La scienza giuridica dei “prudentes” romani nella storiografia di Mario Talamanca

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RICORDO DI MARIO TALAMANCA Atti della giornata di studi Roma 21 maggio 2010 Sapienza Università di Roma a cura di LUIGI CAPOGROSSI COLOGNESI - GIOVANNI FINAZZI ESTRATTO JOVENE EDITORE NAPOLI 2012

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RICORDO DI

MARIO TALAMANCA

Atti della giornata di studi Roma 21 maggio 2010

Sapienza Università di Roma

a cura di

LUIGI CAPOGROSSI COLOGNESI - GIOVANNI FINAZZI

ESTRATTO

JOVENE EDITORE NAPOLI 2012

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DARIO MANTOVANI

LA SCIENZA GIURIDICA DEI ‘PRUDENTES’ ROMANI NELLA STORIOGRAFIA DI MARIO TALAMANCA*

1. Non nascondo la mia emozione nel ricevere la parola, difronte alla professoressa signora Talamanca, ai figli e ai familiari, cuirinnovo la mia vicinanza. Sono memore di tutti gli incontri con il pro-fessor Talamanca e tanto più dell’ultimo, quando venne a Pavia peruna lezione che affrontò con la salute già minata, come si compresepoi, ma senza volersi sottrarre all’impegno preso.

Il colloquio con Mario Talamanca consisteva, per l’interlocutore,soprattutto nell’ascolto. Anche nei suoi scritti, il narratore non è maiassente dalla narrazione. Leggendo si riascolta la sua voce, perchénon esponeva i risultati in modo impersonale, ma dava l’impressionedi elaborarli mentre li comunicava, quasi a mettere ancora più in ri-salto l’argomentazione e sfidando a trovarvi un’incrinatura. Insiemeesprimeva giudizi, riflessioni, alternative, anticipando eventuali obie-zioni tanto acute che in realtà egli solo sarebbe stato in grado di for-mularle a se stesso, e indicando punti che lasciava ad altri da ap-profondire, con il presagio che difficilmente qualcuno avrebbe ten-tato di spingersi oltre il punto in cui egli si era fermato. La pagina sidilata in una profondità di campo in cui il lettore si sente immerso,più che esterno, e quasi soggiogato.

Consapevole che le mie forze sono limitate per affrontare il com-pito propostomi con amicizia da Luigi Capogrossi Colognesi, questo

* Il testo riproduce, con poche modifiche e integrazioni, l’intervento alla Giornatacommemorativa di Roma. Ho successivamente redatto un ricordo (In memoriam. MarioTalamanca [24.2.1928-11.6.2009], in «ZSS», CXXVIII, 2011, 817 ss.) in cui le considera-zioni qui espresse sul tema specifico della giurisprudenza sono riprese in un inquadra-mento d’insieme. I dati biografici di cui mi sono avvalso anche in quest’occasione sonotratti da un curriculum vitae la cui consultazione mi è stata consentita dalla professoressaGiuliana Talamanca, cui rinnovo la mia gratitudine.

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modo d’essere delle sue pagine mi conforta, perché fa sì che esse re-stituiscano anche una corposa biografia, non di fatti, ma interiore, emolti spunti di inquadramento della sua stessa opera nella storia de-gli studi. Spero dunque di riuscire a comunicare parte di quanto hoappreso dall’ascolto, cioè dalla rilettura delle opere di Mario Tala-manca, cui mi sono dedicato per preparare questo intervento.

Non mi nascondo, tuttavia, che la lettura è interpretazione.Chiunque si intrometta a riflettere sull’opera altrui, soprattutto se èopera di quest’altezza, s’espone perciò a rendere conto anche delleproprie idee, che è una regola alla quale so di non potermi sottrarre.

2. Nel complesso, il tratto distintivo della prodigiosa operascientifica di Talamanca mi sembra sia stata la capacità sovrana dicondurre le proprie indagini in equilibrio fra la tradizione degli studiromanistici e il rinnovamento delle prospettive, nella direzione di unaprogressiva storicizzazione1.

Si spiega così anche l’intensa attività critica in cui ha profusotante energie. Sarebbe riduttivo rammentare, della sua funzione cen-soria, solo il lato più immediatamente polemico. Addossandosi que-sta funzione, egli ha invece tentato – con speranze, è vero, via via piùfievoli – di incanalare le sensibilità che si sono dischiuse a partiredalla seconda metà del Novecento, indirizzandole verso indagini che,alla ricerca di auspicati approdi nuovi, non arretrino però rispetto airisultati raggiunti dalle generazioni precedenti.

L’equilibrio fra rinnovamento e tradizione, fra il mobile spiritodei tempi e il solido ancoraggio al passato, è stato da lui perseguitosul piano del metodo, che consiste semplicemente nel porre un pro-blema cui le fonti a disposizione possano dare una risposta controlla-bile, per evitare di fare come gli «innovatori, che scambiano il pro-gresso con l’ignoranza», per ricorrere a una di quelle frasi gnomicheche punteggiano – anche di spine – i suoi scritti2. Un importante co-rollario di questo metodo è che solo il confronto fra almeno due fe-nomeni permette di sapere se ciascuno di essi sia o meno portatore ditratti unici.

1 Questa caratterizzazione è stata svolta più ampiamente nel necrologio citato supra,nt. *.

2 Diritto e Prassi nel mondo antico, in I. PIRO (ed.), Règle et pratique du droit dans lesréalités juridiques de l’Antiquité (Atti della 51a Sessione della SIHDA, Crotone-Messina,16-20 settembre 1997), Soveria Mannelli, 1999, 154, nt. 135.

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Un luogo privilegiato per verificare quest’asserzione intorno alrapporto fra tradizione e innovazione (sotto il segno della progressivastoricizzazione) è proprio il settore di studi sul quale verte il mio in-tervento, ossia gli studi sui giuristi e sulla giurisprudenza.

Non credo di essere offuscato dalla propensione per il tema seaffermo che questi studi rappresentano una parte consistente dell’o-pera di Talamanca, con picchi in alcuni periodi, negli anni Settanta-Ottanta e poi specialmente nell’ultimo decennio, in cui sono addirit-tura prevalenti. Sono di questo genere gli ultimi due lavori a me noti,I clienti di Q. Cervidio Scevola, e L’oratore, il giurista, il diritto nel ‘Deoratore’ di Cicerone, entrambi editi poco dopo la sua scomparsa. Idue articoli estremi sono tanto più significativi in quanto si saldanoprecisamente ai due saggi che hanno segnato il principio del suo in-teressamento ai giuristi come tema autonomo di studio, negli anniSettanta, ossia rispettivamente Gli ordinamenti provinciali nella pro-spettiva dei giuristi tardoclassici – che in una densa nota già prefiguraquel che l’indagine dedicata a Scevola svolgerà nei minimi dettagli3 –e Lo schema ‘genus-species’ nelle sistematiche dei giuristi romani, checoncede ovviamente molto spazio alla riflessione ciceroniana sulla ri-duzione in artem del ius civile.

I due saggi degli anni Settanta rappresentano a loro volta, cometenterò di mostrare, i due assi principali lungo i quali si è svolta la suaricerca in quest’ambito, ai quali Talamanca s’è dunque mantenuto fe-dele fino al commiato.

Affermare che gli studi sui giuristi e sulla giurisprudenza occu-pino una posizione di rilievo nella sua produzione scientifica può sem-brare in contrasto persino stridente con la nota avversione manifestataverso la «nouvelle vague», che egli identificava appunto con un indi-rizzo che privilegia questi temi. In realtà, come vedremo, non era l’og-getto in sé a essere contestato, bensì il metodo con cui era studiato.

Il suo grande interesse per i prudentes – che era il termine concui, com’è noto, preferiva indicare i giuristi e che comunica già unavalutazione positiva – è del resto quasi ovvio se solo si ricordi che Ta-lamanca rinveniva il tratto saliente dell’esperienza giuridica romananella «elaborazione del dato pragmatico e normativo a opera di un

3 Gli ordinamenti provinciali nella prospettiva dei giuristi tardoclassici, in G.G. ARCHI

(cur.), Istituzioni giuridiche e realtà politiche nel tardo impero (III-V sec. d.C.), Milano,1976, 166, nt. 197.

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ceto professionale di giuristi»4. È questa presenza che – almeno a suoavviso – permette di distinguere l’esperienza romana da altre dell’an-tichità, in primis dai diritti greci (del che si compiaceva già Cicerone,de orat. 1, 193-7), con forse l’unica eccezione dell’elaborazione tal-mudica del diritto ebraico5.

Data questa centralità, è pressoché inevitabile che i giuristi e iloro metodi siano centrali anche nelle sue indagini.

Inoltre, riteneva che proprio la presenza di una giurisprudenzascientifica renda esemplare l’esperienza romana per la formazione delgiurista odierno. Le formule icastiche con cui Talamanca ha ripetuta-mente messo in risalto la «scientificità» del diritto romano hanno anzicostituito una delle bandiere intorno cui s’è stretta la nostra corpora-zione in questi anni di smarrimento. Un orgoglio alimentato, per laverità, anche da un processo più o meno conscio di auto-identifica-zione dei romanisti con i iuris prudentes e i giuristi ‘tout court’ (ideo-logia dalla quale sono convinto Talamanca fosse, invece, abbastanzaimmune). È un’auto-rappresentazione che meriterebbe un discorso aparte, nel quale si dovrebbe riflettere anche sull’uso che si è fatto diquest’ideologia (o degli slogan che spesso tengono il posto di mancatiapprofondimenti) nelle pratiche accademiche della romanistica re-cente, al proprio interno e nei rapporti con le altre discipline, conesiti che sono sotto gli occhi di tutti.

Interessa, tornando a Mario Talamanca, che la sua predilezioneper l’aspetto argomentativo della iuris scientia ha avuto varie conse-

4 Il diritto in Grecia, in M. BRETONE - M. TALAMANCA, Il diritto in Grecia e a Roma,Roma-Bari2, 1994, 20. In particolare, sulla nozione di scientificità applicata alla giurispru-denza vd. Il ‘corpus iuris’ giustinianeo fra il diritto romano e il diritto vigente, in Studi inonore di M. Mazziotti di Celso, II, Padova, 1995, 774 s.: «il carattere scientifico dell’espe-rienza giuridica … va inteso – al di là di ogni sterile disputa sul concetto di scienza – nelsenso che qualsiasi soluzione di carattere teorico o pratico possa essere argomentata, in unsistema di conoscenza in cui sono fissati i valori normativi e le regole del ragionamento, odi criteri in base a cui tali valori e tali regole vadano di volta in volta individuati». L’unica ag-giunta che conviene apporre – soprattutto in relazione al titolo di questo mio intervento –è che la locuzione iuris scientia, cioè conoscenza del diritto, aveva per i romani una valenzaneutra rispetto allo statuto (se empirico o tecnico) della conoscenza stessa, il che mette inguardia dall’ingannevole assonanza fra iuris scientia e «scienza giuridica» in senso forte.

5 Anche la struttura concettuale del common law gli pareva «se non rudimentale,molto meno raffinata di quella dei diritti più strettamente legati alla vicenda romanistica»:vd. ad es. Il diritto romano fra modello istituzionale e metodologia casistica, in L. VACCA

(cur.), Diritto romano, tradizione e formazione del diritto europeo. Giornate G. Pugliese, Pa-dova, 2008, 332.

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guenze. Ne è dipeso, innanzitutto, che si sia tenuto lontano da queicampi – come il diritto criminale e il diritto pubblico – in cui una si-mile riflessione è stata meno intensa, se non assente. Essendo i giuri-sti romani tecnici del diritto privato, quest’ultimo è stato coerente-mente al centro dei suoi studi, anche per ragioni di valore, perché è ilsettore in cui «la scienza del diritto può realmente svolgere un ruoloautonomo rispetto alla politica e alla stessa economia»6.

Inoltre, la riflessione dei giuristi è stata da lui assunta come crite-rio storiografico tanto semplice, quanto essenziale, il criterio che defi-nirei del «punto di vista interno». Talamanca ha sempre sostenuto cheil compito dello storico del diritto non è quello di ricostruire, a partiredai materiali antichi, un ordinamento nella sua astratta vigenza, assu-mendo indebitamente la veste di (avulso) interprete, bensì di accertarein che modo quell’ordinamento fosse compreso dai contemporanei,dai giuristi in primo luogo (atteggiamento che avrebbe potuto ascri-vere, se avesse avuto piacere per i manifesti metodologici, alla sociolo-gia comprendente di Weber): ciò è del resto coerente con l’idea se-condo cui, a Roma, «era diritto ciò che i giuristi pensavano lo fosse»7.

Questa di rispettare il punto di vista dei contemporanei è un’av-vertenza di metodo che ha speso con particolare frequenza – è diffi-cile dire con quale successo – a proposito del diritto giustinianeo, lacui ricostruzione gli pareva fondata su un terreno friabile proprioperché manca, allo stato della nostra documentazione, quel punto divista coevo unificante, il solo che ci possa restituire l’ordinamentogiuridico nella sua storica vigenza, operazione che non può esserecompiuta dal ricercatore odierno, che commetterebbe altrimentiun’invasione di campo8.

La presenza o assenza di una giurisprudenza «scientifica» costi-tuisce un parametro che Talamanca ha adottato per guadagnare più

6 Così in Francesco de Martino (1907-2002), in «Iura», LIII, 2002, 390, con una ri-flessione – suscitata dal confronto con gli interessi del commemorato – sulla difficoltà ditrovare «un’astratta regola di diritto» nel ius publicum. Ivi anche la confessione di averepiù volte meditato di scrivere un’opera sulla storia costituzionale di Roma, in connessionecon l’insegnamento di Storia del diritto romano tenuto alla «Sapienza» per più di un de-cennio, dal 1973/74 al 1984/85.

7 Il ‘Corpus iuris’ giustinianeo fra il diritto romano e il diritto vigente, cit., 775.8 Il ‘Corpus iuris’ giustinianeo fra il diritto romano e il diritto vigente, cit., 790 ss., ove

indica come unico possibile referente «l’elaborazione delle fonti giustinianee fatta dai pro-fessori di diritto delle scuole bizantine», la cui indagine peraltro non gli pareva né moltocoltivata né promettente.

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precisi punti di riferimento anche nella discussione sul «Vulgari-smus». Alludo all’importante recensione al secondo volume del ma-nuale privatistico di Max Kaser, nella quale Talamanca precisa che divolgarismo si può parlare per il mondo tardo romano se e nei limitiin cui l’esperienza giuridica si sia svolta al di fuori dell’influsso di unagiurisprudenza professionale addestrata secondo uno ‘standard’scientifico, fino a sostenere che «Vulgarismus» e ascientificità sonoun unico concetto9. È una pista che occorrerebbe percorrere, soprat-tutto mettendo a frutto i papiri che sempre più numerosi testimo-niano la circolazione, la lettura e la comprensione delle opere classi-che fra III e VI secolo.

L’intervento chiarificatore nella querelle sul «Vulgarismus» –conviene aggiungere – è uno dei tanti esempi che la sua opera ci for-nisce dell’impiego di schemi analitici non solo rigorosi, ma costruitiin modo da non assumere tratti troppo centrati sull’una o sull’altradelle esperienze esplorate. Sotto questo profilo, il valore dell’opera diTalamanca può essere stimato anche per il repertorio ch’essa ci lasciadi schemi capaci di indirizzare la ricerca senza condizionarla.

3. Esaurite le premesse, si può entrare nel tema dei giuristi edella giurisprudenza, tracciando alcune distinzioni che delimitinomeglio il campo e tentando poi di disporre i suoi studi lungo una li-nea di svolgimento.

A quest’ultimo proposito s’impone una breve avvertenza. Nume-rose note sparse negli scritti di Talamanca annunciano lavori lasciatiinterrotti e mai pubblicati (così ad esempio uno su Quinto Mucio)10;altre rivelano che studi infine dati alla stampa hanno avuto una gesta-zione di molti anni (ad esempio quello sui clientes di Cervidio Sce-vola). Questa condizione – unita all’intrecciarsi frequente delle temati-che – ostacola il tentativo di rintracciare linee interne di svolgimento,sul piano del metodo e degli interessi, e lo espone al rischio d’esserefacilmente smentito quando si disporrà di notizie più dettagliate circal’effettiva cronologia delle ricerche, se diversa da quella che si ricavadalla data di pubblicazione. Tuttavia, se quest’avvertenza deve inco-

9 Rec. a M. KASER, Das römische Privatrecht, II. Die nachklassischen Entwicklungen2,München, 1975, in «BIDR», LXXIX, 1976, 285 ss. Vd. anche L’esperienza giuridica ro-mana nel tardo-antico fra volgarismo e classicismo, in C. GIUFFRIDA - M. MAZZA (cur.), Letrasformazioni della cultura nella tarda antichità, I, Roma, 1985, 27 ss.

10 Vd. infra, nt. 36.

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raggiare a svolgere indagini per stabilire più nel dettaglio tale cronolo-gia, non può indurre a rinunciare in questa sede a un primo tentativodi indicare uno svolgimento lungo l’asse del tempo, l’unico, mi pare,che possa contenere almeno un principio di comprensione11.

Con quest’avvertenza, si può procedere alle distinzioni necessa-rie per chiarire il tema di questo intervento. La prima distinzione èfra gli studi che assumono come oggetto diretto i giuristi e la giuri-sprudenza e quelli in cui tali temi sono un referente mediato12.

Proprio da questi ultimi vorrei prendere le mosse, perché met-tono bene in risalto l’itinerario del pensiero di Talamanca. Va da séche, per la già rilevata centralità dei giuristi nell’ordinamento ro-mano, ai quali spettava in ultima istanza di individuare il ius, la mag-gior parte dei suoi studi si fonda sull’esegesi di testi giurisprudenziali.Parlando di studi che indirettamente hanno per oggetto i giuristi miriferirò tuttavia qui, in senso più limitato, a quelle indagini in cui laricostruzione di istituti o di problemi del diritto privato romano passaesplicitamente attraverso l’accertamento delle posizioni dei singoligiuristi. Appartengono a questo tipo, ad esempio, le ricerche sulla ri-partizione del rischio contrattuale nella compravendita (in particolareil saggio del 1995)13, in cui la regola monolitica del periculum empto-ris viene frantumata a favore di un’impostazione pluralista, che di-stingue le differenti opinioni dei giuristi, nella diacronia e sincronia.L’indagine dimostra che, contro i proculiani, i sabiniani mantenneroa lungo l’impostazione repubblicana che imputava il rischio del peri-mento della cosa al venditore, legando la traslazione del rischio soloall’avvenuta traditio; all’interno di questa secta fu per primo Giulianoa intaccare il principio del periculum venditoris, avvicinandosi all’op-posta opinione proculiana.

Del medesimo tipo è il blocco di studi che verte sulla tipicità deicontratti romani e sul rapporto fra conventio e stipulatio. In partico-lare, due relazioni complementari, tenute a Copanello nel 1988 e aSiena nel 1989, ricostruiscono un’ampia porzione di storia del si-

11 Una scansione, per temi e tempi, delle diverse fasi che si possono individuarenella complessiva produzione scientifica dello studioso è tentata in In memoriam. MarioTalamanca, cit., spec. 819 ss.

12 Per la seconda distinzione, interna al gruppo dei lavori dedicati espressamente aigiuristi e alla giurisprudenza, vd. infra, § 4 (scritti sull’argomentazione) e § 5 (scritti sulrapporto fra costruzione giuridica e strutture sociali).

13 Considerazioni sul ‘periculum rei venditae’, in «SCDR», VII, 1995, 217 ss.

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stema contrattuale dalle XII Tavole a Ulpiano, filtrata anche in que-sto caso attraverso le prese di posizione dei giuristi14.

Questo modo di impostare gli studi sugli istituti, che oggi parenaturale, è stato tuttavia una conquista, lungo la quale si misura unimportante riorientamento della romanistica, e in primis del modo difare ricerca seguito da Talamanca, che lo ha portato a riconoscersinella figura di storico del diritto «che, pur essendo giurista, privilegianell’attuale temperie metodologica l’esegesi testuale, ma anche la sto-ria all’interno della fenomenologia giuridica»15.

È stato già rilevato da Giovanni Finazzi16 che questi lavori, sulrischio contrattuale e sul rapporto fra conventio e stipulatio, affon-dano rispettivamente le loro radici nel libro d’esordio sull’arra nellacompravendita del 1953 e in quello sul compromissum, che nel 1958completò – nel giro di sette anni dalla laurea – la serie di quattro mo-nografie che condusse Talamanca alla cattedra cagliaritana e all’ab-bandono della magistratura ordinaria (nei cui ruoli era entrato nel-l’ottobre del 1955)17.

Per un altro verso, tuttavia, l’indagine sul compromissum fecematurare una svolta nel suo atteggiamento scientifico, che potremmochiamare la scoperta del ius controversum. Con una nota esplicita-mente autobiografica, lasciata cadere nella relazione al convegno diMessina del 1981 sui Cinquanta anni di esperienza giuridica in Italia18,

14 Rispettivamente, La tipicità dei contratti romani fra ‘conventio’ e ‘stipulatio’ fino aLabeone, in F. MILAZZO (cur.), ‘Contractus e pactum’. Tipicità e libertà negoziale nell’espe-rienza tardo-repubblicana, Napoli, 1990, 35 ss.; ‘Conventio e stipulatio’, in N. BELLOCCI

(cur.), Le teorie contrattualistiche nella storiografia contemporanea, Napoli, 1991, 163 ss.Fra gli studi dell’ultimo decennio, è da segnalare ‘Una verborum obligatio’ e ‘obligatio re etverbis contracta’, in «Iura», L, 1999 [pubbl. 2003], 7 ss.; qui p. 20, a proposito della diffi-coltà di comprendere come fosse costruita giuridicamente la fattispecie in cui la somma didenaro data a mutuo venisse calata anche in una verborum obligatio, l’A. rileva come adacuire la difficoltà abbia contribuito il fatto che per lungo tempo «non si affaccia(sse) nep-pure la possibilità che vi fosse stato al proposito ius controversum fra i giuristi».

15 Theodor Mommsen, Roma e l’Italia, in «Studi romani», LII, 2004, 141.16 Cfr. G. FINAZZI, Mario Talamanca (1928-2009), in «SCDR», XXII, 2009, spec.

853 ss.17 Come già la ricerca sulle vendite all’asta uscita nel 1954 prendendo spunto dall’e-

dizione di P. Oxy. 2269, la monografia sul compromissum era stata suscitata anch’essa dallaallora recente pubblicazione di documenti, in questo caso dalle tavolette ercolanesi in temadi compromissum e attinenti al procedimento arbitrale edite nel 1955 da Arangio-Ruiz e Pu-gliese-Carratelli (fra tutte, spicca TH. 56, verbale di un compromesso finium regundorum).

18 Esperienza scientifica. Diritto romano, in Cinquanta anni di esperienza giuridica inItalia (Atti del congresso di Messina-Taormina, 3-8 novembre 1981), Milano, 1982, 743.

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il grande studioso ricordava onestamente la critica rivoltagli da Fran-cesco Paolo Casavola proprio a proposito del libro sul compromis-sum, di avere adottato una concezione troppo impersonale e astrattadi ordinamento, «smorzando – sono parole di Casavola – la diversitàdi visuali dei singoli giuristi, che fanno la storia viva ed interna di unsistema»19. Il recensore aggiungeva che se Talamanca avesse dato ab-bastanza conto del variare di prospettive nel tempo e nelle scuoleavrebbe fatto della sua opera «un invidiabile modello»20.

Non c’è dubbio che Talamanca abbia in seguito assegnato al iuscontroversum un ruolo centrale nella concezione dell’esperienza ro-mana, trasformando le sue ricerche in tale invidiabile modello (pur coni limiti insiti in questa via alla storicizzazione, sui quali torneremo).Nelle sue indagini, a partire dagli anni ’60, a un ordinamento unitariosi venne insomma progressivamente sostituendo un ordinamento plu-rale (egli parlava di «ordinamento aperto»), che sopravvive come or-dinamento coerente nonostante la pluralità delle vedute dei giuristi:«instabile» e «iperstabile» al tempo stesso, secondo una definizione diDieter Nörr che risale al 1974 (nella fondamentale Rechtskritik in derrömischen Antike), da cui Talamanca era rimasto affascinato.

Non deve stupire che quest’esplosione dell’ordinamento nei ri-voli delle diverse opinioni, alla fine degli anni Cinquanta potesse ap-parire un’ottica innovativa: basti ricordare che la conferenza di An-dreas Bertalan Schwarz sul ius controversum, che egli stesso richia-mava più volte come spartiacque21, fu pubblicata nel 1951, quandoTalamanca già si laureava a Roma con Vincenzo Arangio-Ruiz, discu-tendo una Tesi sull’arra della compravendita in diritto greco e romanodestinata appunto a diventare due anni più tardi il suo primo libro22.

L’emersione del ius controversum, negli anni ’50 e ’60, agì anchecome fattore decisivo sul tramonto dell’interpolazionismo. Questametodica, infatti, aveva come presupposto l’esistenza di un ordina-

19 «Labeo», V, 1959, 239.20 Ibid., 240.21 Per una recente rievocazione di quel tornante, vd. M. TALAMANCA, Gli scritti giu-

ridici di Matteo Marrone, in «BIDR», CIII-CIV, 2000-2001 [pubbl. 2009], 711: «… il iuscontroversum ha stentato a farsi strada nell’attenzione dei giusromanisti anche dopo il1948, dal momento in cui – dopo molto tacere su un argomento di cui si era già parlatofino alla prima metà dell’Ottocento – Andreas Berthalan Schwarz disse a Verona dello“strittiges Recht” dei giuristi romani».

22 Risale alla seduta di Laurea (il 16 luglio 1951, ovviamente cum laude) l’incontrocon Edoardo Volterra.

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mento unitario e privo di contraddizioni, che spingeva a tagliare tuttoquello che sporgeva dal monolite (analoga uniformità postulava sulpiano linguistico). Molte delle discrepanze considerate indizio di in-terpolazione erano, invece, proprio le dissensiones fra giuristi.Quando se ne prese coscienza, si disgregò il presupposto della purifi-cazione delle fonti (è la traiettoria attraverso cui, com’è noto, è pas-sato anche il manuale di Max Kaser dalla prima alla seconda edi-zione). Insomma, la disputa che, proprio all’Università di Roma,aveva diviso Riccobono e Albertario e che era, seppur con ragioni di-verse, condizionata su entrambi i fronti da precomprensioni ideologi-che (circa i valori da imputare al diritto romano classico), dopo lametà del secolo s’avviò ad essere superata su nuove, e più tecniche,basi. Proprio tenendo presente il nesso fra declino dell’interpolazio-nismo e emersione del ius controversum, non appare anzi un caso seoggi – abbandonato il costume di riscrivere i testi – per piegare unpasso ai propri desideri accada a taluni studiosi di rifugiarsi in pre-sunte divergenze di opinione fra i giuristi.

Anche per Talamanca, il ricorso alle diagnosi di interpolazione èandato decrescendo mano a mano che ha dedicato più attenzione alledifferenze di opinione fra i giuristi, pur rivendicando sempre la ne-cessità di non passare dall’ipercritica all’ipocritica (altro segnale delsuo equilibrio fra vecchie e nuove impostazioni)23. A questa dichiara-zione di principio ha saputo tenere fede anche nella pratica della cri-tica testuale24.

23 Per il suo passaggio dalla «prudenza nella critica» alla «cautela nella conserva-zione», vd. M. TALAMANCA, La ricostruzione del testo dalla critica interpolazionistica alleattuali metodologie, ora in Problemi e prospettive della critica testuale, Trento, 2011, 217 ss.Notevole la conclusione: «Nell’analisi e nella ricostruzione del testo l’importante è di sa-pere coniugare la serietà, la coerenza e la buona fede» (ibid., 233); nella serietà, ovvia-mente, rientra un’adeguata conoscenza della lingua.

24 Gli interventi sul testo da lui proposti anche in tempi più recenti sono quasi sem-pre minimi (la sua onestà aborriva dalle riscritture dei testi) e spesso giustificati paleogra-ficamente, oltre che motivati giuridicamente. Ne dà un esempio la proposta di emendare,in Ulp. 26 ed. D. 12, 4, 3, 7, heredi in <co>heredi (L’ ‘aequitas naturalis’ e Celso in Ulp. 26‘ad ed.’ D. 12, 4, 3, 7, in «BIDR», XCVI-XCVII, 1993-1994 [pubbl. 1997], 49). L’emen-dazione riesce a spiegare perché, nel caso affrontato dal giurista, l’affrancazione pura com-piuta nei codicilli non eliminasse immediatamente la rilevanza della manumissio sub con-dicione contenuta nel testamento (aspetto che costituisce una vera crux interpretum). Se-condo l’emendazione proposta da Talamanca, infatti, la manumissio era collegata neltestamento con un’heredis institutio, della cui validità la manomissione stessa era il pre-supposto (e a sua volta sospendeva gli effetti della manumissio pura contenuta nei codi-

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La maggior attenzione prestata al ius controversum dalla romani-stica del secondo Dopoguerra non influì solo sull’interpolazionismo.Riconoscere che i giuristi romani dissentivano fra loro implica, infatti,il superamento di quella «fungibilità» che era stata a lungo undogma, visto che questa caratterizzazione risaliva a Lorenzo Valla,ben prima che a Savigny (una scossa in questo senso venne, più chedall’History di Schulz, dall’Herkunft und Soziale Stellung di Kunkel).L’accoglimento della natura controversiale del diritto poneva dunquegli studiosi del secondo Dopoguerra di fronte all’allettante scopertadell’individualità di giuristi. Ma come fare emergere tale individua-lità? Questo è il vero problema, intorno al quale si è aggrovigliata, ein parte dilaniata, la romanistica, soprattutto italiana.

Una prima risposta, cui ha molto contribuito Talamanca, è dianalizzare le concrete soluzioni tecniche offerte dal singolo giurista aivari problemi, cercando dalla loro somma di far emergere un ritratto:è il caso appunto delle indagini sul rapporto fra conventio e stipulatiooppure le indagini sul rischio contrattuale o gli studi sulla societas. Èuna via che riprende il cammino tracciato da Alfred Pernice e Con-tardo Ferrini, con i loro studi dedicati a caratterizzare Labeone e unaserie di giuristi minori, cammino non a caso interrotto dall’interpola-zionismo, che tendeva a omogeneizzare il diritto classico (e di conse-guenza le personalità dei giuristi), invece di cogliere le differenze chelo attraversavano25.

Tuttavia, anche ora che il ius controversum conosce una nuovafortuna, la caratterizzazione dei giuristi che fa leva sulle opinioni incontrasto incontra un doppio ostacolo.

Uno è testuale: la soppressione di molte controversie nel Digestolimita la nostra visuale proprio riguardo alle dissensiones, special-mente rispetto alle opinioni meno fortunate.

Il limite più grave, tuttavia, è che il carattere casistico delle solu-zioni enunciate dai giuristi rende difficile cogliere quando la diffe-renza di opinioni dipenda da divergenti scelte di valore, dall’uso di

cilli). L’intervento è tanto più rivelatore non solo dell’acutezza di chi l’ha proposto, maanche delle sue concezioni, in quanto l’emendazione sana un errore meccanico, cioè nonpresuppone un’alterazione cosciente dei compilatori.

25 Cfr. D. MANTOVANI, Contardo Ferrini e le opere dei giuristi, in ID. (cur.), ContardoFerrini nel I centenario della morte. Fede, vita universitaria e studio dei diritti antichi allafine del XIX secolo, Milano, 2003, 129 ss.

198 DARIO MANTOVANI

schemi argomentativi diversi oppure soltanto da una diversa valuta-zione delle circostanze del caso26.

Così – per fare un esempio che ci riporta a un’indagine di Tala-manca – avere accertato che all’interno della scuola sabiniana persistea lungo l’impostazione repubblicana che imputava il rischio del peri-mento della cosa al venditore, legando la traslazione del rischio al-l’avvenuta traditio, e che all’interno di questa secta fu per primo Giu-liano a intaccare il principio del periculum venditoris, non offre in findei conti una spiegazione del perché il giurista d’orientamento sabi-niano si sia su questo punto avvicinato alla teorica proculiana del pe-riculum emptoris27. È possibile insomma accertare, almeno entro certilimiti, le posizioni di un giurista su un singolo problema e talora se-guire linee di continuità entro le sectae, ma non è facile fare il passosuccessivo, quello di comprendere i diversi valori o mezzi argomenta-tivi che hanno portato a queste diverse soluzioni, valori e mezzi che(una volta che si potessero attribuire con una certa costanza all’unooppure all’altro giurista) farebbero riemergere le fattezze individualidi ciascuno.

Tanto meno v’è modo di collegare questa varietà d’opinioni afattori esterni (possibilmente lungo l’asse del tempo), come invece sivorrebbe secondo l’idea (giusta, ma ardua da precisare) che il lavorodel giurista è immerso nella società che lo circonda e muta con essa.Insomma, proprio perché – quando leggiamo il Digesto – l’evolu-zione del ius ci appare nel suo farsi, dal punto di vista dei protagoni-sti che la attuarono, essa difficilmente riesce a trasformarsi in unavera e propria storia, che richiederebbe una presa di distanza e unamessa in prospettiva, ciò che non potevano compiere i iuris prudentesche erano immersi nel presente.

26 Va aggiunto, fra i limiti che incontra questo genere di indagine, che porre l’ac-cento sui punti di dissenso non può fare perdere di vista che le aree di consenso erano lar-ghissime; esiste accanto al ius dubium il ius certum e più in generale un sostrato comunedei discorsi dei giuristi – in termini sia di contenuti sia di concettualizzazioni – che rendedifficile che si staglino le differenze. Per un esempio del riconoscimento di questa omoge-neità, a proposito della predicazione nullum ed inutile dei negozi, vd. Inesistenza, nullitàed inefficacia, in «BIDR», CI-CII, 1998-1999 [pubbl. 2005], 31, dove la terminologia im-piegata dai prudentes è esaminata come un tutt’uno, «al di là delle personali, ma indimo-strabili, preferenze dei singoli giuristi». Analoga messa in guardia contro le eccessive dif-ferenziazioni fra giuristi in Gli ordinamenti provinciali, cit., 162, nt. 183.

27 Lo riconosceva già M. TALAMANCA, Considerazioni sul periculum rei venditae, cit.,294.

199LA SCIENZA GIURIDICA DEI ‘PRUDENTES’ ROMANI

Il ius controversum apre perciò una via alla ricerca dell’indivi-dualità dei giuristi, che sembra presto richiudersi: in effetti, nelle pa-gine di Talamanca, pur colme di materiali esegetici, si cercherebbe in-vano un ritratto a tutto tondo di un giurista.

Ciò non toglie che ripercorrere dall’interno, per dir così riviven-dola, l’evoluzione del diritto privato romano, attraverso il diramarsidelle opiniones dei giuristi costituisca, al momento, la prospettiva piùadeguata ai documenti. Come s’è accennato, il lettore viene a trovarsi,al cospetto dei testi, in una posizione analoga a quella degli auditoresammessi ad ascoltare i giuristi mentre rendevano i loro responsa; sitrova perciò in una prospettiva favorevole per assimilarne la tecnica,per discere audiendo. È questa possibile fruizione che segna, in defi-nitiva, la rilevanza dell’esegesi per la formazione del giurista: per laprecisione, per la formazione di quello specifico tipo di giurista rap-presentato dai prudentes romani28.

4. Rilevate le difficoltà che s’oppongono a ricercare la persona-lità dei prudentes nel prisma del ius controversum, è il momento divolgerci al secondo insieme degli studi di Mario Talamanca, quelli di-rettamente dedicati ai giuristi e alla giurisprudenza.

Anche a questo proposito occorre fare delle distinzioni e cercaredi disporre gli studi in una linea cronologica. Il suo interessamento aiprudentes mi pare abbia seguito due prospettive abbastanza distinte,una relativa alle forme di argomentazione, l’altra relativa al contestosociale dei prudentes stessi, cioè al rapporto fra i giuristi e il loro pub-blico (e, di conseguenza, al rapporto fra elaborazione del diritto erealtà sociale). Entrambe le prospettive si delineano in un breve girodi tempo, che coincide press’a poco con la chiamata a Roma nell’a.a.1973/74, per la quale Talamanca aveva lasciato Siena, che dal1965/66 era divenuta la sua sede dopo la docenza cagliaritana. Bastirammentare che nell’aprile 1973 tiene la celebre relazione sull’usodello schema genus-species nel pensiero dei giuristi romani e nel mag-

28 Mi pare s’addica a questo riguardo un’osservazione di M. TALAMANCA, La rico-struzione del testo, cit., 237: «Dalla prospettiva di chi guarda dal presente al passato, nonè certo un proficuo lavoro mettersi alla ricerca di quel che è ancora valido, se non vivo, edi quello che non lo è più nelle sententiae dei prudentes. Ci mettiamo alla ricerca di quelche serve, magari per la costruzione del nuovo diritto europeo? Penso che ciò aprirebbeun’altra strada – ve ne sono ahimé più d’una – per la nostra fine».

200 DARIO MANTOVANI

gio del 1974 parla a Firenze degli ordinamenti provinciali nella pro-spettiva della giurisprudenza romana.

Lungo le piste tracciate da questi due interventi si dispongono,negli anni successivi, i più originali contributi offerti da Talamanca alrinnovamento degli studi sulla giurisprudenza romana.

Se entrambe le piste si delineano pressoché contemporanea-mente, il primo indirizzo – su cui ora ci soffermiamo – nasce comeuna presa di posizione critica e, in definitiva, rimarrà sempre orien-tato in posizione piuttosto negativa che costruttiva (a differenza delleindagini sul contorno sociale dei prudentes).

Non occorre ribadire che la celebre relazione su Lo schema ‘ge-nus-species’ nelle sistematiche dei giuristi romani (edita dopo unalunga gestazione nei Rendiconti dell’Accademia dei Lincei del 1977) èun testo che mette alla prova il lettore: tuttavia, lo si riesce a com-prendere più agevolmente se appunto lo si considera, come dichiaradi essere, una presa di posizione rispetto al modo di affrontare la que-stione dell’individualità dei giuristi quale era venuto maturando daparte di esponenti della medesima generazione di Talamanca, in Ita-lia con Casavola e con Bretone, e successivamente con d’Ippolito eSchiavone, in Germania con Nörr, Liebs e Behrends, ma anche con ilpiù anziano Wieacker (maestro dei due ultimi romanisti citati).

L’approccio di questi studiosi – pur nelle notevoli differenze fraessi – non insisteva tanto sulla cernita delle dissensiones fra i giuristi,da ricomporre poi in un ritratto coerente (nella scia del già richia-mato modello di Pernice e Ferrini, tornato attuale dopo la riemer-sione del ius controversum); privilegiava, invece, l’esame dei motiviideologici e dei referenti storico-culturali che hanno condizionato l’o-pera di ciascun giureconsulto (a cominciare dal rapporto con la filo-sofia greca e ellenistica). Tali motivi e referenti sono stati cercati sianei responsa sia, forse più spesso, in notizie biografiche estrinseche re-lative ai giuristi e alla loro cultura. Questo indirizzo della romanistica– maturato negli anni ’60 – ha insomma praticato una forma di stori-cizzazione il cui oggetto non è tanto il diritto, quanto i giuristi, tra-sformati in soggetti storici attraverso la ricostruzione del loro vissutomentale.

La risposta di Talamanca a quest’impostazione non è stata di ri-fiuto, bensì di metodo: ha preteso che, quando si attribuiscano a ungiurista determinate inclinazioni ideologiche o corredi culturali, se ne

201LA SCIENZA GIURIDICA DEI ‘PRUDENTES’ ROMANI

dimostri l’incidenza sul suo lavoro tecnico, ossia si dimostri che ab-biano effettivamente influito sui suoi responsa.

In particolare, nel saggio sullo schema genus-species, il problemadell’eventuale influenza della filosofia greca sui giuristi romani (temamesso all’ordine del giorno fin dagli anni ’20 dalle ricerche di Johan-nes Stroux, il grande filologo classico che dopo la seconda guerramondiale sarebbe diventato il discusso protagonista della riaperturadell’Università di Berlino e primo presidente della Deutsche Akade-mie der Wissenschaften della DDR) è affrontato da Talamanca va-gliando la possibilità di cogliere una precisa corrispondenza fra unaparticolare operazione logica e il pensiero dei giuristi.

Lo studio è il frutto di una duplice presa di posizione, contro i ri-sultati di due indagini scelte honoris causa. La prima è di Dieter Nörr– studioso che ha goduto della sua più alta considerazione – che avevaportato l’attenzione sulla differenza che Cicerone nei Topica stabiliscefra divisio e partitio, intese entrambe come modi della definizione(Top. 28: per l’esattezza, la differenza è fra divisionum definitio e parti-tionum definitio)29. Di queste due diverse tecniche definitorie sarebbetraccia, secondo Nörr, anche negli scritti dei giuristi. Ad esempio, nel-l’incipit di Gaio, la divisio del ius come ius civile e ius gentium sarebbeseguita dalla partitio dei iura populi Romani, articolati per fonti. Dun-que: i giuristi romani erano al corrente di queste sottili differenze de-gli schemi diairetici e le riproducevano nel loro lavoro.

Il punto fatto valere da Talamanca è che non esiste un’effettivadifferenza fra divisionum definitio e partitionum definitio. A partiredalla sistemazione data da Platone e da Aristotele, fino ai commentidi Porfirio e Boezio, la divisione (o diairesi che dire si voglia) operasecondo due modalità fondamentali, che dipendono dall’oggetto sot-toposto a divisione. Quando il genus è una classe astratta, esso vienediviso in species, che mantengono lo stesso nome del genus e si diffe-renziano dalle altre species per caratteristiche che rappresentano ap-

29 La divisionum definitio enuncia tutte le specie (le formae) che sono comprese nelgenere che viene definito (nell’esempio di top. 28, l’abalienatio di una res mancipi: Abalie-natio est eius rei, quae mancipi est, aut traditio alteri nexu aut in iure cessio, inter quos eaiure civili fieri possunt). La partitionum definitio si ha quando la res da definire viene in uncerto senso scissa nelle sue membra (quasi in membra discerpitur), come nell’esempio delius civile la cui definizione mediante partitio ne enumera le varie fonti (ibid.: ut si quis iuscivile dicat id esse, quod in legibus, senatus consultis, rebus iudicatis, iuris peritorum aucto-ritate, edictis magistratuum, more, aequitate consistat).

202 DARIO MANTOVANI

punto le differenze specifiche («I numeri pari sono divisibili per 2con un resto di 0»). Completamente diverso è il punto di partenzadella divisio totius in partes. Qui a essere disarticolata non è unaclasse astratta, ma un tutto concreto: ad esempio, un uomo in capo,tronco e arti. Questa differenza fondamentale viene apparentementeincrinata da Cicerone nei Topica, ma – questa è l’interpretazione diTalamanca – senza che l’oratore in definitiva la infranga, perché an-che la partitionum definitio ciceroniana assume come oggetto da defi-nire una classe astratta – ad esempio il ius civile – non un totum con-creto (l’unica caratteristica differenziale percepibile è che gli oggettisottoposti alla partitio presentano un numero elevato di species – Ci-cerone dice addirittura infinito – sì che nella definizione estensionalemediante partitio si può ometterne alcune senza inficiarne la validità).Se dunque non esiste una partitio definitoria con caratteristiche es-senzialmente diverse dalla divisio, non si può trovarne un riflesso nelmodo di operare dei giuristi.

Il secondo autore preso a partito è Riccardo Orestano, il quale inun importante contributo del 1959 aveva a sua volta ipotizzato unadiversa operatività della divisio, a seconda che essa sia attuata otte-nendo classi chiamate genera o classi chiamate species30. Il genus si ot-terrebbe quando il punto di partenza è «un insieme indefinito», nel-l’ambito del quale «vengono descrittivamente ricercati dei raggrup-pamenti omogenei, ciascuno dei quali potrà essere consideratogenus»; la species si ottiene invece dividendo «un tutto unitario e de-finito». In questa differenza Orestano trovava la chiave per spiegare ilmodo in cui Gaio (3, 88-89 e 182) imposta il tema delle fonti delleobbligazioni, anteponendo inopinatamente il livello della species aquello del genus.

Anche in questo caso, Talamanca critica la premessa logica, ne-gando che il genus possa avere come riferimento un insieme indefi-nito, perché «le divisiones in genera, nel diritto e nelle artes, presup-pongono costantemente, nelle intenzioni di chi le compie, una parti-zione esaustiva della materia»31, insomma muovono anch’esse sempreda un tutto unitario e definito.

30 R. ORESTANO, ‘Obligationes’ e dialettica, ora in ID., Scritti, con una nota di letturadi A. MANTELLO, I.3, Napoli, 1998, 1343 ss.

31 Lo schema ‘genus-species’ nelle sistematiche dei giuristi romani, in La filosofia grecae il diritto romano, Roma, 14-17 aprile 1973 [Quaderni Lincei, CCXXI], II, Roma, 1977,

203LA SCIENZA GIURIDICA DEI ‘PRUDENTES’ ROMANI

A conti fatti, il punto pare chiaro. Chi voglia sostenere che il di-ritto romano è stato influenzato dalla dialettica greca deve fare com-baciare perfettamente i due versanti, come avviene con il symbolonospitale di cui si ricongiungono le due metà. Per Talamanca, in que-sti due casi, la ricongiunzione non era riuscita.

Il grande saggio del 1973-77 ha una seconda parte, dove ven-gono passati in rassegna tutti i luoghi in cui i giuristi romani si impe-gnano esplicitamente in divisioni. Non v’è praticamente mai – so-stiene l’Autore – un tentativo di articolare ampie zone del diritto insovra- e sottoclassi (cioè i giuristi individuano i genera, ma non le spe-cies). La prassi diairetica si esercitava solo in ambiti circoscritti; la co-struzione di un sistema complesso, in cui si componessero le variediairesi compiute al livello dei singoli istituti, non era nelle prospet-tive dei giuristi, a differenza del famoso progetto ciceroniano da at-tuarsi con l’ars quaedam extrinsecus adhibita (de orat. 1, 188). Questopunto è ripreso e ribadito in uno degli ultimi articoli editi (L’oratore,il giurista, il diritto nel ‘De oratore’ di Cicerone)32, ove s’aggiunge l’i-potesi che la proposta di Cicerone, di comporre un’ars iuris civilis,fosse ancora provvisoria quando fu esposta nel de oratore, perché Ci-cerone appare allora non avere ancora approfondito l’incidenza cheuna simile riduzione in ars avrebbe avuto sul metodo dei giuristi.Sono perciò pagine che testimoniano da una parte l’incessante ap-profondimento, dall’altra la fedeltà alla linea di indagine inauguratacon la ricerca su genus e species, che viene confermata anche nel com-miato: e mi fa piacere notare che, in quest’ultima relazione, Tala-manca abbia espresso alto apprezzamento per gli studi ciceronianidel mio indimenticato maestro Ferdinando Bona. Un apprezzamentotanto più significativo perché, va detto, li divideva senz’altro la di-versa simpatia per Cicerone, che per Talamanca aveva il torto di nonessere un giurista, mentre Bona ne ammirava la forza intellettuale an-che quando parlava di diritto.

Si arriva ora al punto cruciale. È diffusa, ma sbagliata, l’impres-sione che Talamanca abbia voluto negare l’influenza del pensiero

200; ivi, 204, nt. 580, discussione dell’altra interpretazione avanzata da Orestano, secondocui Gai. 3, 88-89 adotterebbe lo schema espositivo della coniectura (cfr. Cic. top. 82): l’o-biezione è che lo status coniecturalis non è uno schema espositivo.

32 In «Ciceroniana», XIII, 2009, 29 ss., relazione tenuta al Colloquium Tullianum delCentro di Studi Ciceroniani (Milano, 27-28 marzo 2008).

204 DARIO MANTOVANI

greco sul diritto romano, soprattutto se quest’impressione si basisulla relazione del 1973-77 qui sintetizzata. Bisogna, infatti, tenerepresente che egli scandaglia quest’influenza solo sul terreno delloschema genus-species, ma riconosce che in altri settori del diritto«l’impatto delle concezioni greche, o in genere filosofiche, era d’evi-denza tale da non potersi facilmente preterire»33, ad esempio nellateoria delle cose semplici e composte, la teoria dell’accessione e dellaspecificazione, l’error in substantia. Inoltre, Talamanca ovviamenteaccetta in pieno la valutazione di Pomponio, che individuava nel ri-corso più frequente alla divisio in genera da parte di Quinto Mucioun momento di svolta nella giurisprudenza repubblicana. Anzi, rico-nosce che l’uso della divisio come strumento classificatorio sia statodi grande impatto sulle possibilità operative della giurisprudenza ro-mana.

Quel che contestava è che il contatto fra filosofia greca e dirittoromano sia stato profondo e sofisticato. A suo avviso, vi è stata la ri-cezione di alcuni procedimenti logici o teorie fisiche, senza un parti-colare approfondimento da parte dei giuristi, che si accontentavanodegli elementi più a portata di mano. Soprattutto – il punto è cruciale– non basta fermarsi a riconoscere questi prelievi, occorre anche ca-pire se e come abbiano influito sulle decisioni dei giuristi.

È proprio su questo invito che si chiude il saggio del 1973 (mapubblicato, come s’è ripetuto, nel 1977, il che non è senza rilievo dalpunto di vista della temperie in cui s’inseriva), che esorta le «miglioriforze della storia del diritto antico, in Italia e fuori» a percorrere que-ste indagini con «metodologia rigorosa»34: testimonianza eloquentedello stretto rapporto del suo lavoro con il rinnovamento della nostradisciplina.

Per parte sua, ha dato vari contributi in questa direzione. Lostesso intento – accertare se gli schemi argomentativi abbiano in-fluenzato i responsa dei giuristi – sottende sia il lavoro pressoché con-temporaneo su I ‘Pithaná’ e la logica stoica (del 1975) sia la relazionesu Trebazio Testa fra retorica e diritto (del 1985)35. Quest’ultima è iltentativo di verificare se sulle concrete soluzioni rese dal giurista ab-

33 Lo schema ‘genus-species’ nelle sistematiche dei giuristi romani, cit., 5.34 Lo schema ‘genus-species’ nelle sistematiche dei giuristi romani, cit., 290.35 Rispettivamente, in «Iura», XXVI, 1975, 1 ss. e in G.G. ARCHI (cur.), Questioni di

giurisprudenza tardo-repubblicana, Milano, 1985, 29 ss.

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bia influito lo schema della divisio e quello dell’interpretazione secon-dum scriptum oppure secundum voluntatem. I risultati sono sostan-zialmente negativi, nel senso che le concrete soluzioni di Trebazionon appaiono influenzate da questi presupposti logici o retorici. È darimarcare la scelta del giurista: Trebazio è il destinatario dei Topica,dunque più di altri prudentes può essere assunto come personalitàsensibile all’acculturazione filosofica o retorica. È un esempio diun’altra delle caratteristiche del suo metodo, quello di presceglieretemi o tesi che, per qualche ragione, appaiano già profilati rispetto alproblema che si vuole affrontare.

È rimasta invece inedita un’indagine analoga su Quinto Mucio,forse la più importante36. Stando agli accenni pubblicati, si prefiggevaanche in questo caso indagare se l’uso della divisio avesse portatoQuinto Mucio a estendere la disciplina individuata per casi specificiad altri casi rientranti nello stesso genus o viceversa a escludere l’ap-plicazione delle regole a species diverse.

Con lo studio su Trebazio, a metà degli anni ’80, si può dire cheormai la fase di più diretto interessamento per il pensiero giuridico ele forme argomentative – per dir così, la fase construens – si era esau-rita, lasciando piuttosto spazio al versante critico, cioè al setaccio deirisultati altrui. Un momento significativo di questo accentuarsi delpungolo critico è già la rassegna Per la storia della giurisprudenza ro-mana, sempre del 1977, che ha per oggetto i contributi su Celso,Pomponio, Africano, Giuliano, Papiniano, Paolo e Ulpiano raccoltinel volume II, 15 dell’Aufstieg und Niedergang der römischen Welt eche dichiaratamente si presenta come una reazione alla letteraturache negli ultimi tempi andava incentrandosi sulla storia della giuri-sprudenza romana e sui singoli giuristi. Ancora una volta, Talamancachiede che si dimostri se e come i referenti metagiuridici, ideologici,filosofici, retorici che vengono evocati abbiano concretamente in-fluito sulle decisioni casistiche dei giuristi. In questo contesto, pur nelquadro di una valutazione complessivamente negativa, si legge: «Èmia profonda convinzione che la ricerca impostata sul rilevamentodel contributo particolare delle singole personalità dei giuristi, indivi-

36 Costruzione giuridica e strutture sociali fino a Quinto Mucio, in A. GIARDINA - A.SCHIAVONE (cur.), Società romana e produzione schiavistica, III. Modelli etici, diritto e tra-sformazioni sociali, [Roma-Bari], 1981, 35 e 343, nt. 151; cfr. Per la storia della giurispru-denza romana, in «BIDR», LXXX, 1977, 196, nt. 4.

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dualmente differenziati, e sulle procedure comuni a tutta la giuri-sprudenza romana sia estremamente valida, e che i pericoli maggioriper essa si annidino per l’appunto nella mancanza di un rigoroso con-trollo sulla metodologia adoperata»37. È appunto a snidare questi pe-ricoli che andrà in seguito rivolgendo le sue forze, dando forse l’im-pressione che egli rifiutasse in blocco una prospettiva, che, al contra-rio, riteneva «estremamente valida», purché ben condotta. L’effettosul piano della storiografia non è stato favorevole: l’accentuarsi del-l’impulso critico ha aggravato l’incomunicabilità fra diverse prospet-tive di ricerca, celando persino modelli in positivo che lo stesso Tala-manca andava proponendo e ai quali conviene ora volgerci.

5. Come si ricorderà, anche la presente esposizione si regge suuna divisio. Sono stati distinti, da una parte, gli studi sugli istituti, incui l’attenzione ai giuristi è indiretta, dall’altra gli studi che assumonoi giuristi e la giurisprudenza come loro oggetto principale. In questosecondo ambito, s’è parlato finora del filone di ricerca sulle formedell’argomentazione, che si è visto nascere essenzialmente come presadi posizione critica rispetto a ipotesi altrui.

Ora, sempre nell’ambito degli studi dedicati principalmente aigiuristi, bisogna delineare un’altra direttrice di ricerca, del tutto ori-ginale e anche meno conosciuta, quella che collega la dimensione tec-nica della iuris prudentia al contorno sociale dei prudentes, e che fa lasua comparsa, se non erro, nella menzionata relazione sugli ordina-menti provinciali nella prospettiva dei giuristi romani, svolta a Fi-renze nel 1974 su invito di Gian Gualberto Archi.

A parte l’ammirazione che suscita rendersi conto che questo sag-gio è stato redatto pressoché in contemporanea con quello sulloschema genus-species, si vede qui l’insigne romanista percorrere unanuova via verso la storicizzazione, cercando di dare corpo al mondocui i casi fanno riferimento, sia sotto il profilo geografico e istituzio-nale (se cioè nell’ambito di Roma, dell’Italia, delle province e, in que-st’ultimo caso, distinguendo lo statuto della città), sia sotto il profilodei soggetti coinvolti.

La conclusione di questo lavoro è che solo nel corso del II se-colo, sotto la spinta delle consultationes, nella riflessione dei giuristicominciano a affacciarsi casi ambientati in provincia, che vengono

37 Per la storia della giurisprudenza romana, cit., 198.

207LA SCIENZA GIURIDICA DEI ‘PRUDENTES’ ROMANI

tuttavia affrontati in modo non diverso da quelli che rilevano daRoma e dall’Italia, senza che venga dato particolare rilievo alle strut-ture istituzionali delle provincie. Solo con Marciano e soprattutto conModestino, nel III secolo inoltrato, i giuristi iniziano a mettere inprimo piano la realtà provinciale, intesa dal punto di vista pubblici-stico delle strutture giurisdizionali e amministrative.

Al contempo, quest’indagine trova modo di aprire la strada a unaltro tipo di ricerca, volta a cogliere nel suo complesso la prospettivaadottata da un giurista in determinati generi letterari, in questo casoil de officio proconsulis, che è il genere che, secondo Talamanca, sorgeproprio quando una considerazione più approfondita dei rapportiprovinciali non riesce ad attuarsi nei tipi già correnti nella giurispru-denza romana. Un metodo, questo che collega genere letterario econtenuti, dal quale sono stato personalmente influenzato quando hoiniziato le mie ricerche sulle opere dei giuristi nella seconda metà de-gli anni Ottanta.

Il modulo d’indagine che collega le consultationes dei clienti aicontenuti è stato poi ripetuto da Talamanca sulla giurisprudenza re-pubblicana, nello studio su Costruzione giuridica e strutture socialifino a Quinto Mucio, del 1981; nella relazione di apertura dellaSIDHA di Crotone del 1998, su Diritto e prassi 38; infine, e soprattutto,nel lavoro estremo sui I clienti di Q. Cervidio Scevola, che ci mostrauno studioso ancora al sommo del suo ingegno e che è anzi uno deiculmini della sua produzione39. Qui, svolgendo nel dettaglio il conte-nuto di una nota del lavoro del 1974 sugli ordinamenti provinciali40,dimostra che Scevola è il consulente di membri delle classi elevatedella società romana, nel II secolo d.C. ormai estesa significativa-mente alle province, da cui gli si rivolgono, di persona o per lettera,senza particolari divergenze fra Occidente e Oriente. Ben diversa èl’utenza della cancelleria imperiale, di livello più modesto, benchénemmeno costoro fossero dei diseredati.

Il punto di partenza di questi lavori è dunque sociologico. Si sache l’aggettivo «sociologico» per Talamanca era un insulto, ma non si

38 Costruzione giuridica e strutture sociali fino a Quinto Mucio, cit., 36 ss. (ma in que-sto saggio sono studiate anche le tecniche di argomentazione); Diritto e Prassi nel mondoantico, cit., 105 ss.

39 I clienti di Q. Cervidio Scevola, in «BIDR», CIII-CIV, 2000-2001 [pubbl. 2009],483 ss.

40 Vd. supra, nt. 3.

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nascondeva che proprio di questo si trattasse, almeno sul piano dellaraccolta dei dati41. Il punto è che il livello meramente sociologico ve-niva superato, per ingranarsi in una prospettiva che penetra inprofondità il modo di lavorare dei giuristi. Il metodo è semplice, nellasua genialità: siccome il diritto romano è orientato sulla casistica, è si-curo che i responsa dei giuristi siano stati influenzati dalla tipologiadelle questioni che venivano loro sottoposte.

È una direttrice che si può anch’essa ricollegare alla storiografiagiuridica maturata dopo gli anni ’50. Non si va lontano dal vero a cer-carne lo spunto più profondo nell’indagine di Edoardo Volterra del1967 condotta sulla base economica della elaborazione sistematicadel diritto romano. In questa mirabile indagine – ancora recente conla sua forza innovativa quando Talamanca si volse a esaminare larealtà provinciale che fa da sfondo ai casi esaminati dai giuristi – Vol-terra passa in rassegna la natura della casistica e in particolare il va-lore economico delle questioni sottoposte all’attenzione dei giuristi42.

Alla base di questa ricerca sta l’intuizione – che lo stesso Volterrasegnala come foriera di una nuova prospettiva di studio – che «il re-spondere … ha potentemente influito sulla formazione e lo svolgi-mento del diritto romano e sulla sua inquadratura teorica»; di conse-guenza, la genesi del diritto romano era in qualche misura influenzatadal tipo dei casi su cui venivano sollecitati i responsa. Come si vede, èil medesimo principio adottato da Talamanca (il quale lo riformulavacosì: «è dalla prassi mediata dall’attività respondente che i giuristi ro-mani ricavano in massima parte gli spunti di natura pragmatica, chepoi rielaborano a livelli più o meno sistematici e teorici»)43.

41 I clienti di Q. Cervidio Scevola, cit., 484.42 E. VOLTERRA, La base economica della elaborazione sistematica del diritto romano

(1967), ora in ID., Scritti giuridici, con una nota di M. Talamanca, V, Le fonti, Napoli, 1993,123 ss.

43 Gli ordinamenti provinciali, cit., 234. È opportuno precisare (anche rispetto aquanto ho scritto sul punto nel mio intervento In memoriam. Mario Talamanca, cit., 834 s.)che i due studi – quello sugli ordinamenti provinciali e quello sui clienti di Scevola – ben-ché connessi (il secondo, come s’è detto, era già prefigurato in una nota del primo), hannoobiettivi diversi. Il primo, conformemente al convegno in cui si inseriva – dedicato alle isti-tuzioni giuridiche e realtà politiche nel tardo-impero – vuole accertare se i giuristi romaniabbiano tenuto conto della realtà provinciale, intesa essenzialmente come strutture giusdi-centi e amministrative. Da questo punto di vista, le consultationes dei clienti vengonoprese in considerazione come il principale tramite attraverso cui questa realtà iniziò a es-sere posta ai giuristi romani, e finì per assumere un rilievo notevole dalla metà del III se-colo. Invece, nello studio sui clientes di Cervidio Scevola, le consultationes sono in sé e per

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La differenza fra i due svolgimenti è che mentre in Volterra l’in-dagine verteva piuttosto sui contenuti economici dei casi, in Tala-manca essa attiene allo status sociale e alla posizione geografica di chisottopone i casi. Da questo punto di vista, si può dire che la sua ri-cerca rappresenti l’altra faccia del lavoro di Kunkel: a essere schedatinon sono i giuristi, ma i loro clienti44. Di più: si può affermare, purcon molta prudenza, che sia un tentativo di superare lo schematismodel materialismo storico, che vede nel diritto una sovrastruttura deirapporti economici, e di calare invece il rapporto fra ceti e forma-zione del diritto nella specificità dei modi in cui a Roma avveniva il deiure respondere. Non è senza significato che questo approccio siastato messo a punto sul finire degli anni Sessanta e nel decennio suc-cessivo, quando più forti erano le tendenze a introdurre l’analisimarxista nella storiografia anche giuridica45.

Veniamo ora alle conclusioni cui porta l’indagine di Talamancache unisce le due polarità del responsum (giuristi e clienti). Il puntodi partenza (quasi un postulato) è che vi sia una solidarietà di ceto frai giuristi e il loro pubblico; questa solidarietà fa sì che «il compito deigiuristi si svolgeva prevalentemente, se non esclusivamente, nell’am-bito dei ceti economicamente e politicamente dominanti, ai quali, delresto, essi stessi appartenevano»46.

L’implicazione è della più grande portata. Se è vero che chi si ri-volge ai giuristi è più o meno dello stesso ‘entourage’, la conclusioneè che il diritto giurisprudenziale romano aveva una estensione – unaeffettività – piuttosto limitata, riguardava uno strato sottile dei citta-dini romani (e, sul piano geografico, si diffuse tardivamente alle pro-vince, quando anche fra i giuristi cominciarono a infiltrarsi cittadiniromani di patria provinciale).

Non è il caso di entrare qui in una discussione nel merito, se nonper mettere in luce due aspetti che potrebbero stimolare nuove inda-

sé l’oggetto della ricerca, nel senso che lo scopo è proprio quello di accertare il ruolosocio-economico dei clientes. Sotto questo profilo, è piuttosto la seconda indagine che siavvicina a quella di Volterra, pur con le differenze sottolineate nel testo.

44 Cfr. Gli ordinamenti provinciali, cit., 234.45 Ai giorni nostri, è un modo di leggere le fonti che varrebbe la pena di confrontare

con quell’analisi economica del diritto (romano) che da qualche tempo è invalsa soprat-tutto nei paesi in cui il Corpus Iuris ha meno pregio come documento di pensiero giuridicoe più come documento storico.

46 I clienti di Q. Cervidio Scevola, in «BIDR», CIII-CIV, 2000-2001 [pubbl. 2009],677.

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gini. Il primo – per così dire verso l’alto della scala sociale – è che siviene a determinare una divergenza fra le conclusioni di Talamanca equelle di Volterra che, com’è noto, riteneva che i giuristi non si occu-passero «dei grandiosi interessi degli individui o dei gruppi che dete-nevano immense ricchezze immobiliari e mobiliari»47. Pur con le dif-ferenze a tutti note che passano tra nobiles e equites e pur ricordandoil rapporto ideologicamente complesso che i ceti aristocratici romaniintrattenevano con la ricchezza (quale traluce fin dal proemio del deagricultura di Catone), è infatti assodato che i giuristi romani, nell’etàrepubblicana e fino all’incipiente II secolo d.C. appartengono esatta-mente ai ceti detentori delle maggiori ricchezze immobiliari e mobi-liari: basta a dimostrarlo la figura di Publio Licinio Crasso Divite Mu-ciano, nobilissimus, ditissimus e iuris consultissimus. Ci si attende-rebbe dunque di trovare consultationes di personaggi di alto rango edi cospicuo patrimonio. A questo riguardo – come spunto per unafutura discussione – segnalo un passo che non trovo menzionato nelleindagini di storia socio-economica, e che invece può avere una por-tata notevole. Si tratta di D. 26, 8, 5, 3-4, ove Ulpiano discute il casodel tutore che compri un bene del pupillo per interposta persona. Ul-piano precisa che la vendita è nulla quia non bona fide videtur remgessisse (scil. tutor). Invece la vendita è valida se il tutore ha dichia-rato pubblicamente di essere il compratore e abbia poi dato, in al-trettanta buona fede, un intermediario al fine di concludere il con-tratto; il giurista nota infatti che le persone di rango (honestiores) nonamavano vedere il proprio nome figurare nei documenti e perciòerano solite spendere il nome altrui (Ulp. 40 Sab. D. 26, 8, 5, 4: Sanesi ipse quidem [scil.: tutor] emit palam, dedit autem nomen non malafide sed simpliciter, ut solent honestiores non pati nomina sua instru-mentis inscribi, valet emptio).

Di fronte a una prassi di questo genere, viene da chiedersi se dav-vero il rango di chi figura come parte dei negozi sottoposti ai giuristisia un’indicazione affidabile riguardo alla posizione sociale dell’effet-tivo titolare dell’affare o se invece non rischi di fare scomparire dallanostra visuale proprio i ceti più abbienti, che agivano per intermediari.

47 E. VOLTERRA, La base economica della elaborazione sistematica del diritto romano,cit., 270. Una riserva in proposito è in effetti enunciata in M. TALAMANCA, Costruzione giu-ridica e strutture sociali fino a Quinto Mucio, cit., 353 nt. 210, e, con spunti critici più pre-cisi, in Diritto e Prassi nel mondo antico, 180 s., con le note 218-220.

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Anche all’altro estremo della scala sociale, la ricerca condotta daTalamanca sui clientes di Scevola apre un interrogativo, perché portaa ritenere che il diritto (almeno il ius che cadeva sotto il controllo deigiuristi respondenti) di fatto non si estendesse a un enorme campo,quello dei ceti bassi a Roma, nei municipi e colonie italiche e nellecittà romane (e anche Latine) in provincia48.

Le indagini sull’effettività del diritto romano compiute attra-verso il Digesto sono tuttavia oggi da integrare con le testimonianzesempre più abbondanti dei documenti della prassi, soprattutto dell’a-rea campana, fra Tiberio e Vespasiano. Gli archivi dei banchieri Sul-picii e di Cecilio Giocondo nonché le Tavolette di Ercolano mostranoche l’applicazione quotidiana del diritto corrispondeva ai dettamidella giurisprudenza. La capillare diffusione del diritto romano – acominciare dal processo formulare – sembra confermata anche per leprovince, a mano a mano che affiora nuova documentazione epigra-fica, e ciò anche in rapporto a piccole comunità (come mostra, adesempio, la recente lex paganica rivi Hiberiensis).

Viene poi da chiedersi – in modo speculare rispetto al caso giàvisto degli honestiores che preferivano far comparire negli affari i nomidei loro subalterni – se i ceti meno abbienti non si facessero rappre-sentare da personaggi di livello almeno un po’ più alto del loro nelleconsultationes da rivolgere anche epistolarmente ai giuristi (così comele città spesso ricorrevano a personalità di rango per trasmettere leloro preces a governatori e imperatori): basti del resto pensare alla dif-ficoltà insita nel redigere una lettera in cui fossero esposti efficace-mente i fatti e ben formulato il quesito. Con il che di nuovo ci si puòchiedere se l’indagine incentrata sulle condizioni sociali di coloro cherisultano sottoporre le consultationes sia idonea a cogliere la totalità

48 La questione mi sembra sia stata da lui affrontata essenzialmente per i municipi ecolonie italiche, con la conclusione che «la sentenza si basasse su una valutazione perso-nale del giudicante, assistita – non si sa fin quanto – da conoscenze tecniche e/o fondatasu considerazioni equitative»: Diritto e prassi nel mondo antico, cit., 189. La considera-zione che i documenti processuali relativi alla prassi italica non forniscano molti appigliper giudicare dell’effettività del diritto romano sul piano sostanziale «perché riguardanoprevalentemente la comparizione delle parti in giudizio» sembra tuttavia troppo scettica;essendo il diritto processuale parte fra le più tecniche del diritto romano (e stante la com-penetrazione fra azione e diritto soggettivo) la conformità della prassi processuale a quelladel processo formulare urbano è un indice significativo, che lascia presumere una piùestesa effettività del diritto romano anche sul piano sostanziale.

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della scala sociale o rischi di nasconderne, per ragioni opposte, gliestremi.

Vi è infine una considerazione che riguarda in generale il munusdel giurista. In una società aristocratica, la legittimazione dell’élitedoveva essere acquisita proprio prestando gratuitamente la propriaopera a una cerchia ampia di cives: è la rappresentazione che ne fa Ci-cerone in de officiis 2, 65, dove afferma che per aumentare il propriopeso sociale e i vincoli di riconoscenza una strada maestra è dare con-sulenza giuridica quam plurimis cioè al maggior numero possibile diutenti.

Non è il caso di andare oltre. Quale che sia l’opinione che si di-fenda, la strada aperta da Volterra e imboccata da Talamanca nel1974, con l’indagine sulle realtà provinciali, poi proseguita fino all’ul-tima ricerca sulle consultationes sottoposte a Scevola, indica una pro-spettiva di grande importanza. È, in sintesi, un modo sottoporre a ve-rifica l’Isolierung, che per molti riassumerebbe la condizione della iu-ris prudentia romana, d’essere relativamente impermeabile alla realtà:Talamanca, si sa, aborriva gli slogan, ma voleva metterli alla prova nonsul piano ideologico, ma attraverso una concreta prassi di ricerca49.

6. Come s’è accennato, gli studi sui giuristi e la giurisprudenzahanno registrato il loro picco nel quindicennio fra il 1973 e il 1987, perpoi entrare in un’impasse50. Contemporaneamente, nel 1987 iniziava larassegna delle Pubblicazioni pervenute alla Direzione del Bullettino cheper un decennio avrebbe assorbito tante energie, già drenate dal ruoloaccademico più impegnativo assunto dall’inizio degli anni Ottanta,come Preside della Facoltà di Giurisprudenza di Roma51.

Si ha l’impressione che le speranze di vedere fiorire nel seno

49 Sull’«Isolierung» come nozione sottoposta a verifica vd. esplicitamente Gli ordi-namenti provinciali, cit., 96 s.; 246.

50 Cfr. Développements socio-économiques et jurisprudence romaine à la fin de larépublique, in Studi in onore di C. Sanfilippo, VII, Milano, 1987, 775 ss., dove trovano unsignificativo punto di incontro i due filoni messi in luce, quello sociologico e quello argo-mentativo: secondo l’A., l’uso della divisio da parte di Quinto Mucio comportò un piùfacile dominio della materia e dunque rispose entro certi limiti alla necessità di rendere ilius conoscibile anche al di fuori del ceto dei giuristi nobili entro la cui cerchia era rimastocustodito.

51 Dall’a.a. 1980/81 a tutto l’a.a. 1994/95; in tale veste, fu Presidente della Confe-renza dei Presidi delle Facoltà di Giurisprudenza dal novembre 1985 alla fine di ottobredel 1995.

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della romanistica un nuovo terreno di studi abbiano lasciato il postoa una profonda diffidenza, che naturalmente si è ancor più irrigiditaquando il contrasto si è trasferito dal piano scientifico a quello del re-clutamento accademico, dando vita a contrapposizioni che, a mio pa-rere, hanno finito per nascondere quanto di vitale vi fosse nelle primefasi di questa vicenda storiografica e hanno nociuto non poco allacrescita della nostra disciplina. Nel farsi, da scientifica, accademica ladivisione di campo ha dato cioè facile scappatoia a chi ha ritenutomeno rischioso rimanere nel recinto della tradizione, senza sperimen-tare quel rapporto con l’innovazione che lo stesso Talamanca avevamostrato di ritenere essenziale. Vale anzi la pena di citare questo suocondivisibile aforisma, la cui conclusione potrà forse suonare inat-tesa: «Se la conservazione e l’innovazione sono sempre due momenticoesi alle vicende dell’umanità, altri direbbe al “progresso”, difficileda praticare con saggezza è soprattutto la prima»52.

Al di là del rapporto critico che manteneva con la produzionecoeva attraverso la forma delle recensioni, nell’ultimo decennio l’inte-resse per i iuris prudentes è tuttavia ritornato prepotente nella suapratica di ricerca. Di alcuni lavori s’è già parlato, che si inquadranonel secondo dei due filoni sopra distinti, quello relativo al rapportofra le costruzioni giuridiche e le realtà sociali (dalla relazione intro-duttiva alla Société del 1999 – un vero pozzo di temi di ricerca da svi-luppare – all’ultimo articolo sui clienti di Scevola).

Quanto al filone più specificamente attinente alla tecnica dei giu-risti, inaugurato a suo tempo dal saggio sullo schema genus-species,nell’ultimo decennio della sua attività spiccano per importanza duestudi dedicati a parole espressive di valori, ossia La bona fides nei giu-risti romani: Leerformeln e valori dell’ordinamento (relazione al con-vegno patavino del 2001 in onore di Alberto Burdese, altro insigneromanista di cui la nostra comunità ha sofferto la recente scomparsae al quale mi legava una sentita gratitudine dai tempi in cui frequen-tavo il ‘suo’ Dottorato di ricerca ‘del Nord’)53 e L’aequitas nelle costi-

52 Il diritto romano fra modello istituzionale e metodologia casistica, cit., 332: il con-testo lascia aperta la possibilità di un’interpretazione opposta secundum voluntatem.

53 Questa struttura formativa, che aveva come sedi Milano, Genova, Torino, Bolo-gna e Padova era l’esempio di come i dottorati consortili, ora pressoché soppressi, con-sentissero ai giovani laureati l’incontro con metodologie diverse e ne potessero anche fa-vorire l’inserimento nella carriera universitaria, come è capitato a me, grazie alla circola-zione fra le sedi.

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tuzioni imperiali del periodo epiclassico (apparso nelle giornate tren-tine in ricordo di Paolo Silli del 2004). Il comune denominatore delledue relazioni è di accertare la pratica operatività e i concreti referenti,nel pensiero giuridico romano, di due categorie generali come, ap-punto, bona fides e aequitas. Il metodo di indagine è quello induttivo(o esegetico che dire si voglia): si tratta non di assumere queste locu-zioni come criteri decisori a priori, bensì di ricavarne il contenutodalla casistica romana.

Nella decisione di riprendere a coltivare questo filone di studi haprobabilmente inciso anche la possibilità di avvalersi delle risorse del-l’informatica – innovazione di cui era stato come al solito fra i primia riconoscere le potenzialità – che gli facilitavano gli spogli lessicalidelle fonti, dandogli il conforto di potere procedere a confronti com-pleti, che erano uno dei fondamenti del suo metodo. Gli spogli si pre-stano persino – com’è particolarmente evidente nello studio dedicatoall’aequitas – all’uso della statistica per stimare con maggiore obietti-vità lo stato delle fonti.

Talamanca giunge così alla conclusione che la bona fides (di cuiaccerta l’impiego, in senso oggettivo, pressoché solo nei rapporti tu-telati appunto dai iudicia bonae fidei) consente di richiamare e ren-dere operanti per il giurista (e per il giudice che ne segua i pareri) va-lori presenti nella società. Tali valori si cristallizzano in regole di cor-rettezza – a cominciare da quella che impone il rispetto per la paroladata – che tuttavia non assurgono a «una serie precostituita di valorimuniti di un’eterna validità»54 (considerazioni analoghe valgono perl’aequitas). Nel pensiero dei giuristi romani, principi come la bona fi-des e l’aequitas hanno insomma una funzione strumentale (il che nonvuol dire – anche questa esagerazione contraria dev’essere evitata –che fossero privi di contenuto, tutt’altro), che esercitano in concor-renza con altri valori riconosciuti dall’ordinamento, come ad esempioil principio della tipicità contrattuale.

È del tutto chiaro che l’obiettivo polemico di questa ricostru-zione è il giusnaturalismo, inteso come modo di arrivare a una solu-zione sulla base di valori precostituiti («vuote formule colorate d’e-terno») e, in definitiva, senza la mediazione tecnica dei giuristi. È unaconclusione, la si accolga o meno, che è la summa del suo modo di in-tendere il lavoro tecnico dei giuristi.

54 La bona fides, cit., 310.

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7. Gli ultimi studi – accennando ai quali anche il mio interventosi avvia alla conclusione – ribadiscono un altro dei tratti distintividella figura intellettuale di Talamanca, cioè che nella sua tastiera v’e-rano tutte le ottave possibili, perché era ben consapevole, per esem-pio, che i contenuti giuridici sono mediati dai testi, e dunque richie-dono preventivi accertamenti.

Sia consentito, al proposito, un piccolo esperimento. Se qualcunosostenesse che il nome di un tutore (Antistius Cicero) che compare inun passo dei Digesta di Cervidio Scevola non è reale, bensì solo ilfrutto di un motto di spirito che allude al grande giurista e al grandeoratore; e se su questa base sostenesse che i Digesta sono la raccoltanon riveduta dei materiali lasciati alla sua morte da Scevola, perchésolo Scevola stesso – e non un eventuale rielaboratore – avrebbe po-tuto permettersi il motto di spirito, molti penserebbero di trovarsi difronte ad una di quelle congetture che Talamanca non avrebbe esitatoa stroncare. Invece è una sua riflessione, tanto acuta quanto persua-siva; soprattutto, non è fine a se stessa, ma è funzionale a comprenderese i Digesta di Scevola riflettano fedelmente l’archivio del giurista55.

Altrettanto vale per l’articolo del 2007 sul § 49 dell’enchiridiondi Pomponio, relativo alle modalità di certificazione scritta dei re-sponsi dei giuristi, che apre uno spiraglio per comprendere il rap-porto fra le consultationes e la genesi delle opere: mostra infatti che iresponsa erano da subito oggetto di trascrizione, il che per così direattenua la decantata oralità dei giuristi romani56. Anche la ricostru-zione palingenetica ha ricevuto, nelle sue pagine più recenti, qualchesignificativo cenno d’attenzione57.

55 I passi sono risp. Scaev. 16 dig. D. 34, 3, 28, 4 (dove oltre ad Antistius Cicero com-pare Iulius Paulus, il nome dell’allievo di Scevola) e 3 resp. D. 34, 2, 31, 2-3 (dove sono so-stituiti da più anodini Lucius Titius e Publius Maevius). Il fenomeno, considerato «indizioabbastanza sicuro nel senso che vi fossero stati interventi sulle consultationes» da parte diScevola nei Digesta, è segnalato in M. TALAMANCA, I clienti di Q. Cervidio Scevola, cit., 534ss. Naturalmente, altri potrebbe invece vedervi la firma di chi rielaborò i materiali lasciatida Scevola, e identificarlo con l’allievo Paolo.

56 Pomp. ‘sing. Ench.’ D. 1.2.2.49 e le forme dei ‘responsa’ dei giuristi repubblicani:una vicenda forse esemplare, in Fides, Humanitas, Ius. Studii in onore di L. Labruna, VIII,Napoli, 2007, 5499 ss.; ulteriori precisazioni in I clienti di Q. Cervidio Scevola, cit., 503 ss.

57 Contributi alla palingenesi della giurisprudenza romana, I. Dig. 18. 1. 34 e la strut-tura del lb. 33 ‘ad edictum’ di Paolo, in Estudios A. Calonge, II, Salamanca, 2002, 999 ss.,ancora in tema di periculum emptoris.; vd. anche Otto Lenel e la ‘Palingenesia’, in O. LE-NEL, Palingenesia iuris civilis, I, rist. a c. di L. Capogrossi Colognesi, Roma, 2000, I ss.

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La spigolatura nella produzione dell’ultima stagione, così riccadi frutti maturi e freschi allo stesso tempo, potrebbe continuare, maè tempo di concludere. Lo faccio menzionando, sempre nella produ-zione più recente, le pagine apparse nel 2006, nel liber amicorumJuan Miquel, non senza sottolineare che la frequenza con cui Tala-manca dedicava i suoi studi agli amici descrive un aspetto non secon-dario della sua umanità58.

Il saggio corrobora con un’esauriente dimostrazione un’emenda-zione congetturata da Vittorio Scialoia, una delle sue figure di riferi-mento, insieme ai reali maestri Arangio Ruiz e, su un altro piano, Vol-terra e Betti. Nell’approntare l’edizione ‘milanese’ del Digesto, Scia-loia aveva intuito che la lezione in melius di F (§ 13) (constare nonpotest ius, nisi sit aliquis iuris peritus, per quem possit cottidie in me-lius produci) debba essere emendata in medium, a significare: «Il di-ritto non può sussistere se non vi sia un giurista che ogni giorno lometta in mezzo, a disposizione comune». A ben vedere, questa frasedi Pomponio riassume esattamente il ruolo centrale che, secondo Ta-lamanca, il giurista necessariamente riveste nell’ordinamento, a di-spetto della ricorrente sfiducia dell’opinione pubblica nei confrontidei tecnicismi giuridici e dei tecnici chiamati a presiedervi59.

Nel saggio, mentre non risparmia confronti esegetici per dimo-strare sul piano delle fonti la necessità di emendare il testo di Pom-ponio, Talamanca dichiara che alla correzione ‘in medium’ lo spingeanche l’antipatia per il carico ideologico che tanti mettono nell’e-spressione ‘in melius’ produci. Come ho cercato di mostrare, quest’al-lergia per la retorica del progresso non implica che fosse chiuso alrinnovamento. Anzi, ogni sua pagina è un’esortazione a non fermarsialle idee ricevute. Persino correggere il testo tramandato dalla litteraFlorentina è lecito, purché si operi con metodo.

58 Pomp. sing. ench. D. 1.2.2.13: ‘in melius’ od ‘in medium produci’?, in Liber amico-rum J. Miquel. Estudios romanísticos con motivo de su emeritazgo, Barcelona, 2006, 965 ss.

59 La sua concezione, anche civile, del ruolo del giurista trova un’espressione parti-colarmente sentita in Sbaglio a fare il giudice?, Milano, 1974.