1982 - M. PAOLETTI, Le ceramiche medievali delle chiese di Pisa. (Pisa 10 ottobre-10 dicembre 1981)

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pia offerti da Moore, Erskine, Isozaki, Léon Krier, Rob Krier, Gregotti, Koolhaas­Zenghelis, Bohigas-Mackay-Martorell, ecc. e guardino con piacere, almeno sin tanto che non si ricordano del testo stilato nella sede della Società, tradotto e, come ho det­to, divulgato attraverso i manifesti. Quel testo assicurava che la mostra avreb­be propagandato un caso concreto di stra­tegia urbana (unica scialuppa galleggian­te sul mare in cui naufragarono gli altri modelli pianificatori). Tuttavia a nessuno dei pezzi originali presenti nella cripta pa­re riconosciuta una prerogativa sostanziale: essere anello del processo di mutamento de Il 'a m bi ente vissuto dai Berlinesi e dagli immigrati. E se ne può aver riprova osser­vando che i pannelli non recano elabora­ti inerenti alle modalità insediative dell'ln­ternationale Bauausstellung. I pannelli so­no sforniti di grafici dai quali desumere gli effetti che le nuove architetture indur­ranno in zone salienti quali il Forum e nell'ex città fredericiana, sono sfornitissimi di materiali che chiariscano i rapporti fun­zionali e morfologici tra parti urbane rinno­vate e il più ampio contesto metropolitano. Quel testo fors'anche prometteva che nella mostra si sarebbe colta la ristrutturazione di un pezzo di città, riassetto esemplare, pressoché didattico verso le città europee ove sia in atto una ripresa dell'iniziativa urbanistica. Ma, mentre il catalogo Erste Pro;ekte, pubblicato da Quadriga Verlag, si difionde in teorizzazioni ed ammonimen­ti, i pannelli fanno balenare le sole im­magini di una nuova Berlino. E le imma­gini appaiono e scompaiono, troppo rapi­damente perché possano venir studiate, decodificate, mutuate altrove. Azzarderei l'ipotesi che, a questo punto, il comportamento dei visitatori si diversifi­chi molto. Parecchi si trattengono come nel­la couche di una rivista, la quale avesse pubblicato gli stessi artefatti grafici. Parec­chi si propongono di ritornare, rifare il gi­ro delle sezioni senza più chiedere a 'Pro­getti per Berlino' un senso che essa ogget­tivamente non può dare. Parecchi scivolano via nell 'indifferenza, quasi che 'Progetti per Berlino' parlasse un incomprensibile idio­letto. Forse taluni del gruppo a, del b e persino del c raggiungeranno Rotterdam, dove la mostra sarà allestita di nuovo, per valuta­re se è diminuita o cresciuta la distanza tra progetti e prefissata futura realtà urbana. Vittorio Savi

Le ceramiche medievali delle chiese di Pisa Pisa, Museo Nazionale di San Matteo 10 ottobre-IO dicembre 1981

A partire dal 1969-70, dopo una ricognizio­ne sullo stato dei bacini ceramici medie­vali inseriti sulle chiese pisane, la Soprin­tendenza per i Beni Ambientali e Architet­tonici di Pisa ha ritenuto urgente provve­dere al loro distacco e sostituzione con copie. Questo programma di 'rimozione con­servativa' è giunto finalmente al suo ter­mine, ad eccezione ormai di pochissimi pez­zi ancora in situ. Con decisione opportuna, circa 250 ceramiche più significative sono state presentate al Museo Nazionale di San Matteo parallelamente alla pubblicazione, a cura di Graziella Berti e Liana Tongior­gi, del Catalogo scientifico di tutti i bacini (ben 626 tra interi e frammentari) 1 e ad un incontro di studio su il 'argomento, che si è tenuto presso il Teatro Verdi a con­clusione dell'iniziativa. La mostra ha ricevuto un successo di pub­blico e una risonanza superiori all'ambito locale. Allestita in un ambiente piuttosto in penombra, puntava molto sulla straor­dinaria qualità e sulla bellezza di alcuni tra i bacini, esposti ali 'interno di vetrine­contenitori nere, dove la luce artificiale suggestivamente ne faceva risaltare l'inve­triatura o la smaltatura delle superfici. Su questa illuminazione, cioè sugli inevitabili effetti suggestivi che induceva, si deve avan­zare qualche riserva. Ma la scelta è dipesa anche dal fatto che si trattava di un al­lestimento soltanto provvisorio, alla stre­gua di un esperimento; mentre l'esposizio­ne definitiva - che è auspicabile avvenga al più presto - potrà e saprà risolvere i problemi di valorizzazione museale di que­sto complesso di ceramiche con pari effi­cacia, sfruttando maggiormente e per quan­to possibile la luce naturale. Quanto poi al quadro storico e cronologico, XI-XlV sec., e alle aree di provenienza dei mate­riali - di centri individuati si può parlare solo parzialmente -, tutto ciò nella mostra era affidato in maniera sintetica e chiara ai pannelli e a due tipi di opuscolo (un sem­plice pieghevole oppure una scheda infor­mativa di 36 pp . non numerate per il visi­tatore più attento). Ogniqualvolta si ponga mano al distacco di singole parti decorative di un monumento, è doveroso domandarsi se l'operazione è corretta e indispensabile. Nel caso in que­stione, la documentazione raccolta in vari anni di lavoro da G. Berti e L. Tongiorgi,

e offerta ora nel Catalogo, dimostra che la rimozione conservativa si è imposta come la soluzione certamente più idonea. Se i bacini in migliore o peggiore stato sono ap­punto 626, i vari documenti di archivio, le fotografie e soprattutto le impronte vuote rimaste su molte chiese e campanili (fig. 1) fanno risalire il loro numero minimo valu­tabile ad almeno 1873 esemplari. Se ne conservano cioè pressappoco un ter­zo, a costituire comunque il corpus più no­tevole e ricco tipologicamente per l'Italia e ndl 'intero bacino mediterraneo. Le ra­gioni di queste perdite, gravi specialmente nell'ultimo secolo, sono molteplici: dalla crescita di piante negli interstizi dei para­menti murari al crollo degli archetti in mat­toni in cui erano inserite le ceramiche (elo­quenti in proposito gli esempi del campa­nile di San Sisto e del transetto di San Mar­tino),2 dall'incuria durante lavori di risiste­mazione e ripristino passati e recenti al ve­ro e proprio furto.3 Per la prima volta sul lì n ire d eli 'Ottocento la proposta di rimo­zione era stata caldeggiata da Igino Benve­nuto Supino, Regio Ispettore per i Monu­menti e le Antichità della città, che in varie circostanze si era rivolto ai competenti or­gani superiori per l'autorizzazione; ma inu­tilmente, perché si preferì provvedere con limitati interventi in loco e mediante l'ap­plicazione di piccole grappe metalliche.( Purtroppo già mezzo secolo prima era avve­nuto che, giungendo a Pisa nel loro 'Italian Tour', viaggiatori-connoisseurs, come l'in­glese C. Drury Fortnum, tentassero di ac­quistare qualch<: bacino e che addirittura ne ricevessero il consenso da parroci poco scrupolosi o, per lo meno, poco consa­pevoli.; La ricerca condotta da G. Berti e L. Ton­giorgi con appassionato rigore scientifico a Pisa, nonché nel territorio circostante, in Lucchesia e in Corsica, ha dato risultati notevoli in due ambiti distinti, che per l'occasione si sovrappongono illuminando­si a vicenda : quello della ceramica medie­vale di importazione dall'lslam occidentale o di produzione locale; l'altro degli edifici religiosi pisani dall'XI al XIV sec. Infatti, le cronologie circa la fondazione e le diverse trasformazioni di questi edifici sono basate soprattutto sui caratteri architettonici, dal momento che le fonti archivistiche coeve si dimostrano spesso insufficienti e gli sto­rici dell'arte trascurano di utilizzare a fondo le prove archeologiche, anche quan-

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Mostre (continua)

do disponibili. Bastino pochi esempi al ri­guardo. A fronte dell'atto di dotazione del 'monasterium S. Mathei' (18 maggio 1027)6,

della cartula venditionis (11 marzo 1029) che sembra citare il 'monasterium S. Ze­nonis7 oppure del breve recordationis re­datto intorno al1046 dall'abate Bono di San Michele in Borgo, che accenna alle vicende dell'edificazione ,8 - tutti documenti pre­ziosi ma rari nella loro specificità,- stanno scavi che rimangono pressoché inediti e per i quali si deve ragionevolmente suppor­re che siano stati mal condotti. Dell'im­pianto triabsidato sottostante la chiesa di San Matteo nella sua fase di XII sec. sono note una sommaria descrizione e qualche fotogratìa; però nessun rilievo. Non è chia­ro neppure se i frammenti ceramici ivi rin­venuti si riferiscono o meno a una possi­bile decorazione a bacini di quell'edificio.9

Più complessa indubbiamente la situazione della chiesa di San Zeno, che è stata ripor­tata alle sue forme romaniche in tempi recenti, dopo un lungo restauro.l0 Ma la successione di ben sette fasi edilizie che si è voluto riscontrarvi lascia perplessi, specie per i cosiddetti Edifici I e II rispet­tivamente romano (?) e altomedievale (?), mancanti di qualsiasi riferimento stratigra­fico e di sicuri elementi di datazione. Al­trettanto significativo mi sembra il caso del­la basilica di San Piero a Grado, dove i saggi all'interno, eseguiti dal Sanpaolesi durante gli ampi interventi del 1950-60, non hanno contribuito a risolvere molti dei problemi connessi allo sviluppo di questa chiesa in rapporto alla precedente vita del luogo. Certa è ormai la preesistenza di una piccola basi! i ca triabsidata (V I I I-IX sec.) con orientamento diverso dall'attuale; , e certo è un impianto tardoromano, for-c, mato da ambienti quadrangolari. Per il re­sto. in mancanza una volta di più dei ma­teriali ceramici e delle stratigrafie, poco si può dire sulla reale continuità di occupa­zione e sulle funzioni degli ambienti qua­drangolari in cui nacque la primitiva aula. identificati con capannoni portuali o scali navali soltanto per la vetusta tradizione dei gradus Arnenses.11 A• restauri ultimati, il Sanpaolesi datò la costruzione di San Piero a Grado agli ultimi anni del X sec., indi­viduandovi i segni di una precocità archi­tettonica rispetto a San Matteo e San Ze­no, erette ambedue nel primo quarto del secolo successivo. Tale intervallo è, però, ora contraddetto

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l. C n rt~ di distribuzione delle chiese con bacini (.) a Pisa nei secoli Xl-XIV. Con (o) sono indicate quelle sicuramente prive di bacini: con ( +) le altre oggi scomparse di cui rimangono resti che non permettono di riconoscervi un'eventuale decorazione con ceramiche. (Da G. Berti, L. Tongiorgi 1981, p. 12).

dallo studio delle ceramiche; che per tutte le chiese con bacini ha preso in esame, correttamente, la tecnica di inserzione e gli elementi architettonici ai quali i bacini stessi fanno riferimento. È stato così pos­sibile riconoscere una lenta evoluzione nelle modanature e nella composizione degli ar­chetti e delle lunette scandenti il paramento murario in pietra, come - a partire dalla metà del XI I sec. - in quelle degli archetti in laterizio. La datazione delle progressive modifiche, segnata dai bacini nella loro fun­zione di 'fossile-guida', permette di elabo­rare una serie cronologica di grande utilità, in generale, per tutti gli altri edifici reli­giosi di Pisa. Per tornare a San Piero a Grado, gli archetti a duplice ghiera e gli altri a ghiera semplice delle parti alte della chiesa sono, i primi, strettamente analoghi a quelli di San Zeno e precorrono, i se­condi, quelli di Santo Stefano I fase e San Sisto: coerentemente ai bacini dei tipi in­vetriati policromi, 'a cuerda seca' ecc., databili tra l'inizio e la prima metà del­l'XI sec.12

Su quest'aspetto non occorre soffermarsi ulteriormente; ad eccezione forse del caso di San Silvestro, cui è nel Catalogo solo un troppo rapido accenno. Sul lato Nord della navata centrale della chiesa, fondata nel 1118 dai monaci di Montecassino, agli

archetti scolpiti in un blocco unico succede, senza apparente soluzione di continuità, una nuova serie di archetti a profilo curvi­lineo tagliati in tre pezzi, con chiave di chiusura dell'arco. La modifica, in quanto innovazione nella tecnica edilizia, dovette rispondere a ragioni precise, male apprez­zabili a causa dell'intonacatura che ricopre il parametro murario e senza un rilievo ar­chitettonico generale dell'elevato, che man­ca. Tra i motivi si può supporre un'interru­zione limitata nei lavori o qualche muta­mento all'interno delle maestranze di scal­pellini; pur da solo l'indizio è, dunque, non irrilevante per la storia poco documentata della chiesa, dovendosi escludere la scelta dettata dalla ricerca di un nuovo e diverso effetto decorativo.l3

L'altro principale obbiettivo dello studio dei bacini pisani era naturalmente rivolto al loro inquadramento: sia cronologico sia per aree e/o centri di produzione. Grazie all'opportunità dell'esame diretto, tutti gli esemplari sono stati accuratamente sche­dati, disegnati e raggruppati tenendo conto soprattutto delle forme e delle decorazioni. poiché il basso contenuto di stagno nel rivestimento di molti bacini non lascia de­cidere tra la semplice vetrina e lo smalto. Anzi, le sgocciolature di smalto su bacini invetriati (ad es. uno monocromo bruno del primo quarto del XII sec., dalla chiesa di Sant'Andrea) ed altri indizi ancora pro­vano chiaramente che alcune botteghe ar­tigiane potevano produrre ambedue i tipi. A Pisa risultano attestate, secondo una suc­cessione che in parte è anche cronologica, le seguenti classi ceramiche: invetriata e smaltata islamica di produzione maghrebina e siciliana; (fig. 2) invetriata e smaltata dall'Italia meridionale; (fig. 3) invetriata e smaltata pisana; incisa e a vetrina alcalina; decorata a lustro metallico; ingabbiata. È da notare che la ridottissima presenza delle produzioni incisa e a vetrina alcalina (5 esemplari in tutto, tra metà Xl e prima me­tà XIII sec.) dimostra come le ceramiche non costituissero una merce di importa­zione dai paesi del Mediterraneo orientale, presso i quali invece Pisa si riforniva in larga misura di vari prodotti almeno nel corso del XII sec. Per tutte le altre cera­miche che furono ampiamente importate dal Maghreb, dalla Spagna e dalla Sicilia islamica, la classificazione e la cronologia dei bacini pisani diviene senz'altro fonda­mentale: almeno fino a quando esse non saranno sufficientemente note nei centri di produzione. Purtroppo, tanto per rimanere

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alla Sicilia, non hanno un 'edizione com­pleta ed esauriente le due fornaci arabe impiantatesi sulla villa romana di Piazza Armerina (molto più famosa per i suoi mosaici),14 le quattro fornaci di Agrigento,'s gli scarichi di scarti ed i materiali scoperti a Gela, Palermo e in altre località ancora.'6

Sulla schedatura e la classificazione dei ba­cini nel Catalogo sono possibili alcune os­servazioni marginali: 'note di lettura', che elenco brevemente di seguito. l) Tra i due bacini policromi (nn. 2 e 58), (figg. 4-5) l'uno smaltato e l'altro invetria­to, dei primi d eli 'XI sec., decorati eccezio­nalmente da un uccello e da un animale, il confronto a livello iconografico mi sem­bra alquanto difficile, se non impossibile.17

Nel primo caso, il quadrupede, con una zampa levata, è indubbiamente un animale fantastico, non collegato con la realtà (si veda la stranissima appendice a lato, cioè 'die-tro' la testa, che però non ha una ma­schera sul volto, come ipotizzato). Am:he il rapporto con l'uccello dalla lunga coda rettangolare è solo compositivo. Nel secon­do caso , sembra di poter riconoscere i ca­ratteri di un gruppo e di una scena vera e propria, in cui un animale in corsa (anti­lope?) è sorvolato da un uccello dalle am­pie ali distese (rapace?), che si appresta a ghermirlo sulla groppa. Perciò solo a que­sto proposito si può dire, sebbene impro­priamente, che l'uccello 'poggia' le zampe sul sottostante animale. 2) Un certo numero di bacini inseriti sulle chiese di San Piero a Grado e di San Sisto recano vari punti metallici a sutura di pre­cedenti fratture, cioè i segni di un restauro antico; 18 altri hanno la base del piede oriva di rivestimento, forse consunta dall'uso; almeno un esemplare infine era già fram­mentario, allorché fu collocato al suo po­sto.'9 Queste particolarità menzionate nelle singole schede, ma non discusse nel loro complesso, pur con la clovuta prudenza im­plicano due fatti. Nell'XI sec., quando la pratica di decorare le chiese con i bacini era ancora agli inizi, in due distinti cantieri edilizi pisani si provvide all'acquisto , in­sieme ai pezzi nuovi, anche di CP.ramiche usate, 'di seconda mano ': si può ipotiz­Zflre per la scarsa disponibilità sul mercato ùi Pisa o , senza escludere ciò. per il prezzo più ridotto di quest'ultime. Inoltre . questa realtà per alcuni esemplari, dell 'impiego 'secondario' rispetto ad uno precedente co­me vasellame da mensa di pregio , rende possibile un certo scarto tra la datazione di questi bacini e quella dell 'edificio. Ammes-

2. Bacino smaltato in verde con decorazione in bruno del XII-prima metà Xlii secolo, dalla chiesa di Sant'Andrea. Pisa, Museo Nazionale di San Matteo.

sa tale possibilità in base all'evidenza ar­cheologica, si tratterà poi di esaminarne la probabilità ed eventualmente di definire l'intervallo in questione. 3) In tre diversi gruppi di bacini invetriati policromi, a partire dalla prima metà del­l'XI sec., è attestata oltre alle scodelle ed alle ciotole anche una forma atta 'proba­bilmente a sostenere un coperchio'. Essa si ritrova in un unico esemplare smaltato monocromo, verde bluastro, del primo quar­to del Xll sec., il quale secondo il Catalogo farebbe supporre una persistenza dei com­merci pisani con i medesimi centri e la produzione in essi anche di ceramiche mo­nocrome, 'in netto contrasto con il fatto che tutti gli altri esemplari più antichi hanno una decorazione pol icroma'.20 Tale deduzione mi sembra non dimostrabile, per l'eccezione che verrebbe così ad introdursi e, in particolare, per le caratteristiche mor­fologiche dei pezzi , che sono quelle di veri copert"hi o di forme aperte che hanno la 'funzione interscambiabile' di coperchio: cioè le dimensioni abbastanza ridotte (in­torno alla ven tina di cm. al massimo) e l'orlo bifido, con un labbro verticale o obliquo internamente che si accompagna ad un alloggiamento esterno. La persistenza della forma è quindi solo apparente e legata alla funzione piuttosto che ad altri motivi interni alle produzioni di un centro. 4) In tutto il Corpus, salvo errori, soltanto

· due bacini della chiesa di Sant'Andrea han­no un segno inciso dopo la cottura sotto

}. Ba~no inve!riato policromo dell'ultimo quarto del X Il secolo, dalla chiesa di San Michele degli Scalzi. Pisa, Museo Nazionale di San Matteo.

il pi~de: due tratti paralleli tagliati obli­quamente da un terzo; ed un segno ad H. Di essi sarebbe stato opportuno offrire il disegno, perché dalla descrizione sembrano mollo simili e forse uguali; anzi si potrebbe pensare che siano stati tracciati sul cantie­re, tra ttandosi di prodotti diversi: in un caso di un bacino graffito su ingabbio sotto vetri na (n. 221), nell'altro di un bacino im­presso a stampo sotto vetrina (n. 233).21

Come accennato all'inizio, la mostra si è conclusa il 12 dicembre 1981 con un breve Incontro di Studio, articolato sulle relazio­ni di F . Gabrieli, 'Guerra araba e arte araba in Italia'; O. Banti, 'I rapporti tra Pisa e l'Africa settentrionale islamica tra il XII e il XIV secolo'; U. Scerrato, 'I prodotti dell'arte islamica pervenuti in Italia nei se­coli XI-X TII '; D. Whitehouse, 'La colle­zione pisana in riferimento alle produzioni ceramiche dei paesi circummediterranei nei secoli XI-Xlll'; A. Caleca, 'Le chiese di Pisa nei secoli XI-XIV'. Tutte hanno con­tribuito ad illustrare l'importanza della ri­cercH sui bacini medievali pisani, nonché ora quelli di San Miniato,22 condotta a termine con rigore scientifico da Graziella Berti e Liana Tongiorgi, alla quale il me­desimo Incontro è stato doverosamente de­dicato , in seguito alla sua improvvisa scom­parsa alla vigilia della pubblicazione del Catalogo pisano. Maurizio Paolctti

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Mostre (continua)

4. Bacino smaltato policromo dell'inizio dell'Xl

secolo, dalla chiesa di San Zeno. Pisa,

Museo Nazionale di San Matteo.

l) G. Berti, L. Tongiorgi, T bacini medievali delle

chiese di Pisa, (Quaderni di Cultura Materiale,

3), Roma, 'L'Erma' di Bretschneider, 1981, pp. 303

c !avv. CCXXIV fin seguito cit. G. Bérti, L. Ton­

giorgi 1981].

2) G. Berti, L. Tongiorgi 1981, p. 11 e tavv.

V-VII.

3) Non sembri fuor di luogo ricordare le signifi­

cative circostanze di alcune perdite. l bacini che

decoravano i quattro piani del campanile tardo­

duecentesco di Santa Caterina furono sostituiti nel

1929-30 con altri monocromi verdi oppure ad imi­

tazione del graffito con tocchi verdi e gialli; degli

antichi esemplari , circa 140, si conosce ormai solo

la posizione ricalcata dai nuovi, v. G. Fascetti,

Restauri al campanile di S. Cterina in Pisa, Pisa

1'1.55 e più sinteticamente Idem, in 'Bollettino d 'Ar­

te'. XXV, 1931-32, pp. 331-335; G. Corallini, La

chiesa di S. Caterina in Pisa dalle origini ad oggi,

Pisa, 1965, p. 28: G. Berti, L. Tongiorgi 1981, pp.

119-120 e tavv. XXVIII-XXX!, CCXVI-CCXVIIJ.

Durante i notevoli restauri del 1936-38 a lla chie­

>a di Santa Cecilia furono aggiunte 1t1 facciata e

.• ul fianco Sud nuove ceramiche di produzione

p i sana del XVI-XVI l sec., mentre furono distac­

~ati 16 bacini , forse ritenendoli i più interessanti

tra gli oltre cento dell'edificio. Di essi rimane una

buona, ma pur sempre insufficiente documenta­

zione, in alcune fotografie dell'epoca c negli ac-

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quarclli rispettivamente Cecchini e Casini (alcuni

dei quali alla Mostra) , che eseguiti sulle impalcatu­

re durante i lavori segnano gli albori a Pisa di un

interesse scientifico per questo tipo di decorazione,

v. G. Casini, l bacini di S. Cecilia in Pisa, in

'Faenza', XXVI, 1938, pp. 51-57 e tavv. Xl-XV; G.

Berti, L. Tongiorgi 1981, pp. 99 e 115-1!6 e tavv.

XXVI, CXXVI , CLIX-CLX, CIC-CCl, CCV, CCXV.

Ed ancora, in occasione del restauro del 1946 al

campanile di San Michele degli Scalzi molti fram­

menti di bacini lurono grossolanamente consoli­

dati, inglobandoli nel cemento, v. G. Berti, L.

Tongiorgi, La proposta di Gaetano Ballardini per

un corpus c/ei bacini di ceramica dei nostri antichi

monumenti a quaranta anni di distanza, in 'Faen­

za ' LXVI, 1980 ( = Atti Convegno Studi Ceramici

in onore di C. Ballardini, Faenza 1978), p. 242 e

tav. Xl.lll [in seguito cit. G. Berti, L. Tongiorgi

l gso] . Più scandaloso il fatto che 4 bacini sul

fianco Sud di San Martino siano andati dispersi

ancora agli inizi degli anni '70 a causa dei la­

vori condotti dal Genio Civile al tetto della chiesa,

v. G. Berti, L. Tongiorgi, Ceramica Pisana. Secoli

Xlll-XIV. Pisa 1977, p. 50 nota 32; G. Berti , L.

Tongiorgi 1980, pp. 242-243 e tav. XLIII; G.

Berti, L. Tongiorgi 1981, pp. 131 e 146 con tav. IX.

Concludono questo lungo elenco il furto di due ba­

cini non lontano da Pisa, nei pressi di Vecchiano,

v. G . Berti, L. Tongiorgi, Bacini rimossi da un

m11ro della ex-chiesa di San Pietro di Malaventre

(Pisa}, in ' Faenza ', LVI, 1970, pp. 27 e 30 con

t~ v. l II : nonché la stonacatura della facciata di

Santo Stefano, che nel 1972 mise in luce moltis­

sime cavità di bacini e, apparentemente, solo 5

fr ammenti molto modesti, v. G. Berti , L. Ton­

giorgi , Ceramiche a cobalto e manganese su smalto

bianco (fine X !T-inizio XIII secolo), in Atti V

5. Bacino invetriato policromo dell'inizio dell'Xl

secolo, dalla chiesa di San Piero a Grado.

Pisa, Museo Nazionale di San Matteo.

Con~·egno Internazionale della Ceramica (Albisola

1972), Albisola 1973, pp. 149-190; e G. Berti, L.

Tongiorgi 1981, pp. 39 e 46-48 .

+) G. Berti , L. T ongiorgi 1981, pp. 70-71 e

130-131.

5) C. D . Fortnum, f"otes on the 'Bacini', or Dishes

of Enamelled Earthenware, introduced as Orna­

mcnts to the Architecture of some oj the Churches

of ltai)•, in 'Archaeologia', XLII, 1869, pp. 379-

3R6, che narra in prima persona come tentò ini­

zialmente con il superiore dei fra ti della chiesa

di San Francesco: 'but my application ( .. . ) for

permission to have one of these plates removed

was met by an excuse, and I was afterwards

tolù that in consequence of the very high prices

that had been given for majolica of late years

these plates are supposcd to be of very great

value'. Riuscì poi ad ottenere dal parroco di

Santa Cecilia una larga porzione di bacino, che

si conserva ora smcmbrata parte all'Ashmolean

Museum di Oxford, parte al British Museum di

Londra e che si integra con il restante frammento

ad invetriatura alcalina (fine XII-prima metà XII I

sec.), rimasto in situ, v. G. Berti, L. Tongiorgi

1981, p. 109, n. 365 e tav. CLXXXVII. Inoltre

Fortnum ebbe altri due bacini probabilmente dal

campanile della medesima chiesa. passati ora al

Victoria and Albert Museum di Londra (inv. 14-

15, 1871), v. A. Lane , Medieval Finds at Al Mina

in North Syria, in 'Archaeologia ' , LXXXVII, 1938,

pp. 48 con fig. SB e 56 e tavv. XXVI, 2, XXV,

5; G. Berti, L. Tongior!!i 191(1. p. 116. nn. (18)-

..... '-

( 19), dove la data della vtstta a Pisa va corretta e retrodatata dal 1870 ad ante il 1860. In gene­rale, preziose notizie ~ull'attività antiquaria e sulla collezione di C, D. Fortnum sono raccolte da l. V. Mallet, Storico e storicismo: Fortnum, Canta­galli c Castellani, in 'Faenza', LXIV, 1978, pp. 37-47 e tavv. XVI-XVIII. 6) Il documento è edito in Regesto della Chiesa di Pisa. a cura di N. Caturegli , (RegestcJ Chartarum ftaliae, XXIV), Romae 1938, pp. 57-58, n. 99;

fondamentale su di esso C. Violante, Nobiltà e chiese nei sl.'co!i XI e XII: la progenie di Ildeberto .A.lbizo e il monastero di San Matteo. (Prime ri­cerche), in Ade/ und Kirche, (Festschrift G. Tel­lenbach), Freiburg, Base!, Wien 1968, pp. 259-279 fora ampliato in C. Violante, Economia, società, istituzioni a Pisa nel Medioevo, Bari 1980, pp. 25· 65, par!ic. pp. 25-28]. 7) G . B. Mittarelli, A. Costadoni, Anna/es Camal­dulenses ordinis Sancti Benedicti , Il, Venetiis 1756. App. cc. 25-26, n. 11 [in seguito cit. G. B. Mittarelli, A. Costadoni 1756]; la pergamena è ora deteriorata sul margine sin., in corrispondenza del nome purtroppo non più leggibile, v. Carte dell'Archivio di Stato di Pisa. I. (780-1070) , a cura di M. D'Alessandro Nannipieri, (Thesaurus Ecclcsiarum Italiae, VII, 9), Roma 1978, pp. 81-82, n. 30. 8) G. B. Mittarelli, A. Costadoni 1756. App., cc, 123·127, n. 65; cfr. P. Cammarosano, s.v. Bono, in 'Diz. Biogr. Italiani', XII, 1970, pp. 268-270. 9) P. Sanpaolesi, Il Duomo di Pisa e l'architettura romanica toscana delle origini, Pisa 1975, pp. 93-105 c tavv. XLV-XLVIII [in seguito cit. P. Sanpaolesi 1975]; e soprattutto G. Berti, L. Ton­giorgi 1981, p. 150, nn. 620·621 e tav. CIL. 10) L. Benvenuti, P. Borghi, Risultati di uno stu· dio sulla chiesa di San Zeno in Pisa, in 'Bollet· tino dell'Accademia degli Euteleti', 36, 1964, pp. 1-17·160 e tavv. XLII-XLVII con grafici I-V; sul restauro e sullo sterro interno Abbazia di S. Zeno in Pisa, a cura di U. Lumini, Pisa 1972, special­mente le foto f.t. non numerate; e poi P. Sanpao· lesi 1'3 75, pp. 105-119 e tavv. LI-LIII. 11) N. Toscanelli , Pisa nell'antichità dalle età preistoriche alla caduta dell'l m pero Romano, III, Pisa !934, pp. 1036-1050; P. Sanpaolesi 1975, pp. 61 -92 e tavv. XXI-XL, XLII-XLIII. 12) G. Berti, L. Tongiorgi 1981, pp. 22-38 e tavv. rell.: da aggiungere alla bibl. ivi citata anche R. Silva, Architettura del secolo Xl nel tempo della riforma pregregoriana in Toscana, in 'Critica d'Ar· te ', XLIV, n.s., 163-165, 1979, pp. 66-92, partic. 66-72. Lì) G. Berti, L Tongiorgi 1981, p. 154 e tav. XI III, 2; per le scarne notizie storiche ed i bacini ìhid .• pp. 66-69 14) G. V. Gentili, Piazza Armerina. Gralldiosa villa r,;mana in contrada 'Casale', in 'Notizie de­gli Scavi di Antichità', 1950, pp. 334-335 e figg. 31-34; N. Ragona, Le ceramiche arabe del 'Casa­le' di Piazza Armerina, in 'Faenza', XXXVI, 1950, pp. 124-127; C. Ampolo, A. Carandini , G. Pucci, P . Per..sabene, La l'illa del Casale a Piazza Arme-

-- rina, in 'Mélanges dc l'!Ocole Française de Rome. ,.,. Antiquité', 83, Jg71, App. V, pp. 261-273 . ..t 15) Una preziosa descrizione preliminare delle ce­

ramiche rinvenute nelle tre fornaci normanno-sve­ve e nell'altra attiva durante l'epoca angioino-ara­gonese è dovuta ad A. Ragona, La ceramica della Sicilia arabo-normanna, in 'Rassegna dell'Istruzione Artistica', I, 2, 1966, pp. 11-26; A. Ragona, Le

fornaci medievali scoperte in Agrigento e l'origi· ne della magiolica in Sicilia, in' Faenza', LI!, 1966, p p. 83-89 e tavv. XXX!f-XXXIII. 16) F. D'Angdo, Recenti rìtrovamenti di cerami­che a Palermo, in 'Faenza', LVIII, 1972, pp. 27-35 e tavv. VIII-XI; A. Ragona, La maìolzca szci· liana dalle origini all'ottocento, Palermo 1975, pp. 17-54 e tavv. 2-9; F. D'Angelo, La ceramica nell'ar· cheologia urbana: Palermo nel basso Medioevo. in La céramique médiévale en Méditerranée occz dentnle. X ·-xv• sièc/es, (Valbonne 1978). Pari> 1980. pp. 175-182; D. Whitehouse, Proto-Maiolica . in 'Faenza', LXVI, 1980 [ = Atti, cit. supra not a 3], pp. 78-79 e tavv. VIII-IX (con bibl. precedente) . 17) Provengono rispettivamente da San Zeno e da San Piero a Grado, v. G. Berti, L. Tongiorgi 1981, pp. 19-20, n. 2 e pp. 34-35, n. 58 con la discussione di pp. 16ì-169 e tavv. LVI-LVII. 18) Sul finire del XVIII sec. la chiesa di San Sisto subì vari e pesanti interventi che interessa· reno anche i bacini, in parte ridipinti. La loro ripulitura durante i restauri del 1920-1939, sebbene a volte troppo radicale, non sembra aver fatto uso di cuciture metalliche, che quindi sono verosi­milmente antiche; cfr. G. Berti , L. Tongiorgi 1981, pp. 49-50. 19) G. Berti, L. Tongiorgi 1981, pp. 29-30, n. 34; pp. 35-37, nn. 59-60, 63, 65 e 69 con tavv. CXX, C, LI!, LXVI e LXI (San Piero a Grado); p. 53, nn. 118 e 121; pp. 59-61, nn. 148, 150 e 158 con taH. XCII, LXXIX, CXVTI-CXVIII (San Si sto). Bisogna distinguere invece le ceramiche spezzate o ridotte solo al momento della messa in opera, per le quali v. ibid., p. 154 e tav. XLVIII. 20) G. Berti, L. Tongiorgi 1981, p. 172 e fig. 56; p. 175 e fig. 61; p, 178 e fig. 64 (invetriati); p, 224 e fig. 148 (smaltato). 21) G. Berti, L. Tongiorgi 1981, pp. 77, 79 con tavv. CCVl e CXLII. 22) Contemporaneamente editi, con il patrocinio deila Cassa di Risparmio di San Miniato, in G. Berti, L. Tongiorgi, I bacini ceramici del Duomo di San Miniato, Genova 1981.

Copyright delle illustrazioni

Alinari-Anderson, Firenze; Bernini, San Se­verino· British Museum, Londra; City Art Gallery, Manchester; Ermitage, Leningra­do· Documentation photographique de la Ré~nion des musées nationaux , Parigi; Fa­coltà di Lettere e Filosofia, Siena; Galle­ria Colonna, Roma; Galleria Estense, Mo­dena; Giorgio Como , Roma; Grassi, Sie­na· Istituto Centrale del Restauro, Roma; M~sée des Beaux Arts, Lille; Musée des Beaux Arts, Strasburgo; Museo del Prado, Madrid; National Galleries of Scotland, Edimburgo; National Gallery, Londra; Na­tional Gallery (Kress Collection) , Wash­ington; Photonova, Siena; Royal Library, Windsor Castle; Soprintendenza per i be­ni artistici e storici, Firenze, Pisa, Siena; Sotheby, Londra; Staatliche Graphische Sammlung, Monaco; Szépmi.ivészeti ~u­zeum, Budapest; The Art Museum, Pnn­ceton; The Metropolitan Museum of Art, New York.

F:rrata corrige al n. 28

·Nell'articolo di Stefania Adamo Muscettola. .; Nuove letture borboniche: i Nonii Balbi

ed il Foro di Ercolano, apparso nel n. 28 di ' Prospettiva' (pp. 2-16), vanno segnalati i seguenti errori di cui ci scusiamo con l'Autrice e con i Lettori: p. 4: alle didascalie delle figg. 2 e 3 correg~i Cohin Bellicard in Cochin Bellicard; il n­mando a fig. Il sotto la didascalia di fig. 2 va corretto in fig. l O. p. 5: alla fine del primo capoverso manca il rimando a nota 53. In questa pagina, e cosi di seguito, il nome ' grotta' sostitui­sce il piu corretto spagnolo ' gruta'. Si noti altresi mensa ponderatia per mensa ponde­raria. p. 6: si corregga, in ambedue le didascalie, 'bisquit' in 'biscuit', e cosf alla didascaliJ di fig. 9 (p. 7). Nel brano in spagnolo della stessa pagina, con rimando alla nota 76, si corregga 'paroje' in 'paraje'. p. 9: nella didascalia di fig. 16 si corregga 'Nonio Baldo' in ' Nonio Balbo'. p, 12, nota l 7: il rimando in bianco va com­pletato in (v. infra p. 4). p. 14, nota 26: si corregga Ferinandea in Ferdinandea; nota 4 7: si corregga lo spa­gnolo 'yez' in ' vez'. p. 15, nota 56: si corregga lo spagnolo 'el' in 'en'.

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