Per lo studio di fra Remigio dei Girolami († 1319): "Contra falsos ecclesie professores" cc. 5-37,...

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EMILIO PANELLA OP PER LO STUDIO DI FRA REMIGIO DEI GIROLAMI († 1319) Contra falsos ecclesie professores cc. 5-37 VII centenario della fondazione di S. Maria Novella in Firenze (1279-1979), vol. I Pistoia (Memorie domenicane n. s. 10) 1979, pp. 313 a mia madre Mio primo contributo su Remigio. Tesi di laurea in Lettere, Univ. degli Studi di Firenze, 1977-78, discussa 7.III.1979

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EMILIO PANELLA OP

PER LO STUDIO DI FRA REMIGIO DEI GIROLAMI († 1319)

Contra falsos ecclesie professores cc. 5-37

VII centenario della fondazione

di S. Maria Novella in Firenze (1279-1979), vol. I

Pistoia (Memorie domenicane n. s. 10) 1979, pp. 313

a mia madre

  Mio primo contributo su Remigio. Tesi di laurea in Lettere,Univ. degli Studi di Firenze, 1977-78, discussa 7.III.1979

col prof. Michele Ranchetti (cattedra di Storia della Chiesapresso la Facoltà di Lettere di Firenze, ma non ne avevo

seguito nessun corso. Elio Conti, mio reale professore e concui intendevo discutere la tesi, s'era ammalato e mi suggerì

il nome di Ranchetti, lì accanto alle nostre aule in viadegli Alfani; anzi combinò la cosa tramite un suo

assistente).

Testo poi rielaborato per la stampa, quello qui riprodotto. Antichi percorsi di ricerche ecclesiologiche s'incrociano

(sezione "Contra falsos") con più recenti interessi storico-filologici; non senza qualche disequilibrio redazionale

(spia della svolta in corso?).Libro più da consultare che da leggere.

Repertorio e strumento di lavoro; per me e per ricercatoriremigiani.

 

♦ Presentazione di Armando Verde OP, pp. 7-10 Premessa♦ , pp. 11-14 Abbreviazioni e sigle, pp. 15-16♦

 

INTRODUZIONE

I Alcuni problemi del corpus remigiano, pp. 19-42

 

1. I codici BNF, Conv. soppr. G 4.936, C 4.940, D 1.937| autografia2. Tempo di composizione dei codici3. I trattati del codice C 4.9404. Il Contra falsos ecclesie professores nel codice C 4.940

II  Il «Contra falsos ecclesie professores», pp. 43-78  1. L’“ecclesia” tra sapienza e artefatto

2. Struttura compositiva del Contra falsos3. Collocazione tematica del Contra falsos4. Tentativo di datare il Contra falsos

III

Note sulla documentazione e fonti di Remigio deiGirolami, pp. 79-106

 

♦ Exempla Auctores♦

Mysteria♦

  CONTRA FALSOS ECCLESIE PROFESSORESediz. dei cc. 5-37, pp. 107-151

APPENDICI

I Per la comprensione del Contra falsos, pp. 155-182

 

a.   «Contra falsos» cc. 1-4, 46, 68, 76, 80-82, 97, 99 b.   Indice dei capitoli del Contra falsosc.   Schema generale del Contra falsosd.   Schema speciale dei cc. 5-37 del Contra falsos

II  Contributi alla biografia remigiana, pp. 183-241

 

Premessaa.   L’articolo biografico di fra Remigio dei Girolami | testob.   Remigio uditore di Tommaso d’Aquino?c.   Quando a Parigi come baccelliere sentenziario?d.   Remigio parla di se stesso e.   Cronologia remigiana  (→Nuova )

f.    Il sermone Litera occidit

III  Le opere di fra Remigio dei Girolami, pp. 243-283

 

1. Le testimonianze esterne  a) Cataloghi anteriori alla soppressione napoleonica e dispersione della biblioteca di SMN  b) Identificazione dei codici remigiani dopo la dispersione della biblioteca di SMN2.   Il contributo dei criteri interni3.   False attribuzioni4.   Ci sono tutte pervenute le opere di Remigio?  a) Trattati non pervenuti  b) Fra Remigio dei Girolami autore di Distinctiones5.    Il catalogo delle opere e dei codici remigiani6.   Un frammento autografo di «distinctiones» (lettera A) | testo della Distinctiones

 

Tavole fuori testo I-VIII.♦   Tav. 3, 5b

♦ Fonti manoscritte, pp. 285-286■ In pg. 285 correggi: Necrologio del cimitero della canonica fiorentina, non in Archivio Arcivescovile di Firenze (lì l'avevo consultato la prima volta, febbr. 1979, in prestito e sul tavolo dell'archivista arcivescovile don Calzolai, e in attesa che il Calzolai arrivasse!); aggiornata (2005) segnatura archivistica: Arch. dell’Opera diS. Maria del Fiore di Firenze, I.3.6, Obituario di Santa Reparata.

♦ Bibliografia remigiana, pp. 287-294

♦ Indice dei nomi di persona e di luogo, pp. 295-308

♦ Sommario, pp. 308-313

 

 

BNF, Conv. soppr. D 1.937, f.278v

 mano B mano A

 

 

 

 

 

Presentazione (di Armando Verde O.P.)

<1> Non di rado il succedersi degli eventi, il mutarsi delle situazioni, le modificazioni ambientali, le trasmigrazioni con la conseguente trasformazione dell'habitat umano tolgono a luoghi e ad istituzioni la funzione cardine che hanno avuto nella vita civile di un popolo o di una città, e li riducono al rango di musei: mète di «pellegrinaggi» oppure attrazioni turistiche, ideologicamente sfruttate ed utilitaristicamente ostentate.

Questa sorte non è toccata ai principali luoghi ed edifici che in Firenze, dall'età comunale, esercitano un ruolo propulsore all'interno della vita cittadina. Nonostante lo spandersi, il trasformarsi, l'alterarsi di spazi e di rapporti spaziali, Palazzo Vecchio è tuttora il centro della vita politico-amministrativa cittadina, il Duomo con il suo San Giovanni è ancora il punto di riferimento della cristianità fiorentina, via Larga è pur sempre la strada della grandezza del Magnifico e della Casade' Medici, Arcetri è ancora il luogo da dove si scruta l'immensità astrale, S. Maria Novella tuttora raccoglie nell'ampio suo abbraccio e sotto le sue ariose volte quantia Firenze giungono o per Firenze transitano.

Sono ormai sette secoli. Fundata il 18 ottobre 1279, la chiesa dei domenicani di Firenze ha percorso insieme a tutta la città sette secoli di vita, dai quali non è stata travolta. Così le celebrazioni centenarie non hanno il significato di rievocazione di un passato tramontato, ma vogliono essere la individuazione dei processi attraverso iquali si è andato formando il presente.

<2> «Memorie Domenicane» ha programmato due volumi di studi. Non so se saranno sufficienti ad illustrare l'interopercorso di questi processi, ma sicuramente sono necessari per avviare il cammino, e saranno utili ad intravedere le più lontane direzioni.

Che questo sia l'intento della rivista, e che lo scopo sara raggiunto lo dimostra già questo primo volume, nel quale la scelta dell'argomento, la specialistica trattazione, la competenza tecnica non solo non sono separate dall'impostazione generale del problema, ma da

questo, dalla sua esatta e lucida impostazione, ricevono valore.

Lo studioso domenicano che rivive da «moderno» l'antica questione del ruolo di fra' Remigio dei Girolami, pressato fra le figure di S. Tommaso d'Aquino e di Dante Aligbieri, il padre Emilio Panella, sin dalle prime battute si premuradi avvertire i lettori che Remigio dei Girolami «ha una suapersonalità culturale e originalità politica». Ma l'affermazione, fatta nella Premessa, si impone con forza ed autorità non tanto perché deve sgombrare il terreno da luoghi comuni, quanto piuttosto perché essa costituisce la motivazione di tante fatiche, e la giustificazione del fatto che da fra' Remigio comincia il percorso e la celebrazione. La «personalità culturale e l'originalità politica» stanno per fiorentinità: fra' Remígio occupa un posto notevole nella vita fiorentina « dalla riforma costituzionale di Firenze promossa dal cardinale legato Latino Malabranca, ai sermoni [pronunciati] per i priori della crisi di Giano Della Bella, ai trattati [scritti] De bono pacis e De bono communi al tempo del bando di Parte Bianca, ai sermoni [redatti] per i protagonisti della politica angioina in Toscana e della guerra contro Uguccione della Faggiuola... ». Una partecipazione alla vita fiorentina che inglobava l'interesse agli avvenimenti che si verificavano nel vasto mondo del politico, del civile e dell'ecclesíastico (si legga con attenzione l'importante contributo dato dall'Autore alla bíografia remigiana nell'Appendice Il).

<3> Lo studio «dall'interno» del fiorentino fra' Remigiodei Girolami comincia con la preparazione dell'edizione di un particolare trattato: Contra falsos ecclesie professores. Perché tra tutte le opere, la cui identificazione e catalogazione ha richiesto da parte dell'Autore l'uso di capacità critiche non comuni (si veda l'Appendice III: Le opere di fra' Remigio dei Girolami), la scelta e caduta sul Contra falsos?

La scelta è stata preparata senz'altro dall'attenzíone che su questo trattato posò il grande medievalista Martin

Grabmann. A questi premeva però mettere l'accento sulla questione del potere papale, che era, ed è, una vexata quaestio; all'odierno editore del trattato, ad Emilio Panella invece, preme mettere in risalto «l'originalità dell'ispirazione generale sia in rapporto all'evoluzione del pensiero ecclesiologico che al proposito di dar cittadinanza teologica a tutto il mondo della società medievale»:

«universalitas istius ecclesie - scrive fra' Remigio - intelligitur non solum quantum ad universitatem locorum,puta quia per totum orbem diffunditur; nec solum quantumad universitatem personarum, puta quia de omnibus generibus homínum congregatur; sed etiam quantum ad universitatem notitiarum, puta quia quod pertinet ad omnem notitiam cuiuscumque scientie vel artis in ista ecclesia reperitur» (cap. 1, 20-25); ed il cap. 46 dell'opera s'intitola: «Quomodo invenimus in ea omnes septem artes mechanicas, et primo quantum ad lanificium,et primo quod omnes virtutes sunt vestimenta ecclesie etquod Christus vestit ecclesiam et e converso»; ed il cap. 97: «Qualiter in ecclesia invenitur theatrica sub vocabulo ludicra».

<4> Era integrismo clericale? era la convinzione teologica che lo spirituale deve animare il temporale? era il desiderio di non perdere la propria caratterizzazione cristiana via via che si andavano individuando e coltivandocategorie teoriche e pratiche che già si avvertivano come diverse da quella del «sacro»? Oppure era già allora la moderna tendenza, tutta fiorentina e toscana, e persino post-conciliare, di rovesciare la dimensione del sacro proponendola in veste profana e purtuttavia salvaguardandone le esigenze e persino la struttura in un mutato lessico ed in una originale concettualità?

Se non si possono fare fughe in avanti, a maggior ragione non si possono fare all'indietro. La storia dei «precorrimenti» è stata giustamente bollata da uno dei più grandi storici del pensiero medievale, rinascimentale e moderno, Eugenio Garin, così immerso nella Firenze di ieri

e di oggi. Il p. Panella da parte sua si mantiene rigorosamente sul piano storico: «Certo, è ancora una volta- egli scrive - l'impulso all'universale, tipico del cittadino della res publica christiana. Un atto dunque tutto medievale. Ma non di poco valore storico e non senza originalità, se lo si definisce sia a confronto con un'ecclesiologia ormai monopolizzata dal potere gerarchico centrale che con la svolta culturale della schola». Ma non si può negare - e l'Autore anzi lo evidenzia - che la struttura concettuale ideata da fra' Remigio non solo non ripeteva «la frattura tra la philosophia theorica e l'agire pratico dell'uomo», ma tendeva anzi a superarla. Non si tratta, è certo, di dare un «primato» al frate fiorentino, ma si vuole soltanto capire perché il domenicano del primo Trecento, famoso sinora per essere stato lo scolaro dell'Aquinate ed il supposto maestro dell'Aligbieri, abbia concepito in quel modo la Chiesa, e quali rapporti, egli, uomo del suo tempo, intrecciò con la società fiorentina, che si accingeva a vivere una delle sue più floride stagioni economíco-amministratívo-culturali, e a proporsi come società squisitamente mercantile, creando quel tipo diuomo cosi gustosamente configurato da messer Boccaccio.

<5> Gli studi attuali su fra' Remigio sono lungi dal consentire «una sintesi», ci avverte ancora il Panella. Ma ora che tanto lavoro è stato fatto, ora che i codici sono stati individuati, che la cronologia è stata stabilita, chele opere sono state elencate, che le leggende sono state sgombrate; ora che esce la prima edizione critica di una parte di un'opera così significativa, è necessario operare affinché il cammino editoriale non si arresti qui. Non soltanto è auspicabile, ma è necessario che al Contra falsos seguano i Sermoni, i Trattati, le Postille, ecc.: senza una adeguata edizione delle opere, infatti, non è possibile tracciare la sintesi di una personalità così ricca culturalmente e politicamente cosi originale.

«Memorie Domenicane» ha il merito di aver iniziato l'opera; ora deve avere la costanza di proseguirla ed il senso civico di interessare all'impresa l'intera comunità

culturale fiorentina: l'«universitas» cittadina che, se nonpiù medievale ma modernamente «locale», deve pur sempre essere il punto di riferimento di ogni scientifico progresso.

ARMANDO VERDE O.P.(† 23.XI.2010) 

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Premessa

Remigio di ser Chiaro dei Girolami († 1319), frate domenicano di Santa Maria Novella in Firenze, ha attirato apiù riprese l’interesse ora degli storici della prima scuola tomistica in Italia ora degli studiosi del periodo formativo filosofico-teologico di Dante Alighieri, quando questi frequentava - tra 1291 e 1295 - le «scuole de li religiosi» (Convivio II, 12). Fra Remigio discepolo di Tommaso d’Aquino e maestro di Dante nella schola di SMN?

Non si contesta la portata storica e culturale della domanda. Ma l’ansia tutta puntata sulla risposta ha inclinato storiografia ed ermeneutica remigiane a funzione inserviente ai due ben più illustri nomi. Cosicché lo studio sistematico delle opere del frate fiorentino e delicati problemi biografici hanno sofferto in proporzione inversa all’interesse dimostratogli. Con qualche recente eccezione, come si vedrà. Le conoscenze biografiche si erano arrestate a quanto laboriosamente raccolto un trentennio fa da Stefano Orlandi, che in questo settore beneficiava - oltre a fonti comuni della chronica di SMN e degli Atti dei capitoli provinciali - dei contributi di Vincenzo Fineschi, Pio Tommaso Masetti, Innocenzo Taurisano. Ma anche là dove si dispone di contributi notevoli - penso a Lorenzo Minio-Paluello, a Charles Till

Davis, alle pregevoli edizioni curate da Ovidio Capitani - la lunghissima carriera letteraria di fra Remigio soffre ditroppi spazi vuoti perché si possa valutare con profitto perfino i pochi scritti finora pubblicati e datati. Ricordiamo le parole dell’articolo necrologico: «idem fere vivendi ac scribendi spatium assecutus». Detratto lo scartodell’iperbole, un arco di tempo che va pur sempre dal decennio 1270 all’anno di morte 1319. Nominato predicatore generale nel 1281 - dunque la sua attività oratoria doveva rimontare a non pochi anni addietro - Remigio protrae la sua predicazione fino alla vigilia della morte: l’ultimo sermone databile è indirizzato ai priori cittadini di Firenze in carica nel bimestre mezzo dicembre 1318 mezzo febbraio 1319. Nominato lector nel convento fiorentino quand’ancora diacono - non molto dopo la formazione intellettuale a Parigi a cavallo dei decenni 1260-1270 - eserciterà la carica d’insegnamento per più di quarant’anni. Raccoglie e riordina i propri scritti negli anni 1314-1316, ma i margini dei suoi codici documentano attività oratoria e letteraria posteriore a quegli anni.

Un arco di tempo che copre profonde trasformazioni nell’assetto della penisola: fine dell’impero svevo, avvento della dinastia angioina, rafforzamento dei partiti e governi guelfi, progressivo allineamento del papato alla forza traente del regno di Francia, che maturerà il trasferimento ad Avignone della curia romana. La Toscana sitrova al centro geografico e politico di tali rivolgimenti.La produzione letteraria di Remigio - oratoria e accademica- registra, spesso esplicitamente, fatti persone istituzioni che concorsero in primo piano in tale storia.

E se si restringe l’orizzonte alla vita cittadina della repubblica fiorentina, si ha la sensazione che il medesimo arco di tempo concentri un’accelerazione frenetica di tempie di trasformazioni. Dalla caduta del governo ghibellino alrafforzamento e prevalenza della borghesia urbana, all’istituzione del governo guelfo delle Arti, alle lotte tra le classi dirigenti del governo del Secondo Popolo, alle minacce esterne di Carlo di Valois ed Enrico VII di

Lussemburgo: insomma dal 1267 circa al primo ventennio del Trecento, la Firenze medievale vive il cinquantennio di piùrapida e conflittuale crescita che la sua storia conosca. Ebbene, partecipazione protratta e interventi puntuali di Remigio dei Girolami sono documentati dal tempo della riforma costituzionale di Firenze del cardinal legato Latino Malabranca ai sermoni per i priori cittadini della crisi di Giano della Bella, ai trattati De bono pacis e De bono communi al tempo del bando di Parte Bianca, ai sermoniper i protagonisti della politica angioina in Toscana e della guerra contro Uguccione della Faggiuola.

All’interno dell’istituzione religiosa dell’ordine dei Predicatori, Remigio, più volte membro di capitoli generalie provinciali, priore provinciale egli stesso, sembra ben esprimere la linea evolutiva - dottrinale e istituzionale -che sostenne il forte consolidamento interno e la funzione pubblica dell’ordine domenicano dal generalato d’Umberto daRomans (1254-63) al concilio di Vienne (1311-12); più in particolare nella provincia Romana dei frati Predicatori, il cui territorio era stretto - e conteso ad un tempo - travicarìa imperiale, Patrimonio di san Pietro, regno di Sicilia e Comuni toscani: gli Atti dei capitoli provincialidel tempo non dissimulano del tutto le persistenti spinte di segno opposto che concorrono nella contesa. Il ruolo di Remigio nella vita culturale e dottrinale dello studium fiorentino e perugino, così come la sua partecipazione allavita istituzionale e legislativa dell’ordine, sono ampiamente documentati dai Prologi, dall’Expositio sulla duratalegale delle ordinazioni dei capitoli generali e provinciali, dalla serie di sermoni ai frati e per i capitoli provinciali. Mentre il filone tornistico-parigino scorre prevalentemente negli scritti di scuola quali quodlibeti, questioni, trattati.

Il quadro - come si vede - è sorprendentemente vasto; a motivo, certo, della considerevole estensione della produzione letteraria, unico complesso organico dell’attività della prima discepolanza tomasiana nella

provincia Romana dei frati Predicatori che ci sia pervenuto; ma vasto soprattutto per il necessario e tenace intreccio che stabilisce di volta in volta con le molteplici coesistenze religiose, culturali e politiche entro cui la stessa città di Firenze è costretta - dalla mediazione politica del cardinal Latino alla signorìa di reRoberto d’Angiò - a disciplinare la propria storia.

I termini di siffatto quadro andavano restaurati e attivamente immessi nei propositi delle ricerche remigiane per dissuadere da un’elaborazione storiografica eroico-prosopica che terminasse all’isolamento del “personaggio” (la fortunata trasmissione dei codici remigiani di contro alla lacuna della produzione teologica coeva è permanente lusinga); e per assicurare soprattutto la comprensione di fatti storici, dei ruoli delle persone, dei comportamenti delle pubbliche istituzioni - religiose e civili -, così come della parallela elaborazione intellettuale - dalla teologia politica al modello etico della pubblica predicazione - di cui l’opera di fra Remigio dei Girolami èricchissima testimonianza. E man mano che procede lo spoglio sistematico dei codici remigiani, ci si persuade sempre di più che il lector di SMN, «protorethor e pater universitatis nostre» - come è chiamato nella lettera dei priori di Firenze a Siena (9.I.1313) - ha una sua personalità culturale e originalità politica; che merita, insomma, d’essere studiato e conosciuto dall’interno.

S’imponeva allora un contributo - sia pure affiancato all’edizione d’un testo quale Contra falsos ecclesie professores cc. 5-37 - che non eludesse le questioni d’ermeneutica generale alla base dello studio del frate fiorentino: statuscritico delle opere sia in fatto di recensione (da tempo sisospettava che apocrifi fossero scivolati nei cataloghi deibibliografi) che di forma testuale della loro trasmissione;ricerche biografiche che assicurassero taluni momenti fondamentali della carriera di Remigio, e che riducessero, per quanto possibile, i lunghi vuoti (cronici e topici) della sua biografia.

Il presente lavoro palesemente non presume a una sintesisu Remigio dei Girolami; al contrario, è una ripresa di ricerche propedeutiche. E trae profitto - come si vedrà - dai precedenti studiosi del frate fiorentino. Insieme dunque al Contra falsos cc. 5-37 - che aveva da tempo interessato gli storici di teoria politica ed ecclesiologica medievale - son qui presentati taluni contributi ordinati principalmente su tre piste:

        forma peculiare della trasmissione del testo (Introduzione I);

        problemi biografici (Appendice II);        tentativo di recensione sistematica delle opere

di Remigio (Appendice III), cui è connessa identificazione ed edizione - un testo prezioso, mi sembra - delle Distinctiones bibliche.

Note di ricerca su letture e fonti dirette di Remigio sono rimesse in Introduzione III.

 

Per lo studio..., Pistoia 1979

I Alcuni problemi del corpus remigiano, pp.29-42I.1

I codici BNF, G 4.936, C 4.940, D 1.937 # mano B è dell'autore Remigio |  # aspetto grafologico

I.2

Tempo di composizione dei codici | caso cod. C | rimandi da G a C  | biennio oscillante sul 1315

I.3

I trattati del codice C 4.940  | tabella | criteri cronologici: magister, utilizzazione contenutistica

I.4

Il Contra falsos ecclesie professores nel codice C | rimandi dai sermoni, dai trattati

  BNF, D 1.937, f. 278v

 

 

I.1  I codici BNF, Conv. soppr. G 4.936, C 4.940, D 1.937

I codici menzionati nel nostrotesto vanno sempre intesi, quando non detto altrimenti, del fondo Conventi soppressi della Biblioteca Nazionale di Firenze (BNF) o della

Biblioteca Medicca Laurenziana (BL). Rimandi alle opere edite nel presente lavoro: titolo (e capitolo, secondo il caso) e numero dei righi.

Lo studio dei codici contenenti le opere di frater Remigius Florentinus o fra Remigio di ser Chiaro dei Girolami,domenicano del convento di Santa Maria Novella, è stato avviato da Vincenzo Federici ai primi del '900 (SALVADORI-FEDERICI 19-23). L'attenzione era principalmente rivolta alcod. G; ma la forma peculiare del problema della trasmissione del testo nel caso di fra Remigio (composizione dei codici sotto la supervisione dell'autore e correzione autografa) apriva fruttuosi sviluppi a motivo

 cod. C =BNF, Conv. soppr. C 4.940

 cod. D =BNF, Conv. soppr. D 1.937

 cod. G =BNF, Conv. soppr. G 4.936

delle strette relazioni compositive dei codici e dei frequenti rimandi - come si vedrà - da un codice all'altro.

Sempre a proposito di cod. G, intervenne nel 1912 Francesco Salvatore (Due sermoni inediti  8-11) con brevi ma acute note sul problema della pluralità della scrittura e supposta autografia dell'intero codice. Recenternente il prof. Ovidio Capitani [†Bologna 17.III.2012] è tornato a più riprese sulla questione ed ha ampliato la ricerca ad altri codici, in particolare al cod. C (L'incompiuto 95-110; Il De peccato usure 545-56. Ma vedi anche DAVIS, An early 665 n.32). Questo contiene, oltre a numerosi altri trattati di fra Remigio Fiorentino, il Contra falsos ecclesie professores. Partiamo dunque dalle conclusioni cui sono pervenuti i sostanziosi contributi del Capitani.

Cod. G 4.936

Membranaceo; cm. 21,8x30,6; ff. 410. Contiene Sermones detempore (ff. 1r-242v), Sermones de diversis materiis (ff. 243r-404v), un'Expositio sulle monitiones dei capitoli generali (ff. 405r406v), Rithmi... (ff. 406v-410v). L'explicit di f. 242va, l'incipit di f. 243r, l'indice di f. 409rb attribuiscono tutto il contenuto del codice a frater Remigius Florentinus ordinis Predicatorum. Provenienza SMN (f. 409ra).

La littera textualis a due colonne, di carattere gotico tondeggiante di fine XIII e inizio XIV secolo, è di un'unica mano, convenzionalmente designata - dal Federiciin poi - con la lettera A. Moltissimi gl'interventi, correzioni, note, addirittura sermoni interi in margine alle carte del codice. Quest'ultima sezione di scrittura - designata conenzionalmente mano B - aveva indotto il Federici ad attribuire il testo base di A e le glosse di B ad una medesima mano, poi a identificare quest'unica mano con quella dell'autore, concludendo così all'autografia dell'intero codice.

  Sermone  per   cod. G,f.

1313 giug. fr. Giovanni Tornaquinci A 396v

5

1313 dic. 6 Vieri di Consiglio dei Cerchi A 392v

1314 apr. 14 Clemente V A 379v

1314 lug. 3 fr. Ubertino degli Ardinghi A 397v

1314 nov. 29 Filippo IV il Bello A 387v

1315 ag. 6-11

Filippo principe di Taranto B 353v

1315 ag. 29 Carlo figlio del precedente B 387v

1316 giug. 5 re Luigi X B 388r

1316 ag. 7 Giovanni XXII B 347v1316 ag.14 Ruggeri dei Buondelmonti B 390v       

Consideriamo in sequenza cronologica (vedi Cronologia remigiana alle rispettive date) gli ultimi sermoni nel testoin colonna (mano A) e i susseguenti sermoni aggiunti in margine (mano B):

Il confronto tra testi A e testi B porta a escludere chela scrittura B sia forma senile di A (come sosteneva Federici per appoggiare l'ipotesi dell'unica mano): il cambiamento occorre tutto e repentinamente tra l'ultimo sermone A e il primo B (distanza di nove mesi), mentre non v'è traccia alcuna di lento e progressivo deterioramento d'una medesima scrittura, come pure richiederebbe il caso di senescenza.

Si prospettano dunque altre ipotesi:a) i testi B appartengono a mano diversa da A;b) mentre l'attività dello scrittore del testo base in

colonna (A) si arresta al di qua d'agosto 1315 (termine ante quem), i sermoni scritti integralmente da B non oltrepassano il 1319, anno di morte di fra Remigio;

c) sulla base di taluni rimandi da cod. G ai codd. C e D, e della successione delle mani A e B, il cod. G «deve essere stato scritto tra gli ultimi codici delle opere di Remigio», tra la fine del 1314 e i primi d'agosto 1315 (CAPITANI, L'incompiuto 108);

d) mano B è autografa di fra Remigio: infatti la mano che inserisce i sermoni databili dopo il 1314, è la medesima che ha abbondamente glossato cod. G (ma anche codd. C, D e altri codici contenenti le opere di Remigio); si tratta di glosse di correzione, rimandi, integrazioni, aggiunte spesso di notevole ampiezza, d'interi sermoni. «Quale mano, se non quella di Remigio poteva essere?» (CAPITANI, L'incompiuto 106).

e) Come per gli altri codici, Remigio - cessata per vecchiaia l'attività lettorale - ha fatto opera di supervisione e di correzione nel corso del riordinamento, raccolta e trascrizione delle sue opere. Si ricordi la Cr SMN :

«predicationis ac doctrine onera pre nimia senectute corporisque debilitate ulterius sustinere non valens, adsalubria consilia danda (...) nec non scriptitationi ac compositioni librorum sacrorum, quorum plurima ac perutilia edidit volumina, se totum conferens...» (cf. Append. II-a).

Cod. C 4.940

Membranaceo; cm. 22 x 31; ff. 352. Littera textualis a due colonne della medesima mano di quella di cod. G, eccetto ff. 1r-74r. Provenienza SMN (ff. 1r, 352v). Contiene opere di schola e trattati, che incipit ed explicit delle singole composizioni attribuiscono a frater Remigius Florentinus ordinis Predicatorum.

«Stante la trascrizione del De nomine usure [cod. G, ff. 409v410v, mano B] tra 1314 e 1318-19, possiamo affermare che prima di quel periodo o almeno ai primi anni di quel periodo va datata la trascrizione del De peccato usure nel C 4.940, in considerazione del fatto che la mano (= A), che

aveva trascritto in G 4.936 i sermoni, ha scritto anche unaparte cospicua dei trattati di C 4.940. Appare egualmente plausibile porre la trascrizione di tutti i trattati di C 4.940 o prima del 1314-1319 o ai primi anni di quel periodo, dati i rimandi interni relativi ai trattati, di C 4.940, della stessa mano... : ne consegue che la trascrizione dei trattati contenuti nei primi settantaquattro fogli si deve collocare in un tempo precedente, anche se non di molto» (CAPITANI, Il De peccato usure 549-550).

■ L'argomentazione dell'autore sottintende, se non vado errato, il fatto che De nomine usure in cod. G rimanda a De peccato usure in cod. C. Cf. CAPITANI, L'incompiuto 95 n. 1. Con le conclusioni del Capitani, circa i rapporti tra mano A e mano B, concordano SALVATORE 8-11; DAVIS, An early 665 n. 32.Che cosa pensare delle conclusioni proposte dal

Capitani?Nelle linee di massima, esse ci sono sembrate ben

fondate e si venivano confermando man mano che prendevamo familiarità con i codd. G (Sermones de tempore e de diversis materiis), C (tractatus varii), D (Sermones de sanctis). E a questicodici si riferiscono prevalentemente le nostre considerazioni. Le quali, se pure orientate a illustrare ilContra falsos ecclesie professores, non potevano eludere le questioni critiche dell'unico codice che ce lo ha trasmesso.

Si possono fare ulteriori passi avanti circa le questioni sollevate dalla peculiare forma della traditio textusnel caso di fra Remigio?

Va anzitutto premesso che l'indice di mano B in cod. G, è quanto mai esplicito sulla questione dell'autenticità:

In isto volumine continentur ista opuscola secundum fratrem Remigium Florentinum ordinis Predicatorum (G, f. 409r).Dei cinque sermoni prologali non di Remigio - i due

principia di fratris Tbome [de Aquino], i due di fratris Ani(bal)di (non

Amandi come legge GRABMANN, Ungedruckte 215) e uno d'anonimofratris cuiusdam nomine - si annota coscienziosamente la paternità, sia da A che da B (cod. G, ff, 268v-276v).

La natura e peculiarità delle correzioni in margine, delle integrazioni, i numerosi rimandi da opera a opera, dasermone a sermone, denotano in B una perfetta conoscenza dei contenuti delle opere di Remigio, dei luoghi degli argomenti trattati, delle fonti utilizzate dall'autore. Ma vediamo, più da vicino, i rapporti tra testi B e testi A.

B soprintende al lavoro di A.Difatti B si rivela la mente che ordina il complesso

materiale di cod. G, come del sermonario D: rubrica le sezioni, numera al margine i sermoni, stabilisce raccordi, rinvia a luogo debito, interviene sulle distrazioni di A. Nel caso di cod. G, al tutto fa da guida e da riscontro l'elaborato indice che la stessa mano B scrive a f. 409r. Il sermone Aliud cecidit super petram in morte del cardinale Pietro Ispano è trascritto per errore da A tra i sermoni de tempore, Feria IV in capite ieiunii (cod. G, f. 50r-v); B interviene, espunge il sermone con v a - c a t , annota il rinvio «inter sermones de mortuis  (f. 50rb; marg. d.) e fariscrivere per intero il sermone nel blocco de diversis materiisnella sezione De mortuis in speciali, rubrica De cardinali (ff. 382v-383r). Un caso simile, tra i tanti, per cod. D. Nella serie dei 17 sermoni su Tutti i Santi si trova questa sequenza:

[sermoni I-VIII]IX: Aperiens os suum... Math. 5[,2] (f. 338rb) XVI: Beati pacifici... Math. 5[,9] (f. 338vb) X: Beati pauperes spiritu... Math. 5[,3] (f. 339rb) XI: Beati mites... Math. 5[,4]...A lato di sermone XVI mano B scrive: «iste sermo ponatur

in loco suo» (f. 338vb; marg. d.), cui di fatto fa da richiamo la nota a f. 346r (marg. destro) dopo sermone XV: «Require supra eodem post nonum sermonem». Dal che si deduce: che B soprintende al lavoro di A e decide della corretta numerazione seriale dei sermoni nonostante

l'errata collocazione; che B ha una chiara idea del criterio d'ordinamento di più sermoni per una medesima celebrazione liturgica: i 17 sermoni per Tutti i Santi risultano rigorosamente ordinati secondo la successione deltesto biblico delle beatitudini come in Math. c. 5. Quando il lavoro di A è terminato e B inizia ad aggiungere al margine sermoni interi, questi sono inseriti secondo l'ordine e le rubriche che B aveva fissate per il lavoro diA. Per il cod. C annotiamo il caso dell'indice dei quodlibeti. O che l'amanuense A avesse dimenticato di trascrivere l'indice a fine quodlibeti o che l'indice fossestato redatto a trascrizione avvenuta del De subiecto theologie, sta il fatto che il codice presenta questa sequenza: Quolibet I (ff. 71r-81v), Quolibet II (ff. 81v-90v), De subiecto theologie (ff. 91r-95v), indice degli articoli dei quodlibeti (ff. 95vb-96ra). Ma mano B, con chiaro intento di guida, è intervenuta e ha annotato a inizio del primo quodlibeto, f. 71r, margine superiore: «Tabula super quolibet queras infra post questionem de subiecto theologie que ponitur immediate post quolibet».

B corregge il testo e integra le omissioni di A.Le correzioni sono continue e numerosissime; poche di

mano A, moltissime di mano B. Questi corregge le normali sviste del copista, integra le omissioni, mette a punto le citazioni, spesso integra titolo o numero del libro o del capitolo dell'opera citata.

B inserisce al margine vere e proprie addizioni.Se talvolta non è facile decidere tra giunta e

integrazione d'omissione, in altri casi invece appare evidente che B rielabora il testo, suggerisce alternativa d'esegesi o di divisiones nel caso di sermoni («vel potest exponi..., vel dic..., vel divide...»), oppure aggiunge sermoni interie unità compositive nuove (opuscola, dice l'indice di cod. G).

Nel medesimo tempo, così come si annota l'altrui paternità in caso dei cinque sermoni non di Remigio, B

lascia testimonianza di scrupolosa esattezza. Nel corso delsermone prologale III Ecce descripsi eam dell'anonimo «cuiusdam nomine», dopo alcuni interventi su sviste occorseall'amanuense, B ha cura d'annotare: «ultra non est correctum» (cod. G, f. 272vb; marg. inf.).

Lo scrittore (B) dell'indice di cod. G è lo scrittore delle numerose e sostanziose note marginali a questo e altri codici delle opere di Remigio. Note - come si è detto- che oltre a correzioni, a integrazioni specialistiche nelle citazioni, a svolgimenti alternativi, a una fitta rete di rimandi ad altre opere o sermoni, registrano vere eproprie addizioni. Lo stesso B trascrive per intero il trattato-sermone De nomine usure nelle carte dell'ultimo fascicolo rimaste in bianco, dopo l'indice (cod. G, ff. 409v-410v). Il De nomine usure di mano B in cod. G rinvia e suppone il trattato De peccato usure di mano A in cod. C: «... sicut apparet... sicut diffuse ostenditur in tractatu De peccato usure» (cod. G, f. 409v, 410r). L'uno e l'altro sono «opuscola» di Remigio.

L'attività che mano B ha di fatto dispiegato nei codici in questione (più ampiamente documentabile nei sermonari G e D) non è che l'esercizio di quanto gli explicit di codd. G e D attestano degli intenti, metodo (e apologia!) dell'autore. Ecco in sinossi i due explicit. Quanto vi si dice, peraltro, ha notevole importanza per intendere sia la fattura redazionale dei sermoni sia i caratteri specifici dell'autenticità in fatto di sermonari divenuti pubblici prontuari.

explicit del sermonario detempore cod. G

explicit del sermonario desanctis cod. D

«Expliciunt sermones de tempore per totum |242va| annum fratris Remigii Florentini ordinis Predicatorum magistri in theologia. Inter quos sunt aliquí accuratius editi, multi vero sunt defectuosi et

«Expliciunt sermones de sanctis per totum annum fratris Remigii Florentini ordinis Predicatorum magistri in theologia. Inter quos, sicut dixi de sermonibus de tempore, sunt aliqui accuratius editi, multi vero

diminuti, et nonnulli etiam sunt in ordine partium et membrorum interdum transpositi, et aliquando prius dictorum replicativi, propter diversa ímpedimenta. Sunt et aliqui, licet pauci, ex dictis aliorum inmixti. Quos quidem diligens lector advertat et caritative corrigat et emendet. Et simile dico de sermonibus de sanctis.

Que non depurat scribens bonus alter adurat»(cod. G, f. 242rb-va, mano A).

sunt defectuosi et diminuti, et nonnulli etiam sunt in ordine partium et membrorum immo et se totorum interdum |372va| transpositi et aliquando prius dictorum replicativi propter diversa impedimenta. Sunt etiam aliqui, licet pauci, ex dictisaliorum immixti. Quos quidem diligens lector advertat et caritative corrigat et emendet.

Corrige dil(ec)tor non rodas, te rogo, lector;inspicias rectus pravumque retundito pectus» (cod. D, f. 372rb-va, mano A).

La natura del lavoro, l'estensione degli interventi marginali, l'interdipendenza tra A e B sono tali da postulare la medesima autenticità di quanto, nei codici di Remigio, scritto da A e di quanto scritto da B. In altre parole, testo A e testo B si implicano a vicenda.

Mano B è dell'autore RemigioA rigore si potrebbe ipotizzare l'attività di B come di

persona altra da Remigio. Ma ciò postula a sua volta un terzo personaggio dalle caratteristiche, conoscenze, attività direttiva e compositiva che - svolte in luogo dell'autore - sfiorano la falsificazione; di cui non s'intravedono né motivi né tracce. Mentre, incipit ed explicit dei codici attribuiscono formalmente a Remigio la paternità del contenuto dei codici, perfino del trattato-sermone De nomine usure scritto da B e censito nell'indice; e testimonianze esterne di attribuzione a Remigio si congiungono con testi che documentano mano B al lavoro di 'composizione', come nel caso delle Distinctiones (Append. III §6).

A conferma di quanto sopra, ecco due dati di più specifica e minuta pertinenza al nostro discorso.

a) Nel trattato De via paradisi, dove spesso gli exempla sono riportati in extenso, si trova la seguente nota marginale di mano B: hic fuit erratum per scriptorem quia hoc exemplum positum est supra eodem p(ass)u (cod. C, f. 231vb; marg. destro).

b) Nel corso del sermone prologale VI-bis Si enim sapientiam invocaveris (cod. G, ff. 278v-280v), mano B inserisce a f. 280v, estremo margine sinistro, con segno dirichiamo, un'integrazione di otto righe incolonnate a sinistra. Nella rifilatura del fascicolo (o del codice) l'integrazione subì un taglio dello spazio di una o due lettere all'estremità sinistra della carta. Mano A è intervenuta e ha riscritto per intero il testo di B subito sotto ma più all'interno del foglio. Trascrivo il testo dell'integrazione da B; tra parentesi le lettere cadute peril taglio e integrabili dalla copia di A:

(Sed) beatus Dyonisius dicit, c. 12(A)ngelice Ierarcbie: «Invenies (au)tem quod et deos theo-(l)ogia vocat et celestes super nos substantias(et) apud nos Dei amicissimos et ydone-(o)s sanctos viros». Unde et in Ps. ubi dicitur«(A)dorate eum omnes angeli eius» translatio Ieronimi(hab)et «omnes dii» (cod. G, f. 280v; marg. sin.).

Qualcosa di simile anche in G, f. 401r marg. destro, tutto però lavoro di unica mano: B aveva scritto giunta di 11 righi, lunghi ed esposti al margine destro, e talune delle lettere estreme risultano di fatto resecate.Riscrive identico testo poco sotto in righi un pò più corti, lasciando maggior margine protettivo a destra. I primitivi 11 righi diventano 13! Mi provo a raffigurarlo nella tabella (ma mell'originale le abbreviazioni rendonopari la lunghezza delle righe):

 

Quantum ad primum dicitur Iob 13 Homo natusde muliere bre|

vi vivens tempore. Quantum ad secundumdicitur in Ps. Qui numerat |

multitudinem stellarum etc. Quantum adtertium dicitur in Ps. |

Terminum posuisti quem nontransgredientur neque (...)

(G, f. 401r, marg. d.)

 

 

Quantum ad primum dicitur Iob 13 Homonatus de |

 muliere brevi vivens tempore. Quantumad secundum |

dicitur in Ps. Qui numerat multitudinemstellarum |

etc. Quantum ad tertium dicitur in Ps.Terminum posuisti |

quem non transgredientur neque (...) (G, f. 401r, marg. d.)

   

      

Quanto in a ) prova che mano B (correttore) è persona diversa da mano A (scriptor).

In b ) A ratifica quanto integrato da B rivestendolo della medesima autenticità del testo base del codice.

 

GrafologiaE il caso b ) evoca visivamente l'aspetto grafologico

della questione delle scritture, comparse qui a confronto: un medesimo testo scritto da B e da A, sul medesimo foglio,presumibilmente entro un esiguo intervallo di tempo, quandocioè l'attività delle mani è ancora sincrona.

Le peculiarità della scrittura gotica libraria, a forme tondeggianti, di cod. G sono state descritte dal Federici; che menziona anche forme inconsuete del sistema d'abbreviazione che presenterebbero difficoltà di lettura

(SALVADORI-FEDERICI 20-23). Lo stesso vale per gli altri codici remigiani di mano A. Chi volesse, del resto, confrontare un medesimo passo trascritto da più autori - anche illustri - sarebbe colpito dalle frequenti e non insignificanti varianti di lettura.

Il nostro lavoro al riguardo ha mirato a un'esigenza empirica: stabilire la valenza delle abbreviazioni cui più varie sono le soluzioni di lettura date dagli editori di Remigio. Liste sistematiche di caratteristiche abbreviativee tachigrafiche permettono di fissare le valenze a partire da casi indubbi (per concorrenze grammaticali e sintattiche, comparizione in scritture alternative, citazioni bibliche... ); e confermano un sistema abbreviativo costante. Ne risultano le caratteristiche tachigrafiche peculiari, ed usuali, all'area della produzione filosofico-scolastica. Qualche anomalia o caso incerto permane, e quasi sempre nei brani che copiano citazioni. Esempi si troveranno nell'apparato critico al Contra falsos. Annotiamo soltanto:

-  il numero dei libri biblici è prevalentemente indicato con punto o punti esponenti sul titolo del libro;

-  il testo biblico, dopo le prime parole, è comunementeabbreviato per sigla della lettera iniziale delle singole parole (i casi cui fa riferimento SALVADORI-FEDERICI 22 con«non riesciamo facilmente a classificare nella teoria dell'uso più comune... », riguardano proprio il sistema a sigla usato per le citazioni bibliche);

-  negli esiti plurali dei verbi, coperta dalla contrazione è la vocale dell'indicativo, espressa quella del congiuntivo;

-   a.t. = alia translatio (mentre ve.t. = vetus testamentum); d barrato orizzontalmrnte, e.c., e.t. = distinctio, eodem canone o capitulo, eodem titulo (nelle citazioni dal Corpus Iuris); v(erbum) p(ropositum) rinvia al testo scelto come thema; u(bi) s(upra) = «luogo or ora citato»...

Il confronto tra mano A e mano B conferma sì che entrambe facevano fondamentalmente uso d'uno stesso sistema abbreviativo, comune alla produzione scolastica; ma Bporta contro A caratteristiche distintive proprie sia in fatto di morfologia delle lettere che di peculiarità tachigrafiche. Caratteristiche proprie di B che era doveroso segnalare, perché la tesi

"B persona diversa da A" non tacesse un argomento quale quello grafologico.

Ed ecco alcune caratteristiche morfologiche proprie di mano B contro mano A. Sono riscontrate nelle glosse di B nei soliti tre codici C, D, G; in più, in quelle dei codiciBNF, E 7.938 (De modis rerum), BL 516 (Postille super Cantica Canticorum e Distinctiones). Il controllo può esser condotto sugli esemplari qui riprodotti nelle Tavole fuori testo.

Evidenti e costanti, tra le due mani, le difformità nelle maiuscole quali D, T, Q... ;

u iniziale con funzione di maiuscola ha base tondeggiante a due lobi in mano B, ha base a punta - tipo V- in mano A;

x composta con due tratti curvilinei e addossati in B, con due tratti rettilinei e incrociati in A;

2 (= r dopo o e lettere comportanti a destra curva di o)si prolunga in sottolinea con tratto semiperpendicolare in A, non si prolunga in B;

la nota tironiana per la congiunzione et è composta a due tratti (orizzontale-verticale) in A, a tre tratti (verticale-orizzontale-verticale) in B.

BNF, D 1.937, f. 278v mano B mano A

Si confronti altresì la morfologia dei numeri, specie diquelli arabi.

Differenza prevalente tra le due mani si costata nei segni d'abbreviazione per -ur (tilde con dosso tondeggianteverso l'alto, in mano B; tratto rettilineo orizzontale chiuso ad uncino verso l'alto, in mano A) e per -er (esempio: prevalentemente sp=super con segno d'abbreviazioneperpendicolare in B, con tratto orizzontale in A).

Segno convenzionale proprio di mano B compare per marcare inizio di paragrafo o nuovo membro di divisione (vedi Tavola I rigo 7; Tavola III più volte nella giunta marginale).

Un'ultima nota. Per sostenere l'autografia di tutto il cod. G (identità di persona sotto due varianti di scritturaA e B), il Federici - oltre all'argomento della senescenza - spiega l'inaccuratezza della scrittura B rispetto a quella A, argomentando dal fatto che la prima è solitamentenei margini del codice; qui il lavoro calligrafico (regolarità d'incolonnamento e del ductus delle lettere) contrasta con l'esiguità degli spazi disponibili e la discontinuità temporale degli interventi additivi (SALVADORI-FEDERICI 21).

Nel Laurenziano 516, contenente in ff. 221r-266v le Postille super Cantica Canticorum di fra Remigio, si ha un interessante caso di scrittura B nel testo base. Si tratta esattamente di f. 223r-v. Mano B subentra al copista Y all'ottava riga di f. 223rb e scrive tutto il resto (righe 31) di colonna b; poi passa a f. 223v ma inizia a scrivere a rigo intero; dopo la settima riga, ritorna a incolonnare la scrittura e scrive tre righe in colonna a. Qui cessa il lavoro di B. Subentra il copista Y delle Postille; questi porta a termine colonna a per poi comporre colonna b sotto le prime sette righe intere.

Ora le caratteristiche della scrittura B nel testo base,sono esattamente le stesse delle glosse marginali dei codici remigiani; anzi delle glosse del medesimo Laurenziano 516; perché a f. 223v, con richiamo alla quarta

riga intera del testo, mano B si glossa con una aggiunta almargine sinistro. Dall'altra parte, questo specimen di B allavoro nella littera textualis conferma i tratti propri di mano B sia contro il copista Y di BL 516 (Postille) sia contro la scrittura A dei codd. C, D, G.

Mano B (fra Remigio) non è un calligrafo di professione;conserva i tratti personali del ductus e tradisce la non professionalità non soltanto nelle glosse avventizie dei margini ma anche nel tentativo di scrivere il testo base incolonna (vedi Tavola I).

I.2  Tempo di composizione dei codici

Il caso di cod. G è sufficientemente assodato grazie ai sermoni d'occasione databili (vedi sopra). Una sola precisazione. Il lavoro di trascrizione, opera di A, suppone almeno fine novembre 1314 (sermone in morte di Filippo il Bello) e ha per termine ante quem agosto 1315, quando appunto B comincia a introdurre in margine, nella sezione rispondente alle diversis materiis, nuovi sermoni. Ma al sermone in morte di Filippo il Bello, A aveva già scritto 387 carte sulle 408 del codice che gli appartengono.

Qualcosa di simile si può stabilire anche a proposito dicod. D, ancora quasi inesplorato ma che si rivela ricco d'informazioni utili a mettere ordine alla carriera e alle opere di Remigio.

Cod. D 1.937Membranacco; cm. 22,4x31,1; ff. 406 (407). Scrittura a

due colonne di mano A; moltissime glosse e integrazioni di mano B. Provenienza SMN.

Contiene il sermonario De sanctis diviso in due sezioni: la prima, secondo l'ordine liturgico dell'ordinarium domenicano, include il santorale dal grado simplex in su e festività (ff. 1r-372v); la seconda registra per ordine alfabetico il santorale di trium lectionum in giù (De sanctis

non solempnibus) e santi di celebrazione locale fiorentina (ff. 373r-405r). Vi si trovano sermoni su san Pietro Martire, canonizzato nel 1252; sant'Antonio da Padova, ufficio introdotto nell'ordinarium domenicano nel 1260-62 (MOPH III, 104/14-18, 107-08, 113/32-35); san Luigi IX, canonizzazione 1297, ufficio introdotto nel 1298-1301 (MOPHIII, 289/4-6, 296/32-34, 302/14-15; IV, 21-23); sant'Alessio, introdotto nel 1305-1307 (MOPH IV, 11/7-8, 24/3-5, 28-31). Assenti invece sermoni su san Tommaso d'Aquino (canonizzazione 1323), che vale perentorio termineante quem.

Si possono restringere di più i termini di composizione del sermonario di cod. D? Vediamo.

Sermo IV de beato Çenobio: Ego flos. Cant. 2.Istud verbum congruit vere beato Çenobio ratione sexemplici. Et primo ratione humanitatis in quantum convenit omni viro, iuxta illud Iob 13: «Homo natus etc.qui quasi flos egreditur etc.». Vide in sermonibus defunctorum de papa Clemente V: Omnis potentatus brevis vita [cod. G, ff. 379v-381v; mano A]. Secundo, ratione sanctitatis in quantum... (cod. D, f. 404va; in colonna,mano A).La composizione di cod. D suppone dunque almeno il

14.IV.1314, data di morte di papa Clemente V; suppone anzi maggio del medesimo anno, poiché il sermone Ego flos ha il termine massimo a quo nel 25.V.1314 (festa di san Zanobi in data 25 maggio e ricordata nel corso del sermone, a f. 404vb).

Decollazione di san Giovanni Battista, sermone VI: [L]itera occidit, spiritus autem vivificat. II Cor. 3[,6].Quoniam festum istud venit hoc anno in dominica, ideo volui proponere verbum de epistola dominicali, quod quidem satis videtur convenire beato Iohanni Baptiste etcius martirio...Hec [litera obligationis] facta est de beato Iohanne a patre suo, Luc. 1: «Et postulans pugillarem scripsit

dicens: Iohannes est nomen eius». Quod est nomen gratiosum. Est enim nomen istius pape, propter quod benede eo sperare debemus, tum ratione vocabuli tum etiam ratione numeri, quia XXII, qui scilicet recedit a XXI inquo scilicet significatur omnis imperfectio. Vide supra in sermone de beato Thoma martire: Letabitur iustus in Domino... (cod. D, f. 278r marg. destro, e f. 278v marg.sin.; tutto il sermone di mano B; ed. in Append. II-f).L'epistola II Cor. 3, 4-5, nel calendario domenicano

seguito da Remigio, è di domenica XII dopo la Trinità, corrispondente a domenica XIII dopo Pentecoste nel calendario romano (cf. Ordinarium iuxta ritum ord. fratrum Praedicatorum [1259-1262], ed. F.M. Guerrini, Roma 1921). La ricorrenza di domenica XII con la festa della Decollazione di san Giovanni Battista (29.VIII) suppone nel sermone l'elezione (recente) di papa Giovanni XXII (7.VIII.1316); ed esclude la successiva ricorrenza del 1322, posteriore alla morte di Remigio. Dunque il sermone Litera occidit, inserito da mano B in cod. D, è del 29.VIII.1316. Della serie "In Decollatione beati Iohannis Baptiste" il Litera occidit non è in verità il primo sermone inserito da mano B; esso è preceduto da "In Decollatione b. Iohannis Baptiste, V": Filia Herodiadis petivit, scritto anch'esso tutto da mano B nei margini di f. 277v e f. 278r fino a metà circa del margine destro, là dove appunto inizia il Litera occidit. Ciò fa ragionevolmente supporre che il Filia Herodiadis - senz'altro trascritto prima del Litera occidit - risalga alla festa della Decollazione dell'anno precedente; il che rimetterebbe all'agosto 1315 l'inizio dell'attività di manoB. Ma bisognerebbe poter positivamente escludere che il FiliaHerodiadis sia stato composto e trascritto nel 1316, per anticipare d'un anno - senza residui di dubbio - la fine del lavoro del copista A. Riteniamo dunque il 29.VIII.1316 quale data certa che documenta per la prima volta la comparizione di mano B in sostituzione di mano A.

■ Ma nulla vieta che lo spoglio sistematico del sermonario di cod. D documenti date che raccorcino ancora gli estremi temporali dell'attività di A, cioè di composizione del codice.

In apr. 1984 annotai qui a mano, nella mia copia personale: Dalla lettura sistematica e completa di cod. D, non risultano altre dati utili a restringere la composizione del codice.I termini massimi post e ante quem del lavoro di A alla

scrittura di cod. D risultano maggio 1314 e agosto 1316. Masi noti: Ego flos (ff. 404va-405rb), che suppone maggio 1314,è l'ultimo sermone scritto da A nel voluminoso sermonario di cod. D.

Il caso di cod. C, contenente trattati filosofico-teologici tra cui il Contra falsos, è meno fortunato. Non mi sono imbattuto in elementi interni utili a fissare gli estremi di composizione del codice. Ci possono aiutare i rimandi esterni, cioè da codice a codice?

I rimandi, interni ed esterni, sono frequentissimi in G e D, e vi è stata giustamente attirata l'attenzione. Ma se ne può precipitosamente trarre argomento di successione cronologica nella trascrizione dei codici? Un esempio. L'explicit dei Sermones de tempore in cui Remigio annota e siscusa per la redazione imperfetta di taluni sermoni, termina: «Et simile dico de sermonibus de sanctis» (cod. G,f. 242va; mano A). Questi sono contenuti in cod. D. Si può da ciò inferire che cod. D è stato scritto dal copista A prima di cod. G (così CAPITANI, L'incompiuto 104 n. 1)? La nota dell'explicit regge lo stesso, fossero o no i sermoni de sanctis già trascritti in cod. D. Se poi si confrontano gli explicit dei due sermonari, si sarebbe più propensi a ritenere l'explicit dei Sermones de sanctis [solemnibus] di cod.D («sicut dixi de sermonibus de tempore...») posteriore a quello di cod. G («et simile dico de sermonibus de sanctis»).

Così ci si guarderà da trarre inferenze d'ordine cronologico di trascrizione dai numerosissimi rimandi da sermone a sermone, da sermone a opera o viceversa, quando il rimando è di mano B: dal tempo del riordinamento fino alla morte (ultimo discorso databile è di fine 1318 e inizio 1319) Remigio è venuto annotando i suoi codici; niente di più facile che facesse rimandi da luogo a luogo

per affinità tematica o per segnalare dove il soggetto fosse trattato ex prolesso o più ampiamente svolto. E così è di fatto. Ma a codici scritti, questo si dà anche scavalcando la successione temporale della trascrizione delle opere. E lo stesso va detto dei rimandi, siano pure di mano A, che appaiono a fine opera o sermone.

Ma ci s'imbatte anche in rimandi, per intenderci, tipo A+B, parte cioè di mano A e parte di mano B (quest'ultima trascritta in corsivo): «Circa primum nota quod per argentum intelligitur natura humana, sicut per aurum naturaangelica, ut alibi notatum est, scilicet in sermone Dom. XXIII Ostendite michi nummisma census» (cod. D, f. 279va). Mentre dove occorre una svista del copista ci potrebbe esser provadi successione temporale di trascrizione: «... [ceci] sunt in luce sed non sunt cum luce...; de hoc supra in sermone b. Thome martiris» (cod. G, f. 44va); «supra» è cassato conun tratto di penna trasversale; il sermone per san Tommaso da Canterbury non è scritto «sopra» (cioè in cod. G) ma in cod. D, ff. 57vb ss.

Sermone V di feria IV delleCeneri, Ubi enim est thesaurus tuusibi est cor tuum (Mt. 6,21): «Etsic in penitentia per quam homoqui per peccatum nichil factuserat spiritualiter generatur;primum quod fit in penitentiaest contritio, que scilicetpertinet ad cor, iuxta illud Ps. [50,19]  «Cor contritum ethumiliatum, Deus, non despicies». Vide supra in sermone de sinodo Auferam cor lapideum etc. Item cor est prius nobilitate, sicut patet per Philosophum, quod est contra Galienum. Vide supra in secundo quolibet» (cod. G4, ff. 50vb-51ra).

Ai fini d'inferire successione cronologica, i rimandi vanno vagliati dunque caso per caso, secondo l'incastro redazionale del singolo rimando.

Il «supra» dopo il primo «Vide» è cassato; di fatto il sermone Auferam è trascritto nel medesimo sermonario non «supra» ma «infra», ff. 247ra-250ra; "de sinodo" è giunta dimano B. Cassato anche il «supra» dopo il secondo «Vide»; il rinvio infatti va aQuol. II,10, trascritto non in cod. G4 ma in cod. C.

Si prenda il caso eloquente del sermone in morte di Clemente V (20.IV.1314) Omnis potentatus in cod. G, ff. 379vb-381va, tutto di mano A, con tre rimandi anch'essi nella littera textualis di A:

1. «... Vide in sermonibus de defunctis, de episcopo fiorentino Pontifex ex hominibus assumptus» (f . 379vb): = in cod. G, ff. 384va-385va; in morte del vescovo Lottieri della Tosa (23.IV.1309).2. «Vide in tractatu De via paradisi in primo passu» (f. 380ra):= in cod. C, ff. 207r ss.3. «et vide in sermone sanctorum Cosme et Damiani» (f. 380ra):= in cod. D, ff. 301vb-306va.Il rimando non prova che le tre composizioni fossero già

trascritte nei rispettivi codici in cui oggi noi le leggiamo. Il sermone Pontifex non era ancora trascritto quando A scriveva il rimando numero 1; lo trascriverà lo stesso A poche carte appresso, a ff. 384v-385v. Parimenti il rimando al De via paradisi - ultimo trattato contenuto in cod. C - non permette d'inferire che nell'aprile 1314 il cod. C fosse già scritto.

Ecco, in ogni caso, una lista di rimandi da cod. G a cod. C come mi è occorso di annotare. Non sarà inutile tenerla presente erimetterla, eventualmente, a più meditato giudizio. La freccia →sta per «rimanda a»; tra parentesi tonde segnalo che il rimando è di mano B.

cod. G ff. rimandi da cod. G a cod.C

in cod. Cff.

30va → Contra falsos 154v-196v192vb → De peccato usure 109r-124r201v, mg. inf. (B)

→ De via paradisi (in I passu)

 207r-353/2v

227vb → Contra falsos 154v-196v

252va → De via paradisi (in I passu)

207r-353/2v

280vb (A+B) → Divisio scientie(?) («in 1r-7r

tractatu de divisione gererali scientie»)

376rb, mg.d. (B) → De via paradisi (in IV passu)

207r-353/2v

380ra → De via paradisi 207r-353/2v

409v (B) e 410rb(B) → De peccato usure 109r-124r

     

Non mi sono imbattuto in rimandi da cod. C a cod. G. Ecco invece un rimando da cod. C a cod. D:

... iuxta illud Io. 3 «Sic Deus dilexit mundum...». In cuius expositione ostenditur intensissimus amor, sicut alibi ostensum est, [B integra al marg.:] scilicet in sermone secunde ferie post Pentecosten Sic Deus dilexit etc.(cod. C, f. 222rb; dal De via paradisi).Il sermone Sic Deus dilexit si trova appunto in cod. D, ff .

194vb-198rb, nel testo di mano A. Ma la parte dovuta a B nel rimando in questione (rimando tipo A+B) dissuade dal concludere che almeno il De via paradisi, ultimo trattato in cod. C, è posteriore agli anni in cui A trascriveva cod. D.

Che cosa si può concludere allora circa il tempo di composizione del codice C?

Il copista, designato mano A, lavorava tra fine 1314 e agosto 1315 alla scrittura di cod. G; tra maggio 1314 e agosto 1316, alla scrittura di cod. D. Sul fatto che cod. Cè scritto dalla medesima mano A (eccetto i primi 74 fogli),si può verosimilmente supporre che uno scrittore fosse nell'arco di quegli anni a disposizione di Remigio per l'opera di riordinamento e trascrizione delle opere. Di tale scrittoio e del lavoro di quegli anni è frutto, con molta probabilità, anche il cod. C.

Questo non esclude che del medesimo scrittoio e tempo siano frutto anche altri codici remigiani (cod. G 3.465, contenente Extractio questionum, è anch'esso scritto da mano A: Append. III §2); ma qui ci si limita ai tre codici di

cui è parola. Semmai gli anni 1314-16 (riordinamento delle opere e trascrizione dei codici) possono risultare utili per un altro dato biografico di Remigio. Ormai avanti neglianni - dice la Cronica fratrum di SMN - e non più abile all'insegnamento e alla predicazione, Remigio si dedicò «scriptitationi ac compositioni librorum sacrorum». Quel biennio oscillante sul 1315 potrebbe bene interpretare la fine del lettorato, durato «40 anni e più» (non 42: vedi Append. II-a). L'inizio del lettorato non lo si ottiene sottraendo durata del lettorato all'anno di morte (cf. ORLANDI, Necrologio I, 277) ma all'anno di cessazione dell'insegnamento, visto che questo non si protrasse fino alla morte.

 

I.3  I trattati del codice C 4.940

Abbiamo parlato di “composizione dei codici”, ovvero loro confezione e trascrizione. Questione ben distinta dalla datazione o tempo di composizione delle singole opere. La successione topica dei trattati in cod. C, la nota negli explicit «frater Remigius magister in theologia», i rimandi interni al codice da trattato a trattato possono risultare utili alla cronologia dei trattati remigiani?

■ Per non intralciare il discorso, uso qui «trattato» in senso generico, mentre si dovrà ben distinguere generi letterari quali determinatio, questio ecc. Un accurato incipitario ed explicitario di cod. C: CAPITANI, L'incompiuto 129-34, dove si annotano anche gli errori in GRABMANN, Frà Remigio (trasmessi a GLORIEUX, Répertoire e La littérature) e in ORLANDI, Necrologio.Sarà opportuno partire con in mano tutti i dati della

questione. Nella seguente tavola si ha la lista delle opere di cod. C con indicazione del foglio d'inizio; segue segno « - » o « + » che sta per «assenza» o

«presenza» della nota magister in theologia nell'explicit delrispettivo trattato; foglio del rimando; luogo cui si rimanda preceduto da →. Con « = » si segnala «pericope comune con». All'estrema sinistra il numero seriale dei trattati: esso è scritto nel codice (da mano coeva, mi sembra) all'estremo margine alto d'ogni retto di carta e ripetuto per tutto il corso del trattato.

BNF, C 4.940n°1

f.1r Divisio scientie ▬  

2 7r De uno esse in Christo ▬  

3 11v De mixtione elementorum in mixto ▬  

4 17v De modis rerum ▬  5 71r Quolibet I ▬  

6 81v Quolibet II ▬ «apud Perusium in curia»; f. 81vb → Quol. I

7 91r De subíecto theologie ▬ a Parigi durante il baccellierato sentenziario

8 97r De bono comuni

ff. 99vb-100ra = De bono pacis f. 107rb-va;101ra  →  De modis rerum105va  → Contra falsos c. 76

9 106v De bono pacis cita «Quod olim» (12.V.1304)

10 109r De peccato usure 122vb  →  «specialem tractatum»

sul peccato: De malo peccati?

11 124v De contrarietate peccati 128rb  →  De peccato usure

[12]

130v

Utrum sit licitum vendere mercationes ad terminum temporis

▬ 131ra (fine) →  De peccato usure

13 131v

De mutabilitate et immutabilitate

 

14 135v Speculum 146ra: suppone conflitto Bianchi-Neri

di Firenze

15 154v

Contra falsos ecclesie professores

154vb  →  De divisione scientie

16 197 De misericordia ▬ 204ra  →  De bono comuni

v 206rb  →  De cruce

─ 206r

De iustitia (abest explicit)   suppone De misericordia

17 207r De via paradisi  

  352v fine codice    

Primo criterio di discrimine cronologico: titolo magisterin theologia.

Ricordiamo che contro la testimonianza di Bernardo di Guido da Limoges († 1331; MOPH XXII, 131; vedi Append. II-a) il conferimento del magistero a Remigio va rimesso non a Bonifacio VIII ma a Benedetto XI. Militano a favore di quest'ultimo due documenti che rivendicano precedenza suBernardo di Guido: la Cronica fratrum di SMN e la testimonianza dello stesso Remigio nel ritmo Ad Urbem.

I trattati entro i primi 74 fogli (nn. 1-5) non recano mai magister nell'explicit; e si potrebbe supporre che il copista X non facesse caso al titolo magistrale di Remigio.Ma nei trattati nn. 6-17 di mano A, la nota magister si alterna. Il conferimento del magistero (entro gli estremi del pontificato di papa Benedetto: 22.X.1303  7.VII.1304) non potrebbe servire quale discrimine per un primo ordinamento cronologico dei trattati: termini ante e post quem? Il copista, in conclusione, trascriverebbe opere composte in tempi diversi registrando fedelmente presenza, o no, del titolo magister (così CAPITANI, Il De pecc. us. 552-53).

Si può considerare assodata, perlomeno probabile, la conclusione che la tavola precedente a prima vista invita atrarre?

Prima annotazione. La conclusione suppone che l'esemplare da cui è tratto il nostro apografo marcasse presenza o assenza di magister. Ora se l'esemplare fosse a sua volta opera di copista diverso da Remigio, la verifica del significato della nota magister sarebbe respinta all'indietro e per di più senza controparte documentaria su

cui portare la verifica. Se, al contrario, l'esemplare fosse stato autografo di Remigio, dovremmo costatare la regolarità di costui nel marcare o no magister sul discrimine cronologico del conseguimento del titolo magistrale.

Ora negl'incipit dei trattati di cod. C, mai compare magister; il che fa difficoltà alla tesi proposta sia che gl'incipit siano di mano B (e alcuni lo sono) che di mano A. Nell'indice di cod. G, f. 409r, posteriore al titolo magistrale, B tralascia magister.

Seconda annotazione. La regolarità dell'uso, e dunque del significato, della nota magister non si riscontra neppure in A. L'explicit del sermonario de tempore (cod. G, f. 242rb-va, mano A) ha magister; il successivo incipit dei Sermones de diversis materiis (cod. G, f. 243r) scritto per intero da B e da A, non porta magister. L'explicit dei Sermones de sanctis per totum annum (cod. D, f. 372rb, mano A) porta magister; il successivo incipit dei Sermones de sanctis non solempnibus (cod. D, f. 373ra; mano A?) non porta magister.

Il significato della presenza e assenza di magister ai fini di datazione non appare chiaro. E bisogna rammaricarsene, perche gli estremi temporali del conferimento del magistero potevano costituire un formidabile ausilio a una prima cronologia dei trattati remigiani.

Si dirà che il caso di trattati è diverso da quello di sermonari, blocchi contenenti centinaia di sermoni. Restiamo allora all'interno del cod. C e introduciamo il secondo criterio, i rimandi interni al codice stesso.

La determinatio sulla vendita a termine (n° 12) ha il seguente explicit:

«Explicit brevis determinatio secundum fratrem Remigium Florentinum ordinis Predicatorum. Super quo diffusiorem tractatum require ab eodem De peccato usure» (cod. C, f. 131r; mano A).

Manca magister, che è presente invece nell'explicit del De peccato usure (n° 10; e su questo elemento il CAPITANI, De pecc. us. 555, propone la data di composizione del De peccato usure dopo il titolo magistrale, tra 1305-1306 e 1315-1317).Ma noi stessi abbiamo messo in guardia da uso precipitoso dei rimandi a scopo cronologico; specie dei rimandi a fine trattato, facilmente inseribili al tempo del riordinamento e trascrizione dei codici, "rimandi di consultazione".

Rimandi d'utilizzazione contenutisticaMa taluni rimandi implicanti utilizzazione

contenutistica, scritti nel corpo del trattato, inseriti nel discorso che sviluppa specifico tema, regolarmente trascritti da mano A entro la continuità della littera textualis, mi sembrano di valore qualitativamente diverso. Non semplici rimandi=rinvii (tipo «de hoc vide in...»), ma utilizzazione contenutistica di opera anteriore. Tali cioè da ben sostenere rapporti di successione temporale tra le due opere. Esaminiamone alcuni.

Quolibet II, a. 1: Utrum Deus possit facere quod materia actu existat sine forma.[Dopo aver introdotto otto argomenti contrari alla questio:] Contra. Deus non potest facere contradictoria esse simul; sed existere materiam sine forma actu implicat contradictionem, quia forma est actus et sicut erit actu<s>.Responsio. Dicendum ad questionem et ad tria argumenta sicut in precedenti quolibet dictum est.Ad quartum dicendum... (cod. C, f. 81vb; mano A).Si dirà che «in precedenti quolibet» implica solo

precedenza topica nel codice? che tutto il materiale originale della responsio e dei primi tre argomenti «può» essere stato soppresso, solo perché «i rinvii interni... possono essere stati introdotti al momento della raccolta dei vari trattati» (CAPITANI, Il De pecc. us. 555)? Ma un rinvio a opera “precedente” per esimersi da ripetizioni, incoerenza redazionale e in omogeneità di scrittura A, è il

modo più lineare d'assicurare la semantica del testo. La spiegazione ha comunque precedenza ermeneutica finché non sorga evidenza, o fondato sospetto, che la «possibilità» dell'intervento al tempo della trascrizione sia di fatto occorsa.

Ma vediamo la concatenazione della serie seguente.De iustitia inizia così:Cum De misericordia tractatum fecerimus, rationale satis videtur ut offerente se oportunitate loquendi etiam de iustitia aliquid quantum Sol iustitie concesserit disseramus (cod. C, f. 206rb; mano A).De misericordia c. 19 (sulla misericordia per il Comune o

Città-stato):... Unde ordinatus civis in misericordia exponit se morti pro defensione sui comunis. Exemplum de Codro regeAtheniensium in Valerio, l(ibro), c(apitulo), require intractatu De bono comuni. Sicut manus… (cod. C, f. 204ra).■ Testo irriconoscibile nell'edizione: «Exemplum de Codro rege Atheniensium. In valio loci citati, require...» (ed. SAMARITANI200). Il rimando è a De bono comuni, cod. C, f. 98va. In De via paradisi capita di vedere mano B aggiungere, sempre da Valerio Massimo (Dictorum factorumque ... ), l'exemplum d'Alessandro e città di Lapsaco con completa corretta citazione: «ut narrat Valerius, lib. VI, c. 3» (cod. C, f. 223v; marg. infer., mano B).De bono comuni (obiezione III, sezione «quantum ad

obiectum»):Tertio sic. Vita bona solitaria prefertur vite civili, sicut multipliciter ostendimus in tractatu Contra falsos ecclesie professores; sed vita solitaria refertur ad amorem sui, civilis autem ad amorem comunis; ergo etc.Et dicendum quod... (cod. C, f. 105va; mano A). Il rimando è a Contra falsos c. 76.■ Ed. DE MATTEIS 47 stampa un nonsenso: «sed vita solitaria refertur ad amorem sui civilis aut ad amoremcommunis ergo, etc.».

Contra falsos ecclesie prolessores c. 1. L'ultimo paragrafo dà prima la divisione generale del trattato per ordine di artie scienze, poi dà la suddivisione speciale delle arti liberali; tra la prima e la seconda si legge:

Si quis autem ordinem artificialem magis scientiarum requirit, videat in tractatu nostro De divisione scientie (Contra falsos 1, 30-31: Append. I-a).La qualità di questi rimandi persuade, a mio avviso, un rapporto

cronologico di composizione dei trattati stessi. La lista dei trattati riscritta secondo priorità temporale darebbe la serie come in tabella.

De divisione scientie ▬Contra falsos

De bono comuni

De misericordia ▬De iustitia  (abest explicit)  

Il criterio della nota magister negli explicit e il criterio interno dei rimandi-utilizzazione risultano dunquepalesemente irriducibili. Il De misericordia sarebbe anterioreal conferimento del magistero (ott. 1303 - luglio 1304) peril primo criterio; sarebbe posteriore al Contra falsos e al De bono comuni per l'altro criterio.

Per i motivi e i dati suesposti, bisogna concludere che la preferenza non può che cadere sui risultati offerti dai criteri interni. Il rimando-utilizzazione fa argomento cronologico, così come la citazione d'un documento esterno datato (lo si vedrà subito per il De bono pacis), quando sia immune dal sospetto d'interpolazione al tempo della trascrizione dei codici.

■→ Ripresa e sviluppo della questione in Un'introduzione alla filosofia (1981), §2: Cronologia delle opere di cod. C 4.940http://www.e-theca.net/emiliopanella/remigio/8100.htmhttp://www.smn.it/emiliopanella/remigio/8100.htm

I.4  Il Contra falsos ecclesie professores nel codice C 4.940

E veniamo al Contra falsos. Annotiamo anzitutto qualche rimando dai sermonari.

De beato Nicholao, V: Laudate eum omnes populi. Ps. [116,1].... ut vere possit dicere illud Ps.: «Laus mea in ecclesia magna», idest in ecclesia catholica; que quomodo sit magna vide in tractatu Contra falsos ecclesie professores. Unde parvi cantant in scolis in Francia: «Ergo laus Nicholao concinet hec contio». Et ecclesia cantat de eo: «O per omnia laudabilem virum etc.» (cod. D, f. 13v; marg. inf ., mano A).

Dom. II post oct. Epiph., I: Nolite esse prudentes apud vosmetipsos. Rom. 12.Circa quod nota quod prudentia etc. Vide in tractatu Contra falsos ecclesie professores (cod. G, f. 30va, mano A; segue subito sermo II).Appunto di sermone che rinvia al Contra falsos (cc. 47.54.88) come fonte utile per un sermone sulla prudenza

Dom. XXI, sermo II: Accipite armaturam Dei. Eph. 6. «Dividesicut in precedenti dominica, et nota quod est triplex genus armorum Dei, scilicet virtutes, verba divina et orationes. Et de hiis vide in tractatu Contra falsos ecclesieprofessores, et in tractatu De virtute Cbristi» (cod. G, f. 227vb; mano A). Rinvia a Contra falsos cc. 50-57. Per il De virtute Cbristi vedi Un'introduzione, §4: Ci sono tutte pervenute le opere di Remigio?, →lista aggiornata dei trattati non pervenuti.

Sermo prologalis XIV. Homines divites in virtute

De beata Agnete, I: Veni in ortum meum... Circa tertium nota quod cultor et ortolanus et fons et fructus istius orti est ipse Christus. Vide in tractatu Contra falsos ecclesie professores (cod. D, f. 87r, marg. inf., A). Rinviaa Contra falsos c. 90.

Nessun elemento, purtroppo, per datare i sermoni. Se ne può solo dedurre che quando mano A lavorava ai cod. G e D (1314-1315) il trattato Contra falsos era già stato composto.

E conosciamo già il passo del De bono comuni che, all'interno di cod. C, rimanda al Contra falsos. La trattazione e l'elogio della vita solitaria è introdotta daRemigio nella sezione del Contra falsos (c. 76, ff. 186rb-187rb) riservata all'ars mechanica che è l'agricoltura,ed innestata esattamente sulla metafora ecclesia=silva. Schemadella trattazione: silva è detta da Silo, da Silen, da solitudo. Quest'ultima è nella chiesa: a) «secundum intentionem», ed è di necessità; b) «secundum conversationem», ed è di perfezione.Il clima del De bono comuni richiamava ai conflitti politici della repubblica fiorentina. L'evocazione della vita solitaria come in Contrafalsos è eloquentemente messa in bocca all'obiettante (obiezione III della sezione «quantum ad obiectum»). La risposta di Remigio, benché succinta, è importante: perché testimonia spostamento d'accento, e forse d'evoluzione, nelvalutare il rapporto vita solitaria - vita civilis; e perché confermache quando dibatteva la teoria politica su misura del comune di Firenze nel De bono comuni, il Contra falsos (almeno il c. 76 sulla vita solitaria) era già composto: «sicut multipliciter ostendimus in tractatu Contra falsos...».

«Almeno il c. 76». E certo ciò non implica necessariamente la composizione di tutte le pericopi di tutto il Contra falsos. Ma se si getta uno sguardo allo schemadel trattato (Append. I-c), alla sezione dell'agricoltura inserita tra le arti meccaniche, alle arti meccaniche controparti simmetriche delle arti liberali, alla chiarezzadelle intenzioni compositive espresse fin da c. 1, ci si convincerà che c. 76 suppone l'intelaiatura fittissima e coerente della costruzione del Contra falsos nel suo insieme.

Il De bono comuni suppone, secondo L. Minio-Paluello (Remigio p. 59) e Ch. T. Davis (An early 668 a), il bando del1302; così come il De bono pacis, intimamente connesso al precedente, cita e suppone la bolla Quod olim (13.V.1304) di

Benedetto XI. Il tempo di composizione del De bono comuni e De bono pacis stabiliscono un altro termine ante quem del Contra falsos.

■ «The topical references to the upheavals of 1302, the year which brought exile to Dante and disaster to Remigio's family, date this treatise [= De bono communi] within a very short space of time» (MINIO-PALUELLO 59); «soon after the expulsion of the Whites in 1302» (DAVIS, An early 668 a). Per il De bono pacis: «The treatise musi be dated after the bull Quod olim ofBenedici XI (13 May 1304), sine this is cited by Remigio» (DAVIS, Remigio 108; An early 670 n. 58). Cf. De bono pacis, ed. DAVIS 132; ed. DE MATTEIS 66. Forse tra maggio e giugno dello stesso anno 1304? (DAVIS, Remigio 109). Consentono CAPITANI, Il De pecc. us. 554n. 74; DE MATTEIS CXVII-CXVIII.■ Il valore cronologico del rimando è sostenuto da Ch.T. Davis, An early 676 n. 105: «The treatise [Contra falsos] was certainly written before 1304 and probably earlier». Minio-Paluello, Remigio 57 n. 5: «The terminus ad quem of this work [Contra falsos] is determined by the reference in the De bono communi (f.105v) which must belong to 1302-1303»; o 1303-04 per CAPITANI, Il De pecc. us. 555). M. MACCARRONE, Vicarius 150 n. 128, porta al 1298 il terminus ante quem del Contra falsos; ma, come si vedrà, per tutt'altre considerazioni.Ricordiamo: il considerevole corpus remigiano è ancoraintatto nel suo grosso, se si eccettuano i pochi trattati editi e i sermoni d'occasione. Uno spoglio sistematico, soprattutto dei sermonari, potrebbe raccogliere non pochi dati per ordinare il curriculum accademico e produttivo di Remigio.

Restano gli eventuali contributi della critica interna. Ma di essi si farà parola ad analisi compiuta del Contra falsos (Intr. II.4).

  Per lo studio..., Pistoia 1979

II Il «Contra falsos ecclesie professores» (= CF),pp. 43-78

II.1 L’“ecclesia” tra sapienza e artefattoII.2 Struttura compositiva del Contra falsos

II.3 Collocazione tematica del Contra falsos II.4 Tentativo di datare il Contra falsos | conclusione

 

■ Contra falsos posteriore a Divisio scientie; anteriorecertamente al De bono comuni (fine 1301), molto verosimilmente anche al Liber sextus (3.III.1298) di Bonifacio VIII  |  Tamburini

II.1 L’“ecclesia” tra sapienza e artefatto

Il merito d’aver per primo richiamato l’attenzione sul Contra falsos (= CF) va a Martin Grabmann. Le segnalazioni cadevano prevalentemente sulla sezione del trattato dedicata alla disputa del potere papale. Ma sarebbe ingiusto ignorare la costruzione e lo spirito del trattato nel suo insieme. L’Appendice I mira a dare un quadro quanto più ampio possibile dell’ispirazione, della costruzione e dei temi del grosso trattato che è il CF. E a nessuno sfugge l’originalità dell’ispirazione generale sia in rapporto all’evoluzione del pensiero ecclesiologico che al proposito di dar cittadinanza teologica a tutto il mondo della società tardo-medievale. La sapienza di fede, le scienze (arti liberali e naturali), l’agire etico, l’attività produttiva dell’uomo (il facere delle arti meccaniche): tutto è raccolto nella ecclesia, con gesto universale e congruo nel medesimo tempo; nella ecclesia, comenella casa comune e consueta dell’uomo medievale.

Certo, è ancora una volta l’impulso all’universale, tipico del cittadino della respublica christiana. Un atto dunque tutto medievale. Ma non di poco valore storico e nonsenza originalità, se lo si definisce sia a confronto con un’ecclesiologia ormai monopolizzata dal potere gerarchico centrale (cf. Y. CONGAR, L’Eglise de st. Augustin à l’époque moderne, Paris 1970, cc. 6-8) che con la svolta culturale della schola. Questa, nell’ultimo quarto del ’200, aveva certo ratificato il valore e la legittimità dei libri naturalese della logica nova d’Aristotele entro il sapere religioso del tempo; ma decretava nel contempo il disequilibrio epistemologico tra le arti del trivio a beneficio della dialettica così come la frattura tra philosophia theorica e agire dell’uomo (scientia practica o activa). Le discipline del trivio ottengono, tra le arti sermocinales, nuove funzioni nel riorganizzarsi didattico delle università del XIII secolo, e riaffermano in parte la loro presenza perlomeno in funzione ancillare alla filosofia speculativa e alla teologia; le arti del quadrivio conquistano una loro autonomia epistemologica di scientia naturalis, sia pure inserviente alla matematica, e lo scambio con gli altri rami del sapere ufficialmente organizzato è pur sempre notevole. Le artes mechanicae invece, che pure avevano assicurato la loro presenza in una summa di didattica medievale quale il Didascalicon d’Ugo da San Vittore, scompaiono perfino nelle numerose trattazioni dell’ortus o divisio scientiarum.

■ Fonti principali: DOMENICO GUNDISSALINO, De divisione philosophie, ed. L. Baur, Münster 1903; ROBERT KILWARDBY, De ortu scientiarum, ed. A.G. Judy, Toronto 1976. ■ Studio sistematico (e conferma l’assenza - o appena la menzione - delle arti meccaniche) di J. WEISHEIPL, Classification of the sciences in Medieval Thought, «Mediaeval Studies» 27 (1965) 54-90. Interessante il confronto con uno dei primi maestri domenicani: cf. G. CREMASCOLI, Regina omnium scientiarum. Per la lettura d’una questio di Rolando da Cremona, « «Divus Thomas» (Pl.) 50

(1976) 28-66. L’ordine delle scienze come nel Contra falsos non mi sembra dipenda dall’enciclopedista VINCENZO DA BEAUVAIS [† 1264], Speculum historiale I, 53-55 (ed. Douai 1624, pp. 20-22); Speculum doctrinale, introd. e divisione dei libri secondo le discipline; Speculum naturale, Prologo c. 6 (ib. col. 6).E laddove compaiono - si prenda il più organico

programma del riordinamento della philosophia sull’ondata dell’aristotelismo, il De ortu scientiarum (1250 ca.) di Roberto da Kilwardby O.P. († 1279) - è piuttosto per decretarne l’irrilevanza nel nuovo statuto epistemologico (ROBERT KILWARDBY, De ortu scientiarum, ed. A.G. Judy, Toronto1976). Superato e sconvolto l’antico programma didattico del trivio e quadrivio, il sapere filosofico abbraccia, secondo il Kilwardby, una pars speculativa articolata in fisica, matematica (suddivisa nelle antiche arti del quadrivio) e metafisica; la sermocinalis, che riordina le antiche arti del trivio; la practica, che copre le due sfere dell’etica e della meccanica (KILWARDBY, De ortu scientiarum cc. 1-5.66). Ma quest’ultima ha ormai poco da dire, destinata com’è «ad necessitates humanas corporales tollendas» (ib. c. 37, § 361), quando « corporalis operatio plus decet plebeios et ignobiles, otium autem meditationis et studii plus [decet] nobiles...» (c. 38, § 362). Recensito brevemente quanto delle arti meccaniche era statodetto da Isidoro da Siviglia e Ugo da San Vittore, il Kilwardby fa da spia a un profondo rivolgimento culturale là dove annota che se è vero che in Isidoro si trovano raccolte molte notizie utili alle scienze e alla teologia, ora però la teologia si costruisce sul sapere delle arti liberali: «in qua [theologia] nunc oportet uti artibus liberalibus» (c. 39, § 371). Stando così le cose l’eliminazione delle arti meccaniche dal nuovo assetto del sapere scientifico e religioso è consumata senza molto rammarico:

De istarum [mechanicarum] artium subtili divisione per immediata et definitionibus earum propriis materiisque

ac finibus non reputo ad praesens esse sollicitandum, tum ne inutiliter evagemur ad ea quae moderni philosophiparum considerant, tum quia materiae earum et fines magis manu operatoribus innotescere habent quam philosophis solam veritatem speculantibus... (c. 40, § 378).E per evitare distinzioni che insinuino esclusioni, sarà

opportuno annotare che la divisione scolastico-scientifica delle scienze è tutt’altro che assente in Remigio. Ma la trattazione specifica dell’importante soggetto dovrebbe concentrarsi nell’edizione del trattato De divisione scientie, in cod. C, ff. lr-7r. Ad esso, dopotutto, lo stesso Remigiorinvia chi preferisse un «ordinem artificialem magis scientiarum» (Contra falsos 1, 30-31: ed. in Append. I-a). Ciò contribuirebbe, tra l’altro, a individuare occasioni e a definire contesti che persuadono Remigio a ricorrere ad uno schema prescolastico che gli risulti più congruo all’ispirazione retoricoomiletica. Mentre in atti squisitamente scolastici, quale una inceptio, ci si ritrova alavorare entro un assetto epistemologico dai tratti di piena maturazione scolastica:

Sermo prologalis, VIII: Irrita faciens signa divinorum... Ysa.44. (…) Philosophia autem tota dividi potest in sapientiam et scientiam... Sapientia est de divinis et scientia de humanis. De divinis autem est pars philosophie que dicitur methaphysica vcl philosophia prima. Humana autem dici possunt vel quia ab homine prolata, et sic est scientia sermocinalis; vel acta, et sic est moralis; vel facta, et sic est mechanica; vel quia ad homines ordinata sine hoc quod sint prolata vel acta vel facta ab homine, ut mobiles creature; et hec vel considerantur ut sunt extra animam, et sic est scientia naturalis, vel considerantur sine motu et materia sine quibus extra animam non sunt, et sic est mathematica (cod. G, f. 286va).

Nel sermone S. Lucia, III: Columpne auree (cod. D, f. 14r; marg. d.), l’evocazione biblica «et in capite eius

corone stellarum duodecim» invita a ordinare così le dodici discipline umane, quelle cioè che per essere «sub pedibus eius» ministrano alla sapienza:

a)  ad cognoscendum:

artes liberales (1-7)scientia naturalis (8)methaphysica (9)

b) ad agendum: moralis philosophia(10)

c) ad faciendum:medicina (11)mechanica (12)

Ma nel sermone prologale VI Flumen Dei repletum est aquis, dove le scienze sono raccolte «nella casa della sacra scrittura o teologia come le ancelle nella casa della padrona», la mechanica non compare:

Unde et gramatica ancillatur ei in constructionibus et figurativis et aliis. Unde est illud: «sermonem quem audistis non est meus»  [l’incongruità grammaticale di Io. 14,24 è ricordata anche in Contra falsos 2, 11-14: in Append. I-a].Dyalectica vero in argumentationibus, sicut patet in Paulo maxime qui propositione et assumptione utitur; et in disputationibus que in scolis a theologie doctoribus exercentur.Rethorica in ornatus locutionibus, sicut patet in libriscanonicis et maxime in sanctis nostris.Geometria vero ubicumque sacra scriptura loquitur de mensu<r>is.Arismetrica vero ubicumque de numeris.Musica ubi de sonis et musicis instrumentis.Astrologia ubi de motibus corporum celestium.Naturalis scientia ubi de naturis creaturarum.Methaphysica ubi de angelis et substantiis separatis.

Moralis vero scientia ubi de moribus, sicut maxime in libris Salomonis et in Ecclesiastico et Sapientia.Sic ergo flumen sacre scripture repletum est; quelibet enim scientia seipsa contenta est, sed illa omnes continet ad suum servitium advocatas (cod. G, ff. 277vb-278ra).

Un Contra falsos in miniatura, se non mancasse la notitia delle arti meccaniche. Né queste figurano nel sermone prologale IX Radix sapientie (cod. G, f. 290va-b), dove la splendida metafora “scienza-città” punisce ingiustamente le artes factivae, quando gli artigiani di Calimala, di ForoVecchio e Por Santa Maria foggiavano la Firenze che Remigio aveva sotto gli occhi:

1. gramatica

potest dici

semita vel viculus vel kiasso tum quia stricta est... tum quia ducit adviam, idest ad logicam

2. logica potest dici via

3. mathematica   strata

4. scientianaturalis   aula palatii

5. moralis   claustrum monasterii 6. methaphysica

  plathea

7. theologia   campus

Il Contra falsos allora incuriosisce perfino chi scorressesoltanto la lista dei capitoli.

Ma non si rivendicherà per fra Remigio dei Girolami primati che potrebbero forzare categorie storico-dottrinalianziché illustrare novità emergenti da formazioni lente e laboriose: il Contra falsos “primo trattato ecclesiologico nonmonopolizzato nei ministeri gerarchici”.

■ Si ricordi il caso del De regimine christiano di Giacomoda Viterbo ESA: H.-X. ARQUILLIÈRE, Le plus ancien traité de l’Eglise: Jacques de Viterbe «De regimine christiano» (1301-1302), Paris 1926. Cf. Y. CONGAR, Jalons pour une théologie du laicat, Paris 1961, 66, e tutto il § «Constitution du traité de l’Eglise en réaction» (pp. 64 ss). Non si può, comunque, non riconoscere l’ampiezza di

respiro che Remigio mette a servizio dell’universalitas della ecclesia, principalmente la sapientia o notitia scientiarum che l’uomo medievale veniva raccogliendo nelle somme, nelle cattedrali, nelle universitates civium; la sapienza contenuta nella parola di Dio, come nello speculum mundi e perfino nella fabrica mundi. Benché il corso delle cose - bisogna riconoscerlo - premeva verso altre soluzioni: il dinamismo delle società civili fruttificherà in unità politiche che spezzano l’universalità europea della respublica christiana (lelotte di quegli anni tra papato e regno di Francia ne sono il campanello d’allarme); la specificazione del sapere e delle scienze - così come il primo avvio della ricerca sperimentale e delle tecniche applicate - renderanno semprepiù improbabile un modello universale e gerarchicamente ordinato del sapere umano, per quanto compromesso possa uscirne lo scambio vitale tra scienze, virtù etico-politiche e habilitas delle arti meccaniche. Del resto l’antinomia tra sapere, agire e lavoro aveva ben più profonde radici, mentre il facere delle arti meccaniche già da tempo faceva la propria storia al di là del prodotto letterario.

 

Ma veniamo al Contra falsos. Affermata l’universalità della chiesa quanto alla dimensione geografica (quantum ad universitatem locorum), demografica (quantum ad universitatem personarum), sapienziale (quantum ad universitatem notitiarum), Remigio sviluppa questo terzo punto: la sapienza e le conoscenze di tutte le attività, noetiche e fabrili,

dell’uomo sussistono nella chiesa del Cristo. Il versetto tematico «Novit universa ecclesia», come nella tecnica del sermone scolastico, prelude e precontiene le parti del trattato. Le scienze, le arti liberali e meccaniche sono lìa fare il telaio compositivo del tutto: compatto e rigoroso- nelle divisioni e suddivisioni dei membri - come negli altri trattati remigiani.

■ I trattati di Remigio rivelano una rigorosa e fitta trama compositiva (vedi De peccato usure, De bono communi, De misericordia...) da rintracciare, e mettere in evidenza, non certo nella lista dei capitoli ma nelle divisiones, e sottodivisioni, del thema o dei membra.SARUBBI 62 n. 57: « il Contra falsos... costituisce il trattato più voluminoso degli scritti di Remigio». Nonesattamente. Il Contra falsos è il terzo per estensione dopo il De via paradisi di carte 144 e il De modis rerum di 53.Gettiamo uno sguardo alla distribuzione quantitativa. Il

CF occupa ff. 154vb-196vb del cod. C; 42 carte con un totale di 169 colonne di fittissima scrittura gotica; terzoper estensione dopo De via paradisi di carte 144 (ff. 207r-351v) e De modis rerum di 53 (ff. 17r-70r). Capitoli 99. Se le scientiae (naturale, medicina teorica, morale, metafisica,teologia) occupano appena 15 colonne circa in 6 capitoli, il grosso del trattato è distribuito tra:

- arti liberali: cc. 2-40 (tot. 39), carte 14, colonne 52;

- arti meccaniche: cc. 46-97 (tot. 52), carte 24, colonne 96.

Una media di 8,05 colonne per disciplina (19 discipline in tutto) su un totale di 163 colonne, escluse quelle dei capitoli primo e ultimo. Di fatto, su un totale di 163 colonne, le arti liberali beneficiano del 31,9%, le meccaniche del 58,9%, contro il 9,2% delle altre discipline(le scientiae). L’interesse appare spostato a favore delle arti, ed in specie di quelle meccaniche.

Inoltriamoci nel testo. I capitoli 1 e 46 (vedi Append. I-a) fanno da guida all’architettura del trattato. La notitia di ciascuna scienza e arte si ritrova nella chiesa. Tutto l’edificio del sapere si distribuiscein sette blocchi di discipline.

 1 arti liberali 2 scienza naturale 3 medicina 4 morale 5 metafisica6 arti meccaniche7 teologia

«... in the thirteenth century the classification of thesciences corresponds to the hierarchy of forms in nature: natural science is subalternated to the four mathematical sciences, and mathematics is subalternated to metaphysics. Each sience is resolved into a higher and more universal science, and mathematics is the key which unlocks both nature and metaphysics» (WEISHEIPL, Classification of the sciences…,«Mediaeval Studies» 27 (1965) 88-89). Qui invece sono le arti meccaniche «la chiave che schiude» natura e soprannatura.

Le liberali si suddividono a loro volta in 7, suddivisione cui fa ovvio supporto la tradizione del trivio e quadrivio. Ma le arti meccaniche? «Sunt quasi infinite»! Ma Ugo da San Vittore s’era ingegnato a ridurle a 7, tre “esterne”, quattro “interne” al corpo umano. Cosicché le arti meccaniche «respondent» alle liberali (CF 46, 6-13: in Append. I-a; Ugo da San Vittore, Didascalicon II, 21: PL 176, 760). Si ha pertanto:

Ugo da San Vittorearti liberali arti meccaniche

trivio grammatica esterne

lanificiologica armifattura

retorica navigazione

quadrivio

geometria inter

ne

agricolturaaritmetica cacciamusica medicinaastronomia teatrica

Ma allo schema delle arti meccaniche d’Ugo da San Vittore, Remigio apporta qualche variante. Tra navigatio e agricultura inserisce la negotiatio, la quale acquista autonomia rispetto alla navigatio (di questa era parte nello schema di Ugo). Distinta la medicina in teorica e pratica, conserva quest’ultima tra le meccaniche ma non la conta; cosicché partizione settenaria e parallelismo simmetrico sono salvi.

Il genere della congruentia ha imposto le proprie leggi fin dalle prime mosse. E trascina con sé sia il bisogno della simmetria numerica che il gusto dell’ermeneutica allegorizzante.

Nos autem ad propositurn accipiamus istas septern [arti meccaniche] spiritualiter, ut respondeant septem virtutibus, scilicet trivio virtutum theologicarurn et quadruvio virtuturn cardinalium (c. 46, 14-16; Append. I-a).

Perfino l'etimologia, la scienza della interpretatio nominum, che svela significati e mysteria delle cose, serve il proposito. Gli antichi dicevano arithmetrica da “ares” e “rithmon”; noi preferiamo arismetrica da “ares” e “metros”: virtus mensure.

Contra falsos c. 38 (inizio): «Quantum vero ad arismetricam, inveninus in ea multitudinem. Est enim arismetrica de multitudine absoluta, secundum Boetium inArismetrica sua. Et Ysidorus dicit in lib. III Ethim. quodarismetrica est disciplina numerorum. Grece enim numeri “rithmon” vocant. Unde sic videtur dici ab “ares” quod est virtus et “rithmon” quod est numerus. Unde veteres, sicut dicit Hugo de Sancto Victore in Didascalicon, scripserunt “arithmetrica” et non “arismetrica”. Si

autem dicatur arismetrica secundum comunem usum modernorum, tunc videtur dici ab “ares” quod est virtus,et “metros” quod est mensura; inde arismetrica, idest virtus mensure» (ff. 165vb-166ra).

Dunque 7 blocchi di discipline, 7 arti liberali, 7 arti meccaniche, 7 virtù base dell’agire cristiano. Anche quest’ultime suddivise in due gruppi (3 + 4): «scilicet trivio virtutum theologicarum et quadruvio virtutum cardinalium» (c. 46). “Ars”, dopotutto, non sembra lo stesso che “ares” cioè virtù?: «ut sic ars dicatur ab “ares” quod est virtus» (c. 46, 17: in Append. I-a).

E così, prende il via l’allegorizzazione delle arti meccaniche, già saggiata - benché meno sistematicamente - con le altre discipline. Il lanificium provvede le vesti. La chiesa veste il Cristo e il Cristo la chiesa. Vestimenti colori e virtù s’intrecciano in simbolismi a più riprese (cc. 46-48). L’armifactura fabbrica le armi della chiesa: verba sacre scripture, virtutes, orationes (cc. 49-57). L’agricultura offre infiniti simboli della chiesa: silva (vita contemplativa!), campus, vinea, ortus, pomerium, pratum... La vinea dà luogo a suddivisione di membri allegorici: vites, palmites, stipites, terra, cultura, custodia, frondes, flores, fructus, liquor... (cc. 76-83). E il vino, a sua volta, possiede una sorta di plurisemia simbolica: significa tutte le virtù e ciascuna di esse! (cc. 84-89). E così via.

Ma l’allegorismo ad ogni costo obbliga talvolta alla minuzia descrittiva. Allora le fonti letterarie del passatoappaiono inadeguate e si fa ricorso all’informazione diretta e locale. Sono spunti preziosi. Nella sezione dellacoltura della vite, ad esempio. Sebbene nelle Etimologie lib.XIII d’Isidoro siano scritte molte cose

«sub nominibus non ita familiaribus nobis, et similiter a Palladio in libro De agricultura, tamen vulgariter apud nos hec fiunt in ipsa:- plantatur; - propaginatur; - circa radicem foditur;

- male herbe circumstantes eliciuntur;- putatur- ad paxillum ligatur (= la si lega al paletto, l’uva, perché  non tocchi terra e marcisca!)- firmatur; - exfoliatur a foliis seu pampinis superfluis» (c. 78, ff. 188vb-189va).

La descrizione del grappolo sembra un’appercezione mescidata prima che lo sia il volgare fiorentino, che preme, lì, fra le strettezze del latino:

Botrus enim conponitur ex racemis, et racemus ex acinis,et acinus secundum nostrum vulgare vocatus, ex folliculoidest pelle exteriori et glarea sive humore interiori, et granello quod est in glarea (c. 82, 45-48).■ Annota tuttavia il probabile contributo di Summa Britonis sive Guillelmi Britonis Expositiones vocabulorum biblie 1250-70, ed. L.W. Daly and B.A. Daly, Padova 1975, II, 850-51.E allora composizione, maturazione e raccolta dell’uva

abbozzano una metafora ecclesiologica di lirica bellezza (c. 82, 45-67: in Append. I-a di ediz. stampa). Ma sembranorari i casi in cui il procedimento allegorizzante superi l’accostamento per liste comparative.

Sarebbe ingiusto introdurre valutazioni d’insieme a partire da predilezioni letterarie e da temperamento mentale. Vero è che altre opere di Remigio confermano una predilezione non occasionale né digressiva per l’allegorismo e la dilatazione moralizzante; e per di più sui ritmi d’un simbolismo cosmico che sa molto della letteratura religiosa prescolastica. Si vedano i trattati Speculum (l’allegorizzazione fisiognomica del corpo umano),De via paradisi, lo stesso De peccato usure che illustra la perversitas dell’atto feneratorio sui ritmi del mondo subceleste (elementi, misti, vegetali, sensitivi, razionali), celeste (stelle fisse, costellazioni, segni zodiacali, pianeti), superceleste (angeli... ). Ma il corpus remigiano include una notevole produzione di marca scolastica cui non sembra faccia difetto e sottigliezza di

pensiero e uso disciplinato degli strumenti analitici dellaschola - si pensi al De divisione scientie, alle questioni e quodlibeti, e soprattutto al De modis rerum.

Va però detto che, se la retorica e l’«amour des lettres» aveva lievitato una letteratura patristica e una teologia monastica (cf. J. LECLERCQ, L’amour des lettres et le désir de Dieu, Paris 1957, 9-14,179-218); se la logica nuova ei libri naturales d’Aristotele avevano determinato, per intrinseca costituzione dell’atto conoscitivo, la strutturadella teologia scolastica; le arti meccaniche restano solo un’occasione esterna alla fuga allegorizzante di Remigio. Nessun residuo di specifico contenuto epistemologico della techné, nessuna traccia dell’habilitas dell’artiere, nessuna attenzione alla trasformazione che le artes factivae inducono nel manufatto e nella società sono lì a sollecitare una teologia all’insegna d’una cultura e d’una società delle “arti”. Eppure la crescita frenetica della Firenze di Remigio - come la radice dei suoi tumulti dall’istituzione del magistrato dei Priori al governo dei guelfi neri - aveva il nome di arte e di artiere. E frati conversi del medesimo convento, mastri di pietre di legno e d’edifici, stavano costruendo – sotto gli occhi di Remigio – lo splendore della chiesa e dei chiostri di SMN!

Al fiorentino Remigio resta il merito d’averne registrato l’irruenza storica, sia pure enervata dall’atto allegorizzante. La comparizione massiccia delle artes mechanicae entro questa summa notitiarum che è la chiesa di Remigio, la loro inserzione tra metafisica e teologia, non è di poco interesse storico.

Un’ultima nota sulla struttura d’insieme del CF. A fine d’ogni sezione dedicata alle singole discipline, ricorre regolare un elemento antitetico. La notitia affermata nella ecclesia Christi viene negata nella ecclesia infidelium o hereticorum. I riferimenti vanno principalmente al catarismomedievale. Ma in genere quest’appendice antitetica è poco sviluppata, e serve più al parallelismo compositivo (tecnica di cui si ha prova anche altrove: elemento «de cruce» nel De misericordia, quasi tema dentro il tema) che a

un vero approfondimento del discorso. È essa, comunque, cherende ragione del titolo del trattato - Contra falsos ecclesie professores - visto che nessun elemento dei cc. 5-37 fa pensare che i «falsi professores» fossero gl’interlocutori di Remigio nel dibattito sul potere papale.

■ Un testo di primissima qualità sul catarismo di metà’200, la Summa de catharis di Raniero Sacconi, ex-cataroe frate domenicano. A fine c. 38 (Arismetrica) di CF si ha: «Ecclesia autem infidelium non est ecclesia simplicitcr, quia ecclesia idem est quod convocatio, sed potest dici ecclesia solitaria, iuxta illud Numeri20[,4] «Exduxisti» idest extra duxisti, ut scilicet nec ecclesia simpliciter nec Domini dici possit. Sicutenim dicit frater Ranerius ordinis nostri lombardus qui prius fuit magnus heresiarcha, in Summa sua quam compilavit anno Domini 1250, catharorum ecclesie tantum 16 sunt et in toto mundo omnes cathari utriusque sexus non sunt numero quatuor milia; et, ut subdit, dieta computatio facta est olim pluries inter eos» (f. 166rb). Ma tutti i dati riferiti da Remigio -anche l’anno di composizione della Summa - sono informazioni desunte dalla stessa Summa de catharis, ed.F. Sanjek, AFP 44 (1974) 31-60. I dati del testo di Remigio si ritrovano, nell’edizione, a pp. 44, 20-22; 49, 25-27; 50, 18-20; 60 nell’explicit.

II.2 Struttura compositiva del Contra falsos

Al trattamento allegorizzante si sottraggono due sezioni: quella della negotiatio, vero e proprio trattato teologico di etica commerciale distribuito secondo le classiche circostanze dell'atto morale (quis, quid, quibus auxiliis, cur, quomodo, quando: cc. 62-75); e quella sulla auctoritas della chiesa (cc. 5-37).

Quest'ultima è la sezione che pubblichiamo. Essa copre l'intera trattazione della geometria, prima disciplina del

quadrivio (Append. I-c, d). E nel blocco delle arti liberali, la geometria fa la parte del leone, aggiudicandosi 33 dei 39 capitoli, pari a 37 delle 52 colonne di scrittura. Il disequilibrio distributivo è palese. Come palese è la vanificazione epistemologica dellascienza geometrica. Questa - si dice - tratta della magnitudo. E la chiesa è magna per estensione, forza e autorità. L'ancillarità della geometria si esaurisce non appena sollecitata. Mentre fa seguito un'esposizione giuridico-teologica sull'autorità della chiesa, che ha giustamente attirato l'attenzione degli studiosi del pensiero politico e ecclesiologico tra fine '200 e inizio '300; diciamo del periodo del conflitto tra l'estremo esercizio del potere papale in temporalibus e i primi chiari segni dell'autonomismo regal-nazionale del regno di Francia: Bonifacio VIII e Filippo IV il Bello.

Una lunga digressione nell'economia compositiva del CF.I cc. 6-18 sono in verità un'organica (anche se rapida)

esposizione dell'auctoritas della chiesa. Il che ben rispondealle esigenze dello schema tracciato dall'autore fin dal capitolo introduttivo (CF 1,26-34: in Append. I-a). Vi si affermano e illustrano due tesi: ecclesia est magna auctoritate (tesi I); auctoritas pape excedit omnes huius mundi auctoritates (tesi II) (cc. 6-18). E il tutto ha la sua coerenza redazionale, così come la sua compiutezza, nella costruzione d'insieme del trattato e nell'innesto allegorico sulla geometria, arte della magnitudo.

Il problema, se non di digressione certamente di “ripresa”, si pone invece per il secondo blocco, cc. 19 e seguenti. Lo inducono a credere due dati: l'avvio del capitolo 19; la ripresa intricata, nel tessuto compositivo,delle medesime argomentazioni già svolte a sostegno di tesiI e II. Leggiamo l'avvio di c. 19:

Utrum autem papa habeat auctoritatem super laicos principaliter et directe quantum ad temporalia, non fuitpresentis intentionis tractare, et ideo in aliud tempus reservetur oportunius indagandum. Sed ne hoc ad presens ex quo occurrit omnino relinquatur intactum, et ne

credatur, propter ea que dicta sunt, necessario sic essetenendum, possumus sic opinando procedere... (c. 19,3-8).«Non fuit presentis intentionis tractare». Che cosa si

vuol dire esattamente? Quanto esposto in tesi III (cc. 19-36) «non rientrava nel piano originale del CF, ma - qui pervenuti e dàtasene l'occasione - lo inseriamo lo stesso sviluppando la trattazione...»? Oppure: «non faceva parte della stesura originale del CF ma ora lo aggiungiamo... »? - in secondo tempo? al tempo del riordinamento dei codici?

Difficile decidere per l'uno o per l'altro. Vero è che il «ne hoc ad presens ex quo occurrit omnino relinquatur intactum» lascia sì ingiudicato il momento dell'intervento improgrammato (cc. 19-36), ma testimonia incontestabilmenteun “nuovo” interesse dell'autore, subentrato (almeno) quando il piano del trattato era già stato concepito. E il nuovo interesse non è soltanto di natura redazionale: «ne credatur, propter ea que dicta sunt, necessario sic esse tenendum...». Di nuovo, che cosa ci si vuol dire? «Perché le tesi I e II (cc. 6-18) non siano intese in senso di assoluta esaltazione del potere papale, si ritiene conveniente aggiungere delle precisazioni...» (cc. 19-36)? Oppure: «se in un primo tempo scrivemmo così, ora diremmo piuttosto...»?

Vediamo l'intreccio dei capitoli.Tesi III (cc. 19-36) Ecclesia non habet auctoritatem super

temporalia principaliter et directe è illustrata prima con la seriedi luoghi ex auctoritate (cc. 19-25), poi con la serie di noveargomenti ex ratione (c. 26). Questi sono le medesime «novem rationes» che in c. 18 hanno servito tesi II Auctoritas pape excedit omnes huius mundi auctoritates, e che ora (c. 26) sono piegate a sostenere la distinzione delle giurisdizioni spirituale e temporale.

Le obiezioni a tesi III sono introdotte in c. 27 con un significativo «hec videntur quibusdam incompossibilia». Infatti le obiezioni e relative risposte non sono che la ripresa delle «novem rationes» dei capitoli 18 e 26.

L'obiettante tenta d'inferire dall'excellentia auctoritatis pape l'estensione diretta nel temporale. L'autore scioglie le obiezioni in senso opposto: la chiesa, e il papa, non ha autorità sul temporale «principaliter et directe». Ma non èfinito. Si suppone che l'obiettante riprenda la serie di argomenti ex auctoritate portati a sostegno di tesi I (cc. 6-16) per concludere a suo modo all'estensione diretta nel temporale. Le risposte seguono perfettamente la sequenza argomentativa delle auctoritates di cc. 6-16, per concludere che queste confermano sì l'excellentia della potestà papale ma non autorizzano a inferire competenza diretta del papa nel temporale (cc. 28-36).

S'è detto «Si suppone che...». Perché difatti la redazione del testo è ellittica. Le obiezioni non sono riformulate. Vi è solo un rimando denotativo implicito nelle risposte. La sezione è così introdotta: «Ulterius respondendum est ad auctoritates veteris testamenti. Et primum quantum ad figuralia dicta ante legem...» (c. 28, 2-3). Si risponde cioè a quanto scritto in cc. 6-16 a mo' d'auctoritates; queste, da c. 28 a c. 36, sono issofatto subintrodotte quale materia d'obiezione.

Il che a prima vista fa presumere che il blocco cc. 6-18altro non sia che la serie di argumenta in contrarium cui faccia seguito la tesi sostenuta dall'autore (cc. 19-36), gli argumenta que pro veritate faciunt, come tipico della struttura delle quaestiones o trattati scolastici. Ma non è così. Le due sezioni (cc. 5-18 e cc. 19-36) non affermano enegano la medesima proposizione. La prima termina alla grandezza dell'auctoritas della chiesa, formulata genericamente e indistintamente; la seconda mira a sostenere che tale auctoritas non si estende principalmente edirettamente al temporale.

In particolare Remigio si propone, nella seconda sezione, di mettere a fuoco nozione ed estensione della surroga del potere o del giudice secolare da parte di quello spirituale: «ut scilicet dicamus quod “in preiudicium iuris alieni” nonnisi ratione delicti vel defectus iudicis principalis» (19, 9-10). L'intenzione è

bene espressa dall'avvio di c. 19: «Utrum autem papa habeatauctoritatern super laicos principaliter et directe quantumad temporalia... » (19, 3-4). E così pure dalla conclusionedi c. 26, 37-40.

Resta che la seconda sezione (cc. 19-36 e 37) è insolitamente intricata se paragonata al modello compositivo degli altri trattati remigiani; dove la sezione“obiezioni/risposte” è redazionalmente ben definita e non sconcerta il lettore con sussunzioni multiple e a risvolto,come appunto qui. Cadere e restare entro singoli capitoli (e singole sezioni!) senza sciogliere l'incastro, rischia il fraintendimento del pensiero dell'autore. E il CF non è apparso agli uni un manifesto intransigente della teoria ierocratica, agli altri un testimonio della posizione moderata anzi restrittiva delle pretese della corte papale?

■ Cf. B. NARDI, Dal «Convivio... » saggio III: «Intorno auna nuova interpretazione del terzo libro della Monarchia Dantesca», pp. 151-313 (esame critico e polemico di MACCARRONE, Il terzo libro). Su Remigio, in particolare pp. 169-73; ma vedi anche pp. 26, 201, 216, 230, 233-34, 237 n. 179, 256, 273 n. 266, 279-80.L'illustre studioso è caduto sui cc. 18 e 37 di CF, sorvolando praticamente il blocco cc. 19-36 e problemiermeneutici che questo pone. Secondo punto: una cosa èchiedersi se la tesi «papa non habet auctoritatem super temporalia principaliter et directe» (CF c. 19, e cc. 19-36) tenga logicamente all'interno delle premesse, altra cosa è equiparare filologicamente i testi di Remigio a quelli ierocratici. Si provi un confronto sinottico tra CF cc. 19-36 e la Determinatio di Tolomeo da Lucca, De potestate pape d'Enrico da Cremona, De ecclesiastica potestate d'Egidio Romano, l'anonimo Non ponant laici, le glosse dei decretalisti...Se non c'è prova sufficiente per sostenere due redazioni

temporalmente disgiunte per cc. 5-18 e cc. 19-36 (riflettenti un'evoluzione di Remigio sulla questione), s'impone però il fatto che la sezione cc. 19-36 risponde al

bisogno dell'autore di chiarire e precisare il proprio pensiero; questo non era adeguatamente espresso nella primasezione, comunque poteva esser frainteso da chi avesse voluto trarre corollari specifici da una trattazione rapidae generale. Si ricordi: «ne credatur, propter ea que dicta sunt, necessario sic esse tenendum...» (c. 19,6-7). Il contesto, l'inclinazione del testo, la nuova prospettiva dottrinale risulterà evidente allo stesso lettore. Alla sequenza quasi meccanica delle auctoritates della prima sezione - cui nessuna interpretatio contesta l'implicita inclinazione alla ierocrazia illimitata - fa riscontro nella seconda sezione il vaglio delle auctoritates, l'introduzione delle distinzioni, l'esercizio dell'interpretatio dei testi; il tutto orientato a contenere esegesi ierocratiche. Vedi i casi della regalità temporale del Cristo, della nozione di vicario, dei testi di Bernardoda Clairvaux nei cc. 27 e 30. L'interlocutore di Remigio, almeno in questa sezione del trattato, è il sostenitore ad oltranza della teocrazia ierocratica; questi, all'occasione, svolge il ruolo di opponens nelle obiezioni.Il passo seguente, oltre a definire le intenzioni dell'autore, punta il dito - non senza acutezza - al centroecclesiastico-politico che potrebbe presiedere a una dilatazione indebita delle prerogative papali. E se ne fa quasi argomento ex adversario:

Ex dictis igitur ipsorum paparum apparet quod papa non debet se de temporalibus que pertinent ad iudicium seculare intromictere principaliter et directe. Efficatia autem istius probationis ex quadruplici parte apparet, quasi ipsa veritate cogente eos sic dicere: tumquia locuntur contra auctoritatem suam; tum quia non estcorum consuetudo sua iura velle diminuere sed potius augere, sicut apparet per multas decretales... (c. 21, 70-75).Va però notato che nel tono del CF - come in molti

sermoni su personaggi pubblici - prevale la cautela, la circospezione, quasi la premeditazione a dire senza esporsi. Si confronti con la franchezza, perfino l'audacia,

dei confratelli e contemporanei Giovanni da Parigi (De potestate regia et papali, ed. J. Leclercq, Parigi 1942) e Pietro de la Palu (Tractatus de potestate pape, ed. P.T. Stella,Zurigo 1966).

 

II.3 Collocazione tematica del Contra falsos cc. 5-37

Per avere una riprova della collocazione tematica del CFentro la gamma che va dalle posizioni d'Uguccione da Pisa († 1210) a quelle consacrate nella glossa ordinaria al Decreto e alle Decretali Extra, alle formulazioni teocratiche d'Innocenzo IV e Bonifacio VIII, alla letteratura papale e regalista degli anni 1301-1303, accostiamo più da presso due testi tipici dal valore di pubblico test nella letteratura canonico-teologica.

La Glossa ordinaria a Decreto D. 10, c. 8 (Quoniam idem) alla voce «Discrevit» documenta ancora molto bene la compresenza, entro la letteratura decretista, delle due tendenze, quella riallacciata a Uguccione da Pisa a favore della distinzione dei poteri nella loro origine come nelle loro competenze, e quella della subordinazione ierocratica che finirà per prevalere nella letteratura decretalistica.

■ Glossa in Decr. D. 10, c. 8, «Discrevit»: 21 B - 22 A. La glossa ordinaria (1217 ca.) è attribuita a Giovanni il Teutonico († 1245-46), rivista da Bartolomeo da Brescia († 1258): cf. S. KUTTNER, Repertorium der Kanonistik, Città del Vaticano 1936 (rist. 1972), 93-122. Nelle trascrizioni dalla «editio Romana» sciolgo le abbreviazioni e riduco a forma moderna le citazioni delle collezioni canoniche.La glossa «Discrevit» si articola in tre punti: presentazione

della tesi della distinzione, argomenti della tesi contraria, soluzione. Senza tutto trascrivere, si darà in sinossi la struttura assertiva e argomentativa (auctoritates) della glossa e, a destra, il rimando ai luoghi paralleli del CF; questi sono introdotti da « = » quando accettati, da « ↔ » quando “interpretati” o respinti.

Contra falsos

Glossa «Discrevit»a Decreto D. 10, c. 8 (Quoniam idem) cc. 5-18  cc. 19-36

A - tesi:  - potestates sunt distinctae; - imperium non habetur a papa; - papa non habet utrumque gladium

   

Auctoritates:1. exercitus facit imperatorem: Decr. D. 93, c. 29 (Legimus)

  = 20, 24-25

2. imperium a solo Deo habetur: Decr. C. 23, q. 4, c. 45 (Quaesitum)   = 21, 8-11

3. Alexander [papa] prohibet appellationibus in temporalibus:    Decretali II, 28, 7 (Si duobus);    IV, 17, 17 (Causam);    IV, 17, 5 (Lator)

 

= 21, 46-51 = 21, 52-56= 21, 64-66

4. ecclesiae solvant tributurn imperatori: Decr. C. 11, q. 1, c. 27 (Magnum)   = 20, 32-

36

B - Sed contra:    1. caelestis et terreni imperii iura sunt ei [papae] concessa: Decr. D. 22, c. 9 (Omnes)

= 11, 32-34 ↔  31, 2-6

2. imperator iurat papae: Decr. D. 63, c. 33 (Tibi domino)

= 14, 14-18 ↔  34, 3-6

3. papa deponit imperatorem: Decr. C. 15, q. 6, c. 3 (Alius) = 12, 3-10↔  32, 1-114. papa transtulit imperium: Decretali I, 6, 24 (Venerabilem)

= 12, 13-18

↔  32, 16-19

C - Solutio: Ego credo potestates esse distinctas, licet papa quandoque utramque potestatem sibi assumat:

 

= 23, 2-13.19-20;cf. 26, 3-40

1. cum legitimat: Decretali  IV, 17, 13 (Per venerabilem)   = 37, 93-

1082. quando a saeculari iudice appellatur ad papam: Decretali II, 2, 10 (Licet)   = 37, 47

ss3. vacante imperio, supplet [papa] : Decretali  II, 2, 10   = 37, 47-

51

La medesima struttura tripartita ha l'additio alla glossaall'Unam sanctam (1302).

Glossa in Extravagantes communes I, 8, 1; ed. Romae 1584, pp. 142-48; Additio pp. 149-50; il nostro passo, a p. 149 A-B. L'Additio è «domini Petri Bertrandi» († 1348-49), secondo l'edizione romana delle Decretali.

Glossa all'«Unam sanctam»(Additio)

Quaestio: utrum potestasspiritualis

debeat dominari temporali

Contra falsoscc.

5-18

 cc. 19-36

A - Videtur quod non:    

1. quia iurisdictiones sunt distinctae:Auth., Quomodo oporteat, coll. I De consecr. D. 3, c. 22 (Celebritatem)

 = 23, 2-7.19-20; 26, 33-40= 22, 2-4= 21, 16-17

Non ergo papa debet se intromictere de potestate temporali:Decr. D. 8, c. 1 (Quo iure)Decretali IV, 17, 5 (Lator); IV, 17, 7 (Causam)

 

Apparet quod papa non debetse de temporalibus intromictere principaliter et directe: 21, 70-72= 20, 40-42= 21, 64-66= 21, 52-56

alias poneret [papa] falcem suamin messem alienam: Decretali I, 6, 34 (Venerabilem)quod non est faciendum: Decr. C.6, q. 3, c. 1 (Scriptum)

  cf. 23, 14-18

2. secundum Huguccionem imperator a solo Deo habet potestatem in temporalibus, papain spiritualibus, et sic iurisdictiones sunt distinctae:

  = 23, 2-4

gladium [imperator recipit] ab altari: Decr. D. 93, c. 24 (Legimus)ante fuit imperium quam apostolatuspotestas spiritualis indiget

  = 27, 19-20= 23, 4-5cf. c. 27

temporali: Decr. C. 23, q. 5, c.26 (Administratores)

B - Solutio: potestas spiritualis debet dominari omni creaturae humanae, per rationes quas Host(iensis) inducit in Summa...

   

Item quia Iesus Christus filius Dei [ha autorità su tutti i principati di questo mondo].

 Il Cristo possiede la regalità temporale (27, 51-114)

Eadem ratione et vicarius eius potest.

 ma non l'ha trasmessa al proprio vicario (27, 115-118)

Nam non videretur Dominus discretus fuisse [... ] nisi unicum post se talem vicarium reliquisset qui haec omnia posset...

 

e non per imprevidenza (27,51-55.118119) ma perché questi «magis spiritualibusposset intendere, ad quod ecclesia principaliter ordinatur...» (27, 117-118)

C - Risposta agli «argumenta in contrarium»...    

Come si sarà notato, c. 19 è chiave di volta. Dal c. 19 in poi, si selezionano le auctoritates, si fa esegesi dei testi, s'introduce - soprattutto - il personale originale contributo della distinzione «principaliter et directe» (GRABMANN, Studien 32: «Ich habe bisher bei keinem Theologendes 13. Jahr. die Anwendung des Terminus indirecte und directeauf das Verhältnis der geistlichen und weltlichen Gewalt vorgefunden»). Lo si userà come formale del discorso argomentativo e strumento logico di soluzione delle obiezioni.

E la posizione “media” nel dibattito sul sacerdotium et regnum potrebbe esser confermata ampliando il confronto - oltre la letteratura canonistica - ai trattati politico-teologici che fruttificarono nell'ultimo scorcio del XIII secolo e nel primo ventennio del XIV - da Tolomeo da Lucca agli opuscoli anonimi delle due fasi di conflitto tra papato bonifaciano e regno di Francia, a Enrico da Cremona,

Egidio Romano, Giacomo da Viterbo, Giovanni da Parigi, Dante Alighieri, Pietro de la Palu, Galvano Fiamma, Giovanni da Napoli. Ma sarebbe già opera di commento più che di edizione.

■ Enrico da Cremona "decretorum doctor" vicario del vescovo fiorentino: ott. 1300 accoglie ricorso della società degli Spini contro i monaci camaldolesi (ASF, NA 11484, f. 27v); 7.V.1302 (ASF, Mercatanti 7.V.1302).Va comunque detto - restando entro gli estremi massimi

di collocazione del CF, tra la Determinatio compendiosa (1280 ca.) di Tolomeo da Lucca e il De potestate regia et papali (1301-1302) di Giovanni da Parigi, ambedue confratelli e contemporanei di Remigio - che Remigio non mostra di possedere né l'ampiezza d'informazione storica che il primomette a servizio delle tesi più ierocratiche, né l'acutezzateologica che il secondo mette a servizio dell'autonomia del temporale (De potestate regia et papali, ed. Leclercq, Parigi1942, cc. 14 ss: pp. 217 ss; si noti la qualità teologica della sezione “risposta alle obiezioni”). Un esempio: Remigio poteva evitare in CF 12, 3-5.15-18 i grossi errori storici (di persone e di cronologia) che gli trasmette la glossa «Transtulit», se solo si fosse rivolto al Liber pontificalis e Cronica di Martino Polono (che altrove dà prova di utilizzare), o a Vincenzo da Beauvais (Speculum historiale,ed. Douai 1624, p. 953). Tolomeo da Lucca (Determinalio compendiosa de iurisdictione imperii, ed. M. Krammer, MGH, Fontes iuris germ. Lipsia 1909, c. 13: p. 31) li evita; Giovanni da Parigi (De potestate regia et papali c. 14: p. 219) ha correttamente Hildericum per re deposto, e non Ludovicum comein CF (Cf. W. ULLMANN, Il papato nel medioevo, Bari 1975, 76-85). A favore di Remigio sta solo l'attenuante che la trattazione sul potere papale non è opera autonoma ma inserita nel contesto redazionale del CF. Trattazioni ex professo sul potere papale offriranno agli agostiniani Egidio Romano nel De ecclesiastica potestate (1301) e Giacomo daViterbo nel De regimine christiano (1301-02) l'occasione di darprova di robustezza intellettuale e argomentativa che fa difetto al CF.

Gli estremi dottrinali, comunque, della teoria remigianasul potere ecclesiastico si potrebbero così sintetizzare:

- l'auctoritas della chiesa è grande;- l'auctoritas del papa eccelle ogni altro potere;- l'ordinazione gerarchica del cosmo e la natura specifica delle singole sostanze fondano un atto e un agire proprio di ciascun essere;- il Cristo, sacerdote e re, ha ricevuto sia la regalitàspirituale che quella temporale;- il suo vicario invece, il papa, ottiene per trasmissione apostolica solo la prima; la vicarìa non comporta necessariamente la delega di tutto il potere del delegante;- ma l'unità del corpus della civitas medievalis comporta uncaput uno e supremo, il papa, che intervenga nei casi che sollecitano l'istanza ultima del potere;- questo intervento può terminare anche al temporale ma non in forza d'una intrinseca ordinazione o competenza diretta («non principaliter et directe»);- la legislazione ordinaria e l'esercizio della giurisprudenza determinano i casi specifici in cui la potestas ecclesie supplisce il giudice secolare o si estende al temporale «<in>directe et in casu».

Ma non tutto è così lineare.Le perplessità annotate da alcuni studiosi (cf. C.

DAVIS, An early Florentine political theorist..., «Proceedings of the American Philosophical Society» 104 (1960) 675-76) circa lacoerenza della teoria remigiana, hanno in parte le loro ragioni. E non tanto perché la casistica della extensio in temporalibus (c. 37) sotto la rubrica «nonnisi ratione delicti vel defectus iudicis principalis» (c. 19, 9-10) apre la porta ad un'indefinibile e inarrestabile surroga del temporale da parte dello spirituale, che pure si volevacontenere; non tanto per la dubbia tenuta teorico-pratica della distinzione «principaliter et directe» quando ci si muove entro una politologia bipolare (anima-corpo,

spirituale-temporale, papa-imperatore); ma per l'incapacitàdi trarre tutte le conseguenze dalla lezione della consistenza ontologica della natura e dalla specificità delloro agire, che pure potevano fondare uno ius proprio. I cc.26 e 27 stabiliscono ad un tempo meriti e limiti di fra Remigio. Si comprende come entro il dato dell'unità e universalismo gerarchicamente composto, il temporale (= materiale!) sia subalterno allo spirituale, così come il corpo all'anima. Ma una volta affermato che il papa, in quanto vicario, non riceve tutto il potere di Cristo, non riceve in particolare la regalità temporale (cf. 20, 6-13; 27, 115 ss), resta difficile afferrare la tenuta logica conquanto asserito altrove: «... potestas regalis dependet a sacerdotali et causatur ab ea, et quod potest amoveri ab earatione delict» (c. 28, 13-15).

«Et causatur ab ea» - si noti. E proprio nello stesso capitolo in cui ci si propone di contestare legittimità d'inferenza teologica da “premesse simboliche” (c. 28 che risponde a cc. 7-8).E più sotto, c. 37, 18-19: «ius vero positivum civile a iure naturali procedit». Qui anzi si abbozza una sintesi dottrinale dello ius (da cui la iurisdictio = potestas iuris), che termina alla partizione:

ius

divinum  naturale  

positivumcanonicumcivile

Mentre, le relazioni di dipendenza genetico-normativa, stabilite nel medesimo testo, darebbero:

 ius

divinum

 

 ius

naturale

 

positivumcanonicum

positivumcivile

■ CF 37, 15-19. Non inutile confrontare questa divisione di ius con quella di lex che Remigio dà altrove. A parte la legittima distinzione delle nozioni ius e lex, i processi di derivazione, le subalternanze di normatività, le sfere di competenza sono difficilmente concordabili nelle due divisioni: «Lex autem est duplex, scilicet innata et positiva...;positiva autem est duplex, scilicet vetus et nova. Humana autem est duplex, scilicet imperialis ct municipalis» (De iustitia 128). La rivendicazione della lex municipalis distinta dalla imperialis è certamente un elemento prezioso e caratteristico di Remigio “teoricopolitico del Comune”; ma come sono entrambe subordinate alla lex divina? Ne «dipendono» in qualche modo? La concatenazione delle tesi ierocratiche di Tolomeo da Lucca sembra più rigorosa: «Si ergo tota iurisdictio concessa est vicario Christi, apparet quodimperiale dominium dependet a papa» (Determinatio compendiosa e. 6, p. 17).Affermato che lo ius positivum civile procede dallo ius

naturale e negato che tutto il potere regale di Cristo sia trasmesso al vicario-papa, non si vede dove Remigio fondi la supplenza papale in temporalibus. Bisogna supporre o che ildato dell'esercizio del potere in temporalibus (trasmesso dal fatto storico e dalla legislazione canonica) faccia violenza al fragile momento teorico, o che questo ospiti unresiduo di vera e propria contaminatio teologica tra dottrina aristotelico-tomistica dello ius naturale e concezione dionisiana del cosmo cristiano.

E se facciamo astrazione dalle possibili tappe d'evoluzione delpensiero di Remigio - ancora tutte da ricostruire - come riconciliare questi due passi?

Contra falsos Sermone in morte di ClementeV (20.IV.1314)

[Tesi:] ecclesia non babet auctoritatem super temporalia principaliter et directe (c. 19);

Omnia enim officia cuiuscumque dignitatis et iurisdictionalis potestatis,

probatur per auctoritates santorum (c. 20):

Quantum vero ad sanctos, dicitBernardus: «In criminibus non in possessionibus potestas vestra...». «In hiis [gemmis, auro, equo albo, milite...] successisti non Petro sed Constantino». Ex quibus quidem verbis duo videntur haberi: unum est quod auctoritas commissa Petro non accipiatur de temporalibus; secundum est quod papa accepit temporalia ab imperatore Constantino (20, 2-13);

[e in occasione della donatio]facta est vox de celo: «Hodie infusum est venenum ecclesie Dei»(26, 22-23).

que a principio mundi usque nunc per diversas personas sunt babita, omnia simul in persona summi pontificis inveniuntur collata, secundumillud Bernardi: «Quis es? Sacerdos magnus (…) tu primatu Abel, gubernatu Noe (…) iudicatu Sarnuel». Et poterat addere: tu imperio Octavianus! (cod. G, f. 380va-b).

Il sermone continua con tesi e selezione di auctoritates che, a guardar bene, rinviano tutte alla sezione del CF anteriore al c. 19. Le annoterò tra parentesi quadre nel testo del sermone.

Ipse enim papa est rex super omnes reges, iuxta illud Apoc. 19: «Rex regum et dominus dominantium». Et est imperator, iuxta illud Ysa. 9: «Cuius imperium super humerum cius», super omnem imperatorem. «Quantum enim sol excedit lunam, tantum dignitas papalis excedit imperialem», ut dicit Innocentius III, Extra, ubi supra [CF 11,23-24]. Unde papa imperatorem confirmat et coronat [15,3-12] et oblique incedentem excomunicat [12,11.20]. Unde Nicolaus papa dist. 22, c. Omnes: «Romanam ecclesiam...» [11,32-34] (cod. G, f. 380vb).E nel sermone Clemens est dominus Deus noster (II Paralip. 30)

in ricevimento di Clemente V:De ipso [papa] namque verum est quod scribitur Apoc. 19:«Rex regum et dominus dominantium». Ab ipso namque et ipsius auctoritate dependet omnis auctoritas omnium

regum et omnium principum terrenorum [cf. CF 18,4-5]. Unde Gregorius, et habetur dist. 96, c. Quis dubitet... [10,70-73]. Et beatus Cirillus: «Ipsi capiti nostro apostolico trono Romanorum pontifice...» [10,49 ss]. Et Bernardus lib. II «Quis est? etc.»... [10,57 ss] (cod. G, f. 347rb).

E pur restando entro i dati del CF, il più benevolo esercizio di simpatia ermeneutica dell'editore non riesce adissipare un grave dubbio testuale. Così almeno a mio giudizio. Si tratta dell'importante capitolo 37. Il titolo porta incontestabilmente «indirecte et in casu», ripetuto in c. 37, 5. Il che sembra ben accordarsi con tesi III esposta in cc. 19-36. Il grosso del discorso sarebbe: il papa non ha autorità nel temporale «principaliter et directe» (cc. 19-36), ma si danno casi in cui egli è chiamato a intervenire; qui la sua autorità si esercita neltemporale «indirecte et in casu» (c. 37). Ma poi nell'analisi dei modi e dei casi di siffatta estensione neltemporale, l'argomentazione si svolge su un supporto dialettico concludente sempre a «directe». Nel caso di supplenza della causa subordinata: «subtracto secundo, primum directe se extendit et immediate ad illud ad quod, existente secundo, non extendebat se nisi indirecte quodammodo et mediate» (c. 37,26-28); e nei sette casi elencati (c. 37,47-83) l'estensione dell'autorità papale nel temporale segue la medesima legge («Et per istum modum...»: 37,43), cosicché «iurisdictio pape directe se extendit ad temporalia» (37,44). Nel caso dell'analogia stabilita sul rapporto «spirituale-carnale» (37, 84-92): anche il carnale partecipa in qualche modo dello spirituale, e sotto questo rispetto anch'esso «pertinebit directe ad pape iurisdictionem» (37,86-87).

Il c. 37 non è stato redazionalmente e dottrinalmente riequilibrato col blocco cc. 19-36 mirante a contenere l'estensione del potere papale nel temporale? È mancata unachiara definizione delle due nozioni extensio directa ed extensio indirecta? Oppure il titolo di c. 37 porta una svista

e va corretto: «Quomodo iurisdictio ecclesie directe et in casu ad temporalia se extendit»?

Non aveva dato prova di maggior acutezza e coerenza il confratello e contemporaneo Giovanni da Parigi († 1306)? Certo, nella gerarchia degli ordines che traducono l'immagine del mondo celeste e terreno del medievale, nessuno oserebbe negare l'excellentia dello spirituale sul materiale. Ma la consistenza ontologica della natura, la subordinazione della causalità, che potevano fondare sia uno ius naturale che una autonomia etica delle virtutes politicae (interessanti spunti anche in CF 27, 38-49;18, 20-25; ma poi, c. 36, si dice che anche l'auctoritas degli infedeli dipende dal papa!), avevano insegnato ai discepoli di Tommaso d'Aquino che la composizione gerarchica degli esseri non era necessariamente di marca dionisiana o neoplatonica. Giovanni da Paiigi aveva abbozzato perfino lepossibilità teoriche d'uscire da una politologia bipolare entro cui ci si dibatteva senza molto frutto:

Quod arguitur vigesimo quod corporalia reguntur per spititualia et ab ipsis dependent ut a causa, respondeo:argumentum ut sic factum multipliciter deficit. Primo quia supponit quod potestas regalis sit corporalis et non spiritualis, et quod habeat curam corporum et non animatum [animarum?], quod falsum est (…) cum ordinetur ad bonum commune civium non quodcumque, sed quod est vivere secundum virtutem, ut dicit Philosophus... (De potestale regia et papali c. 17: p. 225).E poco prima, nel versante più specificamente

ecclesiologico, aveva introdotto una intuizione che poteva fondare in radice la legittimità cristiana dell'autonomia del temporale:

Si ecclesia accipiatur non solum pro congregatione clericorum sed generaliter vocetur ecclesia communitas fidelium, sic ecclesie presunt et ecclesiasticus iudex in spiritualibus et secularis in temporalibus (De potestale regia et papali c. 16: p. 223).

■ Sono stati spesso menzionati Giovanni da Parigi e Tolomeo da Lucca, perché le loro biografie s'intrecciano con quella di Remigio e dei primi discepoli di Tommaso d'Aquino. Nel 1303 Giovanni firma, con i domenicani di St.-Jacques, l'appello al concilio contro Bonifacio VIII (AFP 1952, 405). Tolomeo era priore di SMN nel 1301-02; nel capitolo generale di Colonia 1301 fu, con Remigio, elettore delmaestro generale; dove poi «alter corum diffinivit». Ec'è da rammaricarsi della perdita di un'opera d'un terzo comune confratello della provincia Romana, fr. Angelo il Nero da Viterbo, di cui esisteva un commentoall'Unam sanctam dall'incipit: «Sciendum, sicut egregius doctor fr. Thomas, secundum cuius dicta intendimus hanc decretalem disponere» (SOPMÆ I, 76). Anche Remigio sembra soffrire la fragilità delle

categorie «spirituale-carnale» per interpretare e comporre nell'unità dell'universo cristiano la natura e subordinazione dei due ordini di potere. Tanto che le “categorie” degradano in metafore, strumento retorico della«comparatio» (cf. c. 37,7-8,23-24.84). L'ordine temporale –competenza dell'imperatore - è sì carnale, ma «respective acceptum etiam in se spiritum habet» ed è anch'esso in qualche modo spirituale (c. 37,84-85). E a questo punto ci si sarebbe attesi - per coerenza di riconfermare la distinzione dei poteri precedentemente asserita - di veder chiamate in causa le virtutes politicae. Queste infatti presiedono e dirigono, secondo la legge della specificità delle potenze e dei loro atti, l'attività umana terminante al bene politico; cosa che non compete alle virtutes tbeologicae (c. 27,38-49). Ma l'argomentazione piega in altradirezione: se il temporale-carnale partecipa in qualche modo dello spirituale, allora esso ricade sotto la giurisdizione diretta del papa (c. 37,86-91).

Del resto, la vastità d'orizzonte della ecclesia del CF è animata da un'ispirazione comprensiva con funzione “integrante” e “assimilante” delle realtà temporali, più

che dalla sorpresa di aver scrutato le diversità specifichedegli atti conoscitivi dell'uomo (notitia scientiarum) e averneintuito la portata operativa nella polis terrena.

  

II.4 Tentativo di datare il Contra falsos

Il saggio di raffronto testuale tentato tra CF e alcuni testi canonistici potrebbe estendersi alla produzione giuridica e teologica cui dette luogo il conflitto tra Bonifacio VIII e Filippo il Bello. Ma la formulazione concisa, poco elaborata, prevalentemente rivolta a fonti comuni come Decreto, Decretali e loro glosse, i vaghi riferimenti ad altre fonti, rendono indefinibili le prossimità testuali con valore di connessione cronologica. E non perché manchino, entro tale produzione, similarità testuali. Semmai per motivi opposti. Dalla Quaestio in utramque partem al dossier dei libellisti papali e regalisti, ai grandi trattati teologici di Egidio Romano, Giacomo da Viterbo, Giovanni da Parigi, gli stessi argomenti, le stesse fonti (bibliche, canoniche, storiche, razionali), le stesse auctoritates ricorrono con regolarità -talvolta monotona - in tutti gli scritti (RIVIÈRE c. 3 La mêlée théologique, pp. 122-61; c. 4 Dossier de la controverse, 162-90). Cosicché vedere dipendenza testuale ededurne successione temporale anche là dove il parallelismosfiora l’ad litteram sarebbe rischioso. L’argomento della imprevidenza del Cristo, qualora avesse mancato di trasmettere al papa la regalità temporale (CF 27, 51-55), si ritrova nell’anonimo ierocratico Non ponant laici (1302) e nell’Additio alla glossa all’Unam sanctam (1302); ma l’argomento si tramandava da almeno un cinquantennio, vistoche lo si ritrova nell’Apparalus d’Innocenzo IV († 1254) alleDecretali Extra (cf. CF 27, 51-55.115 ss e rispettive note).Dove lo leggeva Remigio?

L’importante Quaestio in utramque partem (1302), per la sualinearità compositiva, distribuzione delle auctoritates,

concatenazione degli argomenti (ex rationibus naturatibus, ex rationibus tbeologicis, ex iure canonico, ex iure civili...), perfino per talune coincidenze di dettato, è estremamente allettante per un quadro sinottico con CF cc. 6-37. Altrettanto per leanonime Quaestio de potestate papae (o Rex pacificus) (1302-03) e Non ponant laici (1302; o 1296-97?) che commenta la bolla Clericis laicos (24.II.1296) di Bonifacio VIII. Ma non se ne ricava alcuna prova d’interdipendenza testuale.

L’intemperata reazione di Remigio contro chi nega la regalità temporale del Cristo in quanto uomo (CF 27, 56-61)non può non evocare alla memoria il nome di Giovanni da Parigi († 1306). Giovanni fu il primo, nel De potestate regia et papali (fine 1302, inizio 1303), a dare un robusto statutoteologico alla dottrina della regalità del Cristo, riallacciandola non alla natura umana del Verbo incarnato ma all’unione ipostatica. Veniva issofatto negata la regalità temporale del Cristo uomo (De potestate regia et papali cc. 2 e 8; pp. 178-79, 190-92; cf. J. LECLERCQ, L’idée de la royauté du Christ au moyen âge, Paris 1959, 159-64). Ma il «secundum quosdam sue mensure ignaros, presumptione insanoset carnalitate furiosos...» di CF 27, 56-57 mira e suppone con certezza Giovanni da Parigi? La negazione della regalità temporale del Cristo era già stata tema costante degli Spirituali e gioachimiti in clima di critica al temporalismo e corruzione della chiesa; così come lo sarà presso la letteratura regalista antibonifaciana e oltre.

Mi sembra, dunque, che il tono generale, la brevità dei temi, l’assenza di pezzi argomentativi che riscuoteranno principale attenzione e ampio sviluppo presso i trattatistidegli anni 1301-1303, persuadano a rimettere il CF cc. 5-37(con le cautele sui cc. 19-36 di cui sopra) a una fase anteriore al clima infocato e alle tematiche focalizzate che caratterizzano la produzione letteraria del secondo conflitto tra papa Bonifacio e re Filippo.

■ assenze: I Re cc. 10.16 (Samuele unge i re); Gerem.1, 10; Ugo da San Vittore, De sacramentis II, II, 4: PL176, 418 C (sulla institutio del potere secolare); i

temi «absolvere milites a iuramento fidelitatis», «de legatis et restitutionibus», «gladius sub gladio», decime, «homo spiritualis iudicat omnia»; distinzione tra potere dei duo gladii e executio; numerazione dei casi di supplenza...■ RIVIÈRE c. 1, II (Deuxième phase du conflit), pp. 70ss. Diciamo «Contra falsos cc. 5-37», perché il resto del trattato non offre spunti per la datazione. Ma ovvia è l'unità compositiva del trattato, fermo restando quanto detto a proposito dei cc. 19-36.

Luogo obbligato della letteratura sul potere papale era la bolla Unam sanctam di papa Bonifacio, 18 novembre 1302 (Extravagantes communes I, 8, 1: Fried. II, 1245-46). Il CF di fra Remigio dei Girolami non la cita. Se ne può trarre argomento di priorità temporale per il CF?

M. Maccarrone l’ha sostenuto senza esitazione. Anzi, coerentemente, anticipa al 1298 il termine ante quem per analoga argomentazione in rapporto al Liber sextus Decretalium,promulgato da Bonifacio il 3 marzo 1298 (MACCARRONE, Vicarius150 n. 128). O. Capitani - che, come abbiamo visto, preferisce il criterio della nota magister nei trattati di cod. C - mette in guardia dall’argomento ex silentio (Il De pecc.usure 554).

Sulla base d’un quadro d’insieme del CF e dell’edizione dei cc. 5-37, si può illustrare la questione e saggiare, eventualmente, la natura dell’absentia dell’argomento ex silentio?

Notiamo subito - benché la cosa sappia d’ovvietà - che fra Remigio dei Girolami, lettore d’uno studium filosofico-teologico, membro di molti capitoli generali e provinciali dell’ordine dei Predicatori, non poteva ignorare l’Unam sanctam. Il riferimento a bolle pontificie, a breve distanza dalla promulgazione, fa regolare comparsa negli atti dei capitoli generali e provinciali dell’ordine; tempestiva, a titolo d’esempio, la recezione del Liber sextus dal capitolo generale Metz 1298 (MOPH III,290/22) e dal

capitolo provinciale Pistoia 1299 (MOPH XX, 130/21-24). La lettera Super cathedram (18.II.1300) di papa Bonifacio - cheentrerà nelle Extravagantes communes III, 6, 2 - è transunta,dal registro del vescovo di Firenze per conto dei frati di SMN, il 22 aprile del medesimo anno (ASF, Notar. antecos. 11484, già L 76, ff. 17v-19v. ASF, Dipl. S. Maria Novella: 1300,apr. 18).

«Eodem die [22.IV.1300]… dicti sindici et procuratores nomine quo supra dimiserunt |19v| et ipsis priori, guardiano et fratribus utriusque ordinis unam copiam assignaverunt et dederunt in forma publica dictarum licterarum apostolicarum transumptam per me Lapum notarium infrascriptum de regestro curie venerabilis patri domini Francisci… episcopi florentini, scripto perser Franciscum eius notarium condam Neri de Barberino etsubscriptam etiam per eundem ser Franciscum notarium» (ASF, Notar. antecos. 11484, f. 19r-v).Le decretali extravagantes, non ancora incorporate nelle

collezioni canoniche ufficiali, sono regolarmente citate nella letteratura giuridica e teologica. Remigio stesso cita la decretale Quod olim (12.V.1304) di Benedetto XI quando ancora non inserita nelle Extravagantes communes IV, 13, c. un. Pietro de la Palu (Tractatus de potestale papae, p. 202) intorno al 1317 argomenta «per decretalem extravagantem que incipit Unam sanctam» prima che comparisse nelle Extravagantes communes I, 8, 1; Tolomeo da Lucca nella Determinatio (1280-81, c. 29, p. 59) fa uso della «novissima Extra, de electione, c. Avaritiae» (1274) prima che fosse inserita, nel 1298, nel Liber sextus I, 6, 5. Mentre nel 1338 Galvano Fiamma in Utrum papa romanus ist dominus in temporalibus argomenta dall’Unam sanctam come ormai entrata nelle Extravagantes communes I, 8, 1 (Fried. II, 1245-1246) (AFP 15 (1945) 121). Quanto al Liber sextus, promulgato il 3.III.1298, Remigio lo cita esplicitamente due volte nelDe bono pacis, ed. MD 16 (1985) 178-79. E citerà - lo vedremo tra poco - anche il Liber septimus o Clementinae.

Ora il CF non fa alcun riferimento esplicito né all’Unam sanctam né al Liber sextus, che pure dovevano

costituire la documentazione canonica più aggiornata e più autorevole nel dibattito sul potere papale.

E lo stesso discorso andrebbe fatto per i numerosi documenti papali che intercorsero nelle due fasi di conflitto tra Bonifacio e Filippo; laddove in CF 21, 75-76, c’è un vago «sicut apparet per multas decretales imperatoribus missas», che sembra guardare indietro almeno di qualche decennio, vista la vacanza dell’impero dalla morte di Federico II. L’Ausculta fili (dic. 1301) mira a dissuadere il re di Francia dal ritenersi non soggetto a potere superiore. Remigio, rifacendosi all’autorità d’Innocenzo III, trasmessa nelle Decretali Extra, si trovapalesemente in contrasto con la bolla bonifaciana:

Ausculta fili Contra falsos 21, 60-62Quare fili carissime, nemo tibi suadeat quod superiorem non habes et non subsis summo ierarche ecclesiastice ierarchie. Nam desipit qui sic sapit et pertinaciter hoc affirmans convincitur infidelis (RIVIÈRE 74).

Insuper cum rex Francie superiorem in temporalibus minime recognoscat, sine iuris alterius lesione in eo se iurisdictioni nostre subicere potuit.

E riferimenti o contatti impliciti ma sicuri con l’Unam sanctam, del tipo - per intenderci - documentabili nel De ecclesiastica potestate di Egidio Romano?

■ Vedi De potestate ecclesiastica 1, 5, pp. 13-16, che riprende punto per punto gli argomenti della excellentiadel potere spirituale come nell’Unam sanctam (ex decimarum datione, ex benedictione ... ). Cf. U. MARIANI, Scrittori politici agostiniani del sec. XIV, Firenze 1927, 150-51, 175-78.La novità dell’Unam sanctam - come si sa - è nella

direzione impressa al materiale documentativo più che nellesingole auctoritates invocate; le quali sono tutte d’antico calco e venerabile tradizione. Il principio dell’unitas, le metafore della colomba, dell’arca, dell’unum caput contro ilmonstrum d’un corpo a più teste, i testi biblici, i due gladii, le auctoritates dello Ps.-Dionigi, san Bernardo, Ugo

da San Vittore (queste due ultime implicite), hanno tutte un’antichissima storia nella letteratura sul sacerdotium et regnum. Esse si ritrovano tutte - o quasi - nel CF così come in simili trattazioni prima e dopo l’Unam sanctam.

■ RIVIÈRE 79-91; G. DIGARD, Philippe le Bel... II, 132-45; M.D. CHENU, Dogme et théologie dans la bulle ‘Unam sanctam’, «Rech. Scien. Relig.» 40 (1951-52) 307-16; Y.CONGAR, L’Eglise de st. Augustin à l’époque moderne, Paris 1970, 272-77.

Colpiscono, comunque, alcuni dati che sembrano di valoredistintivo nel confronto dei due testi.

1) «Subesse Romano pontifici omni humanae creaturae declaramus, dicimus, diffinimus et pronunciamus omnino essede necessitate salutis» (Fried. II, 1246).

Non vi sono tracce, nel Contra falsos, del famoso asserto finale della bolla bonifaciana.

2) «Spiritualis potestas terrenam potestatem instituere habet».

L’auctoritas è d’Ugo da San Vittore, De sacramentis II, II,4: «Nam spiritualis potestas terrenam potestatem et instituere habet ut sit, et iudicare habet si bona non fuerit...» (PL 176, 418 C). Essa ritornerà metodicamente nella letteratura sul potere papale degli anni 1301-03 e seguenti; assumerà, anzi, un posto preminente nel repertorio argomentativo. Essa è assente nel Contra falsos; eppure poteva autorevolmente avallare che «potestas regalisdependet a sacerdotali et causatur ab ea» (CF 28, 13-14).

■ Egidio Romano, De ecclesiastica potestate I, 4 (p. 11, 12); I, 5 (p. 14, 17); Giacomo da Viterbo, De regimine christiano II, 7 (p. 231, 234); Quodl. I,17 (ed. Ypma 1968, p. 209). Giovanni da Parigi, per l’uso che se ne doveva fare, tronca corto: «dicta Hugonis non sunt authentica, et modicum roboris afferunt»: De potestate regia et papali c. 17 (p. 226). Cf. Tomm. d’Aquino, Summa theologiae II-II, 5, 1, ad  1.

3) Lo Ps.-Dionigi, invocato nell’Unam sanctam per sostenere la subalternanza gerarchica degli esseri, comparenella medesima funzione in CF c. 18; ma in c. 28 è invocatoper sostenere che dalla tipologia vetero-testamentaria non si può trarre argomento probativo in scienza teologica.

4) Bernardo da Clairvaux è invocato, nel nostro contesto, cinque volte:

Deconsideratione

 Contrafalsos

II, 8 c. 10, 57-60III, 4, 18 c. 10, 60-66IV, 3, 7 c. 10, 66-69I, 6, 7 c. 20, 2-5IV, 3, 3 c. 20, 6-10

In c. 30, 8-44 Remigio ritorna sull’autorità di Bernardocon insolita ampiezza e con evidente interesse («que subduntur de Bernardo plus premunt»: 30, 8). Ma si leggano attentamente le tre sezioni dedicate a Bernardo: cc. 10, 20, 30. Si noterà che l’autorità di Bernardo è piegata a contenere l’inferenza analogica che si vorrebbe trarre tra tipo e antitipo: “Mosè - Pietro”; “Dio (angeli) - papa (uomini)”; “spada spirituale - spada materiale”. Si fa levaanzi sull’impeto etico-spirituale che animava il discorso di Bernardo a papa Eugenio III - elemento sottaciuto nella letteratura ierocratica, la quale usa invece Bernardo in direzione temporalista.

«Ex quibus quidem verbis duo videntur baberi: unum est quod auctoritas commissa Petro, Io. ultimo, non accipiatur de temporalibus; secundum est quod papa accepit temporalia ab imperatore Constantino» (CF 20, 10-13).L’uso di Bernardo nell’Unam sanctam corre per tutt’altro

verso.

Quanto al Liber sextus (3.III.1298), va notato che nel capitolo di CF su scomunica, traslazione, deposizione (c.

12), mentre si fa uso sistematico del Decreto e Decretali (perfino laddove si dice «legitur in cronicis»), nel caso di Federico II si rimanda a quanto contenuto «in sententia depositionis ipsius» (c. 32, 15); deposizione decretata da Innocenzo IV «in concilio lugdunensi» (c. 12,21). Perché non continuare sul filo delle collezioni canoniche fino al caso dell’Ad apostolicae (bolla di deposizione di Federico II,del 17.VII.1245) ricevuta nel Liber sextus II, 14, 2 (Fried. II, 1008-1011) del 1298? Remigio scriveva prima della promulgazione del Liber sextus?

Dato il contesto tematico e redazionale dell’absentia, e dato il fatto che chi scrive è un teologo, per di più ben inserito nelle istituzioni ecclesiastiche, non si puònegare a questi casi d’argomento ex silentio ogni probabilità. Specie se occorre di fare letture parallele:

Remigio Giovanni da Napoli (1324 ca.)Çacharias enim papa (…) regem Francorum Ludovicum nomine deposuit: Decr. C. 15, q. 6, c. 3 (Alius).

In papa est potestas instituendi et deponendi (…). Confirmatur: Decr. C. 15, q. 6, c. Alius: Zacharias papa regem Francorum deposuit…

(…) Innocentius IV omnino ipsum deposuit... in concilio lugdunensi..., ut tangit papa in sententia depositionis ipsius [bolla Ad apostolicae] (CF 12, 3-5.20-21; 32, 14-15).

Et Innocentius papa deposuit imperatorem Fridericum in concilio Lugdunensi (…), ut recitatur lib. 6, De sententia et re iudicata, Ad Apostolicae» [= Liber sextus II, 14, 2] (Questione «Utrum imperator et alii domini temporales quicumque sint subiecti pape», in Quaestiones variae…, ed. D. Gravina, Napoli 1618, 337 B).

 Così Pietro de la Palu nell’articolo «De depositione principum et prelatorum» del De potestate papae (1317):

 [Inter causas depositionis:] Alia, quod de heresi evidentibus argumentis suspectus haberetur cum prernittatur quod excommunicationem diu sustinuerat animo indurato, De sententia et re iudicata, c. Ad apostolice [=Liber sextus II, 14, 2] (Tractatus de potestate papae q. II, a.5, p. 265).

Ed Enrico da Cremona nel De potestate pape (1301-02) proprio nel bel mezzo della pubblicistica del secondo conflitto tra papa Bonifacio e re Filippo:

XV, q. VI c. alius [Decr. C. 15, q. 6, c. 3] continetur quod papa deposuit quendam regem Francorum; dominus etiam Innocentius IIII deposuit Fredericum, de sent. et re iudic. c. ad apostolice in sexto libro [= Liber sextus II, 14, 2] (De potestate pape, in SCHOLZ, Die Publizistik p. 466).Mentre nella Determinatio di Tolomeo da Lucca, anteriore

certamente al Liber sextus, si ha né più né meno il medesimo schema che in CF:

- papa Zaccaria depone il re dei Franchi: Decr. C. 15, q. 6, c. Alius;

- papa Innocenzo depone Federico II, e «Lugduni celebrato concilio non solum suorum predecessorum (…) excommunicationis roboravit sententiam, sed etiam ipsum imperio privavit expresse» (Determinatio compendiosa c. 14, pp. 31, 32).

Il prof. Capitani aveva scritto: «Veramente, se fosse esatta la nostra ricostruzione, il CF rappresenterebbe, all’indomani dell’assoluzione di Filippo il Bello e nel clima di distensione che Benedetto XI [ott.1303 - luglio 1304] cercò di creare dopo l’urto drammatico avvenuto tra il suo predecessore e il re di Francia, un documento ancor più interessante».

CAPITANI, Il De pecc. us. 554. Poco prima aveva scritto: Remigio «poteva nel caso dell’Ad Apostolice, non riferirsidirettamente alla raccolta bonifaciana, proprio perché in quel punto del CF discuteva, come apprendiamo dal Maccarrone stesso, la teoria ierocratica di Innocenzo IV, che aveva promulgato l’Ad Apostolice, documento centrale per la questione» (ib. p. 554). Non esattamente. Un probabile riferimento critico a Innocenzo IV (dottrina sulla regalità temporale e vicarìa papale) è in CF c. 27, 51-55.115-119; mentre in

cc. 12 e 32 Innocenzo IV è evocato solo in riferimento alla deposizione di Federico II.

L’ipotesi Capitani - ad esser sinceri - aveva lusingato anche il sottoscritto, che nutriva anzi la speranza di confermare una pista di notevole interesse per la collocazione storica e dottrinale di Remigio.

Ma, a parte il fatto che i rapporti tra Remigio e papa Bonifacio nel triangolo “conferimento del magistero - dibattito sul potere papale -politica comunale di Firenze” vanno ancora studiati e chiariti, l’ipotesi trascina con sésupposizioni plurime sottratte alla documentazione; mentre l’unico appoggio resta l’argomento della nota magister, di cui s’è detto sopra.

Per il resto, Remigio - almeno il Remigio del periodo della maturità, maestro in teologia e vicino alla curia papale dal 1302-03 in poi - se evita l’adulazione non tradisce certo segni di disagio nell’atmosfera evocata dalla serie di sermoni ai papi, cardinali e ufficiali di curia. È stato riferito uno stralcio dai sermoni per Clemente V, e delle speranze riposte in Giovanni XXII («...propter quod bene de eo debemus sperare») verosimilmente inrapporto alla politica papale circa gli ordini mendicanti dopo la morte del domenicano Benedetto XI. La bolla Inter cunctas 17.II.1304 di Benedetto XI aveva soppresso la Super cathedram 18. II.1300 di Bonifacio (bolla «gravis et aspera» per il maestro dei frati Predicatori: MOPH V,174/22), e aveva fatto inclinare la bilancia a favore deiprivilegi dei mendicanti nelle liti col clero secolare; ne fa copia per il convento SMN il medesimo copista (mano A) che lavora ai codici di Remigio, BNF, Conv. soppr.  D 9.1157,ff. 73r-75v (POMARO, Censimento I, 387-88). La Dudum di Clemente V nel concilio di Vienne (1311-12) aveva abrogato l’Inter cunctas e rimesso in vigore la Super cathedram. GiovanniXXII sancì definitivamente la cosa inserendo la Dudum, integrata dalla Super cathedram, nella collezione canonica Clementinae III, 7, 2 (Fried. II,1161-64). Non sappiamo se Remigio soffrisse la delusione. Ma sul titolo seguente

delle Clementinae III, 8, 1 si può documentare una reazione del teologo fiorentino. Nel De decimis c. 1 (Clementinae III, 8, 1) sono inserite le norme, già decretate dal concilio diVienne (1311-12), restrittive dei privilegi dei religiosi circa la decima. Ora in calce alla questione Utrum detentio decimarum sit peccatum mortale della Extractio per alpbabetum si legge un’aggiunta di mano B, autografa di Remigio:

Sed quia papa modo in septimo videtur magis artare, cui oportet per omnia obedire, ideo per omnia fiat de datione decimarum sicut ipse mandat (cod. G 3.465, f. 124rb; marg. destro, mano B).Il rimando «in septimo» dell’aggiunta va al titolo De

decimis delle decretali Clementinae III, 8, 1, chiamate Septimus ovvero Liber septimus rispetto al Liber sextus di Bonifacio VIII prima che la glossa ordinaria volgarizzasse la denominazione Clementinae (Fried. II, p. LXII; VILLANI X,81,35-40). L’aggiunta di Remigio al codice della Extractio è preziosa: perché testimonia che l’autore aggiornava i suoi scritti fino alla vigilia della morte (se dobbiamo riferirci alla promulgazione definitiva delle Clementinae 25.X.1317); e perché Remigio - se pure insinua un sentimento di rammarico nella costatazione «papa... videturmagis artare» - non ha l’aria di chi sfidi apertamente le decretali papali: «per omnia fiat... sicut ipse mandat».

La conclusione dunque inclina nettamente in altra direzione: sebbene la priorità del Contra falsos rispetto ad Unam sanctam (1302) e Liber sextus (1298) non vanti testimonianze esplicite, essa però è da ritenersi, per i motivi suesposti, molto probabile. Un teologo che dibattevail potere papale non poteva tacere, se non barando, gl'interventi bonifaciani. Qui l'absentia non puntella argomenti ex silentio, denuncia bensì precedenza cronologica. Il Contra falsos dunque anteriore al 1298; ma di poco, se il bisogno di chiarire il proprio pensiero su un problema dibattuto faceva pressione su Remigio per un intervento redazionale non programmato:

(…) non fuit presentis intentionis tractare, et ideo in aliud tempus reservetur oportunius indagandum. Sed ne hoc ad presens ex quo occurrit omnino relinquatur intactum, et ne credatur, propter ea que dieta sunt, necessario sic esse tenendum, possumus sic opinando procedere sine preiudicio veritatis... (CF 19, 4-8).

Il discorso sul fatto politico sarà ripreso nel De bono comuni e nel De bono pacis tra 1302 e 1305. Ma qui ogni interesse per gli estremi (storicamente superati) della politologia medievale, consumata tra imperium e sacerdotium,potere papale e potere regale nel quadro d’un’unità universale (il corpus della societas cbristiana), scompare del tutto per cedere il posto a un nuovo soggetto politico, il Comune. L’analisi e gl’interventi di Remigio sui fatti specifici del comune fiorentino - dai discorsi ai priori durante la crisi di Giano della Bella (1293-95), alle lottetra Bianchi e Neri, al bando del 1302, alla remissione del decreto di guasto dei beni - spingerà Remigio a svolgere lanozione di bonum comune in quella di bonum Comunis. Un fatto nuovo e di non poco valore storico nella trattatistica politica a cavallo del XIII e XIV secolo. E sarà lì, anziché nel Contra falsos, il contributo più originale del fiorentino fra Remigio dei Girolami.

■ Aspetto messo in risalto dal MINIO-PALUELLO, DAVIS, e più recentemente dal SARUBBI e DE MATTEIS. Ma tenerepresenti i sermoni ai priori cittadini (Sermoni XXIV-XXVIII) e a pubblici personaggi (in SALVADORI-FEDERICI). Per contro, dei teologi che si batterono per il contenimento del potere papale, alcuni terminarono a rafforzare la teocrazia regal-imperiale:cf. Quaestio in utramque partem art. 5 (GOLDAST II, 102);gli stessi Giovanni da Parigi e Pietro de la Palu (vedi di quest’ultimo, q. 11, a. 3 «De praeminentia dominii in speciali quoad regnum Francie» in Tractatus de potestate papae, pp. 236-56). Cf. W. ULLMANN, Principi di governo e politica nel medioevo, Bologna (Il Mulino) 1972:La regalità teocratica, pp. 147 ss.; Introd. pp. 13-22.

 Per lo studio..., Pistoia 1979

III

Note sulla documentazione e fonti di Remigiodei Girolami, pp. 79-106

1 Problema delle fonti 9Libri textus: de casibus,concordantiae, Decreto, ecc.

2 Exempla 10 Vulgata, glossa, correctoria

3 Exempla mariani 11 Interpretatio nominum 4 Autori contemporanei 12 Fonti lessicografiche

5 Roma precristiana 13 Mysteria negli antroponimi

6 Tommaso d'Aquino 14 Grafologia e fonetismi

7 Pseudo-Cirillo 15 Divertissement ed enigmistica

8 Alfragano  

1. Problema delle fonti

Si tenga presente Contra falsos c. 99 e ultimo: De excusatione et explanatione, pubblicato in Append. I-a. L'interesse del testo non può sfuggire. È un documento d'onestà intellettuale e, nel medesimo

tempo, un'eccellente introduzione al metodo di lavoro e all'uso delle fonti di fra Remigio. Vi si dice in sintesi:

- non sempre le fonti sono lette negli originali ma talune sono utilizzate indirettamente;

- talvolta l'auctoritas non è riprodotta nel medesimo ordine che nell'originale ma adattata all'occorrenza;

- l'ordine dei membri compositivi non sempre è stato rispettato;

- motivi: carattere "generale e rapido" della composizione (cursim quodammodo scripsimus), o fretta dellascrittura (propter inadvertentiam festinantie in scribendo);

- quanto al testo biblico: è preso talvolta in senso diverso da quello inteso dall'autore, talaltra usato secondo cesure sintattiche diverse dall'originale. Segue ampia motivazione, che trae vantaggio dalla più classica tradizione dell'esegesi medievale di sovrapporre al senso letterale o historicus della sacra Scrittura quello spiritualis a tre gradi ermeneutici (allegorico, tropologico, anagogico). Remigio vi si provvede strumenti e legittimazione teologica dell'allegorismo a tutti i livelli.

Il problema delle fonti è stato sollevato con acuto interesse, vista la varietà tematica degli scritti di Remigio e il carattere enciclopedico delle sue informazioni. Ma in mancanza d'edizioni ampiamente rappresentative della produzione letteraria del frate fiorentino, quanto è stato abbozzato al riguardo può difficilmente beneficiare di contributi qualitativamente nuovi. Più urgente è provvedere edizioni che mirino a rendere cospicuo il testo e a individuare le letture più prossime al testo stesso. Solo una recensione sufficientemente vasta potrebbe - per esempio - appurare ilvalore qualitativo e quantitativo dit quanto è dichiarato aproposito dell'uso indiretto e accomodatizio delle proprie fonti (Contra falsos 99, 4-9.12-14: Append. I-a).

Per altro verso, il censimento del fondo tre-quattrocentesco della biblioteca di Santa Maria Novella promette notizie meno vaghe stilla consistenza libraria di cui disponevano frati e lettori dello studium di SMN. E data l'abitudine di Remigio di glossare i propri codici, cisi potrebbe imbattere in sorprese più numerose di quelle a tutt'oggi documentabili.

■ Cf. POMARO, Censimento. Per i codici posseduti da Remigio vedi Append. III § 3, sotto [0.2]. Valutazioni(restrittive) e di natura congetturale sulla biblioteca di SMN prima di Iacopo Passavanti, in DAVIS, Education 427 ss; CAPITANI, Il De pecc. us. 577-78.

Illustriamo il punto: conosceva Remigio direttamente lo pseudoaristotelico De secretis secretorum o lo citava da qualche florilegio di exempla (CAPITANI, Il De pecc. us. 577)?

Dopo aver incontrato il De secretis in De peccato usure c. 13(«Item contra naturam est quod homo naturaliter luxuriosus sit castus, sicut narrat Philosophus de Ypocrate in libro De secreto secretorum») lo si ritrova in Contra falsos c. 51 sul medesimo tema della lussuria e relativo aneddoto d'Ippocrate: «Unde Philosophus in libro De secretis secretorum: Crede michi indubitanter quod coitus est destruetio corporis et abreviatio vite» (Contra falsos c. 51, f. 177ra). In De contrarietate peccati: «De secretis secretorum ad Alexandrum lib. IX» (cod. C, f . 126va-b).

■ Cf. De secretis secretorum, ed. R. Steele, in R. BACONI,Opera V, Oxford 1920. Per la formazione e trasmissionedel testo, cf. M. GRIMASCHI, L'origine et les métamorpbosesdu ‘Sirr al-‘asràr', «Arch. Hist. Doctr. Littér. MA.» 43 (1976) 7-112.E lo si ritrova nel sermone Deum nemo vidit umquam di

dom. I dopo la Trinità. Qui, anzi, coincide con un curioso esempio d'ntervento correttivo di B sul copista A. Nella colonna sinistra, la redazione di A, il cui testo è viziato da trasposizione, da inversione e (se il titolo del libro era già presente nell'antigrafo) da omissione; in corsivo quanto nel testo è cassato con tratto di penna. Nella colonna destra la redazione corretta; in corsivo quanto aggiunto da B in margine sinistro con segno di richiamo.

Secundum illum modum viderunteum [sc. Deum] magni doctoreset theologi, ut Beda, Origenes, Augustinus et Ieronimus et frater Thomas deAquino et alii contemplantes et mago. exemplum de Iudeo et perscrutantes divinam scripturam. 

Secundum illum modum viderunteum [sc. Deum] magni doctoreset theologi, ut Beda, Origenes, Augustinus et Ieronimus et frater Thomas deAquino et alii contemplantes et perscrutantes divinam scripturam. Exemplum de Iudeo etmago in lib. IV De secretis secretorum(cod. G, f. 159va; l'intero

sermone, ff. 159ra-160va).

 Cf. De secretis secretorum, ed. R. Steele, in R. BACONI, OperaV, Oxford 1920, 240-41

 Il rimando con titolo dell'opera e numero del libro fa inclinare a pensare - viste le abitudini di Remigio - a utilizzazione diretta; del resto la natura della correzionesupera il restauro per congettura ed esige controllo diretto della fonte. Codice 125 (sec. XIV) della BibliotecaRiccardiana di Firenze contiene il Secretum secretorum magni philosophi Aristotelis (ff. 1-24), cui fa seguito [Arnaldus de Villanova,] De regimine sanitatis (ff. 25-34), Summa de regimine regum compilata a fratre Thoma de Aquino ordinis Predicatorum ad regemCypri (ff. 35-46) ecc. (cf. H.T. DONDAINE-H.V. SHOONER, Codices manuscripti operum Thomae de Aquino I, Romae 1967, n° 984). A f. 18rb, a margine dell'incipit del lungo racconto del mago e dell'ebreo («Et numquam imperes in hominem qui non credit legem tuam...») c'è una nota di richiamo, di grafia diversa dalla littera textualis:

YstoriaMagi

A f. 21ra, al margine sinistro in corrispondenza con l'episodio d'Ippocrate («Et currit in ipsa ystoria pulcra et extranca...») c'è un'altra nota simile alla precedente:

IstoriaYpocratis

Le uniche che ho riscontrate. I due exempla, per l'appunto, menzionati da Remigio. Troppo brevi le due note marginali per un confronto grafologico particolareggiato; l'impressione prima di trovarsi davanti alla medesima mano,e cioè di fra Remigio, non trova conferma in più  posato raffronto.

2. Exempla

E restiamo nella letteratura degli exempla, che costituisce un considerevole interesse di Remigio. Scontate

letture dirette (modo di citazione, brani testuali, opere abituali nelle biblioteche religioso-conventuali) quali Dialogi di Gregorio Magno, le Vitae Patrum, le Collationes di Cassiano, la Historia tripartita, le Historiae gentis Anglorum di Beda il Venerabile, la Historia scbolastica («magister in Historiis...») di Pietro il Comestore ecc., ci si può chiedere quale sia la fonte dell'abbondantissima letteratura degli exempla cui si rimanda anonimamente e genericamente: «ut legitur in gestis, in legenda, ut legitur de, exemplum de...»; cui segue nome del santo o della festa liturgica, talvolta con l'indicazione del mese della ricorrenza nel calendario liturgico: «Exempla de sancta Marina in iunio, de Margarita dicta Pelagius in octobri... ».

Nel Contra falsos s'è suggerita l'identificazione della Historia lombardica o Legenda aurea (1263-67) del domenicano Iacopo da Varazze († 1298) come fonte di exempla che altrove non trovano riscontro testuale. E tutti gli exemplariguardanti santi o celebrazioni liturgiche del calendario ecclesiastico si riscontrano regolarmente nella Legenda aurea.

■ JACOBI A VORAGINE, Legenda aurea, ed. Th. Graesse (1890) rist. anast. Osnabrüick 1969. Lo si citerà semplicemente VARAZZE seguito dalle pagine. Per l'autore cf. SOPMÆ II, 348-59; IV, 139-41. Per i due casi or ora menzionati (sante Marina e Margherita): VARAZZE 353.676-77.Cronologicamente troppo prossima, la Legenda aurea, a

Remigio per poterne esser la fonte?Va da sé che, laddove l'evocazione termina a un

generico «vide exemplum de... » o simili, nessuna collazione testuale può esser prodotta. Ma quando si sia accertata l'utilizzazione della Legenda aurea da parte di Remigio, bisognerà trovare qui ragione dell'enorme massa degli exempla anonimi collegati al calendario liturgico epresenti nella Legenda, prima di peregrinare per remote epreziose fonti della letteratura agiografica. Dopotutto,

data la rapida diffusione della Legenda del Varazze, si tratta della fonte più ovvia e più “facile”. Casi di raffronti testuali di discreta lunghezza sono offerti da Contra falsos 13, 9-21. Lo stesso si può dire dei brani letterali dalla legenda di santa Lucia (De peccato usure 625: VARAZZE 31) e san Tommaso da Canterbury (De bono communi 14: VARAZZE 68) riscontrabili nella Legenda del Varazze. E là dove concorrono due fonti probabili, il dubbio può essere sciolto con testi a confronto:

CASSIANO VARAZZE REMIGIO Fertur beatissimus evangelista Ioannes cum perdicem manibus molliter demulceret, quemdam ad se habitu venatorio venientem subito conspexisse. Qui miratus quod vir tantae opinionis ac famae ad tam parva ethumilia se oblectamenta submitteret: Tune est, iriquit, ille Ioannes cuius fama insignis atque celeberrima me quoquesummo desiderio tuae agnitionis illexit? Cur ergo oblectamentis tani vilibus occuparis? Cui beatus Ioannes: Quid est quod manus tua gestat? At ille: Arcus, inquit. Et cur, ait, non eum tensum ubique semper circumfers? Cui ille respondit: Non oportet, ne iugi

Cum avis quaedam quaeperdix dicitur, ut ait Cassianus in libro collationum, viva beato Iohanni a quodam oblata fuissetet ille eam quasi demulcendo tangeret et contrectaret, quidam adolescens hocvidens ad coaevos suos ridendo dixit: Videte quomodo ille senex cum avicula sicut puer ludit. Quod beatus Iohannes per spiritum recognoscens iuvenernad se vocavit et quidin manu teneret inquisivit. Cui cum se arcum tenere diceret, ait: Quid inde facis? Et iuvenis: Aves inde acbestias sagittamus. Cui apostolus: Qualiter? Tunc iuvenis coepit arcum tendere et tensum in manu tenere. Sed cum

Unde et legimus debeato Iohanne evangelista quod ex ista ratione motus ipse ludebat cum perdice, ponens exemplum iuveni deridenti eum de hoc quod apostolus ludebat, de arcu quem ipse iuvenis manu tenebat; qui, ex confessione ipsius iuvenis, 

       si diutius tensus

teneretur, ad iaciendaiacula redderetur infirmior; et subdiditapostolus: «Sic et humana fragilitas ad contemplationem minus valida fieret si

curvamine rigoris fortitudo laxata mollescat atque depereat; et cum oportuerit ut fortiora in aliquam feram spicula dirigantur, vigore per nimietatem continuae tensionis amisso, violenter ictus non possit emitti. Nec nostri, inquit beatus Ioannes, animi te offendat, o iuvenis, tam parva haec brevisque laxatio; quae nisi remissione quadam rigorem intentionis suae interdum relevet ac relaxet, irremisso vigore lentescens, virtuti spiritus, cumnecessitas poscit, obsecundare non poterit (Collationes XXIV, 21: PL 49, 1312-15).

nil ei apostolus diceret, iuvenis arcum distendit. Cui Iohannes: Quare, fili, arcum distendisti? Et ille:Quia si diutius tensus teneretur, ad iacienda iacula infirmior redderetur.Et apostolus ad hoc: Sic et humana fragilitas ad contemplationem minusvalida fieret, si semper in suo rigore persistens fragilitati suae interdum condescendere recusaret. Nam et aquila cunctis avibuscelsius volat et solem clarius conspicit et tamen naturae necessitate ad ima descendit; sicet humanus animus, cum se modicum a contemplatione retrahit, crebra innovatione ardentiusad coelestia tendit (Legenda aurea 60-61).

semper in suo rigore persistens fragilitatisue interdum condescendere recusaret. Nam ci aquila cunctis avibus celsius volat et solemclarius conspicit, et tamen necessitate nature ad ima descendit. Sic et humanus animus cum se modicum a contemplatione retrahit, crebra innovatione ardentius ad celestia tendi» (Contra falsos 97, 27-37:Append. I-a).

Nel caso dell'ultimo sermone per la Decollazione di san Giovanni Battista non si dà collazione testuale; ma difficile sarebbe spiegare la tessitura del sermone altrimenti che come elaborazione della Legenda del Varazze per la Decollazione del Battista: tutti i riferimenti preterscritturali della vita di Giovanni si ritrovano nel Varazze, perfino quello attribuito a Gregorio, benché qui Remigio abbia avuto cura di annotare libro e capitolo:

Unde Herodes et Herodias miserabiliter vitam in exilio finierunt per Gaium Cesarem [VARAZZE 568-69], licet quidam dicant quod caput Iohannis in faciem eius insuffians ipsam protinus interfecit [VARAZZE 573]. Et Iulianus apostata per mercurium mirabiliter interfectus fuit [VARAZZE 572]. Et manus cuiusdam non credentis in ydria esse caput Iohannis Baptiste statim aruit et ydrietacte adhesit [VARAZZE 573]. Filia vero Herodiadis a terra absorta est, vel a glacie dissoluta suffocata [VARAZZE 573]. Et brachium spiculatoris fortissimi in aere irrigidatum suspendit ne collum Sanctuli posset percutere, ut narrat Gregorius lib. III Dialogorum c. 37[VARAZZE 574-75]. [...] Adapta miracula: ... de suspensione ensis et brachii fortissimi longobardi [VARAZZE 574-75], ... de interfectione Iuliani apostate [VARAZZE 572], ... de ydria [VARAZZE 573], ... de exilioad longas partes Herodis et uxoris [VARAZZE 569], ... dedigito non combusto [VARAZZE 574], ... de matrona non comedente donec videret reliquias eius [VARAZZE 574], ... de ecclesia Theodoline [VARAZZE 574] (cod. D, ff. 277va-278rb).

Una curiosa conferma dell'utilizzazione della Legenda del Varazze: il ritmo per san Pancrazio, aggiunto da Remigio in cod. G, f. 406v, marg. sup., termina con una nota lessicografica che rinvia al «glossario»; di fatto né il lemma «Pancratius» né «Pancratas» sono registrati in Papia - il glossario di Remigio, come vedremo subito -mentre il testo risulta una elaborazione da più lemmi dell'Elementarium di Papia. E così come giace in Remigio lo si ritrova nel prologo della legenda di san Pancrazio del Varazze - là dove abitualmente questi dà la derivatio nominum. Qui in colonna, a sinistra il testo di Remigio,al centro quello della Legenda aurea, a destra le voci di Papia alla base dell'elaborazione etimologica.

REMIGIO Legenda aurea PAPIA

Pancratius dicitur a pan, quod est totum,

Pancratius a pan, quod est totum, et

 "Pancra" graece

et crate vel Christo.Vel, sicut dicitur inglosario: Pancratas dicitur rapina; pancratius flagellis subiectus; pancratus lapis varie coloratus(cod. G, f. 406v; marg. sup.; mano B).

gratus, quod est citius, quasi totus cito gratus, quia in sua pueritia; vel, sicut dicitur in Glossario, pancras dicitur rapina, pancranarius flagellis subiectus, pancras lapis varie coloratus (VARAZZE 340).

rapina."Pancratiari"

fiagellis aut tormentis subiecti.

"Pancrus" lapis varius (PAPIA, Vocabulista alle rispettive voci).

3. Exempla mariani

Una sezione di exempla mariani presenta un piccolo rebus, se ci si voglia riferire alla tecnica usuale delle citazioni. Partiamo con i dati.

Nel “De nativitate b. Marie Virginis, II”: Que est ista queprogreditur... terribilis ut castrorum acies ordinata? (Cant. 6, 9), unalunga glossa di mano B sviluppa il tema «nativitas eius ostenditur admirabilis», di cui il terzo membro è «ad aciemcastrensem et eius terribilitatem». La glossa termina in calce alle colonne della littera textualis:

Et fuit [beata Virgo] totaliter sperantissima in Deo, sicut patet in cantico suo. Et ideo fuit terribilissima demoniis. Exempla multa c. 5, et 28, et 30, et 51» (cod.D, f. 279r, marg. inf., mano B).A che cosa si vuole rimandare? A un prontuario di

exempla dati per numerazione seriale, conosciuto all'autoreo al predicatore che avesse voluto sfruttare i sermonari diRemigio? Una semplice nota mnemonica a uso personale di Remigio? A tergo della medesima carta riappare ancora lo stesso sistema di rinvio; ma questa volta con qualche elemento in più, oltre al numero, che può servire da pista di ricerca.

“De nativitate b. Marie Virginis, IV”: Aufer rubiginem de argento et egrediatur vas purissimum. Prov. 25[,4].

[...] Circa primum [scil. nativitas b. Virginis fuit argentea] nota quod per argentum intelligitur natura humana, sicut per aurum natura angelica - ut alibi notatum est - ratione valoris, originis, coloris, sonoritatis etc.; quod est contra illos qui dixerunt ipsam [beatam Virginem] fuisse angelam [...]. Circa secundum nota quod per rubiginem intelligitur peccatum, quia animam rodit, ut alibi notatum est; ipsa autem fuitconcepta in peccato originali... (f. 279va).A fine sermone un segno di richiamo rinvia in calce, a

una giunta a tutto rigo ma sempre di mano A:Quantum ad originem Iob 28[,1]: «Habet argentum venarum suarum principia». [mano B agg.: Quantum vero ad colorem,in Ps.: «Eloquia Domini eloquia casta, argentum etc.»]. Quantum vero ad valorem, in Ps. [65,10]: «Igne nos examinasti sicut examinatur argentum». Quantum vero ad sonoritatem Prov. 10[,20]: «Argentum electum lingua iusti». Exemplum 6m de ymagine argentea. Quantum ad rubiginem, Glosa Luc. 7 «Ardor etc.», quia rodit conscientiam, famam, pecuniam etc. Quantum ad oblationemin Ps. [118, 22]: «Aufer a me obprobrium et contemptum».Solum enim peccatum est res obprobriosa et comptemptibilis. Exemplum 17 m de conceptione beate Virginis. Quantum ad puritatem Exo. 37[,1]: Beseleel - qui interpretatur ‘umbraculurn divinum' - scilicet quando concepit Filium Dei «vestivit archam auro purissimo intus ac foris », idest in mente et in exteriore locutione. Unde Eccli. 50[,10]: « Quasi vas etc. omni lapide pretioso». Exemplum 22 de apparitione in ecclesia beate Agnetis (cod. D, f. 279v, in calce, mano A).La ricerca si è orientata alla letteratura degli exempla

nei codici di provenienza di SMN. BNF, C 8.1173 (XIV sec. inc.) è composto di due blocchi: il primo contiene una silloge della letteratura degli exempla (ff. 1-183); il secondo le opere islamologiche del fiorentino fra Riccoldo da Monte di Croce OP († 3.X.1320; Necr. I, 37-38), il quale

trascorse in SMN l'ultimo ventennio di vita. Tra gli exempla, un Liber de miraculis beate Virginis Marie e a ff. 56-119. Ogni miracolo è introdotto da rubrica e numero seriale.

Il miracolo n° 6 inizia: «Dicitur fuisse in Anglia quedam ymago beate Marie Virginis tota argentea que filium totum aureum in brachiis tenebat...». Si racconta poi come dei ladri tentassero nottetempo di trafugare le preziose immagini. Non riuscirono a rimuovere la statua argentea della Madonna, mentre rimossero quella aurea del Figlio. Senonché la Madonna sollevò miracolosamente il suo braccio argenteo e colpì in testa i malcapitati (ff. 60vb-61rb). Ilmiracolo n° 22 racconta della visione e processione meravigliosa dei cori delle vergini nella chiesa Sant'Agnese in Roma cui prende parte un giovane di santa vita morto dopo aver ricevuto il battesimo (ff. 73vb-75rb).I miracoli corrispondono perfettamente al numero di serie eal contenuto indicato nel sermone surriferito Aufer rubiginem. Quanto al miracolo n° 17 «de conceptione beate Virginis», esso era contenuto nel nostro codice a ff. 69vb-70vb, ma è stato eraso a fondo; a f. 70r, margine destro, si legge una nota di mano posteriore (secolo XV?): «Ideo cassata est quia omnino falsa et fidei contraria»; e a f. 70v, margine sinistro: «Iste fuit diabolus qui confixit hocmendacium».

Nel sermone precedente, Que est ista, gli exempla 5, 28, 30, 51 sono connessi con la beata Vergine «terribilissima demoniis». Difatti nel Liber de miraculis b. Virginis Marie il miracolo n° 5 racconta del prete sacrista e della donna, entrambi devoti della Madonna, che cadono nel peccato di lussuria. Sono scoperti e messi ai ceppi. Ricorrono pentitialla Vergine, la quale forza i demoni a mettere in libertà i suoi devoti e a prendere il loro posto ai ceppi (f. 60r-b). Il n° 28 racconta del cavaliere che per recuperare le ricchezze cede la propria moglie al diavolo. La Madre del Signore interviene e sottrae la donna al diavolo (ff. 81rb-82rb). Il n° 30 racconta dei monaci oziosi sul greto del fiume che i demoni tentano di trascinar via con loro. La Madonna, invocata a soccorso, libera i monaci dai demoni

(f. 83r-b). Il n° 51 racconta del religioso lussurioso morto annegato. La sua anima è contesa dagli angeli e dai demoni. Interviene la beata Vergine a favore dell'anima delreligioso, poiché costui aveva recitato, sul punto d'annegare, un responsorio mariano (ff. 100vb-102rb).

E si può dire qualcosa di più sulla silloge degli exempla di cod. C 8.1173? Remigio aveva avuto sotto mano questo esemplare? Non tutti i miracoli del Liber de miraculis b. Virginis Marie sono numerati in rosso dall'amanuense della littera textualis; in molti casi una mano diversa ha integrato oripetuto al margine il numero di serie, prevalentemente in numeri arabi (in pochi casi una terza mano tardiva ha notato i numeri). Ora chi confrontasse la morfologia di questi numeri con quella dei numeri arabi di mano B dei codici remigiani sarebbe sorpreso dalla identità di fattura. Ma la parola definitiva la rimetterei a più esperto grafologo. La prova può essere condotta sul lungo indice del codice remigiano G 3.465, ff. 187r-190v, dove mano B annota in margine i inumeri delle questiones da 1 a 116.

Certo è che nell'atto della predicazione, Remigio - e chi avesse usato i suoi sermonari - illustrava il proprio discorso raccontando l'exemplum appropriato ai diversi membri della predica; nella redazione scritta del sermone, l'exemplum è richiamato soltanto con numero seriale del Liber de miraculis b. Virginis. Questo dunque doveva essere un prontuario ben conosciuto e familiare a Remigio e al predicatore del tempo.

 

4. Autori contemporanei

Degli autori contemporanei o a lui vicini, Remigio sembra eviti di fare il nome esplicitamente. Anonima - abbiamo visto - è l'onnipresente Legenda aurea, e taciuto è il nome d'un'altra fonte di exempla nel campo della moralizzazione a sfondo naturalistico: De proprietatibus

rerum (1240 ca.) del francescano Bartolorneo l'Anglico. Se ne era ipotizzata l'utilizzazione a partire dalla questione se Remigio conoscesse direttamente o no il LiberIorath (CAPITANI, Il De pecc. us. 578-80.634). In Append. II1 § 3 si troverà che l'esemplare De proprietatibus rerum di cod. BL 462 (provenienza SMN) porta nota di possesso e glosse di fra Remigio. Ecco a confronto il passo del De peccato usure e del De proprietatibus rerum da cui Remigio attinge le notizie sul cetaceo e che rende ragione dell'uso indiretto del Liber Iorath:

Remigio De proprietatibus rerum[...] puta ceti, qui videtur rex piscium, de quo dicit Iorath quod quando multum esurit, vaporem odoriferum ad modum odoris ambre de ore suo emictit, in quo pisces delectantur et propter vaporis redolentiam ipsius orificium ingrediuntur et sic decepti ab ipso devorantur (De peccato usurec. 14; ed. CAPITANI p. 634).

Dicitur autem in libro Iorath, cetus habundat in spermate et [...]. Quando autem multum exurit, vapore[m] odoriferum admodum odoris ambre ex ore suo mittit, in quo pisces delectantur et propter vaporis redolentiam ipsius orifitium ingrediuntur et sic decepti ab ipso devorantur (BL 462, f. 143rb).

Mentre un'altra fonte ricorrente degli exempla è esplicitamente nominata: Iohannes Monachus (IX sec.). Vista la frequenza dell'utilizzazione e il modo di citazione (titolo De mirabilibus inauditis, talvolta semplicemente liber Iohannis Monachi, e numero del capitolo) si può ragionevolmente presumere un uso diretto (cf. De misericordia 198 e passim; il numero dei capitoli non sempre corrispondecon l'edizione: JOHANNES MONACHUS, Liber de miraculis, ed. P.M.Huber, Heidelberg 1913). E lo stesso mi pare si possa dire della Disciplina clericalis di Pietro Alfonso († 1140):

Exemplum in Petro Alfunso ubi dicitur sic: «Quidam nobilis habebat uxorem castam et decoram...» (De via paradisi: cod. C, f. 303/2 va)= PETRI ALPHONSI, Disciplina clericalis, fabula XI (PL 157, 684-85).

5. Roma precristiana

Per la Roma precristiana, è stata sottolineata la simpatia di Remigio e la valorizzazione teologica delle “virtù politiche” dei modelli pagani. Se per gli exempla, Valerio Massimo è fonte ricorrente ed esplicitamente dichiarata, per le abbondanti citazioni del genere di brevidetti gnomici o massime morali (di cui non si indica mai l'opera ma che vanno sotto il nome di Giovenale, Orazio, Lucano, Marziale, Ovidio, Svetonio... ), il Davis (Education432) ha ipotizzato un qualche florilegio. Ma quale?

Questo stralcio dal sermonario Quadragesimale è una pista. Non si dice che il Dogma philosophorum o Moralium dogma philosophorum (di Guglielmo da Conches? Gualtiero daChâtillon?) sia stato l'unico florilegio di cui Remigio disponesse, ma certo è che molte massime d'autori classici pervenute a Remigio trovano riscontro nel Dogma philosophorum:

Dogma philosophorum In capite ieiunii[...] Huius officium persuadebat qui dicebat: «Omni custodia serva cor tuum» [Prov. 2, 23]. Dicturus enim ‘custodia' praemisit ‘omni' ne hinc hostibus fores claudas et aliunde aditum pandas (Moralium dogma philosophorum: ed. J. Holmberg, Uppsala 1929, 10; cf. PL 171, 1012-13).

«Omni ergo custodia serva cor tuum» [Prov. 2, 23]. Ubi notat auctor in Dogmate philosophorum c. 4 hoc quod interdicit ‘omni custodia': "Dicturus, inquit, custodia, custodia premisit omni ne hinc hostibus fores et clausas [sic]et aliunde aditum pandas (Sermone Preparate corda vestra: Biblioteca Antoniana di Padova, ms. 556 Scaff. XXII, f. 104ra).

  Per questo codice padovano e sermone remigiano vedi Append. III § 2 [6] Quadragesimale. L'altra copia del medesimo sermone in G 7.939, ff. 4v-7r,presenta in due brani una redazione piùsintetica, quasi sunteggiata, rispetto al testo dell'esemplare padovano; e omette il riferimento al Dogma philosophorum. Tieni presente, in ogni

modo, quanto detto a proposito del problema dell'autenticità del sermonario quaresimale: Append. II1 § 2[6] Quadragesimale.

6. Tommaso d'Aquino

Il rapporto Remigio dei Girolami e Tommaso d'Aquino pone ben altri problemi. Qui, come altrove, è preferibile insistere nell'accertare piste biografiche e filologiche. Il Capitani (Il De

peccato us. 569-73) ha individuato lunghi brani delle questioni De malo accolti anonimamente nel testo di Remigio.In Append. II-b è rimessa una testimonianza diretta di Remigio che - se ben la interpreto - implica udienza scolastica di Tommaso d'Aquino. E allora il ricorso del medesimo stilema «magister meus [quem sequor]» là dove si dibatte uno dei più tipici temi della controversia teologica “pro-contra Thomam” (molteplicità/unità della forma sostanziale) crea legami di continuità che possono preludere a costanti dottrinali ben più consistenti dei versi eulogici per l'Aquinate. Nell'articolo 1: Utrum Deus possit facere quod materia actu existat sine forma del quodlibeto II (1303-05 ca.), l'obiezione n° 6, che milita per il sì, dice:

Item in corpore Christi mortui, cum non fuerit ibi animaque erat forma eius, oportuit materiam actu existere sine forma, si ponatur tantum una forma in una re; nisi dicatur advenisse alia forma corporeitatis, et sic non esset idem corpus numero ipsius vivi et mortui, quod esthereticum; et iterum non esset verum quod dicitur in Ps.«Non dabis sanctum tuum videre corruptionem» (cod. C, f.81vb).Ed ecco la risposta:Ad sextum patet responsio secundum ponentes pluralitatemformarum, et etiam secundum illos qui ponunt duas formasin solo homine, scilicet corporeitatis et anime rationalis, quia scilicet forma hominis singularis est,

scilicet simul existens forma et hoc aliquid; et adhuc secundum illos qui hoc ponunt in solo homine Christo, quia ipse singularis homo fuit. Unde singulariter corpuseius antequam uniretur anime rationali, ordine - dico - nature, habuit quandam formam corporeitatis per quam corpus propter unionem que fienda erat ad substantialissimam formam scilicet ad divinitatem, ita quod per illam formam fuit corpus sed per animam rationalem fuit corpus humanum. Nec tamen equivoce corpus mortuum et vivum debet dici, sicut homo et equs non dicuntur equivoce animalia, licet equs sit animal per animam sensitivam non rationalem, homo vero sit animal per sensitivam rationalem, idest que virtute continetur in anima rationali; immo nec corpus lapidis et corpus hominis sunt corpus equivoce.Sed contra omnes istos est opinio que hodie tenetur comuniter de unitate formarum. Secundum autem magistrum meum quem sequor, advenit alia forma per quam est corpus, et tamen simpliciter est idem corpus numero, nonpropter unitatem forme generalis, idest in quantum est corpus, sed propter unitatem suppositi. Nec sacramentum vel sanctus corrumpitur corruptione incinerationis sed corruptione |82rb| separationis anime a corpore. Vere enim fuit corpus mortuum. Unde Io. 2[,19] «Solvite templum hoc»... (cod. C, f. 82ra-b).

7. Pseudo-Cirillo d'Alessandria del Contra errores Graecorum di Tommaso

E il nome di Tommaso ci dà occasione d'illustrare un caso tipico d'utilizzazione di fonte indiretta e di fonte taciuta: Contra falsos 10, 49-56, l'auctoritas dello pseudo-Cirillo d'Alessandria. L'assenza del titolo dell'opera già insospettisce, quando Remigio è scrupoloso - e bisogna direesatto - nelle citazioni (moltissimi interventi di mano B riguardano la messa a punto delle citazioni). Scorse inutilmente le opere di Cirillo, mi sono rivolto al Contra

errores Graecorum (1264) di Tommaso d'Aquino; repertorio, come si sa, di molti testi di Padri greci fino allora sconosciuti.

■ Il medesimo passo in GIACOMO DA VITERBO, De regimine christiano II, 9 (pp. 275-76); in nota l'editore Arquillière confessa di non aver trovato riscontro nelle opere di Cirillo; poi: «Il lui [a Giacomo] arrive, d'ailleurs, de confondre les auteurs... » (p. 274 n. 3). Si ritrova anche in PIETRO DE LA PALU, De potestate papae, pp. 192-93.Tommaso li aveva trascritti dall'anonimo compilatore

del Libellus de fide Trinitatis (1254-56), alla base del Contra errores Graecorum, ma poi rimasto ignoto per secoli (cf. ed. in EL 40, A 109-151; e ib. Introd. cc. 2, 8, 11: pp. A 7-20, 46-51, 58-64). Il lungo passo apocrifo in Contra falsos si ritrova sia nel Libellus de fide Trinitatis che, parzialmente, nel Contra errores Graecorum di Tommaso. Ma Remigio non lo leggeva né nel primo né nel secondo. Non nel primo, che era rimasto sconosciuto e che comunque riportava il titolo «in II libro Thesaurorum»; non nel secondo, perché le parti della pericope passate nel Contra errores Graecorum sono smembrate in più luoghi e mancano, soprattutto, di un passo presente in Remigio. Questi leggeva, con tutta verosimiglianza, lo Ps.-Cirillonella versione che si ritrova nell'In IV Sententiarum del medesimo Tommaso d'Aquino. Identico l'incipit, identica la pericope nella lunghezza e continuità, identiche le varianti debeamus contro debemus; pre contro pro; solvere etligare loco illius contro solvere et loco illius ligare. Qui in sinossi: colonna I, il testo come nel Libellus, in corsivo le parti passate nel Contra errores Graecorum; colonna II, come nell'In IV Sent.; colonna III, come nel Contra falsos.

I (Libellus) II (Tommaso ) III (Remigio)

Cirillus Alex. «in IIlib. Thesaurorum»…

Praeterea beatus Cyrillus episcopus Alexandrinus dicit: 

Item beatus Cirillus episcopus Alexandrinusdicit:

Ergo itaque, fratres mei, si christum imitamur, ut ipsius oves vocem eius audiamus manentes in ecelesia petri, et non inflemur vento superbie [...] ed ut membra maneamus in capite nostroapostolico trono romanorum pontificum, a quo nostrum est querere quid credere, quid tenere debemus, ipsum venerantes, ipsum rogantes pro omnibus:quoniam ipsius solius est reprehendere, corrigere, statuere, disponere, solvere et loco illius ligare qui ipsum edificavit et nullialii quod suum est plenum sed ipsi soli dedit. Cui omnes iure divino caput inclinant et primates mundi tamquam ipsi domino Ihesu obediunt, iuxta quod scriptum est [...] (Libellus de fide Trinitatis c. 98: EL 40, A 146 rr. 44-58; nel Contra errores Graecorum II, 38 rr. 5-8; 36 rr. 6-9; 37 rr. 4-8; 34 rr. 13-14; 35 rr. 25-27: EL 40, pp. rispettivamente A 103; 102-03; 103a; 102a; 102b).

 

«Ut membra maneamus in capite nostro apostolico throno Romanorum pontificum,a quo nostrum est quaerere quid credereet quid tenere debeamus, ipsum venerantes, ipsum rogantes prae omnibus: quoniam ipsius solius est reprehendere, corrigere, statuere, disponere, solvere etligare, loco illius qui ipsum edificavit,et nulli alii quod suum est plenum, sed ipsi soli dedit: cui omnes iure divino caput inclinant, et primates mundi, tamquam ipsi domino Jesu Christo obediunt» (Tommaso d'Aquino, In IV Sent. d.24, q. 3, a. 2, q.la 3 sed contra: EP 7, 901 A. Cf. anche ID.,Contra impugnantes 3, 7: EL 41, A 68 vv. 458-69).

«Ut membra maneamus incapite nostro apostolico trono Romanorum pontifice, aquo nostrum est querere quid credere et quid tenere debeamus, ipsum venerantes, ipsum rogantes pre omnibus; quoniam ipsius solius est reprehendere, corrigere et statuere,disponere, solvere et ligare, loco illius qui ipsum edificavit, et nulli alii quod suurn est plene sed ipsi soli dedit; cui omnes iure divino caput inclinant, et principes mundi tamquam ipsi domino lesu Christo obediunt»(Contra falsos 10, 49-56).

Ho detto «con tutta verosimiglianza» perché i cc. 98 (dacui il nostro testo) e 100 del Libellus de fide Trinitatis sembrano avere un'ascendenza letteraria anteriore, e forse

indipendente, dallo stesso Libellus: così gli editoriin EL 40, A 11, 60a.

Si noti infine che Tommaso eviterà in seguito, anche là dove discute il potere del papa, di usare le fonti del Libellus finite nel Contra errores (dubiterà, come aveva fatto per il Liber de causis, dell'autenticità?): Cf. Y. CONGAR, St. Tbomas Aquinas and tbe iniallibility of tbe papal magisterium, «The Thomist» 38 (1974) 100 n. 54.

8. Alfragano

Per l'astronomo Muhammad al-Fargânî o Alfragano († 863ca.), Remigio attinge allo Speculum dell'enciclopedista Vincenzo da Beauvais († 1264)? (cf. CAPITANI, Il De pecc. us.577, 638; vedi sotto nota 35). Il caso Contra falsos 6, 34-37 non scioglie tutti i dubbi circa la fonte diretta, ma il seguente brano testuale dal De aggregatione stellarum con indicazione del capitolo sta a favore d'utilizzazione diretta. Dopotutto l'opera d'Alfragano non era un testo “prezioso” per gli scolastici latini che commentavano il De caelo et mundo; ed era inoltre tra i libri textus della facoltà delle Arti di Parigi (GLORIEUX, La faculté 37).

Remigio tr. (1134-35)Giovanni di Spagna

tr.  Gerardo daCremona († 1187)

Contra. Secundum Alfagranum c. 8 rotunditas terre est viginta milia et quadringenta, dyameter sex milia etquingenta; et per consequens profundum tria milia et ducentaquinquaginta.

Secundum Aristotelem,in fine secundi De celo, est XL miriades stadiorum, idest L milia miliariorum, in

... erit quod collectum fuerit es hoc rotunditas terre,que sunt 20.400 miliaria; et cum divisa fuerit rotunditas terre per tria e 7m  partem uniustertie erit quod collectum fuerit quantitas diametri terre, que sunt 6.500miliaria fere (Al-Farghani, Differentie, ed. F.J. Carmody,

erit quod illud quod inde aggregabitur rotunditas terrae et est 20 milia et quadringenta miliaria et cum diviserimus rotunditatem terrae per teriam et semptimam erit quod exibit quantitas diametri terrae quae est 6 millia et quingenta miliaria fere (Alfragano, Il librodelle aggregazioni delle

no(va) t(ranslatione); sed in ve(teri) 24 milia.Latitudo ergo erit medietas istius numeri (cod. A 2.513,f. 4rb, marg. sup., glossa mano B).

Berkeley 1943, 14: c.8 § 3).

 

 

stelle, ed. R. Campani, Città di Castello 1910, 89: c. 8).  

Sicut dicit Alfagranus c. 22 sol est centies 66 et fractio maior quam terra, et luna est 39a

pars terre (cod. D, f. 241ra)

et mensura corporis lune est ut pars una de 39 partibus terre,mensura quoque corporis  solis 166a  tantum quantum corporis terre et fractio (ib. p 39: c.22 § 2).

Est ergo mensura corporis lunae 39a parsterrae, et mensura corporis solis est centies et sexagies etsexies et 4a et 8a , velfractio, aequalis corporis terrae (ob. p. 148: c. 22)

■ Per cod. A 2.513 vedi Append. II1 § 3.  Il passo della vetus translatio del De caelo, in ALBERTI MAGNI, Opera omnia V/1, Miinster 1971, 200; quello della nova,in EL 3, 225 text. 112. Quanto alla grafia, trovo in Remigio sempre Alfagranus con metatesi della r retrocessa sulla tonica. Così anche nel Convivio di Dante.

9. Libri textus. Summa de casibus; concordantiae e distinctiones; Decreto e Decretali

E data l'importanza dei libri textus, annotiamo la Summa de casibus o de penitentia (1236) di Raimondo da Peñafort († 1275) più volte raccomandata dai capitoli generali e provinciali dell'ordine dei

Predicatori come testo di scuola (cf. MOPH III, 99, 110, 174, 175; MOPH XX, 33; Chartularium I, 645, 648). Contrariamente ad altri casi, il semplice Ray(mundus) sta per antonomasia ad indicare un testo frequentato e familiare quale un manuale di scuola. Ma l'uso non lascia dubbi (e non sarà inutile ricorrervi per individuarvi filoni di teologia sacramentaria e teologia della lex pretomasiani):

Ray(mundus) loquens de ista materia in 3° libro dicit: «Nescio nec credo aliquem mortalem scire nisi esset alicui divinitus inspiratum»(Quol. I, a. 13: Utrum aliquis existens in via possit absolvi a pena purgatorii: cod. C, f. 80va)= Raimondo da Peñafort, Summa de paenitentia III, 34 § 65:ed. Ochoa-Diez, Roma 1976, col. 874.

Le Concordantiae bibliche vengono formalmente raccomandate a tutti i conventi della provincia Romana (cf.MOPH XX, 143, anno 1303). E data la natura di puro repertorio di lemmi biblici, difficile è sorprendere un autore nell'atto di uso (ma cf. De misericordia c. 20, voce "amicus"). Le distinctiones suppongono le concordantiae (vedi Append. III § 4 b; III § 6). Chi scorresse un lemma delle Concordantiae maiores, cosiddette di Saint-Jacques, vi ritroverebbe tutte le auctoritates in cui si sviluppano le distinctiones alla base dei membri compositivi d'un sermone o anche di trattati d'ispirazione spiritual-omiletica. Così Contra falsos cc. 80-82 (Append. I-a) sembra cucito con le auctoritates provvedute dalle Concordantiae alle relative ‘voci'. Non si può dire di più, se non che la divisione deicapitoli biblici per lettere A-G o A-D, introdotta dalle Concordantiae, è documentata anche in Remigio. Un solo esempio:

Dico in equitate spiritus virtutes quas posuit Deus... Eccli. 16.e. [= Eccli. 16, 25] (cod. G, f. 318va).Più significativo, per il nostro scopo, il caso

seguente. Tra i sermoni per sant'Agostino c'è un insolito thema costituito dalla sola parola Crevit, seguìta dall'indicazione di otto auctoritates bibliche:

De beato Augustino: Crevit. Gen. 21[,8]  et Iudic. 13[,24]  et I Reg. 4[3,19]  et IV Reg. 4[,18] et II Paralip. 17[,12] et Hester 10[11,10] et Iob 1[,10]  et Eçech. 17[,6].Verbum propositum satis videtur convenire beato Augustino... Augustinus dicitur ab augusto, sicut florentinus a Florentia et perusinus a Perusia... Unde iste mensis, qui primo vocabatur sextilis, in honorem

Octaviani imperatoris vocatus est augustus, sicut ipse Octavianus a Romanis vocatus est Augustus ab augenda republica... (cod. D, f. 274v; marg., mano B).E «augenda» si riallaccia semanticamente a Crevit su cui

è intessuto tutto il sermone. Ora chi scorresse la voce ‘crescere' delle Concordantiae di Saint-Jacques (cf. Concordantiae maiores sacrae bibliae, ed. Venetiis 1549, alla voce ‘crescere') vi ritroverebbe tutte e otto le auctoritatese nel medesimo ordine (successione dei libri biblici).

S'è fatto parola di auctoritates. E il Contra falsos, speciecc. 5-37, è principalmente intessuto sulle auctoritates. Di queste, oltre la bibbia e sua Glossa, fonte diretta più frequente è il Decreto, Decretali Extra e rispettive Glosse.Cosa, del resto, segnalata dallo stesso autore: «Gregorius... et habetur in Decreto...; Ambrosius... et inducitur dist.» (cf. Contra falsos 10, 71.74.81.87). Bisogna dire, semmai, che le fonti canoniche, oltreché servire da facile repertorio per la letteratura patristica, sono spesso usate e invocate quasi meccanicamente, senza lo sforzo esegetico cui le sottopongono altri autori. Talvoltala Glossa delle collezioni canoniche induce Remigio a trascrivere errori che autori contemporanei evitano (Contra falsos 12, 3-5.15-17 e relative note), mentre talaltra quanto era a portata di mano non accontenta l'autore.

■ Vedi lo stesso Tommaso d'Aquino, specie negli opuscoli controversisti: J.M. AUBERT, Le droit romain dans l'oeuvre de saint Thomas, Paris 1955. C. MOLARI, Teologia e diritto canonico in san Tommaso d'Aquino, Roma 1961.Ma più esplicito GIOVANNI DA PARIGI, De potestate regia etpapali; e lo stesso PIETRO DE LA PALU, Tractatus de potestate papae q. II, a. 3: pp. 239-40 sulla criteriologia delle fonti teologiche e canoniche e loro normatività.■ Cf. Contra falsos 6, 34-37: casi di al-Fargânî e Claudio Tolomeo. Né il testo remigiano è spiegabile con Vincenzo da Beauvais († 1264), Speculum naturale VI, 13; XV, 2 (ed. Douai 1624, coll. 377-78, 1094-95).

Dell'utilizzazione dell'enciclopedista dello Speculum,per il resto, non ho trovato evidente conferma.

10. Vulgata biblica, glossa, correctoria

Come si vede, il problema delle fonti, ampiezza di letture, forme di utilizzazione, è più complesso di quanto possa apparire a prima vista. Una valutazione comprensiva suppone recensione sistematica delle fonti, e dunque spoglio e edizioni quanto più ampi possibili degli scritti di Remigio. Queste note hanno valore di appunti di lavoro. Sono suggerite, talvolta, dalle edizioni fin qui disponibili. A proposito delle quali, due note finali: sul testo biblico e su fonti lessicografiche.

Per la glossa ai Salmi e a san Paolo, Remigio usa - comeera da attendersi da un autore scolastico - la Glossa maior di Pietro il Lombardo († 1160).

■ De misericordia c. 2 (riproduco esattamente, anche nelle parentesi, l'ed. SAMARITANI): «Decimo, per suorum beneficiorum premiationem, iuxta illud Augustini et est in Glossa [Ord. ibid.] Rom. VI [17-18], [direi ciò errato e proporrei il Rom. IV [4], più vicino al nostro testo e commentato in Sermo CXXXII cap. 8, n. 8, nel De verbis Evangelii] Quippe cum Deus coronat merita nostra, nihil aliud coronat quam numera sua. Unde...» (SAMARITANI 183). Si legga: «... iuxta illud Augustini, et est in Glosa Rom. VI: “Quippe cum Deus coronat merita nostra, nichil aliud coronat quam munera sua”. Unde... ». Il rimando, esattissimo, è a Glossa maior in Rom. 6, 21-23: PL 191, 1412 C-D. Per la Glossa maior cf. B. SMALLEY, Lo studio della bibbia nelmedioevo, Bologna 1972, 105, 504; A.M. LANDGRAF, Introduction à l'histoire de la littérature tbéologique de la scolastique naissante, Montréal-Paris 1973, 130-31.

Non raramente, specie nei sermonari, Remigio fa uso della volgata biblica ricevuta nella liturgia. E la liturgia, dell'ufficio e della messa, va tenuta presente sesi vuol rintracciare la fonte diretta di testi liturgici (collette, sequenze...), di testi patristici («in homiliis...» = lezioni del breviario), episodi e letteratura agiografica...

■ Sermo IX de Pace, nell'ed. DE MATTEIS: «Ut ei bene conveniat id quod cantatur in honorem beati Germani cuius festum est hodie. Scriptum Ecli. XLIV Ecce sacerdos magnus quidem scilicet ‘perfectus Deo et inventus est iustus et in tempore iracundie factus estreconciliatio' scilicet... ». In nota «La citazione, in questo caso, non è testuale. Nella Vulgata infatti si legge: ‘Noë inventus... » (DE MATTEIS 93 n. 158). Il testo dì Remigio dice: «... Scriptum Eccli. 44: ‘Ecce sacerdos magnus qui in diebus suis placuit Deo et inventus est iustus, et in tempore iracundie factusest reconciliatio', scilicet...» (cod. G, f. 361ra). La citazione è il testo liturgico della messa per il comune d'un Confessore Pontefice (si tratta della festa di san Germano), che adatta Eccli. 44, 16-17; cf.Ordinarium iuxta ritum ord. fratrum Praedicatorum, Romae 1921,n° 877.Le divergenze del testo biblico dalla volgata vengono

scrupolosamente annotate. Ma spesso non sono che varianti della traduzione trasmessa dai testi liturgici. “Imperium super humerum cius et vocabitur nomen eius magni consilii angelus”, Ysa. 9, secundum aliam translationem» (cod. G, f.350ra).

■ Cf. Sermoni IX, in SALVADORI-FEDERICI 26, dove si ha Impium invece di Imperium. Confronta con volgata Isaia 9, 6. Ma l'«alia translatio» trova soddisfazione nellaliturgia: introito della III messa di Natale.Mentre in taluni casi si hanno buone ragioni per

ipotizzare l'uso d'uno tra i correctoria biblici che

francescani e domenicani avevano provveduto nel corso del '200 agli studi biblici. Esempi:

- iuxta illud Ps. [4,4]: «Mirificavit Dominus misericordem suum», secundum aliam translationem (De misericordia c. 11: cod. C, f. 201vb). La volgata ha sanctum al posto di misericordem. Nell'ed. SAMARITANI 194si legge: «‘Mirificavit Dominus (misericordem) sanctum suum' secundum aliquam translationem».- in Ps. [96,7] ubi dicitur «Adorate cum omnes angeli eius» translatio Ieronimi habet «omnes dii» (cod. G, f. 280v). La prima "iuxta LXX" usata in liturgia, la seconda "iuxta hebraicum" di san Girolamo; date a frontein Biblia sacra iuxta vulgatam versionem, ed. R. Weber – R. Gryson, Stuttgart4 1994, 892-93.- unde Apoc. ultimo [22,1] secundum unam literam: «Vidi fontem aque vive, splendidum tamquam cristallum» (cod. D, f. 250ra). Volgata: «Et ostendit mihi fluvium aquae vivae, splendidum tanquam cristallum». Cf. ORLANDI, in MD 1967, 119 che però ha: «... secundum novam litteram».

  

11. Interpretatio nominum 

È stato annotato, nel caso di fra Remigio, il gusto per la congruentia nominum e derivazione forzosa delle parole - specie degli antroponimi - per piegarle ai propri scopi. Tralascio qui la questione del genere letterario e la tecnica costrettissima del sermone medieval-scolastico, chepure bisognava tener presente prima di licenziare il corpo oratorio di Remigio come «infarcito di citazioni bibliche edi definizioni scolastiche» (SALVEMINI, Magnati 188 n. 7; ID., La dignità 119 n. 71. DAVIDSOHN, Storia di Firenze, voll. II-IV, ufflizza sistematicamente i sermoni d'occasione di Remigio, spesso accompagnati da aggettivazione ironica). Difatto un delicato e intricato sistema significativo intesse

il linguaggio dei sermoni, specie di quelli d'occasione. Vigiuoca la funzione allusiva del testo biblico scelto come thema e la compiacenza nella interpretatio nominum con funzione di svelare il mysterium - l'universo medievale dei significati - che si annida nelle cose e nei nomi, piuttosto che il rigore di rintracciare la discendenza filologica delle parole (così anche presso i poeti dello stil muovo!). E vi si trova una caratteristica costante deltemperamento di Remigio: una sorta di precauzione costruitasul linguaggio indiretto e sull'uso polisemico del lessico.Il filo di molti sermoni per pubblici personaggi intesse significati tra le maglie allegoriche delle cose e tra i suoni evocativi dei nomi. Vi prevale una semantica sviluppata nella zona del paradigma del linguaggio al limite della criptografia. Talvolta si ha il diritto di supporre che vi faccia da supporto la politica cautela di dire senza esporsi.

Vidit Iesus hominem sedentem in thelonio Matheum nomine. Math. 9[,9]: è il thema del sermone in morte del «cardinal Matteo», presumibilmente Matteo Rosso degli Orsini († 1305), il potente e ricco cardinale che aveva amministrato il Patrimonio di san Pietro. Telonio significa «vectigal, in loco scilicet ubi lucris temporalibus inhiatur». La Glossa interpreta «pertinaciter lucris inhiantem» il pubblicano di nome Levi-Matteo. Ma non è il caso del cardinale Orsini! In latino Matheus significa donatus. E lui, l'Orsini, ha moltissimo donato in elemosine. Resta che«si ipse [card. Matteo] fuisset talis executor qualis fuit collator non babuisset parem in mundo». Ma questo lo seppi - si dice - «a magno et fide digno» (Cronol. remigiana «1305, sett. 4»). In morte di Alcampo degli Abbadinghi, proposto di Prato e in passato collettore della decima in Toscana: Dies eius tamquam flos agri sic efflorebit. Ps. [102, 15]. Nel fiore sono significate tre cose che ben si addicono ad Alcampo: genitura, perché nato in «Florentia»; prelatura, perché proposto di Prato, e anche il prato ha a che fare coi fiori; repressura: «quia nichil est quod ita reprimat et retundat superbiam nostram sicut brevitas delectabilium

mundi...»; il fiore infatti «hodie sanus cras infirrnus, hodie dives cras pauper, hodie honoratus cras vituperatus... » (cod. G, f. 388va). Ma che cosa ci si vuolveramente dire nel membro «repressura»? Si vuole alludere alla fine sfortunata di Alcampo messo sotto accusa dalla curia romana per sospetta irregolarità nella riscossione della decima? (Cronol. Remigiana «1296, apr. 9»). «Rosso della Tosa è detto da rubeus, che è «medius inter album et nigrum per equidistantiam». La teoria dei colori dissimula - e insinua nel medesimo tempo - la carriera politica di Rosso della Tosa e il suo ruolo nelle lotte tra le Parti Nera e Bianca nella Firenze dei primi anni del '300. Ma il rosso è altresì connesso con la verecundia. Anche Rosso della Tosa ha qualcosa di cui «verecundari»? (Cronol. Remigiana «1309, lug. 11»; COMPAGNI, Cronica III, 38). Parente e nemico politico di Rosso, fu il bellicoso Lottieri della Tosa, vescovo di Firenze dal 1302 al 1309. Costui fu Petrus perché prelato, e fu Iacobus che significa luctator. Il suo nome personale fu Lucterius: e che significa nel nostro volgare se non lucta? (Sermoni XLIV; Cronol. remigiana «1309, apr. 23»).

■ Per la trattazione scientifica dell'antroponirnia fiorentina del '200 cf. O. BRATTÖ, Studi di antroponimia fiorentina, Göteborg 1953 (Lotterius, pp. 152-53); ID., Nuovi studi di antroponimia fiorentina, Stockholm 1955.

Altrove sono invocati i misteri dei numeri. Giovanni «est nomen gratiosum; est enim nomen istius pape [Giovanni XXIII], propter quod bene de eo sperare debemus tum rationevocabuli tum etiam ratione numeri, quia XXII, qui scilicet recedit a XXI in quo scilicet significatur omnis imperfectio» (Decollazione san Giovanni Battista, Litera occidit: cod. D, f. 278v, marg. sin., mano B; ed. in Append. II-f). E Giovanni XXI?

Ubi nota quod quidam habent nomen et vere dilectionis etfactum, iuxta illud Ps. [ 47,11]: «Secundurn nomen tuum Deus etc.». Aliqui vero babent nomen sed non factum, iuxta illud Apo. 3[,1]: «Nomen babes quod vivas et mortuus es». Aliqui vero neque habent nomen neque

factum, sicut Nero imperator et Mauricius et Fredericus,quasi frigidus et ricus idest curvus. Aliqui vero babent factum sed non nomen, ut sanctus Lupus et sanctus Ursus et sanctus Latus. Et similiter contingit dc numero. Isteautem noster papa Iohannes habet nomen vere dilectionis quia interpretatur in quo gratia, et etiam numerum quia est XXII, qui recedit a XXI, qui est numerus odii et mortis quia recedit a XX qui est numerus vere dilectionis et vite, cum sit denarius duplicatus. Et sichabebit factum, sicut habuit primus Iohannes papa qui fuit martir, ut habetur ex cronicis, et fecit plura miracula, ut narrat Gregorius in lib. III Dialogorum c. 3. Iohannes autem XII fuit pessimus, et super Iohannem XXI ruit domus in Viterbio etc. (cod, G, f. 202v, marg. inf., mano B).■ Vedi anche «De beato Thoma martire [= da Canterbury, 29 dic.], Letabitur iustus in Domino», cod. D 1.937, ff. 60ra-63rb; in particolare f. 63ra-b. «Si igitur X significat perfectionem, cum XX sit X duplicatus, significat duplicem perfectionem. Cum ergo XXI recedat a XX, iste numerus diruit omnem perfectionem. In cuius signum, quando papatus, qui est status perfectissimus,venit ad XXI, puta in Iohanne Hyspano, domus ruit super eum, licet esset bonus et sanctus homo et quasi miraculose supervixerit ut sicut fidelis christianus posset omnia reciperesacramenta» (63ra).D'accordo per la derivatio irrisoria dello svevo Fredericus da

parte del guelfo-angioino Remigio. D'accordo per il remotissimo e corrotto Giovanni XII (955-964). Ma che cosa si vuole insinuare nel caso di Pietro Iuliani Ispano, Giovanni XXI (1276-77)? soltanto che mori il 20 maggio 1277 sotto il crollo del soffitto della sua abitazione in Viterbo? o anche la sua scarsa simpatia per il nuovo corso teologico aristotelico-tomistico? Due esimii cronografi domenicani (il Chronicon di Martino era praticamente il manuale di storia ecclesiastica del tempo) non celano il prevalente pregiudizio:

Martino Polono OP († 1278) Tolomeo dei Fiadoni da LuccaOP († 1327)

Et cum sibi vite spacium in plurimos annos extendi crederet et hoc eciam coram

Hic exosos habuit religiosos, propter quam causam percussit eum Dominus, quia domus sua

aliis assereret, subito cum camera nova, quam pro se Viterbii circa palacium construxerat, solus corruit et inter ligna et lapides collisus sexto die post casum, sacramentis omnibus ecclesiasticis perceptis, expiravit (Chronicon, ed. L. Weiland, «Monum. Germ. Hist.,Script.» 22 (1872) p. 443).

ruit super eum; ex quo quasi semivivus relictus ad modicum tempus moritur Viterbii, ubi creatus fuerat (Annales (1303-06); ed. B. Schmeidler, Berlin 1955, 184-85, redazioneA)

Come sì vede, l'interpretazione dei testi remigiani - specie dei sermoni - non soffre letture corrive. Ne dipendeil significato dell'opera del frate fiorentino e la comprensione del suo ruolo ecclesiale e politico. E nel caso dei sermoni bisognerà scovare le tecniche compositive,le fonti lessicografiche e i residui semantici per fissare il movimento del testo e le intenzioni dissimulate.

12. Fonti lessicografiche

Soffermiamoci sull'area linguistica dell'antroponimia e fonti lessicografiche. Scontate le Etimologie d'Isidoro da Siviglia, non ci si imbatte invece nell'uso diretto del Liber interpretationis hebraicorum nominum di san Girolamo. Ma bisogna dire che, specie per l'onomastica biblica, l'opera di Girolamo è raggiunta tramite e la Glossa biblica interlineare e il De interpretatione hebraicorum nominum (di Stefano Langton?) e opere affini che fiorirono dal Langton († 1228) in poi. Ho riscontrato le numerose derivationes dei nomi biblici nel De interpretatione hebraicorum nominum che segue il testo biblico in BL, Conv. soppr. 619 (XIII-XIV, provenienza SMN). Senza dimenticare che la Legenda aurea delVarazze introduce le legende svelando il mysterium del nome del santo. Ma come ausilio lessicografico sistematico, Remigio si serve di due ben noti glossari medievali: l'Elementarium doctrine rudimentum di Papia il Lombardo (XI sec.) - glosarium o semplicemente Papias in Remigio - e le

Derivationes (1190 ca.) d'Uguccione da Pisa - semplicemente Hug(uiccio) in Remigio.

■ PAPIAS, Vocabulista, ed. Venetiis 1496: senza paginazione, da consultare secondo le voci. Uso l'esemplare presso BNF. Cf. G. CREMASCOLI, Ricerche sul lessicogralo Papia, «Aevum» 43 (1969) 31-55.PAPIAE, Elementarium, ed. V. DE ANGELIS, Milano 1977 ss. Per Papia in Remigio cf. Contra falsos 2, 2; 37, 9-11; c. 93, f. 193vb; c. 96, f. 195ra.Si noti la scrittura ortus (= hortus/orto) perché «sicut Papias dicit, ab orior dicitur, quia semper ibi aliquid oritur» (cod. C, f. 193ra). «Circa primum nota quod secundum Papiam ortus dicitur ab oriendo quia semper ibi aliquid oritur. Nam cum aliaterra semel in anno ferat aliquid, ortus numquam sine fructu est. Sic beati sunt semper in ortu et fructu fruitionis divine,iuxta illud Ysa. 60 "Gloria Domini super te orta est"» (cod. D,f. 87r, mg. inf., B). Molto simile in Summa Britonis [1250-70], ed. L.W. Daly and B.A. Daly, Padova 1975, II, 509. Ingiustificata dunque la correzione in hortus: GRABMANN, Frà Remigio 368 (cc. 88-90). C. RIESSNER, Die «Magnae Derivationes» des Uguccione da Pisa, Roma 1965 (con solo esempi illustrativi). G. CREMASCOLI, Uguccione da Pisa: saggio bibliografico, «Aevum» 42 (1968) 123-68. Ho riscontrato le citazioni delle Derivationes d'Uguccione nell'esemplare (XIII-XIV sec.) di BL, Plut. XXVII sin. 5 (vedi ora edizione: Uguccione da Pisa, Derivationes, ed. E. Cecchini, Firenze 2004). Cf. Contra falsos c. 76, f. 186ra: «Silva a Silen quod est silentium... ». Altri lemmi: «Superbus, quasi super se iens» (cod. G, f. 266ra); «Deus... a diligo... (cod. G, f. 253rb) vela do das... » (f. 253va).

Papia(XIsec.)

Uguccione(1190 ca.) Guillelmus Brito OFM (1250-70) Remigio

Papa... a pape. Pape interiectio est admirantis.

PAPE, interiectio admirantis; unde papa, idest admirabilis;

Alii dicunt quod papula [seu papilla] dicitur a pape, quod est interiectio admirantis; quando enim quis primo videt papulam, quasi admirans dicit "quid hoc est?" vel consimile (Summa Britonis sive... Expositiones vocabulorum biblie, ed. L.W. Dalyand B.A. Daly, Padova 1975, II, 523).

Papa autem dicitur a "pape" quod est interiectio admirantis (cod. G, f. 348rb; cod. D,f. 99r, mg. d., B).

■ Uguccione da Pisa † 1210, Derivationes, ed. E. Cecchini, Firenze 2004, II, 898 P17: «PAPE, interiectio admirantis; unde papa, idest admirabilis; quod autem dicitur papa quasi pater patrum, ethimologia est; et hinchic et hec papalis -le et hic papatus -tus. Item a pape et hec Papia -e, admirabilis civitas... ». Dante, Inf. VII, 1: «Papè Satàn, papè Satàn, aleppe!».

Talvolta i due lessicografi, Papia e Uguccione, sono messi a confronto: «Postulet a ‘posco' vocatur secundum Huguiccionem, licet Papias aliter dicat, idest frequenterposcat perseveranter» (cod. G, f. 300va).

13. Mysteria negli antroponimi

Ma la ricerca delle fonti letterarie non deve tacere il residuo non spiegabile altrimenti che come personale elaborazione lessicografica di Remigio, specie nell'antroponimia fiorentina del suo tempo. Di fatto una considerevole quantità di derivationes non trovano riscontro nelle fonti suddette; mentre il contesto compositivo tradisce il bisogno dell'autore di crearsi strumenti significativi, anche a costo di prevaricare la scienza etimologica e l'omogeneità del sistema generale dei segni. C'è della contaminazione, talvolta del bizzarro, spesso delgiocoso. Dopotutto non era lo stesso Papia a introdurre agli stratagemmi della derivatio? Tre tipi base di derivatio: «littera et sensu; littera et non sensu; sensu et non littera» (PAPIAS, Vocabutista, voce ‘Derivatio').

Il legato papale cardinale Napoleone Orsini: Neapuleo. «Potest dici a ‘neos' quod est novum et ‘purus' et ‘leo'». Ma può esser detto anche da ‘poliens novem' (nea = novem: PAPIA): «idest sex sextus civitatis, et comitatenses, et vicinos, et etiam clericos...» (cod. D, f. 51va). C'è tuttala dimensione politica della legazione di Napoleone Orsini:la città di Firenze nelle unità amministrative urbane dei sei sestieri, il contado, i comuni confinanti sia toscani che della Romagna papale, il problema degli schieramenti

del clero (Cronol. remigiana «1309, dic. 26»). L'immediatezza semantica dell'antroponimia fiorentina del '200 invita allalibertà delle significazioni, a spese - si diceva - della storia delle parole. Nomi d'origine germanica, franca, longobarda sono piegati o a etimi latini o a evocazioni prossime alla fonetica fiorentina. Robertus - Roberto d'Angiò - è «quasi robur tenens, fortis re et nomine  (Sermoni XII). Vieri: «Uerio vel Verio vel Oliverio... ; sive accipiatur nomen integrum, idest Oliverius ab oleo, sive accipiatur nomen detruncatum sicut profertur quasi ‘via rea'». Certo Vieri è ipocoristico di Olivieri (O. BRATTÖ, Nuovi studi di antroponimia... op. cit., pp. 215-16). Mala ‘via rea'? Vieri di Consiglio de Circulis è tornato «ad punctum a quo incepit», visto che «vita hominis est circularis» (Cronol. remigiana Nel corso delle peregrinazioninon s'imbocca, talvolta, la «via rea»? «1313, dic. 12»). Conosceva Remigio i sospetti d'omicidio che pesavano su Vieri e il processo che ne segui? (cf. M.R. FRANCO, La beata Umiliana de' Cerchi nella Firenze dugentesca, Roma 1977, 75-77). L'ipocoristico per aferesi Manno (da nomi in -mannus, Alamanno...) è contaminato con l'ebraico «manna quid est hoc?» dopo che ci si è spianato il terreno con un'interessante discussione flessioni e generi grammaticalidegli antroponimi (Sermoni LXXI). E come non ricondurre Lottus al biblico Loth? (Cronol. remigiana «1295, nov. 22»; O.BRATTÖ, Studi... pp. 36, 127, 153).

Nell'ultimo sermone ai priori della città (fine 1318, inizio 1319) il vecchio Remigio, ormai prossimo alla morte,intrattiene gli ospiti in un laborioso e bizzarro giuoco linguistico sui loro nomi. Ma non si perde per strada. La rete è tirata da un unico capo che mira pertinacemente ad un unico intento: la sovvenzione economica per la costruzione della domus presso la schola di Santa Maria Novella. Ecco i nomi dei sette ufficiali di governo come tramandatici dal cronista Marchionne di Coppo Stefani:

Rosso d'AldobrandinoCinozzo de' RaffacaniAlberto di Cione

Borguccio di BorgoGhisello di FiammaGiovanni di Albizzo: prioriZanobi di Lapo Arnolfi, gonfaloniere di giustizia

(Cronol. remigiana «fine 1318, inizio 1319»).E ora il brano del sermone ‘Ad priores civitatis, V':

Precurre prior in domum tuam. Eccli. 32[,15]:De Ultra Arnum enim vocatur Rubeus. Sed quid? Rubeus estignis, qui velocissime movetur et significar amorem ordinatum, et rubeus est florenus aureus. Rubeus ergo secundum nomen suum velocissime movebitur ad subveniendum de fiorenis aureis.De Sancto Petro Scradii Cinoççus largus erit ad dandum de comuni pro domo comunis de ceno dempso, idest de pecunia, iuxta illud Abac. 2[,61: «Usquequo aggravat contra se dempsum lutum?». ‘Cina' enim interpretatur possidens et significar largum, quia avarus nichil possidet, iuxta illud Ieronimi in Prologo biblie: «Antique dictum est: avaro tam deest quod habet quam quod non habet»; et ‘cenon' interpretatur comune, et ‘cenum' idest lutum. Ut sic dicatur Cinoççus quasi Cenoççus.De Burgo Bertus. ‘Berthan' enim interpretatur ‘fons altus' quia scilicet erit fons ad dandum non solum aquamsed etiam arenam et calcem et lapides et ligna et ferrum.De Sancto Pancratio Burguccius paratissimus erit de burgis natus et in burgo nostro ad faciendum burguccium nostrum pro bono comunis. Domus enim illa erit quasi quidam burguccius, quia in illa inferius erit domus pro sacerdote et domus pro familia, et superius erit scola pro fratriibus. Inferius autem et superius simul erit domus pro comuni et civibus, qui etiam cum hiis simul poterunt habere domum scole magno tempore anni, / quandoscilicet non legetur, et etiam quando legetur si esset necessitas.

De Porta Domus Ghisellus dicit secundurn vulgare: «Ego sello ghiro», idest glirem qui - ut dicit Ysidorus lib. XII - tota hyeme dormit et ex sopno impi<n>guatur; unde et dicitur a gliscere quod est crescere; ut scilicct si quis talis esset inter nos eum pungam excitatum ad pinguiter providendum.De Porta Sancti Petri Iohannes, qui interpretatur ‘in quo gratia', paratus erit ad faciendum gratiam; et iuvabit nos Giovanni secundurn vulgare nostrum.Vexillifer iustitie Çenobius a ‘çona' sit dictus, ut merito conveniat ei illud Eccli. 45[,9]: «Circumcinxit illum çona iustitie». Iustitia enim vocatur çona proptermulta, ut diffuse dicitur in sermone de beato Çenobio; ut scilicet ipse esset vexillifer omnium aliorum sex ad subveniendum, et sic essent septem subventores quasi septem angeli, de quibus dicitur Apoc. 5[= 15,6] quod erant «precincti circa pectora çonis aureis».Vel dic quod nullum officium virtuose exercetur sine ordinato amore. Et ideo Deus ad hoc inducit in verbo proposito quia amor ordinatus facit ordinate currere et facit ordinatam unionem et facit ordinatam comunionem.Vel dicatur supra de Ghisello quod ‘sellum' interpretatur pacificus, quasi dicat: «Ego sum gliris adpinguiter et pacifice providendum, et pie et amicabiliter», quia - sicut dicit Plinius lib. VIII - glires sotios amant et insigni pietate genitores suos insenectute nutriunt et eis alimenta sollicite administrant.Vel dicatur supra ‘Albertus' idest ‘altus fons', altus idest situ et virtuositate; vel al idest alens, ber idestfons vel puteus, thus idest incensum scilicet «ardens inigne» per amorem, Eccli. 50 [,9], «redolens» per bonam[?], ibidem [Eccli. 50, 8], et Deo sacrificatum per bonam elemosinam; dicitur enim a ‘theos' quod est ‘Deus', secundum Huguiccionem (cod. G, ff. 355v-356v, marg., mano B).

Annoto soltanto gli elementi rintracciabili nelle fonti lessicografiche di Remigio:

Cinoççus cinaei: possidentes (GIROLAMO, Liber interpretationis

bebraicorum nominum: CC, Lat. LXXII, 63 r. 4).cenon: comune (PAPIAS, Vocabulista, voce ‘caenon')cenum: lutum (PAPIAS, Vocabulista, voce ‘coenum')dempsum lutum [= fiorini!]. Altrove lo stesso Remigio:

«Et ideo dicitur Abac. 2 "Ve ei qui multiplicat non sua. Usquequo aggravat contra se densum lutum?"... Densum lutum,Glosa: eleganter multiplicate divitiae luto comparantur» (De via paradisi VII, cod. C, f. 321va). «Eleganter multiplicate divitiae luto comparantur» (Glossa interl. in Abac. 2, 6; cf. GIROLAMO, In Abac. 2,6: CC, Lat. LXXVI/A, 60rr. 230-32). La metafora «lutum-avaritia» si ritrova in Distinctiones, voce Aper § 6°.

(Al)bertusberthan: fons altus (De interpretatione nominum bebraicorum

in BL, Conv. soppr. 619, ad vocem; manca in GIROLAMO, Liber interpretationis...).

theos-Deus (HUGUICCIO, Derivationes, in BL, Plut. XXVII sin. 5, ad voces).

Ghisellusglires: a gliscere quod est crescere (ISIDORO, Etym.

XII, 3, 6: PL 82, 441; PAPIAS, Vocabulista voce ‘Gliris').Iohannes: in quo gratia (GIROLAMO, PAPIAS, De

interpretatione...); ma ‘Giovanni-giovare' (iuvabit!) è gioco vernacolare.

Non ci si lasci, comunque, sfuggire l'ampio residuo semantico non risolvibile nei prestiti letterari.

Nel sermone in morte di Carlo d'Acaia († 1315) figlio diFilippo principe di Taranto, si rincorre sulla falsariga del nome Carolus la linea dinastica della casa di Francia giù giù fino ai carolingi. E la pretesa del riallaccio a Carlo Magno non era affatto estranea alle intenzioni degli Angioini che ripristinarono il nome dinastico di Carlo.

Remigio, abbiamo visto, non nutre simpatie per l'imperatoreFredericus, frigidus e curvus. Ma Carolus? «Carlo idest carum habeo eum» (Cronol. remigiana «1315, ag. 29»). L'interpretatio nominum è il recettacolo di giudizi - simpatie, se si vuole- di vasta portata storica. Ma qui notiamo soltanto che infrante sono e la fisiologia delle parole e lo stesso sistema dei segni. Il significato volgare ha prevaricato i segni latini: Carum habeo eum = Car l'ho!

14. Grafologia e fonetismiE in questo contesto annotiamo le non rare osservazioni

di Remigio in fatto di lingua. Tracce di fenomeni grafologici e fonetici devono esser parzialmente scomparse sotto lo stilus dell'amanuense. Perche, altrimenti, tanta fluttuazione di scrittura in iurisdictio quando se ne è volutafissare l'etimologia? (Contra falsos 37, 8-11). Altrove l'interesse dell'autore è direttamente documentabile. Sullascorta di Papia, ortus è scelto contro hortus (vedi sopra). Nelle Postille super Cantica si dice: «nota quod debet dici fragrantia per r, idest redolentia; unde verbum flagrantia facit ardorem, sed fragrantia designat odorem» (BL 516, f. 223rb). Nel sermone Litera occidit per la Decollazione di san Giovanni Battista (tutto di mano B) s'insinua - se non vadoerrato - una distinzione tra i e y (si veda in Papia la simbologia della lettera Y!):

Ac non talis beatus Iohannes martir, cuius nomen incipita iota, in quo tota proprietas litere maxime pendere videtur; unde ‘ydiota' vocatur illiteratus, divisus a iota (cod. D, f. 280r; marg. destro).Ma poi non si riscontra nessuna regolarità di scrittura

oppositiva tra i e y.Nel medesimo sermone, al di là della mistica delle

lettere, c'è invece un'annotazione di pretta fonetica regionale, la palatizzazione della l nell'alto Lazio: «Viterbienses dicunt juna et moìno pro luna et molino» (cod. D, f. 280r; marg. destro).

■ Ritrovo questo passo di Remigio citato (senza nome dell'autore) in G. ROHLFS, Grammatica storica della lingua italiana. Fonetica, Torino 1966, § 159, p. 216; si rimanda a «Studi Romanzi» 4 [ma 5], 321: vedi in Bibliografia remigiana sotto MAGNANELLI. Per il sermone Litera occidit vedi Append. II-f.Altrove, caso di assimilazione consonantica con

scempiamento e d'assimilazione consonantica progressiva in «volgare corrotto»:

Unde et victores, in signum quod cum palmis manuum fecerunt ictus et pugnam, palmam reportant in manibus; et vulgo dicitur «ipse redit co la palla in mano»: et est vulgare corruptum, idest con la palma (Dom. in Ramis Palmarum, II; cod. G, f. 106rb).Se il fenomeno descritto da Remigio in palla non è una

falsa etimologia dissimulata da spiegazione fonetica, avremmo un caso di assimilazione progressiva della liquida da nesso lm, che non si riscontra in G. ROHLFS, Grammatica storica... Fonetica, § 241, p. 340. Per utili confronti vedi il confratello e lettore sostituto di Remigio, fra GIORDANO DAPISA, Quaresimale fiorentino 1305-1306, ed. C. Delcorno, Firenze1974.

15. Divertissement ed enigmisticaUno studio meticoloso sulle fonti letterarie e

lessicografiche (e delle immagini familiari aRemigio) potrebbe restituire senso a molti testi sibillini del frate fiorentino. Penso in particolare ai Ritmi, nei quali Remigio indulge al divertissement e fors'anche all'indovinello. Niente d'indecoroso, neppure per uno scolastico. Dopotutto nella ecclesia di Remigio non è ospitata anche l'ars ludicra? (Contra falsos e. 97: ed. in Append. I-a); anzi perfino il riso (Ridebit in die novissimo. Prov. 31, terzo sermone su san Zanobi, D 1.937, ff. 403rb-404va)? Ma si tratta di fissare il genere letterario. Ad esempio, il famoso e molto riprodotto ritmo su Tommaso d'Aquino Per contra dictus (cf. SALVADORI-FEDERICI 53; MANDONNET, Date de naissance 664; testo e traduzione italiana in SALVATORE 25, riprodotti in TAURISANO, Discepoli 63) è

proprio un testo di ‘innografia medievale' o non piuttosto di letteratura enigmistica? Il ritmo inizia:

Per contra dictus Thomas bisso sine fictus virgineo flore candens fidei nitore.Che cosa significa?Nell'Elementarium di Papia si apprende che ci sono più

tipi d'etimologie, meglio di derivationes nominum. Uno di questi è «ex contrario, ut lutum a lavando dum lutum non sit mundum» (PAPIAS, Vocabulista, ed. Veneffis 1496, voce ‘Etymologia'). Ora Tomas è abyssus vel geminus; Thomas è comprehensibilis altitudo; abyssus è profunditas aquarum impenetrabilis; mentre byssus è genus lini candidissimi (PAPIAS, ib.alle rispettive voci.; anche in GIROLAMO, Liber interpretationis bebraicorum nominum: «Thomas abyssus vel geminus» (CC, Series lat. LXXII, 138 r. 10, e 149 rr. 6-7). E il medesimoRemgio: «<Thomas> interpretatur abissus, que videlicet habet et fundi occultationem et aquarum habundantiam» (cod.D, f. 17ra).

Dunque: Thomas, che è da abyssus, è detto invece per derivazione «ex contrario» cioè da bisso sine [a] ( = abisso). Di qui il candore!

Combinazione d'immagini e bisticcio lessicale non del tutto originali, se capita di leggere in ALANO DA LILLE (†1203), Liber in distinctionibus alla voce ‘Abyssus': «Profunditas aquarum dicitur abyssus, quasi sine bysso, idest sine candore» (PL 210, 689 D). O più articolatamente nella compilazione lessicografica di Guillelmo il Bretone (1250-70):  «vel dicitur ab a, quod est sine, et bissus, quod est genus lini candidissimi, quasi sine bisso, idest sine candore, et est feminini generis» (Expositiones vocabulorum biblie [1250-70], ed. L.W. Daly and B.A. Daly, Padova 1975, I, 6).

Più sotto si ha:preque dicatorum

que coronaque culmen honorum spiritus et vinogaudens est ortus Aquinoutque carens quinosensu speculans aquilino.Se preque dicatorum è una tmesi ben nota a chi studiava

nella facoltà delle Arti e sta per et Predicatorum [ordinis], l'utque carens quino giuoca a nascondino. La soluzione sta nello sciogliere la contaminazione semantica tra referenza e lemma di ‘aqua' - un artificio da enigma. La città di Aquinus - aveva detto altrove Remigio - «ab abundantia aquarum sic vocatur» (Sermoni LX). Aquae è detta la sapienza delle scritture:

Item [secundo modo Deus] videtur per scripturam. Sed hecvisio est sicut umbra in aqua, nam scriptura dicitur aqua, iuxta illud Eccli. 15[,3]: «Aque sapientie salutaris potabit illum». Secundum illum modum viderunt eum magni doctores et theologi, ut Beda, Origenes, Augustinus et Ieronimus, et frater Thomas de Aquino (cod. G, f. 159va).Dunque: Tommaso nato da Aquino - città da aqua - ha

sondato con occhio aquilino le aque, vale a dire la sapienza delle scritture sacre. Utque carens quino:

A[quino] carens ‘quino' + que = Aque!

Teologia in enigma?Ma dopotutto, la soluzione è proprio la giusta? Gli

enigmi - si sa - è più facile proporli che scioglierli.■ Cf. P. DONATI SERVII, De arte grammatica, ed. H. Keil, Grammatici latini IV, Hildesheim 1961; soprattutto il lib. III (Barbarismus) su metaplasmi, schemi, tropi... In particolare, per la tmesi: «Tmesis est unius compositi aut simplicis verbi sectio, una dictione vel pluribus interiectis, ut ‘septem subiecta trioni' pro septemtrioni, et ‘saxo cere comminuit brum'... » [= cerebrum] (De arte grammatica III, 6; ed. Keil IV, 401 rr. 14-16). Definizione di enigma: «Aenigma est obscura sententia per occultam similitudinem rerum» (III, 6; ed. Keil

IV, 402 rr. 5-6). Per il posto di Donato nella facoltà delle Arti (sec. XIII-XIV) cf. P. GLORIEUX, La faculté 20.F. Salvatore interpreta (e sorvola il gioco linguistico): «E godendo lieto per il vino dello Spirito, nacque in Aquino, / e quasi astraendo dai cinque sensi, egli scruta con senso aquilino» (SALVATORE 25).

■ Il ritmo continua: «uno quinum / morteque denum prevenit annum» (SALVADORI-FEDERICI 53). Passo ben conosciuto perché discusso tra le fonti utili a fissarel'età di Tommaso d'Aquino nell'anno di morte e dunque

la data di nascita. Cf. MANDONNET, Date de naissance pp. 657. 664. F. PELSTER, La giovinezza di S. Tommaso d'Aquino. Studio critico dellefonti, «La Civiltà cattolica» 74/I (1923) 394-95. BAČIC 30. Tolta l'incertezza circa la conoscenza diretta che Remigio ebbedi Tommaso d'Aquino (v. infra Append. II-b), la testimonianza acquista ben altro valore.

Finis!

http://www.e-theca.net/emiliopanella/remigio/7900.htmhttp://www.smn.it/emiliopanella/remigio/7900.htm