Il Patrimonio Storico-Artistico dei Comuni di Baronissi, Fisciano e Mercato Sanseverino
Come operare con successo nel mercato musicale nell'immediato futuro (2012)
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Come operare con successo nel mercato musicale nell’immediato futuro.
How to operate successfully in the music market in the near future.
Radu Munteanu
02 may 2012
iii
TABLE OF CONTENTS
ABSTRACT (EN) IV
ABSTRACT (IT) VI
1. INTRODUZIONE 1
2. LITERATURE REVIEW 3
2.1. Streaming on-demand: il futuro? 4 2.1.1. Case Study: Spotify 7 2.1.2. Case Study: Grooveshark 9 2.1.3. Il business dei “Giganti”: la musica come pretesto. 12
2.2. La condizione legislativa 16 2.2.1. Il grande registro virtuale 19
3. METODOLOGIA 22
4. ANALISI DEI DATI 27
5. CONCLUSIONE 37
6. REFERENCE 40
7. BIBLIOGRAFIA 43
8. APPENDICE: QUESTIONARIO 49
iv
Abstract (EN)
An eight-month daily reading of news about the music industry’s issues has highlighted a
critical situation – despite of the variety of services offered to consumers – due to: 1)
innovative services for music consumption proposing attractive solutions to consumers,
without giving an adequate revenue to artists and right holders; 2) a large number of
consumers not willing to pay for music, which asserts the ideal of free culture and pirates
contents, instead of satisfying the needs with market’s legal services.
The basis of an economic system is build around the matching point between demand and
supply, but this principle seems to be missing in today’s industry structure. This study
analyses some of the most discussed new models of business – based on streaming on-
demand – underlining the points of strength and weakness in order to evaluate the
possible growth of the business and the potential opportunities offered both to consumers
and to artists.
The overall image depicts how the access may incentive the abandon of illegal ways of
consumption, as well as how companies like Sony and Google are investing in streaming
services for promoting other business units, in addition to a source of income.
Furthermore, a description of the past and the present law measures about copyright is
necessary to understand the ecosystem in which a successful business model may raise.
It is significant, as well, to observe how the law may be modified with the purpose of giving
the best satisfaction to a specific part of the market.
As suggested by Ian Rogers – CEO of Topspin Media – and from the experience of project
SNOCAP, emerges the idea of a massive virtual content registry, which would manage the
multimedial data – and the related business rules – all over the Internet. This may
represent a solution to perpetual copyright term extensions and to licensing deals, but the
huge amount of data, together with the variety of extant business models and international
agreements issues, suggest the obstruction to the revolution of the music industry of the
near future.
Demand’s thoughts and habits about music consumption have been gathered through a
post-positivist paradigm, based on a quantitative research. Between February and April
2012, I have lectured on fundaments of music business, copyright and new mediums of
consumption in three High schools – Liceo G. Bagatta, ITC L. Bazoli and IPC M. Polo – in
Desenzano del Garda, Lombardy. Moreover, the students were asked to fill a
v
questionnaire formed by both structured and unstructured questions about interests in
music contents and consumption habits, as well as ideal views of the music industry. The
analysis of the final result – consisting in 190 questionnaires – has shown that 82% of the
teenagers between 17 and 19 years old is almost daily involved in listening to music –
from a YouTube streaming to a live performance -, representing an estimable potential for
market’s development, though piracy is confirmed as the main medium of consumption,
chosen by the 66%. A further examination of the findings indicates two main segments
described by the real enthusiasts and the occasional consumers, those who require music
contents for social activities.
The comparison between demand’s needs and thoughts and supply’s models, shows a
hypothesis of the best strategy for a successful outcome in music market. The access
allowed by streaming services would represent an incentive for both categories of
customers. In order to a prevail of this model, the first step should be done by artists and
labels, making available the whole catalogues, including the newest bestsellers as well as
the old classics. Although people may prefer the convenience of access, there may
persevere a segment interested in CDs and LPs, as results from the survey. 70% of the
interviewed students, has asserted an increasing willingness in acquiring records against a
lower price. Eventually, there may be a competition between legal digital downloads and
streaming services, in case that the first medium would drastically decrease the prices, as
a consequence of the economy of abundance. The conclusion drawn from this study is
that those actions would entail an increase of the demand in a more effective way than the
currently copyright proceedings.
In summary, this project will give a contribution to future researches on solutions for the
music industry’s impasse.
vi
Abstract (IT)
La lettura quotidiana d’informazioni legate all’industria musicale, per un periodo di otto
mesi, ha evidenziato una situazione critica per il futuro del mercato. Alla presenza di un
elevato numero di consumatori che soddisfano la richiesta di contenuti mediante canali
illegali, si contrappone l’introduzione di modelli innovativi basati sullo streaming on
demand. Tuttavia, alla proposta di un’offerta accattivante per il fruitore, viene contestata
una condizione sfavorevole per i creatori di contenuti.
Alla base di un modello economico vi è l’incontro tra domanda ed offerta, ma questo
principio pare mancare nell’industria analizzata.
Lo studio denota i punti di forza e di debolezza dei nascenti servizi, le possibilità di
sviluppo nell’immediato futuro ed il potenziale offerto sia ai consumatori che ai produttori di
contenuti musicali. Per completare il quadro, l’analisi ha interessato anche la situazione
passata e presente delle normative sul diritto d’autore. Alla tradizionale linea di pensiero
adottata dai vertici dell’industria, nuovi studiosi, come Ian Rogers, CEO di Topspin Media,
oppongono l’idea di un registro virtuale dei contenuti che regoli il traffico globale di files
multimediali in rete. Tuttavia, la massiva mole di dati presi in considerazione, nonché
l’ostacolamento rappresentato da convenzioni a livello mondiale, impediscono lo sviluppo
del progetto nel breve periodo.
La descrizione della domanda di mercato è stata conseguita grazie ad una ricerca
quantitativa su un campione di 190 studenti tra i diciassette ed i diciannove anni. I risultati
indicano un’elevata propensione alla fruizione di prodotti musicali, pur confermando il
cospicuo traffico di materiale pirata.
Dal confronto tra offerta disponibile e desiderio dei fruitori, è possibile determinare una
strategia efficace che consenta l’incremento della domanda, con maggior successo
rispetto ai provvedimenti legislativi adoperati.
La tesi condotta non mira a fornire una definizione scientifica della realtà, ma si presta ad
incentivare future ricerche riguardanti la medesima tematica.
1
1. Introduzione
Tenere sotto controllo quotidianamente un mercato ampio, dinamico e multi sfaccettato,
come quello dell’industria dell’infotainment, con particolare attenzione al settore
discografico, è un’operazione che non può prescindere da riflessioni, quesiti e analisi
spesso sconfinanti da una natura prettamente economica e legislativa, per attingere alla
sfera sociale, costituita da persone “comuni”, ignare dei flussi che portano alla possibilità
di fruizione dei prodotti desiderati.
In questo lavoro ho descritto lo scenario ricostruito in otto mesi di ricerca (giugno 2011 –
febbraio 2012) analizzando le posizioni degli attori operanti nel mercato musicale digitale,
ponendo attenzione alle normative che regolano l’esistenza e lo sviluppo di tali business e
alle distinzioni dei canali in cui circolano i prodotti in questione.
A questa fase ho affiancato la field research da me effettuata con cui ho ricercato le
abitudini, le opinioni e i punti di vista dei consumatori di prodotti musicali, di quel
raggruppamento che in economia viene definito domanda e per il quale gli esperti di
marketing di qualsiasi attività economica tentano di sviluppare l’ambiente ottimale per lo
scambio dei prodotti di cui si occupano. Questo almeno in linea teorica, poiché tra le
principali problematiche descritte in seguito, vi è il malcontento da parte di una schiera di
consumatori per l’offerta e per il trattamento instaurato dai vertici dell’industria per
rafforzare la propria architettura di business, probabilmente obsoleta e anacronistica in
termini di progresso economico e culturale. In particolare, le situazioni più allarmanti riscontrate sono:
I. L’introduzione di servizi innovativi basati sullo streaming on demand, concepiti
con attenzione alle esigenze dei consumatori e con grandi prospettive per i
creatori di contenuti che tuttavia si dimostrano inefficienti, poco remunerativi o,
nel peggiore dei casi, malevoli nei confronti di questi ultimi;
II. La presenza di normative, derivanti dal lobbysmo delle grandi società, orientate
alla massima tutela della proprietà intellettuale a discapito della libera
circolazione dei contenuti (non più) in pubblico dominio o volte a punire le
abitudini sempre più consolidate di alcuni consumatori;
2
III. Gli scontri tra i colossi di Internet e i vertici dell’industria dell’infotainment che si sviluppano su core business differenti.
La necessità di conoscere il consumatore è d’obbligo in un sistema economico. L’assenza
di una bibliografia che illustri le motivazioni comportamentali dei soggetti che si servono
dei prodotti del mercato preso in considerazione lascia aperti molti interrogativi che
potrebbero influenzare le dinamiche future.
Con la ricerca primaria ho cercato di fornire una risposta alle domande sopra citate e
descritte in dettaglio nella sezione Metodologia.
L’operazione successiva è stata il confronto tra la varietà di servizi innovativi offerti sul
mercato, la legislazione che impone le condizioni secondo cui i prodotti vengono offerti e
utilizzati e la situazione ideale richiesta dai consumatori, al fine di poter definire l’esistenza
e le principali caratteristiche di un disegno di business che possa soddisfare ampiamente
le esigenze del fruitore e del creatore di contenuti.
L’obiettivo di questo progetto è di identificare la direzione ottimale da intraprendere per
operare con successo nel mercato discografico in un immediato futuro. Tuttavia, vi sono diversi limiti alla ricerca:
-‐ il settore discografico presenta molti più aspetti di quelli che ho preso in analisi, con
panorami che si estendono tra la multinazionale e l’artista indipendente “da
cameretta”;
-‐ la legislazione non è uniforme a livello globale, ma rispecchia differenze nei vari
Stati e questo, oltre ad essere motivo ulteriore di controversie all’interno dei mercati
internazionali, rende ardua l’adozione di un determinato servizio nelle diverse aree
geografiche;
-‐ il campione rilevato, sebbene possa risultare interessante per la descrizione del
consumatore bresciano (o lombardo) secondo le caratteristiche del target
prestabilito, ha una valenza statistica piuttosto limitata per poter esprimere delle considerazioni generali, universalmente riconosciute.
Il lavoro è stato svolto singolarmente, in tempi relativamente brevi, partendo da una
conoscenza di base piuttosto limitata delle principali dinamiche del settore. Ciò rende
evidente la natura sperimentale del risultato raggiunto, che non termina con la
determinazione di una verità scientifica, al contrario si presta a successive implementazioni da parte della comunità accademica e dei futuri ricercatori.
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2. Literature Review
In un sistema economico in cui un soggetto produce un bene per un terzo soggetto che
trarrà beneficio dall’uso di questo, svolge un ruolo d’indiscussa importanza chi rende
disponibile il prodotto.
A tal proposito avrei potuto ampiamente analizzare i numerosi sistemi di distribuzione dei
supporti musicali fisici o gli ancor più innumerevoli aggregatori digitali, che offrono servizio
a tutti i livelli, dalla grande etichetta major all’artista senza alcun genere di contratto.
Così facendo, però, sarebbe venuto meno l’intento di definire una situazione equa per
artista e utente in quanto, sebbene i servizi accennati sopra possano essere una soluzione
appetibile per chi vuole mettere a disposizione il proprio materiale, per il consumatore il
trade-off sarà in ogni modo comprare il prodotto (in forma fisica o digitale) o non comprarlo
(ricadendo, eventualmente, su sistemi illegali) laddove le caratteristiche si dimostrino
insoddisfacenti.
Sebbene si possa obiettare la mia affermazione col fatto che la distribuzione digitale,
eliminando i costi di fabbricazione, di trasporto e magazzino, potrebbe offrire il prodotto a
un prezzo nettamente inferiore rispetto agli standard di mercato favorendo il consumatore
all’acquisto, di fatto ciò non avviene. Nel momento in cui scrivo, 24 febbraio 2012, l’ultimo
successo di Adele, 21, costa € 10,79 in formato audio CD su Amazon.it e € 9,99 in
formato digitale compresso su iTunes Store (€ 1,29 per ognuno dei 12 brani se si
acquistano separatamente [1,29 x 12 = 15,48]), una differenza troppo modesta per essere
apprezzabile.
Per tal ragione ho focalizzato la mia attenzione sui servizi di streaming on-demand, con
l’obiettivo di verificare vantaggi e svantaggi per entrambe le parti, nonché possibilità di
sviluppo di questo modello nell’immediato futuro.
Volendo rappresentare l’attuale situazione del mercato musicale digitale con maggiore
completezza, ho affiancato il business dei colossi ai principali servizi di streaming per
formulare ipotesi più fondate riguardo alla strategia vincente.
È fondamentale, infine, analizzare il contesto normativo in cui le dinamiche hanno luogo e
che coinvolge l’operato di una parte notevole di consumatori.
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2.1. Streaming on-demand: il futuro?
“Music is no longer a product but a service. Music became a product with
the advent of recording (records, tapes, CDs) and the formation of an
industry that quickly figured out that selling the bottle can make a lot more
money than only selling the wine. For the future, think of a “record label” as
a “music utility company.”“ [Leonhard, 2008]
Con queste frasi, il media futurist Gerd Leonhard descrive il concetto di music like water, la
rivoluzione che identifica la musica non più come un prodotto tangibile bensì come un
servizio; in altre parole come “attività, benefici o strumenti per la soddisfazione del
consumatore, disponibili in commercio e sostanzialmente intangibili”. [Kotler and
Armstrong, 2010, p. 256]
Conseguente a tale distinzione è il nuovo approccio del consumatore: dal possesso
all’accesso.
I servizi di streaming on-demand incorporano pienamente questa filosofia consentendo
l’accesso a un vasto catalogo di contenuti dietro un corrispettivo periodico.
Sebbene si tratti di un argomento in primo piano per gli operatori del mercato musicale, la
compagnia capostipite, Rhapsody, è stata fondata nel 2001, ma pare che soltanto adesso
se ne comprendano le potenzialità e le caratteristiche a livello globale. Perfino i leader
delle piattaforme televisive private italiane, Mediaset e Sky, stanno rilanciando la propria
offerta con, rispettivamente, Premium Play e Sky on-demand.
Tali servizi offrono al consumatore la possibilità di fruire del contenuto desiderato in
qualsiasi momento e luogo, talvolta gratuitamente, unendo le caratteristiche di una
trasmissione e di un download, ma diversificandosi da entrambe le tipologie.
Come in una qualsiasi gamma di diffusione radiofonica (web, via etere, via cavo) non è
possibile appropriarsi del contenuto trasmesso, ma al contrario di queste, si può decidere
di che cosa beneficiare e in che momento, rendendo la fruizione del tutto simile a quella
del download, ad eccezione del possesso.
Per la stessa cifra del prezzo medio di un album su iTunes, € 9,99, si rendono disponibili
milioni di brani per un periodo di un mese, usufruibili non solo tramite il pc, bensì
attraverso dispositivi mobili come gli smartphones e i tablets.
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L’offerta di questi servizi è talmente interessante da far pensare alla svolta dell’industria
musicale, ma non ci sono soltanto pareri positivi.
La comodità dell’accesso consentito potrebbe essere il punto forte per riportare i
consumatori al finanziamento della musica, a seguito di un lungo periodo in cui la pirateria
ha spesso rappresentato l’alternativa alle offerte del mercato, tant’è che tutti i principali
servizi on-demand hanno accordi con le quattro majors e con numerose etichette
indipendenti.
L’invito verso questo modello è messo in risalto anche dalle adesioni gratuite offerte dalle
compagnie, che permettono l’accesso allo stesso catalogo, ma con diverse restrizioni.
Sotto quest’aspetto, MOG propone un’iniziativa alquanto accattivante: vi è un limite al
numero di ascolti mensili, ma questo si può estendere condividendo brani e playlist sui
social networks, ovvero promovendo il servizio e gli artisti preferiti.
Le opzioni free sono sostenute da contratti di advertising con terze società, garantendo un
introito da poter parzialmente distribuire ai possessori di diritti sui contenuti e su questo
fenomeno si sviluppa la critica principale, il guadagno degli artisti. Dall’analisi delle
informazioni fornite dalla band Uniform Motion al blog Techdirt [Masnick, 2011 [online]], si
evince un incasso di € 0,029 per album play col servizio Spotify contro € 6,28 (su un
prezzo di € 8,91 a seguito di uno split 70-30) dal download dell’album su iTunes, un
risultato ben 217 volte inferiore rispetto all’acquisto.
Tale dislivello contribuisce spesso allo scetticismo verso questo modello di business, ma è opportuno fare qualche considerazione:
• "Whatever the exact rate (and there isn’t just one) you have to stream a lot
of music to get the same income as a download, but much, much less than a
web radio stream or radio listens. It take more than 5,500 national BBC radio
listeners to generate the same income as one download in the UK"
[Mulligan, 2012 [online]]
• Sebbene il primo servizio risalga a più di dieci anni fa, problematiche di licensing
ancora oggi impediscono una diffusione globale, rendendo l’accessibilità limitata a
poche aree geografiche, quindi a un limitato bacino d’utenza e un ancor più ristretto numero di sottoscrittori dei servizi premium.
Le compagnie che offrono questo servizio pagano le collecting agencies, che si occupano
di distribuire ad autori e editori i proventi derivanti dallo sfruttamento delle opere
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dell’ingegno, e le case discografiche, le quali dividono la somma con gli artisti in base ai
contratti. L’assenza di accordi universali impone contrattazioni dirette tra queste
compagnie e le società d’intermediazione dei diritti d’autore in ogni Stato.
Lo streaming musicale on-demand è, quindi, ancora nella fase d’infanzia del suo processo,
in voga prevalentemente tra gli early adopters, termine marketing con cui sono indicati gli
utilizzatori delle nuove tecnologie e degli ultimi servizi.
L’inferiorità del profitto ottenuto in questo modo, rispetto ai ritorni monetari dei servizi
digitali tradizionali e consolidati, dovrebbe creare meno allarmismo tenendo in
considerazione anche il fatto che i servizi di streaming pagano ogni singola esecuzione di
un brano, a differenza del download digitale caratterizzato da un’unica transazione. A
questo punto si può ancora contestare la probabilità con cui il numero di ascolti di un
album in streaming equivalga il rapporto di “dislivello monetario” tra i servizi, ma trovo
verosimile ammettere che un ascoltatore godrà più volte dello stesso prodotto musicale,
riducendo così il divario. Suggerisco, inoltre, la possibilità di maggior retribuzione per
l’incremento di capitale redistribuibile a seguito dell’ingresso di nuovi potenziali utenti (tra
cui sottoscrittori di opzioni premium) dovuto ad accordi di licensing in nuovi Stati.
L’espansione geografica dei servizi si potrebbe tradurre con un notevole abbassamento
del gap.
Prima di procedere con l’analisi delle principali dinamiche di queste compagnie, ritengo opportuno fornire ancora alcuni dati:
“In 2011, 76,875 albums were released and sold at least one copy in the
US, according to stats shared by Nielsen Soundscan. These releases
came from major and indie labels, as well as unsigned artists, as long as
they were properly registered and set up with identifiers like UPC barcodes.
That group of 76,875 albums collectively went on to sell about 113 million
copies in the US.
Of that total, sales of roughly 100 million, or 88.5%, came from just 1,500
releases, or 1.9% of the release total.”
[Resnikoff, 2012 [online]]
È l’esempio evidente di un’economia dell’abbondanza, della long tail che avviene nel
tradizionale mercato discografico. Considerando i cataloghi dei modelli on-demand,
nell’ordine della decina di milioni di brani, pare scontato un comportamento analogo, dove i
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best sellers si aggiudicano il maggior numero di ascolti. Tuttavia, la grande opportunità di
accesso, unita all’integrazione di recommender systems, non esclude l’evenienza che
l’ascoltatore dedichi il proprio tempo ad una sezione più vasta del catalogo, creando uno
spostamento della curva della lunga coda, con conseguente innalzamento delle nicchie
profittevoli a discapito della testa. Ipotesi da verificare nel medio-lungo periodo.
2.1.1. Case Study: Spotify
Con il suo ingresso sul mercato nell’ottobre del 2008, Spotify rappresenta una delle
compagnie più recenti che offrono il servizio di streaming on-demand musicale, ma anche
tra le più discusse.
Dalla Svezia, il servizio è stato reso disponibile in tutta la penisola scandinava e
nell’Europa occidentale (Italia esclusa) per poi raggiungere gli Stati Uniti soltanto nel mese
di luglio 2011. Attualmente il servizio vanta un catalogo di oltre 15 milioni di brani e circa
10 milioni di utenti tra cui, però, soltanto 2.5 milioni sono sottoscrittori delle opzioni a
pagamento.
Sebbene lo startup abbia dovuto fronteggiare concorrenti come Rhapsody, in grado di
acquisire società del calibro di MOG e Napster, una scelta ottimale ha reso possibile
l’aumento di distribuzione di proventi ai possessori di diritti da 55 milioni di dollari nel 2010,
a 150 milioni nel 2011 [Fixmer, 2012 [online]].
In linguaggio marketing si indica con time to market il processo che si estende dall’analisi
di mercato al lancio di un prodotto competitivo e Spotify si è dimostrata vincente sul timing.
Il suo modello è approdato nel periodo in cui la tecnologia ha realizzato smartphones con
sistemi operativi adeguati ai piani telefonici comprensivi di traffico dati; il momento in cui
un servizio telematico potesse svincolarsi dall’utilizzo di un computer. Tale situazione ha
consentito lo sviluppo di una tattica che puntasse all’integrazione delle piattaforme, una
strategia API (application programming interface) capace di offrire un’interfaccia funzionale
ed accattivante con cui connettere gli utenti a tutto l’ambiente dei social media da qualsiasi
tipo di dispositivo, fisso o mobile. Il metodo è ottimale per arricchire il database CRM
(customer relationship management), con l’obiettivo di implementare l’offerta. A conferma
di ciò vi sono le numerose apps disponibili nel software che offrono recensioni,
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suggerimenti, testi e molto altro, ma soprattutto la partnership stretta con Facebook nel
settembre 2011. L’accordo prevedeva l’accesso a Spotify soltanto con un account del
servizio di Zuckerberg, condividendo automaticamente le preferenze musicali, gli ascolti o
le nuove scoperte; in breve, rendendo gli utenti sneezers, o “diffusori spontanei
d’informazioni”. Come insegna il guru del marketing Seth Godin, “Sneezers are at the core
of any ideavirus. Sneezers are the ones who when they tell ten or twenty or 100 people—
people believe them.” [Godin, 2000].
Nonostante l’ottimo esordio, alcuni celebri episodi hanno messo in dubbio l’efficacia di
questo modello di business. Si tratta delle ultime uscite discografiche di artisti quali Tom
Waits, Adele, Coldplay e Black Keys. L’opposizione delle celebrità nei confronti
dell’accesso ai loro ultimi successi attraverso i servizi di streaming on-demand,
inizialmente pareva un segnale di protesta contro i trattamenti riservati ai right holders. Il
trend ha ricevuto conferma quando, in seguito, il distributore e aggregatore digitale ST
Holdings ha ritirato il catalogo di 234 etichette di cui era incaricato [Resnikoff, 2011
[online]], contrariato dagli scarsi ritorni monetari.
Tuttavia Mylo Xyloto, l’ultimo album della band Coldplay, è stato licenziato su Spotify dopo
alcune settimane dall’uscita ufficiale. Questa decisione ha mosso nuovi interrogativi,
ponendo attenzione sul fenomeno del windowing. Il termine suggerisce l’idea dello
“sbirciare dalla finestra” e fa riferimento ai passaggi che rendono fruibile un prodotto in
diversi formati. Riferendoci al mondo del cinema, le pellicole sono dapprima proiettate
nelle sale. Dopo un determinato periodo, i titoli vengono distribuiti su supporti fisici o resi
disponibili dai palinsesti dei network televisivi a pagamento. Il gap temporale tra i due
passaggi descritti implica una forma di tutela per il mercato delle sale cinematografiche.
Analogamente, analizzando le uscite discografiche menzionate, c’è il sospetto che alcuni
artisti di alto livello temano la cannibalizzazione delle vendite a favore degli streams.
Quest’atteggiamento comporta un notevole rischio per i modelli on-demand: innanzitutto vi
è una forma d’obbligo all’acquisto per i potenziali interessati, rendendo la scelta ostile nei
confronti degli abbonati. Inoltre, privando i cataloghi dei bestsellers più richiesti, si limita
l’incentivo alla sottoscrizione dei servizi premium e, in generale, all’adozione di tali servizi,
con conseguente impedimento allo sviluppo e a tutti i benefici che esso potrebbe
comportare, come descritto in precedenza. E se finora i deficit di questo business
sembravano celati nei modesti introiti, è possibile evidenziare come un grande problema
sia dato dallo scetticismo degli stessi produttori di contenuti. Patrick Carney, batterista dei
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Black Keys recentemente ha affermato: “we won’t put all of our music on it until there are
enough subscribers for it to make sense.” [Carney cited by Makarechi, 2012 [online]].
Sarebbe interessare determinare il fattore che inviti un maggior numero di soggetti a
sottoscrivere gli abbonamenti premium se il servizio viene volontariamente privato delle
uscite più attese. Inoltre, se attualmente Spotify possa rappresentare un introito modesto,
non figura in alcun modo come costo per gli artisti.
Nonostante le questioni descritte, Daniel Ek, CEO e fondatore di Spotify, ha confermato il
proprio ottimismo riguardo alla crescita del business e alcuni rumors nel settore rivelano
l’obiettivo dei 100 milioni di utenti [Andrews, 2012 [online]]. L’ambizione comporterebbe
ingenti investimenti per potenziare il sistema API e regolamentare il licensing a livello
internazionale e, una volta raggiunto l’obiettivo, la questione essenziale sarebbe se
mantenere un’azienda privata oppure optare per un’offerta pubblica iniziale. In questo
caso, si porrebbe il problema delle somme distribuibili tra gli aventi diritto. Così come nelle
attuali contrattazioni per le inserzioni pubblicitarie, indispensabili per il sostegno dell’offerta
gratuita, l’incremento dei fondi a seguito di negoziazioni favorevoli sul mercato del capitale
di rischio sarebbe da considerarsi benevolo per i titolari dei diritti sui titoli in catalogo? Robert Andrews di PaidContent afferma:
“just as contracts many artists signed with labels years ago don’t account
for significant streaming or even download royalties, there is likely no
contractual provision for labels returning to artists proceeds from any investment gains.” [Andrews, 2012 [online]]
In conclusione, vi sono aspettative alquanto positive per lo sviluppo di Spotify, un servizio
che pare possa apportare benefici per produttori e consumatori, rivoluzionando le
dinamiche del tradizionale mercato musicale. Tuttavia, la maturità di questo progetto deve
ancora giungere, obbligandoci ad assistere alle evoluzioni del prossimo futuro.
2.1.2. Case Study: Grooveshark
Analogamente a Spotify, anche Grooveshark offre la possibilità d’accesso a un catalogo di
circa 15 milioni di brani mediante le opzioni free e premium e, grazie ad una presenza
territoriale più vasta, può vantare un’utenza di circa 35 milioni di individui.
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Tuttavia, dovuto alla gestione totalmente diversa del business, l’attività di questa
compagnia rischia di giungere al capolinea.
Come si può notare nella sezione Legal del sito, l’upload di contenuti musicali è consentito
alle oltre mille etichette discografiche con cui Grooveshark ha ratificato contratti di licenza
(tra cui EMI è l’unica major, a differenza dei già citati servizi che hanno accordi con i
quattro colossi), agli artisti indipendenti senza etichetta e agli utenti stessi
[grooveshark.com/legal].
Analizzando il celebre servizio YouTube, basato prevalentemente sugli upload degli utenti,
si riscontra il sistema Content ID, con cui è possibile tracciare l’eventuale uso illecito di
materiale all’interno del sito. In questo caso, i detentori di diritti possono depositare i
documenti originali presso un database dedicato. Ogni volta che un contenuto di qualsiasi
tipo sarà caricato su YouTube, il sistema lo confronterà con i file di riferimento e in caso di
uguaglianza (audio, video o entrambe) verrà, secondo la volontà del titolare, rimosso dal
sito o conteggiato per la monetizzazione [youtube.com/t/contentid]. Tale intervento
assicura il regolare operato a fronte della possibile inosservanza del copyright da parte
degli utenti, ma è del tutto assente in Grooveshark, rendendo il servizio paragonabile a un
sistema di hosting con possibilità di fruizione in tempo reale. O meglio, come descritto
nelle prossime righe, la filosofia adottata in questo caso si struttura sulla libertà di upload e
l’eventuale rettifica a seguito di contestazioni avanzate dalla parte lesa.
Il sospetto di attività illecita è scaturito dalla corrispondenza, riportata nei dettagli da Digital
Music News, tra Declan Colgan Music LTD e Paul Geller, Senior Vice President di
Grooveshark, riguardo il tentativo di rimozione dei brani di King Crimson e Robert Fripp,
presenti nel catalogo senza alcuna licenza.
Il DMCA complaint form [ http://www.grooveshark.com/dmca_form ] richiede l’indirizzo
URL del file contestato (o un documento di testo laddove sia presente una lista di
contenuti illeciti) per poterlo individuare e cancellarlo. In teoria.
Il caso Fripp, seguito dall’analoga protesta dell’editore della band The Eagles, ha fatto
emergere come “the url’s constantly change, meaning that, while Grooveshark might
momentarily remove a specific url, another identical replacement is uploaded within 24
hours” [Lisa Thomas Music Services cited by Resnikoff, 2011].
A conferma della faccenda, il 17 ottobre 2011 un anonimo commento allo scambio di
emails tra i soggetti sopra citati rivelerebbe alcune dinamiche illecite all’interno della compagnia:
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“I work for Grooveshark. Here is some information from the trenches:
We are assigned a predetermined ammount of weekly uploads to the
system and get a small extra bonus if we manage to go above that (not
easy).
[…] You have to visualize the database in two general sections: "known"
stuff and "undiscovered/indie/underground". The "known" stuff is taken care
internally by uploads. Only for the "undiscovered" stuff are the users
involved as explained in some posts above. Practically speaking, there is
not much need for users to upload a major label album since we already
take care of this on a daily basis.
[…] And, to confirm the fears of the members of King Crimson, there is no
way in hell you can get your stuff down. They are already tagged since you
sent in your first complaint. The administration knows that you can’t afford to sue for infingement.” [Visitor cited by Resnikoff, 2011 [online]]
Così come accade per i servizi concorrenti, anche Grooveshark trae profitti dai contratti di
advertising e dalle sottoscrizioni premium, ma, se prima si poneva il dilemma della scarsa
remunerabilità per gli artisti, ora si presenta un uso illecito di contenuti musicali retto
sull’improbabilità che un soggetto possa sostenere una causa contro una compagnia
internazionale. Sarebbe diversa la questione se ad accusare la società fosse
un’importante multinazionale. O più di una.
Il 18 novembre 2011 viene depositata presso la corte distrettuale di Manhattan, l’accusa da parte di UMG (Universal Music Group). Il punto primo recita:
“This case relates to a business that is engaged in the willfull infingement of
a massive number of copyrights over the Internet. Defendant Escape Media
Inc. (“Escape”) owns and operates a pirate website, www.grooveshark.com
(the “Grooveshark website”), through which it provides anyone with an
Internet connection with free and unfettered access to infringing copies of
“any song in the world”.” [Bart, 2011]
Se Grooveshark si affidasse al § 512, titolo 17, dello United States Code (noto come safe
harbor), sarebbe utile ribadire l’esclusività del trattamento riservato agli Online Service
Providers soltanto laddove il gestore sia inconsapevole del traffico sui propri server; fattore
12
da escludere nella gestione di un business legato a licenze e contratti. Ad ogni modo, la
compagnia è costretta a rimuovere definitivamente il contenuto sollecitato dal titolare dei
diritti in un ristretto lasso temporale, ma come evidenziato nella lettera del dipendente della
società, citata perfino come prova nel caso UMG, ciò non avviene.
Considerato l’operato della compagnia nei confronti di artisti rinomati, dapprima, e di una
delle quattro majors, poi, anche Sony e WMG hanno appoggiato l’accusa nel dicembre
2011, seguite dalla partner EMI, questa volta per mancato pagamento di royalties
[Peoples, 2012 [online]].
E mentre il processo è ancora in atto, il servizio è del tutto operativo. Non sappiamo
ancora per quanto tempo, né se il sistema sopravvivrà rinnovando il proprio modello, ma,
innegabilmente, la situazione attuale non contribuisce alla crescita di fiducia verso lo
streaming on-demand da parte dell’industria, tanto meno alla soluzione di equilibrio che mi
propongo di identificare.
2.1.3. Il business dei “Giganti”: la musica come pretesto.
Esaminando il modello on-demand, finora ho riportato due testimonianze di società
concorrenti poste agli antipodi per ciò che riguarda le attese future, ma c’è perfino chi ha
trovato interesse nello stesso mezzo, adoperando filosofie completamente diverse.
Com’è possibile notare dall’annual report 2011 di SONY, l’area Consumer, Professional &
Devices, il settore dell’elettronica di consumo, rappresenta il 46,6% dell’intero volume
d’affari della corporate che, con lo slogan 3D World, si concentra sul business dei
contenuti high-quality, come da tradizione. Nello stesso documento, l’area music
rappresentata dalla major Sony Music Entertainment contribuisce al fatturato globale con
un valore pari al 6,4%. Nonostante le cifre, il CEO Howard Stringer afferma:
“One of our goals is to deliver, through our wide range of appealing
products, the most compelling and exciting content and entertainment
experiences to our customers around the world. The integration of
hardware, content and services through the network is essential to making
13
this happen.” [Stringer, 2011 p.6]
Ripercorrendo la storia dell’azienda, si può osservare il tentativo di fusione tra hardware e
contenuti ripetuto più volte. Durante la convenzione dell’Audio Engineering Society del
1979, Sony Corporation ha presentato un supporto ottico che consentiva la registrazione
ad una frequenza di 44.056 Hz di un programma musicale stereo , codificando il segnale a
una risoluzione di 16 bit. La joint venture con Philips per tale progetto ha determinato, nel
1982, l’inizio di una nuova era per l’industria musicale: l’epoca dell’Audio CD. La
collaborazione, inoltre, si è ripresentata perfino anni dopo con l’avvento del meno fortunato
Super Audio CD del 1998.
Sebbene l’innovazione del CD abbia indubbiamente rivoluzionato la fruizione della musica,
ha generato un enorme vantaggio competitivo per l’azienda in quanto produttrice di
apparecchi per riprodurre il nuovo supporto.
Sony Entertainment Network riprende lo stesso concetto a circa trent’anni di distanza.
Con un portafoglio suddiviso tra Music Unlimited, Video Unlimited e Playstation Network,
offre l’accesso a milioni di contenuti multimediali in grado di soddisfare un target più esteso
di consumatori.
In particolare, il servizio Music Unlimited si presenta come i già citati modelli on-demand:
pieno accesso a un database di circa 15 milioni di brani (licenziati da tutte le majors, non
soltanto catalogo Sony). La prima differenza sta nell’inesistenza di un’opzione free. Vi
sono due possibilità di sottoscrizione: Basic a € 3,99/mese che permette di ascoltare
musica offline, sincronizzare l’account su più dispositivi, utilizzare il servizio all’estero e
condividere gli ascolti sui social network, ma non permette la creazione, il salvataggio delle
playlist e l’accesso immediato ai più grandi successi, funzione disponibile soltanto col
modello Premium a € 9,99/mese. Le tariffe sono perfettamente competitive, inoltre,
trattandosi di un’azienda corporate leader nel mercato musicale, è comprensibile l’assenza
di un servizio gratuito finanziato da concorrenti mediante contratti pubblicitari.
La vera differenziazione dalle compagnie che operano su questo mercato sta nella totale
integrazione che Sony offre con i suoi prodotti consumer di nuova generazione. Oltre ai PC
e alla telefonia mobile, è possibile fruire dell’offerta di Sony Entertainment Network da tutte
le apparecchiature audiovisive presenti nei salotti domestici (ovviamente marchiate Sony),
nonché su PS3 e PSP.
14
Ancora una volta, la politica della multinazionale crea un incentivo bilaterale: la possibilità
di acquisto di prodotti consumer Sony per via del potenziale network che offrono, oltre
all’acquisizione di un target interessato ai servizi on-demand e già in possesso
dell’attrezzatura della casa giapponese, dimostrandosi in ogni caso una scelta
interessante.
Facendo una riflessione sulle opportunità per gli artisti, l’adozione di Music Unlimited
favorisce, indubbiamente, i best sellers e tutti i nuovi successi, interesse delle major e di
un pubblico mainstream a discapito di molte nicchie, interessanti per un pubblico di heavy
consumers, non presenti nel ricco database [Greenwald, 2012 [online]].
Una strategia simile è stata adottata perfino dalla multinazionale Google. La compagnia
nota per il motore di ricerca e le tecnologie per l’advertising, già nel 2006 entrò nel mercato
dell’on-demand con l’acquisizione di YouTube. Lo slogan Broadcast Yourself suggeriva la
possibilità di caricare e condividere filmati amatoriali, ma la libertà offerta dalla rete ha
concesso agli utenti il traffico illecito di contenuti protetti da copyright.
Come già descritto, il business è stato disciplinato grazie alla tecnologia del ContentID
che, monetizzando gli streams con rapporto di 1$/1000 click, rappresenta in alcuni casi un
introito apprezzabile: numerosi videoclip ufficiali hanno visualizzazioni nell’ordine delle
decine di milioni di visite (alle quali sono sommate le versioni non ufficiali regolamentate),
corrispondenti a decine di migliaia di dollari. YouTube trae guadagni esclusivamente
dall’advertising, rappresentando un’enorme vetrina virtuale ad accesso libero e
un’opportunità interessante per artisti e labels.
Oltre al popolare video streaming service, casa Google si è estesa alla telefonia mobile;
dapprima col sistema operativo Android e nel 2011 con l’acquisizione della compagnia
Motorola. Nella “corsa all’integrazione”, Google lancia il cloud service Google Music, un
modello gratuito di streaming che consente all’utente la creazione di un account
sincronizzabile con l’applicazione disponibile sull’OS Android, su cui caricare i brani
acquistati da Android Market, nonché fino a 20.000 brani presenti sul proprio computer.
Tale mossa risulta una forma di concorrenza diretta al cluod computing indetto da Apple,
come pure al dominio per la telefonia.
Tuttavia il sistema non è convincente secondo vari aspetti. Questo servizio non consente
l’accesso a contenuti diversi da quelli acquistati, escludendo l’incentivo offerto dall’accesso
dei cataloghi on-demand. Inoltre, per evitare attività di pirateria, una volta caricati i brani
15
sul proprio account non è possibile ri-scaricaricarli come file audio, impedendo la
condivisione non autorizzata. In breve, se utilizzato da pc fornisce le stesse possibilità
offerte da iTunes: una libreria musicale unita ad un negozio online. Da un dispositivo è
perfino inferiore all’utilizzo di un iPod o iPhone, avendo bisogno di una rete per l’accesso.
Sebbene il sistema consenta il buffering di brani per l’utilizzo offline, la memoria a
disposizione raramente consentirà il caricamento di un numero molto elevato di brani.
L’utilizzo di contenuti musicali per promuovere business di diversa natura, telefonia e
traffico web, in questo caso sembra poco efficace, offrendo una tecnologia che non
presenta punti di forza superiori rispetto ai modelli già affermati sul mercato, necessari per
raggiungere il target interessato. Ancor più basso, dal mio punto di vista, risulta l’interesse
per gli artisti: non scorgo vantaggi nella cessione esclusiva di licenza per la distribuzione
su Android Market, avente un’utenza inferiore rispetto alla leadership di Apple, se non la
libertà concessa per la politica di prezzo contraria alla rigidità della “mela” [Rubin, 2011
[online]].
A sostegno della mia tesi vi è l’analisi di C|Net, noto blog di hi-tech, al termine del primo
quarto del 2012:
“At the time of Google Music's November launch, there were more than 200
million activated Android phones and tablets. […]
Phones are important to the labels. They see a future where subscription
services offer unlimited access to music and the fees are wrapped into
phone bills. The thinking here is that this will make the consumer's buying
experience much more painless.” [Sandoval, 2012 [online]]
Il giornalista conferma i benefici dei modelli on-demand come motivo dell’insuccesso di
Google Music, sebbene presente da poco sul mercato.
Concludo evidenziando un altro punto di perplessità. Supponendo, verosimilmente, una
track list di 10 brani per album, i 20.000 brani che il servizio consente di caricare sul
proprio account, corrisponderebbero a 2.000 album, cifra piuttosto elevata per una
comune collezione.
Nella sezione B, punto 6.e (User-Submitted Content) del Google Music Terms of Service,
si vieta l’upload di contenuti che infrangano il copyright, basandosi sulla buona fede
dell’utente, così come accade per i servizi di hosting. Ciò nonostante, sebbene vi sia un
16
margine di tutela dato dall’impossibilità di scaricare i file caricati, il servizio potrebbe
rappresentare una forma di backup online di ricche librerie musicali ottenute illegalmente.
Ancora una volta la questione è lasciata in mano alla moralità degli utenti, a differenza
dello streaming on-demand che potrebbe favorire l’abbandono definitivo della pirateria.
2.2. La condizione legislativa
Ripercorrendo la storia del diritto d’autore, sia lo Statute of Anne del 1709, il primo statuto
sul copyright, che la legge Le Chapelier del 1791, nacquero a tutela delle opere
dell’ingegno. Nel primo caso venivano garantiti i diritti esclusivi sulla pubblicazione
(letteraria) per una durata di quattordici anni, estendibili su richiesta dell’autore di ulteriori
quattordici. Nel secondo, la legge emanata dall’avvocato e politico Le Chapelier, in seguito
alla Rivoluzione Francese, garantiva la tutela dei diritti concernenti le opere teatrali fino a
cinque anni oltre la morte dell’autore [Torremans, 2007 p. 145 – 148].
Termini, a mio avviso, ragionevoli in particolar modo per ciò che concerne l’esempio
britannico: una forma di tutela sufficientemente estesa da permettere la sussistenza
dell’autore di opere letterarie mediante lo sfruttamento della propria pubblicazione, ma
favorente, al tempo stesso, la realizzazione di nuove opere qualitativamente valide al fine
di un reddito per gli anni a venire.
Negli Stati Uniti il copyright assume fondamentale importanza con la legge federale del
1976, entrata in vigore nel ’78, che introduce un termine di cinquanta anni post mortem o
settantacinque anni dalla pubblicazione delle opere antecedenti al 1978.
Da quel momento vi sono state ben 15 implementazioni al Copyright Act in trentacinque
anni [Masnick, 2012 [online]], tra cui la Sonny Bono Copyright Term Extension Act del
1998 che ha esteso i due termini di ulteriori vent’anni (in linea con la tutela dell’opera da
parte della legge italiana di settant’anni dopo la morte dell’autore), allontanando in tal
modo la possibilità di attingere liberamente a contenuti che sarebbero entrati in pubblico
dominio. Un provvedimento analogo è stato preso dall’Unione Europea il 12 settembre
2011, con la conseguente estensione dei diritti connessi al diritto d’autore da cinquanta a
settant’anni (dopo aver tentato di equivalere la legge statunitense post ’78, coi
novantacinque anni). Il motivo della direttiva europea suggerisce una garanzia di
17
protezione per l’industria dei contenuti in vista della scadenza dei diritti connessi delle
opere degli anni ’60, tuttora oggetto di forte interesse economico, che sarebbero state rese
accessibili liberamente entrando nel catalogo di pubblico dominio.
Sulla moralità e le conseguenze dell’innalzamento dei termini, indagherò nel capitolo
dedicato all’analisi dei dati rilevati dalla mia indagine. Intanto, come dimostrato da Cisco
Systems’ Visual Networking Index e riportato dal
New York Times, il traffico illecito di contenuti
protetti da copyright rappresenta oltre il 25%
dell’intero flusso di dati del web, con più di un
miliardo di visite mensili alle pagine dei più popolari
siti contenenti materiale illegale. Un valore tanto
elevato origina notevoli considerazioni riguardo ai
possibili danni riportati all’economia del settore, ma
il fatto che un così elevato numero di utenti
infranga la legge, mi suggerisce un forte interesse
per il prodotto offerto, ma anche la possibilità
d’insoddisfazione per le modalità di fruizione
offerte dal mercato.
Se in precedenza ho affermato l’eventualità con cui
i servizi di streaming on-demand, garantendo l’accesso a condizioni favorevoli per il
consumatore, potrebbero incentivare il ritorno al finanziamento del mercato musicale, gli
organi legislativi hanno attuato procedure di tutt’altra natura.
Nel maggio 2011, al Senato statunitense, venne presentato l’atto legislativo PROTECT IP
ACT (Preventing Real Online Threats to Economic Creativity and Theft of Intellectual
Property Act), seguito a distanza di cinque mesi da un disegno analogo alla House of
Representatives, lo Stop Online Piracy Act. Entrambe le proposte imponevano agli ISP
l’oscuramento dei siti contenenti materiale illecito, nonché vietavano ai motori di ricerca di
mostrare i DNS segnalati e intimavano alle società offerenti servizi di pagamento
l’interruzione dei rapporti con tali siti. Rendere indisponibili le fonti dei contenuti illegali è
certamente funzionale alla riduzione della pirateria, ma, probabilmente, non cura il
malcontento tra i consumatori. Inoltre, trattandosi di un notevole flusso di dati, è possibile
rilevare nella storica protesta del 18 gennaio 2012, a cui hanno partecipato Google,
[Porter - The New York Times, 2012 [online]]
18
Wikipedia, Amazon e Wordpress in aggiunta a innumerevoli1 siti medio-piccoli, e che ha
portato al rinvio dei suddetti provvedimenti [Tolmachev, 2012 [online]], oltre alla
manifestazione dell’insoddisfazione per i trattamenti proposti e per la limitazione alla
diffusione della cultura, un grande interesse economico da parte dei colossi di internet,
traenti la principale fonte di reddito proprio dal traffico web.
Diversamente, dalla Francia sono già disponibili i primi dati della campagna basata sui
three-strikes, HADOPI. Ricordando che in questo caso l’autorità punisce direttamente
l’utente trasgressore attraverso un duplice sistema di notifiche d’infrazione a cui segue il
pagamento di un’ammenda e l’esclusione dall’accesso alla rete per la durata di un mese, riporto i dati forniti da Digital Music News:
“French population (2011): 65.8 million
Number of first-round letters: 822,000
Number of second-round letters: 68,000
Number of third-round letters: 165” [Resnikoff, 2012 [online]]
I dati attestano che soltanto lo 0,00025% della popolazione francese ha persistito nell’uso
di servizi illeciti a fronte dei solleciti ricevuti, in altre parole soltanto lo 0,02% dei “pirati”
iniziali. Ancora una volta, impedire l’accesso alla rete, così come oscurare le fonti malevoli,
indubbiamente riduce il traffico illecito di contenuti protetti. Ciò che non è altrettanto palese
è l’adozione di sistemi leciti come conseguente modalità di fruizione dei contenuti
interessati. Occorrerebbe verificare la natura del bisogno presente nel consumatore e se
questo sia sufficientemente sviluppato da vincolare un’acquisizione che implichi una
cessione monetaria. In breve, valuto più importante l’offerta agli utenti di un modello a
pagamento ottimale che soddisfi a pieno le esigenze, a costo di un introito minore rispetto
a ciò che l’industria si aspetta attualmente dalla propria offerta, ma che porti ad un
abbandono spontaneo dei sistemi illegali. Questo comporterebbe una revisione delle
attuali leggi sul diritto d’autore e diritti connessi e renderebbe superflua la tendenza
protettivo-repressiva attuata dai vertici dell’industria. La riduzione della pirateria non
dovrebbe essere un obiettivo, bensì la conseguenza di un’ottimale gestione economica.
1 È possibile visualizzare la lista degli oltre 115000 siti partecipanti: http://sopastrike.com/on-strike
19
2.2.1. Il grande registro virtuale
Il paragrafo precedente si discosta dal voler analizzare le singole misure impiegate dai
vertici dell’industria dell’intrattenimento insieme agli organi legislativi, per favorire una
panoramica delle dinamiche internazionali in materia di pirateria e far emergere le
questioni più rilevanti. Se l’elevato tasso di pirateria sia dovuto a fattori di natura
economica oppure ideologica, emergerà nei risultati dell’indagine. Tuttavia, l’abitudine
diffusa ampiamente tra gli utenti del web dimostra un disequilibrio di mercato, giacché la
domanda contrasta abitualmente l’offerta. In questo caso è opportuno valutare se
l’efficienza maggiore si ottenga con interventi legislativi che rafforzino progressivamente
un business già in difficoltà, oppure riformulando l’offerta. Ma cosa succederebbe con
l’adozione di un sistema informatico che gestisca automaticamente qualsiasi contenuto in
rete in base a istruzioni dettate nel momento dell’upload originale?
La tecnologia in questione ha fatto la sua apparizione nel 2002 con il progetto SNOCAP in
seguito alla chiusura del primo Napster, il famoso servizio di file sharing. Grazie a tale
servizio, artisti ed etichette potevano censire i propri cataloghi sul web, disciplinando le
norme d’uso concesse, attribuendo, ad esempio, l’opportunità di preascolto di un brano a
scopo valutativo per l’acquisto esclusivo da uno store online, oppure la libera circolazione
del contenuto, incluso il download gratuito. La compagnia aveva persino raggiunto accordi
con le quattro majors per la tutela dei propri cataloghi, ma le ottime prospettive iniziali sono
svanite con l’abbandono del progetto in seguito alla partnership con MySpace Music,
accordo intrapreso per la realizzazione di un servizio di streaming on-demand e store
online costituito dai brani degli utenti MySpace [Crunch Base, 2011 [online]].
Il progressivo abbandono di utenza dalla piattaforma a favore dei nuovi social media, tra
cui Facebook, a causa di personalizzazione assente, difficoltà di comunicazione e
rimuneratività modesta, ha portato al fallimento del progetto [Amerland, 2011 [online]].
Tuttavia, nonostante l’insuccesso dell’esperimento, alcuni operatori dell’industria
dell’infotainment ripropongono soluzioni analoghe, come si denota da un intervento di Ian
Rogers, CEO di Topspin Media, nota piattaforma di promozione direct-to-fan per artisti, a
seguito della controversia antecedente la votazione del SOPA presso la Camera statunitense.
20
“what is the practical way to support an ecosystem where copyright holders
have options and control without breaking the openness and innovation which makes the Internet valuable?” [Rogers, 2012 [online]]
Rogers risponde al quesito ripresentando il registro virtuale associato alla tecnologia di
Automated Content Recognition, Robust SmartID, offerta dalla compagnia Audible Magic.
Analogamente alla già citata ContentID di YouTube, Robust SmartID è in grado di
riconoscere files audio e video attraverso un sistema di confronto con i contenuti depositati
presso il proprio database. Inoltre, il sistema assicura l’immunità da possibili modifiche
apportate ai contenuti originali da parte di terzi, quali diversa equalizzazione,
downsampling o interventi sulle caratteristiche delle immagini, vanificando l’occultamento
del sistema a seguito di alterazioni. La creazione di un registro virtuale globale teso a
raccogliere ogni singolo file multimediale presente sul web, correlato al proprio business
rule, associato a una tecnologia di riconoscimento automatico obbligatoria per ogni
servizio di fruizione in rete, garantirebbe il massimo controllo del traffico online senza
ricorso a continui interventi legislativi e senza limitazioni alla libertà d’espressione degli
utenti. L’artista o l’etichetta in possesso di un nuovo contenuto, per poterlo rendere
disponibile sul web, non dovrebbe fare altro che caricare il materiale nel registro
specificando ogni singola modalità d’uso consentita, ad esempio imponendo il prezzo per il
download a pagamento (con la conseguente disponibilità soltanto presso i servizi che
accettano flessibilità nel prezzo di vendita), concedendo o meno la licenza per i servizi di
streaming on-demand o, addirittura, rilasciando la possibilità di download gratuito con
eventuali specifiche riguardanti modifica e ripubblicazione. In questo modo, se un utente in
possesso del contenuto in questione, per esempio a seguito di un acquisto lecito, tentasse
l’upload su un servizio di hosting, il sistema d’identificazione automatica riconoscerebbe
l’eventuale assenza di concessione gratuita bloccando l’operazione. Viceversa, in
presenza di licenza per free download, l’upload verrebbe autorizzato, non interferendo con
il business rule del contenuto.
Tuttavia sussistono numerose problematiche. Ipotizzando che l’utente di prima tenti di
caricare il contenuto nel flash player del proprio sito, vietando il download a discapito di
una forma di streaming on-demand, licenza autorizzata dal registro, si presenterebbe una
controversia riguardo la forma di monetizzazione degli streams. Le compagnie di
streaming, come già spiegato, hanno accordi con le etichette ed erogano le somme dovute
21
alle case discografiche e alle collecting agencies. L’utente amatoriale, presumibilmente,
esula dai rapporti con tali entità e questo implica la necessità di una compilazione
minuziosa che descriva perfino le società abilitate alla disposizione di tale licenza. Si
potrebbe considerare, per di più, l’ideazione di un sistema di fruizione completamente
differente da tutta l’offerta attuale del mercato. Le regole inserite nel registro sarebbero
antecedenti alla nuova introduzione, apportando notevoli impedimenti allo start up del
nascente modello di business.
Dato l’enorme potenziale dei sistemi informatici, l’armonizzazione di un sistema globale di
questo tipo potrebbe necessitare di tempi lunghi e investimenti ingenti. Non trascurabile,
infine, è l’ambito amministrativo. La gestione globale dei contenuti dell’industria
dell’infotainment potrebbe richiedere l’istituzione di un’entità sovranazionale dedicata al
controllo del massivo flusso di dati, sebbene la massima efficienza di un sistema
informatico ottimale risulterebbe sufficiente. A seguito di una progettazione curata in ogni
dettaglio, l’implementazione e il controllo potrebbero spettare ad una società informatica
finanziata secondo il sistema adoperato da alcuni aggregatori digitali, ovvero una tassa
annuale per avere la possibilità di rendere disponibili i propri contenuti, unita al pagamento
per ogni file caricato.
Il progetto si prospetterebbe come una vera rivoluzione per i modelli di business del
settore, ma vi sono ancora molti ostacoli da superare, tra cui gli innumerevoli attori
interessati, per sperare in una soluzione imminente.
Nonostante tutto, perfino alla Stanford University è in fase di sviluppo un progetto analogo,
SIPX – Stanford Intellectual Property Exchange, che alimenta l’idea di questa soluzione,
semplificando la circolazione delle opere dell’ingegno e delle licenze ad esse attribuite
[Stanford University, 2011 [online]].
22
3. Metodologia
Philip Kotler (2010, p. 6), nelle prime pagine del celebre manuale Principi di Marketing,
afferma: “Il marketing riguarda la creazione di valore per i clienti. Perciò, per l’impresa il
primo passo nel processo di marketing è comprendere appieno i consumatori e il mercato
in cui opera”.
Partendo da questa dichiarazione, mi sono reso conto di come, tra tutta la bibliografia
consultata per svolgere questo lavoro, non abbia mai rinvenuto risultati di ricerche
sull’opinione del consumatore riguardo al mercato discografico. Vi sono numerose
statistiche dei principali istituti di ricerca (Nielsen Soundscan, Istat, Big Champagne) che
rilevano dati concernenti i consumi, variazioni delle vendite, il traffico di contenuti pirata,
ma pressoché inesistenti elaborati relativi a giudizi, bisogni e desideri dei fruitori di prodotti
musicali.
Tra i risultati più interessanti, ho potuto consultare un report, Fewer Than 1 in 10
Teenagers Believe that Music Piracy is Morally Wrong, datato 2004 (ben otto anni fa) e
redatto da Barna Research Group. L’agenzia californiana, operante nel settore degli studi
di mercato, ha condotto l’indagine online dal 20 al 24 febbraio 2004 su 1449 soggetti tra i
13 e i 18 anni, dimostrando come soltanto 8% dei teenagers ritenesse la pirateria
moralmente scorretta [The Barna Group, 2004 [online]].
Inoltre, un ulteriore stimolo all’inchiesta da me condotta e descritta nei dettagli nelle righe
successive è scaturito da dichiarazioni sul web, come la seguente, apparsa su Digg, noto blog in materia di tecnologia:
“That is why I pirate: When I buy something, I want to own it. I don’t want a
publisher or broadcaster to dictate how or why or when I can use something
that I own. […]
That is why I pirate: When I buy something, I want to be free to enjoy it
however I like. I don’t want to be forced into “borrowing indefinitely” or only
being allowed to play a movie through iTunes, on a computer. […]
23
That is why I pirate: Because digital games, movies, and music are
overpriced and don’t kick enough money back to the original artist.”
[Anthony, 2012 [online]]
Tali informazioni mi hanno suggerito la necessità di conoscere le motivazioni di un numero
maggiore di consumatori basandomi, in modo analogo alla ricerca Barna del 2004, sulle
opinioni della Generation Y2, i nuovi protagonisti all’interno dei mercati.
Alla luce delle analisi effettuate nel capitolo precedente, rimangono ancora alcuni interrogativi:
-‐ Come si possono scaturire l’attenzione e l’interesse riguardo a temi come il
copyright al consumatore comune e, soprattutto, alla “now generation, and the
growing population that has never experienced the world without a TV, the internet,
and the freedom this offers” [Freeth quoted by Enigmax, 2011 [online]]?
-‐ Quali sono le motivazioni che spingono i consumatori ad agire secondo i risultati
rilevati dai principali centri di statistica?
-‐ Quanto sono conosciuti i servizi legali per la fruizione di musica introdotti nei tempi
più recenti?
-‐ Che cosa desidera il consumatore, quali sono i suoi principali bisogni, in tema di
contenuti musicali?
-‐ Qual è il valore percepito dal consumatore dal modello tradizionale descritto dall’industria discografica?
La metodologia adottata per raggiungere le soluzioni ricercate si fonda sul paradigma
post-positivista, la teoria per cui qualsiasi osservazione può dimostrarsi fallimentare,
erronea o messa in discussione per via di un realismo critico che afferma l’impossibilità di
definire una realtà con certezza assoluta. [Trochim, 2006 [online]]
Tale impossibilità è data dall’influenza che il ricercatore esercita nell’ottenere il risultato
indagato e dalla propria visione della realtà. Ribadisco la natura sperimentale di questo
lavoro volto non a definire una verità universalmente accettata, bensì un esito da
triangolare in seguito con prossime documentazioni della comunità scientifico-accademica,
al fine di raggiungere un livello di oggettività più prossimo alla dinamica dei fatti.
2“ I nati tra il 1977 e il 2000 dalla generazione dei baby boomer” [Kotler, Armstrong 2010]
24
Come premesso, mi sono rivolto alla Generation Y scegliendo un target di soggetti tra i 17
e 19 anni, frequentanti il quarto e il quinto anno di scuole superiori, allo scopo di poter
confrontare il trend di opinioni nel tempo e, soprattutto, per rilevare il valore richiesto dal
nuovo consumatore che interagisce col mercato. Per raggiungere l’obiettivo ho svolto
un’indagine sociologica mediante questionari.
Conscio, però, della complessità di alcuni quesiti e del rischio di scarsa padronanza degli
argomenti trattati da parte dei soggetti analizzati, ho preferito elaborare una lezione che
spiegasse in breve l’architettura tradizionale dell’industria discografica, alcune nozioni in
tema di Diritto d’autore e Copyright e il funzionamento dei principali servizi di streaming
on-demand e recommender systems. Con questo sistema ho tentato di garantire ai
partecipanti un livello più alto di consapevolezza riguardo alle dinamiche del mercato
discografico, permettendo loro di esprimere con maggior certezza i propri pareri e
fornendo informazioni che potrebbero rivelarsi utili. Li ho, inoltre, seguiti durante la
compilazione dei quesiti, con spiegazione esaustiva di ognuno, ma sono anche stato
costretto all’adozione di questionari cartacei per la raccolta di dati in loco, con
conseguente registrazione digitale dei risultati in un foglio di calcolo al fine di poter
determinare i risultati globali.
Tuttavia, avere accesso nelle scuole pubbliche è un’impresa ardua. Svolgere l’attività
proposta significa interferire col calendario didattico ed è indispensabile, quindi,
l’approvazione del progetto da parte dei Dirigenti scolastici, oltre all’attinenza con il
programma di studi.
Detto ciò, ho avuto modo di svolgere il “seminario” in tre scuole superiori di Desenzano del
Garda. Al Liceo G. Bagatta il mio intervento è stato presentato come approfondimento del
laboratorio musicale pomeridiano offerto dalla scuola, mentre negli istituti Tecnico
Commerciale L. Bazoli e Professionale M. Polo sono stato accolto per svelare una
situazione concreta del programma di Diritto.
Raggiunto il mio target, il questionario sottoposto propone dodici domande, aperte e non
aperte, riguardanti la frequenza di fruizione di prodotti musicali, i metodi con cui questi
vengono procurati e opinioni riguardo le normative. In Appendice è allegato il modello utilizzato.
“There are three areas involved in writing a question:
• determining the question content, scope and purpose
25
• choosing the response format that you use for collecting information
from the respondent
• figuring out how to word the question to get at the issue of interest”
[Trochim, 2006 [online]]
Le prime tre domande hanno come obiettivo quello di verificare l’incidenza della musica
nelle abitudini del campione, dalla frequenza d’uso, alla frequenza ideale e reale di
approvvigionamento di nuovo materiale. Il design è ricaduto su una simil-scala Likert, dove
l’intervallo si estende da giornalmente a mai/molto raramente. La divisione avviene su sei
livelli, evitando il valor medio neutrale, che non esprime una posizione chiara.
Con la quarta domanda, a risposta multipla, ho tentato di portare in risalto le motivazioni
per cui esista un’eventuale discordanza tra desiderio di possesso di nuovi prodotti e
mancata soddisfazione di esso. Queste le scelte a disposizione:
• costo, il consumatore reputa troppo alti gli attuali prezzi di mercato;
• reperibilità, il consumatore non conosce le modalità con cui procurarsi nuovo
materiale musicale;
• conoscenza limitata dell’offerta, può significare assenza di ricerca attraverso i
comuni canali mediatici specializzati in uscite discografiche o di conoscenza dei
recommender systems;
• altro (da specificare), le ragioni esulano dalle tre opzioni elencate.
Analogo al primo blocco è il quinto quesito, riferito in questo caso agli eventi live, con lo
scopo di evidenziare il rapporto con la musica: si tratta di passione o colonna sonora delle
attività quotidiane? A seguire la prima domanda aperta, in merito alle aspettative per un
evento musicale. Tale quesito, sebbene possa dare indicazioni che rafforzino l’intento
descritto in precedenza, è volto principalmente ad acquisire la confidenza necessaria per
permettere la compilazione di successive domande aperte che comportano maggior
riflessione o esposizione personale.
Nella presentazione che ho svolto, ho ritenuto opportuno presentare gli attuali servizi di
streaming on-demand e il concetto di recommender systems, con particolare attenzione a
last.fm, prima di procedere con domande riguardanti le modalità di fruizione dei contenuti
musicali.
Fatta questa premessa, la settima domanda sottopone i soggetti alla scelta del metodo
ideale di fruizione indicando tra supporto fisico, download da store online, abbonamento a
26
servizi di streaming on-demando o altro, proponendo diverse alternative. Eventualmente,
pirateria.
La seconda domanda aperta richiede di elencare tutte le modalità con cui avviene
l’appropriamento comune di musica, mentre col nono interrogativo ho coinvolto i prezzi dei
dischi, domandando, in particolare, se una somma definita dall’utente possa fungere o
meno come incentivo per l’acquisto.
Tale sezione termina con la possibilità di scegliere la tipologia ottimale di punto vendita per
un supporto fisico. Lo scopo celato dietro a questo quesito è capire il posizionamento del
prodotto nella mente del consumatore, in base al luogo in cui preferirebbe effettuare
l’acquisto.
Le ultime due domande riguardano le tanto discusse leggi anti pirateria.
In linea con la ricerca Barna, ho voluto verificare il parere dei teenagers riguardo alla
pirateria a otto anni di distanza, chiedendo se sia possibile paragonare il furto di un bene a
un download illegale e chiedendo di motivare la scelta. Infine un’altra scala Likert, analoga
alle precedenti, è posta a descrivere l’interesse del consumatore verso i contenuti di
pubblico dominio.
La presentazione, unita alla raccolta dei questionari cartacei, è stata svolta in quattro
giornate, dopo oltre un mese di trattative con i referenti delle scuole, mentre la
compilazione digitale e il calcolo dei risultati hanno impiegato altre sette giornate.
Il campione finale è rappresentato da 190 elementi.
27
4. Analisi dei dati
Prima di entrare nel merito dei risultati rilevati, trovo utile presentare una panoramica
dell’approccio avuto dai soggetti alla compilazione del questionario. È comprensibile un
livello di coinvolgimento variabile, essendo alcuni elementi più interessati all’argomento
rispetto ad altri, ma l’evento inaspettato è stato la presenza di risposte copiate laddove la
quasi totalità delle richieste implicasse semplici indicazioni personali riguardo abitudini e
desideri. Inoltre, ho riscontrato questionari con insufficienti dati rilevanti o scarsa
propensione al confronto, come pure qualunquismo e scarsa maturità (risposte aperte
recitanti “no, perché di no”), nonostante il target stabilito mi facesse auspicare l’assenza di
tali inconvenienti. Per questo motivo ho dovuto escludere dall’analisi sei dei 190
questionari e due ulteriori per via di risultati non inerenti con la mia indagine, poiché
dimostranti assenza d’interesse in tutto ciò che concerna la musica.
Dei restanti 182, 82% afferma di fruire di contenuti
musicali, dalla visualizzazione su YouTube
all’evento live, con una frequenza quotidiana o
quasi, cui si contrappone una posizione moderata
pari al 17%. Il dato è sintomo di grandissima
attrazione per i contenuti musicali da parte del
target investigato, il che suggerisce un alto
potenziale per il mercato presente e, probabilmente,
ancor di più per l’immediato futuro, periodo in cui i tardo-adolescenti diventeranno effettivi
attori dei mercati. L’ondata positiva è confermata anche dal desiderio, espresso dal 56%
degli intervistati, di entrare in possesso di nuovi
contenuti con una frequenza molto elevata. Ciò
dimostra la presenza di un interesse attivo
all’offerta per circa metà dei consumatori; si
parla di 83% considerando anche gli interessati
più moderati. La presenza di heavy consumers
ed early adopters è fondamentale per lo
sviluppo dei nuovi modelli di business nella fase
iniziale, rappresentando il segmento di pubblico interessato alle nuove opportunità e al
Figura 4.1
Figura 4.2
28
miglioramento dell’offerta presente. Tuttavia il dato rappresenta una situazione ideale da
sviluppare, ma non la realtà. Come si evince dalla figura 4.3, soltanto il 26% riesce
effettivamente a soddisfare il proprio bisogno di conoscenza della nuova offerta musicale
con semplicità. Dato il divario tra desiderio e
condizione reale, è importante analizzare le
motivazioni responsabili di tale fenomeno.
Anche in questa situazione ho riscontrato un
possibile stato di disattenzione o superficialità nei
miei interlocutori. Nonostante ogni quesito fosse
ampiamente chiarito durante l’acquisizione dei dati,
tredici soggetti hanno indicato una motivazione alla differenza tra condizione reale e
ideale, pur concordando nei due punti precedenti. Dei 128 elementi indicanti discordanze
tra desiderio ed effettività, il 37% attribuisce
motivazioni di costo e reperibilità, il 30% una
conoscenza limitata dell’offerta, mentre il 14%
ha espresso altre motivazioni.
Concettualizzando le spiegazioni della quarta
scelta, risale nella quasi totalità dei casi il
fattore tempo. Eccezion fatta per un singolo
consumatore che si dichiara insoddisfatto
della proposta musicale offerta, incompatibile
con i suoi gusti, la volontà di dedicare del tempo alla ricerca è carente presso un segmento
di pubblico, seppur relativamente limitato. Tuttavia, l’affermazione di una conoscenza
limitata potrebbe dimostrare un comportamento analogo. Dichiarare una fruizione intensiva
dei prodotti di un’industria, nonché il desiderio di fruizione innovativa, in contrapposizione
con la mancata conoscenza, a parer mio, può essere sintomo di pigrizia o di incapacità di
ricerca. Nel primo caso, la percentuale degli utenti falsamente attivi salirebbe al 44%,
valore piuttosto rilevante. Per questo segmento, come esplicato durante le mie esposizioni
nelle scuole, sarebbe opportuna l’adozione di un recommender system che possa
suggerire aree inesplorate dei cataloghi musicali sulla base degli ascolti tradizionali. Come
descritto nei capitoli precedenti, servizi quali Spotify integrano all’enorme accesso, la
possibilità d’iterazione con applicazioni predisposte per ovviare tali lacune. Questi servizi,
inoltre, sarebbero favorevoli anche laddove, a seguito di una disconoscenza per incapacità
Figura 4.3
Figura 4.4 – nr indicazioni per ogni categoria.
29
di ricerca, la percentuale della reperibilità rappresentasse un problema per il 67% degli
intervistati. Accessibilità e consiglio sarebbero la chiave per la piena soddisfazione del
bisogno in questione.
Differente è il discorso nel caso in cui il problema di reperibilità dimostri l’impossibilità di
rintracciare contenuti di cui si è già a conoscenza. Il problema potrebbe manifestarsi in
soggetti interessati a prodotti di nicchie molto ristrette, difficilmente presenti sui canali di
diffusione principali. Si può pensare, per il futuro, a una continua espansione dei cataloghi
dei servizi di streaming a favore di ogni minimo bacino d’utenza, nonché all’inclusione dei
classici attualmente esclusi (tema discusso in precedenza), sebbene reputi poco probabile
una percentuale così elevata di heavy consumers interessati a nicchie non profittevoli e a
contenuti non disponibili sul mercato digitale o fisico. Per quanto riguarda il costo, infine,
indicare onerosa la procedura per raggiungere la piena conoscenza delle uscite musicali
d’interesse, suggerisce una scarsa dimestichezza con i mezzi digitali. Pensare alla lettura
di riviste specializzate come unica fonte di aggiornamento e all’acquisto come unica forma
di fruizione possibile, è piuttosto limitativo e anacronistico. Premesso che soggetti molto
appassionati possano trarre soddisfazione da tale iter, sarebbe opportuno istruire l’altra
fetta all’adozione delle offerte gratuite di streaming, che potrebbero diventare a pagamento
a seguito della percezione del beneficio tratto, oltre che alla consultazione di webzine quali
Pitchfork, Ondarock o simili e all’uso di sistemi quali last.fm. Il trittico descritto
sembrerebbe una soluzione appetibile per ognuno dei segmenti individuati.
Focalizzate alcune problematiche legate allo
sviluppo del business, è opportuno analizzare i
mezzi di fruizione prediletti in una condizione
ideale, anche alla luce del mio intervento riguardo i
canali più innovativi, da confrontare con la
situazione reale.
Il mezzo ideale (Fig. 4.5) risulta essere il download
digitale a pagamento per il 49% degli intervistati,
seguito dal 36% a sostegno del supporto fisico, 16% dimostrante interesse verso lo
streaming e 7% praticante forme di pirateria, dall’uso di torrent, al video catching da
YouTube.
La situazione reale, invece, conferma il trend mostrato nel capitolo precedente, indicando
al primo posto la pirateria, in voga presso il 66% degli intervistati (Fig. 4.6). Al secondo
Figura 4.5 – nr preferenze per categoria.
30
posto vi è lo streaming, rappresentato quasi esclusivamente dall’utilizzo di YouTube, con il
31%. A seguire ci sono l’adozione del supporto
fisico per il 29%, il download digitale a
pagamento per il 14%, la condivisione con gli
amici per il 5% e l’ascolto della radio per il 3%.
L’uso di metodi illegali per la fruizione musicale
perderebbe quasi sessanta punti percentuale in
una condizione ideale, regalando un dato
positivo all’industria. Tuttavia è ancora da
chiarire in che modo avvenga questa situazione. Inoltre, a causa delle già espresse
mancanze di alcuni soggetti, metto in discussione l’effettivo passaggio al download digitale
a pagamento dal 14% al 49%. Dato l’alto tasso di pirateria espressa e la presenza ripetuta
di disattenzioni, non escludo un indicazione di “download da store online”, l’utilizzo di
servizi di hosting o perfino download p2p, pur avendo io indicato esempi quali iTunes o
Amazon. In caso contrario, sarà interessante verificare il modo in cui questo incremento
accada. È sorprendente perfino il calo in ambito di streaming. Se attualmente circa un
utente su tre è solito visualizzare video su YouTube, è inaspettato il calo al 16% dei
potenziali sottoscrittori di abbonamenti a tali servizi. È da riferire, però, la percezione di
mancata familiarità con lo streaming tra i soggetti in questione, verificata durante le
esposizioni. Il potenziale dello streaming on-demand resta da chiarire ancora per molti e il
trend, assieme alla difficoltà di sviluppo espressa nel paragrafo dedicato, indebolisce la
possibilità di adozione estesa nel breve periodo. È da aggiungere che il 22% degli
intervistati utilizzi YouTube in associazione ad applicazioni per l’estrapolazione dell’audio,
rappresentando un duplice problema. Da un lato si riscontra l’inconsapevolezza
d’infrazione, tant’è che i soggetti in questione indicano tale pratica disgiuntamente dal
download illegale. Inoltre vi è il calo della domanda per la buona qualità. Se è possibile
reperire contenuti audio non compressi mediante torrents o downloads da servizi di
hosting, empiricamente ho rilevato come spesso, i files ottenuti da YouTube con l’uso dei
softwares indicati, siano di pessima qualità o, addirittura, mono. Il mancato interesse verso
questo fattore è un problema che interessa in primo luogo gli operatori del mercato
discografico. Rinunciare alla qualità significa accettare prodotti hobbistici o scarsamente
professionali, con la ripercussione negativa per il business dell’audio pro top-level. Le
tendenze evidenziate suggeriscono la presenza di questioni culturali, oltre che a
Figura 4.6
31
problematiche di natura economica, ma per formulare ipotesi risolutive sarà necessario
proseguire con l’analisi dei risultati.
Il fatto che 70% degli intervistati esprima l’interesse
ad acquistare un maggior numero di dischi a fronte
di un prezzo di mercato inferiore, suggerisce la
protesta verso l’attuale politica economica
dell’industria, ma rappresenta la conferma
d’interesse verso i prodotti musicali al contempo.
Del 28% contrario, invece, il 38% si dichiara pro
pirateria, affermando il disinteresse verso una transazione monetaria in virtù della
possibile fornitura gratuita. Discorso diverso per il 20% che predilige il singolo all’album,
per cui probabilmente sarebbe auspicabile un calo dei prezzi per singolo brano negli store
digitali. Vi è soltanto un timido 8% che sostiene disinteresse nell’acquisto di album in
favore della sottoscrizione ai servizi di streaming, probabilmente riferito a early adopters
già a conoscenza di questo modello di business. La stessa percentuale è espressa perfino
da chi sostiene un prezzo attuale già competitivo. È probabile che si tratti di clienti
appartenenti al segmento dei veri affezionati, disposti a destinare spontaneamente una
parte del proprio budget al sostegno del mercato musicale.
Infine, oltre ad un 10% che esprime un dissenso alla politica di prezzo senza motivare la
scelta, un 16% conferma il problema della disattenzione. Nonostante abbia esplicitato la
valenza del quesito, sia per il formato fisico sia digitale degli album, i soggetti in questione
rivendicano il download digitale a sfavore degli audio CD, ritenuti un prodotto obsoleto e
poco pratico. L’inconveniente di tale atteggiamento è l’impossibilità di conoscere l’opinione
di tali soggetti e la categoria che essi
andrebbero ad alimentare.
Tornando ai pareri positivi, nella figura
4.8.1 è illustrata la distribuzione su base
percentuale dei prezzi che favorirebbero
un incremento degli acquisti.
Sebbene sia evidente la dominanza di
due fasce di prezzo, il range tanto esteso
comporta alcune riflessioni. Consultando
il listino prezzi dell’azienda Centromedia, è possibile ricostruire il costo medio per la
Figura 4.7
Figura 4.8.1
32
stampa di un disco, a fronte di un ordine di mille copie. Dalla somma di € 0,45 per il cd
con serigrafia, € 0,21 per la confezione in tradizionale jewel box singolo, € 0,36 per il
libretto a otto facciate e € 0,03 per i bollini SIAE, si ottiene un totale di € 1,05 + IVA a
copia. A tale somma, inoltre, dovranno essere imputati i costi fissi quali, ad esempio, la
realizzazione del disco in studio. Non solo. La distribuzione fisica assume la struttura del
canale lungo, avendo la figura intermediaria del distributore e un punto vendita finale, due
attività economiche orientate all’utile d’esercizio positivo. L’introduzione di tre margini di
profitto, comporta un inevitabile innalzamento dei prezzi, gravante sul consumatore.
Rimanendo nel dominio del supporto fisico, la somma pari a € 10, indicata dal 45% dei
soggetti, potrebbe trovare luogo anche nella distribuzione tradizionale, a patto di una
riduzione dei margini di profitto. Stando alle parole di Simone Rossi, referente della società
di distribuzione Audioglobe, a fronte di un prezzo al pubblico di € 9,90, il PPD applicato è
di circa € 5/6, somma che permette all’etichetta di coprire i costi diretti di realizzazione,
ottenendo un margine. A causa delle cifre elencate, sarebbe difficilmente realizzabile
un’offerta al pubblico a € 5, come richiesto dal 20% degli intervistati interessati alla politica
del prezzo. L’adempimento alle richieste inferiori é pressoché impossibile. Tuttavia, una
politica di prezzo ulteriormente ridotta sarebbe possibile grazie al canale diretto di
distribuzione. Limitando la vendita dei supporti fisici agli eventi live, a siti ufficiali o grandi
negozi online che applichino politiche di prezzo flessibili, a condizione di un utile per copia
ridotto, sarebbe possibile raggiungere la soglia richiesta dal 20%. La vera rivoluzione,
però, riguarderebbe il potenziale offerto dalla distribuzione digitale. Ritornando al già citato
esempio della band Uniform Motion, dove vige un guadagno di € 6,28 a fronte della
vendita su iTunes al prezzo di € 8,91, la band riuscirebbe a realizzare € 3,50 dallo split
70-30 per una vendita di € 5, considerando la libertà di prezzo concessa da parte
dell’aggregatore. Se i gestori di tali business
accettassero una riduzione dei margini,
manovra permessa dai costi irrisori di
allocazione di dati sui server secondo i
principi dell’economia dell’abbondanza
[Anderson, 2008], si potrebbe verificare una
crescita imponente delle vendite digitali,
confermando il precedente dato incerto di
consumo attraverso gli store online. Gli intervistati dimostrano interesse perfino ai
Figura 4.8.2
33
cataloghi del passato, con un 60% entusiasta della possibilità di acquisto a prezzo ridotto,
fenomeno verificabile con la riduzione dei termini di copyright e la ripubblicazione
maggiormente competitiva di opere celebri.
Nel grafico 4.8.1 compare anche la voce altro, segnalata da un solo soggetto. Pur non
avendo rilevanza statistica, l’idea suggerita merita un approfondimento. Indicando la
volontà d’acquisto superiore a fronte di un calo dei prezzi, non attribuisce all’album un
valore monetario ideale, ma si presta a suggerire una nuova modalità di fruizione.
Focalizzando la propria attenzione ai brani piuttosto che agli album, suggerisce delle
stazioni di rifornimento di musica, ovvero la presenza di terminali dislocati in aree trafficate
presso cui è possibile caricare dispositivi USB al prezzo di € 0,70 a brano. L’idea, di certo
non rivoluzionaria, potrebbe trovare interesse in un segmento di consumatori privo di
dimestichezza con le tecnologie informatiche, ma comunque attratto dalla musica.
L’ultima considerazione sul grafico in questione riguarda le fasce di prezzo superiori.
Sebbene siano irrilevanti ai fini dell’indagine, mi stupiscono le indicazioni da € 15 a € 20.
Tali somme rappresentano le attuali condizioni di mercato, facendo ipotizzare che i
soggetti non abbiano mai provveduto all’acquisto di un album e che, potendo già trovare
soddisfazione di prezzo, in realtà non dimostrino interesse per l’acquisto di contenuti
musicali.
Per comprendere il posizionamento della musica nelle menti degli intervistati ho indagato
sul loro interesse verso gli eventi musicali live e sul punto vendita ideale per acquistare
prodotti musicali.
L’entusiasmo per gli eventi musicali è dimostrato dal 39%; 66% considerando anche la
fetta positiva più moderata. Il valore conferma l’interesse attivo all’ambito musicale, pur
non raggiungendo il livello della fruizione globale, ma il calo è comprensibile per via
Figura 4.9.1 Figura 4.9.2
34
dell’onerosità richiesta dall’atto performativo. Tuttavia, il trend si manifesta perfino nella
scelta del punto vendita ideale, col dominio di un 77% orientato all’acquisto di supporti
fisici nel negozio di dischi. Come analizzato in precedenza, il consumo di supporti fisici ha
una tendenza limitata nel campione individuato, pur con grandi aspettative di crescita,
probabilmente in seguito a politiche di prezzo più soddisfacenti. L’acquisto in un negozio
specializzato, ad ogni modo, conferisce un’attenzione dedicata alla musica, a differenza
delle segnalazioni minori di acquisti presso supermercati, librerie, negozi di elettronica e
punti di ristoro, per un totale di 41%, che percepiscono la musica come un comune bene di
consumo. La voce altro, infine, contribuisce prevalentemente alla prima categoria, con la
presenza di concerti, siti ufficiali e fiere, probabilmente indicata da appassionati primari.
Dopo aver analizzato i trend di consumo di prodotti musicali e le condizioni ideali richieste
dalla domanda, è opportuno far emergere la posizione dei consumatori riguardo l’ambito
legislativo.
La ricerca Barna del 2004 indicava come
soltanto 8% dei teenagers tra 13 e 18 anni
ritenesse la pirateria un atto moralmente
scorretto. A distanza di otto anni e con un target
limitante le fasce di età dai 17 ai 19 anni ho
ottenuto un risultato parecchio differente. Alla
possibilità di paragonare un download illegale al
furto di un bene, gli schieramenti tendono quasi ad equivalersi. I No prevalgono ancora,
per il 54%, ma l’opposizione raggiunge ben 40% dei pareri. Il rimanente 6% si astiene dal
dare un giudizio. La ragione di un valore positivo, cinque volte superiore rispetto alla
ricerca della compagnia californiana, fa riflettere su diversi fattori. Si può ipotizzare che il
mio pubblico abbia un maggiore senso critico
rispetto al campione Barna, indicante perfino
soggetti molto giovani e inadeguati a
riflessioni di natura economica e sociale. In
più, la ricerca Barna è addirittura
antecedente alla fondazione di YouTube,
avvenuta nel 2005, e postuma alla nascita di
iTunes Music Store soltanto di un anno. Tali
dettagli indicano una possibilità di fruizione
Figura 4.10
Figura 4.11.1
35
musicale molto più limitata rispetto al presente, consolidando il senso di naturalezza per
un teenager nell’acquisizione illegale di contenuti musicali.
È da ricordare che secondo i dati trattati nel capitolo precedente e forniti dal New York
Times, il traffico di contenuti illegali
rappresenta oltre un quarto dell’intero
flusso del web. A tal proposito, un
maggior bilanciamento tra chi reputi la
pirateria moralmente accettata e chi no,
non è conseguenza immediata di una
riduzione di questo sistema di fruizione.
Per un maggiore chiarimento, ho
raggruppato in macro aree le risposte
fornite come motivazione ottenendo le
situazioni illustrate nelle figure 4.11.1 e 4.11.2. Ciò che spicca in entrambi i casi è la
prevalenza d’indicazioni non motivate, per un totale di 32%, dimostrando come un
soggetto su tre si schieri senza un’opinione in merito. Non escludo anche in
quest’occasione, una scarsa volontà di confronto come già manifestato.
Altrettanto interessante è la distribuzione di pensieri nelle due categorie. Chi sostiene che
la pirateria sia immorale, rivendica ragioni di natura ideale ed economica per il 22%.
Riconosce la presenza di notevoli investimenti nella realizzazione di un’opera musicale e
paragona l’industria discografica a qualsiasi industria di beni o servizi, affermando, quindi,
la necessità di contraccambiare il beneficio rappresentato dal contenuto, con un valore
monetario. Il pensiero non comporta necessariamente il rifiuto verso mezzi illegali, ma è
dimostrazione di predisposizione verso modelli di business efficaci. Vi sono, poi, situazioni
minori di soggetti che affermano il limite della legalità senza altre argomentazioni (4%) o
che, al più, lamentano prezzi eccessivi (2%).
Dall’altra parte i segmenti sono più uniformati, sebbene ci sia la presenza di riposte
qualunquiste e senza fondamenti per il 10%. Sono inclusi in questa sezione enunciati
come “le case discografiche sono i primi ladri” o “nel mondo della musica sono tutti ricchi”.
La radice di tale atteggiamento risiede in un contesto sociale proteso alla generalizzazione
delle tematiche in rilievo e all’assenza di analisi e critica verso gli avvenimenti circostanti.
Si tratta di una condotta che non può apportare vantaggi né al sistema tradizionale né al
progresso, rilevandosi priva di fondamenta solide e ragionate.
Figura 4.11.2
36
Un 9% appoggia la pirateria come forma di protesta ai prezzi elevati. Sarebbe utile, in
questo caso, ripresentare l’indagine a seguito di una nuova politica all’interno dell’industria
per verificare l’autenticità delle motivazioni espresse, nonché la variazione dei trend
secondo le statistiche già indicate. Pirateria come forma di promozione è un tema molto
discusso ed anche in questo caso è presente, con una quota pari al 7%. Tali soggetti
sostengono l’acquisizione illegale di brani a scopo conoscitivo per valutare l’eventuale
acquisto o una forma alternativa di finanziamento, come l’acquisto di merchandise. L’uso
di servizi di streaming sarebbe ottimale anche per questo segmento, potendo accedere
liberamente ad ogni area del catalogo ed effettuare tutte le valutazioni e selezioni
opportune, contribuendo, in più, alla distribuzione di quote dovute ai singoli ascolti. 6%
rifiuta il confronto tra pirateria e furto sostenendo l’esenzione dell’arte dalle dinamiche di
natura economica. In merito a queste affermazioni è opportuno rammentare come nelle
epoche precedenti l’incisione su supporto, i repertori musicali erano rivolti ad un pubblico
d’élite, solitamente personaggi abbienti che commissionavano le opere ai grandi maestri
per diletto oppure eventi particolari, a dimostrazione della presenza di un sistema
economico presente già diversi secoli prima della nascita dell’industria discografica. A
sostegno della causa è possibile citare il mecenatismo del principe Karl von Lichnowsky,
finanziatore di Beethoven o l’adattamento di opere esistenti per l’esigenza di un nuovo
pubblico, come nel caso de Il Giustino di Antonio Vivaldi [Surian, 2011]. Infine, oltre ad un
4% che esprime motivazioni non catalogabili o poco chiare, il 5% rimanente supporta la
diffusione della cultura mediante la condivisione. L’atto dimostra un interesse tanto elevato
verso il contenuto da volerlo diffondere. Si può considerare l’utente come sneezer, intento
a promuovere spontaneamente il materiale di proprio interesse. L’integrazione tra i social
media rende questa operazione più familiare a tutti gli utenti del web, permettendo con
estrema facilità, ad esempio, la condivisione su Facebook o sul proprio blog di un video di
YouTube o un brano di SoundCloud. Tuttavia, proprio per l’ampia alternativa lecita e
profittevole offerta dal mercato digitale, trovo discutibile il ricorso a modelli non autorizzati.
Nel prossimo capitolo metterò a confronto i modelli di business offerti ai consumatori, con i
bisogni e le problematiche emerse dalla mia indagine, con attenzione anche al settore
legislativo, affinché possa identificare la strategia più efficace da adottare per un operato
di successo nel mercato musicale.
37
5. Conclusione
L’analisi dei soggetti rappresentanti la domanda del mercato musicale, distingue due
segmenti principali di consumatori. Nonostante un trend di fruizione e di richiesta
innovativa globalmente elevati, si possono riconoscere i veri appassionati e gli ascoltatori
passivi. La prima categoria raccoglie individui intenti all’approfondimento spontaneo, alla
ricerca del canale ottimale per soddisfare un bisogno molto rilevante e ben definito,
nonché all’interesse riguardo l’aspetto economico e legislativo del mercato considerato.
Con ascoltatori passivi, invece, identifico gli elementi che, pur interfacciandosi con una
frequenza elevata all’ascolto di contenuti musicali, dimostrano un’attenzione inferiore alle
dinamiche del settore e una conoscenza limitata dell’offerta. Si tratta di soggetti per cui la
musica è sinonimo di colonna sonora delle attività quotidiane, senza raggiungere un
devoto richiamo. Considerando questa distinzione, l’industria dovrebbe puntare alla
massima soddisfazione di due bisogni distinti, pur aventi lo stesso oggetto culturale.
Mettendo a confronto il portafoglio offerto dall’industria musicale con le necessità dei
consumatori, è possibile ipotizzare le strategie ottimali per raggiungere la massima
efficacia.
Prendendo in considerazione il discusso modello di streaming, l’accesso si tradurrebbe in
interesse per l’intera domanda. Avere a disposizione un vasto catalogo da cui poter
attingere ovunque ci si trovi e in qualsiasi momento, è un incentivo per qualsiasi utente del
mercato musicale. Tuttavia, sono state evidenziate le questioni ancora in atto che
ostacolano il trionfo immediato di questo sistema. Il primo impegno verso la crescita
dovrebbe spettare ad artisti ed etichette che, rinunciando allo scetticismo vigente,
accettino la disponibilità a licenziare interamente i cataloghi che rappresentano, in
particolar modo i titoli più attrattivi, dai grandi classici del passato ai nuovissimi bestsellers,
senza preoccuparsi di questioni legate alla vendita fisica o digitale. È sconveniente per il
business imporre condizioni di consumo non gradite da parte della domanda. Nonostante
l’accesso, è lecito supporre la persistenza di un segmento interessato al possesso, per cui
sviluppare un marketing mix invitante. Infine, per consolidare l’affermazione di questo
modello è necessaria un’adeguata comunicazione, dimostrata dalla mancata conoscenza
della maggior parte del campione raccolto, oltre all’ottimizzazione globale della gestione
delle licenze. La presenza del registro virutale dei contenuti estinguerebbe il grande
38
impedimento all’adozione territoriale estesa, uniformando le regole di business a livello
mondiale. Purtroppo, la complessa realizzazione di questo sistema, per i motivi già
descritti, impone alle società la contrattazione diretta con le collecting agencies nazionali,
ossia con sistemi amministrativi eterogenei.
Dall’indagine effettuata, il supporto fisico si prospetta ancora come un mezzo piuttosto
interessante (per il 36% dei soggeti, idealmente), sebbene non sufficiente a trainare
l’intero business. Il 70% del campione studiato dichiara che sarebbe disposto ad
acquistare più dischi a seguito di un calo rilevante dei prezzi di mercato. Anche in questo
caso, quindi, le case discografiche e gli artisti autoprodotti dovrebbero rivalutare le
politiche di prezzo. L’architettura tradizionale, costituita da punti vendita dislocati forniti da
un distributore, si rivela troppo onerosa sul prodotto finale, diminuendo l’incentivo
all’acquisto. A meno di un accordo generale tra etichette, distributori e rivenditori per una
riduzione globale dei margini di profitto (cosa alquanto improbabile), sarebbe opportuno
prediligere il canale diretto. Un marketing mix sviluppato sul minor prezzo attuabile, o
comunque inferiore agli attuali standard e in linea con le proposte indicate nell’indagine, e
sulla vendita esclusiva ai concerti oppure online, sui siti ufficiali, manterrebbe l’interesse
per il trend del collezionismo per il segmento degli appassionati. Discorso diverso per il
mercato dei bestsellers, orientato al pubblico mainstream, che riesce a mantenere volumi
notevoli, come dimostrato dalla long tail e indicato nelle sezioni precedenti del documento.
Tuttavia, potendo attuare un prezzo inferiore, anche in questo settore si potrebbe notare
un aumento della domanda.
Il download digitale, invece, si presenta come il mezzo di fruizione più interessante,
secondo i dati rilevati. Ciò nonostante, se gli utenti rivendicassero un abbassamento
rivoluzionario dei prezzi per consentire la crescita degli acquisti, in virtù dei costi irrisori di
allocazione dei file musicali sui server, il problema si presenterebbe per i creatori di
contenuti. Ipotizzando un calo del 70%, offrendo al pubblico un album digitale alla somma
di € 2,99, il gap di ritorno monetario tra streaming e aquisto digitale, descritto in
precedenza da un rapporto di circa 200:1, si ridurrebbe a circa 60:1. A discapito dell’unica
transazione rappresentata dall’acquisto, lo streaming potrebbe bilanciare il conto in
seguito a circa sessanta ascolti, valore abbastanza elevato ma raggiungibile in un medio
periodo. Inoltre, il volume monetario maggiore dovuto all’aumento di sottoscrizioni ed
all’espansione geografica, porterebbe ad un’ulteriore riduzione del rapporto, rendendo
estremamente concorrenziali i due modelli di business. Dal punto di vista dei produttori è
39
indicata, ad ogni modo, l’adozione di entrambi i canali per via della possibile coesistenza
di segmenti interessati in maggior misura al possesso o all’accesso.
L’attuale trend basato su interventi legislativi volti a frenare i canali illegali, oltre a non
garantire una conversione immediata verso i mezzi offerti dal mercato, enfatizza l’ostilità
tra consumatori e industria.
La realizzazione delle manovre descritte in questo documento, potrebbe comportare un
incremento della domanda dato dall’interesse dei consumatori al finanziamento
dell’industria musicale e un abbandono spontaneo dei canali illegali.
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8. Appendice: Questionario #1 Indica la frequenza con cui fruisci di prodotti musicali (dall’ascolto del disco al concerto)
#2 Con che frequenza vorresti entrare in possesso di NUOVO materiale musicale?
#3 Effettivamente, con che frequenza lo fai?
#4 LADDOVE LE DOMANDE 2 E 3 ABBIANO RISPOSTE DIVERSE: A cosa è dovuto il distacco tra reale e ideale?
[ ] Costo [ ] Reperibilità [ ] Conoscenza limitata dell’offerta
[ ] Altro (specificare): ……………………………………………………………………
#5 Con che frequenza vorresti partecipare ad eventi musicali?
#6 Che cosa ti aspetti da un evento musicale?
…………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………
#7 Idealmente quale sarebbe il mezzo di fruizione che preferiresti adottare?
[ ] Supporto fisico [ ] Download da store online
[ ] Abbonamento a servizi di streaming on-demand [ ] Altro (specificare):
………………………………………………………………………………………………………
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#8 In realtà come ti procuri la musica? (descrivi tutti i mezzi che usi comunemente)
…………………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………
#9 Se i prezzi fossero più bassi, saresti invogliato a comprare più dischi? Se sì, quanto reputi un prezzo ragionevole? Se no, perché?
[ ] Sì, a € ………
[ ] No, perché
……………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………
#10 Se optassi per i supporti fisici, dove preferiresti comprarli?
[ ] Negozio di dischi specializzato [ ] Supermercato [ ] Librerie
[ ] Negozio di elettronica [ ] Punto di ristoro [ ] Altro (Specificare)
……………………………………………………………………………………………………
#11 Pensi che si possa paragonare il furto di un bene al download pirata di un disco?
[ ] Sì [ ] No Perché?
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#12 Quanto reputi importante la possibilità di poter attingere a cataloghi del passato a prezzi minimi, consentendo la diffusione della cultura?