Il mediterraneo nella cartografia antica

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Revisiones de Historia Antigua VI JUAN SANTOS YANGUAS BORJA DÍAZ ARIÑO (EDS.) LOS GRIEGOS Y EL MAR

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Revisiones de Historia AntiguaVI

JUAN SANTOS YANGUASBORJA DÍAZ ARIÑO

(EDS.)

LOS GRIEGOS Y EL MAR

CIP. Biblioteca UniversitariaLos griegos y el mar / Juan Santos Yanguas, Borja Díaz Ariño (eds.) ; Departamento de Estudios

Clásicos = Ikasketa Klasikoen Saila. — Vitoria-Gasteiz : Universidad del País Vasco / Euskal Herriko Unibertsitatea, Argitalpen Zerbitzua = Servicio Editorial, 2011. – 351 p. : il. ; 24 cm. – (Anejos de Veleia. Acta ; 9). (Revisiones de Historia Antigua ; 6)

Textos en español, italiano y francésD.L.: BI-3.346-2011 ISBN: 978-84-9860-591-4

1. Grecia – Historia – Hasta 0146 a.C. 2. Grecia – Civilización – Hasta 0146 a.C. 3. Mar en la literatura I. Santos Yanguas, Juan, ed. lit. II. Díaz Ariño, Borja, ed. lit.94(38)

Esta obra es el resultado de la tesis doctoral que fue defendida por el autor en la Facultad de Derecho de San Sebastián el 4 de julio de 2003 y que ha merecido el PREMIO EXTRAORDINARIO DE DOCTORADO de la Universidad del País Vasco por el Área de Ciencias Sociales y Jurídicas en virtud de acuerdo de la Subcomisión de Doctorado de la UPV/EHU de 20 de Octubre de 2005

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CAPÍTULO NOVENO

IL MEDITERRANEO NELLA CARTOGRAFIA ANTICA

FRANCESCO PRONTERAUniversità di Peruggia

Nella storia della cartografia antica occorre distinguere nettamente due aspetti, per evitare il rischio di confonderli nelle discussioni dei moderni. In quanto rappresentazione della terra abitata la cartografia ebbe un uso pre-valentemente, o quasi esclusivamente, speculativo e scientifico; si trattava di un prodotto creato da una cerchia ristretta di specialisti e destinato ad es-sere oggetto di discussioni e ipotesi di lavoro più che strumento operativo in campo politico-militare o economico e amministrativo. Queste limitazioni nell’uso della cartografia, intesa come raffigurazione dell’ecumene, non hanno però mai arrestato il suo processo di costruzione e di rielaborazione. Dopo Eratostene e prima della sistemazione tolemaica, l’opera geografica di Strabone costituisce a mio avviso la più chiara testimonianza di questo pro-cesso in età ellenistica.

Ora, per ragioni che sono insieme storiche e geografiche, il mare interno esercita ininterrottamente la sua funzione centripeta nei mappamondi an-tichi, e non solo nelle prime ghes perìodoi circolari centrate in Egeo, ma anche nella nuova cartografia inaugurata da Eratostene. Il passaggio dallo schema circolare e radiale alla cornice rettangolare delle coordinate geogra-fiche avviene senza scosse proprio perché il «mare interno» conserva una sua centralità funzionale nella carta della terra, anche se non ne occupa più il

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centro geometrico1. Nonostante l’alto grado di elaborazione teorica, bisogna poi rilevare che la cartografia dell’ecumene si basa largamente sui dati della geografia empirica: stime delle distanze e delle direzioni, posizioni relative dei luoghi e quindi valorizzazione selettiva di alcuni punti di riferimento ri-spetto ad altri. Proprio per queste sue ineliminabili componenti empiriche la cartografia del mondo greco-romano non costituisce soltanto un capitolo della scienza antica ma anche lo specchio che riflette a suo modo i grandi mutamenti della storia politico-militare.

Fin dall’età arcaica lo sviluppo della nautica favorì naturalmente lo sviluppo di conoscenze e di tecniche in vari campi (dall’edilizia portuale alla carpenteria e all’ingegneria navale, per non parlare del sapere richie-sto dalla pratica stessa della navigazione). Per quanto ne sappiamo, il mondo antico ignorò comunque l’uso della carta nautica e del portolano, due creazioni peculiari dell’occidente tardo-medievale, che non ebbero in fondo precursori nell’antichità greco-romana2. Non vi è alcun dubbio che informazioni di carattere pratico circolassero oralmente fra i naviganti greci e fenici; tuttavia —almeno a giudicare dallo stato di conservazione della letteratura antica— solo molto tardi le istruzioni nautiche fanno la loro comparsa in un Periplo del Mediterraneo (nello Stadiasmo del grande mare). D’altro canto è da notare che nel mondo antico tutto un complesso di informazioni e di osservazioni, alimentate dall’esperienza dei viaggi marittimi, venne utilizzato nei trattati di geografia, in saggi di meteorolo-gia, o in certe pagine giustamente celebri della storiografia greca, opere dunque di letteratura e di scienza non certo manuali tecnico-pratici ad uso dei naviganti.

Le ricostruzioni moderne della cartografia antica vanno considerate con estrema prudenza, in assenza di documenti originali, e questo vale soprat-tutto per i primi mappamondi circolari. Con Eratostene siamo per la verità in condizioni migliori (fig. 1) perché disponiamo almeno di una rete elementare di coordinate geografiche, pur se tracciate a intervalli irregolari3; il profilo delle coste resta naturalmente in larga misura congetturale. Come sappiamo, la maggiore novità sta nella delineazione dell’Asia, che è ora attraversata da una catena continua di montagne; esse si estendono dal Tauro cilicio ai con-fini orientali dell’India e poggiano sul parallelo di Rodi (36° N). Eratostene dà qui una soluzione al problema ben presente alla scienza ionica e di cui si

1 F. Prontera, «Centro e periferia nei mappamondi greci», Geographia Antiqua, 16-17, 2007-08, pp. 177-187.

2 P. Janni, «Cartographie et art nautique dans le monde ancien», in: Geographica Histo-rica, Textes réunis par P. Arnaud et P. Counillon, Bordeaux-Nice 1998, 41-53; P. Arnaud, Les routes de la navigation antique. Itinéraires en Méditerranée, Paris 2005, 46 sgg.

3 G. Aujac, Eratosthène de Cyrène, le pionnier de la géographie, Paris 2001.

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fa interprete Erodoto4: da una parte vi era l’Asia mediterranea (la kato Asìe), che fronteggiava la Grecia e che attraverso la costa siro-palestinese, araba e poi egiziana si estendeva verso occidente oltre le Colonne d’Eracle fino al promontorio Solòeis (Hdt. II, 32 e IV, 43); dall’altra vi erano le regioni dell’Asia interna (ano Asìe) sulle quali dominava il Gran Re. Quale dispo-sizione e quale estensione assegnare nella carta dell’ecumene a queste due Asie, che rappresentavano anche due mondi diversi? L’itinerario della con-quista macedone e più tardi la creazione del regno dei Seleucidi misero a disposizione di Eratostene un insieme di informazioni e di dati quantitativi (stime) sulle distanze e quindi sulle posizioni relative di alcuni luoghi no-tevoli del continente asiatico. L’immensa catena del Tauro, come elemento diagrammatico che determina la nuova figura dell’Asia e quindi anche dell’ecumene, fu una scoperta o meglio una creazione della cartografia elle-nistica5.

La geometrizzazione dello spazio nella carta di Eratostene riflette in so-stanza le divisioni della geografia fisica; quando mancano i segni distintivi della natura, meridiani e paralleli toccano città di primo piano nel mondo el-lenistico. Siamo dunque ben lontani da una cartografia scientifica nel senso moderno del termine; domina nella costruzione di Eratostene il senso spic-cato dell’approssimazione, anche se egli deve ora tener conto, almeno in te-oria, degli insegnamenti della sfericità terrestre. La collocazione assegnata a popoli e paesi sulla carta deve infatti corrispondere —in linea di principio— alle loro coordinate geografiche, presunte o reali. Rispetto allo schema el-lenocentrico dei primi mappamondi circolari, caratterizzati dalla quadri-partizione solstiziale dell’orizzonte, la geometria della sfera esigeva che i rapporti spaziali fra i luoghi corrispondessero alla loro posizione astrono-mica. La creazione della catena del Tauro costituisce appunto una risposta al problema cartografico cui accennavo prima, vale a dire alla questione del rapporto fra la delineazione dell’Asia e il contorno del mare interno. Come il Mediterraneo separa l’Europa dall’Africa, così anche il Tauro divide in due parti il continente asiatico, una settentrionale e una meridionale; la dor-sale montuosa è infatti concepita come il prolungamento orientale della fun-zione divisoria del mare interno. Qui dunque è lo schema delle carte cir-colari ioniche a orientare l’integrazione dei grandi spazi dell’Asia interna, scoperti agli occhi dei Greci grazie alla conquista macedone. Con una dif-ferenza: l’asse mediterraneo è ora un segmento del parallelo di Rodi, su cui

4 F. Prontera, «Hekataios und die Erdkarte des Herodot», in Gab es das Griechische Wun-der?, hrsg. von D. Papenfuss und V.M. Strocka, Mainz 2001, pp. 130 sgg.; id., Otra forma de mirar el espacio: geografía e historia en la Grecia antigua, Málaga 2003, pp. 70 sgg.

5 F. Prontera, «L’Asia Minore nella carta di Strabone», Geographia Antiqua 14-15, 2005-06, pp. 90-91.

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poggia il Tauro; la catena segna il limite settentrionale dell’India, che appar-tiene quindi interamente alla «porzione meridionale» dell’ecumene (fig. 1).

Queste considerazioni possono sembrare fin troppo ovvie e anche oziose, quando si dà appena un’occhiata a una carta moderna dell’Eurasia. Non dob-biamo però dimenticare l’alto tasso di incertezze e quindi la natura congettu-rale che caratterizzano le rappresentazione geografiche degli antichi, anche nelle loro espressioni «scientifiche». Prima della sistemazione tolemaica la condivisione di alcune nozioni generali non portò mai a una visione conclusa e definitiva dell’ecumene; al contrario, discussioni e ipotesi erano sempre all’ordine del giorno, soprattutto quando si trattava di integrare nello schema cartografico tradizionale nuovi spazi come le distese dell’Asia centrale e dell’India. La stessa individualità geografica del Mediterraneo in quanto tale —che oggi si presenta con la forza di un’evidenza immediata— fu in realtà l’esito ultimo di un lungo e accidentato percorso conoscitivo, che partendo dall’Egeo (il primo Mediterraneo dei Greci) portò a un certo punto (direi nel corso del VII sec. a.C.) all’acquisizione di un grande mare racchiuso fra le masse continentali6. Sul volgere del VI sec. a.C., con tutta probabilità, nella rappresentazione egeo-centrica del mondo conosciuto si affaccia l’idea che le Colonne d’Eracle si trovino nei pressi dell’occidente equinoziale, vale a dire in una posizione diametralmente opposta a quella dell’Asia Minore, che è situata proprio nel mezzo fra oriente estivo e oriente invernale7. La nuova delineazione dell’Asia pose naturalmente a Eratostene problemi ben diversi rispetto a quella del Mediterraneo; sarebbe però un errore di prospettiva considerare quest’ultima come stabilmente acquisita e generalmente condi-visa nella cerchia dei dotti e degli scienziati. Per avere una qualche idea del processo che condusse all’ ordinamento geografico dei nuovi paesi sco-perti nel corso della «colonizzazione» arcaica, occorre assumere una visione egeo-centrica; la rappresentazione di tutto il mare interno fu infatti segnata dal processo di espansione dell’originario orizzonte geografico dei Greci. In questo ampliamento, e nel modo stesso in cui esso venne ordinato, fu natu-ralmente decisiva l’esperienza degli itinerari marittimi8.

I due meridiani che attraversano il Mediterraneo (fig. 1) possono essere considerati il migliore esempio del ruolo che ebbe la geografia nautica, e in

6 F. Prontera, «Il Mediterraneo: scoperta e rappresentazione», Geographia Antiqua 16-17, 2007-08, pp. 41 sgg.

7 Hipp., Aër. 12; cfr. W.A. Heidel, The Frame of the the Ancient Greek Maps, New York 1937, pp. 11-20, e A. Ballabriga, Le soleil et le Tartare. L’image mythique du monde en Grèce archaïque, Paris 1986, pp. 147-176.

8 La documentazione antica è ora illustrata criticamente, con l’ausilio di varie carte tema-tiche e di tabelle, nel bel libro di P. Arnaud, Les routes de la navigation antique. Itinéraires en Méditerranée, Paris 2005.

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particolare l’esperienza delle traversate, nella costruzione di Eratostene, il quale si sarà avvalso in proposito del parere autorevole di Timostene. An-cora Tolemeo (Geogr. I, 4; 14, 1-15) deve mettere in guardia dal collocare sullo stesso meridiano i luoghi che i naviganti si rappresentano come «op-posti» (antikèimenoi tòpoi). Già Erodoto (Ecateo?) conosce l’allineamento fra la Cilicia «montuosa» e il delta del Nilo, allineamento esteso attraverso l’istmo anatolico fino a Sinope e poi alla foce dell’Istro (Hdt. II‚ 33-34: cfr. I, 72). La fondazione di Alessandria comporta più tardi una nuova serie di luoghi opposti (Alessandria-Rodi e Bisanzio-foce del Borysthenes) lungo il meridiano che ricalca il fronte egeo della penisola anatolica.

Da notare che Bisanzio nella carta di Eratostene è spinta troppo a nord, sul parallelo di Marsiglia (ritorneremo su questo dettaglio importante), nel presupposto erroneo che la rotta dall’imboccatura dell’Ellesponto verso il Bosforo Tracio sia più vicina alla direzione sud-nord che alla direzione ovest-est (l’errore permane fino a Tolemeo incluso: fig. 7). Il parallelo di Bi-sanzio-Marsiglia segna così il limite settentrionale dello spazio mediterra-neo, rispetto al quale l’intero Ponto Eusino si troverebbe ancora più a nord. Poiché nella originaria prospettiva egeo-centrica le variazioni climatiche si riscontrano lungo l’asse Egitto-Scizia, l’Asia Minore occupa fra i due poli climatici una posizione mediana, cui corrisponde la mitezza del suo clima. Tutto questo è ben comprensibile se si resta entro l’orizzonte egeo, ma com-porta conseguenze gravi sul piano cartografico quando al bacino orientale del Mediterraneo viene saldato quello occidentale.

Ricavata da stime nautiche e da misurazioni con lo gnomone, la distanza fra la costa anatolica (perea di Rodi) e quella egiziana tende a restare la me-desima anche fra lo stretto di Messina e la Libia, sicché Cartagine si trove-rebbe solo poco più a nord (ca. 1°) di Alessandria (31°). In altre parole nella carta di Eratostene la distanza fra Asia (penisola anatolica) e Africa (Egitto) detta tendenzialmente la distanza fra l’Europa (la punta dell’Italìa) e il con-tinente opposto anche nella parte centro-occidentale del Mediterraneo. Qui il profilo del mare interno dipende in sostanza da tre fattori variabili, come vedremo subito nelle ipotesi cartografiche che modificano la costruzione di Eratostene:

— la stima della distanza massima fra Europa e Africa (platos) e in parti-colare fra la posizione di Marsiglia e il parallelo di Rodi;

— la distanza stimata fra l’estremità meridionale del Peloponneso e le Colonne d’Eracle, distanza che contribuisce a misurare l’estensione (mekos) del mare interno, e quindi dell’ecumene, lungo il parallelo di Rodi;

— la posizione assegnata alla punta dell’Italìa e alla Sicilia fra il Pelo-ponneso e le Colonne d’Eracle.

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Dalla variabilità di questi fattori dipendono tre diverse figure del Medi-terraneo, quella di Eratostene (figg. 1-2) e le due di Strabone (figg. 3-4)9. Il ricorso a ricostruzioni moderne della cartografia antica risponde ovviamente a semplici ragioni di comodità; va da sé che il profilo delle forme non geo-metriche è largamente congetturale.

Mentre in una delle carte di Strabone (fig. 3) lo stretto di Messina oc-cupa quasi una posizione mediana fra le due estremità del mare interno, nella carta di Eratostene la penisola italica con la Sicilia è sensibilmente più vicina all’Iberia e alle Colonne d’Eracle che alla Grecia, dal momento che la lunghezza del segmento stretto di Messina-Colonne è uguale alla stima della distanza litoranea (paràplous) Cartagine-Colonne (fig. 1). Il presup-posto erroneo di questa equivalenza era che lo stretto di Messina (come anche Roma) si trovasse sul meridiano di Cartagine. Con tutta probabilità questo erroneo allineamento portò a disporre la figura triangolare della Si-cilia in maniera ben diversa dalla realtà. La punta occidentale (capo Lili-beo) diventò quella meridionale, mentre il vertice meridionale (capo Pa-chino) diventò il più orientale (fig. 2); questo spiega perché nella sequenza delle tappe, in cui si articola la rotta che va dalla Grecia in Sicilia, capo Pa-chino viene menzionato prima dello stretto di Messina10. Poiché la Sicilia occupava in buona parte lo spazio fra l’estremità dell’Italia e la costa afri-cana —cosa di cui nessuno poteva dubitare— il tracciato (erroneo) del me-ridiano stretto di Messina-Cartagine imponeva di spingere nettamente più a sud il litorale africano, per lasciare lo spazio alla figura triangolare di una Sicilia che con capo Lilibeo si protendeva verso il golfo di Cartagine. De-terminate dalla dinamica degli itinerari marittimi, sono queste le tipiche di-storsioni che improntano la rappresentazione dello «spazio odologico» nella geografia antica11. Va ricordato infine che nella carta di Eratostene la latitu-dine dello stretto di Messina è troppo bassa: si riteneva infatti che il paral-lelo di Rodi (36° N), il vecchio asse mediterraneo, attraversasse non solo le Colonne ma anche lo stretto fra Europa e Sicilia, che invece si trova netta-mente più a nord (ca. 38°).

Decisiva per la conformazione del Mediterraneo fu la latitudine asse-gnata a Marsiglia e quindi alla costa ligure, sulla base della misurazione ef-fettuata con tutta probabilità da Pitea; il rapporto dello gnomone alla sua

9 Cfr. G. Cruz Andreotti, P. Le Roux, P. Moret (eds.), La invención de una geografía de la Península Ibérica, II. La época imperial, Málaga-Madrid 2007, pp. 51-54.

10 F. Prontera, «Lo stretto di Messina nella tradizione geografica antica», in: Lo stretto cro-cevia di culture. Atti del XXVI Conv. di Studi sulla Magna Grecia, Napoli 1993, pp. 120 sgg.

11 Cfr. le osservazioni di P. Arnaud, Les routes de la navigation antique. Itinéraires en Méditerranée, Paris 2005, pp. 65 sgg.

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ombra diede un valore corrispondente alla effettiva latitudine di ca. 43° N12. Secondo Eratostene fra la latitudine delle Colonne e quella di Marsiglia vi era una differenza pari a quella (presunta) fra Rodi e Bisanzio (fig. 1). In re-altà Bisanzio (ca. 41°) si trova nettamente più a sud di Marsiglia; la sua col-locazione sul parallelo di Marsiglia può spiegarsi, a mio avviso, solo se si prendono in considerazione ragioni di ordine extra-scientifico, per così dire; vorrei ribadire qui quanto osservai dieci anni or sono13. Le rappresentazioni collettive del clima settentrionale —nell’orizzonte egeo-centrico dei Greci— erano strettamente associate alle rotte verso la Tracia e da lì verso il Bo-sforo, la porta che dava accesso alla Scizia. Il rilevamento astronomico ef-fettuato da Pitea a Marsiglia fece emergere, forse inaspettatamente, un altro settentrione nel bacino occidentale del mare interno. Sulle nostre carte la co-sta provenzale si trova ben più a nord rispetto alla Tracia mediterranea e agli stretti fra Asia ed Europa; nella carta di Eratostene prevalse invece la pro-spettiva domicentrica dei Greci. Il nuovo settentrione del Mediterraneo oc-cidentale poteva essere posto, tutt’al più, alla stessa latitudine della regione degli stretti, ma il «settentrione originario» non poteva essere cancellato dalle rappresentazioni collettive radicate nei paesi dell’Egeo. Ritroviamo in parte lo stesso meccanismo di inferenza analogica nel tracciato della costa africana a occidente di Cirene; nonostante il gradino delle due Sirti il litorale africano nei pressi di Cartagine conserva tendenzialmente rispetto alla costa europea (Italìa) la stessa distanza che lo separa dall’Asia nella parte orien-tale del mare interno14.

Marsiglia restò comunque un punto di riferimento essenziale per la de-lineazione del Mediterraneo occidentale come mostra, fra l’altro, l’afferma-zione di Timostene che Marsiglia si troverebbe di fronte (katà) a Metago-nion (Str. XVII, 3‚ 6), da identificare probabilmente con Cabo Tres Forcas a nord di Melilla in Marocco15. Sulla nostra carta è fin troppo facile concor-dare con Strabone, il quale osserva che di fronte a Metagonion si trova Car-thago Nova non Marsiglia. Per la verità al tempo in cui Timostene scriveva i suoi dieci libri Sui porti non era stata ancora fondata da Asdrubale (221 a.C.) questa città, che divenne poi la base delle operazioni condotte da Scipione

12 Str. I, 4, 4 e II, 5, 41 con il comm. di G. Aujac; cfr. Pitea di Marsiglia, L’Oceano, introd. testo, trad. e comm. a cura di S. Bianchetti, Pisa-Roma 1998, pp. 44 e 160 sg.

13 F. Prontera, «Sulle basi empiriche della cartografia greca», Sileno 23, 1997, pp. 54-57 (= F. Prontera, Otra forma de mirar el espacio..., pp. 36-40).

14 F. Prontera,«Immagini dell’Italia nella geografia antica da Eratostene a Tolomeo», Ri-vista Geografica Italiana 100, 1993, pp. 42 sg., 47 e n. 16.

15 Così J. Desanges, Toujours Afrique apporte fait nouveau. Scripta minora, éd. par M. Reddé, Paris 1999, 155 sgg. L’identificazione con Capo del Agua, che si trova più a est, è invece difesa da P. Arnaud, Les routes de la navigation antique. Itinéraires en Méditerranée, Paris 2005, pp. 157 e 159 sg. (con la carta relativa, alle pagine 154-155).

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Africano in Iberia. L’affermazione di Timostene non sembra dettata dalla pratica di una rotta per l’alto mare; essa deriva piuttosto da una carta men-tale del Mediterraneo occidentale che corrisponde a quella delineata da Era-tostene, e che ha appunto il suo fulcro nella posizione di Marsiglia (fig. 1).

L’allineamento Carthago Nova-Metagonion ci porta nell’estremità oc-cidentale del Mediterraneo (l’odierno mare di Alborán), l’unico settore in cui il parallelo di Rodi è grosso modo equidistante dalla costa europea e da quella africana. Ora, l’idea secondo cui il parallelo di Rodi attraverserebbe tutto il mare interno press’a poco nel mezzo, ricorre in diversi contesti nei Prolegòmena di Strabone16. Se Marsiglia si trovava sul parallelo di Bisanzio, la sua distanza dal parallelo fondamentale doveva essere uguale a quella da Bisanzio a Rodi (5.000 stadi). D’altro canto bisognava tener conto anche dei dati empirici sulla geografia del Mediterraneo occidentale, dove i naviganti stimavano appunto in 5.000 stadi la distanza fra Marsiglia e la costa africana opposta. A sud del diaframma, non dimentichiamolo, doveva esserci il posto per il triangolo della Sicilia, e più a sud ancora doveva esserci lo spazio ma-rittimo che separava l’isola dal golfo di Cartagine. Per uscire da questa ap-parente contraddizione, si fece strada l’ipotesi che Marsiglia si trovasse ben più a sud di Bisanzio, sì che il parallelo di Rodi attraverserebbe nel mezzo il mare interno anche nella parte occidentale (fig. 4). Questa ipotesi cartogra-fica —chiamiamola così— ha un evidente rapporto con altre tre costruzioni geometriche che pure si ritrovano in Strabone, senza che l’autore stabilisca fra di esse alcuna connessione.

— Nel profilo dell’Europa occidentale, cui il geografo accenna nel li-bro III (1, 3) e IV (1, 1 e 4, 1), il lato settentrionale dell’Iberia e della Celtica corre quasi parallelo da ovest a est al litorale mediterraneo (fig. 6);

— Nello schema polibiano (fig. 5) del triangolo ottuso con vertice a Nar-bona (al posto di Marsiglia), si appiattisce notevolmente l’angolo di-segnato dall’incontro della costa italica con quella iberica, sì che solo 3.000 stadi separerebbero Narbona dall’opposto litorale africano e solo 2.000 dal parallelo di Rodi (Str. II, 4, 1-4);

— Infine, sempre nei Prolegòmena troviamo un’interessante osserva-zione (II, 5, 8 e II, 4, 2). Se si prolunga verso occidente il rettangolo, che delimita la fascia montuosa del Tauro, esso si salda con lo spazio mediterraneo: al platos di 3.000 stadi del Tauro corrisponderebbe in-fatti l’ampiezza di 3.000 stadi del mare interno. Ho l’impressione che quest’ultima misura estenda alla porzione centrale del Mediterraneo la stima della traversata (3.000 stadi, appunto) fra la costa iberica (Car-

16 II, 5, 8: cfr. II, 4, 2-3 e II, 5, 19.

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thago Nova) e quella africana (Metagonion); in questo senso l’estra-polazione riguardo al platos del Mediterraneo potrebbe risalire a Po-libio, mentre il collegamento con il platos del Tauro farebbe pensare piuttosto a Posidonio17.

Sono stime e costruzioni geometriche che non appartengono comunque alla carta di Eratostene; esse mostrano come i geografi della tarda età elleni-stica (e fra questi, accanto a Posidonio, probabilmente anche lo stesso Stra-bone) fossero indotti a riformulare i problemi posti da Eratostene. Problemi che prima della sistemazione tolemaica (fig. 7) restano aperti, come quello del rapporto fra i climi dell’Asia superiore, gli spazi del Mediterraneo e i climi dell’Europa atlantica, esplorata da Pitea. Dalla latitudine di Marsiglia dipende infatti anche la delineazione del settore nord-occidentale dell’ecu-mene, come risulta chiaramente dalla discussione che leggiamo nei Prolegò-mena di Strabone. Grazie all’esempio di Eratostene non è più possibile for-mulare o risolvere un problema cartografico isolandolo dalla trama generale dei rapporti spaziali, che legano le varie regioni dell’ecumene alla griglia co-ercitiva delle coordinate geografiche. Dopo che il mare interno ha orientato per almemo quattro secoli la rappresentazione ellenocentrica della terra abi-tata, è ora il lungo rettangolo del Tauro, in quanto elemento diagrammatico fondamentale nella figura dell’Asia, a dettare la corrispondenza cartogra-fica fra le due porzioni dell’ecumene antica. La dorsale montuosa, concepita all’inizio come il prolungamento orientale dell’asse mediterraneo e della sua funzione divisoria, ha ormai assunto una propria fisionomia, che a sua volta si proietta sul profilo del mare interno18.

17 Secondo Posidonio (Str. VI, 2, 1 = fr. 249 E.-K.) la figura triangolare della Sicilia cade nel prolungamento occidentale del rettangolo montuoso del Tauro (Str. II, 1, 37): cfr. F. Pron-tera, «La Sicilia nella cartografia antica», in: C. Ampolo (a cura di), Immagine e immagini della Sicilia e di altre isole del Mediterraneo antico, vol. I, Pisa 2009, pp. 141-147.

18 Ho potuto rielaborare questo contributo presso il Deutsches Archäologisches Institut di Berlino (maggio-giugno 2010), grazie a una borsa della Alexander von Humboldt-Stiftung, che qui desidero ringraziare.

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FIGURA 1. La carta di Eratostene (da G. Aujac, Eratosthène de Cyrène, le pionnier de la géographie, Paris 2001)

FIGURA 2. Il Mediterraneo nella carta di Eratostene (ricostruzione di C. Müller, Strabonis Geographicorum Tabulae XV, Paris 1880)

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FIGURA 3. La carta di Strabone (da G. Aujac, Strabon, Géographie, livre II, Paris 1969)

FIGURA 4. Il Mediterraneo nella carta di Strabone (ricostruzione di C. Müller, Strabonis Geographicorum Tabulae XV, Paris 1880)

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FIGURA 5. Il Mediterraneo occidentale nella schematizzazione triangolare di Polibio

FIGURA 6. F. Lasserre, Strabon, Géographie, livres III-IV, Paris 1966

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FIGURA 7. Il Mediterraneo nella cartografia di Tolemeo (da A. E. Nordenskiöld, Facsimile-Atlas to the Early History of Cartography,

Stockholm 1889, rist. New York 1973, 30)

FIGURA 8. Dall’Atlante muto d’Italia. Istituto Geografico De Agostini