IL FORNAIO E LA PARRUCCHIERA-RIFLESSIONI SUI FATTORI DI SUCCESSO DI UN PROGETTO DI FORMAZIONE...

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Piero Pagnotta Nato a Roma nel 1948, ha conseguito la laurea in Filosofia alla Sapienza di Ro- ma e il master Iseo "Tecniche di direzione aziendale". Ha lavorato nel movimen- to cooperativo con incarichi diversi fino a far parte del Consiglio Generale della Lega Nazionale delle Cooperative e presiedere il consorzio nazionale delle coo- perative di informatica. Dal 1986 al 1998 ha lavorato prima per due anni nella Honeywell e poi in Olivetti. In questa azienda ha ricoperto l'incarico di diretto- re di filiale commerciale. Nel 1999 è stato assunto dall'Istituto Romano per la Formazione Imprenditoriale, azienda della Camera di Commercio di Roma, co- me direttore operativo con il compito di riorganizzare l'Istituto; nel 2000 è sta- to nominato direttore generale. È socio dell'ISIAO, vicepresidente regionale AIF; dal 2007 è docente a contratto presso la facoltà di Filosofia della Sapienza dove insegna “Formazione del personale in impresa e nella pubblica amministrazio- ne”. È, inoltre, docente di management presso aziende ed istituzioni ed autore di diverse pubblicazioni. Tomaso Berni Canani Nato a Roma nel 1971, dopo una laurea in Lingue e Letterature Straniere e un master all’università di Bordeaux in “Linguistica e Traduzione”, ha lavorato prima come insegnante di ruolo nel sistema scolastico francese, poi come docente a contratto in “Lingua e Traduzione Francese” presso diverse università italiane. Dal 2010 è stato assunto in qualità di tutor presso le facoltà di Studi Orientali e di Scienze Umanistiche dell’Università La Sapienza di Roma nel programma di mentoring degli studenti del Vecchio Ordinamento. Grazie alla partecipazione nel 2007 al “Progetto Tunisia” organizzato dall’Università di Macerata in parte- nariato con l’Università di Tozeur, la sua esperienza didattica si è aperta al cam- po più ampio della formazione, con un’attenzione particolare ai cittadini dei Paesi Terzi. È proprio questo interesse che lo ha portato a collaborare nel 2009- 2010 al Progetto KNE al centro del presente volume. In copertina: foto di Marco Ventimiglia Piero Pagnotta Tomaso Berni Canani ATONEDIZIONI IL FORNAIO E LA PARRUCCHIERA Riflessioni sui fattori di successo di un progetto di formazione finanziata IL FORNAIO E LA PARRUCCHIERA Riflessioni sui fattori di successo di un progetto di formazione finanziata ATONEDIZIONI

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Piero PagnottaNato a Roma nel 1948, ha conseguito la laurea in Filosofia alla Sapienza di Ro-ma e il master Iseo "Tecniche di direzione aziendale". Ha lavorato nel movimen-to cooperativo con incarichi diversi fino a far parte del Consiglio Generale dellaLega Nazionale delle Cooperative e presiedere il consorzio nazionale delle coo-perative di informatica. Dal 1986 al 1998 ha lavorato prima per due anni nellaHoneywell e poi in Olivetti. In questa azienda ha ricoperto l'incarico di diretto-re di filiale commerciale. Nel 1999 è stato assunto dall'Istituto Romano per laFormazione Imprenditoriale, azienda della Camera di Commercio di Roma, co-me direttore operativo con il compito di riorganizzare l'Istituto; nel 2000 è sta-to nominato direttore generale. È socio dell'ISIAO, vicepresidente regionale AIF;dal 2007 è docente a contratto presso la facoltà di Filosofia della Sapienza doveinsegna “Formazione del personale in impresa e nella pubblica amministrazio-ne”. È, inoltre, docente di management presso aziende ed istituzioni ed autoredi diverse pubblicazioni.

Tomaso Berni CananiNato a Roma nel 1971, dopo una laurea in Lingue e Letterature Straniere e unmaster all’università di Bordeaux in “Linguistica e Traduzione”, ha lavorato primacome insegnante di ruolo nel sistema scolastico francese, poi come docente acontratto in “Lingua e Traduzione Francese” presso diverse università italiane.Dal 2010 è stato assunto in qualità di tutor presso le facoltà di Studi Orientali edi Scienze Umanistiche dell’Università La Sapienza di Roma nel programma dimentoring degli studenti del Vecchio Ordinamento. Grazie alla partecipazionenel 2007 al “Progetto Tunisia” organizzato dall’Università di Macerata in parte-nariato con l’Università di Tozeur, la sua esperienza didattica si è aperta al cam-po più ampio della formazione, con un’attenzione particolare ai cittadini deiPaesi Terzi. È proprio questo interesse che lo ha portato a collaborare nel 2009-2010 al Progetto KNE al centro del presente volume.

In copertina: foto di Marco Ventimiglia

Piero PagnottaTomaso Berni Canani

ATONEDIZIONI

IL FORNAIOE LA PARRUCCHIERARiflessioni sui fattori di successo di un progetto di formazione finanziata

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Ciascuno è veramente uomo in quanto è cosciente delle propriecompetenze

Platone

Un uomo senza mestierediventa alla lunga un furfante

B. Spinoza

Progetto grafico e impaginazione

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Foto

Marco Ventimiglia.Le immagini all’interno della pubblicazione sono state realizzate nel corso delle fasi teoriche e pratiche del progetto KNE.

Piero PagnottaTomaso Berni Canani

ATONEDIZIONI

IL FORNAIOE LA PARRUCCHIERARiflessioni sui fattori di successo di un progetto di formazione finanziata

SOMMARIO

INTRODUZIONE. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7

PARTE PRIMA

Il progetto KNEOccupazione e immigrazione nella provincia di Roma. . . . . . . . . . . 11

Immigrazione e lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11Il lavoro degli immigrati e i fabbisogni occupazionali . . . . . . . . . 16

Cronistoria del progetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30La scelta dei profili professionali da formare . . . . . . . . . . . . . 30L’architettura dei percorsi formativi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37

La realizzazione del progetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42La promozione e la diffusione dell’iniziativa . . . . . . . . . . . . . 42La selezione dei candidati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46I corsi di lingua italiana e di orientamento civico . . . . . . . . . . 49I corsi professionali e gli stage on the job . . . . . . . . . . . . . . . 54

KNE PER IMMAGINI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65

PARTE SECONDA

I fattori di successo di un progettodi formazione finanziata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83

BIBLIOGRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103

Introduzione

Il lavoro che segue ripercorre le diverse fasi di un progetto di for-mazione, denominato KNE, finanziato con fondi pubblici, cheaveva per beneficiari 335 cittadini non comunitari e realizzato a

Roma tra novembre 2009 e giugno 2010.L’iniziativa prevedeva 120 ore di formazione per migliorare la cono-scenza della lingua italiana e dei diritti e doveri civici e 240 ore diformazione professionale comprensive di stage in azienda.In questa seconda fase gli allievi e le allieve sono stati suddivisi, sul-la scorta delle loro esperienze pregresse e motivazioni, in 19 corsiprofessionalizzanti, da fornaio ad acconciatrice, conduttore mezzimeccanici, muratore, saldatore. I corsi sono stati completati da stagein azienda per facilitare l’ingresso nel mondo del lavoro regolare dialmeno una parte dei partecipanti. Abbiamo voluto riflettere su come è stato realizzato il progetto, sul-le difficoltà incontrate, ma abbiamo anche cercato di mettere a fuo-co quelle che a nostro giudizio sono le componenti necessarie pergestire bene questo tipo di iniziative, per utilizzare in modo efficacee corretto risorse pubbliche destinate alla formazione.KNE è stata una buona occasione per sviluppare una tale riflessione,sicuramente hanno anche contribuito dieci anni di lavoro in questospecifico settore.Ringraziamo tutti coloro che hanno reso possibile la realizzazione delprogetto, il Prefetto Mario Ciclosi che l’ha suggerito, il Prefetto Ange-lo Malandrino ed il suo staff che non hanno mai fatto mancare il lo-ro sostegno convinto, la Camera di Commercio di Roma che ha con-cesso un cofinanziamento significativo. Grazie alla Dante Alighieriper la serietà e la disponibilità dimostrate, all’IOM per aver organiz-zato i corsi di educazione civica, a coloro che ci hanno aiutato a pro-muovere l’iniziativa, alle Associazioni di rappresentanza che con le

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loro strutture hanno realizzato buona formazione professionale e tro-vato le aziende disposte ad ospitare gli stage degli allievi, al perso-nale dell’IRFI che ha saputo coordinare tante persone e strutture.Grazie agli oltre 4.000 cittadini, e cittadine, non comunitari che han-no chiesto di partecipare al progetto sottoponendosi al duro rito del-le selezioni. Grazie a Giovanni Parillo e Nadio Delai che hanno ac-cettato di leggere in anteprima questa pubblicazione e ci hanno da-to preziosi suggerimenti. Grazie, infine, ai 335, allievi ed allieve, provenienti da tutte le partidel mondo, che hanno partecipato e lavorato con una serietà rara.Hanno dato molto, speriamo gli siano stati restituiti alcuni strumentiper integrarsi nel nostro paese.

Roma, 30 settembre 2010

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PARTE PRIMA

Il progetto KNEOccupazione e immigrazione nella provincia di Roma

Il progetto, di cui analizziamo le motivazioni e lo svolgimento inquesto capitolo, aveva ricevuto, in fase preparatoria, la sigla diservizio KNE che per un errore di comunicazione è divenuto il

nome ufficiale dell’iniziativa; all’acronimo infelice abbiamo trovato difretta un significato peggiore: Knowledge Network Estero, insommaabbiamo fatto come quelli che rovinano la fiancata di un’imbarcazio-ne con un nome di dubbio gusto.

Immigrazione e lavoroNell’ultimo decennio l’Italia è stata uno dei paesi dell’Unione Europeacon il più alto tasso di crescita di popolazione straniera e tutti i dati con-fermano che i flussi migratori sono in continuo aumento; ne discendeche l’integrazione rappresenta un tema sempre più complesso e che ri-chiede politiche e azioni concrete per favorire un positivo inserimentodi cittadini stranieri nella nostra realtà sociale ed economica.Al di là degli orientamenti ideologici e politici, la necessità di riflette-re sulle modalità di accoglimento dei cittadini immigrati è al centro,trasversalmente, delle preoccupazioni dei diversi governi che si sonosucceduti negli ultimi anni in Italia. Gran parte dei quasi cinque milioni1 di stranieri presenti nella penisola(Tab. 1, 2, 3), ed in particolar modo coloro che hanno raggiunto il no-stro paese più recentemente, esprime il bisogno di ricevere un sostegnoall’integrazione tanto sul versante professionale che su quello sociale.

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(1) Il numero è stato comunicato in una recente conferenza organizzata da ISMU-Censis-IPRSin collaborazione con il Ministero dell’Interno; si tenga presente che la popolazione stra-niera residente al 1° gennaio 2009 per età e sesso era, dati Istat, 3.891.295, pari al 6,5%del totale dei residenti.

Il recente “Piano per l’integrazione nella sicurezza”2 ribadisce la neces-sità urgente di non “eludere la sfida epocale che le migrazioni ci pon-gono di fronte”. Una sfida che richiede la ricerca di supporti adegua-ti, di modalità condivise e di strategie complesse in cui “i talenti e lacreatività delle persone che giungono in Italia devono trovare terrenofertile per una loro piena valorizzazione nei processi economici e so-ciali” senza però che “le diverse tradizioni e culture di provenienza en-trino in collisione con il nostro assetto valoriale”.

Tab. 1Immigrati stranieri presenti in Italia al 1° luglio 2005 e al 1° agosto 2009(valori assoluti in migliaia e composizione % per tipologia di presenza)

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1° luglio 2005 1° agosto 2009 Variazione 2005-2009Assoluta %

Totale presenti 3.358 4.944 1.586 47,2di cui:Residenti 2.499 3.911 1.412 56,5Regolari non residenti 318 473 155 48,7Irregolari 541 560 19 3,5

Variazione 2005-2009% residenti 74,4 79,1 +4,7% regolari non residenti 9,5 9,6 +0,1% irregolari 16,1 11,3 -4,8

100 100 -

Fonte: n/elaborazioni su dati Istat e PER.LA – Indagine sui percorsi lavorativi dei cittadini immigrati, 2009-2010

Con sfumature o termini diversi, questi stessi concetti permeano gliorientamenti strategici relativi al Fondo Europeo per l’Integrazione deicittadini di Paesi Terzi (FEI)3 che sottolinea come l’integrazione e la ge-

(2) Italia 2020. Piano per l’integrazione nella sicurezza. Identità e Incontro. 10 giugno 2010. Mini-stero dell’Interno, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e Ministero dell’Istruzione, del-l’Università e della Ricerca. Testo scaricabile in formato elettronico dal sito www.lavoro.gov.it

(3) Cfr. le diverse pagine dedicate al Fondo Europeo per l’Integrazione riportate al link seguentedel Ministero dell’Interno: http://www.interno.it/mininterno/export/sites/default/it/temi/immi-grazione/Fondo_Europeo_per_lxIntegrazione_di_cittadini_di_Paesi_Terzi.html

stione dei flussi migratori siano elementi chiave nella promozione dellacoesione economica e sociale. La prima tra le differenti priorità definitedal FEI, sulle quali si sviluppano gli obiettivi specifici individuati dal Mi-nistero dell’Interno, insiste sull’urgenza di mettere in atto azioni che fa-voriscano la comprensione da parte dei nuovi arrivati degli elementi edei valori caratterizzanti il paese d’accoglienza nonché l’inserimento de-gli stessi immigrati nel contesto lavorativo nazionale.

Tab. 2Immigrati stranieri presenti in Italia al 1° agosto 2009 principali nazionalità

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Nazionalità migliaia Nazionalità migliaiaRomania 1.047 Ecuador 103Albania 573 Perù 101Marocco 567 Egitto 100Cina R.P. 230 Senegal 95Ucraina 212 Sri Lanka 92Filippine 147 Bangladesh 90Tunisia 143 Serbia e Montenegro 87Moldavia 131 Pakistan 75Polonia 127 Nigeria 66India 125 Totale 20 paesi 4.231Macedonia, ex. R.Y. 120 Totale Pfpm 4.944

Fonte: n/elaborazioni su dati Istat e PER.LA – Indagine sui percorsi lavorativi dei cittadini immigrati, 2009-2010

È proprio con la convinzione che la conoscenza e il lavoro siano tappeineludibili e unite nel difficile cammino che porta un cittadino stranieroall’integrazione in un paese spesso culturalmente lontano e diverso dalsuo che la Camera di Commercio di Roma, avvalendosi dell’IRFI, la suaazienda per la formazione, ha proposto, condotto e portato a termine ilprogetto KNE.Inserendosi quindi nelle disposizioni del Fondo Europeo per l’Inte-grazione, con l’intento di percorrere un cammino avendo chiari dasubito l’obiettivo di ottenere risultati tangibili, bisognava fin dal prin-cipio bilanciare e tenere insieme due necessità prioritarie: delineareda una parte l’efficacia di percorsi specifici destinati alla formazioneprofessionale di cittadini stranieri e, dall’altra, prendere attentamente

in considerazione i fabbisogni del territorio in cui si aveva l’intenzio-ne di svolgere il progetto. Bisognava anche essere consapevoli che i metodi per formare professio-nalmente cittadini di Paesi Terzi non potevano ricalcare modelli già spe-rimentati con percorsi formativi destinati a cittadini italiani e, allo stessotempo, leggere con attenzione le necessità espresse dalle imprese del ter-ritorio. Bisognava trovare un punto d’incontro tra le richieste del tessutoimprenditoriale ed i bisogni specifici della popolazione immigrata.I principali dati che riguardano l’immigrazione confermavano l’impor-tanza e l’urgenza di elaborare progetti e percorsi formativi ad hoc.

Tab. 3Struttura per sesso ed età degli immigrati stranieri maggiorenni (v. %)

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Classi di età Maschi Femmine Totale18-24 9,2 9,2 9,225-29 17,9 19,5 18,730-34 22,4 20,0 21,235-39 20,8 20,4 20,640-44 16,3 15,0 15,645-49 7,6 8,5 8,050-54 4,0 5,0 4,555-59 1,4 1,7 1,660-64 0,3 0,4 0,365e+ 0,1 0,3 0,2

100,0 100,0 100,0Età mediana (anni) 35 35 35

Fonte: n/elaborazioni su dati Istat e PER.LA – Indagine sui percorsi lavorativi dei cittadini immigrati, 2009-2010

(4) I dati sono ovviamente in continua crescita.

Il 19° “Dossier Statistico 2009 sull’Immigrazione” redatto da Caritas Mi-grantes evidenziava l’aumento costante della presenza immigrata anchenel Centro Italia. A livello regionale, seppur sorpassato negli ultimi annidalla Lombardia e dal Veneto, il Lazio continua ad ospitare un numeroconsiderevole di cittadini provenienti da altri paesi. I suoi 450.1514 resi-

denti stranieri avevano a quella data un’incidenza dell’11,6% sul pianonazionale, con un aumento del 15,1% rispetto all’anno precedente. Piùspecificatamente, nella provincia di Roma, la presenza immigrata dal2002 al 2008 è aumentata del 157%. Poiché i nuovi immigrati ritrovanospesso al loro arrivo parenti o amici già insediati in centri urbani medio-piccoli, nello stesso arco di tempo salivano le incidenze delle altre pro-vince laziali, in particolare di Rieti (+248%), di Viterbo (+235%) e di La-tina (+276%). E pur diminuendo gradualmente, si manifestava ancora lacentralità della capitale: risiedeva a Roma l’81,4% degli stranieri presen-ti in regione5 o, secondo una prospettiva provinciale, il 66,3% degli stra-nieri presenti risiedeva nella provincia romana.Al 1° gennaio 2009, 366.360 cittadini stranieri avevano la residenza nei121 comuni della provincia di Roma e nei suoi 17 distretti socio-sanita-ri: la loro incidenza era dell’8,9% (media nazionale 6,5%) su una popo-lazione provinciale di 4.110.035 abitanti.Anche se i periodi di migrazione potrebbero tendere a contrarsi, il tem-po attuale di permanenza supera in molti casi i dieci anni, come confer-ma anche il dato delle acquisizioni di cittadinanza per residenza (il24,2% del totale), oltre che per matrimonio.Oltretutto, proprio la provincia di Roma, con l’8,9% dei residenti com-plessivi costituito da stranieri rispetto a una media nazionale del 6,5%6,dimostra di essere un territorio di insediamento duraturo. In particolarea Roma, gli immigrati esprimono la volontà di stabilizzarsi e immagina-no di costruirvi o ricostruirvi la loro vita, con le proprie famiglie. Unanuova prospettiva di vita che non può non esprimere il desiderio diun’inclusione economica e sociale priva di discriminazioni o di pregiu-dizi da parte della popolazione locale.Non è possibile tuttavia trascurare i dati che riguardano il legame tra im-migrazione e reati che contribuisce spesso a orientare le percezioni deicittadini ospitanti e, conseguentemente, ad avere un peso importantenelle decisioni politiche.I tassi di criminalità evidenziano che gli autori stranieri sono, in propor-zione, più numerosi degli italiani. È un dato che riguarda tutto il territo-rio nazionale ma è ancor più marcato nel Centro Italia e in particolarmodo per quanto concerne i reati di tipo appropriativo (borseggi, rapi-ne e furti in abitazione).

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(5) Contro, per esempio, il 6,9% di Latina.(6) Percentuale che raggiunge il 10,5% nel comune di Roma.

Per questo tipo di attività criminale, l’incidenza dell’irregolarità è deter-minante. Il Rapporto del 2007 del Ministero dell’Interno sulla sicurezzain Italia segnalava che più dell’80% dei furti compiuti da stranieri eracommesso da persone senza permesso di soggiorno7.Questo aspetto si spiega anche con le maggiori difficoltà d’inserimentodegli immigrati irregolari ed il rapporto criminalità-immigrazione puòquindi essere contenuto da misure in grado di migliorare l’integrazione.Un’integrazione che può affievolire la diffidenza, il timore, le reazioni dichiusura diffusi tra la popolazione locale.Desiderio di inclusione sociale da parte degli immigrati, diffidenza del-la popolazione locale, sentimenti opposti che suggeriscono tuttavia unarisposta: una maggiore integrazione lavorativa come fattore per un’inclu-sione sociale meno accidentata e più stabile.

Il lavoro degli immigrati e i fabbisogni occupazionali I numeri messi a disposizione dall’Inail insieme a quelli forniti daldossier statistico della Caritas diocesana di Roma permettono di rile-vare l’incidenza crescente di lavoratori immigrati nel tessuto econo-mico del Lazio e di comprendere l’importanza dell’apporto di mano-dopera straniera nel mercato occupazionale locale.A livello regionale i lavoratori nati all’estero, dati sempre al 2008, costi-tuiscono il 13,5% del totale degli occupati, a fronte di una media nazio-nale del 15,5%. I mercati occupazionali provinciali con il più elevatocontributo di stranieri sono Latina (17,6%), Viterbo (16,0%) e Rieti(14,9%), mentre restano indietro Roma (13,3%) e Frosinone (10,6%).Nel Lazio le donne non raggiungono il 40% del totale tra i lavorato-ri regolari nati all’estero e a livello nazionale sono il 43,3%; a Romasi registra la più elevata incidenza regionale, ovvero il 41,4%; seguo-no Frosinone (34,8%), Rieti (33,6%), Viterbo (33,3%) e Latina (33,1%).L’occupazione femminile possiede con tutta probabilità una fetta nontrascurabile coinvolta nel lavoro irregolare.I dati dell’Inail consentono anche di isolare, tra i lavoratori nati al-l’estero, la quota di quelli provenienti da paesi extracomunitari, chea livello regionale era l’88% (la fonte considerava comunitari ancorasolo i 25 Stati che formavano l’UE prima degli allargamenti del 2007).Tra i settori lavorativi in cui il Lazio, e in modo particolare Roma, di-

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(7) Ministero dell’Interno, “Rapporto sulla criminalità in Italia. Analisi, Prevenzione, Contra-sto”, 2007. Cfr. in particolare Tabella VI.7, p. 31.

mostra una certa capacità di assorbimento di lavoratori nati all’este-ro prevale quello dei servizi, prevalentemente nell’informatica e neiservizi alle imprese, negli alberghi e ristoranti, nel commercio e neiservizi alla famiglia, con il 9,1%.Per quanto riguarda la provincia di Roma, l’aumento del numero di oc-cupati è dovuto, in particolar modo, alla crescita dell’occupazione deicittadini immigrati che si sono inseriti ex novo nel mercato occupaziona-le, rivelandosi un motore indispensabile anche in un periodo di crisi.A fine 20088, i lavoratori immigrati hanno inciso per il 9,7% sull’oc-cupazione complessiva, rispetto a una media italiana del 7,5%. In tut-to, gli immigrati occupati nella provincia di Roma erano 165.437 e tradi essi le donne incidevano per il 40%, una percentuale che, tra l’al-tro, non prende in considerazione l’alto numero di donne straniereche trovano lavoro nel settore familiare, nel quale è frequente che leprestazioni possano essere non dichiarate.Se ne è avuta una parziale conferma in occasione della regolarizza-zione del settembre 2009, che ha visto presentare in provincia di Ro-ma poco più di 32.000 domande, mentre si stima che circa un’altrametà di questi lavoratori sia rimasta nel sommerso.L’impatto degli immigrati sui contratti di assunzione rilevati dall’Os-servatorio del Mercato del Lavoro della Provincia di Roma nel I se-mestre del 2009 era pari al 13,7% del totale, con valori più alti in al-cuni settori: nel settore edile e in quello della collaborazione familia-re dove soddisfano l’elevato fabbisogno di manodopera; nelle azien-de artigianali, garantendo la continuazione di mestieri antichi e cherischiano di venire dimenticati; nel commercio, attraverso il qualecontribuiscono molto spesso a rivitalizzare esercizi a basso rendi-mento. Tenuto anche conto che da anni, a livello nazionale e nellaprovincia romana, assistiamo ad un progressivo invecchiamento del-la popolazione, gli immigrati sono senza dubbio una risorsa per laloro giovane età e per il più alto tasso di occupazione.Quanto all’area dei disoccupati, nel 2008 i cittadini stranieri in cerca dilavoro sono stati 17.400 (8.000 in più rispetto all’anno precedente) ehanno inciso per il 13,5% sui senza lavoro. Il tasso di disoccupazione siè attestato sul 9,5%, oltre tre punti percentuali in più rispetto al 2007 eun punto percentuale in più rispetto al livello nazionale.

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(8) VI Rapporto dell’Osservatorio romano sulle migrazioni, promosso da Caritas diocesana,Camera di Commercio e Provincia di Roma.

Malgrado le difficoltà che si devono sormontare in Italia per creareun’azienda (l’Italia è al 65° posto nella graduatoria stilata nel 2008dalla Banca Mondiale), e questo nonostante il nostro paese abbia unnumero assai elevato di imprese (Tab. 4), da quando, nel 1998, so-no cadute le barriere legislative, gli immigrati hanno dato prova diun grande dinamismo.

Tab. 4Numero di imprese – Anno 2007 e Anno 2009 – Valori assoluti

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In provincia di Roma, nel 2008 si contavano 15.000 cittadini stranie-ri titolari d’impresa, con un ritmo d’aumento più vivace rispetto adaltre regioni e, specialmente, rispetto all’andamento delle nuove ini-ziative imprenditoriali degli italiani. Si tratta per lo più di piccole im-prese e spesso è solo una sorta di via all'autoccupazione ma Romaviene considerata un ambiente adatto per la vocazione imprendito-riale e così si può dire anche degli altri comuni della provincia, do-ve si sono insediati il 30% degli imprenditori stranieri. Per gli immigrati, il lavoro autonomo è un settore nuovo. Tra questi im-prenditori, 9 su 10 hanno iniziato l’attività dal 2000 in poi e sono arriva-ti a incidere per un decimo sulle nuove imprese create. L’ulteriore svi-luppo di imprese create e gestite da cittadini immigrati comporterebbeevidenti benefici: se raggiungessero la percentuale relativa alla presen-za dei romani nel lavoro autonomo (1 impresa ogni 9 residenti, mentretra gli immigrati solo 1 ogni 20), tra titolari, soci e altre figure societariesi arriverebbe a 30.000 persone e non è azzardato pensare che questeimprese creerebbero lavoro almeno per altrettanti individui.

Imprese registrate 2007 Imprese registrate 2009Frosinone 46.362 45.247Latina 57.326 57.816Rieti 15.091 15.223Roma 421.107 432.805Viterbo 38.265 38.331 Lazio 578.151 589.422Italia 6.123.272 6.095.097

Fonte: elaborazione Unioncamere Lazio su dati InfoCamere

L’intraprendenza manifestata dalla componente straniera della popo-lazione si è rivelata negli ultimi anni come uno dei traini dello svi-luppo economico locale connotandosi, con specifico riferimento al-le ditte individuali, come la componente più dinamica dell’apparatoproduttivo romano. Dal 2002 al 2008, la presenza di titolari e socid’impresa nati all’estero iscritti nel Registro delle imprese di Roma hapiù che raddoppiato (Tab. 5 e 6), passando dalle 13.869 unità del2002 alle 28.648 del 2008.

Tab. 5Titolari e soci d’impresa per nazionalità di nascitaProvincia di Roma

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Anno Nazionalità di nascitaEstera Italiana Non classificata Totale

V.A. % V.A. % V.A. % V.A.su totale su totale su totale

2008 28.648 10,8 221.949 83,3 15.866 6,0 266.463% su totale Italia 7,6 4,9 33,1 5,32007 26.298 9,8 225.140 83,5 18.242 6,8 269.680% su totale Italia 7,4 4,8 33,3 5,32006 23.672 8,8 226.545 83,8 20.155 7,5 270.372% su totale Italia 7,3 4,8 31,4 5,22005 21.092 7,8 227.543 84,3 21.200 7,9 269.835% su totale Italia 7,1 4,7 29,4 5,2Variazione % 2005/04 12,2 - 0,4 - 4,9 0,2Variazione % 2006/05 11,1 - 0,6 - 9,5 - 0,3Variazione % 2007/06 8,9 - 1,4 -13,0 - 1,2

Fonte: elaborazione su dati InfoCamere, “Sistema informativo Excelsior”

In particolare, nel 2008, la componente straniera della compagine deititolari e soci ha confermato la propria vitalità facendo rilevare un in-cremento, rispetto all’anno precedente, dell’8,9%, che ne ha determi-nato un aumento in quota sul totale della provincia pari al 10,8%(9,8% nel 2007), mentre l’aggregato dei titolari e soci di nazionalitàitaliana mostra una variazione percentuale di segno negativo (-1,4%),che accentua ulteriormente il trend sfavorevole degli ultimi anni.

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Tab. 6Titolari e soci d’impresa nati all’estero: primi 30 Paesi di origine.Al 31.12.2008

Provincia di Roma ItaliaStato di nascita V.A. Diff. pos. % per Stato di nascita V.A. Diff. pos. % per

2007 Stato 2007 StatoRomania 4.851 = 16,9 Marocco 47.634 = 12,6Bangladesh 3.808 = 13,3 Cina 37.773 = 10,0Cina 2.576 = 9,0 Romania 36.377 = 9,6Egitto 1.861 = 6,5 Albania 28.159 = 7,5Marocco 1.799 = 6,3 Svizzera 23.079 = 6,1Polonia 970 = 3,4 Germania 18.255 = 4,8Nigeria 952 = 3,3 Senegal 13.622 = 3,6Albania 655 +2 2,3 Egitto 12.425 +1 3,3Libia 620 -1 2,2 Tunisia 12.127 +1 3,2Senegal 599 -1 2,1 Francia 11.710 -2 3,1Tunisia 563 = 2,0 Bangladesh 10.492 +1 2,8Serbia e Montenegro 480 = 1,7 Serbia e Montenegro 9.574 -1 2,5Germania 442 +1 1,5 Argentina 6.444 = 1,7Perù 431 +2 1,5 Pakistan 6.279 = 1,7Francia 427 -2 1,5 Nigeria 6.133 = 1,6Argentina 424 -1 1,5 Brasile 5.059 +2 1,3Svizzera 387 = 1,4 Gran Bretagna 5.034 -1 1,3Pakistan 370 = 1,3 Venezuela 4.826 -1 1,3Etiopia 338 = 1,2 Belgio 4.610 = 1,2Gran Bretagna 338 = 1,2 Macedonia 4.467 +1 1,2Brasile 298 = 1,0 Polonia 4.455 -1 1,2India 277 +1 1,0 USA 3.856 = 1,0USA 261 -1 0,9 Canada 3.130 = 0,8Ucraina 242 +3 0,8 Perù 3.084 +1 0,7Moldavia 241 +1 0,8 Ucraina 2.803 +2 0,7Iran 232 -2 0,8 Libia 2.765 -2 0,7Venezuela 209 -2 0,7 Moldavia 2.564 +4 0,7Filippine 207 = 0,7 Ecuador 2.494 = 0,7Colombia 180 +2 0,6 Australia 2.468 -3 0,7Somalia 179 -1 0,6 Algeria 2.344 -1 0,6Totale primi 30 paesi 25.217 - 87,9 Totale primi 30 paesi 334.042 - 88,4Altro 3.469 - 12,1 Altro 43.723 - 11,6Totale 28.686 - 100,0 Totale 377.765 - 100,0Totale al 31/12/2007 26.298 Totale al 31/12/2007 354.270

Fonte: elaborazione su dati InfoCamere “Sistema Informativo Excelsior”

L’analisi dei dati articolati per attività economica ed accorpati secondole tre grandi ripartizioni di Agricoltura, Industria e Servizi (al lordo del-le imprese non classificate) evidenziava la forte propensione della com-ponente imprenditoriale straniera ad operare nel settore dei Servizi(19.020 unità, pari al 66,4% del totale), nel Commercio (11.741 unità, pa-ri a ben il 41,0% del totale) e nelle Attività immobiliari e di noleggio, in-formatica e ricerca (2.633 unità, pari al 9,2% del totale).Considerando la presenza di imprenditori immigrati, apparivano dinotevole rilevanza anche i settori delle Costruzioni (6.479 unità, pa-ri al 22,6% del totale) e dell’Industria in senso stretto (2.259 unità, pa-ri al 7,9% del totale). Peraltro, proprio nel settore delle Costruzioni sipoteva rilevare il maggiore differenziale di concentrazione rispettoalla sola componente italiana: il 22,6% del totale degli stranieri afronte dell’11,9% degli italiani.I principali dati sugli immigrati presenti nella provincia di Roma evi-denziano quindi il loro desiderio di considerare il territorio che liospita ed accoglie non come luogo di mero transito bensì come luo-go in cui stabilirsi, in cui creare una famiglia, in cui costruire un fu-turo dignitoso, in cui cercare un’integrazione. Un desiderio confermato dalla loro manifesta propensione ad intra-prendere, dalla capacità di perseverare anche in tempi di crisi, ele-menti positivi che non possono e non devono tuttavia mascherare ofar sottovalutare la necessità di affiancarli ed accompagnarli nel per-corso difficile e decisivo di integrazione. In tal senso, immaginare di proporre formazione a cittadini immigra-ti, con la volontà di partecipare concretamente al raggiungimento diun’integrazione più efficace, richiede anche la capacità e la serietà digarantire percorsi professionalizzanti che possano rispondere in mo-do appropriato ai fabbisogni occupazionali di un tessuto imprendi-toriale che, oltretutto, è messo a dura prova dalla crisi.È necessario tenere conto dei dati che riguardano il mercato occupa-zionale, saper inserire i percorsi formativi in un contesto ben defini-to di offerte di lavoro concrete (Tab. 7).Se allarghiamo lo sguardo ad un piano più generale, il Sistema Informa-tivo Excelsior 2009, consente di evidenziare, al di là dell’impatto di unafase congiunturale particolarmente negativa e diffusa, andamenti com-plessivi del sistema paese. L’indagine annuale realizzata da Unioncame-re sui programmi di assunzione delle aziende dell’industria e dei servi-zi rileva fenomeni coerenti con gli andamenti del recente passato: unaricerca graduale ma continua di miglioramento del profilo qualitativo

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della struttura occupazionale, a testimonianza della volontà delle impre-se di farsi trovare alla ripresa con un’offerta innovativa e competitiva. Lestrategie di riposizionamento di mercato delle imprese italiane continua-no ad assegnare un ruolo centrale al profilo del capitale umano, ancorpiù in una fase economica delicata. Alla data della rilevazione, la flessione della domanda di operai specia-lizzati, pari al 18,1% delle assunzioni, riguardava in misura minore le fi-gure dei “muratori”, “idraulici”, “carpentieri e falegnami”, in crescita ri-spetto al 2008 in termini di incidenza sul totale delle entrate. Diminuivaanche la domanda di conduttori di impianti e macchinari, fissi e mobili(57.000 entrate e una quota percentuale pari al 10,8%, in flessione rispet-to alle 113mila assunzioni e al 13,7% previsto nel 2008) ma aumentavala quota percentuale di “conducenti di autocarri pesanti e camion” e di“conduttori di macchinari per il movimento terra”.Pressoché stabile il fabbisogno in termini relativi di personale nonqualificato: 12,9% la quota calcolata sul totale assunzioni non stagio-nali nel 2009 (pari a poco più di 67.000 richieste), contro il 12,6%delle assunzioni previste l’anno precedente (quando rappresentava-no, in termini assoluti, 104.000 unità).Per effetto della minore richiesta di figure operaie e, soprattutto, perla miglior tenuta delle attività terziarie rispetto a quelle manifatturie-re, risultava in sensibile aumento la quota di professioni in entrataper le quali gli imprenditori stimavano più adatto un candidato di ge-nere femminile. Nel complesso, le donne dovevano costituire alme-no il 20,2% delle entrate programmate dalle imprese nel 2009, conun incremento di circa tre punti percentuali sul totale rispetto all’an-no precedente; in flessione era invece la quota per la quale si privi-legiano lavoratori di genere maschile.Collegata alle tipologie di professioni in maggiore flessione (essen-zialmente quelle operaie e a minor livello di qualificazione), oltreche naturalmente per i minori livelli assoluti di richiesta di persona-le, risultava la diminuzione della quota di immigrati in ingresso peril 2009. Dopo la decisa flessione rilevata nel 2008 rispetto agli anniprecedenti, per il 2009 si prevedeva, infatti, un flusso in entrata dipersonale immigrato in grado di raggiungere al massimo le 89.100unità, che corrispondevano al 17% sul totale delle assunzioni. Si sa-rebbe trattato, quindi, di poco più della metà delle assunzioni attesein termini assoluti per il 2008 (circa 168.000 unità) e inferiore di trepunti percentuali in termini relativi.

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Tab. 7 - Caratteristiche dell’occupazione straniera e italiana (v. %)

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Tutti Uomini DonneItaliani Stranieri Italiani Stranieri Italiane Straniere

Dipendenti 73,61 86,00 69,55 83,89 79,59 89,28Autonomi 26,39 14,00 30,45 16,11 20,41 10,72Posizione nella professioneDipendentiDirigente/quadro 10,38 0,39 11,46 0,43 9,00 0,35Impiegato 42,96 5,41 33,37 2,80 55,33 9,20Operaio, apprendista, lavoratore a domicilio 46,66 94,20 55,17 96,76 35,67 90,45AutonomiImprenditore/libero professionista 22,65 6,82 24,41 4,99 18,78 11,09Lavoratore in proprio 62,18 77,26 66,43 86,30 52,83 56,20Socio di coop./coadiuvante azienda familiare 8,20 7,37 5,00 3,83 15,24 15,62Coll. Coord. e cont./prestaz. occasionale 6,97 8,55 4,16 4,89 13,16 17,08

Tempo determinato 13,13 15,95 11,06 14,45 15,79 18,12Tempo indeterminato 86,87 84,05 88,94 85,55 84,21 81,88

Tempo pieno 86,98 81,96 95,65 94,63 74,18 62,30Tempo parziale 13,02 18,04 4,35 5,37 25,82 37,70Dimensione d’impresa<50 66,62 82,76 65,74 80,81 67,79 85,5750-250 21,40 12,43 21,32 14,20 21,49 9,87>250 11,99 4,81 12,94 4,99 10,72 4,56Durata dell’occupazione attuale<1 anno 6,38 13,59 7,03 15,00 5,75 12,291-3 anni 7,69 19,43 8,97 23,26 6,46 15,914-9 anni 13,69 24,54 16,01 33,24 11,44 16,56>10 anni 72,24 42,44 67,99 28,50 76,35 55,24SettoreAgricoltura, caccia e pesca 4,77 4,56 5,36 6,00 3,91 2,32Energia, estrazione materiali energetici 0,90 0,14 1,31 0,22 0,29 0,02Industria della trasformazione 20,20 25,10 23,90 32,17 14,73 14,14Industria delle costruzioni 8,32 16,55 13,17 26,88 1,17 0,55Commercio 15,04 9,46 14,84 11,19 15,35 6,78Alberghi e ristoranti 4,64 8,87 3,79 6,36 5,90 12,76Trasporti e comunicazioni 5,15 4,02 6,65 6,05 2,96 0,87Intermed. monet. e finanz., attività immobiliari 3,29 0,42 3,23 0,34 3,38 0,54Servizi a imprese e altre attiv. prof. e impr. 9,28 6,51 8,41 4,17 10,56 10,14PA, difesa, assicurazioni sociali obbligatorie 7,25 0,17 7,96 0,10 6,20 0,27Istruzione, sanità e altri servizi sociali 15,77 4,16 7,51 0,80 27,96 9,36Altri servizi pubblici, sociali e alle persone 5,38 20,05 3,89 5,73 7,59 42,24

Fonte: elaborazione dati RCFL Istat, 2005-2007 e 2009

Faceva eccezione in questo senso la componente stagionale (Tab. 8),per la quale la quota prevista di immigrati si prevedeva invece leg-germente in crescita in percentuale (26,9% rispetto al 24,6% del 2008)e, comunque, indicativamente stabile in valore assoluto (69.000 con-tro 62.500 del 2008).La richiesta di lavoratori con qualifica professionale era in aumento di cir-ca un punto percentuale (15,3% nel 2009, a fronte del 14,5% del 2008).

Tab. 8 Confronto 2008-2009 delle assunzioni stagionali di lavoratori immigrati*

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La sempre più elevata attenzione alle competenze, non solo “formali” maanche tacite, delle figure in entrata era confermata da un maggior orien-tamento delle imprese ad assumere personale con una precedente espe-rienza lavorativa (57,5%, circa 2 punti percentuali in più rispetto a quan-to previsto l’anno precedente). Una circostanza che si lega senz’altro allanecessità di accorciare il più possibile i tempi di inserimento operativo inazienda e di sfruttare al massimo l’investimento in nuove risorse umane.

Anni Industria e servizi Agricoltura Totale2008 62.000 152.100 214.1002009 69.500 161.500 231.000Var. % 12,0 6,1 7,9

(*) Ipotesi massima. Valori assoluti arrotondati alle centinaia.

Fonte: Unioncamere - Ministero del Lavoro, Sistema Informativo Excelsior, 2008-2009

Tab. 9Dinamica delle previsioni di assunzioni non stagionali di lavoratori immigrati*

e loro incidenza percentuale sulle assunzioni complessive

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La quota di assunzioni non stagionali considerate di difficile repe-rimento era diminuita di circa 6 punti percentuali (20,5% rispettoal 26,2% del 2008) per l’aumento della presenza della figura da as-sumere (25%, oltre quattro punti in meno rispetto al 2008). Resta-va però sostanzialmente immutata la quota di difficoltà legate al-lo scarto fra il profilo qualitativo delle figure richieste e l’offertadi lavoro.

Anni Assunzioni previste (v.a.) % su totale assunzioni previsteIndustria Agricoltura Totale Industria Agricoltura

e servizi e servizi2001 145.000 2.400 147.400 20,3 30,42002 163.800 2.600 166.400 23,9 35,42003 224.400 4.900 229.300 33,4 47,92004 195.000 5.600 200.600 28,9 42,72005 182.900 3.900 186.800 28,2 33,12006 162.300 4.800 167.100 23,3 31,62007 227.600 8.200 235.800 27,1 46,62008 167.800 4.100 171.900 20,3 28,32009 89.100 3.400 92.500 17,0 36,7

(*) Ipotesi massima. Valori assoluti arrotondati alle centinaia.

Fonte: Unioncamere - Ministero del Lavoro, Sistema Informativo Excelsior, vari anni.

Tab. 10Le dieci professioni più richieste dalle imprese di immigrati non stagionaliAnni 2007-2009

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Cod Professioni Assunzioni non stagionaliIstat 2009 2008 20078422 Addetti non qualificati a servizi di pulizia in imprese 1° 14.410 1° 1°

ed enti pubblici ed assimilati5410 Professioni qualificate nei servizi sanitari 2° 5.890 4° 9°5121 Commessi e assimilati 3° 5.020 2° 6°5223 Camerieri ed assimilati 4° 4.870 3° 2°6121 Muratori in pietra, mattoni, refrattari 5° 4.430 5° 4°5534 Addetti all’assistenza personale in istituzioni 6° 3.470 -- --4131 Personale addetto alla gestione degli stock, 7° 2.970 7° 8°

dei magazzini ed assimilati7424 Conduttori di mezzi pesanti e camion 8° 2.870 9° 7°8621 Manovali e personale non qualificato 9° 2.550 8° 3°

dell’edilizia civile ed assimilati8121 Facchini, addetti allo spostamento merci ed assimilati 10° 2.510 6° 5°

Fonte: Unioncamere - Ministero del Lavoro, Sistema Informativo Excelsior, 2007-2009

A conferma di come sia attribuibile in primo luogo a tale mismatch qua-litativo lo scarto fra domanda e offerta di professioni a livello territoria-le, occorre segnalare che per il 35,3% delle figure per le quali le impre-se prevedevano di incontrare difficoltà in fase di reclutamento quest’ul-time si sarebbero rivolte a candidati con un livello di qualificazione (for-male e/o informale) più basso, per poi formarli (attraverso percorsi strut-turati o anche on the job) successivamente all’ingresso in azienda. Si trat-ta peraltro di un comportamento che coinvolgeva trasversalmente tutti isettori, posto che anche tra le piccole e piccolissime imprese, pur a fron-te di più diffuse difficoltà di reperimento (21,4% del totale), tale quotasi sarebbe attestata intorno al 31%.Lo scarto tra domanda e offerta di lavoro trovava per lo più origine nellivello di qualificazione dei candidati e molto meno nell’entità del baci-no di manodopera a disposizione.Tra le figure a carattere impiegatizio e operaio, si segnalavano difficoltàdi reperimento per alcune di quelle legate all’assistenza socio-sanitaria(ausiliario socio-assistenziale e assistente socio-sanitario, con difficoltà

che riguardavano complessivamente quasi un’assunzione su due), nellefiniture e nell’arredamento di interni (installatori di impianti di allarme,pavimentatori, mobilieri, imbianchini, serramentisti), dove i problemiavrebbero potuto riguardare almeno il 40% delle posizioni da ricoprire.Delle quote di “assunzioni difficili”, comprese tra un terzo e la metà diquelle totali, facevano parte anche alcuni addetti alla produzione o allavendita di generi alimentari (addetto banco gastronomia, panettiere, for-naio) e alcune professioni operanti nei servizi di ristorazione (cuoco eaiuto cuoco, pizzaiolo, cameriere di bar).

Tab. 11Confronto tra le assunzioni non stagionali di lavoratori italiani e immigratipreviste per il 2009*, per grandi gruppi professionali e professioni piùrichieste per ciascun gruppo

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Assunzioni Assunzioni Incid. % immigrati italiani immigrati

non stagion. non stagion. su italiani(v.a.) (v.a.)

TOTALE 89.150 434.480 20,5

Dirigenti 70 1.670 4,2

Professioni intellettuali, scientifiche 1.130 22.230 5,1e di elevata specializzazioneInformatici e telematici 370 5.240 7,1Chimici 140 1.590 8,8Ingegneri meccanici 100 2.130 4,7Specialisti della gestione e del controllo nelle imprese private 100 2.270 4,4

Professioni tecniche 6.920 80.830 8,6Infermieri ed assimilati 1.720 2.980 57,7Tecnici della vendita e della distribuzione 710 10.000 7,1Contabili ed assimilati 650 23.570 2,8Tecnici informatici 640 3.660 17,5

Impiegati 5.450 55.690 9,8Personale addetto alla gestione degli stock, 2.970 13.620 21,8dei magazzini ed assimilati

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Assunzioni Assunzioni Incid. % immigrati italiani immigrati

non stagion. non stagion. su Italiani(v.a.) (v.a.)

Personale di segreteria 900 13.120 6,9Addetti all’accoglienza ed assimilati 450 3.780 11,9Centralinisti, telefonisti e operatori di call center 160 4.260 3,8

Professioni qualificate nelle attività commerciali 25.030 105.680 23,7e nei serviziProfessioni qualificate nei servizi sanitari 5.890 4.880 120,7Commessi e assimilati 5.020 50.960 9,9Camerieri ed assimilati 4.870 17.050 28,6Addetti all’assistenza personale in istituzioni 3.470 2.470 140,5

Operai specializzati 17.510 77.090 22,7Muratori in pietra, mattoni, refrattari 4.430 17.750 25,0Elettricisti nelle costruzioni civili ed assimilati 1.270 8.570 14,8Meccanici e montatori di macchinari industriali ed assimilati 1.130 4.160 27,2Montatori di carpenteria metallica 940 2.330 40,3

Conduttori di impianti e operai semiqualificati 9.830 46.860 21,0addetti a macchinari fissi e mobiliConduttori di mezzi pesanti e camion 2.870 15.210 18,9Addetti a macchine confezionatrici di prodotti industriali 930 2.840 32,7Conduttori di catene di montaggio automatizzate 620 1.820 34,1Conduttori di macchinari per il movimento terra 530 4.140 12,8

Professioni non qualificate 23.210 44.420 52,3Addetti non qual. a servizi di pulizia in imprese ed enti pubblici 14.410 19.440 74,1Manovali e personale non qual. 2.550 9.610 26,5dell’edilizia civile ed assimilatiFacchini, addetti allo spostamento merci ed assimilati 2.510 4.170 60,2Personale addetto alla pulizia 1.380 2.510 55,0in esercizi alberghieri ed extralberghieri

(*) Assunzioni di immigrati superiori alle 100 unità (eccetto Dirigenti). Valori assoluti arrotondati alle decine. A causa di tali arrotonda-menti, i totali possono non coincidere con la somma dei singoli valori.

Fonte: Unioncamere - Ministero del Lavoro, Sistema Informativo Excelsior, 2009

Nonostante la generalizzata flessione nella domanda di operai, gliimprenditori segnalavano inoltre problemi nel reperimento di figurelegate alle lavorazioni nel campo dell’abbigliamento (sarti e cucitoria macchina), della metalmeccanica (tornitori, fabbri, saldatori) e del-le attività di installazione, manutenzione e riparazione.I dati e gli elementi riguardanti l’immigrazione e il mondo del lavo-ro nella provincia di Roma, rilevazioni di carattere nazionale, qui ra-pidamente passate in rassegna, hanno rappresentato la base teoricacondivisa per i diversi soggetti attuatori del progetto; a questo si ag-giunga che nel periodo intercorso tra settembre e ottobre 2009 le as-sociazioni di categoria che avevano aderito all’iniziativa hanno avu-to il compito di rilevare tra le imprese loro associate i fabbisogni abreve di manodopera qualificata e ricercare un numero elevato diaziende disponibili a contribuire alla realizzazione del progetto ga-rantendo gli stage previsti come fase conclusiva di KNE. Le due diverse tipologie di indagine, peraltro sintoniche, hanno con-sentito di elaborare i profili professionali, i moduli dei corsi, la strut-tura dei percorsi formativi.

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Cronistoria del progetto

La scelta dei profili professionali da formareIn un progetto come KNE, delineare con precisione i diversi profiliprofessionali su cui impostare i percorsi formativi, senza che questirischiassero, fin dall’inizio, di perdere di vista obiettivi e risultati, si-gnificava saper ascoltare e conciliare i bisogni espressi dal mondodelle imprese, dal territorio della provincia e dalle indagini sulle pe-culiarità del rapporto tra immigrazione e lavoro.Attraverso indagini condotte all’interno delle aziende da loro rappre-sentate, le sei associazioni di categoria partner del progetto (UIR, Le-ga delle Cooperative, CNA, Confartigianato, ACAI, Federlazio)9 han-no innanzitutto confermato la necessità diffusa di professionalità piùelevate. Il tessuto imprenditoriale dimostrava una tendenza genera-lizzata verso la ricerca di maggiori competenze e, allo stesso tempo,una difficoltà crescente nel reperire alcune figure professionali ap-propriate proprio a causa della mancanza di candidati con adeguatequalificazioni o esperienze. Ben al di là del necessario tirocinio o ac-compagnamento previsto dopo ogni assunzione per facilitare l’inse-rimento di un nuovo lavoratore nell’ambiente dell’azienda, molte im-prese erano state obbligate a rispondere alle carenze di competenzedei candidati al lavoro con l’organizzazione di veri e propri corsi for-mativi interni.A conferma dei dati evidenziati nell’analisi sopra sviluppata, i fab-bisogni occupazionali rilevati dalle aziende coinvolte nel proget-to riguardavano, in particolar modo, il settore alimentare (dal pa-

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(9) L’IRFI era l’ente gestore, responsabile del progetto, i soggetti partner erano, oltre le seiassociazioni di categoria, la Società Dante Alighieri e l’Organizzazione internazionale perle Migrazioni.

nettiere e fornaio all’addetto al banco gastronomia), le professio-ni che operano nei servizi di ristorazione (aiuto-cuoco, pizzaiolo,ecc.) così come nelle specializzazioni legate all’immagine e allacura delle persone (dal parrucchiere all’estetista). Le categorie im-prenditoriali testimoniavano anche difficoltà a reperire figure le-gate alle lavorazioni in comparti del metalmeccanico (dal tornito-re al saldatore) e, più specificatamente, nelle attività di installazio-ne, manutenzione e riparazione.Segnali di tenuta venivano, in particolar modo a Roma, dalle atti-vità legate al turismo, soprattutto nel settore della ricezione alber-ghiera. In tutt’altro campo, l’ultimo censimento dell’agricolturametteva in risalto il ruolo, nelle zone litorali della provincia roma-na, del comparto del florovivaismo. Un settore, caratterizzato dauna costante spinta all’innovazione, alla sperimentazione e allasostenibilità, che sembrava offrire possibilità di espansione e mi-glioramento.Bisognava tuttavia combinare questi possibili fabbisogni occupazio-nali con la tipologia specifica dei destinatari del progetto KNE. I da-ti sul rapporto tra immigrati e lavoro in Italia confermavano la neces-sità di sviluppare iniziative che rafforzassero le competenze profes-sionali. Un bisogno chiaramente espresso dal tessuto imprenditoria-le che urtava però contro le maggiori criticità dell’inserimento lavo-rativo degli stranieri.A tal proposito, i dati Istat sulla partecipazione al mondo del la-voro dei cittadini stranieri segnalavano prima di tutto l’importan-za residuale dell’intermediazione formale nella ricerca di un’occu-pazione (Tab. 12). Sia i Centri per l’Impiego che le agenzie per illavoro risultavano poco frequentati e soprattutto considerati comescarsamente efficaci. Più che come concreta possibilità di trovareun lavoro, i cittadini stranieri sembravano rivolgersi a questi ser-vizi di supporto come punti informativi per il disbrigo di praticheburocratiche legate in particolar modo ai problemi di rinnovo deipermessi di soggiorno.Per la ricerca di un’occupazione, il canale più utilizzato rimaneva,ancor più che per gli italiani, l’intermediazione informale: il73,3%10 degli stranieri presenti in Italia dichiarava di aver sfruttatole segnalazioni di conoscenti, parenti o connazionali.

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(10) Istat, “L’integrazione nel lavoro degli stranieri e dei naturalizzati italiani”, 14 dicembre 2009.

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Tab. 12 Canale attraverso il quale i cittadini stranieri hanno trovato il lavoro attualeo l’ultimo lavoro svolto, per area geografica di residenza (v. %)

Canale Ripartizione geograficaNord Nord Centro Sud Italia

Ovest Est e IsoleAttraverso familiari, amici, conoscenti 75,0 72,0 71,6 74,3 73,3Attraverso associazioni, chiese/centri di culto 5,9 3,4 7,0 11,2 6,1Attraverso sindacati, patronato 1,8 6,8 2,2 1,1 2,9Attraverso agenzie/intermediari privati 11,2 8,1 7,5 6,3 9,0Attraverso inserzioni sul giornale/internet 2,9 2,5 4,7 4,3 3,5Attraverso i Centri per l’impiego 1,9 2,6 1,6 1,6 1,9Altro 1,0 2,9 2,1 0,5 1,7Senza intermediari 0,3 1,7 3,3 0,7 1,6Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Fonte: PER.LA – Indagine sui percorsi lavorativi dei cittadini immigrati, 2009-2010

A questo modesto utilizzo dei servizi di sostegno all’inserimento la-vorativo si aggiungeva la scarsa corrispondenza tra lavoro trovato eprofessionalità precedentemente acquisita. Malgrado la tendenza delle imprese che, come si è già segnalato, va-lutano con crescente attenzione le esperienze professionali pregres-se, gli stranieri occupati denunciavano la scarsa importanza accorda-ta alle competenze da loro acquisite nel paese d’origine (Tab. 13).Una percezione che, unita alle lungaggini o alle difficoltà dimostratedalla burocrazia italiana nel procedere alle dichiarazioni di equipol-lenza dei titoli di studio ottenuti all’estero, contribuisce a spiegare lapoca convinzione con la quale gli stranieri tentano di farsi riconosce-re certificazioni, esperienze formative, percorsi scolastici o universi-tari. Una rinuncia diffusa che denotava anche la sfiducia di poteraspirare ad occupazioni più qualificate.

La percezione della scarsa rilevanza delle esperienze svolte nel pae-se di origine e le ambizioni represse di fronte all’evidenza di percor-si di crescita professionali impercorribili, rappresentano due elemen-ti congiunti che possono contribuire a spiegare l’etnicizzazione di al-cune professioni. Attività lavorative per le quali si combina un alto ecrescente livello della domanda e una quota ridotta nell’offerta dipersonale italiano. Si tratta, come è noto, di professioni legate ai ser-vizi di pulizia11, all’assistenza socio-sanitaria a domicilio o alla figuradi operaio specializzato in edilizia.Conferma quindi, sul versante aziendale, della ricerca di lavoratorigià formati, sul versante del lavoro immigrato, però, di una sorta didestino lavorativo segnato che, molto spesso, indirizza senza scam-

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2006 2007 2008 2009v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

Lavoratori italianiTitolo universitario 53.300 10,0 67.480 11,0 81.040 12,3 57.830 13,3Diploma di scuola superiore 204.440 38,4 246.400 40,3 291.470 44,2 193.270 44,5Qualifica professionale 94.530 17,7 98.260 16,1 84.330 12,8 60.840 14,0Scuola dell'obbligo 180.560 33,9 199.740 32,6 203.260 30,8 122.550 28,2Totale 532.830 100,0 611.880 100,0 660.100 100,0 434.490 100,0

Lavoratori immigratiTitolo universitario 6.100 3,7 7.850 3,4 6.960 4,1 4.630 5,2Diploma di scuola superiore 31.160 19,1 46.650 20,5 43.810 26,1 28.570 32,0Qualifica professionale 38.910 23,9 49.050 21,6 36.120 21,5 19.230 21,6Scuola dell'obbligo 86.770 53,3 124.030 54,5 80.910 48,2 36.710 41,2Totale 162.940 100,0 227.580 100,0 167.800 100,0 89.140 100,0

Fonte: Unioncamere - Ministero del Lavoro, Sistema Informativo Excelsior, vari anni.

Tab. 13Assunzioni previste di lavoratori italiani e immigrati secondo il livello diistruzione richiesto dalle imprese – Anni 2006-2009(Valori assoluti arrotondati e distribuzione %)

(11) L’addetto non qualificato ai servizi di pulizia è in termini assoluti la professione più ri-chiesta per le assunzioni non stagionali di lavoratori immigrati.

po lo straniero verso settori di attività economica e mansioni contrad-distinti da bassi livelli di qualifica e di professionalità. Il rischio di in-completa inclusione sociale che l’etnicizzazione di alcune professio-ni può comportare può però essere contrastato attraverso una mag-giore professionalizzazione di alcuni mestieri, elevando le competen-ze degli addetti.Inoltre, proprio la specificità nazionale di alcuni mestieri poteva es-ser accolta con favore in alcuni settori via via abbandonati, per di-verse ragioni, dalle giovani generazioni di lavoratori italiani. Pensia-mo, ad esempio, all’intero comparto dell’artigianato, il cui sviluppo,tradizionalmente garantito dal naturale passaggio di testimone da pa-dre a figlio, è in crescente difficoltà a causa della scarsa vocazionedelle nuove generazioni, poco attratte da un “far bottega” che spa-venta per i tempi di inserimento, per mestieri percepiti come pocoremunerativi o meno prestigiosi di un lavoro improduttivo raggiuntocon una laurea “debole”. La mano d’opera straniera in questi settoriè sempre più sentita come l’unica possibilità per scongiurare il ri-schio che il patrimonio di conoscenze e tradizioni dei maestri artigia-ni si disperda inesorabilmente. A cavallo tra fabbisogni delle imprese e del territorio e particolaritàdel lavoro immigrato, le indagini e riflessioni hanno quindi portatoall’identificazione di 17 percorsi professionali12 sui quali incentrareuna parte consistente del progetto, in particolare:

Tab. 14I profili prescelti di formazione professionale

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Addetto alla conduzione di mezzi meccaniciAddetto alla muratura edileAddetto all’installazione e manutenzione di impianti solari (termici e fotovoltaici)Aiuto panificatoreAddetto alla saldaturaAiuto cuocoAddetto acconciatoreAddetto alla panificazioneAddetto front office strutture ricettive extra alberghiereAddetto alla sala ristorante Addetto ai lavori di restauroOperaio generico di supporto al magazzino

Erano tutte figure professionali richieste e che potevano rappre-sentare uno sbocco per lavoratori non comunitari; bisogna direche, con il senno di poi, non si è tenuto sufficientemente contodi almeno due fattori che hanno portato a commettere alcuni er-rori. Intanto i tempi dettati dal FEI potevano essere sufficienti peruna formazione di base non troppo complessa o per incrementa-re competenze pregresse. Nella realtà, riguardo alcuni profili pro-fessionali che richiedevano conoscenze preliminari o perlomenoattitudini marcate, si è dovuto fare i conti con allievi molto volen-terosi ma con conoscenze di base insufficienti. In qualche casoabbiamo anche dovuto constatare come la domanda rilevata nel-le indagini poi non trovava un riscontro effettivo. Conseguentemente alcuni profili professionali selezionati si sonorivelati meno efficaci del previsto. Pensiamo, a titolo d’esempio,al corso di installazione e manutenzione di impianti termici e fo-tovoltaici. È ovvio che sarebbe imprudente basarsi su dati qualil’occupazione effettiva dei corsisti nel settore in cui hanno svoltoil loro percorso a soli tre mesi dalla conclusione del progetto maci sembra comunque utile sfruttare l’esempio dell’andamento diquesto corso per sottolineare quanto la scelta, anche supportatada analisi accurate, non sia mai garante di certezze. Anche grazieal superamento di ostacoli di natura politica e burocratica e a mi-sure semplificate di incentivazione, il mercato fotovoltaico in Ita-lia registra una diffusione notevole. Dal 2008 al 2009 molte regio-ni italiane hanno triplicato il numero di impianti installati. L’Italiasconta, inoltre, un ritardo considerevole rispetto agli altri paesieuropei e sembra avvicinarsi la possibilità di superare la barrieradell’economicità e della dipendenza da sussidi pubblici. Questi

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Operaio generico sett. alimentare Operatore florovivaisticoAddetto all’assistenza familiarePizzaiolo Operatore di officina meccanica

(12) Successivamente, per l’alto numero di richieste e possibilità di organizzare stage, sonostati messi in cantiere due percorsi formativi di “Operaio generico del settore Alimenta-re” e due di “Pizzaiolo”.

dati più che confortanti davano ampio credito alla scelta di uncorso di formazione in questo settore. Ma se si contano gli allieviche, ad oggi, hanno potuto dare un seguito al percorso formativotrovando un’occupazione, bisogna ritrovare le ragioni di questoinsuccesso e farne tesoro per ulteriori iniziative. La definizione dei profili professionali ha suscitato un altro ele-mento critico, di ben altro genere ma di più immediato riscontro.Ogni percorso necessitava di una dicitura precisa che ne riassu-messe la qualifica che intendeva formare (Tab. 14). Questa sem-plice definizione, a volte eccessivamente tecnica per chi non eraun addetto al lavoro, a volte semplice ma fonte di un’imprevistaconfusione da parte dei candidati immigrati che chiedevano unorientamento nella scelta dei percorsi, ha finito col creare compli-cazioni organizzative. E pensare che la ricerca e la scelta di deno-minazioni corrette, che evitassero il malcostume imperante di pe-rifrasi altisonanti e specificassero invece la natura generica delleprofessioni su cui si sarebbero sviluppati i corsi, sembrava riflet-tersi fin troppo nella dicitura ripetuta e quasi identica di molti per-corsi. “Addetto”, “aiuto”, “generico”, tutti termini a priori inequi-vocabili, e per questo forse poco chiariti, che si sono rivelati in-sufficienti a ridimensionare le aspettative di allievi che, malgradouna diffidenza diffusa, nutrivano la speranza di poter soddisfare,attraverso un primo contatto con la formazione, il loro desideriod’integrazione lavorativa, di poter vedere finalmente riconosciutele loro competenze e le loro capacità.Si aggiunga che non tutte le persone impegnate nella fase di orienta-mento hanno saputo attribuire il giusto peso, ad esempio, alla differen-za tra le qualifiche di “addetto panificatore” e “aiuto panificatore”.Quando i candidati dovevano essere indirizzati nella scelta di due cor-si possibili, sulla base delle loro esperienze o delle loro ambizioni, af-finché si creassero in vista dei colloqui selettivi dei gruppi di allievi dasuddividere a seconda dei corsi, questa distinzione non è sempre stataspiegata con sufficiente chiarezza. Così, nel confronto continuo che gliallievi facevano scambiandosi informazioni ed esperienze vissute du-rante i corsi, era lecito aspettarsi lamentele da chi pensava di diventa-re abile nella preparazione di impasti e che la scelta del corso destina-va a non aver mai le mani in pasta. Una terminologia ancora più sem-plice avrebbe tenuto conto delle difficoltà linguistiche di gran parte deicandidati, difficoltà che non avrebbero tardato, come vedremo, a ma-nifestarsi come una delle maggiori criticità dell’intero progetto.

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Se le differenze tra saldatore e muratore, forse perché mestieri fre-quentemente svolti dai lavoratori immigrati, non hanno suscitatoparticolari incomprensioni, di ben più grave entità, seppur leggi-bile a posteriori con allegro stupore, il fraintendimento causatodalla semplice dicitura del corso di “addetto ai lavori di restauro”.Solo durante la fase dei colloqui orali più approfonditi si è spie-gata l’elevata quantità di domande presentate per questo percor-so formativo. Nessun desiderio di partecipare alla ricostruzione diun mobile antico, bensì la confusione linguistica con il settoredella ristorazione. Una consonanza tragicomica che ha costrettogli organizzatori a rivedere i raggruppamenti di allievi, a riorien-tare le scelte, a dover dar prova di talento persuasivo per affievo-lire la delusione di chi si vedeva tra tavoli e fornelli ed aveva ri-schiato, inconsapevolmente e senza particolare passione, di finiretra tarli e trucioli.

L’architettura dei percorsi formativiStabiliti i profili professionali da formare, si è dovuta elaborare lastruttura del progetto formativo. Un’architettura che, anche in questafase, doveva conciliare diversi fattori: il tempo a disposizione, corsiprofessionali orientati ad accrescere le competenze e, di conseguen-za, l’occupabilità degli allievi, le caratteristiche degli utenti stessi cheimplicavano necessità particolari.In tal senso, tutti gli studi in materia di integrazione degli stranierisottolineavano l’importanza della conoscenza linguistica. Abbiamogià ricordato in precedenza quanto si insista da più parti sullo svilup-po delle competenze linguistiche in qualsiasi iniziativa volta a favo-rire l’inclusione sociale dei cittadini immigrati. Il superamento dellebarriere comunicative, costituite per lo più da lingue diverse che in-tralciano ogni dialogo, rappresenta uno degli elementi più importan-ti nella percezione positiva che la popolazione autoctona ha dellostraniero. E rappresenta per l’immigrato stesso un fattore determinan-te e funzionale alla sua piena realizzazione. Non solo precondizioneper poter partecipare alla vita sociale, per accedere correttamente aiservizi che gli offre il paese che lo accoglie, per far valere i suoi di-ritti, per comprendere e prendere parte alla sfera civile e politica delpaese in cui vive ma anche elemento chiave della sua crescita pro-fessionale. La buona conoscenza linguistica è infatti generalmentecorrelata ad una migliore posizione sul mercato del lavoro. Al con-trario, la scarsa competenza linguistica è uno dei motivi che sembra-

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no giustificare il possesso di titoli di studio più elevati di quelli ri-chiesti per le mansioni lavorative svolte, il cosiddetto fenomeno del-l’over-education che colpisce diffusamente i lavoratori in Italia mamaggiormente gli stranieri rispetto agli italiani.

Tab. 15Composizione per titolo di studio degli immigrati stranieri maggiorenniche hanno svolto attività lavorativa negli ultimi 12 mesi (v. %)

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Titolo di studio Genere Maschi Femmine Totale

Nessuno 3,0 2,9 3,0Licenza media elementare 16,0 12,2 14,2Licenza media inferiore 44,5 39,8 42,3Diploma scuola media superiore 29,7 35,2 32,3Laurea/master post laurea 6,8 9,9 8,3Totale 100,0 100,0 100,0

Fonte: n/elaborazioni su dati PER.LA - Indagine sui percorsi lavorativi dei cittadini immigrati, 2009-2010

Per questi motivi, come accade nella maggioranza dei percorsiformativi destinati a cittadini immigrati, si è pensato di dedicareuna prima fase del progetto a 80 ore di corso di italiano. I tempi serrati dell’intera realizzazione del progetto, dettati dallescadenze previste dal FEI, giustificano la breve durata del corsolinguistico, brevità che ha forzatamente caratterizzato anche le al-tre fasi del percorso e che è stata al centro di ogni riflessione svol-ta dai diversi partner durante tutta l’attuazione del progetto. Que-sto stesso limite emerge nelle considerazioni espresse dagli allie-vi. Nei questionari compilati a fine percorso, essi hanno sottoli-neato all’unanimità la necessità che la formazione linguistica deb-ba avere tempi più lunghi. E l’esperienza maturata ci porta a con-siderare che anche con tempi di realizzazione identici è opportu-no sviluppare diversamente il corso di lingua italiana: oltre una fa-se iniziale, diciamo intensiva, bisogna svolgere almeno un’ora dilezione giornaliera durante i corsi professionalizzanti e gli stage.Nel caso di KNE avremmo garantito un numero di ore di italianoquasi doppio e migliori risultati.

Con le stesse motivazioni che hanno portato alla predisposizionedi un corso di italiano, il progetto KNE ha previsto l’erogazione dicorsi di orientamento civico. Alla stregua delle competenze lingui-stiche, la conoscenza dei valori su cui poggia la società italiana,dei fondamenti della sua Costituzione, della sua organizzazionegiuridica rappresenta uno dei fattori che determinano il gradod’inclusione sociale di ogni cittadino, tanto più di uno stranieroproveniente da tradizioni diverse, a volte non facilmente concilia-bili con quelle del paese che lo accoglie. Il corso di orientamen-to civico intendeva quindi permettere ai cittadini extracomunitaril’acquisizione di punti di riferimento necessari per una coesisten-za civile e sicura in una società diversa da quella di origine. Ac-quisire una cittadinanza cosciente significa ottenere un’autonomiadi giudizio e di scelta, aprirsi al confronto con altre concezioni delmondo, altri valori. Come si vedrà più avanti nel dettaglio, l’OIM(Organizzazione Internazionale per le Migrazioni delle NazioniUnite), alla quale erano affidate le lezioni di educazione alla cit-tadinanza, ha volutamente insistito su alcuni temi chiave intornoai quali la condivisione di tutti è elemento indispensabile affinchéun cittadino immigrato si senta, alla pari di un cittadino italiano,rispettato, tutelato, ma anche cosciente dei propri doveri nella so-cietà e nell’ambiente lavorativo in cui opera.Attraverso un’ultima fase, costituita da corsi professionalizzanti se-guiti da un periodo di pratica in azienda, il progetto KNE inten-deva migliorare le possibilità d’assunzione permettendo, da un la-to, alle aziende di trovare lavoratori già precedentemente formatie, dall’altro, agli allievi dei percorsi formativi di poter esibireun’esperienza lavorativa specifica, regolare; requisito, come giàsottolineato, che è determinante al momento della selezione delpersonale.Inoltre, proprio perché, come si è già detto, il principale canaleutilizzato per la selezione del personale resta quello della cono-scenza preliminare (37,7% delle assunzioni nel 2007) e per glistranieri, l’aiuto dell’intermediazione formale nella ricerca di lavo-ro è molto raramente sfruttato, l’esperienza diretta in azienda ri-conosceva l’importanza della conoscenza reciproca tra lavoratoree datore di lavoro e permetteva ai cittadini stranieri di trovare esperimentare un’alternativa rispetto alla consuetudine di affidarsiprevalentemente all’aiuto di connazionali o parenti. Sempre piùcriterio selettivo, garanzia indispensabile in vista di un’assunzio-

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ne, il rapporto di fiducia tra lavoratore e datore di lavoro passavacosì attraverso la condivisione effettiva del lavoro e non solo at-traverso consigli e raccomandazioni amichevoli. Ogni associazione di categoria13 partner del progetto ha sviluppato icontenuti didattici cercando di modulare la formazione in aula bilan-ciando il più possibile gli insegnamenti teorici e pratici poiché, im-mediatamente dopo i corsi professionali, gli allievi si sarebbero tro-vati immersi nell’esperienza lavorativa in azienda. Non bisognavaquindi sottovalutare gli aspetti concreti del mestiere la cui conoscen-za avrebbe permesso ai corsisti di accedere con maggior sicurezzaagli stage on the job. E questi ultimi dovevano permettere un bilan-cio conclusivo dei percorsi formativi effettuati, la verifica e l’applica-zione pratica delle competenze acquisite nel settore del corso di ap-partenenza partecipando alla vita aziendale, entrando nel mondo dellavoro regolare del paese d’accoglienza. Al di là dell’importanza dei corsi teorici, l’esperienza lavorativa resta unrequisito discriminante al momento dell’assunzione. La pratica pregres-sa in azienda appare quasi sempre come la voce determinante di ognicurriculum. Attraverso la fase on the job, KNE intendeva quindi contri-buire a irrobustire i percorsi lavorativi degli allievi; avrebbe rappresen-tato per molti allievi extracomunitari la prima esperienza di contattocon dipendenti e datori di lavoro. Per altri, per lo più abituati a lavoriirregolari, precari, improvvisati, privi di garanzie, significava avere l’op-portunità di lavorare in un contesto aziendale in piena regola, organiz-zato e funzionante, potendo osservare e veder applicati legislazioni,statuti, regolamenti, appresi durante il corso di orientamento civico.

Tab. 16Programmazione Attività progetto KNE

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Attività Date (inizio-fine) Numero di oreCorso di italiano 22 febbraio-19 maggio 80Corso di Orientamento civico 22 febbraio-19 maggio 40Corso professionale 22 marzo-6 maggio max 200Formazione on the job 10 maggio-11 giugno max 168

(13) Alcune associazioni si sono avvalse di loro strutture e aziende di formazione: UIR-Cef-me, Legacoop-Service Lazio, Federlazio-Formare, CNA-Il Faro.

Un’ultima considerazione, gli allievi avrebbero ricevuto una diariagiornaliera per un massimo di 450 euro mensili, un ticket restau-rant giornaliero di 7 euro ed un abbonamento ai mezzi pubblici14.La diaria e i ticket, non un forfait mensile, avrebbe incoraggiatola partecipazione, e scoraggiato furbizie, l’abbonamento ai bus, oal treno per chi veniva dalla provincia, un modo per integrare ilcompenso ma anche per dare un segnale di serietà e buona orga-nizzazione. Le risorse economiche, cospicue, sono state messe adisposizione dalla Camera di Commercio di Roma considerato chesi trattava di voci di spesa non contemplate dal FEI.

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(14) Un rimborso non elevato ma superiore ai compensi che importanti media, società cine-matografiche, grandi firme della moda riconoscono a tanti giovani di talento per otto oredi lavoro giornaliero, festivi e straordinari.

La realizzazione del progetto

La promozione e la diffusione dell’iniziativa

L’IRFI organizza da anni percorsi formativi anche finanziati confondi europei ma si trovava per la prima volta a lavorare perun’utenza composta unicamente da cittadini extracomunitari. Con-siderato che in tempi rapidi si dovevano raggiungere e informarepossibili candidati poco avvezzi a cercare o ricevere proposte diformazione, l’IRFI si è rivolto ad istituzioni strettamente legate almondo dell’immigrazione, per intercettare e coinvolgere con piùfacilità le diverse comunità presenti sul territorio. In sostanza si ècercata l’intermediazione efficace di organizzazioni legate al mon-do dell’immigrazione ed in particolare è stato realizzato un appo-sito “banner” pubblicato sui siti internet dei soggetti attuatori e diorganizzazioni di immigrati, sono stati contattati consolati e amba-sciate di tutti i Paesi Terzi affinché diffondessero informazioni ailoro cittadini presenti sul territorio. Un’intesa con il Formez (Cen-tro di Ricerca e Formazione per la Pubblica Amministrazione) hapermesso di diffondere una lettera informativa presso 3500 abbo-nati. Attraverso siti specializzati, come www.immigrazioneoggi.it,sono state inviate tre diverse newsletter ad oltre 3.000 destinatari;la divulgazione delle caratteristiche del progetto ha raggiunto piùdi 400 associazioni di cittadini stranieri presenti in Italia, oltre 200organizzazioni coinvolte nell’assistenza agli immigrati nella provin-cia di Roma e circa 120 rappresentanti di comunità straniere resi-denti nella capitale. Contemporaneamente l’IRFI si è fatto carico di intensificare la ri-cerca dei destinatari del progetto effettuando una campagna di in-formazione attraverso la pubblicazione del bando, con i requisitiper parteciparvi (Tab. 17), sui principali free-press e su alcuni pe-

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riodici prettamente dedicati alle offerte e alla ricerca di lavoro, or-ganizzando una conferenza stampa che è stata ripresa da impor-tanti quotidiani della capitale e da radio e tv in orari di elevatoascolto.

Tab. 17 progetto KNE – Destinatari e requisiti richiesti

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DESTINATARI:335 immigrati, titolari di regolare permesso di soggiorno, che abbiano fat-to di recente ingresso in Italia (non più di 5 anni di soggiorno regolare).

Requisiti d’ingresso dei partecipanti:• Essere cittadini di un paese non membro dell’UE, di età compresa

tra i 18 e i 40 anni e privi di occupazione dal 1° gennaio 2010.• Avere una conoscenza almeno elementare della lingua italiana.• Aver seguito un percorso di istruzione di base non inferiore ad 8 an-

ni consecutivi.

CATEGORIA PRIVILEGIATA:immigrati in condizioni di particolare difficoltà occupazionale, in partico-lare i titolari di permesso di soggiorno per attesa occupazione con scaden-za successiva al 30 giugno 2010.

SONO ESCLUSI:• I rifugiati e i titolari di protezione sussidiaria o umanitaria.• I richiedenti asilo.• I cittadini di un paese dell’Unione Europea.

Infine è stata organizzata un’attività di volantinaggio, per più giorni,di uno specifico leaflet (Tab. 18) nei luoghi abitualmente frequenta-ti da cittadini non comunitari: le maggiori stazioni della metropolita-na di Roma, le stazioni ferroviarie, mense pubbliche, mercati rionali,internet point, centri per l’impiego.

Tab. 18 – Volantino promozionale del progetto KNE

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Non si sono inoltre tralasciati canali più informali e diretti. Come ve-dremo i cittadini del Bangladesh appartengono al paese più rappre-sentato tra gli allievi che hanno preso parte ai percorsi formativi. Aldi là della loro considerevole presenza in Italia e nella provincia diRoma, questo dato dipende dal coinvolgimento di un rappresentan-te autorevole della comunità bengalese contattato direttamente, in-formalmente e per puro caso.I dati relativi al rapporto tra immigrazione e formazione uniti a quel-li sulla tipologia di immigrati più disagiata confermavano l’adegua-tezza dei requisiti fissati dal bando di partecipazione e facevano bensperare sulle possibilità di intercettare una domanda fortemente pre-sente sul territorio. In effetti, le organizzazioni dei cittadini immigra-ti segnalavano forte disoccupazione, necessità di migliorare le com-petenze professionali evidenziando però una modesta partecipazio-ne ai corsi di formazione. E il progetto KNE si rivolgeva specificata-mente a stranieri di età compresa tra i 18 e i 40 anni, che dal loro ar-rivo hanno avuto mediamente una sola esperienza lavorativa, conuna situazione familiare e abitativa disagiata e che si rivolgono mol-to raramente o comunque con scarsi risultati ai centri per l’impiego.L’intera campagna promozionale, che ha comportato un lavoro diideazione e realizzazione di un mese, si è chiusa con risultati soddi-sfacenti. Le domande di partecipazione al progetto da parte di citta-dini non comunitari sono state più di quattromila15.Molte di queste erano però in contrasto con il bando, probabilmen-te per via dell’insufficiente chiarezza del messaggio promozionale,per sua natura sintetico, o della leggerezza con la quale alcune isti-tuzioni legate al mondo dell’assistenza agli immigrati hanno dato po-co peso ai requisiti richiesti; sta di fatto che circa 2.500 domande era-no irricevibili.Il progetto KNE escludeva i rifugiati, i titolari di protezione sussidia-ria o umanitaria, i richiedenti asilo ed un numero considerevole didomande proveniva proprio da immigrati titolari del permesso disoggiorno per asilo politico.Per orientare, raccogliere e selezionare le domande di partecipazio-ne, l’IRFI, l’OIM, la Società Dante Alighieri hanno aperto un apposi-to ufficio di segreteria e due specifici help desk. Molte volte questiuffici sono diventati luoghi ad alta tensione emotiva in cui si doveva

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(15) Precisamente 4.049.

comunicare ad alcuni candidati, spesso proprio a quelli che manife-stavano condizioni di maggior disagio, esclusioni tassative. Si sonodovuti scartare candidati per il solo motivo che avevano da poco su-perato i 40 anni, consapevoli, inoltre, del fatto che si escludevano inquesto modo persone che appartenevano a quella fascia d’età, gliover 40, che denota maggiori difficoltà nel trovare lavoro. O ancoraimmigrati a cui il permesso di soggiorno era appena scaduto. Moltecandidature, per esempio, non sono state accolte perché potevanoallegare unicamente la dichiarazione di emersione di lavoro irregola-re, in nessun modo equiparabile ad un valido permesso di soggior-no. In sostanza diverse tipologie di titolo di soggiorno, decisive dif-ferenze terminologiche erano causa di esclusione e risultavano diffi-cilmente accettabili da parte di alcuni extracomunitari che si sentiva-no esclusi ingiustamente. Nella sostanza si è trattato di un lavoro dif-ficile, doloroso, si è dovuto dire di no a chi aveva bisogno d’aiuto edera animato dalle migliori intenzioni.

La selezione dei candidatiMalgrado l’alto numero di esclusioni dovute alla mancata risponden-za ai requisiti del bando, le domande rimanenti erano comunque piùdi un migliaio, ovvero un numero tre volte superiore a quello degliallievi ammissibili (335). Prima delle giornate dedicate alla selezione, tutti i candidati ammessihanno svolto un test di italiano il cui risultato doveva fornire indicazio-ni utili durante i successivi colloqui selettivi e permettere di predisporrein anticipo classi omogenee per lo svolgimento dei corsi di lingua. Nonè stato facile far capire alle centinaia di partecipanti che si trattava di untest che non avrebbe comportato l’esclusione dei meno preparati: nonserve la stessa conoscenza della nostra lingua per lavorare alla receptiondi un albergo o fare il saldatore o il pizzaiolo. Bisognava però garantirela correttezza dell’esame, evitare che i più preparati aiutassero quelli indifficoltà, spiegare bene le modalità del test. Per questo abbiamo opta-to per classi di esame con un numero limitato di partecipanti e preferi-to una turnazione che è conseguentemente durata alcuni giorni. Pur-troppo la gran parte degli ammessi si presentava con largo anticipo conlo sconforto, in qualche raro caso il fastidio, di qualche impiegato dellacamera di commercio che vedeva assediata la sua sede. Un problema è stato determinato dalla struttura dei test predispostidalla Dante Alighieri, risultata poco adatta agli allievi con un percor-so scolastico molto limitato, la cui lingua madre per di più possede-

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va grammatiche ed etimologie ben diverse da quelle romanze. Peralcuni la conoscenza dell’italiano si limitava a parole d’uso comune,a espressioni della lingua colloquiale e gergale della vita quotidiana.Pertanto, la distinzione tra congiuntivo e indicativo, pur permetten-do di differenziare gli allievi in funzione delle successive classi di for-mazione linguistica, ha rischiato di alimentare e diffondere tra i can-didati meno preparati la sensazione di discriminazione e di insicurez-za che già li invadeva in un ambiente a loro inusuale. Ma alla fine, con soddisfazione dei partecipanti, tutti sono stati ammes-si alla fase successiva, alle selezioni che i rappresentanti delle associa-zioni, con la collaborazione della Dante Alighieri e dell’OIM, dovevanoeffettuare per formare le diverse classi dei corsi professionalizzanti. A questo scopo sono stati organizzati, nell’arco di più giornate, deitavoli di selezione che, attraverso colloqui, hanno permesso di valu-tare le competenze professionali già in possesso dei candidati, le lo-ro esperienze e le loro motivazioni. I rappresentanti delle associazio-ni di categoria, i tutor e i docenti dei diversi corsi programmati do-vevano esprimere esigenze e valutazioni secondo il percorso profes-sionale a loro affidato. Al di là di una griglia valutativa (Tab. 19) chepermetteva di orientare e soppesare il giudizio con un certo grado diuniformità in base a diverse percentuali attribuite al bagaglio cultu-rale, alle condizioni sociali e alle attitudini e motivazioni dimostrate,i membri di ogni tavolo di selezione indirizzavano e motivavano leloro scelte secondo le esperienze e i criteri che giudicavano indi-spensabili per i profili professionali da loro gestiti.

Tab. 19Griglia valutativa - Criteri selettivi progetto KNE

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Dimensione VariabileCulturale 50% Interesse e motivazione verso il settore e il profilo professionale prescelto

Titolo (o livello di studio) superiore a 8 anni di formazione scolasticaAltri corsi frequentati Conoscenza della lingua italiana

Sociale 45% Esperienza professionale specifica maturata nel profilo professionale corrispondente o vicino al percorso di formazione indicatoResidua durata del permesso di soggiornoCarico familiare

Personale 5% Atteggiamento costruttivo e capacità di problem solving

Chi, in rappresentanza di strutture maggiormente orientate, pertradizione, verso l’assistenza alle persone in difficoltà, è stato na-turalmente portato ad accogliere con maggior favore le domandedei candidati che vivevano in condizioni di particolare disagio. Al-tri, in vista, per esempio, di corsi predisposti per formare lavora-tori con più spiccate capacità comunicative, come il percorso for-mativo per addetto al front-office di strutture alberghiere, hannodato maggior peso alla conoscenza delle lingue. Altri ancora, persettori particolarmente tecnici o che richiedevano una certa con-suetudine a lavorare con macchinari pericolosi, hanno dovuto ac-certarsi prevalentemente delle esperienze pregresse. Per i candi-dati al corso di “addetto alla panificazione” o di “aiuto panificato-re” contava maggiormente la disponibilità a svolgere il proprio la-voro in orari notturni; chi, invece, si era orientato verso altri per-corsi, come quello di “assistente familiare” in cui si doveva dimo-strare qualche predisposizione alla cura delle persone, doveva darprova di altre competenze o garanzie.Ma il criterio a cui tutti, indistintamente, hanno dato un’attenzio-ne di riguardo, poiché costituiva la maggiore garanzia di un per-corso seguito fino in fondo, in grado di scongiurare il pericolomaggiore di ogni progetto formativo – l’abbandono graduale – erarappresentato dalle reali possibilità di partecipazione. Per questomotivo – anche se consapevoli dell’apparente controsenso poichéla candidata testimoniava una particolare difficoltà occupazionalee poteva attestare titoli, motivazioni personali e sociali che rien-travano perfettamente tra i criteri selettivi – si è dovuta escludereuna giovane donna che confessava di non poter garantire la suapresenza non sapendo a chi affidare i suoi figli durante lo svolgi-mento dei corsi.Con queste motivazioni talvolta divergenti ma, nella maggior par-te dei casi, unite dalle finalità più concrete del progetto, i selezio-natori hanno individuato i 335 allievi, distribuendoli, allo stessotempo, nei diversi percorsi professionali previsti. Considerato ilnumero elevato di richieste di frequentare i corsi per pizzaiolo eoperaio generico del settore alimentare e la corrispondente richie-sta di aziende dei due settori, sono stati organizzati due distinticorsi per ciascuna specialità.

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I corsi di lingua italiana e di orientamento civicoPoiché i corsi di italiano e di educazione civica costituivano la primafase dello svolgimento dei percorsi formativi, sono stati i primi a faremergere alcune difficoltà legate all’organizzazione del progetto.La confusione provocata dall’alto numero di partecipanti, con la con-seguente fatica a mantenere l’ordine necessario, aveva già caratteriz-zato le fasi della ricezione delle domande e, successivamente, i gior-ni dedicati alle selezioni. In quella fase l’IRFI aveva dato la disponi-bilità della propria sede e aveva dovuto poi contare sull’impegnostraordinario della vigilanza dell’immobile per garantire la sicurezzae l’ordine in un palazzo che ospita numerosi uffici non direttamenteaperti al pubblico e che, di certo, non era abituato all’arrivo congiun-to di più di mille allievi.

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Profilo Professionale Allievi Addetto alla conduzione di mezzi meccanici 20Addetto alla muratura edile 20Addetto all’installazione e manutenzione di impianti solari (termici e fotovoltaici) 20Aiuto panificatore 15Addetto alla saldatura 15Pizzaiolo 1 15Aiuto cuoco 15Addetto acconciatore 15Addetto alla panificazione 15Addetto front office strutture ricettive extra alberghiere 15Addetto alla sala ristorante 15Addetto ai lavori di restauro 15Operaio generico di supporto al magazzino 20Operaio generico sett. alimentare 1 20Operaio generico sett. alimentare 2 20Operatore florovivaistico 20Addetto all’assistenza familiare 20Pizzaiolo 2 20Operatore di officina meccanica 20Totale 335

Tab. 20Allievi per corso di appartenenza

Per gli stessi motivi di urgenza, e quindi con la stessa difficoltà orga-nizzativa, i due corsi preliminari sono cominciati lo stesso giorno ehanno poi proceduto di pari passo. Il test predisposto dalla Società Dante Alighieri prima dei colloqui diselezione aveva permesso di formare 13 classi sufficientemente omo-genee per garantire lo svolgimento delle lezioni senza che eccessivedifferenze di livello ostacolassero l’apprendimento. Ma le classi han-no dovuto essere riordinate non appena alcuni docenti si sono resiconto che alcuni allievi non rispecchiavano il punteggio ottenuto. So-no emersi infatti alcuni casi di semianalfabetismo, sfuggiti abilmenteai test ed ai colloqui. La Dante Alighieri ha dovuto modificare la com-posizione di alcune classi e arricchire la tipologia dei suoi program-mi, dimostrando peraltro una competenza straordinaria. Sul piano generale, gli allievi hanno espresso un grande apprezza-mento per la formazione linguistica, con i condivisibili limiti sopraaccennati, dimostrando di condividere il criterio che vede nella co-noscenza dell’italiano un fattore prioritario dell’integrazione sociale.Un’importanza sancita dalla previsione normativa che ha introdottola certificazione del livello di italiano per ottenere la carta di soggior-no e confermata dalle stime che ipotizzano un bacino di utenza deipotenziali studenti di italiano per stranieri a Roma di circa 30.000 per-sone. E la tipologia di candidati di un progetto di formazione profes-sionale come KNE non appartiene alla categoria di utenti che fre-quentano corsi di italiano per stranieri, i quali, come indicano le in-dagini della Rete Scuolemigranti16, possiedono nella maggior partedei casi almeno il diploma o la laurea. Per allievi con scolarità piùbasse, la possibilità di seguire un corso di italiano attraverso la par-tecipazione a percorsi formativi professionalizzanti diventa un’op-portunità unica. Inoltre, il corso d’italiano della Dante Alighieri per-metteva agli allievi di sostenere un test finale che certificava il livel-lo raggiunto. Il 75% dei corsisti ha passato la prova o ha ottenutol’idoneità in 3 delle 4 abilità richieste (saper ascoltare, parlare, legge-re e scrivere). Agli altri è stata offerta la possibilità di non perdere ipunteggi acquisiti ripresentandosi, dopo la fine dei percorsi formati-vi e senza spese, unicamente alla prova che non avevano superato. Ma se il miglioramento delle competenze linguistiche appare senzadubbio come una conseguenza diretta di un maggior numero di ore

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(16) Cfr. http://retescuolemigranti.wordpress.com.

d’insegnamento, una maggiore durata non rappresenta l’unica solu-zione percorribile in progetti come KNE, orientati prevalentementeverso l’integrazione lavorativa degli allievi. La specializzazione di al-cuni settori professionali comporta anche la necessità di conoscerelessici specifici, modi di dire precipui del loro campo di applicazio-ne. Vocaboli tecnici e settoriali che caratterizzano il mestiere, gerghiche contribuiscono a consolidare i legami tra lavoratori e a formarel’identità professionale. In questo senso, la struttura dei corsi erogatidalla Dante Alighieri prevedeva, dopo due moduli se vogliamo clas-sici perché impostati sull’insegnamento dei fondamenti grammaticalie sintattici, con lo scopo di consolidare le competenze dei livelli A1e A2 che gli allievi avrebbero dovuto avere all’inizio dei corsi, un ter-zo e ultimo modulo prevalentemente orientato verso l’approfondi-mento delle competenze linguistiche in chiave settoriale e professio-nale, modellate in funzione dell’ambiente di lavoro in cui ogni sin-golo corsista avrebbe operato. È ovvio che queste specifiche compe-tenze si affinano col tempo e con la partecipazione continua all’am-biente lavorativo e un progetto formativo non può sostituirsi all’espe-rienza diretta sul campo. Ciò nonostante, sarebbe utile e soprattuttopossibile, vista la natura stessa di progetti che conciliano apprendi-mento linguistico e formazione professionale, superare l’approccioche vede nel pieno possesso della lingua una condizione prelimina-re per accedere a successive formazioni professionali. Un approccioche relega l’insegnamento della lingua a una fase iniziale e che nontiene conto delle potenzialità di crescita che gli allievi possono rea-lizzare, sia nell’apprendimento della lingua che in quello della pro-fessione, se gli insegnamenti procedono di pari passo. Perciò, un in-treccio tra approfondimento delle competenze linguistiche, forma-zione professionale ed esperienza on the job permetterebbe di anco-rare l’apprendimento dell’italiano ad un contesto lavorativo definito,dando il giusto peso agli elementi delle microlingue professionali.“Passami lo sgommarello che sta nel tiretto”. Se è prevedibile chemolti allievi italiani di un corso d’aiuto cuoco non avrebbero celer-mente consegnato il mestolo allo chef, è tanto più probabile chefraintendimenti, incomprensioni e rallentamenti improduttivi ostaco-lino allievi immigrati, nella maggior parte dei casi scarsamente inte-grati anche nella “vita” colloquiale, gergale o dialettale del territorio.Affinché uno “sgommarello” non diventi uno “gnommero” inestrica-bile, come avrebbe esclamato il don Ciccio di Gadda di fronte al ri-schio di un tal pasticciaccio, si debbono organizzare corsi di lingua

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che contemplino terminologia e modi di dire specifici dei diversi me-stieri e che si sviluppino anche durante i corsi professionali e gli sta-ge in azienda.In concomitanza con le lezioni di lingua italiana, i corsi predispostidall’OIM intendevano permettere ai cittadini extracomunitari di ac-quisire i punti di riferimento necessari per una coesistenza civile inun sistema diverso da quello di origine. Si voleva consentire attraver-so la discussione attorno a tematiche in cui si riflette il sistema deivalori condiviso dai paesi dell’Unione Europea di ottenere un’auto-nomia di giudizio e di scelta, di aprirsi al confronto con altre conce-zioni del mondo, altri valori, tutti processi di apertura determinantiper essere accolti con fiducia e rispetto nel mondo lavorativo.Come la Dante Alighieri per il corso d’italiano, l’OIM ha anch’essasuddiviso il proprio percorso formativo di Educazione alla Cittadi-nanza in tre moduli, per un totale di 40 ore, secondo le tre temati-che generali da sviluppare durante il corso:

• un primo modulo sui luoghi della convivenza democratica nel-l’intento di sviluppare la conoscenza e la comprensione dellastruttura dell’ordinamento dello Stato italiano, del suo funzio-namento e della sua articolazione territoriale;

• un secondo modulo sul tema dei diritti attraverso la descrizio-ne e la spiegazione delle principali legislazioni sui diritti uma-ni, sulla tutela dei minori, sulle pari opportunità e sulla disci-plina dell’immigrazione;

• un terzo modulo sulla legislazione in materia di lavoro conun’attenzione particolare nei riguardi delle misure di tutela del-la sicurezza dei lavoratori.

Anche in questa fase del percorso si è dovuto lavorare per riorienta-re alcuni strumenti quando ci si è resi conto che si erano sopravva-lutate le competenze linguistiche di alcuni partecipanti, le capacità dicomprensione di alcuni allievi. Si era predisposto un manuale conte-nente una sintesi delle nozioni spiegate in aula, una sorta di vade-mecum che, nell’intenzione degli organizzatori, avrebbe potuto ac-compagnare i corsisti durante tutto il loro percorso formativo. Lo siè dovuto riscrivere usando sintassi e vocaboli più elementari. Va sottolineato che questo genere di problemi è sorto sia perché siricercavano in alcuni casi figure professionali di difficile reperibilità,i saldatori per esempio, e le esperienze pregresse erano state ritenu-

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te più importanti del livello culturale, sia perché qualche seleziona-tore non sempre è riuscito a ignorare le richieste di chi magari ave-va trovato alloggio sotto i ponti. Ma in un progetto complesso la bra-vura sta nel saper riorientare attività in corso d’opera, succede quasisempre, e mantenersi più sull’obiettivo che sulla teoria. Affrontando tematiche che mettono in gioco principi e valori fonda-mentali di ciascuno di noi e che orientano pensieri, fedi, ideologie,il corso ha sollevato accesi dibattiti, con tratti a volte polemici ma chesi sono trasformati il più delle volte in approfondimenti e punti d’in-contro importanti. In questo senso, per molte cittadine immigrate ilcorso di orientamento civico è stato un momento che ha permessoloro di scoprire nuovi punti di vista e prospettive, diritti insospettatie opportunità che, altrimenti, avrebbero avuto difficoltà ad affronta-re in altri ambienti. Alcuni confronti hanno messo alla prova le ca-pacità di mediazione dei docenti e dei tutor: si è dovuto vigilare, so-prattutto all’inizio, per evitare che il proficuo confronto di idee po-tesse scadere, non nel confronto tra docenti e allievi quanto nel dia-logo difficile tra corsisti di nazionalità diverse (Tab. 21) provenientia volte da paesi tra loro in conflitto.Altre tematiche fornivano informazioni che destavano l’attenzione ditutti gli allievi poiché li riguardavano nella loro condizione di citta-dini che scoprivano l’esistenza di servizi insospettati (numerosi allie-vi hanno avuto difficoltà a comprendere la funzione e l’esistenza delServizio Sanitario Nazionale) o di lavoratori particolarmente coinvol-ti nel rischio della precarietà del lavoro irregolare, privo di diritti e disicurezza. I dati forniti dall’Inail17 sottolineano l’aumento, in controtendenzarispetto a quel che avviene per i lavoratori italiani, degli infortunisul lavoro di cittadini stranieri; nel 2008, gli infortuni dei nati al-l’estero residenti nel Lazio sono stati 5.594 (nel 2007, 5.170), di cui18 mortali (19 nel 2007), con un’incidenza del 9,7% sulle denun-ce complessive; 44 casi di infortuni sul lavoro ogni 1.000 cittadininati all’estero rispetto a 39 casi ogni 1.000 nati in Italia. Questoaumento, che contrasta con l’andamento generale, alla stregua ditutti i dati che evidenziavano differenze tra lavoratori italiani e la-voratori immigrati, accentuava il desiderio di conoscere legislazio-ni e diritti.

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(17) Inail, “Rapporto annuale” 2008. Analisi dell’andamento infortunistico.

I corsi professionali e gli stage on the jobDopo i due corsi di italiano e di orientamento civico, consideratiquindi come una sorta di necessaria premessa al proseguimento delpercorso formativo, è iniziata la fase dei 19 corsi professionali. Si è trattato di corsi teorico-pratici concepiti come fasi propedeuticheai successivi stage in azienda. Non è possibile rendere conto dellesingole specificità dei 19 corsi professionali (Tab. 20), ognuno con leproprie tematiche e le proprie particolarità tecniche. Per tutti però,proprio con la finalità di uno stretto legame con il successivo tiroci-nio, si è continuamente cercato un equilibrio tra teoria e pratica: unaprima parte è stata dedicata a un inquadramento generale in cui gliargomenti trattati miravano a sviluppare le conoscenze tecniche rela-tive ai diversi mestieri (dalla composizione dei diversi impasti per laproduzione della pizza alle caratteristiche specifiche di manutenzio-ne o installazione di impianti fotovoltaici) nonché ad insegnare me-todologie e modalità di lavorazione a seconda dell’indirizzo del cor-so. Si è prestata un’attenzione particolare alle disposizioni legislativeriguardanti i vari settori professionali, approfondendo le specifichenormative inerenti la sicurezza e trattando quelle relative all’igiene.In seguito, le lezioni si sono gradualmente ancorate agli aspetti piùpratici di ogni professione. Attraverso simulazioni delle condizionireali di lavoro, i corsisti hanno potuto mettere in pratica le nozioniapprese, verificando così le loro capacità nella diagnosi e nella riso-luzione dei problemi, nell’elaborazione delle informazioni, nella pre-sa di decisioni. A titolo d’esempio il corso per saldatori ha realizzatocome capo d’opera una grande inferriata per chiudere in sicurezza ilmagazzino delle loro attrezzature, fornai e pizzaioli hanno provvedu-to con larghezza e più volte ai fabbisogni di carboidrati del persona-le coinvolto nell’intero progetto.È in questa fase in cui si sono affrontate per la prima volta tematichee capacità più prettamente professionali che è emerso il problema ri-guardante la portata dei diversi corsi. Una parte degli allievi chiede-va di poter ottenere un bagaglio di nozioni e di competenze supe-riori che gli avrebbe permesso di operare successivamente con auto-nomia. Non è stato facile, a volte, trovare un punto d’incontro tra leaspettative dei corsisti e la necessità di sviluppare insegnamenti dibase, vincolati come si era dalla durata del corso. Se prendiamol’esempio del percorso formativo di “acconciatore”, un corso di 170ore non può essere impostato come il corso abilitante che richiedein Italia la partecipazione ad una formazione di 2 anni. Anche per al-

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lievi con un bagaglio di esperienze lavorative svolte nel paese d’ori-gine non sempre conciliabili con le metodologie seguite in Italia. Ilcorso di addetto ai lavori di restauro o si innesta su esperienze pre-gresse oppure introduce al lavoro della bottega.Per alcuni corsisti la delusione era suscitata dal divario tra effettivecompetenze che sentivano di possedere e obiettivi inferiori fissati dalcorso, per altri, al contrario, il livello degli insegnamenti, anche acausa delle difficoltà comunicative, era di gran lunga superiore alleloro capacità iniziali.L’eterogeneità delle competenze degli allievi, sommata a quella deicorsi stessi, ha perciò richiesto, anche in questa fase, accorgimentiparticolari. Tutor e docenti hanno spesso dovuto rimodulare l’orga-nizzazione e i contenuti didattici: per alcuni allievi che potevano van-tare esperienze lavorative nel settore, molte nozioni erano solo daapprofondire, per altri, totalmente privi di un trascorso lavorativo, ar-mati solo di grandi motivazioni, è stato invece necessario dedicaremolto tempo a colmare le lacune. Ma nell’insieme i corsisti hannopartecipato molto attivamente alle lezioni, l’impegno profuso era ul-teriormente stimolato dalla fase di esperienza on the job che avreb-bero svolto immediatamente dopo le lezioni in aula, ed alla fine iltasso di abbandono è stato inferiore al 10%.I tirocini in azienda rappresentavano prima di tutto un momento diverifica delle capacità acquisite durante le fasi precedenti del percor-so formativo, in particolare delle nozioni apprese nei corsi professio-nali. Ma l’immergersi appieno nell’ambiente lavorativo offriva oppor-tunità più estese: la pratica del mestiere richiede e mette in gioconon solo il sapere acquisito ma la capacità di trasformarlo nel fareconcreto. Diversamente da quel che accade nelle lezioni in aula, l’ac-cento è posto sul “saper fare”. Un “saper fare” non fissato a priori,ma da “tarare” continuamente sulle esigenze del contesto e che si tra-sforma gradualmente in “saper essere”. È attraverso il lavoro svoltoin azienda che l’allievo scopre realmente le specificità del proprioruolo, che affronta gli ostacoli non previsti, che impara ad adattarsialle necessità dell’impresa. L’osservazione diretta delle attività dasvolgere e l’affiancamento di lavoratori più esperti gli consentono diapprendere norme comportamentali, attitudini, reazioni che, pur es-sendo elementi fondamentali della propria mansione e quindi dellasua produttività, il lavoratore applica senza esprimerle verbalmente.Proprio perché i destinatari del progetto KNE denotavano particola-ri difficoltà di comunicazione, di inserimento in contesti lavorativi

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non conosciuti, il periodo di tirocinio offriva possibilità di colmaredistanze più difficilmente sormontabili per un lavoratore straniero.Non solo, quindi, momento di verifica e bilancio delle conoscenzeapprese ma opportunità di conoscere sul campo, senza filtri, ambien-te lavorativo, dipendenti, organizzazione e gerarchie. La fase on the job è stata anche il momento più appropriato per ren-dere più sfumata la distanza tra insegnante e allievo. Il tutor, più checome superiore o docente che insegna, indirizza e controlla, è sentitocome una sorta di “trainer” che esplicita attraverso il proprio compor-tamento competenze oramai interiorizzate e che, di riflesso, permetteall’allievo di esprimere e far valere le proprie competenze “tacite”. Permigliorare le capacità relazionali si è cercato di insistere, attraverso itutor, sulla valorizzazione delle motivazioni nascoste, dell’empatia, del-la predisposizione al lavoro di gruppo. Una valorizzazione per consen-tire agli allievi di rafforzare l’immagine di sé, spesso svilita dalle con-dizioni di disagio in cui molti di loro vivevano, e consolidare al con-tempo un’identità professionale molto raramente definita a causa del-l’intrappolamento in lavori saltuari, irregolari e comunque sproporzio-nati rispetto alle loro potenzialità inespresse.L’effetto pragmatico degli stage è stato uno stimolo motivazionale fon-damentale che le aziende coinvolte nel progetto hanno poi potuto ri-scontrare nell’impegno che ha caratterizzato l’insieme degli allievi. Èanche vero che all’incremento delle motivazioni ha talvolta corrispo-sto l’accentuarsi della delusione: pensiamo ad esempio ad alcuni al-lievi del corso “addetto alla conduzione di mezzi meccanici” che si so-no ritrovati in aziende che hanno giudicato i corsi preliminari toppobrevi, insufficienti, e non hanno consentito di far esperienza sul cam-po. Sicuramente le aziende non potevano correre il rischio di danneg-giare apparecchiature frutto di ingenti investimenti o di mettere a re-pentaglio la sicurezza di allievi e personale. È vero che, come si è giàsottolineato a più riprese, la struttura dei percorsi formativi intendevafornire ai corsisti una preparazione di base e non vere e proprie spe-cializzazioni, è anche vero che la crisi del settore costruzioni ha resodifficile trovare imprese disposte ad accogliere gli stagisti, ma in futu-ro bisognerà pensare a percorsi formativi che garantiscano un livellodi uscita più solido. Si tratterà di stabilire un giusto rapporto tra tem-pi del progetto, competenze pregresse e formazione possibile. Biso-gnerà anche curare meglio l’individuazione delle aziende per il trai-ning on the job. Per alcuni allievi esperti cui non è stato consentito dimettere effettivamente alla prova le loro capacità professionali, lo sta-

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ge è stato vissuto come una sorta di regresso nel loro percorso. Lastessa sensazione di ritorno indietro provata, per motivazioni oppo-ste, da chi si è reso conto sul campo dell’insufficienza delle conoscen-ze acquisite nelle lezioni in aula e della necessità di dover affrontareun lungo apprendistato. Un allievo ci manifestava di aver scoperto inaula gli aspetti più complessi del restauro, la sua storia, l’analisi dellesue tecniche minuziose, e di avere la certezza di dover affrontare unpercorso difficile nel reale contesto lavorativo, nel suo caso, sostene-va, perfino la dicitura di “addetto” rischiava di essere una sopravvalu-tazione del risultato della formazione.Insomma in alcuni casi, quel che era stato sentito come un trampo-lino di lancio nel mondo effettivo del lavoro si era tramutato in fru-strazione. Ma al di là delle correzioni che questi esempi costringo-no a prendere in considerazione in fase di bilancio e per attività fu-ture, soprattutto nella selezione di profili professionali più omoge-nei, individuazione di obiettivi da raggiungere, quantità di ore dapredisporre, gli stage on the job, precipitato non solo simbolico del-le diverse fasi del progetto formativo KNE, hanno contribuito inmodo significativo alla riuscita dell’iniziativa rispetto al suo obietti-vo primario: facilitare l’occupabilità e l’integrazione lavorativa dicittadini di Paesi Terzi. Il numero finale esiguo di abbandoni18 (inferiore al 10%) evidenzia ilriconoscimento da parte degli allievi dell’utilità di percorsi formatividestinati specificatamente a cittadini extracomunitari che, in quanto ta-li, hanno particolari difficoltà ad integrarsi nella vita sociale e lavorati-va del paese che li accoglie. Cittadini che hanno difficoltà comunica-tive e quindi non in grado di sfruttare canali formali di ricerca di lavo-ro, che finiscono per essere destinati a lavori saltuari e irregolari. L’al-ta frequenza ai corsi predisposti dal progetto KNE ha confermato lanecessità di mettere in atto iniziative che, attraverso percorsi professio-nalizzanti, coinvolgano maggiormente una parte della popolazione,come quella immigrata, creino un legame tra la domanda di compe-tenze delle imprese ed un’offerta di cui va potenziata la qualità. Bisogna aggiungere che ad oggi circa cento allievi19 hanno avuto pro-lungato lo stage o hanno ottenuto un contratto di lavoro. Dal puntodi vista dell’occupabilità, nonostante gli elementi inediti del progetto

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(18) 32 allievi sui 335 iniziali.(19) 97 allievi per l’esattezza al 15 settembre 2010.

e i limiti e ostacoli con cui si è dovuto confrontare, non si può nonsottolineare come per più del 27% degli allievi il percorso formativosi è tramutato in occupazione, una percentuale che supera il 30% sela si calcola sulla base dei soli corsisti che hanno portato a terminel’intero percorso. Un’occupazione per lo più a tempo determinato odi ulteriore tirocinio formativo che finisce col confermare la necessi-tà di formazione continua.Abbiamo fin qui privilegiato un’esposizione che riflettesse l’anda-mento delle diverse tappe che si sono susseguite nella realizzazionedel progetto KNE. Una sorta di cronistoria breve che ha permesso didar conto dell’organizzazione, di giustificare le scelte dei contenutididattici, di richiamare gli obiettivi, di descrivere sinteticamente nelsuo stesso svolgersi l’intero percorso che 303 cittadini immigrati, dal-la selezione iniziale fino alla conclusione degli stage in azienda, han-no portato a termine. Un percorso che ha ottenuto risultati soddisfa-centi e facilmente misurabili: esperienze effettive, attestati, certifica-zioni di competenze linguistiche e posti di lavoro. Risultati che sipossono osservare e analizzare consultando i dati, i rapporti, le va-lutazioni, calcolando percentuali e stilando graduatorie. Abbiamo an-che messo in evidenza errori e problemi che non siamo riusciti a ri-solvere, almeno quelli di cui ci siamo resi conto.Più arduo, invece, il rappresentare l’atmosfera generale: la fretta con-tinua, i costanti problemi di comunicazione, i rischi da evitare, gli im-provvisi ostacoli da affrontare e superare, ma anche le aspettative de-gli allievi, le loro richieste, il loro impegno, i loro disagi. Aspetti a cuisi è accennato nella descrizione stessa della storia del progetto mache vogliamo adesso richiamare brevemente nella convinzione chepossano, oltre ai dati, fondamentali ma neutri, fornire piccoli spuntidi riflessione conclusivi.Il bando forniva requisiti chiari che puntavano, sulla base delle indica-zioni espresse dal Fondo Europeo per l’Integrazione, a coinvolgere inpercorsi professionalizzanti cittadini di Paesi Terzi che avessero partico-lari difficoltà occupazionali. Una difficoltà nel trovare lavoro che moltospesso si rifletteva in condizioni di disagio generale. Numerosi allieviavevano condizioni abitative precarie. Un corsista che aveva perso l’al-loggio è stato costretto a dormire per alcuni giorni in macchina sotto lasede dei corsi20. Altri condividevano camere anguste e provvisorie. Resi-

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(20) Fino a quando non siamo riusciti a trovargli una soluzione dignitosa.

denze temporanee che cambiavano continuamente. Chi per i titoli distudio posseduti, chi per le condizioni sociali in cui viveva, chi altro an-cora per la sua forte motivazione, ognuno dei candidati selezionati pre-sentava caratteristiche ed esigenze diverse che bisognava ascoltare e acui si doveva rispondere con prontezza.Il disagio economico di molti immigrati era stato alla base delle riflessio-ni strategiche su cui era impostato il progetto. Ogni corsista riceveva uncompenso mensile di 450 euro (più i ticket). Per alcuni allievi questa re-tribuzione rappresentava l’unico interesse della propria partecipazione,l’improvvisa opportunità di trovare un sostentamento per alcuni mesi.Questo unico obiettivo ha fatto sì che la concentrazione di alcuni fossepiù mirata al dimostrare la propria presenza che all’apprendimento diuna professione. Viceversa, il compenso non sempre è bastato a impe-dire che le necessità di sussistenza forzassero alcuni allievi ad accettarealtri lavori, irregolari, mettendo a repentaglio la loro partecipazione allelezioni. Lavori notturni non apertamente dichiarati ma facilmente leggi-bili nelle palpebre chiuse che i docenti rimarcavano nelle prime ore del-le lezioni mattutine o nelle ultime pomeridiane. È proprio l’impossibili-tà di rifiutare offerte di lavoro, anche precarie e sottopagate, la ragionedella maggior parte degli abbandoni che si son dovuti registrare nel cor-so del progetto. Per garantire una presenza continua, la remunerazioneera collegata all’effettiva partecipazione, il che significava effettuare i pa-gamenti solo dopo aver controllato attentamente i registri delle presen-ze. Queste lungaggini, accresciute anche da micidiali problemi di omo-nimia tra allievi del Bangladesh, dagli errori derivanti da nomi simili edi difficile lettura che hanno più volte messo in crisi gli impiegati dellabanca incaricata di predisporre i pagamenti, hanno provocato lamente-le garbate degli allievi, imbarazzo, sensi di colpa attenuati dal lavorareanche nei giorni di festa per fronteggiare il rischio che ostacoli burocra-tici danneggiassero allievi per i quali la sussistenza economica rappre-sentava, di fatto, il pensiero dominante e pregiudicassero la loro parte-cipazione al progetto.La sovrapposizione dei corsi d’italiano e di educazione alla cittadi-nanza, necessità causata dai tempi serrati, e il loro svolgimento in se-di diverse costringevano gli allievi a spostarsi in una città come Ro-ma, in luoghi non sempre conosciuti, seppure prescelti perché bencollegati da bus e metro. I cambiamenti di tragitto, implicati dal nu-mero di corsi professionali predisposti, dal diverso luogo in cui ognicorsista ha svolto il proprio stage in azienda, dal cambio frequente diresidenza da parte di alcuni allievi, hanno comportato ritardi e diffi-

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coltà poiché bisognava continuamente differenziare, quasi caso percaso, gli abbonamenti ai trasporti locali. Abbonamenti che non sem-pre hanno potuto ovviare alle difficoltà causate da orari notturni oda dislocazioni di aziende più difficili da raggiungere. Pensiamo aicorsisti che hanno affiancato i fornai nella produzione del pane aiquali si è dovuto offrire, senza che fosse stato inizialmente previsto,un trasporto personalizzato che potesse, in piena notte o all’alba, ga-rantirgli il ritorno a casa.I candidati appartenevano a 41 nazionalità diverse, e quindi a diffe-renti etnie, culture e fedi che andavano accolte e rispettate.

Tab. 21Allievi distribuiti per nazionalità*

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Nazionalità Frequenze PercentualeAfghanistan 1 0,31%Albania 2 0,63%Algeria 1 0,31%Argentina 1 0,31%Bangladesh 127 39,81%Benin 1 0,31%Bolivia 7 2,19%Brasile 6 1,88%Camerun 7 2,19%Cile 2 0,63%Colombia 6 1,88%Congo 4 1,25%Cuba 5 1,57%Ecuador 10 3,13%Egitto 7 2,19%Etiopia 8 2,51%Filippine 3 0,94%Ghana 2 0,63%Guatemala 2 0,63%Honduras 1 0,31%India 3 0,94%Jugoslavia 1 0,31%Kirghizistan 1 0,31%Libia 1 0,31%

Si sono dovute, ad esempio, trovare soluzioni per garantire, in sedinon sempre adeguate, le esigenze dettate dai tempi e dagli spazi ne-cessari alle preghiere. Proprio la diversità di etnie e quindi spesso didiverse convinzioni e tradizioni è stata, come si è già ricordato, fontedi vivaci confronti che hanno richiesto fermezza e pazienza. La com-pattezza dei gruppi che si son naturalmente formati, all’inizio di ognicorso, sulla base delle diverse nazionalità e culture si è via via affievo-lita grazie ai dibattiti suscitati dalle tematiche svolte nei corsi di orien-tamento civico e più prosaicamente dal rimescolamento provocato dai19 corsi professionalizzanti. E con l’avanzare del progetto l’attenzionesi è spostata sugli aspetti maggiormente legati all’esperienza dei corsi,creando nuove condivisioni e solidarietà: le conflittualità tra pizzaiolie saldatori erano molto più divertenti e facilmente gestibili. Non si pos-sono non ricordare la partecipazione di tutti al decesso improvviso diun allievo, la decisione unanime di raccogliere fondi per venire in aiu-to alla famiglia, l’inserimento al suo posto del fratello, rimasto esclusonelle selezioni.

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Nazionalità Frequenze PercentualeMadagascar 3 0,94%Marocco 17 5,33%Moldavia 4 1,25%Nepal 2 0,63%Nigeria 2 0,63%Pakistan 2 0,63%Perù 41 12,85%Russia 1 0,31%Senegal 6 1,88%Sudan 3 0,94%Togo 2 0,63%Tunisia 8 2,51%Turchia 3 0,94%Ucraina 13 4,08%Uganda 1 0,31%Venezuela 1 0,31%Yemen 1 0,31%TOTALE 319 100,00%

(*) I dati prendono in considerazione i 319 allievi presenti negli elenchi ufficiali del 01/04/2010.

Abbiamo già ricordato i casi di allievi pressoché analfabeti che hannocostretto la Dante Alighieri a rivedere programmi e modalità didatti-che. Ma, al di là dei casi più complessi, la scarsa conoscenza dell’ita-liano ha continuamente aggravato malintesi ed equivoci provocandoritardi e disguidi organizzativi. Non sono bastate raccomandazioni ora-li e foglietti in cui erano indicate scadenze e appuntamenti per evita-re fraintendimenti. Le più semplici informazioni richiedevano lunghee ripetute spiegazioni. Alcuni candidati, pur categoricamente esclusi ea cui si erano dati prolungati chiarimenti, hanno comunque partecipa-to alla confusione dei primi giorni di lezione lamentando la loro as-senza dalle liste.I problemi comunicativi dovuti ad una conoscenza molto approssima-tiva della lingua hanno messo in risalto la necessità che alcuni aspettidel progetto fossero più chiari. Abbiamo già sottolineato la confusio-ne creata dalle diverse mansioni designate dai termini “addetto” e “aiu-to” nelle definizioni dei profili professionali da formare. Quelle che peri madrelingua italiani appaiono sfumature espresse con evidenza daivocaboli scelti non sono state sufficientemente spiegate a cittadini diorigini linguistiche diverse.Ma l’insufficiente chiarezza non è ascrivibile unicamente alle parti or-ganizzatrici: spesso gli iter amministrativi sono stati ostacolati dalla dif-ficile reperibilità degli allievi. Molti documenti spediti (buste paga, at-testati, CUD) sono tornati al mittente.Paradossalmente, i rischi di confusioni e malintesi si annidavano an-che nelle condizioni “collaterali” studiate appositamente per garantiremassimi parametri di civiltà ed equità. In questo senso, la stessa ca-denza dei rimborsi spesa, giustificata da iter bancari e dalla necessità,poiché il calcolo della diaria era collegato alla reale partecipazione aicorsi, di effettuare il pagamento dopo la fine di ogni mese, non è sta-ta indicata in modo esplicito all’inizio del percorso e ha finito per mo-nopolizzare l’attenzione dei corsisti più bisognosi.Disguidi e malintesi, provocati da difficoltà comunicative a cui nonhanno sempre risposto adeguate spiegazioni, che permettono di riflet-tere sullo sforzo indispensabile di mediazione culturale richiesto peroperare nel contesto dell’integrazione. Alcune organizzazioni, favorite dalla loro consuetudine ad assistere cit-tadini immigrati, si sono naturalmente avvalse di docenti e tutor appo-sitamente formati al dialogo multilinguistico e multiculturale. Altreaziende o associazioni di categoria hanno brillantemente improvvisa-to. In entrambi i casi le maggiori criticità si sono via via stemperate,

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corsi e stage si sono svolti in un clima fattivo. Considerare come indi-spensabile la presenza di mediatori culturali durante tutto il percorsoformativo, in grado di assistere i partecipanti con maggiori difficoltàanche dal punto di vista prettamente linguistico, permetterebbe peròdi indebolire le barriere emotive. Come si è evidenziato nella descri-zione di tutte le fasi del progetto, una formazione professionale desti-nata a cittadini immigrati in condizione di disagio non può non trasfor-marsi anche in formazione psico-sociale, continuamente costretta aconciliare conoscenze ed emozioni, disponibilità ad apprendere e di-fese o diffidenze psicologiche.All’eterogeneità di nazionalità e culture si è aggiunta la diversità dellecompetenze iniziali dei singoli allievi. Contrariamente a corsi di forma-zione destinati a categorie definite in base alla posizione lavorativa, al-la collocazione gerarchica o funzionale nella vita professionale, o, co-munque, alle competenze pregresse in un determinato settore, cherendono i beneficiari relativamente omogenei, KNE poggiava su requi-siti meno legati alle professioni da formare e più ancorati alla condi-zione sociale dei candidati. Questi vincoli hanno causato disparità che,come si è visto, si sono riverberate sia nei corsi preliminari che neglistage in azienda. Pur mantenendo la finalità prioritaria d’inclusione so-ciale di cittadini immigrati alla base degli interventi del Fondo Euro-peo per l’Integrazione, è opportuno stabilire ulteriori criteri selettiviche permettano di formare una rosa di candidati con titoli di studio ocompetenze lavorative più omogenei. Non è un compito facile in uncontesto delineato da parametri così vasti: l’iscrizione all’università dialcuni partecipanti, che poteva esser letta come garanzia di una solidamotivazione, è diventata in alcuni casi la ragione di una scelta soffer-ta che ha portato all’abbandono del percorso formativo.L’esperienza del progetto consente tuttavia di rilevare l’importanza checriteri selettivi definiti, che frenano il libero arbitrio del singolo selezio-natore, lascino poi spazio durante corsi e stage ad una più ampia fles-sibilità. In questo senso, bisogna sottolineare l’efficacia di alcune scel-te che si sono effettuate durante lo svolgimento stesso dei percorsi for-mativi: dalla ristampa ottimizzata di manuali eccessivamente tecnici al-la riorganizzazione in itinere di moduli didattici più funzionali, fino al-la continua collaborazione di tutti i partner nel valutare passo dopopasso l’opportunità di modificare orientamenti e punti di vista.La partnership fruttuosa tra istituzioni, associazioni imprenditoriali, or-ganizzazioni per l’assistenza a cittadini immigrati, rappresenta infattiuno degli elementi di maggior successo dell’intero progetto, senza la

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quale i numerosi ostacoli che sono emersi non avrebbero trovato so-luzioni adeguate. Un notevole entusiasmo, dopo le diffidenze iniziali e le diverse diffi-coltà che si sono incontrate, ha finito col contagiare la maggior partedegli allievi. Le scadenze da rispettare, con orari sia mattutini che po-meridiani, hanno implicato una sorta di convivenza quotidiana che hapermesso di stringere relazioni non solo tra docenti, datori di lavoro eallievi – realizzando così uno degli obiettivi primari della formazione– ma anche tra corsisti. I raggruppamenti etnici difficilmente permea-bili che si sono formati all’inizio dei corsi si sono via via incrinati a van-taggio di quelli professionali. Durante i corsi o gli stage in azienda icorsisti hanno partecipato alla vita quotidiana delle strutture che liospitavano, offrendo il loro contributo allo svolgimento delle diverseattività. Chi, in quanto allievo del corso di addetto alla saldatura, hacontribuito a riparare o costruire inferriate e cancelli; altri, come le al-lieve del corso di acconciatore, si sono offerte di mettere in piega lecapigliature di dipendenti e “colleghe”, mostrando alle incaute che erapossibile unire tradizioni di altri paesi e tecniche più moderne; delleperformances dei corsisti pizzaioli, cuochi, fornai abbiamo già accen-nato. E le feste di chiusura sono state momenti di partecipazione du-rante i quali gli allievi hanno voluto dimostrare la loro soddisfazioneattraverso esibizioni, danze, sfilate o doni in cui si mescolavano cono-scenze acquisite durante la formazione e tradizioni e culture dei loropaesi d’origine. Come a voler testimoniare, a chiusura dell’intero pro-getto, che l’apprendimento e l’integrazione non implicano l’abbando-no forzato delle proprie origini ma rappresentano piuttosto un circui-to doppio di apertura reciproca. Un lungo viaggio in cui la formazio-ne costituisce una tappa possibile verso una migliore integrazione inItalia o verso un ritorno in patria con bagagli meno fragili.

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KNE PER IMMAGINI

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Terza classificata a “All’uscita dal lavoro”, concorso fotografico nazionale indetto da “L’Europeo” - RCS Periodici S.p.A.

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PARTE SECONDA

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I fattori di successo di un progetto di formazione finanziata

Nel capitolo precedente abbiamo descritto e analizzato un proget-to formativo, assai specifico per contenuti e partecipanti, qui oravogliamo parlare delle problematiche di carattere generale ine-

renti alla progettazione e realizzazione di un’attività formativa finanziatacon fondi pubblici. Parleremo della forma, dei problemi che si incontra-no a fare questo lavoro, dei punti fermi di cui bisogna tenere conto. Inqueste riflessioni non si prende in esame la formazione che un privato,un’azienda, affida ad un’impresa di formazione pagando di tasca pro-pria; qui ci interessano le iniziative che vengono finanziate da risorsepubbliche e le condizioni che possono determinarne il successo. L’argomento a noi sembra rilevante considerato che la formazione, chesia obbligatoria, professionale, pubblica, privata, è giudicata nel nostropaese in buona misura insoddisfacente, pur beneficiando di fondi an-nuali, comunitari, nazionali, interprofessionali, a nove zeri. La qualità deiprodotti è troppo spesso scadente. Vi è un universo di piccole imprese dove la formazione, se si escludo-no i corsi sulla sicurezza, è pochissimo praticata21; le statistiche relativealle attività formative svolte all’interno di questo comparto economico,così numeroso ed importante per la nostra economia, sono sconfortan-ti se confrontate con quelle dei paesi europei più sviluppati22. I giovanialla ricerca di una migliore qualificazione sono numerosi, e troppo spes-so si sperdono in attività formative di utilità modesta.

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(21) La domanda di buona formazione da parte delle pmi è stata rilevata in tutte le ricerche annua-li Ermeneia-IRFI: “Microimpresa e sviluppo urbano”, Milano, Franco Angeli, 2005-2006-2007.

(22) In Europa il 60% delle imprese fa formazione per i dipendenti, in Italia meno del 20% edi queste circa il 10% sono pmi.

La formazione può rappresentare un veicolo di inserimento nel merca-to del lavoro e di inclusione sociale per tanti immigrati. Giustamente siauspica una formazione di carattere permanente dato che la durata del-la vita si è allungata e tanti sono alla continua ricerca di una nuova vitaprofessionale o esperienziale. Insomma vi è una forte domanda di buo-na formazione che viene dalla società ma è difficilissimo anche ritocca-re le impalcature che sorreggono gli attuali risultati. Da una parte assistiamo ad un’estensione della scolarizzazione e ad unprolungamento dei tempi della stessa cui non corrispondono una collo-cazione soddisfacente nel lavoro, né un miglioramento rilevabile dellaqualità della vita: è aumentata la dipendenza dei giovani dalla famiglia.Dall’altra il mercato del lavoro si presenta fortemente segmentato, incontinua evoluzione, delinea una forza lavoro che non ponga probleminell’adeguarsi ai tempi sempre più velocizzati della tecnologia e che an-zi sappia correrle avanti. In una società come quella italiana, che hapuntato negli ultimi decenni sulle garanzie e sulla prevedibilità, questasituazione rischia di evidenziare solo gli aspetti negativi dei fenomenisociali e culturali connessi. Il mondo del lavoro e quello dell’istruzioneappaiono sistemi separati in cui le esigenze, e della comunità di riferi-mento e dei singoli individui che la compongono, rischiano di venireappiattite dall’autoriproduzione dei sistemi medesimi.Bisogna immaginare soluzioni nuove sul versante capitale umano, faredella formazione una funzione di raccordo tra i diversi sistemi, sociale,d’istruzione, del lavoro, ed un ruolo lo potrebbero svolgere proprio que-gli enti preposti ad amministrare le ampie risorse dei fondi, comunitari,nazionali, interprofessionali, destinati alla formazione. Uno sport nazionale è criticare le riforme del ministro dell’istruzione, go-verno che sia, ma mettere mano a quella parte di fondi pubblici per laformazione di cui si ha disponibilità per utilizzarli in modo utile, sareb-be un modo di innovare dal basso, di riformare un costume ben radica-to in tanta parte del nostro paese. Non guasterebbe se istituzioni, enti,corpi intermedi, rappresentanze dessero un contributo intenzionale adun tema così importante.Per chi scrive, KNE è stata una esperienza esemplare e riflettendo su diessa e su esperienze analoghe si possono trarre utili considerazioni. KNEci chiedeva di analizzare la domanda di competenze professionali nellaprovincia di Roma con particolare riguardo a figure di difficile reperibi-lità perché non più ambite dai nostri giovani ma che potevano esserloda cittadini non comunitari; ci chiedeva di selezionare tra questi alcunecentinaia di persone, fornirgli una formazione professionale non lunga,

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migliorare le loro competenze linguistiche e la conoscenza di elementidella nostra cultura, avviarle a stage in aziende che avevano manifesta-to specifici deficit di manodopera. L’operazione poteva rispondere ad al-cune importanti domande: quella delle imprese alla ricerca di manodo-pera anche parzialmente qualificata, quella di giovani stranieri desidero-si di integrarsi nella nostra società. Rispondeva anche all’esigenza del-l’associazionismo d’impresa che mirava ad un rafforzamento del suoruolo di rappresentanza, ad un allargamento della sua base socialeaprendosi a cittadini non comunitari. Il progetto KNE ha avuto un esito positivo: 303 allievi, su 335 ammessiai corsi, hanno completato il loro lavoro e, ad oggi, un terzo ha trovatouna collocazione. Il successo è stato il risultato di una buona gestione,di partner impegnati, di amministrazioni pubbliche che si sono fatte ca-rico del loro ruolo adoperandosi alla soluzione dei problemi. È stata unainiziativa utile e che andrebbe replicata trattandosi di una risposta aduna situazione generale che richiede, tra le altre cose, una costante e se-ria politica formativa. Gli immigrati presenti in Italia al 1 agosto 2009 erano poco meno di 5milioni, di cui irregolari 560.000; in un quadriennio l’aumento è stato di1,6 milioni di unità (+47,2%)23. È un trend che consiglia di affrontare ilproblema con politiche strutturali e non emergenziali. Ai dati sull’immi-grazione nel nostro paese si deve aggiungere il bassissimo livello dellanatalità italiana; i due fenomeni sociali impongono strategie di medioperiodo riguardo almeno l’immigrazione e l’integrazione di cittadini stra-nieri in Italia. Dati facilmente riscontrabili mettono anche in luce che gliimmigrati che hanno avuto modo di acquisire una maggiore qualifica-zione professionale ed una buona conoscenza della lingua italiana han-no avuto maggiori possibilità di integrazione24. Servono politiche equilibrate che sappiano far buon uso sia della levadel contrasto all’immigrazione irregolare che della leva dell’integrazioneper quanti intendono contribuire alla crescita del nostro paese. E l’inte-grazione può venire dal basso, anche da iniziative che emergono dal-l’offerta di lavoro delle imprese, dalla volontà di rafforzare le strutture dirappresentanza allargando il loro specifico a forze imprenditoriali emer-genti. I dati sulle nuove imprese costituite da immigrati stanno a dimo-strarlo assieme ai dati sulle qualifiche medio alte di tanti immigrati. Ci

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(23) Dati da “Quaderni ISMU”, 1/2010, giugno 2010. (24) Ibidem.

troviamo di fronte a ben altro che a un’armata di venditori di ombrellinelle giornate di pioggia, che si fanno spacciatori quando fa buio. Nonè che manchino i problemi connessi con la criminalità ma è sicuramen-te produttiva una politica che favorisca l’inserimento stabile nel merca-to del lavoro di cittadini non italiani, che superi le inutili dicotomie trachi vorrebbe beatamente accogliere un continente disperato e chi alza-re un muro invalicabile, esclusa la badante in nero della nonna. La formazione può rappresentare un elemento non secondario di inse-rimento sociale e di crescita della competitività delle nostre imprese. Mase una strategia formativa va messa in atto è opportuno analizzare an-che quali debbano esserne i requisiti e quali interventi siano necessariper una più efficace gestione delle risorse economiche disponibili. I duefattori sono ovviamente intrecciati; organizzare al meglio un progettoevitando sprechi è possibile quando chi lo gestisce presta costantemen-te attenzione ai risultati che debbono essere conseguiti e chi ha la re-sponsabilità di amministrare i fondi crea le premesse necessarie perchéquesto avvenga. Bandi confusi, controlli superficiali su gestione ed esi-ti, pagamenti in grave ritardo favoriscono le imprese e gli enti formativicon pochi scrupoli. Un progetto formativo riesce bene se si sviluppa all’interno di un con-testo positivo. Con il termine contesto intendiamo una tipologia concet-tuale che comprende efficace cultura organizzativa ed amministrazionifinanziatrici vigili e partecipi. La riprova di un lavoro ben realizzato sa-rà poi data dalla misurabilità dei risultati conseguiti25. Ogni interpretazione è certo una semplificazione di un processo com-plesso, un ridurre i problemi ad una sintesi che se da un lato può faci-litare la comprensione di un fenomeno necessariamente lo impoverisce.Non fare questo significherebbe però discutere di particolari senza ricer-care quegli elementi che, per quanto limitativi, consentono di compren-dere un fenomeno e porre in essere interventi correttivi. Ma vediamo di definire meglio il concetto di contesto; il termine, secon-do la nostra analisi, comprende tre categorie di problemi: l’impresa chegestisce l’attività formativa, il potere che la governa, la realtà istituziona-le che eroga e vigila sui finanziamenti utilizzati. Sono tre elementi chedeterminano il modo in cui si viene a sviluppare una iniziativa formati-

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(25) È sufficiente verificare, per esempio, quanti cassintegrati e/o disoccupati si sono inseritinel mondo del lavoro dopo un corso di formazione, quale è stato il placement degli al-lievi di un master ad un anno dal termine dell’attività formativa.

va, che interagiscono tra loro, che danno vita a diverse combinazioni eper quanto si presentino diversamente connessi è possibile sviluppareuna sintesi e trarre delle valutazioni di carattere generale. Il contesto puòessere visto come una serie di cerchi concentrici. Il più interno è quel-lo relativo all’impresa, alle sue competenze e modalità operative, la suaorganizzazione che sta a significare la divisione del lavoro e il coordina-mento delle attività. Il secondo cerchio riguarda il potere, ovvero il bo-ard, gli eventuali azionisti, la proprietà, in sostanza coloro cui è deman-data ogni scelta strategica e controllo finale dell’impresa26. Il terzo cer-chio è l’ambito amministrativo e culturale, in cui opera l’impresa: le am-ministrazioni pubbliche erogatrici dei fondi che vigilano su spesa ed at-tività, che risentono delle realtà territoriali nelle quali operano, delle tra-dizioni storiche e politiche su cui si sono sviluppate. Il primo elemento del contesto è, dunque, l’impresa che realizza il pro-getto formativo, un soggetto che svolge attività economica in concorren-za anche potenziale con altri soggetti; non è importante che si tratti diuna cooperativa, una onlus, un’impresa senza fini di lucro o un’aziendadi profitto. Il fatto che non ci sia eventualmente profitto è irrilevante;quante onlus svolgono un’attività che le pone in concorrenza con altritipi di impresa, per esempio nei bandi comunitari per attività promozio-nali, di comunicazione, di formazione27. L’impresa per essere efficace de-ve darsi una struttura organizzativa congruente alla sua missione, alcompito che deve realizzare. Non esiste la configurazione ideale, si trat-ta piuttosto di trovare un adattamento continuo, ricercare la migliorecoerenza possibile tra i fini perseguiti e gli strumenti operativi, due fat-tori che devono dipendere l’uno dall’altro permanentemente. Nel nostrocaso specifico deve essere strutturata per progettare, gestire, amministra-re e rendicontare un progetto formativo. Può avere tutte quelle funzio-ni e competenze internamente o acquisirne parte dall’esterno. Saltiamo volutamente la questione della didattica, non perché nonsia importante, anzi, ma in questa nostra riflessione risolviamo il pro-

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(26) Vanno presi nella dovuta considerazione anche gli eventuali enti di rappresentanza o diriferimento dei gestori dell’intervento.

(27) “Il profitto è un’eccedenza sui costi (…) esso è la differenza fra le entrate e le uscite diun’impresa” (J. A. Schumpeter, Teoria dello sviluppo economico, Milano, Etas, 2002,p.147) e quale che sia la natura dell’impresa va prevista, almeno si dovrebbe, una quo-ta di profitto necessaria a coprire i costi per lo sviluppo di know how e di prodotto; sem-mai la differenza è se sia statutariamente prevista o esclusa l’erogazione di profitto in fa-vore di azionisti o soci o proprietari.

blema affermando che saranno i risultati conseguiti, e misurabili, da-gli allievi successivamente al corso a darcene riscontro. La didatticaè un aspetto determinante; formare adulti richiede tecniche specifi-che che, per un buon esito di un intervento formativo, vanno tenu-te in massimo conto28; qui l’abbiamo data per scontata, l’abbiamo ri-tenuta una componente del bagaglio aziendale, una via obbligata perottenere risultati apprezzabili.In molte regioni del nostro paese l’impresa formativa che deve ge-stire un progetto finanziato per importi significativi dovrà avereanche una fonte di anticipazione economica non particolarmenteonerosa, altrimenti, considerati i tempi medi di rimborso, se vuo-le sviluppare bene il progetto potrà solo lavorare in perdita. Nelnostro paese esistono realtà amministrative virtuose dove questoproblema non si pone perché i tempi delle anticipazioni e dei sal-di sono accettabili, ma in molte nostre regioni e province i tempiche intercorrono tra l’uscita di un bando e l’approvazione delleofferte, tra l’approvazione ed il pagamento dei primi acconti, so-no molto lunghi; il saldo finale può poi arrivare anche molti me-si dopo che il progetto è stato completato e tutte le spese debita-mente sostenute29. Se si aggiunge che spesso il contenuto specifi-co dei bandi non tiene conto della domanda effettiva di formazio-ne delle imprese e dei cittadini, tutti questi fattori negativi rendo-no la formazione finanziata per un lato non utile a risolvere pro-blemi contingenti e dall’altro impossibile da gestire in modo eco-nomicamente sostenibile mettendo fuori gioco buona parte deltessuto delle imprese di formazione.Chi scrive è convinto che l’IRFI abbia raggiunto una competenza pro-fessionale soddisfacente: capacità progettuale, metodi consolidati digestione di progetti anche di rilevante importo e molto articolati perpartner ed utenti, organizzazione amministrativa efficace, un buon si-stema di controllo di gestione, capacità di rendicontare anche a livel-lo sovranazionale. Ma trattandosi di una struttura operativa di unadelle più importanti camere di commercio d’Italia gode di un privi-legio: può disporre di eventuali anticipazioni che, quando gli vengo-

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(28) Si veda a riguardo il bel testo di M. Castagna, “La lezione nella formazione degli adulti”,Milano, Franco Angeli, 1998.

(29) La normativa impone che il saldo finale da parte dell’ente finanziatore sia successivo al-l’effettivo pagamento di tutte le spese del progetto da parte dell’impresa realizzatrice.

no concesse, gli consentono di fare fronte a progetti finanziati dafondi comunitari anche nelle peggiori circostanze30. In sostanza un’azienda che sappia rispondere al suo compito, unastruttura dotata di metodo e professionalità può non essere sufficien-te, per i motivi sopra esposti, per realizzare bene un importante pro-getto formativo. Nel progetto KNE non solo i tempi di erogazione dei fondi sono staticontenuti ma i partner hanno beneficiato di costanti e rapide anticipa-zioni da parte della Camera di Commercio di Roma per poter effettuarei pagamenti; non si è trattato di un elemento di poco conto, al contra-rio è una strategia che dovrebbe essere seguita da amministrazioni ana-loghe, da altre autonomie funzionali, e costituire una leva in grado digarantire una articolata politica di interventi formativi sul territorio per-ché annulla uno dei fattori di esclusione dall’utilizzo dei fondi comuni-tari di tante imprese di formazione. È anche una modalità di lavoro che garantisce ad una azienda di unacamera di commercio di svolgere il suo ruolo istituzionale, ruolo impor-tante proprio perché circoscritto al coordinamento delle attività, alla ve-rifica del corretto impiego delle risorse e dei risultati di una iniziativa. Il cofinanziamento da parte di una camera di commercio può consenti-re, come è avvenuto con KNE, alle associazioni di categoria di coinvol-gere le imprese aderenti in iniziative di riqualificazione del personale odi qualificazione di nuove risorse; può permettere a imprese private diformazione di partecipare a bandi dai quali altrimenti sarebbero escluseper i motivi che sopra venivano elencati e facilitare la realizzazione diiniziative che non possono essere profittevoli economicamente ma so-no invece rilevanti per il tessuto economico. Non si dimentichi che i fon-di pubblici possono coprire solo specifiche voci di costo ed entro mas-simali predefiniti. Tra le altre cose, le camere di commercio hanno per missione il compi-to di impiegare le risorse raccolte con la loro azione parafiscale a van-taggio dell’economia territoriale e una parte di queste risorse può ben

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(30) L’IRFI è una azienda speciale di una camera di commercio. Questo tipo di aziende: “sen-za personalità giuridica possono definirsi strutture amministrative appartenenti agli enticamerali, di cui, detti enti, si servono in via diretta, ma mediata sotto il profilo funziona-le, per erogare servizi, o comunque, per raggiungere finalità di pubblico interesse… èl’ente camerale che ne determina l’indirizzo generale… (l’azienda speciale) è un organostrumentale dell’ente camerale.” R. Fricano, “Le camere di commercio”, 2007, Roma,Unioncamere-Maggioli Editore, pagg. 261-262.

essere impiegata per sostenere, anche cofinanziare, iniziative formativeche altrimenti sarebbero impraticabili31. Il sistema bancario ed anche quello dei vari confidi dovrebbero anch’es-si riservare una specifica attenzione a tale problema individuando con-crete soluzioni: un approccio positivo in tale senso costituirebbe la piùconsistente riprova che la proposizione “la formazione di risorse umaneè considerata alla stregua di un investimento” è una proposizione dota-ta di senso.Ma torniamo all’impresa che gestisce un progetto, alla sua orga-nizzazione, alle sue capacità di fronteggiare fattori che possono li-mitare il risultato finale. Per quanto riguarda KNE abbiamo scon-tato la nostra inesperienza riguardo ad allievi non comunitari, inparticolare al loro reclutamento e selezione. L’errore principale èstato confidare su competenze nominali di altri, abbiamo pensatodi poter delegare a terzi questa attività e di fronte ai primi delu-denti risultati siamo dovuti intervenire direttamente impiegandoper questa fase progettuale tempi più lunghi del previsto e dirot-tando risorse economiche diversamente preventivate. Abbiamoovviato realizzando una campagna promozionale lineare: volanti-naggio nei luoghi d’incontro abituali di cittadini non comunitari,avvisi su quotidiani a libera diffusione, alcune uscite sui mediagiusti, quelli che si stimava avrebbero potuto far conoscere la no-stra iniziativa ad organizzazioni di immigrati, a chi poteva essereinteressato a partecipare32.

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(31) “Le funzioni camerali, pur interessando direttamente le categorie economiche, sono dicarattere generale e quindi sono di natura pubblica… alle camere di commercio (CdC)compete il ruolo di enti di elevazione esponenziale dei singoli interessi settoriali versoun più compiuto interesse generale che si esplica anche nella mediazione e conciliazio-ne delle spinte corporative presenti nelle rappresentanze sindacali di categoria”. R. Fri-cano, op. cit., pag. 107. Non a caso nel consiglio direttivo di una CdC “ai consiglieri inrappresentanza delle imprese si aggiungono il rappresentante delle organizzazioni sinda-cali dei lavoratori e quello delle associazioni a tutela dei consumatori e degli utenti.” Ibi-dem, pag 172. “La realizzazione di iniziative formative è uno dei compiti tradizionali del-le CdC che vi provvedono direttamente, attraverso servizi specifici e gestioni dedicate,ovvero attraverso aziende speciali appositamente costituite… la scelta dei settori di inter-vento formativo prende le mosse dalla domanda di formazione non soddisfatta da altreagenzie formative… e la formazione non è rivolta soltanto a persone già avviate in unparticolare settore imprenditoriale o di lavoro autonomo, ma è anche rivolta ai giovaniche sentono il bisogno di acquisire particolari, ricercate e specifiche competenze da of-frire al mercato”. Ibidem, pagg. 949, 950.

(32) In questo lavoro abbiamo beneficiato di un valido supporto professionale da parte della so-cietà di comunicazioni di cui ci siamo avvalsi.

La campagna ha dato risultati oltre ogni aspettativa, abbiamo peròdovuto irrobustire la nostra squadra con assunzioni pro tempore eabbiamo speso troppo per questa fase del progetto. Un altro limite èstato determinato da alcune strutture associative partner dell’iniziati-va. Le associazioni di categoria dovevano svolgere un lavoro moltocomplesso: indagare tra le imprese loro associate quali figure profes-sionali fossero nell’immediato carenti e organizzare corsi di formazio-ne relativi a quelle specifiche mansioni, trovare centinaia di impresedisponibili ad accogliere gli allievi negli stage previsti come conclu-sione dei corsi. Tra le associazioni abbiamo visto all’opera alcune ec-cellenze; altre strutture erano competenti ma poco strutturate, di fat-to riuscivano a tenere il passo grazie ad un impegno ammirevole, laformazione è vista in certi ambiti sindacali come una cenerentola, econseguentemente hanno chiesto all’IRFI un’attività straordinaria percompensare le loro scarse risorse. Altre ancora erano alle prime ar-mi e questo ha fatto gravare sull’Istituto una notevole mole di lavo-ro e costi ulteriori. Insomma alcuni partner hanno richiesto un inve-stimento rilevante, non preventivato, in risorse ed in attività di sup-porto. Abbiamo avuto l’apporto di alcuni consulenti di valore, qual-cun altro utile a farci ricordare le considerazioni hegeliane sull’ideo-logia. Le modalità di valutazione e selezione linguistica iniziali realiz-zate dalla Dante Alighieri erano troppo orientate a chi aveva unastruttura formativa pregressa ma poi l’impegno e la disponibilità pro-fusi da questa illustre società sono andati oltre ogni aspettativa rea-lizzando corsi di lingua italiana di ottimo livello. Insomma abbiamoincontrato difficoltà impreviste ed abbiamo dovuto trovare soluzioniper farvi fronte. Una iniziativa articolata per partecipanti e partner presenta sempreproblemi inattesi, la loro soluzione metterà in risalto l’organizzazio-ne aziendale, la divisione del lavoro ed il coordinamento delle atti-vità, le competenze professionali e la motivazione del personale. Perquanto sia importante progettare bene l’organizzazione aziendale, disicuro, in una struttura che realizza progetti formativi, l’asset più pre-zioso sono le risorse umane. E dati i tempi non è problema da po-co. Non è affatto facile trovare personale con i giusti requisiti, conuna formazione di base, italiano - inglese - cultura generale, accetta-bile; i giovani che escono dalle nostre università, mediamente, anchequelli che hanno frequentato facoltà umanistiche, non sanno scrive-re in buon italiano, non sanno stilare un breve rapporto, hanno unacultura generale di tipo giornalistico: superficiale e molto ideologica.

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Sono tanti i giovani ricchi di ambizioni ma poveri di talento. Sul pia-no del carattere prevale l’insicurezza e di conseguenza una scarsamotivazione; è spesso più facile trovare risorse competenti e motiva-te tra giovani stranieri. Molti di essi hanno una buona formazione dibase, un’ottima conoscenza delle lingue straniere ed il coltello tra identi. Forse si sta chiudendo un ciclo paretiano con la scomparsa diun’élite e l’apparire di una nuova. Possiamo interrogarci sui perchédi questa situazione: il basso livello culturale si spiega facilmente conil livello del nostro sistema scolastico, l’insicurezza e la poca motiva-zione sembrano connaturate a figli tanto desiderati e amati quantopoco desiderosi di autonomia, specie in questa congiuntura avara dicompensi decenti33. Le risorse umane, determinanti nelle aziende del terziario, sono in for-te percentuale rappresentate da quelli che il professor De Rita defini-sce qualcosisti: cattive scuole medie, università come servizio socialepiuttosto che struttura formativa, una formazione di base che non inse-gna come si impara, allievi che non hanno imparato ad imparare. Insostanza selezionare personale adeguato, addestrarlo, motivarlo, perun’azienda di formazione non è cosa semplice. Se una impresa di for-mazione riesce ad implementare le capacità dei suoi qualcosisti, o a far-ne a meno, li ritrova tra i partner. Se la presenza dei qualcosisti è unproblema per le imprese dove i risultati sono attentamente perseguiti,tante amministrazioni e imprese di loro emanazione ne rappresentanolo sbocco naturale, la soluzione ideale quanto obbligata. Dove il mer-cato è protetto, le commesse sono pubbliche e l’output irrilevante nonvengono richieste competenze particolari. Non è fortunatamente un dato univoco perché il nostro è un paesecon tradizioni amministrative diverse, ma quando queste si fondanosul clientelismo e l’inefficienza, senza il bisogno di arrivare là doveprevale l’illegalità, i qualcosisti rappresentano la maggioranza dellerisorse umane e assurgono a classe dirigente. In quegli ambiti le se-lezioni non possono basarsi sul merito. Le ombre di chi seleziona edi chi viene selezionato debbono necessariamente sovrapporsi.Di conseguenza, in certe strutture che hanno come missione la for-mazione finanziata, l’incompetenza diviene uno standard; farci i con-ti, ritrovarsela a fianco è fatto quotidiano e logorante perché si è co-

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(33) Vedi a riguardo il bel saggio di M. Gauchet, “Il figlio del desiderio”, Milano, Vita e Pen-siero, 2010.

stretti a confrontarsi con chi presta attenzione solo alla spesa, ne hafatto il fulcro della cultura della sua struttura34. L’impresa ben organizzata corre il rischio di trasformarsi in una sorta difortapache, mantenerla strutturata, sempre attenta al compito, elevarnecostantemente le professionalità diviene un lavoro improbo soprattuttoin quelle aree del paese dove i qualcosisti imperano, la loro culturad’impresa è dominante. Ed una cultura ben radicata, che permea unaorganizzazione, un ente, un’impresa, e che si sostanzia in azioni, stili,decisioni, si modifica solo in presenza di rivolgimenti del mercato35. Da tutto questo nostro ragionare ne discende che l’impresa è il primo fat-tore costitutivo del contesto, che se è ben organizzata e motivata rappre-senta un requisito essenziale alla riuscita di un progetto finanziato. Edun’impresa di formazione efficace ha problemi specifici: il suo profilo or-ganizzativo e manageriale deve non solo assicurare efficienza, produttivi-tà e attenzione al rapporto costi/benefici, obiettivi, questi, tutti fondati surazionalità e ingegnerizzazione di azioni e comportamenti ma contempo-raneamente deve provocare un consistente processo ideativo e progettua-le generato da una forte gestione creativa: se cambia il destinatario dell’in-tervento, quest’ultimo, pur assumendo lo stesso contenuto di competen-za, non può rimanere lo stesso. Non è pertanto facile organizzarla, trova-re le risorse, addestrarle e motivarle per far fronte alle attività correnti edagli imprevisti, a partnership problematiche, a gestire risorse pubbliche nelrispetto delle normative, ad avere uno sguardo costante al risultato. Maquesto primo cerchio, anche quando di buona levatura, è un elementoessenziale ma non è sufficiente da solo a determinare il buon esito di unprogetto finanziato. Ne servono altri due, e vediamo con ordine. Il secondo elemento costitutivo del contesto, il secondo cerchio come loavevamo prima definito, è la proprietà dell’impresa e chi da questa è de-legato a determinare le scelte strategiche aziendali. Anche qui ci trovia-

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(34) A mero titolo di esempio: la proposta economica di una di queste imprese per due corsi diaiuto magazziniere, ognuno di 120 ore di teoria e di 120 ore di stage in azienda, prevedeva,tra gli altri, costi relativi a 450 ore di progettazione per ciascun corso e € 15.000,00 lordi almese per il coordinatore di ogni corso. Con risorse economiche e tempi nettamente inferiorisi progettano e coordinano iniziative di ben altro valore formativo; il fatto è che chi presentauna tale proposta è abituato a vedersi finanziare con larghezza le sue attività da un ente a cuiè in qualche forma collegato e che non controlla come il corso viene fatto e con quali esiti.

(35) E. H. Schein ha scritto pagine memorabili su questi temi, particolarmente: “Cultura d’aziendae leadership”, Milano, Guerini, 1990; “Culture d’impresa”, Milano, Raffaello Cortina, 2000.Su alcuni caratteri specifici italiani di cultura d’impresa si veda P. Pagnotta, “Cultura d’im-presa”, Roma, Nuova Cultura, 2009.

mo di fronte a situazioni molto diverse, segnate da interessi economici,tradizioni amministrative, culturali. Le persone animate da spirito im-prenditoriale sono ancora numerose nel nostro paese e quando il pote-re dell’impresa è nelle loro mani, mediamente, il primo ed il secondoelemento del contesto tendono ad un comportamento omogeneo. Lostesso avviene in aziende di scopo quando gli obiettivi sono fortemen-te perseguiti da chi detiene le leve del comando attraverso permanentipolitiche di indirizzo e controllo. Sul piano generale il compito della proprietà, dei suoi rappresentanti neiconsigli di amministrazione, è quello di definire la strategia aziendale,sostenerla operativamente mediante la sua rete di relazioni e supervisio-nare le attività. Un efficace consiglio di amministrazione è un policy ma-ker, formula gli obiettivi e funge da catalizzatore per facilitarne la realiz-zazione. Questa è la regola in un ambito misurato dal profitto o da unperseguimento attento dei risultati. In queste circostanze i due primi ele-menti del contesto lavorano sinergicamente, sono due fattori positiva-mente essenziali. Rappresentano la situazione migliore perché una im-presa di formazione intervenga in attività finanziate. Il potere ed il ma-nagement devono potersi sovrapporre, debbono avere una cultura con-divisa, saper leggere o ignorare parti significative della realtà. Ma chi opera professionalmente in questo campo della formazione sache esiste un diverso secondo mondo di imprese, ben sviluppato in am-pie parti del territorio nazionale, che sono governate solo con la finali-tà di acquisire risorse economiche, senza tenere conto dei risultati, nonper capacità ma perché in qualche modo connesse a chi eroga i finan-ziamenti. È un mondo esteso, con intrecci che lo rendono anche domi-nante, con il quale devi entrare per giocoforza in contatto se in certearee territoriali vuoi ricavarti uno spazio di lavoro, e che ti lascerà le bri-ciole. Il potere qui terrà la barra alla spesa, al fondo amico. Occhiuta-mente quando agisce una logica di profitto, distrattamente negli enti discopo dove prevalgono strutture di potere affidate, da chi li ha costitui-ti, ad amministratori di fiducia tanto incompetenti quanto ubbidienti. Quando la grande disponibilità di finanziamenti s’incontra con tradizio-ni amministrative e politiche mediocri non sono richieste virtù di gover-no. Si può assistere sia al riorientamento di una impresa prima ben ope-rante, oppure a spin off di organismi politico-amministrativi, di enti in-termedi. In tutti i casi saranno fabbriche di consenso che impegnano ri-sorse pubbliche destinate altrimenti. Il nostro è un paese con tradizioni amministrative diverse, dove questesi presentano con maggiori legami all’appartenenza più che al ruolo le

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strutture che operano nella formazione finanziata divengono un’occasio-ne per sistemare clientele, per generare consenso36. In tali circostanze sipuò verificare l’occupazione di un’impresa professionale e si andrà in-contro ad un conflitto che in generale porta alla fuoriuscita degli ele-menti competenti; quando invece i qualcosisti di vertice s’incontranocon quelli della struttura operativa si avrà un connubio perfetto volto al-la spesa. Per costoro la formazione non è interessante in quanto stru-mento di crescita civile ed economica ma per le risorse che la finanzia-no. E la formazione può essere presa come buon metro di misura del-lo sviluppo economico e civile: è un asset importante nei paesi più svi-luppati e nel nostro paese dove vigono buone tradizioni amministrativema trova una valutazione diversa dove il contesto non si radica in tradi-zioni di buon governo. In un tale scenario vale il paradosso di Menone:“non si può vedere quello di cui non si ha coscienza”. Al potere selezionato per appartenenza non interessano i risultati, ilruolo istituzionale, ma il gruppo di riferimento; con costoro la leggedi Peter37 non va nemmeno presa in considerazione: se ti imbatti inun elemento capace rischi di avere le stesse emozioni provate daStanley quando incontrò Livingstone nella foresta del Congo. Min-tzberg ha scritto pagine illuminanti riguardo le caratteristiche di que-sti amministratori che definisce “valets, manager one step”38: inizianola carriera come valletti di un esponente di rilievo, più centrato sul-la conservazione del suo potere che sul compito, e poi ricevono inpremio un incarico di spicco senza aver maturato nessuna esperien-za manageriale. Sanno tenersi abilmente nella rete di appartenenze. Contrariamente a quelle che sono le peculiarità di un vero manager, ri-porta Mintzberg, non si informano, non disseminano informazioni, invera sostanza non ci sono; un vero capo è quello che parla, che ascol-ta e osserva parole e moti dei suoi riporti, “perpetually scanning the en-vironment for information”; ma un amministratore one step opera perlo-più in strutture che sono fuori da ogni verifica sostanziale, non misura-te sui risultati, intrecciate in reti di potere.

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(36) Spesso parte dei fondi è impiegata dalle amministrazioni responsabili per sostenere i co-sti di loro enti e società.

(37) L. Peter sostiene che si può essere promossi ad incarichi superiori fino a raggiungere illivello di incompetenza.

(38) H. Mintzberg, “Il lavoro manageriale”, Milano, Franco Angeli, 2010; “The Manager’s Job:Folklore and Facts”, HBR, aprile 1990; “La progettazione dell’organizzazione aziendale”,Bologna, Il Mulino, 1996.

Spesso si nascondono dietro le tecnologie: si confrontano solo via e-mail,qualcuno più sprovveduto via sms, perché il confronto li spaventa, sannodi non essere all’altezza del compito, nel profondo sono consapevoli dicome hanno raggiunto il loro livello d’incompetenza39. Quando questa ti-pologia di rappresentanti del potere s’insedia negli enti di derivazione diuna istituzione si assiste al fenomeno della nidificazione, all’occupazionedi spazi istituzionali senza un progetto responsabile. Il professor De Ritasegnalava in una delle sue lucide analisi40 che non si nidifica quando siagisce super partes, quando invece prevale l’appartenenza si snatura ilruolo, prevalgono i bisogni individuali e viene a mancare l’elemento ba-silare di un ente, di una sua impresa: essere customer oriented, valutabi-le per i suoi risultati. Questo fenomeno negativo tra le altre cose ne de-termina una facilmente riscontrabile ad un osservatore attento: il persona-le che riporta ad un simile potere, svolgendo una attività senza verifica so-stanziale, viene afflitto da patologie; un lavoro che non lega l’individuo al-la realtà determina una condotta della vita disinserita dalla comunità uma-na. Chi è costretto ad operare in connessione con enti governati da per-sonalità come quelle appena descritte deve anche vedersela con i loro di-pendenti spesso patologici41. Nelle strutture che presentano le negativitàsopra esposte, incentrate in una logica di acquisizioni senza riscontro, lefunzioni fondamentali della proprietà, verranno meno42. Le elite si formano

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(39) Parafrasando Obholzer (“L’inconscio al lavoro”, Milano, Guerini, 1990), l’autorità ed il po-tere sono forme diverse della capacità di prendere delle decisioni che vincolano o in-fluenzano il comportamento degli altri. Il potere è un attributo della persona (la forza delcarattere, il prestigio sociale, il denaro, gli appoggi politici), l’autorità è un attributo delruolo, è la quantità di potere necessaria all’esercizio di un determinato ruolo; senza que-sto potere essa rimane una forza virtuale. L’autorità è funzione di un determinato com-pito istituzionale e la sua forza dipende o dal conferimento dall’alto, dall’assegnazione diuna posizione autorevole da parte dei superiori, o dal basso, dal riconoscimento e dallacollaborazione da parte dei subordinati, o dall’interno, dall’autolegittimazione dettata dal-la fiducia nelle proprie capacità. Se a una persona dotata di autorità manca la legittima-zione dall’interno sarà incapace di esercitare il ruolo assegnato.

(40) G. De Rita, “Il regno inerme”, Torino, Einaudi, 2002.(41) Si vedano a riguardo: R.D. Hinshelwood, “Osservare le organizzazioni”, Torino, Ananke,

2005; W. R. Bion, “Esperienze nei gruppi”, Roma, Armando, 1971; A. Obholzer, “L’incon-scio al lavoro, Milano, Guerini, 1990”.

(42) Il commensalismo sembra proporsi come la cifra culturale prevalente dove l’isolamentoe la frammentazione dei processi organizzativi, insieme con la debolezza della leadershipe la presenza di aree di ampia autonomia e scarso controllo, favoriscono il distacco tragovernanti e governati, tra i diversi settori dell’organizzazione, tra le culture tecniche equelle gestionali, dove ciascuno persegue il proprio utile in un clima di vivi e lascia vi-vere, nell’indifferenza per le ricadute sul sistema nel suo insieme”. Così Mario Perini nel-la relazione presentata a un incontro scientifico dell’Aipsi, aprile 2010.

attraverso processi lunghi, diversificati, misurati dai risultati consegui-ti; le carriere per cooptazione creano elementi con una grande capa-cità di sopravvivenza, ma questa è una attitudine non un mestiere43. Purtroppo si dà troppo facilmente per scontato che il ruolo “istituziona-le” del secondo cerchio obblighi, per un complesso di ragioni, a segui-re logiche altre da quelle imprenditoriali e quindi ad avvalersi di respon-sabili omologhi e funzionali a quelle logiche; sarebbe più onesto se uncomplesso di azioni di scopo, quale quello della formazione, venisseposto al riparo da quelle logiche organizzandolo imprenditivamente, informa di società, con un capitale adeguato ad un business plan plurien-nale e con un consiglio di amministrazione formato anche con una quo-ta di membri indipendenti. Il potere svolge una funzione essenziale e positiva quando ha capacitàdi visione strategica, sta come si dice sul “pezzo”, orienta l’impresa alladomanda di fabbisogni formativi, misura i risultati. Quando opera in ta-le maniera garantisce la corretta gestione dei finanziamenti pubblici, hauna funzione essenziale all’andamento di un progetto, completa il lavo-ro svolto dall’impresa. In sostanza i primi due componenti del contestose operano con competenza e risultati apprezzabili svolgono quanto ri-chiedono legge e mercato, oltreché coscienza, diversamente lavoreran-no, anche molto in certe regioni italiane, per consumare risorse pubbli-che e non per fare buona formazione. Il terzo componente del contesto, il terzo e più esterno cerchio, èrappresentato dalle istituzioni responsabili dei fondi, che vigilano suifinanziamenti utilizzati dall’impresa di formazione. Qui ci si può tro-vare di fronte a situazioni diverse, l’abbiamo già detto, che dipendo-no da specifiche tradizioni amministrative, dalla cultura politica di undeterminato territorio, dalle persone che le circostanze hanno postonei ruoli decisionali; conseguentemente si può andare incontro a si-tuazioni molto diversificate: da particolarmente virtuose a sconside-rate. Le cause di tanta diversità si possono ricercare nella storia delnostro paese: le tradizioni comunali, risalire ai ducati longobardi, i si-stemi di governo asburgici o borbonici, sta di fatto che in presenzadi procedure e fondi pubblici da più parti si assiste ad una distinzio-ne tra cultura materiale, tecnologica e produttiva, e cultura immate-

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(43) Una analisi articolata, e preoccupata, sulla selezione delle classi dirigenti in Italia è rea-lizzata da alcuni anni dalla Luiss, coordinata da Nadio Delai: “Generare classe dirigente”,1° rapporto 2007, 2° rapporto 2008, 3° rapporto 2009, Luiss University Press.

riale, valoriale; c’è un cultural lag in tante aree e settori del paesecon cui bisogna fare i conti.44

Per quanto riguarda il progetto KNE, per chi scrive, si è trattato di unadelle migliori esperienze occorse in tanti anni di lavoro in questo setto-re. Il Ministero dell’Interno ha finanziato e sostenuto costantemente l’ini-ziativa con una visione alta del problema immigrazione ed integrazione,è intervenuto perché le anticipazioni economiche pervenissero nei tem-pi, ha garantito una presenza nella promozione, assistenza tecnica quan-do questa veniva richiesta. Sul versante della Camera di Commercio ab-biamo ricevuto, senza incontrare mai difficoltà, importanti risorse eco-nomiche necessarie a coprire tutti quei costi di progetto che il FEI nonpoteva sostenere, in particolare i rimborsi spese mensili per gli allievi.Purtroppo non si è reso possibile coinvolgerla in iniziative che desseroun maggior risalto istituzionale al progetto. Il ruolo delle amministrazioni finanziatrici è determinante per la realizza-zione di un’attività formativa, a partire dalla redazione dei bandi, dal mo-do in cui vengono indicati gli obiettivi, i risultati attesi e soprattutto le mo-dalità di controllo. Tanto più grande è la competenza professionale de-gli addetti a questi delicati settori tanto più semplice sarà la gestione diun progetto. Se invece nel bando manca un disegno politico di respiro,se chi lo redige ignora le esigenze del mercato ma persegue finalità al-tre, nel migliore dei casi cervellotiche45, diviene difficile presentare delleproposte che si basino sulla domanda di formazione che viene dal terri-torio; in tale caso prevarranno proposte generiche, l’offerta di quello chesi sa già fare. Se i criteri di valutazione delle offerte sono incomprensibi-li, tanti verranno scoraggiati dal partecipare, se i tempi di affidamento del-le proposte selezionate sono particolarmente lunghi i progetti formativinon potranno più essere legati ad una domanda contingente; se i respon-sabili dei controlli sono incompetenti si perderà tempo prezioso su par-ticolari insignificanti, aspetti formali secondari piuttosto che sui risultati.Se i tempi di verifica sono lunghi ed i pagamenti arrivano dopo anni sicreerà una situazione perversa che vedrà la fuoriuscita dallo specificomercato di tante aziende di formazione a vantaggio di quelle che hannoaltri canali di sostegno o peggio di chi non spende quanto dichiara.

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(44) W.F. Ogburn, “Tecnologia e mutamento sociale”, a cura di G. Iorio, Roma, Armando, 2006.(45) Un bando recente rivolto alla formazione dei dipendenti di grandi centri commerciali ob-

bligava a presentare offerte che dovevano prevedere la formazione svolta esclusivamentesu “mezzi mobili opportunamente attrezzati”.

La formazione finanziata svolge in molte aree europee ed italiane unruolo positivo qualificando le risorse e conseguentemente rafforzan-do capacità produttive, dove questo non avviene si potrebbe rifor-mare questo servizio introducendo modalità snelle di accesso ai fi-nanziamenti, ispirate ad alcuni semplici criteri. L’attenzione principale deve essere rivolta all’evoluzione dei fabbiso-gni occupazionali, alla effettiva domanda di competenze per consen-tire solo il finanziamento delle proposte formative conseguenti ga-rantendo rapidità di valutazioni e semplicità di accesso ai fondi di-sponibili. In coerenza con tali criteri la frequenza dei bandi dovreb-be avvicinarsi il più possibile ad una modalità on demand per ridur-re il lasso di tempo che intercorre tra l’individuazione del fabbisognospecifico, la predisposizione di una proposta progettuale, l’otteni-mento di una valutazione, i finanziamenti. Per fare questo, dove giànon avviene, le amministrazioni dovrebbero qualificare una partedelle loro risorse ed assegnarle all’analisi del mercato ed alla valuta-zione delle offerte. La riduzione dei tempi di valutazione consente daun lato di predisporre con tempestività risposte concrete a bisognipuntuali e dall’altro di rimettere in gioco le risorse inutilizzate, quan-do le proposte progettuali presentate non sono adeguate agli stan-dard richiesti. Un tale lavoro diverrebbe ancora più semplice se an-che i formulari per la predisposizione delle proposte formative ve-nissero semplificati, magari studiandoli assieme a chi dovrà poi uti-lizzarli. La semplificazione dei formulari non è da intendersi comeuna banalizzazione dei molteplici aspetti che devono essere presi inconsiderazione nella formulazione di un progetto, quanto nella ridu-zione del numero dei punti indagati e nella limitazione del numerodi righe ammissibili per ciascuna risposta. Tutto questo aprirebbespazi di partecipazione nuovi, consentirebbe di presentare propostea tutti i portatori di idee progettuali rispondenti agli effettivi fabbiso-gni di competenze. La possibilità di presentare progetti a scadenzaravvicinata potrebbe consentire alle imprese di utilizzare i fondi perla formazione per specifici ed immediati bisogni; la formazione fi-nanziata diventerebbe interessante per le pmi che troverebbero nel-l’istituzione pubblica e nel finanziato risorse cui oggi non possonoaccedere. La semplificazione, un accesso più rapido ai fondi aumen-terebbero la concorrenza tra le imprese di formazione e ridurrebbe-ro gli spazi oggi occupati da enti di formazione specializzati nell’uti-lizzo di risorse senza connessione con il mercato e da enti di con-trollo che congelano potenzialità e tolgono spazio a chi sa fare.

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Non si sottolineerà mai abbastanza che se l’acquisizione di un pro-getto finanziato è basata su una selezione viziata da un bando pub-blico slegato dalle esigenze formative effettive del mercato, dalleaspettative delle imprese o di chi è alla ricerca di una qualificazioneprofessionale necessaria a garantirsi un lavoro, se i tempi di aggiudi-cazione sono lunghi tanto da rendere obsoleta la domanda, se i tem-pi di pagamento sono tali da costringere chi gestisce un progetto adindebitarsi, le aziende di formazione che operano professionalmen-te, con attenzione al rapporto costi-benefici, vengono escluse dallaformazione finanziata. Cambiando il modo di operare e gestire le ri-sorse si renderebbe un servizio pubblico e si aprirebbero spazi di la-voro oggi appannaggio di chi opera nel migliore dei casi in modoburocratico; in un tale scenario il ruolo di una autonomia funziona-le, e dei suoi strumenti operativi, sarebbe rilevante. Si potrebberorealizzare progetti importanti finanziandoli direttamente o interve-nendo, come per KNE, con un cofinanziamento che integri gli aspet-ti che un fondo comunitario non contempla. In una tale logica unente strumentale come l’IRFI può fungere da gestore, rappresentareun funnel capace di governare risorse e alleanze funzionali. La for-mazione potrebbe riguardare personale già in servizio, giovani e nonalla ricerca di una occupazione stabile, cittadini non comunitari allaricerca di una civile integrazione nella nostra società; non si tratte-rebbe di fare solo della formazione ma di far emergere l’effettiva do-manda di competenze delle imprese e realizzare conseguenti percor-si di qualificazione. Si tratterebbe di una attività complessa che po-trebbe impegnare stabilmente le associazioni d’impresa e le lorostrutture in una attività permanente di indagine, formazione, stage,che rafforzerebbe il tessuto democratico della rappresentanza di in-teressi. Per lavorare in una tale direzione, le strutture formative del-le autonomie funzionali e dell’associazionismo debbono però evita-re alcune trappole.La trappola dell’aziendalizzazione, che significa andare a svolgerefunzioni e operare nel mercato alla pari di una impresa privata rinun-ciando di fatto alla loro specificità di filtro, di rappresentanza di in-teressi; la trappola dell’iperpresidio andando ad operare in un mer-cato già affollato quando sarebbe più opportuno agire in una logicadi alleanze per iniziative ad alto contenuto politico e sindacale; latrappola dei progetti basati sull’offerta, la propria, sviluppando inve-ce proposte basate sull’effettiva domanda di competenze provenien-te dal mercato.

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In Italia abbiamo 4,5 milioni di imprese perlopiù di piccole dimensio-ni ed a conduzione familiare, 4 milioni di professionisti, milioni di la-voratori a tempo, a progetto, posizioni individuali, interinali. Ci sonomigliaia di giovani che vogliono riqualificarsi seriamente dopo averconseguito un titolo a dir poco debole. Le pmi cercano personalequalificato difficile da reperire, ci sono milioni di lavoratori stranierida qualificare ed integrare nel nostro sistema. C’è chi già si muove ebene ma ci sarebbe da lavorare per decenni. Serve un lavoro lungo elento di riempimento di buone prassi di tante amministrazioni depu-tate a governare il ricchissimo patrimonio dei fondi pubblici destina-ti alla formazione, di tante strutture dedicate alla rappresentanza di in-teressi, di tante autonomie funzionali. Il corretto utilizzo dei finanzia-menti pubblici per la formazione può avvenire se ci si attrezza per ge-stioni rapide degli affidamenti, delle verifiche, dei pagamenti, in unalogica non autoreferenziale ma che tenga conto della domanda delleimprese e di quanti sono alla ricerca di una migliore qualificazioneper conservare il proprio lavoro o sfuggire alla disoccupazione. Leazioni formative più complesse e che richiedono tempi più lunghi diverifica possono sussistere in presenza di formule di finanziamentoagevolato a favore di chi le gestisce. L’esempio del cofinanziamentodi KNE da parte di una camera di commercio è esemplare ed andreb-be esteso favorendo le iniziative di quelle imprese di formazione cheoperano con qualità dei risultati. Solo allargando il mercato si posso-no ridurre gli spazi dei professionisti della spesa. È un lavoro immen-so ma si può intanto iniziare lavorando bene e con un’ottica di me-dio periodo ciascuno nel proprio orto: qualificare il personale addet-to, fare buoni prodotti sulla scorta delle valutazioni espresse dallaclientela, misurare i risultati. E se ci si trova ad operare all’interno diun ente pubblico: sforzarsi di dare senso e dignità istituzionale al pro-prio mandato per respingere ogni limitazione dettata da logiche cor-porative e realizzare una attività customer oriented.In sostanza bisogna lavorare perché il terzo cerchio agisca intenzio-nalmente con modalità misurate dal grado di soddisfazione degliutenti, l’impresa di formazione sia ben organizzata, il potere la orien-ti al compito, determinando in tale modo il contesto necessario alcorretto impiego dei fondi per la formazione. Non è un lavoro faci-le né privo di rischi perché come scriveva il Filosofo “se qualcunocercasse poi di condurli in alto, se potessero avere quel tale per lemani…” ma dandosi tempo e con molto impegno è una cosa anchepossibile.

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Finito di stampareottobre 2010