L'ITALIA NELLA STORIOGRAFIA

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L’ITALIA MODERNA NELLA STORIOGRAFIA FRANCESE, INGLESE E AMERICANA Non ci sarebbe bisogno di spendere molte parole per descrivere somma- riamente l’immagine che la storiografia francese, inglese e americana hanno trasmesso, attraverso libri e, soprattutto, articoli su riviste, della storia italiana moderna. Qui l’attributo di “moderno” sta solo a indicare un percorso, una periodizzazione assai larga che, a partire dal Trecento, si spinge fin dentro l’Ottocento, comprendendo sia il tempo dell’“early modern” angloamericano nel suo significato ristretto ai secoli XV-XVII, sia il “modern” propriamente detto che praticamente sfonda nella storia contemporanea. La tradizione angloa- mericana rivela così un’idea assai vicina al «blocco storico epocale moderno contemporaneo» che Giuseppe Galasso ha elaborato come concetto episte- mologicamente fondato per rappresentare non solo un canone di periodizza- zione, ma un’idea interpretativa globale. «La si definisca moderna o contem- poranea, la materia complessiva delle due storie si presenta con gli aspetti di un unico blocco storico epocale. Come ogni altro, anche questo blocco sto- rico è articolabile in fasi diverse, e in ciascuna fase risultano accentuati aspetti e problemi diversi del corso storico. Tra età moderna ed età contemporanea non appaiono, però, in nessun modo fratture in grado di delineare una diversa filosofia del loro significato e della loro dialettica storica» ( 1 ). Più vicina invece alla partizione accademica è la nozione francese di “moderne”, assimilabile ai processi che interessano la storia mondiale, in particolare quella europea, tra Quattrocento ed Età napoleonica. Che cosa intendo dire quando affermo che non occorrono molte parole? Intendo più cose insieme. In primo luogo la quantità e la qualità della consi- derazione di cui ha goduto la storia dell’Italia moderna in quelle storiografie: per la verità assai scarsa e insufficiente se confrontata persino con l’analoga ( 1 ) G. GALASSO, Prima lezione di storia moderna, Roma-Bari, Laterza, 2008, p. 21. 1 STORICI E STORIA

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L’ITALIA MODERNA NELLA STORIOGRAFIAFRANCESE, INGLESE E AMERICANA

Non ci sarebbe bisogno di spendere molte parole per descrivere somma-riamente l’immagine che la storiografia francese, inglese e americana hannotrasmesso, attraverso libri e, soprattutto, articoli su riviste, della storia italianamoderna. Qui l’attributo di “moderno” sta solo a indicare un percorso, unaperiodizzazione assai larga che, a partire dal Trecento, si spinge fin dentrol’Ottocento, comprendendo sia il tempo dell’“early modern” angloamericanonel suo significato ristretto ai secoli XV-XVII, sia il “modern” propriamentedetto che praticamente sfonda nella storia contemporanea. La tradizione angloa-mericana rivela così un’idea assai vicina al «blocco storico epocale modernocontemporaneo» che Giuseppe Galasso ha elaborato come concetto episte-mologicamente fondato per rappresentare non solo un canone di periodizza-zione, ma un’idea interpretativa globale. «La si definisca moderna o contem-poranea, la materia complessiva delle due storie si presenta con gli aspetti diun unico blocco storico epocale. Come ogni altro, anche questo blocco sto-rico è articolabile in fasi diverse, e in ciascuna fase risultano accentuati aspettie problemi diversi del corso storico. Tra età moderna ed età contemporaneanon appaiono, però, in nessun modo fratture in grado di delineare una diversafilosofia del loro significato e della loro dialettica storica» (1). Più vicina invecealla partizione accademica è la nozione francese di “moderne”, assimilabile aiprocessi che interessano la storia mondiale, in particolare quella europea, traQuattrocento ed Età napoleonica.

Che cosa intendo dire quando affermo che non occorrono molte parole?Intendo più cose insieme. In primo luogo la quantità e la qualità della consi-derazione di cui ha goduto la storia dell’Italia moderna in quelle storiografie:per la verità assai scarsa e insufficiente se confrontata persino con l’analoga

(1) G. GALASSO, Prima lezione di storia moderna, Roma-Bari, Laterza, 2008, p. 21.

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considerazione per altri paesi europei, anche più periferici rispetto all’Italia.In secondo luogo la possibilità di identificare pochi e ricorrenti tratti comunialle tre storiografie. La prevalenza dell’immagine urbana dell’Italia, anzi il pri-mato, entro questo contesto, praticamente di due sole realtà, Firenze e Venezia,non è solo la riprova, come si vedrà, della straordinaria fortuna di Burckhardte Sismondi soprattutto nella cultura storica angloamericana, ma è anche la pos-sibilità di leggere una dicotomia, un’antitesi positivo-negativo: «la città comeprincipio ideale della storia italiana», per riprendere la famosa espressione diCarlo Cattaneo (il positivo) versus il destino di una realtà storica incapace difarsi nazione (il negativo). Ma sul punto ci si soffermerà a lungo più avanti.In terzo luogo, l’attenzione che tra Ottocento e Novecento ha ricevuto la sto-ria dell’Italia moderna è assai più dipendente dai contesti culturali interni aFrancia, Gran Bretagna e Stati Uniti, che l’hanno ispirata, piuttosto che all’in-teresse e alla curiosità per le vicende più proprie italiane. Voglio cioè dire cheassai spesso scelte tematiche, emergenze di periodi e fatti particolari, meto-dologie e orientamenti storiografici sono stati pressoché integralmente ispiratidalla congiuntura culturale e dallo “spirito del tempo”, per così dire, in cuisono stati prodotti.

Tuttavia, uno sguardo più attento e “seriale” alla produzione storiograficadi materia italiana, opera di storici anche illustri d’Oltralpe, rivela non pochesorprese rispetto allo schema semplificato prima proposto. La quantità inprimo luogo: l’indagine su riviste francesi, inglesi e americane mostra non tantol’esiguo numero di articoli in senso assoluto, quanto il loro differente peso inepoche diverse. Altro aspetto è da sottolineare. Se i tratti comuni a cui si èfatto riferimento non sono falsificati dalla ricerca, essa tuttavia dimostra comeessi vadano articolandosi e differenziandosi in rapporto al tempo, allo spazio,ai contesti di riferimento. Ancora una volta accentuazioni e prospettive diversesono da porre in stretta relazione con i contesti storiografici nazionali: e que-sto è vero almeno fino a quando, tra fine Novecento e l’inizio del nuovo mil-lennio, globalizzazione, multidisciplinarità, aperture alla “world history” hannomesso in crisi le storiografie nazionali così come le avevamo conosciute traOttocento e Novecento.

E’ pure interessante osservare un altro elemento. Le opzioni tematichesull’Italia moderna, i modi di trattarle, la scelta dei generi e degli orientamentistoriografici hanno molto a che fare con le vocazioni e le identità delle rivi-ste dei paesi d’Oltralpe. Ognuna di esse occupa un posto specifico, ben rico-noscibile e riconosciuto, nella mappa storiografica interna al paese. Risulta dun-que evidente e facilmente spiegabile, ad esempio, il fatto che in Francia la«Revue Historique», almeno nei suoi primi decenni di vita, prediliga temi di

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storia politica italiana, a differenza delle «Annales» che hanno sempre avutoun occhio di riguardo per la storia economica: e le stesse aggregazioni, gliincroci, gli incontri che sono andati formandosi, soprattutto dopo la secondaguerra mondiale, fra storici francesi e storici italiani, hanno quasi sempre pri-vilegiato il versante dell’economia. Altro esempio viene dalla Gran Bretagna.La «English Historical Review» ha prestato particolare attenzione a diploma-zia, politica, aspetti istituzionali e costituzionali. «Past and Present», di assaipiù recente fondazione rispetto alla «English Historical Review» e a «History»,la prima nata nel 1876, la seconda nel 1916, ha guardato soprattutto al rap-porto fra storia e scienze sociali, alle trasformazioni della società europea nel-l’età moderna, al bisogno di svecchiamento e rinnovamento storiografico suc-cessivo al secondo conflitto bellico. La crisi della leadership imperiale britannicaha incrinato certezze istituzionali, politiche e culturali. Quanto di attenzionealla storia italiana abbia partecipato alla costruzione dell’identità nuova dellarivista, fondata sul recupero della prospettiva della “civil society” mandevil-liana e smithiana, sull’analisi della composizione dei gruppi sociali, dei con-flitti tra le classi, dei caratteri di crisi e rivoluzioni, della formazione econo-mico-sociale che ha scandito il passaggio dal feudalesimo al capitalismo (2), èargomento che costituirà uno degli oggetti di indagine di questo studio.

Un’ultima considerazione riguarda il periodo che abbraccia questa ricerca.Essa parte dagli ultimi decenni dell’Ottocento sia perché quest’epoca vede lanascita di alcune tra le riviste storiche più importanti (la «English HistoricalReview», la «Revue Historique», la «American Historical Review»), sia per-ché, alla fine del secolo XIX, giunge a maturità il processo di professionaliz-zazione della storia, avviato soprattutto in Germania a metà Ottocento. Essosignifica non solo una più precisa coscienza delle questioni teoriche e meto-dologiche che, come più dettagliatamente sarà considerato, hanno a che farecon la conoscenza storica, ma anche l’esigenza di fondare un’identità accade-mica per la disciplina e aggregare discepoli intorno ad orientamenti e scuole.Il punto di arrivo della ricerca sono naturalmente gli anni più vicini a noi. Imutamenti che essi hanno comportato nella collocazione delle discipline sto-riche nell’ambito dei saperi, gli orientamenti della ricerca internazionale, la crisidell’identità della storia e delle scienze sociali, non sono stati senza conseguenzee contraccolpi nei rapporti tra storiografie di paesi diversi.

(2) Cfr. A. MUSI, La storiografia politico-amministrativa sull’età moderna: tendenze e metodidegli ultimi trent’anni, in Stato e pubblica amministrazione nell’ancien Régime, a cura di A. Musi,Napoli, Guida, 1979, p. 83.

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Forse il superamento dell’impasse attuale può realizzarsi solo attraversola creazione, in tempi brevi, di un’Europa come soggetto politico-istituzionaleforte e ben integrato, dotata di maggiore compattezza e identità comune, ma,al tempo stesso, rispettosa del pluralismo e capace di riflettere sulle radici dellasua “modernità” e sul riconoscimento reciproco dei contributi offerti allacostruzione e allo sviluppo dell’“Europa dei secoli d’oro” (3): e il contributodell’Italia a tale processo non è stato affatto marginale.

1. Tra Ottocento e Novecento

Il dibattito sulla storia, sulla sua natura e identità, sulle regole della disci-plina, sui problemi di teoria e metodologia della ricerca coinvolge, tra gliultimi decenni dell’Ottocento e i primi del Novecento, Francia, Stati Uniti,Gran Bretagna, Italia. Ne sono testimonianza sia la fiorente produzione dimanuali, sia la nascita di importanti riviste che mettono al centro quelle pro-blematiche, sia lo stretto intreccio tra lo statuto scientifico e il processo di pro-fessionalizzazione della storia che matura in questi anni. Negli Stati Uniti l’o-pera di H. Adams, Methods of Historical Study, vede la luce nel 1884 (4). Diun altro Adams è A Manual of Historical Literature del 1889 (5). Seguono Studiesin Historical Methods di M. S. Barnes (6) e Outline of Historical Method di F.M. Fling, pubblicati nel 1899 (7). Il nuovo secolo si apre con The Conceptionsand Methods of History di J. H. Robinson (8). Negli anni successivi sono pub-blicati Historical Research di J. M. Vincent (9), ancora di Robinson The NewHistory. Essay Illustrating the Modern Historical Outlook (10). Tra il 1916 e il1925 vedono la luce ben tre manuali di F. J. Teggart: Prolegomena to History.The Relation of History to Literature, Philosophy and Science (11), The Processesof History (12), Theory of History (13). Il 1925 è anche l’anno in cui l’atten-

(3) G. GALASSO, Nell’Europa dei secoli d’oro. Aspetti, momenti e problemi dalle “guerre d’Italia”alla “Grande Guerra”, Napoli, Guida, 2012.

(4) Baltimore, Murray, 1884.(5) New York, Harper and brothers, 1889.(6) Boston, D. C. Heath & Co, 1899.(7) Lincoln, H. J. Miller, 1899.(8) Congress of Arts and Science, Universal Exposition, St. Louis, 1904.(9) New York, Henry Holt & Co, 1911.(10) New York, The Macmillan Company, 1912.(11) Berkeley, University of California, 1916.(12) New Haven, Yale University Press, 1918.(13) New Haven, Yale University Press, 1925.

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zione al rapporto tra storia e scienze sociali balza in primo piano in tre operedi H. E. Barnes (14) e C. L. Becker ragiona sulla natura dei fatti storici (15).Fin dai primi titoli, ma più in particolare in Teggart e Becker, appare in pienaevidenza la dicotomia tra positivismo, ossia primato della descrizione e delleleggi, e costruzionismo, ossia soggettivismo storiografico. Essa richiama il dua-lismo fra storia come scienza empirica e storia come conoscenza dell’indivi-duale insieme con il problema del rapporto tra lo storico e i soggetti del pas-sato. Altro confronto ricorrente a partire per lo meno dai Prolegomena di Teggartsarà quello tra arte, letteratura, filosofia e storia (16).

Agli inizi del Novecento, sulla rivista di Henri Berr, «Revue de sinthèsehistorique», due storici e un filosofo italiani affrontano temi analoghi, sia pureda angolazioni e prospettive diverse. Nel 1901 Pasquale Villari si pone ladomanda: La storia è una scienza? L’anno successivo interviene BenedettoCroce con un articolo dal titolo Gli studi di teoria della storia in Italia e nellostesso anno Giovanni Gentile scrive Sul metodo storico.

In Inghilterra nel 1886 è pubblicato il volume di E. Freeman, The Methodsof Historical Study (17) e con minore intensità rispetto agli Stati Uniti dal 1909al 1928 vedono la luce due opere di G. M. Trevelyan, Clio, a Muse and OtherEssays, The Recreations of an Historian (18), un manuale di E. Scott, Historyand Historical Problems (19), una rassegna di A. Rowse, On History: a Studyof Present Tendencies (20), lo studio di C. G. Crump, History and HistoricalResearch (21).

L’impressione che si ricava da questo sia pur sommario elenco è uncomune sentire al di là delle differenze culturali e delle specifiche tradizioni

(14) Si tratta di Psychology and History, New York, The Century Co, 1925, The NewHistory and the Social Studies, New York, The Century Co, 1925, The History and Prospects ofthe Social Sciences, New York, Knopf, 1925.

(15) C. L. BECKER, Che cosa sono i fatti storici? e Che cos’è la storiografia in C. L. BECKER,Storiografia e politica, a cura di V. De Caprariis, Venezia, Neri Pozza, 1962, rispettivamente allepp. 133-152 e 153-164.

(16) Cfr. AHR Forum: The Old History and the New, con saggi di T. S. Hamerow, G.Himmelfarb, L. W. Levine, J. W. Scott, J. E. Toews, in «The American Historical Review», 94(1989), pp. 654 ss.

(17) London, Macmillan, 1886.(18) London-New York, Longmans, Green and C., 1913 e London-New York, Thomas

Nelson, 1919.(19) Oxford, Oxford University Press, 1925.(20) London, K. Paul, Trench, Trubner, 1927.(21) London, Routledge, 1928.

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storiografiche. I temi ricorrenti sono: la storia come arte o come scienza; ildibattito serrato col positivismo; le critiche alla filosofia della storia; la possi-bilità di operare, attraverso la ragione storica, una sintesi della conoscenza; ilrapporto con le altre scienze; la fondazione dello statuto disciplinare e dellaprofessione.

Alcune di queste questioni sono state affrontate, anni prima, dal fonda-tore della «Revue Historique», Gabriel Monod (22). Nei suoi interventi sui priminumeri della rivista, nata nel 1876, il piano più specifico, legato alla tradizionestoriografica francese, incrocia poi il piano dei temi più generali di teoria dellastoria che, negli anni successivi, saranno ampiamente dibattuti a livello inter-nazionale (23). Così la battaglia per il superamento della storia-cronaca, in cuiviene identificata la tradizionale storiografia politico-amministrativa francese,non significa per Monod abbandonare il procedimento metodologico positi-vista, tecniche d’indagine che restano punti fermi per qualsiasi storico. Significapiuttosto postulare un rapporto diverso tra presente e passato: la compara-zione sistematica tra la storia e il tempo presente permette di comprenderel’una e l’altro. Il rigore dell’interpretazione empirica dei documenti si modulacon il ricorso all’intuizione filosofica senza la quale la storia si ridurrebbe apura erudizione: e qui sono evidenti sia l’influenza dello storicismo tedescosu Monod sia una notevole contiguità tra le sue posizioni e quelle di Croce.Monod anticipa in certo senso quello che sarà uno dei fondamenti delle«Annales»: il progetto di una storia in grado di rappresentare il percorso psi-cologico delle società e di assorbire l’oggetto della sociologia in quello dellastoriografia; capace altresì, con la forza biologica creatrice della ragione sto-rica, di guidare un’evoluzione universale, pacifica, superando le barriere dinazioni e nazionalismi.

Tra gli anni Ottanta e Novanta dell’Ottocento l’obiettivo di dotare di basidi maggiore certezza la professione storica è avvertito soprattutto in GranBretagna e Stati Uniti: strumenti prioritari sono considerati sia la creazione diassociazioni professionali sia la fondazione di riviste accademiche. Nel 1884viene creata negli Stati Uniti l’American Historical Association. E dal 1895 «TheAmerican Historical Review» diventerà la rivista ufficiale della professionestorica negli Stati Uniti. Nel 1880 sono solo 15 i professori di storia e 5 gliassistenti nei Colleges e nelle Università degli States. Tra il 1880 e il 1900 lastoriografia americana vive un’età creativa, una stagione felice. Poi, negli anni

(22) G. MONOD - G. FEGNIEZ, Manifeste du 1876, in «Revue Historique», I (1876).(23) Cfr. C. O. CARBONELL, La naissance de la “Revue Historique”, ivi, 1976, pp. 338 ss.

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e decenni successivi, la progressiva burocratizzazione, la specializzazione eframmentazione disciplinare, la formazione di vere e proprie caste professio-nali faranno parlare di distanza tra sapere e società, di un sapere rigido, iera-tico, per iniziati. A fine Novecento si rimpiange l’epoca della fine dell’Ottocento.Hamerow scrive «La storia è diventata più esatta, ma meno eloquente, piùscientifica, ma meno eccitante». E non esita a esprimere nostalgia per i dilet-tanti: «Storici, badate non solo alla vostra disciplina, ma anche al senso del-l’identità collettiva» (24).

Fondata nel 1886, anche la «English Historical Review» guarda alla scuolatedesca sia per le tematiche privilegiate sia per la spinta alla professionalizza-zione che da essa proviene. Programmaticamente la rivista inglese si presentacome uno strumento strettamente accademico per la promozione della“Historical Scholarship”, con una visione della pratica della scrittura storicacome professione, capace di assegnare un certificato di competenza ai suoi col-laboratori, considerati come la comunità degli storici (25).

E’ in questo contesto generale che, a una prima istanza, va collocata l’a-nalisi del problema degli scritti di storia italiana moderna, apparsi su due rivi-ste particolarmente significative sia per il loro legame organico con le culturenazionali di riferimento sia perché cassa di risonanza sensibile del quadro teo-rico, disciplinare e professionale suesposto: la «Revue Historique» e «TheEnglish Historical Review». Naturalmente nella scelta dei temi italiani, deglispazi e dei tempi storici privilegiati entrano in gioco altre variabili, che sarannovolta a volta esaminate.

Nel ventennio 1880-1900 appaiono su «Revue Historique» quattordiciarticoli di modernistica italiana. Essi sono molto più legati a una concezionestrettamente positivistica del fatto storico e meno ai tentativi di rinnovamentoteorico e metodologico perseguiti da Monod. Piuttosto agli stimoli del fon-datore può essere ricondotta la sensibilità per la biografia e la psicologia deipersonaggi storici, alcuni di essi ampiamente rivalutati rispetto alla tradizionestoriografica. E’ il caso del primo articolo, dedicato da A. Maury a Cesare

(24) T. S. HAMEROW, The Bureaucratization of History, in «The American Historical Review»,94 (1989), pp. 654-660. Questo articolo è particolarmente interessante e utile sia per le infor-mazioni che fornisce sullo stato nascente della storiografia americana come professione sia peri giudizi sull’evoluzione successiva. Per Hamerow è andata perduta la tradizione della storio-grafia vivente e vibrante, che ha avuto la sua “età dell’oro” da Gibbon e Voltaire fino aTocqueville ed è finita nel XX secolo.

(25) Cfr. l’articolo di D. S. GOLDSTEIN sulle origini e i primi dieci anni della rivista, in «TheEnglish Historical Review», CI (1986), pp. 18-19 in particolare.

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Borgia (26). Di questo personaggio l’autore rivela il grande valore intellettuale,la profonda sensibilità artistica; ne apprezza l’anticonformismo rispetto aivalori cattolici, un leit-motiv della cultura francese che vede la cultura italianachiusa e bigotta. Al tempo stesso il saggio è una strenua difesa dell’espansionefrancese di Carlo VIII verso l’Italia e una valutazione negativa dell’atteggia-mento di Venezia, di papa Alessandro VI, della Spagna e dell’imperatoreMassimiliano, ossia della lega antifrancese. Nella lotta franco-spagnola per ilcontrollo della penisola, le accuse sono riservate alle attitudini al tradimento,alla “mauvaise foi” dell’italiano Cesare Borgia, alle brame imperialistiche spa-gnole. Già a quest’epoca un nazionalismo strisciante ispira il discorso delMaury. Egli assolve la politica e la personalità del Valentino, maestro dissi-mulatore per il quale il mistero fu una componente essenziale del successodelle sue azioni. Ma chiama in causa responsabilità, abitudini e attitudini dellaciviltà italiana e i suoi “detestabili principi”, in un continuo scivolamento dalgiudizio storico al giudizio antropologico. La rivalutazione del personaggioBorgia, ispirata peraltro alla contraddittoria fortuna, anche nella cultura fran-cese, del suo ritratto oscillante fra la crudeltà, il cinismo e il rilievo della straor-dinaria personalità politica (27), è compiuta al prezzo di un giudizio pesante-mente negativo della condizione politica italiana.

A un’altra grande personalità, quella del cardinale Ascanio Sforza, arrestatodai veneziani nel 1500, è dedicato un altro articolo (28). Lo sfondo tende a con-siderare questo periodo come il più travagliato dell’Italia preunitaria tra giochidi potere, ricatti e intrighi di una vivace diplomazia, ancora le responsabilità eccle-siastiche e papali e la schiacciante potenza del re di Francia, Luigi XII. La magna-nimità e la potenza del re di Francia sono esaltati in contrapposizione alla viltà,ai sotterfugi, alle doppiezze della politica italiana, impersonata, secondo l’autoredel saggio, da Ascanio Sforza, catturato dai Veneziani dopo la disfatta di Novaradel 1500 e consegnato in estradizione all’ambasciata francese.

Si torna a Carlo VIII e ad alcuni episodi della sua spedizione in Italiacon un saggio di L. G. Pélissier del 1900 (29). L’uso di documenti inediti

(26) A. MAURY, Une réhabilitation de César Borgia, in «Revue Historique», XIII (1880), pp.81 ss.

(27) Per cui cfr. A. MUSI, Le “occasioni mancate dell’Italia”: l’unità prima dell’Unità, in «NuovaRivista Storica», XCVI (2012), pp. 421-429.

(28) L. G. PÉLISSIER, Le cardinal Ascanio Sforza prisonnier des Vénetiens, in «RevueHistorique», 63 (1897).

(29) ID., Sur quelques épisodes de l’expédition de Charles VIII en Italie. Charles VIII à Casal,ivi, 72 (1900).

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dell’Archivio di Stato di Milano consente all’autore di dimostrare la rasse-gnazione di Ludovico Sforza alla supremazia della Francia su Milano. In unarticolo precedente (30) lo stesso Pélissier si era soffermato su Ludovico Sforza,sulla sua dimensione umana e la sua fragilità.

In occasione del centenario della scoperta dell’America, tre biografie diColombo (31), anch’esse interessanti per la scoperta di nuova e inedita docu-mentazione sulle origini del personaggio.

Il tratto comune a questo gruppo di contributi è lo scrupolo nella narra-zione di ogni aspetto degli eventi presi in considerazione e nella ricostruzionedell’ambiente e del contesto.

Ma il saggio più rappresentativo di questa prima fase della «RevueHistorique» è quello di E. Muntz sul sentimento religioso in Italia nelCinquecento (32). Si tratta di un’analisi di vasto respiro sia per il periodo presoil considerazione – il XVI e il XVII secolo – sia per l’attenzione prestata alcontesto dell’intera penisola. Muntz critica la tesi della decadenza del senti-mento religioso, oltre che nazionale, nell’Italia rinascimentale: in realtà per l’au-tore lettere e arti si piegarono docilmente e senza traumi, così come la nazionenel suo complesso, alle esigenze di Roma. In Italia, scrive Muntz, la Riformacome il Rinascimento restarono senza alcuna presa sulle masse, le quali nonprotestarono se non quando le si volle sottomettere a un controllo vessatorio,presto interrotto. Gli intellettuali italiani, diversamente da quelli francesi e tede-schi, erano rispettosi della Chiesa, e rinunciarono alla loro missione di criticipensatori per isolarsi, rifugiandosi in un ruolo di letterati puri; dimenticandoil proprio ruolo di difensori dell’indipendenza del pensiero, essi si rinchiuseroin un silenzio prudente, integrandosi nella Chiesa detentrice del potere. LaChiesa, d’altra parte, poté contare sul consenso popolare contro l’eresia pro-testante. Il sentimento religioso era profondo solo in grandi personalità delRinascimento italiano come Leonardo, Michelangelo, Botticelli. Nel movi-mento del Rinascimento c’era il germe di una ricchezza futura che sarebbevenuta alla luce qualche tempo dopo, col pensiero di Campanella, Bruno, Galilei.C’era anche il germe di un’evoluzione verso il razionalismo in alcuni pensa-tori italiani che, spingendosi oltre Lutero e Calvino, negando la Trinità, la divi-

(30) ID., Les amies de Ludovic Sforza, 1498-1499, ivi, 58 (1892).(31) S. SEJUS, L’origine de Christophe Colomb, ivi, 1885, H. HARRISSE, Christophe Colomb et

Savone, ivi., 1887, ID., Le lieu d’origine de Christophe Colomb, lettre à l’abbé Casabianca, ivi,1890.

(32) E. MUNTZ, Le sentiment religieux en Italie pendant le XVIe siècle, ivi, 53 (1893).

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nità del Cristo e altri dogmi fondamentali, incontrarono la più avanzata cul-tura europea. Insomma la cultura rinascimentale italiana non accolse conardore la Riforma per una decadenza e disinteresse religiosi: si attenne agliinsegnamenti della Chiesa per aprirsi, più tardi, a più audaci speculazioni.

Il generale pregiudizio favorevole filofrancese incontra un’eccezione in uncontributo di P. van der Haegen, dedicato ai diritti di Carlo VIII sul Regnodi Napoli (33). L’autore nega recisamente che l’invasione di Napoli da partedel re di Francia avesse fondamenti giuridici. Recuperando anche in questocaso fonti documentarie inedite, l’autore sostiene che la discesa di Carlo VIIIfu il frutto di un abuso, un atto di forza più che di diritto.

Con il principio del Novecento, la «Revue Historique» entra in una fasenuova. Essa si allontana sempre di più dagli ideali del suo fondatore: il sognodi un’armonia internazionale, di una ricerca storica capace di fondere il megliodelle diverse tradizioni. Soprattutto dopo la prima guerra mondiale il confrontotra cultura francese e cultura tedesca diventa assai aspro; l’accentuazione nazio-nalistica esalta il razionalismo e l’integrità dello spirito critico francesi control’asservimento della verità compiuto dalla rivale cultura tedesca, ma anche dalmaterialismo della storiografia marxista. Così la pratica storica tende a cele-brare le glorie della potenza francese, gli organi dello Stato-Nazione, costruitopiù precocemente e su basi assai più solide rispetto ad altri. Tra il 1901 e il1940 appaiono sulle pagine della rivista quindici articoli di storia italiana. Lacontinuità con la prima fase è riscontrabile nella puntuale, attenta narrazionedei fatti, nello stile classico della tradizione precedente. Predominanti sono gliarticoli che si riferiscono al rapporto tra Francia e Italia, in particolare alladominazione napoleonica. Ma la fase è caratterizzata anche da alcune aper-ture sia tematiche che metodologiche: l’interesse per la storia di Napoli e delMezzogiorno (34) e un nuovo modo di fare storia delle idee ad opera di A.Dupront nel suo saggio sulla cultura umanistica italiana del XVI secolo (35).

Numerosi sono i saggi sulla politica napoleonica in Italia. Monod e i col-laboratori della «Revue Historique» nel suo stadio originario non hanno nutrito

(33) P. VAN DER HAEGEN, Examen des droits de Charles VIII sur le Royaume de Naples, ivi,1882.

(34) H. HUEFFER, La fin de la République Napolitaine, ivi, 1903, J. RAMBAUD, Le généralReynier à Naples, ivi, 1908, J. CALMETTE, La politique espagnole dans l’affaire des barons napo-litains, ivi, 1912.

(35) A. DUPRONT, D’un “humanisme chrétien” en Italie à la fin du XVIe siècle, ivi,1935.

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particolare simpatia per la figura di Napoleone, della quale hanno rifiutatosoprattutto l’estremismo e il bellicismo. Ma per tutti anche il periodo napo-leonico ha costituito una parte importante nel cammino della nazione, nellavita della società e delle istituzioni francesi, nel processo evolutivo che, secondoMonod, si esprime nella storia. Ciononostante, anche in piena età nazionali-stica, Napoleone guadagnerà raramente un’immagine positiva nelle paginedella rivista. La pregiudiziale antinapoleonica cade negli articoli che si riferi-scono all’Italia. In sostanza essi raccontano dei benefici effetti apportati dal-l’imperatore nei territori italiani conquistati, soprattutto dal punto di vistaeconomico e politico-istituzionale.

Di particolare importanza è il vasto lavoro di E. Driault, pubblicato intre parti e dedicato a Napoleone e l’Italia (36). L’autore descrive con ammi-razione Francesco Melzi d’Eril, la sua ragionevolezza e lungimiranza politica,la sua interpretazione della libertà “italiana” in un periodo in cui la penisolaera ancora solo un’espressione geografica e non era ancora dotata di «un sen-timento nazionale vivo e cosciente». L’ammirazione del Driault per «l’ordineassoluto e la rigorosa gerarchia che Napoleone aveva stabilito nell’ammini-strazione» si accompagna a una lucida valutazione della situazione italiana, dellivello della maturazione socio-politica e della coscienza nazionale, immaturaper una completa autonomia e perciò bisognosa della tutela esterna di unagrande potenza. La politica autoritaria francese è legittimata dal fatto chel’Italia dell’epoca poteva difficilmente essere lasciata a se stessa: essa sarebbestata in tal caso abbandonata alle ostilità locali, eccitando le brame dei paesivicini; l’Italia non aveva che da scegliere tra la dipendenza dall’Austria e quelladalla Francia.

Alla politica italiana di Napoleone è anche dedicato il saggio di A.Pingaud (37). L’autore pone due questioni: l’attacco all’indipendenza papale nel1807, in un periodo in cui l’imperatore non tollera la presenza di Stati indi-pendenti dalla Francia; i motivi della suddivisione del territorio italiano in trediverse circoscrizioni. Per Pingaud la debolezza della politica di Napoleonefu il suo carattere empirico. Tuttavia egli preparò e condusse l’Italia a quel-l’indipendenza e a quell’unità di cui può essere visto come l’iniziatore.

Passiamo ora alla contemporanea esperienza della rivista inglese «TheEnglish Historical Review» e alla pubblicazione sulle sue pagine di articoli di

(36) E. DRIAULT, Napoléon et l’Italie, ivi, 1905, 1906, 1907.(37) A. PINGAUD, La politique italienne de Napoléon I, ivi,1927.

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storia italiana moderna tra fine Ottocento e anni Trenta del Novecento. Anchein un contesto diverso da quello francese nei primi anni di vita della rivistapredomina il biografismo, come testimoniato in particolare da uno scritto del1887 su Alessandro VI e un altro sulla regina Carolina di Napoli. L’attenzionealle fonti induce alla scoperta degli ambasciatori veneziani e dell’importanzadei loro scritti per capire l’ascesa e il declino della potenza delle repubblicaveneta. Ma un analogo interesse di tipo storico-filologico è riscontrabile nel-l’attenzione per la storia di Napoli tra il 1799 e l’età napoleonica e lo studiodelle carte della commissione feudale negli archivi napoletani. Una forte attra-zione, fin da questi anni, suscita il Rinascimento italiano. Ne sono esempi arti-coli sui Gesuiti, la vita di Savonarola, la posizione costituzionale di Cosimo Ide’ Medici, la fortuna di Erasmo in Italia. Fino agli anni Trenta ad attrarregli storici inglesi è soprattutto la storia fiorentina e veneziana. Per quantoriguarda il Sud d’Italia, appaiono articoli sui viaggiatori francesi e inglesi aNapoli e l’esperimento costituzionale in Sicilia. Dal punto di vista documen-tario, ambasciatori e residenti fanno ancora la parte del leone.

Due immagini a confronto, dunque. Per la «Revue Historique» l’Italia èla patria di grandi personaggi, ma la sua frammentazione e l’incapacità di farsinazione legittimano il ruolo decisivo della potenza francese sia nel periodo dellacrisi del sistema degli Stati della penisola a fine Quattrocento sia nell’età napo-leonica, foriera di progresso e preannuncio di destini unitari per il paese. Piùsfumata l’immagine che emerge dalle pagine della «English Historical Review».Dopo una primissima fase in cui prevale il biografismo, la scoperta delRinascimento induce a prediligere la visione urbana dell’Italia nei sue due cen-tri più importanti, Venezia e Firenze.

Quanto al contesto americano, l’«American Historical Review» pubblicheràsolo dopo la seconda guerra mondiale studi di storia italiana moderna, anchese Corrado Barbagallo, scrivendo nel 1929 su The Conditions and Tendenciesof Historical Writing in Italy Today, rileva come fin dai primissimi anni delNovecento gli orientamenti storiografici italiani fossero simili a quelli statuni-tensi per il culto del documento e della filologia: «il solo storico perfetto eracolui il quale riusciva a ricostruire la storia del documento».

(38) Les Annales 1929-1979, con una presentazione di Burguière e saggi di A. BURGUIÈRE,Histoire d’une histoire: la naissance des Annales e J. REVEL, Histoire et sciences sociales: les para-digmes des Annales, in «Annales», 34 (1979), pp. 1344-1375.

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2. Gli studi di storia italiana nelle «Annales» e nella «Revue d’histoiremoderne et contemporaine»

Nel 1979, a cinquant’anni dalla fondazione della rivista, due autorevoliredattori delle «Annales», André Burguière e Jacque Revel, ripensano sia i carat-teri distintivi della sua nascita sia i suoi paradigmi sia le nuove prospettive (38).Si tratta di testimonianze particolarmente importanti non solo per cogliere megliodall’interno della rivista la sua autocoscienza, per così dire, ma anche per com-prendere e spiegare le presenze e le assenze della storia italiana moderna nelmezzo secolo di vita della creatura di Marc Bloch e di Lucien Febvre, poi ere-ditata da Fernand Braudel. Nelle note che introducono i due articoli si dichiarache le «Annales» vogliono restare fedeli ai loro fondatori, ma sono cambiatee cambieranno ancora, perché la fedeltà non significa ripetizione pura e sem-plice. Quindi André Burguière, nel suo intervento, precisa che la nascita dellarivista non fu né necessaria, né attesa e che gli effetti più durevoli della pra-tica e dell’attività di Bloch e Febvre si ebbero soprattutto sul mestiere di sto-rico (39). La loro originalità fu dovuta più alla maniera di affermare il pro-gramma che al programma stesso della rivista (40). Referenti fondamentali peri due fondatori furono la scuola geografica, la «Revue de synthèse historique»di Berr, la sociologia di Durkheim. Essi perseguirono l’ideale dell’histoire-pro-blème e individuarono i loro bersagli polemici principali nel positivismo e nelmarxismo. L’esclusione evidente dal loro orizzonte della storia politica proce-deva dalla riflessione sull’oggetto della scienza storica e sulla funzione socialedella scienza ed era motivata dall’avversione per l’ideologia, per la gestioneideologica della società. La storia politica non permetteva di penetrare nel cuoredella realtà storica (41).

L’altro intervento, quello di Jacques Revel, contribuisce sia a chiarire ilprogetto originario delle «Annales» sia il loro rapporto privilegiato con lescienze sociali. Il progetto fu quello di far uscire la storia dal suo isolamentodisciplinare attraverso l’apertura alle interrogazioni e ai metodi delle altrescienze sociali (42). Solo la storia poteva realizzare l’unificazione empirica dellescienze sociali, perché essa vive di realtà, non di astrazioni (43). Bloch e Febvre

(39) A. BURGUIÈRE, Histoire d’une histoire: la naissance des Annales, cit., pp. 1347-1348.(40) Ivi, p. 1350.(41) Ivi, p. 1356.(42) J. REVEL, Histoire et sciences sociales: les paradigmes des Annales, cit., p. 1362.(43) Ivi, p. 1365.

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riprendevano quindi la polemica di Simiand degli inizi del Novecento controla storia historisante. Su questo primo paradigma delle «Annales» Revel ne inne-sta altri che, senza soluzione di continuità, hanno caratterizzato gli anni diBraudel: l’approccio globale e le temporalità multiple in particolare. Controla tentazione della sintesi troppo schematica e armoniosa, la storia globale signi-fica, per Revel, attenzione alla diversità degli spazi, alle discordanze, alle dis-continuità. Il modello è il Mediterraneo di Braudel: ossia l’apprendimento delsociale attraverso l’analisi del sistema di differenze (44).

Nella prefazione di Braudel al volume di Traian Stoianovich sul paradigmadelle «Annales», lo storico francese accentua ancor di più la continuità tra laprima e la seconda fase della rivista (45). Così gli anni dal 1929 al 1940 sareb-bero gli anni della costruzione teorica del modello, in cui una parte di rilievosvolge l’esclusione della storia politica e narrativa (46). Braudel non accetta iltermine paradigma, pensa piuttosto alla logica di uno “scambio di servizi” trala storia e le altre scienze umane: Bloch e Febvre «erano consapevoli di lavo-rare nella direzione di una storiografia nuova e persino rivoluzionaria. Il mezzoera relativamente semplice. La storia era per loro una scienza umana tra lealtre. Anche senza stare in punta di piedi, lo storico poteva sbirciare nei campie nei giardini delle discipline confinanti. Che cosa c’era dunque di tanto com-plicato e straordinario? Andare a vedere ciò che accadeva fuori, pronunciarsia favore di una comunità delle scienze umane, al di là dei muri che le sepa-ravano le une dalle altre, considerarle tutte come ausiliarie della storia? Pensareche lo storico debba essere in grado di rendere servizio per servizio? Uno scam-bio di servizi: questo era e questo è ancora, credo, l’ultimo e il più profondomotto delle «Annales», la sua chiamata a raccolta» (47).

Sia nei contributi di Burguière e Revel, sia nell’introduzione di Braudelappaiono ben chiari i motivi originari delle «Annales»: l’antipositivismo, l’a-pertura alle scienze sociali, l’incapacità della storia politica a far risaltare l’og-getto privilegiato e lo strato più profondo della dimensione storica (48). Forse

(44) Ivi, p. 1375.(45) F. BRAUDEL, Prefazione a T. STOIANOVICH, La scuola storica francese. Il paradigma delle

“Annales”, Milano, 1978.(46) Ivi, pp. 10-11.(47) Ivi, pp. 11-12.(48) La bibliografia sulle «Annales» è pressoché sterminata. Mi limito perciò a indicare testi

e saggi che sono stati particolarmente utili per le considerazioni qui svolte: M. CEDRONIO,Profilo delle “Annales” attraverso le pagine delle “Annales”, in «Atti dell’Accademia di ScienzeMorali e Politiche della Società Nazionale di Scienze, Lettere ed Arti in Napoli», 1972; AA.VV.,Les Annales et l’historiographie italienne, Roma, Mélanges de L’École Française de Rome, 1981;

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la sottolineatura della continuità tra i fondatori e l’età di Braudel, che avrebbepoi caratterizzato anche la terza generazione, lascia in ombra alcuni motivi ori-ginali, non solo originari, dello stato nascente delle «Annales». L’uomo, ilfatto, la rappresentazione storica: Bloch e Febvre avevano affidato questo tri-nomio a un delicato equilibrio fondato su un ampliamento semantico diognuno dei tre concetti. La dimensione umana nella storia veniva estesa daFebvre ai ritmi biologici, alla sensibilità, alla vita affettiva (49). La rivolta con-tro il positivismo si esprimeva nei primi anni delle «Annales» attraverso il supe-ramento del culto feticistico del dato e della divisione settoriale della ricerca:il riferimento costante alle categorie sociologiche di Durkheim e Mauss erapiù il tentativo di dotare la ricerca storica di strumenti interpretativi generalidei processi storici che la traduzione meccanica di strumenti di analisi da ununiverso scientifico a un altro. Era certo avvertibile l’influenza del clima cul-turale francese del tempo nella concezione della rappresentazione storica. «Perogni spirito scientifico – aveva sostenuto Gaston Bachelard – ogni conoscenzaè una risposta a una domanda. Se non ci sono state domande, non può esserciconoscenza scientifica. Niente va da sé. Niente è dato. Tutto è costruito» (50).E la visione dell’histoire-problème traduceva questa sensibilità. Qualche trac-cia del costruttivismo e del formalismo radicale di Bachelard si può ritrovareagevolmente anche in Febvre. Ma la percezione delle differenze tra epistemologiae ricerca storica non gli doveva sfuggire. Egli, pur rivendicando allo storicol’esistenza della costruzione, era ben consapevole dei vincoli della realtà effet-tuale storica e della differenza sostanziale e non formale fra le evidenze, i datiprimitivi dell’analisi storica e le evidenze scientifiche. Pertanto, quandoBurguière, nelle già citate note introduttive del 1979 (51), sostiene che la sto-ria, come tutte le scienze sociali, non recita il reale, ma costruisce i suoioggetti, si interroga sulle pertinenze delle sue concezioni, verifica la validitàdelle sue ipotesi, proietta sui fondatori della rivista una visione di costruttivi-smo assoluto ad essi non appartenente, caratteristica invece del modo di inten-

Les Annales hier et aujourd’hui, «Atti del Colloquio Internazionale di Mosca» (3-6 ottobre 1989),in «Rivista di storia della storiografia moderna», 1993, pp. 137-223; M. MASTROGREGORI, Il pro-blema storico delle prime “Annales”, nello stesso numero della rivista, pp. 5-22; A. MUSI, La sto-ria debole. Critica della “Nuova Storia”, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1994, pp. 15-32in particolare; P. BURKE, Una rivoluzione storiografica. La scuola delle “Annales” 1929-1989, Roma-Bari, Laterza, 1999 con bibliografia.

(49) D. H. MANN, Lucien Febvre. La pensée vivante d’un historien, Paris, Colin, 1971.(50) G. BACHELARD, Le nouvel esprit scientifique, Paris, Vrin, 1969, p. 21.(51) A. BURGUIÈRE, Histoire d’une histoire: la naissance des Annales, cit., p. 1345.

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dere il rapporto tra fatto e sua rappresentazione nelle «Annales» degli anniSettanta.

Rispetto alla “rivoluzione storiografica” (Burke) francese tra la fine deglianni Venti e gli anni Trenta del secolo scorso, le coeve condizioni della sto-riografia italiana appaiono assai distanti. Ma la distanza è più la conseguenzadi tradizioni e sensibilità diverse che la rappresentazione di una maggiore vita-lità della storiografia francese rispetto a quella italiana. Così mi sembra impro-prio il giudizio in base al quale, tra la fine degli anni Venti e il principio deglianni Trenta del Novecento, apparirebbe chiara l’autocoscienza della crisi dellastoriografia italiana tra esaurimento del filone economico-giuridico e attacchiallo storicismo idealistico (52). In realtà si tratta di anni di produzione moltointensi e di notevole impulso agli studi storici in Italia: basti pensare alla pub-blicazione delle opere storiche di Benedetto Croce, all’attività di GioacchinoVolpe, agli studi sul Principe e su Botero di Federico Chabod che, proprio inquesti anni, peraltro, entra a far parte dell’Enciclopedia Italiana e, su impulsodi Pietro Fedele, compie le sue prime ricerche sulla Lombardia spagnola nel-l’archivio di Simancas.

Il rapporto tra «Annales» e storia italiana moderna può essere riguardatonella sequenza di tre fasi: la prima, fino agli anni Sessanta; la seconda, tra anniSettanta e Ottanta; la terza, comprensiva degli anni più recenti (53).

Punto di partenza per un’analisi della prima fase è l’interesse di Blochper la storiografia italiana (54). Dal 1928 al 1944 lo storico francese recensi-sce, quasi sempre sulle «Annales», 72 opere italiane. Gli autori recensiti sonoper lo più medievisti, storici del diritto e storici economici. Tra di essi, A. Sapori,G. Volpe, G. M. Momti, P. Bognetti, N. Ottokar, G. Luzzatto, F. Calasso, A.Fanfani, C. Barbagallo, L. Einaudi, B. Paradisi, R. Lopez, F. Borlandi. Blochlamenta la scarsa conoscenza e diffusione della letteratura storica italiana in

(52) Il giudizio è di E. DI RIENZO, Un dopoguerra storiografico. Storici italiani tra guerracivile e Repubblica, Firenze, Le Lettere, 2004, p. 143 e n. 411. Di Rienzo si riferisce ad alcuniinterventi di Volpe, Morandi, Maturi, Ottokar e Barbagallo, apparsi tra il 1928 e il 1930 e cheesprimono soprattutto gli umori anticrociani di una parte della storiografia italiana.

(53) Questa periodizzazione si distacca da una scansione più interna alle «Annales» che,in generale, tende egualmente a dividere in tre fasi la sua esperienza, ma con delimitazioni dif-ferenti: 1929-40, l’età dei fondatori; l’età di Braudel, dopo la seconda guerra mondiale; la terzagenerazione, per cui cfr. P. BURKE, Una rivoluzione storiografica. La scuola delle “Annales” 1929-1989, cit., ma anche T. STOIANOVICH, La scuola storica francese. Il paradigma delle “Annales”,cit.

(54) Cfr. B. ARCANGELI, Storiografie a confronto: Marc Bloch e la storiografia italiana, in «Societàe Storia», 71 (1996), pp. 155-175.

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Francia. Ma rivolge ad essa anche critiche di eccessiva erudizione, pur espri-mendo un giudizio positivo soprattutto sul Medioevo di Volpe e di Barbagallo.In realtà a condizionare Bloch è soprattutto la diversa considerazione del poli-tico, che per lo storico francese è comprensibile solo in un orizzonte piùampio e generale, entro un più vasto quadro di analisi e in una visione tesaad ampliare la nozione di istituzione, superando la concezione formalistica edescrittiva propria, in Francia, della scuola di Dupont Ferrier (55). Blochmuove altresì un altro rilievo agli storici italiani: l’uso incauto e impreciso dicategorie come feudalità, territorialità, corporazione. E’ stato giustamente osser-vato che «le osservazioni di Bloch agli autori italiani sembrano rimandare, piùche ad una generale opposizione di interessi e prospettive tra le due storio-grafie, (…), alla più generale polemica del Bloch con la storiografia del suo tempo,all’esigenza, certo non solo sua, di proporre e difendere, a fronte di modelliconsolidati, una nuova storia sintetica più attenta alle realtà economico-socialied alle dimensioni psicologiche e mentali della vita umana» (56).

L’impronta sulle «Annales» resta quella stabilita da Bloch: nei primi diecianni non appare nemmeno un articolo di storia politica, se si escludono i saggisu fascismo e sindacalismo del 1934, su altri problemi del fascismo nel 1935,la recensione di Febvre al libro di Angelo Tasca nel 1939. Ma si tratta, ovvia-mente, di articoli di storia contemporanea. L’unico riferimento a Croce è l’ar-ticolo di Renaudet del 1930, che contiene un giudizio positivo sulla Storiad’Italia (57). A essere in primo piano è il nesso economia-società: e ciò spiegaanche il rapporto privilegiato con la scuola economico-giuridica. Si è scrittoopportunamente di una certa fortuna di Corrado Barbagallo in Francia tra ledue guerre (58): le sue opere incontrarono un’attenzione superiore a quella cheveniva riservata ai lavori di Croce, anche perché Barbagallo faceva «derivaredalla dominazione napoleonica in Italia la presa di coscienza del nostro paesedella necessità della sua unità politica» (59) e ribadiva il collegamento stret-tissimo tra rivoluzione francese e Risorgimento italiano. Ma le affinità tra

(55) Cfr. A. MUSI, La storiografia politico-amministrativa sull’età moderna: tendenze e metodidegli ultimi trent’anni, cit., pp. 45 ss.

(56) B. ARCANGELI, Storiografie a confronto: Marc Bloch e la storiografia italiana, cit., p. 170.(57) Per queste notizie cfr. G. GALASSO, Gli studi di storia italiana nelle “Annales”, in

AA.VV., Les Annales et l’historiographie italienne, cit.(58) A. CASALI, Storici italiani tra le due guerre. La “Nuova Rivista Storica” (1917-1943), Napoli,

Guida, 1980, p. 130.(59) Ivi, p. 130.

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Barbagallo e la storiografia francese riguardavano anche il comune interesseper la storia universale (60).

Dopo il 1946 la rete dei rapporti personali e un certo sentimento di “con-sorteria” tra storici italiani e storici delle «Annales», secondo Galasso, sonoalimentati soprattutto dalla polemica con Croce e lo storicismo crociano: nelcrocianesimo è identificato l’ostacolo maggiore al rinnovamento metodologico.I legami sono anche favoriti dal maggiore interesse per le tecniche della ricercarispetto a quello per la teoria (61).

Quanto agli studi di storia italiana moderna, tra anni Cinquanta e anniSessanta del Novecento sono in particolare privilegiate due aree storiche, laToscana e Venezia. Dal 1952 ha inizio la collaborazione alle «Annales» diRuggero Romano e Alberto Tenenti. Il primo comincia a concentrare la suaattenzione sulla crisi del Seicento, predispone gli strumenti per una miglioreconoscenza degli archivi italiani da parte francese. Quindi, dai primi anniSessanta, insieme con Gentil da Silva, pubblica sulle fiere di Bisenzone dal1600 al 1650. Nel 1964 è la volta del saggio sulla crisi del 1619-22. AlbertoTenenti pubblica articoli sul Rinascimento italiano, su eretici italiani e riformeeuropee, insieme con Corrado Vivanti sulle galere veneziane tra il XIV e ilXVI secolo, su libertinismo ed eresia, su mercanti e cultura a Firenze fra Tree Quattrocento. In questi anni si intensifica pure la collaborazione di storicieconomici italiani. Domenico Sella scrive nel 1957 sull’industria laniera aVenezia nel XVI e XVII secolo, Ugo Tucci nel 1958 sulla pratica venezianadella navigazione, Roberto Lopez su un profilo collettivo del mercante geno-vese, Giuseppe Felloni nel 1960 sulla storia demografica di Pavia tra XVI eXVII secolo, Carlo Cipolla nel 1961 su fonti di energia e storia dell’umanità,Dante Zanetti nel 1962 sui salari dei professori all’università di Pavia nel XVsecolo e, l’anno dopo, sull’approvvigionamento di Pavia nel XVI secolo,Carmelo Trasselli nel 1963 sui trasporti d’argento da e per la Sicilia nel XVIIsecolo, Aldo De Maddalena nel 1967 su affari e uomini d’affari lombardi, iLucini, alle fiere di Bisenzone tra il 1579 e il 1619. Così nel contesto di que-sto vero e proprio primato della storia economica il necrologio di Chabod,scritto da Fernand Braudel nel 1961 (62), appare assai più la testimonianza el’atto d’omaggio all’amico e collega italiano che non il riconoscimento di unaqualche forma di “idem sentire” tra i due storici. Braudel apprezza i “doni”

(60) Ivi, p. 133.(61) G. GALASSO, Gli studi di storia italiana nelle “Annales”, cit., p. 150.(62) F. BRAUDEL, Federico Chabod (1901-1960), in «Annales», 1961.

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di Chabod: l’ammirevole mestiere, l’erudizione puntigliosa, una memoria straor-dinaria, una passione magnifica, una prodigiosa capacità di lavoro. Ricorda lericerche sulla burocrazia milanese del XVI secolo e la principale bibliografiadi Chabod: una storia tradizionale associata, per Braudel, a una qualche sen-sibilità per la storia sociale. Il necrologio si conclude con il ricordo personaleper un’amicizia nata a Simancas nel 1928 e durata oltre trent’anni. Appaionoaltresì eccentrici, rispetto al contesto generale entro cui si iscrivono, i temi affron-tati in alcuni articoli di Alberto Tenenti sul Rinascimento e gli eretici italiani,di Leon Poliakov sugli ebrei a Roma, di Piero Pieri sulle dimensioni della sto-ria militare.

Anche nella seconda fase, tra anni Settanta e anni Ottanta, negli studi distoria italiana, pubblicati sulle «Annales», predominano l’attenzione per Firenzee Venezia e l’interesse per la storia economico-sociale. Si tratta di una fase incui alcuni connotati originari della rivista sono sfumati nella visione costrut-tivistica e formalistica del fatto, sottolineata dal già citato Burguière.L’atomizzazione del campo storico viene presentata dallo stesso autore non comeuna condizione negativa, ma come una via maestra per moltiplicare i punti divista, diversificare gli approcci non per separare ma per costruire più effica-cemente. Dunque, non sintesi ma strategie locali e parziali come risposta auna certa crisi di fiducia negli strumenti del lavoro storico e nelle possibilitàdi pervenire a un’analisi unitaria dei processi. Di conseguenza, privilegiamentodel confronto con le scienze della lunga durata, adozione di modelli utilizzatiin altre discipline, primato dell’economismo e dell’analisi delle forze tecnico-produttive, utilizzazione della nozione di struttura come schema formale dicostruzione del fatto storico, ma anche ingresso di nuove tematiche nella con-siderazione storica e storiografica.

La presenza della storia italiana, in questa seconda fase, appare meno mar-ginale ed episodica rispetto agli anni precedenti. Da una parte nuovi approccie soggetti coinvolgono anche gli studi di storia italiana. Nel 1970 M. Barbutpropone una lettura dell’Arte della guerra di Machiavelli in termini di pras-seologia matematica. Nel 1973 C. Trasselli scrive su criminalità e moralità inSicilia al principio dell’età moderna. L’Italia entra anche in alcuni numerimonografici: quello dedicato a Famiglia e società nel 1972, con un saggio diC. Klapisch e M. Demonet sulla famiglia rurale toscana al principio del XVIsecolo; nel 1973, a proposito di Misure e interpretazioni della crescita, M.Aymard scrive su rendimenti e produttività agricola nell’Italia moderna; nelnumero dedicato a Amore, matrimonio, parentela nel 1981, R. Trexler pub-blica un articolo sulla prostituzione fiorentina nel XV secolo.

Riti e cerimoniali, ideologia regia, storia culturale, storia e antropologia,

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spazio e storia, arte e storia, società plurali, storia scritta/storia orale, paren-tela e identità, retorica/narrazione/storia: sono alcuni dei nuovi nuclei tema-tici intorno ai quali viene organizzandosi la rivista negli anni Ottanta, insiemecon argomenti più propriamente economici ed appartenenti alla sua tradizione.Nel 1983 C. Klapisch-Zuber e P. Braunstein dedicano un saggio ai ritualipubblici nel Rinascimento fiorentino e veneziano. Qualche anno prima lastessa Klapisch ha scritto sui riti nuziali toscani tra Giotto e il Concilio di Trento.Nel 1988, ancora la stessa autrice partecipa con un suo contributo su Firenzeal numero monografico su Parentela e identità. Un anno dopo G. Levi pub-blica, nel numero dedicato a Storia e scienze sociali: un tornante critico, un arti-colo sugli usi della biografia.

Già a partire dagli anni Settanta, ma più ancora nel decennio successivo,sono dedicati alla storia italiana numerosi Comptes-rendu. Una buona parte deitesti recensiti sono di storia economica, come nel numero dedicato nel 1973a Passato, presente dell’Italia. Dieci anni dopo le «Annales» dedicano rendi-conti a Histoire de l’Italie. A parte una rassegna di Tenenti su Corte e prin-cipe, tutte le altre recensioni si riferiscono a volumi di storia economico-sociale: Visceglia scrive su A. Caracciolo, L’albero dei Belloni. Una dinastia dimercanti nel Settecento e su G. Muto, Le finanze pubbliche napoletane trariforme e restaurazione (1520-1634); Aymard sul sistema veneziano di succes-sione, Boutier su M. Bullard, Filippo Strozzi e i Medici. Favore e finanza nelXVI secolo a Firenze e a Roma e su J. C. Brown, In the shadow of Florence.Provincial society in Renaissance Pescia; Hocquet su E. Stumpo, Finanze e Statomoderno nel Piemonte del Seicento.

Una maggiore articolazione tematica appare nei numeri pubblicati tra il1987 e il 1988, con articoli di C. Vivanti su Machiavelli, di S. Cerutti, Daicorpi al mestiere: la corporazione dei sarti a Torino tra XVII e XVIII secolo, diD. Calabi e P. Morachiello, Il ponte di Rialto: un cantiere pubblico a Veneziaalla fine del XVI secolo, di A. Petrucci, Potere della scrittura, potere sulla scrit-tura nel Rinascimento italiano, di A. Massafra, Squilibri regionali e trasporti inItalia meridionale dalla metà del XVIII secolo all’Unità. Più strettamente atti-nenti ai temi dello sviluppo economico regionale sono gli articoli di G. Delille(Tipi di sviluppo nel Regno di Napoli, XVII-XVIII secolo), di A. Dewerpe(Genesi protoindustriale di una regione sviluppata dell’Italia settentrionale, 1800-1880), di G. Levi, (Carriere d’artigiani e mercato del lavoro a Torino, XVIII-XIX secolo).

Nella terza fase, gli anni più recenti, la presenza italiana si fa più episo-dica: continua l’interesse di lunga durata per la storia economico-sociale, tro-vano un certo spazio arte e letteratura, culti e usi simbolici, memorie fami-

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liari, ma, finalmente, si registra un ritorno, sia pur timido, alla storia politicae giuridica.

Con il saggio di G. Delille, Il troppo e il troppo poco. Capitale e rapportidi potere in un villaggio dell’Italia meridionale (XVII-XVIII secolo), pubblicatonel 1994, si presta attenzione a un sistema di rapporti scarsamente conside-rato dalla storiografia delle «Annales», quello tra economia e potere. Il 1996è la volta di un numero monografico dedicato a Arte e letteratura in Toscana(XVII-XVIII secolo), con saggi di S. K. Cohn su Pietà e committenza di opered’arte dopo la Peste Nera e di L. Martines su Amore e storia nella poesia delRinascimento italiano. A Elogio della copia. Il mercato napoletano dell’arte(1614-1764) è dedicato un articolo di G. Labrot nel 2004. M. Fincardi, nel1995, pubblica su Inondazioni e apparizioni mariane nelle campagne della valledel Po. Un numero monografico è riservato nel 2004 a Scritture e memoriefamiliari con saggi di R. Mordenti (I libri di famiglia in Italia), C. Cazalé Berarde C. Klapisch-Zuber (Memoria di sé e degli altri nei libri di famiglia italiani),R. Black (Scuola e società a Firenze, secoli XIV-XV. La testimonianza delleRicordanze). La persistenza di attenzione per la città italiana è testimoniata daisaggi di P. Braunstein su Il paesaggio sociale fiorentino, il mondo della lana frail 1380 e il 1430, e di D. Calabi su I quartieri ebraici in Italia (XV-XVIIsecolo). L’inedito interesse per il politico si manifesta nella pubblicazione del-l’articolo di E. Iachello su Centralizzazione statale e potere locale in Sicilia (secc.XVIII-XIX), di M. Peytavin sull’identità dell’officier nella Napoli del primoSeicento, di un numero dedicato nel 2002 al dibattito storiografico in Italia eFrancia sui rapporti tra storia e diritto, di un altro numero del 2004 che illu-stra le ricerche recenti sugli Stati italiani.

Particolarmente illuminante, ai fini delle riflessioni che stiamo svolgendoin queste note, è un confronto tra le «Annales» e la «Revue d’histoire moderneet contemporaine». Nata nel 1899 con due obiettivi dichiarati, il dialogo traetà moderna ed età contemporanea e la battaglia contro l’iperspecializzazione,la «Revue» ha attraversato periodi diversi. Fino al 1914 ha conservato la testataoriginaria, dal 1926 al 1940 si è chiamata «Revue d’histoire moderne», dal 1947al 1953 «Etudes d’histoire moderne et contemporaine», dal 1954 è tornata allatestata della nascita. Da questo anno la rivista è emanazione della Société d’hi-stoire moderne et contemporaine. La «Revue» dal 1954 ha subito una profondatrasformazione, si è proposto il dialogo programmatico con le storiografiestraniere, è la seconda rivista francese di storia dopo le «Annales» e la primaper il periodo compreso tra il XVI e il XX secolo. Attualmente è diretta daPierre Milza e Daniel Roche.

Un puntuale esame degli indici della «Revue», a partire dal 1954 fino a

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oggi, mostra una omogeneità di interessi e di linee di intervento, che hannoispirato la pubblicazione di studi di storia italiana moderna, sicuramente mag-giore rispetto alle «Annales», peraltro caratterizzate, per periodi non brevi dellaloro storia, da una certa casualità ed estemporaneità. Schematicamente pos-sono essere identificate quattro linee direttrici prevalenti: un’attenzione per-manente all’Ottocento e al Risorgimento italiani riguardati soprattutto, e bens’intende, nel loro rapporto con la Francia; una sensibilità particolare per lastoria dell’arte e del teatro; l’interesse per il Fascismo e il Novecento italiani,soprattutto dopo l’ingresso e l’ascesa a posti di responsabilità nella rivista diPierre Milza; particolarmente in anni più recenti, il ritorno alla mission origi-naria della rivista attraverso lo sforzo teso a stabilire legami più stretti fra sto-ria moderna e storia contemporanea italiana.

Ad aprire la abbastanza nutrita serie di studi dedicati all’Ottocento è nel1958 F. Boyer con un saggio sui rapporti tra Francia e Piemonte sotto ilprimo ministero Bastide (11 maggio-28 giugno 1848). Segue nel 1960 unnumero dedicato a studi di storia italiana, con contributi di P. Guichonnet suldiritto savoiardo e piemontese negli avvenimenti del 1859, di F. Valsecchisulla pace di Zurigo (1859), di F. Boyer sui volontari francesi con Garibaldinel 1860, di Lynn M. Case su Thouvenel e la rottura delle relazioni diploma-tiche franco-sarde nel 1860, di C. de Remusat su Cavour (1860-61): una serieomogenea di saggi sulla congiuntura a cavallo dell’Unità. Al quadro diplomaticoè dedicato il saggio del 1962 di J. M. Roberts su Melzi d’Eril, ambasciatoresuo malgrado: un episodio delle relazioni tra le repubbliche francese e cisalpinanel 1798. E ancora al contributo della Francia al processo di unificazione ita-liana si riferisce l’articolo di F. Boyer (1962) su Armi e munizioni vendute nel1860 da Napoleone III a Vittorio Emanuele II. Dello stesso anno è pure unarticolo di A. Dupuy, Viaggiatori italiani alla scoperta della Francia. I rapportitra Bettino Ricasoli e Napoleone III sono oggetto di un saggio di S. Camerari(1963).

L’attenzione per la storia dell’arte italiana è legata al nome di AndréChastel, del quale la «Revue» dà conto del libro L’art italien (1957). Di Chastelè il saggio del 1959 sulla leggenda medicea. Gli artisti italiani e Napoleone èil titolo dell’articolo di F. Boyer (1954). Una certa fortuna incontra in Franciala ricerca originale di R. Zapperi che, nel 1985, pubblica sulle «Annales» unsaggio su Agostino Carracci e, nel 1991, sulla «Revue», analizza il rapportotra la corporazione dei pittori e la censura delle immagini a Bologna nel XVIIsecolo. Di L. Bolard è il saggio su Pittura, economia, società in Italia nel XVIsecolo: l’esempio degli affreschi delle ville veneziane. Al teatro sono dedicati duearticoli di G. Bouquet, La commedia italiana sotto la Reggenza (1716-1725) e

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I commedianti italiani a Parigi al tempo di Luigi XIV, pubblicati rispettivamentenel 1977 e nel 1979.

Pierre Milza inizia la sua collaborazione alla rivista nel 1967. In questostesso anno scrive un articolo sui rapporti economici franco-italiani nel 1914-15 e le loro incidenze politiche. Nel 1978 Giorgio Mori espone sulla «Revue»alcuni risultati delle sue ricerche su industria, banca e regime fascista in Italia(1923-1933). Il numero di luglio 1983 è riservato all’Italia nel XX secolo, consaggi su emigrazione e colonie, fascismo femminile, scuola italiana e fascismo,il fascismo italiano a Parigi (di P. Milza), le arti plastiche in Italia, il divorzioall’italiana: partiti, opinione femminile e referendum del 12 maggio 1974. Aifascisti italiani e alle forme dell’associazionismo in Lorena tra il 1921 e il 1939è dedicato un saggio di D. Francfort, pubblicato nel 1991. Anche i Comptes-rendu recensiscono libri sui rapporti tra Francia e Italia nel periodo fascista:ad esempio, quello curato da D. Peschanski, su Vichy 1940-1944. Quaderni edocumenti inediti di Angelo Tasca e quello curato da P. Milza su Gli italianiin Francia dal 1914 al 1940.

Colpisce, dal sommario excursus proposto, la prevalenza di studi di sto-ria contemporanea rispetto a quelli sull’età moderna. Il dato è spiegabile siaper il progressivo primato che nella «Revue» viene conquistando l’interesseper l’Otto e il Novecento, sia perché in questo periodo meglio documentabilie più strategici appaiono i rapporti tra Francia e Italia. Ma nel 1998, in un’i-deale ripresa dell’obiettivo originario della rivista, il nesso moderno-contem-poraneo, la «Revue» riserva un corposo e complesso numero a Poteri e societàin Italia (XVI-XX secolo) che si fa apprezzare sia per un’aggiornata messa apunto storiografica sul tema, soprattutto per quanto attiene all’età moderna,sia per la prospettiva di lunga durata scelta. Il numero, curato da P. Milza eda C. Douki, si apre con un’ampia rassegna di J. Boutier e R. Marin, La sto-riografia recente sull’Italia moderna, seguito da Stato moderno e antichi Statiitaliani (E. Fasano Guarini), Poteri e territori nell’Italia spagnola (G. Muto),Le nobiltà italiane (F. Angiolini), Il XVIII secolo in Italia: il Settecento “rifor-matore”? (M. Verga), Censura e cultura politica in Italia nel XVIII secolo: ilcaso del Granduca di Toscana (S. Landi), La repubblica romana del 1798-99 (M.P. Donato), Triennio sardo? Dibattito sulla Sardegna nell’epoca rivoluzionaria(F. Pomponi), La Monarchia, un attore “dimenticato” della nazionalizzazione degliitaliani? (C. Brice), Storia politica e sociale del regime fascista (M. A. Mataro-Bonucci), Percorsi di formazione della classe politica italiana: gli studenti nellatransizione dal fascismo alla democrazia (G. Quagliariello), La monarchia ita-liana è ancora legittima nel 1943-44? La questione istituzionale nel “Regno delSud” (F. Attal), Costruire la democrazia. Poteri locali e partito repubblicano in

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Italia 1943-1946 (J. C. Lescure). Anche i Comptes-rendu prendono in consi-derazione volumi di storia italiana moderna e contemporanea.

In definitiva si può dire che nella mappa delle riviste storiche francesi la«Revue d’histoire moderne et contemporaine» sia più vicina, come interessi esensibilità per la storia italiana, alla «Revue historique»: ampio spazio è riser-vato al politico; l’attenzione cade in prevalenza su quei periodi in cui più strettoè stato il legame tra Francia e Italia, in particolare da Napoleone al Risorgimentoe all’unificazione della Penisola; più frequente e aperto è il confronto tra etàmoderna ed età contemporanea. Le «Annales» conservano invece quell’improntaeconomicistica, che ha caratterizzato la rivista fino dalle origini, ha pesato anchenel confronto con la storia italiana, non smentita nemmeno da più recenti, timideaperture alla storia politico-istituzionale.

3. Umanesimo e Rinascimento nella storiografia anglo-americana

Il mito dell’Umanesimo e del Rinascimento italiani, in particolare quellofiorentino, ha attraversato la storiografia inglese come è dimostrato dalla for-tuna che alcuni temi hanno incontrato nella rivista «The English HistoricalReview» fin dai primi anni della sua vita. L’esperimento di Savonarola, il rap-porto tra Umanesimo e crisi religiosa del primo Cinquecento, la diffusione del-l’erasmismo in Italia, aspetti costituzionali legati alla vita politica fiorentina sonostate alcune tra le questioni affrontate dalla rivista. All’origine dell’interesse edell’attrazione ha giocato un ruolo decisivo il modello di una città-Stato cheha saputo coniugare cultura e politica e trasferire i valori dell’Umanesimo –il ritorno alla cultura classica, lo spirito critico, l’esaltazione dell’individuo edella sua libertà – nella vita pratica della polis.

Anche nella storiografia americana, tra fine Ottocento e primo Novecento,il Rinascimento è stato considerato un valore fondativo e una tappa verso lamoderna democrazia. Peraltro si è guardato con interesse a quel periodo per-ché si è ritenuto affine, fatte salve le differenze temporali e spaziali, a un’e-poca in cui stava perfezionandosi la professionalizzazione della disciplina: i valoriumanistici contribuirono a gettare le basi per l’affermazione di quell’ars histo-rica alle origini del lungo percorso che avrebbe condotto alla definizione dellostatuto teorico e professionale della storia, un’istanza, come si è visto, parti-colarmente sentita soprattutto dalla rivista «American Historical Review».

Ma è soprattutto a partire dall’emigrazione negli Stati Uniti di grandi sto-rici tedeschi, come Hans Baron e Oskar Kristeller, che il tema dell’Umanesimoitaliano, in particolare fiorentino, entra prepotentemente nella cultura ameri-

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cana (63). Dalla Germania viene trasferita negli Stati Uniti un’idea, un modelloculturale e storico che, grazie soprattutto all’influenza di Burckhardt, si èimposto come Bildung nella formazione degli intellettuali (64): l’idea cioè chel’avvento della modernità fosse inscindibilmente legato al Rinascimento italiano.Nella matrice tedesca Burgerhumanismus è la sintesi tra l’Umanesimo petrar-chesco e la tradizione guelfa di resistenza patriottica fiorentina alla domina-zione imperiale (65). Hans Baron già nel 1925 ha introdotto i termini di civichumanism e classical republicanism come una sorta di endiadi che attraverseràtutti i suoi studi successivi. Nel 1933 lascia la Germania, studia prima in Italiapoi in Inghilterra, quindi arriva nel 1938 negli Stati Uniti e insegna a Chicago.Un anno dopo sul «Journal of Modern History» è pubblicato il primo studiodi Felix Gilbert, un altro emigrato, su Machiavelli: per Gilbert il linguaggiodel civic humanism fu anche uno strumento di potere delle élites che lo arti-colarono come gruppo nei giardini Rucellai della Firenze di Machiavelli. Nel1955 Baron pubblica The Crisis of the Early Italian Renaissance: Civic Humanismand Republican Liberty in an Age of Classicism and Tyranny. Il volume vedela luce a poca distanza dalla pubblicazione delle due opere di Eugenio Garin,L’Umanesimo italiano e Medioevo e Rinascimento. Baron sostiene che Firenzeingaggiò una vera e propria “lotta per la libertà” contro il ducato di Milano:fu il baluardo difensivo della libertà repubblicana contro l’espansionismomonarchico visconteo. I cittadini adottarono i valori espressi dal loro cancel-liere, Leonardo Bruni, e ne furono consapevoli. La classe dirigente e gli uma-nisti ad essa legati si identificarono con gli uomini che avevano governato leantiche repubbliche di Atene e Roma, soprattutto con Cicerone, politico, ora-tore e filosofo. Ma Baron si spinge oltre. Egli sostiene che l’avvento dell’u-manesimo civile è uno spartiacque tra Medioevo e Modernità: segna la vitto-ria dell’economia secolarizzata, degli ideali sociali e politici contro l’ascetismo,l’oscurantismo religioso, il principio gerarchico medievale. E prefigura l’avventodella società borghese (66). Tre anni prima dell’uscita di The Crisis of the Earl

(63) Sul tema cfr. A. MOLHO, The Italian Renaissance, Made in USA, in A. MOLHO - G. S.WOOD (eds.), Imagined Histories: American Historians Interpret the Past, Princeton, PrincetonUniversity Press, 1998, pp. 270-272 in particolare.

(64) M. A. RUEHL, The Making of Modernity: the Italian Renaissance in the German HistoricalImagination (1860-1930), Princeton, Princeton University Press, 2010.

(65) A. BROWN, Hans Baron’s Renaissance, in «Historical Journal», 33 (1990), pp. 441-448.(66) Su Baron si vedano pure: W. K. FERGUSON, The Interpretation of Italian Humanism:

the Contribution of Hans Baron, in «Journal of History of Ideas», 19 (1958), pp. 14-25; A. MOLHO

- J. A. TEDESCHI (eds.), Renaissance Studies in Honor of Hans Baron, Dekalb, Northern Illinois

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Italian Renaissance, Baron ha pubblicato in «The American Historical Review»un articolo dal titolo assai significativo e programmatico, A Struggle for Libertyin the Renaissance: Florence, Venice and Milan in the Early ‘400. Il contesto èdunque quello delle città-Stato dell’Italia settentrionale, le repubbliche italianedi Sismondi, il cuore della civiltà del Rinascimento di Burckhardt.

A partire dal 1955 inizia quella che è stata chiamata l’età del successo delRinascimento italiano “made in USA” (67). Successo vuol dire popolarità e dif-fusione di libri e articoli dedicati al tema, ulteriore perfezionamento del para-digma, formazione di una scuola con maestri e allievi. Più generazioni incon-trano la grande stagione della cultura e della politica italiane, che torna utileanche per stabilire nessi tra la natura dell’Umanesimo e l’ideologia della supe-riorità della civiltà occidentale: il repubblicanesimo fiorentino prefigura larivoluzione americana, il civic humanism l’individualismo liberale (68).

Gli anni Sessanta si aprono ancora con un articolo di Hans Baron su TheSocial Background of Political Liberty in Early Italian Renaissance (69) e con unaltro di Eric Cochrane sugli studi machiavelliani pubblicati tra il 1940 e il1960 (70). Ma, soprattutto, a rilanciare l’interesse della storiografia americana perl’Umanesimo e il Rinascimento fiorentini sono i due volumi di G. Brucker,Florentine Politics and Society (1343-1378) (71) e di L. Martines su The SocialWorld of the Florentine Humanists (72). Gilbert pubblica la sua opera più impor-tante su Machiavelli e Guicciardini (73), approfondendo il rapporto tra pensieropolitico e storiografia a Firenze, e N. Rubinstein analizza il governo di Firenzesotto i Medici (74). A questi anni risale anche, grazie in particolare alle operedi Bouwsma e Lane, l’attenzione per la storia veneziana. Nel 1968 è pubblicatadi W. Bouwsma, Venice and the Defense of Republican Liberty. Renaissance

University Press, 1971; D. R. KELLEY, Renaissance Humanism, Boston, Twayne Publishers, 1991;R. FUBINI, Renaissance Historian: the Career of Hans Baron, in «Journal of Modern History»,64 (1992), pp. 541-574; R. WITT - J. M. NAJEMY - C. KALLENDORF - W. GUNDERSHEIMER, AHRForum: Hans Baron’s Renaissance Humanism, in «The American Historical Review», 101 (1996),pp. 107-144.

(67) A. MOLHO, The Italian Renaissance, Made in USA, cit.(68) A. BROWN, Hans Baron’s Renaissance, cit.(69) In «Comparative Studies in Society and History», 1960.(70) E. COCHRANE, Machiavelli 1940-1960, in «Journal of Modern History», 1960.(71) Princeton, Princeton University Press, 1962.(72) Princeton, Princeton University Press, 1963.(73) Machiavelli and Guicciardini. Politics and History in the Sixteenth-Century Florence,

Princeton, Princeton University Press, 1965.(74) The Government of Florence under the Medici (1434 to 1494), Oxford, Clarendon Press,

1966.

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Values in the Age of Counter Reformation (75). Già qualche anno prima lo stessoautore aveva scritto un articolo su Three Types of Historiography in Post-Renaissance Italy (76), a conferma del fatto che questi storici cercano di utiliz-zare più spazi editoriali – e le riviste in particolare come sede di discussione –per catalizzare l’attenzione della storiografia sui temi rinascimentali. Per Bouwsma,Venezia fonde, compendia gli ideali dell’antica polis greca, di Roma repubbli-cana, delle città-Stato rinascimentali: sarà un modello per Cromwell e per le duerivoluzioni atlantiche. Anche per Bouwsma, come per Baron, il repubblicane-simo è un modello politico educativo: quello veneziano eredita, in qualchemodo, il civic humanism fiorentino. Le simpatie dello storico americano per larepubblica veneta sono accentuate dal fatto che il nemico numero uno di Veneziaè lo Stato della Chiesa. L’ammirazione di Bouwsma è indirizzata soprattutto versola visione dinamica della politica, che caratterizza la storia veneziana, la salva-guardia della concordia socio-politica, la continuità politico-costituzionale.

In pochi anni sono costruiti mito e contromito di Venezia: il mito si fondasull’impianto costituzionale della repubblica, sulla forma di governo – la triadeSenato, Maggior Consiglio, Doge – sul modello non piramidale ma simme-trico; il contromito, elaborato da Muir, Gilbert e Finlay, parte dalle trasfor-mazioni dopo la guerra di Cambrai, la concentrazione dei poteri, soprattuttola corruzione del sistema politico e la struttura gerontocratica. E all’ulterioreapprofondimento del contromito contribuisce l’opera di Lane sulla politica inter-nazionale di Venezia (77), il problema turco, le critiche al principio del XVIsecolo e la perdita del primato nel Mediterraneo. Analizzando economia e com-merci, Lane ricostruisce il percorso veneziano dalla centralità alla perdita delprimato nell’Adriatico tra Stati moderni e imperi.

All’osservatore che incroci la produzione libraria e gli articoli apparsisulle riviste, gli anni Settanta appaiono non solo come il naturale svolgimentodi temi e problemi di storia del Rinascimento italiano affrontati nel decennioprecedente, ma anche come un loro considerevole arricchimento che, in qual-che caso, produce anche un mutamento di indirizzi e orientamenti. Così seBouwsma nel 1973 approfondisce il contributo di Venezia alla paideia euro-pea e Lane porta l’attenzione sulla repubblica marittima veneta (78), Sergio

(75) Berkeley & Los Angeles, University of California Press, 1968.(76) In «History and Theory», 1964.(77) F. LANE, Venice. A Maritime Republic, Baltimore & London, The Johns Hopkins

University Press, 1973.(78) W. BOUWSMA, Venice and Political Education of Europe, London, Faber & Faber, 1973.

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Bertelli riprende il tema delle riforme costituzionali nella Firenze rinascimen-tale (79). R. Goldthwaite studia il palazzo fiorentino come modello di archi-tettura domestica (80) ed E. Muir analizza Art and Pageantry in RenaissanceVenice (81). M. Phillips riprende il tema della storiografia di Machiavelli eGuicciardini, ma dal punto di vista degli usi della lingua (82), M. M. Bullardinaugura il nuovo interesse per le strategie matrimoniali e familiari a Firenzee R. Finlay introduce il concetto di gerontocracy per rappresentare il sistemapolitico veneziano (83). Il decennio si conclude col saggio di Bouwsma su TheRenaissance and the Drama of Western History (84).

Gli anni Ottanta e Novanta possono essere letti in quattro direzioni. Laprima è rappresentata dai lavori di Pocock e Skinner sul modello repubbli-cano e sulla sua diffusione nel pensiero politico europeo: è il «Machiavellianmoment» rivisitato (85). La seconda può essere identificata nell’ulteriore svol-gimento delle ricerche di Brucker, che si sofferma sul confronto tra Veneziae Firenze (86), e di L. Martines (87). La terza direzione è una più esplicita aper-tura verso le scienze sociali con gli studi di R. Trexler su Public Life inRenaissance Florence (88), E. Muir su Civic Ritual in Renaissance Venice (89),T. Kuehn su Law, Family and Women: Toward a Legal Anthropology ofRenaissance Italy (90). La quarta linea è la rivisitazione critica della tradizionedel civic humanism e del mito veneziano ad opera soprattutto di J. M. Najemye J. S. Grubb. Najemy in particolare, prima nel suo studio su Corporatism and

(79) S. BERTELLI, Constitutional Reforms in Renaissance Florence, in «Journal of Medievaland Renaissance Studies», 1973.

(80) R. A. GOLDTHWAITE, The Florentine Palace as Domestic Architecture, in «The AmericanHistorical Review», 1972.

(81) Ivi, 1979.(82) M. PHILLIPS, Machiavelli, Guicciardini and the Tradition of Venacular in Florence, ivi,

1979.(83) R. FINLAY, The Venetian Republic as a Gerontocracy. Age and Politics in the Renaissance,

in «Journal of Medieval and Renaissance Studies», 1978.(84) In «The American Historical Review», 1979.(85) J. G. A. POCOCK, The Machiavellian Moment Revisited: A Study in History and Ideology,

in «Journal of Modern History», 1981.(86) G. BRUCKER, Tales of Two Cities: Florence and Venice in the Renaissance, in «The

American Historical Review», 1983.(87) L. MARTINES, Forced Loans: Political and Social Strain in Quattrocento Florence, in «Journal

of Modern History», 1988.(88) New York, Academic Press, 1980.(89) Princeton, Princeton University Press, 1981.(90) Chicago, The University of Chicago Press, 1991.

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Consensus in Florentine Electoral Politics (1280-1400) (91), poi nel recenteCivic Humanism and Florentine Politics (92), sostiene che il mito o l’ideologiacivica contribuirono a rafforzare gli interessi politici della classe dirigente fio-rentina tra il 1382 e il 1434 e furono funzionali alla legittimazione del patri-ziato.

Anche attraverso rassegne e studi critici recenti si comprende agevol-mente come si sia chiuso un ciclo importante della storiografia americana chesi è, in certo senso, specchiata nella straordinaria stagione dell’Umanesimo ita-liano, soprattutto fiorentino e veneziano, attraverso il mito del civic humanism,anticipatore della democrazia occidentale, ma che è riuscita anche ad appli-care orientamenti e indirizzi di studio diversi – dalla prospettiva politico-diplomatica alla storia culturale al rapporto tra storia e scienze sociali – all’a-nalisi di un momento costitutivo, tutto italiano, della modernità.

4. Il dibattito internazionale sulle forme della società d’antico regime e sullo Stato moderno: presenze e assenze dell’Italia

Gli anni Cinquanta costituiscono una congiuntura in cui la proiezione dellastoriografia italiana a livello internazionale è straordinaria, nel doppio signifi-cato di assai rilevante, ma anche di eccezionale, ossia inedita rispetto al pas-sato e irripetibile rispetto al futuro. Il maggior artefice di questa proiezione èFederico Chabod. Basti pensare ad alcuni eventi assai significativi (93): l’ele-zione a presidente del Comitato Internazionale delle Scienze Storiche dopo ildecimo congresso, organizzato proprio da Chabod a Roma nel 1955; la lau-rea honoris causa conferitagli dalle Università di Oxford e di Granada; la tra-duzione Machiavelli and the Renaissance, con introduzione di AlessandroPasserin d’Entrèves nel 1958, recensita da Butterfield in «The HistoricalJournal» un anno dopo (94). «Grazie a Chabod – ha scritto Galasso – la sto-riografia italiana ebbe un momento di grande prestigio internazionale dopo letraversie della guerra, che sembravano averne compromesso i rapporti soprat-

(91) Chapel Hill, University of North Carolina Press, 1982.(92) In Renaissance Civic Humanism: Reappraisals and Reflections, ed. by J. Hankins,

Cambridge, Cambridge University Press, 2000, pp. 75-104.(93) Per le notizie che seguono G. GALASSO, Storici italiani del Novecento, Bologna, il

Mulino, 2008, p. 105.(94) H. BUTTERFIELD, Professor Chabod and the Machiavelli Controversies, in «Historical

Journal», 2 (1959).

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tutto con altri paesi usciti dal medesimo travaglio bellico. Questi rapportifurono poi da lui intensamente coltivati anche attraverso la direzione siadell’Istituto di Studi Storici napoletano che della «Rivista Storica Italiana» (95).Ed è ancora Chabod a rappresentare la storiografia italiana nel dibattito inter-nazionale, partito proprio dal decimo congresso delle scienze storiche nel1955, sulle forme dello Stato e della società d’antico regime, che vede prota-gonisti Hartung, Mousnier, Skaskin (96). Tre anni dopo, nel 1958, la pubbli-cazione degli Actes du Colloque sur la Renaissance presenta in primo piano ilcontributo di Chabod su Y a-t-il un Etat de la Renaissance?: modello e perio-dizzazione dei nuovi processi politico-istituzionali sono al centro di questo con-tributo. Gli Stati italiani del XV secolo, gli Stati francese, spagnolo, inglesedel XVI secolo sono già principati o monarchie assolute. Nel XVI secolo,afferma Chabod, si realizza qualcosa di differente dall’assolutismo dottrinaledel Medioevo, la nuova organizzazione strutturale interna allo Stato. Un nuovorapporto si viene a stabilire tra il sovrano, titolare del potere, e gli officiers,corpi di pubblici funzionari che esercitano il potere delegato; le relazioni inter-nazionali si trasformano grazie all’organizzazione di una diplomazia permanente,si formano eserciti di mestiere. I due poli dello Stato si concentrano nel poteredel sovrano e nella gerarchia degli officiers. La formula Stato del Rinascimentonon annulla certo le diversità delle formazioni storiche europee e le differenzecronologiche tra Stato e Stato nello sviluppo del processo di riorganizzazionestrutturale. Ma essa mette in luce alcuni tratti essenziali e comuni dell’asso-lutismo europeo: il distacco della sovranità dalle vecchie basi popolari e ter-ritoriali del Comune, una crescente invadenza del nuovo potere centrale nellavita civile attraverso il fisco e il diritto, un’accentuata stratificazione gerarchicadella società in base a valori tradizionali, la molteplicità delle giurisdizioni, imutamenti della forma della politica rispetto a quella medievale.

Solo in minima parte la prospettiva suggerita da Chabod è seguita nellastoriografia italiana dei decenni successivi. A partire dagli anni Sessanta essainizia a risentire delle influenze delle «Annales», del modello di una storia eco-nomico-sociale opposto a quello della storia politico-istituzionale, e, soprat-tutto con gli anni Settanta, segue con crescente interesse sia il rapporto trastoria e scienze sociali, sia l’apertura, di orientamento «Annales», a nuovimetodi e oggetti di indagine.

(95) G. GALASSO, Storici italiani del Novecento, cit., p. 106.(96) Cfr. A. MUSI, La storiografia politico-amministrativa sull’età moderna: tendenze e metodi

degli ultimi trent’anni, cit., pp. 13-15.

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Gli articoli di storia italiana moderna, che appaiono sulla «RevueHistorique» tra anni Sessanta e Ottanta del secolo scorso, hanno un certo col-legamento sia con gli studi e il dibattito internazionale sulle nuove formeorganizzative dello Stato sia con le ricerche sulla storia economica e le dina-miche sociali, che investono soprattutto aristocrazia feudale e patriziati urbanitra XVI e XVII secolo, ricerche al centro della modernistica italiana di que-sti anni. Ma mentre il primo collegamento appare marginale nelle pagine dellarivista, il secondo è prevalente e risente notevolmente, sia per gli oggetti diindagine, sia per gli approcci prescelti, degli influssi delle «Annales». Così unarivista come la «Revue Historique», sensibile per tradizione alla prospettivadella storia politico-istituzionale e del potere, anche nella trattazione dei temidi storia italiana moderna prende le distanze sia dal suo dna originario sia dallamission che l’aveva caratterizzata per svariati decenni.

Gli articoli sull’Italia moderna, apparsi nella rivista, possono essere accor-pati e organizzati in tre livelli. Il primo è più propriamente quello riferibilealla storia politico-istituzionale. Il secondo e il terzo sono identificabili con lastoria economica e la storia sociale. Ben due dei tre livelli, come si vedrà,mostrano evidenti collegamenti col modello «Annales».

Del tutto marginale è il profilo politico-istituzionale, totalmente risolto nel-l’articolo di Jean Delumeau sul progresso della centralizzazione nello Stato pon-tificio durante il XVI secolo, pubblicato nel 1961 (97). Delumeau confuta lavisione tradizionale che vede nel regno del Papa istituzioni arretrate rispettoa quelle contemporanee e svela inediti aspetti della funzionalità e dell’orga-nizzazione di un regno, consuetamente considerato ai margini del processo dicostituzione e rafforzamento dello Stato moderno. L’autore anticipa, in certosenso, la più matura prospettiva di Paolo Prodi, espressa nel libro sul SovranoPontefice, e tesa a vedere nel corpo e nelle due anime della struttura politicapapale il prototipo dello Stato moderno.

Al profilo della storia economica appartengono i saggi di Marinesco suLes affaires commerciales en Flandres d’Alphonse V d’Aragon roi de Naples (1416-1458) (98), di Alberto Tenenti su Valeurs assurées et valeurs réelles à Ragusevers la fin du XVIe siècle (99), di Salvatore Ciriacono su Venise et ses villes.

(97) J. DELUMEAU, Le progrès de la centralisation dans l’Etat Pontifical au XVIe siècle, in«Revue Historique», 1961.

(98) Ivi, 1959.(99) Ivi, 1977.

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Structuration et déstructuration d’un marché regional (XVIe-XVIIIe siècles) (100)e Venise et la Hollande, pays de l’eau (XVe-XVIIIe siècles) (101).

Il saggio di Marinesco, fondato su documenti in gran parte inediti degliarchivi spagnoli, indaga le relazioni commerciali tra Napoli, la Catalogna e leFiandre all’epoca di Alfonso il Magnanimo e Filippo il Bello. Il sovrano napo-letano persegue l’obiettivo del monopolio dei trasporti marittimi da e versol’Inghilterra, i porti spagnoli e le Fiandre. Impone per i traffici con tali paesil’utilizzo delle due navi appartenenti alla Corte e vieta alle navi nazionali diinviare merci verso le suddette destinazioni prima della partenza dei battellireali. L’autore descrive la rotta seguita dai traffici reali napoletani tra il 1416e il 1458, gli scambi con la Spagna, i costumi dell’epoca, la cultura mediter-ranea aragonese, lo sfarzo della Corte. Così, a partire dagli aspetti commer-ciali, Marinesco può gettare luce anche sulla vita artistica dei territori soggettiad Alfonso d’Aragona. Il modello della biografia, largamente seguito nella tra-dizione della «Revue Historique», e nell’articolo di Marinesco applicato adAlfonso il Magnanimo, Isabella di Portogallo e Filippo di Borgogna, è soloun punto di partenza per segnalare la trasformazione che si è prodotta rispettoai tradizionali atteggiamenti monarchici: un più ampio esercizio del potere cheinveste anche la politica economica, l’attività produttiva e commerciale.

Anche se non riferito alla storia italiana, l’articolo di Alberto Tenenti del1977 viene qui ricordato come esempio di un’influenza diretta del modello«Annales» sulla «Revue Historique». Il saggio analizza le caratteristiche dellepolizze assicurative scelte dai commercianti-navigatori a Ragusa nel XVI secolo.Esaminando l’unico registro sopravvissuto da una serie fiorentina di arbitraggiin materia di assicurazioni marittime, l’autore cerca di stabilire il rapporto travalore reale e valore assicurato delle merci. Ricostruisce il personale delleimbarcazioni, le ragioni psicologiche o di ordine commerciale-speculativo dellescelte compiute dagli assicurati. Attento agli aspetti psicologici ed etnici deifenomeni storici secondo l’orientamento delle «Annales», Tenenti confronta itipi di polizze scelte dai mercanti cristiani con quelle dei mercanti ebrei. Isecondi sono pervenuti più tardi dei primi all’adozione di un sistema di coper-tura del rischio e sono disposti ad assicurare le proprie mercanzie solo entroun ridotto limite percentuale del valore reale di queste ultime.

I due saggi di Salvatore Ciriacono si riferiscono all’area veneziana. Ilprimo affronta questioni di storia economico-sociale, ma in una prospettiva

(100) Ivi, 1986.(101) Ivi, 1991.

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assai più ampia di tipo istituzionale, politico, giuridico. Emerge un partico-lare modello di rapporto tra città dominante e città soggette, fondato non sullacentralizzazione assoluta, per così dire, ma sul rispetto dell’autonomia delleélites locali, rappresentate dai consigli delle diverse città. Anche se Veneziamantiene il proprio ruolo di porto centrale per l’import-export e la funzionecommerciale monopolistica, è comunque insidiata dalla capacità produttiva dellecittà della “Lombardia veneziana”. Tra la fine del Cinquecento e il primoSeicento, gli equilibri economici si ridefiniscono e l’attività produttiva si spo-sta verso le campagne e le città della terraferma, dove la presenza di una mano-dopera a basso costo e libera dai vincoli corporativi favorisce lo sviluppo dellaprotoindustria. Venezia, città terziaria e finanziaria, si avvia a decadenza a fineSeicento. La nuova realtà emergente avrebbe richiesto una complessa riela-borazione politico-amministrativa, di cui le oligarchie cittadine della capitalenon sanno o non vogliono rendersi promotrici. Reti viarie precarie, divisionie frontiere, chiusura del governo di fronte alla spinta progressiva esercitatadai più dinamici centri minori, limiti fiscali alle esportazioni provocano nelXVIII secolo una forte attrazione delle città verso la più dinamica Lombardia.In una posizione eccentrica anche rispetto alle maggiori città dell’Italia set-tentrionale, Venezia non riesce, come invece avviene in Piemonte, ad eserci-tare una radicale influenza sulle diverse città del suo Stato, dominate, ma nonrealmente integrate e assorbite.

Due “civiltà dell’acqua”, dotate di medesime forme politiche: Ciriacono,nell’articolo successivo, stabilisce un confronto tra Venezia e l’Olanda dal XVal XVIII secolo. La promozione della tolleranza; un patriziato dinamico, chedeve la sua fortuna originaria al commercio; una solida agricoltura; un poten-ziale marittimo e coloniale di tutto rispetto; lo sviluppo di tecniche e di scienzeingegneristiche; un’oligarchia urbana aperta verso l’esterno: sono alcuni fat-tori comuni alle due civiltà.

Il saggio di Maurice Aymard su una famiglia dell’aristocrazia siciliana traXVI e XVII secolo riprende (102), attraverso un’originale ricerca documenta-ria, i termini del dibattito sullo sviluppo economico del Cinquecento, la crisigenerale del Seicento, la loro influenza sulle dinamiche dell’aristocrazia. E siavvertono pure gli echi della polemica su rifeudalizzazione o nuovo equilibriofeudale nel Mezzogiorno (103).

(102) M. AYMARD, Une famille de l’aristocratie sicilienne aux XVIe et XVIIe siècles, in «RevueHistorique», 1972.

(103) Mi riferisco alla discussione fra Rosario Villari, che aveva parlato di “rifeudalizzazione”nel Regno di Napoli nella prima metà del Seicento e Giuseppe Galasso che, criticando il con-

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Aymard analizza il patrimonio dei duchi di Terranova. Complessa è la suacomposizione. Al primo posto sono i possessi feudali. Quindi tre gruppi direndite: quelle derivanti da uffici pubblici e cariche ufficiali, quelle derivantida franchigie e privilegi commerciali diversi, quelle derivanti da benefici com-merciali. I beni feudali del patrimonio fondiario sono costituiti da: gabelle odiritti indiretti sui consumi, sul commercio, la produzione e l’amministrazione;censi su terre a enfiteusi; terre a coltura e a pascolo per grandi insiemi feu-dali o dati a terraggio a borgesi in dimensioni variabili; diritti o tasse feudali,che esercitano un peso marginale. Quanto alla gestione, secondo Aymard ilproblema dell’assenteismo signorile è un problema mal posto in generale e maleinterpretato come un segno di mancanza di interesse. Alcune baronie deiduchi sono affidate a uomini d’affari stranieri. Borsetto e Belice a GregorioLomellino tra il 1573 e il 1575 e a Giovan Battista Giustiniano tra il 1576 eil 1581. Ma fino al 1590 Terranova e Castelvetrano sono amministrate dai rap-presentanti del duca, i secreti. Quest’ufficio costituisce un buon campo di atti-vità per i “mercanti di campagna”, membri di un’aristocrazia municipale cheottiene o rinforza il suo monopolio dell’amministrazione comunale: gli elementipiù ricchi di questo ceto accederanno al baronaggio. Maurice Aymard nel sag-gio sui duchi di Terranova tra XVI e XVII secolo parla di un “ricambio radi-cale” dell’aristocrazia siciliana: tra i “nuovi venuti” che sconvolgono il quadrotradizionale sono mercanti-banchieri genovesi e pisani. Ricerche recenti hannoridimensionato il valore di questa tesi per la Sicilia. Anche per il Mezzogiornocontinentale d’Italia non si può parlare di un ricambio radicale dell’aristocra-zia feudale durante l’età spagnola. Si può parlare piuttosto di un equilibrio,di una coesistenza tra vecchio e nuovo nella geografia e nella dinamica feu-dale. Come ha dimostrato Galasso, l’ossatura della feudalità calabrese restasostanzialmente immutata nel corso del Cinquecento.

Gerard Labrot tra il 1977 e il 1990 pubblica ben quattro saggi di storiaitaliana sulla «Revue Historique» (104). Il filo rosso che li unisce è il rapporto

cetto perché presupponente un processo di “defeudalizzazione”, proponeva l’espressione “nuovoequilibrio feudale”: R. VILLARI, La rivolta antispagnola a Napoli. Le origini (1585-1647), Roma-Bari, Laterza, 1967, G. GALASSO, Economia e società nella Calabria del Cinquecento, Napoli, L’artetipografica, 1967.

(104)Le comportement collectif de l’aristocratie napolitaine (XVIe-XVIIIe siècles), in «RevueHistorique», 1977; G. LABROT, R. RUOTOLO, Pour une étude historique de la commande aristo-cratique dans le royaume de Naples espagnol, ivi, 1980; Images, tableaux et statuaires dans lestestaments napolitains (XVIe-XVIIIe siècles), ivi, 1982; Hantise généalogique, jeux d’alliance,souci estétique de l’aristocratie napolitaine, ivi, 1990.

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tra fatti sociali e strutture mentali. Attraverso i contributi di Labrot la storiadi Napoli nell’età moderna marca una significativa presenza nelle pagine dellarivista. La prospettiva della storia regionale e sociale dell’autore si sviluppasecondo un percorso originale: l’attenzione all’organizzazione dello spazio, allaforma urbis ricostruita sulla base delle tracce di edifici, manufatti profani ereligiosi, del patrimonio artistico conservato presso chiese e cappelle. Si deli-neano così anche il comportamento collettivo dell’aristocrazia napoletana dalXVI al XVIII secolo, i caratteri assunti dall’investimento aristocratico, il feno-meno dei “baroni in città”, l’emigrazione cioè del baronaggio dalla campagnaverso la Capitale, dovuta sia all’effetto-Corte e alle politiche della Corona spa-gnola, tendenti ad un più efficace controllo dell’aristocrazia, sia alle esigenzedi fasto, di status symbol, di legittimazione del potere, sviluppate dalla stessaaristocrazia. Ma, secondo Labrot, fu la campagna a invadere la città. L’autore,in un altro saggio, utilizza la fonte testamentaria per chiarire la fisionomia assuntadal rapporto tra società e arti plastiche nella Napoli tra Cinque e Settecento.Nell’ultimo articolo Labrot studia il valore strumentale del ritratto presso lanobiltà napoletana fino al Settecento.

Con la nascita e l’accresciuta influenza della rivista «Past and Present» ipiù importanti dibattiti internazionali fanno il loro ingresso nella storiografiainglese, che pone al centro della sua riflessione le trasformazioni della societàeuropea durante l’età moderna: la crisi generale del Seicento e il declino dellaSpagna come grande potenza mondiale, il rapporto fra agricoltura e forme pro-toindustriali, rivolte e rivoluzione, in particolare, sono oggetto di indagini edi messe a punto, sempre più orientate a considerare privilegiato il rapportotra storia e scienze sociali. Basti pensare agli articoli di Starn Historians and“Crisis” (105), di Kamen, The Decline of Spain: a Historical Myth? (106), cheriprende le critiche di Vives e di Elliott ai risultati degli studi di Hamilton ediscute il mito negativo della leyenda negra antispagnola. Tra la fine degli anniSettanta e il principio degli Ottanta del Novecento la rivista riesce a promuovereun’intensa discussione a partire dalla pubblicazione del saggio di RobertBrenner, Agrarian Class Structure and Economic Development in Pre-industrialEurope (107): al centro è ancora l’intreccio fra transizione dal feudalesimo alcapitalismo, crisi del Seicento e avvio del processo di industrializzazione.

(105) R. STARN, Historians and “Crisis”, in «Past and Present», 521 (1971).(106) H. KAMEN, The Decline of Spain: a Historical Myth?, ivi, 81 (1978).(107) Cfr. T. H. ASTON – C. H. E. PHILPIN, Il dibattito Brenner. Agricoltura e sviluppo eco-

nomico nell’Europa preindustriale, Torino, Einaudi, 1989.

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Visione marxista, quella di Brenner fondata sui rapporti di classe, e visioneneomalthusiana, quella di Postan e Le Roy Ladurie (108), si scontrano, dimo-strando la vivacità di «Past and Present» e la capacità della rivista di orien-tare il dibattito storiografico internazionale.

Il rilievo della problematica economica e delle trasformazioni che si pro-ducono nella prima età moderna è anche presente negli scritti di storia ita-liana pubblicati sulla rivista. L’articolo di R. A. Goldthwaite sul banco Medicie il mondo del capitalismo fiorentino (109) analizza, sulla base di una enormequantità di documenti, in prevalenza corrispondenza commerciale, sia il metodoper la tenuta di registri e libri di conto, sia le regole per un’accurata ed effi-ciente gestione aziendale. L’autore studia l’evoluzione della banca fino al suocrollo dovuto al carattere frammentario della struttura aziendale, al sistema eco-nomico ristretto entro cui operava, alla mancata formazione di imprese a carat-tere “corporato”. Alle corporazioni e alle loro controversie a Bologna nelSettecento è dedicato un saggio di Carlo Poni (110). R. C. Davis studia i can-tieri navali di Venezia (111) che, nel Quattrocento, costituiscono un fiorenteesempio protoindustriale: essi si estendono per più di sessanta acri, impieganooltre 2.500 operai, rappresentano circa il 10% del bilancio annuale dellaRepubblica. Davis approfondisce il problema dell’approvvigionamento delvino per i dipendenti dell’Arsenale attraverso la costruzione di una fontanadirettamente collegata con le cantine.

Questi articoli sono collocabili nell’orizzonte della straordinaria fortunaincontrata nella storiografia inglese dai temi di storia fiorentina e veneziana.«Past and Present», più sensibile alle problematiche economico-sociali, iden-tifica nelle due principali città italiane, Firenze e Venezia, il cuore delle tra-sformazioni che si producono al principio dell’età moderna: Firenze diventacosì la culla del capitalismo finanziario; Venezia il prototipo dell’“industria primadell’industria” attraverso lo sviluppo del suo Arsenale. E’ dall’Italia delle cittàche viene il contributo allo sviluppo e alla modernità della civiltà europea, siaa livello politico-culturale sia a livello economico. L’immagine e il modello, dun-

(108) E. LE ROY LADURIE, A Reply to Professor Brenner, in «Past and Present», 79 (1978),pp. 55-59.

(109) R. A. GOLDTHWAITE, The Medici Bank and the World of Florentine Capitalism, ivi, 114(1987).

(110) C. PONI, Norms and Disputes: the Shoemakers’ Guild in Eighteenth-Century Bologna,ivi, 123 (1989).

(111) R. C. DAVIS, Venetian Shipbuilders and the Fountain of Wine, ivi, 156 (1997).

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que, non si discostano da quelli costruiti nella straordinaria stagione della sto-riografia angloamericana su Umanesimo e Rinascimento.

Ma lo spettro tematico degli scritti di storia italiana in «Past and Present»è alquanto più ampio. Sono pubblicati articoli sul declino della nobiltà militareprovinciale a Siena (112), che rispecchia l’interesse della ricerca italiana su ari-stocrazie e patriziati, sulla funzione della Corte (113), su eretici ed ebrei (114), sul-l’organizzazione fiscale dello Stato pontificio (115), sulla rivolta di Masaniello (116).

Il tema dello Stato è affrontato in una prospettiva abbastanza distante dallatradizione chabodiana e secondo un orientamento microstorico, come dimo-stra il saggio di Angelo Torre su Stato, Chiesa e potere locale in Piemonte (117).Come nella «Revue Historique» anche in «Past and Present», soprattutto apartire dagli anni Ottanta del secolo scorso, la storia politico-istituzionale ita-liana è marginale.

5. Dalla “decadenza” alla scoperta dell’Italia spagnola

L’opera di Simonde de Sismondi, Storia delle Repubbliche italiane, vienetradotta in inglese nel 1832. Insieme con Burckhardt, Sismondi contribuiscea diffondere in area angloamericana l’immagine negativa dell’impero spagnolo,del suo governo nei paesi da esso dipendenti: l’Italia, in particolare, con la

(112) G. HANLON, The Decline of a Provincial Military Aristocracy: Siena 1560-1740, in «Pastand Present», 155 (1997).

(113) H. G. KOENIGSBERGER, Republics and Courts in Italian and European Culture in theSixteenth and Seventeenth Centuries, ivi, 83 (1979).

(114) J. N. STEPHENS, Heresy in Medieval and Renaissance Florence, ivi, 54 (1972); D. O.HUGHES, Distinguishing Signs: Ear-rings, Jews and Franciscan Rhetoric in the Italian RenaissanceCity, ivi, 112 (1986).

(115) P. PARTNER, Papal Financial Policy in the Renaissance and Counter-Reformation, ivi, 88(1980).

(116) P. BURKE, The Virgin of the Carmine and the Revolt of Masaniello, ivi, 99 (1983); R.VILLARI, Masaniello: Contemporary and Recent Interpretations, ivi, 108 (1985); P. BURKE, Masaniello:a Response, ivi, 114 (1987). Burke contesta il paradigma della “furia cieca” e analizza la cul-tura della folla, i significati attribuiti ai loro gesti dai rivoltosi. I moti si presentano, allora, perBurke, come una genuina azione collettiva dotata, in ogni suo momento di precisi significatisimbolici e rituali; una sorta di dramma, di “teatro eroico” della massa popolare, il cui signi-ficato storico-politico è quasi completamente annullato nell’assolutizzazione del paradigmaantropologico e nell’assimilazione della rivolta alla liturgia della festa, alle cerimonie del car-nevale. Per un’analisi critica di questa posizione cfr. A. MUSI, La rivolta di Masaniello nella scenapolitica barocca, II ed., Napoli, Guida, 2002, pp. 179-180.

(117) A. TORRE, Politics Cloache in Worship: State, Church and Local Power in Piedmont(1570- 1770), in «Past and Present», 134 (1992).

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dominazione asburgica conclude la sua stagione dell’Umanesimo politico, dellaforza propulsiva proveniente dal mondo cittadino ed entra nel periodo dei secolibui, della “decadenza”, dell’allontanamento dalla parte più avanzata dell’Europa.Per quanto riguarda gli Stati Uniti d’America, la diffusione della Storia diSismondi alimenta il pregiudizio sfavorevole nei confronti degli Stati monar-chici, l’ammirazione per la costituzione dei piccoli Stati, l’autocoscienza dellasuperiorità del modello federalista.

Un altro elemento va tenuto presente per capire meglio i motivi della dif-fusione di una certa immagine dell’Italia spagnola soprattutto in area anglosas-sone. Come si è visto a proposito della «English Historical Review», la scopertadelle relazioni degli agenti e degli ambasciatori veneziani fin dai primi decennidi pubblicazione della rivista contribuisce non poco ad assumere quel tipo didocumentazione come fonte e riferimento privilegiati per la ricostruzione criticae il giudizio negativo sull’Italia spagnola. Nella stessa rivista interesse particolaresuscita un’altra fonte secondaria: le relazioni dei viaggiatori nell’Italia del Seicento,con l’inevitabile corredo di stereotipi riferiti soprattutto ai napoletani.

In realtà è solo fra anni Sessanta e Settanta del secolo scorso che la sto-riografia angloamericana si apre ad una diversa considerazione della monar-chia asburgica e dell’impero spagnolo nel mondo. Proprio nella «EnglishHistorical Review» appaiono gli importanti studi di Henry Kamen, di J. A.A.Thompson su Filippo II, di R. A. Stradling, di Geoffrey Parker sulla strut-tura militare dell’impero e sui rapporti tra Spagna e Paesi Bassi. Nel 1951 erastato pubblicato lo studio di Helmut G. Koenigsberger, The Government ofSicily under Philip II of Spain: a Study in the Practice of Empire, (118) quandol’autore insegnava alla Queen’s University di Belfast: un libro fondato su mano-scritti editi e inediti degli archivi spagnoli e italiani. Ma solo venti anni dopo,la Storia del Regno di Napoli di Benedetto Croce, passaggio cruciale verso unariconsiderazione del governo spagnolo nel Mezzogiorno e, più in generale, inItalia è tradotta in inglese (119): pur nel quadro di critiche radicali, L. Krieger,che introduce la traduzione, è costretto ad ammettere che lo storico e la suaopera si pongono indubbiamente fra i «memorable historical works andauthors» di qualsiasi serie di «classic european historians» (120) del secolo XXa cui si voglia pensare.

(118) Riedita nel 1969 dalla Cornell University e tradotta in italiano da Sellerio, Palermo,nel 1997.

(119) La notizia in G. GALASSO, Postfazione a B. CROCE, Storia del Regno di Napoli, Milano,Adelphi, 1992, p. 559.

(120) Ivi, p. 540.

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Con la vasta produzione di J. H. Elliott, soprattutto con la biografia delconte-duca d’Olivares, le “vite parallele” del valido di Filippo IV e diRichelieu (121), la visione del ruolo della Spagna nel mondo della prima etàmoderna, sia in Europa che fuori d’Europa, acquista connotati completamentediversi rispetto alla tradizione storiografica e riesce a imporsi come uno deitemi cruciali della storia del mondo moderno. Nei primi anni Novanta Elliott,grazie alla pubblicazione di un suo articolo su «Past and Present» (122), desti-nato a larga fortuna, riesce a imporre su scala internazionale un concettointerpretativo che, a partire dalla rappresentazione della struttura dell’imperospagnolo, è possibile applicare anche ad altri Stati europei: quello di CompositeMonarchies. La fortuna di una formula come quella di Composite Monarchies,proposta quasi vent’anni fa da John Elliott, per indicare la struttura di alcuneorganizzazioni politiche europee nella prima età moderna, è legata a fattoridiversi. Il primo può essere identificato nel contesto storico e storiograficoinglese in cui nasce e si sviluppa quella formula. C. Russell e A. J. Gallegohanno rilevato una linea di continuità fra il concetto di Composite States diKoenigsberger, elaborato nel 1975, quello di Multiple Kingdoms (Russell, 1990)e le Composite Monarchies di Elliott del 1992 (123). Si è trattato, secondo idue storici, di un «tema inglese per eccellenza»: il Regno Unito è sorto, infatti,da una pluralità di monarchie giuridicamente distinte e autonome, tenuteinsieme unicamente dalla persona del monarca. Il secondo fattore di fortunasi comprende entro un orizzonte storiografico più ampio che, soprattutto apartire dagli anni Ottanta del secolo scorso, ha costituito il punto di riferi-mento di una koiné, presto diventata vulgata, tendente a mettere in discus-sione il paradigma, considerato obsoleto, quasi fantasmatico, dello Stato modernocome nuova e più efficace forma di organizzazione politica. E’ appena il casodi notare che mentre il termine Stato, sia pure nei suoi caratteri complessi,appare ancora nel concetto di Koenigsberger del 1975, esso scompare neicostrutti successivi, sostituito dai più asettici - e meno associati a una precisae ben connotata tradizione di studi – Regni o Monarchie. Il fatto è che glianni Settanta furono una congiuntura storiografica in cui Stato moderno rap-

(121) J. H. ELLIOTT, The Count-Duke of Olivares. The Statesman in an Age of Decline, NewHaven and London, 1986, trad. it. Roma, 1991; Richelieu and Olivares, Cambridge, 1984.

(122) ID., A Europe of Composite Monarchies, in «Past and Present», 187(1992), pp. 48-71.Ma il primo articolo di Elliott è The decline of Spain, in «Past and Present», 20 (1961), pp.52-75, a cui è seguito alcuni anni dopo Self-Perception and Decline in Early Seventeenth Century,in «Past and Present», 74 (1977), pp. 41-61.

(123) C. RUSSELL - A. J. GALLEGO (eds.), Las Monarquias del Antiguo Régimen. Monarquiascompuestas?, Madrid, Editorial Complutense, 1996, p. 10.

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presentava ancora un riferimento forte e comunemente accettato, sia pure, natu-ralmente, rivisto e arricchito di nuove connotazioni rispetto alla sua accezionetradizionale (124). A metà degli anni Novanta del Novecento, il termine Statoè invece associato, da Russell e Gallego, al «ciclo storico dell’uniformità e dellacentralizzazione, aperto nel 1789»: non solo, secondo i due storici, «per oraesso si chiude», ma addirittura comincia a sparire già trecento anni prima (125).Pertanto Composite Monarchies, al plurale, sta a indicare che il carattere plu-ralistico non è solo prerogativa della Monarchia spagnola, ma della costitu-zione politica, per così dire, di altri paesi europei. Più in generale – ed è ilterzo fattore di successo – la fortuna della formula si spiega anche nel qua-dro di una sensibilità politico-culturale, tipica dell’epoca della globalizzazione,altalenante e pendolare, oscillante di continuo tra la convinzione della crisi,della morte presunta, ma anche di un’improvvisa resurrezione degli Stati-nazione (126): laddove, tuttavia, la percezione della crisi e della morte ha pre-valso e prevale sulle improvvise rinascite e ha fatto pensare e fa pensare allapossibilità di un’integrale sostituzione degli Stati-nazione con strutture di inte-grazione sovrastatuale e sovranazionale, capaci di costituire un’alternativa piùefficace alle forme politiche tradizionali nella governance mondiale.

Tornando all’Italia spagnola, un impulso alla revisione della sua rappre-sentazione storica nei paesi angloamericani è stato dato dalle opere di DomenicoSella sul Seicento milanese e, più in generale, italiano (127), mentre una miglioreconoscenza del Mezzogiorno spagnolo si è avuta sia con la traduzione inglesedella Storia del Regno di Napoli di Croce sia con il dibattito suscitato dallapubblicazione del libro di R. Villari, La rivolta antispagnola a Napoli, sulle paginedi «Past and Present». Nel 1988 la Johns Hopkins University Press (Baltimore)pubblica Pastoral Economics in the Kingdom of Naples di John A. Marino, unostudio sull’evoluzione della Dogana di Foggia nel contesto socio-economicodel Regno ispano-napoletano, che viene presentata come un modello per com-prendere l’idea e la pratica della buona amministrazione nell’antico regime.E’ particolarmente importante osservare come lo studio di Marino veda la lucein una collana che ha largamente contribuito a diffondere nella cultura degli

(124) Per cui cfr. A. MUSI, L’Italia dei viceré. Integrazione e resistenza nel sistema imperialespagnolo, Cava de’ Tirreni, Avagliano, 2000, pp. 207 ss.

(125) C. RUSSELL - A. J. GALLEGO, Las Monarquias, cit., p. 10.(126) Cfr. A. MUSI, Crisi, morte presunta e resurrezione dello Stato-nazione, in «L’Acropoli»,

X (2009), pp. 195-205.(127) D. SELLA, Italy in the Seventeenth Century, London, Addison Wesley Longman, 1997,

trad. it., Roma-Bari, Laterza, 2000.

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States la centralità delle città dell’Umanesimo e l’interesse per la storia italianapressoché totalmente identificato con Firenze e Venezia. Si tratta infatti dellastessa collana che ha pubblicato i volumi di D. Romano, Patricians and Popolani.The Social Foundations of the Venetian Renaissance State, di F. C. Lane, Venice.A Maritime Republic, di R. A. Goldthwaite, The Building of RenaissanceFlorence. An Economic and Social History.

Da alcuni anni, ormai, grazie a un gruppo di storici inglesi e italostatuni-tensi che ha lavorato a lungo in biblioteche, archivi e centri di ricerca della nostraPenisola, la storia dell’Italia spagnola è meglio conosciuta, giudizi e interpreta-zioni sono criticamente aggiornati, il collegamento tra storiografia angloamericanae storiografia italiana è più stretto che in passato. A dimostrarlo sono i lavori diT. A. Astarita (128), A. Calabria (129), ancora J. Marino e T. J. Dandelet (130), G.Guarino (131).

La storia feudale del Mezzogiorno moderno è al centro del libro diAstarita, che studia lo stato dei Caracciolo di Brienza, al confine tra le pro-vince di Principato Citra e Basilicata. Formatosi alla metà del Cinquecento,esso vive una condizione di prosperità fino al primo Seicento. Nel 1620, conl’avvento della crisi finanziaria, i debiti superano l’ammontare del patrimonio.Ma alla fine del Seicento, la messa in atto di alcune strategie consente aiCaracciolo la ripresa.

Calabria ha iscritto nei “costi dell’impero” spagnolo la pressione fiscalesuperiore alla capacità contributiva degli Stati, in particolare quello napole-tano, la rapacità e l’assenza di scrupoli dei funzionari, la dipendenza dal capi-tale privato, soprattutto genovese, il costante deficit di bilancio.

Marino e Dandelet hanno curato un insieme di contributi sulla Spagna inItalia, diviso in quattro parti: la struttura istituzionale entro il sistema impe-riale spagnolo, l’influenza iberica nei singoli Stati italiani, la società, l’ammi-nistrazione e l’economia, la religione e la Chiesa.

Guarino ha studiato riti e cerimoniali della corte vicereale napoletana. I viceré

(128) T. A. ASTARITA, The Continuity of Feudal Power. The Caracciolo di Brienza in SpanishNaples, Cambridge, Cambridge University Press, 1992.

(129) A. CALABRIA, The Cost o f Empire. The Finances of the Kingdom of Naples in the Timeof Spanish Rule, Cambridge and New York, Cambridge University Press, 1991.

(130) T. J. DANDELET - J. A. MARINO (eds.), Spain in Italy. Politics, Society and Religion 1500-1700, Leiden-Boston, Brill, 2007. Di J. A. Marino si veda pure Becoming Neapolitan. CitizenCulture in Baroque Naples, Baltimore, The Johns Hopkins University Press, 2011.

(131) G. GUARINO, Representing the King’s Splendour. Communication and Reception ofSymbolic Forms of Power in Viceregal Naples, Manchester and New York, Manchester UniversityPress, 2010.

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a Napoli siedono in trono solo in due occasioni: durante le sedute del ParlamentoGenerale fino alla sua ultima convocazione nel 1642 e nella processione di SanGennaro (132). In queste due occasioni essi appaiono come alter ego del re. Nellasala di ricevimento del viceré c’è solo lo stemma del re: cioè l’etichetta e il ceri-moniale vicereali, anche nell’età barocca, sono efficaci solo grazie al supportodella legittimazione dinastica. La stessa festa, come è stato sottolineato (133), èpiuttosto il segno della fragilità che della forza del viceré. La tesi, sostenuta daGabriel Guarino, è che l’immagine pubblica del viceré non guadagna beneficidai meccanismi artificiali di rappresentazione, dipende da fonti materiali di legit-timazione. Il cerimoniale spagnolo non trasferisce mai il carisma reale al viceré.Il viceré è solo arbitro e mediatore delle procedure, maestro di cerimonie.

Un nuovo libro, interamente dedicato a Napoli dal Cinquecentoall’Ottocento, si annuncia presso l’editore Brill, curato da Astarita.

Nell’introduzione di Marino e Dandelet al già citato Spain in Italy, i cura-tori riprendono la questione della “decadenza” dell’Italia e dello schema nega-tivo che ha a lungo pesato sul governo spagnolo nella penisola. Essi ne pro-pongono una periodizzazione dal Cinquecento al Novecento che concordasostanzialmente con i contributi che al tema dell’antispagnolismo sono stati direcente dedicati dalla storiografia italiana (134): l’inizio della visione della “deca-denza” in coincidenza con la fine della “libertà italiana” (Guicciardini eGiovio); l’accentuato antispagnolismo connesso agli episodi di rivolte e resi-stenze nel sistema imperiale spagnolo soprattutto negli anni Quaranta delSeicento; la polemica illuministica; l’assunzione, durante il Romanticismo e ilRisorgimento, dell’antispagnolismo come mito negativo della fondazione nazio-nale italiana; la limitazione, durante la dittatura franchista, dei contatti tra glistorici della Spagna imperiale (135). Assai efficacemente Marino e Dandelet defi-niscono l’età spagnola in Italia non un “accidente”, ma un “disegno” (136), unprogetto complessivo entro il quale è possibile ricostruire fenomeni di inte-grazione e resistenza, connessioni e strategie familiari, stratificazioni sociali, ilruolo delle donne, le strutture amministrative, le dinamiche economiche, il ruolodella Chiesa, delle istituzioni ecclesiastiche, della vita religiosa. Il saggio intro-

(132) Ivi, p. 25.(133) Ivi.(134) Alle origini di una nazione. Antispagnolismo e identità italiana, a cura di A. Musi,

Milano, Guerini, 2000.(135) T. J. DANDELET - J. A. MARINO (eds.), Introduction a Spain in Italy. Politics, Society

and Religion 1500-1700, cit., p. 3.(136) Ivi, p. 4.

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(137) Ivi, pp. 17-18.

duttivo si conclude con nuove domande della ricerca: quale fu il rapporto tramodello di governo repubblicano e sistema imperiale? Perché nell’Italia spa-gnola si verificò una discrasia tra teoria del buon governo e pratica burocra-tica? Quale fu il contributo della politica spagnola allo sviluppo economicodel Cinquecento e al declino del Seicento? Quale fu, in definitiva, la sostanzadel sistema imperiale spagnolo? (137)

Insomma l’immagine dell’Italia spagnola nella storiografia americana si pre-senta assai più ricca, complessa e articolata rispetto ad un recente passato, essen-dosi liberata di stereotipi, luoghi comuni e pregiudizi sfavorevoli, mediati dalla“leyenda negra” dell’“impero del male” e dalla rappresentazione della “decadenza”.

7. L’Italia moderna fuori d’Italia: lo specchio deformante dello scambio ineguale

Nell’età dell’imperialismo e del nazionalismo la storiografia francese, attra-verso la «Revue Historique», ha visto l’Italia moderna come un paese fram-mentato, incapace di darsi un assetto unitario, bisognoso pertanto di una sol-lecitazione e di un forte contributo esterno per promuovere processi riformatori,capaci di oltrepassare l’antico regime e avviare tentativi di unificazione dellapenisola. Ci avrebbe pensato Napoleone, offrendo una ventata di rinnovamentoall’Italia. Così uno Stato-nazione, dotato della robusta autocoscienza di unaprecoce identità unitaria venuta da lontano, si è specchiato nella fragilità diun’entità politica lacerata fin dai tempi della discesa di Carlo VIII, divisa nel-l’età della Controriforma, prodotto storico di un percorso dalle città agli Statiregionali, alternativo alla costruzione di un compatto e forte Stato-nazione. Eavrebbe, in questo modo, celebrato la sua superiorità.

Tutto sommato, questa immagine non è stata scalfita, ma solo rimossa per-ché marginale o, per lo meno, non prioritaria, nel periodo dell’egemonia delle«Annales». La polemica contro la storia politica non ha certo favorito unripensamento critico del percorso della modernità italiana, che è diventato inte-ressante agli occhi di direttori, redattori e collaboratori della rivista solo perquanto assimilabile ai suoi paradigmi, centrati sull’economia, sul rapporto pri-vilegiato tra storia e scienze sociali, sull’apertura a nuovi oggetti e metodi del-l’indagine. Certo il primato delle «Annales» nella ricerca storica durante ilsecondo dopoguerra ha sicuramente condizionato il modo di guardare l’Italiamoderna da parte della storiografia francese, ma non ha escluso altri tipi di

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sguardi, per così dire. Basti pensare ai contributi della stessa «Revue Historique»e della «Revue d’histoire moderne et contemporaine» negli stessi anni dell’e-gemonia delle «Annales». Basti pensare ancora ai percorsi paralleli della ricercadi Roland Mousnier e Federico Chabod sulla burocrazia, sulla venalità degliuffici, sulla genesi e struttura dello Stato moderno.

Umanesimo e Rinascimento si sono riflessi nello specchio della nazioneamericana: Firenze e Venezia sono diventate la culla della civiltà democraticae della società borghese, il civic humanism la genesi dei valori di libertà e dicittadinanza.

A mediare il rapporto tra le storie francese, inglese e americana con la sto-ria italiana moderna è stato quasi sempre uno specchio deformante, artefice uni-camente dello scambio ineguale tra il blocco compatto e unitario di quelle sto-rie, l’autocoscienza di una forte identità costruita pur in presenza di acuti conflittie resistenze, e l’identità spezzata, frammentata, la permanente disunità d’Italia,che ha indotto a privilegiare, nella complessiva considerazione dell’interesse sto-rico, solo alcuni periodi. E si tratta precisamente di quelli in cui ha potuto bril-lare la stella di alcune civiltà cittadine della penisola o la capacità di inventareed esportare fuori d’Italia fenomeni nuovi e inediti come il fascismo.

La condizione degli ultimi anni, caratterizzata, anche nelle riviste prese inconsiderazione in queste note, da frammentazione, causalità di spinte e con-tributi, proliferazione di una miriade pressoché sterminata di oggetti e temidi ricerca microstorici, tendenza a interessarsi degli spazi simbolici, della rap-presentazione piuttosto che delle strutture materiali, non ha favorito e non favo-risce certo una migliore comprensione da parte delle storiografie d’Oltralpedella storia italiana moderna.

AURELIO MUSI

Università degli Studi di Salerno

Modern Italy has been represented in Inglish, American and French histori-ographies as the primacy of the urban history, the cities (especially Florence andVenice), the breaking up of a country into small states, the inability to a Nation-building. This essay analyzes items, choices of arguments about modern Italianhistory, historiographical trends in some French, English and American reviews.

The “terminus a quo” of this study is the last decades of XIX century: inthis period English Historical Review, American Historical Review, RevueHistorique were born and historical profession became and developed.

The “terminus ad quem” is today: with the crisis of history and social sci-ences, the new trends of international research.