Il ruolo di Al Azhar nel processo di trasformazione del nuovo Egitto dal 2011 a oggi

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INCONTRO DI CIVILTÀ Michele Gradoli Il ruolo di Al Azhar nel processo di trasformazio- ne del nuovo Egitto dal 2011 a oggi Le parole della rivoluzione egiziana e la voce di Al Azhar Dal 25 gennaio 2011 è in corso in Egitto un processo di trasfor- mazione sociale, politica e costituzionale che ha profondamente cambiato l’assetto istituzionale del Paese, ponendo fine al regime di Mubarak e facendo emergere la società civile, nuovi attori po- litici, rinnovati equilibri istituzionali e, negli ultimi mesi, nuove e crescenti tensioni. Si tratta di un processo complesso, tanto che la stessa defini- zione di “rivoluzione” sembra essere sempre meno appropriata e appare condivisibile la proposta di parte della dottrina di distin- guere le rivolte egiziane in tre rivoluzioni o, almeno, in tre fasi distinte. La prima fase comprenderebbe le rivolte contro il regime di Mubarak svoltesi dal 25 gennaio all’11 febbraio 2011, la seconda le proteste contro il Consiglio Supremo delle Forze Armate che hanno avuto luogo dal novembre 2011 fino al 30 giugno 2012, in- fine la terza abbraccia gli eventi che vanno dal luglio 2012 fino ai giorni nostri, caratterizzati dalle manifestazioni contro Morsi e i 1 Per tutti si veda Marco Hamam, Il giorno della marmotta ovvero corsi e ricorsi delle tre rivoluzioni d’Egitto, e Alessandro Accorsi, La rivoluzione photoshop e gli errori di Morsi, in «Limes, Egitto, rivoluzione usa e getta», n.7, Roma 2013. 11 Rivista di Studi Politici - S. Pio V

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incontro di civiltà

Michele Gradoli

Il ruolo di Al Azhar nel processo di trasformazio-ne del nuovo Egitto dal 2011 a oggi

Le parole della rivoluzione egiziana e la voce di Al Azhar

Dal 25 gennaio 2011 è in corso in Egitto un processo di trasfor-mazione sociale, politica e costituzionale che ha profondamente cambiato l’assetto istituzionale del Paese, ponendo fine al regime di Mubarak e facendo emergere la società civile, nuovi attori po-litici, rinnovati equilibri istituzionali e, negli ultimi mesi, nuove e crescenti tensioni.

Si tratta di un processo complesso, tanto che la stessa defini-zione di “rivoluzione” sembra essere sempre meno appropriata e appare condivisibile la proposta di parte della dottrina� di distin-guere le rivolte egiziane in tre rivoluzioni o, almeno, in tre fasi distinte.

La prima fase comprenderebbe le rivolte contro il regime di Mubarak svoltesi dal 25 gennaio all’11 febbraio 2011, la seconda le proteste contro il Consiglio Supremo delle Forze Armate che hanno avuto luogo dal novembre 2011 fino al 30 giugno 2012, in-fine la terza abbraccia gli eventi che vanno dal luglio 2012 fino ai giorni nostri, caratterizzati dalle manifestazioni contro Morsi e i

1 Per tutti si veda Marco Hamam, Il giorno della marmotta ovvero corsi e ricorsi delle tre rivoluzioni d’Egitto, e Alessandro Accorsi, La rivoluzione photoshop e gli errori di Morsi, in «Limes, Egitto, rivoluzione usa e getta», n.7, Roma 2013.

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Fratelli musulmani e il loro rovesciamento per mano dell’eserci-to. Anche il governo di Morsi, infatti, è stato scosso da numerose proteste nonostante fosse il risultato delle prime elezioni demo-cratiche del Paese: dopo un primo periodo di calma, infatti, anche il neo eletto presidente è stato contestato dapprima in seguito alla convocazione del Parlamento che era stato sciolto dalla Corte Suprema Costituzionale (10 luglio 2012); poi successivamente alla dichiarazione del novembre 2012 che negava alla magistra-tura il controllo sulle decisioni presidenziali e, infine, in maniera intermittente, dal gennaio al luglio 2013 contro le politiche eco-nomiche e contro la nomina di Adil al-Hayyat a governatore di Luxor.

Tra gli eventi sopra menzionati un momento fondamentale è sta-to rappresentato dall’approvazione con referendum nel dicembre 20122 di una nuova Costituzione che, tra le sue disposizioni, ha riaf-2 Il testo della Costituzione è stato votato il 30 novembre 2012 dall’Assemblea

costituente e successivamente approvato dal 63.8% dei votanti al referendum tenutosi in due turni il 15 dicembre e 22 dicembre 2012. L’affluenza è stata pari al 32,9 per cento dei 52 milioni di aventi diritto (Fonte: «Il Corriere della Sera» del 25 dicembre 2012). Va comunque evidenziato come l’Egitto si sia espresso come un Paese estremamente diviso: in tre dei ventisette governatorati (Cairo, Gharbiya e Sharquiya), il 57% dei votanti ha rifiutato il testo costituzionale, ritenendolo espressione della sola maggioranza islamica presente nell’Assemblea costituente. Prima della sua sospensione nel 2011, la Costituzione in vigore in Egitto dal 1971 risultava fortemente sbilanciata per il potere attribuito al presidente e al partito di maggioranza, nonostante all’epoca si ponesse come un’evoluzione rispetto alla precedente Costituzione del 1923. Infatti, l’allora presidente Anwar Sadat presentò la Costituzione del 1971 come un tentativo di discostarsi dal socialismo e dall’autoritarismo di Nasser, ma dal 1981, quando successe a Sadat, in poi il presidente Hosni Mubarak ha notevolmente sfruttato i poteri garantitigli dalla Carta nella lotta contro i suoi oppositori. Ad esempio, è un dato di fatto che molti dei “successi” elettorali di Mubarak siano stati dovuti al fatto che la norma costituzionale che vietava la formazione di partiti fondati sulla religione o la classe sociale è stata spesso utilizzata per eliminare dal confronto politico i partiti comunisti o islamici.

Infine, va sottolineato che le passate Costituzioni egiziane sono state scritte da Commissioni i cui membri sono stati sempre nominati dal presidente in carica. Così, nella redazione dei testi non c’è mai stato un coinvolgimento dei cittadini, che hanno sempre percepito le Costituzioni come una mera imposizione dello Stato.

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fermato il richiamo all’Islam come religione di Stato e alla Shari’a come fonte normativa principale (artt. 2 e 4).

In particolare, l’identità non più solo araba, ma anche islamica dello Stato egiziano veniva ricordata e costantemente menzionata nei primi quattro articoli: una scelta che evidenziava la netta volontà di indicare l’Islam come riferimento normativo e socio-culturale del nuovo Egitto, lontano – a quanto pare – da un processo di secolariz-zazione delle sue strutture normative.

È proprio la possibilità di costruire uno Stato laico che ha costi-tuito uno degli interrogativi più controversi e dibattuti: dapprima in Europa è stata valutata con particolare – e forse eccessiva – severità il riferimento alla religione islamica, giudicato come un passo in-dietro nel cammino per la laicità intrapreso durante la rivoluzione. Successivamente, negli ultimi mesi, il dibattito sulla laicità della nuova Repubblica egiziana ha accesso fortissime tensioni all’inter-no del Paese stesso nei confronti dei Fratelli musulmani al governo in seguito al risultato elettorale del giugno 20123.

Il tema della lotta per la laicità quindi ha attraversato tutte le tre fasi della rivoluzione: in maniera più sotterranea durante i giorni di Piazza Tahrir per poi emergere con più forza e rilevanza negli ultimi mesi, alimentando spesso suggestioni effimere, che hanno finito per attribuire alla rivoluzione significati a essa probabilmente estranei e la questione della laicità ne è un esempio.

3 Va precisato che le elezioni presidenziali egiziane si sono svolte in due turni il 23-24 maggio e il 16-17 giugno 2012. Durante il primo turno il 24.3% dei voti (circa 5,7 milioni) è andato a Mohammed Morsi, candidato dei Fratelli musulmani, contro il 23.3% dei voti di Ahmed Shafiq, ex premier ed ex co-mandante dell’Aeronautica militare; il 20.4% di Hamdin Sabbahi, candidato del partito di sinistra al-Karamah; il 17.2% di Abdul Moneim Aboul Fotouh, islamista moderato ed ex esponente dei Fratelli musulmani e l’11.1% di Amr Moussa, ex segretario della Lega Araba ed ex ministro degli Esteri di Mubarak. Un dato importante di queste elezioni che va evidenziato è la bassa affluenza: nonostante la portata storica dell’evento, si è recato alle urne solamente il 46,42 per cento degli aventi diritto (circa 23.672.236 persone).

Il secondo turno tenutosi tra il 16 e il 17 giugno ha visto quindi Morsi vincere le elezioni con il 51.7% dei voti mentre Ahmed Shafiq ha ottenuto il 48.3% (fonte: sito della Camera dei Deputati www.camera.it).

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Più volte la rivoluzione del 25 gennaio – e la Primavera araba in generale – è stata interpretata come una battaglia per l’affermazione dello Stato laico. Osservando in modo più approfondito le origini delle rivolte, emerge però con chiarezza il fatto che la rivoluzione sia sorta dalla necessità di abbattere un regime tirannico e oltre-modo dispotico, così come sperimentati per tanti anni dai contesti statali egiziano e tunisino4. Regimi che, fra gli altri, hanno cercato di reprimere sul nascere tutte le istanze politiche, comprese quelle coltivate dalle organizzazioni islamiche.

Di qui la peculiare caratteristica della rivoluzione egiziana, per la quale la lotta contro la tirannia e la consequenziale richiesta di libertà non si declina nella ricerca di uno Stato completamente laico. Anzi, la protesta e la ricerca di un governo “giusto”, ossia non-dispotico, trovano in molti casi nell’Islam ispirazione e giustificazione5.

L’Islam è stato da sempre presente nelle strade della rivolta. Subito viene alla mente l’immagine di Piazza Tahrir che raccoglie centinaia di persone in protesta che pregano insieme. È chiaro che i manifestanti di Piazza Tahrir non possono essere considerati tut-ti fondamentalisti ma è altrettanto evidente che la preghiera della piazza non simboleggia solamente una nota colorata e – per l’Euro-pa – esotica: quella preghiera rappresenta l’inizio della ricerca, da parte del popolo egiziano, di un nuovo ruolo per la religione, e più specificatamente per la Shari’a, nello Stato.

Un ulteriore elemento che va considerato è l’utilizzo del lessico religioso nei giorni della rivoluzione: rispetto alle rivolte che negli

4 La rivoluzione tunisina, chiamata anche “Rivoluzione dei Gelsomini”, è scop-piata nel dicembre 2010 a seguito delle proteste dei giovani che chiedevano condizioni di vita migliori. Come nel caso egiziano, anche in Tunisia la rivolta ha portato alla fine del regime di Ben Ali, che manteneva la carica di presidente della Tunisia dal 1987.

5 Va precisato che l’elemento religioso è sempre stato presente nella cultura po-litica egiziana, tanto che anche durante il regime di Nasser il c.d. “socialismo arabo” è stato definito come una “teoria politica ed economica che combina elementi spirituali e materiali in virtù della ricostruzione della società araba” (trad. dell’Autore di Muhammad Abdel Mageed, Arab Socialism in the Light of Islam and Arab Reality, The Supreme Council for Islamic Affairs, Cairo 1967, p. 13).

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anni si sono succedute nel mondo arabo accompagnate dal grido Al-lah Akbar, per la prima volta in Egitto, come in Tunisia, in Libia, in Oman, in Giordania e in Siria, accanto alla professione di fede i ma-nifestanti hanno gridato Hurriya, hurriya! (trad. “Libertà, libertà!”) e, ad eccezione della Libia per ragioni che paiono ovvie, Silmiyya, silmiyya! (trad. “Pacificamente, pacificamente!”).

Esempio emblematico di come la religione sia stata in questo caso utilizzata come mezzo legittimante e di supporto al desiderio di libertà e di pacificazione espresso dalla popolazione.

Motivo per cui questi slogan non possono essere intesi come espressione della volontà di eliminare l’Islam dalla società egi-ziana, né dal sistema delle fonti del diritto statale. È stato sottoli-neato come i contestatori delle piazze abbiano utilizzato il termi-ne Madaniyya, madaniyya! che significa “civile” e non “laico” a dimostrazione del fatto che ciò che da subito è stato cercato non è uno Stato laico nell’accezione occidentale (almaniyya) ma uno Stato demilitarizzato, che rispetti i diritti, e che, pur rifiutando l’ipotesi di uno Stato prettamente religioso e islamista, trovi nel-l’Islam una delle risorse di legittimazione e di pacifica coesione sociale6.

Un ultimo dato che conferma il continuo richiamo alla retorica e al riferimento religioso è il grido “Al-shahidu habidu Allah”, che significa “i martiri sono i più vicini e i più amati da Dio” e che è presente, seppur con significati molto diversi da quelli che gli sono attribuiti in contesti più conservatori, anche tra gli Egiziani di Piazza Tahrir, dimostrando come la rivoluzione sia complessa e formata da più componenti ideologiche, politiche come anche religiose.

C’è chi ha scritto che questa combinazione di principi li-berali e di valori islamici sia dovuta alla mancanza di una sal-da cultura democratica nelle società musulmane, mentre altri considerano il fenomeno come un processo di decostruzione e reinvenzione dei valori tradizionali da parte delle società

6 Per un ulteriore approfondimento sul tema si veda Ilaria Costa, Piazza Tahrir e dintorni, in «Limes, L’Egitto e i suoi fratelli», 1° febbraio 2013.

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islamiche a seguito dell’incontro con i valori occidentali7. Se-condo questa seconda tesi il mondo arabo, incoraggiato da un imperante processo di globalizzazione sempre più accelerata, starebbe progettando una nuova visione islamica del mondo, moderna ma al tempo stesso profondamente connessa ai tra-dizionali valori religiosi. Si tratta di tesi interessanti, che tut-tavia sembrano tralasciare due dati importanti: da un lato, va considerato che l’Islam sarà sempre presente nelle rivoluzioni perché è nell’Islam che il moto rivoluzionario trova sua origine e giustificazione: il musulmano che partecipa alla rivoluzione per la democrazia e la dignità, contro la tirannia8, contro un governo ingiusto, non sta rinnegando i suoi valori religiosi: è la sua adesione alla religione islamica che in un certo senso lo sostiene nella sua lotta rivoluzionaria.

Dall’altro lato, tesi del genere applicate al contesto egiziano ri-schiano di escludere l’insieme complesso di tradizioni che apparten-gono da sempre all’Egitto e che hanno visto il contributo non solo della civiltà islamica ma anche di molte altre come quella cristiano-copta.

Sul punto il giurista egiziano Yusuf Qaradawi ha chiarito che il supporto dei musulmani alla rivoluzione egiziana ha costituito un obbligo morale e religioso in quanto la tirannia, i soprusi e l’in-giustizia costituiscono i disvalori che l’Islam stesso combatte. È la prospettiva, aggiunge Qaradawi, ove democrazia e Shari’a possono e anzi devono necessariamente coesistere, in quanto entrambe costi-tuiscono gli strumenti per elevare la dignità umana.

È una lettura della Shari’a che potrebbe risultare nuova per gli europei che per tanto tempo hanno inteso la Legge islamica come

7 Si veda Khaled Abou El Fadl, Conceptualizing Shari’a in the Modern State, in «Villanova Law Review», vol. 56, 2012, p. 5.

8 Va comunque precisato che la dottrina islamica prevede che la disobbedienza all’autorità sia giustificabile solamente quando colui che governa eserciti la sua autorità in maniera ingiusta. In tutti gli altri casi, la rivoluzione viene negativamente descritta dal termine fitna, che indica l’atto di disobbedienza al capo giusto. Per un approfondimento sul tema si veda Bernard Lewis, Il linguaggio politico dell’Islam, Laterza, Roma-Bari 1996, p. 110 e ss.

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un mezzo di repressione delle libertà dell’uomo. A maggior ragione, va riportata tale visione della Shari’a che raccoglie anche i valori della tutela dei diritti trovando proprio nel Corano i suoi principi ispiratori, come la condanna della privazione delle libertà (ikrah) o della corruzione (fasad).

Si tratta di una Shari’a che, di fatto, ammette la ribellione al-l’autorità quando questa utilizza il proprio potere al fine di re-primere o sfruttare le persone9. Va precisato, tuttavia, che anche all’interno dello stesso mondo musulmano questa lettura della Legge islamica risulta controversa: le frange più conservatrici dell’Islam, come i Salafiti10 o i Wahabiti11, hanno deciso di non prendere parte alle proteste proprio nella convinzione che il ri-spetto incondizionato dell’autorità sia un obbligo fondamentale del fedele.

È in questo breve e sintetico scenario che si spiega quindi come il richiamo all’Islam in Costituzione possa essere letto come un passo necessario e ricercato dalla stessa rivoluzione, oltre che come un prodotto definito della stessa Assemblea costituente di maggioranza islamica.9 La riflessione sulla corruzione nasce dall’esegesi di alcuni versetti del Corano

come quello che recita: “Perché furono così poche, nelle generazioni precedenti, le persone virtuose che proibivano la corruzione sulla terra? Le salvammo, mentre gli iniqui persistevano nel lusso in cui vivevano ed erano malvagi. Il tuo Signore non è Uno che distrugge ingiustamente le città i cui abitanti sono meritevoli” (Sura 11 Hud, versetti 116-117). La condanna della corruzione è ripresa anche dalla Sura 28 Al-Qasas, versetto 77 che recita: “Con ciò che Dio ti ha dato cerca la dimora ultima, senza dimenticare la tua porzione quaggiù; sii buono come Dio lo è stato verso di te e non corrompere la Terra, poiché Dio non ama i corruttori” (traduzione di Gabriele Mandel, Il Corano, Utet Libreria, Varese 2009).

10 Il Salafismo prende il nome dalla parola araba “salaf” che significa “antenato, predecessore”. I Salafiti costituiscono un movimento islamico fondamentalista che vorrebbe realizzare uno Stato ispirato alle prime generazioni di musulmani che seguirono il Profeta.

11 Il Wahhabismo è un movimento che si ispira agli insegnamenti di Muhammad ibn ‛Abd al-Wahhab vissuto alla fine del sec. XVIII nella Penisola Arabica. I Wahabiti si ispirano alla scuola hanbalita (v. nota 15) e mirano alla purifica-zione dell’Islam da tutte le innovazioni che ne avrebbero snaturato lo spirito originale.

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Il ruolo di Al Azhar durante la rivoluzione e nella Costituzione della nuova Repubblica d’Egitto

Le prime elezioni avvenute dopo la caduta di Mubarak tra il 28 novembre e il 22 dicembre 2011 hanno confermato la forza dei partiti di ispirazione islamica e hanno segnato l’ascesa definitiva al potere della coalizione Alleanza Democratica, in seno alla quale il principale partito è Libertà e Giustizia (Hizb al-hurriyya wa l-adala), identificabile come il braccio politico dei Fratelli musul-mani12.

La presenza islamica si è confermata rilevante anche nell’As-semblea costituente, la quale ha approvato un draft della nuova Co-stituzione egiziana che, oltre a confermare l’Islam come religione di Stato e i principi della Shari’a come fonte principale di diritto, ha nominato, all’art. 4, l’università Al Azhar�3 come autorità interpre-12 Il Parlamento egiziano è bicamerale: l’Assemblea del popolo, in seguito alle

modifiche del 2011 introdotte dal Consiglio delle forze armate, è formata da 508 membri, dei quali 10 sono di nomina del Consiglio supremo delle forze armate; il Consiglio della Shura è composto dal 264 membri, di cui solo 180 sono eletti, mentre i restanti sono nominati dal Presidente.

Le elezioni per l’Assemblea del popolo si sono concluse l’11 gennaio 2012 e il Partito Giustizia e Libertà, ha ricevuto il 47,2% dei voti, con l’assegnazione di 235 seggi su 498; il Partito Salafita Al-Nur (in arabo “La luce”) ha ricevuto il 24,3% dei voti e 121 seggi. Il 22 febbraio 2012 si è svolto invece il secondo turno delle elezioni del Consiglio della Shura, a seguito delle quali 105 seggi sono stati attribuiti a Libertà e giustizia e 45 al partito salafita. I partiti laici sono infine rappresentati all’Assemblea del popolo da 41 membri del partito Wafd e da 34 membri della coalizione laica del blocco egiziano, e, al Consiglio della Shura, da 14 rappresentanti di Wafd e 8 componenti della coalizione laica del blocco.

13 Al Azhar è la più importante università e istituzione religiosa sunnita. Il suo nome completo, al-Giāmi‛ al-azhar, significa “la moschea fiorita” e deriva da az-zahrā’, l’epiteto di Fatima, la figlia di Maometto, dalla quale i Fatimidi, che ne ordinarono la costruzione, presumevano di discendere. I Fatimidi conqui-starono l’Egitto nel 970; due anni dopo, il generale Gawhar al Sekelly costruì la moschea di Al Azhar, che fu aperta al culto il primo venerdì del mese di ramadan dell’anno 361 dell’ègira (21 giugno 972). Dopo poco più di dieci anni, nel 988, la moschea divenne un centro di studio e riflessione per le discipline religiose e giuridiche tanto che ancora oggi conserva il prestigio di università sunnita più autorevole.

Il rettore dell’Università è nominato con decisione del Consiglio dei Ministri

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tativa della Legge islamica.Rispetto a casi analoghi in cui la Legge islamica è considerata

la principale fonte normativa, la scelta di attribuire a un’istituzione universitaria (seppur, come ricordato, di elevatissimo rango) il ruo-lo di interprete ufficiale dei princìpi dell’Islam è un dato peculiare e senz’altro innovativo, di fatto un unicum fra gli ordinamenti dei Paesi musulmani

Come noto, la religione islamica conserva al suo interno molte-plici anime, che derivano dall’intreccio delle tradizioni locali con l’Islam; questo innesto, insieme con l’assenza di un clero14 istituzio-nalmente e gerarchicamente definito che fornisca un’interpretazio-ne ufficiale della religione, ha determinato la diffusione di diverse scuole interpretative15, rendendo il mondo islamico un panorama

dal 1954. Il primo rettore che è stato nominato secondo questa procedura è Abd al-Rahman Taj. Va sottolineato come Al Azhar abbia sempre avuto un legame forte con il potere sin dalla sua fondazione: durante il regno della dinastia fatimide i professori di Al Azhar furono chiamati a diffondere la dottrina sciita (si ricorda che i fatimidi erano sciiti e non sunniti) e tale ruolo di mezzo di diffusione della dottrina della dinastia regnate continuò a essere svolto anche durante l’età ayyubide con l’unica differenza che non si trattò più della tradizione sciita ma di quella sunnita.

14 In questo senso, pur essendo come detto Al Azhar un istituto universitario estremamente prestigioso e importante nel contesto egiziano e più in generale sunnita, va precisato che essa non può essere considerata come espressione istituzionale del clero, in quanto non è composta esclusivamente da imam.

15 Tra le principali scuole del mondo sunnita si ricordano la scuola hanafita presente in Turchia, Egitto, Siria, Giordania, India, Afghanistan, Pakistan e Asia centrale; la scuola malikita presente nel Maghreb, in Sudan, Kuwait, Qatar e nell’Africa occidentale; quella shafiita, attiva in Indonesia, Malesia, Filippine e nell’Africa orientale e, infine, in Arabia saudita quella hanbalita. La scuola di diritto hanafita si ispira agli insegnamenti di Abu Hanifa morto nel 767 ed è sorta a Baghdad sotto la protezione degli Abbasidi. Nel XIX se-colo fu imposta a tutti i tribunali dell’Impero ottomano e oggi è considerata la scuola più liberale tra quelle suddette. La scuola malikita prende il nome dal suo fondatore Malik ibn Anas, vissuto a Medina tra il 709 e il 795. Tale scuola assume come riferimento il diritto praticato a Medina e grazie al contributo di importanti studiosi, filosofi e intellettuali come Ibn Rushd al-Hafīd (Averroè) si è diffusa soprattutto nell’Occidente arabo. La scuola shafiita è stata fondata da Muhammad ash-Shafi ̔i vissuto tra il 767 e il 820. Questa scuola prevede che qualsiasi decisione si basi sui dettami del Corano o della Sunna, cercando di

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vasto e non sempre omogeneo.A tal fine, l’Assemblea costituente egiziana ha deciso di coin-

volgere direttamente una delle autorità più importanti del mondo sunnita16, Al Azhar, che nei giorni di Piazza Tahrir aveva avuto un ruolo determinante, investendola del ruolo di interprete della legge religiosa.

La scelta di Al Azhar come autorità di riferimento per la nuo-va Repubblica, infatti, non risulta particolarmente sorprendente, in quanto l’università ha sempre rivestito un ruolo molto attivo nei giorni della protesta anche guidandone gli animi e gli entusiasmi e probabilmente la partecipazione diretta dell’ateneo rappresenta an-che il frutto, oltre che della necessità, di una sua precisa decisione: di fronte al rischio di uscire come un’istituzione fiaccata e compro-messa dagli scontri, essa ha scelto di continuare a svolgere un ruolo positivo e prestigioso per il Paese.

Trascorsi pochi giorni di osservazione dopo le rivolte del 25 gen-naio 2011, Al Azhar ha iniziato a interessarsi alla protesta dimo-strando, con piccole, delicate, ma efficaci azioni, il proprio sostegno ai manifestanti17: le prime dichiarazioni del Grande Imam Ahmed Al Tayeb18 sulla televisione governativa sono stati inviti alla risoluzione pacifica delle tensioni accompagnati dalla piena disponibilità a pre-

eliminare il più possibile ogni valutazione soggettiva. Infine, la scuola hanbalita si fonda sugli insegnamenti di Ahmad ibn Hanbal, morto nell’855, e predica il rispetto assoluto dei dogmi religiosi che, per definizione, non possono essere oggetto di interpretazione o di ragionamento filosofico. Da tale scuola è nato il movimento politico del wahabismo.

16 I Sunniti costituiscono la maggioranza dei musulmani; il loro nome deriva dalla parola Sunna, che in arabo significa “tradizione”. Essi sostengono infatti di essere gli unici che seguono la vera tradizione, quella del Profeta Maometto, mentre altri musulmani – come gli Sciiti – seguono anche la tradizione dei suoi discendenti. Per un ulteriore approfondimento si veda P. Branca, Il Corano, Il Mulino, Bologna 2001; P. Branca, I musulmani, Il Mulino, Bologna 2000; G. Filoramo (a cura di), Islam, Laterza, Roma-Bari 2002.

17 Tra questi si veda la ricostruzione del ruolo di Al Azhar nei primi giorni della protesta di Andrea Trentini, Al-Azhar cavalca il cambiamento, in «Limes Il Grande Tsunami», 2011, n. 1.

18 Ahmed Al Tayeb ha svolto un PhD in Filosofia presso la Sorbona di Parigi ed è stato nominato Grande Imam di Al Azhar nel marzo 2010.

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starsi come luogo di incontro fra le parti, mentre altri capi religiosi come il papa copto si schierarono apertamente a favore del Rais.

Il 2 febbraio 2011 invece segna una svolta per la posizione di Al Azhar in quanto, quel giorno, il Grande Imam Al Tayeb incontrò i giovani di piazza Tahrir e da quel momento anche gli studenti della prima università sunnita si unirono alla protesta.

Due giorni dopo, l’adesione di Al Azhar alla protesta si defi-nisce e completa: il portavoce dell’università Al Tahtawi chiede le dimissioni per poter partecipare alle rivolte per evitare di coin-volgere l’istituzione ma tale richiesta viene rifiutata da Al Tayeb che, così facendo, dimostrò di voler sostenere, ancora una volta, la rivolta in corso.

Si tratta di uno snodo cruciale, perché da quel momento Al Azhar si lega alla protesta, ne abbraccia il desiderio di riforme e si presenta non più come semplice mediatore ma come un’autorità e una guida anche per i manifestanti. La stessa scelta del papa copto Shenuda di non schierarsi, almeno inizialmente, dalla parte di Mubarak per-mette ad Al Azhar di svolgere un ruolo autorevole nei confronti di tutti gli egiziani, invocati all’inizio di ogni dichiarazione del Grande Imam come “Figli d’Egitto”.

Si è trattato di una decisione ragionata che esprime bene la vo-lontà di giocare un ruolo importante e autorevole anche nel nuovo Egitto, come pure dimostrato in tre documenti ufficiali prodotti tra il giugno 2011 e il gennaio 2012.

Si tratta di tre dichiarazioni che esprimono la posizione di Al Azhar e la sua visione del nuovo Egitto: il Documento sul futuro dell’Egitto (2 giugno 2011); la Dichiarazione in supporto delle rivo-luzioni arabe (31 ottobre 2011); il Documento delle libertà fonda-mentali (10 gennaio 2012).

Tutti i documenti sono frutto del lavoro degli accademici azha-riti guidati dal Grande Imam ed è opinione abbastanza diffusa19 che

19 Un commento approfondito della Dichiarazione in supporto delle rivoluzioni arabe è quello prodotto dal vice presidente della Corte di Cassazione egiziana Adel Maged (Adel Maged, Commentary on the Al-Azhar Declaration in Support of the Arab Revolutions, in «Amsterdam Law Forum», 2012).

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possano aver esercitato una profonda influenza sulle proteste e sul-la struttura del nuovo testo costituzionale oggi sospeso20.

Il primo documento sul futuro dell’Egitto raccoglie 11 afferma-zioni che descrivono la posizione e le previsioni di Al Azhar sulle evoluzioni della rivoluzione e sul nuovo assetto istituzionale.

L’obiettivo del documento, come riportato nel preambolo, è quello di “fondare i principi che guidino la marcia della nazione sul percorso verso il progresso e lo sviluppo, assicurino la transizione verso la democrazia e garantiscano la giustizia sociale, introducano l’Egitto nel mondo della produzione scientifica e della conoscenza, promuovano la pace e la prosperità, mantenendo al tempo stesso i valori dell’eredità umana, culturale e spirituale”21.

Le 11 dichiarazioni che seguono il preambolo sono di natura estre-mamente concreta: quelle che sembrano più utili ai fini della presen-te riflessione sono le prime quattro, che trattano della presenza del-l’Islam nello Stato, della cittadinanza e della libertà di espressione.

La prima dichiarazione appare rilevante perché utile a compren-dere come il riferimento all’Islam nella nuova Costituzione sia quasi naturale. Nel Documento del giugno 2011, Al Azhar aveva indicato l’eredità islamica come un riferimento necessario per la costruzione del nuovo Egitto. I valori islamici sono, infatti, gli strumenti che, mettendo la persona al centro della riflessione giuridica e politica, possono guidare la società egiziana nel rispetto della dignità umana. Anche la stessa giurisprudenza islamica – si legge nel testo della I dichiarazione – promuove la dignità umana e rispetta e garantisce i diritti dei fedeli di altre religioni.

L’interpretazione che dunque dà Al Azhar è ancora una volta particolarmente moderna e lungimirante: il rispetto dei diritti trova giustificazione nei principi islamici che sembrano costituire la base anche per l’organizzazione istituzionale dello Stato.

Alla dichiarazione II, infatti, si legge che “Al Azhar abbraccia la 20 La prima Costituzione della nuova Repubblica d’Egitto è stata sospesa il 3

luglio 2013 in seguito all’insediamento del giudice Mansour che, sostenuto dall’esercito, in quel giorno ha giurato come Capo dello Stato ad interim.

21 Traduzione dell’Autore della traduzione inglese del Preambolo del Documento riportata in Adel Maged, cit.

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democrazia basata sul voto libero e diretto che rappresenta la formu-la moderna per recepire il precetto islamico della concertazione”22, sopra menzionato. È chiaro quindi che nella Shari’a Al Azhar andrà a trovare i principi della democrazia come la separazione dei poteri, la garanzia del pluralismo e il rispetto dei diritti.

La III e la IV dichiarazione di seguito sviluppano questi concetti e, in particolare, quelli della cittadinanza e della libertà di espres-sione.

È interessante notare come nell’ordinamento egiziano il nuovo concetto di cittadinanza (al contrario di quanto l’Occidente potesse aspettarsi) troverebbe fondamento proprio nelle parole di un’autori-tà religiosa che pone nella cittadinanza le basi del rispetto dei diritti umani e della “responsabilità della società”23.

Ne emerge una cittadinanza responsabile che sembra ereditare tutto l’impegno della rivoluzione: i cittadini sono tutti uguali “rela-tivamente ai diritti e ai doveri”24, hanno diritto alla libertà di espres-sione e di opinione, e nessuno deve essere considerato per legge fedele o “traditore”, utilizzando la religione come strumento di di-visione sociale.

Ancora una volta, Al Azhar trova nella religione il terreno co-mune per la coesione sociale e non il pretesto per scontri e con-flitti. La lettura dell’Islam così proposta, quindi, è particolarmen-te innovativa: la religione esalta l’uomo e insieme i diritti e le libertà che gli appartengono. Su tale base, l’Università scrive la seconda Dichiarazione in supporto delle rivoluzioni arabe, con la convinzione che i popoli hanno il diritto a cambiare pacificamen-te i propri Paesi in linea con i principi costituzionali e i dettami della Shari’a.

22 Traduzione dell’Autore. Il testo del Documento è disponibile online sul sito dell’Egypt State Information Service (www.sis.gov.eg).

23 Traduzione dell’Auotre della dichiarazione III del Documento sul futuro del-l’Egitto disponibile online sul sito dell’Egypt State Information Service (www.sis.gov.eg).

24 Traduzione dell’Autore della dichiarazione IV del Documento sul futuro del-l’Egitto disponibile online sul sito dell’Egypt State Information Service (www.sis.gov.eg).

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Anche in questo documento, nella Shari’a sono ritrovati molti principi di rilievo costituzionale come il diritto alla libertà di espres-sione e il diritto al dissenso pacifico.

Rispetto al primo documento esaminato, la Dichiarazione pone l’accento sulla legittimazione della protesta: la Shari’a si oppone alla tirannia e all’uso della violenza per reprimere le proteste paci-fiche.

Sulla legittimazione islamica della ribellione alla tirannia già si è scritto, il punto però più innovativo è quello che segue la giustifica-zione delle rivolte: il mondo arabo deve aprirsi alla democrazia, alla giustizia sociale e alla redistribuzione delle ricchezze e, sostiene Al Azhar, per realizzare questo passaggio i Paesi arabi posseggono già al loro interno gli strumenti e le categorie necessarie, quelle della Shari’a.

Per completare la definizione di Legge islamica proposta da Al Azhar, l’ultimo documento che si intende analizzare è quello delle libertà fondamentali, diffuso il 10 gennaio 2012 per indicare le basi per la nuova Costituzione egiziana. Forse più delle altre dichiarazio-ni, questo documento assume una rilevanza particolare in quanto lo stesso Grande Imam Al Tayeb, durante la presentazione del Docu-mento, ha dichiarato che il testo potrebbe costituire una delle basi per l’interpretazione di tutta la Costituzione, non solo dei principi della Shari’a.

Il valore universale di questa dichiarazione, ha ribadito il Grande Imam nel discorso di presentazione, risiede nella sua ferma volon-tà di considerare la libertà di credo come la base per la lotta alle discriminazioni nei confronti delle minoranze e nell’invito a non considerare queste ultime come “infedeli”25.

Un’ulteriore conferma di tale carattere di universalità è data dal fatto che Al Azhar, pur essendo un’autorità religiosa, individua i destinatari della dichiarazione non nella comunità dei credenti, ma in quella più ampia dei cittadini egiziani, adottando quindi non il criterio dell’appartenenza religiosa ma quello della cittadinanza, e

25 Il discorso di presentazione del Grande Imam è stato riportato, fra gli altri, dal sito dell’«Egypt Independent» il 10 gennaio 2012.

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riferendosi alla cittadinanza come base per la coesione sociale nel nuovo Egitto.

La libertà di religione è il primo aspetto della vita comune che è preso in esame nel documento, a sottolineare come il nuo-vo Egitto debba necessariamente considerare il suo pluralismo culturale e religioso. In questo contesto, essa è intesa come un diritto e un dovere di tutti i cittadini egiziani e trova la sua le-gittimazione ancora una volta in un versetto coranico: “Nessuna costrizione nella Religione”26. Ed è proprio dall’immagine della costrizione che Al Azhar si muove per spiegare il divieto di di-scriminazione su base religiosa: coloro che appartengono a un culto diverso non debbono essere né costretti a mutare le proprie convinzioni, né possono essere emarginati o denigrati per la loro identità religiosa.

L’appello alla costruzione di una cittadinanza inclusiva e l’in-vito al rispetto delle libertà fondamentali hanno trovato immediato appoggio nelle maggiori Chiese cristiane d’Egitto e nel Maspero Youth Union, l’associazione copta che opera in Egitto per la tutela e la promozione dei diritti umani. Andrea Zaki, vice presidente della Comunità dei Cristiani Evangelici, ha dichiarato che la pub-blicazione di questo documento ha portata “storica” e che costitui-sce “la chiave per uno Stato moderno, una speranza per il futuro di Al-Azhar, e il suo dono per il primo anniversario della rivoluzione egiziana”.

Anche la Chiesa copta ha espresso il suo sostegno alla Dichiara-zione, tanto che durante una cerimonia presso la stessa università, il papa Shenouda ha firmato il documento con la speranza che esso ab-bia un “profondo impatto sul futuro del Paese” e unisca gli egiziani nel “raccogliere i principi della rivoluzione”. Anche il vescovo Shu-bra al-Kheima ha dichiarato di “credere che Al-Azhar costituisca un’istituzione moderata e di fondamentale importanza per l’Islam di tutto il mondo” e Rafiq Geraish, portavoce della Chiesa Cattolica d’Egitto, ha invece evidenziato come il documento sia importante

26 Sura 2, versetto 256. Traduzione di Gabriele Mandel, Il Corano, Utet Libreria, Varese 2009.

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proprio perché pubblicato in un momento in cui le idee religiose più radicali si stanno facendo spazio anche nella sfera politica del Paese27.

Sono documenti, quelli descritti, che, come anticipato, hanno avuto un ruolo importante nell’interpretazione delle proteste e nel disegno di un nuovo Paese tanto che poi, nel momento della reda-zione del nuovo testo costituzionale, Al Azhar è stata confermata nel suo ruolo di interprete e riferimento – non solo religioso – per l’Egitto.

La nomina costituzionale di un’istituzione per l’interpretazione della legge religiosa è un fenomeno particolarmente inusuale nel contesto islamico se si considera che l’Islam non conosce rigide gerarchie religiose né legami ideologici con un qualche tipo di isti-tuzione religiosa: la cultura nell’Islam sembra, infatti, essere il pro-dotto del sentire condiviso delle comunità di riferimento e Al Azhar, fino ai giorni nostri, sembra aver svolto proprio questo ruolo di luo-go di studio e di dialogo anche grazie a una certa libertà che le era stata garantita, e che potrebbe invece essere messa in discussione dalle previsioni del nuovo art. 4.

Così, la nuova Costituzione egiziana, dopo aver precisato la na-tura islamica del popolo egiziano28 e l’Islam come religione di Sta-to29, definisce l’opinione del Consiglio degli Anziani di Al Azhar come necessaria per le questioni relative alla Shari’a.

Tale disposizione acquista maggior valore nel momento in cui l’art. 4 viene letto contestualmente all’art. 2, che afferma che “i principi della Shari’a islamica sono la fonte normativa principale” (trad. dell’Autore). Si potrebbe quindi ipotizzare che qualsiasi legge o atto normativo sarebbe potuto essere oggetto di revisione oppure di approvazione da parte dell’Università sunnita.

Sotto questo punto di vista, ci si è chiesto immediatamente quali effetti sulla libertà religiosa avrebbe potuto avere l’introduzione 27 Le reazioni delle autorità religiose al Documento sono state riportate sul

sito dell’«Egypt Independent» (www.egyptindependent.com), il 12 gennaio 2012.

28 Cfr. art. 1 Cost. 29 Si veda l’art. 2 Cost.

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della Shari’a come fonte normativa della nuova Repubblica Ara-ba d’Egitto e l’eventuale controllo da parte di Al Azhar sulla con-formità delle leggi alla Shari’a, con la precisazione che, nel caso egiziano, tale ruolo sarebbe stato svolto da un ente religioso e non, come nel regime di Mubarak – ma anche in quello di Ben Ali in Tunisia – in sedi istituzionali specifiche come i Ministeri per gli Affari religiosi.

L’art. 3 della Costituzione egiziana rispondeva a parte delle do-mande sollevate, prevedendo che “i principi delle leggi cristiane ed ebraiche siano la prima fonte di legislazione per coloro che seguono il Cristianesimo e l’Ebraismo, relativamente allo status personale, agli affari religiosi e alla nomina dei capi spirituali” (trad. dell’Au-tore).

Nonostante l’introduzione della Shari’a e le critiche di fondamen-talismo che più volte sono state mosse nei confronti dell’Assemblea costituente e del governo Morsi, è evidente che la Costituzione egi-ziana riconosceva anche la pluralità di fonti normative, tradizional-mente presenti nella popolazione egiziana30, pur restando il dubbio sulla questione della regolamentazione dello status personale degli individui che non rientrano nelle categorie elencate dall’art. 3, come gli atei o coloro che appartengono ad altre religioni, dei quali il testo non fa menzione.

Precisando ancora una volta che la riflessione attuale si compie sulla sola lettura del testo costituzionale oggi sospeso e non su una prassi giurisprudenziale o accademica che non ha avuto modo di realizzarsi, si ipotizza da un lato che le uniche religioni diverse dal-l’Islam che sono esplicitamente nominate e quindi tutelate siano il Cristianesimo e l’Ebraismo, dall’altro va sottolineato che altre di-sposizioni della Costituzione tendono ad assicurare l’uguaglianza nella garanzia dei diritti a tutti i cittadini: ad esempio l’art. 8 che promuove il diritto all’uguaglianza di tutti gli egiziani, e l’art. 30, 30 Per continuare a citare gli accadimenti della Rivoluzione, un’immagine è di-

ventata il simbolo della protesta pacifica e rispettosa delle diversità: il Copto e il musulmano che insieme, l’uno con la croce l’altro con il Corano, rivendicano i propri diritti in piazza Tahrir, insieme ad altri che alzano cartelli con scritto “Musulmani e Copti, una mano sola”.

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che proibisce qualsiasi discriminazione basata anche sulla religione di appartenenza.

Infine, una disposizione che sembra interessante per completare il quadro normativo di riferimento è l’art. 24, che promuove il pa-trimonio religioso e incoraggia e tutela l’espressione religiosa come ricchezza dell’animo umano.

Va sottolineato che, in tale sede, veniva abbandonato il riferi-mento all’Islam per approdare a una visione più “paritaria” delle religioni, ma, nonostante ciò, la lettura del II comma sollevava cri-ticità e contraddizioni.

Se, infatti, il patrimonio religioso egiziano sembra implicitamen-te includere anche tradizioni diverse da quella islamica, il rinvio alla legge come fonte di regolazione delle forme di gestione di tale patrimonio potrebbe svuotare lo slancio egualitario tra le religioni, dovendo la legge stessa, ai sensi dell’art. 4, rispettare i principi della Shari’a, legge religiosa per eccellenza.

Il ruolo attribuito ad Al Azhar, infine, sollevava un’ulteriore ri-flessione sulle possibili modalità di interazione con le altre istituzio-ni, e in particolare con la Corte Costituzionale Suprema.

Fino al 2011, come previsto dalla Costituzione previgente, e me-diante un’efficace opera giurisprudenziale, questa era stata capace di avocare a sé il ruolo di massimo interprete della Shari’a: ruolo che ora sembra essere stato messo in discussione dal nuovo art. 4, che lo conferisce di fatto ad Al-Azhar.

Il testo costituzionale oggi sospeso continuava a definire la Corte Costituzionale Suprema come un organo indipendente, competente a decidere sulla costituzionalità di leggi e regolamenti, tuttavia, è evidente che tale previsione sia accompagnata dal quesito sul ruolo che Al Azhar potrebbe svolgere nell’analisi di costituzionalità di leg-gi e regolamenti: sembra evidente che il giudizio di costituzionalità preveda come parametro non solo la Carta costituzionale ma anche i principi della Shari’a, definiti fonte fondamentale di legislazione.

La sezione VI del capitolo III della nuova Costituzione non si pronuncia sul merito, né fa menzione di Al Azhar come organismo consultivo nel giudizio o fra le istituzioni indicate dall’art. 183 per

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la nomina dei membri della Suprema Corte31. Tuttavia è necessario il coordinamento tra l’autorità religiosa e il giudice costituzionale in quanto fino a oggi la Corte Costituzionale Suprema aveva svolto anche il ruolo di interprete unico della Shari’a in quanto già ritenuta vincolante per il legislatore32.

Nonostante le contestazioni di alcune delle frange sunnite più conservatrici, la Corte Costituzionale Suprema, dopo l’abolizione delle Shari’a courts nel 195633, era riuscita, infatti, ad assumere il ruolo di interprete della Shari’a giustificando tale scelta con l’esi-genza di unitarietà del controllo costituzionale, di coerenza del si-stema normativo e di gerarchia delle fonti34.

L’obiettivo della centralità del giudizio sembra comunque essere assicurato anche nel nuovo testo costituzionale e l’assenza di rife-rimenti ad Al Azhar potrebbe essere dovuta anche alla volontà di tenere distinte nettamente le due istituzioni.

Al momento attuale la Costituzione emanata dopo la rivoluzione non è in vigore ma è stata sospesa in seguito al colpo di Stato dei militari del luglio 2013 che ha destituito il presidente Morsi ma si pensa, anche in seguito alle dichiarazioni dei militari e del nuovo Capo di Stato ad interim, che il testo costituzionale approvato nel 2012 possa riproporsi, seppur con qualche modifica relativamente ai poteri del presidente e alle garanzie sul pluralismo religioso. È al-trettanto ipotizzabile che ad Al Azhar venga confermato il suo ruolo di interprete della Shari’a e pertanto gli scenari che quindi si potreb-bero aprire sono due: da un lato, è ipotizzabile un coordinamento delle due istituzioni relativamente all’interpretazione della Shari’a, 31 L’art. 183 della Costituzione sospesa prevede che i membri della Corte Co-

stituzionale Suprema siano nominati su indicazione delle assemblee generali della Corte Costituzionale Suprema, della Corte di Cassazione, del Consiglio di Stato e delle Corti di Appello competenti per legge.

32 Per un approfondimento sul tema di veda Ciro Sbailò, Principi sciaraitici e l’organizzazione dello spazio pubblico nel mondo islamico. Il caso egiziano, Cedam, Padova 2012, p. 212.

33 La decisione di abolire le Shari’a courts fu sostenuta anche da Al Azhar.34 Per un approfondimento della vicenda si veda Francesco Alicino, Case study:

il caso del velo in Egitto, in C. Decaro Bonella (a cura di), Tradizioni religiose e tradizioni costituzionali - L’Islam e l’Occidente, Carocci, Roma 2013.

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dall’altro vi è la soluzione opposta di una separazione precisa e in-superabile dei ruoli.

Secondo la prima ipotesi, attingendo anche alle prassi del dirit-to islamico, potrebbe prevedersi una possibilità di consultazione, qualora necessaria, tra il giudice costituzionale e il Consiglio degli anziani. L’ipotesi della consultazione, almeno in via teorica, pare un’ipotesi percorribile, in linea con il principio della concertazione (shura), fondamentale nel diritto islamico. Tale principio è con-tenuto nel versetto 30 della Sura 42 che, tra i compiti del fede-le come l’elemosina o l’obbedienza a Dio, pone anche il metodo della consultazione reciproca come strumento di risoluzione delle questioni.

La seconda ipotesi sembra invece meno teorica e più pro-babile, in quanto andrebbe a ricalcare l’orientamento espresso nel corso degli anni da parte della Corte. Quest’ultima potrebbe continuare a pronunciarsi sulla conformità delle leggi alla Sha-ri’a nell’ambito del giudizio di costituzionalità, mentre Al Azhar svolgerebbe una funzione più strettamente consultiva a supporto dell’attività nomopoietica, indirizzando al legislatore, nel mo-mento della formulazione delle leggi, la propria interpretazione della Shari’a.

Si ricalcherebbe così una distinzione già indicata dalla Corte per quanto concerne l’applicazione della Shari’a. La verifica della con-formità delle leggi dello Stato alla legge religiosa è un concetto di-namico, che viene in rilievo in due diversi momenti: da un lato, ex ante, vi è l’interpretazione della Shari’a volta all’ispirazione delle leggi, che è finalizzata ad assicurare che la produzione normativa segua i princìpi della legge divina; dall’altro, ex post, vi è l’interpre-tazione delle leggi in vigore alla luce della Legge islamica, che si pone invece come ulteriore strumento di garanzia dell’“ortodossia” della legge dello Stato. È proprio in questi due diversi momenti che è ipotizzabile collocare i ruoli delle due autorità.

Per quanto una soluzione del genere possa essere attuabile, va osservato come la Corte Costituzionale Suprema ne uscirebbe co-munque parzialmente erosa nel suo potere di interpretazione della

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Shari’a, in quanto il primo controllo di conformità delle leggi alla Shari’a sarebbe di competenza del Consiglio degli Anziani in fase di redazione dei nuovi testi normativi.

La voce di Al Azhar durante le proteste del 2013 tra laici e Fra-telli musulmani

Il secondo anniversario della rivoluzione ha riacceso le piazze egiziane e ha scosso il nuovo governo con contestazioni e rivolte che, progressivamente, hanno portato alla destituzione del presiden-te Morsi. Si è trattato di un processo piuttosto rapido e sicuramente violento che ha visto contrapporsi più fazioni dimostrando ancora una volta come lo scenario sociale e politico egiziano sia più etero-geneo e variegato di quanto ci si potesse aspettare.

Dopo il tiepido entusiasmo iniziale per le prime elezioni demo-cratiche del Paese, le piazze egiziane hanno iniziato a contestare, nel gennaio 2013, le manovre economiche del governo Morsi, ac-cusato di aver intrapreso strategie inefficaci per risollevare il Paese dalla crisi in corso.

Tali proteste, in maniera intermittente ma costante, hanno inizia-to a scalfire, insieme con le contestazioni della fine del 2012 sopra riportate, l’immagine di Morsi, il primo presidente egiziano eletto a suffragio universale, finendo per negare qualsiasi tipo di base de-mocratica alle sue azioni. Le prime contestazioni sono state dirette alle politiche economiche del nuovo governo per poi, nel giugno 2013, interessare anche i temi della laicità e della possibilità per il governo dei Fratelli musulmani di garantire il pluralismo religioso e culturale nel Paese.

In particolare, il fatto che ha scatenato l’ondata di proteste dei laici e dei musulmani moderati è stato il lungo discorso televisivo del 26 giugno 2013 nel quale il presidente Morsi ha accusato l’op-posizione della stagnante situazione economica minacciando anche per nome alcuni leader come Ahmad Safiq, battuto al secondo turno delle elezioni presidenziali.

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Morsi, inoltre, non si è limitato in quell’occasione alle minacce ma ha proseguito dichiarando che le amministrazioni pubbliche sa-rebbero state gestite, dirette e organizzate solamente da esponenti dei Fratelli musulmani, eliminando all’interno di esse qualsiasi voce discorde. I toni del discorso sono stati quindi tutt’altro che conci-lianti e, come osservato da qualcuno, è sembrato di ascoltare “il discorso di un sovrano all’apice del sostegno popolare e non di un presidente che teme di essere destituito”35.

Quattro giorni dopo, come preannunciato, le piazze si sono di nuovo riempite per protestare contro Morsi e, ancora una volta, si è trattato di una folla eterogenea accomunata solamente dal desiderio di cambiare i vertici dello Stato e delle istituzioni, non dall’alternati-va proposta: i laici si sono alleati con i musulmani moderati e anche i Salafiti sono scesi in piazza contro Morsi.

Infine, pure l’esercito è sceso in campo e il 1° luglio i militari impongono al presidente un ultimatum chiedendogli di dimettersi così come richiesto dalle piazze. La risposta del presidente, anche in questo caso, è secca: ribadisce la legittimazione democratica del suo mandato e propone un dialogo che tuttavia fa credere poco a una reale conciliazione fra le parti.

L’epilogo è noto: il presidente Morsi viene deposto dal Capo di Stato maggiore Al Sisi, ministro della Difesa il 3 luglio e Al Bara-dei, indicato come portavoce dalle opposizioni, appare in televisio-ne insieme con Al Tayeb, il papa copto Tawadrus II, Mahmud Badr, fondatore del Tamarrud36 e alcuni rappresentanti dei Salafiti.

È questo il momento in cui Al Azhar torna a ricercarsi un ruolo nella guida del Paese e si presenta di nuovo come attore di dialogo e mediazione.

L’intervento di Al Tayeb si pone in continuità con i contenuti delle Dichiarazioni precedenti rinnovando la richiesta di una socie-tà plurale che può trovare, anche nell’Islam, i fondamenti per la 35 M. Hamam, Il giorno della marmotta, ovvero corsi e ricorsi delle tre rivolu-

zioni d’Egitto, in «Limes», n. 7, 2013, Roma.36 Con il termine “Tamarrud” che in arabo significa “ribelli” si indicano gene-

ralmente coloro che alla fine del giugno 2013 hanno partecipato alle proteste contro il presidente Morsi.

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sua tutela e garanzie. Una pluralità che viene simboleggiata in que-sto momento storico per l’Egitto dalla vicinanza con il papa copto, ormai anch’egli coinvolto pienamente dalla rivoluzione. In quel-l’occasione il Grande Imam condannò le violenze auspicando alla riconciliazione e chiese la convocazione di elezioni presidenziali anticipate37.

Nei giorni successivi nei confronti delle contestazioni al nuovo governo, la voce dell’Università azharita, tuttavia, si è indurita: il 29 luglio 2013 è intervenuto il consigliere del Grande Imam Mah-mud Abdel Gawad che, continuando a difendere le operazioni dei militari dalle accuse di golpe, ha confermato l’appoggio di Al Azhar al nuovo governo dichiarando che: “Ventidue milioni di egiziani hanno firmato una petizione per chiedere la destituzione di Morsi, quasi il doppio sono scesi per le strade per invocarla, inutilmente i militari avevano chiesto a Morsi di cambiare corso. Prima di gridare al golpe, come hanno fatto diversi Paesi europei, bisogna capire che questo è stato un golpe del popolo. Gli egiziani non ne potevano più”38. Chiaramente identica la posizione del Grande Imam che più recentemente ha dichiarato: “Non è stato un colpo di Stato, altri-menti ora ci sarebbe l’esercito a governare, non un presidente e un premier. Sono sicuro che Morsi ha delle responsabilità politiche, che militari e governo conoscono benissimo, e saranno sicuramente rivelate nei prossimi giorni”39.

L’appoggio al nuovo governo è quindi pieno e incondizionato: Al Azhar accusa i Fratelli musulmani di fondamentalismo, di diffon-dere dottrine integraliste e di non essere in grado di garantire quel pluralismo che dal 2011 l’Università azharita ricerca in Egitto.

Da un certo punto di vista si potrebbe osservare una certa cir-colarità nelle posizioni e nelle dichiarazioni di Al Azhar e, come nel 2011, l’università decide di scendere insieme alle piazze nelle 37 L’intervento del Grande Imam è stato riportato all’articolo Egitto, golpe mi-

litare, “Morsi non è più presidente”. Tahrir esulta disponibile sul sito www.ilfattoquotidiano.it.

38 Il testo dell’intervista è riportato in «La Repubblica», 29 luglio 2013.39 Le dichiarazioni del Grande Imam di al Azhar sono state tradotte e riportate

il 12 agosto sul sito www.linkesta.it.

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contestazioni del potere, giustificando le sue scelte sempre sulla base del precetto religioso: Mubarak era stato accusato di essere un tiranno, accusa che legittimava le ribellioni dei fedeli, oggi i Fra-telli musulmani sono accusati di essere dei fondamentalisti lontani dall’interpretazione del Corano ritenuta più idonea dagli imam di Al Azhar.

Un ulteriore dato che evidenzierebbe questa ciclicità delle po-sizioni di Al Azhar è la sua continua proposta a essere terreno di incontro e di dialogo per le parti in conflitto anche se dagli ultimi eventi sembra che tale obiettivo non sia stato raggiunto per diverse ragioni. Da un lato, la forza di Al Azhar come attore di dialogo sem-bra essere stata indebolita dalla vicinanza con i Salafiti nel sostegno al governo dei laici, dall’altro, il mese di luglio 2013 ha visto rie-mergere dissapori e conflitti tra l’università e i Fratelli musulmani stessi. Il leader dei Fratelli musulmani Gehad Al Haddad, infatti, ha aspramente criticato le posizioni del Grande Imam accusandolo di essersi sottoposto a una vera strumentalizzazione politica da parte dell’esercito, nonostante i Fratelli musulmani, dopo il 2011, aves-sero ampiamente coinvolto Al Azhar nel panorama istituzionale del Paese e nel processo di transizione democratica.

Nonostante ciò è innegabile che Al Azhar abbia assunto una po-sizione importante seppur poco efficace contro le violenze della polizia tanto che Al Tayeb, in seguito agli scontri tra i sostenitori di Morsi e l’esercito dell’agosto 2013, ha dichiarato: “È proibito sgomberare persone che manifestano pacificamente. Se fossi al po-sto di militari e polizia li lascerei lì, anche per uno o due anni, se questo non causasse un danno al Paese, solo chi usa violenza deve essere punito”40.

Conclusioni

Il clima di instabilità che permea l’Egitto oggi è la conseguenza delle difficoltà del Paese e dei suoi attori politici a disegnare una Re-

40 Ibidem.

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pubblica con nuovi valori e nuovi assetti istituzionali. Se da un lato tali difficoltà possono derivare dalla mancanza, negli anni preceden-ti, di una democrazia effettiva e partecipata, dall’altro, è evidente che l’Egitto oggi debba affrontare un elemento fondamentale della vita democratica, quello della realizzazione di meccanismi di tutela e garanzia delle opposizioni e del pluralismo in generale.

In questo percorso Al Azhar ha deciso di svolgere un ruolo fon-damentale come attore sociale e politico, costruendo le basi per la realizzazione di un pluralismo che sia in linea con i principi occi-dentali democratici e che abbia, al tempo stesso, una sua matrice originale egiziana e islamica. Ad oggi è possibile affermare che il contributo di Al Azhar sia stato fondamentale per la rivoluzione del 25 gennaio in quanto ha sintetizzato gran parte delle richieste e delle aspettative di Piazza Tahrir nei tre documenti sopra descritti tanto da tradursi, dopo l’approvazione della nuova Costituzione, con la sua introduzione nel quadro istituzionale contestualmente all’ inclusione nella vita pubblica del riferimento religioso (l’ispi-razione alla Shari’a).

Come detto la Costituzione è stata sospesa e il Paese è agitato da continue contestazioni e rivolte che sembrano far precipitare l’Egit-to verso una guerra civile, tuttavia, è certamente verisimile che Al Azhar continui a svolgere un ruolo importante nel processo di con-ciliazione delle parti ed è ipotizzabile un nuovo futuro coinvolgi-mento istituzionale dell’università sunnita sia che venga ripristinata la Costituzione del 2012, una volta calmate le rivolte, sia che venga presentata una nuova Costituzione dal governo laico che Al Azhar ha comunque sostenuto.

Al momento è difficile ipotizzare quali ripercussioni le disposi-zioni sospese – ma pur sempre le uniche finora formulate – possano avere sulla libertà religiosa degli egiziani, in equilibrio tra le dichia-razioni di rispetto del pluralismo e la nomina di un’autorità religiosa che interpreti – e quindi fornisca – i principi normativi fondamenta-li. Come ricordato, gli strumenti che ora potrebbero essere utilizzati in questa previsione, oltre alle disposizioni del testo costituzionale, sono gli stessi atti e le dichiarazioni di Al Azhar sulla rivoluzione e

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sui diritti fondamentali che già indicano la posizione dell’Università in materia.

Le aperture di Al Azhar a tutti i cittadini egiziani, e non solo a quelli musulmani, confermano l’intenzione di allontanarsi dalle frange dell’Islam più conservatore e la volontà di continuare ad assumere il ruolo di guida “universale” acquisito negli ultimi anni. Dalla lettura dei documenti e dal tono delle ultime dichiarazioni emerge, infatti, una visione molto innovativa della società egizia-na, chiamata al rispetto delle diversità religiose e culturali, alla promozione della libertà di espressione e della cittadinanza, valore intorno al quale tutti gli egiziani possano ritrovarsi uguali nei di-ritti e nei doveri.

Paradossalmente rispetto alle aspettative occidentali, sembra che la libertà religiosa in Egitto possa essere difesa, promossa e diffusa grazie all’intervento dell’autorità islamica che sta trovan-do, proprio tra i principi coranici, i valori della convivenza e del pluralismo.

È probabile e auspicabile, inoltre, che sia proprio questa ricerca all’interno del proprio bagaglio valoriale a permettere l’accettazione del pluralismo e la tutela delle minoranze come valori propri e non imposti, nonostante gli eventi dell’estate 2013 sembrino presentare una società divisa anche sulla stessa interpretazione dell’Islam.

È in questo clima di conflitto che forse Al Azhar potrebbe riu-scire a svolgere il necessario ruolo di catalizzatore delle varie for-ze sociali, religiose e politiche in quanto l’interpretazione azharita della Shari’a, inoltre, potrebbe costituire un’occasione rilevante per l’affermazione dell’Islam più riformista in Egitto nonostante il rie-mergere di gruppi e movimenti più conservatori.

Il processo di transizione democratica in Egitto è appena ini-ziato e sono ancora molti i nodi da sciogliere; tuttavia, l’approccio universale di Al Azhar al nuovo ruolo conferitole potrebbe rappre-sentare un laboratorio innovativo. Da un contesto prevalentemente religioso, infatti, sembra levarsi una ricerca per la costruzione di un nuovo concetto di cittadinanza tipico ma al tempo stesso globale e non discriminatorio.

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Il percorso verso la costruzione di un concetto di cittadinanza del genere e verso la conciliazione ha bisogno di attori che possano gui-darlo e Al Azhar sembrerebbe essere una delle istituzioni più adatte a svolgere tale ruolo, forse abbandonando i toni più prettamente po-litici delle dichiarazioni del 2013 e tornando ad abbracciare e rap-presentare, invece, la totalità dei cittadini egiziani come durante la rivoluzione del 25 gennaio 2011.

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