando all’interno delle arti cosiddette visive; probabilmente questo è il motivo per cui, se

guardiamo la lista della programmazione145 degli eventi musicali della Biennale Musica146 negli

142Cfr., S.A., Giuseppe Chiari, Musica e insegnamento, 1974. 143 «L’artista smette nel 1960 di comporre e di suonare ed entra nel ’62 a far parte del gruppo Fluxus, dando inizio ad una serie interminabile di profanazioni musicali. Compiuto il gesto di rifiuto radicale, è possibile intraprendere qualsiasi tipo di intervento estetico sconfinando in pratiche artistiche che apparentemente non hanno nulla a che fare con la musica, come tenere delle conferenze sull’arte, pubblicare libri, scrivere con agili e rapidi tratti a penna, a grandi lettere di immediata e sicura lettura, brevi frasi o aforismi da appendere come tazebao ai muri delle gallerie e dei musei.». In R. Barilli e altri (a cura di), La performance…Bologna, 1978, p. 17. 144 Cfr., S.A., Giuseppe Chiari, Musica e insegnamento, 1974. 145 Cfr., http://wu8ww.labiennale.org/, visionato in data 13/06/2012. 146 Il Festival Internazionale di Musica Contemporanea fu fondato nel 1930, e fu la prima manifestazione della Biennale ad affiancare l'Esposizione d'Arte che aveva caratterizzato la Biennale sin dalle sue origini. La tradizione del Festival

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anni che vanno dal 1967 (anno in cui Sambin si stabilisce a Venezia) al 1980, possiamo notare che

il Festival Internazionale di Musica Contemporanea sarà sempre estremamente attento e aperto ai

musicisti e compositori delle prime avanguardie (Anton Webern, Schoenberg, Alban Berg, Satie,

Edgar Varese etc.)147, così come quelli del secondo dopoguerra (Luigi Nono, Karlheinz

Stockhausen, Sylvano Bussotti, Earle Brown etc.)148 mentre, d’altro canto, non sono presenti alcuni

tra i più famosi musicisti sperimentali di quegli anni149.

Si noterà che i curatori del festival non hanno pensato di invitare, per esempio, Charlotte Moorman

e Paik con la loro video-performance Tv Bra for Living Sculpture (1969) o con Chamber Music

(1969), nonostante l’importanza di questi artisti sul piano internazionale e il fatto che Paik nasca

come musicista, laureandosi alla Tokyo University con una tesi su Schoenberg e conoscendo i più

famosi compositori di quell’epoca (Cage, Stockhausen). Anche Chiari manca all’appello nei

registri; la stessa sorte tocca anche ad Ambrosini, invitato a partecipare come musicista solo dal

1979150 (dagli anni Ottanta l’artista viene invece invitato numerose volte, segno questo

dell’avvenuto riconoscimento del suo valore in campo musicale). Ambrosini stesso, in un’intervista,

dichiara:

Comunque avevo capito che era la musica che mi premeva, ma quel che venivo

componendo151 era di difficile se non impossibile assimilabilità in un contesto

musicale propriamente detto, mentre era molto ben accetto nelle gallerie d’arte,

dove si venivano sperimentando le prime performaces, la Land Art, la Body Art.

Da questo punto di vista la musica era indietro, persa in problemi tipo

negli anni ha presentato prime assolute di Stravinskij, Prokofiev, Nono e altri autori. Cfr., http://www.labiennale.org/it/musica/storia/, visionato in data 13/06/2012. 147 Cfr., http://www.labiennale.org/it/musica/storia/, visionato in data 13/06/2012. 148 Cfr., Ibidem, visionato in data 13/06/2012. 149 È presente invece Charlemagne Palestine, video-musicista americano. Il 18 e il 19 ottobre 1976 egli interpreta tre dei suoi brani performativi Concerto for Body and Music, Concerto per pianoforte (in gran parte improvvisato, con bambole, stracci e amuleti posti sulle corde del pianoforte) e Musica elettronica (incisa su nastro, chiamata Scultura fluida in evoluzione) all’interno della rassegna Tempo e non tempo nella musica americana, la stessa cui partecipò Ambrosini nel ruolo di coordinatore. È quindi probabile che sia stato Ambrosini stesso a premere per la sua partecipazione. Inoltre, Cfr., nota successiva. 150 Nel 1976 Ambrosini compare come coordinatore del ciclo di incontri “Tempo e non tempo della musica americana”, dove vengono invitati per la prima volta i musicisti Minimal. Egli è chiamato, quindi, come esperto di un gruppo di musicisti che «nel diagramma delle Expanded Arts, tracciato da Maciunas» si collocano «nel settore del ‘Teatro acustico’ » con Cage e Chari. «Quello che gli americani chiamano ‘arti espanse’, e gli europei ‘arte totale’, trova nelle forme teatrali (che rinnova fuori dai teatri borghesi: vedi l’Happening e l’event) lo sbocco più radicale per agire.». Cfr., S.A., Giuseppe Chiari, Musica e insegnamento, 1974, p. 54. Sicuramente da questo momento in poi, questa categoria di artisti faranno parte del bagaglio culturale anche di Michele Sambin. 151 L’artista stava parlando del suo percorso; da piccolo inizia con la scultura, passando poi alla musica e alla fotografia e, in ultima istanza, al video. Cfr., Riccardo Caldura, Una generazione … Mestre, 2007.

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consonanza-dissonanza, serialità-aleatorietà e così via. Si parlava poco di suono,

spazio, di “colore” fonico, di universi sonori paralleli ancora da scoprire..152

Grazie all’analisi che affronteremo nel prossimo capitolo, si constaterà che Sambin ha preso parte a

questo gruppo di musicisti “estremamente” sperimentali, interdisciplinari, i quali aprono le porte ad

opere musicali molto rivoluzionarie rispetto alla musica, già di per sé rivoluzionaria, di allora. Nei

prossimi paragrafi, come vedremo, si chiarirà meglio l’afflato sperimentale che permea le opere

dell’artista; in questa parte invece è bene continuare a ricostruire la storia e gli incontri musicali

dell’artista in analisi per individuare eventuali debiti nei confronti dei generi cui si pensa faccia

riferimento.

4.2 Il contesto storico musicale tra Padova e Venezia (dal 1968 al 1982)

Abbiamo detto che i musicisti che l’artista ascoltava durante gli ultimi anni del liceo artistico e i

primi dell’UIA erano sicuramente Thelonious Monk153, John Coltrane, Miles Davis e Ornette

Coleman; questi quattro celebri personaggi della storia del Jazz stavano, proprio in quegli anni,

rivoluzionando il loro genere musicale di appartenenza:

prima del 1960 il Jazz aveva raggiunto una certa stabilità: era chiaramente diviso

dalla musica classica e dal pop, aveva un pubblico cresciuto con esso nei

precedenti tre decenni e che sapeva cosa aspettarsi.

[…] Una nuova musica che cominciò ad affiorare alla fine degli anni Cinquanta,

emergendo pienamente negli anni Sessanta, sembrava meno interessata agli

sviluppi armonici; nelle sue forme estreme, rendeva il ritmo un punto di

riferimento non più affidabile per l’ascoltatore, che veniva lasciato senza nessuna

sensazione di regolarità. Ben presto alcuni musicisti del nuovo Jazz cominciarono

ad usare volume, timbro, grana, colore del suono ed altre variabili sonore per

creare interesse e varietà, richiedendo all’ascoltatore di concentrarsi soprattutto

sull’apprezzamento del suono in quanto tale. A volte, i risultati del Free Jazz e

della musica classica sperimentale sembravano simili: la collettività improvvisata

152 Ivi, p. 19. 153 Grazie all’interesse di Michele Sambin per Thelonious Monk, quest’ultimo viene invitato al Centro d’Arte di Padova all’inizio degli anni Settanta. Ciò è stato possibile anche perché il fratello dell’artista, Marco, è stato per un periodo il direttore del centro. Cfr., Veniero Rizzardi, Le fonti sonore, in Fernando Marchiori, Megaloop…Pisa, 2010.

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di Free Jazz di Ornette Coleman e Ascension di John Coltrane parevano

convergere con Zeitmasse di Stockhausen.154

Come vedremo, l’interesse di Sambin per questo tipo di musica risulterà palese nella sonorizzazione

di alcuni film, in cui egli intreccerà l’improvvisazione caratteristica del Free Jazz con montaggi

ritmicamente altrettanto liberi.

Nel 1972 Sambin conosce Teresa Rampazzi155 e viene invitato a seguire il laboratorio che la stessa

aveva concepito a casa sua. L’incontro con la musicista è fondamentale poiché quest’ultima è stata

una delle poche, in Italia, attente in quegli anni alla Musica Sperimentale ed Elettronica; è perciò

interessante dare alcune informazioni riguardo alla musicista per capire il contesto in cui Sambin

s’inserì da quel periodo e che, probabilmente, lo porterà verso un approccio sperimentale stricto

sensu.

Quando nel 1959 Teresa giunse a Padova da Verona decise di entrare nell’organico del Trio

Bartòk156, fondato dal clarinettista Elio Peruzzi e alla violinista Edda Pitton, che proponeva concerti

di musica avanguardistica. Lo stesso anno, la musicista tenne un concerto al Circolo Pozzetto

durante il quale eseguì musica di Béla Viktor, János Bartók, Paul Hindemit e Alban Marie Johannes

Berg. Sempre nello stesso anno, la Rampazzi si esibì anche in un altro concerto nel quale suonò con

Cage, Heinz Klaus Metzger e Sylvano Bussotti.

Si creò un clima quasi dionisiaco: ognuno si era preparato una partitura

sconosciuta all’altro e si suonò e si fece suonare di tutto, passeggiando per la sala,

aggredendo tutto ciò che poteva rispondere con segnali fonici.157

Tra il 1960 e il 1965, nonostante la documentazione sulla sua attività non permetta di comprendere

a pieno il suo percorso, la Rampazzi abbraccia il mondo dei suoni prodotti elettronicamente al punto

da abbandonare il pianoforte e di virare sulla scia delle sperimentazioni di Darmstadt; il passo per

154 J. F. Szwed, Jazz! ...Torino, 2009, p. 161. 155 L’incontro avviene durante una performance musicale di Sambin alla sua personale intitolata “Michele Sambin. Esperienze e sperimentazioni sulle immagini e suoi suoni” all’Images di Abano nel 1972 in cui presenta Laguna e 1 e 2. In quell’occasione Sambin eseguiva un pezzo per violoncello amplificato molto simile a quello che ritroveremo in Blud’acqua. Cfr., Michele Sambin, Alvise amico-maestro, in Paolo Zavagna [e altri], 60dB. La scuola veneziana di musica elettronica. Omaggio ad Alvise Vidolin, Leo S. Olschki, Firenze, 2009. 156«All’epoca il Trio era uno dei rari ensamble strumentali italiani che eseguiva Webern e Berg. Il loro impegno era spesso arduo, come ama raccontare Peruzzi, dovendo contrastare le reticenze del pubblico e di una città situata in una regione culturalmente isolata, in cui dominavano il clero e la forza della maggioranza democristiana. Essere esecutori di musica contemporanea significava andare contro la cultura dominante, essere criticati o seguiti da un esiguo gruppo di persone». S. Durante e L. Zatta (a cura di), Archivio … Palermo, 2002, p. 14. 157Intervista rilasciata sei mesi prima della morte, in Ettore Luccini. Umanità cultura politica, prefazione di F. Loperfido, Neri Pozza, Vicenza, 1984.

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approdare definitivamente alla ricerca e alla composizione in campo elettronico si dovette

all’incontro, nel 1964, con Ennio Chiggio, artista che faceva parte del famoso Gruppo N158; il

sodalizio tra Chiggio e Teresa diede vita al gruppo Nuove Proposte Sonore (N.P.S.) che, sebbene

prolifico, fu di breve durata.159

Nel 1968, la Rampazzi decide di aprire il suo studio ai giovani, così da utilizzare le apparecchiature

in suo possesso e continuare il lavoro di ricerca; il corso che la musicista teneva a casa sua era

strutturato come un laboratorio in cui i giovani potevano acquisire l’uso delle apparecchiature, fare

esercizi e produrre nuovi oggetti sonori, lavorando alla pari con Teresa. In questi stessi anni, la

Rampazzi conosce l’ingegnere informatico Giovani Battista Debiasi160 e tra i due inizia una

strettissima collaborazione nelle ricerche sulla musica creata “sinteticamente” attraverso il

computer, che sarà il punto di partenza per la nascita del Centro di Sonologia Computazionale (C.

S. C.) dell’Università di Padova.

La storia di Sambin incrocia quella di questa grande musicista/componitrice e, grazie alle lezioni

nella sua casa, l’artista padovano entra in contatto anche con Alvise Vidolin - che si stava laureando

in Ingegneria Elettronica con lo stesso professor Debiasi e che farà di Padova, insieme a pochi altri,

una delle prime capitali italiane per la musica elettronica atravreso, per l’appunto il C. S. C. - e

Giovanni de Poli. La relazione tra questi tre personaggi e il fratello di Sambin, Marco, farà nascere

il gruppo musicale Arche Sinth161 che propone una musica ibrida tra elettronica e strumentale e che

si esibirà spesso in performance.

Da questo momento, quindi, Sambin inizia ad interessarsi anche alla musica elettronica. La storia di

questo genere ha le sue radici nella scoperta, all’inizio del novecento, di strumenti come il

158 Come molti altri gruppi di ricerca, gli artisti optical tentavano, nelle arti visive, di far convergere in un’unica soluzione gli ambiti dell’arte e della scienza. 159 Dopo la rinuncia del sodalizio con Chiggio per divergenze di opinioni riguardo all’estrema scientificità dell’arte e al completo rifiuto da parte del artista di vedere quella come esperienza autonoma e individuale. Cfr. S. Durante e L. Zatta (a cura di), Archivio … Palermo, 2002. 160Debiasi sarà fondatore e membro, insieme a Vidolin e Giovanni de Poli, del Centro di Sonologia Computazionale nel 1979 (C. S. C.). 161 «Il gruppo trattava della «fusione ed armonizzazione degli aspetti poco noti della musica elettronica e quelli della moderna musica strumentale. Questo gruppo musicale ha creato un linguaggio nuovo, fatto su misura per questi strumenti, una nuova sintassi e nuove architetture sonore assai interessanti e suggestive. Gli strumenti tradizionali in organico sono il sax contralto, il sax tenore e il violoncello. Tra gli strumenti moderni figurano l’organo elettronico, il sintetizzatore e un miscelatore. Vi compare inoltre il tubofono, un curioso strumento a fiato capace di effetti singolari, costruito con elementi di un clarinetto e un tubo di plastica. [..] I quattro brani in programma sono articolati in episodi di lunghezza variabile, affidati ai singoli strumenti con funzioni solistiche in varie combinazioni; alcune sequenza sono fissate in una normale partitura, altre secondo la moderna prassi esecutiva sono costituite da registrazioni di suoni prodotti da un calcolatore elettronico». Locandina dell’evento Blud’acqua e il gruppo Arcke synth, presso il Salone dei Concerti Lanerossi a Schio, organizzata dall’Associazione Pro Schio nel 1973. In quest’occasione è stata presentata la parte finale del film Blud’acqua e la sonorizzazione di quest’ultima è avvenuta live. Gianni de Poli era al sintetizzatore elettronico, Marco Sambin suonava sax tenore, sax contralto e tubofono, Michele Sambin il violoncello, l’organo elettronico e il sassofono, Alvise Vidolin l’organo elettronico e il miscelatore. Cfr anche, Paolo Zavagna e altri, 60dB. La scuola veneziana di musica elettronica. Omaggio ad Alvise Vidolin, Leo S. Olschki, Firenze, 2009.

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registratore magnetico e l’oscillatore di bassa frequenza, ma occorre aspettare la fine degli anni

Quaranta per parlare di un’utilizzazione di tali mezzi nella composizione di opere musicali.

Successivamente, questa tipologia di musica acquista sempre più importanza come lo stesso Vidolin

scrive nell’opuscolo Dalla sintesi alla musica edito dall’ASAC nel 1977:

Dagli anni Cinquanta quindi si comincia a parlare di ‘musica concreta’, ‘musica

elettronica’, ‘musica su nastro’ o ‘tape-music’. I luoghi di nascita sono Parigi,

Colonia e alcuni centri dell’America, seguiti poi da numerosi altri studi che,

spesso all’interno di emittenti radiofoniche, continuano tale esperienza.

[…] Ciò che Varese auspicava nel 1922: “Il compositore ed il tecnico dovranno

lavorare assieme” finalmente si realizza. Inizia uno studio interdisciplinare sia nel

campo della percezione che dell’acustica.

[…] È proprio negli anni Sessanta che assistiamo ad un sempre più crescente

interesse nel pubblico per la musica elettronica e al nascere di iniziative che

favoriscono la diffusione di tale musica e il dibattito fra i protagonisti.162

Proprio perché negli anni Sessanta questo genere musicale ottiene sempre maggior attenzione,

questo spinge molti Conservatori, negli anni Settanta, ad inserire tra le materie didattiche anche

l’insegnamento di musica elettronica. Nel 1975 l’artista padovano s’iscrive quindi al conservatorio

Benedetto Marcello di Venezia sotto la guida del suo professore/amico Vidolin, che intanto aveva

vinto una cattedra in Musica elettronica nello stesso istituto; l’artista si diplomerà tre anni dopo con

una tesi su un sottoprogramma per l’aiuto alla composizione computerizzata denominato LKPLF;

inoltre, uno dei suoi compagni di studi è Claudio Ambrosini, incontrato spesso in queste pagine. La

conoscenza tra i due, avvenuta alcuni anni prima rispetto alle lezioni al conservatorio, ha le sue

radici proprio nel contesto musicale. Come ricorda lo stesso Ambrosini:

La mia ricerca ha incrociato quella di Sambin […] quando non avevamo ancora

vent’anni: al Teatro Universitario di Ca’ Foscari, per il quale tra l’altro ho

composto la prima opera rock italiana, nel 1970 (ispirata alle Waste Land di T. S.

Eliot), e in cui lui ha suonato.163

162 Alvise Vidolin, Musica/sintesi per computer, ASAC, Venezia, 1977, pp. 7-9. 163 Riccardo Caldura, Una generazione …Mestre, 2007, p. 19.

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Sempre a Venezia, dove, lo ricordiamo, l’artista si stabilisce durante gran parte degli anni Settanta,

grazie alla Biennale della Musica ci sono frequenti occasioni di incontrare personalmente grandi

nomi di quegli anni, primo fra tutti Cage.164 Le prime notizie che l’artista padovano ebbe su di lui si

devono alla serata “Il pianoforte di John Cage” (1970) presso il Festival Internazionale di Musica

Contemporanea di Venezia, in cui il pianista John Tilbury esegue Sonatas and Interludes (1946-48)

del compositore americano. D’altronde, che Sambin conoscesse molto bene il contesto musicale

veneziano, è dimostrato dal fatto che anche il nome dell’artista padovano si legge sui registri della

Biennale Musica: la prima volta nel 1975 nel ciclo Musica ai Giardini in cui l’artista compare come

uno degli interpreti di El miracolo roverso (1975, Canzoniere popolare veneto165); il 6 Ottobre

1979, invece, l’artista è presente tra i nomi dei musicisti di “Nuovi strumenti: rassegna

internazionale di nastri audio e video (II parte)” presso le Sale Apollinee del teatro La Fenice,

assieme a Claudio Ambrosini, Beth Anderson, Richard Heyman, Stuart Marshall e David

Rosenboom166. Durante questo incontro, Sambin presenterà uno dei suoi lavori più significativi:

Looking for listening (1977). Il fatto che, finalmente, l’artista padovano sia stato invitato, nel ‘79,

alla Biennale Musica, sancisce finalmente il suo ruolo, non solo come film/video-maker, ma anche

come musicista. L’opera sarà oggetto di analisi più approfondita nella seconda parte di questa tesi.

4.3 La sperimentazione del linguaggio audiovisivo attraverso la pellicola

Per parlare del rapporto tra l’immagine filmica e il suono nei lavori di Sambin, si è deciso di

iniziare dell’ultimo film “sonoro” della sua filmografia, Film a strisce; questo lavoro, come

abbiamo visto, prevede unicamente la fase di sviluppo della pellicola senza che vi sia

successivamente alcun montaggio né sonorizzazione; è interamente montato in camera; e non

164 Presente al Festiva Internazionale di Musica Contemporanea per la prima volta nel 1953 e successivamente negli anni 1960, 1962, 1967, 1969, 1970, 1971, 1972, 1976, 1977. http://www.labiennale.org, visionato in data 13/06/2012. 165 L’origine del gruppo va ricercata nell’incontro, avvenuto nel 1964, fra Gualtiero Bertelli e Luisa Ronchini, i quali formano un piccolo complesso che si esibiva in spettacoli alternando canzoni e letture di poesie. In seguito si unirono a loro Alberto D’amico, Tiziano Bertelli, Rosanna Trolese, Renzo Bonometto e Linda Caorlin, mentre veniva assunta la denominazione Canzoniere popolare veneto. Il gruppo si impegnò anche in ricerche sul campo, condotte esclusivamente in territorio veneto, mentre venivano intanto stretti i legami con il Nuovo canzoniere italiano. Il gruppo ha continuato la sua attività fino al 1971, anno in cui si è diviso in due: il primo gruppo ha mantenuto la denominazione iniziale, ed era composto da Luisa Ronchini, Alberto D’Amico ed Emanuela Magro, l’altro ha assunto il nome di Nuovo canzoniere veneto e si era raccolto attorno a Guarltiero Bertelli, Renzo Bonometto, Linda Caorlin e Benno Simma. Una importante esperienza del Canzoniere popolare veneto è stato lo spettacolo Terra e acqua, eseguito per l’appunto nel 1975 alla Biennale Musica e che consisteva in un repertorio di vecchi canti di lavoro del territorio veneziano e altre canzoni di impegno politico nella moderna realtà industriale. Tra gli interpreti vi sono Alberto D’Amico, Emanuela Magro, Luisa Ronchini, Maurizio Spampatti, Roberto Milani Tecnici, Ermanno Velludo. Cfr., http://digilander.libero.it/gianni61dgl/canzonierepopolareveneto.htm, visionato in data 13/06/2012. 166 Cfr., http://wu8ww.labiennale.org/doc_files/80292.pdf visionato in data 13/06/2012.

60

prevede la colonna sonora poiché è sonorizzato live, durante la proiezione. Le peculiarità di

quest’opera di Sambin ci permettono subito da fare una riflessione riguardo ad una delle

caratteristiche dei film underground italiani e, in particolare, riguardo a quanto dice Gioli parlando

dei suoi lavori: egli, nell’impressionare la pellicola, inventa un procedimento che lui stesso

chiamerà stenopeico, che non necessita della cinepresa né di nessuno strumento tecnologico per

funzionare. In questo modo, e lui stesso lo conferma, è come se si auspicasse un ritorno alle origini

dell’invenzione della settima arte167 e ad una totale indipendenza dall’industria cinematografica;

alla stessa riflessione si è indotti assistendo alla performance di Sambin nell’hic et nunc della

proiezione del film.

Nell’età del cinema muto la musica era eseguita dal vivo sotto lo schermo. […] La

musica allora raramente era scritta e, quasi sempre, si risolveva in performances

improvvisate, non sempre di qualità eccelsa, in cui l’esecutore procedeva per

associazioni di formule, unendo vari loci communes della letteratura musicale.168

Il ruolo performativo del musicista nelle sale cinematografiche e la scelta di Sambin in Film a

strisce ci collegano a quello che sarà lo sviluppo della poetica di Sambin, che da questi anni (1976)

inizia a sentire la necessità di un rapporto più diretto con il pubblico in sala, nonché con quello

presente nelle gallerie dove egli esponeva i suoi lavori video; ancora di più, però, la sonorizzazione

live del film in analisi permette di avvicinarci alle modalità con cui l’artista creava la musica per le

sue opere in quanto, all’interno di una sala di doppiaggio, di fronte al pubblico o alla telecamera,

Sambin suonava (e suona) sempre di fronte alle immagini, trattandole come un particolare spartito

musicale.

Come vedremo, il film-maker padovano si accosta alla relazione visivo/sonora attraverso differenti

modalità; il caso di Film a strisce rimane del tutto a sé stante rispetto alla filmografia dell’autore

poiché la pellicola susciterà nel pubblico, a seconda degli stati d’animo dell’artista, sensazioni

diverse, in linea con ciò che il musicista, di volta in volta, vuole esprimere; inoltre, non esistono

registrazioni delle musiche che Sambin esegue nell’hic et nunc della proiezione di Film a strisce e

questo è un elemento che ci avvicina ai generi musicali cui l’autore fa riferimento.

Abbiamo già visto come la pellicola in analisi risenta, dal punto di vista tecnico, della scoperta del

video, e sicuramente anche l’approccio performativo è dovuto in parte alla ritrovata immediatezza

del nuovo medium; dall’altro lato, la performance musicale di fronte al pubblico è un elemento

167 Cfr., http://cinemaundergrounditaliano.blogspot.it/, intervista di Paolo Brunatto a Paolo Gioli, visionato in data 04/07/2012. 168 Roberto Calabretto, Lo schermo sonoro. La musica per film, Marsilio, Venezia, 2010, p. 17.

61

caratteristico, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, della Musica Sperimentale, così come

di quella Jazz; entrambi questi generi, infatti, vivono del rapporto immediato con il pubblico e

dell’improvvisazione, concedendosi alla registrazione solo come documentazione dell’esecuzione.

Film a strisce è l’ultimo film che prevede una colonna sonora – dopo di esso Sambin realizzerà

Diogene (1977, Scheda 9, Schede dei film) che però non è compiuto con l’intento di una

sonorizzazione, né live né registrata – e ciò dimostra come ormai l’artista in analisi si stia

indirizzando sempre di più verso un’arte prettamente video-performativa e, successivamente, verso

quella del teatro che, come abbiamo già detto, nel suo caso racchiude arti visive, suoni e tecnologia.

A questo riguardo è importante notare che, sin dall’inizio, Sambin sarà sempre uno degli attori

protagonisti nei suoi lavori, e questo dimostra la tensione verso l’atto performativo sin dagli albori

della sua ricerca poetica; dall’altro lato, il fatto che Sambin metta in gioco il proprio corpo nelle sue

opere, lo collega a quando affermato da Cosetta G. Saba nell’elencare i tratti caratterizzanti del

cinema indipendente:

una figura propria del cinema sperimentale è quella del corpo, della presenza

cinematografica del corpo. Come sostiene Jonas Mekas, nel contesto di una

tradizione della raffigurazione del corpo nella storia dell’arte occidentale, il

cinema underground rivela della corporeità aspetti diversi da quelli rilevati dalla

scultura e dalla pittura. Il “corpo” diviene un punto di tangenza tra teatro, cinema,

video, Performance art, Body art e infografica.169

Vedremo in seguito come Sambin, anche quando si dirige verso il mondo del video, esporrà spesso

il proprio corpo, che sarà utilizzato e come strumento di sperimentazione di nuovi linguaggi

artistico-visivi, e come strumento musicale.

Tornando ora all’inizio della carriera artistica di Sambin, è possibile costatare che la relazione tra le

immagini e i suoni è sempre stata centrale nell’operato dell’autore; questa sua ricerca lo rende

“particolare” rispetto ai molti artisti e film-maker che hanno approfondito il linguaggio

cinematografico senza interessarsi alla sonorizzazione delle proprie opere, ma unicamente al

risultato visivo; basti citare i film fluxus, per la maggior parte muti170, e i film di Mekas, Brackhage,

Gioli, Bacigalupo, Silvio Loffredo e Veronesi; quest’ultimo, cui spesso fa riferimento l’artista

padovano, giustifica la sua scelta sostenendo che «la musica del film è data dal ritmo stesso

169 Cosetta G. Saba (a cura di), Cinema Video Internet… Bologna, 2006, p. 48. 170 È ipotizzabile che, in questo caso, sia il ritmo delle immagini a determinare una certa musicalità nei film Fluxus.

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dell’immagine»171. Paradossalmente, il ritmo delle immagini, che allontana l’artista milanese dallo

studio sonoro dei suoi film, porta altri film-maker ed artisti ad interessarsi della relazione tra le

immagini in movimento e i suoni che da esse si possono trarre; ne sono un esempio i canadesi

Norman McLaren e Snow, importanti punti di riferimento per l’artista padovano, Len Lye, Peter

Kubelka, Paul Sharits e molti altri.172

La storia del rapporto tra immagini e suoni inizia in Sambin sin dai sui primi film; in Anamnesi,

realizzato quando l’artista ha appena sedici anni, l’utilizzo del suono rispecchia ciò che avevamo

detto riguardo all’uso delle immagini nel film in questione: la sua poetica in questo momento è

vicina ai registi della Nouvelle Vague. In particolare nella prima scena, in cui la cinepresa inquadra

la lenta e affaticata ascensione del protagonista mentre sale le scale, il tutto è accompagnato

ritmicamente dalle note di un pianoforte che seguono l’uomo scalino dopo scalino. La relazione

ritmica e tonale tra visivo e uditivo in questa scena - il ritmo dei suoni è quello stesso dei passi, la

tonalità è grave negli scalini più bassi e acuta in quelli più alti - ci avvicina ad un film sicuramente

conosciuto da Sambin in quegli anni, Hiroshima mon amour, in cui - ma questo è solo una delle

tante scene in cui si riscontra questo elemento - mentre i due protagonisti parlano del museo di

Hiroshima, la cinepresa inquadra le intermittenze del neon e la musica segue quest’ultime

ritmicamente.

La stretta relazione con Alain Resnais, sebbene non direttamente indicata da Sambin, non è un caso:

L’importanza storica di Hiroshima mon amour (1959) è nell’aver affermato le

analogie tra costruzione cinematografica e composizione musicale: da questo

momento muta il significato stesso della parola “film”.173

E lo stesso Resnais ammette:

Quando faccio un film penso di più alla struttura del film che alla storia. I

personaggi ci sono per darmi delle velocità differenti e un certo senso delle

prospettive. […] Ho sentito le sequenze in modo strettamente musicale. Come in

una Sonata, dove si ha il tema A e poi il tema B, lo sviluppo del tema, la

171 Cosetta G. Saba (a cura di), Cinema Video Internet… Bologna, 2006, p. 48. 172 Cfr., Catalogo della mostra Sons & Lumieres, Centre Pompidou, Parigi, 2004. 173 Andrè Hodeir, Riprendere alla musica. “Hiroshima mon amour” di Alain Resnais, in Roberto Calabretto, Lo schermo sonoro …Venezia, 2010, p. 67.

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riesposizione ecc. Io non sono un musicista ma cerco sempre una forma che si

avvicini alla musica.174

Ecco quindi fondate le basi della ricerca di Sambin. Di fronte alla proiezione delle immagini, una

volta montato il film e impostatigli il nastro audio magnetico, l’artista suona interpretando ciò che

vede.

Il fatto che l’artista utilizzi le immagini come spartito per l’esecuzione musicale, ci mette di fronte

anche a ciò che dicevamo rispetto alla Musica Sperimentale; quando Sambin sonorizza i vari film, è

distante anni luce dalla tradizione accademica ed è chiara la sua propensione verso una ricerca

piuttosto anti-accademica, in linea con quanto teorizzato da John Cage e dalle sperimentazioni che

ne derivano. Lo spartito d’immagini non è che, in fondo, un canovaccio dettante il ritmo e il tempo

di esecuzione; dentro questi confini, l’esecutore è libero di improvvisare facendosi portare

dall’istinto e dal caso. D’altro canto, come abbiamo già visto, la stessa improvvisazione si riscontra

anche nel genere Jazz, sebbene quest’ultimo mancasse in quegli anni di un vero apparato teorico

codificato.

Procedendo alla visione di Anamnesi, invece, sarà interessante notare che l’alternanza tra suono e

silenzio è anche utilizzata per rimarcare la differenza tra gli spazi chiusi e quelli aperti, tra l’artificio

della stanza e la naturalezza del paesaggio, tra la realtà e il sogno. In questo caso, si potrebbe quasi

dire che l’utilizzo del suono è, in un certo senso, simbolico; in questo film Sambin, infatti, utilizza il

sonoro come un elemento per rimarcare ancor di più le sensazioni d’isolamento (silenzio – artista

chiuso nel suo atelier) e di pace contemplativa (clarinetto – artista e il suo cane immersi nella

natura) dateci dalle immagini. Questo nuovo rapporto instaurato tra ciò che si vede e ciò che si

sente, è ciò che collega l’artista a un uso più “classico” della sonorizzazione rispetto a quanto fanno

negli stessi anni i colleghi e, soprattutto, rispetto a quanto farà lui stesso a partire da Laguna.

L’accostamento, che potremmo definire anche “tematico”, ci riporta di nuovo al cinema delle

origini quando, per l’accompagnamento in sala dei film muti, si offrivano «per ciascuna scena delle

generiche suggestioni per mettere in risalto il clima emotivo e la rapidità dei movimenti dei soggetti

inquadrati»175. L’utilizzo del suono associato a particolari immagini fa sì che lo spettatore possa

disporre di un ulteriore strumento cognitivo ed in questo modo il pubblico è avvicinato a delle

determinate situazioni emotive che l’artista vuole esprimere.

Nella seconda parte di Anamnesi è possibile notare che l’artista monta insieme brani musicali più o

meno conosciuti, i quali hanno la funzione di identificare i personaggi che egli presenta. Il brano

174 Alain Resnais, in Roberto Calabretto, Lo schermo sonoro.. 2010, p. 67. 175 Roberto Calabretto, Lo schermo sonoro.. 2010, p. 19.

64

Everybody’s got something to hide except me and my monkey (Beatles, The White Album, 1968), per

esempio, presenta lo stereotipo di un ragazzo di quegli anni ed è associato da Sambin alle immagini

del primo piano del giovane, alternate al montaggio di scene tratte da impressioni di luoghi, oggetti

e lotte rappresentativi anch’essi del contesto in cu vive il ragazzo. Il linguaggio musicale in questo

senso si sostituisce a quello verbale - utilizzato, come vedremo, solo in due film - come avveniva

nelle pellicole del primo ‘900, ed ha la stessa funzione individuata da Calabretto: «I Leitmotive […]

informano sullo status dei protagonisti del racconto, isolandoli dal contesto narrativo e definendone

la personalità»176. Ciò che però rende il rapporto immagine-suono molto particolare in questa parte

del film, è il fatto che non sono più le immagini a fare da spartito al musicista (com’è stato invece in

tutta la parte iniziale), bensì sono i brani musicali a determinare il montaggio dei fotogrammi, anche

se il rapporto ritmico tra i cambi d’immagini e la musica non sempre riesce molto chiaro,

probabilmente a causa e della giovane età di Sambin che per la prima volta si mette in gioco in

questo difficile impiego di pellicola e nastro magnetico. Inoltre, il formato Super 8 non permette, a

causa delle piccole dimensioni, di realizzare un ingente numero di giunture.

Un altro film dove invece è molto più chiara la dipendenza del montaggio rispetto alla musica è

Murales: qui, i brani degli Intillimani sono legati ritmicamente alle immagini ma non solo;

l’accostamento tra visivo e sonoro è anche tematico, le parole delle canzoni del gruppo sono

strettamente collegate a quelle scritte sui muri della laguna e in questo caso la realizzazione

rispecchia la crescita tecnica dell’artista che sa esprimere più chiaramente il suo linguaggio.

In 1 e 2, il secondo film dell’artista, Sambin utilizza nuovamente il tema musicale per inquadrare il

contesto emotivo del protagonista nella prima sequenza, ma già nella seconda riscontriamo che il

rapporto tra ciò che vediamo e ciò che udiamo è in contrasto più che in una relazione diretta; infatti,

se nella prima parte la musica è violenta sin dal principio (rispecchiando quanto viene proiettato),

nella seconda la violenza è mascherata da una voce soffice e soave che si dilunga, fino al punto di

essere fuori luogo, quando la pressa si chiude sul topolino; senza il suono, sarebbe molto più

difficile arrivare così presto al senso del film ed al suo significato. In questo senso, Sambin fa un

passo avanti nella sperimentazione di un linguaggio in cui il rapporto tra la vista e l’udito,

soprattutto quando dissociati, diventa fondamentale e non più secondario ai fini dell’interpretazione

del messaggio dell’opera.

Dal punto di vista sonoro, questo film vede Sambin mettere in campo per la prima volta alcuni

effetti elettronici. La strumentazione che permetteva questi esperimenti sonori era letteralmente

“fatta a mano” da Sambin e ciò dimostra che, anche precedentemente all’incontro con la Rampazzi,

l’artista era già interessato ad un particolare studio del suono che andasse oltre al solo approccio

176 Roberto Calabretto, Lo schermo sonoro.. 2010, p. 20.

65

strumentale; ansia di sperimentare che è dimostrata soprattutto dalla terza e quarta sequenza di 1 e 2

dove, nonostante i due fermo immagine siano così diversi, la visione è pervasa da un suono piatto

ed elettronico - un’onda sinusoidale realizzata attraverso un particolare generatore di segnali

audio177 – che, ancora una volta, ci fa entrare in una peculiare dimensione emotiva, anch’essa piatta.

Un altro elemento interessante è che Sambin, nella seconda scena, utilizza soprattutto lo strumento

vocale; lo stesso riscontreremo anche nel film successivo, Laguna, in cui il respiro e la voce si

sovrappongono al suono del violoncello; lo stesso si troverà più tardi analizzando Autoritratto per

quattro camere e quattro voci e Looking for listening. Se si accosta l’orecchio ai suoni registrati in

Laguna, è quasi possibile rivedere il volto di Sambin in Looking, mentre vocalizza di fronte alla

telecamera.

Il fatto che da 1 e 2 in avanti (e a parte Blud’acqua dove egli suona con il suo gruppo Jazz) Sambin

usi sovrapporre più suoni e strumenti fa nascere una riflessione in quanto la tecnica utilizzata178 è

molto simile a quella che l’artista utilizzerà dal 1978 per realizzare i suoi video-loop; inoltre, anche

l’utilizzo di più monitor durante alcune performances musicali può farsi risalire alla necessità

dell’artista di realizzare orchestrazioni sonore sempre per un esecutore solo. Ciò dimostra che le

origini delle sperimentazioni video in Sambin nascono anche dalla dimestichezza che egli aveva

nell’utilizzo del nastro audio magnetico e dall’uso che egli ne fa in rapporto alla pellicola.

In Laguna le prime immagini, le labbra di una donna (Fig., 5) e il suono di un clarino, sono una

dichiarazione di poetica che esprime molto bene quella che è la volontà nei film dell’artista. Il

movimento delle labbra associato ad una particolare esecuzione era già stato individuato in

Anamnesi e qui ricompare con maggiore impatto giacché il clarinetto suona al ritmo del labiale; è

come se il suono uscisse veramente dalle labbra della donna, per costruire un linguaggio che non è

ancora decodificabile, ma che si capirà durante il film se il pubblico starà attento ad ascoltare e a

guardare contemporaneamente i suoni e le immagini. Non a caso, a monito di un certo tipo di

osservazione del film, le stesse sequenze iniziali ricompariranno durante tutto l’andamento della

pellicola, fungendo anche da trait d’union tra le varie parti di esso.

L’elemento “sorpresa” delle labbra che “parlano” i suoni non esprime solo chiaramente la poetica di

Sambin ma è un indizio per individuare la fonte teorica della sua tecnica cinematografica: la Teoria

generale del Montaggio di Sergej Michajlovič Ejzestejn, scritta nel 1937. Il teorico e regista russo

propone in questo libro una visione del montaggio come produttore di senso, partendo dalla nozione

177 Purtroppo ad oggi non si è in grado di risalire a che particolare strumento sia stato utilizzato da Sambin per la realizzazione di questo rumore. 178 La tecnica consiste nella sovra incisione del nastro magnetico attraverso il Revox, un registratore con più piste.

66

fondamentale dell’“effetto Kulesov”179 e arrivando alla teorizzazione del montaggio come

collisione: il luogo dove vengono a collisione due dati è il luogo in cui si produce un pensiero.

Ai fini di comprendere meglio perché si indica in Ejzestejn la fonte teorica diretta di Sambin, è

necessario anche ricordare che il regista russo è firmatario nel 1928, insieme a Vsevolod

Illarionovič Pudovkin, del “Manifesto Dell’Asincronismo”; in questo documento, dopo aver

elencato le ragioni per cui l’avvento del cinema sonoro potrebbe portare alla distruzione del

significato del montaggio, al secondo punto, si sostiene che:

Solo l’utilizzo del suono in contrapposizione ad un frammento di montaggio

visivo offre nuove possibilità di sviluppare e perfezionare quest’ultimo. Le prime

esperienze con il suono devono dirigersi verso la non coincidenza con le immagini

visuali. Solo questa tecnica di giuntura produrrà la sensazione cercata che, con il

tempo, porterà alla creazione di un nuovo contrappunto orchestrale d’immagini-

visioni e immagini-suoni.180

Al punto cinque, poi, si parla in particolare della possibilità che ha il metodo contrappuntistico di

realizzare esso stesso il senso e il significato di ciò che il pubblico vede:

Il «metodo del contrappunto», applicato alla costruzione del film sonoro e parlato,

non solo non altererà il carattere internazionale del cinema, ma realizzerà anche il

suo significato e la sua forza culturale fino ad un punto sconosciuto al momento.

Nell’applicare questo metodo di costruzione, il film non rimarrà confinato nei

limiti del mercato nazionale, come succede nel caso della drammaturgia teatrale e

come succederà alla drammaturgia filmata. Al contrario, ci sarà la possibilità,

maggiore rispetto al passato, di far circolare nel mondo delle idee suscettibili di

essere espresse mediante il cinema.181

179Scoperto da Lev Vladimirovic Kulesov, questo particolare uso del montaggio deriva da un esperimento empirico per dimostrare il senso dell'inquadratura e la sua funzione nel contesto della sequenza montata. Lo stesso identico primo piano di un attore veniva mostrato al pubblico dopo tre inquadrature diverse: un piatto di minestra, un cadavere, una pistola. Interrogato, poi, il pubblico manifestò di aver percepito sfumature opposte nell'interpretazione dell'attore: fame, dolore, paura.Kulešov dimostrò così le potenzialità del montaggio narrativo, dove il senso è generato dal montaggio piuttosto che dalla singola inquadratura e dove il significato nasce nella mente dello spettatore. Il cosiddetto "effetto Kulesov” si diffuse rapidamente e influenzò gli altri cineasti. 180 Sergej Michajlovič Ejzestejn e Vsevolod Illarionovič Pudovkin, Manifesto dell’asincronismo, in Romaguera i Ramiò, Joaquim y Homero Alsina Thevenet (a cura di), Textos y manifiestos del cine, Càtedra, Madrid, 1993. 181 Ibidem.

67

Ciò detto, è facile ora considerare la vicinanza della tecnica cinematografica di Sambin alle teorie di

Ėjzenštejin; questo si nota soprattutto nell’intenzione dell’artista di non creare un montaggio

tradizionale, ma piuttosto connotativo, in cui ciò che vediamo, non è la rappresentazione della realtà

fenomenica, e il montaggio di determinati fotogrammi, accompagnati da determinati suoni, produrrà

un significato altro.

Proviamo quindi a leggere Laguna ponendo attenzione al rapporto tra il suono e l’immagine come

ci invita a fare la bocca suonante: la prima parte del film ci mostra paesaggi naturali ed artificiali; i

suoni che udiamo sono quelli che il nostro orecchio si aspetta di sentire – per esempio all’immagine

dell’acqua è associato il rumore dell’acqua.182

Nel susseguirsi delle sequenze, poi, assistiamo a un rapporto tra immagine e suono differente: ciò

che vediamo è ancora la contrapposizione tra il paesaggio naturale della laguna veneziana e gli

edifici della zona industriale così com’erano rappresentati nella prima parte; ma dal punto di vista

sonoro, il paesaggio naturale è accompagnato dai suoni calmi del violoncello e dal respiro doppiato

dello stesso artista, mentre gli edifici industriali sono caratterizzati dallo stridere di un clarino.

Se ora procediamo alla costruzione del significato seguendo la teoria di un montaggio che è esso

stesso il senso dell’opera, è facile individuare nella prima parte come nella seconda la sensazione di

pace e tranquillità suscitata dalla natura, in contrapposizione a quella nevrotica delle fabbriche di

Marghera. Il rapporto tra le immagini e i suoni è qui fondamentale per aiutarci nell’individuazione

del senso del film; il linguaggio creato dal montaggio “alla Ėjzenštejin” permette all’artista di

riscoprire un lessico fatto di simboli - derivati da particolari accostamenti di sensi e sensazioni - che

supera i confini della lingua parlata ed è universalmente comprensibile.183

Dopo aver visto la laguna e le industrie per come si presentano nella realtà, dopo averne proposto

una nuova interpretazione sonora, Sambin gioca nella terza parte del film con l’utopia di un nuovo

luogo, che l’uomo modifica rendendolo proprio; come in un’opera di Land Art, lo spazio naturale

può essere riutilizzato a scopi artistici o creativi e l’importante per il nostro artista sarà allontanarsi

dal modello industriale che disumanizza l’ambiente e lo rende inabitabile; ecco che quindi

182 Non essendo però possibile la registrazione in diretta dei suoni, Sambin sonorizza questa parte della pellicola utilizzando dei rumori registrati in un secondo momento; ciò è evidente se ascoltiamo attentamente il suono dell’acqua, che non è il rumore del mare bensì quello prodotto smuovendo il liquido con le mani; ciò dimostra le capacità di Sambin anche nel campo della creazione dei rumori. 183 Nel saggio introduttivo al volume Il montaggio di Ejzenstejn, Jean-Pierre Aumont conclude dicendo che il regista russo resta una figura impressionante, per la sua intelligenza, per la sua intelligenza, per la sua cultura, per il suo lavoro, per la sua produttività: ma si domanda dove si trovi l’eredità di Ejzenstejn. Certamente qualcosa della sua brillante pratica sul montaggio è presente in un Godard, per esempio; ma forse il luogo dove maggiormente la sua influenza s fa sentire è nel mondo degli spot pubblicitari e dei video clip. Questa riflessione è molto interessante e forse dovrebbe essere approfondita da un lato analizzando il prodotto delle sperimentazioni film e video di quegli anni, dall’altro studiando i rapporto tra la teoria del montaggio visivo e visivo-sonoro e il mondo del cinema e della televisione commerciali.

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s’intuisce ancora meglio il messaggio del film, un’esortazione alla creatività e all’ingegno dei

giovani per ritornare a quello stato di natura che l’industrializzazione sta velocemente deturpando.

Le stesse tematiche individuate in Laguna si ripresentano nel film successivo, Blud’acqua; questa

pellicola vede l’artista in analisi alle prese con un nuovo formato, il 16 mm; questo, essendo più

professionale fa sì che, come si è detto, Sambin si lanci in una maggiore sperimentazione dal punto

di vista del montaggio.184 Inoltre, come abbiamo già visto, da questo momento in poi egli monterà e

sonorizzerà i suoi film al Centro di Cinematografia Scientifica e Didattica dell’Università di

Padova.

La maggiore maneggevolezza nell’uso della pellicola è dimostrata, in primo luogo, dall’utilizzo

della tecnica stop-motion per l’animazione di alcune pitture dell’artista. Come già descritto, esse

fungono da trait d’union delle varie parti del film; i colori astratti dei quadri sono indispensabili per

arrivare al senso dell’opera quando associati ai suoni che si sentono.185 La relazione è qui impostata,

più che sul ritmo, sull’accostamento cromatico di suoni e colori: il nero delle pitture iniziali è

associato ai glissandi gravi del violoncello che comunicano una sensazione di tristezza; con il

procedere del film noteremo che dipinti e suoni si schiariscono rispetto all’inizio e al solo

violoncello si sostituiranno sax e percussioni. Essendo il colore finale dei dipinti il bianco, unione di

tutti i colori, possiamo supporre che il film ponga come tema centrale l’analisi dei rapporti; quello

della città con i suoi abitanti, quello tra l’immagine e il suono e tra i colori in un’opera di pittura; i

cammei pittorici e sonori non fanno altro che indicarci la chiave di lettura – come succedeva in

Laguna - e ci invitano ad utilizzare lo stesso codice anche quando vedremo rappresentati sulla

pellicola Venezia e i suoi abitanti. Di seguito alla rappresentazione di ogni sequenza pittorica,

infatti, ci troviamo immersi nelle “immagini reali” della città lagunare e di coloro che la abitano; la

narrazione, come in Laguna, non avviene in modo “classico”, non vi sono dialoghi né narratore; il

senso del racconto è dato da differenti tecniche di ripresa, montaggio e sonorizzazione.

Dal punto di vista sonoro, i trait d’union animati sono accompagnati dal violoncello “elettrico” di

Sambin; se, infatti, tendiamo l’orecchio al particolare effetto sonoro creato con lo strumento,

184 Guardando il ritmo dell’evoluzione dei colori all’interno della pellicola, notiamo che esso accelera durante il film; ciò avviene anche quando la pellicola mostra le immagini di Venezia e dei suoi abitanti. Questo è dovuto ad una scelta registica. Nell’utilizzare lo stop-motion durante i cammei pittorici, l’artista decide inizialmente di fermare le riprese dopo un numero definito di fotogrammi; durante il film il numero dei fotogrammi diminuisce secondo una progressione numerica predefinita ed è questo che sancisce l’aumentare del ritmo. Lo stesso processo, avviene anche con il montaggio che inizialmente presenta lunghe sequenze di fotogrammi (secondo la stessa regola dello stop-motion) mentre, alla fine, il passaggio da una visione all’altra risulta velocissimo. In questo modo, l’uso che fa Sambin della pellicola è strettamente legato al senso del film e al crescendo di relazioni in linea con quanto avviene anche nella musica e nei colori. 185 L’accostamento “cromatico” tra suoni e colori non è espressamente indicato dall’artista come derivante dalle sperimentazioni musicali e artistiche di primo ‘900 (per esempio, Vasilij Kandiskij e Arnold Shöenberg) , ma sarebbe sicuramente interessante approfondire questo ambito, anche al fine di valorizzare le idee dell’artista in analisi. Si potrebbe partire, a questo proposito, dagli studi di Jolanda Nigro Covres nel volume Astrattismo (Milano, 2002).

69

notiamo che esso si distanzia da quello tradizionale e assomiglia di più ad un suono sintetico.

Questo particolare effetto sonoro è realizzato grazie all’intraprendenza e fantasia del giovane artista

che, in questo caso, recupera un vecchio pick-up186 per chitarra elettrica e lo riadatta (curvandolo) al

violoncello.

Per analizzare il linguaggio utilizzato da Sambin, è interessante soffermarci sulla quarta parte del

film, in cui un giovane ruba una barca e naviga per le strade acquatiche di Venezia in compagnia di

una donna: l’amore, sia esso sacro o profano, è la rappresentazione più aulica e allo stesso tempo

astratta delle relazioni umane. Immagini di acqua, natura e pietra (metafora di civiltà) si mescolano

e grazie al montaggio questi tre elementi si alternano in una sequenza serratissima; le impressioni

della città s’intervallano al mondo acquatico e a quello “pastorale” nella stessa sequenza, sono

scene distorte, ebbre di nuova vita. Come avvertiva Ėjzenštejin, il montaggio in questo caso rende

superflua la valenza empirica di ciò che è rappresentato, in favore di un linguaggio in cui è il modo

in cui è montata la realtà fenomenica a produrre senso. In questa maniera, le modalità

d’inquadratura associate alla cadenza serrata dei fotogrammi ci inducono, insieme al Free Jazz di

Sambin, del fratello Marco e di Francesco Bergamo, a guardare Venezia con occhi diversi e ad

astrarre il senso ultimo della pellicola.

Sambin non ci sta mostrando solo la città e i suoi abitanti, ciò è palese quando la cinepresa inquadra

il dettaglio di due gambe che salgono alcuni scalini tipici del paesaggio veneziano, per spostarsi

subito dopo verso un prato verde (Fig., 9); il montaggio di questi due fotogrammi, come voleva il

teorico russo, permette allo spettatore di capire uno dei problemi che Sambin ed i suoi coetanei

individuano in Venezia: la mancanza di zone verdi pubbliche. È questo che ha reso gli abitanti

lagunari così artificiali anch’essi, estranei, distaccati tra di loro e dalla vita reale com’erano

presentati all’inizio del film, in relazione ai colori neri. Lontani dai verdi paesaggi, gli esseri umani

perdono la loro natura di animali sociali.

Dal punto di vista musicale, come accennato, quest’ultima parte è accompagnata da un brano di

Free Jazz “alla Coleman”, improvvisato dai giovani musicisti in sala di registrazione; oltre a darci

un grande aiuto nell’individuazione delle fonti sonore dell’artista, l’utilizzo di tale genere fa sì che

ora il suono sia libero, non dipenda più da ciò che si vede...o meglio: come le tonalità del quadro

che si dirigono ora verso il bianco, come il montaggio e le inquadrature che eliminano la

comprensione fenomenica dei fotogrammi, la musica si astrae anch’essa.

Non è un caso che, ad un utilizzo astratto del materiale cinematografico e pittorico sia associato il

genere musicale Free Jazz; già Cage, nel descrivere i quadri di Pollock, li associava alla musica di

186 Il pick-up è un dispositivo elettrico, utilizzato principalmente in ambito musicale in grado di trasformare le vibrazioni delle corde di uno strumento musicale cordofono (ad esempio la chitarra elettrica o il basso elettrico) in impulsi di tipo elettrico.

70

Miles Davis e colleghi, ed è interessante ricordare che l’opera White Light (1952) di Pollock sarà la

copertina del disco Free Jazz (1960) di Ornette Coleman; entrambe le opere erano e sono definite

informali. Ma per Sambin è il suono il linguaggio più astratto e, in questo senso, universale, con

un’altissima capacità comunicativa che lo differenzia dagli altri linguaggi, siano essi visivi o

verbali; per questo egli, in Film a strisce, continua a suonare anche quando nel film non compare

che il bianco, come a voler sottolineare che il suono astratto può arrivare lì dove l’immagine astratta

non è più capace di comunicare.

Tornando alla tecnica di animazione di Blud’acqua e al linguaggio informale che permea il film, si

può avvicinare l’artista padovano ad un altro film-maker nonché compositore della musica delle sue

pellicole: Cioni Carpi187. Realizzati tra gli anni Sessanta e Settanta, i film di quest’autore sono stati

spesso definiti astratti e, anche se l’artista trova questo termine inappropriato, la descrizione che egli

stesso fa del suo linguaggio non può che ricordarci le intenzioni di Sambin; le esperienze di cinema,

infatti:

non sono che ricerche visive attuate in un certo modo e con certi mezzi, intese

come possibilità di generare nello spettatore reazioni a vari livelli, di indurre

multiple e differenziate letture, di far sì che di rimbalzo quelle immagini si

trasformino e si organizzino in pensieri legati da un comune denominatore

costituito dall’uomo, meglio, dell’idea di uomo o dall’uomo come idea o come

infinite idee188

Anche gli altri film-maker che si affacciano al cinema sperimentale negli stessi anni di Carpi e

Sambin ambiscono alla costruzione di un linguaggio attraverso le immagini filmiche; a questo

proposito è interessante ascoltare le parole di De Bernardi:

Per me il cinema è stata sempre una scrittura, non nel senso di scrittura

cinematografica, io dico scrittura nel senso di usare la cinepresa come qualcosa

che scrive, che lascia dei segni, un’impressione attraverso un’espressione. È

l’intimità che si stabilisce tra te e il mezzo, non è macchina da scrivere ma

cinepresa. Pittura come un’eterna presenza, per me il rettangolo attraverso cui

guardi ti spinge alla composizione, non è più quando tu guardi liberamente,

187 La tecnica d’animazione utilizzata da Carpi si differenzia molto da quella di Sambin; egli infatti, similmente a Veronesi e McLaren, usa dipingere e disegnare a mano sulla pellicola dando via ad un caos di segni, lettere alfabetiche, parole e frasi. Cfr., Cosetta G. Saba (a cura di), Cinema Video Internet … Bologna, 2006, p. 171. 188Cosetta G. Saba (a cura di), Cinema Video Internet … Bologna, 2006, p. 171.

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mentre lì fai un’inquadratura in cui componi delle linee, proprio perché non puoi

dipingere, tutto ciò che sono le immagini si condensa.189

Lo stesso tipo di ricerca tra Sambin, Carpi e De Bernardi ribadisce che in quegli anni la necessità di

generare nello spettatore emozioni e pensieri era un sentire comune e che alcuni personaggi

utilizzarono il linguaggio visivo e quello musicale con il chiaro intento di superare le difficoltà

comunicative della lingua parlata. L’obiettivo nella ricerca di un nuovo linguaggio è espresso molto

bene anche dalle parole di un altro grande film-maker sperimentale, Grifi:

Film come Transfert per camera verso Virulentia [1967, nda] denotano il fatto

che l’underground era un respiro culturale, un modo di esistere, una scelta

filosofica e politica, non era solo fare cinema controcorrente. […] L’elemento

sovversivo non è nei contenuti, ma è nello stile, nel linguaggio.190

A proposito di linguaggio, è bene citare anche Carmelo Bene che, intervistato, afferma:

«l’importanza è nel dire, non del ripetere il già detto. […] Si toglie il senso sulla scena per

recuperare un controsenso. […] Si fa uno studio sul linguaggio, non sulla lingua»191.

Prima di passare al prossimo film è interessante fare un accenno ad un momento in cui, in

Blud’acqua, si sente una musica chiaramente disturbata dal rumore bianco tipico di una radio mal

funzionante; il breve brano che si ode è accostabile alle sperimentazioni del suono svolte dal gruppo

Fluxus. È necessario ricordare che una delle protagoniste di Fluxus è Yoko Ono e le sue ricerche

influenzarono sicuramente i Beatles; in White Album (1968), che avevamo già citato parlando di

Anamnesi, il brano Revolution 9 (1968) è in realtà un collage di musiche registrate da trasmissioni

radiofoniche. Ecco quindi un momento in cui, sebbene Sambin affermi di non conoscere in quegli

anni le sperimentazioni del gruppo internazionale, si riscontra un debito, anche solo indiretto, nei

confronti delle sperimentazioni musicali oltreoceano.

Il penultimo film di cui parleremo, Tob & Lia, è uno dei pochi, insieme a Murales e Scala F, a far

uso della parola parlata; in questo caso però, più che il senso di ciò che viene detto dalla figlia di

Luginbhül è importante la tonalità e il colore della voce che proviene da una bambina di appena tre

anni di età. Come già accennato, la pellicola in analisi è costruita sul rapporto tra due diversi

189 Scheggie d’utopia. Il cinema Underground italiano – Tonino De Bernardi, intervista a cura di Paolo Brunatto. Cfr., http://www.youtube.com/watch?v=0MW0BSjPqoQ&feature=relmfu. 190 Scheggie d’utopia. Il cinema Underground italiano – Alberto Grifi, intervista a cura di Paolo Brunatto. Cfr., http://www.youtube.com/watch?v=SGTPI7cyPYw&feature=relmfu. 191Intervista di Arnaldo bagnasco a Carmelo Bene durante il programma televisivo Mixer Cultura, 15 Febbraio 1988. Cfr., http://www.youtube.com/watch?v=eG_SInlaW_U.

72

cuccioli: uno d’animale (Tob) e uno d’uomo (Lia). In realtà, i due, non si sono mai incontrati

veramente e la loro relazione è possibile solo grazie alla cinepresa e alla tecnica della

sovraimpressione, non solo dell’immagine; analizzando il rapporto tra visivo e uditivo, si costaterà

che grazie alla sovrapposizione dei dettagli del cane con la voce e le risate della bimba si ottiene

l’impressione che essi stiano giocando nella stessa stanza. Altre volte la musica viene utilizzata

invece come compendio narrativo delle immagini, e allora si sentiranno un flauto dolce riverberato

e un sax.

Il rapporto tra immagine e parlato ha la funzione, in questo caso, di mettere in relazione i

personaggi del racconto; questo escamotage è degno di un utilizzo molto professionale della

cinepresa e del suono giacché quest’ultimo è utilizzato per allargare virtualmente il campo visivo

suscitando nello spettatore la convinzione che, al sentire la voce della bambina, quest’ultima si trovi

proprio lì, al fianco del cane, anche se non è veramente visibile.

Se, come abbiamo visto, in Tob & Lia il linguaggio verbale è utilizzato per contestualizzare le

immagini, in Murales e Scala F interno 19, esso acquista senso in quanto tale. Il primo film,

essendo un documentario, presenta una tradizionale voce narrante (Tullio Facchi) che racconta

l’oppressione in Cile e il ruolo dei muralistas nel portare avanti la resistenza; ad essa si alterna poi

la voce di Sebastian-Matta Echaurren, intervistato dal film-maker sul ruolo sociale dell’arte; in

ultimo ascoltiamo la voce del popolo che partecipa allo strano happening192 con curiosità e

coinvolgimento ideologico, ma anche artistico. Nonostante l’impostazione documentale, in questi

anni, vorrebbe già l’utilizzo della registrazione in diretta, Sambin non dispone di un’attrezzatura in

grado di rispondere a questa necessità e registra separatamente alle immagini le voci en plain air del

pubblico. Il film, inoltre, è accompagnato dalle canzoni degli Intillimani ed abbiamo già notato

come l’utilizzo di musica “preconfezionata” faccia invertire le dipendenze tra suono e immagine.

Scala F interno 19 vede invece come protagonista assoluto Giovanni Sambin, uno dei fratelli

dell’artista (Fig., 16). Il film narra della vita reale del giovane matematico, catturando alcuni istanti

di una sua giornata qualunque. Questo è l’unico film di Sambin che presenta dialoghi veri e propri -

già analizzati nel paragrafo riguardante l’uso delle immagini - realizzati in sala di doppiaggio. Nei

momenti in cui il protagonista è intento nello studio, poi, la musica che si sente non solo non è

composta ed eseguita da Sambin, ma proviene da un giradischi inquadrato ad un certo punto (Fig.,

17); ciò, a porre l’accento sulla provenienza della musica “in campo”.

192 Il termine è stato volutamente trasferito dal suo significato semantico tradizionale - la parola Happening nasce grazie alla celebre opera di Allan Kaprow, 18 happening in 6 parts (1959) - all’azione svolta dai muralistas in quanto, sebbene essi non codifichino il loro linguaggio,anche nel loro caso il rapporto con il pubblico (o forse meglio, il popolo) è fondamentale. Si pensi inoltre che il fenomeno dei murales altro non è che un tentativo “analogico” di diffusione dell’informazione e che esso è rimasto in auge sino ad oggi – si pensi al video-documentario Exit throught the Gift Shop (2011) - essendo il muro pubblico uno dei pochi medium non “controllabili” dal mercato.

73

I due famosi musicisti, Gato Barbieri e Frank Zappa, che si sentono durante il film, sono utilizzati in

questo contesto per rendere ancora più reale “casa Sambin” e ai nostri occhi sono utili per

individuare i gusti musicali del film-maker; inoltre, entrambi i musicisti fanno parte di un gruppo di

artisti le cui musiche sono state spesso utilizzate nei film sperimentali: basti pensare ad Amore

amore (1968) di Alfredo Leonardi o ai film di Bacigalupo, in cui è forte il riferimento Jazz.

In conclusione, il rapporto tra immagine e suono nei film di Sambin risente del forte impulso

sperimentale dell’artista, che non si limita a doppiare le pellicole in termini tradizionali ma mette in

atto un vero e proprio studio del linguaggio visivo e sonoro. Come si è visto, la relazione tra ciò che

si vede e ciò che si sente non è mai la stessa nella filmografia dell’autore anzi, essa cambia in

continuazione; il suono dei film ha una funzione narrativa, accompagna ritmicamente immagini e

montaggio, spazializza ciò che vediamo ma a volte diventa anche spartito per la costruzione del

film.

Dal 1974, anno in cui Sambin si approccia anche al mezzo video, notiamo che l’uso del suono

all’interno delle pellicole, nonostante mantenga da un lato un afflato sperimentale, dall’altro si fa

più “tradizionale”; possiamo pensare che ciò avvenga in quanto, parallelamente, Sambin scopre il

video che gli permette una maggiore agilità nella sperimentazione della relazione visivo - sonora;

come abbiamo già accennato, il fatto che Film a strisce sia sonorizzato in performance non fa che

rimarcare l’avvenuto passaggio verso le ricerche artistiche performative e video-performative che si

andavano diffondendo in quegli anni. L’ultimo film composto dall’autore è Diogene e in esso

scompare del tutto la necessità della relazione tra suono e immagine; il senso del film è dato da

alcune frasi che compaiono all’inizio della pellicola. Ciò a dimostrare, se fosse necessario ripeterlo

di nuovo, che ormai è il video – più veloce, più immediato, più economico - il nuovo medium con

cui Sambin si relaziona e che sperimenta; d’altro canto, il fatto che in quest’ultimo suono e

immagine siano incisi sullo stesso supporto magnetico risolve nella sua stessa essenza il complesso

problema che affliggeva ormai da anni Sambin: l’unione tra linguaggio visivo e sonoro.

4.4 La sperimentazione del linguaggio audiovisivo attraverso il video

Passiamo ora all’analisi del rapporto immagine e suono nei video; sarà interessante notare che la

prima opera che Sambin realizza con il nuovo medium è Spartito per violoncello; già dal titolo –

diversamente da quanto fa lo stesso artista con i film – è possibile capire che vi è un rapporto tra ciò

che vedremo e ciò che udiremo poiché si fa riferimento ad uno “spartito” che deve essere visto e ad

un “violoncello” che deve essere suonato e udito.

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Come abbiamo già detto nella parte dedicata all’analisi dell’immagine video, quest’opera consta di

due registrazioni. Ciò che però ci è rimasto, è solo il video che documenta l’opera (il secondo)

mentre ciò che noi vediamo comparire sullo schermo di fronte a Sambin è andato perduto.

Considerando quindi l’opera per come la vediamo attualmente, essa presenta Sambin seduto di

fronte ad un monitor con in mano un violoncello; la telecamera riprende l’azione da dietro, spostata

sulla sinistra; il tecnico delle riprese – in questo caso Paolo Cardazzo – riprende l’azione alternando

campi lunghi e primi piani dello schermo per far focalizzare l’attenzione del pubblico su ciò che è

importante ai fini della comprensione del senso; Sambin è di fronte al monitor ed interpreta ciò che

vede, secondo delle regole determinate da lui, attraverso il suono dello strumento.193

Costatare che Sambin sta suonando il visivo, ci riporta a quanto accadeva durante la sonorizzazione

dei film dello stesso: durante la proiezione delle immagini il film-maker interpretava secondo regole

più o meno prestabilite ciò che egli vedeva. Sarà quindi interessante relazionare i due metodi per

arrivare alla conclusione che l’artista padovano, nonostante l’immediatezza di registrazione suono-

immagine insita nel video, si sia approcciato inizialmente al nuovo medium nella stessa maniera con

cui approcciava il vecchio.

Se guardiamo, infatti, le opere video di Sambin, noteremo che molte volte, soprattutto nei nastri

iniziali, i suoni sono registrati in doppiaggio: questo è il caso per esempio di Echos, Concerto per

clarino e VTR, Un suono a testa e del progetto non realizzato di Autoritratto per quattro camere e

quattro voci194. Pare invece che la simultaneità sia centrale o in opere che dovevano essere

realizzate in tempi molto brevi (100’’ per…, Oihcceps) o in opere live (Looking for listening,

Ascolto, Duo) o, infine, in quelle realizzate attraverso la tecnica del video-loop, spesso live

anch’esse (Sax soprano due).

Ciò che possiamo notare è che la tecnica di doppiare in un secondo momento le immagini, è

utilizzata da Sambin fino al 1976 e poi completamente tralasciata (con l’eccezione di Autoritratto

ma, come vedremo, questo solo in teoria). Questa considerazione dimostra ciò che avevamo detto

anche in altri momenti: il video è inizialmente per Sambin un mezzo per sperimentare in maniera

più veloce, facile ed economica – a mo’ di block-notes – la relazione tra visivo ed uditivo per poi

proporla nei film. Eclatante, infatti, pare il caso di Film a strisce dove non solo il risultato visivo è

sicuramente legato ad opere come 100’’ per.. (e si pensi alla natura dell’immagine elettronica, che

diversamente dalla pellicola si compone proprio di strisce); ma anche il fatto che la sonorizzazione

sia nell’hic et nunc della proiezione risente dell’ormai necessità di una dimostrazione live di come

avviene l’incontro tra visivo e uditivo. In qualche modo è come se, dalla scoperta del video in

193 Cfr., Tabella 1, Scheda 1, in Schede dei Video, Appendice. 194 Cfr., Scheda 8, in Schede dei Video, Appendice.

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avanti, Sambin si rifiutasse di tornare a suonare in sala di doppiaggio cinematografico; questo è

dimostrato anche dai film che realizza dal 1975: Scala F interno 19 e Murales non presentano

nessuna musica eseguita da Sambin e Diogene non ha la colonna sonora.

Non sono solo i film ad essere in debito con i video; anche i risultati visivi e sonori del nastro

magnetico risentono delle ricerche di Sambin in campo cinematografico. In Spartito per violoncello,

se guardiamo la quinta sequenza, vedremo che l’immagine della puntina si sposta sullo schermo

molto similmente a quanto fanno i dots di McLaren nell’omonimo film (1940); il suono del

violoncello, attraverso piccoli o grandi glissandi e movimenti d’arcata lunghi e brevi, codifica

musicalmente i movimenti sullo schermo in maniera molto simile. Ciò significa che Sambin

sperimenta con il video degli effetti che aveva già iniziato a cercare partendo dai film e che

inizialmente, per lui, non c’è differenza tra uno e l’altro supporto; ma anche che il video gli

permette di sperimentare con più agilità delle tecniche che, su pellicola, richiederebbero una

speciale maestria. Anche gli esercizi di apertura e chiusura del diaframma, che ritroveremo spesso

nei video di Sambin, sono associabili alle sperimentazioni di Brackhage, in particolare nel film The

world shadow (1972); così come sono comparabili la ricerca dell’immagine astratta del film-maker

americano in pellicole come Eye Myth (1972) o Dog star man (1961) e quella di Sambin quando,

nel 1978, farà uso del video-loop195.

Dire che il «video sta al cinema come il block-notes sta alla tela»196 vuol proprio dire, per Sambin,

che egli trasferisce le ricerche compiute con il film al video, lasciando alla pellicola, almeno

inizialmente, il ruolo di medium poetico, con il quale l’artista padovano avrà un rapporto più

artistico e meno scientifico (Film a strisce). Così, se guardiamo i tape realizzati, noteremo che

quelli dove compare il rapporto tra immagine e suono (esclusi quindi Oihcceps e 100’’ per…) sono

realizzati in uno stile affatto didattico e presentano all’eventuale spettatore tutto quanto necessario

alla comprensione del nuovo linguaggio visivo - uditivo; mentre, scoperto il sistema del loop e

lasciata alle spalle la pellicola Sambin, dal 1978 inizierà una serie d’interventi in cui diventa

nuovamente importante l’aspetto estetico/astratto, oltre a quello concettuale che rimane comunque

alla base dei lavori. In video come Sax soprano due l’autore non è intenzionato a “dimostrare” che

vi è un rapporto tra suono e immagine; quest’aspetto è già stato frutto di dimostrazione; adesso

l’attenzione è portata piuttosto sulle maniere di utilizzare gli assiomi dati, per dar voce ad una

particolare estetica del suono e dell’immagine.

D’altra parte, a cominciare dal 1976, nei lavori di Sambin si renderà sempre più urgente la pratica

performativa, che consente all’artista di enfatizzare l’aspetto istruttivo e sperimentale. Non è solo

195 Si ricordi, però, che i film di Brackhage sono muti, e quindi non vi è una ricerca sul rapporto immagine-suono. 196 Riccardo Caldura, Una generazione intermedia…Mestre, 2007, p. 58.

76

l’artista padovano a sentire la necessità, con il video, di dare il via a un’arte didattica; abbiamo già

detto che i contesti in cui si lavora con il video sono spesso costituiti in una forma laboratoriale,

dove quindi è importante la ricerca e, in un secondo momento, la dimostrazione dei risultati

raggiunti. Secondo quanto scrive l’autore dell’articolo Giuseppe Chiari. Musica e insegnamento

(1974)197:

È nella prospettiva delle neoavanguardie che si cercheranno le risposte. L’epoca

(dalla metà degli anni Cinquanta ad oggi) che vede tramandare il sapere acquisito

dalle avanguardie, biforca su due strade: quella dell’arte totale e quella dell’arte

didattica. E se ci domandiamo - chi insegna l’arte didattica? – vedremo che Chiari

la insegna. […]

Chiari è sempre limpido e lapidario nei suoi scritti, non si limita mai a dichiarare

le sue posizioni in testi dotati di autorità per il solo fatto che sono stampati, ma li

discute questi pretesti per dialogare, li toglie alla comunicazione scritta e li affida

a quella orale in conferenze che sono poi teatro del sospetto e insieme dialogo

verso la reciproca comprensione, cioè vera didattica.

Com’è possibile costatare, anche l’arte di Chiari si svolge spessissimo di fronte al pubblico, in

conferenze o performances che enfatizzino il rapporto dialettico; lo stesso avviene nelle opere di

Ambrosini. Citiamo questi due artisti perché sono quelli che, in suolo italiano, hanno realizzato

opere che presentano una ricerca molto vicina a quella di Sambin, nonostante ognuno di loro abbia

sviluppato la propria poetica in modo singolare. Sicuramente, dal punto di vista musicale, sono tutti

e tre coinvolti nella sperimentazione tout court, lo dimostra il fatto che tutti e tre si sono allontanati

totalmente dal mondo accademico tra gli anni Sessanta e Settanta. Inoltre, tutti e tre questi artisti

hanno svolto spesso opere performative utilizzando il supporto video, non solo al fine di

documentare le proprie esecuzioni, e neppure, solamente, al fine di incorniciare un particolare

aspetto di esse, ma anche come strumento musicale. Tutto ciò che può essere usato nelle opere di

Chiari, quasi tutto in quelle di Ambrosini e Sambin, diventa strumento musicale con uguale dignità

rispetto a quelli più tradizionali. Ad esemplificare i numerosissimi ruoli svolti dal video nelle opere

di Ambrosini, si possono citare Videomusic (1976) in cui il televisore viene proposto come un «neo-

strumento musicale, da “suonare” secondo una tecnica ludica, inventiva e smitizzante»198;

Videosonata (1976) «l’opera che forse più compiutamente esprime la [sua, nda] intenzione di creare

197 Cfr., S.A., Giuseppe Chiari, Musica e insegnamento, 1974. 198 Dino Marangon, Videotapes …Venezia, 2004, p. 109.

77

dei lavori che fossero emozionalmente, esteticamente fruibili e nello stesso tempo costituissero

un’indagine, un momento di (auto) rivelazione del medium»199; Solo/Tutti (1979)200, «per strumenti,

circuito audio e video con Direttore d’Ascolto, figura del tutto nuova che avevo introdotto per

guidare il pubblico ad una migliore percezione degli eventi sonori».201

Per quanto riguarda Chiari, egli scrive pezzi «per donna ma anche per bicicletta, collana, per

registratore, per televisore»;202 mentre in Gesti sul piano (1962) il nastro elettromagnetico, collegato

allo schermo, serve ad incorniciare ciò su cui lo spettatore dovrà concentrarsi o, come in Concerto

al buio (1974), a sottolineare la dimensione puramente uditiva del pezzo. Sarà importante fare

riferimento anche alle brevi frasi o aforismi che egli appendeva nelle gallerie e nei musei:

Si tratta di affermazioni paradossali fatte apposta per epater le bourgeois, come

appunto “la musica è facile” o “tutte le musiche sono uguali” (Senza titolo, 1971);

ma per lo più sono brevi esortazioni o precetti di comportamenti elementari, come

camminare, toccare, parlare, giocare, guardare, comportamenti che, se eseguiti

con la dovuta attenzione, rivelano di possedere un alto quoziente estetico.203

Le performances musicali realizzate con il video, in qualsiasi dei ruoli che esso acquisisce, hanno

anche lo scopo di avvicinare il pubblico ad un nuovo discorso sulla Musica Sperimentale, così come

sull’arte in generale; questi musicisti mettono in discussione il modo in cui la musica è stata

concepita fino a quel momento e si spostano verso una concezione di “arte totale”, dove il termine

“totale” è riferito sia all’interdisciplinarietà del fare e del medium artistico – non si differenziano più

i concetti di arti visive, musicali, video, performative etc. - sia, in secondo luogo, al fatto che tutti

possono fare arte, eliminando il concetto elitario di “un’arte per pochi”. Detto ciò, non possiamo

che avvicinare i lavori di Sambin a quelli degli altri due artisti citati; e se paragoniamo l’artista

padovano a quello fiorentino, non possiamo che trovare interessante ciò che scrive George Brecht a

proposito di Fluxus:

Whether you think that concert halls, theaters, and art galleries are the natural

places to present music, performances, and objects, or find these places

mummifying, preferring streets, homes, and railway stations, or do not find it 199 Ivi, p. 110. 200 La performance è stata eseguita quando Ambrosini è stato invitato per la prima volta al Festival della Musica Contemporanea della Biennale di Venezia, nel 1979; la stessa cui parteciperà anche Sambin con l’opera Looking for listening. 201 Dino Marangon, Videotapes … Venezia, 2004, p. 111. 202 S.A., Giuseppe Chiari, Musica e insegnamento, 1974. 203 R. Barilli e altri (a cura di), La performance …Bologna, 1977, p. 17.

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useful to distinguish between these two aspects of the world theater, there is

someone associated with Fluxus who agrees with you. Artist, anti-artists, non-

artists, anartists, the politically committed and the apolitical, poets of non-poetry,

non-dancers dancing, doers, undoers, and non-doers, Fluxus encompasses

opposites. Consider opposing it, supporting it, ignoring it, changing your mind.204

Attraverso le sperimentazioni con il video Sambin dà, quindi, sempre più spazio ad una concezione

di opera d’arte in cui ogni elemento - da quello visivo a quello sonoro, dal video alla performance,

dagli strumenti musicali a quelli elettronici - può facilmente diventare il punto di partenza o di

arrivo per una nuova esecuzione: in Echos, per esempio, non è più solo il violoncello a suonare, ma

anche la telecamera inizia ad avere una funzione sonora seguendo una partitura precedentemente

accordata con il tecnico (Vidolin).

Ciò che è interessante notare, è come il ruolo strumentale della telecamera è reso in modo esplicito

negli spartiti realizzati dall’artista padovano: ve n’è uno per il violoncellista (Sambin) in cui sono

chiaramente segnate le battute che determineranno il ritmo dell’esecuzione (Fig., 23); e ve n’è uno

per Vidolin, dove sono espressi in modo chiaro i movimenti (verticale; orizzontale; mosso), gli

zoom (dinamico o statico) e i battimenti (Fig., 24). Come si vede, vi è un tentativo di codificazione

e di orchestrazione tra il suono e il video che si distanzia completamente da quello più istintivo ed

empatico che trovavamo nelle pellicole dell’artista, in favore di una schematizzazione per

l’appunto, didattica, volta a chiarire cosa s’intende per rapporto tra immagine e suono. Se

guardiamo il video, infatti, Sambin rende esplicitamente le varie tipologie di rapporti in quanto,

come riportato anche da tabella205, mentre si vede l’artista suonare non si ode alcun suono (ad

eccezione delle prime quattro battute); successivamente, invece, – e questo grazie al doppiaggio

eseguito post-registrazione video – sentiamo il suono all’unisono con i movimenti della telecamera.

Sambin lavora prima sulla dissociazione tra immagine e suono (vediamo l’artista suonare ma non

percepiamo alcun rumore) che cattura l’attenzione dello spettatore; in un secondo momento gli

“inietta” il concetto e cioè l’esistenza di un altro tipo di relazione possibile, quella tra suono e

movimento di camera.

In ultimo, è interessante costatare che il non utilizzo di una “normale” annotazione musicale, né in

Echos, né nelle opere precedenti e successive, fa sì che Sambin, per riferirsi ad un determinato

effetto sonoro che intende riprodurre, utilizzi delle terminologie molto particolari, tra le quali,

204George Brecht, Something about fluxus, Fluxus Newspaper #4, June 1964. Cfr., http://www.artnotart.com/fluxus, visionato in data 2/07/2012. 205 Cfr., Tabella 2, Scheda 2, in Schede dei Video, Appendice.

79

quella che colpisce di più, si situa nel primo spartito206di Echos, alla seconda riga, nel terzo gruppo

di battute: notiamo, infatti, che, a differenza delle altre annotazioni, in questo caso l’artista scrive

“Tob & Lia”, chiaro riferimento al film del 1974; ciò perché, evidentemente, Sambin è intenzionato

a riprodurre un determinato effetto che aveva già precedentemente utilizzato nel film.

Il visivo attraverso il sonoro e viceversa; questo sembra quanto l’artista ci vuole comunicare. Ma le

relazioni che si posso trarre tra immagine e suono sono di molteplici tipi: nel 1976, presso

l’incontro di Motovun, Sambin progetta e realizza Un suono a testa. Quest’opera presenta delle

somiglianze con quella appena vista, soprattutto dal punto di vista progettuale, in quanto l’artista

padovano utilizza una maniera simile di “comporre” l’esecuzione: troveremo che anche qui il

rapporto tra visivo e sonoro è “messo su carta” attraverso una sorta di pentagramma207 che va da

sinistra a destra e, alla fine del foglio, continua curvando “a U” su se stesso, proseguendo da destra

a sinistra. Il fatto che i righi siano consecutivi, sta a rappresentare il movimento della telecamera,

prima in un senso e poi nell’altro. Ogni riga, poi, è divisa in più linee delle quali una è dedicata al

movimento di camera; una al volume; una allo strumento A e una a quello B. In alto, alcuni quadrati

con su scritto “Foto 1”, “Foto 2” etc., hanno la funzione di determinare il ritmo della composizione

e si riferiscono all’inquadratura del monitor.

Da ciò, capiamo subito che il ritmo e il tempo sono dettati dall’andamento della telecamera - che

inquadra le “teste” degli artisti; è guardando attraverso il monitor collegato a circuito chiuso con la

videocamera che si dovranno “eseguire” il volume e gli strumenti A e B; la composizione sarà

quindi data dal rapporto tra i volti degli artisti presenti a Motovun e le note che essi ispirano.

Guardando l’opera notiamo che in una prima fase Sambin inquadra le espressioni degli artisti ad

una ad una e, in sottofondo, ogni volta che uno degli artisti è ripreso, si sente uno strumento

musicale e/o vocale eseguire una particolare sonorità. Procedendo, la velocità dell’inquadratura dei

volti aumenta, la telecamera torna indietro, salta alcuni dei personaggi, corre avanti creando così un

nuovo spartito musicale dettato questa volta dall’interpretazione dei volti e del movimento della

telecamera. Il rapporto tra visi e suoni è stabilito nelle battute iniziali dell’opera e si mantiene

identico durante tutta la lunghezza del video creando così l’idea che il nuovo linguaggio è reale,

oggettivo e in un certo senso scientifico, non frutto dell’improvvisazione momentanea del

musicista; allo stesso tempo, è chiara l’idea che se vi fossero altri interpreti, essi potrebbero

associare suoni nuovi agli stessi volti creando così una musica completamente diversa.

Il fatto che in questi lavori caso e precisione matematica, improvvisazione e interpretazione

oggettiva si mescolano, non ci deve sorprendere, giacché queste ricerche erano in auge sin dagli

206 Cfr., Fig. 23. 207 Cfr., Fig. 29.

80

anni Cinquanta acquisendo successivamente il nome, come già visto, di Musica Sperimentale.

Quest’ultima, tra le altre cose, investiga nuovi modi di scrivere ed interpretare lo spartito musicale

ed è interessante riportare ciò che scrive Earle Brown (musicista e compositore di quegli anni) al

fine di contestualizzare meglio le ricerche di Sambin:

Ciò che m’interessa è trovare il grado di condizionamento (del concepimento,

della notazione, della realizzazione) che bilancerà il lavoro tra punti di controllo e

di non controllo. Non esiste una soluzione definitiva a questo paradosso ed è il

motivo per cui l’arte esiste.208

I lavori di Brown tra il 1952-53 (raggruppati sotto il titolo generale di Folio) sono caratteristici di

questo modo di pensare in quanto si spostano verso un’indeterminatezza esecutiva introducendo

notazioni inventate di natura grafica estremamente ambigua che garantiscono una mobilità

permanente da un’esecuzione all’altra, progettata espressamente per incoraggiare la mobilità

concettuale nell’approccio degli esecutori alla partitura; anche in Four system (1954) la partitura

(ancora grafica) è costituita da un diagramma di rettangoli posizionati in quattro spazi uguali;

all’esecutore non è offerta nessuna lunghezza di tempo o numero di misure ma vi sono solo dei veri

e propri “buchi” che l’artista deve riempire secondo una scala temporale prescelta.209

Da ciò è chiaro, quindi, che il limite tra predefinito e improvvisato non è stato inventato da Sambin;

il nostro segue questa corrente e ne dà un’interpretazione aggiornata grazie all’avvento del video. Il

medium in esame si aggiunge al foglio di carta sul quale sono abbozzate le partiture per l’esecutore

e, senza specificare gli strumenti, le altezze e le ampiezze, l’artista chiede che sia il musicista ad

interpretare a suo modo la composizione. Ma la ricerca di Sambin non si ferma qui: egli non

abbandona del tutto l’associazione emotiva tra suono e immagine e a dimostrarlo c’è Ascolto

(1976), e nella versione video e in quella performativa210. Le intenzioni di Sambin sono individuate

dallo stesso nel foglio che illustra il significato dell’opera video:

L’immagine che un individuo si crea del suono! Ascoltando piange! La persona

ripresa ascolta, ma anche chi vede il tape ascolta. La non coincidenza delle

reazioni di chi ascolta vedendo il tape e di chi invece è ripreso mentre ascolta. Lo

smarrimento che crea il non “normale” rapporto tra immagine e suono. 211

208Michael Nyman, La musica …Milano, 2011, p. 75. 209Cfr. Michael Nyman, La musica sperimentale...p.76-77. 210Cfr., Scheda 7. 211Cfr., Fig. 30.

81

Come abbiamo accennato, quindi, il rapporto tra visivo ed uditivo in questo caso, non si basa sulla

coincidenza tra un particolare tipo di suono e una particolare modalità di ripresa; qui la relazione è

tra la musica elettronica e le reazioni che essa suscita. Il fatto che chi guarda reagisca diversamente

rispetto a chi viene ripreso suscita nel primo uno smarrimento, una reazione automatica; Sambin

“parla” al pubblico attraverso la dissociazione emotiva tra il sentimento creato dalla musica e

l’espressione del suo volto. Guardando quell’uomo che, preso da un impulso emotivo, esplode in un

pianto composto e sentendo in sottofondo una musica sintetica che trascende qualsiasi afflato

sentimentale, lo spettatore è posto di fronte ad un paradosso: il suono che ode non corrisponde per

niente alle immagini sullo schermo.

Il paradosso nell’opera, secondo l’artista, parla degli anni che sono definiti “di Piombo”, in cui la

quotidianità dei singoli cittadini, nel suo andamento sereno e pacifico, è in contrasto con i

rivolgimenti politici e sociali che affliggono l’Italia. L’artista piange di fronte al terrorismo e alle

stragi, esprimendo in pieno il sentimento di molti suoi coetanei che non capiscono e non accettano

l’andamento della storia. Il fatto che il video abbia un significato “simbolico” - ciò che sentiamo e

vediamo rimanda anche ad un altro significato – si ricollega a quanto avveniva nei film di Sambin;

l’associazione tra un suono elettronico e un sentimento piatto, di angoscia, era già stata analizzata in

1 e 2, così come le due opere si assomigliano nel loro aspetto tematico.

Essendo, la versione performativa di Ascolto, del 1976, possiamo pensare che Sambin abbia, in

quest’anno, trasferito al video e, parallelamente, alla performance, il ruolo principe delle sue

sperimentazioni; dal 1976, infatti, costatiamo che l’atto dimostrativo e didattico diventa sempre più

necessario. L’opera più rappresentativa di quanto andiamo dicendo è quella eseguita presso la

“Settimana della Performance” a Bologna nel 1977.

L’iniziativa, che tra gli altri vede nel comitato organizzativo personaggi quali Renato Barilli e

Franco Solmi, consisteva in una settimana in cui si sarebbero svolte quarantanove performances di

artisti più o meno affermati; l’obiettivo era dare spazio alle numerose espressioni artistiche

performative. Il catalogo della mostra è suddiviso secondo le tematiche attorno alle quali si

sviluppavano le azioni degli artisti e il nome di Sambin compare, stranamente, non tra le opere

performative musicali, ma tra quelle rivolte all’analisi dei sensi (il suono, l’olfatto, il gusto).

Vengono poi le liberazioni del corpo condotte settorialmente. […] . È vero che

tutta una categoria di performances si è specializzata nell’ambito dei suoni, del

rumorismo. L’udito infatti si può considerare il primo degli organi sensoriali in

ordine di importanza, subito dopo la vista, e quello che più anela al suo riscatto,

82

dopo la sottomissione secolare impostagli dall’epoca gutenberghiana. […] Anche

il giovane Sambin si concentra su fonazioni elementari, di cui recupera anche la

componente gestuale-mimica (la bocca, le labbra impostate in quel certo modo per

far uscire quel determinato suono); e le “zoomate”212 della telecamera

intervengono qui con tutto il loro potere di evidenziazione quasi didattica (come a

voler insegnare le buone regole della pronuncia).213

Lo scritto di Barilli riguardo all’opera dell’artista è chiarificatore, prima di tutto, del fatto che i

lavori di Sambin non sono ancora considerati all’interno del contesto della Musica Sperimentale,

ma solo dal punto di vista visivo; questo corrobora quanto diceva Ambrosini rispetto al mondo della

musica e al fatto che, negli anni Settanta, esso era ancora indietro rispetto alle sperimentazioni più

estreme. D’altro canto, se si guardano nel catalogo gli artisti inseriti all’interno della sezione

dedicata alle performances musicali, noteremo come compaiano artisti che hanno incrociato il

percorso di Sambin ma che hanno, forse, reso più esplicitamente l’importanza del suono servendosi,

durante la performance, anche di strumenti musicali più o meno tradizionali; essi sono Chiari, Joe

Jones, Charlemagne Palestine, Fabrizio Plessi e Christina Kubisch214. È interessante notare come i

primi tre fossero in contatto con Maria Gloria Bicocchi, avessero avuto esperienze dirette con il

video e prendessero parte al gruppo Fluxus; dall’altro lato, se confrontiamo l’opera di Plessi e della

Kubisch, noteremo che essa, dal punto di vista formale, è molto simile a quella eseguita da Sambin.

Two and two – terra/aria/fuoco/acqua è considerato un concerto/video/performance: «posti sul

muro centrale […] vi sono dieci monitor collegati a due telecamere che seguono separatamente gli

interventi degli artisti. Il pubblico è in tal modo “costretto” a fruire del concerto/performance

attraverso i monitor, ricostruendo in un’unità, ciascuno secondo canoni individuali, le diverse

tessere del mosaico frantumato sui teleschermi». La cosa che differenzia le due opere, è che, in

questo caso, sono due gli artisti; da un lato vi è Plessi, coinvolto nella sperimentazione visiva,

dall’altra c’è la Kubisch, musicista sperimentale. Questa differenza è molto importante, perché

sottolinea da un lato la multidisciplinarietà performativa, dall’altro il fatto che l’opera rappresenta la

sintesi tra un linguaggio sperimentale visivo ed uno musicale. Un’altra differenza potrebbe indicarsi

nel fatto che, mentre sui monitor in Two and two, l’orchestrazione tra immagini e suoni è data dal

rapporto tra i due artisti – essi eseguono live, sui monitor il loro linguaggio -, nel caso di Sambin

essa riesce grazie all’utilizzo dei quattro video in loop; quindi, se nel primo caso il video si pone 212 In realtà, per quanto si può vedere dalle foto da monitor realizzate da Simonetta Civran (compagna di Sambin) è possibile notare che le telecamere non zoomano sul volto dell’artista, come avviene per esempio in Ascolto, ma per tutta la durata della performance rimangono impostate sul primo piano. 213 R. Barilli e altri (a cura di), La performance …Bologna, 1977, p. 6. 214 Cfr., Ibidem.

83

come un oggetto aggiuntivo alla performance, nel secondo esso diventa uno strumento intrinseco ad

essa, senza il quale l’agito di Sambin perderebbe il suo significato.

Il fatto che il lavoro di Sambin non sia inserito all’interno delle performances musicali stupisce se si

considera il suo percorso fino a quel momento e ciò che gli seguirà; è anche vero che in

quest’occasione l’artista porta l’attenzione, come dice Barilli, sulle “fonazioni elementari” e ciò ha

fatto sì che egli fosse inserito all’interno di un discorso introduttivo più generale in cui è rimarcato

l’aspetto di “ritorno alle origini” rivisto nell’atto performativo. In questo senso, effettivamente, è

interessante il pensiero dello studioso, giacché, quella di Sambin, è una ricerca di linguaggio che

parte proprio dalle origini per essere riformulato; ciò che però non risulta sottolineato, cosa che

invece avverrà solo nella descrizione specifica dell’opera, è la ricerca di un rapporto tra suono e

immagini, dove le seconde possano fungere da spartito alle prime. Forse, se fossero state

considerate le opere precedenti dell’artista, in cui non si tratta esclusivamente di fonazioni vocali

elementari ma di qualsiasi rumore elementare, si sarebbe potuto inserire Sambin all’interno del

contesto musicale - performativo, così com’è stato fatto per gli altri artisti coinvolti nella stessa

ricerca.

Un altro aspetto importante da rilevare è quello didattico dell’opera, che si riscontra anche nelle

parole di Barilli e che, come abbiamo visto, si può ritenere sia ormai caratteristico dell’artista

padovano. I fogli appesi ai muri215 dell’ambiente abitato dalla performance sono esplicitamente

scritti nella forma in cui, alle scuole elementari, sono scritte le lettere: in basso si trova un disegno

di oggetto o animale (il ritratto) il cui nome inizi per la stessa lettera, che è posta in alto. È in questo

modo che egli propone un nuovo linguaggio che potrebbe essere ampliato ed utilizzato per qualsiasi

discorso. Sambin mette di fronte al pubblico tutti gli elementi per una facile comprensione del

funzionamento della performance perché vuole entrare in contatto con i fruitori.

Arrivati a questo punto, un elemento che si deve sottolineare è che Sambin inizia, da quest’opera,

ad utilizzare più monitor durante le performances. Questa caratteristica rappresenta un’interessante

svolta nelle opere video, che non si concentreranno più solo sulla ricerca tra immagine e suono, ma

approfondiranno anche i concetti di spazio e tempo; a ben vedere, il gioco tra i vari monitor

permette all’artista, come già visto nel capitolo riguardante lo studio dell’immagine, di utilizzare e il

linguaggio del circuito chiuso e quello del tempo differito. Abbiamo già parlato anche del fatto che

l’invenzione del video-loop deriva dal mondo del nastro magnetico audio, con il quale Riley e

quindi Sambin potevano, autonomamente, eseguire un pezzo a più strumenti. Pare quindi che

l’utilizzo di più monitor sia il diretto antenato del loop e consenta all’artista di superare

l’impossibilità, in un’esecuzione li ve, di poter accedere a più strumenti e quindi a molteplici

215 Cfr., Figg., 34-39.

84

tipologie di rapporti tra suono e immagine. Questa necessità è, infatti, palese nella diversità degli

strumenti musicali, vocali ed elettronici che Sambin suona, singolarmente o assieme, già dai primi

film e poi nei video. L’utilizzo di più monitor è quindi da collegarsi al fatto che Sambin sentisse la

mancanza della musica corale a lui congenita e che, prima di inventare il video-loop, abbia trovato

nella performance “a più schermi” lo strumento utile a risolvere il gap. Analizzando l’opera

Looking for listening vedremo inoltre che Autoritratto per quattro camere e quattro voci (le due

opere si distanziano di pochi mesi) si pone come predecessore di Looking, come se il primo avesse

posto le basi per l’orchestrazione di suoni della performance all’ASAC. Il fatto che le due opere

siano così strettamente collegate, connesso alla costatazione che Sambin procede per ipotesi e

corroborazioni, potrebbe essere la motivazione che spinge l’artista ad ipotizzare, inizialmente, per

Looking, un’opera installativa, ma lo si vedrà più nel dettaglio nel sesto capitolo.

L’anno successivo ad Autoritratto Sambin inventa il video-loop e da questo momento inizia a

realizzare una lunga serie di video, la maggior parte dei quali mettono in evidenza la possibilità che,

attraverso le sovrapposizioni delle immagini e dei suoni registrati, ad un certo punto si possa

ottenere un’immagine completamente astratta e un suono trasformato, sgranato dal tempo.

Attraverso la realizzazione di video come Sax soprano due è evidente che rinasce in Sambin l’idea

di una relazione astratta di suono e immagine; in questo caso, però, non è l’artista a realizzare

complicati montaggi di frammenti di pellicola, così come non è lui che dipinge quadri astratti per

poi riproporli durante i film; ciò che è straordinario è che è lo stesso funzionamento del video, in

loop, a proporre il passaggio dal figurativo all’astratto; inoltre, ciò che ne risulterà, sarà determinato

dal caso e non più dalla volontà dell’uomo. In questi video il ruolo dell’artista è escluso o, per lo

meno, marginato; non vi è più il rapporto nell’hic et nunc dell’improvvisazione cui Sambin era

ormai legato. Per questo motivo, probabilmente, l’artista inizierà a considerare il mezzo audiovisivo

autoreferenziale e preferirà proseguire le sue ricerche ritornando spesso al sistema con più monitor

di fronte al pubblico (Duo) e, in seguito, relegando il nuovo medium a vero e proprio supporto delle

opere teatrali.

Un’opera che si pone a cavallo tra la video-performance e il teatro è l’ultimo video preso in esame;

Duo, nell’attuazione, presenta la stessa tecnica – questa volta con soli due monitor – che avevamo

trovato in Autoritratto per quattro camere e quattro voci e che ritroveremo in Looking for listening;

in quest’opera si riscontra la stessa volontà del musicista di “suonare con se stesso”, ma il tutto

avviene in una dimensione più giocosa, di scherzo in cui Sambin agisce da vero attore

drammaturgico molto similmente a quanto fa Mauricio Kagel, importante fonte d’ispirazione per

l’artista. Se nei video precedenti trovavamo un’artista chiuso nella sua sperimentazione intento a

dimostrare scientificamente i risultati del suo lavoro, qui la percezione è che Sambin abbia trovato

85

un modo per “giocare” ironizzando su certi aspetti della Musica Contemporanea, rendendo il

medium oggetto più che soggetto del suo fare artistico. Pare che ormai sia avvenuto quel trapasso al

teatro che lo caratterizzerà nei successivi trent’anni, fino ad oggi.

87

5. Premesse alla seconda parte; lo studio di caso sull’opera Looking for listening

La seconda parte di questa tesi consiste nello studio di caso dell’opera di Sambin Looking for

listening. La motivazione prima che ha spinto ad un’analisi approfondita dell’opera in questione, è

dovuta alle problematiche nate dalla natura video-performativa del lavoro in analisi; infatti, è

proprio partendo dalla duplice essenza dell’opera - video, e quindi afferente al “mondo” della video

arte, e performance, effimera per definizione in quanto giocata live di fronte al pubblico, e che ha

bisogno del corpo dell’artista e degli spettatori per la sua realizzazione - che si pone il problema di

individuare un modello di conservazione, restauro e riproposta al pubblico di quanto in nostro

possesso.

La duplice natura dell’opera in esame, è poi complicata perché sia il video sia la performance sono

due forme artistiche che negli anni Settanta hanno attraversato molteplici ambiti disciplinari e

molteplici ambienti. La video arte, come scrive Cosetta Saba all’interno del volume Arte in

videotape «è un non-luogo […] da sempre non ha luogo proprio o, che è lo stesso, ha troppi luoghi

in cui è chiamata a essere presente»216. La performance, allo stesso modo:

By its very nature, […] defies precise or easy definition beyond the simple

declaration that is live art by artist. Any stricter definition would immediately

negate the possibility of performance itself. For it draws freely on any number of

disciplines and media for material – literature, poetry, theatre, music, dance,

architecture and painting, as well as video, film, slides and narrative – deploying

them in any combination.217

Come si noterà proseguendo con la lettura di questa seconda parte, Looking for listening è stata

presentata in molteplici occasioni ed ogni volta essa è stata proposta secondo forme, e quindi

“essenze”, diverse; questo, non è dovuto solamente alla caratteristica effimera della performance

216 Cosetta. G. Saba (a cura di), Arte in videotape … Milano, 2007, pp. 26, 27. 217 RoseLee Goldberg, Performance Art. From futurism to the present, Thames & Hudson, Singapore, 2001, p. 9.

88

ma è ulteriormente complicato dal fatto che l’opera, in più occasioni, ha acquisito anche la forma di

una video-installazione in cui, quindi, è scomparso il ruolo performativo dell’artista. Tutto ciò, non

solo negli anni Settanta - e quindi in un momento in cui i confini dei linguaggi artistici erano labili

per definizione - ma anche, come vedremo, nell’oggi.

Un’altra problematica sorta in fase di studio, è quella relativa ai documenti audiovisivi in nostro

possesso (tre video ½ pollice, Eiaj, prodotti dalla Sony); all’inizio dello studio di caso, era opinione

che i suddetti nastri magnetici fossero stati realizzati contemporaneamente alla prima realizzazione

di Looking for listening (ASAC, 1977) mentre, grazie all’intervista e ad un attento studio del

materiale audiovisivo, si è successivamente scoperto che essi erano stati realizzati precedentemente

all’atto performativo. Ma le problematiche non sono esaurite. Un’attenta riflessione è stata posta

anche considerando che i video sono stati sì realizzati in un momento antecedente all’azione, ma

sono stati utilizzati dall’artista, come vedremo, durante l’atto e quindi erano parte costitutiva della

performance. È stato quindi necessario riflettere sul valore dei video, che possono essere considerati

e come documenti dell’opera, e come parte integrante, intrinseca e, quindi, inseparabile dell’opera

stessa.

Per ipotizzare un’attuale ri-presentazione dell’opera, è stato anche necessario tenere conto il più

possibile dell’intentio originale dell’artista, senza dimenticare però che, essendo l’opera sub specie

tecnologica, «l’idea attuale che l’autore ha dell’arte e, dunque, della propria attività artistica» può

essere «mutata rispetto a quella in cui l’opera oggetto di restauro è stata prodotta e [..] come, con

essa» può essere «mutato anche il senso che ora l’autore attribuisce all’opera»218. In questo preciso

caso, inoltre, l’intentio originale dell’artista si è dimostrata in forma diversa (video - installativa)

rispetto all’opera per come, in seguito, è stata proposta, il che ha fatto sorgere il problema riferito al

contesto. L’opera era stata commissionata, per questo doveva entrare all’interno di una scelta di

curatela e rispettare l’ambito in cui sarebbe nata; ma se non ci fossero state queste limitazioni,

intese da Sambin in un secondo momento, come si sarebbe presentata l’opera? Se si fosse dato

all’artista un budget iniziale più alto? E se ci fossero state delle tecnologie, che oggi abbiamo, per

migliorare quei difetti che allora le apparecchiature video presentavano secondo Sambin?

A tutto ciò, si somma la complessità di un’opera che attraversa il linguaggio del mondo dell’arte

intesa nel suo senso più generale, dalla pittura alla scultura, dall’arte concettuale alla performance,

dal video alle installazioni, passando sempre attraverso la musica; quest’ultima componente in

particolare, come abbiamo visto nella prima parte di questa tesi e come vedremo in seguito, ha un

grande valore all’interno delle opere di Sambin, al pari di quello dell’immagine. Per questo motivo,

è stato necessario anche considerare le ricerche riferite alla conservazione della Musica

218 Cosetta. G. Saba (a cura di), Arte in videotape…Milano, 2007, p. 60.

89

Contemporanea che, come vedremo, si trovano ad affrontare problemi molto simili a quelli che

presenta l’arte visiva sub specie tecnologica.

Le opere di Sambin sono sempre un non-luogo, multidisciplinari come lo è l’artista. Ma allora,

come considerare l’opera? Che “approccio” utilizzare? Considerare i video come arte visiva, come

musica o come entrambi? Guardare l’opera come performativa o come installativa?

A queste domande si cerca di rispondere, ma non si può non notare come, ad ogni risposta, si

pongano nuovi quesiti cui dover rispondere e come sia necessario stabilire il confine tra una norma

“generalizzabile” ed una “specifica”; è l’artista che decide? Il restauratore? Il curatore? Anche

queste sono domande cui deve essere data una risposta, che è sempre più complessa giacché la

multidisciplinarietà d’allora, prevede la collaborazione di specialisti in molteplici ambiti oggi, i

quali indaghino e sperimentino metodologie al fine di conservare la nostra storia “tutta”, e non solo

quella dei vincitori.

91

6. Modelli di approccio all’opera219

Per affrontare i molteplici problemi che un’opera complessa come Looking for listening rileva, e

proprio per la sua caratteristica multidisciplinare (video, performance, installazione, musica), ci si è

attenuti a tre modelli metodologici sperimentali: il primo modello, più generale, è stato realizzato

dalla Cultural Heritage Agency of the Netherlands (RCE)220, in collaborazione con la Foundation

for the Conservation of Contemporary Art (SBKM), in conseguenza al simposio internazionale

“Contemporary Art: Who cares?” avuto luogo nel 2010221; il secondo, rivolto il maniera specifica al

supporto video, è stato quello sperimentato durante la digitalizzazione (o restauro digitale

preservativo) e il restauro del corpus di opere Art/tapes/22 da parte della Camera Ottica

dell’Università di Udine, la stessa che è stata incaricata di procedere alla digitalizzazione dei nastri

audiovisivi in possesso dell’artista; il terzo, di cui parleremo più in dettaglio nel nono capitolo,

prende spunto dalla metodologia teorizzata nel saggio di Vidolin Conservazione e restauro dei beni

musicali elettronici (1993)222 - realizzato in collaborazione con il C. S. C. di Padova - e dalla sua

successiva applicazione per la realizzazione dell’archivio di Luigi Nono presentata presso la Citè de

la Musique nel 2009.223

Al fine di individuare e selezionare il primo modello sopracitato, è stata realizzato un confronto di

diversi approcci sperimentali, i quali sono stati individuati nel sito www.INCCA.org che si presenta

come

[..] a network of professionals connected to the conservation of contemporary art.

Conservators, curators, scientists, registrars, archivists, art historians and

researchers are among its member. […]

219 Per uno schematizzazione della metodologia utilizzata, Cfr., Schema sulla metodologia d’intervento per il restauro, la conservazione e la riproposta della video-performance musicale Looking for listening, Appendice. 220 La Cultural Heritage Agency of the Netherlands (RCE) ha inglobato le attività del Netherlands Institute for Cultural Heritage (ICN) nel 2011. CFr., Lydia Beerkens (a cura di), The artist interview. For Conservation and Preservation of Contemporary Art. Guideline and practice, Japsam Books, Heyningen, 2012, p.17. 221 I risultati di questo simposio sono accessibili attraverso il sito www.incca.org, visionato in data 1/09/2012. 222 Cfr., http://www.dei.unipd.it/~musica/, visionato in data 2/09/2012. 223 Atti della Giornata di Studio sul Patrimonio musicale del XX° secolo, presso la Cité de la Musique, in http://www.citedelamusique.fr/pdf/musee/patrimoinexx/vidolin_it.pdf, visionato in data 2/09/2012.

92

The INCCA website www.incca.org contains information on all kinds of activities

in the field; projects, seminars and conferences via the news section, educational

possibilities as well as links to numerous websites. The resource section provides

direct access to good practice documents such as theoretical articles, case study

descriptions and practical guidelines and formats.224

INCCA, quindi, si pone come grande contenitore di studi sperimentali, più o meno specifici, atti

alla conservazione, il restauro e la presentazione di tutto ciò che concerne l’arte contemporanea, dal

materiale audiovisivo documentale all’opera video stricto sensu, dall’installazione alle opere

pittoriche e a quelle scultoree che appartengano alla contemporaneità.

Nel confrontare i vari metodi, si è sentita la necessità di scegliere quello che fosse più

generalizzabile, proprio perché, nello studio di caso prescelto, era necessario considerare e l’aspetto

video e quello performativo e quello installativo e quello musicale; d’altro canto, il confronto tra i

vari metodi è stato comunque molto utile in quanto, come vedremo, in alcuni casi, l’approccio

metodologico redatto dagli istituti olandesi, presentava delle piccole lacune colmate invece da altri

studi.

La scelta di riferirsi alle metodologie d’indagine, per quanto riguarda il materiale audiovisivo in

nostro possesso, della Camera Ottica dell’Università di Udine, è dovuto al fatto che è con questa

istituzione che, come già accennato, si è proceduti alla digitalizzazione dei video, evento di cui

avremo modo di parlare in seguito; inoltre, l’approccio metodologico scelto dall’istituzione friulana,

ha tratto spunto anche dal progetto “Conservation of Modern Art”, organizzato dal Netherlands

Institute for Cultural Heritage nel 1997 e descritto nel libro “Modern Art Who Cares?” e, quindi,

dalla stessa istituzione che, successivamente, ha partecipato alla realizzazione del primo modello

metodologico cui abbiamo fatto riferimento. Per quanto riguarda, invece, la scelta di riferirsi alla

prassi d’intervento utilizzata dal C. S. C., sono stati decisivi due elementi: da una parte il ruolo

svolto da Alvise Vidolin all’interno del centro il quale, come abbiamo già avuto modo di costatare,

ha avuto – ed ha tuttora - uno stretto legame con l’artista in analisi; in secondo luogo, in quanto il

centro si occupa di musica elettronica e sperimentale, entrambi generi cui Sambin ha fatto

riferimento durante il suo percorso artistico.

Prima di procedere oltre alla descrizione dei metodi utilizzati per l’analisi dell’opera, è bene chiarire

la specificità del caso in questione; infatti, in questa circostanza, l’operazione di recupero dell’opera

non è avvenuta per sola volontà di un ipotetico curatore o archivista ma, eccezionalmente, e prima

di tutto, per volontà dello stesso artista. Quest’aspetto ha fatto sì che in tutte le fasi del recupero

224 www.incca.org, visionato in data 2/09/2012.

93

dell’opera egli sia stato presente ed abbia partecipato attivamente al progetto di lavoro. Inoltre, è

stato solo grazie alla lungimiranza dell’artista che ha conservato copie dei video costituenti parte di

Looking for listening, che si è potuti venire in possesso di una fondamentale documentazione non

più riscontrabile (almeno fino ad oggi) all’interno dell’Archivio Storico delle Arti Contemporanee,

il quale non solo avrebbe dovuto conservarli ma, come vedremo, era stato anche produttore di

quegli stessi video.

Il fatto che sia stato l’artista stesso a spingere inizialmente per uno studio approfondito sull’opera,

ha inevitabilmente influito sulle scelte metodologiche utilizzate; infatti, è stata anche la possibilità

di un confronto duraturo e diretto con Sambin a far propendere per l’approccio degli istituti

olandesi, nel quale, come vedremo, le scelte conservative – ma non solo – dipendono enormemente

da quanto dichiarato dall’artista durante l’intervista; quest’ultima, ha inoltre permesso la

ricostruzione della parte effimera dell’opera, la performance, portando a numerose scoperte.

6.1 Documentazione

Dal confronto delle ipotesi metodologiche scelte per l’analisi dell’opera, ma anche, più in generale,

di quelle presentate sul sito dell’INCCA, nella fase iniziale dello studio dell’opera è sempre prevista

un’intensa attività di documentazione:

In preparation to the interview, the interviewers collect and study condition data

of the art work, the guidelines for presentation and installation, the meaning of the

work, and the methods and materials used by the artist. The purpose of the

preparatory research is not only to collect existing material but also to give the

interviewers better insight into any missing information. Central issue is the

relationship between the concept or the idea of the artist and it’s material

execution.225

Sebbene quanto scritto dagli istituti olandesi non sia concentrato espressamente sulla forma

performativa, o su quella video, è bene rilevare come sia posto al centro della fase documentativa il

rapporto tra l’idea originaria (intentio) e l’esecuzione materiale, elemento che, come vedremo, è

importantissimo nel nostro caso.

225 Lydia Beerkens (a cura di), The artist interview. .. Heyningen, 2012, p. 17.

94

In seguito, l’approccio metodologico scelto dà una serie di indicazioni su come realizzare una

ricerca sui materiali, in cui «the physical work of art takes center stage»226; infatti «material

research begins with the investigation of the art work itself, complemented with information derived

from available photographs, films, descriptions of the condition of the art work and material

analyses»227. Al fine di realizzare una precisa analisi dei materiali riferiti all’opera, segue la

spiegazione, è necessario richiedere l’aiuto di un conservatore o di uno specialista; è in questa fase

che è stato quindi necessario l’intervento della Camera Ottica dell’Università di Udine, ed in

particolare di Alessandro Bordina, il quale ha proceduto alla fase di digitalizzazione del materiale

audiovisivo (Cap. 9); per lo stesso motivo, è stato importante considerare l’approccio metodologico

utilizzato dall’istituzione friulana e si è potuto costatare che anche qui, prima che possano iniziare

gli interventi sui nastri magnetici, ‘il protocollo d’intervento’ prevede la «documentazione sulle

opere e sugli artisti»228. Come si vedrà in seguito più nel dettaglio, l’artista si è poi occupato del

restauro sonoro dei video digitalizzati; al fine di individuare la metodologia applicata solitamente

per la conservazione della Musica Contemporanea, è stato quindi essenziale interpellare gli

ingegneri Alvise Vidolin e Sergio Canazza che, tra le altre cose, si occupano proprio del recupero

dei beni musicali contemporanei. L’importanza dell’apetto sonoro dell’opera porta inoltre ad alcune

considerazioni riferite alla forma performativa: più che nelle arti visive, infatti, l’esecuzione live di

fronte al pubblico è un elemento intrinseco a determinati generi musicali e, nel caso della musica, la

“ri - esecuzione” è una prassi molto comune.

Parallelamente alla ricerca sui materiali, i modelli cui facciamo riferimento, individuano tutti la

necessità di una ricerca sulle fonti «both published and unpublished[…]: registration,

documentation, acquisition and correspondence, conservation reports, and information from fellow

institution».229

A questo proposito, e nel caso specifico dell’artista in questione, è stata necessaria prima di tutto la

creazione di un archivio, attraverso il riordino del materiale conservato dall’artista; in questo modo,

è stato possibile ritrovare un ingente numero d’informazioni utili non solo al fine di ricostruire la

storia dell’opera oggetto di studio, ma anche al fine di realizzare una ricerca approfondita su

Sambin e la sua storia artistica. Attraverso il riordino dell’archivio, è stato possibile non solo

realizzare la prima parte di questa tesi, ma anche – e ne parleremo in seguito – iniziare la creazione

di un archivio digitale in cui confluisca tutto quanto riguarda l’artista e il periodo storico tra gli anni

Sessanta e gli anni Ottanta. 226 Lydia Beerkens (a cura di), The artist interview. … Heyningen, 2012, p.18. 227 Ibidem. 228Alessandro Bordina e Simone Venturini, Preservare la video arte: il fondo art/tapes/22 dell’ASAC-La Biennale di Venezia, in Cosetta. G. Saba (a cura di), Arte in videotape… Milano, 2007, p. 201. 229 Lydia Beerkens (a cura di), The artist interview … Heyningen, 2012, p.18.

95

Successivamente, per la seconda fase di documentazione, ci si è serviti degli annuari dell’ASAC

facenti riferimento all’anno 1977, quello in cui Looking for listening fu eseguito all’interno

dell’iniziativa “Artisti e videotape”; ci si è inoltre recati all’edificio VEGA (attuale sede

dell’ASAC) per prendere visione dei documenti archiviati dall’istituto, ma non è stato possibile

ritrovare il contratto originale (quello in possesso di Sambin è il rinnovo dell’anno 1982), né altri

documenti di estrema rilevanza.230

6.2 Intervista231

L’ipotesi metodologica olandese, successivamente alla fase di documentazione, prevede che si

possa procedere alla scelta del tipo d’intervista necessaria, presentando quattro possibilità a seconda

che si voglia indagare tutta la creazione artistica dell’intervistato (oeuvre interview), uno specifico

gruppo di opere (theme interview), una collezione (collection interview) o, infine, una sola opera

(case interview); nel caso in questione, è chiaro che è stata scelta la quarta tipologia d’indagine

anche se, e lo si nota nel momento in cui si guardi il risultato dell’intervista, in alcuni casi è stato

necessario prendere ad esempio altre opere dell’autore, e in diversi momenti è stato lo stesso

intervistato a parlare di altri lavori. Ad ogni modo:

A case interview is focused on one particular art work with possibly a specific

installation or conservation problem. Its aim is to gather as much information

about the art work in question as possible.232

Prima di procedere alla spiegazione dei passaggi dell’intervista, così come proposta dagli istituti

olandesi, è necessario sottolineare che anche nell’approccio metodologico utilizzato dalla Camera

Ottica, così come nel caso della metodologia applicata dal C. S. C., è stata rilevata l’importanza

della conversazione con l’artista, poiché quest’ultima è indispensabile nel momento in cui si voglia

restaurare il materiale audiovisivo; infatti «piuttosto che definire un protocollo univoco d’interventi,

230 A partire dal 2004, nascita della Fondazione La Biennale di Venezia, l’ASAC sta tentando il recupero delle consistenze in suo possesso; per questo motivo, è possibile che prossimamante sarà disponibile più materiale rispetto a quello che è stato riscontrato ad oggi. 231 Cfr. anche, Tabella 3 - Confronto tra quattro modelli di intervista e ipotesi per un quinto modello che prenda in considerazione l'aspetto video, quello performativo, quello musicale e l'installativo, Appendice. 232 Lydia Beerkens (a cura di), The artist interview… Heyningen, 2012, p. 21.

96

si è inteso stabilire varie strategie di azione e proporre diverse soluzioni di preservazione, valutando

le esigenze storiche ed estetiche relative all’intento artistico dell’opera e alla sua fruizione».233

Tornando all’intervista che è stata presa a modello, si rileva anche che la scelta dell’intervistatore

può vertere su tre differenti opzioni: intervista strutturata; semi strutturata; libera:

in the last-mentioned version, the artist is free to determine what information is

discussed and in what way. In practice, the semi-structured method is the most

effective one for gathering information. Dealing with the key question

exhaustively is far more important than following the order of the structure or

maintaining the chronological order of the artworks. A specific theme or question

can be introduced whenever necessary because the scenario enables an easy return

to the predetermined structure.234

La decisione dell’intervistatrice, riguardo alla tipologia d’intervista, è stata quella di una struttura

chiusa, in cui però fosse possibile, soprattutto in quella che viene definita la central part, una

grande libertà di movimento da parte dell’artista. In più, attraverso tale metodo, è stato possibile

inserire all’interno del modello dell’intervista, domande specificamente riferite al ruolo del

performer che non erano presenti all’interno del modello chiuso d’intervista e che sono state in

parte riprese da un altro modello di cui parleremo.

1) Opening

2) Creative process,

3) Materials/techniques,

4) Meaning,

5) Context

6) Conveyance

7) Ageing

8) Deterioration

9) Final part (Conservation and restoration)

233 Alessandro Bordina e Simone Venturini, Preservare la video arte: il fondo art/tapes/22 dell’ASAC-La Biennale di Venezia, in Cosetta. G. Saba (a cura di), Arte in videotape … Milano, 2007, p. 201. 234Lydia Beerkens (a cura di), The artist interview. … Heyningen, 2012, p. 26.

Central part

Deeping

Didascalia

Le parole in grassetto in questo

caso indicano il modello di

intervista semi strutturata

mentre quelle in corsivo

riferiscono al modello chiuso; le

parole in corsivo e grassetto

fanno riferimento alle parti

presenti in entrambi i modelli

97

L’intervista strutturata è costituita da uno schema a “piramide rovesciata”; la forma geometrica fa

riferimento al grado di specificità delle domande, le quali variano dalle più generiche, alle più

specifiche.

Successivamente alla domanda di apertura (Opening), che ha la funzione di entrare nell’argomento

e di mettere a proprio agio l’intervistato, l’intervista “chiusa” prevede delle domande riferite, come

si può notare dai punti appena elencati, al processo creativo che ha portato alla costituzione

dell’opera, ad un’indagine sui materiali e le tecniche utilizzate, al significato e al contesto in cui è

stato realizzato il lavoro; il suddetto campo costituisce quello che viene definito “the core of the

interview”, in cui l’artista è più libero di parlare dell’opera.

The interview has reached the core point when the artist addresses the creative

process of the work from the initial concept through to the execution. Subject-

related questions can take the artist back in time. Detailed questions will often jog

the artist’s memories and enable him to state precisely what the intention of the

work was, how it was made, where the idea came from and in what context it was

realized.235

Come si può vedere confrontando l’intervista realizzata con Michele Sambin, questa parte è

realmente la più espansa e le domande, poste in modo generale, hanno permesso non solo di

ricostruire tutto ciò che si riferisce all’opera oggetto di studio specifico, ma anche di avere delle

informazioni generali che sono state utili alla realizzazione della prima parte di questa tesi.

Una volta conclusasi questa parte ed individuato tutto ciò che può essere interessante al fine di

intendere l’origine dell’opera, è poi necessario espandere ed elaborare quanto detto, arrivare cioè a

quello che viene definito deeping, l’indagare a fondo «the life and age of the work, exhibition,

changes in materials, presentation and installation»236.

The interview includes sensitive topics such as ageing, change, deterioration of

the works. At this stage, the interviewers’ position changes slightly as they start

asking more targeted questions about the artworks. The loss of meaning of a

major change caused by the work’s current condition can best be addressed in

open question in order to avoid pointing the artist opinion in a certain direction.237

235 Lydia Beerkens (a cura di), The artist interview … Heyningen, 2012, p. 29. 236 Ibidem. 237 Ibidem

98

In questo modo, e sempre confrontando quanto sostenuto dall’artista con i documenti in nostro

possesso, è stato possibile risalire alle numerose volte in cui è stata riproposta l’opera; alle modalità

in cui essa è stata presentata nelle diverse occasioni; quali di queste hanno soddisfatto il volere

dell’artista e quali invece non sono state considerate accettabili. Inoltre, è stato possibile ottenere

importanti informazioni sullo stato attuale dell’opera e sugli aspetti che, secondo l’artista,

potrebbero essere funzionali alla sua riproposta oggi.

Il modello d’intervista considerato, propone poi la parte finale e, a seconda dell’indagine che si

intende svolgere, riporta una serie di domande concernenti la conservazione ed il restauro dell’opera

che, per la loro specificità, è compito dell’intervistatore realizzare caso per caso. Infatti, alla fine

della presentazione dei punti sopracitati, il modello specifica la necessità di focalizzare l’intervista

secondo l’Art Form (pittura; lavori su carta; fotografia; scultura; installazioni; Media Art) e, inoltre,

riporta:

The opening question and the specific question about conservation at the end of

the interview are not included here [qui, nelle ipotetiche domande relative alle

differenti forme artistiche, nda] because they are very specific for each artist and

artwork, and do not fit into a general overview. This questions are formulated

during the preparation of the scenario.238

Questo rende quindi il modello dell’intervista aperto ad ulteriori specifiche che sta all’intervistatore

individuare ed inserire; come vedremo, ciò ha permesso di approfondire soprattutto gli aspetti

riferiti alla digitalizzazione e al successivo restauro sonoro dei video, nonché, per l’appunto, al

valore performativo dell’opera che è assente tra le art form; si è, quindi, deciso di fare riferimento

unicamente alle indicazioni riferite alla forma installativa239 e all’arte sub specie tecnologica (Media

Art) presentate dal modello, giacché esse erano quelle più avvicinabili all’opera in analisi. Da una

parte, la forma installativa in quanto:

The broad term ‘installation’ applies to spatial works that consist of a few or

numerous components. Virtually all materials and media can be used here.

238 Lydia Beerkens (a cura di), The artist interview … Heyningen, 2012, p. 34. 239 Il motivo per cui, nella realizzaione dell’intervista, è stato considerato anche l’aspetto installativo, è dovuto al fatto che, come si vedrà nel settimo capitolo più nel dettaglio, già negli anni Settanta, l’opera è stata presentata anche sottofroma di video-installazione. Inoltre, attualmente molte opere, un tempo performances, sono, attualmente, installazioni: basti pensare, a titolo d’esempio, Crux (1983-1987) di Gary Hill e a Corps ètranger (1994) entrambe performance successivamente musealizzate in forma installativa. Cfr., Francoise Parfait, L’installation en collection, in Paul Ardenne (e altri), Collection New Media Installation, Centre Pompidou, Parigi, 2007.

99

Electronics and equipment have a limited lifespan and are subjected to change,

just like the carriers of image and sound material.

[…] Installation art is complex and knows many variations. Sometimes an

installation can be built up several ways without one specific presentation or the

original presentation being the best.

[…] The inevitable changes that occur over time may reveal a new way of

thinking.

[…] Art works in which images and sound are used have their own parameters for

presentation, preservation and management. These issues are discussed separately

in the section on media art.240

Da questi pochi accenni, è già possibile individuare alcuni aspetti che possono confrontarsi con

l’opera oggetto di studio: la complessità dell’installazione, fa sì, infatti, che essa possa essere stata

riproposta in diverse occasioni secondo differenti modalità, come accade in Looking for listening;

anche il fatto che alcuni cambiamenti inevitabili possano portare ad una variazione nel modo di

pensare dell’artista sarà riscontrato durante l’intervista.

Inoltre, sempre riferendosi alla forma installativa, «new questions can be asked about the

consequences for the entire installation if one or another part is a) discoloured b) obsolete c)

damage, or d) missing».241 L’intervista quindi prevede che, nell’istallazione, siano presenti delle

parti obsolete, effimere che, nel caso specifico dell’opera in analisi, potrebbero anche individuarsi

nel corpo dell’artista e nella sua azione performativa.

Tornando al paragrafo citato in precedenza, si rileverà che l’intervista prevede, nel caso delle

installazioni in cui siano state utilizzate delle immagini e dei suoni, che si guardi anche al modello

specifico della Media Art:

Media art encompasses artworks created with new media technologies such as

film, video, sound, projection and/or computer

[…] In Media artworks, traditional qualification such as original, authentic, artist

copy and artist version get a unique dimension, and this has consequences for

exhibiting, documenting, storing and preserving these work.

Copying or migrating the work to another carrier and/or using different support

equipment are the most common options for the continued existence of the work.

240Lydia Beerkens (a cura di), The artist interview … Heyningen, 2012, p. 42. 241Ivi, p. 43.

100

[..] An exemplar work can be used to identify and discuss which parts are

vulnerable in this sense and what is lost if a part is no longer in working order. It

may be possible to remake the work in a new technology without it losing its

original character (emulation). What is the artist’s attitude towards the ageing and

the carry replacement of playback equipment? Another important question is how

the artist would carry out the concept of the original work using currently

available technology. How would he approach this, what should the work look

like and what values would this procedure preserve?242

L’intervista in questo caso affronta i problemi relativi in maniera specifica al materiale audiovisivo,

lo stesso che, come abbiamo visto, fa parte dell’opera in analisi. Come si può vedere, in questo caso

i concetti di originale, di autenticità, di copia dell’artista, versione dell’artista etc. acquisiscono dei

connotati speciali, che andremo ad affrontare in modo specifico quando parleremo del restauro

digitale preservativo dei nastri di Looking for listening.

Come già detto, non è presente tra le “forme d’arte” cui si rivolge il modello, quella performativa;

d’altro lato, nel volume che raccoglie le linee guida dell’intervista, è presente anche una parte

costituita da esempi pratici d’interviste fatte a diversi artisti, tra i quali è stato possibile riscontrare

quella relativa a Marina Abramović che, com’è noto, ha sempre svolto e svolge tutt’ora arte in

forma performativa. È stato perciò analizzato anche il suddetto esempio pratico al fine di

individuare ipotetiche domande specifiche da rivolgere allo stesso Sambin.

Some [Abramović, nda] works can be considered tangible museum pieces, but the

majority requires a specific approach. Her performances of works in which the

body, the energy or the immateriality from the basis, consist of several more

layers than just the material artwork. They have a certain atmosphere and it is

clear to her which breathes which atmosphere. As an artist, she adepts articulating

the atmosphere […].

The way in which the performances are represented is important. Too often,

photographs of performances give a grey, dark impression.

[…] The exhibition [retrospective organized in 2010 by the Museum of Modern

Art in New York, nda] contained the first re-enactments of Abramović

performances by other people in a museum setting.

242 Lydia Beerkens (a cura di), The artist interview … Heyningen, 2012, p. 45.

101

[…] This arrangement shows that as regards presentation much more can be done

than just showing gloomy pictures or a single video. She thinks it is a perfect idea

to enter into dialogue with museum and initiate a process through which changes

and developments in her work can be understood as natural and positive

phenomena.243

Da questo esempio pratico, si può concludere che, in primo luogo, è strettamente dipendente

dall’artista il modo in cui può essere proposta la forma performativa; com'è stato possibile leggere,

Marina Abramović per prima cosa dichiara la necessità di rendere partecipe l’artista nella fase di

riproposta delle opere; in secondo luogo, essa non considera che le foto e il materiale audiovisivo di

documentazione siano in alcuni casi sufficienti a rendere comprensibile e, soprattutto, comunicativo

il lavoro; inoltre, essa stessa ha proposto il re - enactment di alcune performances dove non è più lei

ad agire, ma altri “attori” sotto precise indicazioni.244

Un altro elemento che sarà importante sottolineare è che, sia nel caso delle installazioni, che per le

performances si parla di un’”atmosfera” che deve essere tenuta in considerazione; questo perché nel

primo come nel secondo caso, il pubblico che assiste acquisisce un ruolo centrale e non più

secondario: nel primo caso dal punto di vista prettamente fisico (l’installazione è quasi sempre

giocata su uno spazio tridimensionale dentro il quale lo spettatore deve muoversi); nel secondo dal

punto di vista prettamente psicologico (ma vi possono essere anche entrambi i coinvolgimenti

assieme).

Un’analisi non prevista all’interno del modello sperimentale d’intervista preso in considerazione, è

riferito all’accessibilità dell’opera o del materiale di documentazione, elemento che è invece

ritenuto importante da Pip Laurenson, direttrice del “Time-Based Media Conservation” alla Tate

Modern di Londra, che pone la questione all’ultimo posto del suo modello d’intervista, in seguito

all’indagine sul video material; alle problematiche riguardanti il copyright and editions (che sono

state ugualmente prese in considerazione) e a quelle che si riferiscono alle modalità di presentazione

dell’opera.245 Nel nostro caso, le domande concernenti l’accessibilità sono state in parte integrate

243 Lydia Beerkens (a cura di), The artist interview … Heyningen, 2012, pp. 58-67. 244 Nel sito del MOMA , in occasione della restrospettiva “Marina Abramović: The Artist Is Present” tenutasi dal 14 Marzo al 31 Maggio 2010, si legge: «this performance retrospective traces the prolific career of Marina Abramović (Yugoslav, b. 1946) with approximately fifty works spanning over four decades of her early interventions and sound pieces, video works, installations, photographs, solo performances, and collaborative performances made with Ulay (Uwe Laysiepen). In an endeavor to transmit the presence of the artist and make her historical performances accessible to a larger audience, the exhibition includes the first live re-performances of Abramović’s works by other people ever to be undertaken in a museum setting. In addition, a new, original work performed by Abramović will mark the longest duration of time that she has performed a single solo piece.». Cfr., www.moma.org, visionato in data 21/09/2012. 245 Pip Laurenson, The conservation and documentation of video art, 1999. In www.INCCA.org, visionato in data 2/09/2012.

102

all’interno della porzione finale dell’intervista, ma si tenga comunque presente, e lo vedremo tra

poco, che parallelamente alle ricerche per l’opera; alla sistemazione dell’archivio; e alla creazione

della prima parte di questa tesi, la collaborazione con l’artista ha dato luogo anche alla creazione di

un archivio on-line per cui, per la questione dell’accessibilità, ci si è rifatti anche alle scelte

dell’artista in quel caso per individuare il suo parere a riguardo.

Com’è possibile notare dallo schema riassuntivo del metodo utilizzato per la realizzazione

dell’intervista, per individuare alcune altre possibili domande riferite alla performance, è stato preso

in considerazione anche il questionario ipotizzato da Jon Ippolito, curatore associato di Media Art

presso il Solomon R. Guggenheim Museum di New York. All’interno del saggio Accomodating the

Unpredictable: The Variable Media Questionnaire246, egli elenca i punti che dovrebbero essere

toccati nel momento in cui si voglia compilare un questionario da proporre all’artista performativo:

Props

Set

Costumes

Performers

Number of performers

Format of instructions

Instructions to apply to…

Documentation of new performances

Audience location

Synchronization of performance

Per questo, anche se non sono state poste delle domande così specifiche e dirette, che sono più

adatte alla forma di un questionario, si è posta l’attenzione su questi elementi e, durante l’intervista,

così come nella successiva fase di analisi del risultato, i suddetti punti sono stati presi in

considerazione con particolare attenzione.

Una volta costruita l’intervista ad hoc, si è passati alla sua messa in pratica il 22 Marzo del 2012

presso lo studio dell’artista a Padova; l’intervista è stata registrata e successivamente trascritta. Una

volta riorganizzato il materiale, e affrontata la prima parte di questa tesi, sono state poste alcune

246 Jon Ippolito, Accomodating the Unpredictable: The Variable Media Questionnaire, in Jon Ippolito, Alain epoca e Caitlin Jones, The variable media approach. Permanence through change, Guggenheim, New York, 2003; scaricabile nel sito www.variablemedia.net, visionato in data 2/09/2012.

103

altre domande al fine di approfondire gli aspetti non del tutto chiariti; l’intervista scritta e provvista

degli approfondimenti necessari, è stata successivamente mostrata all’artista secondo quanto

previsto anche dagli istituti olandesi247. I giorni 8 e 9 agosto 2012 si è quindi proceduti agli

approfondimenti nonché alla sistemazione di alcune incomprensioni avvenute durante la

trascrizione.

247«It often happens that an oeuvre interview is followed by a second interview in which one or a few artworks are deal with in more detail. The opposite also occurs. The advantage of a following-up interview is that the artist has become familiar with the aim and set-up of the artist interview and that there is now a bond of trust. In the follow-up interview, the artist might well be more accommodating in supplying information, or he may bring a different viewpoint to the fore because he has reflected on his answer.» In, Lydia Beerkens (a cura di), The artist interview … Heyningen, 2012, p. 47.

105

7. Ricostruzione della storia della video-performance Looking for listening: dall’evento dell’ASAC “Artisti e videotape” (1977) allo Studio Trisorio di Napoli (1982).

7.1 La nuova organizzazione dell’ASAC e le attività del 1977.

Al fine di comprendere in che situazione Looking for listening è stata pensata e realizzata la prima

volta, è bene, innanzitutto, analizzare ciò che è riportato in apertura dell’annuario dell’ASAC

del1977:

in seguito alla riapertura al pubblico dell’Archivio Storico delle Arti

Contemporanee il 17 luglio 1976, quest’ultimo ha proseguito durante l’anno 1977

con un lavoro di progressiva registrazione e sistemazione delle sue crescenti

consistenze. [..] Affiancato a questo riordino, vi è la scelta di creare alcune

iniziative a carattere permanente previste dal nuovo ordinamento.248

Il 1977, dunque, è un anno importante perché viene modificato il ruolo dell’archivio, il quale si

pone come ente attivo e non più solo passivo249. Per capire il nuovo ruolo svolto dall’ASAC, è

importante fare riferimento all’iniziativa “Teoria e pratica del videotape nelle comunicazioni di

massa – Aspetti sociologici e linguistici” (dal 24 settembre 1977 al 29 gennaio 1978) che, sotto la

stretta direzione di Maria Gloria Bicocchi (nominata lo stesso anni responsabile della promozione e

divulgazione della video arte presso la stessa Biennale)250, si strutturava in molteplici incontri

eterogenei tutti rivolti al video e ai possibili risvolti che esso avrebbe potuto avere nei campi

248 La biennale, annuario 1976/1977, ASAC, Venezia, 1979, p. 494. 249«All’avanguardia nel suo genere, l’ASAC disponeva oltre che di spazi espositivi, di una sala cinematografica, una sala multimediale, uno studio fotografico, una serie di postazioni fisse con monitor per l’ascolto di registrazioni sonore e video provenienti dalle varie manifestazioni organizzate dalla Biennale ma non solo». Lia Durante, Quarant’anni di arte elettronica alla Biennale. 1968-2007: dal videotape ad Internet, in Cosetta. G. Saba (a cura di), Arte in videotape..Milano, 2007, p. 222. Nel saggio della Durante vengono inoltre elencate le attività che coinvolgono il video prima del 1977 e viene esplicitato l’approccio sperimentale e avanguardistico che l’ASAC mette in atto attraverso il nuovo statuto, attivo dal 1976. 250Cfr, M. G. Bicocchi, Tra Firenze e Santa Teresa, dentro le quinte dell’arte. Art/Tapes/22, Cavallino, Venezia, 2003, p. 56-57.

106

sociale, culturale, semiologico e artistico. Anche le iniziative organizzate dal punto di vista

musicale sono di estremo interesse: nello stesso 1977 furono progettate due mostre documentarie

storico-critiche (la prima intitolata Tavole parolibere e tipografia futurista251, la seconda

Russolo/L’arte dei rumori 1913/1931)252 e una serie d’incontri/seminari con rappresentati d’istituti

europei di musica elettronica, elettro-acustica e per computer, raggruppati sotto il titolo di

Musica/sintesi253.

L’esistenza di tali manifestazioni rileva appunto il ruolo innovativo dell’archivio, che da questo

momento si pone non più solo come conservatore e preservatore dei documenti e delle opere in suo

possesso, ma decide di valorizzare e dare “nuova vita” alle numerose consistenze; inoltre, la lunga

serie di manifestazioni, dimostra quanto l’ASAC fosse pronto ad accogliere la necessità di

sperimentazione sentita a Venezia sia negli ambienti artistici sia in quelli relativi al suono grazie

alla grossa attività video-sperimentale del Cavallino e al nuovo corso di Musica Elettronica presso il

Conservatorio B. Marcello. Non è un caso neppure che proprio in quel momento si decise di

organizzare alcune mostre storiche sulla nascita di una certa concezione sonora: il nuovo interesse

che le avanguardie musicali suscitavano, era dovuto anche al fatto che quest’ultime erano

fondamentali per coloro che si stavano dirigendo, in quel momento, verso ricerche sperimentali in

campo sonoro. Come spiega lo stesso Vidolin nelle pagine dedicate alla manifestazione da lui

diretta,254, infatti, era nelle esperienze di Luigi Russolo e di Edgard Varese a Parigi, come in quelle

di Arnold Shoenberg e Anton Webern a Colonia, che si trovavano i prodromi della musica di allora,

fosse essa elettronica, concreta o tape-music.

Se consideriamo le suddette manifestazioni permanenti dell’ASAC nel 1977 come uno specchio di

ciò che stava catturando l’attenzione del mondo artistico (e non solo), possiamo costatare che

l’interesse maggiore volgeva attorno a due nuove tecnologie: il video come medium di espressione e

di documentazione artistica e il computer come nuovo “strumento” musicale.

A questo punto, sembra interessante approfondire le attività che si svolsero in stretta relazione con il

video e che furono, come già detto, raggruppate sotto il nome di “Teoria e pratica del videotape

nelle comunicazioni di massa – Aspetti sociologici e linguistici”; per prima cosa, è importante

rilevare che sia stata la Bicocchi, una personalità proveniente dalle prime sperimentazioni con il

video, ad organizzare le iniziative; questo permetteva la creazione di eventi strettamente legati ad

un contesto laboratoriale e di studio, dove non si voleva dettare delle “leggi” riguardo al nuovo 251 Allestita a Ca’ Corner della Regina e curata da Luciano Caruso. 252 Allestita a Ca’ Corner della Regina e curata da Gianfranco Maffina. 253 La serate dedicate agli incontri di “Musica/Sintesi” si svolgevano presso il Conservatorio Benedetto Marcello. La manifestazione era stata curata da Alvise Vidolin, con la collaborazione di Espedito D’Agostini per l’organizzazione dell’iniziativa e di Luigina Frigo e Espedito d’Agostioni per il catalogo. Cfr., La biennale, annuario 1976/1977, ASAC, Venezia, 1979, p. 494. 254 Si veda, Alvise Vidolin, Musica/sintesi per computer, ASAC, Venezia, 1977, p. 9-11.

107

supporto, ma tutto era svolto in un’ottica aperta, di ricerca e di dialogo attraverso il work in

progress.

Inaugurato il 24 settembre, il seminario “Teoria e pratica del videotape nelle comunicazioni di

massa” affrontava <<il tema del video, il suo linguaggio, il suo uso e la sua realtà come lavoro

artistico, la sua struttura tecnica e le sue possibilità>>255. Gli studiosi che intervennero durante la

“tre giorni” (il seminario durerà fino al 26 settembre) si stavano tutti occupando in quegli anni della

nascita dei nuovi mezzi di comunicazione di massa ed erano esponenti di una ricerca approfondita

sul videotape; presenziarono agli incontri Marshall McLuhan, uno dei maggiori esperti mondiali dei

mass-media, direttore del Centre of Culture and Technology dell’Università di Toronto, il sociologo

Franco Ferrarotti, docente alla Facoltà di Sociologia di Roma, Enzo Forcella, direttore di Radio Tre,

la terza rete radiofonica della RAI e Tullio Seppilli, docente di antropologia culturale presso

l’Università di Perugia.

Sfogliando i pochi articoli di giornale che parlarono dell’iniziativa,256 si costata che fu McLuhan (e

il suo famoso motto “il mezzo è il messaggio”) a suscitare la maggiore attenzione, e non tanto per le

sue teorie quanto per la sua eccentricità; a questo proposito appare molto indicativa l’opinione di

Enzo Forcella, il quale riporta che a «McLuhan del VTR (Video Tape Recorder) non interessa

niente […]. Ne sa poco, e quel che sa l’ha convinto che si tratta soltanto di una delle tante

innovazioni tecnologiche, assolutamente trascurabili nella prospettiva della sua teoria generale»257.

Come il giornalista Forcella, molti altri esprimono un grande scetticismo rispetto all’invito del

teorico canadese alla tre giorni dedicata al video ma, diversamente da McLuhan, molti sono invece

positivamente colpiti dalle potenzialità del nuovo medium sbarcato da pochi anni in Italia e dalle

sue possibilità strumentali:

Direi che c’è stata, in primo luogo, la presa di coscienza della incidenza che

l’avvento del videoregistratore ha già avuto e più ancora potrà avere nel nostro

sistema di comunicazione di massa. Può darsi che dall’alto della galassia di

McLuhan il fenomeno sia irrilevante. Sta di fatto che la possibilità di “fare

televisione” con la stessa facilità con cui si usa un qualsiasi registratore ha già

255 La biennale, annuario … 1979, p. 494. 256Nella rassegna stampa italiana e straniera del 1977, è possibile constatare che quell’anno vi fu un enorme polemica riguardo alla scelta da parte dell’allora presidente Carlo Ripa di Meana di dar via alla “Biennale del dissenso” in cui molti artisti sovietici perseguitati nel loro paese vennero invitati ad esporre le proprie opere e a parlare della situazione in Russia. Come si può supporre, questa iniziativa fu alla ribalta in tutti i giornali per molti mesi, non solo per la sua, allora discussa, rilevanza artistica, ma anche per le ovvie implicazioni politiche che una scelta di quel genere avrebbe portato, soprattutto in quegli anni segnati dalla lotta tra DC e PCI. Alla luce di questi fatti è perciò spiegato il motivo per cui le attività permanenti dell’ASAC passarono in secondo piano negli interessi giornalistici e vi sono pochissimi articoli che vi si riferiscono. 257 Enzo Forcella, La Repubblica, Ma il video fatto in casa non interessa McLuhan, 1 Ottobre 1977.

108

cambiato le modalità dell’informazione ufficiale, ha offerto una formidabile

piattaforma di rilancio alla “informazione alternativa”, ha aperto nuove strade alla

didattica, alla ricerca sociologica, alla sperimentazione artistica.258

Leggere ciò che veniva scritto dai giornalisti in quell’epoca risulta molto importante per riuscire a

capire l’opinione di allora riguardo alle novità che l’avvento del video-tape poteva portare e nella

società e nel mondo dell’arte:

Il videotape è solo uno strumento di registrazione o è anche un nuovo mezzo di

creazione artistica? La Biennale ha organizzato un convegno […] e lo scopo che

si propone è di approfondire la funzione della videocassetta. Già se ne conoscono

le sue applicazioni: riproduzione di pellicole cinematografiche, spettacoli teatrali,

opere artistiche al fine di conservarli meglio, consultarli più facilmente e con costi

minori. Ma la Biennale è affascinata dai mezzi di comunicazione di massa […] e

vuole soprattutto comprendere qual è l’aspetto rivoluzionario del videotape nel

mondo dell’arte e della cultura.

Cos’è stato detto fin’ora nei seminari? Il videotape può registrare colori che gli

altri media non sono in grado di fare. Può cogliere nella sua semplicità d’uso,

aspetti della realtà che sfuggono alla televisione e al cinema, i quali richiedono

impianti più complicati.259

La seconda iniziativa dedicata ai videotapes in programma nel 1977, fu il corso di formazione

“Teoria e tecnica del videotape”, che si svolse dal 26 Ottobre al 5 Novembre e che vide la

partecipazione di più di trecento persone, la maggior parte insegnanti e operatori culturali,

provenienti da tutta l’Italia settentrionale.

Si trattava di dare ai partecipanti un ventaglio di informazioni e di proposte

suscettibili di precisare ed approfondire il campo della loro conoscenza dello

strumento “videotape” e di allargare l’interesse verso questo nuovo mezzo di

comunicazione. Si è cercato di toccare i diversi aspetti connessi all’impiego del

mezzo per non tralasciare nessuno dei problemi d’uso di questo nuovo strumento

[…] i suoi aspetti tecnici, gli usi ausiliari di apparecchiature sofisticare per la

258 E. Forcella, La Repubblica, Ma il video … 1 Ottobre 1977. 259 Gianluigi Da Rold, Corriere della sera, Vedremo film d’arte al video-tape d’archivio?, 26 Settembre 1977.

109

manipolazione del macchinario, i problemi di montaggio, manutenzione, uso delle

telecamere, dei suoi obiettivi e dei cavi per l’audio e per il video. Infine si è

parlato dei problemi di organizzazione della produzione e dell’incidenza del

videotape nel campo politico, artistico, linguistico, etc.260

Questa iniziativa, come la precedente, ci fa capire che all’interno di un’istituzione come l’Archivio

Storico della Biennale, il video era uno strumento del quale si studiavano l’uso e le potenzialità per

permetterne un utilizzo a scopi didattici, sociali e documentari; sarà importante anche accennare al

fatto che in quegli anni l’ASAC documenterà un numero ingentissimo d’iniziative teatrali e

artistiche grazie ai tecnici che stavano iniziando a specializzarsi in quel periodo nell’utilizzo del

tape 261.

La caratteristica di video come supporto artistico fu più espressamente affrontata durante altre due

iniziative organizzate dall’ASAC; nella prima parte di questa tesi ci si è già dilungati nel

considerare il valore di questo nuovo supporto ed i motivi che hanno portato molti artisti ad

affacciarsi al mondo del video, chi per poi lasciarlo, chi per fare di esso uno strumento intrinseco al

proprio fare artistico. È importante rilevare, però, che la pratica video non era a quel tempo così

estesa all’interno dell’immaginario artistico: le possibilità di diffusione, nonostante la facilità con

cui la video arte sarebbe potuta essere trasmessa attraverso la televisione, erano molto limitate;

questo si ripercuoteva, a sua volta, sull’aspetto economico, non solo in quanto in Italia i video

spesso non erano considerati veri oggetti d’arte262 da parte della critica e del mercato, ma anche

poiché i costi dell’attrezzatura (telecamera, monitor, videoregistratori) e la mancanza di adeguati

finanziamenti non permisero lo sviluppo della video arte che vi fu, per esempio, negli Stati Uniti.

Per questi motivi è molto importante sottolineare l’importanza di un evento realizzato e finanziato

dall’ASAC, che si facesse portavoce anche del ruolo artistico del video.

Dal 7 al 12 Novembre la Bicocchi organizzò la rassegna di art/tapes/22263, dove finalmente era

possibile mostrare ad un ampio pubblico i video realizzati dagli artisti ospitati da Maria Gloria in

Toscana e coinvolti nelle sue sperimentazioni.

L’altra iniziativa di estrema rilevanza, atta a promuovere il valore artistico del nuovo strumento fu,

come abbiamo già detto, il laboratorio “Artisti e videotape”, una serie d’interventi che si svolsero

dall’1 al 16 Ottobre; l’occasione vide partecipi quattro artisti che stavano lavorando in quegli anni 260 La biennale, annuario … 1979, p. 507. 261 Per approfondimento Cfr, Angelo Bacci, Dalla fabbrica alla biennale, Supernova, Venezia, 2011. 262 A questo proposito si ricordi che le motivazioni che portarono alla fine dell’esperienza di Art/tapes/22 furono proprio economiche; inoltre, quando l’ASAC acquisì l’archivio della Bicocchi, lo fece pagando il prezzo del nastro e non il prezzo dell’opera. 263 Cfr, C. G. Saba (a cura di), Arte in videotape … Milano, 2007 e M. G. Bicocchi, Tra Firenze e Santa Teresa … Venezia, 2003.

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con il videotape e che qui erano stati chiamati per dimostrare e mostrare, di fronte al pubblico, le

ricerche artistiche che essi andavano delineando; al momento della creazione, seguiva poi un

momento di discussione tra l’artista e i presenti. L’incontro tra operatore artistico e destinatari, si

legge nell’annuario del 1977, era di particolare interesse perché sembrava ormai necessario dare ai

fruitori reali e validi strumenti di lettura e decodificazione del nuovo strumento al fine di

diffonderne la comprensione.

Tra gli artisti invitati dalla Bicocchi, il primo ad inaugurare il ciclo d’incontri fu Richard Kriesche,

dall’1 al 4 Ottobre. Quest’artista era già noto per la sua partecipazione alla Documenta 6 di Kassel

nel 1977, dove aveva proposto la video-installazione, The World’s First Double TV set (1977),

ricreata in occasione di Artisti e videotape. Dal 5 all’8 Ottobre è l’intervento di Giuseppe Chiari; nel

1973 egli era stato il primo a collaborare con Maria Gloria realizzando Suono (1974)264 ed era stata

proprio quella l’occasione che l’aveva visto approcciarsi per la prima volta al video; alla

manifestazione “Artisti e Videotapes” Chiari eseguì alcuni brani musicali creati con giochi delle

mani sulla carta o su una superficie acquea e registrati in video, di cui non è stata individuata – ad

oggi - documentazione ma che si può supporre fossero sviluppi dei suoi antecedenti Studi

sull’acqua (1968)265.

L’indagine di Chiari, a differenza di quella di Kriesche più filosofica e concettuale, ruota attorno

alla sperimentazione musicale e si serve, in questo caso, del video solo come documentazione di ciò

che egli crea live. Il tape non è qui indagato come strumento di creazione artistica stricto sensu, ma

è utilizzato come mero mezzo di memoria e compendio alla performance.

Lo svizzero Jean Otth, che chiude il laboratorio dal 13 al 16 Ottobre, compie invece un’indagine

sulle potenzialità video, che in questo caso è utilizzato come un vero e proprio supporto al fare

artistico in relazione alle tecniche della produzione dell’immagine del passato. Nel circuito chiuso

del video, Otth propone in un unico spazio e in un tempo singolo il supporto (specchio), il soggetto,

il pittore (o operatore) i segni (interventi) e il medium (camera e monitor). L’immagine video

diviene simultaneamente il soggetto dell’opera e l’opera stessa, come abbiamo visto più volte

accadere anche in 100’’ per.. e nei loop di Sambin.

Arrivati a questo punto, sembra importante ribadire che Maria Gloria invita artisti provenienti da

eterogenee esperienze con il video. Il suo intento era, infatti, portare avanti la convinzione che il

video non è un linguaggio, ma un mezzo: per questo, «è facile comprendere i tanti modi diversi di

264 Cfr., M. G. Bicocchi, Tra Firenze e Santa Teresa … Venezia, 2003. 265Cfr., S.A., Giuseppe Chiari, Musica e insegnamento, 1974.

111

usarlo, professionalmente o no, per riprese documentarie o per video/opere d’arte, con il portatile

fino al 2 pollici/colore broadcast, da soli o in uno studio».266

7.2 La partecipazione di Sambin ad “Artisti e videotape”

La partecipazione di Sambin ad “Artisti e Videotape” (10-12 Ottobre) è dovuta a più eventi

concatenati: abbiamo già detto che negli anni Settanta la Galleria del Cavallino, grazie a Paolo

Cardazzo, era uno dei pochi centri che si erano interessati al nuovo medium e che il rapporto tra il

Cavallino e Art/tapes/22 diventò fondamentale nel contesto storico italiano di quegli anni in quanto

permetteva lo scambio continuo di esperienze tra due centri importantissimi di produzione video.

Maria Gloria aveva, in passato, comprato alcuni video di Michele Sambin267, ma l’incontro reale tra

i due avvenne in occasione della mostra “Video” organizzata da Adelina von Fürstenberg nel 1977

presso il Museo d’Arte Moderna di Ginevra (AMAM)268; nell’estate del 1977 Sambin, in seguito

alla separazione della moglie, decise di ritirarsi in Toscana e, in quell’occasione, fece visita a Maria

Gloria nella sua casa a Follonica, la stessa che aveva ospitato gli artisti di Art/tapes/22. Si può

quindi supporre che in queste due occasioni la Bicocchi e Sambin ebbero modo di confrontarsi

rispetto all’arte contemporanea e al ruolo del video all’interno delle pratiche artistiche; ma durante

la permanenza di Sambin a Follonica, poiché il laboratorio aveva già cessato le sue attività dal 1976

e ceduto l’archivio all’ASAC, Sambin non poté vedere i video realizzati in quel contesto e, per

questo, non poté esserne direttamente influenzato. D’altra parte, da quanto è stato possibile capire

durante l’intervista, alcuni degli artisti che parteciparono al laboratorio Art/tapes/22 negli anni in

cui questo si sviluppò, sono stati visti da Sambin in altre occasioni269 o, dall’altro lato, grazie allo

scambio di tapes avvenuto tra Maria Gloria e Paolo Cardazzo.270

266 Maria Gloria Bicocchi e Fluvio Salvadori, Problemi, forme, modi nuovi di creatività e consumo artistico in Italia, in La biennale, annuario 1978/1979, ASAC, Venezia, 1980, p. 1165 267 Spartito per violoncello e Echos. 268Tra i documenti rilevati nell’archivio dell’artista, ce n’è una lettera inviata a Sambin da parte dell’ASAC in cui viene comunicato all’artista che una copia di Echos è stata affittata per otto giorni al Museo d’Arte Moderna di Ginevra. Ciò spiega da una parte il motivo per cui Sambin si reca nella città svizzera; dall’altra è un ulteriore elemento che dimostra l’interesse per l’artista da parte di Maria Gloria, la quale in questo caso ha fatto da intermediaria suggerendo l’opera di cui era già entrata in possesso attraverso Cardazzo per la mostra “Video” di Ginevra. Cfr., Catalogo della mostra, Video, Museo d’Arte Moderna (AMAM), Ginevra, 1977 a cura di Adelina von Fürstenberg. Cfr., inoltre, Archivio di Michele Sambin. 269 Per esempio, Giuseppe Chiari e Charlemagne Palestine sono stati sicuramente visti da Sambin in occasione della “Settimana della performance” organizzata presso la Galleria d’Arte Moderna di Bologna nel 1977 da Barilli. Cfr., Intervista di Michele Sambin, in data 22 Marzo 2012, Appendice. 270Cfr., Dino Marangon, Videotapes …Venezia, 2004.

112

Anche se il volume di Dino Marangon sulla Galleria del Cavallino non esplicita quali furono gli

scambi avvenuti tra i due laboratori, Sambin ricorda di aver visto in qualche momento il video Body

Music 2 (1974) di Charlemagne Palestine e, analizzando Looking for listening, sarà possibile

riscoprire una certa somiglianza tra i vocalizzi dei due artisti.

Al di là delle possibili influenze che il lavoro degli artisti di Art/tapes/22 ebbe su Sambin, le

ricerche artistiche che egli svolgeva erano divise tra gli ambiti musicale, video e performativo e, per

questo motivo, avevano molto in comune con i lavori degli artisti partecipanti ad Art/tapes/22; è da

supporre che sia stato questo il motivo, connesso con l’interesse per i video di Sambin sin dal 1974

e all’avvenuta conoscenza dei due nel 1977, per cui Maria Gloria decise, organizzando “Artisti e

videotape”, di coinvolgere l’artista in analisi.

7.3 Descrizione preliminare della video-performance nella modalità in cui è stata presentata

presso “Artisti e videotape” (1977)

Come abbiamo già visto nella prima parte di questa tesi, nel realizzare le sue opere Sambin procede

prima di tutto ad una fase progettuale creando dei disegni preparatori e, in alcuni casi, anche una

vera e propria partitura musicale. Come si è potuto costatare analizzando la documentazione relativa

a Looking for listening, anche in questo caso è stata rilevata la presenza di alcuni disegni preparatori

(Figg., 55, 56), nonché una partitura (Fig. 58) in cui è stata definita l’esecuzione sonora, la stessa

che sarà poi eseguita durante l’atto performativo.

Prima però di analizzare la fase progettuale si è deciso, al fine di comprendere meglio quanto

diremo sul progetto iniziale, di descrivere l’opera così come doveva ipoteticamente apparire ai

visitatori nel momento in cui assistettero al laboratorio dell’ASAC nel 1977; si tenga comunque

presente che, poiché l’opera in questione è stata riproposta in più occasioni – e vedremo poi quali –

in alcuni casi essa è stata mostrata in una forma diversa. Questo non è dovuto solamente al fatto che

l’opera si presenta come video-performance e che quindi necessariamente ogni volta che essa è

stata eseguita il risultato ottenuto sarà stato, anche di poco, diverso; ma guardando a com’è stata

presentata l’opera in alcune occasioni, noteremo che, a seconda dello spazio concesso all’artista e

della manifestazione cui Sambin prendeva parte, Looking for listening ha assunto forme diverse.

Questo punto risulta di estremo interesse in quanto potrebbe portarci a considerare che,

indipendentemente dall’aspetto che l’opera presenta nei diversi luoghi, alcuni dei concetti alla base

di Looking for listening rimangono invariati (lo stesso artista lo asserisce durante l’intervista); ciò

113

sarà importante nel momento in cui si tratterà di ipotizzare una forma attuale di riproposta

dell’opera.

Ma si torni al 1977. I visitatori che si recarono a Ca’ Corner della Regina tra il 10 e il 12 Ottobre

per assistere alla creazione di Looking for listening, si trovarono di fronte ad un’opera complessa,

realizzata da più elementi. Per intendere cosa doveva apparire di fronte ai loro occhi, è interessante

rifarsi alla prima spiegazione dell’opera data da Sambin durante l’intervista:

La performance che ho eseguito all’ASAC prevedeva la seguente disposizione

all'interno della sala. Ero seduto sul lato destro dello spazio e davo il fianco

sinistro agli spettatori; di fronte, al lato opposto, vi era una telecamera il cui

obiettivo era puntato verso me; al centro della sala, tra la mia postazione e la

telecamera, erano disposti in linea tre monitor rivolti in direzione degli spettatori.

La telecamera era poi collegata a circuito chiuso ad uno dei tre monitor. Una volta

eseguita la prima parte della partitura (di fronte a me c’era anche un leggio su cui

era appoggiato lo spartito per l’esecuzione), il registrato del primo monitor veniva

riavvolto e ritrasmesso mentre, contemporaneamente, io eseguivo la seconda parte

della performance che veniva trasmessa sul secondo monitor. Così accadeva

anche la terza ed ultima volta in modo tale che, alla fine, è come se ci fossero stati

tre Sambin che suonavano insieme: uno reale e live, gli altri due appena registrati

e ritrasmessi sui monitor.271

Secondo la prima spiegazione che dà Sambin dell’opera, si sarebbe dovuto supporre che i video in

nostro possesso erano stati realizzati nell’hic et nunc dell’azione performativa; quest’aspetto è stato

successivamente confutato in quanto, se Sambin avesse realizzato i video di fronte al pubblico, non

avrebbe dovuto indossare gli auricolari che invece appaiono nell’immagine; ciò vuol dire che il

suono poteva essere udito solamente da lui272. Chiedendone il motivo all’artista, è stato scoperto che

i video sono stati realizzati prima dell’azione live. Questo elemento ha fatto inoltre scoprire che,

come vedremo anche analizzando il disegno preparatorio, l’intentio iniziale dell’artista era un’opera

in forma installativa e non, come successivamente è stato, performativa.

Confrontando la scoperta con l’artista, lo stesso ha in seguito dichiarato che, di fronte al pubblico,

egli realizzava live unicamente uno dei tre monitor, ma che non era certo della sua dichiarazione;

271Cfr., Intervista di Michele Sambin, in data 22 Marzo 2012, Appendice. 272 Inoltre, se si ascolta solo uno qualsiasi dei tre video, è possibile notare che non è possibile ascoltare nessun suono che, se la realizzazione dei video in nostro possesso fosse veramente avvenuta live, dovrebbe provenire dagli altri due monitor in emissione.

114

per scoprire la verità su questo punto, quindi, è stato fondamentale il ritrovamento di un articolo del

Gazzettino uscito il 13 ottobre 1977 e scritto dal giornalista Fiorello Zangrando. In esso è riportato:

interpreti [dell’opera, nda] ancora lui, i suoi strumenti, la sua voce; ogni tanto si

alza dal tronetto di plastica rossa e, mentre sui primi due monitor si

destreggiano le immagini già ibernate, ecco che va a sollecitare i ritmi della

ripresa appunto per il terzo minischermo, giocando di fuoco, di luminosità, di

vibrazioni verticali e orizzontali. Buona la terza.273

Da questo documento è quindi chiaro che ciò che appariva di fronte al pubblico era costituito da due

dei tre video realizzati precedentemente (quelli di cui attualmente possiamo vedere le immagini e

udire i suoni) e da un terzo monitor in cui veniva mostrata l’azione live ripresa dalla telecamera in

diretta, collegata con il circuito chiuso. Questa informazione è da tenere in grandissima

considerazione non solo per capire il funzionamento dell’opera; costatare che i video non sono stati

realizzati nell’hic et nunc, ma che due di essi erano quelli visti dal pubblico durante l’azione, deve

far riflettere sul valore che si può dare ai documenti audiovisivi in nostro possesso. Per questo

motivo, è stato successivamente chiesto all’artista quale fosse l’ordine in cui erano mostrati i video

nell’occasione del 1977, e quale fosse il monitor che mostrava la performance live. Egli ha

dichiarato che l’ordine era il medesimo della partitura musicale (Fig., 58) - che analizzeremo

successivamente - e che era il terzo monitor (quello più a destra) ad essere collegato in circuito

chiuso alla telecamera. Confrontando le foto dell’evento, risulta chiaro però che non è il terzo bensì

lo schermo centrale ad emettere la performance live (Fig., 64); d’altro canto, non è possibile

accertare dai documenti in nostro possesso quali fossero i video mostrati durante l’azione. La

nomenclatura attuale dei video (chiamati rispettivamente 1, 2, 3) è stata data facendo riferimento

alla partitura – ancora una volta rimandiamo al prossimo paragrafo una spiegazione più

approfondita su questo punto – ma non è detto che l’ordine attuale rispecchi quello dato nel 1977; a

dimostrazione di ciò, varranno le foto riferite all’esecuzione di Looking for listening alla Sala

Polivalente di Palazzo dei Diamanti a Ferrara di cui si parlerà tra poco (Paragrafo 8.3).

Un altro punto che dovrà essere tenuto in considerazione, è che nei due giorni in cui Sambin doveva

dimostrare il proprio lavoro al pubblico, egli eseguì Looking for listening in più momenti per cui

ogni esecuzione si svolse diversamente dalla precedente e purtroppo non è stato possibile ricostruire

in quali di questi momenti sono state realizzate le foto in nostro possesso; dai documenti fotografici,

comunque, è possibile corroborare la dichiarazione di Sambin secondo cui, essendo “Artisti e

273 Fiorello Zangrande, Il Gazzettino, Sinfonia per video, 13 Ottobre 1977, p. 3.

115

videotape” strutturato come un laboratorio, i visitatori potevano assistere anche alle prove e quindi

vedere l’opera in momenti molto diversi tra di loro.

Ricapitolando, si può arrivare alla conclusione che Looking for listening ebbe una durata di circa

30’ (la lunghezza di ciascun video varia, anche se di poco); i monitor in sala erano disposti di fronte

al pubblico in linea orizzontale; il primo e il terzo monitor mostravano i video che possiamo

attualmente vedere (non è possibile sapere quali dei tre) mentre quello centrale (per lo meno durante

l’esecuzione di cui abbiamo la documentazione fotografica) mostrava in diretta la performance

dell’artista, al lato destro degli spettatori; la telecamera, che in una delle esecuzioni è stata

sicuramente collegata al monitor centrale, infine, era posta al lato sinistro e puntava l’obiettivo sul

performer.

Un elemento che non è possibile vedere dai video, né tantomeno dalle fotografie, ma che è

essenziale all’interno dell’opera performativa, è che Sambin, recandosi dalla sedia alla telecamera

per agire sulle modalità di ripresa, passava volontariamente tra pubblico e monitor al fine di

risvegliare “brechtianamente” gli spettatori dall’incanto dello schermo ricordando loro l’aspetto

live.274 Questo elemento è da tenere molto in considerazione perché fa parte di quegli aspetti

effimeri della performance che solo grazie all’intervista è stato possibile riscoprire e che

dovrebbero essere quanto meno esplicitati nel momento in cui si voglia riproporre l’opera oggi.

Dopo la realizzazione dei video, come già accennato, l’ASAC, in un momento specifico del quale

non è stato possibile, ad oggi, rilevare maggiori informazioni, ma che si suppone sia stato subito

dopo la creazione dell’opera, ha proceduto alla realizzazione di una versione sintetizzata del lavoro

di Sambin affinché i video – che in questo modo diventavano un unico video con la ripresa dei tre

monitor in posizione triangolare, il primo al vertice e gli altri due alla base (Fig., 65) – potessero

essere mostrati nelle piattaforme audiovisive messe a disposizione secondo il nuovo statuto

dell’ASAC.275 L’ordine, in questo caso, è stato rispettato (video1 in alto; video 2 in basso a sinistra;

274I teorici teatrali come Erwin Piscator e Bertold Brecht possono essere ricordati come i padri del teatro epico, uno sviluppo di quello espressionista: mentre questo tendeva a turbare lo spettatore, l'altro voleva indurre lo stesso al ragionamento attivo. La forma epica si avvale di una particolare tecnica di recitazione definita da Brecht, basata sul cosiddetto “effetto di straniamento”. La tecnica che dà luogo all’effetto di straniamento è diametralmente opposta a quella convenzionale che si prefigge l’immedesimazione. L’attore può servirsi dell’immedesimazione, in uno stato preliminare, nello stesso modo in cui se ne servirebbe qualsiasi persona priva di attitudini e di ambizioni drammatiche, per imitare un’altra persona, per mostrarne il comportamento. L’attore sulla scena non dà luogo alla totale metamorfosi nel personaggio da rappresentare, egli mostra il proprio personaggio, "mantenendo il contegno di chi si limita a suggerire, a proporre", tenendosi a distanza dal personaggio. 275 Il video è stato realizzato attraverso la rispresa dei tre monitor emittenti i tre video in sincrono, posti in forma piramidale; questo video è stato rinvenuto, secondo quanto dichiarato da Sambin, da Paolo Cardazzo e da lui successivamente digitalizzato. A causa del decesso di quest’ultimo recentemente, non è stato ancora possibile indagare in che formato (analogico) si trovassero i video al momento della loro digitalizzazione. Questa informazione quindi, è

116

video 3 in basso a destra) e la visione, sebbene gli schermi non siano allineati, chiarisce l’aspetto

orchestrale.

È stato chiesto all’artista se egli riconosce questa versione dell’opera come possibile

documentazione a riguardo, ed egli ha dichiarato che, sebbene egli abbia accettato in un secondo

momento che i video di Looking for listening fossero mostrati secondo questa modalità, ciò è

avvenuto solamente perché era consapevole delle problematiche relative alla mancanza di

attrezzature che permettessero una visione con tre monitor dell’opera. Inoltre, e questo sarà

dimostrato in seguito con più chiarezza, nel momento in cui si presenti la necessità di mostrare i tre

video in un solo schermo a fini documentari, questo potrebbe avvenire solo nel caso in cui essi

fossero presentati allineati sull’orizzontale.

7.4 Presentazione di Looking for listening presso il Palazzo dei Diamanti di Ferrara (1978); la Biennale Musica (1979); lo Studio Trisorio a Napoli (1982).

Prima di procedere all’analisi del progetto, dei video in nostro possesso e all’interpretazione

dell’opera, è interessante riportare come Sambin ha riproposto Looking for listening nelle diverse

occasioni in cui gli è stato chiesto di presentarla.

In seguito all’evento organizzato dall’ASAC nel 1977, l’opera fu riproposta la prima volta presso il

Centro di Video Arte alla Sala Polivalente di Palazzo dei Diamanti di Ferrara nel 1978, sotto

l’invito dell’allora direttrice Lola Bonora276. Si è già parlato dell’organizzazione del centro, il quale

svolgeva un ruolo di sperimentazione e di ricerca con il video molto simile a quanto veniva fatto

negli stessi anni presso Art/tapes/22 e la Galleria del Cavallino; sarà importante ripetere che la Sala

Polivalente aveva già ospitato l’opera di Sambin Spartito per violoncello in occasione del terzo

incontro internazionale del video organizzato dal Cayc (Centro de Arte y Comunicaciò di Buenos

Aires) presso la città emiliana. Il contesto in cui Sambin si trova a lavorare in questo caso, quindi, è

di tipo laboratoriale, al pari di quello che egli aveva trovato in occasione di “Artisti e videotape”.

Dai documenti a nostra disposizione, sempre e comunque rifacendoci anche all’intervista, si può

prendere atto che Looking for listening fu presentata in quest'occasione molto similmente a quanto

era stato fatto presso l’ASAC. Non si dimentichi, però, che essendo un’opera performativa, essa

ancora da chiarire attraverso la verifica presso l’archivio video della Galleria del Cavallino o presso l’ASAC quando sarà stato definitivamente attuato il riordino delle consistenze. 276 Sambin fu invitato da Lola Bonora a presentare anche Vtr & I e Film a strisce. A questo proposito di veda il foglio di sala presso l’archivio cartaceo dell’artista.

117

presenta sempre una parte improvvisata (secondo determinate regole) ed effimera; per questo, non è

possibile parlare delle due performances come del tutto coincidenti.277 Dalle foto si può comunque

verificare che l’esecuzione anche in questo caso avvenne in forma di video-performance (Figg., 66-

69) inoltre, dalla documentazione fotografica è possibile costatare che il tecnico incaricato delle

riprese è Giovanni Grandi e che è il terzo monitor quello che propone la performance live.

Quest’ultimo aspetto è un elemento di differenza rispetto a quanto avveniva durante l’esecuzione

presso l’ASAC in quanto, come abbiamo visto, lì era il secondo schermo quello in diretta.

Da una delle foto ritrovate nell’archivio di Sambin, è stato anche possibile rilevare che i video

utilizzati nell’occasione di Ferrara furono gli stessi presentati l’anno precedente presso Ca’ Corner

della Regina. Durante la fase di documentazione è stata, infatti, trovata un’unica foto (Fig., 68) in

cui l’immagine del secondo schermo è abbastanza nitida; si è quindi tentato di confrontare

l’immagine (Fig., 70) con i video in nostro possesso e si è riscontrata una netta coincidenza tra la

stessa e il video 1 al tempo 21’ 38’’ (Fig., 71). Questo elemento ha dimostrato prima di tutto che i

video sono gli stessi realizzati presso Ca’ Corner della Regina; in secondo luogo, che l’ordine dei

video in quell’occasione non è stato il medesimo di quello attuale.

Nel 1979, due anni dopo la prima esecuzione, si riscontra la presentazione di Looking for listening

in occasione della manifestazione “Nuovi strumenti: rassegna internazionale di nastri audio e video

(II parte)” presso le Sale Apollinee del teatro La Fenice, organizzata dalla Biennale Musica. Per

ricostruire le modalità di presentazione dell’opera in questo caso, è stato possibile fare affidamento

solo sulla testimonianza dell’artista poiché il lavoro, coinvolto in un evento con un numero ingente

di artisti, non è descritto all’interno del catalogo né vi sono foto a dimostrarne le modalità di

presentazione.278 Secondo quanto sostiene lo stesso artista, in questo caso Looking for listening è

stata presentata non come performativa, bensì nella forma d’installazione, con i tre monitor su una

pedana rialzata, in linea orizzontale come di consueto, che emettevano i tre video realizzati nel

1977, ma non sappiamo se in questo caso si tratti dei master originali o della copia in possesso

dell’artista.

Il motivo per cui l’opera è stata presentata solo nella sua forma video, è dovuto, secondo lo stesso

Sambin, al contesto in cui si trovava; trattandosi della Biennale Musica, l’opera in questo caso è

stata presentata su di un palco senza che fosse richiesta a Sambin la performance, com’era accaduto

nelle due occasioni precedenti; questo perchè, già dal titolo, si può constatare che, di nuovo, era 277 «Una performance dipende sempre dalla situazione e dal vissuto di quel momento. Una parte di quello che io propongo è sicuramente improvvisato ma è libero solo all’interno di tempi e modalità ben precise.». Cfr., Intervista di Michele Sambin, in data 22 Marzo 2012. 278Flavia Paulon e Elena Povellato (a cura di), Musica ’79…Venezia, 1979 p. 138.

118

necessario stare alle decisioni curatoriali, che prevedevano l’esposizione di un numero cospicuo di

opere, tutte necessariamente su nastri audio e video.

Essere stato invitato alla Biennale Musica per esporre l’opera in analisi, è stato un momento molto

importante nella carriera di Sambin in quanto, prima di allora, egli lamentava l’approccio

strettamente visivo verso le sue opere da parte della critica; dall’altro lato, però, secondo quanto

dichiara Sambin, il fatto che il contesto in questo caso fosse quello musicale, ha fatto perdere la

dimensione artistico/visiva in funzione di quella prettamente uditiva. Questo elemento sarà da

tenere in considerazione nel momento in cui si voglia riproporre l’opera, di cui devono essere

sempre sottolineati entrambi gli aspetti – uditivo e visivo – contemporaneamente.

Analizzando i documenti di archivio, è stato infine riscontrato che l’ultimo momento in cui è stata

presentata l’opera, prima dell’attuale forma in digitale, risale al 1982, presso la Galleria Studio

Trisorio a Napoli. Come nel caso della Biennale Musica, non sono stati trovati nuovi documenti che

spieghino le modalità di presentazione, ma è certo che l’opera non è stata mostrata in forma

performativa perché l’artista non ricorda di essersi recato presso lo Studio. Possiamo solo ipotizzare

che i nastri siano stati inviati da Sambin e che siano stati mostrati in maniera molto simile a quanto

avvenne presso le Sale Apollinee.

119

8. Looking for listening; analisi dell’opera

8.1 La progettazione di Looking for listening: i disegni preparatori e lo spartito

I disegni preparatori ritrovati nell’archivio dell’artista fanno riferimento a due diversi momenti di

progettazione. Il primo (Fig., 55) è stato utile, come abbiamo già accennato, per scoprire che

Sambin aveva progettato l’opera in maniera diversa rispetto a come, successivamente, è stata

eseguita; infatti, se guardiamo all’immagine rappresentata, scopriremo che inizialmente l’opera era

stata concepita come video-installazione e non come video-performance; quanto detto è confermato

dal foglio di presentazione dell’opera redatto da Sambin e datato il 17/09/1977 in cui, come

vedremo tra poco, l’artista parla del progetto nella sua forma installativa. È di estremo interesse

analizzare il funzionamento dell’ipotesi installativa attraverso la spiegazione che ne dà Sambin

durante l’intervista al fine di confrontarla poi con il foglio di sala:

[..] i monitor sono disposti ai vertici di un triangolo con gli schermi rivolti verso il

centro della forma geometrica. Nel disegno sono rappresentate anche delle

persone che rivolgono lo sguardo verso i differenti monitor. Guardiamo per

esempio i personaggi chiamati con il termine “Istante 1”: ve n’è uno rivolto verso

il televisore al vertice superiore del triangolo (n° 1279) invece un altro guarda al

monitor n° 2. Il primo personaggio è collegato allo schermo n° 1 da una linea retta

verde: questa riga indica la provenienza del suono che il personaggio ode; il

secondo spettatore è ugualmente collegato da una linea verde al monitor n°1 ma

sul suo viso ho tracciato una piccola linea rossa, la stessa che compare sulla

superficie superiore dei televisori (il disegno è visto dall’alto) e che, nel caso del

monitor n° 1, è accostata al numero 2; nel monitor n°2 (verso il quale rivolge lo

sguardo il secondo personaggio) è accostata al numero 1; nel monitor n° 3 la linea

ha invece al fianco il numero 3. 279 I monitor sono stati nominati con il fine di rendere più chiaro il testo. Durante l’intervista l’artista indica i diversi monitor analizzando il disegno di fronte a lui. Il monitor n° 1 equivale a quello del vertice in alto del triangolo, il n° 2 al monitor a destra mentre il n° 3 a quello a sinistra. Fig., 55.

120

Questo complesso sistema di rapporti è spiegato in alto a sinistra del disegno:

come si può vedere, vi sono altre linee, una verde scuro e una blu che vengono

disegnate sugli schermi nella stessa maniera in cui è rappresentata la linea rossa di

prima; se si guarda ora in alto a sinistra, si vedrà che la linea verde scuro si

riferisce a uno schermo vuoto e al vocabolo “Parole”; la linea rossa ad uno

schermo con rappresentata una persona che parla e al termine “silenzio”; la linea

blu ad una persona che sta in silenzio e alla parola “silenzio”.

Ritornando ai nostri due personaggi che si trovano all’interno del triangolo, il

secondo spettatore ha dunque lo sguardo rivolto verso il monitor n° 2, in cui

all’istante uno visivamente comparirà una persona che sta parlando (linea rossa);

dal punto di vista sonoro invece il nostro personaggio è collegato allo schermo n°

1, che all’istante uno, prevede la linea verde scuro. Basta guardare la didascalia

dei colori per capire che egli sta sentendo le “Parole” che provengono dallo

schermo n° 1 cui volge l’udito. Il primo spettatore invece, volgendo sguardo ed

udito entrambi al monitor n°1 sentirà le stesse “Parole” del suo compagno ma

vedrà uno schermo vuoto di fronte a lui.280

La spiegazione dell’opera così com’era stata progettata può essere ora paragonata, come già

accennato, a quanto scritto da Sambin nel foglio di sala per la presentazione del lavoro all’ASAC:

Come nell’analisi concettuale abbiamo visto che l’interazione tra immagine e

suono avviene solo se si spezza la loro “spontanea” connessione, così nel caso

dell’esecuzione materiale della stessa opera avviene che, mentre, ad esempio, il

primo monitor trasmette un’immagine visiva come battere le mani secondo

un certo ritmo, il suo audio non trasmette niente; a funzionare è invece

l’audio del secondo monitor il quale emette il sonoro che dovrebbe essere del

primo, mentre sul video compare l’immagine delle mani che però non

battono[…].281

Lo sfasamento d’immagine e suono, così com’è stato descritto da Sambin il 17 Settembre del 1977,

coincide con la spiegazione del disegno preparatorio poiché si fa proprio riferimento ad uno

scambio tra il suono dei diversi monitor che non è più nel momento della performance.

280 Cfr., Intervista di Michele Sambin, in data 22 Marzo 2012, Appendice. 281 In, Foglio di presentazione dell’opera redatto da Sambin e datato il 17/09/1977, Archivio di Michele Sambin.

121

Un altro aspetto rilevante, e che serve da monito nel momento in cui si guardi alla documentazione

di qualsiasi opera, è che all’interno degli annuari dell’ASAC la spiegazione del lavoro fa

riferimento non a ciò che è stato eseguito, ma al foglio di presentazione redatto da Sambin; a questo

punto, al di là di ciò che l’artista dichiara durante l’intervista282, sono stati l’articolo di giornale di

Zangrando283, le foto dell’esecuzione di Looking for listening e il secondo disegno preparatorio

(Fig., 56) a dare conferma che l’opera non è stata presentata come installazione; è perciò da

supporre che il foglio in questione, essendo la data antecedente all’esecuzione, è stato redatto in un

momento in cui l’artista aveva ancora in mente l’opera come installativa e che solo successivamente

abbia ridimensionato il proprio progetto così come appunto è ben schematizzato dal secondo

disegno. Quest’ultimo, infatti, esemplifica in modo molto chiaro il funzionamento dell’opera video-

performativa così come ci viene testimoniata anche dall’artista, dai documenti fotografici e

dall’articolo di giornale.

Le motivazioni per cui l’artista, ad un certo punto, decide di modificare la forma in cui realizzare

l’opera, sono dovute principalmente all’invito di Maria Gloria per un’esecuzione live, la quale

avrebbe rispecchiato più precisamente l’idea di “Artisti e videotape” come evento dimostrativo dei

possibili utilizzi artistici del nuovo medium. Il ruolo di Maria Gloria, in questo caso, può sembrare

invasivo nei confronti della produzione dell’opera di Sambin ma, stando a quanto dichiara lo stesso

artista, lo slittamento da video-installazione a video-performance non ha inficiato del tutto il senso

dell’opera, che ha comunque mantenuto da un lato alcuni dei principi di base su cui era stata

costituita (rapporto immagine-suono) e dall’altro lato ha acquistato sia una maggiore potenza

comunicativa data dal coinvolgimento empatico del pubblico – ma non più fisico come nella forma

installativa284; sia un maggior rilievo dal punto di vista musicale, poiché l’esecuzione live eseguita

da Sambin è fortemente avvicinabile a quelle di Musica Sperimentale cui si poteva assistere in quel

periodo.

Dall’altro lato, però, l’installazione avrebbe messo in rilevanza la dissociazione piuttosto che il

rapporto tra immagine e suono. Infatti, lo spostamento del suono del video 1 sul monitor ospitante il

video 2 (e così di seguito), avrebbe provocato, anche grazie alla disposizione triangolare degli

schermi, uno sfasamento che sarebbe stato compito del pubblico ricostruire.285 La realizzazione in

282 In alcuni casi non si può fare completo affidamento solo sulle testimonianze del singolo ed è invece necessario confrontare le diverse fonti storiche in nostro possesso, dando precedenza a quelle fotografiche e, nel caso ci siano, video. 283 Cfr., Fiorello Zangrande, Il Gazzettino, Sinfonia per video, 13 Ottobre 1977, p. 3. 284 «L’aspetto performativo aumenta l’empatia tra spettatori e performer, ed in questo modo sarà più facile che essi rivivano, come dicevamo prima, all'aumentare del ritmo una sensazione di perdita e, nell’armonia sonora e visiva finale, un senso di tranquillità». Cfr., Intervista di Michele Sambin, in data 22 Marzo 2012, Appendice. 285 «Si consideri che il disegno fa riferimento a tre momenti diversi. Una persona nel primo istante è colpita dal fatto che ciò che vede e il suono a cui, in un mondo di cause ed effetti normali, si dovrebbe riferire l’immagine non provengono dalla stessa fonte emittente. In un secondo momento il pubblico inizierà a capire qual è la logica dello sfasamento tra

122

forma di performance, come vedremo, mette in risalto l’orchestrazione d’immagini e suoni piuttosto

che la loro non coincidenza. Inoltre:

Attraverso la video-installazione avrei potuto realizzare una spazializzazione del

suono maggiore di quella che si è poi ottenuta attraverso la diposizione dei

monitor lungo una linea retta. In questo modo avrei potuto coinvolgere i sensi

uditivi e visivi dello spettatore che in uno spazio tridimensionale è più attivo

rispetto alla classica posizione frontale.286

Il motivo per cui Sambin, nonostante in questi anni fosse già diretto verso un approccio

performativo, in questo caso ipotizzi inizialmente un’installazione, è da individuarsi probabilmente

proprio nella possibilità, esclusivamente installativa, di spazializzare il suono, evoluzione,

quest’ultima, da ritenersi strettamente collegata all’opera precedente, Autoritratto per quattro

camere e quattro voci. In quest’ultima video-performance che, come abbiamo già detto, è stata

realizzata presso la Galleria Comunale dell’Arte Moderna nella primavera del 1977, si può notare

che Sambin tende già ad un’indagine sonora e visiva sullo spazio e sul tempo che caratterizza

specialmente le installazioni. È possibile perciò pensare che, Looking for listening, sia stata pensata

come diretta evoluzione dell’opera precedente e che, con essa, Sambin volesse aumentare la

complessità del linguaggio indagando non solo il ruolo dell’immagine nel modificare lo spazio ma,

anche, il ruolo del suono nel costruire un ambiente. Un’altra giustificazione della scelta installativa,

è individuabile nel valore che dà Sambin al supporto delle sue opere. Come abbiamo già visto,

infatti, i media attraverso cui l’artista si esprime sono funzionali al linguaggio che egli vuole creare;

non è importante cosa ma come è realizzato un discorso e, in questo caso, l’artista ha pensato

all’installazione in quanto, probabilmente, essa era il supporto più adatto ai fini della sua poetica.

Oltre ai disegni appena analizzati, come abbiamo già accennato, l’artista in fase progettuale realizza

la partitura dell’opera; com’è stato possibile rilevare, nella prima parte di questa tesi, gli spartiti

musicali realizzati dall’artista si distaccano completamente dalla notazione musicale tradizionale, e

il modo in cui sono progettate le esecuzioni sonore è piuttosto avvicinabile agli spartiti realizzati dai

compositori di Musica Contemporanea Sperimentale.

visto e udito; immaginavo che a questo punto le persone avrebbero dovuto iniziare una personale ricerca per trovare la logica di scardinamento e di ricomposizione secondo regole altre da quelle usuali.» Cfr., Intervista di Michele Sambin, in data 22 Marzo 2012, Appendice. 286 Cfr., Intervista di Michele Sambin, in data 22 Marzo 2012, Appendice.

123

Lo spartito in questione si presenta in due fogli, entrambi suddivisi in tre righe orizzontali; ogni riga

è poi a sua volta suddivisa da linee verticali, le quali hanno la funzione di determinare il tempo della

composizione. All’interno di ogni rettangolo creato dall’intersezione delle linee, vi sono delle scritte

che fanno riferimento al ritmo dell’esecuzione (semplice, variare) e allo strumento che deve, di

volta in volta, essere suonato (mani, percussioni sul petto, voce, sax, cello e camera). La

decelerazione o l’accelerazione del ritmo dei suoni è, in alcuni casi, rappresentato anche con una

serie di piccole linee verticali di lunghezza, reciprocamente, decrescente e crescente.

Le prime tre battute di ogni rigo - secondo quanto è possibile osservare e quanto asserisce lo stesso

artista – sono le uniche che presentano reciprocamente la medesima lunghezza e, quindi, durata; se

poi guardiamo a quanto viene scritto in ogni battuta, vedremo che c’è una relazione tra i diversi

righi: nel primo si alternano, in ordine, il battito di mani, il silenzio287 e il movimento verticale della

telecamera; nel secondo noteremo che viene modificata la sequenza degli elementi (gli stessi) scritti

nelle battute e si avrà prima il silenzio, poi il movimento della telecamera e in ultimo il battito delle

mani; nel rigo più in basso, il rapporto cambia per l’ennesima volta e si avrà prima il movimento

della telecamera, poi il battito delle mani e in ultimo il silenzio. Lo stesso principio, compare anche

nell’appunto grafico (Fig., 57), realizzato prima della partitura vera e propria con l’intento di

“fermare” l’idea di partenza, la quale viene poi modificata e perfezionata nella partitura definitiva.

Infatti, il “quadrato magico”288 che viene delineandosi nelle prime tre battute è dovuto al fatto che

l’obiettivo dell’artista, in questa parte, è stabilire le regole iniziali attraverso le quali il pubblico

dovrà poi leggere e interpretare l’esecuzione.

Prendiamo ad esempio la battuta iniziale di ogni rigo della partitura definitiva; si noterà che in

quella più in alto compare il battito delle mani; in quella centrale il silenzio; in quella più in basso il

movimento verticale della telecamera. Confrontando il risultato visivo e sonoro ottenuto sui tre

video, possiamo notare che il ritmo del battito delle mani (primo monitor) è lo stesso di quello della

telecamera (terzo monitor); in questo modo lo spettatore intuirà facilmente il rapporto di dipendenza

instaurato tra l’immagine che si alza e si abbassa e il ritmo del battito di mani. Lo stesso processo

vale per le seconde e terze battute in cui, cambiando l’ordine degli elementi sui vari monitor, sarà

sempre individuabile il rapporto tra l’immagine e il suono corrispondente anche se esso sarà

287 Nello spartito il silenzio viene indicato con la parola “fermo”; Angelo Bacci, il tecnico della Biennale incaricato di riprendere l’azione nei momenti in cui Sambin si trova di fronte alla telecamera, inquadra, quando lo spartito prevede le pause, le mani dell’artista. Questo elemento è a ulteriore dimostrazione del fatto che i video sono stati realizzati antecedente alla performance in quanto, nel foglio di sala cui abbiamo accennato in precedenza e che si riferiva all’idea installativa, la ripresa delle mani ferme avrebbe dovuto contrastare con il rumore del battito di mani proveniente, secondo la volontà di dissociare suono e immagine, dal video antecedente. «Il primo monitor trasmette un’immagine visiva come battere le mani secondo un certo ritmo, il suo audio non trasmette niente; a funzionare, è invece l’audio del secondo monitor il quale emette il sonoro che dovrebbe essere del primo, mentre sul video compare l’immagine delle mani che però non battono». 288 L’espressione è stata utilizzata dallo stesso artista per riferirsi alle battute iniziali dell’opera.

124

instaurato secondo modalità differenti. Se si considera il terzo gruppo di battute, infatti, vedremo

che la prima esecuzione presenta lo spostamento verticale della telecamera, mentre la seconda il

battito di mani. Allo spettatore parrà ora che è il ritmo dato dai battiti delle mani ad essere

determinato dal movimento della telecamera e non viceversa, come pareva nel primo esempio. Ciò

fa sì che lo spettatore possa intuire il ruolo di spartito che ha l’immagine nei confronti del suono

(terza serie di battute) e viceversa (prima serie di battute).

Il ruolo del video come spartito dell’opera è aumentato dal fatto che, una volta realizzato

interamente il primo tape (e quindi l’esecuzione del primo rigo) l’artista si rifà anche ad esso per la

realizzazione degli altri due “brani”. Il primo video quindi - e per la creazione della terza parte,

anche il secondo - funge da spartito dettando il tempo e il ritmo dell’esecuzione; infatti, se

guardiamo alla partitura cartacea, noteremo che non vi sono annotazioni di tempo predefinite e

s’intuisce che esse sono state sancite dalla prima esecuzione, la quale funge da modello per le

successive; inoltre, se guardiamo ad altre opere di Sambin, noteremo che la funzione dell’immagine

come spartito dell’opera è già nel video Spartito per violoncello289; viceversa, la funzione del suono

come spartito per l’immagine, è riscontrabile invece in Echos e risulterà importante rilevare che

queste due, sono proprio le opere acquisite da Maria Gloria Bicocchi all’interno del corpus di opere

art/tapes/22.

Un’altra cosa da tenere in considerazione è che, confrontando la prima parte dello spartito con

quanto è dalla realizzazione dei video290, essi coincidono perfettamente; ciò corrobora quanto detto

dall’artista quando sostiene che l’esecuzione delle prime tre battute, dovendo essere il più chiara

possibile per permettere al pubblico una facilissima comprensione, si attiene strettamente allo

spartito cartaceo. Confrontando la partitura con i video in nostro possesso è stato possibile, proprio

perché la prima parte coincideva quasi esattamente con l’esecuzione, nominare secondo un ordine

numerico crescente i video; come già detto, però, l’ordine in cui sono stati presentati nelle varie

occasioni di cui abbiamo parlato, non sempre rispecchia quello attuale.

In seguito alle tre battute iniziali, la partitura prosegue indicando quello che potremmo definire un

“canovaccio” dell’esecuzione. Infatti, secondo quanto dichiara lo stesso artista (e in alcuni punti si

legge anche sullo spartito) la seconda parte dà solo delle indicazioni degli strumenti e del ritmo che

deve essere tenuto durante la realizzazione dei VTR, lasciando ampio spazio all’improvvisazione

289«È importante anche considerare che, dal momento in cui ho eseguito la partitura del primo monitor, proprio perché anche il video successivamente funge da spartito all’opera, nelle seconde due esecuzioni ho comunque dovuto sempre fare riferimento non solo allo spartito ma anche alla prima esecuzione e agli effetti visivi realizzati con il primo video. È quindi anche il tempo della prima registrazione che determina automaticamente i ritmi delle successive esecuzioni, nonostante io mi serva comunque sempre anche dello spartito.» Cfr., Intervista di Michele Sambin, in data 22 Marzo 2012, Appendice. 290Al fine di confrontare la partitura e i video realizzati, è stata proposta una tabella di analisi dettagliata. Cfr., Tabella 4 - Analisi dei tre video costituenti l'opera Looking for listening, Appendice.

125

dell’ampiezza dei suoni. Confrontando quanto scritto in partitura con il risultato dei video in nostro

possesso, noteremo che nella seconda parte non vi è più un’estrema corrispondenza tra quanto

previsto e quanto realizzato, nonostante vi sia comunque una correlazione tra gli strumenti annotati

e quelli che l’artista suona durante l’esecuzione. Inoltre, sarà bene osservare come in partitura sia

previsto, alla fine, il ritorno ad un’armonia tra gli strumenti musicali (vocale, sax, violoncello,

telecamera) che rispecchia perfettamente quanto accade nei tre video.

8.2 Descrizione e ricostruzione comparativa 291 tra lo spartito e i tre video costituenti Looking for listening

Arrivati a questo punto, è bene descrivere ciò che appare nei tre video, tenendo sempre presente che

solo due di essi erano visibili al pubblico in sala, mentre un terzo – ma come già detto non è

possibile sapere quale - era stato realizzato inizialmente per l’ipotesi installativa e mantenuto

successivamente al fine di mostrare Looking for listening nelle piattaforme audiovisive previste dal

nuovo statuto dell’ASAC.292

Al posto del secondo - nel caso dell’ASAC - video, come già accennato, ciò che il pubblico poteva

vedere era la presa in diretta della performance live, di cui abbiamo solo testimonianze fotografiche

e cartacee (articolo di giornale, intervista dell’artista). È comunque necessario tenere presente che la

parte eseguita in performance segue una partitura e quindi, benché presenti aspetti

d’improvvisazione, si deve attenere ai limiti temporali e timbrici; da ciò segue che i tre video in

nostro possesso possono darci una valida idea di quello che il pubblico doveva vedere nel momento

in cui assistette alla realizzazione dell’opera; in più, grazie al fatto che due dei tre tape fungevano

da spartito durante l’esecuzione live, l’improvvisazione rimaneva sicuramente all’interno di limiti

temporali e di ampiezza determinati anche dagli altri due monitor.

Ritornando ai video in nostro possesso rimanga chiaro anche che, come anticipato, al fine di rendere

attualmente possibile la visione dell’opera, i video sono stati digitalizzati nel 2011 presso la Camera

Ottica dell’Università di Udine, ed è nella loro forma digitale che sono stati analizzati dalla

sottoscritta293; essi sono duplicato dagli originali (s’ipotizza) realizzati grazie alla partecipazione di

291 Per l’analisi tecnica dei video cfr., Capitolo 9. 292 A questo proposito, è bene anticipare che nelle piattaforme messe a disposizione dall’archivio della Biennale l’opera sarà presentata secondo una sintesi (realizzata da Bacci) costituita da un solo video che riprende i tre monitor posizionati in forma piramidale (il primo al vertice, gli altri due alla base della figura); questo è dovuto all’impossibilità di mostrare ad un ipotetico studioso il video su tre monitor distinti, in quanto non era disponibile l’attrezzatura necessaria. 293 Per le quesioni relative alla digitalizzazione e al restauro si veda Capitolo 9.

126

Angelo Bacci, il quale eseguì le riprese seguendo le indicazioni da parte dell’artista. In alcuni casi le

modalità di ripresa realizzate dal tecnico – in particolare gli zoom eseguiti mentre l’artista si trova di

fronte alla telecamera - non erano previste dall’artista; infatti quest’ultimo avrebbe preferito

un’immagine statica nei momenti in cui era lui di fronte alla telecamera in modo tale da rendere

chiaro il ruolo “musicale” delle tecniche di ripresa realizzate dallo stesso artista nei momenti in cui

nei video appare la sedia vuota.294

Per procedere all’analisi dei tre video che costituiscono una parte dell’opera Looking for listening,

si è deciso inoltre di realizzare una tabella295; ci si riferisca anche ad essa per intendere ciò che

compare sui documenti audiovisivi. Le colonne della tabella sono state suddivise secondo la regola

2 cm = 15’’, arrotondando i secondi per difetto o per eccesso a seconda dei casi. All’interno di

ciascuna cella si è tentata una definizione per ogni singola “tecnica sonora”: alcuni nomi sono stati

assegnati confrontando i video con lo spartito; altri, che fanno riferimento a momenti dettati

piuttosto dall’improvvisazione performativa, sono stati stabiliti con l’artista stesso in sede

d’intervista. Si è deciso di porre in corsivo i termini riferiti allo spartito mentre in grassetto quelli

concordati successivamente.

I colori della tabella differenziano le tipologie sonore utilizzate dall’artista; come si può notare nella

didascalia, a parte l’“Arrivo alla sedia”, Sambin esegue l’opera impiegando sette diversi tipi di

strumenti che comprendono: mani; voce; percussioni del petto; sax; violoncello; telecamera. È

inoltre presente l’elemento del silenzio, in bianco, che corrisponde alle pause durante l’esecuzione e

che, nella maggior parte dei casi mostra, dal punto di vista visivo, le mani composte dell’artista.

Si è poi deciso di unire le colonne al fine di poter confrontare tra di loro le esecuzioni di ogni

monitor. Come si può vedere, all’inizio di ogni colonna la numerazione del tempo non parte da

zero, bensì dal momento in cui il video inizia; questo perché i nastri presentavano cartelli iniziali di

diversa lunghezza (video 1 = 58’’; video 2 = 2’.19’’; video 3 = 1’46’’). Un’altra cosa che si noterà

in tabella è che il secondo video non presenta l’“Arrivo alla sedia” previsto in partitura296, per cui si

294«Avrei preferito che l'uso dello zoom fosse ridotto al minimo. Una ripresa più statica delle mie azioni avrebbe evidenziato per contrasto i momenti in cui l'immagine si “muove” perché sono io ad andare alla telecamera per mettere in gioco le sue potenzialità agendo su zoom, movimenti di camera, etc…Tutte queste variabili vengono agite sull'immagine della seggiola vuota che ho lasciato qualche istante prima alzandomi per andare ad effettuare le riprese. Questo agire su un’immagine poco significativa evidenzia che ciò che mi interessa non è cosa riprendere ma come riprendere.». Cfr., Intervista di Michele Sambin, in data 22 Marzo 2012, Appendice. 295 La scelta è dovuta al fatto che, già Roberto Calabretto, all’interno del saggio Incipit. La dimensione musicale della videoarte (in Cosetta G. Saba, Arte in Videotape…Milano, 2007), nell’analizzare Spartito per violoncello, si è servito di uno schema che semplificasse la comprensione del funzionamento del video. Anche in questo caso, quindi, al fine di semplificare l’analisi dell’opera, si è deciso per la realizzazione di una tabella; in più, questo ha permesso che fosse molto più facile, successivamente, conforntare i video realizzati con quanto progettato in partitura. 296 Il motivo per cui non si vede l’arrivo alla sedia è stato chiesto all’artista che ha giustificato l’errore attribuendone la dimenticanza ad Angelo Bacci.

127

è deciso di far coincidere l’inizio del nastro con il momento in cui, negli altri due video, Sambin è

già posto frontalmente alla telecamera.

Attraverso questo sistema è possibile confrontare le coincidenze e i rapporti che si creano nel

momento in cui i tre monitor sono in emissione contemporaneamente; inoltre, la scelta di realizzare

uno schema, permette di confrontare la partitura originale con quanto eseguito. Si può riscontrare,

come già detto, che mentre le prime quattro celle di ogni colonna rispecchiano in modo pedissequo

la partitura, in seguito Sambin tende all’improvvisazione; d’altro canto, si noterà che il ritmo

(“semplice”, “veloce”, “accelerato” o “decelerato”) e l’utilizzo dei vari strumenti non sono quasi

mai improvvisati e si attengono fortemente al progetto iniziale.

Un altro aspetto interessante che, durante l’intervista con l’artista, ha portato ad importanti scoperte,

è la diversa lunghezza dei tre nastri; come si può vedere, infatti, le ultime celle della prima e della

seconda colonna, sono state colorate di nero, al fine di mettere in risalto la durata. Questo è stato

uno degli indizi che ha portato, successivamente, a chiarire il contesto in cui sono stati realizzati i

video che, come già accennato, non sono stati registrati in performance ma precedentemente ad

essa.

8.3 Interpretazione della video-performance Looking for listening

Per intendere il senso dell’opera realizzata da Sambin risulta interessante partire dal titolo datogli

dall’artista e dalla sua stessa spiegazione durante l’intervista:

Il titolo in italiano è traducibile con “guardare per ascoltare”, ma in inglese la

forma Looking for equivale in lingua italiana anche al termine “cercare”: è

esattamente questo l’obiettivo del titolo, non si capisce se il significato sia cercare

per ascoltare o guardare per ascoltare. Proprio perché non esiste in italiano una

forma che racchiuda entrambi i significati, ho utilizzato il termine inglese.

Il primo modo di interpretare il titolo in italiano fa riferimento alla mia ricerca,

che è sempre stata indirizzata verso una particolare modalità di ascolto, che non

passasse solo attraverso l’udito ma anche attraverso la vista; cercare è anche

un’azione che si fa prettamente attraverso gli occhi e, passando per

quest’osservazione, possiamo arrivare all’altro termine, guardare per ascoltare.

In questo caso il titolo fa comunque riferimento alla mia ricerca, ma suona più

128

come un monito all’osservatore, un indizio attraverso il quale è possibile scoprire

il senso dell’opera.

D’altro canto, la forma in gerundio, fa sì che il titolo possa essere facilmente

girato in Listening for looking. È un titolo in loop. Il mio obiettivo è creare

un’ambiguità sinestetica: è il movimento della telecamera che determina il suono

o viceversa?297

Da questa esauriente spiegazione, possiamo già individuare la continuità di quest’opera rispetto alle

precedenti. Non solo in quanto attraverso la video-performance Sambin propone, ancora una volta,

un’indagine del rapporto tra immagine e suono ma anche perché, nel suo lavoro, egli coinvolge

direttamente il pubblico, al quale dà chiari strumenti per la decodificazione delle sue opere. In

questo caso, il fatto che il titolo funga da monito allo spettatore e gli indichi il senso dell’opera,

corrobora quanto già detto rispetto ad alcune sue opere filmiche (in particolare Laguna e

Blud’acqua) e a tutte le sue opere video; quest’ultime, infatti, sono sempre presentate in modo

chiaro, scientifico, e tendono a mostrare in maniera didattica i risultati della ricerca di Sambin sui

modi di dissociare e riassociare, secondo nuove regole, i suoni e le immagini.

Un altro elemento che risulterà interessante rispetto al titolo - e che ci collega ad un’analisi più

profonda del senso dell’opera - è il fatto che esso può essere letto anche come Listening for looking

(Ascoltare per guardare); come sostiene lo stesso Sambin, questa caratteristica del titolo porta ad

«un’ambiguità sinestetica: è il movimento della telecamera che determina il suono o viceversa?».298

L’ambiguità e l’interscambiabilità tra la funzione dell’immagine e la funzione del suono non è

dimostrata solo dal fatto che il titolo potrebbe essere letto in loop, ma è chiara anche durante la

visione dei tre video - e, ovviamente, anche nel momento in cui essa è realizzata live – soprattutto

nelle tre battute iniziali che, come abbiamo visto, sono quelle dove l’artista si attiene strettamente a

quanto previsto in partitura.

Guardando le prime tre battute, è molto chiaro che gioco una combinazione di tre

elementi: il suono, la stasi e un altro tipo di “suono”, visivo, dettato dagli

spostamenti della telecamera. In queste prime battute associo il ritmo del battito

delle mani a un movimento ritmico della telecamera affinché sia chiaro a chi

guarda che vi è una relazione tra visivo e uditivo. Faccio azioni molto semplici,

297 Cfr., Intervista di Michele Sambin, in data 22 Marzo 2012, Appendice. 298 Ibidem.

129

elementari, con l'intenzione che lo spettatore possa più facilmente capire il

rapporto tra ciò che eseguo sul monitor e ciò che eseguo live.299

L’artista quindi, non solo in queste prime tre battute iniziali dimostra subito l’interscambiabilità tra

suono e immagine e la loro possibilità di fungere entrambi da spartiti o da strumenti per

l’esecuzione audiovisiva; ma, attraverso la chiarezza iniziale, raggiunge anche l’obiettivo di

di-mostrare. […] Volevo che lo spettatore capisse che, per esempio, separando il

suono dall’immagine di un'esecuzione musicale, si altera in qualche modo la

realtà, si rompe l'abituale rapporto di causa effetto, così come volevo dimostrare

che tra visivo ed uditivo si potevano instaurare molti tipi di relazioni alternative

alle modalità consuete.300

Continuando la sua ricerca precedente, Sambin indaga un nuovo linguaggio che, proponendo nuove

relazioni tra immagini e suoni, potesse suscitare lo sconvolgimento ed una successiva

ricerca/reazione nello spettatore. Questo nuovo linguaggio che Sambin andava ricercando, partiva

da degli assiomi che, in questo caso, sono quelli dettati dalle prime tre battute e, per portare un

esempio utilizzato spesso dall’artista durante l’intervista, nel caso di Autoritratto per quattro

camere e quattro voci sono i rapporti tra le vocali A, E, O, U, e le quattro prospettive diverse del

volto dell’artista.

Successivamente alle battute iniziali l’artista si pone l’obiettivo di ricercare possibili relazioni tra gli

strumenti musicali, la voce e le modalità di ripresa. L’obiettivo, in questa seconda parte, non è più

dare delle regole di partenza, ma mostrare tutte le possibilità combinatorie tra quanto è a

disposizione:

traducendo in musica le diverse modalità di ripresa che compaiono sui monitor,

per esempio, mostro allo spettatore che l’immagine può fungere da spartito; allo

stesso modo, in un altro momento, dimostro invece che suonando prima col sax e

poi col violoncello alcuni movimenti verticali della telecamera, nonostante lo

spartito sia lo stesso, otterrò diverse modalità d’esecuzione.301

299 Cfr., Intervista di Michele Sambin, in data 22 Marzo 2012, Appendice. 300 Ibidem. 301 Ibidem.

130

Si potrà poi notare che, durante l’esecuzione, il ritmo e l’intensità crescono. La seconda è

determinata dall’ampiezza e dal timbro dei suoni, che sono improvvisati e che rispondono

all’aumentare del ritmo predefinito dalla partitura; la cadenza dell’esecuzione, quindi, equivale

all’infittirsi della ricerca di relazioni tra i vari elementi a disposizione. «Nel cuore di Looking for

listening secondo me c’è proprio il ricercare tutti i possibili incastri e, proprio perché ancorato dai

tempi della partitura, all'interno di questi mi sento libero di “perdermi” in una ricerca di estrema

libertà».302

Nella fase finale invece, come già detto, si assiste ad una ricomposizione armonica. Si torna ad una

situazione quieta perché tutti gli strumenti, la voce e la telecamera si riconducono ad un’unica

tonalità, ad una nota sola. È, come la definisce Sambin durante l’intervista, «l’armonia, dopo il

ricercare».303

Ciò che accade, è che all’interno di un ambito e una strutturazione precise, l’artista si lascia andare

a dei sentimenti e a delle pulsioni inconsce; l’aumento del ritmo esprime, in maniera abbastanza

evidente, una situazione di crisi e di perdita. Il ricondurre tutto ad un’armonia è anche un ritrovare

se stessi.

Nel finale, se si guarda ai tre video dal punto di vista dell’immagine, in un

monitor si vede il sottoscritto al violoncello che suona un’unica nota spostando

l’arco a destra e sinistra con un ritmo molto lento; nel terzo monitor vediamo la

sedia spostarsi orizzontalmente, come lo stesso ritmo dell'arco, grazie ai

movimenti della telecamera; nel secondo schermo, invece, sempre con un ritmo

lento muovo la testa a destra e a sinistra intonando i fonemi “Ne-No”.304

Vedendo quest’ultima parte sono chiari due aspetti: da un lato la relazione visiva e sonora tra

quanto accade sui tre schermi; dall’altro il fatto che nel linguaggio di Sambin, il movimento

orizzontale molto lento equivale ad uno stato d’animo di quiete mentre, ai momenti di maggiore

crisi, è associato il movimento verticale della telecamera così come quelli che sono definiti in

partitura i “battimenti”, piccoli colpi dati alla videocamera che creano, sul monitor, un effetto

disorientante. Durante la visione dei video è possibile notare che l’artista utilizza anche altre

modalità di ripresa: per esempio lo zoom e la brusca apertura e chiusura del diaframma che rende

l'immagine inquieta.

302 Cfr., Intervista di Michele Sambin, in data 22 Marzo 2012, Appendice. 303 Ibidem. 304.Ibidem.

131

Guardando la tabella di analisi dei video, si noterà inoltre che vi sono numerosi spazi bianchi riferiti

alle pause durante l’esecuzione. Come spiega Sambin, l’utilizzo del silenzio consente all’artista,

all’interno dell’orchestrazione dei tre monitor, di dimostrare che il nuovo linguaggio visivo -

musicale che egli utilizzava aveva sì destrutturato quello tradizionale, ma non ne aveva

abbandonato tutti gli aspetti. Dall’altro lato, così come succede nelle usuali annotazioni musicali, le

pause spesso sono indicate quando si vuole che alcuni strumenti di un’orchestra siano messi in

risalto; in questo modo il compositore può creare diverse combinazioni possibili dei suoni che ha a

disposizione e, a volte, è possibile anche mettere in gioco un solo strumento o una coppia. In

ultimo, la pausa rende lo spettatore attento e partecipe perché, al tacere di uno dei monitor, sentendo

la differenza rispetto a quanto accadeva prima, il pubblico risveglia la sua attenzione.

In ultimo, è interessante costatare che non sono solo i tradizionali strumenti musicali, così come la

telecamera, ad essere utilizzati per l’esecuzione, ma Sambin va anche alla ricerca di materiali vocali

inconsueti, indagando le possibilità di agire con alcune percussioni sul proprio corpo usando

contemporaneamente la voce. In questo caso è chiaro il riferimento alla Body Art.

Durante l’azione mi lascio andare ad un canto, un gemito primordiale che ha a che

fare con l’andare alla ricerca di un'origine e percuoto me stesso fino a perdere la

dimensione razionale. È quello l’apice della performance. In seguito, allo

scadere del tempo stabilito, ristabilisco il contatto con me stesso e la mia ragione.

L’opera rispecchia in qualche modo la partitura, che è sempre in bilico tra un

criterio scientifico e razionale e un’improvvisazione emotiva.305

L’aspetto performativo, connesso con una dimensione irrazionale data dalla seconda parte

dell’opera, improvvisata, è utilizzato in questo caso dall’artista, come avviene spesso nei momenti

live in cui egli agisce di fronte al pubblico306, per raggiungere empaticamente lo spettatore, che in

questo modo potrà essere più emotivamente coinvolto di quanto avverrebbe nel caso l’opera fosse

mediata esclusivamente dai monitor in emissione.307

Riprendendo l’indagine di un nuovo linguaggio, che caratterizza la ricerca di Sambin, è interessante

costatare che il coinvolgimento emotivo ed empatico realizza in questo caso l’ipotesi di una

comunicazione non verbale, ipoteticamente universale perché facente leva sull’inconscio dello

305Intervista di Michele Sambin, in data 22 Marzo 2012, Appendice. 306Cfr., Film a strisce e Ascolto. 307 «Nel mio lavoro non ho mai utilizzato una comunicazione in forma facile, narrativa in senso tradizionale, non voglio raccontare delle storie ma proporre agli spettatori dei processi e delle ipotesi di linguaggio che possano, a volte, creare anche un'emozione; in questo modo loro hanno un attitudine attiva e non passiva nei confronti dell’opera. Sono autori della loro visione.» Cfr., Intervista di Michele Sambin, in data 22 Marzo 2012, Appendice.

132

spettatore; in questo modo, l’artista utilizza il rapporto immagine e suono e la sua presenza live alla

stregua di un vero e proprio linguaggio che definiremo il medium dell’opera riferendoci al

significato che ne dà Rosalind Krauss; quest’ultimo, infatti, non sarà da identificarsi con il supporto

– che, come si noterà in questo caso, può essere individuato nel video e nel corpo del performer –

ma appunto con un «sistema di regole»308 determinate, di volta in volta, dall’artista e stabilite dalle

battute iniziali.

308 Rosalind Krauss, Reinventare il medium. Cinque saggi sull’arte oggi, Mondadori, Milano, 2005, p. 40.

133

9. Digitalizzazione e Restauro dei video di Looking for listening

9.1 Metodologia e processo di digitalizzazione dei tre nastri

Come già accennato, i nastri sono stati digitalizzati presso la Camera Ottica dell’Università di

Udine. L’intervento è stato eseguito secondo il ‘protocollo d’intervento’ redatto, all’interno del

volume Arte in Videotape a cura della professoressa Saba, da Alessandro Bordina e Simone

Venturini. In esso, si prevedono cinque fasi:

1. Resoconto preliminare: fase di documentazione

2. Verifica dello stato fisico e “cottura” del nastro magnetico

3. Equalizzazione del segnale a/v e riversamento su supporto di conservazione (digitale)

4. Analisi tecnica e testuale

5. Produzione copie d’accesso309

Si tenga sempre presente, inoltre, che «ognuno dei punti costitutivi di ciascuna fase, a sua volta,

implica una serie di pratiche e di sottoprocessi che ridefiniscono e traducono in termini di azioni

consequenziali e di verifiche incrociate le logiche illustrate nella processualità delle fasi

sopraelencate».310 Per questo, come vedremo, alcune fasi della digitalizzazione sono state ripetute

più volte o, in alcuni casi, omesse. Inoltre, nel caso specifico di Looking for listening, poiché è stato

lo stesso artista a chiedere il riversamento in digitale del materiale audiovisivo, l’accordo instaurato

tra Bordina e l’artista prevedeva che il primo si sarebbe occupato della digitalizzazione e

dell’eventuale (futuro) restauro della parte visiva, mentre il secondo del restauro sonoro.

Il resoconto preliminare è consistito, come già accennato nel quinto capitolo, nella

documentazione concernente l’artista e il suo lavoro. In più, si è trattato di risalire alle informazioni

relative alla provenienza dei nastri (ASAC, 1977); al modello dei nastri (1/2 pollice Eiaj, prodotti

309 Alessandro Bordina e Simone Venturini, Preservare la video arte: il fondo art/tapes/22 dell’ASAC-La Biennale di Venezia, in Cosetta. G. Saba (a cura di), Ar te in videotape … Milano, 2007, p. 201. 310 In, Alessandro Bordina e Simone Venturini, Preservare la video arte: il fondo art/tapes/22 dell’ASAC-La Biennale di Venezia, in Cosetta. G. Saba (a cura di), Arte in videotape … Milano, 2007, p. 202.

134

dalla Sony); all’esistenza di un’eventuale matrice di riferimento - importante nel momento in cui si

vogliano confrontare eventuali errori nella realizzazione delle copie - che, in questo caso, come

sappiamo, non è stato possibile trovare; all’esistenza di eventuali altre copie. In questo caso,

esisteva inoltre la sintesi realizzata da Angelo Bacci, la quale però non dava la possibilità di un reale

confronto sullo status.

Si è, quindi, concordato che l’obiettivo principale dell’intervento di preservazione

fosse quello di poter recuperare i video dei tre canali separati in vista di una

reinstallazione dell’opera.

Precedentemente alla fase di lettura dei nastri è complesso poter definire in

maniera compiuta la tipologia e il grado di intervento da eseguire, le variabili e le

incognite sono infatti ancora molteplici (legate innanzitutto allo stato materiale del

segnale e alle capacità dei lettori di interpretarlo correttamente). La linea di azione

decisa è stata quella di un intervento minimo, in maniera da poter produrre un

nuovo master digitale non compresso che potesse essere poi la base per eventuali

futuri interventi di restauro digitale.311

Attraverso la verifica dello stato fisico è stato costatato che, «ad una analisi visiva e olfattiva, i

nastri non presentavano particolari segni di decadimento fisico. Tuttavia il modello di tape

utilizzati, a causa della tipologia di polimeri e sostanze utilizzate per la loro produzione, sono

particolarmente sensibili all’umidità dell’ambiente di conservazione. Durante le prime prove di

scorrimento dei nastri si sono, effettivamente, verificate delle difficoltà di svolgimento da imputare

all’idrolisi del legante del nastro (stucky shed syndrome312) e al decadimento del lubrificante

presente nel top-coat. Nonostante tali sindromi non fossero in una fase eccessivamente avanzata il

passaggio del nastro nel lettore313 risultava difficoltoso e potenzialmente dannoso per la struttura del

nastro».314 In seguito quindi al primo tentativo di lettura, si è proceduto alla cottura del nastro

magnetico,

[…] in maniera da poter provvedere ad una rigenerazione temporanea del legante

del nastro. I nastri sono stati messi in un forno ventilato per dieci giorni. In 311 Cfr., Intervista ad Alessandro Bordina in data 09/08/2012, Appendice. 312 «La stichy shed syndrome è un danneggiamento del nastro dovto all’idrolisi del legante. Una delle conseguenze della stick shed è l’aumento dell’attrito tra nastro e apparecchiatura di lettura, ciò può comportare problemi di trascinamento e perdita di segnale». In, Alessandro Bordina e Simone Venturini, Preservare la video arte: il fondo art/tapes/22 dell’ASAC-La Biennale di Venezia, in Cosetta. G. Saba (a cura di), Arte in videotape … Milano, 2007, p. 213. 313 Il lettore utilizzato è d’epoca, uno strumento obsoleto non più commercializzato. 314Cfr., Intervista ad Alessandro Bordina in data 09/08/2012, Appendice.

135

seguito a questa procedura, si è proseguito ad una seconda prova di scorrimento; i

supporti presentavano ancora problemi di svolgimento (non così severi come

durante la prova di scorrimento precedente). Si è, quindi, deciso di aggiungere ai

tape delle sostanze lubrificanti in maniera da favorirne ulteriormente il passaggio

nei meccanismi del lettore. Contestualmente alla ri-lubrificazione del nastro è

stata realizzata una pulitura della superficie magnetica tramite alcol isopropilico

per eliminare residui di polvere che avrebbero potuto compromettere la corretta

interpretazione del segnale. Alla terza prova di scorrimento del nastro non sono

state riscontrate particolari problematiche.315

In seguito alle prove di scorrimento, che fanno già parte della terza fase (equalizzazione del

segnale A/V) si è proceduto alla suddetta e al riversamento su supporto di conservazione:

Durante la fase di lettura e di acquisizione digitale del primo nastro sono stati

riscontrati problemi nell’interpretazione dei sincronismi dell’immagine. L’utilizzo

di un Time Base Corrector (TBC) ha permesso di correggere parzialmente le

problematiche collegate all’interpretazione dei sincronismi orizzontali;

permanevano però alcune difficoltà nella correzione dei sincronismi verticali

dell’immagine. Tale errata resa dei sincronismi verticali è da imputare a problemi

di lettura della banda di controllo del nastro, che permette al motore delle testine

di sincronizzarsi con la velocità di scorrimento. Per ovviare a questa difficoltà si è

scelto, nel trasferimento in digitale degli altri due nastri, di agire manualmente sul

servo del motore delle testine. Attraverso un voltometro, la velocità del motore è

stata variata ogniqualvolta l’immagine cominciava a presentare un’instabilità

verticale.

In questo modo, si è potuta ottenere una copia digitalizzata dei tre nastri; a questo punto, è stato

necessario eseguire l’analisi tecnica dello stato e della qualità del segnale, operazione che fa parte

della 4° fase del “Protocollo d’intervento”. Secondo quanto dice Bordina:

315 Intervista ad Alessandro Bordina in data 09/08/2012, Appendice.

136

La presenza di drop-out316 e di rumori impulsivi317 è limitata e da imputare,

prevalentemente, alle limitazioni di registrazione della tecnologia dell’epoca. Non

sono presenti jitter di quadro o altre imperfezioni da imputare alla lettura del

nastro come invece avviene nel primo, il cui trasferimento, com’è stato detto, è

avvenuto in maniera diversa.

L’analisi tecnica ha quindi evidenziato delle perdite sui nastri 1, 2 e 3 che portano alla presenza di

drop-out, visibili sull’immagine come linee che passano orizzontalmente (Fig., 71) o come linee che

salgono verticalmente (Fig., 72). Il primo video presenta, proprio per la differenza nella pratica di

trasferimento in digitale, numerosi jitter di quadro (Fig., 74) e, in alcuni momenti, la perdita totale

dei sincornismi (sgancio di quadro, Fig., 73). Inoltre, i cartelli iniziali sono molto rovinati, proprio

perché relativi alla prima parte dei nastri che, solitamente, è la più danneggiata. Confrontando la

Fig. 70, dove è possibile vedere nitidamente quanto appare sul secondo monitor della video-

performance realizzata a Ferrara, si noterà che l’immagine non coincide esattamente con lo stesso

momento sul video digitalizzato. Questo perché «l’immagine visualizzata dai monitor televisivi

“taglia”, cioè rende invisibile una porzione del quadro, impone durante la visione una seconda

“incorniciatura”».318 Secondo Bordina, quindi, sarebbe necessario procedere a “croppare”

l’immagine coerentemente alla visione dell’epoca.

La necessità o meno di un restauro digitale non risulta, ad oggi, ancora regolato da nessuna norma

generale, e l’intervento successivo di restauro è da discutersi comunque con l’artista:

la scelta della possibilità di un intervento di restauro digitale è da verificare in

relazione alle finalità di fruizione e di esibizione. Nel caso di una reinstallazione

che cerchi di essere il più fedele possibile alle originarie condizioni di visione

dell’opera, non consiglieri un intervento di correzione digitale dell’immagine. Nel

caso invece si preferisca intervenire in maniera da permettere una fruizione

316 «Il disturbo comporta la perdita di una o più delle linee che compongono il campo dell’immagine. Questo errore è dovuto alla mancanza di segnale non solo durante la fase di lettura ma anche durante quella di registrazione. I dropout sono causati, quasi sempre, da mancanza di pasta magnetica sul nastro. Ma non è da escludere che siano determinati dalla presenza di polvere o altri elementi che impediscono una corretta lettura del segnale». In Alessandro Bordina e Simone Venturini, Preservare la video arte: il fondo art/tapes/22 dell’ASAC-La Biennale di Venezia, in Cosetta. G. Saba (a cura di), Arte in videotape … Milano, 2007, p. 203. 317«Il rumore impulsivo ha le stesse caratteristiche del dropout ma con dimensioni infinitesimali. Il difetto viene visualizzato sotto forma di un punto bianco con un’appendice simile alla coda di una cometa. L’eventuale trattamento del segnale attraverso il TBC trasforma il punto e il relativo trascinamento in una riga bianca o grigia». In Alessandro Bordina e Simone Venturini, Preservare la video arte: il fondo art/tapes/22 dell’ASAC-La Biennale di Venezia, in Cosetta. G. Saba (a cura di), Arte in videotape … Milano, 2007, p. 203. 318 Ivi, p. 206.

137

dell’opera che vada incontro alle aspettative di visioni attuali, è possibile

intervenire limitando la presenza di drop-out.319

9.2 Il restauro digitale; l’opinione e l’intervento dell’artista

Una volta ottenute le copie digitalizzate dei tre video, esse sono state consegnate all’artista affinché

ne potesse valutare il risultato e dare la sua opinione sul possibile restauro dell’immagine e/o

intervenire sulla componente sonora; come si può costatare dall’intervista, egli considera la

necessità del restauro dell’immagine solo nel caso in cui i tape siano pensati nel loro valore

all’interno dell’opera Looking for listening; tale restauro, deve avvenire migliorando gli errori

dovuti all’aggiornamento del formato (da analogico a digitale), mentre sarebbe da discutere la scelta

di eliminare gli errori strutturali e quelli derivati dal passaggio del tempo. Si tenga presente anche

che per Sambin l’immagine video è funzionale alla ricerca su un nuovo linguaggio, al concetto che

egli vuole esprimere, ma l’artista non si dedica ad una ricerca estetica stricto sensu:

Con il video voglio mettere prima di tutto in evidenza l’idea, il concetto, il

pensiero, un processo; il tape è funzionale a quelli che sono i miei obiettivi;

viceversa, anche le caratteristiche del mezzo determinano le mie idee e un tipo di

estetica. Nel fare le riprese con il VTR, per esempio, non dò particolare

importanza all’illuminazione, cosa che invece è d’obbligo quando giro i film:

questo da una parte perché la pellicola ha una sensibilità diversa nei confronti

della luce; dall’altra perché, secondo me, l’estetica della video arte è oggettività

pura.320

Prendendo invece i video nel loro valore documentale, che siano inseriti all’interno di piattaforme

audiovisive o che, dall’altro lato, siano presentati in Internet, egli non ritiene necessario il restauro

digitale dell’immagine.

Tuttavia, quando si è trattato di presentare i documenti audiovisivi di Looking all’interno

dell’archivio on-line (Cap. 11) o di darne una copia a Lia Durante per la mostra presso Ca’

Giustinian (2011; Cap. 10) Sambin ha sentito la necessità di attuare alcuni interventi dal punto di

319 Cfr., Intervista di Michele Sambin, in data 22 marzo 2012, Appendice. 320 Ibidem.

138

vista sonoro; inoltre, per ottenere un perfetto sincronismo, l’artista ha modificato in maniera

abbastanza impercettibile la lunghezza dei tre video che, come abbiamo visto, non combaciavano

perfettamente.

La scelta di intervenire sul suono, è dovuta al fatto che

[…] la tecnologia video di allora aveva un difetto: quando il microfono in

automatico della videocamera non percepiva alcun rumore esso, come dire,

diventava più sensibile e quindi, quando eseguivo una pausa, si sentiva un rumore

di fondo molto fastidioso nel momento in cui io volevo il silenzio. Questo

elemento non era assolutamente previsto dalla partitura ed oggi, poiché ho la

possibilità di sistemare quello che già al tempo ritenevo un difetto dei video, ho

deciso di intervenire pulendo il rumore di sottofondo utilizzando il programma

Soundtrack.321

L’intervento di Sambin sui video dal punto di vista sonoro è, a suo stesso dire, opinabile, ma egli

vorrebbe che le modifiche attuate alla componente sonora permangano anche nel caso in cui fosse

esposta l’opera. Al fine di individuare la possibile liceità di questo intervento, si è scelto di indagare

la metodologia di azione nel caso del restauro e della conservazione della musica registrata su

nastro magnetico; a questo proposito, come già detto, è stato individuato un saggio di Vidolin dal

titolo Conservazione e restauro dei beni musicali elettronici, redatto in collaborazione con il C.S.C.

di Padova322. Sebbene datato 1993, lo scritto riporta una modalità d’intervento molto simile a

quella, in seguito, applicata ai lavori di Luigi Nono e resa nota nel 2009. Le prime considerazioni

generali permettono già di intendere che vi sono numerosi aspetti in comune tra l’approccio alla

conservazione e al restauro dei beni musicali elettronici e quello delle arti sub specie tecnologica:

La tutela dei beni musicali elettronici è finalizzata a mantenere in vita il pensiero

musicale dell'uomo attraverso la conservazione delle opere e degli strumenti,

garantendone rispettivamente l'eseguibilità e la funzionalità sia per la ricerca

musicologica che per l'interpretazione filologica. Anche se in molti casi le opere

sono legate in maniera indissolubile al mezzo di produzione, per semplicità

espositiva è preferibile separare, per quanto è possibile, il problema della

321Cfr., Intervista di Michele Sambin, in data 22 marzo 2012, Appendice. 322Cfr., Alvise Vidolin, Conservazione e restauro dei beni musicali elettronici, 1993 in http://www.dei.unipd.it/~musica/Dispense/VidolinCidim.pdf, visionato in data 3/09/2012.

139

conservazione delle opere da quello degli strumenti. Vediamo innanzitutto le

caratteristiche dei lavori musicali e la loro consistenza sul piano quantitativo.

Nella maggior parte dei casi l'opera come viene consegnata dall'autore è

composta di vari elementi fra cui una partitura o un progetto, musica

registrata, programmi per elaboratore e/o schemi per la parte elettronica dal vivo,

note per l'esecuzione, e materiali vari che risultano spesso indispensabili per

conoscere il percorso ideativo e il processo di realizzazione.

Tutto ciò comporta l'esigenza di conservare materiali di natura grafica o di testo

(partitura, schemi, note per l'esecuzione), materiali audio (singoli suoni, parti

musicali, intero brano) e materiali informatici (programmi per la sintesi dei suoni,

per l'elaborazione nel Live Electronics e per l'aiuto alla composizione). I primi

sono generalmente su carta e rientrano nella problematica più generale e diffusa

della conservazione dei materiali cartacei. Gli altri si trovano memorizzati su

supporti magnetici e, come vedremo dopo, sono soggetti a un rapido degrado

dell'informazione.323

Da quanto è possibile costatare, l’approccio alla conservazione e al restauro della musica elettronica

ha molto in comune con le pratiche adottate per la preservazione della video arte; la prima fase,

anche in questo caso, consiste nella raccolta della documentazione, che comprende anche i

“metadati” quali schemi, foto, testi e tutto quanto può essere utile a ricostruire non solo l’opera, ma

anche il processo che ha portato alla sua creazione.

La maggior parte delle opere sono memorizzate su supporto magnetico e ogni

sistema di memorizzazione utilizza un tipo di supporto e un metodo di codifica

che hanno subito notevoli cambiamenti con l'evoluzione tecnologica. Un

esempio significativo per capire questo fenomeno può essere la registrazione e la

riproduzione della musica. Bisogna, innanzitutto, distinguere i supporti incisi che

diventano copie multiple di un originale (caso tipico è il disco) da quelli

registrabili e riproducibili singolarmente come il nastro magnetico.

[…] La registrazione audio su supporto magnetico [..] ci interessa più da vicino in

quanto attraverso la sua evoluzione si possono capire alcuni dei problemi che

323Alvise Vidolin, Conservazione e restauro dei beni musicali elettronici, 1993, pp. 1-2, in http://www.dei.unipd.it/~musica/Dispense/VidolinCidim.pdf, visionato in data 3/09/2012.

140

caratterizzano la conservazione dei beni musicali elettronici.324 [..] Il continuo

mutare dei supporti e dei codici di memorizzazione impone non solo la

conservazione dell'opera ma anche dello strumento per "leggerla", o in alternativa

un continuo lavoro di riversamento dei dati. Il lavoro di riversamento, comunque,

si rende necessario per tutti i lavori memorizzati su supporto magnetico, il quale

come è noto garantisce una vita di qualche decina d'anni. 325

Anche per quanto riguarda la musica elettronica, quindi, si rende necessario l’utilizzo della tecnica

del riversamento in digitale; infatti, soprattutto le musiche registrate su nastro magnetico, sono

soggette a un degrado che provoca danni irreparabili. È quindi indispensabile riversare tali musiche

su un supporto che dia maggiori garanzie di tenuta nel tempo.

Il riversamento su supporto ottico è quindi la prima fase del lavoro di

conservazione e in altri paesi sono già operanti iniziative di tutela di questo tipo.

[…] L'obiettivo è raccogliere, conservare e diffondere i lavori più importanti di

musica elettroacustica. Questo si realizza copiando su supporto digitale i nastri

analogici letti con gli strumenti di registrazione originali.326

Successivamente alla fase di riversamento del contenuto audio di un nastro, è necessario procedere

alla fase di restauro e, il lavoro più comune che viene fatto, è quello di eliminare i disturbi presenti

nei nastri analogici; inoltre, «in dipendenza dalle condizioni del nastro e dalla specificità della

musica, si devono compiere altri interventi da decidersi caso per caso»327. Anche quindi parlando

del restauro musicale, si nota come ad oggi non esista (e forse non può esistere) una metodologia di

lavoro che sia generalizzabile. Secondo Vidolin, comunque, è necessario prima di qualsiasi

324 La storia della registrazione inizia con il registratore a filo di acciaio di Paulsen (1889) che resterà il più usato fino alla seconda guerra mondiale sebbene già nel 1935 l'industria tedesca AEG avesse presentato il primo magnetophon, un registratore a nastro con velocità di scorrimento di 100 cm/s. Questo tipo di memoria magnetica diventa uno standard a partire dagli anni Cinquanta, e si avvale di un nastro, normalmente di materiale plastico, ricoperto e impregnato di una sostanza magnetizzabile quale l'ossido di ferro. Inizialmente la registrazione è monofonica con velocità di scorrimento del nastro di 76 cm/s e successivamente viene ridotta ai vari sottomultipli quali 38 cm/s, 19 cm/s e ancora meno. Il nastro, generalmente alto un quarto di pollice (6,3 mm), è stato suddiviso in due tracce per la stereofonia ed è poi cresciuto con l'avvento dei registratori multitracce fino ad una altezza di due pollici per il 16 tracce. Ma il numero di tracce non è sempre stato proporzionale all'altezza del nastro. Ci sono registratori a quattro tracce su nastri da un quarto di pollice, da mezzo pollice e da un pollice. La registrazione può seguire diversi tipi di equalizzazione (CCIR europea o NAB americana) o essere codificata (ad esempio con la tecnica Dolby o dBx) per ridurre il rumore di fondo presente sul nastro soprattutto quando si riduce l'altezza di nastro associata a una traccia. Alvise Vidolin, Conservazione e restauro dei beni musicali elettronici, 1993, pp. 1-2, in http://www.dei.unipd.it/~musica/Dispense/VidolinCidim.pdf, visionato in data 3/09/2012. 325 Ivi p. 4. 326 Ivi p. 5. 327 Ibidem.

141

restauro, eseguire una ricerca per individuare l’esistenza di altre copie della stessa musica al fine, in

caso, di sfruttare «le parti migliori di ciascuna copia e, con opportune tecniche, rendere più efficace

il lavoro di pulizia»328.

Se il nastro magnetico è stato conservato in buone condizioni ambientali, nella

maggioranza dei casi tale pulizia consiste nel togliere i piccoli disturbi impulsivi

(click) e nel ridurre il rumore di fondo del nastro , altrimenti bisogna procedere

a un lavoro di restauro meccanico del nastro prima di poterlo leggere.

[…] Le operazioni di restauro della musica vengono effettuate con l'ausilio di

sistemi computerizzati. Spesso l'operatore può scegliere fra l'azione manuale e

quella automatica. […] Operazioni di restauro più complesse della semplice

eliminazione del rumore di fondo comportano l'elaborazione vera e propria dei

contenuti del nastro stesso, e talvolta impongono uno studio analitico del brano in

modo che l'intervento sia coerente con l'idea musicale e con il processo di

realizzazione dell'opera attuato dall'autore.329

Da quanto riportato da Vidolin si costatano due cose: da una parte il fatto che la riduzione ma non la

completa eliminazione del rumore di fondo è una tecnica usata in tutti i casi per permettere una

maggiore pulizia del suono; dall’altra, come si sarà potuto notare, le metodologie di restauro

implicano uno studio approfondito dell’intentio originale del musicista e si attengono ad essa.

Da ciò, è chiaro che nel caso dell’intervento di Sambin, l’eliminazione del disturbo è legittimata dal

fatto che è lo stesso Sambin a volerla; dall’altro lato, però, bisogna tenere presente che il rumore di

sottofondo è comunque testimone del momento storico in cui sono stati realizzati i brani musicali

giacché è frutto dell’inadeguatezza tecnologica di allora.330

Non vi sono riflessioni di Vidolin al riguardo, ma parlando del remastering, lo studioso pone

questa problematica:

Soprattutto nelle musiche elettroniche a cavallo fra gli anni Cinquanta e Sessanta,

è facile rilevare imperfezioni realizzative, spesso imposte dai limiti della

tecnologia analogica, come ad esempio una non perfetta sincronia fra le diverse

328 Alvise Vidolin, Conservazione e restauro dei beni musicali elettronici, 1993, p. 5, in http://www.dei.unipd.it/~musica/Dispense/VidolinCidim.pdf, visionato in data 3/09/2012. 329 Ivi, p. 6. 330 Una riflessione dovrebbe essere fatta anche sul fatto che, nel momento in cui viene restaurato solo il suono e non l’immagine, si assisterà, alla visione e all’ascolto del video, ad una discordanza tra le due risoluzioni, il che porta ad ulteriori problematiche di carattere estetico e filologico che non possono non essere prese in considerazione.

142

tracce in corrispondenza di eventi con uno spiccato grado di simultaneità. Sorge

spontanea la domanda se sia lecito intervenire arbitrariamente su questi punti in

quanto si andrebbe a modificare un risultato sonoro che l'autore, cosciente o no,

ha convalidato.331

Non è quindi ancora possibile stabilire la correttezza di una totale eliminazione del rumore nelle

tracce sonore ed ogni metodologia fino a qui applicata, in qualsiasi ambito, si rifà in questi casi al

volere dell’artista. Una domanda molto simile si è posta nel momento in cui Sambin ha deciso di

“aggiustare” le diverse lunghezze332 dei tre video in modo tale da rendere perfetto il sincronismo:

poiché essi non combaciavano esattamente – e quest’aspetto non era

assolutamente voluto ma era dovuto all’errore umano – ho deciso di allungarli

impercettibilmente grazie al programma Final Cut. Poiché il mio intento era ed è

mostrare il mio nuovo linguaggio il più esattamente possibile, ho ritenuto che

fosse indispensabile “pulire” l’opera di quelle imperfezioni che non sono dettate

dalla mia volontà ma dall’archeologia video di cui disponevo.333

I video così restaurati - le modifiche sulla lunghezza sono impercettibili – risultano essere

funzionali, secondo il parere di Sambin, non solo allo scopo documentale ma anche ad una fine

espositiva; sempre sostenendo la necessità di dichiarare il restauro eseguito e le imperfezioni dettate

dall’arretratezza tecnologica, l’artista preme sul fatto che in questo modo i video risultano essere

più affini alla sua idea compositiva e, essendo egli ancora vivo, ritiene di essere legittimato a questo

tipo di modifiche che hanno la funzione di migliorare le sue opere come, del resto, era pratica dei

pittori moderni.

9.3 Realizzazione della sintesi digitale

331 Alvise Vidolin, Conservazione e restauro dei beni musicali elettronici, 1993, p. 5, in http://www.dei.unipd.it/~musica/Dispense/VidolinCidim.pdf, visionato in data 3/09/2012. 332 L’intervento è stato eseguito sul primo e sul terzo video; il video 1, all’ottavo minuto circa, in concomitanza con i lunghi glissando è stato allungato impercettibilmente e alla fine, è stata tagliata l’ultima parte in cui la cinepresa dallo zoom pieno sul violoncello ritorna al campo lungo. Il terzo video è stato anch’esso tagliato sul finale, nel momento in cui la telecamera riprende orizzontalmente la sedia. 333 Intervista di Michele Sambin, in data 22 Marzo 2012, Appendice.

143

Al fine dell’inserimento all’interno dell’archivio digitale, e comunque esclusivamente a fini

documentaristici, i tape digitalizzati sono stati presentati in una sintesi (Figg. 76, 77) che vede i tre

video in posizione orizzontale, racchiusi all’interno di un unico monitor, senza la procedura di

“croppare” che sarebbe necessaria nel momento in cui si vorrebbe dare una visione più vicina

all’originale; questo, comunque, permette allo spettatore di fruire i documenti dell’opera e,

soprattutto, il risultato orchestrale nel rapporto tra le diverse immagini e i diversi suoni. Tale sintesi,

è stata affidata in un secondo momento a Lia Durante - insieme ai tre video digitalizzati ma divisi -

per la mostra VIDEO MEDIUM INTERMEDIUM (2012) di cui si parlerà nel capitolo successivo.

È interessante notare che anche in questo caso, i video, sia quelli della sintesi sia quelli “divisi”, si

presentano restaurati dal punto di vista sonoro e anche nella lunghezza, mentre manca il restauro

digitale dell’immagine. Un altro intervento effettuato dall’artista, è consistito nell’eliminazione dei

cartelli iniziali che, come si è visto, risultavano essere la parte più danneggiata dei nastri.

Se confrontiamo la sintesi realizzata da Sambin, con quella realizzata alla fine degli anni Settanta da

Angelo Bacci, ci renderemo conto che entrambe rispondono all’esigenza di presentare il lavoro su

un unico schermo; mentre però la “sintesi” di Sambin presenta i tre monitor posti in orizzontale,

quella realizzata dal tecnico della Biennale, come già accennato, mostra i video in forma

piramidale, il primo dei quali (video1) in alto.

È possibile notare che mentre i documenti audiovisivi sintetizzati da Sambin, sono presentati a

partire dall’azione che viene chiamata in tabella “Arrivo alla sedia”, nel video/sintesi di Bacci i

video sono stati presentati dal momento in cui l’artista è già, in tutti e tre i monitor, di fronte alla

telecamera. Si può ipotizzare che il tecnico abbia agito in tal modo per poter sincronizzare i video, il

secondo dei quali, come abbiamo visto, non presentava l’”Arrivo alla sedia” previsto dalla partitura

(Tabella 4); essendo la sintesi realizzata sui master originali, è quindi ipotizzabile che, come

d'altronde sostiene Sambin, l’assenza dell’arrivo nel secondo tape sia un errore presente sin dalla

prima registrazione e non dovuto alla successiva realizzazione della copia per l’artista. Un altro

elemento che risulta interessante, è notare come Bacci usi la dissolvenza, alla fine, per eliminare di

nuovo la problematica riferita al sincronismo tra i tre video; nel caso della sintesi di Sambin, invece,

i problemi di sincronizzazione sono stati risolti grazie alle tecnologie attuali e, in particolare, al

programma Final Cut.

145

10. La presentazione dei video digitalizzati di Looking for listening presso Audioart02 (2011, Pola) e VIDEO MEDIUM INTERMEDIUM (2011, Venezia)

Successivamente alla digitalizzazione dei video e al loro restauro sonoro, questi sono stati presentati

in due occasioni: la prima volta presso la Galleria Makina a Pola, in occasione di Audioart02

(Experimental and Improvised Music Festival) il 2 settembre 2011; la seconda presso Ca’

Giustinian, all’interno della mostra VIDEO MEDIUM INTERMEDIUM curata da Bice Curiger con

la collaborazione dai responsabili per l’archivio video Michele Mangione e Lia Durante.

In occasione della presentazione di Looking for listening a Pola, l’esposizione dell’opera è stata

realizzata sotto le strette indicazioni dell’artista, il quale ha inoltre fornito le attrezzature per la

spazializzazione del suono:

L’allestimento a Pola è stato ottimo, proprio perché mi hanno chiesto

espressamente come volevo che fosse esposta l’opera. Vi erano degli strumenti

molto sofisticati per la diffusione del suono: tre diffusori portati da me di ottima

qualità disposti nella stanza in modo da identificare chiaramente le tre

diverse sorgenti (due affianco ai due monitor di destra e di sinistra ad un metro

circa di distanza mentre il terzo é posizionato al centro); i tre monitor erano posti

vicini in linea orizzontale rialzati in modo tale da permettere una visione

frontale; la camera era scura e l’ambiente era vuoto. Il luogo consentiva una

grande concentrazione; in più vi era un divano, dove le persone potevano

comodamente riflettere sull’opera e ascoltarla.334

Il caso della presentazione di Pola è quindi interessante perché è indicato da Sambin come ottimale

al fine di presentare l’opera. Anche in questo caso, come in quelli della Biennale Musica (1979) e di

Napoli (1982, si suppone), Looking for listening non è stata più presentata nella sua forma

performativa, ma in un’installazione in cui anche lo spazio acquisisce un importante ruolo al fine di

334 Intervista di Michele Sambin, in data 22 Marzo 2012, Appendice.

146

rendere possibile la concentrazione sull’opera; esso deve essere poco illuminato e si deve dare la

possibilità al pubblico di sedersi per vedere i tre video. Rispetto a quanto detto dall’artista, è

necessario porre l’attenzione anche sul fatto che le fonti sonore (diffusori) erano rese visibili nella

stanza affinché fosse possibile la loro individuazione da parte del pubblico. In più i monitor sono

stati presentati vicini, come tutte le volte in cui è stata esposta l’opera, in linea orizzontale, rialzati e

presentavano i video – sincronizzati – in loop (Fig. 75).

Nel caso della presentazione dei video di Looking for listening presso Ca’ Giustinian, è necessario,

prima, fare delle premesse. Abbiamo già visto che l’opera in analisi è stata prodotta grazie ai

finanziamenti dell’ASAC; l’artista, più o meno a cominciare dal 2001335, ha tentato il recupero delle

matrici originali dei tre video costituenti Looking ma il loro ritrovamento non è (ad oggi) mai stato

possibile. È stato questo il motivo che ha spinto l’artista, successivamente all’aver appreso che le

sue copie erano liberamente utilizzabili, alla digitalizzazione presso la Camera Ottica.

In seguito alla digitalizzazione delle copie in possesso dell’artista e al successivo restauro sonoro

digitale; venuto a sapere dell’intenzione da parte del presidente della Biennale Paolo Baratta di

realizzare una mostra sui video recentemente restaurati con il contributo della Camera Ottica;

Sambin ha deciso di cedere una copia dei video e nella loro forma singola, e nella sintesi realizzata

dallo stesso, prevalentemente in funzione del sito web (Cap. 11) a Lia Durante affinché il suo lavoro

fosse presentato all’interno della mostra, nonostante non fosse ancora chiaro in che forma, in quanto

egli non è stato coinvolto durante la progettazione dell’esibizione.

La mostra realizzata a Ca’ Giustinian presentava le fotografie, i documenti, le brochures originali e

le pubblicazioni dell’epoca, affiancate ai video selezionati da Bice Curiger, la stessa curatrice della

Biennale Arte di quell’anno; realizzata sui muri del corridoio d’entrata del palazzo, essa presentava

alcuni dei video selezionati (32) su schermi piatti (LCD); i video mostrati erano divisi secondo le

seguenti categorie: performance; linguistica e tautologia; self reflections; esperimenti elettronici;

estensione delle sperimentazioni dell’artista attraverso il video; artisti con un background legato al

movimento Fluxus o agli Happening; la video-galleria di Gerry Shum.336

335La ricerca delle matrici originali dei video inizia in seguito alla proposta, da parte di Sandra Lischi, di organizzare una retrospettiva dei lavori in video di Sambin in occasione della XIII edizione di INVIDEO. In quel momento Sambin ha iniziato la ricerca dei video realizzati negli anni Settanta, la maggior parte dei quali, essendo stati prodotti dalla Galleria del Cavallino, furono subito accessibili. Questo però non è avvenuto nel caso di Looking for listening. La retrospettiva è stata comunque organizzata sotto il titolo di “Istantanee”presso lo Spazio Oberdan di Milano dal 5 al 9 Novembre 2001. 336 Cfr.,VIDEO MEDIUM INTERMEDIUM. Thematic exploration, in http://www.labiennale.org/doc_files/vmi-presskit.pdf.

147

In due salette laterali erano presenti: a destra otto piattaforme audiovisive attraverso le quali era

possibile vedere tutti i video digitalizzati; a sinistra, le proiezioni programmate quotidianamente di

alcuni dei video di proprietà dell’ASAC.337

Looking for listening è stato inserito all’interno di alcune postazioni per la

consultazione messe a disposizione nella mostra; i miei tre video sono diventati

un unico video […] Il video quindi è stato proposto nella versione tre in uno che

io ho creato ad uno scopo di diffusione; non certamente con l’intento di

renderlo l’originale del mio lavoro.

Sicuramente, essendo un archivio, l’ASAC ha dato la possibilità a molti studiosi

di vedere tutti i video digitalizzati di cui era in possesso, come penso debba

essere sempre fatto.338

Dalla dichiarazione dell’artista si possono costatare più cose: prima di tutto, il luogo in cui è stata

mostrata l’opera la quale, come Sambin dichiara, è stata inserita all’interno delle postazioni

audiovisive; secondo, che la versione presentata è la stessa mostrata nel sito web, quella cioè dove è

proposta una sintesi (tre in uno, affiancati orizzontalmente); questo ci porta a considerare il valore

documentale e non di opera stricto sensu dei tre video; terzo, che l’artista ritiene fondamentale

l’accessibilità da parte degli studiosi ai lavori in video, non solo in occasione di una singola mostra,

ma in qualsiasi momento sia necessario.

È interessante anche riportare la dichiarazione dell’artista che segue:

Consegnando il documento a Lia, avevo inserito nella cartella sia la versione con i

tre monitor, sia quella dei tre monitor separati, nel caso in cui fosse stato

necessario per ricreare l’opera divisa nei tre schermi. Dicevo, loro hanno

preso la cartella che gli avevo dato e l’hanno inserita direttamente nella postazione

senza assolutamente verificarne il contenuto; lo dimostra il fatto che, cliccando

sopra il nome di Michele Sambin - posto insieme ad una lunga lista di artisti

italiani e stranieri - era possibile vedere sì i tre monitor uniti ma vi era anche la

possibilità di vederli separatamente. Ecco, una delle cose che non deve mai

essere fatta quando si presenta Looking for listening è proporre solo uno, o

solo due dei tre video.

337 Per il programma dell’esibizione dei video in proiezione, si veda VIDEO MEDIUM INTERMEDIUM, Video exhibition, in http://www.labiennale.org/doc_files/vmi-presskit.pdf, visionato in data 4/09/2012. 338 Intervista di Michele Sambin, in data 22 Marzo 2012, Appendice.

148

Legare un momento così importante come la storia del video, che a detta di tutti è

stato un momento storico fondamentale, relegarlo ad un contesto così riduttivo

com’è stata la mostra dell’ASAC può essere un inizio, come dice Baratta, ma per

me si sarebbe potuto aspettare un pò e fare le cose con più scientificità e,

soprattutto, più cura. Non mi sembra che vi sia stato un sufficiente investimento,

né economico né di intelligenza. Guardando quella mostra non ci si fa una chiara

idea di cosa ha significato il video in quegli anni.339

La prima parte di questa dichiarazione è importantissima poiché in essa è presente una

dichiarazione di cosa non si deve assolutamente fare con i materiali audiovisivi in nostro possesso;

infatti, dividere i monitor e presentarli separatamente, porterebbe al cambiamento totale del

significato dell’opera, che consiste in un’orchestrazione dei tre monitor e del sonoro eseguito.

Inoltre, è possibile costatare che il motivo per cui Sambin consegna alla Durante i video separati e

la loro sintesi per un unico schermo, è dovuto alla diversa valenza che essi hanno: se presi

separatamente e presentati contemporaneamente su tre monitor diversi, essi potrebbero diventare

l’opera Looking for listening; se invece considerati nella loro versione unita, fungono da valida

documentazione.

L’osservazione della non curanza riposta nella scelta dei video da inserire all’interno delle

postazioni, porta ovviamente alla sgradevole opinione dell’artista riguardo alla mostra VIDEO

MEDIUM INTERMEDIUM. Al pensiero di Sambin non si può non associarsi; alla sua

osservazione rispetto all’incuria con cui è stata organizzata la mostra, si sente la necessità di

aggiungere che la “lunga lista di nomi, italiani e stranieri” di cui parla Sambin non pone nessuna

differenziazione e non è d’aiuto nel caso si voglia effettivamente intendere il ruolo molteplice del

video tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta. A questo proposito è bene portare un esempio: il

video di Giovanni Anselmo realizzato per il progetto Identifications (1970), è stato presentato sia

sotto il nome di Gerry Shum che sotto il nome, per l’appunto, di Anselmo; in questo modo, si

produce una grossa confusione riferita a chi è veramente l’autore del video; chi ha voluto la

realizzazione del video; quale valore dare al video. Non è infatti chiaro se esso sia una

documentazione di una performance, un’opera video stricto sensu o non sia né l’uno né l’altro. Con

il video di Anselmo, molto all’interno delle postazioni risulta confuso.

Un altro elemento che è interessante ai nostri occhi, è il modo in cui sono stati presentati i video

riferiti alle performances; anche qui non è chiaro se quanto mostrato sia stato realizzato durante

l’atto di fronte al pubblico; di fronte alla telecamera senza la presenza degli spettatori; o infine se il

339 Intervista di Michele Sambin, in data 22 Marzo 2012, Appendice.

149

video sia stato utilizzato dagli artisti come elemento intrinseco all’azione, al fine di “incorniciarne”

gli aspetti più importanti. Il fatto poi che alcuni video siano stati mostrati attraverso proiezione340,

così come la scelta di uniformare la visione dei tapes nel corridoio d’entrata attraverso gli schermi

piatti LCD, dimostra che non sono state prese in considerazione, durante la curatela, le opinioni e le

differenze degli artisti così come non è stata esplicitata la scelta metodologica che ha spinto a tale

esposizione dei materiali audiovisivi.

Per questo, si può concordare con Sambin nel momento in cui riferisce che «si sarebbe potuto

aspettare un po’ e fare le cose con più scientificità e, soprattutto, più cura».341

340 «[…] per comprendere i modi di restituzione nel presente di queste opere, si deve considerare che allora la dimensione di visualizzazione era quella dei monitor e dei televisori di piccole dimensioni (secondo l’apparato tecnologico dell’epoca. Non erano pensate per essere video proiettate, se non in alcuni casi (il riferimento va in particolare ai contesti performativi e alle “tradizione” in video di originali in pellicola, seppure in formati ridoto 16mm». In Alessandro Bordina e Simone Venturini, Preservare la video arte: il fondo art/tapes/22 dell’ASAC-La Biennale di Venezia, in Cosetta. G. Saba (a cura di), Arte in videotape…Milano, 2007, p. 206. 341 Intervista di Michele Sambin, in data 22 Marzo 2012, Appendice.

151

11. Www.michelesambin.com; ipotesi per un archivio on-line

11.1 Premesse

L’eventualità che Internet possa diventare una Biblioteca Universale di tutto il

sapere non è una possibilità così remota: archivi di tutto il mondo stanno già

lavorando in questo senso, le tecnologie digitali rendono conservabili e accessibili

tutti i tipi di conoscenza, dando nuova vita al materiale protetto da copyright, una

volta conclusa la sua esistenza nel circuito commerciale.342

Secondo questo principio, nel 2011, l’artista ha deciso di intraprendere l’iniziativa della creazione

di un archivio on-line, al fine di rendere completamente accessibili, agli studiosi ma anche ad un

pubblico più ampio, i lavori e le documentazioni relative, dal 1968 (anno del primo film realizzato

dall’artista) fino al 2010.

Per la creazione di un archivio, è necessario prima di tutto coinvolgere più esperti che si occupino,

reciprocamente, dell’aspetto estetico e funzionale del sito (Web designer) e della programmazione

(Web developer); per questo, è stata chiesta la collaborazione di Mario Carabotta e Nicola Beghin,

due professionisti neo-laureati rispettivamente presso il Corso di Laurea Triennale in Design allo

IUAV (Treviso) e presso il Corso di Laurea Triennale in Informatica all’Università degli Studi di

Padova.

Data la complessità e l’impossibilità di riferire rispetto a specifiche che impegnerebbero altri campi

scientifici al di fuori di questo contesto, la metodologia utilizzata per la creazione del sito è stata

necessariamente semplificata, e di essa sono stati ripresi solo alcuni aspetti rilevanti dal punto di

vista archivistico; rimanga comunque chiaro che vi sono state numerose questioni

tecnico/informatiche che devono essere affrontate da chiunque voglia intraprendere la realizzazione

di un sito.

342 Sara Cortopassi, il patrimonio sonoro: tra etica conservativa, estetica ed innovazione, in Andreina Di Brino (a cura di), L’audiovisivo. Conservazione-valorizzazione, MediatecaRegionaleToscana, Firenze, 2007.

152

11.2 Identificazione dei contenuti e degli intenti

La prima fase è consistita in un lungo colloquio tra l’artista, la sottoscritta e il web designer, al fine

di individuare gli obiettivi prefissi da Sambin nella realizzazione del sito e la tipologia di contenuti

da inserire all’interno dell’archivio. È stato quindi costatato che l’intento dell’artista era esporre

tutto quanto realizzato da lui, dall’inizio della sua carriera artistica ad oggi; data la multimedialità

dell’artista e il suo essersi avvicinato a quasi tutte le forme artistiche, questo significava la necessità

di inserire, all’interno del web, un’ingente quantità di materiale estremamente eterogeneo.

Un altro aspetto sui cui ci si è focalizzati inizialmente, è stata la questione del bacino d’utenza cui si

voleva far riferimento; è stato costatato che l’obiettivo dell’artista era l’accesso a chiunque fosse

interessato al suo lavoro, partendo dagli studenti del corso in Storia della Video arte da lui tenuto

presso l’Università degli Studi di Padova, passando per i critici e gli storici dell’arte e arrivando

fino al pubblico più esteso dei “non addetti ai lavori”. Inoltre, l’obiettivo dell’artista era di rendere il

più visibile possibile quanto da lui creato, il che ha significato, considerando in particolar modo

film e video, dare la possibilità della loro completa visione senza però che fosse possibile il

download del materiale.

Un secondo argomento toccato durante questa fase preliminare, è stato quello riferito all’estetica del

sito; era volontà dell’artista renderlo il più neutro possibile e, per questo, sono stati scelti il colore

bianco/grigio chiaro per lo sfondo e alcune gradazioni di nero per le scritte generiche. La pulizia del

sito è stata, inoltre, un mezzo che ha permesso, ancora una volta, di dichiarare l’obiettivo scientifico

e non esclusivamente promozionale dell’archivio.

In questa fase, è stata anche presa visione dei siti ufficiali di artisti che nel loro percorso hanno

affrontato ricerche molto simili a quelle di Sambin come Giuseppe Chiari, Nam June Paik, Laurie

Anderson, Charlemagne Palestine e Bill Viola; è stato costatato che quasi tutti i siti propongono

alcune notizie riguardo alla videografia o, in generale, riportano in ordine cronologico l’elenco di

quanto realizzato; nel caso di Chari, si costata che l’archivio è ancora in fase di creazione. Nessuno

di essi, però, propone ad oggi un archivio completo delle opere dando la possibilità di prendere

visione della documentazione a riguardo, sia essa cartacea, video, o fotografica; solo nel caso di

Paik, sono state messe a disposizione molte immagini riferite anche agli anni Settanta.

153

11.3 Raccolta del materiale digitalizzato e digitalizzazione del materiale cartaceo

Al fine di poter inserire i contenuti all’interno del sito, è stato necessario prima di tutto organizzare

il materiale in possesso dell’artista, e quello già in forma digitale, e quello in forma cartacea; poiché

la realizzazione del sito è avvenuta contemporaneamente alla realizzazione di questa tesi, la

sottoscritta si è impegnata, sempre in collaborazione con l’artista, prima di tutto a riorganizzare

l’archivio cartaceo di Sambin, in un secondo momento a digitalizzare tutto il materiale utile alla

creazione dell’archivio on-line. Tra i materiali ritenuti importanti al fine dell’inserimento

nell’archivio si sono individuati:

Cataloghi riferiti a qualsiasi manifestazione a cui ha partecipato Sambin

Brochures degli eventi, delle mostre e delle esposizioni a cui ha partecipato Sambin

Fogli di sala per la presentazione di alcune opere

Libri di testo in cui venga citato anche il nome di Sambin

Disegni preparatori, opere grafiche e tutto il materiale relativo alle singole opere

Fotografie degli eventi e dei laboratori cui ha partecipato Sambin

La digitalizzazione del materiale cartaceo e fotografico è avvenuta tramite scansione e, per gli

oggetti di design, tramite fotografie digitali. Per quanto riguarda i film e i video, si tenga presente

che la maggior parte della digitalizzazione è avvenuta: per i primi, grazie all’intervento della

Cineteca Nazionale con sede a Roma343; per i secondi grazie al lavoro svolto dalla Galleria del

Cavallino e, nel caso di Looking for listening, come sappiamo, grazie alla Camera Ottica

dell’Università di Udine.

11.4 Upload dei contenuti

Una volta completata la fase di digitalizzazione, il materiale è stato caricato (upload) in Internet; al

fine di rendere più visibile quanto inserito on-line, il web designer Carabotta ha scelto di utilizzare

le piattaforme Vimeo e Flickr; questo, in linea con la pratica S.E.O. (Search Engine Optimization.)

343 Cfr., http://www.snc.it/ct_home.jsp?ID_LINK=7&area=6, visionato in data, 8/09/2012.

154

Con il termine S. E. O. s’intendono tutte quelle attività finalizzate ad aumentare il

volume di traffico (accessi) che un sito web riceve tramite i motori di ricerca. Tali

attività comprendono l'ottimizzazione sia del codice sorgente delle pagine web,

sia dei contenuti.

L'attività di ottimizzazione per i motori di ricerca comprende varie operazioni

tecniche che vengono effettuate sul codice HTML e sui contenuti delle pagine

web del sito, nonché sulla struttura ipertestuale complessiva (tecnologie di

interazione comprese). Indispensabile è anche l'attività esterna al sito, solitamente

effettuata con tecniche di link building.344

L’utilizzo quindi di piattaforme per la gestione dei dati multimediali, sia video (Vimeo) che

immagini (Flickr), permette una maggiore visibilità (ranking) al contenuto di un sito web grazie, ma

non solo, ai rapporti tra le suddette piattaforme e i motori di ricerca (Google, etc.). Il motivo per cui

sono state utilizzate queste specifiche piattaforme non è casuale, ma è dovuto a particolari scelte:

per quanto riguarda Vimeo, esso si presenta più professionale rispetto a, per esempio, YouTube,

poiché il primo è utilizzato quasi esclusivamente da artisti, designer o comunque dai cosiddetti

“addetti ai lavori” e non presenta il rischio che la visione sia ostacolata dalla pubblicità imperante

sulla seconda piattaforma; per quanto riguarda Flickr, esso è stato utilizzato perché è quello che

offre una maggiore possibilità di catalogazione e archiviazione grazie alla creazione di cartelle

specifiche.

Al fine di rendere completamente accessibile tutto il materiale di studio, ma anche di evitare il

possibile download di quanto pubblicato, le piattaforme utilizzate consentivano la scelta dei gradi di

“protezione” da applicare a ciascun documento digitalizzato; questo fa sì che i materiali

multimediali siano protetti dalle norme generali sul Copyright345 e che, tra le altre cose, non sia

possibile farne un utilizzo a scopi commerciali.

Per quanto riguarda i diritti sul materiale in possesso di Sambin, egli considera suo tutto quanto da

lui creato; per i video realizzati all’interno del Cavallino, non è mai stato stipulato un contratto di

cessione dei diritti verso quest’ultima; per quanto riguarda Looking for listening, è già stato

affermato che l’autore può utilizzare la sua copia ai fini che egli ritiene più opportuni.

344 Cfr., www.wikipedia.com, visionato in data 8/09/2012. 345 Cfr., www.vimeo.com; www.flickr.com, Visionati in data 6/09/2012.

155

11.5 Creazione della timeline

A questo punto, si è trattato di stabilire un criterio attraverso il quale presentare le opere ed i

contenuti di riferimento nel sito web; organizzare un unico sistema di archiviazione che

comprendesse le diverse tipologie di file multimediali, ha significato porre tutto il materiale caricato

nelle diverse piattaforme sotto un unico dominio.

Per l’organizzazione del materiale, si è propeso per la scelta di una timeline in cui sull’ordinata

(verticale) fossero presenti le forme artistiche utilizzate da Sambin e sull’ascissa (orizzontale) vi

fossero le coordinate riferite al tempo:

La scelta di organizzare la visione delle opere in una timeline di questo tipo, ha permesso una lettura

dell’oeuvre di Sambin sia in orizzontale che in verticale; infatti, dal punto di vista di uno studioso,

ma anche di un pubblico più vasto, risulta comprensibile al primo impatto la multidisciplinarietà del

lavoro dell’artista che, come si può vedere, realizza opere nei campi musicale; filmico; video;

teatrale; quello dell’illustrazione e, infine, quello del desing.

Se poi si esegue una lettura incrociata delle ascisse e delle ordinate, è possibile indagare in verticale

i campi artistici in cui ha lavorato Sambin in un determinato anno della sua carriera artistica; in

orizzontale, l’inizio dell’interesse di Sambin per una determinata forma artistica, l’evoluzione nel

tempo della stessa, così come il momento in cui l’artista smette di indagarla. I “quadratini” presenti

su ogni rigo, sono immagini specifiche dell’opera cui si fa riferimento; se l’utente intende

approfondire il titolo del lavoro, dovrà semplicemente portare l’icona del mouse sopra l’opera in

Timeline del sito www.michelesambin.com

156

questione; se interessato ad un breve abstract sull’opera, sarà unicamente necessario fare click

sull’icona; se, infine, l’utente vuole prendere visione del lavoro; necessita di una descrizione più

estesa e dettagliata o di qualsiasi materiale documentale, vi potrà accedere attraverso il click

sull’abstract.

11.6 Esempio di presentazione di un’opera all’interno del sito; Looking for listening

Per parlare nello specifico di come si è scelto di presentare i lavori attraverso la timeline, è stato

deciso di prendere in esame l’opera oggetto dello studio di caso. Se si guarda all’archivio, si noterà

che Looking for listening è presentata attraverso un’icona già a suo modo esemplificativa

dell’opera; essa, infatti, non è altro che una delle foto scattate durante l’esecuzione di Looking

presso l’ASAC (Fig., 62). Dalla foto rimpicciolita, è già possibile vedere la presenza dei tre schermi

e dell’artista alla telecamera; in questo modo, è data un’idea iniziale di come si presenta l’opera e in

che cosa consiste. Una volta “cliccato” sull’icona, è possibile avere l’abstract sull’opera:

Looking for listening

per voce, sax, cello e telecamera. Video-performance diffusa su tre monitor

sincronizzati. Produzione ASAC - La Biennale

Leggi tutto

Vengono in questo modo indicati una serie di elementi utili ad individuare la forma dell’opera

(video-performance); gli strumenti utilizzati (voce, sax, cello e telecamera); l’ambito di produzione

(ASAC) e il fatto che essa si presenta «su tre monitor sincronizzati».

Una volta cliccato su “Leggi tutto”, è possibile accedere alla pagina web riferita all’opera; di nuovo,

in alto, si trova una foto riferita all’evento della Biennale in cui Sambin questa volta è seduto sulla

sedia e suona il sax. In basso sono indicate tutte le informazioni tecniche e alcuni accenni storici

riferiti all’ambito della prima produzione; in questo caso, inoltre, si fa riferimento anche alla mostra

VIDEO MEDIUM INTERMEDIUM in quanto l’apertura del sito al pubblico è avvenuta più o

meno contemporaneamente.

Più in basso, è data una breve descrizione dell’opera. Si tenga presente che, poiché il sito è ancora

in fase di definizione, non è ancora disponibile una presentazione più ampia e dettagliata di Looking

for listening, ma che questo è l’intento finale di cui dovrà occuparsi la sottoscritta. Sotto la suddetta

descrizione, è finalmente possibile accedere al materiale multimediale a disposizione sull’opera.

157

Come è possibile notare dalle figure, la stessa finestra presenta la possibilità di accedere ai campi

video; foto; disegni; partitura. La decisione di presentare nel sito tutto quanto potesse essere utile

all’identificazione del significato dell’opera è motivata da questa dichiarazione di Sambin:

Nel mio lavoro mi è sempre interessato il processo, che trova il suo punto di

realizzazione nell’incontro con lo spettatore; ma tutti gli aspetti del passaggio da

un’idea alla sua realizzazione, attraverso gli appunti, i disegni preparatori fino alla

finale documentazione fotografica sono elementi che danno forza all’opera e che

risultano importantissimi, oggi che sono passati quasi quarant’anni, per ricostruire

esattamente il percorso dell’opera e i modi in cui essa viene realizzata.

In alcune opere, inoltre, le parti grafiche sono fondamentali affinché venga

realizzata la mia intenzione di di-mostrare le mie ipotesi prima e i miei risultati

poi; nel caso di Autoritratto, per esempio, l’opera grafica è composta di una parte

esplicativa fatta in precedenza all’evento performativo.346

346 Intervista di Michele Sambin, in data 22 Marzo 2012, Appendice.

Foto da monitor – Finestra di accesso al materiale multimediale (video, foto, disegni e partitura) di looking for listening.

158

Nella sessione video si nota che è stata presentata la documentazione video dell’opera nella sua

forma “sintetizzata” di cui abbiamo già parlato (Cap. 9). Al fine di una più corretta visione dei

video, Sambin ha dichiarato che sarebbe necessario, a questo punto, selezionare l’opzione “schermo

intero” prevista nelle modalità di visualizzazione consentite da Vimeo. Non è stato però possibile,

per questioni tecniche di cui non è questa la sede, far sì che i video fossero presentati sin dall’inizio

nella modalità “schermo intero”; si tenga inoltre presente che, con l’attuale eterogeneità degli

schermi di visione (che variano sia in dimensione che in visualizzazione grafica), non sarebbe

comunque possibile rendere omogenea la visione da parte del pubblico. Anche, ma non solo, per

l’impossibilità di una visione se non uguale, come minimo vicina a quella “originale”, tutti i video

presentati nel sito (anche quelli riferiti ad opere video stricto sensu) hanno esclusivamente un

valore documentale.347

Nella sessione foto sono stati presentati tutti i documenti fotografici in possesso dell’artista, sia

quelli riferiti alla realizzazione dell’opera presso l’ASAC, sia quelli riferiti alla video-performance

di Ferrara (Cap. 7). Si tenga presente che tale procedimento è avvenuto per ogni singola opera.

Nella sessione disegni sono stati presentati tutti i disegni preparatori ritrovati nell’archivio di

Sambin e, “cliccando” su partitura, è possibile visualizzare lo spartito dell’opera in esame.

347 «Nel caso delle opere video fino ad Ascolto il video è tutta l’opera; ciò però non significa che il modo in cui vengono presentate in Internet sia il modo corretto di riproporle. Il web è pura informazione per cui, i video che si possono vedere sul sito, hanno prettamente un valore documentale». Cfr., Intervista di Michele Sambin, in data 22 Marzo 2012, Appendice.

159

12. Il futuro dell’opera

As I think about the variable media art […] I ask “Do we want to preserve this art

or keep it alive?” The former approach treats a work of variable media like a

musical recording, locking in time some masterful performance. The latter

approach treats the work more as a musical score, the same piece open to future

iterations. Because this works don’t self-record, self-document, or exist in a stable

medium, preservation is an interpretative act. Both recordings and score are

valuable resources for the future: recordings keep the radical performative

intentionality intact for future exhibition, and scores keep the patina of history and

provenance intact for future research.348

Quanto scrive Richard Rinehart in quest’articolo, è particolarmente interessante se accostato

all’opera Looking for listening; infatti, è già stato dimostrato che il lavoro di Sambin non può che

essere accostato all’ambito dei “Variable Media” non solo in quanto è costituito da una parte

performativa (effimera) e da una parte video (che necessita quindi del trasferimento in digitale), ma

anche perché l’opera non è mai stata proposta nello stesso modo ed ogni volta non solo è cambiato

il suo aspetto, ma anche la sua forma. Per questo, Rinehart considera la preservazione come un atto

interpretativo al quale, come abbiamo visto, dovranno partecipare molteplici specialisti e l’artista

stesso (nel caso ancora in vita).

L’altro aspetto interessante di quanto detto dal direttore di Digital Media presso il Berkeley Art

Museum, è il fatto che egli pone il conservatore di fronte a due diversi approcci utilizzando una

metafora musicale: da una parte la scelta può vertere sulla mera preservazione, che sarebbe come

dire trattare i variable media come una registrazione musicale realizzata in un istante preciso nel

tempo; dall’altra parte, invece, si può decidere di mantenere “in vita” l’opera che, continuando la

348 Richard Rinehart, Berkeley Art Museum/Pacific Film Archive, in Jon Ippolito, Alain epoca e Caitlin Jones, The variable media approach. Permanence through change, Guggenheim, New York, 2003, p. 25; scaricabile nel sito www.variablemedia.net, visionato in data 10/09/2012.

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metafora dello studioso, vorrebbe dire trattare il lavoro come uno spartito musicale, aperto alle

interazioni future.

Nel nostro caso, la metafora calza a pennello; abbiamo visto che Looking for listening presenta sia

una registrazione, realizzata in un determinato momento della storia artistica dell’artista, sia gli

spartiti (cartaceo e video) che renderebbero possibile una nuova performance aggiornata dell’opera.

La scelta, come sempre, dipende dalla volontà dell’artista e, durante l’intervista, è stato possibile

tracciare tre diverse modalità di presentazione dell’opera.

Prima però di presentare le varie possibilità, sarà interessante riportare il fatto che, come abbiamo

visto, a seconda dei contesti, delle possibilità economiche, dello spazio e delle richieste, nei diversi

momenti in cui Sambin ha mostrato Looking for listening, ha aggiornato o “arrangiato” l’opera

agendo attraverso un atto re-interpretativo; tale approccio, è indicato nel sito

www.variablemedia.net, come uno dei quattro possibili nei confronti dell’opera. Infatti:

La stratégie de préservation la plus radicale est de ré-interpréter l’œuvre chaque

fois qu’elle est recréée. La ré-interprétation d’une installation de Flavin

supposerait de demander quel médium contemporain aurait la valeur

métaphorique d’un tube fluorescent des années 1960. La ré-interprétation est

une technique risquée lorsqu’elle n’est pas sanctionnée par l’artiste, mais il

est possible que ce soit la seule façon de recréer une performance, une

installation ou une œuvre en réseau.349

L’opera è “variabile” già nella sua essenza, perché performance, ma è progettata per variare anche

in base al contesto; questo perché la modalità in cui l’artista ha realizzato le sue opere video è

sempre stato scientifico: egli non si limita a decidere come deve essere un’opera, ma formula una

serie d’ipotesi cui segue una dimostrazione; ogni volta che viene corroborato un pensiero, poi,

l’artista prosegue, evolve il suo linguaggio. Abbiamo già visto come, al di là del medium utilizzato,

sia esso la pellicola, il nastro magnetico o il proprio corpo, egli mantiene constante il suo tentativo

di individuare le possibili relazioni tra immagini e suoni; anzi, ogni volta che è venuto a contatto

con uno strumento (o un formato) più adeguato alle sue ricerche, non ha dubitato a farlo proprio; il

mondo delle nuove tecnologie è per sua stessa natura “fluido” e, di conseguenza, lo sono le stesse

opere d’arte. In più, il percorso artistico di Sambin è sempre stato in continua evoluzione; lo

dimostra anche il fatto che egli tuttora non ha lasciato le nuove tecnologie e, anzi, continua ad

aggiornare i suoi strumenti ai fini della sua poetica.

349 www.variablemedia.net, visionato in data 10/09/2012.

161

Per questo, nel caso di Looking for listening, sono state proposte più possibilità espositive tutte, a

dire dell’artista, valide al fine di presentare l’opera, a seconda che si voglia rimarcare di essa

l’aspetto performativo, quello installativo o, in ultimo, l’idea originaria mai realizzata; sarà inoltre

importante tenere presente che la forma in cui esibire l’opera è strettamente dipendente al contesto

in cui questa viene presentata, sia esso una retrospettiva, un’esposizione temporanea o permanente

all’interno di un museo di arte contemporanea.

12.1 L’ipotesi performativa

Nel caso in cui il curatore di un’ipotetica mostra fosse deciso ad interpellare l’artista per la

riproposta dell’opera e la volontà sia “far rivivere” la forma originaria in cui è stata eseguita, la

prima ipotesi, forse quella più filologicamente attendibile, figurata da Sambin, consisterebbe nel

mettere nuovamente in atto la performance così com’è avvenuto nel 1977 presso Ca’ Corner della

Regina e, l’anno successivo, presso la sala Polivalente di Palazzo dei Diamanti. Questa prima

“versione” ipotizzata da Sambin è giustificata dal fatto che:

Da Ascolto in poi la maggior parte dei lavori che realizzo sono live e di

conseguenza il corpo è al centro della comunicazione. Ma non c'è comunicazione

se non ci sono altri corpi in ascolto. Il passaggio di energia tra esseri viventi è la

materia che più mi affascina.350

La possibilità che la performance sia ri-agita è prevista anche dal sito sui variable media, in cui è

riportato:

Selon le paradigme des médias variables, s’entend d’œuvres en danse, musique,

théâtre et performance, mais aussi d’œuvres pour lesquelles le processus est aussi

important que le produit..351

Ciò che è interessante dalla spiegazione del sito, è che la scelta performativa per la riproposta di

un’opera può essere messa in atto in tutti quei casi in cui il processo ha pari peso rispetto al risultato

finale; nel caso di Looking for listening, il processo risultava fondamentale al fine di dimostrare le

350 Cfr., Intervista di Michele Sambin, in data 22 Marzo 2012, Appendice. 351 www.variablemedia.net, visionato in data10/09/2012.

162

potenzialità del nuovo medium (e per questo motivo Maria Gloria Bicocchi spinse per la forma

performativa); come abbiamo visto, però, l’occasione di un rapporto diretto con il pubblico è stata

molto interessante anche dal punto di vista dell’artista, il quale ha accettato la nuova forma

“espositiva” per il risalto che essa dava all’aspetto musicale.

La performance, secondo quanto determinato dall’artista, deve essere realizzata all’interno di un

ambiente con poca luce, i tre monitor devono essere posti in linea orizzontale e rialzati in modo tale

da essere in linea con la direzione dello sguardo di uno spettatore seduto di fronte ad essi; alla destra

del pubblico si dovrebbe trovare, nuovamente, l’artista; di fronte a lui, dal lato opposto della sala,

dovrebbe essere sistemata la telecamera puntata su Sambin e collegata in diretta al terzo monitor

(quello più a destra). Nei due schermi non collegati alla telecamera, dovrebbero essere presentati i

due video (Video 1 e Video 2) realizzati nel 1977, con il restauro audio eseguito da Sambin (Cap. 9);

per quanto riguarda la scelta della tipologia di schermi, Sambin non ha specificato un modello

particolare, ma rimane chiaro che essi dovrebbero essere come minimo televisori a tubo catodico, e

la visione dell’immagine dovrebbe rispecchiare quella degli anni Settanta.

La riesecuzione della performance è possibile, in questo caso, grazie al fatto che dell’opera abbiamo

tutt’oggi lo spartito cartaceo (canovaccio per l’esecuzione) e i video cui già negli anni Settanta

Sambin faceva riferimento; in più, come abbiamo visto, la prima parte dell’azione non prevede

nessun tipo d’improvvisazione e potrebbe essere realizzata in modo molto simile all’esecuzione del

1977 (e del 1978); mentre la seconda parte è sempre stata considerata come improvvisazione

all’interno di limiti temporali e strumentali ben precisi. Si tratterebbe quindi di rieseguire un pezzo

audiovisivo alla stregua di quanto viene fatto con le musiche di Cage o di altri compositori e

musicisti dell’epoca, che lasciavano l’opera aperta alla libera interpretazione dell’esecutore.

Ovviamente, essendo questa una forma performativa, essa potrebbe essere agita una o più volte, ma

non è pensabile che questo tipo di presentazione dell’opera possa valere nel momento in cui essa

dovesse essere esposta in modo permanente in un museo contemporaneo. A questo proposito,

risulterà interessante l’ipotesi di Sambin, il quale propone che, una volta registrata la nuova

performance agita di fronte al pubblico, il video di questa sia posto in alternativa al Video 3 del

1977; i tre monitor, questa volta nella loro versione installativa di cui parleremo in seguito,

presenterebbero quindi i primi due video storici, mentre il terzo emetterebbe l’immagine di Sambin

invecchiato, consumato.

questa ipotesi è forse la più interessante, perché metterebbe in gioco il tempo, il

confronto tra passato e presente: due monitor potrebbero trasmettere i video

originali del '77 con un Sambin ventiseienne e il terzo, in tempo reale, potrebbe

163

proporre l'interpretazione dell'attuale Sambin sessantunenne. Mi piace pensare che

questa operazione possa essere replicata tra vent'anni. Potremmo avere un

Looking con lo stesso performer che interpreta la sua opera in tre età della vita.352

La scelta di proporre un nuovo video all’interno di Looking è opinabile, ma essa sarebbe in stretta

relazione con la poetica di Sambin il quale usa spesso riprendere in mano sue opere del passato per

ricontestualizzarLe e rifarle vivere. D’altro canto, l’approccio re-interpretativo, già considera la

possibilità che l’opera risulti, oggi, molto diversa rispetto a quella degli anni Settanta, di

conseguenza al cambiamento del contesto in cui essa si trova a rivivere.

Un elemento a favore di questa ipotesi, potrebbe essere il fatto che già altre volte Sambin aveva

realizzato o pensato ad una reinterpretaizone delle sue opere connettendo il tempo presente al tempo

passato, o futuro: si pensi all’opera teatrale deForma (2009) in cui il video Il tempo consuma

(1978), è utilizzato come «cornice temporale a segnare prologo ed epilogo»353; e si pensi ad uno dei

disegni preparatori di Oihcceps (Fig., 26) in cui l’artista, già negli anni Settanta, ipotizzava un

rifacimento dell’opera successivo dove, al posto del volto di Sambin giovane - quando l’acqua,

dopo essere stata “smossa”, tornava a diventare specchio - comparisse il volto di Sambin

invecchiato dal tempo.

12.2 Le due ipotesi installative

Nel caso in cui il curatore di una mostra o di un museo, dovesse pensare autonomamente alla

presentazione di Looking for listening, senza quindi interpellare l’artista, Sambin vorrebbe che essa

fosse presentata nella stessa forma installativa in cui, come abbiamo visto, è stata proposta presso le

Sale Apolinee all’interno degli eventi organizzati dalla Biennale Musica (1979) e la Galleria

Makina di Pola (2011). Durante l’intervista, l’artista ha descritto le modalità in cui vorrebbe che

essa fosse presentata riferendosi all’esibizione di Pola, in quanto egli in quel caso è stato

interpellato e ha preso parte attivamente all’allestimento; sarà quindi ad essa che, un ipotetico

curatore, dovrebbe riferirsi.

La seconda possibilità installativa andrebbe invece a recuperare il progetto, mai realizzato, del

1977, al fine di vederlo finalmente compiuto; è in questo caso indispensabile che vi sia la

352 Intervista di Michele Sambin, in data 22 Marzo 2012, Appendice. 353 Fernando Marchiori, Megaloop … Pisa, 2010, p. 9.

164

partecipazione dell’artista, affinché egli possa vedere il risultato della sua ipotesi per verificarne

l’attinenza con l’idea originaria. Ad ogni modo, il termine installazione:

dans l’optique des médias variables, […] indique une œuvre dont «l’installation»

est plus complexe qu’un simple accrochage à un clou. Ce terme s’emploie pour

désigner des œuvres dont le volume remplit un espace donné ou occupe un espace

inhabituel tel que l’extérieur d’un bâtiment ou une place publique.354

In entrambi i casi in questione, vedremo come l’opera può essere considerata un’installazione e

come l’ambiente in cui essa si trova, così come le modalità d’esibizione, sono funzionali alla giusta

ricezione dell’opera; infatti, anche se in questo caso non vi è la forma performativa, è comunque

sottolineato l’aspetto musicale: nella prima ipotesi attraverso l’utilizzo di un sistema di diffusione

del suono; nella seconda, attraverso la dissociazione tra suono e immagine. Sarà bene quindi

analizzare nello specifico le due ipotesi installative, al fine di individuare gli aspetti che devono

essere tenuti in stretta considerazione.

12.2.1 Prima ipotesi installativa; l’esempio di Pola (2011)

Nel caso in cui si pensi ad un’installazione sulla linea di quanto fatto a Pola, i monitor emittenti i tre

video del 1977 dovrebbero essere posti rialzati all’altezza dello sguardo dello spettatore, il quale

può trovarsi in piedi in posizione frontale rispetto all’opera ma – e secondo Sambin questa seconda

sarebbe la soluzione migliore – anche seduto, cosa che permetterebbe una maggiore possibilità di

contemplare i tre video comodamente, dall’inizio alla fine; infatti, alla domanda se sia opportuno

esibire i video in loop o piuttosto farli partire ad orari prestabiliti, egli ha risposto:

[…] dal mio punto di vista è chiaramente più interessante iniziare a vedere

Looking dall’inizio, proprio perché è nella prima parte che vi è una vera e propria

dichiarazione di poetica. Non ho idea di cosa capirebbe qualcuno che lo vedesse

per la prima volta iniziando dalla metà.

354 www.variablemedia.net, visionato in data 10/09/2012.

165

A Pola questo è stato un problema, ma ho visto che molti dei visitatori si sono

fermati per aspettare che iniziasse nuovamente. La cosa migliore sarebbe che ci

fosse un orario esposto che desse la possibilità di sapere quando inizia.355

L’ambiente in cui è esposta l’opera deve essere poco illuminato, in modo da mettere in risalto le

immagini emesse dai monitor; la disposizione delle fonti sonore deve essere fatta ponendo

attenzione che essa rispecchi la dislocazione dei monitor (a questo proposito, si veda quanto detto

sulla disposizione dei monitor a Pola); i diffusori dei suoni devono essere visibili e deve essere

posta molta attenzione alla qualità dell’audio, proprio al fine di porre l’accento sul valore musicale.

Per lo stesso motivo, sarebbe meglio installare Looking for listening in un ambiente in cui non vi

fossero altri rumori a disturbarne la fruizione.

Le modalità con cui viene proposta Looking for listening in questo caso, potrebbe portare a

paragonare l’opera a quelle che Claire Bishop, nel volume Installation art (2005)356, definisce

mimetic engulfment, immersione mimetica. La studiosa, infatti, partendo dalla teoria di Roland

Barthes e del suo saggio Leaving the Movie Theatre357 - in cui lo studioso sostiene che siamo

“affascinati” due volte nel momento in cui siamo al cinema, dall’immagine e dal contesto in cui ci

troviamo - passa poi a parlare delle installazioni video, in cui:

this enthralment with the “surroundings” of cinema is the impulse behind so much

contemporary video installation: its dual fascination with both the image on

screen and the conditions of its presentation. Carpeting, seating, sound insulation,

size and colour of the space, type of projection (back, front or freestanding) are all

ways with which to seduce and simultaneously produce a critically perspective

viewer.358

Inoltre, si tenga presente anche quanto scritto dalla Bishop riguardo al suono come elemento «as

immersive as darkness»359 e, parlando delle installazioni sonore di Janet Cardiff, sostiene che esse

sembrano offrire una partecipazione attiva, il che ci porta a considerare che anche l’opera di

Sambin, esposta facendo attenzione alle fonti sonore, possa portare all’attivazione intellettuale

dello spettatore (activated spectatorship). 355 Intervista di Michele Sambin, in data 22 Marzo 2012, Appendice. 356 Cfr., Claire Bishop, Installation art, Tate, Londra, 2005. 357 Roland Barthes, Leaving the Movie Theatre, in R. Barthes, The rustle of Language, Oxford, 1986, p. 345-9. 358 Claire Bishop, Installation art.. Londra, 2005, p. 95. 359Ivi, p. 99.

166

12.2.2 Seconda ipotesi installativa; ripresa dell’intento iniziale

La seconda possibilità installativa sarebbe interessante per l’artista giacché si tratterebbe di

verificare quanto da lui inizialmente progettato; il motivo per cui non è mai stata presentata l’opera

in questa modalità, è dovuto al fatto che non vi è mai stato un “giusto” contesto, quale potrebbe

essere una mostra dove il pubblico possa camminare nello spazio ed entrare all’interno dell’opera.

In questo caso, inoltre, ma vi abbiamo già accennato, l’opera non metterebbe più in risalto l’aspetto

orchestrale, ma piuttosto la dissociazione tra immagine e suono, che causerebbe un – iniziale –

disorientamento dello spettatore.360

La disposizione dei monitor, così come la distribuzione delle fonti sonore, risulta palese dal disegno

realizzato per il progetto iniziale (Fig., 55) e dovrebbe essere ad ogni modo confermata dall’artista,

il quale, in questo caso, dovrebbe partecipare attivamente all’allestimento; l’ambiente dovrebbe

essere nuovamente poco illuminato, e le motivazioni sono le stesse che abbiamo già dato nel

precedente capitolo. Per questo, si tratterebbe di inserire nuovamente lo spettatore all’interno di un

mimetic engulfment; ma nel caso in questione, lo spettatore questa volta sarebbe ancora più

coinvolto, mente e corpo, all’interno dell’opera perché circondato dai monitor; dalla

contemplazione attiva dell’opera, si passa in questo caso all’azione e alla necessità di ricostruire, di

riassociare i rapporti d’immagine e suono.

In questo caso, l’installazione si avvicinerebbe a quanto realizzato da artisti come Bruce Nauman in

Video corridors, o nelle istallazioni di Vito Acconci degli anni Settanta; in più, in questo caso,

possiamo definire l’estetica dell’installazione come quella della désorientation, secondo quanto

indicato da Francoise Parfait nel suo saggio L’installation en collection361; lo studioso, infatti,

prendendo come opera esemplare di quest’atteggiamento The staircase (1998) di Peter Land, scrive

che il lavoro:

est très symptomatique, non seulement de la conception d’un corps contemporain

désorienté et atomisé, mkais aussi de dispostif qui placent le spectateur lui-meme

dans un espace-temps désorienté. L’image, le son et l’espace sont disposés de telle

sorte que le corps du spectateur est tiré dand des direction opposte, charge à lui de

trouver la ritournelle qui lui fera découvrir un éventuel point de repére. Le

retournement du spectateur, son soulèvement, le détournement de ses attentes, la

360 Cfr., Cap. 8. 361 In Paul Ardenne (e altri), Collection New Media Installation, Centre Pompidou, Parigi, 2007, pp. 35-63.

167

boucle et la repetition, l’inversion du jour et de la nuit, sont quelques-uns des

mouvements que l’installation expérimente en alternative au statisme du spectacle

unidirectionnel et du spectateur orienté.362

La capacità di disorientare insita nell’installazione di Peter Land, non può che ricordarci la volontà

di Sambin; in più, il discorso di Parfait si concentra in modo particolare sull’importanza del suono,

il quale non è sempre presente nelle installazioni ma, quando utilizzato, ha spesso la funzione di

contraddire la percezione visuale e di produrre uno spazio paradossale come nel caso di Voices of

Reason/Voices of Madness (1984) di Genevive Cardieux, in cui i suoni non sono sincronizzati con

le immagini.

Pensare di ripresentare l’intentio originaria dell’artista, potrebbe essere molto interessante poiché

non si tratterebbe di un’operazione anacronistica, un’operazione cioè dove si dà un’idea

contemporanea del passato, ma piuttosto si potrebbe dimostrare il ruolo pioneristico delle ricerche

di Sambin che, come abbiamo visto, sono molto vicine ad altre avvenute successivamente e tuttora

in auge.

362 Francoise Parfait, L’installation en collection, in Paul Ardenne (e altri), Collection New Media Installation … Parigi, 2007, pp. 51-52.

169

13. Conclusioni

Nella prima parte di questa tesi è stato dimostrato che Sambin fa un uso dei supporti (film, video,

nastro audio, carta, perfomance) “indisciplinato” e interdisciplinare; egli si serve di quest’ultimi per

rispondere all’esigenza di sviluppare un proprio linguaggio, conforme alla sua poetica. Abbiamo più

volte rilevato, infatti, che non è il supporto in se stesso (cosa) che interessa Sambin, ma il come egli

lo utilizza; si può supporre sia per questo che, nel suo percorso, egli affronta numerose tipologie di

strumenti sempre al fine di dare spazio e voce al rapporto tra suono e immagine. Si ricordi, a tal

proposito: Film a strisce, visivamente in pellicola ma che prevede un accompagnamento musicale

live; la difficoltà di dare una definizione all’opera Autoritratto per quattro camere e quattro voci

nella quale sono implicati il video, la performance, l’aspetto sonoro ed un’indagine sullo spazio e il

tempo caratteristica delle installazioni; o, ancora, il doppio ruolo di partitura dato alle immagini

filmiche e video da un lato, e ai supporti cartacei dall’altro. Tutto ciò, in linea con l’approccio

scientifico e, in certo senso, evolutivo, che l’artista ha nei confronti delle sue opere e cui abbiamo,

nuovamente, più volte accennato.

Lo studio di caso sull’opera Looking for listening, ha permesso di costatare che, negli anni, l’artista

non ha cambiato l’approccio interpretativo alle sue opere e che, come in passato, egli crede che esse

debbano evolvere in linea con le più innovative scoperte tecnologiche, se funzionali agli obiettivi

prefissi dall’artista; inoltre, si è appurato che la forma acquisita dalle creazioni dell’artista, si

modifica a seconda del contesto in cui essa si trova a vivere, cosa che ha portato alla considerazione

del peso preponderante che ha il concetto sull’“espressione” artistica.

L’opera d’arte diventa fluida e variabile, e una metodologia che si occupi del restauro, della

conservazione e della riproposta attuale, deve, innanzi tutto, individuare il tipo di approccio che

essa stessa vuole avere nei confronti di ciò che studia; riprendendo quanto scritto da Rinehart: «Do

we want to preserve this art or keep it alive?»363. Inoltre, non si può che, di nuovo, considerare il

contesto in cui un’opera dev’essere esposta in quanto, forma e valore, muteranno a seconda che si

tratti di una retrospettiva o una mostra permanente, un archivio o un museo.

363 Richard Rinehart, Berkeley Art Museum/Pacific Film Archive, in Jon Ippolito, Alain epoca e Caitlin Jones, The variable media approach. … New York, 2003, p. 25; scaricabile nel sito www.variablemedia.net, visionato in data 10/09/2012.

170

Lo studio di caso, è effettivamente stato utile al fine di individuare una metodologia d’indagine, la

quale può essere applicata ogni qualvolta si presenti la necessità di approfondire un’opera che

presenti uguali o simili caratteristiche. È necessario anche notare che, quando si tratti di un’opera

multidisciplinare, si deve sempre istituire un lavoro di squadra, e coinvolgere numerosi specialisti

che si occupino, ognuno, di un ambito preciso; nel caso specifico di una video-performance

musicale, è buona regola rivolgersi ad un esperto di digitalizzazione e restauro video, e ad uno che

si occupi dell’audio, al fine di individuare le metodologie d’intervento applicate “di norma”, ma

anche quelle applicabili al caso specifico. Possibili domande riferite al restauro e alla

digitalizzazione, possono, successivamente, essere inserite all’interno dell’intervista in modo tale da

individuare le migliori strategie conservative attuabili, senza che il contenuto e il senso dell’opera

ne siano inficiati. Si è, inoltre, visto, che le metodologie analizzate, sia in campo video, che in

campo audio, prevedono “di regola” che sia interpellato il volere dell’artista e ciò non può che

andare a favore di un approccio in cui l’intervista sia posta al centro della ricerca sull’opera.

Il metodo dell’intervista, quando possibile, è essenziale;: non solo al fine di comprendere il valore e

il funzionamento dell’opera in esame, ma anche di determinare i limiti di “variabilità” che l’opera

può acquisire nell’oggi, e nel domani. L’intervista, infatti, si ritiene importante non solo allo studio

contingente, ma è un utilissimo documento che, affiancato all’opera, deve valere come

testimonianza dell’artista ed essere preso in considerazione ogni volta che si voglia approcciare un

lavoro artistico; è necessario, quindi, cercare di essere il più scientifici possibile nel riportare quanto

affermato dall’intervistato.

Nel caso particolare della performance, l’intervista è particolarmente utile per diversi motivi: prima

di tutto perché, in alcuni casi, vi sono degli elementi che non possono essere ricostruiti altrimenti364;

in secondo luogo, l’intervista è indispensabile, nel caso di opere performative, al fine di individuare

il valore dei video in nostro possesso: quando sono stati realizzati i nastri audiovisivi? Prima, dopo

o durante l’atto performativo? Essi sono intrinseci all’opera o meri strumenti al fine di documentare

l’evento specifico? Questi aspetti sono fondamentali e non secondari al fine di riflettere sulla

riproposta attuale.

Considerando quanto detto finora, un altro punto su cui è necessario soffermarsi è che, in ogni caso,

non è possibile fare, esclusivamente, affidamento sulle dichiarazioni di un singolo; questo, non per

mettere in discussione quanto affermato dall’artista ma perché, nel caso s’indaghino opere lontane

nel tempo, gli eventi, così come raccontati, possono subire anch’essi un’“interpretazione”. Perciò è

necessario, ogni qualvolta si affronti l’indagine di un’opera o di un periodo storico, rifarsi anche ad

364 Ad esempio, il passaggio di Sambin di fronte agli schermi all’avvio verso la telecamera, elemento di particolare importanza perché atto a risvegliare “brechtianamente” gli spettatori dall’incanto dello schermo.

171

altre fonti, da quelle più “oggettive” quali documentazioni fotografiche, audio, video, a quelle più

soggette ad errore o ad interpretazione, come annuari, brochures, presentazioni di eventi, cataloghi

etc.; in ultimo, e nel caso in cui, quanto raccolto, non sia ancora esaustivo, sarà importante ottenere

nuove testimonianze di chi ha assistito all’evento in cui l’opera è stata proposta. La gerarchia di

“attendibilità” data alle fonti è fondamentale giacché, come si è visto, non è sempre possibile

riferirsi ad un unico tipo di documentazione; nel raccogliere e analizzare tutto il materiale attraverso

un metodo incrociato, nel caso le fonti siano discordanti, è buona regola dare la precedenza alla

documentazione considerata più oggettiva.

Nell’affrontare lo studio di caso e, in particolare, durante la preparazione dell’intervista, si è potuto

costatare che la specificità di ogni opera porta inevitabilmente all’impossibilità di realizzare un

modello universalmente generalizzabile; per questo, prima di ogni indagine su un lavoro artistico in

particolare, è necessario avere un’ottima conoscenza del percorso dell’artista e, nel caso si abbiano

delle incertezze o dei quesiti a riguardo, è buona regola integrarli all’interno delle domande da porre

all’intervistato.

Nonostante, comunque, non sia possibile realizzare un modello applicabile ad ogni singola opera, si

è notato che è possibile individuare delle linee guida che siano d’aiuto allo studioso nel momento in

cui voglia affrontare un’indagine su di un’opera multidisciplinare in cui siano importanti i valori

video, quelli musicali e quelli performativi; per questo, in Appendice, sono stati redatti un uno

schema riferito alla metodologia d’indagine365 e uno al modello d’intervista366: il primo indica, in

generale, i passaggi risultati fondamentali al fine di approciare il presente studio di caso; il secondo,

invece, propone una seria di domande, suddivise per signoli campi di indagine (Opening,Creative

process, Materials and tecniques, Meaning, Context, Copyright and Editions, Conveyance and

Public,Ageing/Deterioration, Conservation/Restoration, Access, Final Part), le quali sono state

realizzate attraverso il confronto tra alcuni modelli predefiniti, e intergate grazie all’esperienza dello

studio di caso, risultato imprescindibile. Entrambi questi strumenti, si spera, possono essere utili

alla ricerca attuale sulla conservazione, il restauro e la riproposta di opere che, altrimenti,

rischierebbero di andare perdute irrimediabilmente.

365 Cfr., Schema sulla metodologia d’intervento per il restauro, la conservazione e la riproposta della video-performance musicale Looking for listening in Appendice, p. 59. 366 Cfr., Tabella 3 - Confronto tra quattro modelli d’intervista e ipotesi per un quinto modello che prenda in considerazione l'aspetto video, quello performativo, quello musicale e quello installativo, in Appendice, p. 61.

173

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