L’ambiente naturale e l’economia agraria del nucleo rurale medievale e post-medievale di...

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CASTELLO LOCELLA Un nucleo abitativo in Valpia tra Medioevo ed Età Moderna a cura di Daniele Arobba, Roberto Grossi, Giovanni Murialdo ISTITUTO INTERNAZIONALE DI STUDI LIGURI Sezione Finalese Finale Ligure 2003

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CASTELLO LOCELLAUn nucleo abitativo in Valpia

tra Medioevo ed Età Moderna

a cura diDaniele Arobba, Roberto Grossi, Giovanni Murialdo

ISTITUTO INTERNAZIONALE DI STUDI LIGURISezione Finalese

Finale Ligure 2003

Le indagini archeologiche condotte in Ca-stello Locella hanno fornito l’occasione perun’indagine archeobotanica basata sui cam-pioni di carboni di legno e sui resti carpologici,costituiti da semi e frutti carbonizzati, rinvenutiin vari livelli stratigrafici individuati durante loscavo condotto nel cortile del nucleo rurale.

L’arco cronologico coperto dall’indaginearcheologica è compreso tra la seconda metàdel XV e la seconda metà del XX secolo, quan-do Castello Locella cadde in disuso e fudefinitivamente abbandonato.

L’analisi archeobotanica è stata condottasu macroresti provenienti da depositi stratigraficiper la cui periodizzazione si rimanda al capito-lo dedicato allo scavo archeologico1.

In particolare, sono stati presi in considera-zione quattro periodi principali corrispondentialle fasi Ib (datata alla seconda metà del XVsec. circa), II (seconda metà del XVI sec. cir-ca), IIIa (XVII sec.) e IIIb (XVIII sec.).

Questo nucleo rurale della media Valpia (Fi-nale Ligure, Savona), sito a 40 m s.l.m. e a circa2 km dalla costa, è riconducibile a una dellepiù importanti famiglie originarie della zona delFinale e costituisce un significativo esempio diaggregato abitativo collocato in un contestogeografico per il quale non sono disponibili in-formazioni riguardanti l’economia agricola el’uso del suolo anteriormente all’avvento dellaprima cartografia storica in età moderna.

Il riferimento va soprattutto alle planimetrieredatte da cartografi genovesi a partire dallaprima metà del XVIII secolo, alcune delle qualifinalizzate alla concessione di licenze da partedella Repubblica di Genova per la realizzazio-ne d’impianti produttivi e delle connessecondutture idriche, che derivavano la forzaidraulica dal torrente Sciusa.

Da queste carte si deduce l’occupazionedel territorio destinato all’agricoltura, alla colti-vazione di ortivi nella stretta piana di fondovallee il ruolo ancora prioritario sostenuto dall’incol-to e dal boschivo, soprattutto nella parte altadella Valpia e lungo le scoscese pendici deirilievi.

La scarsa documentazione archivistica per-venutaci per le fasi medievali del Finale con-sente solo in piccola parte di delineare quelleche erano le strutture socio-economiche con-nesse all’agricoltura in quest’area.

L’indagine archeobotanica costituisce quin-di uno strumento di studio primario per deline-are lo sfruttamento delle risorse boschive, at-traverso il riconoscimento delle specie impie-gate come combustibile per il riscaldamentodomestico e la cottura dei cibi. Inoltre, posso-no essere desunte importanti informazioni ri-guardanti l’economia agricola, sia connessaalla coltivazione di cereali e piante orticole, siaall’arboricoltura da frutto.

L’arco cronologico durante il quale rimasein vita il nucleo abitato tra la fine del Medioevoe l’Età contemporanea, corrisponde ad unafase di rilevanti modificazioni dell’assetto del-l’economia agricola europea, che trovanopuntuale riscontro nei dati archeobotanici ot-tenuti.

Analisi dei reperti archeobotanici

I terreni prelevati dalle quattro unitàstratigrafiche (US123, US119, US109 e US114), paria 132 litri, sono stati sottoposti a flottazione consuccessiva setacciatura in acqua per la sepa-razione dei macroresti carbonizzati dalla frazio-ne minerale del terreno.

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di Castello Locella in Valpia alla lucedelle indagini archeobotaniche

Daniele Arobba, Rosanna Caramiello, Giovanni Murialdo

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Questo processo sfrutta la possibilità di gal-leggiamento della componente organica conpeso specifico inferiore a quello delle particel-le di suolo, formando uno strato affiorante cheviene estratto e separato in tre frazioni. Median-te l’impiego di un getto d’acqua sulla serie disetacci con maglie a diametro decrescente (1,0,5 e 0,25 mm) sono recuperati anche i restimolto piccoli. Il materiale così ottenuto, vieneessiccato a 60°C e successivamente osservatoallo stereomicroscopio a 10x per la separazio-ne dei reperti antracologici (carboni di legno)e carpologici (semi e frutti).

L’analisi dei carboni è avvenuta in micro-scopia ottica a luce riflessa in campo oscuro a75-750x sulle tre sezioni standard ottenute perframmentazione, mentre per i carporesti si èutilizzato uno stereomicroscopio a 10-65x.

Sono state effettuati su ciascun campioneconfronti e misurazioni per la determinazionedei generi e delle specie. Per l’identificazionesono state utilizzate collezioni di confronto, chia-vi analitiche ed atlanti di abituale utilizzo in que-sto campo di ricerca; un’ampia bibliografia sul-l’argomento è reperibile in Caramiello eArobba2.

Carboni di legno

I risultati delle letture sono riportati in Tab. 1come valori assoluti e in Fig. 1 come istogrammipercentuali. La Fig. 2 riporta le fotomicrografiedi sezioni trasversali e longitudinali di alcune spe-cie individuate.

Sono stati analizzati complessivamente 254resti; in tre unità stratigrafiche il materiale è ap-parso sufficiente per una valutazione statistica-mente significativa, mentre nell’US119 il mode-sto contenuto permette di ricavare solo datiindicativi.

La componente antracologica mostra unanotevole ricchezza floristica, documentata nel-la seconda metà del XV secolo da ben 19 taxaappartenenti ad entità della flora spontanea ecoltivata; il numero si riduce nei periodi succes-sivi raggiungendo gradualmente le nove enti-tà nel XVIII secolo.

Le specie individuate suggeriscono in que-sto periodo iniziale un prelievo dalla macchiae dal sottobosco, sia per la gestione del territo-rio, sia per il reperimento di aree libere adatteall’impianto dei primi coltivi, in cui l’olivo dove-va già rappresentare una delle essenze più im-portanti. L’insediamento di Castello Locella sipresenta, pertanto, fin dalle sue origini, comeun centro produttivo legato soprattutto allacoltura dell’olivo e in minor misura di altri alberifruttiferi, in particolare Prunoideae e Maloideae.

Anche nei secoli successivi la tendenzaevidenziata si mantiene sostanzialmente simi-le, ma con un netto incremento dei carboni diOlea che rappresenta quindi l’entità mag-giormente sfruttata anche come legna da ar-dere. Nei campioni esaminati si evidenzia lapresenza di anelli di accrescimento con spes-sori compresi tra 1,4 e 2,7 mm che indicano lasicura appartenenza dei reperti alla speciecoltivata, poiché le dimensioni medie rilevatenel selvatico sono inferiori al millimetro3. Sonoanche frequenti legni di tensione e nodicorrelabili ad eventi di potatura che giustifica-no l’ampia disponibilità di legno per uso dome-stico ed inducono a pensare alla presenza dioliveti sufficientemente estesi e costituiti da in-dividui adulti.

I l legno attribuito al genere Prunus èassociabile a diverse tipologie secondo le indi-cazioni di Heinz e Barbaza4: tipo I (ciliegio, padoe marena), tipo II (pruno selvatico, ciliegio ca-

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Tab. 1 - Risultatidelle analisi an-tracologiche (va-lori assoluti).

Tab. 1

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nino, susino e albicocco), tipo III (pruno selvati-co, mandorlo, pesco, albicocco e susino). Lacoltura di questi fruttiferi nella zona è ben do-cumentata anche nella Pomona Italiana5 edoveva costituire già da lungo tempo un’im-portante fonte di reddito.

La presenza del castagno è modesta e sirileva solo nei due livelli più antichi; consideran-do il substrato litologico, formato prevalente-mente da rocce calcaree, questa situazione èampiamente giustificata e i pochi reperti pos-sono derivare da piccoli appezzamenti o daapporti esterni.

I ritrovamenti di legno di terebinto, lentisco,corbezzolo, caprifoglio, leguminose, mirto, ficoe carrubo indicano l’utilizzazione sporadica dispecie in parte derivate dalla macchia ed inparte oggetto di limitata coltivazione. Le mo-deste presenze di legno di querciacaducifoglia, carpino nero e nocciòlo testimo-niano l’utilizzo di elementi del bosco mistotermofilo, mentre carboni di leccio denotanolo sfruttamento di boschi termofili con maggio-ri caratteristiche di aridità, che si localizzanoattualmente sui versanti collinari a quote com-prese tra 50 e 500 metri s.l.m.

Abbastanza inatteso è il ritrovamento di uncarbone di gelso nel periodo più antico, di se-conda metà del XV secolo. La coltura di que-sta pianta non sembra essere abbastanza do-cumentata per l’area in esame e non si puòpertanto ipotizzarne lo sfruttamento per la pro-

duzione di fogliame finalizzato all’allevamentodel baco da seta, contrariamente a quanto giànoto a partire dal XIII secolo per la Toscana,l’Emilia e la Valle del Rodano, che diventò unodei principali centri di produzione europea dellafibra6. Una prima traccia antracologica delgelso (riconosciuta come: cf. Morus sp.), è sta-ta rinvenuta nel Midi francese nel sito gallo-ro-mano di Lunel-Viel (Hérault) in livelli del IV se-colo d.C.7, a cui è stato associato un chiaro in-teresse colturale per la produzione di frutti com-mestibili8. La presenza di un carbone isolatopotrebbe anche essere ricondotta a una colti-vazione destinata a scopi alimentari o medici-nali delle infruttescenze, peraltro attestati nellafarmacopea antica e medievale9.

Nelle unità stratigrafiche attribuite al XVII eXVIII secolo sono presenti carboni di faggio,specie non locale che può indicare un prelie-vo da quote elevate, presumibilmente legatoa nuove strategie di approvvigionamento pia-nificato di legname da opera, in parte ancheutilizzabile come combustibile, basate sullo sfrut-tamento del manto boschivo sui rilievi montuo-si dell’entroterra ad altezze superiori ai 900 me-tri.

Interessante risulta anche la presenza nel li-vello del XV secolo di un singolo frammento dicarbone fossile, forse lignite, il cui poterecalorico è superiore a quello del comune le-gname, potendo quindi indurre ad ipotizzareun uso per piccole attività produttive.

1. Diagrammaant raco log icopercentuale.

L’ambiente naturale e l’economia agraria del nucleo rurale medievale e post-medievale di Castello Locella

1.

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Semi e frutti

In Tab. 2 sono riportati i risultati delle analisicarpologiche espressi in valori assoluti; sonoconteggiati anche i frammenti e, per tale mo-tivo, possono comparire numeri decimali.Sono stati reperiti in totale 140,5 macroresti ap-partenenti a specie che sono state riunite nelle

categorie dei cereali, delle ortive, delleerbacee infestanti-ruderali, delle erbacee edelle arboreo-arbustive da frutto. In Fig. 3 sonoillustrati alcuni reperti significativi.

In generale tutte le unità stratigrafiche sonoapparse povere di reperti, salvo l’US119, corri-spondente alla seconda metà del XVI secolo,che ha restituito un buon numero di semi/frutti

2. Reperti antra-cologici.a-b. Pinus t. hale-pensis (25-300x);c-d. Juniperus t. II(60-200x);e. Ostrya (50x);f. Corylus (50x);g-h. Olea sp. (80-200x);i-j. Prunus t. III (40-60x);k. Ficus (25x);l. Fagus (40x);m-n. Pistacia len-tiscus (40-150x);o-p.Pistacia tere-binthus (40-100x).

2.

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appartenenti a tutte le categorie sopra citate.La presenza dei cereali è attestata solo dal-

la seconda metà del XVI alla fine del XVII seco-lo con prevalenza di orzo esastico e tetrasticorispetto al frumento tenero/duro e al miglio.

Nell’US123, in cui non si registrano cariossidi,è comunque presente un frammento diSitophilus granarius L. carbonizzato (calandradel grano), noto curculionide parassita dellegranaglie, che potrebbe indicare in modo in-diretto la presenza anche in questo livello diderrate cerealicole di cui non è rimasta chiaratraccia su base carpologica (Fig. 4).

Le ortive sono pressoché assenti con un’iso-

lata attestazione di pisello (cf. Pisum sp.). Tra leerbacee infestanti e ruderali prevalgono leChenopodiacee (atriplice e farinello) con raririscontri di piantaggine, euforbia e silene. Que-sta categoria, insieme con quella delle erbacees.l., non presenta in ogni caso elementi carat-terizzanti per la flora spontanea e antropogena.

Di maggiore significato appare l’ultima ca-tegoria delle arboreo-arbustive da frutto. In par-ticolare, si possono fare alcune considerazionisu Olea europaea, attestata da numerosiendocarpi (nòccioli di oliva), che risultano pre-senti in maggiore quantità tra la seconda metàdel XVI e il XVII secolo.

Tab. 2 - Risultatidelle analisi car-pologiche (valoriassoluti).

Tab. 2

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3. Reperti carpologici (segmento=1mm). a. Triticum aestivum/durum; b. Hordeum vulgare v. hexastichum; c. Hordeum vulgare v.tetrastichum; d. cf. Pisum sp.; e. Ficus carica (frammenti di siconio); f. Ficus carica (siconio con acheni); g-h. Olea europaea; i. Vitisvinifera; j. Atriplex cf. A. patula; k. Atriplex cf. A. latifolia; l. cf. Silene sp.; m. Chenopodium cf. C. album.

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Sono state effettuate misurazioni di lunghez-za e larghezza massima sui nòccioli interi e cal-colate medie e deviazioni standard, riportatein Fig. 5.

Tenendo conto che si tratta di un campio-ne numericamente molto limitato, si può tutta-via tentare un’interpretazione della distribuzio-ne degli endocarpi caratterizzati da diverse di-mensioni e da morfologia simile.

I reperti appartenenti al periodo più antico(dalla seconda metà del XV alla fine del XVIsecolo) mostrano valori tali da determinare unadistribuzione molto ampia, che sottolinea lagrande variabilità del campione.

Per contro, l’insieme dei reperti del periodopiù recente (XVII-XVIII secolo) risulta invece oc-cupare un’area maggiormente definita, relati-va a valori più elevati sia di lunghezza sia di lar-ghezza.

Questo dato può essere interpretato comeuna volontaria selezione di più cultivar o diun’unica varietà colturale, per l’ottenimentod’individui in grado di garantire una miglioreresa produttiva.

Per quanto concerne la vite, le misurazionie la morfologia relative ai sei vinaccioli integrireperiti, portano all’attribuzione di Vitis viniferassp. vinifera (vite coltivata)1 .

Tra gli altri resti si può segnalare la presenzadi frutti di Corylus (nocciòlo), frammenti di ghian-de (quercia) e semi di sorbe (cf. Sorbus). Un sin-golare ritrovamento riguarda alcuni frammenticarbonizzati di siconio (falso frutto del fico) conevidenti acheni al loro interno.

Conclusioni

Il nucleo rurale di Castello Locella sembraessere collocabile per le sue prime fasiinsediative alla seconda metà-fine del XV se-colo, in un periodo posteriore, quindi, ad altrelocalità citate nelle zone limitrofe come l’abi-tato di Verzi, per il quale, sulla base di fonti sto-riche, vengono riportate notizie sulle colture pre-cedentemente diffuse1 .

Studi di tipo archeobotanico condotti suimateriali estratti da scavi nell’abitato medie-vale di Finalborgo, in livelli datati tra X e XIV se-colo, evidenziano una variazione dell’uso delterritorio con l’introduzione di coltura di vite escarsa presenza di olivo2 . Dal XV secolo lo stes-so Quaini evidenzia in Liguria una sorta d’inver-sione di tendenza con progressivo incrementodella diffusione dell’olivo, che continuerà finoall’inizio del XIX secolo.

Le analisi antracologiche e carpologichecondotte nel presente lavoro sembrano con-fermare questa tendenza. Infatti, nell’abitato diCastello Locella le prime colture che appaio-no ben attestate, sia sulla base dei ritrovamentidi semi e frutti, sia per i carboni ivi conservati,riguardano proprio l’olivo, mentre la vite, consemi riferibili alla specie coltivata, risulta pocorappresentata e non più coltura preminente ri-spetto alla diffusione che la pianta conobbenei secoli precedenti.

Sebbene già attestata nel XIII secolo in for-me isolate e probabilmente minoritarie rispettoad altri usi del suolo, anche in Valpia a partiredal XVI secolo assume una funzione sempre piùrilevante la coltivazione dell’olivo, che sembrariflettersi nelle sequenze insediative di CastelloLocella. Ad una coltivazione su scala limitataed essenzialmente destinata ad un’economiafamiliare, con l’inizio dell’età moderna si assi-ste ad un’espansione dell’olivocultura qualebase economica destinata anche all’esporta-zione.

Nel 1573, al momento della presa di posses-so del Finale da parte dei commissari cesarei,nella valle vengono censiti diversi frantoi da olioprivati: il mulino da olio detto di Capellino, ilmulino della Chiappa di Pia, il molino di Pasto-rino di Pia, dotati di due ruote e rovinati, ed in-fine quello dei Porri, con una sola macina3 .

Per la Liguria, come per altre aree costieremediterranee prossime ai grandi centri com-

4. Frammento diSithophilus grana-rius L. da US123(segmento=1mm).

4.

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merciali, l’arboricoltura, essenzialmente incen-trata sull’olivo, costituì nel XVI secolo “la rispo-sta tipica dell’agricoltura mediterranea all’in-cremento demografico”1 ed alla grave spintainflazionistica, che si registrò in Europa.

L’iniziale fase di coltivazione intensiva del-l’olivo si espanse rapidamente tra il XVI ed il XVIIsecolo in aree di relativa monocoltura legatea centri mercantili, spingendosi ad occupare,attraverso un’intensiva realizzazione di terraz-zamenti agricoli, i terreni di pendice fino ai limi-ti altimetrici più elevati. All’apogeo raggiuntodall’olivocoltura ligure negli anni 1670-1680 se-guì un lento declino con un drammatico crol-lo, segnato dai cattivi e tardivi raccolti per leavverse condizioni climatiche degli anni 1693-1695 e 1703-1704. In Liguria la crisi culminò nel-la distruzione degli oliveti causata dalle grandigelate del 17092 .

La fine del XVII secolo coincise con unpessimum climatico che determinò la grave crisialimentare acuta degli anni 1687-1692 e checoinvolse numerose regioni europee nell’am-bito di quella che è stata definita la piccolaetà glaciale, la cui durata si colloca tra il 1540/50 e il 1840/503 .

Solo dopo la metà del XVIII secolo e fino al1870 circa si assistette nella regione ad una ri-presa dell’economia agricola connessa allacoltivazione dell’olivo, quale bene commercia-bile e fonte di ricchezza solo in minima partedestinato all’autoconsumo4 .

Accanto all’olivo i resti xilologici indichereb-bero la presenza di coltivazioni di altri alberi dafrutto, soprattutto specie del genere Prunus, chedovevano costituire un contingente rilevantein questo settore. La presenza di traccecarpologiche di fico, sorbo e nocciòlo posso-no essere interpretate come risultato di colturedi sussistenza.

Questo tipo di sfruttamento del suolo appa-re evidente dalla cartografia storica settecen-tesca dalla quale emergono chiaramente learee destinate a terrazzamenti con colturearboree, quasi sicuramente olivi. Esse si collo-cano prevalentemente sulle pendici difondovalle risalendo in quota su alcuni versantimaggiormente idonei a questi impianti agricoli(Fig. 6).

Le analisi carpologiche non rilevano parti-colari resti di specie erbacee di campo (cere-ali) o di orto; questi tipi di derrate alimentari po-

6. Colture arboree su terrazzamenti in prossimità di Castello Locella. Parti-colare da Matteo Vinzoni, Piano geometrico della Valle di Pia e Lacrimà,seconda metà XVIII secolo.

5. Rappresentazione della distribuzione dei valori di lunghezza e larghezzamassima di 33 endocarpi completi di Olea europaea di due distinti perio-di (XV-XVI e XVII-XVIII secolo).

Daniele Arobba, Rosanna Caramiello, Giovanni Murialdo

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1 Confronta il contributo di P. Palazzi e L. Parodi, in questo stesso volume.2 CARAMIELLO, AROBBA 2003.3 HEINZ et al. 1988.4 HEINZ, BARBAZA 1998.5 GALLESIO 1817-1839.6 MOLÀ et al. 2000.7 CHABAL 1997.8 RUAS 1996.9 Si ringraziano per le informazioni il Prof. Claudio Zanier dell’Università di Pisa e la Prof. Patrizia Mainonidell’Università di Milano.10 MANGAFA, KOTSAKIS 1996.11 QUAINI 1973. Confronta inoltre il capitolo di R. Grossi e G. Murialdo sugli assetti territoriali della Valpia, inquesto stesso volume.12 AROBBA et al. 2003.13 GARONI 1870, pp. 314-315. Per la coltivazione dell’olivo nel Finale medievale ed i “gombi” da olio, v. GARONI

1870, pp. 134-136.14 LE ROY LADURIE 1966, pp. 200-204.15 RAGGIO 1982.16 LE ROY LADURIE 1967; PINNA 1984.17 QUAINI 1972; RAGGIO 1982.

tevano derivare da piccoli appezzamenti esopperire solo in parte al fabbisogno locale.

La morfologia del luogo è coerente conquesto tipo di scelta agronomica, che favori-sce coltivazioni arboree da effettuarsi su rilieviterrazzati di modeste dimensioni piuttosto chein aree pianeggianti di fondovalle.

Per ciò che riguarda l’ambiente naturale,una possibile visione della sua struttura si puòricavare prevalentemente da considerazioni re-lative ai carboni, dal momento che i reperticarpologici appartengono ad una flora bana-

le che, al massimo, sottolinea la presenza diun centro abitato grazie ad un piccolo con-tingente di nitrofile e ruderali.

Il ritrovamento di legni derivanti da speciedella macchia mediterranea, di boscotermofilo caducifoglio e di formazioni con pre-valenza di leccio è del tutto coerente con lasituazione floristico-vegetazionale propria del-l’area, in cui ancora oggi si trovano le stessespecie nei lembi naturali rimasti, sfuggiti agli in-terventi di rimboschimento o ad altremodificazioni antropiche.

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