Analisi modale, polifonia e teoria musicale tardo-medievale: un approccio storico-critico

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ANALISI MODALE, POLIFONIA E TEORIA MUSICALE TARDO- MEDIEVALE: UN APPROCCIO STORICO-CRITICO Nello scritto seguente si farà uso di una terminologia presa a prestito dalla teoria medievale dei modi così come appare nella maggior parte dei trattati teorici a partire almeno dall’XI secolo in poi, teoria che, in realtà, resterà valida, almeno per alcuni repertorî, fino a buona parte della prima età barocca. La base sonoro-concettuale su cui si muoveva il musico medievale si basava su un sistema scalare che contemplava come unica alterazione o, sarebbe meglio dire, oscillazione semitonale, il B/B 1 in due ottave. Il sistema venne originariamente formulato in un’estensione di due ottave dallo Pseudo Oddone (fl. 1006-29) nel Dialogus de musica mentre nel Micrologus (dopo 1026) il monaco Guido d’Arezzo (ca. 991/2 - dopo 1033) lo estese di un ulteriore tetracordo superiore (superacutæ) e del Γ grave. 2 Nell’Epistola ad Michaelem (conosciuta 1 Per evitare confusioni con le sillabe esacordali si preferisce qui indicare le altezze con le lettere dell’alfabeto, secondo la nomenclatura medievale e seguendo la tavola 1 di cui sotto, differenziando eventualmente con il corsivo quei casi in cui s’intendano le altezze in senso assoluto e non riferite ad una data posizione all’interno della gamma. 2 Per un’edizione moderna del Micrologus v. Joseph SMITS VAN WAESBERGHE, in Corpus Scriptorum de Musica, IV, Roma: American Institute of Musicology (1955) e ora anche in Angelo RUSCONI, (cur., trad. e comm.), Guido d’Arezzo, le opere, Firenze: Edizioni del Galluzzo (2005); in maniera più condensata notizie biografico-teoriche, oltre ad una bibliografia complessiva e aggiornata, su Guido sono rinvenibili altresì nella relativa voce curata da Cesarino RUINI nel Dizionario Biografico degli Italiani , LXI, Roma: Istituto dell’Enciclopedia Italiana (2003), pp. 381-388. Per il trattato di Oddone, che RUSCONI, basandosi sulle numerose e patenti similarità con il Micrologus, non esclude possa trattarsi di un’opera giovanile dello stesso Guido prima del suo esilio aretino dall’abbazia di Pomposa, v. invece Scriptores ecclesiastici de musica sacra potissimum, 3 vols., ed. Martin GERBERT (St. Blasien: Typis San- Blasianis, 1784; reprint ed., Hildesheim: Olms, 1963), 1:265-284 e Michel HUGLO, “Der Prolog des Odo zugeschriebenen ‘Dialogus de Musica’,” in Archiv für Musikwissenschaft 28 (1971): 138-139. Un’edizione critica moderna del 1

Transcript of Analisi modale, polifonia e teoria musicale tardo-medievale: un approccio storico-critico

ANALISI MODALE, POLIFONIA E TEORIA MUSICALE TARDO-MEDIEVALE: UN APPROCCIO STORICO-CRITICO

Nello scritto seguente si farà uso di una terminologia presa a

prestito dalla teoria medievale dei modi così come appare nella

maggior parte dei trattati teorici a partire almeno dall’XI

secolo in poi, teoria che, in realtà, resterà valida, almeno

per alcuni repertorî, fino a buona parte della prima età

barocca. La base sonoro-concettuale su cui si muoveva il musico

medievale si basava su un sistema scalare che contemplava come

unica alterazione o, sarebbe meglio dire, oscillazione

semitonale, il B/B1in due ottave. Il sistema venne

originariamente formulato in un’estensione di due ottave dallo

Pseudo Oddone (fl. 1006-29) nel Dialogus de musica mentre nel

Micrologus (dopo 1026) il monaco Guido d’Arezzo (ca. 991/2 -

dopo 1033) lo estese di un ulteriore tetracordo superiore

(superacutæ) e del Γ grave.2 Nell’Epistola ad Michaelem (conosciuta1 Per evitare confusioni con le sillabe esacordali si preferisce quiindicare le altezze con le lettere dell’alfabeto, secondo la nomenclaturamedievale e seguendo la tavola 1 di cui sotto, differenziandoeventualmente con il corsivo quei casi in cui s’intendano le altezze insenso assoluto e non riferite ad una data posizione all’interno dellagamma.

2 Per un’edizione moderna del Micrologus v. Joseph SMITS VAN WAESBERGHE, inCorpus Scriptorum de Musica, IV, Roma: American Institute of Musicology (1955)e ora anche in Angelo RUSCONI, (cur., trad. e comm.), Guido d’Arezzo, le opere,Firenze: Edizioni del Galluzzo (2005); in maniera più condensata notiziebiografico-teoriche, oltre ad una bibliografia complessiva e aggiornata,su Guido sono rinvenibili altresì nella relativa voce curata da CesarinoRUINI nel Dizionario Biografico degli Italiani, LXI, Roma: Istituto dell’EnciclopediaItaliana (2003), pp. 381-388. Per il trattato di Oddone, che RUSCONI,basandosi sulle numerose e patenti similarità con il Micrologus, non escludepossa trattarsi di un’opera giovanile dello stesso Guido prima del suoesilio aretino dall’abbazia di Pomposa, v. invece Scriptores ecclesiastici de musicasacra potissimum, 3 vols., ed. Martin GERBERT (St. Blasien: Typis San-Blasianis, 1784; reprint ed., Hildesheim: Olms, 1963), 1:265-284 e MichelHUGLO, “Der Prolog des Odo zugeschriebenen ‘Dialogus de Musica’,” in Archivfür Musikwissenschaft 28 (1971): 138-139. Un’edizione critica moderna del

1

anche sotto il nome di Epistola de ignoto cantu) Guido menziona

l’inno giovanneo Ut queant laxis come caratterizzato dal fatto che

ciascuna delle sue frasi inizia su un grado più acuto di quella

precedente.3 Le sillabe corrispondenti (Ut, Re, Mi, Fa, Sol,

La) individuano la successione scalare C, D, E, F, G, a; ora

poiché da codesta scala è assente il b, e di conseguenza il

semitono b-c, fonti già molto vicine cronologicamente a Guido,

come il cassinese 318,4 utilizzano le predette sillabe in guisa

di sottosistema mobile ove Mi-Fa indica sempre il semitono,

anche nel caso in cui esso sia collocato su a-b. Questo

impiego sistematico e trasponibile delle sillabe venne in

seguito denominato ‘solmisazione’ mentre le sillabe stesse, e

la loro relativa successione di due toni interi, un semitono e

ancora due toni interi (T – T – S – T – T) ‘esacordo’. Dunque,

il perno concettuale dell’esacordo era il semitono Mi-Fa che, a

seconda che fosse localizzato su E-F, B-C o A-B, permetteva di

parlare, rispettivamente, di esacordo naturale, duro (perché

conteneva il b durum, quadratum o b) o molle (per la presenza del

b molle, rotundum o b):

Tavola 1

Suoni Duro Natura

le

Moll

e

Duro Natura

le

Moll

e

Duro Denom.

Dialogus è in preparazione a cura di Karl-Werner GÜMPEL.3 La melodia dell’inno, come dimostrato da Jacques CHAILLEY, in ‘Ut queantlaxis et les origines de la gamme’, in Acta musicologica 56/1 (1984), pp. 48-69, venne probabilmente composta o rielaborata dallo stesso Guido, mentreil testo (Ut queant laxis) è da una vecchia tradizione ascritto a PaoloDiacono.

4 Cfr. A. RUSCONI, ‘Il cod. 318 di Montecassino: note sulla struttura e sulcontenuto’, in Michael BERNHARD (cur.), Quellen und Studien zur Musiktheorie desMittelalters III, München: Bayerische Akademie der Wissenschaften (2001):Veröffentlichungen der Musikhistorischen Kommission, Band 15, pp. 121144.

2

ee

(Mi4)

La eela

dd

(Re4)

La Sol ddlasol

cc

(Do4)

Sol Fa ccsolfa

bb

(Si3)

Mi bbmi

bb

(Si3)

Fa bbfa

aa

(La3)

La Mi Re aalamir

eG

(Sol3)

Sol Re Ut gsolreu

tF (Fa3) Fa Ut ffautE (Mi3) La Mi elamiD (Re3) La Sol Re dlasolr

eC (Do3) Sol Fa Ut csolfau

tb (Si2) Mi bmib

(Si2)

Fa bfa

a (La2) La Mi Re AlamireG

(Sol2)

Sol Re Ut Gsolreu

tF (Fa2) Fa Ut FfautE (Mi2) La Mi ElamiD (Re2) Sol Re Dsolre

3

C (Do2) Fa Ut CfautB (Si1) Mi miA (La1) Re AreΓ

(Sol1)5

Ut Γut

Il sistema venne dal XII secolo spesso rappresentato sul palmo

di una mano, erroneamente attribuita a Guido, ma pure essa

attestata già dal citato cod. 318 di Montecassino6:

Esempio 1

I cosiddetti otto modi autentici e plagali (sussumibili in

quattro maneriæ, una per ogni coppia autentico plagale) erano

ottave ricavate sul sistema scalare anzidetto e, soprattutto a

5 Per maggiore comodità viene fornita, accanto alla nomenclatura medievale,anche quella oggi usata nei paesi di lingua romanza, con l’indicazionedell’ottava di riferimento data in pedice.

6 Cfr. n. 4.4

partire da Bernone di Reichenau (vedi sotto), vennero

sistematizzati come ‘specie’ di quarta e quinta (tetra- e

pentacordi), dove l’identificazione della specie era data dalla

posizione del semitono (sillaba Mi-Fa) al suo interno. La

tavola seguente illustra appunto gli otto modi con le specie

appropriate, la finale (lettera in grassetto), la confinale o

dominante modale (nota perno di ciascun modo: lettera in

grassetto e corsivo), indicando altresì i corrispondenti

segmenti esacordali con le rispettive ‘mutazioni’ o cambiamenti

di sillaba. (La tavola distingue ulteriormente fra esacordo

naturale, duro o molle grazie ad una scrittura in caratteri

rispettivamente normali, sottolineati e corsivi).

Tavola 2:

Protus autentico (Dorico7)

Protus plagale (Ipodorico)

T – S – T – T (5a I specie) + T(S) – S(T) – T (4a I o II specie)D-E E-F F-G G-a a-b(b) (b)/b-c c-dSol-La

Re-Mi Mi-Fa Fa-Sol Sol-La La

Ut-Re Re-Mi Mi-Fa Fa-Sol Sol-La

Ut-Re Re-Mi

Mi-Fa Fa-Sol

Ut-Re

T – S – T (4a I specie) + T – S – T – T (5a

I specie)A-BB-CC-D D-E E-F F-G G-aRe-Mi Mi-Fa Fa-Sol Sol-La

Ut-Re Re-Mi Mi-Fa Fa-Sol

7 I nomi greci vengono qui indicati per praticità e in considerazione delfatto che questa designazione risulta per molti lettori più familiare;tuttavia si rammenta che essa è essenzialmente scorretta (gli otto modimedievali non corrispondendo affatto ai modi greci, anche perché questiultimi non erano entità scalari, bensì modelli schematici di comportamentomelodico-intervallare) e che pertanto non verrà più usata nel corso delleseguenti pagine, preferendole la designazione più neutra secondo lemaneriæ.

5

Sol-La

Ut-Re Re-Mi

Ut-Re

Deuterus autentico (Frigio)

Deuterus plagale (Ipofrigio)

S – T – T – T (5a II specie) + S – T – T(4a II specie)E-F F-G G-a a-b b-c c-d d-eLa

Mi-Fa Fa-Sol Sol-La La

Ut-Re Re-Mi Mi

Re-Mi Mi-Fa

Fa-Sol Sol-La

Ut-Re Re-Mi

S – T – T (4a II specie) + S – T – T – T (5a II specie)B-C C-D D-E E-F F-G G-a a-bMi-Fa Fa-Sol Sol-La La

Ut-Re Re-Mi Mi-Fa Fa-Sol Sol-La La

Ut-

Re Re-Mi Mi

Re-Mi

Tritus autentico (Lidio)

Tritus plagale (Ipolidio)

T – T – T(S) – S(T) (5a III o IV specie) +T – T – S (4a III specie)F-G G-a a-b/b b/b-c c-d d-e e-fFa-Sol Sol-La

Ut-Re Re-Mi Mi-Fa Fa-Sol Sol-La

Ut-Re Re-Mi Mi-Fa

Fa-Sol Sol-La

Ut-Re Re-Mi Mi-Fa

T – T – S (4a III specie) + T – T – T(S) – S(T) (5a III o IV specie)C-D D-E E-F F-G G-a a-b/b b/b-cFa-Sol Sol-La

Ut-Re Re-Mi Mi-Fa Fa-Sol Sol-La

Ut-Re Re-

Mi Mi-Fa Fa-Sol

Ut-Re Re-Mi Mi-Fa

Tetrardus autentico(Misolidio)

T – T – S – T (5a IV specie) + T – S – T (4a I specie)G-a a-b b-c c-d d-e e-f f-g

6

Tetrardus plagale (Ipomisolidio)

Sol-La

Re-Mi

Ut-Re Re-Mi Mi-Fa Fa-Sol Sol-La

Re-Mi Mi-Fa Fa-Sol

Ut-Re

T – S – T (4a I specie) + T – T – S – T (5a

IV specie)D-E E-F F-G G-a a-b b-c c-dSol-La

Re-Mi Mi-Fa Fa-Sol Sol-La

Ut-Re Re-Mi

Ut-Re Re-Mi

Mi-Fa Fa-Sol

Come si può vedere dalla tavola gli unici casi in cui,

all’interno di una stessa maneria, è possibile una reale

alternanza fra esacordo duro e molle sono nel protus autentico e

nel tritus autentico e plagale: ciò è per evitare il tritono F -

b, intervallo che, altrimenti, occorrerebbe frequentemente nei

modi menzionati, al punto che, soprattutto nel tritus, diviene

assolutamente normale e costitutivo regolarizzare l’uso

dell’esacordo molle ponendo il in chiave, con la conseguenza

di ‘mutare’ la 5a di III specie del tritus regolare in 5a di IV

specie.8

8 Come si è teso a puntualizzare soprattutto negli ultimi anni, il sistemaesacordale, pur a larga, anzi, larghissima divulgazione e diffusioneeuropea, non fu però universalmente accettato e trovò anche illustri,seppur isolati, oppositori, come Johannes Ciconia (ca.1370-1412) in Novamusica (ed. moderna e trad. ingl. a cura di Oliver B. ELLSWORTH, Lincoln:University of Nebraska Press, 1993) o Johannes Gallicus (ca.1415-73) inRitus canendi vetustissimo et novo (ed. moderna a cura di Albert SEAY, ColoradoSprings: Colorado College Music Press, 1981), (v. sotto) autori checoncordavano nel trovarlo un’inutile complicazione rispettoall’apprendimento delle note semplicemente tramite le letteredell’alfabeto o, addirittura, come nel caso di Ciconia, anche conl’ausilio degli antichi nomi greci (proslambanomenos, hypate hypaton, etc.).Per una recente e informata discussione della questione v. Stefano MENGOZZI,‘The Ciconian Hexachord’, in Johannes Ciconia, musicien de la transition, cur. daPhilippe VENDRIX, Turnhout: Brepols (2003), pp. 279-304.

7

Almeno dall’XI secolo, qualunque cantore, anche principiante,

doveva aver interiorizzato, nel processo di apprendimento del

canto piano, queste nozioni fondamentali. Come si tenterà di

dimostrare nelle pagine seguenti, esse costituivano l’orizzonte

strutturale dell’organizzazione melodica e dovevano, in

mancanza di qualunque altro riferimento ‘grammaticale’ di

organizzazione frasale alternativo, avere un qualche riflesso

anche in polifonia che, almeno all’inizio, non è altro che

un’amplificazione timbricostrutturale del canto monodico.

Tuttavia per molti studiosi moderni l’applicabilità della

teoria (o, sarebbe forse meglio dire, teorie) modale alla

polifonia sarebbe altamente problematica, per non dire

impossibile.9 Ciò è in parte dovuto alla scarsità di fonti9 Tra gli studiosi che, sebbene con gradi diversi, più decisamente sioppongono a connettere modalità e composizione polifonica e che in molticasi sarebbero piuttosto orientati ad un’interpretazione tonale-funzionaledell’ultima, Harold POWERS è forse il più noto. I suoi contributi piùsignificativi in merito sono: ‘Mode’, in New Grove Dictionary of Music andMusicians, VI ed., cur. da Stanley SADIE, vol. XII, London: Macmillan(1980), pp. 376-450 (la sua posizione è restata fondamentalmente immutatanella stessa voce della nuova edizione [2001] del New Grove redatta incollaborazione con Frans WIERING [vol. XVI, pp. 775-823]); ID.‘Tonal Typesand Modal Categories in Renaissance Polyphony’, in Journal of the AmericanMusicological Society, 34 (1981), pp. 428-470; e ‘Is Mode Real? Pietro Aaron,the Octenary System and Polyphony’, in Basler Jahrbuch für historische Musikpraxis,16 (1992), pp. 9-52 (in questi ultimi due scritti lo studioso riprende,mutuandolo da Siegfried HERMELINK, Dispositiones modorum. Die Tonarten in der MusikPalestrinas und seiner Zeitgenossen, in Münchner Veröffentlichungen zur Musikgeschichte, 4,Tutzing: Schneider (1960), pp. 11-16, il concetto di tipi tonali [tonaltypes]). La linea di pensiero di POWERS è grosso modo la stessa adottata daSarah FULLER nel suo ‘Modal Discourse and Fourteenth-Century French Song: a“Medieval” Perspective Recovered?’, in Early Music History, 17 (1998), pp. 61-108, uno scritto la cui raison d’être è un feroce attacco al volume, pur permolti aspetti discutibile, di Christian BERGER, Hexachord, Mensur undTextstruktur: Studien zum französischen Lied des 14. Jahrhunderts, in Beihefte zum Archiv fürMusikwissenschaft (1992). Anche Margaret BENT in più punti del suo ‘TheGrammar of Early Music: Preconditions for Analysis’, in Tonal Structures in EarlyMusic, cur. da Cristle COLLINS JUDD, New York & London: Garland (1998), pp.15-59, si esprime in maniera tale da non concedere adito a dubbi circa lasua posizione, perfettamente allineata su quella di POWERS (e del resto ilsuo saggio è così infarcito di citazioni di POWERS da farlo quasi sembrareuna sorta di omaggio allo studioso nordamericano). Tuttavia la BENT rileva

8

teoriche esplicitamente riferentisi ad un legame fra modo e

polifonia; tuttavia la scarsità di queste testimonianze

teoriche è, come cercherò di dimostrare, solo apparente.

È certamente innegabile che i teorici operanti a partire dal

pieno fiorire della polifonia raramente (almeno fino a

Tinctoris) parlano di modalità in un contesto esplicitamente

diverso da quello del canto piano. Ma, di per sé, questo, lungi

dal costituire un elemento a sfavore di qualunque riferimento

dei modi alla polifonia, può semplicemente essere un riflesso

del fatto che la modalità in quanto tale era la scienza

dell’organizzazione orizzontale dei suoni e questo

indipendentemente dal fatto che la melodia risultante fosse da

sola o combinata ad altre, come appunto nel discorso

polifonico.

Uno dei principali problemi con cui ci si deve confrontare

allorquando si tenti di ascrivere un brano polifonico ad un

dato modo è dovuto al fatto che spesso in polifonia si fa uso

di finali diverse da quelle normalmente accettate negli otto

modi tradizionali o quattro maneriæ. Nella maggior parte dei

casi questo si può tuttavia spiegare o con l’uso della

trasposizione diatonica o con la scelta di usare la confinale o

‘dominante’ modale, quale grado conclusivo. Un altro possibile

problema sorge nel momento in cui appaiono conflitti modali fra

le parti. Ma mentre cantus e tenor condividono spesso lo stesso

anche come ‘le regole contrappuntistiche abbiano un valore “locale” e nonci dicano nulla direttamente sulle direzionalità a lungo termine(counterpoint rules are local and tell us nothing directly about long-term goals), lasciandoaperta la questione su come stabilire questi ‘long-term goals’ in un branopolifonico del ‘300/’400. Su queste ed altre questioni di caratterecritico-ermeneutico rimando al mio articolo ‘Modalità e polifonia: unadiscussione critica sui più recenti approcci di ricerca’, in Rivista Italiana diMusicologia XXXIX, 2004/1, pp. 169-198.

9

modo o quantomeno la stessa maneria, con l’uno occupante

rispettivamente l’àmbito autentico, l’altro quello plagale, il

contratenor è in genere la voce che si comporta in maniera più

imprevedibile, spesso anche grazie al suo àmbito

particolarmente esteso e irregolare.

Tuttavia l’applicazione della teoria modale alla polifonia

diviene molto meno problematica se, come metodo di osservazione

dei comportamenti e dell’emersione dei modi, si fa uso delle

specie tetra- e pentacordali. Questo perché il concepire

l’organizzazione della melodia nei termini di tipologie

intervallari pre-definite, discrete e mobili, come sono appunto

di per sé le specie, permette una varietà molto ampia di

combinazioni diverse senza per questo rinunciare al sistema di

riferimento modale di base, sistema che, del resto,

costituisce, come si è accennato, l’unico concreto riferimento

ad una grammatica della melodia per il cantore/compositore

tardo-medievale. Tale tipo di approccio teorico prettamente

intervallare alla modalità, lungi dall’essere un arbitrio dello

studioso moderno, è familiare già a teorici che si occupano

sostanzialmente di monodia. In effetti, la preminenza delle

specie su altre caratteristiche intrinseche emerge nella teoria

dei modi sin dall’XI secolo, probabilmente perché ciò

permetteva un modello di classificazione più facilmente

razionalizzabile e sistematizzabile rispetto, ad esempio, alla

presa in conto della sola finale o delle varie forme di esordio

e di conclusione delle frasi musicali, come potevano essere le

diverse formule d’intonazione dei toni salmodici. Già Hucbald

de St. Amand (ca. 850-930) nel De harmonica institutione, suggerisce

implicitamente l’importanza del pentacordo quando, riferendosi

10

alla possibilità di trasporre le quattro finali tradizionali,

afferma che “[…] quinta semper loca his singulis quattuor superiora, quidam sibi

conexionis unione iunguntur <vel participant>, adeo ut pleraque etiam in eis quasi

regulariter mela inueniantur desinere, nec rationi ob hoc uel sensui quid contrarie, et

sub eodem modo uel tropo perfecte decurrere”.10 L’importanza strutturale

degl’intervalli di quarta e quinta per le attribuzioni modali

emerge abbastanza presto anche in altri importanti trattati,

come l’anonimo Dialogus de musica11 o lo stesso Micrologus di Guido

d’Arezzo12 (l’ultimo noto anche per l’apparentata teoria delle

‘affinità’, grazie alla quale differenti segmenti della gamma

vengono assimilati grazie a una simile costituzione

intervallare). Tuttavia fra i primissimi teorici a trattare in

maniera sistematica dei modi, primariamente e quasi

esclusivamente nei termini delle differenti specie di quarta e

10 “le note poste una quinta sopra ciascuna di queste finali sonorispettivamente unite tra loro in un tale legame di similarità che sitroverà generalmente che le melodie possono concludere su queste note unaquinta sopra senza tema di offendere il proprio giudizio o il proprioorecchio e rimanendo sempre perfettamente nell’àmbito di uno stesso modo otropo”. Per l’opera teorica di Hucbald e, in particolare, per il luogorelativo a questo passo (tratto da De harmonica institutione ), vedasi YvesCHARTIER, L’œuvre musical d’Hucbald de Saint Amand: les compositions et le traité de musique,in Cahiers d’études médiévales. Cahier spécial nº 5, Montréal: Bellarmin (1995), p.203. L’edizione di CHARTIER, corredata anche da una traduzione in francese,sostituisce quella contenuta nell’ormai datato M. GERBERT, Scriptores ecclesiasticide musica sacra potissimum, cit., dove il passo menzionato si trova a p. 119. Perquanto riguarda l’opera di GERBERT essa è stata parzialmente rivista da M.BERNHARD, Clavis Gerberti: Eine Revision von Gerberts Scriptores ecclesiastici de musica sacrapotissimum (St. Blasien, 1784), I, München: Veröffentlichungen dermusikhistorischen Kommission (1989): si citerà qui eventualmente BERNHARDsolo per quei trattati effettivamente rivisti. Esiste altresì unatraduzione inglese dell’opera teorica di Hucbald in Hucbald, Guido and John onMusic: Three Medieval Treatises, cur. e intr. da Claude V. PALISCA, trad. di WarrenBABB e con un indice dei canti citati nei tre trattati a cura di AlejandroE. PLANCHART, New Haven & London: Yale University Press (1978): il passorelativo è a p. 39.

11 In M. GERBERT, Scriptores…, cit., I, pp. 251-264.12 V. sopra, n. 1. Una traduzione inglese è contenuta in Hucbald, Guido and John

on Music…, cit., pp. 57-83. Per la traduzione italiana v. A. RUSCONI, (cur.,trad. e comm.), Guido d’Arezzo, le opere, cit.

11

quinta, vi è il contemporaneo di Guido, Bernone di Reichenau

(m. 1048), che parla altresì dei modi riferendosi alle quattro

maneriæ.13 Quando, nel suo Musica, seu prologus in tonarium cum tonario

Bernone descrive in dettaglio la natura di ogni modo, egli li

classifica chiaramente tenendo presente la divisione

dell’ottava in specie di quarta e quinta.14 Riferendosi al

primo modo, ad esempio egli stabilisce che “protus constat ex prima

specie dyapente & ex prima specie dyatessaron superius”.15 Ma è anche vero

che rispetto a questa ‘visione interna’ dei modi ne prevalse

spesso una ‘esterna’,16 secondo la quale “Tonus vel modus est regula,

quæ de omni cantu in fine diiudicat”.17 Forse, proprio per la sua

semplicità e immediatezza questa formula s’impose e fu

responsabile della proliferazione di dozzine di trattati, dove

la definizione di finale modale ebbe la meglio su “…all other

considerations in melodic classification and orientation in the modal system”.18

Accanto al ruolo fondamentale della finale venne attribuita

un’importanza secondaria ad altri gradi, come certe note

iniziali o mediali o intermedie (la rilevanza dei suoni13 In effetti anche Guido parla (nel XIII capitolo del suo Micrologus) dellequattro maneriæ, senza tuttavia mai fare un riferimento esplicito allasegmentazione dell’ottava in specie tetra- e pentacordali.

14 Edizione moderna in Alexander RAUSCH, Die Musiktraktate des Abtes Bern vonReichenau. Edition und Interpretation, Tutzing: Hans Schneider (1999), pp. 17-70.

15 “Il protus [autentico] consta della prima specie di quinta e della primaspecie di quarta al di sopra”, da A. RAUSCH, Die Musiktraktate…, cit., p. 44.Questa e le seguenti traduzioni, se non altrimenti indicato, sono delloscrivente.

16 L’espressione internal and external view of the modes è presa in prestito da F.WIERING ed appare sia come titolo di un saggio pubblicato su Tonal Structures inEarly music, cit., pp. 87-107 oltreché passim nel volume The Language of the Modes:Studies in the History of Polyphonic Modality, New York & London: Routledge (2001).

17 “un tono o modo è una regola che distingue ogni canto dalla sua finale”.Citato in traduzione inglese da H. POWERS et al., ‘Mode’, cit., p. 784 (a tone ora mode is a rule which distinguishes every chant by its final). L’originale latino è trattodall’anonimo Dialogus de musica e si trova in M. GERBERT, Scriptores, cit., II, p.243.

18 “…ogni altra considerazione rispetto a classificazione melodica eorientamento nel sistema modale”, da H. POWERS, et al., ‘Mode’, cit., p. 784.

12

iniziali e mediani e come essi dovrebbero essere in relazione

alla nota finale e secondo tutti gl’intervalli compresi

all’interno di una quinta giusta è stato rilevato per la prima

volta da Guido nel capitolo XI del Micrologus), ma il teorico

che forse più si discosta dal trattamento bernoniano dei modi

secondo specie intervallari distinte è Johannes Affligemensis

(fl. ca. 1100). Nel suo De musica (probabilmente scritto alla

fine dell’XI secolo, e dunque successivo ai lavori di Guido e

Bernone)19 egli fu tra i primi a legare esplicitamente cadenza

modale ‘secondaria’ sulla confinale e tenore salmodico.20 Così

nell’XI capitolo del suo trattato l’Affligemensis giustifica

l’incorporazione dei tenori salmodici all’interno della teoria

modale in chiave analogica: “Notandum autem, quod sicut fines octo

tonorum in quatuor notis, quæ ob id & finales dicuntur, dispositi sunt, sic octo

tenoribus, videlicet tonorum aptitudinibus notæ quatuor attributæ sunt…”.21

19 Edizione moderna: Johannes Affligemensis: De musica cum tonario, cur. da J. SMITSVAN WAESBERGHE, in Corpus Scriptorum de Musica, I, Roma: American Institute ofMusicology (1950). Per l’identità di Johannes Affligemensis e il(presunto) luogo di composizione del suo trattato, cfr. M. HUGLO, ‘L’auteurdu traité de musique dédié à Fulgence d‘Affligem’, Revue Belge de Musicologie,31 (1977), pp. 519 e la recensione di Christopher HOHLER a Hucbald, Guido andJohn on Music: Three Medieval Treatises, cit., in Journal of the Plainsong and Medieval MusicSociety, 3 (1980), pp. 56-58.

20 Nella liturgia dell’Ufficio i salmi venivano in gran parte recitati suuna nota cardine detta repercussa che, nella maggior parte dei casi, vennefatta coincidere con la dominante modale o confinale anche se, è benericordarlo, il repertorio salmodico dell’Ufficio era originariamentedistinto da quello che poi divenne il principale corpus liturgicogregoriano. Come riferimenti bibliografici essenziali afferenti ilrepertorio gregoriano v. David HILEY, Western Plainchant: A Handbook, Oxford:Clarendon Press (1993) e Kenneth LEVY, Gregorian Chant and the Carolingians,Princeton (NJ): Princeton University Press (1998). Per quel che invececoncerne più specificamente la liturgia dell’Ufficio, basti qui citare lostudio di Robert F. TOFT, The Liturgy of the Hours in East and West: the Origins of theDivine Office and its Meaning for Today, Collegeville (MN): Liturgical Press(1986).

21 “così come le conclusioni degli otto modi sono disposte attorno aquattro note, che sono pertanto denominate «finali», allo stesso modoquattro note sono assegnate ai quattro tenores, cioè le note usate piùfrequentemente nei toni [salmodici]…” (cit. da J. SMITS VAN WAESBERGHE, in

13

Questa linea teorica, fondata in gran parte sui tenori

salmodici per le attribuzioni modali, venne seguita fin ben

addentro il XVI secolo e l’esempio al riguardo più notevole è

forse quello di Pietro Aaron con il suo Trattato della natura et

cognitione di tutti gli tuoni di canto figurato non da più altri scritto (Venezia:

Bernardino de’ Vitali, 1525), una pubblicazione che tratta

esplicitamente, per di più, di modalità e polifonia, un

argomento su cui torneremo più avanti. Naturalmente trattati

sulla modalità, concentrati particolarmente su una definizione

dell’ottava modale in quanto composta di specie ben precise di

quarta e quinta, continuarono ad essere scritti, in particolar

modo in Italia tra XIV e XV secolo. Probabilmente una delle

prospettive al riguardo più ricche e articolate è quella

offerta da Marchetto da Padova nel suo Lucidarium in arte musicæ

planæ (ca. 1317).22

Marchetto (fl. primo quarto del XIV secolo) tratta

specificamente di modi e modalità nell’XI capitolo del suo

trattato. Tuttavia, come giustamente fa notare Herlinger

nell’introduzione all’edizione moderna,23 il discorso sulla

modalità viene gradualmente introdotto dall’autore tramite

un’accurata descrizione della natura e dell’origine di tutti

gl’intervalli disponibili (capitolo IX). La ragione di ciò è

che per Marchetto il repertorio intervallare, con particolare

Corpus Scriptorum de Musica, I, Roma: American Institute of Musicology, 1950,p. 82); in inglese anche in Hucbald, Guido and John on Music, cit., p. 118. Sinoti che in quasi tutti i passi citati gli autori usano il termine tonus,tropus e modus in maniera completamente sinonimica e interscambiabile e cheper comodità (oltre che per evitare equivoci con il significato tonale-funzionale della parola ‘tono’) si è scelto di tradurre sempre con ilcorrispettivo italiano ‘modo’.

22 Marchetto da Padova, Lucidarium in arte musicæ planæ, cur. e trad. da Jan W.HERLINGER, Chicago: University of Chicago Press (1987).

23 Cfr. Lucidarium in arte musicæ planæ, cit., pp. 3-21: 7-13.14

riferimento a quarte e quinte e alle loro differenti specie,

costituisce il principale determinante modale, relegando così

le note iniziali, mediane (con particolare riferimento alla

confinale o repercussa) e, soprattutto, finale al ruolo di

caratteristiche secondarie. Il teorico espone in maniera

esplicita questo concetto alla fine del IX capitolo dove, dopo

una complessa descrizione sulla formazione delle specie,

aggiunge:

Per has enim species [scilicet dyatessaron et dyapente] sic interruptas

quilibet tropus sive tonus formatur, de quibus et quomodo per ipsas formetur

videre necesse est…

Ogni tropo o modo è formato da queste specie così

interpolate. Dobbiamo ora esaminare i modi e come essi siano

formati a partire da queste specie… (Lucidarium, 9.1.123-

124).24

Più avanti (Lucidarium, 11.3.2) Marchetto afferma che:

Sunt nonnulli qui absque specierum lege cantus diiudicant cuius toni sint solum

propter ascensum et descensum inspecto fine, quorum iudicium pluribus

rationibus nullum est.

Vi sono alcuni che giudicano il modo di una melodia

esclusivamente sulla base della sua ascesa e discesa

rispetto alla finale, senza riguardo per le specie. Il

giudizio di tali persone è nullo, per molte ragioni.

Più avanti nello stesso capitolo Marchetto commenta in maniera

più estesa l’importanza strutturale delle specie. Tuttavia

l’affermazione forse più importante e chiara al riguardo si

trova in Lucidarium, 11.3.7-10. Qui il teorico esprime il suo24 Questa e le seguenti citazioni dal trattato di Marchetto, insieme alsistema di segnatura, sono tratte dall’edizione di HERLINGER. Le traduzioniin italiano sono dello scrivente e a partire dalle traduzioni inglesi delcuratore.

15

totale disaccordo nei confronti di coloro i quali, seguendo

alla lettera la famosa affermazione sopra citata tratta dal

Dialogus de musica (Tonus vel modus est regula, quæ de omni cantu in fine

diiudicat), non riconoscono l’importanza determinante delle

specie di quarta e quinta:

…sophystice poterit formari unus cantus de speciebus tercii toni, et in fine

possemus addere unum tonum eidem infra, scilicet in finali primi, et tamen talis

tonus non erit primus sed tercius; nam si primus diceretur, videretur quod tonus

additus infra plus haberet de potestate formationis tonorum quam principia,

distinctiones et species ipsorum, quod erroneum est et falsum. Hiis rationibus

dicimus quod tales iudicantes cantus de tonis solum propter ascensum et

descensum non musici sed ceci, errorisque cantores potius dici possunt.

…in modo artefatto si potrà formare una melodia tra le

specie del terzo modo, aggiungendo poi, alla fine, un tono

sotto di essa, cioè sulla finale del primo modo, e tuttavia

tale modo non sarà il primo, ma il terzo; infatti, se fosse

considerato primo, sembrerebbe che il tono aggiunto sotto

abbia più importanza nella formazione dei modi di quanta ne

abbiano le note iniziali, i tipi di conclusione e le specie

degli stessi modi, il che è erroneo e falso. Per queste

ragioni affermiamo che coloro che giudicano il modo di una

melodia solo attraverso l’estensione superiore o inferiore

[intorno la finale] non sono musici, ma ciechi, e possono

essere considerati cantori di errori.

In altre parole ciò che qui Marchetto intende è che per

assegnare una data melodia ad un modo specifico si dovrebbe

sempre aver cura di fare attenzione all’organizzazione interna

della melodia stessa (ciò che, naturalmente, include le specie)

e che la finale (che essa sia regolare o trasposta) è di per sé

stessa insufficiente e inaffidabile per stabilire la modalità.

16

Ma quel che veramente conta è che le specie di quarta e quinta

sono i fattori determinanti per la positiva identificazione di

ogni modo trasposto o meno:

…primus tonus et subiugalis eius possunt terminari in quolibet loco manus ubi

species que ipsos formant superius et inferius possunt proprie ordinari, et

idemque dicimus de quolibet alio modo, tam auctentico quam etiam subiugali,

ut de ipsis inferius ostendetur.

…il primo modo e il suo relativo plagale possono concludersi

in qualunque luogo della mano dove le specie che li formano

possono essere ordinate in maniera appropriata sopra e sotto

[la finale]; e diciamo la stessa cosa per ogni altro modo,

autentico o plagale, come si mostrerà più avanti (Lucidarium,

11.4.17-18).

E ancora:

…et hiis rationibus dicimus quod quilibet tonus potest terminare in quolibet loco

manus ubi eius species proprie reperiri.

…per queste ragioni diciamo che ogni modo può terminare in

ogni luogo della mano dove si rinvengano le specie ad esso

appropriate (Lucidarium 11.4.46).

Queste affermazioni qualificano la trasposizione modale come

una pratica non solo del tutto accettabile, ma enfatizzano

anche la relativa irrilevanza della posizione all’interno della

gamma per la determinazione del modo. L’implicazione

inevitabile è, naturalmente, una potenziale, quasi illimitata

proliferazione di alterazioni (definite musica ficta o musica falsa

dato che sono suoni non previsti all’interno della gamma

guidoniana), essendo esse l’unico modo per garantire una

trasponibilità a tutti i livelli. L’unico limite a ciò è

prevalentemente di natura pratica e in effetti Marchetto

17

dichiara altrove (allineandosi con molti altri teorici

medievali) che una trasposizione è tanto più accettabile quanto

più evita l’uso di musica ficta (vedasi la discussione sulle

finali irregolari in Lucidarium, 11.3.30-48).

La teoria modale di Marchetto ebbe un grosso impatto su

parecchi teorici di generazioni anche di molto successive,

sebbene la sua influenza abbia prodotto gli echi più

consistenti soprattutto in Italia. Scritta più di un secolo

dopo il Lucidarium, la Declaratio musicæ disciplinæ (ca. 1425) di

Ugolino da Orvieto (ca.1380-1452) continua a mostrare il suo

debito nel confronti del musico padovano.25 Innanzitutto non si

può mancare di notare come la discussione e l’illustrazione dei

modi occupi più di due terzi del primo libro del trattato di

Ugolino, e questo tenendo conto che la Declaratio ambisce a

coprire esaustivamente tutti gli aspetti della teoria musicale,

incluso il contrappunto e la teoria mensurale.26 Pur partendo

dalla designazione dei modi secondo la nomenclatura pseudo-

greca, Ugolino la sostituisce quasi immediatamente con le

quattro maneriæ. Inoltre nel capitolo XLIX (De tropis sive tonis

autenticis et plagalibus) egli chiarisce in maniera inequivocabile la

sua preferenza per le specie nell’identificazione dei modi

dichiarando:

Ex diapente namque ac diatessaron tropus autenticus construitur, ex quibus

quamquam positione contraria plagalis quisque componatur.

25 Per un’edizione moderna vedi A. SEAY (cur.), Ugolini Urbevetani Declaratio MusicæDisciplinæ, in Corpus Scriptorum de Musica, VII, Roma: American Institute ofMusicology (1959).

26 Marchetto tratta, dal canto suo, di mensuralità nel Pomerium (ca. 1318),probabilmente scritto un anno dopo il Lucidarium. Per un’edizione modernav. Pomerium in arte musice mensurate, cur. da Giuseppe VECCHI, in Corpus Scriptorumde Musica, VI, Roma: American Institute of Musicology (1961).

18

Il modo autentico è costituito da una quinta e da una quarta

dai quali [stessi intervalli], ma invertiti viene [anche]

formato il plagale (Declaratio, p. 87).

Nel capitolo seguente (De tropis sive tonis descriptione) egli

sottolinea ancora una volta l’importanza delle specie:

Tropus, tonus sive modus est quam plurium vocum ex diapente ac diatessaron

ordinatis speciebus […] conveniens dispositio.

Un tropo, tono o modo è un’ordinata disposizione di varie

note secondo determinate specie di quinta e quarta

(Declaratio, p. 89).

Sebbene Ugolino fornisca in seguito al lettore le ‘comuni’

terminazioni o finali e pseudo-finali salmodiche dei varî modi

(capitolo LI), immediatamente dopo (cap. LII) sembra ci tenga a

precisare che la vera ‘formazione’ o ‘forma’ aristotelicamente

intesa di un modo è data dalle differenti combinazioni delle

specie di quarta e quinta:

Differentia enim agentia differentes producunt effectus, quo fit ut tropi sive toni,

qui ex speciebus diapente et diatessaron numero differentibus formam

suscipiunt, sint inter se numero differentes, ita quod esse primi non sit esse

secundi, nec e contra et sic de aliis.

Le azioni di caratteri distinti producono effetti differenti

e come risultato di ciò i tropi o toni, che traggon lor

forma dal numero delle differenti specie di quinta e quarta,

sono differenziati dal numero, cosicché la struttura del

primo non è uguale alla struttura del secondo e viceversa e

così per gli altri (Declaratio, pp. 90-91).

Il trattato di Ugolino prosegue in questa parte illustrando in

dettaglio le peculiarità formali di ciascun modo, ma sempre in

termini di specie (capp. LI-LXIII). Ad esempio, parlando, al

19

capitolo LIII, della formazione del primo modo, il teorico

specifica:

Prothus tropus sive tonus qui in ordine primus est formam suam et esse a

diapente et diatessaron recipit quoniam ex ipsorum primis speciebus formatur,

scilicet, ex re la prima diapente specie et ex re sol prima diatessaron….

Il tropo o tono protus che nella serie [dei modi] è il primo,

riceve la sua forma ed essenza dalla diapente e dalla

diatessaron dal momento che viene formato dalle prime specie

di queste, cioè dalla prima specie di diapente re la e dalla

prima [specie] di diatessaron re sol… (Declaratio, p. 91).

e così via per gli altri modi. È solo dopo queste definizioni

che Ugolino espone altre caratteristiche melodiche dei modi,

come incipit e differentiæ salmodiche (il repertorio schematico di

incipit e conclusioni relative all’intonazione dei salmi

classificati secondo i varî modi), con esempî concreti tratti

dai canti dell’Ufficio (cap. LXIV sino alla fine). Da tutto ciò

si evince che il trattamento dei modi in Ugolino segue da

vicino la teoria marchettiana. Inoltre, come anche appare dai

suoi esempî, per Ugolino, ancor più che per Marchetto, le

specie vengono identificate come elementi costitutivi

liberamente sovrapponibili per la configurazione interna ed

esterna dei modi.

La Practica musicæ (1496) di Franchino Gaffurio (1451-1522)27 è

fedele erede della teoria modale di Marchetto, non apporta

niente di particolarmente nuovo da questo punto di vista (tra

l’altro le note iniziali che fornisce per ciascun modo sono

chiaramente ricalcate da Marchetto) e la sua presentazione

della modalità è molto semplice e schematica. Probabilmente27 Cur. e trad. da Clement A. MILLER, in Musicological Studies and Documents 20,Dallas: American Institute of Musicology (1968).

20

l’unico contributo originale di Gaffurio in questo campo è la

sua classificazione delle quattro maneriæ in due gruppi (protus

con deuterus e tritus con tetrardus, rispettivamente) a seconda che

sia presente una terza minore o maggiore sopra la finale.

L’interesse di questo pur semplice schema risiede naturalmente

nell’anticipazione di tonalità minori/maggiori, ma non bisogna

dimenticare che lo stesso Marchetto identifica come un’unità

distinta e riconoscibile la terza sopra la finale che egli

chiama chorda (Lucidarium, 12.1.21-27). I contributi più

significativi di Gaffurio risiedono piuttosto nel campo della

musica speculativa dove il suo orientamento umanistico lo porta a

citare e a discutere ampiamente gli antichi autori greci dei

quali egli, non conoscendo la lingua, aveva ottenuto traduzioni

in latino ad opera dei grecisti Ermolao Barbaro e Giovanni

Francesco Burana.28

A parte Marchetto e Ugolino, l’altra grande fonte di teoria

musicale per Gaffurio è costituita dall’opera di Giorgio

Anselmi (ante 1386 - ca. 1440-43). In effetti una copia del De

musica: dieta prima de celesti harmonia, dieta secunda de instrumentali harmonia,

dieta tertia de cantabili harmonia di quest’ultimo, trattato scritto

intorno al 1434,29 faceva parte della biblioteca privata del

28 I due maggiori trattati più squisitamente ‘speculativi’ di Gaffurio sonoTheoricum opus musice discipline [Napoli, 1480], cur. da C. RUINI, Lucca:Libreria Italiana Musicale (1996) (l’edizione anastatica Theorica musice,Bologna: Forni, 1969, riprende l’edizione milanese di Filippo Mantegazzadel 1492, della quale esiste una traduzione inglese a cura di Walter K.KREYSZIG, New Haven [CT]: Yale University Press, 1993) e De harmoniamusicorum instrumentorum opus, Milano (1518), ed. anastatica Bologna: Forni(1972) e trad. in inglese a cura di C. A. MILLER, in Musicological Studies andDocuments, 33, s.l.: American Institute of Musicology; Neuhausen-Stuttgart(1977). Per notizie biografiche e quant’altro vedi inoltre Bonnie J.BLACKBURN, art. ‘Gaffurius [Gafurius], Franchinus [Lanfranchinus] [Gafori,Franchino]’, in New Grove Dictionary of Music and Musicians, cit., 9, pp. 410-414.

29 Ed. moderna a cura di Giuseppe MASSERA, in Historiæ musicæ cultores biblioteca,Firenze: Leo S. Olschki (1961).

21

teorico lodigiano, portandone anche i segni delle glosse di suo

pugno; tra l’altro Gaffurio dovette essere uno fra i pochi a

conoscere l’opera dell’Anselmi, che non trovò ampia diffusione

nell’àmbito teorico tardo-medievale e rinascimentale. Tuttavia

l’influenza di Anselmi su Gaffurio si limita in gran parte alla

musica speculativa e di fatto, la teoria modale del primo si

discosta dalla linea marchettiana, non privilegiando in maniera

particolare le specie e limitando in gran parte il discorso

all’osservazione degli àmbiti complessivi. In realtà Anselmi

non sembra molto interessato al trattamento della modalità e,

all’interno del suo trattato, scritto in forma dialogica e

piuttosto esteso, non dedica che poche pagine all’analisi e

alla descrizione dei modi (pp. 161-170 dell’edizione curata da

Massera).

Ora, i trattati summenzionati, e invero gran parte di quelli

scritti nel ‘300/’400, quando parlano di modalità

esemplificandola, traggono i loro esempî quasi sempre dal

repertorio gregoriano. Ma ciò, per le ragioni esposte

all’inizio di questo scritto, non deve di per sé essere

considerato come un’implicita negazione della modalità in

àmbito polifonico. Tra l’altro una considerazione

dell’organizzazione modale in quanto gioco combinatorio di

determinate specie di quarta e quinta poste sopra o sotto l’una

all’altra, faciliterebbe considerevolmente dal punto di vista

concettuale una visione ‘modale’ della polifonia, poiché allora

la progressiva giustapposizione di differenti specie di quarta

e quinta porterebbe a giustificare, ad esempio, l’estensione

dei modi oltre i loro àmbiti comunemente accettati. In merito a

22

quest’ultimo punto Johannes Tinctoris (1435-1511) nel suo Liber

de natura et proprietate tonorum (1476),30 è il primo teorico a far

esplicito riferimento ai ‘modi misti’, cioè ad àmbiti modali

aventi in comune più di una coppia specifica di quarta/quinta.

Sebbene Tinctoris non sia affatto il primo teorico in assoluto

a parlare di modi espressamente applicati alla polifonia,

certamente egli è tra i primi a fornire regole dettagliate per

la composizione polifonica grazie ai modi.

In effetti il suo Liber, redatto per la corte umanista del Re

Ferdinando I (Ferrante) di Napoli intorno al 1476 e concepito

come parte del curriculo musicale della figlia del monarca,

Beatrice, futura Regina d’Ungheria, è il primo trattato sulla

modalità ad essere stato esplicitamente pensato come un’opera

di riferimento per i compositori a lui contemporanei, oltre che

per dare giudizî sulla qualità delle composizioni stesse. Ciò è

evidenziato, nel prologo, dalla stessa dedica:

Præstantissimis ac celeberrimis artis musicæ professoribus Domino Johanni

Okeghem, christianissimi regis Francorum prothocapellano ac Magistro Antonio

Busnois, illustrissimi Burgundorum ducis cantori…

Ai più geniali e celebrati professori di musica, il

Reverendo Johannes Ockeghem, primo cappellano del Re dei

Franchi e il Maestro Antoine Busnois, cantore

dell’illustrissimo Duca dei Borgognoni…31

Più avanti alla fine del prologo e dopo aver sostenuto il suo

discorso con un paio di citazioni classiche, il teorico

30 Edizione moderna a cura di A. SEAY, in Corpus Scriptorum de Musica, XXII,Roma: American Institute of Musicology (1975). Circa le notiziebiografiche sul teorico il contributo fondamentale resta ancora RonaldWOODLEY, ‘Iohannes Tinctoris: A Review of the Documentary BiographicalEvidence’, in Journal of the American Musicological Society, 34 (1981), pp. 217-248.

31 Cf. Liber de natura et proprietate tonorum, cur. da A. SEAY, cit., p. 65.23

chiarisce una volta per tutte di aver concepito il suo trattato

a beneficio dei colleghi di Ockeghem e Busnois:

Unde quom scientia et cognitio tonorum sit compositoribus utilissima,

opusculum hoc de natura et proprietate eorum conscripsi.

Poiché, essendo la scienza e la conoscenza dei modi

utilissima ai compositori, ho redatto quest’operetta sulla

loro [dei modi] natura e proprietà.32

Ora, è ovvio che quando Tinctoris fa riferimento a

‘compositori’ egli allude ai suoi stessi contemporanei, e ciò

implica che egli ha in mente la polifonia. Questo viene in ogni

caso chiarito alla fine del capitolo I dove, dopo aver

brevemente presentato gli otto toni o modi tradizionali per

quel che concerne la loro definizione, numero, fondamento e

designazione, il teorico conclude con la seguente affermazione:

Hii autem sunt octo toni, quibus non tantum in cantu gregoriano qui simplex est

et planus, verum et in omni alio cantu figurato et composito utimur, circa quos

hoc in libello versari nostra fert intentio.

Questi sono gli otto modi, dei quali facciamo uso non solo

nel canto gregoriano, che è semplice e piano, ma anche in

ogni altro canto figurato e composto, che è nostra

intenzione trattare in questo libretto.33

Nei capitoli che seguono Tinctoris illustra le caratteristiche

di ciascuno degli otto modi, partendo significativamente con le

specie di quarta e quinta e continuando con la loro formazione

melodica, mixtio (mescolanza di modi autentici e plagali),

commixtio (commistione di specie di più maneriæ), perfezione

(relativa ai casi in cui il modo occupa l’intero àmbito a sua

32 Ibid., p. 66.33 Ibid., p. 70. L’espressione ‘canto figurato’ indica sempre in quest’epocauna composizione mensurale e polifonica.

24

disposizione), imperfezione (casi in cui al contrario l’ottava

modale non viene occupata per intero) e conclusione. Purtroppo

fra gli esempî da lui forniti solo quattro sono polifonici. Tre

di essi sono forniti allo scopo d’illustrare la necessità per

il quinto e, soprattutto, per il sesto modo (rispettivamente

tritus autentico e plagale) di alternare fra e per permettere

al contrappunto di formare consonanze perfette con il canto

dato (…ratione concordantiarum perfectarum quæ cantui composito incidere

possunt…),34 e ciò anche a costo di far scappare qualche tritono

melodico in una voce, come l’esempio 19 a p. 75 dell’edizione

di Seay chiaramente mostra. D’altra parte, l’ultimo esempio

polifonico (n. 31, p. 81) mostra la commistione fra due

differenti maneriæ (nello specifico i modi II e IV) provocata

dall’introduzione di un nel contrappunto al fine di evitare

una quinta diminuita con il tenor. Sebbene questa sia una

commistione provocata dalla necessità di correggere una

dissonanza, l’autore aggiunge che la presenza simultanea di due

maneriæ può essere concessa, al di là della necessità, dalla

stessa volontà del compositore, tanto nel canto piano quanto

nella composizione polifonica (sive in simplici sive in composito cantu).

Il fatto che la commixtio maneriæ (oltre alla mixtio tonorum) sia

particolarmente rilevante in polifonia viene evidenziato dal

teorico nel capitolo XXIV,35 dov’egli afferma che, sebbene la

modalità generale di un brano debba essere giudicata dal tenor,

ogni voce può essere organizzata secondo uno o più degli otto

modi:

34 Ibid., p. 73.35 Quod commixtio et mixtio tonorum non solum in cantu simplici, sed etiam in composito fiant,pp. 85-86.

25

Denique notandum est quod commixtio et mixtio tonorum non solum fiunt in

simplici cantu, verum etiam in composito, talique modo ut si cantus sit cum

duabus, tribus, quatuor aut pluribus partibus compositus, una pars erit unius

toni, altera alterius, una autentici, altera plagalis, una mixti, altera commixti.

Si noti inoltre che la commixtio e mixtio tonorum esiste non

solo nel canto piano, ma anche in quello polifonico e in

maniera tale che se una composizione è fatta di due, tre,

quattro o più parti, una sarà in un modo, un’altra in un

altro, una in un modo autentico, un’altra in un modo

plagale, una in uno misto, un’altra ancora in uno

commisto.36

A questa significativa affermazione fa seguito la citazione del

rondeau di Du Fay Le serviteur, reso celebre soprattutto per il

fatto di essere un raro esempio di protus trasposto su C, dove

tutt’e tre le parti sono dotate delle segnature in chiave di B

e E, oltreché ad essere l’unico brano polifonico d’autore

effettivamente citato dal teorico. Il fatto che il teorico

menzioni, peraltro brevemente, un solo brano musicale

polifonico a sostegno dell’universalità dei modi (sebbene di un

compositore celebratissimo) non inficia la destinazione

eminentemente ‘polifonica’ del suo trattato, ed anzi,

l’eccezionalità modale dell’esempio stesso (un protus su C) lo

rende ancora più paradigmatico. Del resto la citazione

riportata sopra secondo la quale gli otto modi vengono usati

‘non solo nel canto gregoriano […] ma anche in ogni altro canto

figurato e composto’, è abbastanza chiara da dissipare ogni

possibile dubbio che Tinctoris consideri le regole da lui

fornite nel corso del libro come l’impalcatura di ogni tipo di

discorso musicale da lui conosciuto e da lui riconosciuto come36 Ibid., p. 85.

26

tale, sia che esso sia a una sola come a più parti. Il fatto

che i suoi esempî siano in gran parte monodici non contraddice

affatto la destinazione eminentemente polifonica del liber,

visto che la modalità concerne, come si è avuto modo di

rimarcare più sopra, la struttura della singola linea melodica.

Tra l’altro in polifonia la sovrapposizione di più melodie

rende teoricamente e praticamente possibile la polimodalità,

sebbene l’area modale complessiva di un brano debba essere

giudicata dal tenor, come afferma molto chiaramente il teorico

nel capitolo XXIV del trattato. Non c’è dunque alcun dubbio che

l’illustrazione della modalità fornita dal Liber de natura et

proprietate tonorum sia considerata dall’autore come largamente

sufficiente ad esemplificare il comportamento dei modi nel

‘canto misurato’.37

Sebbene prima di Tinctoris e l’anonimo di Berkeley ben pochi

altri autori abbiano fatto esplicito riferimento al

comportamento dei modi in polifonia, questo silenzio può essere

solo apparente. Il fatto che la teoria dei modi fosse quasi

sempre esposta in connessione con il canto piano non dovrebbe

automaticamente portarci, come fanno invece alcuni studiosi

moderni (v., ad esempio, nota 9) ad implicare che i teorici

considerassero una sua eventuale applicazione alla polifonia

come necessariamente un errore. In effetti gli unici due37 Più di un secolo avanti (1375), l’anonimo autore del manoscrittoBerkeley, una raccolta di alcuni brevi trattati teorici, aveva anch’egliesplicitamente impostato il suo discorso sui modi in senso polifonico(edizione moderna: The Berkeley Manuscript: University of California Music Library, MS 744[olim Phillipps 4450], cur. e trad. da O. B. ELLSWORTH, Lincoln & London:University of Nebraska [1984]), sebbene l’argomento sia affrontato inmaniera talmente elementare (il teorico si limita a definire i limitiesteriori e le finali regolari e irregolari, oltre alle confinali, deimodi), che non val la pena riportarlo qui.

27

teorici che apertamente si dichiarano contrarî all’applicazione

delle regole modali in àmbito polifonico sono Johannes de

Grocheo (fl. ca. 1300) e Johannes Gallicus (ca.1415-73).

Tuttavia, anche in questi casi, i loro pronunciamenti in merito

necessitano di un’interpretazione critica. In effetti, se letta

nel suo contesto, la ben nota affermazione di Grocheo (cantus

autem [sc. mensuratus] per toni regulas forte non vadit nec per eas mensuratur)38

sembra più che altro essere una critica diretta contro coloro

che, trattando di modalità, non vanno oltre la definizione

‘esterna’ dei modi (Describunt autem tonum quidam dicentes eum esse

regulam, quæ de omni cantu in fine iudicat),39 non offrendo in tal senso

alcuna chiave su come affrontare una lettura modale di un brano

polifonico (…si per eas [regulas] mensuratur, non dicunt modum per quem nec

de eo faciunt mentionem).40 Johannes Gallicus nel suo Ritus canendi

vetustissimo et novo (1458-64),41 ancor più del suo predecessore

Grocheo, sembra negare la possibilità per un brano polifonico

di essere giudicato in base ai modi. Tuttavia, quel ch’egli

intende dire con ciò è semplicemente che in polifonia spesso

non vengono rispettate le finali regolari (D, E, F, G), al

contrario di quanto avverrebbe nel canto piano. Per Gallicus,

cioè, una caratteristica essenziale perché un brano possa dirsi

modale è che rispetti il luogo tradizionalmente assegnatogli

sulla gamma. Non che egli non riconosca l’importanza delle

specie di quarta e di quinta; al contrario, egli ritiene che

38 De musica (c. 1300) cur. da Ernst ROHLOFF, Die Quellenhandschriften zum Musiktraktatdes Johannes de Grocheo, Leipzig: VEB Deutscher Verlag für Musik (1967), p.152.

39 Ibid.40 Ibid. In quest’ottica anche l’anonimo di Berkeley sarebbe stato incluso daGrocheo fra quei teorici.

41 Edizione moderna a cura di A. SEAY, Johannes Gallicus: Ritus canendi, ColoradoSprings: Colorado College Music Press (1981).

28

esse siano fondamentali per giudicare il comportamento melodico

di un brano polifonico, ma per lui a questo punto si esce dai

confini della modalità. Per definire un sistema basato

esclusivamente sul riconoscimento di determinate specie di

quinta, quarta e ottava egli inventa la nozione di constitutio,

essenzialmente due ottave ascendenti grado per grado, la prima

delle quali corrisponde a quella posta da Boezio alla base del

suo sistema scalare (A-aa).42 Tuttavia, a differenza di quel

che fa Boezio, Gallicus estrae le sue ottave diatonicamente,

cioè cambiando ogni volta la struttura intervallare interna e

in pratica facendo rientrare di sottecchi quelle specie modali

già privilegiate da teorici come Bernone e Marchetto,

svincolate però da ogni legame con una finale regolare e una o

più finali extra regulas. In realtà la vera originalità di

Gallicus è stata quella di aver svincolato le specie

intervallari da ogni designazione modale e da ogni associazione

con una finale regolare e di esser quindi stato il primo a

teorizzare implicitamente uno iato fra struttura del canto

piano e struttura della polifonia; di fatto però egli non

introduce alcunché di nuovo perché, per ovvie ragioni

(basandosi cioè sempre sullo stesso sistema fondamentalmente

diatonico) le specie sono in fin dei conti identiche a quelle

dei teorici summenzionati. Il motivo di tanta, apparentemente

inutile, fatica è soprattutto ideologico: da vero uomo di

chiesa Gallicus (un monaco certosino) non tollera l’idea che il42 Per un’edizione moderna del trattato di Boezio, lo scritto musicaletardo-antico più letto per tutto il Medioevo e fin ben addentro ilRinascimento, v. Gottfried FRIEDLEIN, Anicii Manlii Torquati Severini Boetii Deinstitutione aritmetica libri duo. De institutione musica libri quinque. Accedit Geometria quæ ferturBoetii, Biblioteca Scriptorum Græcorum et Romanorum Teubneriana, Leipzig:Teubner (1867), trad. (ingl.) di Calvin M. BOWER, Fundaments of Music, cur.da Claude V. PALISCA, New Haven (CT): Yale University Press (1989).

29

repertorio gregoriano sia soggetto alle stesse leggi della

musica mensurata e polifonica di cui egli, curiosamente,

colloca l’origine nientedimeno che presso i pagani popoli della

Grecia classica! (v. cap. II:i:11 dell’edizione di Seay).43

Marchetto, dal canto suo, non sembra farsi troppi problemi al

riguardo. In effetti nel suo Lucidarium afferma una sola volta,

ma in maniera tale da non aver bisogno di ripetersi, che …

quilibet cantus, sive perfectus sive imperfectus et cetera, de aliquo modorum existit…

(‘ogni canto, imperfetto, perfetto o qualsivoglia è

attribuibile a qualche modo’, Lucidarium, 10.1.7);44 inoltre il

fatto che una tale apodittica affermazione compaia alla fine di

un capitolo dedicato alla nozione di ‘misura’ nel canto piano e

in polifonia, dovrebbe togliere, se ce ne fosse bisogno, ogni

ulteriore dubbio. Ancora più chiaro risulta Ugolino. Nel

capitolo CLXI della sua Declaratio,45 un capitolo dedicato alla

discussione delle caratteristiche principali dell’area modale

del tritus, egli dà per scontata la pertinenza dei modi in

polifonia. In effetti ad un certo punto egli afferma che il

grado di musica ficta B, sebbene raro nel canto piano (e, in

teoria, non previsto nella gamma guidoniana regolare: v. sopra

tabella 1), occorre frequentemente nella musica mensurata:

Hoc enim in plano cantu raro videtur contingere, licet in mensurato sæpenumero

demonstrari contingat.

Infatti questo [grado di B] appare raramente nel canto

piano, sebbene si possa chiaramente dimostrarne una sua

43 Questo discorso è ampiamente sviluppato da F. WIERING, The Language of theModes: Studies in the History of Polyphonic Modality, New York & London: Routledge(2001), pp. 56-59. (Da notare tuttavia che WIERING fa riferimento aGallicus anche con il nominativo di Legrense).

44 Cf. The Lucidarium of Marchetto of Padua, cit.45 Declaratio musicæ disciplinæ, cit., pp. 226 et seqq.

30

frequente occorrenza in quello mensurato (Declaratio, p.

226).46

Esistono chiaramente altri teorici dei secc. XIV-XV che

suggeriscono una naturale e quasi ovvia applicazione dei modi

alla polifonia.47 Che ciò sia così è assai significativo,

perché ci indica indirettamente che per molti le regole della

modalità in àmbito polifonico non erano altro che una legittima

estensione di uno stesso discorso normativo ritenuto valido in

monodia, come testimoniato, ad esempio, da Guilielmus Monachus

(fl. tardo sec. XV), il quale, nel suo De preceptis artis musicæ

(scritto fra il 1480 e il 1490),48 definisce il modo come …

quædam regula quæ in omni cantu diiudicat et bene dico in omni cantu sive firmo

sive figurato,49 implicando in tal modo che le regole che egli è in

procinto di discutere valgono sia per il canto piano che per la

polifonia.50 A questi teorici potremmo qui aggiungere, per

restare nel ‘400, il parmense Nicolò Burzio (ca.1453-1528) il

quale, nel suo Musices Opusculum (ca. 1487),51 oltre trasmettere

la teoria marchettiana delle specie, sostiene che taluni modi

manifestano in polifonia determinati caratteri ‘affettivi’, un46 Ugolino fa qui riferimento a B come a un grado peculiare alla maniera di

tritus, particolarmente alla sua varietà plagale.47 Per una lista presumibilmente esaustiva, che include anche i secc. XVI-XVII, v. F. WIERING, The Language of the Modes, cit., pp. 205-245.

48 Edizione moderna a cura di A. SEAY, in Corpus Scriptorum de Musica, XI, Roma:American Institute of Musicology (1965). La probabile datazione vieneipotizzata dallo stesso SEAY nell’introduzione.

49 Ibid., p. 54.50 Con la differenza, tuttavia, che in polifonia (ma anche in talunirepertorî liturgici monodici) i modi possono mostrare un àmbito piùesteso, come dichiarato da Guilielmus all’inizio del paragrafo dal titoloOpinio aliquorum de ascensu et descensu tonorum:

Nota quod secundum aliquos toni magistri possunt ascendere usque ad decimam vocem suprafines suos, ita quod descendant quatuor punctos subtus fines suos. Istud enim potest intelligi incantu figurato sive organico vel in cantu prosaico sive prosarum, hoc est sequentiarum, et non incantu firmo Gregoriano… (De preceptis artis musicæ, p. 55).

51 Cur., intr. e trad. da C. A. MILLER, in Musicological Studies and Documents, 37,s.l.: American Institute of Musicology (1983).

31

concetto destinato ad avere una certa fortuna soprattutto

presso gli autori più umanisticamente orientati, operanti però

(con l’eccezione forse di Gaffurio), nel XVI secolo.

Passando nel campo della musica pratica, si può constatare come

l’attenzione a strutture modali, in termini soprattutto di

specie, si fa sempre più sentire a partire soprattutto dal XV

secolo. In effetti, come fa osservare Strohm, nei primi due

decenni del secolo, probabilmente anche a causa dell’influenza

dirompente dell’ars subtilior, la conformità a regole modali non

sembra andare oltre una ‘superficial observation of certain finals and

ranges’,52 mentre più avanti, in particolare nelle opere di Du

Fay e Binchois, possiamo persino osservare evidenti motivi di

apertura modellati su formule modali e articolazioni intorno a

specifiche note perno. Questo si evidenzia anche in brani

profani con finali irregolari, sebbene ogni compositore abbia

il suo proprio modo (quasi uno stile) di trattare determinate

peculiarità modali. Per esemplificare ciò consideriamo due

chansons con finale C per ognuno dei due autori citati.53

52 ‘…superficiale osservanza di determinate finali e àmbiti’, da ReinhardSTROHM, ‘Modal Sounds as a Stylistic Tendency of the Mid-FifteenthCentury: E-, A-, and C-Finals in Polyphonic Song’, in Modality in the Music ofthe Fourteenth and Fifteenth Centuries / Modalität in der Musik des 14. und 15. Jahrhunderts,cur. da Ursula GÜNTHER, Ludwig FINSCHER e Jeffrey DEAN, in Musicological Studiesand Documents, American Institute of Musicology; Neuhausen-Stuttgart:Hänssler Verlag (1996), p. 155.

53 La scelta di quattro brani profani con finale irregolare è un terreno diprova particolarmente efficace della validità intrinseca nella polifonia,per lo meno del ‘400, delle strutture modali illustrate sopra,dimostrando esse, in tal modo, una loro applicabilità, indipendentementedall’utilizzo delle quattro finali regolari e al di là dell’àmbito sacroin cui sono state originariamente concepite.

Gli esempî proposti sono tratti dalle edizioni moderne diriferimento dei brani scelti (per le quali vedi sotto). Tuttavia, perquestioni inerenti la musica ficta lo scrivente espunge alcune dellealterazioni editoriali ivi suggerite in quanto alcune volte si tratta dinormalizzazioni pseudo-tonali, che poco hanno a che vedere con il mondo

32

Per il primo caso si tratta del rondeau Navré je sui d’un dart

penetratif di Du Fay, un’opera del periodo intermedio del

compositore, come è mostrato sia dallo stile che dalla

tradizione manoscritta.54 Il brano (v. es. 3) si presenta con

una segnatura in chiave () al tenor e contratenor, con in più

alcuni E e A nel corso del brano. In quanto rondeau il brano è

diviso in due sezioni, entrambe terminanti con cadenza su C, la

prima in maniera imperfetta, cioè con la terza e al cantus,

mentre la cadenza finale raggiunge per moto contrario e in

maniera regolare l’ottava c-cc con la quinta g al contratenor. Le

due parti inoltre, oltre ad essere pressoché equivalenti come

durata, incominciano con lo stesso motivo imitativo fra le tre

voci, sebbene nella seconda parte esso venga presentato con

gl’intervalli invertiti (g-c-e-g, invece di c-g-e-c).

Se non fosse per le alterazioni di passaggio (B e E più un

A al tenor), oltre che naturalmente per il in chiave per

tenor e contratenor, il rondeau potrebbe tranquillamente essere

ascritto ad un tritus trasposto su C, con il cantus occupante

l’àmbito autentico (piuccheperfetto) del modo (c-cc-ee [ff]) ed

sonoro del Quattrocento. Per gli editorial accidentals si è pertanto scelto diattenersi a quelli essenziali per la condotta delle parti secondo leregole contrappuntistico-modali in vigore all’epoca e, a tale riguardo,ci si è lasciati guidare dall’illuminante scritto di Karol BERGER, MusicaFicta: Theories of Accidental Inflections from Marchetto da Padova to Gioseffo Zarlino,Cambridge: Cambridge University Press (1987).

54 La fonte principe per Navré je sui è Oxford, Bodleian Library, can. misc. 213(Oxford 213), c.172 (con attribuzione a ‘Dufay’) mentre le due fonti piùtarde, e quindi secondarie, sono Paris, Bibliothèque Nationale, nouv. acq.fr. 6771 (PR III: Reina), terza parte, c.197 e München, BayerischeStaatsbibliothek, mus. man. 3232a (St. Emmeram), c.198 (con attribuzione a‘Dufay’). L’edizione moderna di riferimento per la musica profana di DuFay resta Heinrich BESSELER, Guillaume Dufay: Opera Omnia, VI, Cantiones, CorpusMensurabilis Musicæ, Roma: American Institute of Musicology (1964; rev. DavidFALLOWS, Neuhausen-Stuttgart: Hänssler Verlag, 1995), a parte eccezionicome, appunto il presente rondeau per cui invece ci si riferirà al librodi K. BERGER citato sopra.

33

entrambe le voci inferiori l’àmbito plagale (G-g [a]): in

effetti le specie presentate in maniera peraltro cospicua e su

snodi ben in evidenza (es.: nel moto imitativo all’inizio [mm.

1-2]; al tenor, all’inizio della seconda frase musicale [mm. 6-

10]; ancora alle tre voci in imitazione all’inizio della

seconda sezione [mm. 15-17]; al cantus, all’inizio dell’ultima

frase, introducente il melisma finale [mm. 19-21] e infine le

tre parti all’interno del melisma stesso [mm. 24 et seqq.])

sarebbero in prevalenza la quinta di IV specie C-G e la quarta

di III specie G-C, entrambe appunto costitutive della versione

più comune della maneria triti.55 Tuttavia la presenza delle

alterazioni summenzionate ha l’effetto di mutare le quinte di

IV e le quarte di III in I specie, provocando un’oscillazione

del brano fra una sonorità complessiva di tritus e una di protus;

questo senza considerare il fatto che il in chiave nelle due

voci inferiori fa a sua volta risuonare un tetrardus in C. A

tutto questo va naturalmente aggiunto il fatto che l’assenza di

segnature di chiave al cantus, provoca una potenziale permanente

bimodalità rispetto alle voci inferiori; e questo

indipendentemente dal fatto che il cantus presenti occasionali

bemolli di passaggio.56 Dei tre bemolle che il cantus porta

55 Si potrebbe qui obiettare che la quinta di IV specie è piuttosto tipicadel tetrardus (sol-la/re-mi-fa-sol, ovvero, nel suo luogo “regolare”, G-a-b-c-d), ma non la quarta di III specie posta sopra (o sotto, nel casodella varietà plagale) la quinta, la quale invece, unita per l’appuntoalla quinta di IV specie, viene a costituire una trasposizione (del restocomune anche nel repertorio gregoriano) del tritus su C. Se latrasposizione in oggetto veniva di solito praticata al fine di evitarel’uso del come correttivo, all’occorrenza, del tritono F-b, lapresenza, nel rondeau dufayano, del in chiave nelle voci inferiori,sembrerebbe vanificare lo sforzo di rimanere il più possibile diatonici.Ma il compositore utilizza qui, come vedremo ora, l’ambiguitàmaggiore/minore della terza G-b/b come oscillazione fra tritus e protus.

56 Questo senza, naturalmente, prendere in considerazione le ‘correzioni’editoriali dell’edizione Besseler/Fallows, che sono spesso arbitrarie,

34

segnati come alterazioni di passaggio (E), due compaiono nella

seconda sezione (mm. 18 e 25), sezione che, tra l’altro, mostra

molto più della prima, anche grazie alle alterazioni aggiunte

al cantus, un generale sbilanciamento verso un’area modale di

protus con finale C.

Ora, nel discorso fatto sin qui si è volutamente evitato ogni

riferimento (come specificato nella nota 54) ad accidenti di

mano editoriale (dando per scontati solo quelli ‘aggiunti’, per

ragioni eminentemente contrappuntistiche al fine di correggere

intervalli, per lo più verticali, dissonanti) poiché,

soprattutto nel caso specifico, essi testimoniano

un’interpretazione musicale non necessaria del brano. Ciò è

dimostrato anche dal semplice fatto che lo scriba della fonte

principale (Oxford 213) indica molto chiaramente le alterazioni

quando volute, sottintendendo, con la frequente oscillazione

fra E e E, una voluta ambiguità modale fra tritus e protus sulla

comune finale C. Questa è, in un certo senso, quella che

Besseler chiamava Terzfreiheit, con la differenza che lo studioso

tedesco la interpretava con un’oscillazione tonale

maggiore/minore, mentre qui, forse con maggiore ‘proprietà’

storica, si sceglie d’interpretare nel senso di una voluta ed

espressiva ambiguità modale. Che un’oscillazione fra due o più

modi all’interno della stesso brano (e sia pure nel limitato

respiro temporale di un breve rondeau come questo) sottindesse

anche intenti espressivi è quel che tenta di dimostrare Karol

Berger riferendosi proprio a Navré je sui.57 L’interesse per la

non sono necessarie (nel senso che non svolgono la funzione, implicita enon dichiarata in questo genere d’interventi) di correggere intervallidissonanti, tradendo anzi un’implicita tendenza a volervi per forzaimporre una sorta di coerenza ‘tonale’; ma vedi n. 54.

57 Cfr. K. BERGER, Musica Ficta, cit., pp. 177-188.35

discussione di Berger è aumentato dal fatto che egli confronta

le versioni tramandate da tre diverse fonti: Oxford 213, per

l’appunto, Reina e St. Emmeram. Le prime due sono identiche,

eccetto che per la presenza di un e al contratenor, nella m. 3

(alterazione presente come aggiunta editoriale nell’edizione

Besseler/Fallows) e per l’assenza del al tenor, nella m. 25

della versione di Reina. Queste differenze, oltre a modificare

localmente l’attribuzione modale, cambiano come mostra Berger,

la sfumatura retorico-espressiva dei passi relativi. In pratica

gli accidenti aggiunti nella seconda parte di entrambe le

versioni (Oxford 213 e Reina) (e, m. 18, al cantus; e, a e

ancora e, rispettivamente alle mm. 22, 23, 26 del tenor)

avrebbero un preciso riferimento al dolce ‘sguardo’ (regart)

della dama (evocato dal primo verso della seconda sezione: C’est

madame qui par doulx regart , mm. 15-18), mentre la presenza,

peraltro armonicamente non necessaria, del e già dalla prima

parte (nella versione di Reina al contratenor, come si è visto)

anticiperebbe inutilmente, sempre secondo Berger, la marcatura

psicologico-affettiva della seconda parte, rovinando quindi

l’effetto sorpresa. Quanto alla versione tramandata da St.

Emmeram, essa è curiosamente priva di ogni alterazione,

incluso il in chiave al tenor e contratenor. Ma di fatto questa

versione è tramandata senza testo e non è escluso che fosse

concepita per un’esecuzione strumentale, forse per strumenti da

tasto o da corda, come suggerito dalla frequenza delle brevi

divise. L’atmosfera generale di quest’ultima versione è dunque

quella di una maggiore consistenza modale (in favore di tritus su

C) a scapito della varietà coloristico-espressiva: come notato

36

da Berger quest’ultima caratteristica deporrebbe a sfavore di

una sua attribuzione a Du Fay.

Dal canto suo il rondeau Belle, vueillés moy vengier58 (v. es. 4)

presenta una modalità complessiva molto meno ambigua poiché:

1. Le voci inferiori occupano grosso modo l’ottava C-c, con

il cantus posto all’ottava superiore;

2. Tutte le voci fanno perno intorno a un G;

3. Tenor e contratenor sono dotati entrambi di una segnatura

di chiave con B e E, sebbene il cantus condivida stabilmente

solo il B, l’E oscillando costantemente, per correggere

eventuali dissonanze verticali o orizzontali, fra e .

Tutti questi fattori tendono a mantenere gran parte del brano

in un’area di protus con finale C, eccezion fatta, come si è

visto, per il cantus che, a causa dell’oscillazione semitonale

E/ presenta in aggiunta le specie tipiche di un tetrardus con

finale C. Tuttavia la serie delle cadenze (su G, C e D, con il

secondo grado D posto, come spesso avviene nei rondeaux in

protus, particolarmente in Du Fay, a mo’ di cerniera fra le due

sezioni) conferma in maniera precipua la sonorità di protus.

Ritmicamente le due sezioni sono chiaramente distinte: la

prima presenta, all’interno di un tempo imperfetto (binario)

diminuito, una notazione vigorosamente melismatica; la seconda

è notata in tempo sempre diminuito (questa volta perfetto o

ternario) ma con una densità ritmica notevolmente inferiore.59

58 Fonte principe: Firenze, Biblioteca Nazionale, Magl. XIX, 107bis: cc.38v-40 (con attribuzione a ‘Dufay’). Secondaria: Montecassino, Archiviodella Badia, Cod. 871N (Montecassino 871), cc. 4v-5.

59 Per ulteriori notizie su questo rondeau v. in particolare R. STROHM, TheRise of European Music: 1380-1500, Cambridge: Cambridge University Press (1993),pp. 441-442.

37

Passando a Binchois vediamo come il primo caso scelto, il

rondeau Comme femme desconfortée60 (v. es. 5), mostri una marcata

sonorità di tritus con finale su C.61

La struttura cadenzale è piuttosto ricca e variata, potendosi

annoverare snodi che, a parte la finale C, mettono in evidenza

G (mm. 4-5), D (mm. 14-15), su C (mm. 19-20) e su E (mm. 23-

24), il terzo grado sopra la finale, un punto di snodo

intermedio normalmente comune all’interno di brani

classificabili nell’area modale di tritus. Vi sarebbe tuttavia da

aggiungere che le cadenze summenzionate, a parte la prima su

G, sono tutte ‘arricchite’ dalla presenza della terza (quindi

D/F, mm. 14-15; C/E, mm. 19-20; E/G, mm. 23-24) a rigore

consonanza imperfetta in quest’epoca e pertanto teoricamente

proibita in posizione cadenzale, sebbene frequente in Binchois.

60 Fonte principe: Yale University, Beinecke Rare Book and Music Library 91(Chansonnier Mellon), cc.32v-33 (attribuzione a ‘Binchoys’). Secondarie:Wolfenbüttel, Landesbibliothek, Ms. extrav. 287, cc.31v-32; Washington,D.C., Library of Congress, Chansonnier Laborde, cc.17bv-18 (solo tenor econtratenor); Dijon, Bibliothèque Municipale, Ms. 517 (olim 295),cc.XXXVIIIv-XXXIX (41v-42); Paris, Bibliothèque Nationale, nouv. acq.fr., Ms. 4379, cc.13v-14; München, Bayerische Staatsbibliothek 9659, c.4(solo cantus e tenor); Uppsala, Universitetsbiblioteket 76a, cc.19v-20;Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Magl XIX, 176, cc.123v-125;Escorial, Real Biblioteca del Monasterio, Ms. IV.a.24 (Escorial B), cc.131v-132; Paris, Bibliothèque Nationale, Chansonnier de Jean de Montchenu, Ms.Rothschild 2973 (Chansonnier Cordiforme), cc.38-40 (con contratenoralternativo); Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana,Cappella Giulia, Cod. XIII 27, cc.88v-89. In aggiunta a questa riccatradizione manoscritta, sebbene quasi completamente anonima, dellamusica, il testo letterario è tramandato da solo nelle due fontiseguenti: Berlin, Kupferstichkabinett, Ms. 78 17 (Hamilton 674),Chansonnier du Cardinal de Rohan, c.117 e Le Jardin de Plaisance et Fleur de Rhetoricque(Paris: Antoine Vérard [1501]), cc.XCIII e LXII (solo incipit). L’edizionemoderna di riferimento per le chansons di Binchois resta a tutt’oggi ilvolume curato da Wolfgang REHM, Die chansons von Gilles Binchois (1400-1460), Mainz:B. Schott’s Söhne (1957), pp. 53-54 per Comme femme.

61 V. sopra, n. 55, per le considerazioni in merito alla trasposizione deltritus dal suo ‘luogo’ naturale su F a C.

38

Il carattere grandemente eufonico e lo sviluppo del discorso

musicale su linee morbide e dalla sinuosa e rotonda arcata

melodica testimonierebbero della vicinanza del compositore

franco-fiammingo a caratteristiche stilistico-sonore

prettamente inglesi. Senonché, nonostante la ricca tradizione

manoscritta di questo brano, l’ascrizione a Binchois è

testimoniata dal solo Mellon Chansonnier (ca. 1470) fonte postuma

rispetto al compositore, il che lascerebbe supporre una data di

composizione piuttosto tarda.62

Fra i brani in C di Binchois Ay, douloureux63 (v. es. 6) si

distingue come l’unico pezzo dotato di una pressoché esclusiva

sonorità di protus. Tuttavia, come il brano precedente, questo

rondeau, pure piuttosto tardo, mostra un ricco repertorio

cadenzale: C, D, E -sebbene quest’ultimo grado presente solo

nel cantus e, in una cadenza altamente irregolare, in quanto

terza sopra il tenor e terza sotto il contratenor-, G e persino

B. Ciononostante, quarte e quinte impiegate lungo tutto l’arco

del brano sono per la grande maggioranza di I specie e solo in

un caso (mm. 35-36) una quinta di IV specie su g è messa in

evidenza dal cantus. Sebbene questo non sia l’unico passo del

brano dove la voce superiore non abbia necessità di

‘correggere’ b, al fine di evitare dissonanze armoniche o

melodiche, in b, negli altri casi il b è parte o di un moto

cadenzale verso c’ (mm. 13-15, 45-47) oppure è inserito

all’interno di un movimento melodico o frase che non completa o

non evidenzia in maniera particolare la quinta corrispondente

62 Per un’analisi stilistica e una discussione dei problemi di attribuzionev. R. STROHM, ‘Modal Sounds as a Stylistic Tendency…’, cit., pp. 161-162 eID., The Rise of European Music, cit., pp. 442-443.

63 Fonte unica: Oxford 213, c.78v (attribuito a ‘Binchoys’). Edizionemoderna: W. REHM, Die chansons von Gilles Binchois…, cit., pp. 8-9.

39

(mm. 9-11, 23, 28-30, 42-43). Questo ha come conseguenza una

certa preponderanza di quarte e quinte di I specie, nonostante

la risultante modalità di protus, a causa sia dello scarto in

segnature di chiave fra cantus e voci inferiori sia dei moti

cadenzali e melodici in genere, si alterni sino alla fine tra

finali su D, G e C.

Naturalmente queste brevi analisi non pretendono altro che

fornire un assaggio dell’utilità di un approccio modale alla

polifonia tardo-medievale. Va da sé che, per essere completi,

approcci analitici di questo tipo vadano integrati con altri

fattori, in primis con il comportamento contrappuntistico. I due

aspetti si possono in effetti completare a vicenda e sono in un

certo senso complementari; infatti la modalità focalizza

l’attenzione sul profilo melodico e sul colore ‘tonale’

(intendendo ovviamente l’aggettivo nel senso più ampio

possibile), mentre il contrappunto, come del resto già rilevato

dalla Bent (v. sopra n. 9), privilegia un punto di vista più

locale e circoscritto, ma nondimeno utile per stabilire una

grammatica relazionale fra le diverse linee melodiche del

tessuto polifonico.64

64 Per uno sviluppo analitico più approfondito e sempre concentrato su DuFay e Binchois, v. il mio ‘Modal Usage in the Secular Works of Du Fay, inRevue Belge de Musicologie, 59 (2005) (in corso di stampa) e The Emergence ofModality in Late Medieval Song: The Cases of Du Fay and Binchois, testo in preparazione.

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CARLO BOSI

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