Verso un incrocio delle culture musicali musicale a Parigi
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Indice
1. Parte prima
1.1. Introduzione
1.2. Il mito del ‘bon sauvage’ e la musica non compresa
1.3. Verso un incrocio delle culture musicali
2. Parte seconda
2.1. L’influenza dell’Altro nella musica colta
2.1.1. Igor Stravinskij: Le sacre du Printemps
2.1.2. Claude Debussy e la scena musicale a Parigi
2.1.3. Bela Bartok, lo studioso della musica popolare
2.1.4. Il ritmo dissacrante di John Cage
2.1.5. Franco Oppo: la musica sarda nella modernità
2.2. La ‘musique concrete’ e la volontà di comporre oltre la
notazione di tradizione occidentale
3. Parte terza
3.1. Altre sonorità: le contaminazioni primitive nella musica
contemporanea
3.1.1. Einsturzende Neubauten: la danza nel crollo della
civiltà
3.1.2. Il ritmo involutivo della modernità: i Residents
3.1.3. Conclusione
Introduzione
L’obbiettivo del lavoro è quello di analizzare e comprendere come
la musica Altra, ovvero la musica extraoccidentale, appartenente a
culture lontane da quella europea, viene recepita dalla
tradizione musicale colta. Partendo dalla scoperta delle Americhe,
si può vedere come le comunità d’oltreoceano sono percepite
dall’uomo colonizzatore dell’epoca convinto della propria
superiorità culturale. Inizialmente la musica extraeuropea è
considerata unicamente come un qualcosa di rituale, troppo banale
e caotica per poter essere valutata come arte. Nel corso dei
secoli si vedrà, invece, l’infiltrazione della musica Altra nella
musica occidentale. L’utopico, idilliaco mondo del diverso, del
selvaggio, del barbaro in simbiosi con la natura cessa di essere
unicamente una dimensione esistente nei romanzi e nelle
rappresentazioni teatrali. La curiosità verso l’Altro, lontano
dagli schemi della società borghese europea, dà vita ed incrementa
gli studi sulle nuove, civiltà. Nel XIX secolo, principalmente
negli Stati Uniti, nasce l’antropologia culturale e a seguire ha
origine l’etnomusicologia che, a differenza della musicologia
tradizionale, rompe con le indiscusse nozioni sulla storia della
musica. Ora anche la musica extraeuropea ha una sua dignità. Prima
derisa, col passare del tempo è fonte d’ispirazione per
compositori in vari ambiti.
Si andrà ad analizzare, dunque, successivamente, l’apertura della
musica tradizione colta verso la musica popolare. Nei primi del
‘900 analizzeremo il tentativo riuscito e sorprendente di
Stravinskij, con la sua Sagra della Primavera, di riportare sulla scena
di Parigi la tradizione del balletto russo. Arcaismo e modernità
si fondono nell’opera del compositore.
Nel periodo storico della sua crisi, l’Europa prende coscienza dei
suoi limiti culturali. Si analizzerà l’ambito culturale francese e
l’influenza del compositore Debussy; il contributo alla musica
orale popolare di Bartok, compositore ed etnomusicologo ungherese,
con le sue ricerche sul campo.1
A confermare, lo strappo con i dogmi della tradizione musicale
occidentale troviamo John Cage: la sua opera è fondamentale per lo
sviluppo della musica contemporanea.
Agli inizi del ‘900, in America del Nord, persistono pregiudizi
razziali e tentativi d’integrazione dell’Altro, nella vita
sociale, come nella musica, più o meno riusciti. Si procederà con
la rivisitazione della musica afro-americana: la nascita del blues
e del jazz, due forme di espressione musicale di una condizione
sociale ben definita.2 Vedremo come la musica africana, oltre ad
1 Guido Salvetti, La nascita del Novecento, in “Storia della Musica”, vol.10 (Leavanguardie), EDT, Torino, 1996, pp.21-242 Mario Baroni, L’orecchio intelligente, LIM, Lucca, 2004, pp179-181
accogliere linguaggi occidentali, ha influenzato la musica
occidentale europea.
L’apertura verso la componente sconosciuta in musica è palese con
la nascita della ‘musique concrete’ a seguito delle
sperimentazioni del compositore francese Schaeffer nel 1948.
Il modo di intendere la musica si è fatto più complesso, ha
acquisito nuove sfaccettature. Dapprima, infatti, la musica di
tradizione orale era considerata una sorta di appendice di quella
scritta. Oggi numerosi studi riportano alla luce caratteristiche
proprie della musica sarda, ad esempio, della quale si
analizzeranno alcuni aspetti.
Nella scena contemporanea la ricerca dell’alterità musicale si è
fatta ancora più ingente. Il linguaggio è ancora più sensibile
allo stato attuale della società. La musica assorbe il malessere e
lo esprime. Esempio di sperimentazione strumentale ed esperienza
brutale sul palco sono gli Einsturzende Neubauten: il gruppo
industrial tedesco piega ai loro voleri la musica colta, elabora e
porta a trasmutazione la musica vocale di Stockhausen, di Nono,
di Ligeti. I Neubauten realizzano suoni della civiltà
industrializzata a manifesto della decadenza di questa e
dell’alienazione che la stessa produce. I suoni sono portati
all’estremo di dissonanza.
Questo viaggio tra i vari ambiti musicali mette in luce come la
cultura musicale dominante occidentale, nel corso dei secoli,
abbia aperto i suoi orizzonti conoscitivi alla musica dell’Altro
sia per arricchire il proprio linguaggio, sia per superare la
troppa diversità con lo Sconosciuto che sempre di più avrebbe
fatto parte della stessa società.
Le ragioni dell'impiego di elementi appartenenti al mito del
'primitivo' nella musica contemporanea sono da rintracciare in un
preciso momento storico e bisogna collocarle in riferimento
all'esperienza culturale della società occidentale3. Il concetto di
primitivismo lo si ritrova in pittura ad indicare la violenza
espressiva del colore, le cosiddette 'fauves', 'bestie selvagge'
della tavolozza. E 'fauve' è stata definita anche La Sacre di
Stravinskij; ma può comprendere anche l'utilizzo del materiale
sonoro appartenente a popoli 'arcaici' come, ad esempio, la
rielaborazione dei materiale folkloristici.
Nella ripresa di materiale di popoli 'primitivi' però, bisogna
distinguere tra il concetto di 'esotismo' e 'primitivismo': il
primo comprende una sorta di decorazione di musiche occidentali
con elementi esotici, come ritmi e melodie.4 Difatti nel corso
dell'Ottocento, in Europa, c'è una spiccata tendenza di ricreare
delle atmosfere esotiche, sia nella musica che nella danza.
L’esotismo vuole plasmare la cultura dell’Altro affinchè divenga
non troppo difforme da quella di riferimento; dunque viene resa
piacente e attraente smussandone le caratteristiche eccessivamente
connotative.5 L’Altro è ‘domato’, quindi tollerato e, allo stesso
tempo, suscita curiosità poiché rimane celato nel mistero, spesso3Diego Carpitella, Il primitivo nella musica contemporanea, da “Conversazioni sullamusica”, a cura della Società italiana di etnomusicologia,Ponte alle Grazie,Firenze, 1992, pp. 166-2044 Ibidem5Giovanni Giuriati, Neoesotismi, primitivismi, informazione e pratica interculturale, da“L’eredità di Diego Caritella. Etnomusicologia, antropologia e ricerca storicanel Salento”, a cura di M.Agamennone, G.L.Di Mitri, Besa, 2003, pp.333-343
creato dalla non conoscenza approfondita. La dimensione
primitivista si sviluppa in modo più complesso. Il musicista,
oltre ad essere incuriosito ed ispirato dalla natura sonora
primitiva nel suo contesto culturale che ne è anch'esso
condizionato, adotta strumenti ben lontani dalla tradizione
europea, strumenti appartenenti a popoli 'arcaici'.6 Il guardare
oltre le proprie barriere culturali, il rivolgersi e avvicinarsi
ad un linguaggio musicale diverso è fomentato dal desiderio
dell'uomo occidentale di analizzare la propria condizione
esistenziale, mettere in discussione i valori da sempre
conosciuti. Un 'primitivismo psicologico' che non ha nulla a che
fare con una regressione allo stato 'barbaro', piuttosto è l'uomo
in crisi di dogmi culturali che si mette alla ricerca di
dimensioni alternative.
Il primitivo è esteriorità e decorazione, ricreazione di atmosfere
mitiche ed esotiche con Debussy; successivamente acquista
sostanza, si arricchisce di una dimensione spirituale e religiosa
con Stravinskij: nella Sagra della Primavera la magia del rito si
traduce nel linguaggio musicale caratterizzato dalla prorompenza
ritmica; e poi diviene un sentimento di disordine interiore, nel
secondo dopoguerra, una forma d'arte per combattere un «antico
potere organizzato»7 ai tempi della crisi della ragione, che
diviene presto anche crisi della morale.
6Diego Carpitella, Il primitivo nella musica contemporanea, da “Conversazioni sullamusica”, a cura della Società italiana di etnomusicologia, Ponte Alle Grazie,Firenze, 1992, pp. 166-2047Franz Marc, I selvaggi della Germania, in Diego Carpitella, Il primitivo nella musicacontemporanea, da “Conversazioni sulla musica”, Ponte Alle Grazie, 1992
L’uomo occidentale ricerca nell’universo delle società primitive
uno stato benessere primordiale, di innocenza, estraneità dalla
corruzione e lo sfoggia come baluardo per la rivendicazione della
libertà perduta, i seguito a guerre e crisi della società europea.
Uno stato di beatitudine delle civiltà d’oltreoceano che è solo
un’illusione, però, poiché lo studio dei cosiddetti ‘selvaggi’
dimostra che la realtà è assai diversa, che alle spalle questi
popoli hanno anni di sfruttamenti e sofferenze.8 L’idealizzazione
dell’uomo nella sua dimensione naturalistica è stato, per lungo
tempo, un errore, dal punto di vista etnologico, ma ciò
rappresenta la fonte più fertile di ispirazione per
l’avvicinamento verso la cultura Altra.
Il mito del ‘bon sauvage’ e la musica non compresa
Nel XV secolo la scoperta delle Americhe dà vita ad un incontro
fondamentale per la storia dell’uomo europeo: l’incontro con un
nuovo mondo. L’universo civilizzato ha di fronte a sé un universo
in cui domina la natura, dove l’uomo vive con essa in armonia. Da
questa visione nasce il ‘mito del buon selvaggio’. Nel 1503
Amerigo Vespucci pubblica, nell’opuscolo Mundus Novus, una
descrizione dei costumi degli indiani che diverranno emblema del
‘buon selvaggio’. Echi degli archetipi dell’Eden primitivo,
dell’età dell’oro vengono a infondersi nell’immaginario dell’uomo
8Diego Carpitella, Il primitivo nella musica contemporanea, da “Conversazioni sullamusica”, a cura della Società italiana di etnomusicologia, Ponte Alle Grazie,Firenze, 1992, pp. 166-204
occidentale che si trova a fronteggiare il dilemma natura-cultura.
Il ‘selvaggio’, difatti, è colui che è privo degli attributi
dell’umanità civile.
Nel corso del ‘700 i viaggi degli esploratori nel nuovo mondo si
intensificano e, inizialmente, lo studio dell’Altro sconosciuto si
rivela un’arrogante affermazione di primato della cultura europea.
Il termine ‘barbari’, infatti, è frequentemente usato nelle
descrizioni dei popoli delle Americhe presenti nelle relazioni di
viaggio e nei dibattiti socioculturali dell’epoca. La politica
espansionistica vuole giustificare, sul piano etico,
l’espansionismo in nome di una missione civilizzatrice dei
colonizzatori, certi di essere i detentori di un sapere legittimo,
giusto, universale. L’egocentrismo domina: c’è un’identificazione
dei valori dell’Occidente con i valori in generale.
Assimilazionismo o rapporto superiore-inferiore: questo è ciò che
viene proposto al nuovo mondo. Gli Altri non sono più solo
incontrati ma fagocitati. 9
Lahontan, un avventuriero fuggito dai i creditori dalla Francia,
che esplorò le regioni del Minnesota, tornato in Europa nel 1703
pubblicò due volumi di memorie intitolate Dialoghi curiosi tra l’autore e un
selvaggio di buon senso che ha viaggiato. Egli non ha dubbi sulla superiorità
dell’uomo civilizzato e del fatto che i ‘barbari’ vadano istruiti
ma, in qualche modo, il ‘mito del buon selvaggio’ illuminerebbe
sul malessere dell’uomo che vive nella società moderna. L’uomo non
civilizzato, difatti, è libero, non conosce padroni, dipendenze e
9 Fernando Cipriani, Un dibattito socio antropologico nel Settecento. Il mito del Buon Selvaggio,http://international-journal-of-axiology.net/articole/nr8/art03.pdf, 2007
dunque aspira ad un’armonia interiore sconosciuta all’uomo legato
ai dogmi culturali.
Denis Diderot, filosofo francese del ‘700, sostiene la ‘purezza’
dell’uomo che vive in sintonia con la natura poiché egli non
conosce l’ipocrisia, la degenerazione morale della società. Nel
passaggio dal Cinquecento al Seicento, dunque, si abbandona
progressivamente il concetto di ‘barbarie’, legato alla bestialità
dell’uomo non civilizzato. Più che deviazione dal normale ora si
parla di condizione sociale. I dibattiti socio-culturali
proseguono e si nota come ci sia del paradossale nell’Illuminismo,
ovvero il contrasto tra la rivendicazione dei diritti umani e
l’apporto che diede per la nascita di una sorta di razzismo
scientifico. Si studia, infatti, il ‘buon selvaggio’ senza averlo
mai incontrato. Se ne parla come una sorta di mito già scomparso.
Scarseggiano descrizioni dei popoli di cui si parla ma si
elaborano comunque concetti, definizioni aberranti come, ad
esempio, per quanto riguarda il comportamento istintivo dei
‘selvaggi’, quasi insensato. Si coglie e sottolinea l’elemento
estraneità rispetto ai valori europei, unico metro di giudizio
esistente per gli studiosi.
L’Altro, dunque, rimane sconosciuto nel corso degli anni e dei
secoli. L’eurocentrismo, volto a giustificare comportamenti
imperialisti e soggiogatori, non si occupa per molto tempo di
approfondire l’altra cultura che rimane stereotipata. L’Occidente
europeo (e non) proietta verso il non-Occidente sogni, immagini,
utopie di purezza, pace, desideri di ricchezze abbondanti ed
infinite offerte dalla natura, ambizioni di varcare i propri
confini ed esportare il proprio sapere. La cultura dell’Altro,
valori, usi e costumi sono lungamente ignorati, sottovalutati. La
musica, come le altre altri aspetti della cultura, non è stata
esente da questo trattamento. Del 1648 abbiamo un’osservazione del
viaggiatore francese Balthasar de Monconys10 il quale aveva
osservato un’esibizione di dervisci del Cairo: costui riporta uno
spettacolo raccapricciante di bestie che gridano e danzano per ore
come streghe, con voci simili all’ululare dei lupi. Il compositore
francese Hector Louis Berlioz11, nel XIX secolo, descriverà la
musica dell’Altro come un qualcosa di ancora bambinesco,
incompiuto, poiché “sono ancora a tale riguardo sprofondati nelle
tenebre più profonde della barbarie e di un’ignoranza puerile in
cui si manifestano appena vaghe e impotenti pulsioni.” Charles
Burney12, compositore inglese, verso la fine del ‘700, cataloga la
musica etnica come principalmente diversa perché “barbara, zotica,
ed inferiore alla vera musica, che viene generata da una scala
completa”. C’è scetticismo, oltre che una sprezzante superiorità:
si pensa che, anche studiando di più queste musiche sconosciute,
non si scoprirà nulla di paragonabile alla musica colta
occidentale.
E’ del 1751 il saggio di Charles Fonton sulla musica orientale che
viene comparata a quella europea. Qui troviamo un capitolo
intitolato Della musica degli Orientali e del loro particolare gusto: la musica
orientale ne esce descritta come qualcosa che non si è sviluppata
10Stefano A. E. Leoni, L’Orientalismo musicale, macchina dei sensi,http://urbinoc.academia.edu/StefanoLeoni/Papers/457003/Lorientalismo_musicale_macchina_dei_sensi, visionato Aprile 201211Ibidem12Ibidem
nel tempo, e neanche perfezionata. Essa è ancorata alla musica
delle origini. Le sonorità orientali, difatti, sono caratterizzate
da semplicità e naturalezza; inoltre lo scrittore nota come alcune
arie e danze di autori antichi sono presenti nelle musiche di vari
popoli orientali. Seppur il giudizio non sia stroncante come negli
altri studiosi, Fonton sottolinea i tratti patetici e toccanti
delle melodie ascoltate, le quali suscitano emozioni e sono
inclini a infondere piacere. Riporta inoltre che è «[…] adatta
allo spirito asiatico, è come questo popolo, molle e languido,
privo di energia e vigore, e non possiede né la vivacità né lo
spirito della nostra. Il grande difetto di cui può esser accusata
è quello d’esser troppo monocorde […]».13 L’autore riconosce,
quindi, alla musica orientale la capacità di ammaliare, addolcire
ma non trova nessuna peculiarità nella struttura, anzi la trova
piuttosto monotona, priva di caratteristiche particolari, che
induce alla noia, alla fine.
Samuel Romanelli14, un ebreo italiano che visitò il Marocco nel
1787, descrisse la danza in un matrimonio ebraico a Tangeri con
toni derisori. Riporta la visione delle giovani ragazze che si
prestavano alla danza evasiva ed il rullio dei tamburi che,
secondo lui, era del tutto casuale.
Alla seconda metà dell’Ottocento risale la prima ‘testimonianza’
di etnografia musicale, ossia durante in epoca coloniale. Il
Capitano E. Fiori, ufficiale rimasto sconosciuto dal punto di
13Stefano A.E. Leoni, L’oltre-Bosforo come catalizzatore dell’immaginario musicale occidentale allesoglie dell’età moderna, cit. www.uniurb.it, 2003
14Ibidem
vista delle informazioni bibliografiche, pubblica delle
annotazioni riguardo la musica dei popoli dell’Eritrea, scritto
chiamato appunto Saggi musicali dell’Eritrea.15 Si tratta di una delle
prime trascrizioni di musica extraeuropea che è ancora molto
lontana dalle conoscenze dei ricercatori: difatti, le ricerche
sulle musiche popolari, in Italia, prendono il via verso metà
Novecento. Le annotazioni dell’ufficiale sono caratterizzate da un
forte eurocentrismo che opera come filtro razziale nell’ascolto
delle musiche del luogo. Gli appunti presi riguardano canti e
musiche eritree come Andante pastorale suonato con flauti di canna dalle tribù
dell’Altopiano d’Alal e il Canto delle Bilene.16 L’incontro con queste sonorità
si rivela acerbo nella metodologia usata per la trascrizione;
inoltre l’approccio è decontestualizzato, cioè non si mette in
relazione la musica ascoltata con le funzioni che essa espleta, le
occasioni in cui questi canti vengono interpretati ed in che modo.
L’autore dei saggi incentra la sua attenzione sulla natura
melodico delle musiche, la particolarità delle ritmiche,
ovviamente messe in relazione col sistema tonale conosciuto:
interpretazione che difetta, quindi, di una certa deformazione17.
Questo tipi di atteggiamento da parte dell’osservatore
occidentale, come sostiene lo scrittore e ricercatore Edward Said,
verso l’Altro rivela una necessità di controllo sul colonizzato,
come schermaglia difensiva e conservatrice circa la propria
15Isabella Abbonzio, New York University, Center for European and MediterraneanStudies, Etnografia musicale e colonialismo italiano: contributi sul folclore dei territori d’oltremaredall’epoca liberale al fascismo, http://win.ethnorema.it/pdf/numero%207/05%20Abbonizio.pdf, visionato Aprile 201216 Ibidem17 Ibidem
cultura, vedendo lo Sconosciuto come un elemento destabilizzante
per il proprio impero di certezze valoriali.18 E nel riscontrare
delle analogie tra la musica Altra e quella occidentale europea
c’è il tentativo di giustificare e legittimare l’azione
colonialista: ossia, si cerca di sfumare le differenze con l’Altro
in prospettiva di rafforzare lo status di dominatore. Riporta così
l’ufficiale Fiori: «Chi leggerà e studierà cotesta musica, proverà
forse una delusione per la sua povertà intrinseca, se non abbia
presente che l’effetto si ottiene dall’imponenza di moltissime
voci all’unisono e, più ancora, dal ripetersi indefinitamente del
ritmo o dello spunto o anche della melodia come in alcuni canti
iemènici».19
Dalle impressioni del musicologo francese Guillaume Andrè
Villoteau, raccolte intorno al 1800, si riscontra un notevole
eurocentrismo nell’ascolto musicale delle sonorità extraeuropee,
in particolare di quelle arabe: « Abituati al piacere di sentire e
di gustare, dalla più tenera infanzia, i capolavori dei nostri
grandi maestri della musica, ci è toccato, con i musicisti
egiziani, di sopportare tutti i giorni, dal mattino alla sera,
l’effetto ripugnante di una musica che ci lacerava le orecchie, di
modulazioni fatte a forza, dure e barocche, di ornamentazioni di
un gusto stravagante e barbaro, e tutto ciò eseguito da voci
ingrate, nasali e insicure, accompagnate da strumenti i cui suoni
erano o flebili e sordi, o striduli e pungenti.»20
18 Edward Said, Orientalismo, Bollati Boringhieri, Torino, 2007, p.6519 E. Fiori, Saggi musicali dell’Eritrea, Bollettino della Reale Società GeograficaItaliana III/V, 1982, cit. pp.770-77520Stefano A.E. Leoni, Guillame Andrè Villoteau e Ali Bey (ovvero Domenec Badia i Leblich): le orecchiedell’orientalismo imperialista, in Musica/Realtà, n.78, 2005, cit. pp. 29-47
Le culture dei continenti lontani, nonostante l’atteggiamento
diffuso di repulsione, provocano una messa in discussione della
rappresentazione dell’umanità e della sua storia. Il dibattito
circa questi ‘diversi’ e sulle loro origini si espande sempre di
più, mettendo in crisi la coscienza culturale europea. Tamburi di
vario genere, xilofoni, danze e vocalizzi suscitano riso,
impressionano un pubblico dall’orecchio addomesticato a certe
sonorità. La musica non occidentale viene percepita, inizialmente
come una maschera da indossare per evadere dall’ordinario, come
intrattenimento.
La musica Altra non viene compresa poiché non c’è percezione
concreta sociologica dell’Altro.
Verso un incrocio delle culture musicali
L’espansione europea permette, col tempo, la conoscenza più
approfondita dei popoli lontani. La curiosità prende piede e,
progressivamente, diviene studio. Con il XII secolo l’immagine
del diverso acquista una sua sostanza. Nell’arte figurativa, ad
esempio, i mondi lontani non sono solo colore suggestivo e
aggressivo. C’è attenzione nel riportare il non conosciuto, si
vuole andare più a fondo, conoscere la storia di questi popoli.
Anche se i pregiudizi razziali non scompaiono, anche se il
superficiale senso comune non cede, si arriva a comprendere che
ben più selvaggio, brutale e crudele siano le oppressioni, le
guerre dell’epoca. Questo è quanto sottolinea Michel de Montaigne
in Essais, del 1580. L’interesse per il ‘diverso’ nell’arte in
generale ha come sfondo storico le vessazioni, lo sfruttamento di
paesi sotto gli assedi dei coloni21.
Dopo il mito del ‘700 del ‘buon selvaggio’, viene a formarsi
quello della lontananza22. L’esperienza del viaggio è in primo
piano: esplorazione di terre lontane, diverse da quelle che si
conoscono sin da sempre. In letteratura lo troviamo, ad esempio,
in Keats, Heine, Byron. Uomini europei che vagano con la fantasia
ispirata da luoghi sconosciuti e affascinanti: centrale è,
difatti, nella corrente del Romanticismo, l’inquietudine del
viandante che esplora per il mondo. Dimostrazione di estrema
libertà, l’uomo esce dai suoi limitati confini sociali e culturali
e , sospinto dall’insoddisfazione della propria condizione
esistenziale amara e inaridita, muove i passi verso l’ignoto.
Viaggio significa esperienza antropologica di allontanamento da
ciò che si conosce ed incontro con l’Altro, confronto con altre
culture e, attraverso ciò, visione più complessa e veritiera di
sé.
Dal ‘folle volo’ di Ulisse verso la conoscenza, al viaggio
allegorico di Dante nella Divina Commedia; la meraviglia delle
diversità dei popoli incontrati da Marco Polo ne Il Milione, per
giungere ad una dimensione più moderna, troviamo opere con una
funzione divulgativa come il Die italienische Reise di Goethe, resoconto
di un viaggio in Italia. Emlematica è la figura del viandante,
‘der wanderer’, nel Romanticismo tedesco: il cammino viene inteso
21Roberto Leydi, L’Altra musica, LIM, 2008, p.26122Ibidem
come viaggio che riprende il senso di quello della transumanza
delle antiche civiltà pastorali.
Keats e Hölderlin vengono rapiti dal mito ellenico, nei loro
scritti si rincorrono luoghi di un mondo fantastico e totale, di
un’autenticità che non si ritrova nel contemporaneo. Quella di
Shelley e Byron non è unicamente una ricerca di bellezza estetica
ma la necessità di fuga dalla decadenza della società in cui
vivono; rincorrono stati di salvezza dalla negatività
contemporanea.
Sogni di fuga ci sono anche per lo stesso Berlioz, il quale scrive
nelle sue Memorie: «[…] fuggire il vecchio continente; andare tra i
selvaggi ingenui e primitivi e non sentir più parlare dei nostri
selvaggi sistematici, feroci e putrefatti».23 Il compositore
francese guarda, dalla sua Europa in crisi, con occhio languido i
paesi lontani, isole fertili e soleggiate, società prive di
corruzione.
L’Oriente, a fine Ottocento, il Nord Africa restano ancora luoghi
di profonda ispirazione evasiva, luoghi incontaminati dove
proiettare l’io in cerca di un altro se stesso, forse. Basta
pensare ai quadri dai colori sgargianti di Manet, Degas, Cezanne.
Prende piede la ricerca di schiettezza e immediatezza espressiva,
che poi sarà protagonista di correnti artistiche come
l’Espressionismo ed il Cubismo. La rigidità stilistica delle
accademia và stretta agli artisti che mirano a nuove forme
espressive caratterizzate da elementi originali. Con Gauguin si
manifesterà palesemente, invece, il sogno del ‘primitivo’: dalle23Olga Visentini, Saggio introduttivo a Hector Berlioz, Memorie, Edizioni StudioTesi, 1989, cit. p.18
isole dell’Oceano Pacifico arriva il desiderio del ritorno alle
origini, insito da sempre nell’uomo civilizzato, oppresso da
sterili formalismi. Quello del primitivismo sarà il mito su cui si
fonderà tutta l’avanguardia artistica, così infatti Picasso
richiamerà gli echi delle civiltà lontane. L’altro si presenta
nelle figure simboliche di oggetti di culto che vengono esposti in
musei e collezioni private. Il primitivismo non riguarda solo
l’estetica ma diviene fonte fertile per dar vita a quesiti sulla
modernità in una fase della storia in cui l’uomo è in qualche modo
predisposto a mettere in crisi la supremazia, la positività del
progresso, l’infallibilità del mondo razionale-scientifico.
La musica, in questo scenario, fatica ad esprimere le sue
contaminazioni esotiche poiché non ci sono molte descrizioni,
nozioni circa la natura della musica Altra. Più che frammenti
incompleti e banalizzati non hanno i compositori dell’epoca24.
Per tracciare il cammino dell'antropologia musicale occorre
analizzare per prima cosa quell'area di studi che nasce a cavallo
tra la fine del XIX secolo e all’inizio del XX secolo e che prende
il nome di musicologia comparata. Alcuni studiosi della cosiddetta
‘Scuola di Berlino’, Hornbostel, Abraham, Stumpf, Sachs, cercano
di individuare delle precise fasi evolutive della musica in base a
concetti evoluzionistici che all’epoca si consideravano
fondamentali. Partendo dall’assunto che i vari fenomeni musicali
si fossero sviluppati a partire da forme elementari fino ad
arrivare a forme più complesse, gli studiosi iniziano una ricerca
sulle origini della musica. Tutto questo viene fatto nell’ambito
24 Robert Leydi, L’Altra musica, LIM, 2008, p.272
dell’evoluzione sociale, con lo svilupparsi delle discipline
umanistiche in quegli anni e tenendo conto delle varie aree
geografiche in cui nascevano determinate espressività musicali.
Il lavoro degli etnomusicologi viene favorito dalla nascita del
fonografo meccanico inventato da Edison nel 1877. Con esso viene
favorita la registrazione e l’archiviazione più sistematica del
materiale raccolto. L’etnomusicologia permette di far luce sulla
questione delle origini della musica asserendo che è praticamente
impossibile indicare un’unica radice per la sua nascita; inoltre
la disciplina mette in dubbio il fatto che il ritmo si sia
sviluppato prima della melodia. Essa cerca di chiarire, verificare
alcuni concetti che la musicologia aveva solo in parte risolto
come il fatto che la polifonia avesse delle origini esclusivamente
da rintracciare nel medioevo europeo. Si mette in crisi il fatto
assodato che la forma musicale sia un fenomeno prevalentemente
estetico solo per gli europei e che negli altri paesi la musica è
principalmente una pratica funzionale in vari momenti nella
società. Si arriva a parlare di una vera e propria antropologia
della musica in quanto, a seguito dell’influenza dell’antropologia
americana, gli etnomusicologi cominciano ad analizzare sempre di
più i fenomeni musicali nel loro contesto etnologico. Non si
tratta più, dunque, soltanto di analizzare le componenti
specifiche del linguaggio musicale, ma anche di comprendere il
ruolo svolto dalla musica nella cultura, la sua importanza
nell’organizzazione degli individui nelle varie comunità.
L’etnomusicologia, in America, vede Frances Densmore che si
interessa della conservazione delle musiche originali che
rischiano di alterarsi a contatto con la civiltà occidentale.
Dunque registra e riporta la musica di anni e anni di musica tribù
indiane. Mentre in Europa, Bartok e Kodaly sono i principali
ricercatori sul campo che si dedicano alla raccolta e
registrazione di musica popolare e contadina. In Romania,
Brailoiu, studia le varianti della tradizione musicale orale
concentrandosi soprattutto sulle differenze di ritmo. Importante
diviene il comprendere che c’è un comune interesse per il rapporto
che si instaura tra l’uomo e la percezione dei suoni25.
Viene ritrovato, si arricchisce, dunque, l’interesse per la musica
orale che denota una sorta di ‘mentalità aperta’ per recepire un’
‘opera aperta’ basata sulle capacità mnemoniche del musicista. In
essa, cioè, il senso è sempre da rinnovare, ricercare ogni
qualvolta la si esegue. Nella musica colta occidentale la
struttura del linguaggio è fissa, ben definita poiché la scrittura
organizza il ‘discorso musicale’, dà una prescrizione
dell’esecuzione dell’opera. C’è formalità nell’espressione di
storie, immagini, emozioni così come c’è anche meno immediatezza
nella comunicazione del messaggio. La scrittura difatti elabora
suggestioni e tesse lati in chiaroscuro in ciò che si sta
descrivendo. Nella musica non europea ed orale troviamo, invece,
una sintassi del linguaggio chiara che permette di avere
un’oggettività del messaggio ancora più evidente rispetto al testo
scritto. L’elemento della comprensibilità è fondamentale per il
coinvolgimento delle persone all’atto sonoro. Certo che la
percezione di oscillazioni melodiche, guizzi armonici, invenzioni25Jean-Nacques Nattiez, Etnomusicologia, in “Enciclopedia della musica”, direttada Jean-Nacques Nattiez, Einaudi, 2002, pp. 677-686
ritmiche e quant’altro non possono essere le stesse in ognuno di
noi. Per un buon approccio etnomusicologico e per risalire al
‘pensiero musicale primitivo’ è fondamentale capire che le nozioni
fino ad ora conosciute di armonia, melodia sono superate e,
soprattutto, non equivalgono a dogmi. La musica può essere
definita come un’attività sempre esistita di comunicazione che
assorbe, elabora linguaggi nel corso del tempo e tramite il
contatto con culture diverse26.
La musica è sicuramente qualcosa di più complesso da analizzare,
studiare e comprendere rispetto al linguaggio verbale. La musica
non parla, certo, eppure anche lei esprime infiniti aspetti della
realtà. Il suo linguaggio è aleatorio poiché la musica è un
fenomeno semiologico: il segno è qualcosa che rinvia a
qualcos’altro, dunque essa si articola in correlazioni, immediate
e non. La musica, differenza del linguaggio, non mette in
connessione significati denotati o connotati secondo una logica ma
ha come sostanza, come contenuto, la musica stessa e, allo stesso
tempo, evoca elementi del mondo esterno nel quale siamo immersi.
L’etnomusicologia studia sul campo le relazioni tra musica e le
varie realtà e, cosa fondamentale, ha insegnato alla musicologia
tradizionale che le pratiche musicali occidentali non
rappresentano la forma più ‘alta’ di espressione musicale ma una
delle tante modalità con cui il fenomeno musicale si esprime27.
26Pietro Sassu, L’alterità musicale,http://www.sonusedizioni.it/maratea/files/edizioni/pdf/sassu.PDF, visionatoMarzo 201227Jean-Jacques Nattiez, Musica e significato, in Enciclopedia della musica, Einaudi,2002, pp. 208-210
Nel 1980, il compositore e saggista francese Pierre Boulez28, in
una conferenza dedicata all’esotismo musicale, riflette su come
l’Altro si è manifestato nelle proprie opere. Afferma che pensare
all’utilizzo dello xilofono unicamente come un modo per ampliare
le possibilità di scelta tra gli strumenti sarebbe riduttivo.
Vuole, invece, scardinare l’esistente gerarchia degli strumenti
musicali. L’incontro con culture che non ci appartengono,
sostiene, può farci guardare con più profondità e meno scontatezza
le nostre certezze, può aprirci un nuovo mondo senza che né la
nostra identità, né quella dell’Altro sia sottovalutata. La musica
d’arte occidentale, per molto tempo, si era relazionata con
l’Altra musica ciecamente, senza prospettive, basandosi solo su
alcuni parametri. Il sistema linguistico tramandato da secoli non
poteva più essere lo stesso. La tonalità, ad un certo punto, si
sradica dal piano delle relazioni armoniche e corre verso mezzi
espressivi sconosciuti, modalità comunicative insolite. E a mutare
non solo le forme sonore ma l’intero pensiero musicale. La musica
Altra trova terreno fertile in compositori come Stravinskij e,
successivamente, nella ricerca sonora di Cage.
La musica altra, questa sconosciuta, dapprima viene derisa dal
mondo occidentale, poi diviene linfa di curiosità ed evasione.
Forma e sostanza dello spirito umano la musica è capace di creare
ponti interculturali tra civiltà distanti. Il linguaggio musicale
primitivo nel corso dei secoli ha influenzato diversi ambiti
musicali nelle diverse epoche.
28Gianmario Borio, Fine dell’esotismo: l’infiltrazione dell’Altro nella musica d’Arte occidentale,www.cini.it, visionato Marzo 2012
Nel corso dei primi decenni del XX secolo la tradizione musicale
precedente continua ad essere messa in discussione e con maggior
enfasi. Ad inizio Novecento i compositori ricercano nuove forme
espressive e nuove sonorità. Viene a formarsi una frattura tra il
pubblico: la borghesia continua a preferire l’ascolto delle
musiche del passato e si tengono alla larga dalle sperimentazioni
dei musicisti. Alcuni artisti, infatti, sono sempre più
insofferenti ed irrequieti verso valori e principi che regolano la
società. Non si riconoscono nel volto tumefatto ed indifferenziato
della società che la cultura di massa ha voluto ed imposto.
L’Espressionismo in Germania, ad esempio, rifiuta la grande
industria bellica che avvilisce la condizione umana sociale. Il
pessimismo dilaga nelle arti figurative, letterarie e musicali. Il
linguaggio mira a perforare la superficie del perbenismo, maschera
dell’ipocrisia borghese: vuole andare in profondità, sondare ed
esprimere i sentimenti più vividi dell’uomo. Il linguaggio
musicale si distacca da quello del passato e quindi scale,
accordi, consonanze, metri e ritmi, gli strumenti musicali anche,
vengono messi in discussione poiché c’è bisogno di una nuova
ricerca d’espressione. Il sistema tonale, messo in crisi già nel
tardo Ottocento, viene abbandonato per lasciare spazio a nuove
organizzazioni formali29. L’esperienza d’ascolto della musica deve
essere in grado di creare turbamento, estasi, ricreare la realtà
del sentire umano.
29 Mario Baroni, L’orecchio intelligente, LIM, 2004, pp. 165-167
Significativi cambiamenti e contaminazioni stilistiche ci sono
stati nella storia della musica, in particolare quella italiana,
da quando la musica popolare è tornata ad essere riconsiderata. Le
inflessioni popolari infiltrate nella tradizione colta hanno
favorito l’arricchimento creativo e, successivamente, anche la
nascita di nuovi generi e stili. Musicisti come Mozart, Beethoven,
Debussy, Stravinskij testimoniano l’influenza della tradizione
popolare su quella colta: hanno colto stimoli diversi dal mondo,
se vogliamo dire, ‘extracolto’. Nel corso dei secoli la musica è
riuscita a rappresentare e ad anticipare quella che noi oggi
chiamiamo senza difficoltà ‘multiculturalità’. A partire dalla
seconda metà del Cinquecento; così come possiamo meravigliarci
degli elementi della danza della Tarantella in Mozart.
Victor Segalen, scrittore ed etnografo francese del primo
Novecento, comprende la bellezza della diversità del mondo poiché
essa dipende dai parametri di riferimento di chi giudica. Egli và
oltre il concetto di esotismo poiché comprende che l’incontro con
l’Altro è, in fondo, l’incontro con un Noi arricchito da
prospettive sconosciute. L’apprezzamento delle influenze
interculturali diviene, allora, un modello di riferimento per la
libertà di ricerca stilistica.30 Si fa strada la componente
‘primitiva’ dell’espressione e della materia musicale: quando le
certezze della civiltà occidentale si sgretolano a poco a poco,
prende vita un confronto con altre civiltà, talvolta arcaiche, che
30Giovanni Morelli, “Altri primitivi”. Studio su una mito- poiesi, da L’eredità di Diego Carpitella.Etnomusicologia, antropologia e ricerca storica nel Salento e nell’area mediterranea, a cura diM.Agamennone, G.L. Di Mitri, Besa, 2003, pp.301-325
richiamano peculiarità non contemplate dai valori, usi e religioni
dell’Occidente.
Nel Novecento si viene a formare una ricerca spasmodica di nuove
sonorità, di nuovi parametri ritmici, si aspira ad un ampiamento
della sfera sensoriale, all’integrazione di metodi espressivi
diversi, favorita ed aumentata dalla crescente tecnologia e
dispositivi comunicativi nuovi.31
L’attenzione e lo studio dei rapporti tra culture musicali
lontane, come quelle dell’Oriente e dell’Occidente, negli ultimi
anni si sono diffusi tra gli antropologi. I mezzi di comunicazione
si sono evoluti ed estesi, facendo in modo che ci sia maggiore
condivisione, tra gli individui di modelli e sistemi culturali.32
Nel XX secolo il pensiero musicale si trasforma,allora,
progressivamente in corrispondenza al mutamento, o meglio, alla
messa in discussione di pratiche sociali, di forme del
linguaggio,di ruoli e di importanza delle istituzioni.
L’apertura della musica occidentale verso le sonorità dell’Altro è
iniziata con la ricerca di nuove forme espressive. Come sostiene
Henry Cowell, lo scemare del pregiudizio verso le musiche
primitive avviene di pari passo con il succedersi dei fatti
storici, ovvero, come abbiamo visto, la crisi della società
occidentale a fine XIX secolo.33
Il linguaggio musicale viaggia per il mondo, assorbe influenze:
dopo la seconda guerra mondiale molte barriere pratiche e
31 Ibidem32Gianmario Borio, Convergenze tra Occidente e Oriente nella musica del XX secolo. Riflessioni su alcuninodi cruciali, http://www.paviauniversitypress.it/scientifica/download/takemitsu-sito15nov2010.pdf, 201033Ibidem
pregiudiziali cadono, poiché la conoscenza dell’Altro è favorita
dai trasporti e aumentata dalla curiosità di guardare oltre se
stessi. I compositori appartenenti all’ambito colto entrano in
contatto con materiale popolare, lavorano sugli elementi estetici
e tecnici, il mito del primitivo si infiltra.34 Materiale musicale
proveniente da tradizioni semispente, come nel caso delle ricerche
‘scientifiche’ di Bela Bartok, o ignorate entra nell’elaborazione
dei musicisti contemporanei. Gli effetti di questa influenza sono
desueti ed impensabili: lo si vede dalla natura timbrica che
acquista la pausa e dal suono che diviene indeterminato proprio
per la rilevanza che assume la pausa; ma anche dalle rivelazioni
di astrazioni che vengono generate dalle sonorità alienate,
fatalmente apparse in forme aleatorie, così come accade con John
Cage.35
La musica colta scopre strutture formali alternative per
comunicare il messaggio musicale. La musica da camera, ad esempio,
scardina la sua esistenza, dal punto di vista sociologico-
antropologico il suo status viene modificato.36 Il linguaggio
musicale conosce delle realtà sconosciute come le successioni
irrazionali delle metriche, il carattere percussivo degli
strumenti viene accentuato, le dissonanze che,talvolta, hanno la
meglio sulle assonanze. La conoscenza colta allarga i propri
orizzonti accogliendo nozioni popolari, arricchendo il repertorio
34Diego Carpitella Il primitivo nella musica contemporanea, da Conversazionisulla musica, Ponte Alle Grazie, 1992, pp.177-17935Giovanni Morelli, “Altri primitivi”. Studio su una mito- poiesi, da L’eredità di Diego Carpitella.Etnomusicologia, antropologia e ricerca storica nel Salento e nell’area mediterranea, a cura diM.Agamennone, G.L. Di Mitri, Besa, 2003, pp.301-32536Ibidem
con riflessi antifonali, arpeggi ed abbellimenti si tingono di una
forgia più scura.
Nel tardo Novecento la creazione musicale adotta anche diversi
luoghi per la sua rappresentazione e manifestazione. Una tendenza
che prosegue tutt’oggi, adottata da vari musicisti e gruppi
musicali. Gli spazi canonici concertistici, fondamentalmente
tradizionali, non sono più in grado di esprimere le sonorità che
si allontanano dal vecchio linguaggio musicale.37 Le opere vengono
concepite consapevolmente per essere rappresentate in diversi
luoghi, spesso anche non stabili ma mobili; luoghi, talvolta,
creati appositamente per determinate opere. Spazi riassemblati,
riscoperti, come nel caso del gruppo tedesco Einsturzende
Neubauten, attivo dagli anni Ottanta, che si esibiscono in
magazzini abbandonati o vecchi prefabbricati. Tutto ciò in vista
di un progressivo mutamento della concezione del rapporto artista-
pubblico, opera-contesto sociale.
Da Stravinskij all’avanguardia: in essa è fondamentale la ricerca
di stimoli fuori dall’ambito nazionale del musicista. La libertà
estetica diviene protagonista del linguaggio musicale
nell’avanguardia, quanto nella popular music radicata nella
società industriale e contaminata da sonorità di varia origine,
intrisa di aspetti ideologici e comportamentali; entrambi i generi
hanno chiaramente la predisposizione ad assorbire materiale sonoro
‘diverso’.38
37Ibidem38Gianmario Borio, Convergenze tra Occidente e Oriente nella musica del XX secolo. Riflessioni su alcuninodi cruciali, http://www.paviauniversitypress.it/scientifica/download/takemitsu-sito15nov2010.pdf, 2010
Igor F. Stravinskij: Le Sacre du Printemps
L’etnomusicologo Schaeffner ha una concezione del fatto musicale
creato dall’intreccio di elementi tecnici, storico-sociali ed
antropologici. Con un saggio su Stravinskij egli mette in luce la
serie di effetti dirompenti che la struttura ritmico-metrica de La
Sagra della Primavera ha sul pensiero musicale dell’epoca.
Inoltre, con questa, il materiale popolare viene riportato a
galla: temi che il compositore modifica, arricchisce, spoglia dei
loro elementi lasciando solo l’essenziale39.
Già nel balletto Petruska, dall’opera composta tra il 1910 e 1911,
Stravinskij riprende elementi del folklore russo. Opera definita
spesso ‘fauve’, ha effetti di colore vividi come i dipinti
dell’arte fauve, appunto. Il ritmo è dirompente e la tradizione
viene abbandonata per abbracciare scale modale difettive, ossia
mancanti di alcuni dei sette suoni. Le note sono ridotte e le
melodie non sono sviluppate ma bensì ripetute più volte40.
La Sagra della Primavera di Igor F. Stravinskij è considerato una
sorta di manifesto della cultura musicale contemporanea
d’avanguardia. L’opera è uno dei primi lavori del compositore
39 In www.cini.it,Gianmario Borio, Fine dell’esotismo: l’infiltrazione dell’Altro nella musica d’arteoccidentale 40 Guido Salvetti, Nascita del novecento, EDT, 1991, pp.87-92
russo e viene presentato la prima volta nel maggio del 1913 a
Parigi41. Il coreografo del balletto è il russo Sergej Djagilev e
la prima esecuzione desta un vero e proprio scompiglio tra il
pubblico dell’epoca che non è abituato a contenuti e linguaggi
altamente espressivi, innovativi. La partitura dell’opera
rappresenta una novità in riferimento, soprattutto, alla ritmica
complessa, ma anche alla melodia e all’armonia. Nell’opera
coesistono sia elementi di scrittura fortemente emotiva, sia una
forma classica e popolare. Colpisce la forza della natura, così
come viene rappresentata, lontana dalla visione idilliaca
comunemente presente nell’immaginazione dell’uomo. Stravinskij
stesso sostiene di essere stato ispirato ed influenzato da ricordi
risalenti alla sua infanzia circa riti propiziatori di origine
popolare e l’immagine della «violenta primavera russa, che sembra
iniziare in un’ora ed è come se la terra intera si spezzasse»42;
difatti, Jean Cocteau, scrittore, pittore, attore e regista
francese, descrive Le Sacre come «le georgiche della preistoria»,a
sottolineare il legame con la natura che l’opera ha.»43 La forza
magnetica ed irruenta dell’opera è data dall’amalgamazione di
mitologia e folklore, simmetria e asimmetria del linguaggio
musicale, delle pulsioni opposte ma affini come l’istinto di vita
e l’istinto di morte: phatos e thanatos che si intrecciano in
un’esplosione dinamica alternata a lande desolate di staticità.
41 Mario Baroni, L’orecchio intelligente, LIM, 2004, p. 16842Lorin Maazel, Igor Stravinkij- Le Sacre du Primtemps, cit.http://www.sergiosablich.org/dettaglio.asp?L1=55&L2=228&L3=236&id_inf=1077&cerca=aron, 199843Ibidem
L’opera si struttura in vari episodi e l’azione che le musiche
descrivono si svolge durante un rito pagano di propiziazione. La
primavera, dopo il lungo inverno, necessita del sangue di una
fanciulla per tornare ad essere fertile e rigogliosa. Nel
balletto, difatti, troviamo figure come il saggio, le fanciulle
danzanti e l’Eletta: colei che è destinata alla triste ma nobile
sorte del sacrificio. I tempi e le melodie dell’opera variano a
seconda dei momenti che si succedono: pacati, tenui, poi ritmiche
tribali delle danze, toni drammatici delle evocazioni e dei
rituali che accompagnano il sacrificio44. Sorprende, anzi
scandalizza l’orecchio borghese del pubblico, l’uso spregiudicato
dei crescendo e delle accelerazioni, delle pause e delle
improvvise cesure. Nelle scelte orchestrali troviamo un copioso
uso dei fiati: dagli ottoni ai fagotti, flauti, oboe. Ci sono
anche strumenti a corda, inoltre, che si diramano nella
composizione non solo come sfondo. Le percussioni sono
fondamentali e di ogni genere come triangolo, campane, gong,
timpani, tamburi. La musica rigenera in suoni il timore per le
forze cosmiche della natura che si risveglia, gli uccelli e gli
animali che si muovono. Motivi brevi ed incisivi, nella prima
parte dell’introduzione. Il ritmo prende ad incalzare un impulso
inarrestabile che accompagna non solo la danza, ma vuole rendere
l’esasperazione del movimento spasmodico dei corpi. Nel Gioco del
rapimento la tensione drammatica volge al culmine: un crescendo
dinamico dato da sovrapposizioni tonali create da procedimenti
44 Giulia Sofia Franzan, www.esteticadellamusica.blogspot.it, maggio 2011
modali e da elaborazioni di dissonanze.45 Trilli di flauti
introducono Gioco delle tribù rivali e successivamente le percussioni
irrompono nell’esecuzione, conquistandosi quasi una sezione
orchestrale a parte. Utilizzando una strumentazione complessa ed
elaborata assieme ad una semplicità, invece, tematica, che si
scontra con la fitta tessitura ritmica, si ha un effetto
elementare, primitivo.46
Stravinskij, in quest’opera, pone l’accento sulla brutalità della
Russia pagana e descrive questi sentimenti attraverso motivi
pungenti. La prima parte del balletto si apre con la melodia del
fagotto in registro acuto, come presagio dell’avvento di un’epoca
lontana dalla musica piacevole e rilassante. Simbolicamente si
attaccano le forme tradizionali, le convinzioni dell’uomo moderno
ricreando un mondo barbarico e primitivo. I ritmi, difatti, sono
ossessivi, la materia sonora è volutamente e violentemente resa
dissonante, in un vortice di atmosfere sospese e misteriche. In
quest’opera, difatti, il ritmo è una chiave di lettura importante:
esso affonda le sue origini da un contesto extramusicale, è
sganciato da modelli rigidi e ricorrenti, esprime la cultura
musicale da cui proviene. Come scrive l’etnomusicologo tedesco
Curt Sachs: «Ci è difficile scorgere un principio o uno schema
vincolante nel senso in cui lo si intende in Occidente, eccettuato
uno sporadico accento emozionale, e l’alternanza, sempre
irregolare, di tensione e distensione».47
45Lorin Maazel, Igor Stravinkij- Le Sacre du Primtemps,http://www.sergiosablich.org/dettaglio.asp?L1=55&L2=228&L3=236&id_inf=1077&cerca=aron, 199846 Ibidem
La Sagra è legata all’uso di tecniche caratteristiche delle musiche
rituali: i riti, celebrati da popoli ‘arcaici’, possono essere
diversi, come ad esempio legati al fiorire di una nuova stagione,
alla nascita e alla morte, o al passaggio da un’età all’altra.48
L’uomo primitivo non si spiega con razionalità la ragione della
sua sorte, più nello specifico, degli accadimenti nel corso della
sua esistenza.49 Non sa fronteggiare con, conoscenze scientifiche,
a fatti come la morte, la malattia, la siccità, la carestia:
dunque, ignorando processi deduttivi, si affidano a riti
propiziatori o scaramantici. Ci sono vari tipi di riti, infatti.
Il passaggio da uno ‘stato’ all’altro, come quello
dall’adolescenza all’età adulta, vede il sorgere di una crisi
esistenziale, che nel folklore di origine primitiva è
accompagnata, in qualche modo esorcizzata, da particolari
strumenti e modalità d’espressione: la poliritmia, l’uso delle
percussioni in un incedere che descrive l’esplodere della tensione
esistenziale, il ritmo che si fa incalzante ed ossessivo.
Nell’opera di Stravinskij ritroviamo questi elementi che vanno a
costituire una sorta di formula magica che va a regolare l’origine
della crisi. Polivocalità composta in metri differenti, diverse
armonie che si intrecciano con un ritmo insistente e timbri
strumentali evocanti dimensioni primordiali.50 Il compositore russo
47 Curt Sachs, Musica primitiva, da Le sorgenti della musica, Bollati Boringhieri, Torino,1991, cit. p.12948Diego Carpitella Il primitivo nella musica contemporanea, da Conversazionisulla musica, Ponte Alle Grazie, 1992, pp.177-17949 Curt Sachs, Musica primitiva, da Le sorgenti della musica, Bollati Boringhieri, Torino,1991, p.9850 Diego Carpitella Il primitivo nella musica contemporanea, da Conversazionisulla musica, Ponte Alle Grazie, 1992, pp.177-179
recupera consciamente lo spirito di questi miti magici e religiosi
allo stesso tempo.
Emblematico di questo desiderio di riportare l’uomo alle origine
primitive, è il frammento delle Danze delle Adolescenti che si
apre con un accordo dissonante e martellante. Il ritmo meccanico
degli strumenti ad arco in tessitura bassa incalza un fenomeno
sonoro privo di appigli consonanti consolatori. L’accordo viene
ripetuto più volte e ad esso si sovrappone un altro, aspro,
accordo ripetuto anch’esso sei volte. L’orecchio dell’ascoltatore
è lasciato sgomento anche dal fatto che questa sonorità viene
ripetuta in modo irregolare: i colpi, nelle varie successioni,
cadono in maniera diseguale. La melodia, inoltre, non ha uno
sviluppo, rimane uguale a se stessa. Ci sono ripetizioni su
ripetizioni: è qui che Stravinskij vuole stupire avvicinandosi
alle tecniche musicali primitive. La sensazione è quella di essere
ipnotizzati in una dimensione arcaica, tinteggiata in modo
magistrale dall’uso di strumenti a percussione51. La
rappresentazione del selvaggio è essa stessa selvaggia e prende i
connotati di una ricerca di linguaggio romantico progressista. Ma,
d’altra parte, si riscontra il desiderio di allontanare una certa
appartenenza sociale per arrivare, piuttosto, a sfiorare la realtà
senza maschere e mediazioni52.
Il carattere prettamente barbarico del sacrificio lo si trova
della Danza dell’Eletta, dove la struttura dell’opera ampiamente
sperimentata per tutto il tempo esecutivo, viene nuovamente
scombussolata, il ritmo si contrae in una nevrosi assoluta. La51 Mario Baroni, L’orecchio intelligente, LIM, 2004, pp.168-16952Theodor W. Adorno, Filosofia della musica moderna, Einaudi, 1973, p.13
crudeltà del rito viene messa in risalto, elargita in tutta la sua
irruenza sonora e, allo stesso tempo, ecco che un’energia vitale
scaturisce da tutto ciò: il ciclo della natura che riprende dopo
la morte.53
Nella Sacre si avverte il connubio tra arcaismo e modernità. Per
quanto riguarda il primo, notiamo come questa condizione sia
vissuta pienamente ed in modo positivo per contrapporsi alla
civiltà. Secondo Stravinskij, tanto più si è moderni tanto più si
regredisce a stadi anteriori dell’umanità. E’ qui che i due
aspetti si fondono, anche se con una veste psicotica. Troviamo,
difatti, una feroce volontà di strappare l’anima dalla musica che
tradisce, lascia intuire, qualcosa di insanabile che altrimenti
verrebbe fuori con altrettanta violenza. L’aspetto della modernità
comprende la nostalgia verso un mondo lontano, primigeno che non
può tornare a vivere se non con uno spettacolo in costume54.
Stravinskij rinnega i dogmi della musica occidentale classico-
romantica poiché punta all’originalità della creazione musicale
che sappia esprimere con estrema genuinità l’universo interiore
del soggetto. Con la Sagra della primavera la musica moderna entra
nella società, irrompe anzi. Con aggressività sonica rifiuta
l’ordine e la logica sinfonica. Sancisce, invece, un rinnovamento
dello stile russo: le melodie non sono ritrattate e
occidentalizzate ma vengono prese quelle originali e rielaborate
in modo creativo dal compositore.
53Lorin Maazel, Igor Stravinkij- Le Sacre du Primtemps,http://www.sergiosablich.org/dettaglio.asp?L1=55&L2=228&L3=236&id_inf=1077&cerca=aron, 199854Ibidem
L’idea del bello musicale cambia da questo momento storico in poi
e Igor Stravinskij ne è una prova lampante.
Claude Debussy e la scena musicale a Parigi
Sul finire dell’Ottocento il Positivismo avverte le sue
incrinature: dapprima in Francia e poi in tutta Europa, la ricerca
scientifica, il razionalismo, il progresso tecnologico non
riescono più a rispondere agli interrogativi più veri e profondi
dell’uomo. La società è dilaniata da povertà ed ingiustizie e la
voce del popolo sembra scomparire in questo scenario statico. Si
giunge alla fase storica del Decadentismo: corrente artistica che
dà forma, voce e suono al pensiero irrazionale. In Francia nasce
il movimento culturale del Simbolismo che pone in connessione il
mondo dell’invisibile, dell’impalpabile con la realtà. L’artista
giunge alla conoscenza per vie intuitive, non immediatamente
percepibili e dunque che elevano l’uomo che le contempla e che le
comprende55.
Nel primo Novecento, Parigi è un luogo culturale in fermento che
sa far fiorire le nascenti espressioni artistiche. Per quanto
riguarda la musica, si parla dell’avanguardia: esperienza di
55Mario Baroni, L’orecchio intelligente, LIM, 2004, pp.162-163
autocoscienza della crisi tra l’artista e la società a cui non
sente di appartenere più56.
Già nel corso dell’Ottocento, in Europa, si diffondevano locali di
intrattenimento con musica leggera. Nei primi anni del Novecento
si assiste al fiorire inarrestabile di caffè, music hall a Parigi
dove si ascolta musica leggera. Il grande divario tra colto e
popolare non esiste più ed il genere leggero riguarda sempre di
più tutte le arti57.
Il mondo culturale parigino, nel 1907, è contaminato dall’arrivo
sulle scene della prima stagione di musica russa. Seguiranno poi
anche i balletti russi. Il rinnovo eccelle sulla tradizione con
artisti come Stravinskij, Nijinskij che portano una ventata della
loro cultura artistica popolare. La sonorità russa trasforma i
compositori che assistono alle varie rappresentazioni, in primis
Debussy. Il compositore francese è da sempre attratto da ciò che
non faceva parte del suo ambiente, dalle altre arti, come ad
esempio la letteratura. Lo interessa ciò che può considerarsi
fuori dalla norma, ciò che và oltre le norme, gli schemi della
società dell’epoca e dell’ambiente artistico. Ama avvicinarsi
all’estraneità, a linguaggi, forme e suoni che sanno di esotismo,
che possono creare scandalo, incomprensione58. Debussy dubita delle
nozioni tramandate di generazione in generazione come conoscenza
assoluta e rifugge dall’indottrinamento scolastico per puntare
sulla propria fantasia e creatività. E allora, sia in giovinezza
che in età matura, guarda altrove, si chiede cosa poteva
56Guido Salvetti, Nascita del novecento, EDT, 1991, pp. 21-2457Guido Salvetti, Nascita del novecento, EDT, 1991, pp. 24-2758Stefan Jarocinski, Debussy. Impressionismo e simbolismo, La Nuova Italia, 1980, p.93
significare la musica per civiltà più antiche. «Ci sono stati, ci
sono ancora, malgrado i disordini provocati dalla civiltà, degli
affascinanti piccoli popoli che imparano la musica semplicemente
come si impara a respirare. Il loro conservatorio è il ritmo
eterno del mare, il vento tra le foglie, e mille piccoli rumori
che essi ascoltarono con attenzione, senza mai consultare
arbitrari trattati.»59 Così descrive la naturalezza
dell’apprendimento della musica che forse ora si è persa, nella
civiltà ottusa. Un’idea simile la si trova anche in Gauguin, il
quale afferma «Osservate l’immensa creazione della natura e
vedrete se non ci sono leggi per creare, con aspetti completamente
differenti, e tuttavia simili nel loro effetto, tutti i sentimenti
umani.»60 La descrizione di una musica che riaccompagni l’uomo
nella danza primordiale dell’armonia con la natura, e dunque anche
con se stesso.
L’influenza di Wagner, che rimaneva pregnante, viene a
dissolversi. Debussy, sdegnante della stupidità e grossolanità
borghese dell’epoca, cerca di distaccarsi dal suo linguaggio,
seppur mantiene l’idea discorso musicale aperto e fluido,
continuo. Collegato al simbolismo come anche all’impressionismo in
pittura, nella formazione della sua attività artistica fu
fondamentale il musicista russo Musorgskij che gli fu d’esempio
d’antiaccademismo61.
Dunque Debussy rompe con la forma classica ancora più di quanto
avevano fatto i romantici. Le sue composizioni hanno dei richiami
59Ibidem, cit. p.9360Ibidem, cit. p.9461Guido Salvetti, Nascita del novecento, EDT, 1991, pp. 33- 68
orientali liberamente tratti ed elaborati. Frequente è, difatti,
il suo ricorso alla gamma pentatonica, scala musicale composta da
cinque note che si trova nella musica africana occidentale.
L’innovazione che lo colloca tra i compositori del XX secolo è il
rifiuto della tradizionale forma del tipo A-B-A che circoscriveva
l’artista dentro quel determinato schema di scrittura. Il suono
acquista un significato più completo, profondo. La musica di
Debussy dialoga internamente col testo poetico ed infatti possiamo
ricordare l’ispirazione ai versi di Baudelaire, così come di
Mallarmè62. Il compositore è accolto dal mondo dei poeti con molta
naturalezza e con alcuni di loro, incuriositi dalla sua
personalità, stringe anche amicizia.
Debussy è l’autore di una nuova forma di tempo: un tempo che si
arresta, si raggruma, perde il processo lineare di inizio,
sviluppo e conclusione. Ci sono piuttosto frammenti di tempo
accostati tra loro, che sembrano vagare indipendenti. Saggia
sonorità lievi ed acute, fa prevalere l’impronta timbrica sulle
linee melodiche in un fluire senza intoppi, quasi che il suono
abbia origine dal silenzio e nel silenzio si lasci riassorbire63.
Esperienza di primitivismo come matrice dell’abbandono a fantasie
circa il paradiso incontaminato dei selvaggi è evidente nel
musicista francese.64 La tristezza, o meglio la malinconia,
scaturita dalla contemplazione di mondi percepiti come idilliaci e
fortemente ispiratori, si trova in Clair de lune, dove languono
62Ibidem, pp.33-6863 Stefan Jarocinski, Debussy. Impressionismo e simbolismo, La Nuova Italia, 1980, p. 6664Giovanni Morelli, “Altri primitivi”. Studio su una mito- poiesi, da L’eredità di Diego Carpitella.Etnomusicologia, antropologia e ricerca storica nel Salento e nell’area mediterranea, a cura diM.Agamennone, G.L. Di Mitri, Besa, 2003, pp.301-325
sonorità di una tristezza inedita. La tematica esotica è presente
nel linguaggio di Debussy e si esprime attraverso la creazione di
forme armoniche presenti a tratti, l’impiego delle scale
pentatoniche, ampiamente utilizzata dalle orchestre gamelan,
l’utilizzo dei glissandi sovrapposti che modulano le sonorità
stocastiche.65
In, Jeux de vagues da La mer,Tre schizzi sinfonici, si può comprendere il
sottile gioco di immagini che il compositore vuole evocare tramite
le continue invenzioni melodiche, ritmiche e timbriche che si
succedono rapidamente. Come le onde del mare. Non c’è logica nella
costruzione musicale, ci si abbandona alla fantasia.
Accellerazioni e ritardi, balzi improvvisi ritmici, tonfi delle
percussioni: tutto questo per ammaliare il pubblico che si perde
nel suo inconscio66.
La sua è una ricerca della musica dai toni sinceri: «Bisogna che
la bellezza sia sensibile, che ci procuri un godimento immediato,
che si imponga o che si insinui in noi senza che dobbiamo fare
nessuno sforzo per coglierla.»67. Arrivare all’immediatezza
musicale denudando la musica, togliendole il gravoso peso
dell’artificioso.
Il fascino per la musica extraoccidentale ammalia anche Debussy,
il quale, infatti, rimane colpito, nell’Esposizione Universale del
1889 di Parigi, dalla musica dell’Isola di Giava, in Indonesia.
Questa affascinava il pubblico europeo già da molto tempo: essa ha
una storia molto antica alle spalle, prende origine da villaggi e65 Ibidem66 Mario Baroni, L’orecchio intelligente, LIM, 2004, pp. 162-16367 Stefan Jarocinski, Debussy. Impressionismo e simbolismo, La Nuova Italia, 1980, cit.p.113
corti, e vede come protagonisti gli strumenti di bronzo. La
diversità della scala impiegata in questa musica è un argomento
che ha affascinato gli studiosi e che ancora oggi è materia per
appassionati dibattiti tra specialisti. Il particolare carattere
sonoro della musica di Giava è dato dalla complessa e articolata
stratificazione dell’attività melodico-ritmica nei brani. Ognuno
di questi strati vengono variati da strumenti di registro grave ed
densi nelle parti più acute. Altro aspetto che caratterizza la
tradizione musicale giavanese è l’improvvisazione dei musicisti
che avviene in modo simultaneo. I musicisti variano continuamente,
difatti, il modello melodico68.
Debussy fa molti viaggi nei villaggi indonesiani per ascoltare dal
vivo l’esecuzione dell’orchestra della corte di Surakarta, al
centro dell’isola. Il compositore rimane impressionato, in
particolar modo, dagli strumenti a percussione elaborati in
intreccio polifonico; linee singole che vengono a sovrapporsi
senza mari creare un effetto dissonante.69 Il brano Pagodes, il
primo dell’opera Estampes del 1903, risente molto delle sonorità
orientali; questo è un pezzo immaginifico, evoca realtà di posti
lontani come quelle dell’Asia orientale, facendo un ampio uso di
scale pentatoniche e riprendendo melodie tradizionali cinesi e
giapponesi, e allo stesso tempo, Debussy inserisce percussioni
tipiche del gamelan giavanese. L’orchestra gamelan solitamente è
composta da un nucleo formato da strumenti quali le campane a gong
ed i metallofoni, costruiti in tre misure ciascuno, distanti68Giovanni Giuriati, I suoni dell’Isola: guida minima all’ascolto, www.sistemamusica.it,visionato Aprile 201269Guido Salvetti, Aspetti del pianismo debussiano, in Da Beethoven a Boulez. Il pianoforte inventidue saggi, Longanesi & Co., Milano , 1994, pp. 65-97
un’ottava l’una dall’altra. Questo fa sì che venga suonata la
medesima melodia in un realizzazione rapida, una moderata e
un’altra più lenta: nella notazione occidentale si chiamerebbe
diminuzione e aumento.70
Il compositore annota nello spartito che il brano dovrebbe essere
suonato «quasi senza sfumature»71: questo per mantenere una
rigidità del ritmo, senza che il pianista accentui l’espressività
delle sonorità. Ciò, inoltre, non comporta una rigidità del tempo
del pezzo, anzi, questo è caratterizzato da movimenti più veloci
alternati da altri più lenti. Il linguaggio musicale di Debussy
svela la sua complessità anche nel brano Pagodes, poiché c’è un uso
funzionale del pedale sostenuto: questo viene utilizzato di più o
di meno a seconda della natura percussiva che si vuole dare.72
Debussy, rimane ammaliato dalle sonorità esotiche e piacevolmente
misteriose, ma anche dall’uso di particolari strumenti come
timpani, xilofoni, martelli, campane di vario genere.73 Estampes è
un ciclo pianistico fortemente ispirato a paesaggi, soggetti
esotici, in cui vengono evocate atmosfere magiche e lontane.
Debussy studia e riflette sulle possibilità di esprimere il suono,
concentrandosi sui suoi parametri fisici come il timbro, la
lunghezza d’onda, la frequenza.74 Per quanto riguarda la dimensione
70 Curt Sachs, Polifonia, da Le sorgenti della musica, Bollati Boringhieri, Torino, 1991,p. 20371Guida all’ascolto: Claude Debussy- Estampes, cit. http://www.icoloridellamusica.it,visionato Aprile 201272Guido Salevetti, Aspetti del pianismo debussiano, in Da Beethoven a Boulez. Il pianoforte inventidue saggi, Longanesi & Co., Milano , 1994, pp. 65-9773 Diego Carpitella, Il primitivo nella musica contemporanea, da Conversazionisulla musica, Ponte Alle Grazie, 1992, pp. 173-175 74Ibidem
tonale, le orchestre gamelan impiegano la scala pentatonica, che
il compositore francese studia e riprende nelle sue composizioni.
L’introduzione di musiche lontane si integra con il linguaggio di
Debussy: percussioni e contrappunto ritmico delle sonorità gamelan
vengono rielaborati; inoltre il musicista utilizza ben quattro
scale pentatoniche. La prima scala musicale riguarda il Do diesis,
Re diesis, Fa diesis, Sol diesis, La diesis; la successiva è
discendente in Re diesis, Do diesis, Si, La diesis, Sol diesis;
nella terza si trova un’accellerazione della prima scala e nella
quarta c’è una nuova scala in Sol diesis, Si, Do diesis, Re
diesis, Mi diesis.75 Le quattro scale pentatoniche vanno a
descrivere quattro soggetti variati in melodia ed armonia,
forgiati da ritmi ed accenti trattati con fantasia e libertà del
musicista. Vengono aumentate le caratteristiche aleatorie di
strumenti idiofoni, la vibrazione del gong, quindi, e delle
campane. Tutto questo per rendere la complessità ritmica delle
orchestre gamelan.76
Nuove modalità di concepire l’estetica musicale che porteranno,
nel corso del tempo, sempre più a nuove rivoluzioni.
75 Ibidem76 Ibidem
Bela Bartok, lo studioso della musica popolare
Tra i più importanti pionieri dell’etnomusicologia, Bela Bartok si
può dire che sia stato cresciuto a suon di musica fin da piccolo.
La madre gli insegna pianoforte e poi il maestro Erkel lo
introduce alla composizione artistica. L’Accademia Reale della
Musica di Budapest è teatro della conoscenza tra Bartok e la
musica popolare della regione che influenza profondamente il suo
stile. Scopre le musiche contadine dei magiari e da lì inizia a
far filtrare tali nozioni nelle sue composizioni usando ritmiche
di matrice folklorica.
Nel 1907 viene assunto come professore di pianoforte all’Accademia
Reale e da allora si concentra sulle canzoni e musiche popolari
dell’Ungheria. Ma Bartok viaggia anche molto e, grazie al suo
prezioso strumento di registrazione, ovvero il fonografo di
Edison, raccoglie materiale fondamentale per i suoi studi
etnomusicologici. Il compositore è interessato a fondare una sorta
di ‘musica ungherese colta’ che non abbia legami o mediazioni con
la musica occidentale tedesca o italiana. Un nazionalismo, il suo,
che non lo incatena: difatti approfondisce melodie slovacche,
romene, slave, ucraine, bulgare, serbe, turche, degli indiani
d’America77.
Come premessa per le sue ricerche, Bartok afferma due assunti
importanti da tenere in considerazione: innanzitutto, egli
considera il canto popolare come un elaborato unitario nel quale
parole e suono hanno la stessa importanza; inoltre, per ottenere
dei documenti considerati validi occorre registrare e trascrivere
i canti per poi analizzarli.78
Della musica popolare lo studioso distingue due generi: la musica
popolare popolaresca, ossia quella popolare cittadina, e la musica
popolare dei villaggi, cioè quella contadina. La prima è
caratterizzata da melodie aventi una struttura semplice e gli
autori sono dei dilettanti appartenenti alla classe borghese. La
seconda, invece, comprende melodie che si sono diffuse in un paese
e sono espressioni istintive, aventi la sensibilità musicale dei
contadini del luogo.79
Bartok è convinto che ognuna delle melodie popolari rappresenti un
modello di perfezione artistica. La musica popolare, a suo dire,
insegna l’essenzialità dell’espressione che è, invece, del tutto
estranea alla prolissa tradizione romantica. Bartok individua
un’infinità varietà ritmica nei canti popolari, nelle «melodie in
parlando-rubato»80. E anche nelle melodie più regolari dal punto di
77 In www.magiadellopera.com, formato pdf, visionato Aprile 201278 Diego Carpitella, introduzione a Bela Bartok,Scritti sulla musica popolare, UniversaleBollati Boringhieri, 1997, p.2079 Bela Bartok, Scritti sulla musica popolare, Universale Bollati Boringhieri, 1997, p.7480 Ibidem, cit. p.74
vista ritmico vi sono delle particolari variazioni, come nel caso
delle danze. La musica popolare è «espressione istintiva della
sensibilità musicale di un paese»81: sentimento e poesia che vanno
protetti come orgoglio del popolo.
Importante, nella sua ricerca, è cogliere gli aspetti più genuini
della tradizione musicale orale. Spesso queste espressioni più
istintive erano quelle di gente di villaggi quasi sperduti,
isolati dal mondo esterno. La vita frugale a contatto con le cose
semplici,come riti di nascita, matrimonio, feste religiose e di
mietitura, per Bartok, dà origine alla semplicità,
all’immediatezza primordiale delle melodie.
La semplicità, dunque, viene vista dal compositore ungherese come
una sorta di ‘purezza’ della musica, purezza intesa come originale
espressione del sentire della comunità.
Catalogando la musica ungherese, Bartok sostiene che le melodie si
basavano su modi ecclesiastici, su modi greci ma non avevano
nessun punto in comune con il linguaggio della cultura dell’Europa
occidentale.
Altro fatto importante che lo studioso ungherese ha constatato
nelle sue ricerche è che il contatto tra popoli di culture diverse
non costituisce solo uno scambio di melodie ma permette il fiorire
di nuovi stili. Quelli più o meno antichi continuano a vivere. Un
processo di questo tipo permette l’arricchimento della musica
popolare nel corso dei secoli. Difatti, in Europa Orientale,
Bartok apprende proprio questa situazione: ovvero con il continuo
flusso delle musiche popolari delle singole comunità, si ha un81Gianfranco Vinay, Il Novecento nell’Europa orientale e negli Stati Uniti, EDT, 1991, cit. pp.17-27
complesso di melodie e tipi melodici molto variati. Nel caso
razziale, l’impurità è un fatto positivo, anche perché è
pressoché impossibile tenere divisi i popoli l’uno dall’altro.
Sebbene la conservazione delle originali musiche popolari vada
portata avanti, rifiutare categoricamente le influenze straniere
nella tradizione orale significa recarne decadenza.82
Un altro errore da non commettere nella valutazione della musica
popolare è quello di pensare che la musica nazionale possa essere
preservata analizzando quella popolare e portandone i tratti
distintivi nella musica occidentale. L’importanza artistica viene
raggiunta dalla musica popolare unicamente quando essa influenza,
filtra nella tradizione colta. Il creatore deve indubbiamente
avere le conoscenze e competenze affinchè questa unione avvenga.83
Gli studi e l’interesse intenso di Bela Bartok per la musica folk
lorica non nasce dal bisogno di assemblare nuovi strumenti
espressivi per la musica colta. Il compositore vuole dare giusta
dignità a ciascuna cultura musicale meno conosciuta: ne rintraccia
armoniche, melodiche e ritmiche che non rientrano negli schemi
della classica musica occidentale. Il discorso musicale libero,
basato sulle variazioni, sulle improvvisazioni corrisponde ad un
modo libero, non rigido, non calcolato di esprimersi, di
accompagnare varie attività sociali84.
Fondamentale è, nella raccolta di materiale musicale popolare,
rintracciare la situazione dell’ambiente in cui certi popoli
vivono, le condizioni pratiche della loro esistenza, così come è82Bela Bartok, Scritti sulla musica popolare, Universale Bollati Boringhieri,1977, pp.48-7383Ibidem, p.9984 Ibidem
importante comprendere i rapporti relazionali. Tutto ciò
costituisce un’introduzione conoscitiva per essere in empatia con
lo ‘spirito’ della musica che si va a studiare, captando elementi
di carattere storico e folklorico.85 Bartok auspica ad una
conoscenza approfondita, dunque, della musica contadina, anche dei
particolari, attraverso un’osservazione diretta: «E’ altrettanto
importante vedere la mimica dei contadini che cantano, dobbiamo
partecipare alle loro feste da ballo, alle loro feste nuziale,
natalizie, assistere ai loro funerali…».86
Dal secolo XX i musicisti traggono ispirazione per la composizione
delle loro opere da repertori di musica popolare, melodie
contadine che per molto tempo restano praticamente ignorate. Per
far sì che l’influsso della musica popolare vada a plasmare quella
colta occorre, innanzitutto, che il musicista conosca, oltre alla
lingua, il repertorio interamente, in ogni sua sfumatura.87 Non
basta, inoltre, sfogliare cataloghi di nozioni di questa musica:
bisogna, invece, esser entrato in contatto con canti e musiche
contadine, respirando l’atmosfera di determinate situazioni, riti,
festeggiamenti. Andando più nello specifico della composizione di
un’opera, la melodia popolare potrebbe essere inserita tra un
preludio o un postludio, mantenendola fedele all’originale o
modificandola ma solo appena.88 Essa rimane unicamente una
citazione se viene ripresa solo la tematica popolare, epurata
85 Diego Carpitella, Introduzione a Bela Bartok, Scritti sulla musica popolare,Universale Bollati Boringhieri, 1997 p.786 Ibidem, cit. p.1287 Bela Bartok, Scritti sulla musica popolare, Universale Bollati Boringhieri,1997 p.10288 Ibidem, p.105
dalle sue peculiarità di contorno. La melodia deve, invece, deve
poter confluire nell’opera colta in modo organico. A favore della
creatività e della conoscenza tecnica in materia musicale del
compositore, c’è il fatto che le melodie primitive non hanno
concatenazioni rigide di tonalità e, quindi ciò permette al
musicista libertà di spaziare tra accordi anche lontani tra loro.89
Il musicista potrebbe includere la musica popolare nella sua opera
imitando di sua inventiva una certa melodia. Così come fa
Stravinskij, il quale non cita mai le fonti dalle quali trae i
suoi motivi: invenzioni originali, dunque, ma anche un fedele
riproporre melodie di popoli ‘primitivi’.
Il compositore ungherese ha introdotto una grande curiosità per
la musica semisconosciuta delle piccole realtà ai ‘confini della
civiltà’. Musiche che hanno faticato per acquistare una loro
valenza, importanza, connotazione. Lo spirito di ricerca, la
curiosità per le tecniche e stili inusuali caratterizzano tutta la
vita di Bartok. Nella sua opera Quattordici Bagatelle, del 1908, viene
abbandonata del tutto la tradizione romantica. Ogni brano è
percorso da successioni di intervalli dissonanti, bitonalità,
ostinati melodici e ritmici. Il discorso musicale si fonda sulla
ripetizione variata della melodia e non sulla sua elaborazione.
Questo è sicuramente un tratto che ha origine dall’irruenza
ritmica del folklore rumeno che proprio in quel periodo sta
studiando. L’elemento dal tipico taglio bartokiano è il motivo
89 Ibidem, pp.106-107
barbaro dove la dissonanza dilaga come forza ritmica ed accento
timbrico in tutta l’esecuzione90.
E’ con l’Allegro Barbaro (1911), però, che ci è evidente la nuova
concezione musicale di Bartok: il tocco pianistico è disarmante
poiché la natura percussiva dello strumento è portata all’estremo
e ci soggioga in un’atmosfera primitiva, appunto. Il pianoforte
della tradizione romantica è solo un ricordo offuscato da tanta
irregolarità sonora che trattiene e affascina. Il timbro aspro ed
incisivo prende il sopravvento sulla melodia e sul ritmo, un
timbro che si fa martellante, un incalzare ossessivo trascinante e
destabilizzante91. L’Allegro Barbaro diviene il manifesto del
pianismo ‘percussivo’: questo ‘suono percussivo’ di Bartok dipende
dalla forza con cui si viene in contatto con la tastiera. E la
particolarità di questo modo si suonare sta nell’arrestarsi
qualche istante prima che le dita tocchino i tasti del
pianoforte.92
90Gianfranco Vinay, Il 900 nell’Europa orientale e negli Stati Uniti, EDT, 1991,pp. 17-2791Ibidem92 Piero Rattalino, La musica da recital nell’opera di Bartok, in Da Beethoven a Boulez. Ilpianoforte in ventidue saggi., Longanesi &Co, Milano,1992, pp. 123-142
Il ritmo dissacrante di John Cage
Lo scenario musicale nei primi decenni del Novecento affronta
linguaggi, visioni e sonorità che non hanno più molto a che fare
con l’organizzazione sistematica di suoni e accordi. Il suono è
studiato, elaborato in ogni suo aspetto. Nascono altre relazioni.
Come, ad esempio, quella tra suono e silenzio.
Nel 1939 John Cage ha già scoperto l’amore per le percussioni e
fonda un’orchestra in cui si suonano strumenti percussivi alquanto
insoliti come cerchioni d’auto, lattine e tazzine.
Nella cultura occidentale del Novecento, il compositore
statunitense elabora la sua non-teoria performativa musicale che
dissemina stravolgimenti in un campo dove l’assimilazione
dell’altro, del subalterno prevede un’interazione complessa, se
non che turbolenta.
Per la prima volta, nel 1940, Cage sperimenta il ‘pianoforte
preparato’, una tecnica per modificare il timbro dello strumento.
Il compositore pone una piastra di metallo sulle corde in modo da
creare un effetto percussivo del suono. Questo metodo era già
stato usato da Erik Satie, il quale aveva messo dei pezzetti di
carta e strisce di metallo nella cassa armonica del piano.
Nei pezzi per pianoforte preparato Cage pensa al risultato dei
suoni nell’esecuzione in senso casuale, nel senso che egli
prepara, predispone gli strumenti ma non decide il risultato
sonoro. Una vera e propria rivisitazione dell’uso strumentistico,
un attacco alla musica colta e al suo tradizionale ascolto.
Improvvisazione ed esplorazione sono la verve del suo lavoro.
L’aspetto sperimentale è centrale per John poiché rappresenta il
nucleo dell’identità della musica americana. Essa, infatti,
secondo Cage, è un agglomerato di differenze, di culture e
tradizioni anche molto differenti tra loro. C’è sempre qualcosa
dell’Altro, l’Altro che si infiltra, si trasforma e trasforma
dall’interno. E allora comporre, creare, in qualche modo significa
anche perdere la propria identità, diventare sconosciuti, ‘altri’.
Gli anni ’40 si caratterizzano per la realizzazione di musiche in
cui la dimensione ritmica è protagonista: Cage si avvicina ed
ingloba nelle sue esecuzioni anche la danza, basilare per questa
componente. Nei venti pezzi per pianoforte, Sonatas and interludes, viene
inserita la presenza di bulloni, pezzi di plastica e gomma, noci.
Successivamente, intorno alla seconda metà degli anni ’40, la
ricerca di Cage si tinge di spirituale: siamo nel periodo ‘alea’
durante il quale si avvicina alla filosofia indiana e al Buddhismo
Zen. E’ in questa fase che compone Solo for Voice 58, un’opera resa
volutamente indeterminata, divisa in diciotto parti tra loro
indipendenti. Cage scrive delle indicazioni per l’esecuzione del
componimento ed in esse troviamo dei riferimenti chiari alla
struttura della musica indiana. In un contesto non legato
all’origine dell’opera, l’interprete segue le notazioni circa i
raga, ossia regole relative a frasi melodiche, ed i tala, il
modello ritmico a carattere ciclico all’interno del quale si
sviluppa l’intera struttura musicale. Inoltre, Cage, indica nella
partitura dei microtoni dai quali, poi, l’interprete può ricavare
le altezze, in un processo esecutivo che da molte possibilità
creative, riflessive e immaginifiche.93 L’improvvisazione, allora,
fa da protagonista, esattamente come lo è nella tradizione della
musica indiana, ed è lo stesso compositore ad incoraggiarla nella
sua prescrizione: è attraverso di essa che si sviluppa un raga. Le
indicazioni esecutive del compositore riguardano anche i
microtoni, che possono essere intonati in vari modi, a seconda
dell’ispirazione momentanea dell’interprete; si tratta di
un’intonazione accordata ad istinto dell’orecchio dell’esecutore
che elaborerà ogni singolo raga.94 I tala, in India, vengono
combinati in una gamma infinita di colori ritmici e nell’opera di
Cage troviamo, oltre a quelle della tradizione, altre modalità di
‘muoversi’ all’interno di essi. Ad esempio, troviamo dei pezzi del
cantato che non sono accompagnati alle percussioni; ma Cage
riprende, dalla tradizione, anche la fondamentale e largamente
utilizzata tecnica del vocalizzo.95
Guidato dalle teorie sull’indeterminatezza e del caos delle
culture orientali, arriva a concepire come la musica debba
concentrarsi sul vuoto, perdendo il carattere soggettivo del
compositore. Si abbandonano scopi ed intenzioni per lasciare che
il suono sia eco di un silenzio che fa udire cose altre,
inconsistenti, di altra natura. L’uomo in questo modo si scollega
dal mondo materiale fatto di costrizioni inutili, l’uomo ascolta
93Amelia Cuni, Cage Ragas, note di Amelia Cuni contenute nel libretto del cd diJohn Cage Solo for voice 58: 18 microtonal ragas (songs books 1970),http://www.ameliacuni.de/index_nf.htm, visionato Aprile 201294Ibidem95Ibidem
la natura poiché il suono è natura ed essa deve poter fare il suo
corso: è per questo motivo che il compositore non può e non deve
controllare, decidere tutto l’andamento dell’esecuzione. E’ il
suono che modifica, in modo naturale, il linguaggio musicale, in
questa eterea atmosfera in cui forze indeterminabili agiscono. Al
riguardo Cage afferma che «l'arte cambia perchè cambia il nostro
concetto sul modo in cui opera la natura. Per questo mi interessa,
il modo in cui opera la natura, non come scienziato ma come
compositore. Ed è questo che mi ha convinto della necessità delle
operazioni casuali; se io usassi la musica per esprimere me
stesso, la cosa sarebbe in relazione, per esempio, con i miei
sentimenti, ma non con la nostra interpretazione del modo in cui
opera la natura.»96
Un elemento, sconosciuto fino ad allora come parte integrante di
un’opera, prende una non-forma nella musica di Cage attorno agli
anni ’50: il silenzio. Esso è materia sonora e come tale ne
amplifica, sottolinea i suoni, li rende agonizzanti, gli dona
respira. Il silenzio è fortemente espressivo e, talvolta, comunica
molto più intensamente di qualunque strumento materiale. La
percezione amplifica le sue possibilità perché non è più
concentrata sull’uomo stesso, difatti, la musica è rivolta
all’universale e ci immerge in una sorta di nulla-tutto,
dimensione del nirvana in cui ci si perde completandosi. Il
silenzio di Cage è un silenzio zen, che si impone sul suono: le
96A. Saccoccio, Cage: indeterminatezza e parentesi temporali , cit.,www.liberidallaforma.blogspot.it, maggio 2008
pause, infatti, risaltano più degli interventi musicali. Il
silenzio come spazio, vuoto: nell’estetica giapponese,
specialmente nelle arti figurative, le configurazioni corporee
hanno minor importanza rispetto agli spazi vuoti. Il vuoto che
risalta la forma, la contiene, è suo teatro d’origine. Il vuoto è
sostanza, come, appunto il silenzio. Dalla scuola buddhista
sappiamo che ogni cosa del creato si compenetrano a vicenda, e
dunque da ciò Cage ne trae insegnamento per arrivare alla
consapevolezza che silenzio e rumore sono parte integrante del
suono. In Cage il silenzio diviene un mezzo per intaccare i rigidi
argini dell’arte tradizionale che ha sempre perseguito lo scopo di
plasmare una forma come elemento d’apparenza. Il lavoro del
compositore è di natura sperimentale e multisensoriale: la sua
creazione artistica vive di materiale slegato da preconcetti
politici ed economici, le teorie vengono accantonate per poter
sondare più a fondo quella parte della coscienza ancora
incontaminata da vincoli strutturati.97
Nel 1893 Debussy scriveva in una lettera: «Mi sono servito di un
mezzo che mi sembra assai raro, del tutto spontaneamente; cioè del
silenzio, come mezzo espressivo e forse come modo per fare
risultare l’espressione di una frase.»98 Argomento, quello del
silenzio, sicuramente non proprio della cultura occidentale che lo
intende negativamente associandolo a qualcosa come la solitudine o
97Gianmario Borio, Il pensiero musicale della modernità, da L’orizzonte filosofico del comporre nelventesimo secolo, il Mulino, Venezia, 2003, pp. 16-1798Peter W.Atkins, Il secondo principio, Zanichelli, Bologna, 1988
la morte. Il silenzio che non l’occidente non sa ben dosare nella
comunicazione quotidiana.99
Cage adotta forme comunicative multimediali ed è capace di farle
proprie. Gli anni ’50 vedono la comparsa degli happening dove arti
visive, teatro, danza, musica e poesia si incrociano e dialogano.
Ciò che è particolarmente interessante per descrivere come la
musica extraoccidentale abbia introdotto i suoi influssi nella
cultura occidentale riguarda Cage e il suo costante desiderio di
guardare oltre la tradizione classica. Il compositore statunitense
utilizza gli stessi strumenti della musica colta per stravolgere
il linguaggio dall’interno. E lo fa, appunto, attraverso il
pianoforte preparato, una rivisitazione dello strumento classico
nel quale vengono inseriti chiodi, bulloni di metallo, viti. Del
suo lavoro per Sonatas and Interludes dice: «quando io appoggio
per la prima volta degli oggetti all’interno del pianoforte, c’è
il desiderio di possedere i suoni, in altre parole, di essere in
grado di ripeterli. Ma quando la musica lascia la mia casa e va da
piano a piano, e da pianista a pianista, diviene evidente non solo
che un pianista è diverso da un altro, ma anche il pianoforte non
è mai il medesimo. Invece della possibilità di ripetere, mi trovai
di fronte alla vita con le sue caratteristiche e qualità uniche,
davanti ad ogni occasione[…] Imparai a gioire delle cose come
vengono, piuttosto che fissarle affinché siano come io voglio.»100
Spagliare le carte dell’unità per ricomporre un’immagine
molteplice della musica.99Francesco Bonami, Il significato è nel respiro, intervista a John Cage,www.flashartonline.it ,1991100John Cage, prefazione a The Well Prepared Piano, di R.Bunger, Colorado Springs, TheColorado College Music Press, 1973.
Lo sguardo di Cage volge oltre l’oceano, vuole rendere fertile il
terreno della musica occidentale che, secondo lui, deve sapersi
aprire ad ‘altra’ musica. Nell’opera Sonatas and Interludes è collocato
il suo primo pezzo d’orchestra, ovvero The Seasons, che nasce come
musica per il balletto in un atto per Merce Cunningham. Qui
troviamo il legame del compositore con la cultura indiana,
difatti, sono presenti delle melodie statiche, ripetitive, che non
si sviluppano in diverse direzioni poiché vogliono riprodurre
l’andamento ciclico delle stagioni e, quindi, della natura. The
Seasons è suddivisa in nove movimenti corrispondenti alle quattro
stagioni con i rispettivi preludi. La composizione è
caratterizzata da una diffusa dolcezza della linea melodica dove
l’estetica indiana indica a Cage che l’inverno sia un momento di
pace, che la primavera corrisponda ad uno stato di vitalità
creatrice, mentre l’estate sia conservazione e l’autunno
disgregazione. Ad ogni fine si sussegue un inizio.
In questi anni, Cage vuole andare oltre l’obbiettivo della
comunicazione nella creazione musicale e lo fa seguendo quanto
sostiene la tradizione indiana, ovvero che la musica sia un modo
per pacificare la mente e l’animo. «Secondo la teoria indiana ci
sono nove emozioni permanenti […] che introducono alla vera e
propria rasa (emozione estetica); senza di esse infatti non c’è
rasa. Sono: l’eroico, l’erotico, il meraviglioso, il gioioso
( bianche); il patetico, l’odioso, il furioso, il terribile
(nere). La tranquillità si trova nel mezzo dei quattro modi
‘bianchi’ e dei quattro modi ‘neri’: essa è lo stato a cui tendono
normalmente, per questo è importante esprimerla prima degli altri,
senza nemmeno curarsi di manifestare gli otto restanti. Si tratta
dell’emozione più importante.»101
Gli anni tra il 1940 ed il 1951 sono quelli dedicati alla
composizione dei brani per il pianoforte preparato. Alcuni di
questi vengono scritti per danzatori, compagnie di ballo:
soprattutto quelli predisposti per un accompagnamento coreografico
poiché aventi un ricco intreccio di ritmo e melodia. Il pianoforte
viene usato come strumento monofonico, cioè vengono eliminati gli
accordi e la melodia quindi si fa scattante, nervosa, simile ad un
discontinuo picchettare di pioggia. C’è la volontà di ricreare
un’estetica primitiva, lontana dal bello ideale romantico, il
desiderio di riprodurre una rigogliosa natura di suoni differenti
tra loro.102
Le Sonatas and Interludes sono scritte secondo la notazione
musicale tradizionale, quindi troviamo il riferimento consueto
alle altezze, alla durata dei suoni ma l’effetto creato è qualcosa
di differente da ciò che il pubblico in generale era abituato ad
ascoltare dal pianoforte. Cage trasporta verso l’Oriente,
intreccia viaggi sonori spirituali ispirandosi alle filosofie
Hindu e Zen, elaborando varie indicazioni dinamiche con una
penalizzazione puntuale e precisa.
Analizzando la Sonata V, sempre parte di Sonatas and Interludes, si
può percepire il deciso fascino della dimensione tribale e
primitiva che caratterizza il lavoro di Cage. La vivacità ritmica
101John Cage, Per gli uccelli. Conversazioni con Daniel Charles, Testo&Immagine, 1999, cit.p.102
102 Peter Sarram, pubblicato su BlowUp # 20, www.blowupmagazine.com, gennaio 200
è simile a quella del pezzo Bacchanale, del 1938, composto per
l’accompagnamento di una danza. Il ritmo è regolare ed incalzante,
inizialmente. Poi, nella seconda parte, questa regolarità si
sgretola, si fraziona ed il ritmo imperversa con irruenza,
nervoso. Il timbro è ossessivo nelle percussioni e la mano
sinistra produce delle sonorità cupe, gravose. Sulle corde del
pianoforte sono posti materiali di gomma, dei bulloni e dei dadi.
Su questa linea melodica spintonano dei guizzi metallici, in
particolare il suono del Mi bemolle è protagonista. L’elemento
dell’inaspettato giunge sul finale quando si arriva ad un momento
statico quasi letargico, come un qualcosa che fa irruzione
d’improvviso ed inesorabile.
Siamo immersi in un flusso musicale che non appartiene agli schemi
metrici occidentali che basano la scansione ritmica sul battito
cardiaco. La misura musicale giapponese, ad esempio, non è
numerabile, segue altre forme di percezioni, come l’andamento
irregolare ma naturale del respiro. L’esperienza d’ascolto delle
composizioni di Cage, intrise di musica orientale, lascia la
sensazione di fluttuare in un percorso non impalpabile, vicino
all’etereo. Il suono, il rumore ed il silenzio, in questo spazio,
allora, sensibilmente si fondono, non c’è nulla da eliminare
perché tutto è parte dello stesso percorso sonoro. D’altro canto
la filosofia orientale tende verso l’universale, un collettivo
sentire, piuttosto che un soggettivo sentire della cultura
occidentale dove il singolo è al centro.
«La ricerca sulla natura del suono si evolve in una considerazione
sempre più autonoma ed estesa dei suoni, che finiscono per
coincidere con la molteplicità della vita stessa.»103 Quella di Cage
è una ricerca del suono che si fa natura e dunque ha tutte le
sfaccettature del mondo per il quale ha viaggiato. Una musica che
ha raccolto e assimilato le sfumature sonore di molte culture e
dunque è raro trovare ad essa una precisa identità. Cage dissacra
gli schemi che non possono creare confini a qualcosa che, come la
musica, non può averne.
103John Cage, Per gli uccelli. Conversazioni con Daniel Charles, Testo&Immagine, 1999, cit.p.75
Franco Oppo: la musica sarda nella modernità
Quando si parla di musica popolare si intende una musica composta
da un linguaggio del popolo, una sorta di codice che viene
riconosciuto e condiviso dagli individui di una data comunità.
Canti e balli che parlano del popolo, della loro storia, delle
loro usanze. La tradizione popolare è una tradizione orale poiché
i vari repertori sono tramandati, da generazioni in generazioni,
attraverso l’opera stessa: chi l’ascolta impara a riprodurla nel
tempo.104 Non si tratta di opere, dunque, messe per iscritto tramite
una notazione simbolica. Di certo è un meccanismo molto delicato,
difatti i repertori, di anno in anno, possono essere modificati da
diversi fattori con l’evolversi delle società.
Altra caratteristica della musica popolare è l’improvvisazione: la
creazione dell’opera non scritta è legata, essenzialmente, al
momento stesso della sua esecuzione. Durante questa, infatti,
possono avvenire delle variazioni, cambiamenti. Elementi come
oralità e improvvisazione sono presenti nella musica popolare, che
prende l’appellativo di ‘folklorico’ se associato alla musica
delle nazioni europee o degli Stati Uniti d’America, indicata come
104Diego Carpitella, Il primitivo nella musica contemporanea, da Conversazioni sulla musica,Ponte Alle Grazie, Firenze, 1992, p.42-43
‘etnica’ la musica tradizionale dei paesi del terzo mondo, come ad
esempio l’Africa; e nel jazz.
La musica popolare è, inoltre, anonima: essa è espressione di un
popolo ma è scritta da un singolo individuo che rimarrà
sconosciuto. L’opera, che è caratterizzata da ideali, valori,
saperi condivisi dalla comunità, supererà una sorta di ‘censura
preventiva’ da parte degli altri individui e sarà trasmessa e
ritrasmessa. La musica tradizionale di un popolo è parte
integrante della vita quotidiana di questo: è associata a
particolari occasioni rilevanti per la vita del singolo e per la
società e quindi assume un’importante funzione.
Il binomio colto-popolare non è eresia, questi due ambiti, seppur
differenti, soprattutto nelle modalità costruttive, nello stile,
nel linguaggio compositivo, non sono estranei l’uno all’altro. Già
con Stravinskij abbiamo potuto vedere il suo interesse per il
balletto russo, il fascino suscitato in Debussy dalla musica
tradizionale dell’isola di Giava, Bartok ed il suo, quasi
religioso, studio delle musiche popolari che hanno forgiato le sue
composizioni ed, infine, gli influssi orientali nello
sperimentalismo di Cage.
Per molto tempo si è pensato che la musica colta fosse qualcosa di
‘puro’, ‘alto’, qualcosa che si avvicinava alla perfezione per i
canoni di una concezione di ‘bello’ che, col tempo, ha trovato
nuove forme per esprimersi.
Nell’arte classica, il gusto della purezza non può essere
ritrovato in uomini comuni, non può essere riprodotto dalla classe
plebea. Domina un’idea di arte composta, composta entro
determinati binari presi in eredità dalla tradizione105. Tutto ciò
che si discosta da questo è ‘impuro’, quindi imperfetto. Non
stupisce, dunque, che la musica popolare sia considerata in questo
modo. Essa non è una musica di teoria, scritta, ma piuttosto voce
diretta della storia di un gruppo di individui, che esprime
sentimenti. Si giunge quasi a questa divisione: musica di ragione
e musica di sentimento, il colto ed il popolare106.
L’orecchio occidentale è da sempre attratto dalle musiche altre, a
melodie, stili compositivi differenti da quelli che la società
propone. La tradizione colta e quella popolare vengono divise da
secoli dalle istituzioni culturali, il sacro ed il profano, il
ricco ed il povero.107
Oggi questo divario si è assottigliato, interesse e curiosità
culturali vanno alla ricerca di materiale musicale tradizionale.
Il problema sta nell’approccio, nello studio della musica
tradizionale che rimane una sorta di scavo di repertori arcaici,
inattuali, come se fosse un oggetto da museo. La world music,
musica occidentale colorita da influenze etniche,108 impazza nel
mercato discografico internazionale ma, talvolta, la fusione di
generi di varia natura rischia di diventare chiassosa e nella
baraonda non si distinguono alcune origini. E quando lo si fa,
poi, queste tendono a dare staticità alla tradizione. Secondo il
jazzista sardo Paolo Fresu, infatti, si tende a salvaguardare la
105 Jean Molino, Il puro e l’impuro, da Enciclopedia della musica, VOL.I, 2001,pp.1052-1061106 Ibidem107Vittorio Montis, Il canto a tenore: un’espressione poetico musicale ancora viva nella tradizonepopolare della Sardegna centrale, in Suono e cultura, Mucchi Editore, 1994108 Mario Baroni, L’orecchio intelligente, LIM, 2004, p.227
musica tradizionale mettendola sotto una teca per essere
unicamente contemplata e ricordata.109 In realtà, la musica del
popolo è sempre attuale, perché gli individui si esprimono da
sempre musicalmente e lo faranno sempre.
La tradizione musicale sarda è un esempio di influenze e
contaminazioni culturali che la regione ha avuto nel corso dei
secoli. La Sardegna è stata invasa, sfruttata ma ha saputo
difendere il suo patrimonio culturale musicale, nonché il suo
senso della collettività. Il linguaggio musicale sardo si è
aperto a vari generi e possiamo constatarlo, ad esempio, con la
nascita del gruppo etno-rock sardo Kenze Neke. Già dal nome,
‘Senza colpa’, per ricordare l’anarchico sardo Michele Schirru
fucilato nel 1931 perché progettava l’attentato a Mussolini, si
intuisce lo spirito identitario del gruppo.
Cantano interamente in lingua sarda e riprendono alcuni brani
della tradizione popolare come Ass’andira, dal canto A s’andira.
Contemporaneità musicale, dunque: la lingua sopravvive ed il suono
richiama, con echi ancestrali, la lunga, complessa storia di un
popolo. Resta comunque aperta il problema di un rapporto
equilibrato tra tradizione e modernità poiché, se da una parte
nella musica contemporanea troviamo influssi della musica sarda
popolare, dall’altra sembra esserci una «cristallizzazione del
patrimonio tradizionale».110 I ‘canti monodici’, i ‘canti monodici
con accompagnamento’, i ‘canti polivocali’, la ‘musica
strumentale’ sono individuate e studiate dai curatori della musica109 Paolo Fresu, La musica tradizionale sarda: un ponte tra passato e futuro,www.allaboutjazz.com, gennaio 2010110 Diego Carpitella, Pietro Sassu, Leonardo Sole, Musica Sarda. Canti e danze popolari,Nota, 2010, cit. p.13
tradizionale che ne evidenziano ciascuna variante. Inoltre, nei
libri trattanti la musica sarda, si distinguono con attenzione i
materiali sonori a seconda della loro provenienza dalle zone
linguistico- culturali, ovvero il centro- nord ed il sud. La cura
riguarda anche la trascrizione dei testi dei canti con le
determinate varianti linguistiche della regione e il riportare il
contesto d’uso delle musiche, ciò che vogliono comunicare.111
Nella realtà sarda questa musica vive forme espressive
contrastanti: dagli spettacoli folkloristici, talvolta di solo
intrattenimento turistico, all’uso di elementi popolari per
comunicare problematiche sociali e politiche della regione. Dalla
fine degli anni Cinquanta, i musicologi riflettono sulla musica
tradizionale e la sua apertura verso nuove forme che costituiscono
la modernità della musica sarda. Con gli anni Settanta artisti del
mondo del jazz, ma anche del rock, come abbiamo visto, e del pop,
prendono coscienza del vasto patrimonio musicale della propria
terra.112 Dapprima si guarda al repertorio tradizionale come a
qualcosa di arcaico, al limite dell’esotico, a cui attingere. In
seguito, i compositori si interrogano sul proprio modo di far
musica: negli anni Ottanta impazza la world music e la ricerca
delle proprie origini musicali, evidentemente, diviene un bisogno
più ingente. In Sardegna le musiche vocali e polivocali hanno, per
molto tempo, assistito staticamente all’evolversi della scena
musicale del territorio. Col tempo, invece, sono entrate a far
parte del repertorio moderno. Così come anche l’uso delle
111 Ibidem112 In www.italia.allaboutjazz.com , Paolo Fresu, La musica tradizionale sarda: un ponte trapassato e futuro, gennaio 2010
launeddas: strumento polifonico più antico del Mediterraneo,
presente per la maggior parte a sud dell’isola ma usato molto
anche al nord. Il canto continua a manifestare la sua presenza
nelle sagre, negli spettacoli di piazza, sia nei paese che nelle
città: a testimonianza di ciò ci sono diversi gruppi ‘a tenores’.
Il canto di questi nasce nei bar di paese, i cosiddetti
‘tzilleris’, dove i bicchieri di vino ispiravano intrecci vocali
che hanno molto in comune col blues. Difatti presentano variazioni
stilistiche a seconda del paese in cui ci si trova e ciò modifica
anche storie e vicende che formano questi canti improvvisati. La
voce è un elemento che permane nella tradizione musicale sarda:
linguaggio e senso delle storie non vengono modificati. Si può
dire che alcuni canti e alcune danze sono ancora funzionali, come
i tenores barbaricini, che sono, cioè , quelli ancorati ai
comportamenti delle persone ancora vivi nella regione e oggetto di
intervento da parte delle comunità locali. Altri, invece, possono
dirsi defunzionalizzati: appartenenti al ‘folklore di mercato’,
cioè un repertorio musicale destinato a feste, cavalcate e
quant’altro.113
In Sardegna la musica tradizionale è ben custodita, anche con
vivace orgoglio, per cui l’interesse e la ricerca di materiali
popolari si mantiene presente. L’ambito tradizionale e moderno
spesso si intersecano, cioè il sistema delle voci e degli
strumenti: si usano meno uno strumento come le launeddas ma
elementi tipici come timbro e tecnica vocale rimangono all’incirca
113 Diego Carpitella, Pietro Ssassu, Leonardo Sole, Musica sarda.Canti e danze popolari,Nota, 2010, p. 13
intatti.114 La modernità dovrebbe farsi spazio all’interno della
tradizione popolare facendo sì che le opere della collettività
vadano a interagire con quel determinato sistema musicale. Senza
un ruolo attivo nella società, senza, cioè, la corrispondenza di
canti e danze popolari con la vita degli individui, la musica
popolare rischia di rimanere unicamente un oggetto da esposizione
che ricordi l’antichità e quindi qualcosa da riesumare perché
dimenticato.115
Un compositore che elabora il suono ‘sardo’ rendendo possibile la
fusione senza stonature tra la musica di tradizione orale e quella
colta è Franco Oppo. Nato a Nuoro nel 1935, è considerato un
emblema della nuova musica in Sardegna. Studia musica a Cagliari,
dove ora è docente al Conservatorio, e si diploma in musica orale,
pianoforte e composizione. Studia a Roma con Goffredo Petrassi,
compositore e didatta, con Franco Evangelisti, compositore
dell’avanguardia sperimentale, e con Piotr Perkowski, compositore
polacco. Per la sua formazione musicale sono importanti anche gli
incontri con due compositori e pianisti Renato Fasano e Marcello
Abbado.
La musica sarda è per Oppo una fonte primaria di conoscenze, o
meglio di arte di un’epoca lontana che deve essere studiata a
fondo, compresa e quindi può essere rielaborata, conservandone le
caratteristiche fondamentali linguistiche e strutturali.116 La
contaminazione nella sua musica proviene, dunque, dal patrimonio
culturale parte delle sue origini.114 Ibidem, p.14115 Ibidem116Antonio Trudu, Franco Oppo: il musicista organico,www.dialnet.unirioja. es /servlet/fichero_articulo?codigo=3623142 , 2009
Conoscitore della musica popolare da bambino e studioso
dell’ambiente colto, Oppo inizialmente vede ardua la sintesi tra i
due universi, poi, col passare del tempo, prova ad avvicinare il
materiale tradizionale alle composizioni alle sonorità
contemporanee.117 Secondo Oppo, è la musica contemporanea che si è
aperta alla possibilità di creare commistioni di suoni e melodie,
di elementi provenienti da culture diverse. Il compositore giunge
a far incontrare i due ambiti attraverso lo strutturalismo: ovvero
«meccanismi di organizzazione strutturali, replicati e riproposti
con materiali che mi riportavano ad un ordine musicale coerente e
praticabile». 118
L’incontro tra sperimentazione sonora d’avanguardia ed elementi
fonetici della musica tradizionale sarda avviene tra fine anni ’70
ed inizio anni ’80. Il patrimonio della musica sarda, con la sua
struttura e la sua forma linguistica, può collimare con la ricerca
‘avanguardistica’: come in una sorta di sistema dinamico, alcune
varianti vengono sostituite da fattori del canto popolare.119
Musica per chitarra e Praxodia sono frutto di questo processo di
convergenza. In quanto alle loro partiture si può trovare
l’elemento aleatorio in cui il compositore da le indicazioni
necessarie per l’esecuzione dell’opera ed in più, qui, vengono
descritte le procedure compositive utilizzate. Praxodia è una
delle più significative opere di Oppo poiché gli elementi della
musica sarda entrano a far parte del sistema musicale del
compositore in modo stabile, diventandone veste caratteristica.117Maurizio Erbi, Le riflessioni di un compositore: intervista a Franco Oppo,http://www.simc-italia.it/materiali/Oppo_Erbi.pdf, 2011118 Ibidem, cit.119Consuelo Giglio, Franco Oppo. Nuova musica della Sardegna, L’Epos, 2011, p.85
Le Anninnie, una del 1978 e una del 1982, il cui nome ‘anninnia’
deriva da un nonsense intercalato tipico della tradizione popolare
sarda, sono l’esempio di dialogo di due lingue diverse. Le
anninnias sono forme musicali monodiche semplici, formate da
pochissime note e presentano micro variazioni coerenti. Anninnia II
presenta una strutture molto simile.120 Dagli appunti per Anninnia
II nascono le Berceuses, ninna nanne popolari composte da linguaggio
e struttura attuali. La trascrizione rimane fedele all’originale,
Oppo le forgia di una sonorità moderna. Mantengono la loro
articolazione monodica, vengono rivisitate le tre o quattro note
attorno alle quali ruotano le melodie, ponendole ognuna in
un’ottava diversa della tastiera. Dice al riguardo il compositore:
«Con tre note a distanza di tono non si può fare molto, però ho
sempre cercanto di scoprire le diverse combinazioni di risonanze
che potevano esserci. Proiettare queste note nelle diverse ottave,
mi permetteva di restare agganciato all’originale perché le note
erano quelle, ma trasportate di una o due ottave, ma il mio vero
interesse era quello di dare a questo materiale popolare una
patina di modernità, sfruttando le risonanze ampie dello
strumento».121
Le Berceuses composte da Franco Oppo constano di tre brani: il
primo vede l’impiego delle note della melodia originale ma
trasportate di una o due ottave, in questo modo la sonorità resta
vicina alla tradizione ma lo strumento viene arricchito di molte
risonanze per dare un respiro di modernità al pezzo.122 Nel secondo120 Ibidem, pp. 90-91121Maurizio Erbi, Le riflessioni di un compositore: intervista a Franco Oppo,cit., http://www.simc-italia.it/materiali/Oppo_Erbi.pdf, 2011122 Ibidem
brano la struttura melodica è realizzata frammentando la scala
diatonica; i melismi, invece, di cui è ricco il pezzo, nascono
dall’uso di note vicine tra loro. Il brano è diviso in due sezioni
e la seconda è rigogliosa di varianti cromatiche, dunque si
distanzia dalla versione origianle.123 La terza Berceuses prende
vita da una lunga e approfondita ricerca. La particolarità di
questo brano è la ripetizione di una tonica, come un bordone
costante, la quale fa pensare allo strumento tradizionale delle
Launeddas. Lo studio del brano porta Oppo a capire che le
combinazioni delle varianti dei materiali danno sempre e comunque
una melodia che evoca e trasporta come una ninna nanna.124 Ogni
sfumatura degli elementi, secondo Oppo, può essere inserita nella
logica delle combinazioni che vanno a costituire lo scheletro del
brano.
Sagra, del 1985, è un’opera caratterizzata dalla presenza dell’oboe
e degli archi, due violini e una viola. Qui l’attenzione è posta
sulle procedure d’elaborazione proprie della musica sarda:
variazioni che si snodano lungo una catena e, all’interno di
queste, ci sono altre variazioni. Questa modalità compositiva è
tipica delle tecniche di improvvisazioni delle launeddas.125
Le Variazioni su temi popolari per launeddas e live electronics costituiscono un
lavoro di ricerca di musica elettroacustica dove lo strumento
veniva testato nelle peculiarità del suo impianto polifonico.
Caratteristiche non semplici da manipolare, come la sua rigida
struttura armonica, il suono privo di variabili dinamiche.126 Nel live123 Ibidem124 Ibidem125 Consuelo Giglio, Franco Oppo. Nuova musica dalla Sardegna, L’Epos, 2011, p.93126 Ibidem, p.98
electronics il suono delle launeddas non viene storpiato ma è lasciato
così com’è, alla sua natura. Lo strumento è suonato in modo
tradizionale con l’aggiunta di variazioni che faranno le macchine,
giocando su ritardi, risonanze ed altro.127 Questa è sicuramente
un’esperienza di connubio tra tradizione e modernità: uno
strumento sardo che viene accompagnato da un elemento della musica
contemporanea, ossia l’elettronica.
Seppur il repertorio di musiche popolari sia considerato lontano
dal sistema di musica colta, la conoscenza approfondita di alcune
culture musicali può dimostrare il contrario, vista la ricchezza e
la complessità compositiva di certe tradizioni strumentali, come
anche di canto e di ballo.128
.
127 Ibidem, p.99128Diego Carpitella, Pietro Sassu, Leonardo Sole, Musica sarda. Canti e danze popolari,Nota, 2011, p.100
La musique concrete e la volontà di comporre oltre lanotazione tradizionale occidentale
Nel secondo dopoguerra Webern diventa il fulcro di ispirazione per
la costruzione di nuovi linguaggi musicali: il compositore
austriaco adotta la dodecafonia teorizzata da Schoenberg;
l’organizzazione di ritmo, altezza e dinamica diverrà, nel XX
secolo, punto di riferimento per le tecniche compositive e base
per il serialismo integrale. Difatti, i ‘postweberiani’, così
chiamati, portano avanti il rigore costruttivo delle composizioni
e l’importanza attribuita al suono, con l’esaltazione delle sue
caratteristiche specifiche. La crisi del linguaggio musicale in
Europa, come abbiamo visto, fa sì che le teorie weberiane vengano
portate all’estremizzazione. Il serialismo integrale, infatti,
oltre che a scandagliare la natura del suono, non solo nel
parametro delle altezza come nel caso della dodecafonia classica,
porta ad una eliminazione della soggettività del musicista. Questo
è un elemento che si avvicina al fenomeno di alienazione
dell’uomo, inteso come artista, all’interno della società ormai
automatizzata: l’attività umana perde il suo oggetto. Creatività e
razionalità umana vengono messe in discussione, non sono più
qualcosa di assoluto. Si infiltra una indeterminatezza che va ad
influire sul processo compositivo: il risultato fonico è previsto
solo in parte, in modo approssimativo. E’ il gesto che produce il
suono che conta, la scelta al momento dell’esecuzione da parte del
musicista. Si parla, dunque, del fenomeno di aleatorietà che Cage
assimila e sperimenta. La creazione musicale viene ad assumere una
‘forma aperta’, dove anche l’ascolto del silenzio è parte
integrante dell’opera. Da qui, si comprende che anche la natura
della materia sonora viene a trasformarsi mettendosi in
discussione: il sistema tonale è ormai abbandonato, così come
quello temperato. Il compositore ha davanti a sé molte strade da
poter intraprendere per modificare i suoni e la loro materia, in
un sistema dove assonanze e dissonanze non rispondono più a
criteri di notazione tradizionale ma è legata alle radici della
profonda crisi storica della civiltà musicale europea e
occidentale.
Il primo strumento elettronico nasce nel 1900: il dynamophono,
ideato da Thaddeus Cahill ed altri ricercatori che lavorano alla
produzione di correnti alternate a diverse frequenze.129 Nel 1928,
invece, si fanno strada le onde Martenot, dal nome dell’inventore,
tra i compositori. L’invenzione consiste in uno strumento con una129Andrea Lanza, Il secondo Novecento, da “Storia della Musica”, EDT, Torino, 1991,p.120
tastiera di cinque ottave che può eseguire intervalli temperati.130
Le innovazioni nel campo della tecnologia applicata alla musica
continuano negli anni successivi. La materia fonica diviene
illimitata e, di conseguenza, i compositori assumono e procedono
con atteggiamenti sempre più pioneristici.
Si fa strada, in questo periodo, l’emancipazione del rumore come
parte del suono: nel 1913 Luigi Russolo, compositore e pittore,
firma il manifesto L’arte dei rumori. La musica non può essere composta
solo da suoni, ormai, ma anche da tutti quei rumori che fanno
parte della quotidianità dell’uomo che vive nelle metropoli.
Scrive così nel manifesto: «Questa evoluzione verso il "suono
rumore" non era possibile prima d'ora. L'orecchio di un uomo del
settecento non avrebbe potuto sopportare l'intensità disarmonica
di certi accordi prodotti dalle nostre orecchie […]Il nostro
orecchio invece se ne compiace, poiché fu già educato dalla vita
moderna, così prodiga di rumori svariati.»131 Il concetto di rumore,
prima di Russolo, era legato a forme onomatopeiche di
abbellimento, o comunque a modi di colorire dei brani. Ora è parte
del linguaggio musicale: non è un elemento di disturbo della
consueta e tradizionale armoniosità musicale, bensì acquista un
valore tutto suo, diviene struttura della composizione. Non viene
più eliminato come fattore accidentale ma viene inglobato, esprime
concetti, è reso musica, forma elaborata d’arte.132
130 Ibidem131Luigi Russolo, L’Arte dei rumori – Manifesto futurista, cit.,http://www.eclectic.it/russolo/artofnoises.pdf, 1913132Gabriele Marino, Luigi Russolo. Frammenti di un discorso rumoroso,http://www.sentireascoltare.com/articolo/835/luigi-russolo-frammenti-di-un-discorso-rumoroso.html, 2009
Suoni, ritmi, rumori che possano musicare il mondo interiore
dell’uomo: ci troviamo lontani dagli stilemi romantici ed immersi
nella forte esigenza di sperimentazione che porta all’affermazione
della musica contemporanea. La musica del Novecento si
caratterizza, infatti, per la ricerca inarrestabile di nuove
sonorità e ciò porta al bisogno di arricchire le composizioni con
materiali dapprima mai utilizzati, desueti agli occhi della
tradizione classica strumentale. L’opera Traitè des objets
musicaux di Pierre Schaeffer fronteggia proprio le dinamiche della
musica contemporanea che si sviluppano attorno all’oggetto sonoro:
così può essere definito poiché, con la possibilità di essere
registrato, il suono non è più astratto, bensì esso approda al
processo di materializzazione. Il compositore francese riflette
sulla possibilità di registrare sul nastro magnetico tutti quei
rumori e micro rumori, naturali e meccanici, che fanno parte della
nostra sfera percettiva e che possono essere manipolati. La
crescente tecnologia, difatti, permette che si continuino ad
abbattersi le barriere della musica occidentale con nuovi
strumenti in grado di allargare gli orizzonti compositivi. Afferma
Pierre Schaeffer: «Noi abbiamo chiamato la nostra musica concreta,
poiché essa è costituita da elementi preesistenti, presi in
prestito da un qualsiasi materiale sonoro, sia rumore o musica
tradizionale. Questi elementi sono poi composti in modo
sperimentale mediante una costruzione diretta che tende a
realizzare una volontà di composizione senza l’aiuto, divenuto
impossibile, di una notazione musicale tradizionale».133 Quella di133 Martino Traversa, Il suono riprodotto come materia musicale, da “Il suono riprodotto.Storia, tecnica e cultura di una rivoluzione del Novecento”, EDT, Torino, 2007,
Schaeffer è una rivoluzione ‘rumoristica’ che non può dirsi
radicale ma sicuramente moderata: si allontana dallo
strutturalismo postweberiano per ricercare stimoli dalla realtà
quotidiana, punti fermi nella tecnica. Le sue composizioni, spesso
tacciate di confusi ed inconcludenti collages, vibrano di
sorprendenti trovate inerenti alla stratificazione poliritmica e
polimetrica.134 Essenzialmente, Schaeffer e gli sperimentatori della
musica concreta, eliminano dal loro vocabolario i parametri fonici
appartenenti alle logiche della musica tradizionale; registrano
rumori, voci, strumenti tradizionali di culture occidentali ed
esotiche, qualche suono sintetico, li trasformano con varie
manipolazioni elettroacustiche. Nel 1948 il giradischi permette
accelerazioni e rallentamenti della materia sonora e, più tardi,
questo lavoro sarà svolto col registratore. Il vanto dei
‘concreti’ è quello di riuscire a mantenere le caratteristiche
complesse del suono naturale attraverso la divisione di esso in
tempo, frequenza e livello sonoro, questo con l’attività di
montaggio, filtraggio e riporto amplificato.135
Intorno al 1948 il compositore, assieme allo scienziato Abraham
Moses e al musicista Pierre Henry, inizia a registrare e
riprodurre suoni di vario genere di oggetti comuni assemblati con
spezzoni di brani di musica tradizionale che vengono
decontestualizzati dalla situazione di origine. Sperimentazioni
simili hanno già dei precedenti con l’ ‘intonarumori’ di Luigi
Russolo. Un intonarumore è una scatola di legno dipinta con varip.41134Andrea Lanza, Il secondo Novecento, da Storia della Musica, EDT, Torino, 1991, pp.124-125135 Ibidem, pp.240-241
colori piuttosto accesi, dove all’interno si trovano lastre, fili
metallici collegati tra loro da ingranaggi. La ‘macchina’ è
azionata da una manovella e a seconda della velocità con cui
questa viene girata vengono controllate le dinamiche del suono e
del rumore. Inoltre, una leva permette di modulare il tono, mentre
una sorta di tromba viene utilizzata come amplificatore.136
Dopo questo processo di trasformazione ed elaborazione i brani
vengono proposti all’ascoltatore in un contesto di fruizione
culturale ed artistica. Non vi è alcun interprete, è la radio,
sono gli autoparlanti che li diffondono. L’intento degli studiosi
e teorici della musica concreta è proprio quello dell’ascolto del
‘suono puro’, prelevato dai suoi consueti luoghi d’origine,
cosicchè l’attenzione su di essi sia maggiore. Ce lo insegnano i
readymades di Marcel Duchamp: manufatti d’uso quotidiano che
estrapolati dal loro contesto vengono percepiti diversamente,
soprattutto se presentati come ‘opere d’arte’. L’oggetto sonoro
può essere considerato come oggetto di routine e la sfida della
musica concreta è quella di abbattere le differenze tra
l’attenzione ordinaria rivolta ai suoni, spesso superficiale, e
quella estetica, invece indotta.
Nel 1951 il compositore francese istituisce il ‘Gruppo di Ricerca
di Musica Concreta’ (GRMC), che diventa un punto di riferimento
per musicisti come Pierre Boulez, Oliver Messiaen, Karlheinz
Stockhausen ed altri.137
136Gabriele Marino, Luigi Russolo. Frammenti di un discorso rumoroso,http://www.sentireascoltare.com/articolo/835/luigi-russolo-frammenti-di-un-discorso-rumoroso.html, 2009
Nel 1966 scrive il Trattato degli oggetti musicali, dove esprime in modo
compiuto la sua teoria. Pur non essendo un musicista, e quindi non
avendo una formazione artistica, si interessa al suono e alle sue
caratteristiche. Una sorta di ‘ingegnere del suono’, lo si
potrebbe chiamare, considerando anche il fatto che è un ingegnere.
La registrazione e riproduzione sonora sono le sue materie ed il
suo lavoro lo porterà ad affermare che coloro che sono in grado
realmente di ascoltare l’oggetto sonoro siano i tecnici del suono
e non i musicisti. Il meticoloso studio delle peculiarità della
materia sonora è al centro dell’attenzione di Schaeffer che lo
analizza spogliandolo di tutti gli inutili riferimenti culturali:
sovrastrutture che appesantiscono la musica di un carico che non
le permette di evolversi da troppo tempo. Ciò è causato anche
dalla notazione, principale causa dell’astrattismo che avvolge la
musica colta occidentale da sempre: anch’essa va abolita, assieme
all’interprete, il quale dovrebbe essere sostituito dal tecnico
del suono, appunto.138
Convinto che la profonda crisi che la cultura occidentale sta
attraversando possa fornire nuovi stimoli di ricerca, Schaeffer
mira al rinnovamento formare del linguaggio musicale e si pone in
aperta critica verso la musica colta: essa è, secondo lui, troppo
astratta per riuscire a descrivere e dar voce all’ambiente
concreto in cui l’uomo vive.139 Il rinnovamento che il compositore137 Martino Traversa, Il suono riprodotto come materia musicale, da “Il suono riprodotto.Storia, tecnica e cultura di una rivoluzione del Novecento”, EDT, Torino, 2007,p.40138Enzo Santarcangelo, Oggetti ed attenzione estetica: il caso della ‘Musique Concrete’ ,http://www.filosofico.net/musiqueconcreteenzo.htm, visionato Maggio 2012139 Martino Traversa, Il suono riprodotto come materia musicale, da “Il suono riprodotto.Storia, tecnica e cultura di una rivoluzione del Novecento”, EDT, Torino, 2007,
desidera è volto al superamento di un’importante problematica
antropologica, ovvero, l’abbandono dell’eurocentrismo musicale che
impedisce di aprirsi e comprendere linguaggi musicali di altri
mondi. Sostiene il Schaeffer: « Il nostro grande scopo è quello di
far saltare le scogliere di marmo dell'orchestrazione occidentale,
di presentare nuove possibilità di composizione». Secondo il
compositore, la musica occidentale si è come inceppata in un
meccanismo che vede tre fattori colpevoli del suo
malfunzionamento: innanzitutto, come si è detto, la notazione
tradizionale. Essa non riesce a rappresentare quell’universo
sonoro di cui l’uomo fa parte, ovvero ne descrive solo una
porzione. Il compositore mira a risolvere questo includendo nel
discorso musicale anche il rumore proveniente da diverse realtà,
compresa quella quotidiana come il rumore dei treni. Ne è un
esempio Etude aux chemins de fer (Studi sulle ferrovie), brano che fa parte
delle composizioni nate nel 1948 ovvero Etudes de bruits. Il lavoro di
questi brani viene effettuato collegando diversi giradischi ad un
mixer che legge i suoni registrati, in questo caso, alla stazione
ferroviaria. La lettura dell’ elemento sonoro viene variata,
ossia, si velocizza o rallenta cambiando l’altezza dei suoni;
l’evento sonoro può essere letto in modo normale oppure
invertendolo; vengono svolte delle sovrapposizioni di diversi
segmenti registrati, così come viene cambiata l’ampiezza di ogni
segmento.140 Nel brano Etude aux chemins de fer gli oggetti sonori
vengono organizzati per poter costituire delle frasi. Schaeffer fa
p.41140Adel Karanov, “Etudes aux chemins de fer” di Pierre Schaeffer,http://www.adel.fm/cultura/articles/chemin/chemin.html, 2005
delle scelte selettive per ricercare delle simmetrie nel fraseggio
melodico. Il brano è suddiviso in tre parti: inizialmente si vuole
dare un chiaro riferimento sonoro del contesto in cui ci si
trova, ovvero le ferrovie.141 Successivamente i suoni vengono
rallentati, quasi dilatati nel tempo, per dare la sensazione di un
treno in arrivo. Nella terza parte troviamo un’accellerazione dei
materiali raccolti e ascoltati, sovrapposti tra loro. Schaeffer
non elabora trasformazioni timbriche ma include successioni e
sovrapposizioni dei rumori, così da creare una sorta di fraseggio
ritmico avente una logica espressiva. Gli oggetti sonori sono
sempre gli stessi, si ripetono nel corso del brano: questo a
dimostrare che ciò che conta non è tanto la natura in sé del
suono, quanto piuttosto il modo in cui la si elaborandola e
ponendola in vari punti dell’esecuzione.142
Un altro grande limite della musica occidentale non sappia
cogliere l’importanza rivoluzionaria dei nuovi strumenti
tecnologici come il nastro magnetico, il campionatore, la radio, i
vari diffusori e così via.143 Questi sono in grado di cambiare le
modalità compositive e stravolgere il senso fruitivo della musica.
Difatti, Schaeffer, li sostituisce agli strumenti tradizionali.
Il terzo problema riguarda il fatto che la musica occidentale non
adotta una visione universalistica del linguaggio musicale: tende,
invece, ad escludere le culture lontane, non approfondisce la
conoscenza di linguaggi Altri, ma piuttosto li semplifica secondo
il suo sapere, o peggio le ignora. La materia sonora non è141 Ibidem142 Ibidem143Enzo Santarcangelo, Oggetti ed attenzione estetica: il caso della ‘Musique Concrete’,http://www.filosofico.net/musiqueconcreteenzo.htm, visionato Maggio 2012
adottata secondo le sue infinite sfumature, peculiarità e
potenzialità, il concetto sonoro dell’uomo occidentale fa fatica
ad aprirsi ad influenze Altre.144 Schaeffer cercherà, in linea con
le teorie della musica concreta, di ottenere un suono ‘puro’, in
primo luogo, dal punto di vista antropologico. La melodia
tradizionalmente come la intendiamo evidenzia la cultura presso
cui essa ha origine, così come le note si collocano all’interno
del concetto di armonia, legata a millenni di storia del
linguaggio musicale che non sa descrivere l’epoca moderna.
Inoltre, l’oggetto sonoro deve essere puro, secondo il
compositore, in relazione alla fonte che lo produce. L’ ‘ascolto
indiretto’, ovvero l’ascolto del suono registrato su nastro,
permette di non confondere, immedesimare il suono con lo strumento
che lo emette; questo, ad esempio, avviene nell’ ‘ascolto diretto’
dell’esibizione di un pianista: facilmente si confonde il suono
con le capacità tecniche del musicista.145
Il Trattato del 1966 cerca di fronteggiare i tre problemi,
esplicati precedentemente, che immobilizzano la musica
occidentale. In particolar modo, Schaeffer si sofferma a
riflettere sull’ascolto. L’invenzione della registrazione è un
fattore rivoluzionario nel campo musicale, eppure, a detta del
compositore, si tende maggiormente a prestare attenzione
all’aspetto tecnico invece che alle applicazioni del nastro
magnetico e delle interessanti elaborazioni che con esso si
possono effettuare.146 Andando ad analizzare nello specifico la144 Ibidem145 Ibidem146 Cristina Palomba, Pierre Schaeffer: alla ricerca dell’oggetto sonoro, pubblicato inMusica/Realtà, anno XVIII, N.52, Marzo 1997, Edito dalla Libreria Musicale
trasformazione di un campo a tre dimensioni in un segnale
meccanico, osserviamo che nella registrazione si mantiene e si
riconosce il timbro della voce e di strumenti musicali. Lo spazio
acustico composto da tre dimensioni spaziali più l’intensità, con
la registrazione, si riduce ad uno spazio di una dimensione, nel
caso della monofonia, o di due dimensioni, se parliamo di
stereofonia.147 Con gli apparecchi tecnici cambia il modo di
percepire il suono: il una sala da concerto l’ascolto è
accompagnato da varianti che possono contaminare la purezza
dell’oggetto sonoro. Nell’ ‘ascolto diretto’ si percepisce la
fonte da cui il suono è emesso ed in più si avverte il suono
riverberato, ovvero riflesso dal luogo in cui ci si trova. Il
suono riverberato va ad aumentare il volume del suono,
arricchendolo.148 Nell’ascolto indiretto, invece, è il microfono che
coglie i due tipi di suoni, diretto e riflesso, sommandoli e
fondendoli. In questo caso, dunque, il nostro orecchio non fa una
selezione.
Bisogna considerare, oltre a quello fisico, anche l’aspetto
psicologico dell’ascolto. Nella registrazione di un’esecuzione si
possono captare rumori di sottofondo, o piccoli errori dei
musicisti, ovvero tutti quei piccoli particolari che dal vivo non
avremmo colto poiché l’ascolto indiretto favorisce una sorta di
attenzione libera da distrazioni nel momento dell’esecuzione.149
Le riflessioni di Schaeffer lo portano a sostenere che la
registrazione non è una riproduzione fedele di un brano musicaleItaliana, pp. 65-78147 Ibidem148 Ibidem149 Ibidem
ma bensì una ricostruzione delle sonorità, effettuata grazie ad
una interpretazione di ciò che si è ascoltato. Dedizione, dunque,
all’ascolto. E’ questo il punto di partenza del compositore e,
difatti, ogni riferimento culturale dato dalla strumentazione
utilizzata è lasciato da parte per giungere alla purezza del
suono. Il lavoro è affidato al magnetofono, strumento che permette
a Schaeffer di contemplare ed assimilare suoni nuovi, suoni Altri.
Linguaggi che non sono ancora stati del tutto compresi dalla
cultura musicale occidentale, in parte ancora bloccata nei suoi
schemi tradizionali. Il compositore afferma al riguardo: «Si
tratta delle vestigia delle civiltà e delle geografie musicali
diverse da quella occidentale. Questo fatto non sembra ancora aver
l’importanza che merita presso i nostri contemporanei».150
Immaginare nuovi orizzonti, aprire la percezione all’ascolto di
suoni desueti. Il brano più, per così dire, ‘rinomato’ della
musique concrete’ è Symphonie pour un homme seul, composto nel 1949
assieme a Pierre Henry, altro pionere francese della musica
concreta. Della durata di 21 minuti e suddiviso in 12 sezioni, la
‘sinfonia concreta’ è caratterizzata da un brusio di voci,
maschili e femminili, voci che si ripetono, che scorrono
all’indietro e poi accelerate. Vi sono anche altri fattori sonori
come le grida, i fischi, porte sbattute, guizzi metallici e come
base un pianoforte preparato accompagnato da un crepitio di
sottofondo. Un viaggio tra suoni e rumori campionati con mezzi che
noi oggi descriveremmo come ‘rudimentali’ ma che comunque hanno
aperto la strada all’ispirazione sperimentale.
150 Pierre Schaeffer, Traité des objets musicaux, Seuil, Paris 1966, cit. pp.17-18
Schaeffer è particolarmente interessato allo studio del
pianoforte: egli lo trasforma in una fonte preziosa da cui
estrapolare suoni. Questi vengono manipolati, alterati nelle sue
componenti, ad esempio usando la cassa di risonanza in modo
percussivo, ed è così che anche uno strumento appartenente alla
tradizione di musica colta viene ad avere una diversa
applicazione.151 Il concetto di pianoforte preparato viene
utilizzato per la composizione di Etude Violette, di Etude Noir e dello
Studio per pianoforte.
Alla musica concreta si può riconoscere di aver introdotto nel
linguaggio musicale l’utilizzo della tecnologia. I musicisti ed i
compositori contemporanei ancora beneficiano del suo lascito.152 La
rivalutazione del rumore a tutt’oggi una risonanza rilevanti
nell’ambito della musica elettroacustica, non meno in diversi
generi della popular music come il rock e l’elettronica, ad
esempio. E qui si comprende come la musica concreta abbia reso più
profonda la frattura della muraglia tra musica colta e musica
popolare: i canoni tradizionali attraverso cui è inquadrata la
musica vengono a sfumarsi poiché la sfera percettiva si
assottiglia, capta nuove possibilità sonore e Schaeffer è il
propulsore di questa tendenza.
151 Musica concreta, http://esteticadellamusica.blogspot.it/2011/05/musica-concreta.html, maggio 2011152Cristina Palomba, Pierre Schaeffer: alla ricerca dell’oggetto sonoro, pubblicato inMusica/Realtà, anno XVIII, N.52, Marzo 1997, Edito dalla Libreria MusicaleItaliana, pp. 65-78
Altre sonorità: le contaminazioni primitive nella musicacontemporanea
Sul finire degli anni Settanta il gruppo britannico i Throbbing
Gristle si affermano come gli iniziatori ufficiali del genere
musicale ‘industrial’. Siamo nella periferia di Londra, tra
mattoni vecchi e decadenti e fumi di città, nasce la cultura
contro il sistema industrializzato e la musica ne prende parte.
La scena industrial affonda le sue radici dal pensiero di alcuni
scrittori come William S. Burroughs, autore di libri come Pasto nudo
e La scimmia sulla schiena, autore che riprende la procedura del ‘cut-up’
dal movimento dadaista: la tecnica letteraria stilistica prevede
l’assemblamento di parole estratte da vari contesti per creare un
nuovo testo avente senso logico ma non immediatamente
comprensibile. Autonomia creativa, slacciata dal tradizionale
modus di comporre appartenente alla ‘cultura ufficiale’. Jon
Savage, giornalista e cultore della nascente cultura industrial,
scrive, infatti, della necessità di ricerca e produzione artistica
che faccia circolare idee, sganciata dalla forme canoniche della
società benpensante, che in gran parte corrisponde a quella
borghese. Savage auspica anche ad un impiego di elementi
extramusicali: ossia carpire suoni, rumori, voci dai media
ufficiali e manipolarli, creare qualcosa che non abbia nulla a che
fare con il docile intrattenimento del pubblico ma che sia, al
contrario, espressione fedele dell’istinto del compositore.
Esprimere ciò che è al margine, annettere l’alterità.
La musica industriale è di natura prevalentemente sperimentale di
musica elettronica variegata di rumorismi evocativi dell’epoca in
cui si vive.153 L’alienazione dell’individuo nella società
industriale è il fulcro di questa cultura. Come se l’uomo, dopo
aver raggiunto il picco massimo del suo sviluppo tecnologico, ne153 Piero Scaruffi, Industrial Music,http://www.scaruffi.com/history/icpt48.html,2002
sia travolto, strappato via dalla sua vera natura e stia
brancolando in un incubo. Tutto ciò in musica è riversato in
composizioni che mirano a trasgredire valori sociali, vogliono
inscenare una realtà emotiva in dissoluzione. La società
industriale, la società del progresso e della velocità, dominata
dall’utile e dall’estetica asettica è ormai in rovina, un qualcosa
di già superato. L’uomo occidentale, che ha fatto della sua
cultura un vanto di supremazia, si ritrova nuovamente in crisi.
Le sonorità principali sono caratterizzate da un’elettronica
minimale, con un ritmo ossessivo e martellante, come partorite da
un corpo meccanico, unità robotiche che sostituiscono l’uomo. I
campionamenti prevedono suoni tipici delle realtà industriali come
i martelli pneumatici, tubi metallici e qualsiasi altro strumento
da lavoro. A ciò vengono accompagnante voci, grida anzi,
disperate, lacerate, distorte. Le sonorità riproducono le
sofferenze provocate dai desideri oppressi, vanificati da un mondo
che non rispecchia più l’animo umano; orrori e crudeltà nascoste
dai detentori di false verità.
I Throbbing Gristle, difatti, portano avanti questo pensiero:
l’impotenza della civiltà industriale nei confronti del benessere
dell’uomo moderno. La loro musica si fa teatro della lacerazione
della società: la natura è malata, l’uomo non è più in grado di
relazionarsi con essa, così come non è più in grado di
relazionarsi con il proprio ‘sé’. E’ la musica del rumore,
passando dallo shock acustico come terapia d’urto per la mente
inebetita ed inaridita, ad una sorta di colonna sonora di danze
rituali deliranti e allucinate. Si regredisce a stadi anteriori:
la dimensione in cui si viene scagliati è prettamente selvaggia,
di chiari retaggi primitivi. Il suono viene manipolato per
giungere a questa sensazione: lampi elettronici dissonanti,
pulsazioni pesanti e costanti di basso, un tripudio di rumori e
lacerazioni di strumenti.154 L’album 20 Jazz Funk Greats del 1979 è
perfettamente in linea con l’intento di irrompere in ogni
conformismo stilistico, introducendo anche delle tematiche
orientali ma distorcendole e facendo sì che avessero l’effetto
sonoro di un bombardamento elettronico. In questo lavoro ci sono
le costanti divagazioni in tema urbano, anzi suburbano: lamenti
cupi, conturbanti pulsazioni, cadenze irregolari e dispersive. Lo
scenario evocato dai brani è desolante, composto da deliranti
ballate folk e canti primordiali.
Lo stile industrial si diffonde nei primi anni Ottanta nel resto
d’Europa, come ad esempio in Germania dove nasce il gruppo
Einsturzende Neubauten. Performance apocalittiche e uso di oggetti
scarto di fabbriche, sono i fautori del ‘post’: cantano e suonano
le ombre dell’occidente fantasma. Una delle caratteristiche
essenziali del genere industrial è che i compositori utilizzano,
oltre che a strumenti appartenenti alla cultura rock, materiali a
basso costo, molto spesso riciclati. Essenziale era l’autonomia
nella produzione e nella distribuzione, ed in questo modo si viene
a creare, a diramarsi una rete alternativa, di musicisti e
ascoltatori di musica, rispetto alla cultura musicale ufficiale.
Quella industrial, in particola modo quella che verrà analizzata
degli Einsturzende Neubauten e dei Residents, è la musica delle154Piero Scaruffi, Industrial Music, http://www.scaruffi.com/history/icpt48.html,2002
macchine, dei corpi automatizzati creati dall’uomo e che lo hanno
sostituito. E’ una musica che si proietta in un futuro devoluto,
come se l’unica soluzione a questa decadenza
dell’ipertecnologizzazione sia il ritorno a stadi primordiali.
Einsturzende Neubauten: la danza nel crollo delle civiltà
In una dimensione surreale, dettata dalla visione di una realtà
satura della presenza dell’uomo civilizzato, si colloca la musica
degli Einsturzende Neubauten. Lo scenario sonoro descrive
un’atmosfera post catastrofe: ascoltiamo il clangore del ‘crollo
degli edifici nuovi’, così si identifica il gruppo, in lingua
tedesca.
Negli anni ’80 divengono i maggiori esponenti del movimento
‘modernista primitivista’ dalla Berlino dell’avanguardia. Il
gruppo tedesco, fin da subito, si presenta con l’attitudine della
sperimentazione di suoni diversi con l’utilizzo, oltre agli
strumenti tradizionali, arnesi di vario genere in plastica,
metallo, vetro. Il rumorismo è, dunque, insito e palesato, reso
monito di decadenza delle città iper-affollate, cementificate e
aspirazione ad un radicale, necessario, ritorno alle origini,
seppur queste appaiano oscure, inquietanti. Tutto ciò guidato
dalla voce e dal carisma ipnotico del cantante Blixa Bargeld,
ovvero Christian Emmerich, e con lui ci sono i percussionisti
Mufti F.M.Einheit (Franz Strauss) e N.U.Unruh (Andrew Chudy).
Gli Einsturzende Neubauten portano alla luce il loro universo
sonoro nel filone industrial, figlio della musica concreta, nato
intorno alla fine degli anni ’70. Sganciati da ogni tradizione di
musica d’intrattenimento piacevole e costruita secondo canoni
predefiniti, lontani dalle apparenze patinate del pop, inscenano
il loro teatro di figure distorte, contorte dalle tematiche
altamente sgradevoli ai più. Atmosfere plumbee che ricordano
vertiginosamente il Teatro della crudeltà di Antonin Artaud,
commediografo, attore e scrittore della rappresentazione
dell’inconscio in tutte le sue forme. La poetica del gruppo,
infatti, prevede l’espressione in forma dadaista decadente
dell’alienazione derivata dall’oppressione sociale,
dell’emarginazione. Un dramma catatonico-compulsiva musicato con
elementi extracomuni che scavalca la tonalità per espandersi in
una raggiera di tumulti sotterranei e riverberi distorti.
Assorbono dall’epoca degli happening, dell’espressionismo
figurativo e teatrale, della pop art a tinte forti, della concept
art, sotto il cielo della psicanalisi che estrapolava dalle
repressioni comuni gli istinti primordiali. E la società che
circonda gli Einsturzende è ancora quella che rifiuta di ammettere
la degradazione umana tra le mura in cui vive: dunque la loro
musica deride ciò attaccandola, mostrandone i lati più aridi.
Nel 1980 esce il loro primo singolo Fuer Den Untergang, di cui alcune
versioni comprendevano delle sospensioni in acciaio come
orchestra.155 Nello stesso anno si esibiscono per la prima volta in
un ex-mattatoio, luogo alquanto evocativo, nella zona
dell'Üntergang, posto frequentato da anarchici, artisti e cultori
dell’avanguardia.
155 Piero Scaruffi, Einsturzende Neubauten, www.scaruffi.com, 2006
Successivamente partecipano al Festival Atonale facendosi
conoscere come il gruppo sperimentale di rigore del momento: la
performance li vede coinvolti in manifestazioni pagane e
‘rumorizzate’ con oggetti di scarto di industrie come bottiglie di
vetro, in plastica, barili di ferro,tubi.156
E’ nel 1981 che viene pubblicato il loro primo album, Kollaps157,
acerbo e spoglio d’armonia e melodia: un coaugulo di frenetiche
percussioni metalliche e sferzate robotiche, nel quale la voce del
cantante si dilania in deliri urlati ossessivi, accusatori,
disperati. Martelli pneumatici ad introdurre narrazioni da un
tempo quasi remoto, oltre questo presente: dall’anno zero, dopo il
collasso delle menti automatizzate del futuro prossimo.
Distorsioni e vocalizzi si succedono in questo lavoro che
rappresenta il dispiegamento dell’irrazionalità ragionata alla
Cage, dove la melodia non esiste ma l’esecuzione assume la forma
di battiti, rintocchi. Il brano Sehnsucht recita “Desiderio
ardente/viene dal Caos/E’ l’unica energia/La mia brama”, parole
che sono un firmamento della loro poetica intessuta di lavorii, di
percussioni di materiali grezzi e testi dalla lirica perforante.
Così come hanno fatto i maestri della sperimentazione acustica in
passato, anche gli Einsturzende smantellano secoli di tradizioni
musicali, rinnegando strutture formali di ogni genere.
Nel 1983 esce il loro secondo album Zeichnungen das Patienten OT,
pervaso da una maggiore influenza delle elaborazione
elettroacustiche. Vetri in mille pezzi, tonfi, urla, sirene:
156 Ibidem157 Mauro Roma, Einsturzende Neubauten. Scene da uno psicodramma industriale, www.ondarock.it,visionato Maggio 2012
questi sono i rumori che percorrono questo lavoro,
rappresentazione dell’impero del terrore e del vuoto. La liricità
delle strofe delle canzoni portano al massimo della tensione verso
un infinito, un universale esistenziale ma riflesso
nell’universale. Orrore per la vertigine del nulla, figlia di un
radicato nichilismo, e splendore per la vista delle ceneri del
marcio si fondono assieme, similmente a quanto avviene in Georges
Bataille, filosofo, critico e scrittore nato nel 1987.In Styropor, brano del medesimo album del 1983, giungono echi, quasi un
richiamo esotico, anch’esso distorto, sincopato, reso sordido.
La pietra miliare della loro carriera arriva nel 1985: è l’album Halber
Mensch,158 dramma musicato dalle tinte materiche dell’espressionismo. Qui
il ritmo percussivo si fa più incalzante, volteggia in sonorità dance ma
è comunque una ballo selvaggio e macabro. Rantoli provenienti da caverne,
vociare percepito in lontananza, risa o lamenti del ‘mezzo uomo’ (halber
mensch) che si prende gioco della morte ineluttabile. I testi non sono
composti più da parole rapprese, in questo album Bargeld forgia il suo
cantato di metafore, allegorie, ora è più fluido poiché il linguaggio
descrive scenari raccapriccianti del mondo attorno.
Segue il lavoro Fünf Auf Der Nach Oben Offenen Richterskala, del 1987, che
sfugge alla comprensione della critica. In effetti, i brani che
compongono quest’album sono ancora meno digeribili dei precedenti:
le dissonanze si attorcigliano attorno a veri e propri latrati del
cantante Bargeld, questo a rendere più imminente il senso di fine.
E l’apocalisse è preceduta, a tratti, da silenzio, come nel brano
Keine Schonheit dove sonagli accompagnano una gravosa nota, ripetuta
per tutta la durata della traccia, in un crescendo di spire
158 Piero Scaruffi, Einsturzende Neubauten, www.scaruffi.com, 2006
nefaste e voci sciamaniche che intonano «non c’è bellezza senza
pericolo» come una formula magica.
Hause der Luge viene alla luce nel 1989159, quinto album industrial del
gruppo già pienamente affermato ma che continua ad evolvere le sue
tecniche di sperimentazione e le tematiche musicali. Vi sono dei
glaciali ritmi techno sferzati da ululati spettrali, sciami di
rumori ipnotici e malauguranti nel brano Fiat Lux, una sorta di
viaggio all’interno di un incubo; mentre un pianoforte scarno
segna i rintocchi di una decadente grottesca dedica.
Il sesto album si chiama Tabula Rasa e viene pubblicato nel 1993160.
Uscendo dai frastuoni del mondo suburbano ed interurbano in
distruzione, si arriva ad un lavoro musicalmente più fluido.
Archi, particolari sonori in primo piano. Gli oggetti metallici ci
sono ma i loro suoni prodotti sono elaborati con altri strumenti,
intessuti maggiormente la voce del cantante. Anche l’alienazione e
l’angoscia claustrofobica delle mura in cemento della società
avida sono rimaste. C’è Berlino a fare da sfondo, Berlino e la sua
storia da narrare in tele di colore musicale. Inoltre, nel video
che accompagna il singolo Blume, troviamo l’intonarumori di Luigi
Russolo come chiaro riferimento alla musique concrete.
Sorprende Ende Neu, album del 1996161, con i suoi tratti di melodia,
ora dolce, ora amara. Melodie, archi che disegnano ballate
nostalgiche e tragiche. All’insegna del silenzio comunicativo è
Silence is sexy pubblicato nel 2000162: la forma è quella volta a
159 Mauro Roma, Einsturzende Neubauten. Scene da uno psicodramma industriale, www.ondarock.it,visionato Maggio 2012160 Ibidem161 Ibidem162 Ibidem
spiazzare l’ascoltatore e, allo stesso tempo, farlo rimanere
attento, trascinato in una contemplazione surreale. Denudare il
suono, renderlo all’ascolto per ciò che è. Lente, quasi sussurrate
sovrapposizioni di suoni che vanno a disegnare la bellezza fisica
e spirituale di un essere umano, bellezza cantata, recitata con un
parlato soave, carezzevole.
Perpetuum Mobile, del 2004163, riprende le atmosfere industriali dei
primi periodi ma con le incursioni robotiche che riflettono
l’automatismo degli anni. Ci sono ancora pause e silenzi, nel
continuum con l’album precedente, in una dimensione
particolarmente naturalistica, e lo si percepisce dai singhiozzi
accennati degli strumenti, quasi in una forma onomatopeica.
Melodie sospese, lasciate proliferare ma senza svilupparsi, che
quasi vanno a sfumare e poi ci sono cenni di serica malinconia
poggiata su guanciali di tastiere. L’estetica degli Einsturzende
si è lasciata alle spalle la ferocia del rumore come monito e
scherno, per accogliere la riflessività dei suoni accennati,
vellutati, la voce sussurrata e parlata.
Il ‘mezzo uomo’ non può liberarsi dell’automatismo cronico di cui
si è infettato nelle società industrializzate: ha lottato nel
caos, si è dimenato nella claustrofobica ossessione di libertà
fino a vedere uno spiraglio di luce nella pura bellezza del suono
che ha ancora molti volti da scoprire.
163 Ibidem
.
Il ritmo involutivo della modernità: Residents
Collocati nella sfera del rock sperimentale e del genere ‘outsider
music’, i Residents sono un gruppo americano attivo dal 1974. Nel
corso degli anni hanno unito influenze di elettronica, noise e new
wave nella loro musica che viene rappresentata in personalissimi
show multimediali. La parodia della civiltà contemporanea è la
loro linfa e da ciò si genera il loro impulso creativo.
Il primo album dei Residents risale al 1974, Meet the Residents164,
composto da dodici brani, di cui tre unicamente strumentali. La
copertina del cd si presenta chiaramente polemica contro i Beatles
e l’intero lavoro gioca sulle somiglianze con i cori del gruppo
inglese, cori storpiati da effetti elettronici. Troviamo elementi
orientali come le percussioni alternati a motivi puramente
sperimentali di rumorismi metallici e sintetizzatori che
‘sporcano’ una polifonica azzardata. L’iniziale Boots Listen demolisce
il successo Boots are made for walking, del 1966; cori doo-wop ed
esplosioni di ottoni sfiatati già annunciano l’ironia affilata del
gruppo. Non mancano accenni ad un vecchio blues con il brano Infant
tango, in cui il cantante si dimena in strapazzando la sua voce e
rendendola roca volutamente; il tremolio del wah-wah innesta una
danza alla quale si aggiungono una chitarra e degli ottoni, per
arrivare ad un tramestio di suoni che chiudono il pezzo.
In Rest Aria sorprende un nudo pianoforte che poi viene accompagnato
da melodie orientali suggerite da un vibrafono e una sordida
trombetta. Un cerimoniale piuttosto lugubre, reso ancor più
misterioso da un crescendo senza direzione, che potrebbe ricordare
la dimensione scarna e selvaggia di Bartok. Entra in agitazione
ritmica, poi, un metallofono, di probabile costruzione
‘casalinga’, mentre si sollevano fiati. Il brano, danza ipnotica,
si chiude con un assolo di kazoo.
Spotted Pinto Bean inizia con un solenne ma affranto pianoforte e
prosegue con un coro che ricorda quelli gospel delle chiese
afroamericane, fino ad arrivare ad uno swing che accompagna una
164Piero Scaruffi, Residents, www.scaruffi.com, 1999
voce di donna intenta in più acuti solitari. Mentre Breath and Lenght
ha pennellate improvvise di suoni e cantilene di vociare sparso
che echeggiano le composizioni più minimaliste di Stockhausen.
Come risultato si ha la sperimentazione, la ricerca di spettri
sonori di vario tipo.
Il secondo album dei Residents, pubblicato nel 1975165, è una
folgorante rivisitazione in chiave elettronica di alcuni classici
degli anni ’60: si chiama Third Reich and Roll ed è lampante l’ironia
giocata non solo sulla musica ma anche sulla storia. Scherzi
sinfonici, manipolazioni, reinterpretazioni che sondano terreni
musicali di moda e consumo e danno vita a creature sonore quasi
irriconoscibili. Questo è il modo del gruppo di esprimere le loro
impressioni sullo scenario musicale che li circonda.
Nel 1976 esce Fingerprince,166 un album pullulante di sperimentazioni
percussive e timbriche in cui troviamo Six thinghs to a cycle. Questo è un
brano suddiviso in più parti che elabora la trasformazione
progressiva dell’uomo che è destinato, in qualche modo costretto,
ad adattarsi alla realtà che egli stesso ha creato. Nella prima
fase viene descritto un ambiente prettamente primitivo, in cui la
natura domina e difatti i ritmi percussivi di triangoli ce lo
dimostrano. Seguono rumori naturali come l’acqua che scorre,
mentre i tamburi suonano una melodia serrata; sul finire delle
voci si fanno avanti ripetendo sempre la stessa nenia, gli
strumenti a fiato si insinuano nella scena con una melodia
orientale: l’ambientazione è cambiata ed ora, si ricorda l’uomo
delle origini.165 Ibidem166 Ibidem
Seguono lavoro di sperimentazioni di organizzazioni fonetiche del
suono come con Not Avaible, fatto uscire nel 1978167. Qui un più esteso
senso opprimente di angoscia è espresso da pianoforti minimali,
strumenti ad archi e a fiato. Ritmi tribali si fanno seguire in
oscuri rituali, i cori sono ipnotici e preannunciano eventi
inevitabili. I Residents assorbono da altre culture musicali come
l’Africa, l’Oriente, India, lo dimostrano le percussioni
ossessive, i motivi tipicamente dei paesi arabi. All’interno dello
stesso brano, come ad esempio in Making of a soul, ci sono variazioni
tematiche notevoli: da una dimensione di cupa agonia, di tensione
musicale, si arriva ad una celestiale distensione. L’atmosfera che
il gruppo cerca di creare è quella che più affine al sentire
umano. La musica descrive stati di disperazione in cui l’uomo
regredisce ad uno stato primordiale, si rappresenta il rifugio
nella dimensione primitiva che permette di liberare fobie,
superstizioni tipiche della civiltà moderna.168
Eskimo è un disco del 1979169 che ‘racconta’ sei storie circa la vita
degli eschimesi. Non sorprende la scelta del soggetto dato che gli
esquimesi sono un popolo abbastanza ermetico dal punto di vista
culturale e solitari, in quanto a luogo. I Residents compongono
un’opera di musica concreta che omaggia una civiltà ancora
primitiva, che resiste alle onde conformiste del progresso. In A
spirit steals a child vi è un inizio costellato di percussioni e xilofoni
con voci in sottofondo, pianti, grida soffocate, fino a quando uno
sciamano comincia a recitare oscure parole, come se si trattasse167 Ibidem168 Michele Saran, Residents. Il freak fantaprimitivo, www.ondarock.it, visionato Maggio2012169 Piero Scaruffi, Residents, www.scaruffi.com, 1999
di una formula magica o la recitazione di un rosario; elementi
auditivi tipicamente primordiali.
Gli effetti sonori vanno ad esprimere un paesaggio naturale
incolto: si può percepire il fischiare del vento, ci immaginiamo
bufere di neve, mentre voci e versi vari percorrono brani come The
walrus hunt e, soprattutto, The festival of death. Musica d’ambiente,
dunque, che compone una sorta di poema della musique concrete, una
musica che si allontana dal sistema musicale occidentale e che,
più che al mercato, guarda all’osservazione e all’ascolto di
popoli altri. Un album che segna una svolta decisiva per il gruppo
che si mostra sempre più interessato alle culture musicali
extraoccidentali, e quindi sempre più vicino all’ambito della
world music.170
Tra il 1981 ed il 1985 i Residents lavorano a tre concept-album
che riguardano una sorta di pantomima, una ‘trilogia della talpa’
che riflette l’assurdità dell’umanità civilizzata, una ‘fattoria
degli animali’ orwelliana musicata.171 Primordialità e tempi moderni
a confronto e in scontro: rock e jazz dialogano in una fitta e
complessa struttura poliritmica dove il rumore non è lasciato da
parte. Pennellate di espressionismo e fanfare futuristiche con
intermezzi elettronici che danno vita ad un drammatico racconto
della condizione dell’uomo estrapolando e parodiando due grandi
della letteratura come Orwell e Chaplin. L’opera più ardita dei
Residents è un vero e proprio delirio post moderno.
Lo spettacolo, del resto, è parte integrante della musica del
gruppo californiano i quali si esibiscono sempre in costume, con170Michele Saran, Residents. Il freak fantaprimitivo, www.ondarock.it, visonato Maggio 2012171Piero Scaruffi, Residents, www.scaruffi.com, 1999
delle maschere che coprano completamente il loro volto e questo
per difendere la propria identità e, magari, allo stesso tempo,
annullare ogni identità, fondendosi con le molteplici facce della
cultura musicale. Nella loro carriera, però, non ci sono concerti
dal vivo: la loro singolarità sta nel fatto che li si veda solo in
televisione, in video clip dove intrattengono il pubblico con le
loro danze rituali e scaramantiche, e sicuramente anti-divistiche.
Nel 1985 i Residents pubblicano la terza parte della Mole Trilogy, la
quale è una vera e propria sorpresa dal punto di vista della
sperimentazione vocale. In una trascinante e sarcastica
dimensione, l’universo strumentale e quello dei vocalizzi si sposa
in un tuffo nei motivi musicali anni ’20. L’orchestra operistica
viene ‘metallizzata’ dai sintetizzatori ed i gorgheggi giocano su
uno swing beffardo e giocoso. In Gotta gotta get c’è uno sfoggio
irrisorio di un balbettare che rende il canto una sinfonia in
lingua primordiale trapuntata di suoni gutturali, accompagnata dal
guizzo di strumenti ad arco e pianoforte che guizzano qua e là
senza una direzione precisa. Negli altri brani troviamo, poi,
delle micro sinfonie che omaggiano e allo stesso tempo si fanno
caricatura delle grandi opere della tradizione.
I Residents si sono sempre giostrati tra l’ambito colto e l’ambito
popolare, componendo lavori che elaboravano dialoghi tra questi.
Il gruppo, infatti, si è sempre circondato da multi strumentisti
che aggiungono al loro repertorio strumenti tradizionali come il
sax ed il piano. La sperimentazione dei Residents mette in atto
un collage di suoni reali registrati e manipolati; il cantato
alienato, i suoni gutturali e nasali sembrano far eco ad
intonazioni tribali-aborigeni. All’orecchio orientale certi canti
primitivi risultano innaturali, strani, grotteschi; ciò
probabilmente perché non si è abituati ad ascoltare taluni
manierismi vocali. Per alcuni popolo il modo in cui si canta non è
meno importante di ciò che si intona, anzi. Anche l’uso,
frequente, delle percussioni è di origine arcaica, soprattutto
quando vengono usati oggetti e non strumenti. Prima del
prolungamento, quindi del perfezionamento, degli arti l’uomo
adopera canne, rami cavi, gusci vuoti che diviene un megafono,
ossi d’aquila che si trasformano in fischietti.172 Da questi si
producono suoni misteriosi, talvolta fastidiosi, inquietanti che
suscitavano l’immaginazione. Ogni minimo suono, debole ed
indefinito, si trasforma in qualcosa di oscuro come la voce di uno
spirito o di un demone da scacciare. Come scrive il poeta Alain
Gheebrant nel 1954 durante il suo viaggio in Amazzonia: «Il
fragore delle trombe scuoteva muri e tetto della capanna e persino
il terreno. Quei suoni sembravano impregnati di fumo e sudore,
mugolavano e ululavano come se fossero davvero le voci degli
spiriti.»173
I Residents fanno sì che la forma espressiva primitiva venga
elaborata da mezzi tecnologici moderni per arrivare come messaggio
all’ascoltatore in preda all’involuzione. La loro musica è il
cabaret di suoni distorti: l’avanguardia della percussiva micro
tonale in salsa rock che descrive fobie e psicodrammi della
collettività.
172 Curt Sachs, Musica primitiva, da “Le sorgenti della musica”, Bollati Boringhieri,Torino, 1991, p.110173 Ibidem, cit. p.110
Conclusione
Abbiamo visto come l’Altro in musica si è insinuato nel linguaggio
musicale occidentale, dapprima rilegato a funzione decoratrice,
come elemento esotico che suscitava curiosità ed evasione, poi
come fattore strutturale della materia musicale. La musica
occidentale colta, a partire dall’Ottocento, ha attraversato uno
sviluppo del suo linguaggio avvicinandosi, quasi abbandonandosi
alla complessità del carattere primitivi sta dell’espressione
sonora.174 Dalle cellule tematiche esotistiche di Debussy, che
volge il suo sguardo malinconico verso territori lontani come
l’Isola di Giava, in Indonesia: ammaliato dalle sonorità
dell’orchestra gamelan e ne assorbe, in alcune composizioni,
scale, melodie e ritmi; al ‘fauvismo primitivista’, così come lo
intende lo studioso Diego Carpitella, del Sacre di Stravinskji, dove
l’opera preferisce ostentare tecniche primitive, come la
ripetitività meccanica, i ritmi innaturali, piuttosto che le
174 Giovanni Morelli, “Altri primitivi”. Studio su una mito-poiesi, da “L’eredità di DiegoCarpitella. Etnomusicologia, antropologia e ricerca storica nel Salento enell’area mediterranea”, a cura di M. Agamennone e G.L.Di Mitri, Besa, 2003, p.301
tecniche compositive di tradizione occidentale come lo sviluppo
tematico.175 Questa composizione è ricca di riferimenti magico-
religiosi appartenenti alle popolazioni primitive, contiene
ritualità propiziatorie che vanno ad unirsi ad una sorta di
profezia delle crisi del secolo che la cultura d’Occidente sta
vivendo in quel tempo.176 Decisamente più scientifica la ricerca di
Bartok sulle musiche popolari, lavoro di una vita, si può dire:
canti, danze e musiche di popoli primitivi sono materiale sonoro
che il compositore registra, analizza ed introduce nelle se opere.
Della musica di tradizione orale si è visto l’esempio di Franco
Oppo, compositore sardo che coniuga elementi di origine popolare
appartenenti alle sonorità sarde con musica colta: il risultato è
una straordinaria fusione di strumenti di tradizione popolari con
quelli di tradizione popolare, come le launeddas. Lavori
fortemente sperimentali e pioneristici sono quelli di Cage e di
Schaeffer, maestro della musica concreta. Il compositore americano
porta avanti una riflessione costante sul suono e le sue
caratteristiche: c’è un abbattimento totale di confini tra la
musica occidentale e quella Altra, poiché si aprono nuove strade
alla musica, strade che fino a quel momento gli erano state
precluse come quella del silenzio. Anche Schaeffer pone
l’attenzione sul suono e la sua natura fisica, andando oltre lo
spartito e le convenzioni di composizione tipiche della cultura
musicale occidentale ormai satura dei suoi archetipi. Infine si è
175 Mario Baroni, L’orecchio intelligente, LIM, Lucca, 2004, p.169176 Giovanni Morelli, “Altri primitivi”. Studio su una mito-poiesi, da” L’eredità di DiegoCarpitella. Etnomusicologia, antropologia e ricerca storica nel Salento enell’area mediterranea”, a cura di M. Agamennone e G.L.Di Mitri, Besa, 2003,p.314
descritto il percorso musicale di due gruppi come gli Einsturzende
Neubauten e i Residents, i quali simboleggiano il risultato di un
processo di incontro e contatto tra culture musicali diverse che
si è consolidato nel corso del tempo. Il panorama musicale
attuale, infatti, è ricco di fenomeni che ambiscono alla
mescolanza tra culture anche molto lontane tra loro. Di certo
l’aspetto dell’interculturalità, nella storia della musica, non è
qualcosa di nuovo, come abbiamo visto è da sempre motivo di spinta
alla creatività. La tradizione sinfonica europea, così come le
tradizione musicali africane, è il caso del jazz, racchiudono
elaborazioni interculturali.177
L’incontro con l’Altro in musica ha una storia lunga alle spalle,
come si è dimostrato. La contaminazione inizia con la conoscenza
dei sistemi musicali di altre culture, sia di tradizione scritta,
sia di tradizione orale, basate su organizzazioni del linguaggio
desuete per il sapere e l’orecchio occidentale. Dal rifiuto
dell’Altro all’ammissione dei suoi sistemi nel proprio ambito di
analisi ed elaborazioni.Sempre di più, nel corso degli anni, la
cultura occidentale si apre al nuovo, lo ricerca e questa
esplorazione di mondi nuovi non è ancora terminata. Del resto ciò
che è nuovo, inconsueto, banalmente identificato con l’appellativo
di ‘strano’, attrae le menti più curiose, le stimola alla
creatività: il contatto interculturale fa ciò.178
In Occidente, nel XX secolo, la cultura giovanile riscopre la
musica etnica grazie ai sempre più diffusi e sofisticati mezzi di177Justinian Tamusuza, La musica contemporanea in Africa, in “Enciclopedia della musica”,Il novecento, Vol. I, Giulio Einaudi Editore, 2001,p.1159178Gerhard Kubik, Presenza della musica africana nel jazz, in “Enciclopedia della musica”,Il novecento, Vol. I, Giulio Einaudi Editore, 2001, p.1069
comunicazione e condivisione di materiali sonori, nonché grazie ai
circuiti consumistici del mercato discografico.179 Così come la
musica folkloristica attecchisce in particolar modo sul pubblico
di massa, in relazione, non si può negarlo, anche alle moda
d’ascolto di certi generi musicali. Non si tratta solo di questo
però, difatti, gruppi folkloristici portano avanti da molto tempo
il ruolo di conservatori di musiche popolari e, allo stesso
tempo, d’intrattenimento musicale in alcuni luoghi di ritrovo come
pub ed osterie, in particolari ricorrenze ed occasioni.180
Si può dire, dunque, che per moda o curiosità, la musica
occidentale non sia più così chiusa a sonorità diverse e
sconosciute. Ne è un esempio la sempre più diffusa ‘world music’
che abbraccia e promulga suoni esotici, o meglio non-occidentali,
così come la musica folk non-occidentale.181 Cantanti, gruppi
protagonisti della scena rock e pop occidentale ricorrono a queste
commistioni di sonorità differenti, dai Police a Peter Gabriel: le
contaminazioni sono davvero di natura esponenziale.
Al di là del fattore soggettivo e vulnerabile della moda, la
musica moderna occidentale ricerca sonorità Altre, si guarda
indietro, guarda oltre i confini del proprio mondo. Alcuni
guardano a questo interesse per le altre culture musicali con
scetticismo: si potrebbe affermare, difatti, che questo bramosia
da parte di compositori ed artisti occidentali sia pilotata e
rafforzata dai signori dell’industria discografica. Qualcuno
179 Ignazio Macchiarella, Dalla musica etnica ai generi d’intrattenimento, in “Enciclopediadella musica”, Il novecento, Vol. I, Giulio Einaudi Editore, 2001, p. 1168180 Ibidem, p.1169181 Pacini Hernandez, World music e world beat, in “Enciclopedia della musica”, Ilnovecento, Vol. I, Giulio Einaudi Editore, 2001, p. 1196-1197
afferma che queste interazioni culturali abbiano un che di molto
simile ai principi del colonialismo dove il bianco mette mano a
qualcosa che non gli appartiene stravolgendolo, quasi
denaturalizzandolo delle proprie peculiarità.182 Tuttavia, c’è
bisogno di andare molto più infondo alla questione, approdando
alla questione antropologica, che inquadra la situazione
esistenziale dell’uomo moderno.
L’etnomusicologia nasce grazie all’affermazione dell’antropologia:
la musica è un prodotto dell’uomo, risponde ai suoi bisogni che
variano nel tempo e nelle diverse culture, così come cambiano
anche i linguaggi che vanno a costituire i sistemi musicali.
Dunque si può dire che l’adozione, da parte di compositori e
musicisti occidentali, di linguaggi lontani dalla propria cultura
è significativo. Dalla crisi del tardo Ottocento a quella
dell’uomo moderno la cui evoluzione, in realtà, non è che
un’involuzione, un allontanamento dalla felicità poiché il
progresso è esteriore, legato a convenzioni sociali che
assopiscono valori più genuini e profondi. Il primitivismo
riconosce nell’Età dell’oro, cioè il primo periodo dell’umanità,
un’epoca perfetta, vicina alla natura umana.183 Vero è che la
conoscenza del mondo arcaico l’abbiamo solo in parte, è vaga ed
incerta, ed il buon selvaggio è un mito, appunto, un’utopia
smascherata. Resta il fatto che le correnti primitiviste avvertono
che qualcosa di bello e puro si è perso con il nascere delle
182 John Rea, Il postmoderno, in “Enciclopedia della musica”, Il novecento, Vol. I,Giulio Einaudi Editore, 2001, p. 1227183Primitivismo in dettaglio, tratto da Diavolo in corpo (rivista di criticasociale), n.3, http://www.tmcrew.org/eco/primitivismo/in_dettaglio.html, 2000
civiltà ed è proprio questa mancanza che si esprime nelle arti
figurative, come anche nella musica. Il primitivismo reca tratti
di semplicità e naturalezza espressiva, come nei quadri fauve,
così come nei ritmi tribali ed ossessivi in musica, ma ha in sé
inevitabilmente una matrice intellettualistica, di riflessione,
cioè è un consapevole e studiato atto creativo. 184
L’Altro, il soggetto che vive di cultura diversa, porta con sé da
tempi lontani l’utopica idea di una dimensione a misura d’uomo, in
sintonia con se stesso e con la natura che lo circonda, da cui
trae benefici, con la quale è in grado di relazionarsi. La ricerca
di sonorità appartenenti a mondi Altri, oltre i canoni del
linguaggio musicale occidentale, riflette, oggi più che mai, la
critica alla società moderna iperorganizzata e ipertecnicizzata
che opprime l’uomo. Nascono, ad esempio, movimenti spirituali come
quello chiamato ‘Modern Primitives, con a capo Fakir Mustafar,
nome preso da un fachiro indiano vissuto nel XIX secolo. Si dice
che costui abbia vagato per ben diciotto anni portando con sé
spade e lance conficcate nella pelle come insegnamento delle
capacità della mente e del corpo, in giro per il mondo. Sta di
fatto che questo santone, tutt’oggi, sperimenta sul proprio corpo
deformazioni di vario tipo per mettere alla prova resistenze al
dolore fisico da parte della mente.185 Egli stesso afferma: « interi
gruppi di persone sono socialmente alienati, e non riescono ad
184Vilma Torselli, Il primitivismo,http://www.artonweb.it/artemoderna/linguaggiartemoderna/articolo33.htm, 2007
185 Fakir Musafar,http://www.uniurb.it/giornalismo/lavori/crociani/filehtml/musafar.htm, visionatoMaggio 2012
avvicinarsi o a contattare niente, inclusi se stessi, la gente ha
bisogno di rituali fisici, tribalismo…».186 Il Primitivista moderno
è un uomo che guarda alle sue spalle, indietro nel passato, ad un
umanesimo ancorato al corpo fisico, ma non solo. Il sociologo
canadese McLuhan parla di ‘neo tribalismo planetario’: secondo
lui, infatti, «la generazione dei nostri adolescenti sta
diventando parte di un clan della giungla».187 Oltre i nuovi mezzi
di comunicazione, dopo questa esplosione di tecnologia, McLuhan
pensa ad una sorta di retrogressione atavica, una società dove
troveremo degli ‘abrigeni postapocalittici’188, con tanto di
computer, ma la comunicazione tornerà a quello che era in
principio. Nella comunicazione tribale, difatti, la vicinanza
fisica favorisce il dialogo e le emozioni sono messe in gioco,
vengono condivise più cose, come gli aspetti della vita umana e
del mondo attorno.
Un esempio di tribalismo nel linguaggio musicale moderno si ha con
gli Stomp, gruppo inglese che nasce nel 1991 al Festival di
Edimburgo. Letteralmente ‘stomp’ sta per ‘calpestare’ e, difatti,
questo gruppo di musicisti si dimenano sul palco allestito come
un’officina meccanica pensata in una ipotetica strada urbana. La
loro musica è costituita da sonorità tribali rese dalla
percussione di materiale di ogni tipo, prevalentemente grezzo, di
uso comune come coperchi di pentole, tubi di metallo, e altri
oggetti di scarto della nostra realtà di consumo: sinfonia
meccanizzata per sottofondo sonoro alla frenetica civiltà. Lo
186 Mark Dery, Velocità di fuga. Cyberculture a fine millennio, Feltrinelli, 1997, cit. p. 305187 Ibidem188 Ibidem
spettacolo è un vero e proprio teatro di rumori sapientemente
organizzati e danze energiche che fa il giro del mondo e
coinvolge. Inoltre, la loro esibizione è interessante per
l’aspetto gestuale dei performatori: il linguaggio del corpo è
molto importante nella comunicazione orale189 che con gli Stomp si
prende la sua rivalsa sulla tradizione comunicativa ‘ufficiale’.
Nella cultura di massa, propria di una società generica e
comunitaria, ci sono dunque delle tendenze musicali che mirano a
sganciarsi dalla musica di consumo che ha effetto soporifero sulla
coscienza sociale.190 La questione del livellamento musicale
contrapposto al pluralismo culturale in musica è ancora aperta e
resterà tale. Il musicologo tedesco Dahlhaus, ad esempio, pone
l’accento sulla crisi della sperimentazione oggi, mentre era viva
e feconda negli anni Cinquanta e Sessanta: secondo lui, infatti, i
compositori di giovane generazione hanno la tendenza ad eluderla
piuttosto che elaborarla e creare nuovi modelli.191 Eppure l’ ‘uomo
musicale’ ha dimostrato e dimostra di saper abbattere il muro
dell’alterità poiché le trasformazioni antropologiche vanno a
modificare i diversi tratti culturali, e quindi anche il
linguaggio musicale muta le sue dinamiche.192 La storia della musica
occidentale ha conosciuto, è vero, un lungo periodo di empasse
189 Diego Carpitella, da Valerio Petrarca, Demologia e scienze umane, Guida Editori,Napoli, 1985, p.189190 Georger H. Lewis, Musica e società di massa: livellamento o pluralismo?, da Andrea Lanza, Ilsecondo Novecento, Storia della musica, EDT, Torino, 1991, p.214191 Carl Dahlhaus, La crisi della sperimentazione, da da Andrea Lanza, Il secondo Novecento,Storia della musica, EDT, Torino, 1991, p.265192 Pietro Sassu, L’alterità musicale, da Suoni della tradizione, Musiche e musicisti dellaSardegna, a cura di Myriam Quaquero, Carlo Delfino Editore, Sassari, 2009, p.253
linguistica ma i cambiamenti culturali hanno sempre apportato
nuova linfa.
Assimilazioni di linguaggi lontani dalla cultura occidentale
riuscite o meno, sicuramente si può parlare di influenze e
contaminazioni dell’Altro.