1982 - M. PAOLETTI, Le ceramiche medievali delle chiese di Pisa. (Pisa 10 ottobre-10 dicembre 1981)
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pia offerti da Moore, Erskine, Isozaki, Léon Krier, Rob Krier, Gregotti, KoolhaasZenghelis, Bohigas-Mackay-Martorell, ecc. e guardino con piacere, almeno sin tanto che non si ricordano del testo stilato nella sede della Società, tradotto e, come ho detto, divulgato attraverso i manifesti. Quel testo assicurava che la mostra avrebbe propagandato un caso concreto di strategia urbana (unica scialuppa galleggiante sul mare in cui naufragarono gli altri modelli pianificatori). Tuttavia a nessuno dei pezzi originali presenti nella cripta pare riconosciuta una prerogativa sostanziale: essere anello del processo di mutamento de Il 'a m bi ente vissuto dai Berlinesi e dagli immigrati. E se ne può aver riprova osservando che i pannelli non recano elaborati inerenti alle modalità insediative dell'lnternationale Bauausstellung. I pannelli sono sforniti di grafici dai quali desumere gli effetti che le nuove architetture indurranno in zone salienti quali il Forum e nell'ex città fredericiana, sono sfornitissimi di materiali che chiariscano i rapporti funzionali e morfologici tra parti urbane rinnovate e il più ampio contesto metropolitano. Quel testo fors'anche prometteva che nella mostra si sarebbe colta la ristrutturazione di un pezzo di città, riassetto esemplare, pressoché didattico verso le città europee ove sia in atto una ripresa dell'iniziativa urbanistica. Ma, mentre il catalogo Erste Pro;ekte, pubblicato da Quadriga Verlag, si difionde in teorizzazioni ed ammonimenti, i pannelli fanno balenare le sole immagini di una nuova Berlino. E le immagini appaiono e scompaiono, troppo rapidamente perché possano venir studiate, decodificate, mutuate altrove. Azzarderei l'ipotesi che, a questo punto, il comportamento dei visitatori si diversifichi molto. Parecchi si trattengono come nella couche di una rivista, la quale avesse pubblicato gli stessi artefatti grafici. Parecchi si propongono di ritornare, rifare il giro delle sezioni senza più chiedere a 'Progetti per Berlino' un senso che essa oggettivamente non può dare. Parecchi scivolano via nell 'indifferenza, quasi che 'Progetti per Berlino' parlasse un incomprensibile idioletto. Forse taluni del gruppo a, del b e persino del c raggiungeranno Rotterdam, dove la mostra sarà allestita di nuovo, per valutare se è diminuita o cresciuta la distanza tra progetti e prefissata futura realtà urbana. Vittorio Savi
Le ceramiche medievali delle chiese di Pisa Pisa, Museo Nazionale di San Matteo 10 ottobre-IO dicembre 1981
A partire dal 1969-70, dopo una ricognizione sullo stato dei bacini ceramici medievali inseriti sulle chiese pisane, la Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Pisa ha ritenuto urgente provvedere al loro distacco e sostituzione con copie. Questo programma di 'rimozione conservativa' è giunto finalmente al suo termine, ad eccezione ormai di pochissimi pezzi ancora in situ. Con decisione opportuna, circa 250 ceramiche più significative sono state presentate al Museo Nazionale di San Matteo parallelamente alla pubblicazione, a cura di Graziella Berti e Liana Tongiorgi, del Catalogo scientifico di tutti i bacini (ben 626 tra interi e frammentari) 1 e ad un incontro di studio su il 'argomento, che si è tenuto presso il Teatro Verdi a conclusione dell'iniziativa. La mostra ha ricevuto un successo di pubblico e una risonanza superiori all'ambito locale. Allestita in un ambiente piuttosto in penombra, puntava molto sulla straordinaria qualità e sulla bellezza di alcuni tra i bacini, esposti ali 'interno di vetrinecontenitori nere, dove la luce artificiale suggestivamente ne faceva risaltare l'invetriatura o la smaltatura delle superfici. Su questa illuminazione, cioè sugli inevitabili effetti suggestivi che induceva, si deve avanzare qualche riserva. Ma la scelta è dipesa anche dal fatto che si trattava di un allestimento soltanto provvisorio, alla stregua di un esperimento; mentre l'esposizione definitiva - che è auspicabile avvenga al più presto - potrà e saprà risolvere i problemi di valorizzazione museale di questo complesso di ceramiche con pari efficacia, sfruttando maggiormente e per quanto possibile la luce naturale. Quanto poi al quadro storico e cronologico, XI-XlV sec., e alle aree di provenienza dei materiali - di centri individuati si può parlare solo parzialmente -, tutto ciò nella mostra era affidato in maniera sintetica e chiara ai pannelli e a due tipi di opuscolo (un semplice pieghevole oppure una scheda informativa di 36 pp . non numerate per il visitatore più attento). Ogniqualvolta si ponga mano al distacco di singole parti decorative di un monumento, è doveroso domandarsi se l'operazione è corretta e indispensabile. Nel caso in questione, la documentazione raccolta in vari anni di lavoro da G. Berti e L. Tongiorgi,
e offerta ora nel Catalogo, dimostra che la rimozione conservativa si è imposta come la soluzione certamente più idonea. Se i bacini in migliore o peggiore stato sono appunto 626, i vari documenti di archivio, le fotografie e soprattutto le impronte vuote rimaste su molte chiese e campanili (fig. 1) fanno risalire il loro numero minimo valutabile ad almeno 1873 esemplari. Se ne conservano cioè pressappoco un terzo, a costituire comunque il corpus più notevole e ricco tipologicamente per l'Italia e ndl 'intero bacino mediterraneo. Le ragioni di queste perdite, gravi specialmente nell'ultimo secolo, sono molteplici: dalla crescita di piante negli interstizi dei paramenti murari al crollo degli archetti in mattoni in cui erano inserite le ceramiche (eloquenti in proposito gli esempi del campanile di San Sisto e del transetto di San Martino),2 dall'incuria durante lavori di risistemazione e ripristino passati e recenti al vero e proprio furto.3 Per la prima volta sul lì n ire d eli 'Ottocento la proposta di rimozione era stata caldeggiata da Igino Benvenuto Supino, Regio Ispettore per i Monumenti e le Antichità della città, che in varie circostanze si era rivolto ai competenti organi superiori per l'autorizzazione; ma inutilmente, perché si preferì provvedere con limitati interventi in loco e mediante l'applicazione di piccole grappe metalliche.( Purtroppo già mezzo secolo prima era avvenuto che, giungendo a Pisa nel loro 'Italian Tour', viaggiatori-connoisseurs, come l'inglese C. Drury Fortnum, tentassero di acquistare qualch<: bacino e che addirittura ne ricevessero il consenso da parroci poco scrupolosi o, per lo meno, poco consapevoli.; La ricerca condotta da G. Berti e L. Tongiorgi con appassionato rigore scientifico a Pisa, nonché nel territorio circostante, in Lucchesia e in Corsica, ha dato risultati notevoli in due ambiti distinti, che per l'occasione si sovrappongono illuminandosi a vicenda : quello della ceramica medievale di importazione dall'lslam occidentale o di produzione locale; l'altro degli edifici religiosi pisani dall'XI al XIV sec. Infatti, le cronologie circa la fondazione e le diverse trasformazioni di questi edifici sono basate soprattutto sui caratteri architettonici, dal momento che le fonti archivistiche coeve si dimostrano spesso insufficienti e gli storici dell'arte trascurano di utilizzare a fondo le prove archeologiche, anche quan-
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do disponibili. Bastino pochi esempi al riguardo. A fronte dell'atto di dotazione del 'monasterium S. Mathei' (18 maggio 1027)6,
della cartula venditionis (11 marzo 1029) che sembra citare il 'monasterium S. Zenonis7 oppure del breve recordationis redatto intorno al1046 dall'abate Bono di San Michele in Borgo, che accenna alle vicende dell'edificazione ,8 - tutti documenti preziosi ma rari nella loro specificità,- stanno scavi che rimangono pressoché inediti e per i quali si deve ragionevolmente supporre che siano stati mal condotti. Dell'impianto triabsidato sottostante la chiesa di San Matteo nella sua fase di XII sec. sono note una sommaria descrizione e qualche fotogratìa; però nessun rilievo. Non è chiaro neppure se i frammenti ceramici ivi rinvenuti si riferiscono o meno a una possibile decorazione a bacini di quell'edificio.9
Più complessa indubbiamente la situazione della chiesa di San Zeno, che è stata riportata alle sue forme romaniche in tempi recenti, dopo un lungo restauro.l0 Ma la successione di ben sette fasi edilizie che si è voluto riscontrarvi lascia perplessi, specie per i cosiddetti Edifici I e II rispettivamente romano (?) e altomedievale (?), mancanti di qualsiasi riferimento stratigrafico e di sicuri elementi di datazione. Altrettanto significativo mi sembra il caso della basilica di San Piero a Grado, dove i saggi all'interno, eseguiti dal Sanpaolesi durante gli ampi interventi del 1950-60, non hanno contribuito a risolvere molti dei problemi connessi allo sviluppo di questa chiesa in rapporto alla precedente vita del luogo. Certa è ormai la preesistenza di una piccola basi! i ca triabsidata (V I I I-IX sec.) con orientamento diverso dall'attuale; , e certo è un impianto tardoromano, for-c, mato da ambienti quadrangolari. Per il resto. in mancanza una volta di più dei materiali ceramici e delle stratigrafie, poco si può dire sulla reale continuità di occupazione e sulle funzioni degli ambienti quadrangolari in cui nacque la primitiva aula. identificati con capannoni portuali o scali navali soltanto per la vetusta tradizione dei gradus Arnenses.11 A• restauri ultimati, il Sanpaolesi datò la costruzione di San Piero a Grado agli ultimi anni del X sec., individuandovi i segni di una precocità architettonica rispetto a San Matteo e San Zeno, erette ambedue nel primo quarto del secolo successivo. Tale intervallo è, però, ora contraddetto
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l. C n rt~ di distribuzione delle chiese con bacini (.) a Pisa nei secoli Xl-XIV. Con (o) sono indicate quelle sicuramente prive di bacini: con ( +) le altre oggi scomparse di cui rimangono resti che non permettono di riconoscervi un'eventuale decorazione con ceramiche. (Da G. Berti, L. Tongiorgi 1981, p. 12).
dallo studio delle ceramiche; che per tutte le chiese con bacini ha preso in esame, correttamente, la tecnica di inserzione e gli elementi architettonici ai quali i bacini stessi fanno riferimento. È stato così possibile riconoscere una lenta evoluzione nelle modanature e nella composizione degli archetti e delle lunette scandenti il paramento murario in pietra, come - a partire dalla metà del XI I sec. - in quelle degli archetti in laterizio. La datazione delle progressive modifiche, segnata dai bacini nella loro funzione di 'fossile-guida', permette di elaborare una serie cronologica di grande utilità, in generale, per tutti gli altri edifici religiosi di Pisa. Per tornare a San Piero a Grado, gli archetti a duplice ghiera e gli altri a ghiera semplice delle parti alte della chiesa sono, i primi, strettamente analoghi a quelli di San Zeno e precorrono, i secondi, quelli di Santo Stefano I fase e San Sisto: coerentemente ai bacini dei tipi invetriati policromi, 'a cuerda seca' ecc., databili tra l'inizio e la prima metà dell'XI sec.12
Su quest'aspetto non occorre soffermarsi ulteriormente; ad eccezione forse del caso di San Silvestro, cui è nel Catalogo solo un troppo rapido accenno. Sul lato Nord della navata centrale della chiesa, fondata nel 1118 dai monaci di Montecassino, agli
archetti scolpiti in un blocco unico succede, senza apparente soluzione di continuità, una nuova serie di archetti a profilo curvilineo tagliati in tre pezzi, con chiave di chiusura dell'arco. La modifica, in quanto innovazione nella tecnica edilizia, dovette rispondere a ragioni precise, male apprezzabili a causa dell'intonacatura che ricopre il parametro murario e senza un rilievo architettonico generale dell'elevato, che manca. Tra i motivi si può supporre un'interruzione limitata nei lavori o qualche mutamento all'interno delle maestranze di scalpellini; pur da solo l'indizio è, dunque, non irrilevante per la storia poco documentata della chiesa, dovendosi escludere la scelta dettata dalla ricerca di un nuovo e diverso effetto decorativo.l3
L'altro principale obbiettivo dello studio dei bacini pisani era naturalmente rivolto al loro inquadramento: sia cronologico sia per aree e/o centri di produzione. Grazie all'opportunità dell'esame diretto, tutti gli esemplari sono stati accuratamente schedati, disegnati e raggruppati tenendo conto soprattutto delle forme e delle decorazioni. poiché il basso contenuto di stagno nel rivestimento di molti bacini non lascia decidere tra la semplice vetrina e lo smalto. Anzi, le sgocciolature di smalto su bacini invetriati (ad es. uno monocromo bruno del primo quarto del XII sec., dalla chiesa di Sant'Andrea) ed altri indizi ancora provano chiaramente che alcune botteghe artigiane potevano produrre ambedue i tipi. A Pisa risultano attestate, secondo una successione che in parte è anche cronologica, le seguenti classi ceramiche: invetriata e smaltata islamica di produzione maghrebina e siciliana; (fig. 2) invetriata e smaltata dall'Italia meridionale; (fig. 3) invetriata e smaltata pisana; incisa e a vetrina alcalina; decorata a lustro metallico; ingabbiata. È da notare che la ridottissima presenza delle produzioni incisa e a vetrina alcalina (5 esemplari in tutto, tra metà Xl e prima metà XIII sec.) dimostra come le ceramiche non costituissero una merce di importazione dai paesi del Mediterraneo orientale, presso i quali invece Pisa si riforniva in larga misura di vari prodotti almeno nel corso del XII sec. Per tutte le altre ceramiche che furono ampiamente importate dal Maghreb, dalla Spagna e dalla Sicilia islamica, la classificazione e la cronologia dei bacini pisani diviene senz'altro fondamentale: almeno fino a quando esse non saranno sufficientemente note nei centri di produzione. Purtroppo, tanto per rimanere
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alla Sicilia, non hanno un 'edizione completa ed esauriente le due fornaci arabe impiantatesi sulla villa romana di Piazza Armerina (molto più famosa per i suoi mosaici),14 le quattro fornaci di Agrigento,'s gli scarichi di scarti ed i materiali scoperti a Gela, Palermo e in altre località ancora.'6
Sulla schedatura e la classificazione dei bacini nel Catalogo sono possibili alcune osservazioni marginali: 'note di lettura', che elenco brevemente di seguito. l) Tra i due bacini policromi (nn. 2 e 58), (figg. 4-5) l'uno smaltato e l'altro invetriato, dei primi d eli 'XI sec., decorati eccezionalmente da un uccello e da un animale, il confronto a livello iconografico mi sembra alquanto difficile, se non impossibile.17
Nel primo caso, il quadrupede, con una zampa levata, è indubbiamente un animale fantastico, non collegato con la realtà (si veda la stranissima appendice a lato, cioè 'die-tro' la testa, che però non ha una maschera sul volto, come ipotizzato). Am:he il rapporto con l'uccello dalla lunga coda rettangolare è solo compositivo. Nel secondo caso , sembra di poter riconoscere i caratteri di un gruppo e di una scena vera e propria, in cui un animale in corsa (antilope?) è sorvolato da un uccello dalle ampie ali distese (rapace?), che si appresta a ghermirlo sulla groppa. Perciò solo a questo proposito si può dire, sebbene impropriamente, che l'uccello 'poggia' le zampe sul sottostante animale. 2) Un certo numero di bacini inseriti sulle chiese di San Piero a Grado e di San Sisto recano vari punti metallici a sutura di precedenti fratture, cioè i segni di un restauro antico; 18 altri hanno la base del piede oriva di rivestimento, forse consunta dall'uso; almeno un esemplare infine era già frammentario, allorché fu collocato al suo posto.'9 Queste particolarità menzionate nelle singole schede, ma non discusse nel loro complesso, pur con la clovuta prudenza implicano due fatti. Nell'XI sec., quando la pratica di decorare le chiese con i bacini era ancora agli inizi, in due distinti cantieri edilizi pisani si provvide all'acquisto , insieme ai pezzi nuovi, anche di CP.ramiche usate, 'di seconda mano ': si può ipotizZflre per la scarsa disponibilità sul mercato ùi Pisa o , senza escludere ciò. per il prezzo più ridotto di quest'ultime. Inoltre . questa realtà per alcuni esemplari, dell 'impiego 'secondario' rispetto ad uno precedente come vasellame da mensa di pregio , rende possibile un certo scarto tra la datazione di questi bacini e quella dell 'edificio. Ammes-
2. Bacino smaltato in verde con decorazione in bruno del XII-prima metà Xlii secolo, dalla chiesa di Sant'Andrea. Pisa, Museo Nazionale di San Matteo.
sa tale possibilità in base all'evidenza archeologica, si tratterà poi di esaminarne la probabilità ed eventualmente di definire l'intervallo in questione. 3) In tre diversi gruppi di bacini invetriati policromi, a partire dalla prima metà dell'XI sec., è attestata oltre alle scodelle ed alle ciotole anche una forma atta 'probabilmente a sostenere un coperchio'. Essa si ritrova in un unico esemplare smaltato monocromo, verde bluastro, del primo quarto del Xll sec., il quale secondo il Catalogo farebbe supporre una persistenza dei commerci pisani con i medesimi centri e la produzione in essi anche di ceramiche monocrome, 'in netto contrasto con il fatto che tutti gli altri esemplari più antichi hanno una decorazione pol icroma'.20 Tale deduzione mi sembra non dimostrabile, per l'eccezione che verrebbe così ad introdursi e, in particolare, per le caratteristiche morfologiche dei pezzi , che sono quelle di veri copert"hi o di forme aperte che hanno la 'funzione interscambiabile' di coperchio: cioè le dimensioni abbastanza ridotte (intorno alla ven tina di cm. al massimo) e l'orlo bifido, con un labbro verticale o obliquo internamente che si accompagna ad un alloggiamento esterno. La persistenza della forma è quindi solo apparente e legata alla funzione piuttosto che ad altri motivi interni alle produzioni di un centro. 4) In tutto il Corpus, salvo errori, soltanto
· due bacini della chiesa di Sant'Andrea hanno un segno inciso dopo la cottura sotto
}. Ba~no inve!riato policromo dell'ultimo quarto del X Il secolo, dalla chiesa di San Michele degli Scalzi. Pisa, Museo Nazionale di San Matteo.
il pi~de: due tratti paralleli tagliati obliquamente da un terzo; ed un segno ad H. Di essi sarebbe stato opportuno offrire il disegno, perché dalla descrizione sembrano mollo simili e forse uguali; anzi si potrebbe pensare che siano stati tracciati sul cantiere, tra ttandosi di prodotti diversi: in un caso di un bacino graffito su ingabbio sotto vetri na (n. 221), nell'altro di un bacino impresso a stampo sotto vetrina (n. 233).21
Come accennato all'inizio, la mostra si è conclusa il 12 dicembre 1981 con un breve Incontro di Studio, articolato sulle relazioni di F . Gabrieli, 'Guerra araba e arte araba in Italia'; O. Banti, 'I rapporti tra Pisa e l'Africa settentrionale islamica tra il XII e il XIV secolo'; U. Scerrato, 'I prodotti dell'arte islamica pervenuti in Italia nei secoli XI-X TII '; D. Whitehouse, 'La collezione pisana in riferimento alle produzioni ceramiche dei paesi circummediterranei nei secoli XI-Xlll'; A. Caleca, 'Le chiese di Pisa nei secoli XI-XIV'. Tutte hanno contribuito ad illustrare l'importanza della ricercH sui bacini medievali pisani, nonché ora quelli di San Miniato,22 condotta a termine con rigore scientifico da Graziella Berti e Liana Tongiorgi, alla quale il medesimo Incontro è stato doverosamente dedicato , in seguito alla sua improvvisa scomparsa alla vigilia della pubblicazione del Catalogo pisano. Maurizio Paolctti
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4. Bacino smaltato policromo dell'inizio dell'Xl
secolo, dalla chiesa di San Zeno. Pisa,
Museo Nazionale di San Matteo.
l) G. Berti, L. Tongiorgi, T bacini medievali delle
chiese di Pisa, (Quaderni di Cultura Materiale,
3), Roma, 'L'Erma' di Bretschneider, 1981, pp. 303
c !avv. CCXXIV fin seguito cit. G. Bérti, L. Ton
giorgi 1981].
2) G. Berti, L. Tongiorgi 1981, p. 11 e tavv.
V-VII.
3) Non sembri fuor di luogo ricordare le signifi
cative circostanze di alcune perdite. l bacini che
decoravano i quattro piani del campanile tardo
duecentesco di Santa Caterina furono sostituiti nel
1929-30 con altri monocromi verdi oppure ad imi
tazione del graffito con tocchi verdi e gialli; degli
antichi esemplari , circa 140, si conosce ormai solo
la posizione ricalcata dai nuovi, v. G. Fascetti,
Restauri al campanile di S. Cterina in Pisa, Pisa
1'1.55 e più sinteticamente Idem, in 'Bollettino d 'Ar
te'. XXV, 1931-32, pp. 331-335; G. Corallini, La
chiesa di S. Caterina in Pisa dalle origini ad oggi,
Pisa, 1965, p. 28: G. Berti, L. Tongiorgi 1981, pp.
119-120 e tavv. XXVIII-XXX!, CCXVI-CCXVIIJ.
Durante i notevoli restauri del 1936-38 a lla chie
>a di Santa Cecilia furono aggiunte 1t1 facciata e
.• ul fianco Sud nuove ceramiche di produzione
p i sana del XVI-XVI l sec., mentre furono distac
~ati 16 bacini , forse ritenendoli i più interessanti
tra gli oltre cento dell'edificio. Di essi rimane una
buona, ma pur sempre insufficiente documenta
zione, in alcune fotografie dell'epoca c negli ac-
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quarclli rispettivamente Cecchini e Casini (alcuni
dei quali alla Mostra) , che eseguiti sulle impalcatu
re durante i lavori segnano gli albori a Pisa di un
interesse scientifico per questo tipo di decorazione,
v. G. Casini, l bacini di S. Cecilia in Pisa, in
'Faenza', XXVI, 1938, pp. 51-57 e tavv. Xl-XV; G.
Berti, L. Tongiorgi 1981, pp. 99 e 115-1!6 e tavv.
XXVI, CXXVI , CLIX-CLX, CIC-CCl, CCV, CCXV.
Ed ancora, in occasione del restauro del 1946 al
campanile di San Michele degli Scalzi molti fram
menti di bacini lurono grossolanamente consoli
dati, inglobandoli nel cemento, v. G. Berti, L.
Tongiorgi, La proposta di Gaetano Ballardini per
un corpus c/ei bacini di ceramica dei nostri antichi
monumenti a quaranta anni di distanza, in 'Faen
za ' LXVI, 1980 ( = Atti Convegno Studi Ceramici
in onore di C. Ballardini, Faenza 1978), p. 242 e
tav. Xl.lll [in seguito cit. G. Berti, L. Tongiorgi
l gso] . Più scandaloso il fatto che 4 bacini sul
fianco Sud di San Martino siano andati dispersi
ancora agli inizi degli anni '70 a causa dei la
vori condotti dal Genio Civile al tetto della chiesa,
v. G. Berti, L. Tongiorgi, Ceramica Pisana. Secoli
Xlll-XIV. Pisa 1977, p. 50 nota 32; G. Berti , L.
Tongiorgi 1980, pp. 242-243 e tav. XLIII; G.
Berti, L. Tongiorgi 1981, pp. 131 e 146 con tav. IX.
Concludono questo lungo elenco il furto di due ba
cini non lontano da Pisa, nei pressi di Vecchiano,
v. G . Berti, L. Tongiorgi, Bacini rimossi da un
m11ro della ex-chiesa di San Pietro di Malaventre
(Pisa}, in ' Faenza ', LVI, 1970, pp. 27 e 30 con
t~ v. l II : nonché la stonacatura della facciata di
Santo Stefano, che nel 1972 mise in luce moltis
sime cavità di bacini e, apparentemente, solo 5
fr ammenti molto modesti, v. G. Berti , L. Ton
giorgi , Ceramiche a cobalto e manganese su smalto
bianco (fine X !T-inizio XIII secolo), in Atti V
5. Bacino invetriato policromo dell'inizio dell'Xl
secolo, dalla chiesa di San Piero a Grado.
Pisa, Museo Nazionale di San Matteo.
Con~·egno Internazionale della Ceramica (Albisola
1972), Albisola 1973, pp. 149-190; e G. Berti, L.
Tongiorgi 1981, pp. 39 e 46-48 .
+) G. Berti , L. T ongiorgi 1981, pp. 70-71 e
130-131.
5) C. D . Fortnum, f"otes on the 'Bacini', or Dishes
of Enamelled Earthenware, introduced as Orna
mcnts to the Architecture of some oj the Churches
of ltai)•, in 'Archaeologia', XLII, 1869, pp. 379-
3R6, che narra in prima persona come tentò ini
zialmente con il superiore dei fra ti della chiesa
di San Francesco: 'but my application ( .. . ) for
permission to have one of these plates removed
was met by an excuse, and I was afterwards
tolù that in consequence of the very high prices
that had been given for majolica of late years
these plates are supposcd to be of very great
value'. Riuscì poi ad ottenere dal parroco di
Santa Cecilia una larga porzione di bacino, che
si conserva ora smcmbrata parte all'Ashmolean
Museum di Oxford, parte al British Museum di
Londra e che si integra con il restante frammento
ad invetriatura alcalina (fine XII-prima metà XII I
sec.), rimasto in situ, v. G. Berti, L. Tongiorgi
1981, p. 109, n. 365 e tav. CLXXXVII. Inoltre
Fortnum ebbe altri due bacini probabilmente dal
campanile della medesima chiesa. passati ora al
Victoria and Albert Museum di Londra (inv. 14-
15, 1871), v. A. Lane , Medieval Finds at Al Mina
in North Syria, in 'Archaeologia ' , LXXXVII, 1938,
pp. 48 con fig. SB e 56 e tavv. XXVI, 2, XXV,
5; G. Berti, L. Tongior!!i 191(1. p. 116. nn. (18)-
..... '-
( 19), dove la data della vtstta a Pisa va corretta e retrodatata dal 1870 ad ante il 1860. In generale, preziose notizie ~ull'attività antiquaria e sulla collezione di C, D. Fortnum sono raccolte da l. V. Mallet, Storico e storicismo: Fortnum, Cantagalli c Castellani, in 'Faenza', LXIV, 1978, pp. 37-47 e tavv. XVI-XVIII. 6) Il documento è edito in Regesto della Chiesa di Pisa. a cura di N. Caturegli , (RegestcJ Chartarum ftaliae, XXIV), Romae 1938, pp. 57-58, n. 99;
fondamentale su di esso C. Violante, Nobiltà e chiese nei sl.'co!i XI e XII: la progenie di Ildeberto .A.lbizo e il monastero di San Matteo. (Prime ricerche), in Ade/ und Kirche, (Festschrift G. Tellenbach), Freiburg, Base!, Wien 1968, pp. 259-279 fora ampliato in C. Violante, Economia, società, istituzioni a Pisa nel Medioevo, Bari 1980, pp. 25· 65, par!ic. pp. 25-28]. 7) G . B. Mittarelli, A. Costadoni, Anna/es Camaldulenses ordinis Sancti Benedicti , Il, Venetiis 1756. App. cc. 25-26, n. 11 [in seguito cit. G. B. Mittarelli, A. Costadoni 1756]; la pergamena è ora deteriorata sul margine sin., in corrispondenza del nome purtroppo non più leggibile, v. Carte dell'Archivio di Stato di Pisa. I. (780-1070) , a cura di M. D'Alessandro Nannipieri, (Thesaurus Ecclcsiarum Italiae, VII, 9), Roma 1978, pp. 81-82, n. 30. 8) G. B. Mittarelli, A. Costadoni 1756. App., cc, 123·127, n. 65; cfr. P. Cammarosano, s.v. Bono, in 'Diz. Biogr. Italiani', XII, 1970, pp. 268-270. 9) P. Sanpaolesi, Il Duomo di Pisa e l'architettura romanica toscana delle origini, Pisa 1975, pp. 93-105 c tavv. XLV-XLVIII [in seguito cit. P. Sanpaolesi 1975]; e soprattutto G. Berti, L. Tongiorgi 1981, p. 150, nn. 620·621 e tav. CIL. 10) L. Benvenuti, P. Borghi, Risultati di uno stu· dio sulla chiesa di San Zeno in Pisa, in 'Bollet· tino dell'Accademia degli Euteleti', 36, 1964, pp. 1-17·160 e tavv. XLII-XLVII con grafici I-V; sul restauro e sullo sterro interno Abbazia di S. Zeno in Pisa, a cura di U. Lumini, Pisa 1972, specialmente le foto f.t. non numerate; e poi P. Sanpao· lesi 1'3 75, pp. 105-119 e tavv. LI-LIII. 11) N. Toscanelli , Pisa nell'antichità dalle età preistoriche alla caduta dell'l m pero Romano, III, Pisa !934, pp. 1036-1050; P. Sanpaolesi 1975, pp. 61 -92 e tavv. XXI-XL, XLII-XLIII. 12) G. Berti, L. Tongiorgi 1981, pp. 22-38 e tavv. rell.: da aggiungere alla bibl. ivi citata anche R. Silva, Architettura del secolo Xl nel tempo della riforma pregregoriana in Toscana, in 'Critica d'Ar· te ', XLIV, n.s., 163-165, 1979, pp. 66-92, partic. 66-72. Lì) G. Berti, L Tongiorgi 1981, p. 154 e tav. XI III, 2; per le scarne notizie storiche ed i bacini ìhid .• pp. 66-69 14) G. V. Gentili, Piazza Armerina. Gralldiosa villa r,;mana in contrada 'Casale', in 'Notizie degli Scavi di Antichità', 1950, pp. 334-335 e figg. 31-34; N. Ragona, Le ceramiche arabe del 'Casale' di Piazza Armerina, in 'Faenza', XXXVI, 1950, pp. 124-127; C. Ampolo, A. Carandini , G. Pucci, P . Per..sabene, La l'illa del Casale a Piazza Arme-
-- rina, in 'Mélanges dc l'!Ocole Française de Rome. ,.,. Antiquité', 83, Jg71, App. V, pp. 261-273 . ..t 15) Una preziosa descrizione preliminare delle ce
ramiche rinvenute nelle tre fornaci normanno-sveve e nell'altra attiva durante l'epoca angioino-aragonese è dovuta ad A. Ragona, La ceramica della Sicilia arabo-normanna, in 'Rassegna dell'Istruzione Artistica', I, 2, 1966, pp. 11-26; A. Ragona, Le
fornaci medievali scoperte in Agrigento e l'origi· ne della magiolica in Sicilia, in' Faenza', LI!, 1966, p p. 83-89 e tavv. XXX!f-XXXIII. 16) F. D'Angdo, Recenti rìtrovamenti di ceramiche a Palermo, in 'Faenza', LVIII, 1972, pp. 27-35 e tavv. VIII-XI; A. Ragona, La maìolzca szci· liana dalle origini all'ottocento, Palermo 1975, pp. 17-54 e tavv. 2-9; F. D'Angelo, La ceramica nell'ar· cheologia urbana: Palermo nel basso Medioevo. in La céramique médiévale en Méditerranée occz dentnle. X ·-xv• sièc/es, (Valbonne 1978). Pari> 1980. pp. 175-182; D. Whitehouse, Proto-Maiolica . in 'Faenza', LXVI, 1980 [ = Atti, cit. supra not a 3], pp. 78-79 e tavv. VIII-IX (con bibl. precedente) . 17) Provengono rispettivamente da San Zeno e da San Piero a Grado, v. G. Berti, L. Tongiorgi 1981, pp. 19-20, n. 2 e pp. 34-35, n. 58 con la discussione di pp. 16ì-169 e tavv. LVI-LVII. 18) Sul finire del XVIII sec. la chiesa di San Sisto subì vari e pesanti interventi che interessa· reno anche i bacini, in parte ridipinti. La loro ripulitura durante i restauri del 1920-1939, sebbene a volte troppo radicale, non sembra aver fatto uso di cuciture metalliche, che quindi sono verosimilmente antiche; cfr. G. Berti , L. Tongiorgi 1981, pp. 49-50. 19) G. Berti, L. Tongiorgi 1981, pp. 29-30, n. 34; pp. 35-37, nn. 59-60, 63, 65 e 69 con tavv. CXX, C, LI!, LXVI e LXI (San Piero a Grado); p. 53, nn. 118 e 121; pp. 59-61, nn. 148, 150 e 158 con taH. XCII, LXXIX, CXVTI-CXVIII (San Si sto). Bisogna distinguere invece le ceramiche spezzate o ridotte solo al momento della messa in opera, per le quali v. ibid., p. 154 e tav. XLVIII. 20) G. Berti, L. Tongiorgi 1981, p. 172 e fig. 56; p. 175 e fig. 61; p, 178 e fig. 64 (invetriati); p, 224 e fig. 148 (smaltato). 21) G. Berti, L. Tongiorgi 1981, pp. 77, 79 con tavv. CCVl e CXLII. 22) Contemporaneamente editi, con il patrocinio deila Cassa di Risparmio di San Miniato, in G. Berti, L. Tongiorgi, I bacini ceramici del Duomo di San Miniato, Genova 1981.
Copyright delle illustrazioni
Alinari-Anderson, Firenze; Bernini, San Severino· British Museum, Londra; City Art Gallery, Manchester; Ermitage, Leningrado· Documentation photographique de la Ré~nion des musées nationaux , Parigi; Facoltà di Lettere e Filosofia, Siena; Galleria Colonna, Roma; Galleria Estense, Modena; Giorgio Como , Roma; Grassi, Siena· Istituto Centrale del Restauro, Roma; M~sée des Beaux Arts, Lille; Musée des Beaux Arts, Strasburgo; Museo del Prado, Madrid; National Galleries of Scotland, Edimburgo; National Gallery, Londra; National Gallery (Kress Collection) , Washington; Photonova, Siena; Royal Library, Windsor Castle; Soprintendenza per i beni artistici e storici, Firenze, Pisa, Siena; Sotheby, Londra; Staatliche Graphische Sammlung, Monaco; Szépmi.ivészeti ~uzeum, Budapest; The Art Museum, Pnnceton; The Metropolitan Museum of Art, New York.
F:rrata corrige al n. 28
·Nell'articolo di Stefania Adamo Muscettola. .; Nuove letture borboniche: i Nonii Balbi
ed il Foro di Ercolano, apparso nel n. 28 di ' Prospettiva' (pp. 2-16), vanno segnalati i seguenti errori di cui ci scusiamo con l'Autrice e con i Lettori: p. 4: alle didascalie delle figg. 2 e 3 correg~i Cohin Bellicard in Cochin Bellicard; il nmando a fig. Il sotto la didascalia di fig. 2 va corretto in fig. l O. p. 5: alla fine del primo capoverso manca il rimando a nota 53. In questa pagina, e cosi di seguito, il nome ' grotta' sostituisce il piu corretto spagnolo ' gruta'. Si noti altresi mensa ponderatia per mensa ponderaria. p. 6: si corregga, in ambedue le didascalie, 'bisquit' in 'biscuit', e cosf alla didascaliJ di fig. 9 (p. 7). Nel brano in spagnolo della stessa pagina, con rimando alla nota 76, si corregga 'paroje' in 'paraje'. p. 9: nella didascalia di fig. 16 si corregga 'Nonio Baldo' in ' Nonio Balbo'. p, 12, nota l 7: il rimando in bianco va completato in (v. infra p. 4). p. 14, nota 26: si corregga Ferinandea in Ferdinandea; nota 4 7: si corregga lo spagnolo 'yez' in ' vez'. p. 15, nota 56: si corregga lo spagnolo 'el' in 'en'.
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