Verso un incrocio delle culture musicali musicale a Parigi

110
Indice 1. Parte prima 1.1. Introduzione 1.2. Il mito del ‘bon sauvage’ e la musica non compresa 1.3. Verso un incrocio delle culture musicali 2. Parte seconda 2.1. L’influenza dell’Altro nella musica colta 2.1.1. Igor Stravinskij: Le sacre du Printemps 2.1.2. Claude Debussy e la scena musicale a Parigi 2.1.3. Bela Bartok, lo studioso della musica popolare 2.1.4. Il ritmo dissacrante di John Cage 2.1.5. Franco Oppo: la musica sarda nella modernità 2.2. La ‘musique concrete’ e la volontà di comporre oltre la notazione di tradizione occidentale 3. Parte terza 3.1. Altre sonorità: le contaminazioni primitive nella musica contemporanea 3.1.1. Einsturzende Neubauten: la danza nel crollo della civiltà 3.1.2. Il ritmo involutivo della modernità: i Residents 3.1.3. Conclusione

Transcript of Verso un incrocio delle culture musicali musicale a Parigi

Indice

1. Parte prima

1.1. Introduzione

1.2. Il mito del ‘bon sauvage’ e la musica non compresa

1.3. Verso un incrocio delle culture musicali

2. Parte seconda

2.1. L’influenza dell’Altro nella musica colta

2.1.1. Igor Stravinskij: Le sacre du Printemps

2.1.2. Claude Debussy e la scena musicale a Parigi

2.1.3. Bela Bartok, lo studioso della musica popolare

2.1.4. Il ritmo dissacrante di John Cage

2.1.5. Franco Oppo: la musica sarda nella modernità

2.2. La ‘musique concrete’ e la volontà di comporre oltre la

notazione di tradizione occidentale

3. Parte terza

3.1. Altre sonorità: le contaminazioni primitive nella musica

contemporanea

3.1.1. Einsturzende Neubauten: la danza nel crollo della

civiltà

3.1.2. Il ritmo involutivo della modernità: i Residents

3.1.3. Conclusione

Introduzione

L’obbiettivo del lavoro è quello di analizzare e comprendere come

la musica Altra, ovvero la musica extraoccidentale, appartenente a

culture lontane da quella europea, viene recepita dalla

tradizione musicale colta. Partendo dalla scoperta delle Americhe,

si può vedere come le comunità d’oltreoceano sono percepite

dall’uomo colonizzatore dell’epoca convinto della propria

superiorità culturale. Inizialmente la musica extraeuropea è

considerata unicamente come un qualcosa di rituale, troppo banale

e caotica per poter essere valutata come arte. Nel corso dei

secoli si vedrà, invece, l’infiltrazione della musica Altra nella

musica occidentale. L’utopico, idilliaco mondo del diverso, del

selvaggio, del barbaro in simbiosi con la natura cessa di essere

unicamente una dimensione esistente nei romanzi e nelle

rappresentazioni teatrali. La curiosità verso l’Altro, lontano

dagli schemi della società borghese europea, dà vita ed incrementa

gli studi sulle nuove, civiltà. Nel XIX secolo, principalmente

negli Stati Uniti, nasce l’antropologia culturale e a seguire ha

origine l’etnomusicologia che, a differenza della musicologia

tradizionale, rompe con le indiscusse nozioni sulla storia della

musica. Ora anche la musica extraeuropea ha una sua dignità. Prima

derisa, col passare del tempo è fonte d’ispirazione per

compositori in vari ambiti.

Si andrà ad analizzare, dunque, successivamente, l’apertura della

musica tradizione colta verso la musica popolare. Nei primi del

‘900 analizzeremo il tentativo riuscito e sorprendente di

Stravinskij, con la sua Sagra della Primavera, di riportare sulla scena

di Parigi la tradizione del balletto russo. Arcaismo e modernità

si fondono nell’opera del compositore.

Nel periodo storico della sua crisi, l’Europa prende coscienza dei

suoi limiti culturali. Si analizzerà l’ambito culturale francese e

l’influenza del compositore Debussy; il contributo alla musica

orale popolare di Bartok, compositore ed etnomusicologo ungherese,

con le sue ricerche sul campo.1

A confermare, lo strappo con i dogmi della tradizione musicale

occidentale troviamo John Cage: la sua opera è fondamentale per lo

sviluppo della musica contemporanea.

Agli inizi del ‘900, in America del Nord, persistono pregiudizi

razziali e tentativi d’integrazione dell’Altro, nella vita

sociale, come nella musica, più o meno riusciti. Si procederà con

la rivisitazione della musica afro-americana: la nascita del blues

e del jazz, due forme di espressione musicale di una condizione

sociale ben definita.2 Vedremo come la musica africana, oltre ad

1 Guido Salvetti, La nascita del Novecento, in “Storia della Musica”, vol.10 (Leavanguardie), EDT, Torino, 1996, pp.21-242 Mario Baroni, L’orecchio intelligente, LIM, Lucca, 2004, pp179-181

accogliere linguaggi occidentali, ha influenzato la musica

occidentale europea.

L’apertura verso la componente sconosciuta in musica è palese con

la nascita della ‘musique concrete’ a seguito delle

sperimentazioni del compositore francese Schaeffer nel 1948.

Il modo di intendere la musica si è fatto più complesso, ha

acquisito nuove sfaccettature. Dapprima, infatti, la musica di

tradizione orale era considerata una sorta di appendice di quella

scritta. Oggi numerosi studi riportano alla luce caratteristiche

proprie della musica sarda, ad esempio, della quale si

analizzeranno alcuni aspetti.

Nella scena contemporanea la ricerca dell’alterità musicale si è

fatta ancora più ingente. Il linguaggio è ancora più sensibile

allo stato attuale della società. La musica assorbe il malessere e

lo esprime. Esempio di sperimentazione strumentale ed esperienza

brutale sul palco sono gli Einsturzende Neubauten: il gruppo

industrial tedesco piega ai loro voleri la musica colta, elabora e

porta a trasmutazione la musica vocale di Stockhausen, di Nono,

di Ligeti. I Neubauten realizzano suoni della civiltà

industrializzata a manifesto della decadenza di questa e

dell’alienazione che la stessa produce. I suoni sono portati

all’estremo di dissonanza.

Questo viaggio tra i vari ambiti musicali mette in luce come la

cultura musicale dominante occidentale, nel corso dei secoli,

abbia aperto i suoi orizzonti conoscitivi alla musica dell’Altro

sia per arricchire il proprio linguaggio, sia per superare la

troppa diversità con lo Sconosciuto che sempre di più avrebbe

fatto parte della stessa società.

Le ragioni dell'impiego di elementi appartenenti al mito del

'primitivo' nella musica contemporanea sono da rintracciare in un

preciso momento storico e bisogna collocarle in riferimento

all'esperienza culturale della società occidentale3. Il concetto di

primitivismo lo si ritrova in pittura ad indicare la violenza

espressiva del colore, le cosiddette 'fauves', 'bestie selvagge'

della tavolozza. E 'fauve' è stata definita anche La Sacre di

Stravinskij; ma può comprendere anche l'utilizzo del materiale

sonoro appartenente a popoli 'arcaici' come, ad esempio, la

rielaborazione dei materiale folkloristici.

Nella ripresa di materiale di popoli 'primitivi' però, bisogna

distinguere tra il concetto di 'esotismo' e 'primitivismo': il

primo comprende una sorta di decorazione di musiche occidentali

con elementi esotici, come ritmi e melodie.4 Difatti nel corso

dell'Ottocento, in Europa, c'è una spiccata tendenza di ricreare

delle atmosfere esotiche, sia nella musica che nella danza.

L’esotismo vuole plasmare la cultura dell’Altro affinchè divenga

non troppo difforme da quella di riferimento; dunque viene resa

piacente e attraente smussandone le caratteristiche eccessivamente

connotative.5 L’Altro è ‘domato’, quindi tollerato e, allo stesso

tempo, suscita curiosità poiché rimane celato nel mistero, spesso3Diego Carpitella, Il primitivo nella musica contemporanea, da “Conversazioni sullamusica”, a cura della Società italiana di etnomusicologia,Ponte alle Grazie,Firenze, 1992, pp. 166-2044 Ibidem5Giovanni Giuriati, Neoesotismi, primitivismi, informazione e pratica interculturale, da“L’eredità di Diego Caritella. Etnomusicologia, antropologia e ricerca storicanel Salento”, a cura di M.Agamennone, G.L.Di Mitri, Besa, 2003, pp.333-343

creato dalla non conoscenza approfondita. La dimensione

primitivista si sviluppa in modo più complesso. Il musicista,

oltre ad essere incuriosito ed ispirato dalla natura sonora

primitiva nel suo contesto culturale che ne è anch'esso

condizionato, adotta strumenti ben lontani dalla tradizione

europea, strumenti appartenenti a popoli 'arcaici'.6 Il guardare

oltre le proprie barriere culturali, il rivolgersi e avvicinarsi

ad un linguaggio musicale diverso è fomentato dal desiderio

dell'uomo occidentale di analizzare la propria condizione

esistenziale, mettere in discussione i valori da sempre

conosciuti. Un 'primitivismo psicologico' che non ha nulla a che

fare con una regressione allo stato 'barbaro', piuttosto è l'uomo

in crisi di dogmi culturali che si mette alla ricerca di

dimensioni alternative.

Il primitivo è esteriorità e decorazione, ricreazione di atmosfere

mitiche ed esotiche con Debussy; successivamente acquista

sostanza, si arricchisce di una dimensione spirituale e religiosa

con Stravinskij: nella Sagra della Primavera la magia del rito si

traduce nel linguaggio musicale caratterizzato dalla prorompenza

ritmica; e poi diviene un sentimento di disordine interiore, nel

secondo dopoguerra, una forma d'arte per combattere un «antico

potere organizzato»7 ai tempi della crisi della ragione, che

diviene presto anche crisi della morale.

6Diego Carpitella, Il primitivo nella musica contemporanea, da “Conversazioni sullamusica”, a cura della Società italiana di etnomusicologia, Ponte Alle Grazie,Firenze, 1992, pp. 166-2047Franz Marc, I selvaggi della Germania, in Diego Carpitella, Il primitivo nella musicacontemporanea, da “Conversazioni sulla musica”, Ponte Alle Grazie, 1992

L’uomo occidentale ricerca nell’universo delle società primitive

uno stato benessere primordiale, di innocenza, estraneità dalla

corruzione e lo sfoggia come baluardo per la rivendicazione della

libertà perduta, i seguito a guerre e crisi della società europea.

Uno stato di beatitudine delle civiltà d’oltreoceano che è solo

un’illusione, però, poiché lo studio dei cosiddetti ‘selvaggi’

dimostra che la realtà è assai diversa, che alle spalle questi

popoli hanno anni di sfruttamenti e sofferenze.8 L’idealizzazione

dell’uomo nella sua dimensione naturalistica è stato, per lungo

tempo, un errore, dal punto di vista etnologico, ma ciò

rappresenta la fonte più fertile di ispirazione per

l’avvicinamento verso la cultura Altra.

Il mito del ‘bon sauvage’ e la musica non compresa

Nel XV secolo la scoperta delle Americhe dà vita ad un incontro

fondamentale per la storia dell’uomo europeo: l’incontro con un

nuovo mondo. L’universo civilizzato ha di fronte a sé un universo

in cui domina la natura, dove l’uomo vive con essa in armonia. Da

questa visione nasce il ‘mito del buon selvaggio’. Nel 1503

Amerigo Vespucci pubblica, nell’opuscolo Mundus Novus, una

descrizione dei costumi degli indiani che diverranno emblema del

‘buon selvaggio’. Echi degli archetipi dell’Eden primitivo,

dell’età dell’oro vengono a infondersi nell’immaginario dell’uomo

8Diego Carpitella, Il primitivo nella musica contemporanea, da “Conversazioni sullamusica”, a cura della Società italiana di etnomusicologia, Ponte Alle Grazie,Firenze, 1992, pp. 166-204

occidentale che si trova a fronteggiare il dilemma natura-cultura.

Il ‘selvaggio’, difatti, è colui che è privo degli attributi

dell’umanità civile.

Nel corso del ‘700 i viaggi degli esploratori nel nuovo mondo si

intensificano e, inizialmente, lo studio dell’Altro sconosciuto si

rivela un’arrogante affermazione di primato della cultura europea.

Il termine ‘barbari’, infatti, è frequentemente usato nelle

descrizioni dei popoli delle Americhe presenti nelle relazioni di

viaggio e nei dibattiti socioculturali dell’epoca. La politica

espansionistica vuole giustificare, sul piano etico,

l’espansionismo in nome di una missione civilizzatrice dei

colonizzatori, certi di essere i detentori di un sapere legittimo,

giusto, universale. L’egocentrismo domina: c’è un’identificazione

dei valori dell’Occidente con i valori in generale.

Assimilazionismo o rapporto superiore-inferiore: questo è ciò che

viene proposto al nuovo mondo. Gli Altri non sono più solo

incontrati ma fagocitati. 9

Lahontan, un avventuriero fuggito dai i creditori dalla Francia,

che esplorò le regioni del Minnesota, tornato in Europa nel 1703

pubblicò due volumi di memorie intitolate Dialoghi curiosi tra l’autore e un

selvaggio di buon senso che ha viaggiato. Egli non ha dubbi sulla superiorità

dell’uomo civilizzato e del fatto che i ‘barbari’ vadano istruiti

ma, in qualche modo, il ‘mito del buon selvaggio’ illuminerebbe

sul malessere dell’uomo che vive nella società moderna. L’uomo non

civilizzato, difatti, è libero, non conosce padroni, dipendenze e

9 Fernando Cipriani, Un dibattito socio antropologico nel Settecento. Il mito del Buon Selvaggio,http://international-journal-of-axiology.net/articole/nr8/art03.pdf, 2007

dunque aspira ad un’armonia interiore sconosciuta all’uomo legato

ai dogmi culturali.

Denis Diderot, filosofo francese del ‘700, sostiene la ‘purezza’

dell’uomo che vive in sintonia con la natura poiché egli non

conosce l’ipocrisia, la degenerazione morale della società. Nel

passaggio dal Cinquecento al Seicento, dunque, si abbandona

progressivamente il concetto di ‘barbarie’, legato alla bestialità

dell’uomo non civilizzato. Più che deviazione dal normale ora si

parla di condizione sociale. I dibattiti socio-culturali

proseguono e si nota come ci sia del paradossale nell’Illuminismo,

ovvero il contrasto tra la rivendicazione dei diritti umani e

l’apporto che diede per la nascita di una sorta di razzismo

scientifico. Si studia, infatti, il ‘buon selvaggio’ senza averlo

mai incontrato. Se ne parla come una sorta di mito già scomparso.

Scarseggiano descrizioni dei popoli di cui si parla ma si

elaborano comunque concetti, definizioni aberranti come, ad

esempio, per quanto riguarda il comportamento istintivo dei

‘selvaggi’, quasi insensato. Si coglie e sottolinea l’elemento

estraneità rispetto ai valori europei, unico metro di giudizio

esistente per gli studiosi.

L’Altro, dunque, rimane sconosciuto nel corso degli anni e dei

secoli. L’eurocentrismo, volto a giustificare comportamenti

imperialisti e soggiogatori, non si occupa per molto tempo di

approfondire l’altra cultura che rimane stereotipata. L’Occidente

europeo (e non) proietta verso il non-Occidente sogni, immagini,

utopie di purezza, pace, desideri di ricchezze abbondanti ed

infinite offerte dalla natura, ambizioni di varcare i propri

confini ed esportare il proprio sapere. La cultura dell’Altro,

valori, usi e costumi sono lungamente ignorati, sottovalutati. La

musica, come le altre altri aspetti della cultura, non è stata

esente da questo trattamento. Del 1648 abbiamo un’osservazione del

viaggiatore francese Balthasar de Monconys10 il quale aveva

osservato un’esibizione di dervisci del Cairo: costui riporta uno

spettacolo raccapricciante di bestie che gridano e danzano per ore

come streghe, con voci simili all’ululare dei lupi. Il compositore

francese Hector Louis Berlioz11, nel XIX secolo, descriverà la

musica dell’Altro come un qualcosa di ancora bambinesco,

incompiuto, poiché “sono ancora a tale riguardo sprofondati nelle

tenebre più profonde della barbarie e di un’ignoranza puerile in

cui si manifestano appena vaghe e impotenti pulsioni.” Charles

Burney12, compositore inglese, verso la fine del ‘700, cataloga la

musica etnica come principalmente diversa perché “barbara, zotica,

ed inferiore alla vera musica, che viene generata da una scala

completa”. C’è scetticismo, oltre che una sprezzante superiorità:

si pensa che, anche studiando di più queste musiche sconosciute,

non si scoprirà nulla di paragonabile alla musica colta

occidentale.

E’ del 1751 il saggio di Charles Fonton sulla musica orientale che

viene comparata a quella europea. Qui troviamo un capitolo

intitolato Della musica degli Orientali e del loro particolare gusto: la musica

orientale ne esce descritta come qualcosa che non si è sviluppata

10Stefano A. E. Leoni, L’Orientalismo musicale, macchina dei sensi,http://urbinoc.academia.edu/StefanoLeoni/Papers/457003/Lorientalismo_musicale_macchina_dei_sensi, visionato Aprile 201211Ibidem12Ibidem

nel tempo, e neanche perfezionata. Essa è ancorata alla musica

delle origini. Le sonorità orientali, difatti, sono caratterizzate

da semplicità e naturalezza; inoltre lo scrittore nota come alcune

arie e danze di autori antichi sono presenti nelle musiche di vari

popoli orientali. Seppur il giudizio non sia stroncante come negli

altri studiosi, Fonton sottolinea i tratti patetici e toccanti

delle melodie ascoltate, le quali suscitano emozioni e sono

inclini a infondere piacere. Riporta inoltre che è «[…] adatta

allo spirito asiatico, è come questo popolo, molle e languido,

privo di energia e vigore, e non possiede né la vivacità né lo

spirito della nostra. Il grande difetto di cui può esser accusata

è quello d’esser troppo monocorde […]».13 L’autore riconosce,

quindi, alla musica orientale la capacità di ammaliare, addolcire

ma non trova nessuna peculiarità nella struttura, anzi la trova

piuttosto monotona, priva di caratteristiche particolari, che

induce alla noia, alla fine.

Samuel Romanelli14, un ebreo italiano che visitò il Marocco nel

1787, descrisse la danza in un matrimonio ebraico a Tangeri con

toni derisori. Riporta la visione delle giovani ragazze che si

prestavano alla danza evasiva ed il rullio dei tamburi che,

secondo lui, era del tutto casuale.

Alla seconda metà dell’Ottocento risale la prima ‘testimonianza’

di etnografia musicale, ossia durante in epoca coloniale. Il

Capitano E. Fiori, ufficiale rimasto sconosciuto dal punto di

13Stefano A.E. Leoni, L’oltre-Bosforo come catalizzatore dell’immaginario musicale occidentale allesoglie dell’età moderna, cit. www.uniurb.it, 2003

14Ibidem

vista delle informazioni bibliografiche, pubblica delle

annotazioni riguardo la musica dei popoli dell’Eritrea, scritto

chiamato appunto Saggi musicali dell’Eritrea.15 Si tratta di una delle

prime trascrizioni di musica extraeuropea che è ancora molto

lontana dalle conoscenze dei ricercatori: difatti, le ricerche

sulle musiche popolari, in Italia, prendono il via verso metà

Novecento. Le annotazioni dell’ufficiale sono caratterizzate da un

forte eurocentrismo che opera come filtro razziale nell’ascolto

delle musiche del luogo. Gli appunti presi riguardano canti e

musiche eritree come Andante pastorale suonato con flauti di canna dalle tribù

dell’Altopiano d’Alal e il Canto delle Bilene.16 L’incontro con queste sonorità

si rivela acerbo nella metodologia usata per la trascrizione;

inoltre l’approccio è decontestualizzato, cioè non si mette in

relazione la musica ascoltata con le funzioni che essa espleta, le

occasioni in cui questi canti vengono interpretati ed in che modo.

L’autore dei saggi incentra la sua attenzione sulla natura

melodico delle musiche, la particolarità delle ritmiche,

ovviamente messe in relazione col sistema tonale conosciuto:

interpretazione che difetta, quindi, di una certa deformazione17.

Questo tipi di atteggiamento da parte dell’osservatore

occidentale, come sostiene lo scrittore e ricercatore Edward Said,

verso l’Altro rivela una necessità di controllo sul colonizzato,

come schermaglia difensiva e conservatrice circa la propria

15Isabella Abbonzio, New York University, Center for European and MediterraneanStudies, Etnografia musicale e colonialismo italiano: contributi sul folclore dei territori d’oltremaredall’epoca liberale al fascismo, http://win.ethnorema.it/pdf/numero%207/05%20Abbonizio.pdf, visionato Aprile 201216 Ibidem17 Ibidem

cultura, vedendo lo Sconosciuto come un elemento destabilizzante

per il proprio impero di certezze valoriali.18 E nel riscontrare

delle analogie tra la musica Altra e quella occidentale europea

c’è il tentativo di giustificare e legittimare l’azione

colonialista: ossia, si cerca di sfumare le differenze con l’Altro

in prospettiva di rafforzare lo status di dominatore. Riporta così

l’ufficiale Fiori: «Chi leggerà e studierà cotesta musica, proverà

forse una delusione per la sua povertà intrinseca, se non abbia

presente che l’effetto si ottiene dall’imponenza di moltissime

voci all’unisono e, più ancora, dal ripetersi indefinitamente del

ritmo o dello spunto o anche della melodia come in alcuni canti

iemènici».19

Dalle impressioni del musicologo francese Guillaume Andrè

Villoteau, raccolte intorno al 1800, si riscontra un notevole

eurocentrismo nell’ascolto musicale delle sonorità extraeuropee,

in particolare di quelle arabe: « Abituati al piacere di sentire e

di gustare, dalla più tenera infanzia, i capolavori dei nostri

grandi maestri della musica, ci è toccato, con i musicisti

egiziani, di sopportare tutti i giorni, dal mattino alla sera,

l’effetto ripugnante di una musica che ci lacerava le orecchie, di

modulazioni fatte a forza, dure e barocche, di ornamentazioni di

un gusto stravagante e barbaro, e tutto ciò eseguito da voci

ingrate, nasali e insicure, accompagnate da strumenti i cui suoni

erano o flebili e sordi, o striduli e pungenti.»20

18 Edward Said, Orientalismo, Bollati Boringhieri, Torino, 2007, p.6519 E. Fiori, Saggi musicali dell’Eritrea, Bollettino della Reale Società GeograficaItaliana III/V, 1982, cit. pp.770-77520Stefano A.E. Leoni, Guillame Andrè Villoteau e Ali Bey (ovvero Domenec Badia i Leblich): le orecchiedell’orientalismo imperialista, in Musica/Realtà, n.78, 2005, cit. pp. 29-47

Le culture dei continenti lontani, nonostante l’atteggiamento

diffuso di repulsione, provocano una messa in discussione della

rappresentazione dell’umanità e della sua storia. Il dibattito

circa questi ‘diversi’ e sulle loro origini si espande sempre di

più, mettendo in crisi la coscienza culturale europea. Tamburi di

vario genere, xilofoni, danze e vocalizzi suscitano riso,

impressionano un pubblico dall’orecchio addomesticato a certe

sonorità. La musica non occidentale viene percepita, inizialmente

come una maschera da indossare per evadere dall’ordinario, come

intrattenimento.

La musica Altra non viene compresa poiché non c’è percezione

concreta sociologica dell’Altro.

Verso un incrocio delle culture musicali

L’espansione europea permette, col tempo, la conoscenza più

approfondita dei popoli lontani. La curiosità prende piede e,

progressivamente, diviene studio. Con il XII secolo l’immagine

del diverso acquista una sua sostanza. Nell’arte figurativa, ad

esempio, i mondi lontani non sono solo colore suggestivo e

aggressivo. C’è attenzione nel riportare il non conosciuto, si

vuole andare più a fondo, conoscere la storia di questi popoli.

Anche se i pregiudizi razziali non scompaiono, anche se il

superficiale senso comune non cede, si arriva a comprendere che

ben più selvaggio, brutale e crudele siano le oppressioni, le

guerre dell’epoca. Questo è quanto sottolinea Michel de Montaigne

in Essais, del 1580. L’interesse per il ‘diverso’ nell’arte in

generale ha come sfondo storico le vessazioni, lo sfruttamento di

paesi sotto gli assedi dei coloni21.

Dopo il mito del ‘700 del ‘buon selvaggio’, viene a formarsi

quello della lontananza22. L’esperienza del viaggio è in primo

piano: esplorazione di terre lontane, diverse da quelle che si

conoscono sin da sempre. In letteratura lo troviamo, ad esempio,

in Keats, Heine, Byron. Uomini europei che vagano con la fantasia

ispirata da luoghi sconosciuti e affascinanti: centrale è,

difatti, nella corrente del Romanticismo, l’inquietudine del

viandante che esplora per il mondo. Dimostrazione di estrema

libertà, l’uomo esce dai suoi limitati confini sociali e culturali

e , sospinto dall’insoddisfazione della propria condizione

esistenziale amara e inaridita, muove i passi verso l’ignoto.

Viaggio significa esperienza antropologica di allontanamento da

ciò che si conosce ed incontro con l’Altro, confronto con altre

culture e, attraverso ciò, visione più complessa e veritiera di

sé.

Dal ‘folle volo’ di Ulisse verso la conoscenza, al viaggio

allegorico di Dante nella Divina Commedia; la meraviglia delle

diversità dei popoli incontrati da Marco Polo ne Il Milione, per

giungere ad una dimensione più moderna, troviamo opere con una

funzione divulgativa come il Die italienische Reise di Goethe, resoconto

di un viaggio in Italia. Emlematica è la figura del viandante,

‘der wanderer’, nel Romanticismo tedesco: il cammino viene inteso

21Roberto Leydi, L’Altra musica, LIM, 2008, p.26122Ibidem

come viaggio che riprende il senso di quello della transumanza

delle antiche civiltà pastorali.

Keats e Hölderlin vengono rapiti dal mito ellenico, nei loro

scritti si rincorrono luoghi di un mondo fantastico e totale, di

un’autenticità che non si ritrova nel contemporaneo. Quella di

Shelley e Byron non è unicamente una ricerca di bellezza estetica

ma la necessità di fuga dalla decadenza della società in cui

vivono; rincorrono stati di salvezza dalla negatività

contemporanea.

Sogni di fuga ci sono anche per lo stesso Berlioz, il quale scrive

nelle sue Memorie: «[…] fuggire il vecchio continente; andare tra i

selvaggi ingenui e primitivi e non sentir più parlare dei nostri

selvaggi sistematici, feroci e putrefatti».23 Il compositore

francese guarda, dalla sua Europa in crisi, con occhio languido i

paesi lontani, isole fertili e soleggiate, società prive di

corruzione.

L’Oriente, a fine Ottocento, il Nord Africa restano ancora luoghi

di profonda ispirazione evasiva, luoghi incontaminati dove

proiettare l’io in cerca di un altro se stesso, forse. Basta

pensare ai quadri dai colori sgargianti di Manet, Degas, Cezanne.

Prende piede la ricerca di schiettezza e immediatezza espressiva,

che poi sarà protagonista di correnti artistiche come

l’Espressionismo ed il Cubismo. La rigidità stilistica delle

accademia và stretta agli artisti che mirano a nuove forme

espressive caratterizzate da elementi originali. Con Gauguin si

manifesterà palesemente, invece, il sogno del ‘primitivo’: dalle23Olga Visentini, Saggio introduttivo a Hector Berlioz, Memorie, Edizioni StudioTesi, 1989, cit. p.18

isole dell’Oceano Pacifico arriva il desiderio del ritorno alle

origini, insito da sempre nell’uomo civilizzato, oppresso da

sterili formalismi. Quello del primitivismo sarà il mito su cui si

fonderà tutta l’avanguardia artistica, così infatti Picasso

richiamerà gli echi delle civiltà lontane. L’altro si presenta

nelle figure simboliche di oggetti di culto che vengono esposti in

musei e collezioni private. Il primitivismo non riguarda solo

l’estetica ma diviene fonte fertile per dar vita a quesiti sulla

modernità in una fase della storia in cui l’uomo è in qualche modo

predisposto a mettere in crisi la supremazia, la positività del

progresso, l’infallibilità del mondo razionale-scientifico.

La musica, in questo scenario, fatica ad esprimere le sue

contaminazioni esotiche poiché non ci sono molte descrizioni,

nozioni circa la natura della musica Altra. Più che frammenti

incompleti e banalizzati non hanno i compositori dell’epoca24.

Per tracciare il cammino dell'antropologia musicale occorre

analizzare per prima cosa quell'area di studi che nasce a cavallo

tra la fine del XIX secolo e all’inizio del XX secolo e che prende

il nome di musicologia comparata. Alcuni studiosi della cosiddetta

‘Scuola di Berlino’, Hornbostel, Abraham, Stumpf, Sachs, cercano

di individuare delle precise fasi evolutive della musica in base a

concetti evoluzionistici che all’epoca si consideravano

fondamentali. Partendo dall’assunto che i vari fenomeni musicali

si fossero sviluppati a partire da forme elementari fino ad

arrivare a forme più complesse, gli studiosi iniziano una ricerca

sulle origini della musica. Tutto questo viene fatto nell’ambito

24 Robert Leydi, L’Altra musica, LIM, 2008, p.272

dell’evoluzione sociale, con lo svilupparsi delle discipline

umanistiche in quegli anni e tenendo conto delle varie aree

geografiche in cui nascevano determinate espressività musicali.

Il lavoro degli etnomusicologi viene favorito dalla nascita del

fonografo meccanico inventato da Edison nel 1877. Con esso viene

favorita la registrazione e l’archiviazione più sistematica del

materiale raccolto. L’etnomusicologia permette di far luce sulla

questione delle origini della musica asserendo che è praticamente

impossibile indicare un’unica radice per la sua nascita; inoltre

la disciplina mette in dubbio il fatto che il ritmo si sia

sviluppato prima della melodia. Essa cerca di chiarire, verificare

alcuni concetti che la musicologia aveva solo in parte risolto

come il fatto che la polifonia avesse delle origini esclusivamente

da rintracciare nel medioevo europeo. Si mette in crisi il fatto

assodato che la forma musicale sia un fenomeno prevalentemente

estetico solo per gli europei e che negli altri paesi la musica è

principalmente una pratica funzionale in vari momenti nella

società. Si arriva a parlare di una vera e propria antropologia

della musica in quanto, a seguito dell’influenza dell’antropologia

americana, gli etnomusicologi cominciano ad analizzare sempre di

più i fenomeni musicali nel loro contesto etnologico. Non si

tratta più, dunque, soltanto di analizzare le componenti

specifiche del linguaggio musicale, ma anche di comprendere il

ruolo svolto dalla musica nella cultura, la sua importanza

nell’organizzazione degli individui nelle varie comunità.

L’etnomusicologia, in America, vede Frances Densmore che si

interessa della conservazione delle musiche originali che

rischiano di alterarsi a contatto con la civiltà occidentale.

Dunque registra e riporta la musica di anni e anni di musica tribù

indiane. Mentre in Europa, Bartok e Kodaly sono i principali

ricercatori sul campo che si dedicano alla raccolta e

registrazione di musica popolare e contadina. In Romania,

Brailoiu, studia le varianti della tradizione musicale orale

concentrandosi soprattutto sulle differenze di ritmo. Importante

diviene il comprendere che c’è un comune interesse per il rapporto

che si instaura tra l’uomo e la percezione dei suoni25.

Viene ritrovato, si arricchisce, dunque, l’interesse per la musica

orale che denota una sorta di ‘mentalità aperta’ per recepire un’

‘opera aperta’ basata sulle capacità mnemoniche del musicista. In

essa, cioè, il senso è sempre da rinnovare, ricercare ogni

qualvolta la si esegue. Nella musica colta occidentale la

struttura del linguaggio è fissa, ben definita poiché la scrittura

organizza il ‘discorso musicale’, dà una prescrizione

dell’esecuzione dell’opera. C’è formalità nell’espressione di

storie, immagini, emozioni così come c’è anche meno immediatezza

nella comunicazione del messaggio. La scrittura difatti elabora

suggestioni e tesse lati in chiaroscuro in ciò che si sta

descrivendo. Nella musica non europea ed orale troviamo, invece,

una sintassi del linguaggio chiara che permette di avere

un’oggettività del messaggio ancora più evidente rispetto al testo

scritto. L’elemento della comprensibilità è fondamentale per il

coinvolgimento delle persone all’atto sonoro. Certo che la

percezione di oscillazioni melodiche, guizzi armonici, invenzioni25Jean-Nacques Nattiez, Etnomusicologia, in “Enciclopedia della musica”, direttada Jean-Nacques Nattiez, Einaudi, 2002, pp. 677-686

ritmiche e quant’altro non possono essere le stesse in ognuno di

noi. Per un buon approccio etnomusicologico e per risalire al

‘pensiero musicale primitivo’ è fondamentale capire che le nozioni

fino ad ora conosciute di armonia, melodia sono superate e,

soprattutto, non equivalgono a dogmi. La musica può essere

definita come un’attività sempre esistita di comunicazione che

assorbe, elabora linguaggi nel corso del tempo e tramite il

contatto con culture diverse26.

La musica è sicuramente qualcosa di più complesso da analizzare,

studiare e comprendere rispetto al linguaggio verbale. La musica

non parla, certo, eppure anche lei esprime infiniti aspetti della

realtà. Il suo linguaggio è aleatorio poiché la musica è un

fenomeno semiologico: il segno è qualcosa che rinvia a

qualcos’altro, dunque essa si articola in correlazioni, immediate

e non. La musica, differenza del linguaggio, non mette in

connessione significati denotati o connotati secondo una logica ma

ha come sostanza, come contenuto, la musica stessa e, allo stesso

tempo, evoca elementi del mondo esterno nel quale siamo immersi.

L’etnomusicologia studia sul campo le relazioni tra musica e le

varie realtà e, cosa fondamentale, ha insegnato alla musicologia

tradizionale che le pratiche musicali occidentali non

rappresentano la forma più ‘alta’ di espressione musicale ma una

delle tante modalità con cui il fenomeno musicale si esprime27.

26Pietro Sassu, L’alterità musicale,http://www.sonusedizioni.it/maratea/files/edizioni/pdf/sassu.PDF, visionatoMarzo 201227Jean-Jacques Nattiez, Musica e significato, in Enciclopedia della musica, Einaudi,2002, pp. 208-210

Nel 1980, il compositore e saggista francese Pierre Boulez28, in

una conferenza dedicata all’esotismo musicale, riflette su come

l’Altro si è manifestato nelle proprie opere. Afferma che pensare

all’utilizzo dello xilofono unicamente come un modo per ampliare

le possibilità di scelta tra gli strumenti sarebbe riduttivo.

Vuole, invece, scardinare l’esistente gerarchia degli strumenti

musicali. L’incontro con culture che non ci appartengono,

sostiene, può farci guardare con più profondità e meno scontatezza

le nostre certezze, può aprirci un nuovo mondo senza che né la

nostra identità, né quella dell’Altro sia sottovalutata. La musica

d’arte occidentale, per molto tempo, si era relazionata con

l’Altra musica ciecamente, senza prospettive, basandosi solo su

alcuni parametri. Il sistema linguistico tramandato da secoli non

poteva più essere lo stesso. La tonalità, ad un certo punto, si

sradica dal piano delle relazioni armoniche e corre verso mezzi

espressivi sconosciuti, modalità comunicative insolite. E a mutare

non solo le forme sonore ma l’intero pensiero musicale. La musica

Altra trova terreno fertile in compositori come Stravinskij e,

successivamente, nella ricerca sonora di Cage.

La musica altra, questa sconosciuta, dapprima viene derisa dal

mondo occidentale, poi diviene linfa di curiosità ed evasione.

Forma e sostanza dello spirito umano la musica è capace di creare

ponti interculturali tra civiltà distanti. Il linguaggio musicale

primitivo nel corso dei secoli ha influenzato diversi ambiti

musicali nelle diverse epoche.

28Gianmario Borio, Fine dell’esotismo: l’infiltrazione dell’Altro nella musica d’Arte occidentale,www.cini.it, visionato Marzo 2012

L’influenza dell’Altro nella musica colta

Nel corso dei primi decenni del XX secolo la tradizione musicale

precedente continua ad essere messa in discussione e con maggior

enfasi. Ad inizio Novecento i compositori ricercano nuove forme

espressive e nuove sonorità. Viene a formarsi una frattura tra il

pubblico: la borghesia continua a preferire l’ascolto delle

musiche del passato e si tengono alla larga dalle sperimentazioni

dei musicisti. Alcuni artisti, infatti, sono sempre più

insofferenti ed irrequieti verso valori e principi che regolano la

società. Non si riconoscono nel volto tumefatto ed indifferenziato

della società che la cultura di massa ha voluto ed imposto.

L’Espressionismo in Germania, ad esempio, rifiuta la grande

industria bellica che avvilisce la condizione umana sociale. Il

pessimismo dilaga nelle arti figurative, letterarie e musicali. Il

linguaggio mira a perforare la superficie del perbenismo, maschera

dell’ipocrisia borghese: vuole andare in profondità, sondare ed

esprimere i sentimenti più vividi dell’uomo. Il linguaggio

musicale si distacca da quello del passato e quindi scale,

accordi, consonanze, metri e ritmi, gli strumenti musicali anche,

vengono messi in discussione poiché c’è bisogno di una nuova

ricerca d’espressione. Il sistema tonale, messo in crisi già nel

tardo Ottocento, viene abbandonato per lasciare spazio a nuove

organizzazioni formali29. L’esperienza d’ascolto della musica deve

essere in grado di creare turbamento, estasi, ricreare la realtà

del sentire umano.

29 Mario Baroni, L’orecchio intelligente, LIM, 2004, pp. 165-167

Significativi cambiamenti e contaminazioni stilistiche ci sono

stati nella storia della musica, in particolare quella italiana,

da quando la musica popolare è tornata ad essere riconsiderata. Le

inflessioni popolari infiltrate nella tradizione colta hanno

favorito l’arricchimento creativo e, successivamente, anche la

nascita di nuovi generi e stili. Musicisti come Mozart, Beethoven,

Debussy, Stravinskij testimoniano l’influenza della tradizione

popolare su quella colta: hanno colto stimoli diversi dal mondo,

se vogliamo dire, ‘extracolto’. Nel corso dei secoli la musica è

riuscita a rappresentare e ad anticipare quella che noi oggi

chiamiamo senza difficoltà ‘multiculturalità’. A partire dalla

seconda metà del Cinquecento; così come possiamo meravigliarci

degli elementi della danza della Tarantella in Mozart.

Victor Segalen, scrittore ed etnografo francese del primo

Novecento, comprende la bellezza della diversità del mondo poiché

essa dipende dai parametri di riferimento di chi giudica. Egli và

oltre il concetto di esotismo poiché comprende che l’incontro con

l’Altro è, in fondo, l’incontro con un Noi arricchito da

prospettive sconosciute. L’apprezzamento delle influenze

interculturali diviene, allora, un modello di riferimento per la

libertà di ricerca stilistica.30 Si fa strada la componente

‘primitiva’ dell’espressione e della materia musicale: quando le

certezze della civiltà occidentale si sgretolano a poco a poco,

prende vita un confronto con altre civiltà, talvolta arcaiche, che

30Giovanni Morelli, “Altri primitivi”. Studio su una mito- poiesi, da L’eredità di Diego Carpitella.Etnomusicologia, antropologia e ricerca storica nel Salento e nell’area mediterranea, a cura diM.Agamennone, G.L. Di Mitri, Besa, 2003, pp.301-325

richiamano peculiarità non contemplate dai valori, usi e religioni

dell’Occidente.

Nel Novecento si viene a formare una ricerca spasmodica di nuove

sonorità, di nuovi parametri ritmici, si aspira ad un ampiamento

della sfera sensoriale, all’integrazione di metodi espressivi

diversi, favorita ed aumentata dalla crescente tecnologia e

dispositivi comunicativi nuovi.31

L’attenzione e lo studio dei rapporti tra culture musicali

lontane, come quelle dell’Oriente e dell’Occidente, negli ultimi

anni si sono diffusi tra gli antropologi. I mezzi di comunicazione

si sono evoluti ed estesi, facendo in modo che ci sia maggiore

condivisione, tra gli individui di modelli e sistemi culturali.32

Nel XX secolo il pensiero musicale si trasforma,allora,

progressivamente in corrispondenza al mutamento, o meglio, alla

messa in discussione di pratiche sociali, di forme del

linguaggio,di ruoli e di importanza delle istituzioni.

L’apertura della musica occidentale verso le sonorità dell’Altro è

iniziata con la ricerca di nuove forme espressive. Come sostiene

Henry Cowell, lo scemare del pregiudizio verso le musiche

primitive avviene di pari passo con il succedersi dei fatti

storici, ovvero, come abbiamo visto, la crisi della società

occidentale a fine XIX secolo.33

Il linguaggio musicale viaggia per il mondo, assorbe influenze:

dopo la seconda guerra mondiale molte barriere pratiche e

31 Ibidem32Gianmario Borio, Convergenze tra Occidente e Oriente nella musica del XX secolo. Riflessioni su alcuninodi cruciali, http://www.paviauniversitypress.it/scientifica/download/takemitsu-sito15nov2010.pdf, 201033Ibidem

pregiudiziali cadono, poiché la conoscenza dell’Altro è favorita

dai trasporti e aumentata dalla curiosità di guardare oltre se

stessi. I compositori appartenenti all’ambito colto entrano in

contatto con materiale popolare, lavorano sugli elementi estetici

e tecnici, il mito del primitivo si infiltra.34 Materiale musicale

proveniente da tradizioni semispente, come nel caso delle ricerche

‘scientifiche’ di Bela Bartok, o ignorate entra nell’elaborazione

dei musicisti contemporanei. Gli effetti di questa influenza sono

desueti ed impensabili: lo si vede dalla natura timbrica che

acquista la pausa e dal suono che diviene indeterminato proprio

per la rilevanza che assume la pausa; ma anche dalle rivelazioni

di astrazioni che vengono generate dalle sonorità alienate,

fatalmente apparse in forme aleatorie, così come accade con John

Cage.35

La musica colta scopre strutture formali alternative per

comunicare il messaggio musicale. La musica da camera, ad esempio,

scardina la sua esistenza, dal punto di vista sociologico-

antropologico il suo status viene modificato.36 Il linguaggio

musicale conosce delle realtà sconosciute come le successioni

irrazionali delle metriche, il carattere percussivo degli

strumenti viene accentuato, le dissonanze che,talvolta, hanno la

meglio sulle assonanze. La conoscenza colta allarga i propri

orizzonti accogliendo nozioni popolari, arricchendo il repertorio

34Diego Carpitella Il primitivo nella musica contemporanea, da Conversazionisulla musica, Ponte Alle Grazie, 1992, pp.177-17935Giovanni Morelli, “Altri primitivi”. Studio su una mito- poiesi, da L’eredità di Diego Carpitella.Etnomusicologia, antropologia e ricerca storica nel Salento e nell’area mediterranea, a cura diM.Agamennone, G.L. Di Mitri, Besa, 2003, pp.301-32536Ibidem

con riflessi antifonali, arpeggi ed abbellimenti si tingono di una

forgia più scura.

Nel tardo Novecento la creazione musicale adotta anche diversi

luoghi per la sua rappresentazione e manifestazione. Una tendenza

che prosegue tutt’oggi, adottata da vari musicisti e gruppi

musicali. Gli spazi canonici concertistici, fondamentalmente

tradizionali, non sono più in grado di esprimere le sonorità che

si allontanano dal vecchio linguaggio musicale.37 Le opere vengono

concepite consapevolmente per essere rappresentate in diversi

luoghi, spesso anche non stabili ma mobili; luoghi, talvolta,

creati appositamente per determinate opere. Spazi riassemblati,

riscoperti, come nel caso del gruppo tedesco Einsturzende

Neubauten, attivo dagli anni Ottanta, che si esibiscono in

magazzini abbandonati o vecchi prefabbricati. Tutto ciò in vista

di un progressivo mutamento della concezione del rapporto artista-

pubblico, opera-contesto sociale.

Da Stravinskij all’avanguardia: in essa è fondamentale la ricerca

di stimoli fuori dall’ambito nazionale del musicista. La libertà

estetica diviene protagonista del linguaggio musicale

nell’avanguardia, quanto nella popular music radicata nella

società industriale e contaminata da sonorità di varia origine,

intrisa di aspetti ideologici e comportamentali; entrambi i generi

hanno chiaramente la predisposizione ad assorbire materiale sonoro

‘diverso’.38

37Ibidem38Gianmario Borio, Convergenze tra Occidente e Oriente nella musica del XX secolo. Riflessioni su alcuninodi cruciali, http://www.paviauniversitypress.it/scientifica/download/takemitsu-sito15nov2010.pdf, 2010

Igor F. Stravinskij: Le Sacre du Printemps

L’etnomusicologo Schaeffner ha una concezione del fatto musicale

creato dall’intreccio di elementi tecnici, storico-sociali ed

antropologici. Con un saggio su Stravinskij egli mette in luce la

serie di effetti dirompenti che la struttura ritmico-metrica de La

Sagra della Primavera ha sul pensiero musicale dell’epoca.

Inoltre, con questa, il materiale popolare viene riportato a

galla: temi che il compositore modifica, arricchisce, spoglia dei

loro elementi lasciando solo l’essenziale39.

Già nel balletto Petruska, dall’opera composta tra il 1910 e 1911,

Stravinskij riprende elementi del folklore russo. Opera definita

spesso ‘fauve’, ha effetti di colore vividi come i dipinti

dell’arte fauve, appunto. Il ritmo è dirompente e la tradizione

viene abbandonata per abbracciare scale modale difettive, ossia

mancanti di alcuni dei sette suoni. Le note sono ridotte e le

melodie non sono sviluppate ma bensì ripetute più volte40.

La Sagra della Primavera di Igor F. Stravinskij è considerato una

sorta di manifesto della cultura musicale contemporanea

d’avanguardia. L’opera è uno dei primi lavori del compositore

39 In www.cini.it,Gianmario Borio, Fine dell’esotismo: l’infiltrazione dell’Altro nella musica d’arteoccidentale 40 Guido Salvetti, Nascita del novecento, EDT, 1991, pp.87-92

russo e viene presentato la prima volta nel maggio del 1913 a

Parigi41. Il coreografo del balletto è il russo Sergej Djagilev e

la prima esecuzione desta un vero e proprio scompiglio tra il

pubblico dell’epoca che non è abituato a contenuti e linguaggi

altamente espressivi, innovativi. La partitura dell’opera

rappresenta una novità in riferimento, soprattutto, alla ritmica

complessa, ma anche alla melodia e all’armonia. Nell’opera

coesistono sia elementi di scrittura fortemente emotiva, sia una

forma classica e popolare. Colpisce la forza della natura, così

come viene rappresentata, lontana dalla visione idilliaca

comunemente presente nell’immaginazione dell’uomo. Stravinskij

stesso sostiene di essere stato ispirato ed influenzato da ricordi

risalenti alla sua infanzia circa riti propiziatori di origine

popolare e l’immagine della «violenta primavera russa, che sembra

iniziare in un’ora ed è come se la terra intera si spezzasse»42;

difatti, Jean Cocteau, scrittore, pittore, attore e regista

francese, descrive Le Sacre come «le georgiche della preistoria»,a

sottolineare il legame con la natura che l’opera ha.»43 La forza

magnetica ed irruenta dell’opera è data dall’amalgamazione di

mitologia e folklore, simmetria e asimmetria del linguaggio

musicale, delle pulsioni opposte ma affini come l’istinto di vita

e l’istinto di morte: phatos e thanatos che si intrecciano in

un’esplosione dinamica alternata a lande desolate di staticità.

41 Mario Baroni, L’orecchio intelligente, LIM, 2004, p. 16842Lorin Maazel, Igor Stravinkij- Le Sacre du Primtemps, cit.http://www.sergiosablich.org/dettaglio.asp?L1=55&L2=228&L3=236&id_inf=1077&cerca=aron, 199843Ibidem

L’opera si struttura in vari episodi e l’azione che le musiche

descrivono si svolge durante un rito pagano di propiziazione. La

primavera, dopo il lungo inverno, necessita del sangue di una

fanciulla per tornare ad essere fertile e rigogliosa. Nel

balletto, difatti, troviamo figure come il saggio, le fanciulle

danzanti e l’Eletta: colei che è destinata alla triste ma nobile

sorte del sacrificio. I tempi e le melodie dell’opera variano a

seconda dei momenti che si succedono: pacati, tenui, poi ritmiche

tribali delle danze, toni drammatici delle evocazioni e dei

rituali che accompagnano il sacrificio44. Sorprende, anzi

scandalizza l’orecchio borghese del pubblico, l’uso spregiudicato

dei crescendo e delle accelerazioni, delle pause e delle

improvvise cesure. Nelle scelte orchestrali troviamo un copioso

uso dei fiati: dagli ottoni ai fagotti, flauti, oboe. Ci sono

anche strumenti a corda, inoltre, che si diramano nella

composizione non solo come sfondo. Le percussioni sono

fondamentali e di ogni genere come triangolo, campane, gong,

timpani, tamburi. La musica rigenera in suoni il timore per le

forze cosmiche della natura che si risveglia, gli uccelli e gli

animali che si muovono. Motivi brevi ed incisivi, nella prima

parte dell’introduzione. Il ritmo prende ad incalzare un impulso

inarrestabile che accompagna non solo la danza, ma vuole rendere

l’esasperazione del movimento spasmodico dei corpi. Nel Gioco del

rapimento la tensione drammatica volge al culmine: un crescendo

dinamico dato da sovrapposizioni tonali create da procedimenti

44 Giulia Sofia Franzan, www.esteticadellamusica.blogspot.it, maggio 2011

modali e da elaborazioni di dissonanze.45 Trilli di flauti

introducono Gioco delle tribù rivali e successivamente le percussioni

irrompono nell’esecuzione, conquistandosi quasi una sezione

orchestrale a parte. Utilizzando una strumentazione complessa ed

elaborata assieme ad una semplicità, invece, tematica, che si

scontra con la fitta tessitura ritmica, si ha un effetto

elementare, primitivo.46

Stravinskij, in quest’opera, pone l’accento sulla brutalità della

Russia pagana e descrive questi sentimenti attraverso motivi

pungenti. La prima parte del balletto si apre con la melodia del

fagotto in registro acuto, come presagio dell’avvento di un’epoca

lontana dalla musica piacevole e rilassante. Simbolicamente si

attaccano le forme tradizionali, le convinzioni dell’uomo moderno

ricreando un mondo barbarico e primitivo. I ritmi, difatti, sono

ossessivi, la materia sonora è volutamente e violentemente resa

dissonante, in un vortice di atmosfere sospese e misteriche. In

quest’opera, difatti, il ritmo è una chiave di lettura importante:

esso affonda le sue origini da un contesto extramusicale, è

sganciato da modelli rigidi e ricorrenti, esprime la cultura

musicale da cui proviene. Come scrive l’etnomusicologo tedesco

Curt Sachs: «Ci è difficile scorgere un principio o uno schema

vincolante nel senso in cui lo si intende in Occidente, eccettuato

uno sporadico accento emozionale, e l’alternanza, sempre

irregolare, di tensione e distensione».47

45Lorin Maazel, Igor Stravinkij- Le Sacre du Primtemps,http://www.sergiosablich.org/dettaglio.asp?L1=55&L2=228&L3=236&id_inf=1077&cerca=aron, 199846 Ibidem

La Sagra è legata all’uso di tecniche caratteristiche delle musiche

rituali: i riti, celebrati da popoli ‘arcaici’, possono essere

diversi, come ad esempio legati al fiorire di una nuova stagione,

alla nascita e alla morte, o al passaggio da un’età all’altra.48

L’uomo primitivo non si spiega con razionalità la ragione della

sua sorte, più nello specifico, degli accadimenti nel corso della

sua esistenza.49 Non sa fronteggiare con, conoscenze scientifiche,

a fatti come la morte, la malattia, la siccità, la carestia:

dunque, ignorando processi deduttivi, si affidano a riti

propiziatori o scaramantici. Ci sono vari tipi di riti, infatti.

Il passaggio da uno ‘stato’ all’altro, come quello

dall’adolescenza all’età adulta, vede il sorgere di una crisi

esistenziale, che nel folklore di origine primitiva è

accompagnata, in qualche modo esorcizzata, da particolari

strumenti e modalità d’espressione: la poliritmia, l’uso delle

percussioni in un incedere che descrive l’esplodere della tensione

esistenziale, il ritmo che si fa incalzante ed ossessivo.

Nell’opera di Stravinskij ritroviamo questi elementi che vanno a

costituire una sorta di formula magica che va a regolare l’origine

della crisi. Polivocalità composta in metri differenti, diverse

armonie che si intrecciano con un ritmo insistente e timbri

strumentali evocanti dimensioni primordiali.50 Il compositore russo

47 Curt Sachs, Musica primitiva, da Le sorgenti della musica, Bollati Boringhieri, Torino,1991, cit. p.12948Diego Carpitella Il primitivo nella musica contemporanea, da Conversazionisulla musica, Ponte Alle Grazie, 1992, pp.177-17949 Curt Sachs, Musica primitiva, da Le sorgenti della musica, Bollati Boringhieri, Torino,1991, p.9850 Diego Carpitella Il primitivo nella musica contemporanea, da Conversazionisulla musica, Ponte Alle Grazie, 1992, pp.177-179

recupera consciamente lo spirito di questi miti magici e religiosi

allo stesso tempo.

Emblematico di questo desiderio di riportare l’uomo alle origine

primitive, è il frammento delle Danze delle Adolescenti che si

apre con un accordo dissonante e martellante. Il ritmo meccanico

degli strumenti ad arco in tessitura bassa incalza un fenomeno

sonoro privo di appigli consonanti consolatori. L’accordo viene

ripetuto più volte e ad esso si sovrappone un altro, aspro,

accordo ripetuto anch’esso sei volte. L’orecchio dell’ascoltatore

è lasciato sgomento anche dal fatto che questa sonorità viene

ripetuta in modo irregolare: i colpi, nelle varie successioni,

cadono in maniera diseguale. La melodia, inoltre, non ha uno

sviluppo, rimane uguale a se stessa. Ci sono ripetizioni su

ripetizioni: è qui che Stravinskij vuole stupire avvicinandosi

alle tecniche musicali primitive. La sensazione è quella di essere

ipnotizzati in una dimensione arcaica, tinteggiata in modo

magistrale dall’uso di strumenti a percussione51. La

rappresentazione del selvaggio è essa stessa selvaggia e prende i

connotati di una ricerca di linguaggio romantico progressista. Ma,

d’altra parte, si riscontra il desiderio di allontanare una certa

appartenenza sociale per arrivare, piuttosto, a sfiorare la realtà

senza maschere e mediazioni52.

Il carattere prettamente barbarico del sacrificio lo si trova

della Danza dell’Eletta, dove la struttura dell’opera ampiamente

sperimentata per tutto il tempo esecutivo, viene nuovamente

scombussolata, il ritmo si contrae in una nevrosi assoluta. La51 Mario Baroni, L’orecchio intelligente, LIM, 2004, pp.168-16952Theodor W. Adorno, Filosofia della musica moderna, Einaudi, 1973, p.13

crudeltà del rito viene messa in risalto, elargita in tutta la sua

irruenza sonora e, allo stesso tempo, ecco che un’energia vitale

scaturisce da tutto ciò: il ciclo della natura che riprende dopo

la morte.53

Nella Sacre si avverte il connubio tra arcaismo e modernità. Per

quanto riguarda il primo, notiamo come questa condizione sia

vissuta pienamente ed in modo positivo per contrapporsi alla

civiltà. Secondo Stravinskij, tanto più si è moderni tanto più si

regredisce a stadi anteriori dell’umanità. E’ qui che i due

aspetti si fondono, anche se con una veste psicotica. Troviamo,

difatti, una feroce volontà di strappare l’anima dalla musica che

tradisce, lascia intuire, qualcosa di insanabile che altrimenti

verrebbe fuori con altrettanta violenza. L’aspetto della modernità

comprende la nostalgia verso un mondo lontano, primigeno che non

può tornare a vivere se non con uno spettacolo in costume54.

Stravinskij rinnega i dogmi della musica occidentale classico-

romantica poiché punta all’originalità della creazione musicale

che sappia esprimere con estrema genuinità l’universo interiore

del soggetto. Con la Sagra della primavera la musica moderna entra

nella società, irrompe anzi. Con aggressività sonica rifiuta

l’ordine e la logica sinfonica. Sancisce, invece, un rinnovamento

dello stile russo: le melodie non sono ritrattate e

occidentalizzate ma vengono prese quelle originali e rielaborate

in modo creativo dal compositore.

53Lorin Maazel, Igor Stravinkij- Le Sacre du Primtemps,http://www.sergiosablich.org/dettaglio.asp?L1=55&L2=228&L3=236&id_inf=1077&cerca=aron, 199854Ibidem

L’idea del bello musicale cambia da questo momento storico in poi

e Igor Stravinskij ne è una prova lampante.

Claude Debussy e la scena musicale a Parigi

Sul finire dell’Ottocento il Positivismo avverte le sue

incrinature: dapprima in Francia e poi in tutta Europa, la ricerca

scientifica, il razionalismo, il progresso tecnologico non

riescono più a rispondere agli interrogativi più veri e profondi

dell’uomo. La società è dilaniata da povertà ed ingiustizie e la

voce del popolo sembra scomparire in questo scenario statico. Si

giunge alla fase storica del Decadentismo: corrente artistica che

dà forma, voce e suono al pensiero irrazionale. In Francia nasce

il movimento culturale del Simbolismo che pone in connessione il

mondo dell’invisibile, dell’impalpabile con la realtà. L’artista

giunge alla conoscenza per vie intuitive, non immediatamente

percepibili e dunque che elevano l’uomo che le contempla e che le

comprende55.

Nel primo Novecento, Parigi è un luogo culturale in fermento che

sa far fiorire le nascenti espressioni artistiche. Per quanto

riguarda la musica, si parla dell’avanguardia: esperienza di

55Mario Baroni, L’orecchio intelligente, LIM, 2004, pp.162-163

autocoscienza della crisi tra l’artista e la società a cui non

sente di appartenere più56.

Già nel corso dell’Ottocento, in Europa, si diffondevano locali di

intrattenimento con musica leggera. Nei primi anni del Novecento

si assiste al fiorire inarrestabile di caffè, music hall a Parigi

dove si ascolta musica leggera. Il grande divario tra colto e

popolare non esiste più ed il genere leggero riguarda sempre di

più tutte le arti57.

Il mondo culturale parigino, nel 1907, è contaminato dall’arrivo

sulle scene della prima stagione di musica russa. Seguiranno poi

anche i balletti russi. Il rinnovo eccelle sulla tradizione con

artisti come Stravinskij, Nijinskij che portano una ventata della

loro cultura artistica popolare. La sonorità russa trasforma i

compositori che assistono alle varie rappresentazioni, in primis

Debussy. Il compositore francese è da sempre attratto da ciò che

non faceva parte del suo ambiente, dalle altre arti, come ad

esempio la letteratura. Lo interessa ciò che può considerarsi

fuori dalla norma, ciò che và oltre le norme, gli schemi della

società dell’epoca e dell’ambiente artistico. Ama avvicinarsi

all’estraneità, a linguaggi, forme e suoni che sanno di esotismo,

che possono creare scandalo, incomprensione58. Debussy dubita delle

nozioni tramandate di generazione in generazione come conoscenza

assoluta e rifugge dall’indottrinamento scolastico per puntare

sulla propria fantasia e creatività. E allora, sia in giovinezza

che in età matura, guarda altrove, si chiede cosa poteva

56Guido Salvetti, Nascita del novecento, EDT, 1991, pp. 21-2457Guido Salvetti, Nascita del novecento, EDT, 1991, pp. 24-2758Stefan Jarocinski, Debussy. Impressionismo e simbolismo, La Nuova Italia, 1980, p.93

significare la musica per civiltà più antiche. «Ci sono stati, ci

sono ancora, malgrado i disordini provocati dalla civiltà, degli

affascinanti piccoli popoli che imparano la musica semplicemente

come si impara a respirare. Il loro conservatorio è il ritmo

eterno del mare, il vento tra le foglie, e mille piccoli rumori

che essi ascoltarono con attenzione, senza mai consultare

arbitrari trattati.»59 Così descrive la naturalezza

dell’apprendimento della musica che forse ora si è persa, nella

civiltà ottusa. Un’idea simile la si trova anche in Gauguin, il

quale afferma «Osservate l’immensa creazione della natura e

vedrete se non ci sono leggi per creare, con aspetti completamente

differenti, e tuttavia simili nel loro effetto, tutti i sentimenti

umani.»60 La descrizione di una musica che riaccompagni l’uomo

nella danza primordiale dell’armonia con la natura, e dunque anche

con se stesso.

L’influenza di Wagner, che rimaneva pregnante, viene a

dissolversi. Debussy, sdegnante della stupidità e grossolanità

borghese dell’epoca, cerca di distaccarsi dal suo linguaggio,

seppur mantiene l’idea discorso musicale aperto e fluido,

continuo. Collegato al simbolismo come anche all’impressionismo in

pittura, nella formazione della sua attività artistica fu

fondamentale il musicista russo Musorgskij che gli fu d’esempio

d’antiaccademismo61.

Dunque Debussy rompe con la forma classica ancora più di quanto

avevano fatto i romantici. Le sue composizioni hanno dei richiami

59Ibidem, cit. p.9360Ibidem, cit. p.9461Guido Salvetti, Nascita del novecento, EDT, 1991, pp. 33- 68

orientali liberamente tratti ed elaborati. Frequente è, difatti,

il suo ricorso alla gamma pentatonica, scala musicale composta da

cinque note che si trova nella musica africana occidentale.

L’innovazione che lo colloca tra i compositori del XX secolo è il

rifiuto della tradizionale forma del tipo A-B-A che circoscriveva

l’artista dentro quel determinato schema di scrittura. Il suono

acquista un significato più completo, profondo. La musica di

Debussy dialoga internamente col testo poetico ed infatti possiamo

ricordare l’ispirazione ai versi di Baudelaire, così come di

Mallarmè62. Il compositore è accolto dal mondo dei poeti con molta

naturalezza e con alcuni di loro, incuriositi dalla sua

personalità, stringe anche amicizia.

Debussy è l’autore di una nuova forma di tempo: un tempo che si

arresta, si raggruma, perde il processo lineare di inizio,

sviluppo e conclusione. Ci sono piuttosto frammenti di tempo

accostati tra loro, che sembrano vagare indipendenti. Saggia

sonorità lievi ed acute, fa prevalere l’impronta timbrica sulle

linee melodiche in un fluire senza intoppi, quasi che il suono

abbia origine dal silenzio e nel silenzio si lasci riassorbire63.

Esperienza di primitivismo come matrice dell’abbandono a fantasie

circa il paradiso incontaminato dei selvaggi è evidente nel

musicista francese.64 La tristezza, o meglio la malinconia,

scaturita dalla contemplazione di mondi percepiti come idilliaci e

fortemente ispiratori, si trova in Clair de lune, dove languono

62Ibidem, pp.33-6863 Stefan Jarocinski, Debussy. Impressionismo e simbolismo, La Nuova Italia, 1980, p. 6664Giovanni Morelli, “Altri primitivi”. Studio su una mito- poiesi, da L’eredità di Diego Carpitella.Etnomusicologia, antropologia e ricerca storica nel Salento e nell’area mediterranea, a cura diM.Agamennone, G.L. Di Mitri, Besa, 2003, pp.301-325

sonorità di una tristezza inedita. La tematica esotica è presente

nel linguaggio di Debussy e si esprime attraverso la creazione di

forme armoniche presenti a tratti, l’impiego delle scale

pentatoniche, ampiamente utilizzata dalle orchestre gamelan,

l’utilizzo dei glissandi sovrapposti che modulano le sonorità

stocastiche.65

In, Jeux de vagues da La mer,Tre schizzi sinfonici, si può comprendere il

sottile gioco di immagini che il compositore vuole evocare tramite

le continue invenzioni melodiche, ritmiche e timbriche che si

succedono rapidamente. Come le onde del mare. Non c’è logica nella

costruzione musicale, ci si abbandona alla fantasia.

Accellerazioni e ritardi, balzi improvvisi ritmici, tonfi delle

percussioni: tutto questo per ammaliare il pubblico che si perde

nel suo inconscio66.

La sua è una ricerca della musica dai toni sinceri: «Bisogna che

la bellezza sia sensibile, che ci procuri un godimento immediato,

che si imponga o che si insinui in noi senza che dobbiamo fare

nessuno sforzo per coglierla.»67. Arrivare all’immediatezza

musicale denudando la musica, togliendole il gravoso peso

dell’artificioso.

Il fascino per la musica extraoccidentale ammalia anche Debussy,

il quale, infatti, rimane colpito, nell’Esposizione Universale del

1889 di Parigi, dalla musica dell’Isola di Giava, in Indonesia.

Questa affascinava il pubblico europeo già da molto tempo: essa ha

una storia molto antica alle spalle, prende origine da villaggi e65 Ibidem66 Mario Baroni, L’orecchio intelligente, LIM, 2004, pp. 162-16367 Stefan Jarocinski, Debussy. Impressionismo e simbolismo, La Nuova Italia, 1980, cit.p.113

corti, e vede come protagonisti gli strumenti di bronzo. La

diversità della scala impiegata in questa musica è un argomento

che ha affascinato gli studiosi e che ancora oggi è materia per

appassionati dibattiti tra specialisti. Il particolare carattere

sonoro della musica di Giava è dato dalla complessa e articolata

stratificazione dell’attività melodico-ritmica nei brani. Ognuno

di questi strati vengono variati da strumenti di registro grave ed

densi nelle parti più acute. Altro aspetto che caratterizza la

tradizione musicale giavanese è l’improvvisazione dei musicisti

che avviene in modo simultaneo. I musicisti variano continuamente,

difatti, il modello melodico68.

Debussy fa molti viaggi nei villaggi indonesiani per ascoltare dal

vivo l’esecuzione dell’orchestra della corte di Surakarta, al

centro dell’isola. Il compositore rimane impressionato, in

particolar modo, dagli strumenti a percussione elaborati in

intreccio polifonico; linee singole che vengono a sovrapporsi

senza mari creare un effetto dissonante.69 Il brano Pagodes, il

primo dell’opera Estampes del 1903, risente molto delle sonorità

orientali; questo è un pezzo immaginifico, evoca realtà di posti

lontani come quelle dell’Asia orientale, facendo un ampio uso di

scale pentatoniche e riprendendo melodie tradizionali cinesi e

giapponesi, e allo stesso tempo, Debussy inserisce percussioni

tipiche del gamelan giavanese. L’orchestra gamelan solitamente è

composta da un nucleo formato da strumenti quali le campane a gong

ed i metallofoni, costruiti in tre misure ciascuno, distanti68Giovanni Giuriati, I suoni dell’Isola: guida minima all’ascolto, www.sistemamusica.it,visionato Aprile 201269Guido Salvetti, Aspetti del pianismo debussiano, in Da Beethoven a Boulez. Il pianoforte inventidue saggi, Longanesi & Co., Milano , 1994, pp. 65-97

un’ottava l’una dall’altra. Questo fa sì che venga suonata la

medesima melodia in un realizzazione rapida, una moderata e

un’altra più lenta: nella notazione occidentale si chiamerebbe

diminuzione e aumento.70

Il compositore annota nello spartito che il brano dovrebbe essere

suonato «quasi senza sfumature»71: questo per mantenere una

rigidità del ritmo, senza che il pianista accentui l’espressività

delle sonorità. Ciò, inoltre, non comporta una rigidità del tempo

del pezzo, anzi, questo è caratterizzato da movimenti più veloci

alternati da altri più lenti. Il linguaggio musicale di Debussy

svela la sua complessità anche nel brano Pagodes, poiché c’è un uso

funzionale del pedale sostenuto: questo viene utilizzato di più o

di meno a seconda della natura percussiva che si vuole dare.72

Debussy, rimane ammaliato dalle sonorità esotiche e piacevolmente

misteriose, ma anche dall’uso di particolari strumenti come

timpani, xilofoni, martelli, campane di vario genere.73 Estampes è

un ciclo pianistico fortemente ispirato a paesaggi, soggetti

esotici, in cui vengono evocate atmosfere magiche e lontane.

Debussy studia e riflette sulle possibilità di esprimere il suono,

concentrandosi sui suoi parametri fisici come il timbro, la

lunghezza d’onda, la frequenza.74 Per quanto riguarda la dimensione

70 Curt Sachs, Polifonia, da Le sorgenti della musica, Bollati Boringhieri, Torino, 1991,p. 20371Guida all’ascolto: Claude Debussy- Estampes, cit. http://www.icoloridellamusica.it,visionato Aprile 201272Guido Salevetti, Aspetti del pianismo debussiano, in Da Beethoven a Boulez. Il pianoforte inventidue saggi, Longanesi & Co., Milano , 1994, pp. 65-9773 Diego Carpitella, Il primitivo nella musica contemporanea, da Conversazionisulla musica, Ponte Alle Grazie, 1992, pp. 173-175 74Ibidem

tonale, le orchestre gamelan impiegano la scala pentatonica, che

il compositore francese studia e riprende nelle sue composizioni.

L’introduzione di musiche lontane si integra con il linguaggio di

Debussy: percussioni e contrappunto ritmico delle sonorità gamelan

vengono rielaborati; inoltre il musicista utilizza ben quattro

scale pentatoniche. La prima scala musicale riguarda il Do diesis,

Re diesis, Fa diesis, Sol diesis, La diesis; la successiva è

discendente in Re diesis, Do diesis, Si, La diesis, Sol diesis;

nella terza si trova un’accellerazione della prima scala e nella

quarta c’è una nuova scala in Sol diesis, Si, Do diesis, Re

diesis, Mi diesis.75 Le quattro scale pentatoniche vanno a

descrivere quattro soggetti variati in melodia ed armonia,

forgiati da ritmi ed accenti trattati con fantasia e libertà del

musicista. Vengono aumentate le caratteristiche aleatorie di

strumenti idiofoni, la vibrazione del gong, quindi, e delle

campane. Tutto questo per rendere la complessità ritmica delle

orchestre gamelan.76

Nuove modalità di concepire l’estetica musicale che porteranno,

nel corso del tempo, sempre più a nuove rivoluzioni.

75 Ibidem76 Ibidem

Bela Bartok, lo studioso della musica popolare

Tra i più importanti pionieri dell’etnomusicologia, Bela Bartok si

può dire che sia stato cresciuto a suon di musica fin da piccolo.

La madre gli insegna pianoforte e poi il maestro Erkel lo

introduce alla composizione artistica. L’Accademia Reale della

Musica di Budapest è teatro della conoscenza tra Bartok e la

musica popolare della regione che influenza profondamente il suo

stile. Scopre le musiche contadine dei magiari e da lì inizia a

far filtrare tali nozioni nelle sue composizioni usando ritmiche

di matrice folklorica.

Nel 1907 viene assunto come professore di pianoforte all’Accademia

Reale e da allora si concentra sulle canzoni e musiche popolari

dell’Ungheria. Ma Bartok viaggia anche molto e, grazie al suo

prezioso strumento di registrazione, ovvero il fonografo di

Edison, raccoglie materiale fondamentale per i suoi studi

etnomusicologici. Il compositore è interessato a fondare una sorta

di ‘musica ungherese colta’ che non abbia legami o mediazioni con

la musica occidentale tedesca o italiana. Un nazionalismo, il suo,

che non lo incatena: difatti approfondisce melodie slovacche,

romene, slave, ucraine, bulgare, serbe, turche, degli indiani

d’America77.

Come premessa per le sue ricerche, Bartok afferma due assunti

importanti da tenere in considerazione: innanzitutto, egli

considera il canto popolare come un elaborato unitario nel quale

parole e suono hanno la stessa importanza; inoltre, per ottenere

dei documenti considerati validi occorre registrare e trascrivere

i canti per poi analizzarli.78

Della musica popolare lo studioso distingue due generi: la musica

popolare popolaresca, ossia quella popolare cittadina, e la musica

popolare dei villaggi, cioè quella contadina. La prima è

caratterizzata da melodie aventi una struttura semplice e gli

autori sono dei dilettanti appartenenti alla classe borghese. La

seconda, invece, comprende melodie che si sono diffuse in un paese

e sono espressioni istintive, aventi la sensibilità musicale dei

contadini del luogo.79

Bartok è convinto che ognuna delle melodie popolari rappresenti un

modello di perfezione artistica. La musica popolare, a suo dire,

insegna l’essenzialità dell’espressione che è, invece, del tutto

estranea alla prolissa tradizione romantica. Bartok individua

un’infinità varietà ritmica nei canti popolari, nelle «melodie in

parlando-rubato»80. E anche nelle melodie più regolari dal punto di

77 In www.magiadellopera.com, formato pdf, visionato Aprile 201278 Diego Carpitella, introduzione a Bela Bartok,Scritti sulla musica popolare, UniversaleBollati Boringhieri, 1997, p.2079 Bela Bartok, Scritti sulla musica popolare, Universale Bollati Boringhieri, 1997, p.7480 Ibidem, cit. p.74

vista ritmico vi sono delle particolari variazioni, come nel caso

delle danze. La musica popolare è «espressione istintiva della

sensibilità musicale di un paese»81: sentimento e poesia che vanno

protetti come orgoglio del popolo.

Importante, nella sua ricerca, è cogliere gli aspetti più genuini

della tradizione musicale orale. Spesso queste espressioni più

istintive erano quelle di gente di villaggi quasi sperduti,

isolati dal mondo esterno. La vita frugale a contatto con le cose

semplici,come riti di nascita, matrimonio, feste religiose e di

mietitura, per Bartok, dà origine alla semplicità,

all’immediatezza primordiale delle melodie.

La semplicità, dunque, viene vista dal compositore ungherese come

una sorta di ‘purezza’ della musica, purezza intesa come originale

espressione del sentire della comunità.

Catalogando la musica ungherese, Bartok sostiene che le melodie si

basavano su modi ecclesiastici, su modi greci ma non avevano

nessun punto in comune con il linguaggio della cultura dell’Europa

occidentale.

Altro fatto importante che lo studioso ungherese ha constatato

nelle sue ricerche è che il contatto tra popoli di culture diverse

non costituisce solo uno scambio di melodie ma permette il fiorire

di nuovi stili. Quelli più o meno antichi continuano a vivere. Un

processo di questo tipo permette l’arricchimento della musica

popolare nel corso dei secoli. Difatti, in Europa Orientale,

Bartok apprende proprio questa situazione: ovvero con il continuo

flusso delle musiche popolari delle singole comunità, si ha un81Gianfranco Vinay, Il Novecento nell’Europa orientale e negli Stati Uniti, EDT, 1991, cit. pp.17-27

complesso di melodie e tipi melodici molto variati. Nel caso

razziale, l’impurità è un fatto positivo, anche perché è

pressoché impossibile tenere divisi i popoli l’uno dall’altro.

Sebbene la conservazione delle originali musiche popolari vada

portata avanti, rifiutare categoricamente le influenze straniere

nella tradizione orale significa recarne decadenza.82

Un altro errore da non commettere nella valutazione della musica

popolare è quello di pensare che la musica nazionale possa essere

preservata analizzando quella popolare e portandone i tratti

distintivi nella musica occidentale. L’importanza artistica viene

raggiunta dalla musica popolare unicamente quando essa influenza,

filtra nella tradizione colta. Il creatore deve indubbiamente

avere le conoscenze e competenze affinchè questa unione avvenga.83

Gli studi e l’interesse intenso di Bela Bartok per la musica folk

lorica non nasce dal bisogno di assemblare nuovi strumenti

espressivi per la musica colta. Il compositore vuole dare giusta

dignità a ciascuna cultura musicale meno conosciuta: ne rintraccia

armoniche, melodiche e ritmiche che non rientrano negli schemi

della classica musica occidentale. Il discorso musicale libero,

basato sulle variazioni, sulle improvvisazioni corrisponde ad un

modo libero, non rigido, non calcolato di esprimersi, di

accompagnare varie attività sociali84.

Fondamentale è, nella raccolta di materiale musicale popolare,

rintracciare la situazione dell’ambiente in cui certi popoli

vivono, le condizioni pratiche della loro esistenza, così come è82Bela Bartok, Scritti sulla musica popolare, Universale Bollati Boringhieri,1977, pp.48-7383Ibidem, p.9984 Ibidem

importante comprendere i rapporti relazionali. Tutto ciò

costituisce un’introduzione conoscitiva per essere in empatia con

lo ‘spirito’ della musica che si va a studiare, captando elementi

di carattere storico e folklorico.85 Bartok auspica ad una

conoscenza approfondita, dunque, della musica contadina, anche dei

particolari, attraverso un’osservazione diretta: «E’ altrettanto

importante vedere la mimica dei contadini che cantano, dobbiamo

partecipare alle loro feste da ballo, alle loro feste nuziale,

natalizie, assistere ai loro funerali…».86

Dal secolo XX i musicisti traggono ispirazione per la composizione

delle loro opere da repertori di musica popolare, melodie

contadine che per molto tempo restano praticamente ignorate. Per

far sì che l’influsso della musica popolare vada a plasmare quella

colta occorre, innanzitutto, che il musicista conosca, oltre alla

lingua, il repertorio interamente, in ogni sua sfumatura.87 Non

basta, inoltre, sfogliare cataloghi di nozioni di questa musica:

bisogna, invece, esser entrato in contatto con canti e musiche

contadine, respirando l’atmosfera di determinate situazioni, riti,

festeggiamenti. Andando più nello specifico della composizione di

un’opera, la melodia popolare potrebbe essere inserita tra un

preludio o un postludio, mantenendola fedele all’originale o

modificandola ma solo appena.88 Essa rimane unicamente una

citazione se viene ripresa solo la tematica popolare, epurata

85 Diego Carpitella, Introduzione a Bela Bartok, Scritti sulla musica popolare,Universale Bollati Boringhieri, 1997 p.786 Ibidem, cit. p.1287 Bela Bartok, Scritti sulla musica popolare, Universale Bollati Boringhieri,1997 p.10288 Ibidem, p.105

dalle sue peculiarità di contorno. La melodia deve, invece, deve

poter confluire nell’opera colta in modo organico. A favore della

creatività e della conoscenza tecnica in materia musicale del

compositore, c’è il fatto che le melodie primitive non hanno

concatenazioni rigide di tonalità e, quindi ciò permette al

musicista libertà di spaziare tra accordi anche lontani tra loro.89

Il musicista potrebbe includere la musica popolare nella sua opera

imitando di sua inventiva una certa melodia. Così come fa

Stravinskij, il quale non cita mai le fonti dalle quali trae i

suoi motivi: invenzioni originali, dunque, ma anche un fedele

riproporre melodie di popoli ‘primitivi’.

Il compositore ungherese ha introdotto una grande curiosità per

la musica semisconosciuta delle piccole realtà ai ‘confini della

civiltà’. Musiche che hanno faticato per acquistare una loro

valenza, importanza, connotazione. Lo spirito di ricerca, la

curiosità per le tecniche e stili inusuali caratterizzano tutta la

vita di Bartok. Nella sua opera Quattordici Bagatelle, del 1908, viene

abbandonata del tutto la tradizione romantica. Ogni brano è

percorso da successioni di intervalli dissonanti, bitonalità,

ostinati melodici e ritmici. Il discorso musicale si fonda sulla

ripetizione variata della melodia e non sulla sua elaborazione.

Questo è sicuramente un tratto che ha origine dall’irruenza

ritmica del folklore rumeno che proprio in quel periodo sta

studiando. L’elemento dal tipico taglio bartokiano è il motivo

89 Ibidem, pp.106-107

barbaro dove la dissonanza dilaga come forza ritmica ed accento

timbrico in tutta l’esecuzione90.

E’ con l’Allegro Barbaro (1911), però, che ci è evidente la nuova

concezione musicale di Bartok: il tocco pianistico è disarmante

poiché la natura percussiva dello strumento è portata all’estremo

e ci soggioga in un’atmosfera primitiva, appunto. Il pianoforte

della tradizione romantica è solo un ricordo offuscato da tanta

irregolarità sonora che trattiene e affascina. Il timbro aspro ed

incisivo prende il sopravvento sulla melodia e sul ritmo, un

timbro che si fa martellante, un incalzare ossessivo trascinante e

destabilizzante91. L’Allegro Barbaro diviene il manifesto del

pianismo ‘percussivo’: questo ‘suono percussivo’ di Bartok dipende

dalla forza con cui si viene in contatto con la tastiera. E la

particolarità di questo modo si suonare sta nell’arrestarsi

qualche istante prima che le dita tocchino i tasti del

pianoforte.92

90Gianfranco Vinay, Il 900 nell’Europa orientale e negli Stati Uniti, EDT, 1991,pp. 17-2791Ibidem92 Piero Rattalino, La musica da recital nell’opera di Bartok, in Da Beethoven a Boulez. Ilpianoforte in ventidue saggi., Longanesi &Co, Milano,1992, pp. 123-142

Il ritmo dissacrante di John Cage

Lo scenario musicale nei primi decenni del Novecento affronta

linguaggi, visioni e sonorità che non hanno più molto a che fare

con l’organizzazione sistematica di suoni e accordi. Il suono è

studiato, elaborato in ogni suo aspetto. Nascono altre relazioni.

Come, ad esempio, quella tra suono e silenzio.

Nel 1939 John Cage ha già scoperto l’amore per le percussioni e

fonda un’orchestra in cui si suonano strumenti percussivi alquanto

insoliti come cerchioni d’auto, lattine e tazzine.

Nella cultura occidentale del Novecento, il compositore

statunitense elabora la sua non-teoria performativa musicale che

dissemina stravolgimenti in un campo dove l’assimilazione

dell’altro, del subalterno prevede un’interazione complessa, se

non che turbolenta.

Per la prima volta, nel 1940, Cage sperimenta il ‘pianoforte

preparato’, una tecnica per modificare il timbro dello strumento.

Il compositore pone una piastra di metallo sulle corde in modo da

creare un effetto percussivo del suono. Questo metodo era già

stato usato da Erik Satie, il quale aveva messo dei pezzetti di

carta e strisce di metallo nella cassa armonica del piano.

Nei pezzi per pianoforte preparato Cage pensa al risultato dei

suoni nell’esecuzione in senso casuale, nel senso che egli

prepara, predispone gli strumenti ma non decide il risultato

sonoro. Una vera e propria rivisitazione dell’uso strumentistico,

un attacco alla musica colta e al suo tradizionale ascolto.

Improvvisazione ed esplorazione sono la verve del suo lavoro.

L’aspetto sperimentale è centrale per John poiché rappresenta il

nucleo dell’identità della musica americana. Essa, infatti,

secondo Cage, è un agglomerato di differenze, di culture e

tradizioni anche molto differenti tra loro. C’è sempre qualcosa

dell’Altro, l’Altro che si infiltra, si trasforma e trasforma

dall’interno. E allora comporre, creare, in qualche modo significa

anche perdere la propria identità, diventare sconosciuti, ‘altri’.

Gli anni ’40 si caratterizzano per la realizzazione di musiche in

cui la dimensione ritmica è protagonista: Cage si avvicina ed

ingloba nelle sue esecuzioni anche la danza, basilare per questa

componente. Nei venti pezzi per pianoforte, Sonatas and interludes, viene

inserita la presenza di bulloni, pezzi di plastica e gomma, noci.

Successivamente, intorno alla seconda metà degli anni ’40, la

ricerca di Cage si tinge di spirituale: siamo nel periodo ‘alea’

durante il quale si avvicina alla filosofia indiana e al Buddhismo

Zen. E’ in questa fase che compone Solo for Voice 58, un’opera resa

volutamente indeterminata, divisa in diciotto parti tra loro

indipendenti. Cage scrive delle indicazioni per l’esecuzione del

componimento ed in esse troviamo dei riferimenti chiari alla

struttura della musica indiana. In un contesto non legato

all’origine dell’opera, l’interprete segue le notazioni circa i

raga, ossia regole relative a frasi melodiche, ed i tala, il

modello ritmico a carattere ciclico all’interno del quale si

sviluppa l’intera struttura musicale. Inoltre, Cage, indica nella

partitura dei microtoni dai quali, poi, l’interprete può ricavare

le altezze, in un processo esecutivo che da molte possibilità

creative, riflessive e immaginifiche.93 L’improvvisazione, allora,

fa da protagonista, esattamente come lo è nella tradizione della

musica indiana, ed è lo stesso compositore ad incoraggiarla nella

sua prescrizione: è attraverso di essa che si sviluppa un raga. Le

indicazioni esecutive del compositore riguardano anche i

microtoni, che possono essere intonati in vari modi, a seconda

dell’ispirazione momentanea dell’interprete; si tratta di

un’intonazione accordata ad istinto dell’orecchio dell’esecutore

che elaborerà ogni singolo raga.94 I tala, in India, vengono

combinati in una gamma infinita di colori ritmici e nell’opera di

Cage troviamo, oltre a quelle della tradizione, altre modalità di

‘muoversi’ all’interno di essi. Ad esempio, troviamo dei pezzi del

cantato che non sono accompagnati alle percussioni; ma Cage

riprende, dalla tradizione, anche la fondamentale e largamente

utilizzata tecnica del vocalizzo.95

Guidato dalle teorie sull’indeterminatezza e del caos delle

culture orientali, arriva a concepire come la musica debba

concentrarsi sul vuoto, perdendo il carattere soggettivo del

compositore. Si abbandonano scopi ed intenzioni per lasciare che

il suono sia eco di un silenzio che fa udire cose altre,

inconsistenti, di altra natura. L’uomo in questo modo si scollega

dal mondo materiale fatto di costrizioni inutili, l’uomo ascolta

93Amelia Cuni, Cage Ragas, note di Amelia Cuni contenute nel libretto del cd diJohn Cage Solo for voice 58: 18 microtonal ragas (songs books 1970),http://www.ameliacuni.de/index_nf.htm, visionato Aprile 201294Ibidem95Ibidem

la natura poiché il suono è natura ed essa deve poter fare il suo

corso: è per questo motivo che il compositore non può e non deve

controllare, decidere tutto l’andamento dell’esecuzione. E’ il

suono che modifica, in modo naturale, il linguaggio musicale, in

questa eterea atmosfera in cui forze indeterminabili agiscono. Al

riguardo Cage afferma che «l'arte cambia perchè cambia il nostro

concetto sul modo in cui opera la natura. Per questo mi interessa,

il modo in cui opera la natura, non come scienziato ma come

compositore. Ed è questo che mi ha convinto della necessità delle

operazioni casuali; se io usassi la musica per esprimere me

stesso, la cosa sarebbe in relazione, per esempio, con i miei

sentimenti, ma non con la nostra interpretazione del modo in cui

opera la natura.»96

Un elemento, sconosciuto fino ad allora come parte integrante di

un’opera, prende una non-forma nella musica di Cage attorno agli

anni ’50: il silenzio. Esso è materia sonora e come tale ne

amplifica, sottolinea i suoni, li rende agonizzanti, gli dona

respira. Il silenzio è fortemente espressivo e, talvolta, comunica

molto più intensamente di qualunque strumento materiale. La

percezione amplifica le sue possibilità perché non è più

concentrata sull’uomo stesso, difatti, la musica è rivolta

all’universale e ci immerge in una sorta di nulla-tutto,

dimensione del nirvana in cui ci si perde completandosi. Il

silenzio di Cage è un silenzio zen, che si impone sul suono: le

96A. Saccoccio, Cage: indeterminatezza e parentesi temporali , cit.,www.liberidallaforma.blogspot.it, maggio 2008

pause, infatti, risaltano più degli interventi musicali. Il

silenzio come spazio, vuoto: nell’estetica giapponese,

specialmente nelle arti figurative, le configurazioni corporee

hanno minor importanza rispetto agli spazi vuoti. Il vuoto che

risalta la forma, la contiene, è suo teatro d’origine. Il vuoto è

sostanza, come, appunto il silenzio. Dalla scuola buddhista

sappiamo che ogni cosa del creato si compenetrano a vicenda, e

dunque da ciò Cage ne trae insegnamento per arrivare alla

consapevolezza che silenzio e rumore sono parte integrante del

suono. In Cage il silenzio diviene un mezzo per intaccare i rigidi

argini dell’arte tradizionale che ha sempre perseguito lo scopo di

plasmare una forma come elemento d’apparenza. Il lavoro del

compositore è di natura sperimentale e multisensoriale: la sua

creazione artistica vive di materiale slegato da preconcetti

politici ed economici, le teorie vengono accantonate per poter

sondare più a fondo quella parte della coscienza ancora

incontaminata da vincoli strutturati.97

Nel 1893 Debussy scriveva in una lettera: «Mi sono servito di un

mezzo che mi sembra assai raro, del tutto spontaneamente; cioè del

silenzio, come mezzo espressivo e forse come modo per fare

risultare l’espressione di una frase.»98 Argomento, quello del

silenzio, sicuramente non proprio della cultura occidentale che lo

intende negativamente associandolo a qualcosa come la solitudine o

97Gianmario Borio, Il pensiero musicale della modernità, da L’orizzonte filosofico del comporre nelventesimo secolo, il Mulino, Venezia, 2003, pp. 16-1798Peter W.Atkins, Il secondo principio, Zanichelli, Bologna, 1988

la morte. Il silenzio che non l’occidente non sa ben dosare nella

comunicazione quotidiana.99

Cage adotta forme comunicative multimediali ed è capace di farle

proprie. Gli anni ’50 vedono la comparsa degli happening dove arti

visive, teatro, danza, musica e poesia si incrociano e dialogano.

Ciò che è particolarmente interessante per descrivere come la

musica extraoccidentale abbia introdotto i suoi influssi nella

cultura occidentale riguarda Cage e il suo costante desiderio di

guardare oltre la tradizione classica. Il compositore statunitense

utilizza gli stessi strumenti della musica colta per stravolgere

il linguaggio dall’interno. E lo fa, appunto, attraverso il

pianoforte preparato, una rivisitazione dello strumento classico

nel quale vengono inseriti chiodi, bulloni di metallo, viti. Del

suo lavoro per Sonatas and Interludes dice: «quando io appoggio

per la prima volta degli oggetti all’interno del pianoforte, c’è

il desiderio di possedere i suoni, in altre parole, di essere in

grado di ripeterli. Ma quando la musica lascia la mia casa e va da

piano a piano, e da pianista a pianista, diviene evidente non solo

che un pianista è diverso da un altro, ma anche il pianoforte non

è mai il medesimo. Invece della possibilità di ripetere, mi trovai

di fronte alla vita con le sue caratteristiche e qualità uniche,

davanti ad ogni occasione[…] Imparai a gioire delle cose come

vengono, piuttosto che fissarle affinché siano come io voglio.»100

Spagliare le carte dell’unità per ricomporre un’immagine

molteplice della musica.99Francesco Bonami, Il significato è nel respiro, intervista a John Cage,www.flashartonline.it ,1991100John Cage, prefazione a The Well Prepared Piano, di R.Bunger, Colorado Springs, TheColorado College Music Press, 1973.

Lo sguardo di Cage volge oltre l’oceano, vuole rendere fertile il

terreno della musica occidentale che, secondo lui, deve sapersi

aprire ad ‘altra’ musica. Nell’opera Sonatas and Interludes è collocato

il suo primo pezzo d’orchestra, ovvero The Seasons, che nasce come

musica per il balletto in un atto per Merce Cunningham. Qui

troviamo il legame del compositore con la cultura indiana,

difatti, sono presenti delle melodie statiche, ripetitive, che non

si sviluppano in diverse direzioni poiché vogliono riprodurre

l’andamento ciclico delle stagioni e, quindi, della natura. The

Seasons è suddivisa in nove movimenti corrispondenti alle quattro

stagioni con i rispettivi preludi. La composizione è

caratterizzata da una diffusa dolcezza della linea melodica dove

l’estetica indiana indica a Cage che l’inverno sia un momento di

pace, che la primavera corrisponda ad uno stato di vitalità

creatrice, mentre l’estate sia conservazione e l’autunno

disgregazione. Ad ogni fine si sussegue un inizio.

In questi anni, Cage vuole andare oltre l’obbiettivo della

comunicazione nella creazione musicale e lo fa seguendo quanto

sostiene la tradizione indiana, ovvero che la musica sia un modo

per pacificare la mente e l’animo. «Secondo la teoria indiana ci

sono nove emozioni permanenti […] che introducono alla vera e

propria rasa (emozione estetica); senza di esse infatti non c’è

rasa. Sono: l’eroico, l’erotico, il meraviglioso, il gioioso

( bianche); il patetico, l’odioso, il furioso, il terribile

(nere). La tranquillità si trova nel mezzo dei quattro modi

‘bianchi’ e dei quattro modi ‘neri’: essa è lo stato a cui tendono

normalmente, per questo è importante esprimerla prima degli altri,

senza nemmeno curarsi di manifestare gli otto restanti. Si tratta

dell’emozione più importante.»101

Gli anni tra il 1940 ed il 1951 sono quelli dedicati alla

composizione dei brani per il pianoforte preparato. Alcuni di

questi vengono scritti per danzatori, compagnie di ballo:

soprattutto quelli predisposti per un accompagnamento coreografico

poiché aventi un ricco intreccio di ritmo e melodia. Il pianoforte

viene usato come strumento monofonico, cioè vengono eliminati gli

accordi e la melodia quindi si fa scattante, nervosa, simile ad un

discontinuo picchettare di pioggia. C’è la volontà di ricreare

un’estetica primitiva, lontana dal bello ideale romantico, il

desiderio di riprodurre una rigogliosa natura di suoni differenti

tra loro.102

Le Sonatas and Interludes sono scritte secondo la notazione

musicale tradizionale, quindi troviamo il riferimento consueto

alle altezze, alla durata dei suoni ma l’effetto creato è qualcosa

di differente da ciò che il pubblico in generale era abituato ad

ascoltare dal pianoforte. Cage trasporta verso l’Oriente,

intreccia viaggi sonori spirituali ispirandosi alle filosofie

Hindu e Zen, elaborando varie indicazioni dinamiche con una

penalizzazione puntuale e precisa.

Analizzando la Sonata V, sempre parte di Sonatas and Interludes, si

può percepire il deciso fascino della dimensione tribale e

primitiva che caratterizza il lavoro di Cage. La vivacità ritmica

101John Cage, Per gli uccelli. Conversazioni con Daniel Charles, Testo&Immagine, 1999, cit.p.102

102 Peter Sarram, pubblicato su BlowUp # 20, www.blowupmagazine.com, gennaio 200

è simile a quella del pezzo Bacchanale, del 1938, composto per

l’accompagnamento di una danza. Il ritmo è regolare ed incalzante,

inizialmente. Poi, nella seconda parte, questa regolarità si

sgretola, si fraziona ed il ritmo imperversa con irruenza,

nervoso. Il timbro è ossessivo nelle percussioni e la mano

sinistra produce delle sonorità cupe, gravose. Sulle corde del

pianoforte sono posti materiali di gomma, dei bulloni e dei dadi.

Su questa linea melodica spintonano dei guizzi metallici, in

particolare il suono del Mi bemolle è protagonista. L’elemento

dell’inaspettato giunge sul finale quando si arriva ad un momento

statico quasi letargico, come un qualcosa che fa irruzione

d’improvviso ed inesorabile.

Siamo immersi in un flusso musicale che non appartiene agli schemi

metrici occidentali che basano la scansione ritmica sul battito

cardiaco. La misura musicale giapponese, ad esempio, non è

numerabile, segue altre forme di percezioni, come l’andamento

irregolare ma naturale del respiro. L’esperienza d’ascolto delle

composizioni di Cage, intrise di musica orientale, lascia la

sensazione di fluttuare in un percorso non impalpabile, vicino

all’etereo. Il suono, il rumore ed il silenzio, in questo spazio,

allora, sensibilmente si fondono, non c’è nulla da eliminare

perché tutto è parte dello stesso percorso sonoro. D’altro canto

la filosofia orientale tende verso l’universale, un collettivo

sentire, piuttosto che un soggettivo sentire della cultura

occidentale dove il singolo è al centro.

«La ricerca sulla natura del suono si evolve in una considerazione

sempre più autonoma ed estesa dei suoni, che finiscono per

coincidere con la molteplicità della vita stessa.»103 Quella di Cage

è una ricerca del suono che si fa natura e dunque ha tutte le

sfaccettature del mondo per il quale ha viaggiato. Una musica che

ha raccolto e assimilato le sfumature sonore di molte culture e

dunque è raro trovare ad essa una precisa identità. Cage dissacra

gli schemi che non possono creare confini a qualcosa che, come la

musica, non può averne.

103John Cage, Per gli uccelli. Conversazioni con Daniel Charles, Testo&Immagine, 1999, cit.p.75

Franco Oppo: la musica sarda nella modernità

Quando si parla di musica popolare si intende una musica composta

da un linguaggio del popolo, una sorta di codice che viene

riconosciuto e condiviso dagli individui di una data comunità.

Canti e balli che parlano del popolo, della loro storia, delle

loro usanze. La tradizione popolare è una tradizione orale poiché

i vari repertori sono tramandati, da generazioni in generazioni,

attraverso l’opera stessa: chi l’ascolta impara a riprodurla nel

tempo.104 Non si tratta di opere, dunque, messe per iscritto tramite

una notazione simbolica. Di certo è un meccanismo molto delicato,

difatti i repertori, di anno in anno, possono essere modificati da

diversi fattori con l’evolversi delle società.

Altra caratteristica della musica popolare è l’improvvisazione: la

creazione dell’opera non scritta è legata, essenzialmente, al

momento stesso della sua esecuzione. Durante questa, infatti,

possono avvenire delle variazioni, cambiamenti. Elementi come

oralità e improvvisazione sono presenti nella musica popolare, che

prende l’appellativo di ‘folklorico’ se associato alla musica

delle nazioni europee o degli Stati Uniti d’America, indicata come

104Diego Carpitella, Il primitivo nella musica contemporanea, da Conversazioni sulla musica,Ponte Alle Grazie, Firenze, 1992, p.42-43

‘etnica’ la musica tradizionale dei paesi del terzo mondo, come ad

esempio l’Africa; e nel jazz.

La musica popolare è, inoltre, anonima: essa è espressione di un

popolo ma è scritta da un singolo individuo che rimarrà

sconosciuto. L’opera, che è caratterizzata da ideali, valori,

saperi condivisi dalla comunità, supererà una sorta di ‘censura

preventiva’ da parte degli altri individui e sarà trasmessa e

ritrasmessa. La musica tradizionale di un popolo è parte

integrante della vita quotidiana di questo: è associata a

particolari occasioni rilevanti per la vita del singolo e per la

società e quindi assume un’importante funzione.

Il binomio colto-popolare non è eresia, questi due ambiti, seppur

differenti, soprattutto nelle modalità costruttive, nello stile,

nel linguaggio compositivo, non sono estranei l’uno all’altro. Già

con Stravinskij abbiamo potuto vedere il suo interesse per il

balletto russo, il fascino suscitato in Debussy dalla musica

tradizionale dell’isola di Giava, Bartok ed il suo, quasi

religioso, studio delle musiche popolari che hanno forgiato le sue

composizioni ed, infine, gli influssi orientali nello

sperimentalismo di Cage.

Per molto tempo si è pensato che la musica colta fosse qualcosa di

‘puro’, ‘alto’, qualcosa che si avvicinava alla perfezione per i

canoni di una concezione di ‘bello’ che, col tempo, ha trovato

nuove forme per esprimersi.

Nell’arte classica, il gusto della purezza non può essere

ritrovato in uomini comuni, non può essere riprodotto dalla classe

plebea. Domina un’idea di arte composta, composta entro

determinati binari presi in eredità dalla tradizione105. Tutto ciò

che si discosta da questo è ‘impuro’, quindi imperfetto. Non

stupisce, dunque, che la musica popolare sia considerata in questo

modo. Essa non è una musica di teoria, scritta, ma piuttosto voce

diretta della storia di un gruppo di individui, che esprime

sentimenti. Si giunge quasi a questa divisione: musica di ragione

e musica di sentimento, il colto ed il popolare106.

L’orecchio occidentale è da sempre attratto dalle musiche altre, a

melodie, stili compositivi differenti da quelli che la società

propone. La tradizione colta e quella popolare vengono divise da

secoli dalle istituzioni culturali, il sacro ed il profano, il

ricco ed il povero.107

Oggi questo divario si è assottigliato, interesse e curiosità

culturali vanno alla ricerca di materiale musicale tradizionale.

Il problema sta nell’approccio, nello studio della musica

tradizionale che rimane una sorta di scavo di repertori arcaici,

inattuali, come se fosse un oggetto da museo. La world music,

musica occidentale colorita da influenze etniche,108 impazza nel

mercato discografico internazionale ma, talvolta, la fusione di

generi di varia natura rischia di diventare chiassosa e nella

baraonda non si distinguono alcune origini. E quando lo si fa,

poi, queste tendono a dare staticità alla tradizione. Secondo il

jazzista sardo Paolo Fresu, infatti, si tende a salvaguardare la

105 Jean Molino, Il puro e l’impuro, da Enciclopedia della musica, VOL.I, 2001,pp.1052-1061106 Ibidem107Vittorio Montis, Il canto a tenore: un’espressione poetico musicale ancora viva nella tradizonepopolare della Sardegna centrale, in Suono e cultura, Mucchi Editore, 1994108 Mario Baroni, L’orecchio intelligente, LIM, 2004, p.227

musica tradizionale mettendola sotto una teca per essere

unicamente contemplata e ricordata.109 In realtà, la musica del

popolo è sempre attuale, perché gli individui si esprimono da

sempre musicalmente e lo faranno sempre.

La tradizione musicale sarda è un esempio di influenze e

contaminazioni culturali che la regione ha avuto nel corso dei

secoli. La Sardegna è stata invasa, sfruttata ma ha saputo

difendere il suo patrimonio culturale musicale, nonché il suo

senso della collettività. Il linguaggio musicale sardo si è

aperto a vari generi e possiamo constatarlo, ad esempio, con la

nascita del gruppo etno-rock sardo Kenze Neke. Già dal nome,

‘Senza colpa’, per ricordare l’anarchico sardo Michele Schirru

fucilato nel 1931 perché progettava l’attentato a Mussolini, si

intuisce lo spirito identitario del gruppo.

Cantano interamente in lingua sarda e riprendono alcuni brani

della tradizione popolare come Ass’andira, dal canto A s’andira.

Contemporaneità musicale, dunque: la lingua sopravvive ed il suono

richiama, con echi ancestrali, la lunga, complessa storia di un

popolo. Resta comunque aperta il problema di un rapporto

equilibrato tra tradizione e modernità poiché, se da una parte

nella musica contemporanea troviamo influssi della musica sarda

popolare, dall’altra sembra esserci una «cristallizzazione del

patrimonio tradizionale».110 I ‘canti monodici’, i ‘canti monodici

con accompagnamento’, i ‘canti polivocali’, la ‘musica

strumentale’ sono individuate e studiate dai curatori della musica109 Paolo Fresu, La musica tradizionale sarda: un ponte tra passato e futuro,www.allaboutjazz.com, gennaio 2010110 Diego Carpitella, Pietro Sassu, Leonardo Sole, Musica Sarda. Canti e danze popolari,Nota, 2010, cit. p.13

tradizionale che ne evidenziano ciascuna variante. Inoltre, nei

libri trattanti la musica sarda, si distinguono con attenzione i

materiali sonori a seconda della loro provenienza dalle zone

linguistico- culturali, ovvero il centro- nord ed il sud. La cura

riguarda anche la trascrizione dei testi dei canti con le

determinate varianti linguistiche della regione e il riportare il

contesto d’uso delle musiche, ciò che vogliono comunicare.111

Nella realtà sarda questa musica vive forme espressive

contrastanti: dagli spettacoli folkloristici, talvolta di solo

intrattenimento turistico, all’uso di elementi popolari per

comunicare problematiche sociali e politiche della regione. Dalla

fine degli anni Cinquanta, i musicologi riflettono sulla musica

tradizionale e la sua apertura verso nuove forme che costituiscono

la modernità della musica sarda. Con gli anni Settanta artisti del

mondo del jazz, ma anche del rock, come abbiamo visto, e del pop,

prendono coscienza del vasto patrimonio musicale della propria

terra.112 Dapprima si guarda al repertorio tradizionale come a

qualcosa di arcaico, al limite dell’esotico, a cui attingere. In

seguito, i compositori si interrogano sul proprio modo di far

musica: negli anni Ottanta impazza la world music e la ricerca

delle proprie origini musicali, evidentemente, diviene un bisogno

più ingente. In Sardegna le musiche vocali e polivocali hanno, per

molto tempo, assistito staticamente all’evolversi della scena

musicale del territorio. Col tempo, invece, sono entrate a far

parte del repertorio moderno. Così come anche l’uso delle

111 Ibidem112 In www.italia.allaboutjazz.com , Paolo Fresu, La musica tradizionale sarda: un ponte trapassato e futuro, gennaio 2010

launeddas: strumento polifonico più antico del Mediterraneo,

presente per la maggior parte a sud dell’isola ma usato molto

anche al nord. Il canto continua a manifestare la sua presenza

nelle sagre, negli spettacoli di piazza, sia nei paese che nelle

città: a testimonianza di ciò ci sono diversi gruppi ‘a tenores’.

Il canto di questi nasce nei bar di paese, i cosiddetti

‘tzilleris’, dove i bicchieri di vino ispiravano intrecci vocali

che hanno molto in comune col blues. Difatti presentano variazioni

stilistiche a seconda del paese in cui ci si trova e ciò modifica

anche storie e vicende che formano questi canti improvvisati. La

voce è un elemento che permane nella tradizione musicale sarda:

linguaggio e senso delle storie non vengono modificati. Si può

dire che alcuni canti e alcune danze sono ancora funzionali, come

i tenores barbaricini, che sono, cioè , quelli ancorati ai

comportamenti delle persone ancora vivi nella regione e oggetto di

intervento da parte delle comunità locali. Altri, invece, possono

dirsi defunzionalizzati: appartenenti al ‘folklore di mercato’,

cioè un repertorio musicale destinato a feste, cavalcate e

quant’altro.113

In Sardegna la musica tradizionale è ben custodita, anche con

vivace orgoglio, per cui l’interesse e la ricerca di materiali

popolari si mantiene presente. L’ambito tradizionale e moderno

spesso si intersecano, cioè il sistema delle voci e degli

strumenti: si usano meno uno strumento come le launeddas ma

elementi tipici come timbro e tecnica vocale rimangono all’incirca

113 Diego Carpitella, Pietro Ssassu, Leonardo Sole, Musica sarda.Canti e danze popolari,Nota, 2010, p. 13

intatti.114 La modernità dovrebbe farsi spazio all’interno della

tradizione popolare facendo sì che le opere della collettività

vadano a interagire con quel determinato sistema musicale. Senza

un ruolo attivo nella società, senza, cioè, la corrispondenza di

canti e danze popolari con la vita degli individui, la musica

popolare rischia di rimanere unicamente un oggetto da esposizione

che ricordi l’antichità e quindi qualcosa da riesumare perché

dimenticato.115

Un compositore che elabora il suono ‘sardo’ rendendo possibile la

fusione senza stonature tra la musica di tradizione orale e quella

colta è Franco Oppo. Nato a Nuoro nel 1935, è considerato un

emblema della nuova musica in Sardegna. Studia musica a Cagliari,

dove ora è docente al Conservatorio, e si diploma in musica orale,

pianoforte e composizione. Studia a Roma con Goffredo Petrassi,

compositore e didatta, con Franco Evangelisti, compositore

dell’avanguardia sperimentale, e con Piotr Perkowski, compositore

polacco. Per la sua formazione musicale sono importanti anche gli

incontri con due compositori e pianisti Renato Fasano e Marcello

Abbado.

La musica sarda è per Oppo una fonte primaria di conoscenze, o

meglio di arte di un’epoca lontana che deve essere studiata a

fondo, compresa e quindi può essere rielaborata, conservandone le

caratteristiche fondamentali linguistiche e strutturali.116 La

contaminazione nella sua musica proviene, dunque, dal patrimonio

culturale parte delle sue origini.114 Ibidem, p.14115 Ibidem116Antonio Trudu, Franco Oppo: il musicista organico,www.dialnet.unirioja. es /servlet/fichero_articulo?codigo=3623142 , 2009

Conoscitore della musica popolare da bambino e studioso

dell’ambiente colto, Oppo inizialmente vede ardua la sintesi tra i

due universi, poi, col passare del tempo, prova ad avvicinare il

materiale tradizionale alle composizioni alle sonorità

contemporanee.117 Secondo Oppo, è la musica contemporanea che si è

aperta alla possibilità di creare commistioni di suoni e melodie,

di elementi provenienti da culture diverse. Il compositore giunge

a far incontrare i due ambiti attraverso lo strutturalismo: ovvero

«meccanismi di organizzazione strutturali, replicati e riproposti

con materiali che mi riportavano ad un ordine musicale coerente e

praticabile». 118

L’incontro tra sperimentazione sonora d’avanguardia ed elementi

fonetici della musica tradizionale sarda avviene tra fine anni ’70

ed inizio anni ’80. Il patrimonio della musica sarda, con la sua

struttura e la sua forma linguistica, può collimare con la ricerca

‘avanguardistica’: come in una sorta di sistema dinamico, alcune

varianti vengono sostituite da fattori del canto popolare.119

Musica per chitarra e Praxodia sono frutto di questo processo di

convergenza. In quanto alle loro partiture si può trovare

l’elemento aleatorio in cui il compositore da le indicazioni

necessarie per l’esecuzione dell’opera ed in più, qui, vengono

descritte le procedure compositive utilizzate. Praxodia è una

delle più significative opere di Oppo poiché gli elementi della

musica sarda entrano a far parte del sistema musicale del

compositore in modo stabile, diventandone veste caratteristica.117Maurizio Erbi, Le riflessioni di un compositore: intervista a Franco Oppo,http://www.simc-italia.it/materiali/Oppo_Erbi.pdf, 2011118 Ibidem, cit.119Consuelo Giglio, Franco Oppo. Nuova musica della Sardegna, L’Epos, 2011, p.85

Le Anninnie, una del 1978 e una del 1982, il cui nome ‘anninnia’

deriva da un nonsense intercalato tipico della tradizione popolare

sarda, sono l’esempio di dialogo di due lingue diverse. Le

anninnias sono forme musicali monodiche semplici, formate da

pochissime note e presentano micro variazioni coerenti. Anninnia II

presenta una strutture molto simile.120 Dagli appunti per Anninnia

II nascono le Berceuses, ninna nanne popolari composte da linguaggio

e struttura attuali. La trascrizione rimane fedele all’originale,

Oppo le forgia di una sonorità moderna. Mantengono la loro

articolazione monodica, vengono rivisitate le tre o quattro note

attorno alle quali ruotano le melodie, ponendole ognuna in

un’ottava diversa della tastiera. Dice al riguardo il compositore:

«Con tre note a distanza di tono non si può fare molto, però ho

sempre cercanto di scoprire le diverse combinazioni di risonanze

che potevano esserci. Proiettare queste note nelle diverse ottave,

mi permetteva di restare agganciato all’originale perché le note

erano quelle, ma trasportate di una o due ottave, ma il mio vero

interesse era quello di dare a questo materiale popolare una

patina di modernità, sfruttando le risonanze ampie dello

strumento».121

Le Berceuses composte da Franco Oppo constano di tre brani: il

primo vede l’impiego delle note della melodia originale ma

trasportate di una o due ottave, in questo modo la sonorità resta

vicina alla tradizione ma lo strumento viene arricchito di molte

risonanze per dare un respiro di modernità al pezzo.122 Nel secondo120 Ibidem, pp. 90-91121Maurizio Erbi, Le riflessioni di un compositore: intervista a Franco Oppo,cit., http://www.simc-italia.it/materiali/Oppo_Erbi.pdf, 2011122 Ibidem

brano la struttura melodica è realizzata frammentando la scala

diatonica; i melismi, invece, di cui è ricco il pezzo, nascono

dall’uso di note vicine tra loro. Il brano è diviso in due sezioni

e la seconda è rigogliosa di varianti cromatiche, dunque si

distanzia dalla versione origianle.123 La terza Berceuses prende

vita da una lunga e approfondita ricerca. La particolarità di

questo brano è la ripetizione di una tonica, come un bordone

costante, la quale fa pensare allo strumento tradizionale delle

Launeddas. Lo studio del brano porta Oppo a capire che le

combinazioni delle varianti dei materiali danno sempre e comunque

una melodia che evoca e trasporta come una ninna nanna.124 Ogni

sfumatura degli elementi, secondo Oppo, può essere inserita nella

logica delle combinazioni che vanno a costituire lo scheletro del

brano.

Sagra, del 1985, è un’opera caratterizzata dalla presenza dell’oboe

e degli archi, due violini e una viola. Qui l’attenzione è posta

sulle procedure d’elaborazione proprie della musica sarda:

variazioni che si snodano lungo una catena e, all’interno di

queste, ci sono altre variazioni. Questa modalità compositiva è

tipica delle tecniche di improvvisazioni delle launeddas.125

Le Variazioni su temi popolari per launeddas e live electronics costituiscono un

lavoro di ricerca di musica elettroacustica dove lo strumento

veniva testato nelle peculiarità del suo impianto polifonico.

Caratteristiche non semplici da manipolare, come la sua rigida

struttura armonica, il suono privo di variabili dinamiche.126 Nel live123 Ibidem124 Ibidem125 Consuelo Giglio, Franco Oppo. Nuova musica dalla Sardegna, L’Epos, 2011, p.93126 Ibidem, p.98

electronics il suono delle launeddas non viene storpiato ma è lasciato

così com’è, alla sua natura. Lo strumento è suonato in modo

tradizionale con l’aggiunta di variazioni che faranno le macchine,

giocando su ritardi, risonanze ed altro.127 Questa è sicuramente

un’esperienza di connubio tra tradizione e modernità: uno

strumento sardo che viene accompagnato da un elemento della musica

contemporanea, ossia l’elettronica.

Seppur il repertorio di musiche popolari sia considerato lontano

dal sistema di musica colta, la conoscenza approfondita di alcune

culture musicali può dimostrare il contrario, vista la ricchezza e

la complessità compositiva di certe tradizioni strumentali, come

anche di canto e di ballo.128

.

127 Ibidem, p.99128Diego Carpitella, Pietro Sassu, Leonardo Sole, Musica sarda. Canti e danze popolari,Nota, 2011, p.100

 

La musique concrete e la volontà di comporre oltre lanotazione tradizionale occidentale

Nel secondo dopoguerra Webern diventa il fulcro di ispirazione per

la costruzione di nuovi linguaggi musicali: il compositore

austriaco adotta la dodecafonia teorizzata da Schoenberg;

l’organizzazione di ritmo, altezza e dinamica diverrà, nel XX

secolo, punto di riferimento per le tecniche compositive e base

per il serialismo integrale. Difatti, i ‘postweberiani’, così

chiamati, portano avanti il rigore costruttivo delle composizioni

e l’importanza attribuita al suono, con l’esaltazione delle sue

caratteristiche specifiche. La crisi del linguaggio musicale in

Europa, come abbiamo visto, fa sì che le teorie weberiane vengano

portate all’estremizzazione. Il serialismo integrale, infatti,

oltre che a scandagliare la natura del suono, non solo nel

parametro delle altezza come nel caso della dodecafonia classica,

porta ad una eliminazione della soggettività del musicista. Questo

è un elemento che si avvicina al fenomeno di alienazione

dell’uomo, inteso come artista, all’interno della società ormai

automatizzata: l’attività umana perde il suo oggetto. Creatività e

razionalità umana vengono messe in discussione, non sono più

qualcosa di assoluto. Si infiltra una indeterminatezza che va ad

influire sul processo compositivo: il risultato fonico è previsto

solo in parte, in modo approssimativo. E’ il gesto che produce il

suono che conta, la scelta al momento dell’esecuzione da parte del

musicista. Si parla, dunque, del fenomeno di aleatorietà che Cage

assimila e sperimenta. La creazione musicale viene ad assumere una

‘forma aperta’, dove anche l’ascolto del silenzio è parte

integrante dell’opera. Da qui, si comprende che anche la natura

della materia sonora viene a trasformarsi mettendosi in

discussione: il sistema tonale è ormai abbandonato, così come

quello temperato. Il compositore ha davanti a sé molte strade da

poter intraprendere per modificare i suoni e la loro materia, in

un sistema dove assonanze e dissonanze non rispondono più a

criteri di notazione tradizionale ma è legata alle radici della

profonda crisi storica della civiltà musicale europea e

occidentale.

Il primo strumento elettronico nasce nel 1900: il dynamophono,

ideato da Thaddeus Cahill ed altri ricercatori che lavorano alla

produzione di correnti alternate a diverse frequenze.129 Nel 1928,

invece, si fanno strada le onde Martenot, dal nome dell’inventore,

tra i compositori. L’invenzione consiste in uno strumento con una129Andrea Lanza, Il secondo Novecento, da “Storia della Musica”, EDT, Torino, 1991,p.120

tastiera di cinque ottave che può eseguire intervalli temperati.130

Le innovazioni nel campo della tecnologia applicata alla musica

continuano negli anni successivi. La materia fonica diviene

illimitata e, di conseguenza, i compositori assumono e procedono

con atteggiamenti sempre più pioneristici.

Si fa strada, in questo periodo, l’emancipazione del rumore come

parte del suono: nel 1913 Luigi Russolo, compositore e pittore,

firma il manifesto L’arte dei rumori. La musica non può essere composta

solo da suoni, ormai, ma anche da tutti quei rumori che fanno

parte della quotidianità dell’uomo che vive nelle metropoli.

Scrive così nel manifesto: «Questa evoluzione verso il "suono

rumore" non era possibile prima d'ora. L'orecchio di un uomo del

settecento non avrebbe potuto sopportare l'intensità disarmonica

di certi accordi prodotti dalle nostre orecchie […]Il nostro

orecchio invece se ne compiace, poiché fu già educato dalla vita

moderna, così prodiga di rumori svariati.»131 Il concetto di rumore,

prima di Russolo, era legato a forme onomatopeiche di

abbellimento, o comunque a modi di colorire dei brani. Ora è parte

del linguaggio musicale: non è un elemento di disturbo della

consueta e tradizionale armoniosità musicale, bensì acquista un

valore tutto suo, diviene struttura della composizione. Non viene

più eliminato come fattore accidentale ma viene inglobato, esprime

concetti, è reso musica, forma elaborata d’arte.132

130 Ibidem131Luigi Russolo, L’Arte dei rumori – Manifesto futurista, cit.,http://www.eclectic.it/russolo/artofnoises.pdf, 1913132Gabriele Marino, Luigi Russolo. Frammenti di un discorso rumoroso,http://www.sentireascoltare.com/articolo/835/luigi-russolo-frammenti-di-un-discorso-rumoroso.html, 2009

Suoni, ritmi, rumori che possano musicare il mondo interiore

dell’uomo: ci troviamo lontani dagli stilemi romantici ed immersi

nella forte esigenza di sperimentazione che porta all’affermazione

della musica contemporanea. La musica del Novecento si

caratterizza, infatti, per la ricerca inarrestabile di nuove

sonorità e ciò porta al bisogno di arricchire le composizioni con

materiali dapprima mai utilizzati, desueti agli occhi della

tradizione classica strumentale. L’opera Traitè des objets

musicaux di Pierre Schaeffer fronteggia proprio le dinamiche della

musica contemporanea che si sviluppano attorno all’oggetto sonoro:

così può essere definito poiché, con la possibilità di essere

registrato, il suono non è più astratto, bensì esso approda al

processo di materializzazione. Il compositore francese riflette

sulla possibilità di registrare sul nastro magnetico tutti quei

rumori e micro rumori, naturali e meccanici, che fanno parte della

nostra sfera percettiva e che possono essere manipolati. La

crescente tecnologia, difatti, permette che si continuino ad

abbattersi le barriere della musica occidentale con nuovi

strumenti in grado di allargare gli orizzonti compositivi. Afferma

Pierre Schaeffer: «Noi abbiamo chiamato la nostra musica concreta,

poiché essa è costituita da elementi preesistenti, presi in

prestito da un qualsiasi materiale sonoro, sia rumore o musica

tradizionale. Questi elementi sono poi composti in modo

sperimentale mediante una costruzione diretta che tende a

realizzare una volontà di composizione senza l’aiuto, divenuto

impossibile, di una notazione musicale tradizionale».133 Quella di133 Martino Traversa, Il suono riprodotto come materia musicale, da “Il suono riprodotto.Storia, tecnica e cultura di una rivoluzione del Novecento”, EDT, Torino, 2007,

Schaeffer è una rivoluzione ‘rumoristica’ che non può dirsi

radicale ma sicuramente moderata: si allontana dallo

strutturalismo postweberiano per ricercare stimoli dalla realtà

quotidiana, punti fermi nella tecnica. Le sue composizioni, spesso

tacciate di confusi ed inconcludenti collages, vibrano di

sorprendenti trovate inerenti alla stratificazione poliritmica e

polimetrica.134 Essenzialmente, Schaeffer e gli sperimentatori della

musica concreta, eliminano dal loro vocabolario i parametri fonici

appartenenti alle logiche della musica tradizionale; registrano

rumori, voci, strumenti tradizionali di culture occidentali ed

esotiche, qualche suono sintetico, li trasformano con varie

manipolazioni elettroacustiche. Nel 1948 il giradischi permette

accelerazioni e rallentamenti della materia sonora e, più tardi,

questo lavoro sarà svolto col registratore. Il vanto dei

‘concreti’ è quello di riuscire a mantenere le caratteristiche

complesse del suono naturale attraverso la divisione di esso in

tempo, frequenza e livello sonoro, questo con l’attività di

montaggio, filtraggio e riporto amplificato.135

Intorno al 1948 il compositore, assieme allo scienziato Abraham

Moses e al musicista Pierre Henry, inizia a registrare e

riprodurre suoni di vario genere di oggetti comuni assemblati con

spezzoni di brani di musica tradizionale che vengono

decontestualizzati dalla situazione di origine. Sperimentazioni

simili hanno già dei precedenti con l’ ‘intonarumori’ di Luigi

Russolo. Un intonarumore è una scatola di legno dipinta con varip.41134Andrea Lanza, Il secondo Novecento, da Storia della Musica, EDT, Torino, 1991, pp.124-125135 Ibidem, pp.240-241

colori piuttosto accesi, dove all’interno si trovano lastre, fili

metallici collegati tra loro da ingranaggi. La ‘macchina’ è

azionata da una manovella e a seconda della velocità con cui

questa viene girata vengono controllate le dinamiche del suono e

del rumore. Inoltre, una leva permette di modulare il tono, mentre

una sorta di tromba viene utilizzata come amplificatore.136

Dopo questo processo di trasformazione ed elaborazione i brani

vengono proposti all’ascoltatore in un contesto di fruizione

culturale ed artistica. Non vi è alcun interprete, è la radio,

sono gli autoparlanti che li diffondono. L’intento degli studiosi

e teorici della musica concreta è proprio quello dell’ascolto del

‘suono puro’, prelevato dai suoi consueti luoghi d’origine,

cosicchè l’attenzione su di essi sia maggiore. Ce lo insegnano i

readymades di Marcel Duchamp: manufatti d’uso quotidiano che

estrapolati dal loro contesto vengono percepiti diversamente,

soprattutto se presentati come ‘opere d’arte’. L’oggetto sonoro

può essere considerato come oggetto di routine e la sfida della

musica concreta è quella di abbattere le differenze tra

l’attenzione ordinaria rivolta ai suoni, spesso superficiale, e

quella estetica, invece indotta.

Nel 1951 il compositore francese istituisce il ‘Gruppo di Ricerca

di Musica Concreta’ (GRMC), che diventa un punto di riferimento

per musicisti come Pierre Boulez, Oliver Messiaen, Karlheinz

Stockhausen ed altri.137

136Gabriele Marino, Luigi Russolo. Frammenti di un discorso rumoroso,http://www.sentireascoltare.com/articolo/835/luigi-russolo-frammenti-di-un-discorso-rumoroso.html, 2009

Nel 1966 scrive il Trattato degli oggetti musicali, dove esprime in modo

compiuto la sua teoria. Pur non essendo un musicista, e quindi non

avendo una formazione artistica, si interessa al suono e alle sue

caratteristiche. Una sorta di ‘ingegnere del suono’, lo si

potrebbe chiamare, considerando anche il fatto che è un ingegnere.

La registrazione e riproduzione sonora sono le sue materie ed il

suo lavoro lo porterà ad affermare che coloro che sono in grado

realmente di ascoltare l’oggetto sonoro siano i tecnici del suono

e non i musicisti. Il meticoloso studio delle peculiarità della

materia sonora è al centro dell’attenzione di Schaeffer che lo

analizza spogliandolo di tutti gli inutili riferimenti culturali:

sovrastrutture che appesantiscono la musica di un carico che non

le permette di evolversi da troppo tempo. Ciò è causato anche

dalla notazione, principale causa dell’astrattismo che avvolge la

musica colta occidentale da sempre: anch’essa va abolita, assieme

all’interprete, il quale dovrebbe essere sostituito dal tecnico

del suono, appunto.138

Convinto che la profonda crisi che la cultura occidentale sta

attraversando possa fornire nuovi stimoli di ricerca, Schaeffer

mira al rinnovamento formare del linguaggio musicale e si pone in

aperta critica verso la musica colta: essa è, secondo lui, troppo

astratta per riuscire a descrivere e dar voce all’ambiente

concreto in cui l’uomo vive.139 Il rinnovamento che il compositore137 Martino Traversa, Il suono riprodotto come materia musicale, da “Il suono riprodotto.Storia, tecnica e cultura di una rivoluzione del Novecento”, EDT, Torino, 2007,p.40138Enzo Santarcangelo, Oggetti ed attenzione estetica: il caso della ‘Musique Concrete’ ,http://www.filosofico.net/musiqueconcreteenzo.htm, visionato Maggio 2012139 Martino Traversa, Il suono riprodotto come materia musicale, da “Il suono riprodotto.Storia, tecnica e cultura di una rivoluzione del Novecento”, EDT, Torino, 2007,

desidera è volto al superamento di un’importante problematica

antropologica, ovvero, l’abbandono dell’eurocentrismo musicale che

impedisce di aprirsi e comprendere linguaggi musicali di altri

mondi. Sostiene il Schaeffer: « Il nostro grande scopo è quello di

far saltare le scogliere di marmo dell'orchestrazione occidentale,

di presentare nuove possibilità di composizione». Secondo il

compositore, la musica occidentale si è come inceppata in un

meccanismo che vede tre fattori colpevoli del suo

malfunzionamento: innanzitutto, come si è detto, la notazione

tradizionale. Essa non riesce a rappresentare quell’universo

sonoro di cui l’uomo fa parte, ovvero ne descrive solo una

porzione. Il compositore mira a risolvere questo includendo nel

discorso musicale anche il rumore proveniente da diverse realtà,

compresa quella quotidiana come il rumore dei treni. Ne è un

esempio Etude aux chemins de fer (Studi sulle ferrovie), brano che fa parte

delle composizioni nate nel 1948 ovvero Etudes de bruits. Il lavoro di

questi brani viene effettuato collegando diversi giradischi ad un

mixer che legge i suoni registrati, in questo caso, alla stazione

ferroviaria. La lettura dell’ elemento sonoro viene variata,

ossia, si velocizza o rallenta cambiando l’altezza dei suoni;

l’evento sonoro può essere letto in modo normale oppure

invertendolo; vengono svolte delle sovrapposizioni di diversi

segmenti registrati, così come viene cambiata l’ampiezza di ogni

segmento.140 Nel brano Etude aux chemins de fer gli oggetti sonori

vengono organizzati per poter costituire delle frasi. Schaeffer fa

p.41140Adel Karanov, “Etudes aux chemins de fer” di Pierre Schaeffer,http://www.adel.fm/cultura/articles/chemin/chemin.html, 2005

delle scelte selettive per ricercare delle simmetrie nel fraseggio

melodico. Il brano è suddiviso in tre parti: inizialmente si vuole

dare un chiaro riferimento sonoro del contesto in cui ci si

trova, ovvero le ferrovie.141 Successivamente i suoni vengono

rallentati, quasi dilatati nel tempo, per dare la sensazione di un

treno in arrivo. Nella terza parte troviamo un’accellerazione dei

materiali raccolti e ascoltati, sovrapposti tra loro. Schaeffer

non elabora trasformazioni timbriche ma include successioni e

sovrapposizioni dei rumori, così da creare una sorta di fraseggio

ritmico avente una logica espressiva. Gli oggetti sonori sono

sempre gli stessi, si ripetono nel corso del brano: questo a

dimostrare che ciò che conta non è tanto la natura in sé del

suono, quanto piuttosto il modo in cui la si elaborandola e

ponendola in vari punti dell’esecuzione.142

Un altro grande limite della musica occidentale non sappia

cogliere l’importanza rivoluzionaria dei nuovi strumenti

tecnologici come il nastro magnetico, il campionatore, la radio, i

vari diffusori e così via.143 Questi sono in grado di cambiare le

modalità compositive e stravolgere il senso fruitivo della musica.

Difatti, Schaeffer, li sostituisce agli strumenti tradizionali.

Il terzo problema riguarda il fatto che la musica occidentale non

adotta una visione universalistica del linguaggio musicale: tende,

invece, ad escludere le culture lontane, non approfondisce la

conoscenza di linguaggi Altri, ma piuttosto li semplifica secondo

il suo sapere, o peggio le ignora. La materia sonora non è141 Ibidem142 Ibidem143Enzo Santarcangelo, Oggetti ed attenzione estetica: il caso della ‘Musique Concrete’,http://www.filosofico.net/musiqueconcreteenzo.htm, visionato Maggio 2012

adottata secondo le sue infinite sfumature, peculiarità e

potenzialità, il concetto sonoro dell’uomo occidentale fa fatica

ad aprirsi ad influenze Altre.144 Schaeffer cercherà, in linea con

le teorie della musica concreta, di ottenere un suono ‘puro’, in

primo luogo, dal punto di vista antropologico. La melodia

tradizionalmente come la intendiamo evidenzia la cultura presso

cui essa ha origine, così come le note si collocano all’interno

del concetto di armonia, legata a millenni di storia del

linguaggio musicale che non sa descrivere l’epoca moderna.

Inoltre, l’oggetto sonoro deve essere puro, secondo il

compositore, in relazione alla fonte che lo produce. L’ ‘ascolto

indiretto’, ovvero l’ascolto del suono registrato su nastro,

permette di non confondere, immedesimare il suono con lo strumento

che lo emette; questo, ad esempio, avviene nell’ ‘ascolto diretto’

dell’esibizione di un pianista: facilmente si confonde il suono

con le capacità tecniche del musicista.145

Il Trattato del 1966 cerca di fronteggiare i tre problemi,

esplicati precedentemente, che immobilizzano la musica

occidentale. In particolar modo, Schaeffer si sofferma a

riflettere sull’ascolto. L’invenzione della registrazione è un

fattore rivoluzionario nel campo musicale, eppure, a detta del

compositore, si tende maggiormente a prestare attenzione

all’aspetto tecnico invece che alle applicazioni del nastro

magnetico e delle interessanti elaborazioni che con esso si

possono effettuare.146 Andando ad analizzare nello specifico la144 Ibidem145 Ibidem146 Cristina Palomba, Pierre Schaeffer: alla ricerca dell’oggetto sonoro, pubblicato inMusica/Realtà, anno XVIII, N.52, Marzo 1997, Edito dalla Libreria Musicale

trasformazione di un campo a tre dimensioni in un segnale

meccanico, osserviamo che nella registrazione si mantiene e si

riconosce il timbro della voce e di strumenti musicali. Lo spazio

acustico composto da tre dimensioni spaziali più l’intensità, con

la registrazione, si riduce ad uno spazio di una dimensione, nel

caso della monofonia, o di due dimensioni, se parliamo di

stereofonia.147 Con gli apparecchi tecnici cambia il modo di

percepire il suono: il una sala da concerto l’ascolto è

accompagnato da varianti che possono contaminare la purezza

dell’oggetto sonoro. Nell’ ‘ascolto diretto’ si percepisce la

fonte da cui il suono è emesso ed in più si avverte il suono

riverberato, ovvero riflesso dal luogo in cui ci si trova. Il

suono riverberato va ad aumentare il volume del suono,

arricchendolo.148 Nell’ascolto indiretto, invece, è il microfono che

coglie i due tipi di suoni, diretto e riflesso, sommandoli e

fondendoli. In questo caso, dunque, il nostro orecchio non fa una

selezione.

Bisogna considerare, oltre a quello fisico, anche l’aspetto

psicologico dell’ascolto. Nella registrazione di un’esecuzione si

possono captare rumori di sottofondo, o piccoli errori dei

musicisti, ovvero tutti quei piccoli particolari che dal vivo non

avremmo colto poiché l’ascolto indiretto favorisce una sorta di

attenzione libera da distrazioni nel momento dell’esecuzione.149

Le riflessioni di Schaeffer lo portano a sostenere che la

registrazione non è una riproduzione fedele di un brano musicaleItaliana, pp. 65-78147 Ibidem148 Ibidem149 Ibidem

ma bensì una ricostruzione delle sonorità, effettuata grazie ad

una interpretazione di ciò che si è ascoltato. Dedizione, dunque,

all’ascolto. E’ questo il punto di partenza del compositore e,

difatti, ogni riferimento culturale dato dalla strumentazione

utilizzata è lasciato da parte per giungere alla purezza del

suono. Il lavoro è affidato al magnetofono, strumento che permette

a Schaeffer di contemplare ed assimilare suoni nuovi, suoni Altri.

Linguaggi che non sono ancora stati del tutto compresi dalla

cultura musicale occidentale, in parte ancora bloccata nei suoi

schemi tradizionali. Il compositore afferma al riguardo: «Si

tratta delle vestigia delle civiltà e delle geografie musicali

diverse da quella occidentale. Questo fatto non sembra ancora aver

l’importanza che merita presso i nostri contemporanei».150

Immaginare nuovi orizzonti, aprire la percezione all’ascolto di

suoni desueti. Il brano più, per così dire, ‘rinomato’ della

musique concrete’ è Symphonie pour un homme seul, composto nel 1949

assieme a Pierre Henry, altro pionere francese della musica

concreta. Della durata di 21 minuti e suddiviso in 12 sezioni, la

‘sinfonia concreta’ è caratterizzata da un brusio di voci,

maschili e femminili, voci che si ripetono, che scorrono

all’indietro e poi accelerate. Vi sono anche altri fattori sonori

come le grida, i fischi, porte sbattute, guizzi metallici e come

base un pianoforte preparato accompagnato da un crepitio di

sottofondo. Un viaggio tra suoni e rumori campionati con mezzi che

noi oggi descriveremmo come ‘rudimentali’ ma che comunque hanno

aperto la strada all’ispirazione sperimentale.

150 Pierre Schaeffer, Traité des objets musicaux, Seuil, Paris 1966, cit. pp.17-18

Schaeffer è particolarmente interessato allo studio del

pianoforte: egli lo trasforma in una fonte preziosa da cui

estrapolare suoni. Questi vengono manipolati, alterati nelle sue

componenti, ad esempio usando la cassa di risonanza in modo

percussivo, ed è così che anche uno strumento appartenente alla

tradizione di musica colta viene ad avere una diversa

applicazione.151 Il concetto di pianoforte preparato viene

utilizzato per la composizione di Etude Violette, di Etude Noir e dello

Studio per pianoforte.

Alla musica concreta si può riconoscere di aver introdotto nel

linguaggio musicale l’utilizzo della tecnologia. I musicisti ed i

compositori contemporanei ancora beneficiano del suo lascito.152 La

rivalutazione del rumore a tutt’oggi una risonanza rilevanti

nell’ambito della musica elettroacustica, non meno in diversi

generi della popular music come il rock e l’elettronica, ad

esempio. E qui si comprende come la musica concreta abbia reso più

profonda la frattura della muraglia tra musica colta e musica

popolare: i canoni tradizionali attraverso cui è inquadrata la

musica vengono a sfumarsi poiché la sfera percettiva si

assottiglia, capta nuove possibilità sonore e Schaeffer è il

propulsore di questa tendenza.

151 Musica concreta, http://esteticadellamusica.blogspot.it/2011/05/musica-concreta.html, maggio 2011152Cristina Palomba, Pierre Schaeffer: alla ricerca dell’oggetto sonoro, pubblicato inMusica/Realtà, anno XVIII, N.52, Marzo 1997, Edito dalla Libreria MusicaleItaliana, pp. 65-78

Altre sonorità: le contaminazioni primitive nella musicacontemporanea

Sul finire degli anni Settanta il gruppo britannico i Throbbing

Gristle si affermano come gli iniziatori ufficiali del genere

musicale ‘industrial’. Siamo nella periferia di Londra, tra

mattoni vecchi e decadenti e fumi di città, nasce la cultura

contro il sistema industrializzato e la musica ne prende parte.

La scena industrial affonda le sue radici dal pensiero di alcuni

scrittori come William S. Burroughs, autore di libri come Pasto nudo

e La scimmia sulla schiena, autore che riprende la procedura del ‘cut-up’

dal movimento dadaista: la tecnica letteraria stilistica prevede

l’assemblamento di parole estratte da vari contesti per creare un

nuovo testo avente senso logico ma non immediatamente

comprensibile. Autonomia creativa, slacciata dal tradizionale

modus di comporre appartenente alla ‘cultura ufficiale’. Jon

Savage, giornalista e cultore della nascente cultura industrial,

scrive, infatti, della necessità di ricerca e produzione artistica

che faccia circolare idee, sganciata dalla forme canoniche della

società benpensante, che in gran parte corrisponde a quella

borghese. Savage auspica anche ad un impiego di elementi

extramusicali: ossia carpire suoni, rumori, voci dai media

ufficiali e manipolarli, creare qualcosa che non abbia nulla a che

fare con il docile intrattenimento del pubblico ma che sia, al

contrario, espressione fedele dell’istinto del compositore.

Esprimere ciò che è al margine, annettere l’alterità.

La musica industriale è di natura prevalentemente sperimentale di

musica elettronica variegata di rumorismi evocativi dell’epoca in

cui si vive.153 L’alienazione dell’individuo nella società

industriale è il fulcro di questa cultura. Come se l’uomo, dopo

aver raggiunto il picco massimo del suo sviluppo tecnologico, ne153 Piero Scaruffi, Industrial Music,http://www.scaruffi.com/history/icpt48.html,2002

sia travolto, strappato via dalla sua vera natura e stia

brancolando in un incubo. Tutto ciò in musica è riversato in

composizioni che mirano a trasgredire valori sociali, vogliono

inscenare una realtà emotiva in dissoluzione. La società

industriale, la società del progresso e della velocità, dominata

dall’utile e dall’estetica asettica è ormai in rovina, un qualcosa

di già superato. L’uomo occidentale, che ha fatto della sua

cultura un vanto di supremazia, si ritrova nuovamente in crisi.

Le sonorità principali sono caratterizzate da un’elettronica

minimale, con un ritmo ossessivo e martellante, come partorite da

un corpo meccanico, unità robotiche che sostituiscono l’uomo. I

campionamenti prevedono suoni tipici delle realtà industriali come

i martelli pneumatici, tubi metallici e qualsiasi altro strumento

da lavoro. A ciò vengono accompagnante voci, grida anzi,

disperate, lacerate, distorte. Le sonorità riproducono le

sofferenze provocate dai desideri oppressi, vanificati da un mondo

che non rispecchia più l’animo umano; orrori e crudeltà nascoste

dai detentori di false verità.

I Throbbing Gristle, difatti, portano avanti questo pensiero:

l’impotenza della civiltà industriale nei confronti del benessere

dell’uomo moderno. La loro musica si fa teatro della lacerazione

della società: la natura è malata, l’uomo non è più in grado di

relazionarsi con essa, così come non è più in grado di

relazionarsi con il proprio ‘sé’. E’ la musica del rumore,

passando dallo shock acustico come terapia d’urto per la mente

inebetita ed inaridita, ad una sorta di colonna sonora di danze

rituali deliranti e allucinate. Si regredisce a stadi anteriori:

la dimensione in cui si viene scagliati è prettamente selvaggia,

di chiari retaggi primitivi. Il suono viene manipolato per

giungere a questa sensazione: lampi elettronici dissonanti,

pulsazioni pesanti e costanti di basso, un tripudio di rumori e

lacerazioni di strumenti.154 L’album 20 Jazz Funk Greats del 1979 è

perfettamente in linea con l’intento di irrompere in ogni

conformismo stilistico, introducendo anche delle tematiche

orientali ma distorcendole e facendo sì che avessero l’effetto

sonoro di un bombardamento elettronico. In questo lavoro ci sono

le costanti divagazioni in tema urbano, anzi suburbano: lamenti

cupi, conturbanti pulsazioni, cadenze irregolari e dispersive. Lo

scenario evocato dai brani è desolante, composto da deliranti

ballate folk e canti primordiali.

Lo stile industrial si diffonde nei primi anni Ottanta nel resto

d’Europa, come ad esempio in Germania dove nasce il gruppo

Einsturzende Neubauten. Performance apocalittiche e uso di oggetti

scarto di fabbriche, sono i fautori del ‘post’: cantano e suonano

le ombre dell’occidente fantasma. Una delle caratteristiche

essenziali del genere industrial è che i compositori utilizzano,

oltre che a strumenti appartenenti alla cultura rock, materiali a

basso costo, molto spesso riciclati. Essenziale era l’autonomia

nella produzione e nella distribuzione, ed in questo modo si viene

a creare, a diramarsi una rete alternativa, di musicisti e

ascoltatori di musica, rispetto alla cultura musicale ufficiale.

Quella industrial, in particola modo quella che verrà analizzata

degli Einsturzende Neubauten e dei Residents, è la musica delle154Piero Scaruffi, Industrial Music, http://www.scaruffi.com/history/icpt48.html,2002

macchine, dei corpi automatizzati creati dall’uomo e che lo hanno

sostituito. E’ una musica che si proietta in un futuro devoluto,

come se l’unica soluzione a questa decadenza

dell’ipertecnologizzazione sia il ritorno a stadi primordiali.

Einsturzende Neubauten: la danza nel crollo delle civiltà

In una dimensione surreale, dettata dalla visione di una realtà

satura della presenza dell’uomo civilizzato, si colloca la musica

degli Einsturzende Neubauten. Lo scenario sonoro descrive

un’atmosfera post catastrofe: ascoltiamo il clangore del ‘crollo

degli edifici nuovi’, così si identifica il gruppo, in lingua

tedesca.

Negli anni ’80 divengono i maggiori esponenti del movimento

‘modernista primitivista’ dalla Berlino dell’avanguardia. Il

gruppo tedesco, fin da subito, si presenta con l’attitudine della

sperimentazione di suoni diversi con l’utilizzo, oltre agli

strumenti tradizionali, arnesi di vario genere in plastica,

metallo, vetro. Il rumorismo è, dunque, insito e palesato, reso

monito di decadenza delle città iper-affollate, cementificate e

aspirazione ad un radicale, necessario, ritorno alle origini,

seppur queste appaiano oscure, inquietanti. Tutto ciò guidato

dalla voce e dal carisma ipnotico del cantante Blixa Bargeld,

ovvero Christian Emmerich, e con lui ci sono i percussionisti

Mufti F.M.Einheit (Franz Strauss) e N.U.Unruh (Andrew Chudy).

Gli Einsturzende Neubauten portano alla luce il loro universo

sonoro nel filone industrial, figlio della musica concreta, nato

intorno alla fine degli anni ’70. Sganciati da ogni tradizione di

musica d’intrattenimento piacevole e costruita secondo canoni

predefiniti, lontani dalle apparenze patinate del pop, inscenano

il loro teatro di figure distorte, contorte dalle tematiche

altamente sgradevoli ai più. Atmosfere plumbee che ricordano

vertiginosamente il Teatro della crudeltà di Antonin Artaud,

commediografo, attore e scrittore della rappresentazione

dell’inconscio in tutte le sue forme. La poetica del gruppo,

infatti, prevede l’espressione in forma dadaista decadente

dell’alienazione derivata dall’oppressione sociale,

dell’emarginazione. Un dramma catatonico-compulsiva musicato con

elementi extracomuni che scavalca la tonalità per espandersi in

una raggiera di tumulti sotterranei e riverberi distorti.

Assorbono dall’epoca degli happening, dell’espressionismo

figurativo e teatrale, della pop art a tinte forti, della concept

art, sotto il cielo della psicanalisi che estrapolava dalle

repressioni comuni gli istinti primordiali. E la società che

circonda gli Einsturzende è ancora quella che rifiuta di ammettere

la degradazione umana tra le mura in cui vive: dunque la loro

musica deride ciò attaccandola, mostrandone i lati più aridi.

Nel 1980 esce il loro primo singolo Fuer Den Untergang, di cui alcune

versioni comprendevano delle sospensioni in acciaio come

orchestra.155 Nello stesso anno si esibiscono per la prima volta in

un ex-mattatoio, luogo alquanto evocativo, nella zona

dell'Üntergang, posto frequentato da anarchici, artisti e cultori

dell’avanguardia.

155 Piero Scaruffi, Einsturzende Neubauten, www.scaruffi.com, 2006

Successivamente partecipano al Festival Atonale facendosi

conoscere come il gruppo sperimentale di rigore del momento: la

performance li vede coinvolti in manifestazioni pagane e

‘rumorizzate’ con oggetti di scarto di industrie come bottiglie di

vetro, in plastica, barili di ferro,tubi.156

E’ nel 1981 che viene pubblicato il loro primo album, Kollaps157,

acerbo e spoglio d’armonia e melodia: un coaugulo di frenetiche

percussioni metalliche e sferzate robotiche, nel quale la voce del

cantante si dilania in deliri urlati ossessivi, accusatori,

disperati. Martelli pneumatici ad introdurre narrazioni da un

tempo quasi remoto, oltre questo presente: dall’anno zero, dopo il

collasso delle menti automatizzate del futuro prossimo.

Distorsioni e vocalizzi si succedono in questo lavoro che

rappresenta il dispiegamento dell’irrazionalità ragionata alla

Cage, dove la melodia non esiste ma l’esecuzione assume la forma

di battiti, rintocchi. Il brano Sehnsucht recita “Desiderio

ardente/viene dal Caos/E’ l’unica energia/La mia brama”, parole

che sono un firmamento della loro poetica intessuta di lavorii, di

percussioni di materiali grezzi e testi dalla lirica perforante.

Così come hanno fatto i maestri della sperimentazione acustica in

passato, anche gli Einsturzende smantellano secoli di tradizioni

musicali, rinnegando strutture formali di ogni genere.

Nel 1983 esce il loro secondo album Zeichnungen das Patienten OT,

pervaso da una maggiore influenza delle elaborazione

elettroacustiche. Vetri in mille pezzi, tonfi, urla, sirene:

156 Ibidem157 Mauro Roma, Einsturzende Neubauten. Scene da uno psicodramma industriale, www.ondarock.it,visionato Maggio 2012

questi sono i rumori che percorrono questo lavoro,

rappresentazione dell’impero del terrore e del vuoto. La liricità

delle strofe delle canzoni portano al massimo della tensione verso

un infinito, un universale esistenziale ma riflesso

nell’universale. Orrore per la vertigine del nulla, figlia di un

radicato nichilismo, e splendore per la vista delle ceneri del

marcio si fondono assieme, similmente a quanto avviene in Georges

Bataille, filosofo, critico e scrittore nato nel 1987.In Styropor, brano del medesimo album del 1983, giungono echi, quasi un

richiamo esotico, anch’esso distorto, sincopato, reso sordido.

La pietra miliare della loro carriera arriva nel 1985: è l’album Halber

Mensch,158 dramma musicato dalle tinte materiche dell’espressionismo. Qui

il ritmo percussivo si fa più incalzante, volteggia in sonorità dance ma

è comunque una ballo selvaggio e macabro. Rantoli provenienti da caverne,

vociare percepito in lontananza, risa o lamenti del ‘mezzo uomo’ (halber

mensch) che si prende gioco della morte ineluttabile. I testi non sono

composti più da parole rapprese, in questo album Bargeld forgia il suo

cantato di metafore, allegorie, ora è più fluido poiché il linguaggio

descrive scenari raccapriccianti del mondo attorno.

Segue il lavoro Fünf Auf Der Nach Oben Offenen Richterskala, del 1987, che

sfugge alla comprensione della critica. In effetti, i brani che

compongono quest’album sono ancora meno digeribili dei precedenti:

le dissonanze si attorcigliano attorno a veri e propri latrati del

cantante Bargeld, questo a rendere più imminente il senso di fine.

E l’apocalisse è preceduta, a tratti, da silenzio, come nel brano

Keine Schonheit dove sonagli accompagnano una gravosa nota, ripetuta

per tutta la durata della traccia, in un crescendo di spire

158 Piero Scaruffi, Einsturzende Neubauten, www.scaruffi.com, 2006

nefaste e voci sciamaniche che intonano «non c’è bellezza senza

pericolo» come una formula magica.

Hause der Luge viene alla luce nel 1989159, quinto album industrial del

gruppo già pienamente affermato ma che continua ad evolvere le sue

tecniche di sperimentazione e le tematiche musicali. Vi sono dei

glaciali ritmi techno sferzati da ululati spettrali, sciami di

rumori ipnotici e malauguranti nel brano Fiat Lux, una sorta di

viaggio all’interno di un incubo; mentre un pianoforte scarno

segna i rintocchi di una decadente grottesca dedica.

Il sesto album si chiama Tabula Rasa e viene pubblicato nel 1993160.

Uscendo dai frastuoni del mondo suburbano ed interurbano in

distruzione, si arriva ad un lavoro musicalmente più fluido.

Archi, particolari sonori in primo piano. Gli oggetti metallici ci

sono ma i loro suoni prodotti sono elaborati con altri strumenti,

intessuti maggiormente la voce del cantante. Anche l’alienazione e

l’angoscia claustrofobica delle mura in cemento della società

avida sono rimaste. C’è Berlino a fare da sfondo, Berlino e la sua

storia da narrare in tele di colore musicale. Inoltre, nel video

che accompagna il singolo Blume, troviamo l’intonarumori di Luigi

Russolo come chiaro riferimento alla musique concrete.

Sorprende Ende Neu, album del 1996161, con i suoi tratti di melodia,

ora dolce, ora amara. Melodie, archi che disegnano ballate

nostalgiche e tragiche. All’insegna del silenzio comunicativo è

Silence is sexy pubblicato nel 2000162: la forma è quella volta a

159 Mauro Roma, Einsturzende Neubauten. Scene da uno psicodramma industriale, www.ondarock.it,visionato Maggio 2012160 Ibidem161 Ibidem162 Ibidem

spiazzare l’ascoltatore e, allo stesso tempo, farlo rimanere

attento, trascinato in una contemplazione surreale. Denudare il

suono, renderlo all’ascolto per ciò che è. Lente, quasi sussurrate

sovrapposizioni di suoni che vanno a disegnare la bellezza fisica

e spirituale di un essere umano, bellezza cantata, recitata con un

parlato soave, carezzevole.

Perpetuum Mobile, del 2004163, riprende le atmosfere industriali dei

primi periodi ma con le incursioni robotiche che riflettono

l’automatismo degli anni. Ci sono ancora pause e silenzi, nel

continuum con l’album precedente, in una dimensione

particolarmente naturalistica, e lo si percepisce dai singhiozzi

accennati degli strumenti, quasi in una forma onomatopeica.

Melodie sospese, lasciate proliferare ma senza svilupparsi, che

quasi vanno a sfumare e poi ci sono cenni di serica malinconia

poggiata su guanciali di tastiere. L’estetica degli Einsturzende

si è lasciata alle spalle la ferocia del rumore come monito e

scherno, per accogliere la riflessività dei suoni accennati,

vellutati, la voce sussurrata e parlata.

Il ‘mezzo uomo’ non può liberarsi dell’automatismo cronico di cui

si è infettato nelle società industrializzate: ha lottato nel

caos, si è dimenato nella claustrofobica ossessione di libertà

fino a vedere uno spiraglio di luce nella pura bellezza del suono

che ha ancora molti volti da scoprire.

163 Ibidem

.

Il ritmo involutivo della modernità: Residents

Collocati nella sfera del rock sperimentale e del genere ‘outsider

music’, i Residents sono un gruppo americano attivo dal 1974. Nel

corso degli anni hanno unito influenze di elettronica, noise e new

wave nella loro musica che viene rappresentata in personalissimi

show multimediali. La parodia della civiltà contemporanea è la

loro linfa e da ciò si genera il loro impulso creativo.

Il primo album dei Residents risale al 1974, Meet the Residents164,

composto da dodici brani, di cui tre unicamente strumentali. La

copertina del cd si presenta chiaramente polemica contro i Beatles

e l’intero lavoro gioca sulle somiglianze con i cori del gruppo

inglese, cori storpiati da effetti elettronici. Troviamo elementi

orientali come le percussioni alternati a motivi puramente

sperimentali di rumorismi metallici e sintetizzatori che

‘sporcano’ una polifonica azzardata. L’iniziale Boots Listen demolisce

il successo Boots are made for walking, del 1966; cori doo-wop ed

esplosioni di ottoni sfiatati già annunciano l’ironia affilata del

gruppo. Non mancano accenni ad un vecchio blues con il brano Infant

tango, in cui il cantante si dimena in strapazzando la sua voce e

rendendola roca volutamente; il tremolio del wah-wah innesta una

danza alla quale si aggiungono una chitarra e degli ottoni, per

arrivare ad un tramestio di suoni che chiudono il pezzo.

In Rest Aria sorprende un nudo pianoforte che poi viene accompagnato

da melodie orientali suggerite da un vibrafono e una sordida

trombetta. Un cerimoniale piuttosto lugubre, reso ancor più

misterioso da un crescendo senza direzione, che potrebbe ricordare

la dimensione scarna e selvaggia di Bartok. Entra in agitazione

ritmica, poi, un metallofono, di probabile costruzione

‘casalinga’, mentre si sollevano fiati. Il brano, danza ipnotica,

si chiude con un assolo di kazoo.

Spotted Pinto Bean inizia con un solenne ma affranto pianoforte e

prosegue con un coro che ricorda quelli gospel delle chiese

afroamericane, fino ad arrivare ad uno swing che accompagna una

164Piero Scaruffi, Residents, www.scaruffi.com, 1999

voce di donna intenta in più acuti solitari. Mentre Breath and Lenght

ha pennellate improvvise di suoni e cantilene di vociare sparso

che echeggiano le composizioni più minimaliste di Stockhausen.

Come risultato si ha la sperimentazione, la ricerca di spettri

sonori di vario tipo.

Il secondo album dei Residents, pubblicato nel 1975165, è una

folgorante rivisitazione in chiave elettronica di alcuni classici

degli anni ’60: si chiama Third Reich and Roll ed è lampante l’ironia

giocata non solo sulla musica ma anche sulla storia. Scherzi

sinfonici, manipolazioni, reinterpretazioni che sondano terreni

musicali di moda e consumo e danno vita a creature sonore quasi

irriconoscibili. Questo è il modo del gruppo di esprimere le loro

impressioni sullo scenario musicale che li circonda.

Nel 1976 esce Fingerprince,166 un album pullulante di sperimentazioni

percussive e timbriche in cui troviamo Six thinghs to a cycle. Questo è un

brano suddiviso in più parti che elabora la trasformazione

progressiva dell’uomo che è destinato, in qualche modo costretto,

ad adattarsi alla realtà che egli stesso ha creato. Nella prima

fase viene descritto un ambiente prettamente primitivo, in cui la

natura domina e difatti i ritmi percussivi di triangoli ce lo

dimostrano. Seguono rumori naturali come l’acqua che scorre,

mentre i tamburi suonano una melodia serrata; sul finire delle

voci si fanno avanti ripetendo sempre la stessa nenia, gli

strumenti a fiato si insinuano nella scena con una melodia

orientale: l’ambientazione è cambiata ed ora, si ricorda l’uomo

delle origini.165 Ibidem166 Ibidem

Seguono lavoro di sperimentazioni di organizzazioni fonetiche del

suono come con Not Avaible, fatto uscire nel 1978167. Qui un più esteso

senso opprimente di angoscia è espresso da pianoforti minimali,

strumenti ad archi e a fiato. Ritmi tribali si fanno seguire in

oscuri rituali, i cori sono ipnotici e preannunciano eventi

inevitabili. I Residents assorbono da altre culture musicali come

l’Africa, l’Oriente, India, lo dimostrano le percussioni

ossessive, i motivi tipicamente dei paesi arabi. All’interno dello

stesso brano, come ad esempio in Making of a soul, ci sono variazioni

tematiche notevoli: da una dimensione di cupa agonia, di tensione

musicale, si arriva ad una celestiale distensione. L’atmosfera che

il gruppo cerca di creare è quella che più affine al sentire

umano. La musica descrive stati di disperazione in cui l’uomo

regredisce ad uno stato primordiale, si rappresenta il rifugio

nella dimensione primitiva che permette di liberare fobie,

superstizioni tipiche della civiltà moderna.168

Eskimo è un disco del 1979169 che ‘racconta’ sei storie circa la vita

degli eschimesi. Non sorprende la scelta del soggetto dato che gli

esquimesi sono un popolo abbastanza ermetico dal punto di vista

culturale e solitari, in quanto a luogo. I Residents compongono

un’opera di musica concreta che omaggia una civiltà ancora

primitiva, che resiste alle onde conformiste del progresso. In A

spirit steals a child vi è un inizio costellato di percussioni e xilofoni

con voci in sottofondo, pianti, grida soffocate, fino a quando uno

sciamano comincia a recitare oscure parole, come se si trattasse167 Ibidem168 Michele Saran, Residents. Il freak fantaprimitivo, www.ondarock.it, visionato Maggio2012169 Piero Scaruffi, Residents, www.scaruffi.com, 1999

di una formula magica o la recitazione di un rosario; elementi

auditivi tipicamente primordiali.

Gli effetti sonori vanno ad esprimere un paesaggio naturale

incolto: si può percepire il fischiare del vento, ci immaginiamo

bufere di neve, mentre voci e versi vari percorrono brani come The

walrus hunt e, soprattutto, The festival of death. Musica d’ambiente,

dunque, che compone una sorta di poema della musique concrete, una

musica che si allontana dal sistema musicale occidentale e che,

più che al mercato, guarda all’osservazione e all’ascolto di

popoli altri. Un album che segna una svolta decisiva per il gruppo

che si mostra sempre più interessato alle culture musicali

extraoccidentali, e quindi sempre più vicino all’ambito della

world music.170

Tra il 1981 ed il 1985 i Residents lavorano a tre concept-album

che riguardano una sorta di pantomima, una ‘trilogia della talpa’

che riflette l’assurdità dell’umanità civilizzata, una ‘fattoria

degli animali’ orwelliana musicata.171 Primordialità e tempi moderni

a confronto e in scontro: rock e jazz dialogano in una fitta e

complessa struttura poliritmica dove il rumore non è lasciato da

parte. Pennellate di espressionismo e fanfare futuristiche con

intermezzi elettronici che danno vita ad un drammatico racconto

della condizione dell’uomo estrapolando e parodiando due grandi

della letteratura come Orwell e Chaplin. L’opera più ardita dei

Residents è un vero e proprio delirio post moderno.

Lo spettacolo, del resto, è parte integrante della musica del

gruppo californiano i quali si esibiscono sempre in costume, con170Michele Saran, Residents. Il freak fantaprimitivo, www.ondarock.it, visonato Maggio 2012171Piero Scaruffi, Residents, www.scaruffi.com, 1999

delle maschere che coprano completamente il loro volto e questo

per difendere la propria identità e, magari, allo stesso tempo,

annullare ogni identità, fondendosi con le molteplici facce della

cultura musicale. Nella loro carriera, però, non ci sono concerti

dal vivo: la loro singolarità sta nel fatto che li si veda solo in

televisione, in video clip dove intrattengono il pubblico con le

loro danze rituali e scaramantiche, e sicuramente anti-divistiche.

Nel 1985 i Residents pubblicano la terza parte della Mole Trilogy, la

quale è una vera e propria sorpresa dal punto di vista della

sperimentazione vocale. In una trascinante e sarcastica

dimensione, l’universo strumentale e quello dei vocalizzi si sposa

in un tuffo nei motivi musicali anni ’20. L’orchestra operistica

viene ‘metallizzata’ dai sintetizzatori ed i gorgheggi giocano su

uno swing beffardo e giocoso. In Gotta gotta get c’è uno sfoggio

irrisorio di un balbettare che rende il canto una sinfonia in

lingua primordiale trapuntata di suoni gutturali, accompagnata dal

guizzo di strumenti ad arco e pianoforte che guizzano qua e là

senza una direzione precisa. Negli altri brani troviamo, poi,

delle micro sinfonie che omaggiano e allo stesso tempo si fanno

caricatura delle grandi opere della tradizione.

I Residents si sono sempre giostrati tra l’ambito colto e l’ambito

popolare, componendo lavori che elaboravano dialoghi tra questi.

Il gruppo, infatti, si è sempre circondato da multi strumentisti

che aggiungono al loro repertorio strumenti tradizionali come il

sax ed il piano. La sperimentazione dei Residents mette in atto

un collage di suoni reali registrati e manipolati; il cantato

alienato, i suoni gutturali e nasali sembrano far eco ad

intonazioni tribali-aborigeni. All’orecchio orientale certi canti

primitivi risultano innaturali, strani, grotteschi; ciò

probabilmente perché non si è abituati ad ascoltare taluni

manierismi vocali. Per alcuni popolo il modo in cui si canta non è

meno importante di ciò che si intona, anzi. Anche l’uso,

frequente, delle percussioni è di origine arcaica, soprattutto

quando vengono usati oggetti e non strumenti. Prima del

prolungamento, quindi del perfezionamento, degli arti l’uomo

adopera canne, rami cavi, gusci vuoti che diviene un megafono,

ossi d’aquila che si trasformano in fischietti.172 Da questi si

producono suoni misteriosi, talvolta fastidiosi, inquietanti che

suscitavano l’immaginazione. Ogni minimo suono, debole ed

indefinito, si trasforma in qualcosa di oscuro come la voce di uno

spirito o di un demone da scacciare. Come scrive il poeta Alain

Gheebrant nel 1954 durante il suo viaggio in Amazzonia: «Il

fragore delle trombe scuoteva muri e tetto della capanna e persino

il terreno. Quei suoni sembravano impregnati di fumo e sudore,

mugolavano e ululavano come se fossero davvero le voci degli

spiriti.»173

I Residents fanno sì che la forma espressiva primitiva venga

elaborata da mezzi tecnologici moderni per arrivare come messaggio

all’ascoltatore in preda all’involuzione. La loro musica è il

cabaret di suoni distorti: l’avanguardia della percussiva micro

tonale in salsa rock che descrive fobie e psicodrammi della

collettività.

172 Curt Sachs, Musica primitiva, da “Le sorgenti della musica”, Bollati Boringhieri,Torino, 1991, p.110173 Ibidem, cit. p.110

Conclusione

Abbiamo visto come l’Altro in musica si è insinuato nel linguaggio

musicale occidentale, dapprima rilegato a funzione decoratrice,

come elemento esotico che suscitava curiosità ed evasione, poi

come fattore strutturale della materia musicale. La musica

occidentale colta, a partire dall’Ottocento, ha attraversato uno

sviluppo del suo linguaggio avvicinandosi, quasi abbandonandosi

alla complessità del carattere primitivi sta dell’espressione

sonora.174 Dalle cellule tematiche esotistiche di Debussy, che

volge il suo sguardo malinconico verso territori lontani come

l’Isola di Giava, in Indonesia: ammaliato dalle sonorità

dell’orchestra gamelan e ne assorbe, in alcune composizioni,

scale, melodie e ritmi; al ‘fauvismo primitivista’, così come lo

intende lo studioso Diego Carpitella, del Sacre di Stravinskji, dove

l’opera preferisce ostentare tecniche primitive, come la

ripetitività meccanica, i ritmi innaturali, piuttosto che le

174 Giovanni Morelli, “Altri primitivi”. Studio su una mito-poiesi, da “L’eredità di DiegoCarpitella. Etnomusicologia, antropologia e ricerca storica nel Salento enell’area mediterranea”, a cura di M. Agamennone e G.L.Di Mitri, Besa, 2003, p.301

tecniche compositive di tradizione occidentale come lo sviluppo

tematico.175 Questa composizione è ricca di riferimenti magico-

religiosi appartenenti alle popolazioni primitive, contiene

ritualità propiziatorie che vanno ad unirsi ad una sorta di

profezia delle crisi del secolo che la cultura d’Occidente sta

vivendo in quel tempo.176 Decisamente più scientifica la ricerca di

Bartok sulle musiche popolari, lavoro di una vita, si può dire:

canti, danze e musiche di popoli primitivi sono materiale sonoro

che il compositore registra, analizza ed introduce nelle se opere.

Della musica di tradizione orale si è visto l’esempio di Franco

Oppo, compositore sardo che coniuga elementi di origine popolare

appartenenti alle sonorità sarde con musica colta: il risultato è

una straordinaria fusione di strumenti di tradizione popolari con

quelli di tradizione popolare, come le launeddas. Lavori

fortemente sperimentali e pioneristici sono quelli di Cage e di

Schaeffer, maestro della musica concreta. Il compositore americano

porta avanti una riflessione costante sul suono e le sue

caratteristiche: c’è un abbattimento totale di confini tra la

musica occidentale e quella Altra, poiché si aprono nuove strade

alla musica, strade che fino a quel momento gli erano state

precluse come quella del silenzio. Anche Schaeffer pone

l’attenzione sul suono e la sua natura fisica, andando oltre lo

spartito e le convenzioni di composizione tipiche della cultura

musicale occidentale ormai satura dei suoi archetipi. Infine si è

175 Mario Baroni, L’orecchio intelligente, LIM, Lucca, 2004, p.169176 Giovanni Morelli, “Altri primitivi”. Studio su una mito-poiesi, da” L’eredità di DiegoCarpitella. Etnomusicologia, antropologia e ricerca storica nel Salento enell’area mediterranea”, a cura di M. Agamennone e G.L.Di Mitri, Besa, 2003,p.314

descritto il percorso musicale di due gruppi come gli Einsturzende

Neubauten e i Residents, i quali simboleggiano il risultato di un

processo di incontro e contatto tra culture musicali diverse che

si è consolidato nel corso del tempo. Il panorama musicale

attuale, infatti, è ricco di fenomeni che ambiscono alla

mescolanza tra culture anche molto lontane tra loro. Di certo

l’aspetto dell’interculturalità, nella storia della musica, non è

qualcosa di nuovo, come abbiamo visto è da sempre motivo di spinta

alla creatività. La tradizione sinfonica europea, così come le

tradizione musicali africane, è il caso del jazz, racchiudono

elaborazioni interculturali.177

L’incontro con l’Altro in musica ha una storia lunga alle spalle,

come si è dimostrato. La contaminazione inizia con la conoscenza

dei sistemi musicali di altre culture, sia di tradizione scritta,

sia di tradizione orale, basate su organizzazioni del linguaggio

desuete per il sapere e l’orecchio occidentale. Dal rifiuto

dell’Altro all’ammissione dei suoi sistemi nel proprio ambito di

analisi ed elaborazioni.Sempre di più, nel corso degli anni, la

cultura occidentale si apre al nuovo, lo ricerca e questa

esplorazione di mondi nuovi non è ancora terminata. Del resto ciò

che è nuovo, inconsueto, banalmente identificato con l’appellativo

di ‘strano’, attrae le menti più curiose, le stimola alla

creatività: il contatto interculturale fa ciò.178

In Occidente, nel XX secolo, la cultura giovanile riscopre la

musica etnica grazie ai sempre più diffusi e sofisticati mezzi di177Justinian Tamusuza, La musica contemporanea in Africa, in “Enciclopedia della musica”,Il novecento, Vol. I, Giulio Einaudi Editore, 2001,p.1159178Gerhard Kubik, Presenza della musica africana nel jazz, in “Enciclopedia della musica”,Il novecento, Vol. I, Giulio Einaudi Editore, 2001, p.1069

comunicazione e condivisione di materiali sonori, nonché grazie ai

circuiti consumistici del mercato discografico.179 Così come la

musica folkloristica attecchisce in particolar modo sul pubblico

di massa, in relazione, non si può negarlo, anche alle moda

d’ascolto di certi generi musicali. Non si tratta solo di questo

però, difatti, gruppi folkloristici portano avanti da molto tempo

il ruolo di conservatori di musiche popolari e, allo stesso

tempo, d’intrattenimento musicale in alcuni luoghi di ritrovo come

pub ed osterie, in particolari ricorrenze ed occasioni.180

Si può dire, dunque, che per moda o curiosità, la musica

occidentale non sia più così chiusa a sonorità diverse e

sconosciute. Ne è un esempio la sempre più diffusa ‘world music’

che abbraccia e promulga suoni esotici, o meglio non-occidentali,

così come la musica folk non-occidentale.181 Cantanti, gruppi

protagonisti della scena rock e pop occidentale ricorrono a queste

commistioni di sonorità differenti, dai Police a Peter Gabriel: le

contaminazioni sono davvero di natura esponenziale.

Al di là del fattore soggettivo e vulnerabile della moda, la

musica moderna occidentale ricerca sonorità Altre, si guarda

indietro, guarda oltre i confini del proprio mondo. Alcuni

guardano a questo interesse per le altre culture musicali con

scetticismo: si potrebbe affermare, difatti, che questo bramosia

da parte di compositori ed artisti occidentali sia pilotata e

rafforzata dai signori dell’industria discografica. Qualcuno

179 Ignazio Macchiarella, Dalla musica etnica ai generi d’intrattenimento, in “Enciclopediadella musica”, Il novecento, Vol. I, Giulio Einaudi Editore, 2001, p. 1168180 Ibidem, p.1169181 Pacini Hernandez, World music e world beat, in “Enciclopedia della musica”, Ilnovecento, Vol. I, Giulio Einaudi Editore, 2001, p. 1196-1197

afferma che queste interazioni culturali abbiano un che di molto

simile ai principi del colonialismo dove il bianco mette mano a

qualcosa che non gli appartiene stravolgendolo, quasi

denaturalizzandolo delle proprie peculiarità.182 Tuttavia, c’è

bisogno di andare molto più infondo alla questione, approdando

alla questione antropologica, che inquadra la situazione

esistenziale dell’uomo moderno.

L’etnomusicologia nasce grazie all’affermazione dell’antropologia:

la musica è un prodotto dell’uomo, risponde ai suoi bisogni che

variano nel tempo e nelle diverse culture, così come cambiano

anche i linguaggi che vanno a costituire i sistemi musicali.

Dunque si può dire che l’adozione, da parte di compositori e

musicisti occidentali, di linguaggi lontani dalla propria cultura

è significativo. Dalla crisi del tardo Ottocento a quella

dell’uomo moderno la cui evoluzione, in realtà, non è che

un’involuzione, un allontanamento dalla felicità poiché il

progresso è esteriore, legato a convenzioni sociali che

assopiscono valori più genuini e profondi. Il primitivismo

riconosce nell’Età dell’oro, cioè il primo periodo dell’umanità,

un’epoca perfetta, vicina alla natura umana.183 Vero è che la

conoscenza del mondo arcaico l’abbiamo solo in parte, è vaga ed

incerta, ed il buon selvaggio è un mito, appunto, un’utopia

smascherata. Resta il fatto che le correnti primitiviste avvertono

che qualcosa di bello e puro si è perso con il nascere delle

182 John Rea, Il postmoderno, in “Enciclopedia della musica”, Il novecento, Vol. I,Giulio Einaudi Editore, 2001, p. 1227183Primitivismo in dettaglio, tratto da Diavolo in corpo (rivista di criticasociale), n.3, http://www.tmcrew.org/eco/primitivismo/in_dettaglio.html, 2000

civiltà ed è proprio questa mancanza che si esprime nelle arti

figurative, come anche nella musica. Il primitivismo reca tratti

di semplicità e naturalezza espressiva, come nei quadri fauve,

così come nei ritmi tribali ed ossessivi in musica, ma ha in sé

inevitabilmente una matrice intellettualistica, di riflessione,

cioè è un consapevole e studiato atto creativo. 184

L’Altro, il soggetto che vive di cultura diversa, porta con sé da

tempi lontani l’utopica idea di una dimensione a misura d’uomo, in

sintonia con se stesso e con la natura che lo circonda, da cui

trae benefici, con la quale è in grado di relazionarsi. La ricerca

di sonorità appartenenti a mondi Altri, oltre i canoni del

linguaggio musicale occidentale, riflette, oggi più che mai, la

critica alla società moderna iperorganizzata e ipertecnicizzata

che opprime l’uomo. Nascono, ad esempio, movimenti spirituali come

quello chiamato ‘Modern Primitives, con a capo Fakir Mustafar,

nome preso da un fachiro indiano vissuto nel XIX secolo. Si dice

che costui abbia vagato per ben diciotto anni portando con sé

spade e lance conficcate nella pelle come insegnamento delle

capacità della mente e del corpo, in giro per il mondo. Sta di

fatto che questo santone, tutt’oggi, sperimenta sul proprio corpo

deformazioni di vario tipo per mettere alla prova resistenze al

dolore fisico da parte della mente.185 Egli stesso afferma: « interi

gruppi di persone sono socialmente alienati, e non riescono ad

184Vilma Torselli, Il primitivismo,http://www.artonweb.it/artemoderna/linguaggiartemoderna/articolo33.htm, 2007

185 Fakir Musafar,http://www.uniurb.it/giornalismo/lavori/crociani/filehtml/musafar.htm, visionatoMaggio 2012

avvicinarsi o a contattare niente, inclusi se stessi, la gente ha

bisogno di rituali fisici, tribalismo…».186 Il Primitivista moderno

è un uomo che guarda alle sue spalle, indietro nel passato, ad un

umanesimo ancorato al corpo fisico, ma non solo. Il sociologo

canadese McLuhan parla di ‘neo tribalismo planetario’: secondo

lui, infatti, «la generazione dei nostri adolescenti sta

diventando parte di un clan della giungla».187 Oltre i nuovi mezzi

di comunicazione, dopo questa esplosione di tecnologia, McLuhan

pensa ad una sorta di retrogressione atavica, una società dove

troveremo degli ‘abrigeni postapocalittici’188, con tanto di

computer, ma la comunicazione tornerà a quello che era in

principio. Nella comunicazione tribale, difatti, la vicinanza

fisica favorisce il dialogo e le emozioni sono messe in gioco,

vengono condivise più cose, come gli aspetti della vita umana e

del mondo attorno.

Un esempio di tribalismo nel linguaggio musicale moderno si ha con

gli Stomp, gruppo inglese che nasce nel 1991 al Festival di

Edimburgo. Letteralmente ‘stomp’ sta per ‘calpestare’ e, difatti,

questo gruppo di musicisti si dimenano sul palco allestito come

un’officina meccanica pensata in una ipotetica strada urbana. La

loro musica è costituita da sonorità tribali rese dalla

percussione di materiale di ogni tipo, prevalentemente grezzo, di

uso comune come coperchi di pentole, tubi di metallo, e altri

oggetti di scarto della nostra realtà di consumo: sinfonia

meccanizzata per sottofondo sonoro alla frenetica civiltà. Lo

186 Mark Dery, Velocità di fuga. Cyberculture a fine millennio, Feltrinelli, 1997, cit. p. 305187 Ibidem188 Ibidem

spettacolo è un vero e proprio teatro di rumori sapientemente

organizzati e danze energiche che fa il giro del mondo e

coinvolge. Inoltre, la loro esibizione è interessante per

l’aspetto gestuale dei performatori: il linguaggio del corpo è

molto importante nella comunicazione orale189 che con gli Stomp si

prende la sua rivalsa sulla tradizione comunicativa ‘ufficiale’.

Nella cultura di massa, propria di una società generica e

comunitaria, ci sono dunque delle tendenze musicali che mirano a

sganciarsi dalla musica di consumo che ha effetto soporifero sulla

coscienza sociale.190 La questione del livellamento musicale

contrapposto al pluralismo culturale in musica è ancora aperta e

resterà tale. Il musicologo tedesco Dahlhaus, ad esempio, pone

l’accento sulla crisi della sperimentazione oggi, mentre era viva

e feconda negli anni Cinquanta e Sessanta: secondo lui, infatti, i

compositori di giovane generazione hanno la tendenza ad eluderla

piuttosto che elaborarla e creare nuovi modelli.191 Eppure l’ ‘uomo

musicale’ ha dimostrato e dimostra di saper abbattere il muro

dell’alterità poiché le trasformazioni antropologiche vanno a

modificare i diversi tratti culturali, e quindi anche il

linguaggio musicale muta le sue dinamiche.192 La storia della musica

occidentale ha conosciuto, è vero, un lungo periodo di empasse

189 Diego Carpitella, da Valerio Petrarca, Demologia e scienze umane, Guida Editori,Napoli, 1985, p.189190 Georger H. Lewis, Musica e società di massa: livellamento o pluralismo?, da Andrea Lanza, Ilsecondo Novecento, Storia della musica, EDT, Torino, 1991, p.214191 Carl Dahlhaus, La crisi della sperimentazione, da da Andrea Lanza, Il secondo Novecento,Storia della musica, EDT, Torino, 1991, p.265192 Pietro Sassu, L’alterità musicale, da Suoni della tradizione, Musiche e musicisti dellaSardegna, a cura di Myriam Quaquero, Carlo Delfino Editore, Sassari, 2009, p.253

linguistica ma i cambiamenti culturali hanno sempre apportato

nuova linfa.

Assimilazioni di linguaggi lontani dalla cultura occidentale

riuscite o meno, sicuramente si può parlare di influenze e

contaminazioni dell’Altro.