La strategia di Francesco Morosini nella guerra di Morea (1684-1699) ed il suo contributo alla...

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1 CENTRO ALTI STUDI PER LA DIFESA 8° Corso Superiore Di Stato Maggiore Interforze Anno Accademico 2005-2006 La strategia di Francesco Morosini nella guerra di Morea (1684-1699) e il suo contributo alla nascita delle truppe da sbarco Dott. Luigi Robuschi III Sezione; 10° Gruppo di Lavoro

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CENTRO ALTI STUDI PER LA DIFESA

8° Corso Superiore Di Stato Maggiore Interforze

Anno Accademico 2005-2006

La strategia di Francesco Morosini nella guerra di Morea

(1684-1699) e il suo contributo alla nascita delle truppe da sbarco

Dott. Luigi Robuschi

III Sezione; 10° Gruppo di Lavoro

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Il 31 marzo 1683 la carica della cavalleria polacca, comandata dal re Giovanni III Sobieski, sfondando le linee turche, pose fine all’assedio di Vienna, che durava ormai da tutta l’estate. Il gran visir Kara Mustafà ordinò immediatamente la ritirata, presto tramutatasi in una rotta disordinata, che terminò solo dietro le mura di Belgrado.

L’inattesa notizia della disfatta causò al sultano Maometto IV un improvviso malore. Sconvolto e preso da un’irrefrenabile eccesso d’ira, ordinò ad alcuni sicari di partire

immediatamente alla volta di Belgrado per eliminare il gran visir e tutti i suoi collaboratori, ritenendoli direttamente responsabili della sconfitta. Solo di fronte alle teste recise e riempite di paglia di Kara Mustafà e dei suoi generali, il sultano comprese quale errore avesse commesso. Non solo aveva perduto un’armata sotto le mura di Vienna, ma si era anche privato del suo valido primo ministro e di tutto lo stato maggiore turco.

La notizia si diffuse in fretta e a Vienna, dove non si erano ancora conclusi i festeggiamenti per la vittoria, Giovanni III di Polonia e l’imperatore Leopoldo I d’Asburgo colsero al volo l’occasione per creare un’alleanza che allontanasse definitivamente l’impero ottomano dalle fertili pianure dell’Ungheria, a cui erano entrambi interessati. A cementare l’accordo contribuì il sostegno del papa Innocenzo XI, molto favorevole ad arrestare il secolare espansionismo ottomano, come aveva dimostrato, durante l’assedio di Vienna, finanziando generosamente i difensori della città. All’alleanza, che ormai aveva preso il nome di Santa, venne chiamata a partecipare anche la Repubblica di Venezia. Si sentiva la necessità di estendere il conflitto, creando un secondo fronte d’attacco per arginare le enormi potenzialità di uomini e mezzi dell’impero ottomano, solo parzialmente intaccate

dalla sconfitta subita a Vienna.

Venezia, da parte sua, era reduce da un lunga e logorante guerra proprio contro il sultano Maometto IV, che l’aveva impegnata dal 1615 al 1669 e che si era conclusa con la definitiva perdita dell’isola di Creta (dai veneziani chiamata Candia), che costituiva l’ultimo dei tre Regni dell’antico impero coloniale veneziano in Levante.

Nel 1453, quando il sultano Maometto II conquistò Costantinopoli, ponendo fine all’impero romano d’oriente, Venezia estendeva la propria autorità

su Negroponte, Cipro e Candia. Da quel momento in poi, le successive ondate espansionistiche dell’impero turco, la privarono di questi possedimenti a cadenza quasi regolare. Nel 1470 era caduto il regno di Negroponte; nel 1570 era stata la volta di Cipro ed infine Candia, nel 1669. Malgrado le perdite di uomini e di capitali che Venezia aveva dovuto sopportare, tra il 1669 e il 1683 la Repubblica era riuscita a recuperare rapidamente la propria potenza economica. La perdita di Candia ne aveva seriamente compromesso il prestigio politico a livello internazionale. In questo contesto l’alleanza proposta da Polonia e impero asburgico veniva a solleticare l’orgoglio veneziano con l’offerta di recuperare le posizioni perdute in

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Mediterraneo orientale a causa della lotta contro i turchi. A contribuire in maniera determinante alla partecipazione veneziana alla Santa Alleanza fu Marcantonio Giustiniani, appena eletto doge che, durante la guerra di Candia, si era dimostrato attivo sostenitore della lotta antiturca, convincendo il re Luigi XIV, presso la corte del quale svolgeva il ruolo di ambasciatore della Serenissima, a partecipare alla lotta inviando una spedizione alla volta di Creta1. Marcantonio godeva pure dei favori del pontefice, che ne apprezzava la grande spiritualità e l’ineccepibile condotta di vita. La partecipazione di Venezia alla Lega Santa venne ratificata il 5 marzo 1684 a Linz dall’ambasciatore veneziano a Vienna, Domenico Contarini, per l’occasione elevato al rango di plenipotenziario.

La Repubblica si impegnava a muovere flotta e forze terrestri in Dalmazia affinché i tre alleati potessero impiegare tutto il loro potenziale al fine di conseguire il successo finale ed una comune pace2. L’accordo prevedeva che Venezia, in cambio del suo impegno, avrebbe ottenuto di rivendicare e recuperare dal nemico i possessi perduti.

La Repubblica, insomma, doveva creare un secondo fronte in Dalmazia, al fine di distogliere il maggior numero di truppe turche dalla difesa dei confini ungheresi, contro i quali gli austro-polacchi avrebbero sferrato il proprio attacco. In cambio, essa avrebbe potuto recuperare alcuni dei possedimenti che le erano stati sottratti.

A guidare le forze veneziane in questo coraggioso tentativo di riprendere le armi contro il nemico di sempre, venne nominato Francesco Morosini, che aveva dedicato al mare e alla guerra la maggior parte della propria vita e che, proprio nei difficili giorni della guerra di Candia, aveva dimostrato il proprio carisma e la grande abilità strategica.

Francesco Morosini, membro di una delle più antiche ed

importanti famiglie patrizie veneziane, era stato avviato sin dalla propria giovinezza alla carriera militare in marina.

Imbarcatosi nel 1635, appena diciannovenne, sulla galera di un cugino, aveva percorso rapidamente i gradi della gerarchia militare e partecipato a tutti i fatti d’arme che avevano coinvolto la Repubblica di Venezia.

Durante la guerra di Candia, in particolare, fu designato a ricoprire per ben due volte la massima carica di comando, definita a Venezia col termine di Capitano Generale da Mar.

Era un uomo di grande coraggio e dalle indubbie doti strategiche, che aveva largamente dimostrato durante il corso della guerra, ottenendo diverse brillanti vittorie, tra le quali è

opportuno ricordare la battaglia di Santa Pelagia, avvenuta nella notte dell’otto marzo 1667. La flotta veneziana, al comando di Francesco Morosini, riuscì a sconfiggere quella

1 Della sfortunata spedizione francese a Candia si è a lungo occupato Guido Candiani che ha

recentemente pubblicato due importanti articoli proprio su quest’argomento: G. CANDIANI, Francia, Papato e Venezia nella fase finale della guerra di Candia, “Atti dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti”, 152/IV(1993-1994), Classe di scienze morali, lettere ed arti, p. 829- 887 e Conflitti di intenti e di ragioni politiche, di ambizioni e di interessi nel patriziato veneto durante la guerra di Candia, “Studi Veneziani”, n.s., 36 (1998), p. 145- 275.

2 Il trattato ratificato dal Contarini specificava gli obblighi di Venezia in una serie di articoli, tra i quali l’impegno di muovere “maritima classe et terrestribus in Dalmatia copiis, ad eoque tres partes maioribus quibus possent viribus hoc bellum usque ad eius, iuvante Deo, gloriosum finem et, comunem pacem bona fide gesturos. In cambio del suo impegno, avrebbe ottenuto ad vindicanda et recuperanda ab hoste ea, quae perdidit” (Biblioteca Nazionale Marciana, Ms Ital., classe VII, 1882 (= 9073) Trattato di alleanza tra Impero, Repubblica di Venezia e Polonia contro il Turco, Linz, 5 marzo 1684, c. 342 r).

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turca, impedendo l’attacco all’isola di Standia (oggi Dìa), fondamentale base logistica per i difensori di Candia e catturando persino la nave ammiraglia nemica3.

Morosini era abituato ad essere ubbidito ciecamente e quindi restio a sopportare le incompetenze e gli errori, anche dei propri superiori. Ben noto, a questo proposito, è lo screzio che ebbe con l’anziano Capitano Generale da Mar, Alvise II Mocenigo mentre il Morosini ricopriva la carica di Capitano delle Galeazze (1651). I toni si inasprirono a tal punto che Morosini venne consegnato nella propria nave e gli venne impedito di prendere parte alla Consulta, organo corrispondente all’odierno Stato Maggiore.

Il costante impegno nella flotta e il perdurare del conflitto contro i turchi imposero al Morosini lunghe assenze dalla madrepatria. Questo, tuttavia, non dovette pesargli molto.

Sulla terraferma, infatti, si sentiva privato di quella dignità e di quel potere che ancora oggi caratterizzano il comandante di una nave. La severa educazione impartitagli dal padre Pietro, Procuratore di San Marco (una delle cariche più prestigiose della Repubblica) e il carattere ambizioso lo avevano reso troppo sicuro di sé. La necessità di accumulare ingenti ricchezze per finanziare la propria carriera, lo avevano indotto a commettere degli illeciti per i quali era stato indagato per peculato al termine del suo primo mandato come Capitano Generale da Mar (1661).

Venne sottratto dalla scomoda situazione dalle aderenze della famiglia che, imparentata con i più influenti senatori veneziani, gli evitò ulteriori ripercussioni sulla sua carriera.

L’avvenimento più controverso nella vita del Capitano Generale da Mar, tuttavia, era stata la decisione, estremamente sofferta, di aver ratificato la resa di Candia, capitale del regno cretese, sancendone il definitivo passaggio all’impero ottomano, nel settembre del 1669.

Per le non chiare circostanze in cui era avvenuta la resa, Francesco, appena tornato a Venezia, aveva dovuto subire nuovamente l’umiliazione di sedere sul banco degli imputati e persino di essere tratto in arresto.

Fortunatamente per lui l’interesse del Senato ad insabbiare rapidamente tutti gli eventuali strascichi della sconfitta, lo avevano salvato da una pericolosa situazione.

Da allora Morsini aveva preferito rimanere distante dalla politica e da Venezia, e sempre più lunghi e frequenti erano i suoi ritiri in campagna, presso la villa di famiglia a Polesella, motivati dal dover curare gli attacchi di mal della pietra4 di cui da tempo soffriva. In realtà per sfuggire alle trame politiche dei suoi numerosi nemici5.

Personalità complessa e per molti versi discutibile, fu autentica espressione della sua epoca, definita dal Nani il “secolo di ferro”. Avversato da vaste frange del patriziato e poco gradito anche al popolo, rimaneva pur sempre il più prestigioso comandante che Venezia potesse vantare e, per l’esperienza maturata sul campo e le indubbie doti personali, il più idoneo a comandare la spedizione veneziana in Levante.

Nell’estate del 1684 Francesco Morosini, al comando di una coalizione formata da

unità navali fornite da Stato pontificio, Sovrano Militare Ordine di Malta e del granduca di Toscana, salpò da Corfù, principale base navale della Repubblica di Venezia. Non solo il Senato gli aveva delegato ogni decisione riguardante l’utilizzo delle forze a disposizione, ma più importante ancora lo aveva lasciato libero di scegliere gli obiettivi da conseguire durante la campagna intrapresa.

3 M. NANI MOCENIGO, Storia della Marina Veneziana da Lepanto alla caduta della Repubblica,

Roma 1935. 4 Ovvero calcoli alla vescica. Questo male lo condusse alla morte il 6 gennaio 1694. L’esame autoptico

rivelò la presenza di una “pietra di cinque o sei once” (A. DA MOSTO, I dogi di Venezia nella vita pubblica e privata, Milano 1960, p. 535.

5 Sull’argomento è a tutt’oggi fondamentale l’articolo di R. BRATTI, I nemici di Francesco Morosini, “Archivio veneto tridentino”, VII (1925), p. 47- 66.

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Morosini disponeva di una netta superiorità navale, garantita in particolare dalla flotta veneziana che, senza contare quelle ausiliarie, era costituita da trentotto galere, ventidue vascelli e quattro galeazze. Quella turca, invece, stando alle precise informazioni del bailo veneziano a Costantinopoli, si aggirava intorno alle diciotto beilere e ventiquattro zaccale6. In più Morosini era stato informato che molti reparti turchi erano stati smobilitati dalle fortezze costiere del basso Adriatico e dell’Egeo per fronteggiare il pericolo dell’invasione austro-polacca che puntava, seguendo il corso del Danubio, verso la fortezza di Buda.

La situazione era dunque molto favorevole, ma il problema maggiore era che il grosso delle forze terrestri della coalizione veneziana era costituito da non più di 10.000 uomini, molti dei quali provenivano dai presidi che componevano il sistema difensivo veneziano nello Stato da Terra e in quello da Mar, e non avevano alcuna esperienza delle nuove tattiche inventate da Raimondo Montecuccoli7 e collaudate proprio contro gli ottomani, che prevedevano grande movimento e concentrazione di fuoco. In particolare, durante la battaglia del San Gottardo, anche detta della Raab, grazie a questi accorgimenti, l’esercito imperiale, malgrado lo sfavorevole rapporto numerico, era stato in grado di conseguire una vittoria tanto schiacciante da costringere il sultano a firmare in tutta fretta la tregua8.

La Repubblica si adoperò immediatamente per sopperire a tali carenze assumendo ufficiali e soldati veterani delle guerre d’Ungheria, di volta in volta inviati nel teatro delle operazioni, a disposizione del Capitano Generale da Mar.

Intanto, tra 1684 e 1685, Francesco Morosini si applicò a conseguire obiettivi di minore importanza, al fine di ottenere il più alto grado di efficienza possibile, in

particolare tra le truppe di terra.

Tale necessità divenne prioritaria per l’eterogenea compagine linguistica e culturale

dei reparti, formati da italiani, dalmati, tedeschi, inglesi e francesi. La scelta di utilizzare in pieno Seicento delle milizie mercenarie, malgrado tutti gli altri grandi Stati avessero

6 Sin dall’inizio dell’intervento veneziano a fianco della Sacra Lega, la flotta ottomana, che non aveva

nessuna intenzione di sacrificarsi in una battaglia senza prospettive, si rifugiò nei porti muniti di Chio e Rodi, fortificati di recente in seguito agli attacchi francesi dei primi anni 80 del secolo, G. CANDIANI, L’evoluzione della flotta veneziana, in Venezia e la guerra di Morea; guerra, politica e cultura alla fine del ‘600, Venezia, 2005, p. 20.

7 L’importanza del Montecuccoli nel successivo sviluppo del pensiero strategico occidentale è legata in particolare ai suoi aforismi che ebbero immediatamente un successo notevole e che si prolungò a lungo, tanto che lo stesso Ugo Foscolo dedicò al pensiero di Montecuccoli una ristampa degli Aforismi con l’aggiunta di numerosi suoi commenti (R. MONTECUCCOLI, Aforismi dell’arte bellica con le considerazioni di Ugo Foscolo, a cura di F. Giovanelli, Milano 1987).

8 E. EICKHOFF, Venezia, Vienna e i turchi: bufera nel Sud- Est europeo, 1645- 1700, Milano 1991.

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oramai optato per eserciti nazionali, derivava dal tradizionalismo veneziano ancora legato all’esperienza cinquecentesca, considerata il momento di maggior prestigio politico ed economico della Repubblica9.

Nel 1686 la coalizione fu pronta per sferrare l’attacco principale contro le coste del

Peloponneso, dai veneziani chiamato Morea10. La scelta di dirigere verso quest’obiettivo venne dettata non solo dalla posizione strategica che tale penisola occupava all’interno del sistema difensivo ed economico turco nel Mediterraneo orientale, ma anche in considerazione del fattore psicologico, dal momento che portava pressione sulla popolazione di Costantinopoli e sullo stesso sultano.

Intento principale del Capitano Generale fu subito quello di creare una serie di punti di appoggio, costituite da basi situate sulla costa, evitando di puntare ad una conquista dell’entroterra.

Questa scelta era motivata dal fatto che l’esercito veneziano si sarebbe altrimenti trovato svantaggiato in uno scontro campale, sia per la superiorità numerica dell’esercito nemico che per l’impossibilità della flotta di sostenerlo e rifornirlo.

Durante le precedenti campagne del 1684- 1685, Morosini aveva inoltre avuto modo di constatare l’inadeguatezza delle tradizionali tattiche da sbarco e nel 1686 decise di rivoluzionare i compiti affidati alla flotta. Essa, per antica consuetudine, era divisa in Armata Grossa e Armata Sottile.

La prima, composta da velieri dotati di grande autonomia e volume di fuoco, assolveva a compiti di interdizione in alto mare contro le flotte nemiche; l’Armata Sottile, invece, costituita di galere e galeazze11, grazie alla propulsione dei remi e al limitato pescaggio, era più idonea a mansioni di trasporto truppe e di difesa dei convogli.

Proprio sull’Armata Sottile si concentrò l’attenzione del Capitano Generale. Durante gli sbarchi le galere erano solite lasciare le truppe a distanza dall’obiettivo, disimpegnandosi rapidamente per garantire i collegamenti logistici. Morosini, invece, insistette perchè lo sbarco avvenisse il più vicino possibile alle fortezze nemiche, consentendo alle galere di appoggiare l’azione delle truppe di terra con un preciso cannoneggiamento diretto contro le difese costiere, al fine di creare un diversivo che impegnasse gli assediati in due direzioni: una da terra e l’altra dal mare.

Divenne tuttavia subito evidente che le truppe mercenarie, proprio per le loro caratteristiche, fossero poco disposte ad affrontare i rischi imposti da sbarchi tanto ravvicinati al fuoco nemico, obbligando il Morosini ad impostare una seconda rivoluzione nella tattica degli sbarchi. Era necessario individuare nuclei specializzati e ben motivati,

9 Secondo il Prelli, la decisione di Venezia a lasciare la propria sicurezza nelle mani di mercenari

sarebbe stata dettata dalla precisa necessità di salvaguardare la stabilità politica. “Se un nobile avesse lasciato Venezia per andarsene ad acquistare esperienza militare, avrebbe modificato equilibri politici. I mercenari, dunque, permettevano ai nobili di dedicarsi a tempo pieno alla politica e al commercio” (A. PRELLI, L’esercito veneto nel primo ‘600, Venezia, 1996, p. 13).

10 Non si conosce con certezza l’etimo esatto del termine veneziano Morea. La penisola del Peloponneso, da un punto di vista geografico, ricorda una foglia di gelso, in veneziano “moraro” (dal greco moròn) o albero di more, da cui, molto probabilmente, il nome Morea (G. PATRIARCHI, Vocabolario veneziano e padovano co’ termini e modi corrispondenti toscani, Padova 1775, p. 210).

11 Una galera sottile era lunga dai 40 ai 45 metri con 20/25 banchi di rematori. Aveva come armamento un cannone o colubrina calibro 50, posto all’estremità prodiera della corsia, 2 sacri e 2 falconi sempre a prora a fianco del pezzo più grosso, e un certo numero di petriere e falconetti disposti a poppa e sui fianchi. Le galeazze, che ebbero la propria consacrazione durante la battaglia di Lepanto del 1571, erano delle vere e proprie fortezze marine armate con 8 pezzi a prua, 8 a poppa e 7 per bordo, più un’altra trentina di pezzi minori. Le bocche da fuoco erano lungo i fianchi, invece di essere concentrate a prua, erano un grande vantaggio, ma purtroppo queste unità erano molto lente e difficili di manovrare (PRELLI, L’esercito veneto, p. 74).

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dotati di non comune coraggio e combattività. Si decise dunque di utilizzare la fanteria Oltremarina, composta da dalmati, croati, cimariotti, morlacchi, kaiduci e montenegrini.

Queste truppe erano di religione cristiana, bellicose, fiere e fedeli, da secoli abituate a lottare contro i turchi che avevano invaso i loro territori e verso i quali il loro odio raggiungeva spesso forme di vero e proprio fanatismo.

Proprio su queste caratteristiche fece affidamento il Capitano Generale da Mar, costituendo veri e propri reparti di truppe scelte anfibie. Essi erano imbarcati sulle galere con “comando indipendente dalla marina ancorché con essa strettamente coordinato”12.

Non erano né propriamente fanti, né marinai e per loro venne coniato un nuovo termine: fanti da mar. Durante gli sbarchi erano i primi a prendere terra e a loro era affidato il compito di creare una prima testa di ponte che, sotto l’ombrello protettivo del fuoco delle artiglierie della flotta attestata sottocosta, permettesse al grosso dell’armata di prendere terra in sicurezza. E’ necessario aggiungere che i compiti dei fanti da mar non si esaurivano unicamente nelle operazioni anfibie. Una volta iniziato l’assedio gli Oltremarini venivano utilizzati come truppe d’assalto in audaci colpi di mano, coprendosi di gloria durante tutta la guerra del Peloponneso e meritandosi più di una volta gli encomi e gli elogi del Capitano Generale da Mar, in particolare durante l’assedio di Negroponte nel 1688 e nella battaglia di Paleocastro (1694).

La prima occasione in cui venne collaudata questa rivoluzione strategica fu durante l’assedio di Navarino Novo (1686), fortilizio munitissimo e da tempo considerato inespugnabile.

L’azione si sviluppò con un iniziale bombardamento navale della fortezza ad opera dell’Armata sottile (con le truppe da sbarco ancora a bordo); successivamente venne effettuato lo sbarco dei fanti da mar, appoggiato dal fuoco di copertura delle navi. Infine si procedette allo sbarco del grosso dell’armata di terra. La strategia del Morosini risultò un pieno successo grazie alla sinergia tra reparti della flotta e dei fanti da mar. Va anche ricordato l’importante contribuito fornito dalle sei galeazze. Queste unità erano galere pesanti, munite di un’imponente numero di cannoni di diverso calibro, che svolsero compiti e funzioni singolarmente analoghi a quelli svolti dalle corazzate sino alla seconda Guerra Mondiale: erano i giganti del mare dell’epoca, veri arsenali galleggianti.

La nuova tattica venne utilizzata in tutte le successive conquiste veneziane ottenute sino al 1688, anno in cui, con la sola eccezione di Malvasia, venne conquistata l’intera

penisola peloponnesiaca. E’ necessario sottolineare che il successo veneziano venne facilitato dal numero limitato dei difensori turchi, ulteriormente ridotti a causa della capitolazione di Buda ad opera dell’armata asburgica, che ora puntava verso Belgrado, e all’entrata in guerra, a fianco della Santa Lega, della Russia.

Francesco Morosini venne gratificato dei suoi successi con il titolo di Peloponnesiaco (1687) e, successivamente, con la nomina a doge nel 1688. Grazie alle sue abilità era riuscito a restituire all’antica Repubblica quella dignità e quel rango tra le potenze europee che ormai mancava da troppo tempo, conquistando un nuovo regno proprio nel Levante da cui era stata scacciata dall’impero ottomano.

Da ultimo è necessario sottolineare che la paternità veneziana dell’invenzione delle

truppe da sbarco andò velocemente dimenticata. La perdita del Peloponneso nel 1718 e la successiva decadenza militare della Repubblica fecero cadere nell’oblio le innovazioni tattiche inventate dal Morosini, malgrado quest’ultimo le avesse descritte dettagliatamente nel suo “Ragguaglio Giornaliero delle Trionfanti ed Invittissime Armate Venete”,

12 I CACCIAVILLANI, Francesco Morosini nella Vita di Antonio Arrighi, Venezia, 1996, p. 236- 238.

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pubblicato a Venezia nel 1687. Fu la Gran Bretagna, da sempre attenta studiosa delle innovazioni provenienti dalla tradizione veneziana, ad assimilare e a far propria l’invenzione dei fanti da Mar, comprendendone immediatamente l’importanza all’interno di un impero fondato sulla superiorità marittima. In seguito la specialità anfibia venne acquisita dagli Stati Uniti d’America e poi da tutti gli altri grandi Stati europei mentre l’Italia, sorprendentemente, rinunciò a creare un proprio corpo anfibio sino alla fine della I Guerra Mondiale, anche se già dal 1915 esisteva, in via ufficiosa, una “Brigata Marina” inviata, dopo la rotta di Caporetto (24 ottobre- 9 novembre 1917), a presidiare le vie di accesso a Venezia13 , per sventare un’eventuale incursione degli austro- ungarici.

Proprio il valore con cui venne portato a termine tale compito convinse lo Stato Maggiore italiano a rendere ufficiale la nascita della Fanteria di Marina, con il Regio Decreto del 17 marzo 1919.

Le autorità di Venezia, memori dei sacrifici affrontati dal Reggimento di Marina per difendere la città, gli dedicarono lo stemma e il patrono (San Marco) dell’antica Repubblica di Venezia.

La Storia restituì così la legittima paternità della disciplina anfibia all’antica Repubblica di Venezia, che quasi tre secoli prima aveva contribuito in maniera tanto determinante ad inventare.

13 Fucilieri di Marina, due pagine di Storia, sito ufficiale della Marina Militare Italiana, www. Marina.

Difesa. It. / San Marco/ storia. Htm.

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BIBLIOGRAFIA

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