Gli elfi nella cultura islandese

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Facoltà di Scienze della Formazione ______________________________________________ Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione per le Culture e le Arti Gli elfi nella cultura islandese: tra mitologia e folclore Tesi di laurea di: Erika Anna Fucarino Matricola: 0569574 Relatore: Ch.mo Prof. Loredana Teresi ANNO ACCADEMICO 2012-2013

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Facoltà di Scienze della Formazione ______________________________________________

Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione per le

Culture e le Arti

Gli elfi nella cultura islandese: tra

mitologia e folclore

Tesi di laurea di:

Erika Anna Fucarino

Matricola: 0569574

Relatore:

Ch.mo Prof. Loredana Teresi

ANNO ACCADEMICO 2012-2013

1

INDICE

Introduzione 2

Capitolo I

Contesto storico-culturale 4 1.1 La colonizzazione dell’Islanda 4

1.2 La cristianizzazione 7

1.3 La letteratura islandese 8

1.4 I carmi dell’Edda e l’Edda di Snorri 12

Capitolo II

Contesto mitologico 18 2.1 L’origine del cosmo 18

2.2 Le stirpi divine: gli Asi e i Vani 21

2.2.1 Odino 24

2.2.2 Tyr 26

2.2.3 Thor 27

2.2.4 Baldr e Loki 29

2.2.5 Njörðr, Freyr e Freyja 30

2.3 Gli esseri soprannaturali: valchirie, norne, elfi, nani e giganti. 32

2.4 I nove mondi 36

Capitolo III

Gli elfi nella cultura germanica 38

3.1 Le stirpi alfiche 43

3.2 Gli elfi nella cultura anglosassone 48

Capitolo IV

Folclore ed elfi nell’Islanda contemporanea 56 4.1 Jón Árnason e Magnús Grimsson: le prime raccolte 56

4.2.1 Raccolte folcloristiche 58

4.3 Gli elfi dei racconti popolari 59

4.4 Huldufólk e islandesi 70

4.5 Fatti di cronaca 81

Conclusione 89

Bibliografia 93

Altri documenti 98

Sitografia 98

2

INTRODUZIONE

Nell’odierna Islanda, elfi e altri spiriti sovrannaturali riescono ad influenzare la vita

di molte persone, a catturare l'attenzione dei media, a concentrare l'interesse di

studiosi. Eredità di una tradizione culturale molto antica, essi continuano a far parte

integrante della cultura e della storia contemporanea dell’isola. Nonostante si sappia

molto sulla mitologia norrena, poche sono le informazioni che ci sono state

tramandate, in epoca medievale, sugli elfi, limitate, in realtà, a qualche breve

accenno nelle maggiori opere mitologiche scandinave. Eppure, a differenza degli dèi

del phanteon nordico, gli elfi sono sopravvissuti per secoli, dopo la cristianizzazione,

nel folclore islandese, fino ad arrivare ai giorni nostri. L’obiettivo del presente studio

è analizzare la figura dell’elfo nella sua trasformazione nel tempo, partendo da

un’analisi mitologico-letteraria basata sulle antiche fonti a disposizione (l’Edda

poetica e l’Edda in prosa di Snorri Sturluson in particolare), passando attraverso la

cultura popolare codificata in racconti e leggende, e giungendo, infine, all’esame

delle ricerche moderne che indagano sull’atteggiamento odierno degli Islandesi nei

confronti di questi esseri mitologici.

Per meglio comprendere il ruolo e lo status degli elfi all’interno del sistema

culturale islandese, si delineeranno, inizialmente, il contesto storico-culturale

dell’isola e gli elementi fondamentali della mitologia nordica, allo scopo di mostrare

come tali elementi culturali si siano conservati e trasformati.

Nel primo capitolo verranno presentati il contesto storico-culturale islandese e gli

eventi che precedono e seguono la cristianizzazione dell’isola, come la

colonizzazione vichinga e analizzeranno le opere medievali che costituiscono il più

ricco patrimonio letterario norreno.

Nel secondo capitolo, che tratterà del contesto mitologico, si mostreranno i

principali dèi del mondo norreno (divisi in due stirpi), la cosmogonia nordica e,

quindi, le origini del mondo secondo la mitologia norrena e le creature sovrannaturali

che ne fanno parte.

Dopo i primi due capitoli, che forniscono un quadro generale dentro al quale si

muove questo studio, il terzo esaminerà più dettagliatamente la figura degli elfi

all’interno della tradizione germanica. Partendo dai testi e soffermandosi sull’Edda

in prosa di Snorri Sturluson, si passerà alla figura dell’elfo nella tradizione

3

anglosassone, esaminata da Alaric Hall nel suo lavoro Elves in Anglo Saxon-

England1.

Il quarto capitolo, relativo al folclore islandese, presenterà il primo lavoro di

raccolta di racconti e leggende popolari islandesi e i successivi progressi ottenuti in

questo campo grazie al lavoro effettuato dall’Istituto Arnamagnano e dal

Dipartimento di Studi Folcloristici dell’Università di Reykjavík. Si mostrerà il ruolo

degli elfi all’interno dei racconti popolari, la loro trasformazione nel corso del tempo,

sino a giungere all’età contemporanea, in cui il folclore su questi esseri occupa un

posto di primo piano tra la popolazione.

Si ringrazia in maniera particolare il professor Terry Gunnell2 che ha fornito (oltre

ad altro materiale) una copia del questionario, tradotto da lui dall’islandese

all’inglese, utilizzato per i suoi sondaggi, insieme alle tabelle dei risultati ricavati da

tali ricerche.

L’immagine del frontespizio rappresenta una tipica ‘porta elfica’ che gli islandesi

disegnano e appoggiano alle rocce quando credono che lì vivano degli elfi3.

1 A. Hall, Elves in Anglo-Saxon England (Woodbridge: The Boydell Press, 2007).

2 Professore e capo del Dipartimento di Studi Folcloristici dell’University of Iceland, Reykjavík.

3 L’immagine è stata presa da un blog su internet, purtroppo non vi era indicato il luogo e l’autore

dello scatto. http://www2.macleans.ca/wp-content/uploads/2012/05/MAC21_WORLDNOTES04.jpg.

Consultato 10/06/2013.

4

CAPITOLO I

CONTESTO STORICO-CULTURALE

1.1 LA COLONIZZAZIONE DELL’ISLANDA

Il termine ‘Vichinghi’ indica un gruppo di guerrieri e pirati scandinavi protagonisti di

una notevole espansione marittima nei secoli VIII-XI. Erano conosciuti anche come

‘terrore delle vergini’ a causa della loro furia durante le conquiste. La loro abilità

marittima era dovuta soprattutto all’utilizzo della vela quadra (in parte manovrabile),

al metodo di navigazione ‘Island hopping’4 e al tipo di imbarcazioni utilizzate. Le

navi adoperate per le grandi traversate erano costruite con tecniche d’avanguardia: la

forma bassa e affusolata permetteva una maggiore velocità di navigazione. Non

erano presenti cabine per l’equipaggio (almeno sino al XIV secolo), cosa che rendeva

i viaggi ancora più pericolosi per via dell’esposizione agli elementi atmosferici.

L’estremo dinamismo dei Vichinghi li portò in contatto con diverse civiltà: crearono

avamposti in Irlanda, Inghilterra e Francia. In quest’ultima venne concessa loro una

parte del territorio (la Normandia) in cambio di una tregua. La presenza dei

Vichinghi nelle isole britanniche è testimoniata da ritrovamenti archeologici risalenti

al IX secolo di oggetti provenienti dalla Danimarca, dalla Svezia e dalla Norvegia5.

A questi si aggiungono anche testimonianze scritte come quella di dello storico Beda

(VIII secolo), il quale, nella sua Historia Ecclesiastica gentis Anglorum, ci informa

di come i germani giunti sull’isola britannica dalle coste della Danimarca e della

Germania settentrionale, impadronendosi dell’intera isola ad esclusione dell’estrema

regione nord-occidentale: la Cornovaglia e il Galles, rimasti in mano ai Celti6.

4 ‘Il salto dell’isola’ è un metodo di navigazione quasi a vista, che consiste in spostamenti brevi da

un’isola all’altra sino al raggiungimento della meta prefissata.

5 J. Jesch, ‘Geography and Travel’, in A Companion to Old Norse-Icelandic Literature and Culture,

ed. McTurk (Oxford: Blackwell Publishing, 2005), pp. 119-135, p. 124. Óláfr Tryggvason, uno dei re

Vichinghi della fine del X secolo è commemorato dal suo poeta di corte, l’islandese Hallfreðr

Troublesome-skald, nel poema Óláfsdrá (contenuto nella storia dei re di Norvegia: Fagrskinna).

6 M.V. Molinari, La filologia germanica (Bologna: Zanichelli, 1987), p. 91.

5

Dalla metà del X secolo le invasioni sono testimoniate anche da iscrizioni runiche

svedesi e versi scaldici norvegesi7. I viaggi commerciali e di colonizzazione li

portarono dapprima in Islanda e poi in Groenlandia, la quale era stata

originariamente chiamata ‘Greenland’ da Erik il Rosso per attirare nuovi coloni.

Inoltre, la Vinland Saga ci testimonia una presenza vichinga in Nord America: la

storia narra di un certo Bjarni che, diretto in Groenlandia, sbagliò la rotta a causa di

una tempesta e giunse in una terra sconosciuta. Al quarto tentativo riuscì finalmente

a trovare la Groenlandia e raccontò delle sue scoperte ad Erik il Rosso.

Quando i Vichinghi arrivarono in Islanda8 trovarono una terra quasi disabitata. I

pochi abitanti dell’isola erano i monaci celtici, provenienti dall’Irlanda e di religione

cristiana. Il Cristianesimo di stampo celtico-irlandese è basato sull’individualismo e

l’ascesi mistica, raggiungibile solo grazie a lunghissimi e solitari pellegrinaggi, i

quali portarono alcuni di questi monaci sulle lande islandesi. L’emigrazione verso

l’isola aumentò quando il re norvegese Harald Hárfágr (875-945 circa) tentò di

unificare il regno e sottomettere tutta la Norvegia, sul modello dell’Europa centro-

meridionale. I sovrani settentrionali avevano generalmente rispettato, sino ad allora,

l’autonomia di ogni piccola comunità in cui si organizzava tradizionalmente la

società scandinava, ossia la Sippe. La Sippe, o per meglio dire la famiglia, è

l’istituzione fondamentale su cui si regge originariamente la società germanica, la

quale si riconosce come gruppo dalla discendenza di un antenato. Gli avvenimenti

che riguardano l’insediamento nella terra islandese sono contenuti nel Landnámabók,

ossia il libro dell’acquisizione della terra, il quale presenta un elenco delle proprietà

terriere narrando anche la storia delle prime famiglie. Quest’opera è forse il testo più

complicato tra gli scritti dell’antica Islanda. Se ne hanno cinque versioni e nessuna di

esse rappresenta l’archetipo: tre versioni sono medievali e le altre due del XVII

7 Ibid.

8 H. Þorláksson, ‘Historical Background’: Iceland 870-1400’, A Companion to Old Norse-Icelandic

Literature and Culture, ed. McTurk, p. 136-154, p. 136. Ari Þorgilsson nel suo Islendingabók (Libro

degli islandesi) i primi insediamenti in Islanda risalirebbero all’ 870. Fatto supportato dai ritrovamenti

di tracce di attività umane all’interno di strati di tephra, ossia particelle di cenere, pomice e altri

materiali eruttati dall’attività vulcanica, i quali risalgono proprio a quel periodo.

6

secolo9. Questi scritti mostrano come l’Islanda avesse soprattutto rapporti

commerciali e culturali con la Novergia. In particolare, la versione di Haukr

Erlendsson, Hauksbók mostra le principali rotte da e per l’Islanda:

Learned men say that it is seven days’ sailing from Stad in Norway to

Horn in eastern of Iceland, and four days’ sailing from Snæfellsnes [in

western Iceland] to Hvarf in Greenland. Hvarf is reached by sailing due

west from Hennøya in Norway, and then one will have sailed to the north

of Shetland so that it can only be seen if there is good visibility at sea, and

to the south of the Faeroes, so that the sea is [i.e. appears to be] halfway

up the slopes, and to the south of Iceland so that they can see its birds and

whales. From Reykjanes in the south of Iceland it is three days’ sea-

journey south to Slyne Head in Ireland, and from Langanes in the north of

Iceland it is four days’ sailing to Svalbard in the north to the gulf, and

from Kolbeinsey [an island north of Iceland] it is one day’s sailing north

to the uninhabited areas of Greenland. 10

Gli uomini istruiti dicono che ci vogliono sette giorni di navigazione da

Stad in Norvegia ad Horn nell’Islanda orientale, e quattro giorni da

Snæfellsnes [Islanda occidentale] a Hvarf in Groenlandia. Hvarf si

raggiunge navigando ad ovest da Hennøya in Norvegia, e poi si deve

navigare verso il nord delle Shetland così che si può vedere se c’è buona

visibilità sul mare, e al sud delle Faeroes, così che il mare è [cioè sembra

essere] a metà strada dai versanti, e al sud dell’Islanda così che si possano

vedere gli uccelli e le balene. Da Reykjanes nel sud dell’Islanda ci sono

tre giorni di viaggio direzione sud verso Slyne Head in Irlanda, e da

Langanes nel nord dell’Islanda sono quattro giorni di navigazione fino a

Svalbard nel nord del golfo, e da Kolbeinsey [ un’isola a nord

dell’Islanda] c’è un giorno di navigazione direzione nord verso le aree

disabitate della Groenlandia.

Il maggior risultato ottenuto dalle espansioni vichinghe fu la formazione della nuova

nazione insulare: l’Islanda. Gli islandesi, orgogliosi delle loro origini nordico-

scandinave, produssero una ricca cultura letteraria che valorizzasse la loro tradizione.

9 S. Würth, ‘Historiography and Pseuso-History’, in A Companion to Old Norse-Icelandic Literature

and Culture, ed. McTurk, pp. 155-172, p. 158.

10 J. Benediktsson, Íslendingabók og Landnámabók (Reykjavík: Íslenzka Fornritafélag, 1968), pp. 33-

35, citato in Jesch, ‘Geography and Travel’, pp. 119-120. La traduzione dall’islandese all’inglese è di

Jesch, mentre tutte le successive traduzioni dall’inglese all’italiano sono state fatte personalmente.

7

1.2 LA CRISTIANIZZAZIONE

In Islanda la conversione al Cristianesimo venne accolta tramite decisione

dell’assemblea generale Alþing nella Þingvellir11

nell’anno 1000 ed accettata più

nella sua forma esteriore che in quella spirituale. L’adorazione verso gli dèi pagani

all’alba del X secolo non doveva essere un elemento dominante nella società

Islandese. I coloni provenienti da diverse parti della Scandinavia, ma soprattutto

dalla Norvegia, portarono una serie di credenze spirituali che comprendevano la

venerazione degli dèi nordici, Asi e Vani12

. Tali credenze, insieme a quelle sugli

spiriti ed esseri soprannaturali, non scomparvero con il Cristianesimo e così non era

difficile per gli islandesi credere simultaneamente sia in Cristo sia negli dèi della

vecchia tradizione.

Le modalità con cui venne adottato il Cristianesimo sottolineano il carattere

pacifico e diplomatico degli islandesi13

. Óláfr Tryggvason (960-1000), re di

Norvegia dal 995 al 1000, provò a imporre il Cristianesimo agli islandesi prendendo

in ostaggio il figlio del più ricco tra gli abitanti dell’isola e chiedendo come

“riscatto” la cristianizzazione. La disputa venne risolta allo stesso modo di tutte le

altre, cioè indicendo un’assemblea e fu raggiunto un compromesso grazie

all’intervento di un giudice. Venne scelto l’oratore Þorgeirr Þorkelsson, il quale

stabilì che tutti dovessero seguire e rispettare le stesse leggi e ne varò una in cui si

dichiarava che tutti gli islandesi dovessero essere cristiani. Alcune delle vecchie

tradizioni religiose furono mantenute e alle persone fu permesso di fare sacrifici agli

dèi pagani in privato; tuttavia alcuni anni dopo questi costumi vennero aboliti. Per

fare in modo che il Cristianesimo si affermasse sul territorio, questo doveva essere

predicato nella lingua del popolo e non in latino, ma ciò non fu possibile fino a

quando non si istituì una casta ecclesiastica in Islanda. Il primo vescovo fu Íslefr

Gizurarson consacrato nel 1056, il quale ricevette un’educazione teologica nel

convento di Herford in Sassonia. Fu soprattuto grazie al figlio Gizurr, divenuto

11

Il parlamento islandese fu stabilito in questo luogo dal 930 al 1789, ma dal 1930 la zona della

Þingvellir (situata nella parte sud-occidentale dell’Islanda) è diventata un parco nazionale.

12 Si veda il II capitolo, paragrafo 2.2.

13 Þorláksson, ‘Historical Background’, p. 145.

8

vescovo di Skálholt nel 1082 che la casta ecclesiastica prese forma14

. Egli decise che

anche gli abitanti del nord dovessero avere una propria diocesi, così Jón

Ogmundarson divenne vescovo di Hólar. Tutto questo era di fondamentale

importanza per l’insegnamento dei precetti cristiani. Molti dei primi monaci non

avevano desiderio di imparare, ma speravano solo di poter salvare la loro anima dopo

una vita di lotte e spargimenti di sangue. Non era certamente facile per loro imparare

versi di preghiere in latino e la traduzione in lingua volgare era diventata una

necessità. Jón Ogmundarson fece costruire una cattedrale nel 1106, delle scuole e

portò studiosi stranieri per insegnare il latino. Agli inizi del XII secolo tutti gli sforzi

erano diretti verso l’insegnamento della dottrina cristiana e, di conseguenza, al

soffocamento di tutto ciò che ricordava il paganesimo15

. Gradualmente vennero

inserite feste canoniche dedicate ai santi conosciuti nelle zone del Mare del Nord e,

ben presto, quelle dedicate ai nuovi santi islandesi16

. I nuovi avvenimenti, nonché le

successive dinastie ecclesiastiche vennero registrati negli annali, i quali servirono a

tramandare ai posteri documenti storici precisi. Si utilizzarono diversi approcci per la

registrazione delle date: queste si riferivano alla morte di uomini noti, spesso erano

accompagnate da una lista di individui deceduti lo stesso anno e/o da un riassunto di

eventi importanti accaduti durante la vita del defunto17

.

1.3 LA LETTERATURA ISLANDESE

Le più antiche documentazioni scritte, risalenti al III secolo sono rappresentate dalle

rune (antico nordico rún ‘segreto’18

). Fuþark è il nome della successione di tali

segni, tratto dalle prime sei lettere. Le prime testimonianze riguardano ritrovamenti

archeologici in Danimarca e Norvegia meridionale di iscrizioni runiche su oggetti. Si

è voluto vedere nelle iscrizioni runiche tracce di una poesia epico-mitico-magica

14

Sulle modalità della cristianizzazione, si veda M. Cormack, ‘Christian Biography’, in A Companion

to Old Norse-Icelandic Literature and Culture, ed. McTurk, pp. 27-42, pp. 28-29. 15

Þorláksson, ‘Historical Background’: Iceland 870-1400’, p. 145.

16 Per il calendario liturgico islandese e le storie dei santi si veda: M. Cormak, The Saints in Iceland:

their Veneration from the Conversion to 1400 (Brussels: Société des Bollandistes, 1994), pp. 13-24 e

32-40.

17 Cormack, ‘Christian Biography’, p. 36.

18 Molinari, La filologia germanica, p. 15.

9

anteriore a quella noi nota; tracce che dovrebbero fungere da raccordo tra l’età delle

grandi migrazioni e quella della colonizzazione19

. Ad esempio l’iscrizione sul corno

d’oro di Gallehus, ritrovato in Danimarca nel 1639 e risalente al V secolo, presenta i

segni del fuþark antico e una forma di allitterazione che ricorda la successiva poesia

scaldica20

.

Furono, tuttavia, le missioni cristiane a render possibile la conservazione sia pur

parziale dell’antico, operando dovunque una rivoluzione civile, letteraria e artistica.

Non diversamente da quella di altri popoli, l’antica letteratura nordica fiorì per secoli

in anonima tradizione orale e giunse solo tardi a quella forma scritta nella quale ci è

dato oggi conoscerla. Senza dubbio ebbero una funzione fondamentale le prime

scuole di stampo ecclesiastico da cui vennero fuori studiosi prestigiosi: uno di questi

fu Ari Þorgillsson (1067/8-1148), l'iniziatore della tradizione storiografica islandese.

Ordinato prete probabilmente dal vescovo Gizurr, profondamente interessato alla

storia dell'Islanda precristiana e alle vicende della conversione al cristianesimo, Ari

descrisse questi eventi con notevole precisione e autorevolezza nell'unica opera che

di lui ci è pervenuta, l’Íslendingabók, un volume di ridotte dimensioni ma di

straordinario valore storico e letterario21

. Un’altra fonte islandese risalente al XII

secolo è il Landnámabók basato in parte su materiale più antico. Sino alla metà del

XII secolo la maggior parte dei manoscritti sono di provenienza clericale: un testo

che ci è pervenuto in forma originale, attribuibile agli anni tra il 1121 e 1139

contiene una ‘tabula Pascalis’22

. I testi successivi, del XIII secolo, ebbero uno

stampo biografico e iniziarono a narrare le storie di uomini eminenti norvegesi.

L'Islanda era infatti sottomessa alla diocesi di Tronðeim (Norvegia orientale), cosa

che comportò l'incremento dei rapporti religiosi fra i due Paesi e l'inizio di un vero

predominio culturale della Norvegia. I monasteri cominciarono a trascrivere le storie

19

M. Gabrieli, Le letterature della Scandinavia (Firenze: Sansoni, 1969), p. 10.

20 Ibid.

21 L’opera è ora conservata in due trascrizioni (AM 113a e AM 113b) a Reykjavík, eseguite nel XVII

secolo da un certo Jón Erlendsson. Si veda A.M. Luiselli Fadda, Tradizioni manoscritte e critica del

testo nel Medioevo germanico (Bari: Laterza, 1994), p. 102.

22 H. Benediktsson, Early Icelandic Script as Illustrated in Vernacular Texts from the Twelfth and

Thirteenth Centuries (Reykjavìk: The Manuscript Institute of Iceland, 1965), p. 35, citato in Luiselli

Fadda, Tradizioni manoscritte e critica del testo nel Medioevo germanico, p. 101.

10

dei re di Norvegia: la più antica e anonima biografia è quella di Ólafr Haraldsson 'il

Santo', oggi conservata a Oslo nel manoscritto NRA 5223

.

Oltre alle preminenti opere storiche che i monasteri produssero, non mancano

opere con intenti puramente artistici. I più antichi componimenti risalgono all’età

vichinga e riguardano il vero nucleo della letteratura islandese: i carmi eddici, la

poesia scaldica e le saghe.

Il Codex Regius24

contiene carmi di natura mitica, gnomica ed eroica e sono

disposti in un certo ordine, che probabilmente rispecchia l’idea di chi curò l’intera

raccolta, forse attingendo da altri manoscritti o forse dalla propria o altrui memoria25

.

In particolare i carmi mitici costituiscono uno dei più grandi tesori riguardanti il

pantheon norreno e quattro di loro sono centrati sulla figura più eminente fra gli dèi,

cioè Odino26

.

La poesia scaldica è quella che contraddistingue il mondo germanico, con il suo

gusto per la metafora fine a se stessa, dell’indovinello, del gioco di parole, di una

metrica rigida il cui “virtuosismo formale, insomma, disorienta”27

. Eppure, non meno

degli altri due grandi “generi” della letteratura norrena, anche questa poesia

rispecchia gli ideali e i modi di vita della società e dell’età vichinga. L’ideale

vichingo, poi destinato per secoli a diventare uno dei temi più stereotipati delle

letterature nordiche, si può dire trovi qui la sua prima e pregnante espressione

artistica28

.

Uno degli scrittori e poeti islandesi più importanti è Snorri Sturluson al quale sono

attribuite parecchie opere e saghe tra cui l’Ynglinga saga, storia della discendenza di

Yngvi29

e dei re di Svezia, sulla quale è basata parzialmente la Heimskringla, storia

dei re norvegesi. Sua è anche quella che può essere considerata la ‘bibbia’ della

23

Luiselli Fadda, Tradizioni manoscritte e critica del testo nel Medioevo germanico, p. 103.

24 Si veda il paragrafo 1.4 in cui si parlerà in maniera più approfondita dei carmi dell’Edda.

25 Gabrieli, Le letterature della Scandinavia, p. 13.

26 I carmi in questione sono: Völuspá, Hávamál, Grímnismál e Sigdrífumál; sulla figura di Odino si

veda il capitolo II.

27 Gabrieli, Le letterature della Scandinavia, p. 37.

28 Ibid., p. 38.

29 Yngvi è uno degli appellativi del dio Freyr. G. Chiesa Isnardi, Leggende e miti (Milano: Rusconi,

1977), p. 8.

11

mitologia norrena insieme al Codex Regius, l’Edda. L’Edda di Snorri è anche un

importante manuale di poesia scaldica che fornisce le istruzioni ai poeti che vogliono

cimentarsi in questa difficile arte30

. Questo tipo di poesia nasce nell’aula regia e i

principali motivi di ispirazione sono la rievocazione della battaglia (che è quasi

assente nei carmi eddici) che celebra e misura le virtù del capo e dei suoi prodi in

base ai canoni d’ogni società guerriera: il concetto dell’onore, il culto dell’eroismo e

il disprezzo della morte, l’amore per le armi e per lo spirito d’avventura.

Proprio dalla poesia scaldica, le saghe attingono le loro avventure e figure eroiche,

talvolta sono esse stesse delle semplici parafrasi31

. A partire dal XIII secolo, in

Islanda i racconti in prosa vengono fissati su pergamena e come i carmi eddici e i

versi scaldici hanno dietro una lunga tradizione orale. Le saghe norrene sembrano

essere un prodotto islandese nato dai fatti memorabili della colonizzazione dell’isola

e della storia norvegese più o meno a questa connessa32

. È verosimile pensare che

fatti menzionati nell’ Íslendinagabók di Ári, e più ancora i brevi aneddoti del

Landnamabók, siano stati i primi nuclei narrativi della saga (conflitti amarmati fra

individui o famiglie, liti giudiziarie, offese, vendette e riconciliazioni)33

.

In Islanda, narrare le saghe era un vero e proprio intrattenimento sociale durante le

lunghe sere invernali, ma affidando alla pergamena il loro patrimonio narrativo gli

islandesi ne permisero non solo la conservazione, ma anche una maggiore

elaborazione artistica34

. Si presenta come biografia di un individuo o di una stirpe,

come narrazione di vicende e di fatti, direttamente osservati o attinti da testimonianza

altrui, esposti sempre con una lingua semplice, realistica, quasi quotidiana, ignara di

epiteti esornativi come di accensioni liriche, in uno stile uniforme35

.

30

Si veda il paragrafo 1.4.

31 Gabrieli, Le letterature della Scandinavia, p. 38.

32 Ibid., p. 86.

33 Ibid., p. 91.

34 La controversia sull’origine delle saghe scritte si divide in Freiprosa e Buchprosa. Nel primo caso

si tende a sottolineare una libera formazione nella coscienza popolare nel voler tramandare le storie,

nel secondo si tende a enfatizzare un fenomeno letterario che ha lo scopo di rielaborare gli eventi per

renderli opera letteraria. Si vedano Gabrieli, Le letterature della Scandinavia, pp. 92-97; M. Scovazzi,

La saga di Hrafnkell e il problema delle saghe islandesi (Brescia: Paideia, 1960), p. 85.

35 Gabrieli, Le letterature della Scandinavia, p. 92.

12

1.4 I CARMI DELL’EDDA E L’EDDA DI SNORRI

“La mitologia descritta nei testi nordici costituisce il maggior tesoro di conoscenze a

nostra disposizione sulla religione e sulla tradizione germanica”36

. Riguardo alla

religione scandinava i principali documenti a cui si fa riferimento sono: i carmi

dell’Edda37

, alcune saghe, la poesia scaldica e l’Edda in prosa di Snorri Sturluson.

L’Edda poetica è giunta fino a noi in un unico manoscritto, il Codex Regius38

GKS

2365 4to copiato intorno al 1270 e ritrovato in Islanda nel 1643 dal vescovo di

Skálholt, Brynjólfur Sveinsson. Il manoscritto non aveva un titolo, ma Brynjólfur si

era riferito ai suoi contenuti con il nome di ‘Edda’. Il vescovo sembra che fosse

consapevole degli stretti legami con l’opera poetica citata nell’Edda in prosa di

Snorri Sturluson, fu questo forse il motivo per cui assegnò tale titolo. La chiamò

anche ‘Saemundar Edda’ credendo erroneamente che fosse stata scritta da Saemudr

Sigfússon (Saemundr il sapiente)39

. L’Edda poetica è il centro della letteratura

islandese grazie alla vastità di argomenti trattati nei suoi ventinove poemi tra cui è

possibile distinguere due grandi blocchi: i carmi incentrati sugli dèi e i carmi eroici. I

primi sono undici e narrano le storie degli dèi pagani, in particolare Odino e Thorr.

Di vitale importanza è il carme che apre la raccolta, la Völuspa (Carme

dell’indovina) di carattere profetico-escatologico, che ci presenta la cosmogonia

nordica, dalle origini del mondo sino al Ragnarök (Crepuscolo40

degli dèi). La

36

Chiesa Isnardi, Edda di Snorri (Milano: Rusconi, 1975), p. 15.

37 La parola ‘Edda’ è in antico nordico oðr. Questa parola che tra i suoi significati presenta ‘furore,

ebbrezza, ispirazione poetica’, è anche la parola che designa il nome dell’omonimo dio Oðr. Secondo

alcuni studiosi, questo dio non è altro che il doppione di Oðinn, il padre degli dei pagani. Chiesa

Isnardi, Edda di Snorri, p. 14.

38 Conservato a Reykjavík presso l’Istituto Arnamagnano e visionabile on line sul sito

http://www.am.hi.is/WebView/

39 T. Gunnell, ‘Eddic Poetry’, in A Companion to Old Norse-Icelandic Literature and Culture, ed.

McTurk, pp. 82-100, p. 84.

40 Sarebbe più giusto dire ‘Giudizio degli dèi’, poiché il termine rök, presente nel composto Ragnarök,

propriamente significa ‘giudizio’ e solo alle soglie dell’Evo moderno diviene omofono di rökr, che

significa invece ‘crepuscolo’. Si vedano le dispense di filologia germanica del prof. Marcello Meli,

visionabili sul sito dell’Università di Padova:

http://www.maldura.unipd.it/dllags/docentianglo/meli/dispense_filologia_germanica_0910/dispense_f

gB.pdf. Consultato 09/04/2013.

13

comprensione della Völuspá non è semplice, poiché le varie scene non vengono

narrate, ma piuttosto evocate con accenni rapidi ed ermetici. Insieme a Vafþrúðismál

(Discorso di Vafþrúðir) e al Grímnismál (Discorso di Grímnir) costituiscono la

summa enciclopedica della mitologia norrena.

La Völundarkviða (Carme di Völundr) offre una sorte di ponte tra il più alto mondo

mitologico degli dèi, giganti ed elfi e quello più basso di nani e umani che appartiene

alla sezione eroica del Codex Regius41

. I restanti carmi eroici toccano quattro cicli

leggendari: quello di Helgi, quello di Sigurðr, di Guðrún, di Attila e della fine dei

Burgundi e, infine, del primo grande re degli Ostrogoti, Ermanarico. I carmi, ad ogni

modo, non sembrano essere disposti secondo un ordine preciso, né secondo un

criterio cronologico, né secondo un criterio formale, ad esempio il tipo di metro

utilizzato oppure la lunghezza.

Vi è un’altra Edda, quella in prosa di Snorri Sturluson. L’autore, nato a Hvammr

(Islanda) nel 1179 e morto il 23 settembre 1241, fu, per qualche tempo, presidente

dell’assemblea legislativa alþingi e si narra che avesse tramato con Hákon

Hákonarson re di Norvegia dal 1217 al 1263, ma in verità è stato fatto assassinare

dallo stesso. La sua opera non è una raccolta di carmi anonimi, come quelli

dell’Edda poetica, piuttosto un vero e proprio manuale di poesia scaldica.

Questo genere di poesia rappresenta l’ambiente delle piccole e grandi corti

vichinghe con i loro valori fondamentali, per lo più desiderio d’onore e ricchezza,

amore per le battaglie e per l’avventura. Lo skáld (scaldo) era un poeta errante, che

viaggiava di corte in corte, offrendo i suoi servigi ai sovrani, i quali ricambiavano

l’abilità di comporre canzoni con doni preziosi. La poesia scaldica non è affatto

anonima e segue una tecnica precisa, che Snorri mostra nell’ultima parte della sua

opera. La sua Edda, infatti, è divisa in quattro parti: Fyrirsögn ok Formáli

(Intestazione e prologo), Gylfaginning (L’inganno di re Gylfi), Skáldskaparmál

(Dialogo sull’arte scaldica), Háttatal (Trattato di metrica)42

.

41

Gunnell, ‘Eddic Poetry’, p. 87.

42 È opinione di alcuni studiosi che il prologo sia stato aggiunto successivamente e non sia stato scritto

dallo stesso Snorri. Ad esempio Dolfini, Edda (Milano: Adelphi, 1975) inserisce la traduzione del

primo capitolo del Formáli nella sezione ‘Note’ della sua opera a p.161, mentre Chiesa Isnardi, Edda

di Snorri non lo inserisce affatto. Probabilmente per le discrepanze linguiste e testuali che li hanno

indotti a pensare che questa parte sia stata redatta da un erudito posteriore.

14

L’opera di Snorri, nel prologo, esordisce con la concezione di Dio e un rapido

excursus storico, che va dalle origini di Adamo ed Eva, passando per il diluvio

universale e il ripopolamento della terra, per concludere con la costruzione della torre

di Babele, il moltiplicarsi delle lingue e il regno assiro di Zoroastro, il quale venne

adorato dai suoi sudditi:

Alla fine, nessuno conosceva più il proprio creatore, eccetto quei soli

uomini che parlavano la lingua ebraica, [lingua] che esisteva da prima

della costruzione della torre. Ancora oggi gli uomini non hanno perduto

interamente il dono che è stato fatto loro e conoscono le cose mediante la

sapienza terrena, ma la comprensione dello spirito non è stata loro

concessa. Essi capivano tuttavia che ogni cosa era stata plasmata a partire

da una qualche essenza.43

Snorri poi ci indica in che modo, secondo le sue conoscenze, fosse diviso il mondo:

da sud sino al mar Mediterraneo c’è quella parte conosciuta come Africa; la terra

che occupa la parte occidentale sino a settentrione è conosciuta come Europa o

Enéá44

; infine, l’Asia occupa la restante parte. I fiumi principali che dividono queste

terre sono il Don e il Nilo, che dividono l’Asia dall’Europa e l’Africa. Queste ultime

invece, sono separate dal Mar Mediterraneo. Il tutto è circondato dall’oceano. Come

mostra l’immagine della mappa Orbis Terrarum (detta anche mappa T-O). Questo

tipo di mappa era orientata ad ovest e la prima descrizione del mondo di questo tipo

risale all’incirca al secolo VII ad opera di Isidoro di Siviglia nel suo De Natura

Rerum cap. 47(in alcune versioni del testo cap. 48)45

e nelle sue Etimologie XIV.ii46

(De Orbe).

43

Prologo [Sviluppo del concetto di Dio]

http://bifrost.it/GERMANI/Fonti/EddaSnorri-1.html (19.03.2013)

44 Prologo[Come il mondo sia diviso in tre parti]

45 J. Fontaine, Isidore de Séville. Traité de la nature (Bordeaux: Feret, 1960), pp.19-83, citato in L.

Teresi, ‘Anglo-Saxon and Early Anglo-Norman Mappaemundi’, in Foundations of Learning: The

Transfer of Encyclopaedic Knowledge in the Early Middle Ages, ed. R.H. Brenmer Jr, K. Dekker

(Leuven: Peeters, 2007) pp. 341-377, p. 348.

46 W.M. Lindsay, Isidori Hispalensis Episcopi Etymologiarum sive Originum libri XX (Oxford:

Clarendon Press, 1911), citato in Brenmer Jr, Dekker, p. 350.

15

Mappa TO

47

Questo è un aspetto da non sottovalutare poiché, secondo una concezione

evemeristica, Snorri ci narra che Odino fuggì da Troia dopo l’attacco di Pompeius,

un condottiero romano, e andò verso nord: “[…]þá er Pompeius einn höfðingi

Rómverja herjaði í austrhálfuna, flýði utan Óðinn ór Asía ok hingat í

norðrhálfuna.”48

.

Odino aveva il dono della preveggenza e divenne un grande re, acclamato e seguito

dal suo popolo. Tanta era la sua magnificenza che veniva detto di lui e della sua

stirpe che fossero più simili agli dèi che agli uomini; da lui discende la nobile casata

dei Volsunghi. Il viaggio di Odino si ferma in Svezia, terra del sovrano Gylfi.

L’inganno di Gylfi, la seconda parte della Snorra Edda, è così chiamata perché narra

la storia del re di Svezia, che venuto a conoscenza della magnificenza del popolo

degli Asi, decise di intraprendere un viaggio verso Ásgarðr. Attraverso una

commistione di prosa e versi poetici, tratti dai poemi eddici, soprattutto dalla

Völuspá, ma anche dal Grímnismál, Snorri non solo ci descrive gli ambienti di

47

British Library, Cotton Domitian I, f 37r.

48 “[…]quando Pompeius, un condottiero romano, attaccò le regioni orientali, Óðinn fuggì dall'Asia e

andò verso nord”. Traduzione a cura di Stefano Mazza.

http://bifrost.it/GERMANI/Fonti/EddaSnorri-1.html#n-2a . La stessa concezione di un'origine asiatica

degli Æsir ritorna, in maniera più velata, nel Gylfaginning, dove Snorri identifica Ásgarðr con la Troia

omerica: “[gli dèi] costruirono una fortezza nel mezzo del mondo: essa è detta Ásgarðr, ma noi la

chiamiamo Troia”.

16

Ásgarðr, presentandoci gli dèi che la popolano, ma ci narra anche in maniera

completa e organica della creazione e distruzione del mondo. Gylfi, celata la sua vera

identità, si presenta come Gangleri e inizia il dialogo con tre uomini, ognuno seduto

su un trono, ma i troni erano disposti in maniera particolare, erano l’uno sopra l’altro.

Hár (il re, posto più in basso), Jafnhár (quello vicino al re) e Þriði (il terzo, quello più

in alto) lo accolsero nella Vallhöll esponendogli tutta la sapienza scandinava49

. Qui i

miti non ci vengono presentati più come nel prologo, tramite un’alternativa

concezione evemeristica, ma si rifanno alla più tradizionale mitologia norrena, così

che uno scaldo potesse attingere da essi per creare nuove canzoni.

Come si è detto, la parte dell’Edda che si concentra maggiormente sulla poesia

scaldica è lo Skáldskaparmál (Discorso sull’arte scaldica). Questo genere di poesia

possiede caratteristiche che la rendono unica nella letteratura occidentale, poiché

presenta un uso della metrica, della sintassi, delle figure retoriche, e di altri elementi

che non ha eguali nelle culture europee. Una delle principali caratteristiche di questo

tipo di poesia è la kenning, si tratta di una perifrasi poetica o di una metafora che

serve a indicare in modo virtuoso, quanto oscuro e lambiccato, un qualunque

soggetto, sia esso una divinità, un animale, un'arma, un utensile o una persona.

Comprendere il significato di una kenning è molto difficile, per questo Snorri si

rivela fondamentale per la comprensione del lettore moderno.

Lo Skáldskaparmál, tuttavia, è molto più che un commentario alla poesia scaldica;

con il pretesto di motivare l’origine del linguaggio poetico, Snorri prosegue con la

narrazione di eventi mitologici esclusi dal Gylfaginning, soprattutto per quanto

riguarda saghe eroiche importanti per tutta la cultura germanica (tra cui quella di

Sigurðr e dei Nibelunghi, di re Froði e di Hrólfr Kraki) e in più si presenta anche

come un’antologia poetica, citando opere degli scaldi conosciuti. È evidente che

senza lo Skáldskaparmál di Snorri, parti significative della letteratura norrena

sarebbero andate perdute, ecco perché esso ha un immenso valore.

Lo Háttatal (Trattato di metrica), è l’ultima parte che compone l’Edda di Snorri, il

quale utilizza le proprie composizioni come esempio per spiegare in che modo va

costruito un verso in antico nordico. La tecnica poetica germanica ha la caratteristica

49

Chiesa Isnardi, Edda di Snorri, p. 62. Hár, Jafnhár e Þriði non sono altro che tre epiteti per lo

stesso uomo/dio, cioè Oðinn (Odino).

17

di essere isoaccentuativa, a differenza di quella latina che è isosillabica, il ritmo è

quindi dato dagli accenti. Le principali forme stilistiche sono il fornyrðislag e il

lióðaháttr. Molti versi dell’Edda poetica sono scritti in fornyrðislag, ad esempio la

Völuspá. Ogni strofa è composta da quattro ‘versi lunghi’, ciascuno costituito da due

‘versi brevi’ separati da una cesura grafica.

“Hljóðs bið ek allar kindir,

meiri ok minni mögu Heimdallar!

Vildu at ek, Valföðr, vel fyrtelja

forn spjöll fira, þau er fremst um man.”

Silenzio io chiedo a tutti voi presenti,

maggiori e minori figlioli di Heimdallr!

Valföðr, tu vuoi che io come si deve racconti

L’antica storia delle creature che io remota rammento.”50

L’altra importante forma stilistica è il lióðaháttr. Si trova in alcuni importanti

poemi, spesso alternato al fornyrðislag, come nel Grímnismál e Hávamál. Il

lióðaháttr ha una struttura in tre parti: vi sono due versi brevi allitteranti (come nel

fornyrðislag), questi sono seguiti da un verso pieno, il quale non presenta cesura.

“Segðu þat iþ tólfta hví þú tíva rök

öll, Vafþrúðnir, vitir;”51

Probabilmente, l’uso del fornyrðislag o del lióðaháttr è dovuto alla modalità della

loro recitazione orale: il primo è il genere del racconto, legato soprattutto al carme

epico; il secondo, invece, è legato al discorso, alla rappresentazione dialogata52

.

50

M. Meli, Voluspá: un’apocalisse norrena (Roma: Carrocci, 2008), str. 1, p.53.

51 “Say this twelfth thing, why you know the entire destiny of the gods, Vafþúðnir”.“Dimmi questa

dodicesima cosa, poiché tu conosci l’intero destino degli dei, Vafþúðnir”. La traduzione dall’antico

nordico all’inglese è di R. Poole. I versi sono citati dal G. Neckel, H. Kuhn, Edda: Die Lieder des

Codex regius nebst verwandten Denkmälern (Heidelberg: Winter, 1962) str. 42. Vafþúðnismál , citato

in Poole, ‘Metre and Metrics’, p. 269.

52 Molinari, La Filologia germanica, pp.158-159.

18

CAPITOLO II

CONTESTO MITOLOGICO

2.1 L’ORIGINE DEL COSMO

“Quale fu l’inizio, come fu fatto, che cosa esisteva prima?”53

. Questa è una delle

domande che il re Gylfi, sotto le mentite spoglie di Gangleri, pone ai tre dèi (Hár,

Jafnhár e Þriði) di fronte a lui.

Secondo la cosmogonia nordica il mondo si generò dal nulla, inteso come vuoto, il

cui nome era Ginnungagap. A nord di esso vi era Niflheimr, luogo del freddo e del

buio, da cui avevano origine i fiumi cosmici detti Elivágar. Agli antipodi di

Niflheimr c’era Muspellheimr, luogo lucente e caldo e il suo sovrano Sutr (un

gigante di fuoco) avrebbe vinto gli dèi grazie alla sua spada fiammeggiante e

bruciato tutto il mondo54

. Accadde che la spuma velenosa che si trovava sulla

superficie degli Elivágar divenne ghiaccio e il vento caldo proveniente da Muspell lo

fece sciogliere. Il ghiaccio prese a gocciolare sul Ginnungagap e dalle gocce ebbe

origine la vita: il gigante Ymir, progenitore di tutta la sua stirpe. Egli era nutrito dal

latte di una mucca, creatasi anch’essa dal gocciolare della brina velenosa:

Auðhumbla. Questa, per sfamarsi, leccò delle pietre ghiacciate: dopo il primo giorno

vennero fuori dei capelli, dopo il secondo una testa e al terzo una persona intera. Il

suo nome era Buri e fu il progenitore i primi tra gli dèi: Odino, Vili e Vé, figli di

Borr e nipoti di Buri. Loro tre uccisero il gigante Ymir e affogarono nel suo sangue

tutta la stirpe dei giganti, ma uno riuscì a salvarsi, insieme alla sua famiglia,

costruendo un’imbarcazione. Questo era Bergelmir e da lui ebbe origine la nuova

stirpe dei giganti della brina. I figli di Borr presero il corpo di Ymir e dalla sua carne

formarono la terra, dalle ossa le rocce, dal sangue i mari e le acque. I vermi presenti

nella carne del gigante divennero nani e gli dèi decisero di dargli parola e intelletto55

.

Diedero alla terra una forma circolare e all’esterno la circondarono con un mare

profondo, che la proteggeva dai giganti. Per il mondo che fu degli uomini, Miðgarðr,

venne costruita un’ulteriore protezione con le ciglia di Ymir. Alle scintille

53

Chiesa Isnardi, Edda di Snorri, Gylfaginning, 4, p. 64.

54 P. Scardigli, Il canzoniere eddico (Milano: Garzanti, 2004), Profezia della veggente, str. 52, p. 13.

55 Si veda il paragrafo 2.3.

19

provenienti da Muspell fu dato posto nel cielo (fatto con il cranio del gigante

primordiale), ma né il sole né la luna conoscevano la loro funzione, così gli dèi

tennero un consiglio e diedero nome alle fasi lunari, alla notte e al giorno e da allora

si iniziarono a contare i giorni.

Tutto l’universo era retto dal grande albero cosmico detto Yggdrasill, così come

recita la völva (l’indovina) nella Völuspá:

So che un frassino s’erge, Yggdrasill lo chiamno

alto tronco lambito da limpide acque

di là vengono rugiade che piovono nelle valli.

S’erge, verde, sopra la sorgente di Urdhr56

La sorgente di Urdhr (la fonte del destino) era vicino ad una delle tre possenti radici

di Yggdrasill che sostenevano il mondo. Una passava da Miðgarðr giungendo sino al

mondo degli dèi e lì dimoravano tre fanciulle: le norne che avevano il compito di

stabilire il destino degli uomini57

. Le ‘limpide acque’ di cui parla l’indovina

venivano cosparse dalle norne insieme all’argilla sui rami del frassino, per evitare

che seccassero e marcissero. Un’altra delle radici dell’albero cosmico penetrava in

Jötunheimr, la terra dei giganti della brina e arrivava alla ‘fonte di Mimir’. Qui si

celavano sapienza e conoscenza: colui che attingeva alla sorgente era il gigante

Mimir e per questo motivo era pieno di saggezza.

56

Scardigli, Il canzoniere eddico, Profezia della veggente, str. 19, p. 53.

57 Le norne sono annoverate tra gli esseri sovrannaturali. G. Chiesa Isnardi, I miti nordici (Milano:

Longanesi, 2012), pp. 303-304; cfr. paragrafo 2.2.5.

20

Il frassino Yggdrasill (XVII sec.). Dal manoscritto AM 738 4°, Edda oblongata

58.

58

Il manoscritto è detto Edda oblongata poiché è formato da pagine in quarto, lunghe e strette, lungo

le quali i disegni si sviluppano necessariamente in senso verticale. È oggi custodito nella biblioteca

dell’Istituto Árni Magnússon di Reykjavík. La versione on line dell’ Edda oblongata è visualizzabile

21

La terza radice finiva in Niflheimr e sotto di essa vi era il serpente Niðhöggr, il quale

mordeva costantemente la radice insieme a molti altri serpenti59

. Altri animali

abitavano Yggdrasill: un’aquila stava appollaiata in cima ai rami e possedeva molta

saggezza, aveva un piccolo falco tra gli occhi di nome Veðrfölnir; uno scoiattolo di

nome Ratatoskr correva su e giù lungo il tronco dell’albero riferendo gli insulti che si

scambiavano tra loro l’aquila ed il serpente; quattro cervi (Dáinn, Dvalinn, Duneyrr e

Duraþrór) saltavano tra i rami del frassino e ne brucavano le foglie.

Il nome del frassino Yggdrasill è riconducibile al composto ‘cavallo

(metaforicamente forca) di Yggr’60

: si allude in tal senso al racconto mitologico di

Yggr (uno dei tanti appellativi di Odino) che, per ottenere i segreti delle magiche

rune, dovette compiere un sacrificio iniziatico, ossia appendersi per nove giorni a

testa in giù ai rami del frassino.

2.2 LE STIRPI DIVINE: GLI ASI E I VANI

Nella mitologia scandinava gli dèi erano divisi in due gruppi: gli Asi (an: Æsir) e i

Vani (an: Vanir). Gli Asi vivevano in una terra chiamata Ásaheimr, in cui costruirono

una città di nome Ásgarðr (recinto degli Asi) posta al centro del mondo, come ci dice

Snorri nel Gylfaginning: “Þar næst gerðu þeir sér borg í miðjum heimi er kallaðr er

Ásgarðr.” , “Poi costruirono per sé stessi, nel centro del mondo, una rocca che fu

chiamata Ásgarðr.”61

. La città era in verità una fortezza celeste, costruita dagli dèi

per difendersi dai giganti. Vi si accedeva grazie al ponte arcobaleno Bifröst62

, il

quale rappresentava la via tra terra e cielo e dove il rosso era fuoco che ardeva per

tenere lontani i giganti. Ásgarðr era piena di luoghi splendenti e sacri, palazzi

magnificenti e templi dedicati agli dèi. Questa fortezza si trovava in uno dei tre cieli:

tramite il link http://abdn.ac.uk/skaldic/db.php?table=mss&id=338&if=default e l’immagine è il folio

<44 r>.

59 La descrizione delle radici di Yggdrasill e degli animali che vivono su di esso si trova in Scardigli,

Il canzoniere eddico, Canzone di Grimnir, str. 31-35, p. 65.

60 Chiesa Isnardi, I miti nordici, p. 252.

61 Chiesa Isnardi, Edda di Snorri, Gylfaginning, 9, pp. 72-73.

62 Ibid. 13, pp. 77-78. In Scardigli, Il canzoniere eddico, Canzone di Grimnir, str. 44, p. 67 il ponte

viene chiamato Bilröst e definito come il migliore tra i ponti.

22

al di sopra del primo, verso meridione, esisteva un altro cielo di nome Andlangr e

ancor più in alto un terzo detto Viðbláinn, il quale era quello supremo. In questo

cielo vi era un luogo che alla fine del mondo, spazzati via il cielo e la terra, avrebbe

resistito al fuoco distruttore: il suo nome era Gimlè, abitato soltanto dagli elfi63

.

Mentre gli Asi si stabilivano nelle loro fortezze celesti, un’altra stirpe divina

sceglieva di vivere a contatto con gli eterni cicli della terra: i Vani. Riguardo ai Vani

non si può dire molto: non si conosce la loro discendenza, né chi fossero i loro

sovrani. Vivevano in una remota terra chiamata Vanaheimr, la cui localizzazione è

incerta, anche se pare si trovasse a occidente di Ásaheimr64

.

[…] scorre in Svíþjóð un fiume che correttamente si chiama Tanais

(anticamente questo era detto Tanakvísl o Vanakvíls); esso sfocia in mare

nello Svarahaf. Presso Vanakvísl era la terra detta Vanaland o Vanaheimr.

Questo fiume divide le tre regioni del mondo: ad est c’è Asíá ad ovest

Európá. 65

Il popolo misterioso dei Vani era esperto in pratiche magiche, di cui erano

depositarie soprattutto le donne. Quella dei Vani era una società chiusa in sé stessa,

gelosa delle proprie caratteristiche e peculiarità. Era comune presso di loro la pratica

dell’incesto e non era raro che venissero celebrati matrimoni tra fratelli66

. I Vani

rappresentavano comunque le divinità che presiedono alla fecondità e alla prosperità.

L’opposizione agli Asi appare là dove essi vengono caratterizzati come appartenenti

alla terra, mentre gli Asi sono più propriamente i signori del cielo. Questa distinzione

è evidente nell’episodio in cui si dice che alcuni Vani guardavano dal basso la dea

Gná (dea degli Asi) mentre cavalcava nell’aria67

.

Le due stirpi divine vivevano in pace, ma vi fu un tempo in cui Asi e Vani si

diedero battaglia. Così come racconta la völva:

63

Chiesa Isnardi, Edda di Snorri, Gylfaginning, 17, pp. 87-89.

64 Si veda l’interpretazione di Scardigli, Il canzoniere eddico, p. 343; cfr. paragrafo 2.5.

65 Chiesa Isnardi, Leggende e miti vichinghi, Ynglinga saga, pp. 79-80. Svíþjóð è la Scizia, anche se

Snorri si riferirà ad essa nel corso dell’opera anche come Svezia; il fiume Tanais è il Don; Vanaland è

la terra dei Vani e Vanaheimr il Paese dei Vani.

66 Chiesa Isnardi, I miti nordici, pp. 135 e 276.

67 R. Much, Die Germania des Tacitus (Heidelberg: C. Winter, 1967), p. 40, citato in Chiesa Isnardi, I

miti nordici, p. 276.

23

Saettava Odino e dava colpi nella mischia:

era quello lo scontro primo nel mondo;

infranto il riparo di legno della città degli Asi

minacciosi poterono i Vani porre sul campo il piede.68

Tutto avvenne a causa di una donna della stirpe dei Vani, una strega di nome

Gullveig, la quale si era introdotta in Ásaheimr allo scopo di portarvi cupidigia e

corruzione. Per porre fine al comportamento della strega, gli Asi la catturarono, la

uccisero e la arsero, ma quella rinacque. L’aggressione contro Gullveig scatenò l’ira

dei Vani e la guerra tra le due stirpi divine. Alla fine fu raggiunta una tregua e i Vani

mandarono fra gli Asi i più eminenti tra di loro: Njörðr e i suoi figli Freyr e Freyja.

Gli dèi di Ásgarðr mandarono il dio di nome Hœnir, con il quale partì anche Mimir.

Hœniri fu eletto capo, ma demandava le scelte sempre ad altri, così i Vani

sospettarono che gli Asi li avessero ingannati: decapitarono Mimir e mandarono la

testa agli Asi. “È detto che Odino conserverà la testa di Mimir fino all’ultimo giorno,

quando essa proferirà per lui parole di saggezza”69

.

Il mito della guerra tra gli Asi e i Vani potrebbe essere il riflesso deformato di

antichi avvenimenti storici autentici: la lunga migrazione di un popolo secondo un

itinerario preciso, dal nord del Mar Nero alla Scandinavia e la lotta tra due popoli che

adoravano l’uno gli Asi e l’altro i Vani. Questa lotta (confondendo gli dèi e i loro

adoratori) si era conclusa con un compromesso, una fusione. I protagonisti di questo

grande duello storico, poi leggendario e infine mitico, sarebbero i rappresentanti di

due culture che – grazie a scavi archeologici – possiamo identificare: il popolo dei

megaliti e quello delle asce da guerra70

.

68

Scardigli, Il canzoniere eddico, Profezia della veggente, str. 24, p. 9.

69 Chiesa Isnardi, I miti nordici, p. 87.

70 Secondo E.A. Philippson, Die Genealogie der Götter in Germanischer Religion, Mythologie und

Theologie (Urbana: University of Illinois Press, 1953), p. 19, la dualità degli Asi e dei Vani potrebbe

riguardare due termini complementari di una stessa struttura ideologica unitaria, di cui l’uno

presuppone l’altro e che sono stati portati entrambi, già articolati, dagli Indoeuropei; cfr. O. Höfler,

Kultishe Geheimbünde der Germanen (Frankfurt: Moritz Diesterweb, 1934), p. 295. Testi citati in G.

Dumézil, Gli dèi dei germani (Milano: Adelphi, 1974), pp. 27-28.

24

2.2.1 ODINO

Odino (an. Oðinn) è il padre di tutti gli dèi, ecco perché è spesso detto Allföðr, cioè

‘Padre di tutti’. È la figura eccellente del mondo nordico, quella in cui meglio si

incarna il concetto di assoluto. Insieme ai suoi fratelli, Vili e Vè, creò il mondo dal

gigante primordiale e divenne re fra gli Asi. Il simbolo della sua regalità è l’anello

d’oro Draupnir donatogli dai nani71

: da esso sarebbero gemmati ogni nove notti altri

otto anelli d’oro di egual peso. Un altro oggetto magico posseduto dal dio è la lancia

Gungnir, anch’essa come Draupnir donatagli dai nani, con la quale scatenò la prima

guerra del mondo. È interamente d’oro e il suo potere è quello di non mancare mai il

bersaglio. Odino è il dio della magia, acquisita grazie ad un sacrificio iniziatico: egli

si appese per nove notti all’albero Yggdrasill, così come dice l’Hávamál72

:

Lo so che sono stato appeso al tronco scosso al vento

nove intere notti,

da una lancia ferito e sacrificato a Odino,

io a me stesso,

su quell’albero che nessuno conosce

dove dalle radici s’erga. 73

Grazie alla magia, di cui espressione sono in parte le rune74

, Odino può lasciare il suo

corpo in uno stato di trance simile al sonno o addirittura alla morte e assumere

qualsiasi altro aspetto. Come mago, egli è padrone dei canti magici (galdrar) e dei

canti poetici75

(ljóð). La sua potenza magica è sottolineata da diversi appellativi, i

71

Chiesa Isnardi, I miti noridici, p. 93.

72 Carme incentrato sulla figura di Odino; Cfr. paragrafo 1.3, nota 23.

73 Scardigli, Il canzoniere eddico, Canzone dell’eccelso, str. 138, p. 40.

74 Ibid., str. 139. Le rune sono l’essenza stessa della sapienza di Odino e nella Profezia della veggente,

str. 60, vv. 4-6, p. 15, vengono ricordate per dare vita a nuovo ciclo di vita insieme agli dèi

sopravvissuti al Ragnarök “E si rammentano là/di grandi imprese/e delle antiche rune/ di Fimbultýr”.

Fimbultýr (dio terribile) è uno degli epiteti di Odino. Le rune sono potenti sia nel bene sia nel male, in

base all’utilizzo di chi le conosce. L’origine dei segni runici è tuttora incerta, essi potrebbero essere

pervenuti al mondo germanico dall’area nord-etrusca. Chiesa Isnardi, I miti nordici, pp. 100-104 e pp.

111-112.

75 Nel mondo nordico cantare significa praticare magia: il canto è un momento fondamentale del

processo creativo; cantare significa essere padrone dei ritmi che generarono ogni cosa. Si veda Chiesa

Isnarsi, I miti nordici, pp. 104-105.

25

quali servono anche a celare l’identità terribile del dio. Egli è, infatti, buono e

malvagio allo stesso tempo: dio della vita e dei morti. Come dio dei morti è sovrano

dei caduti in battaglia: il destino dei guerrieri è già predestinato e sono le Valchirie,

figlie e servitrici di Odino, che scelgono i condottieri e li conducono nella Valhöll

(Valhalla) e lì viene formato l’esercito degli Einherjar. La Valhöll è un luogo assai

maestoso: i suoi pilastri sono aste di lancia, sul tetto, al posto delle tegole, vi sono

scudi, le panche sono cosparse di corazze. Le Valchirie servono da bere birra e

idromele, il quale scorre dalle mammelle della capra Heiðrun. Gli Einherjar si

nutrono anche della carne del maiale Sæhrimnir, che ogni giorno torna intero,

benché i guerrieri se ne cibino sempre. Odino dà la carne che gli spetterebbe ai suoi

lupi Geri e Freki, poiché per lui è sufficiente il vino. Possiede anche due corvi,

Huginn e Muninn, i quali girano per il mondo durante il giorno e tornano per il pasto

raccontandogli ciò che hanno visto e udito.

Odino è conosciuto anche come il dio monocolo, lasciando il suo occhio come

pegno dopo aver bevuto dalla fonte di Mimir che dava grande saggezza. L’essere

guercio è il marchio del suo sapere soprannaturale; significa aver concentrato in un

solo occhio il potere magico della fascinazione e l’essenza terrificante dell’essere:

tale mutilazione, inoltre, elimina il rischio di una vista sdoppiata e perciò falsata. Egli

è anche dio della poesia, poiché rubò l’idromele al gigante Suttunngr76

e nella saga

degli Yngligar è detto di lui che parla sempre in versi77

.

Nell’interpretatio romana78

Odino viene identificato con il dio Mercurio. I due, in

effetti, hanno diverse caratteristiche comuni: sono entrambi dotati di magnifica

eloquenza, sono spesso in viaggio79

ed, inoltre, i talari ed il caduceo di Mercurio

ricordano i lunghi calzari e la bacchetta magica del dio germanico. L’equazione

76

Sull’arte poetica e di come Odino ottiene l’idromele di veda Chiesa Isnardi, Edda di Snorri, Arte

poetica, pp. 165-170.

77 Chiesa Isnardi, Leggende e miti vichinghi, p. 87.

78 Tacito, Germania, capitolo 9. Citato in Chiesa Isnardi, I miti nordici, p. 255, nota 115.

79 Odino era spesso assente dal suo regno. Una volta i suoi fratelli Vili e Vè approfittarono della sua

assenza per giacere con sua moglie Frigg. L’episodio viene ricordato in Scardigli, Il canzoniere

eddico, Insulti di Loki, str. 26, p. 110.

26

Odino/Mercurio viene testimoniata anche nel giorno del mercoledì a loro dedicato:

an. Óðinsdagr; anglosassone Wodensdæg; ingl. Wednesday80

.

2.2.2 TYR

Odino non è l’unico dio mutilato. Un’altra mutilazione famosa nel pantheon norreno

è quella del dio Tyr (an. Týr), protagonista nella vicenda dell’incatenamento del lupo

Fenrir. Il lupo (figlio di Loki)81

era stato portato ad Ásgarðr, ma poiché cresceva

giorno dopo giorno nessuno osava avvicinarsi per nutrirlo, tranne Tyr. Considerando

che tutte le profezie ritenevano il lupo essere causa della sciagura degli dèi, questi

decisero di incatenarlo. Tacendo il loro intento, sfidarono Fenrir a provare la sua

forza proponendogli si spezzare delle catene. Il lupo accettò la sfida ed essendo

molto forte spezzò ben due catene. Gli dèi, preoccupati, fecero costruire dai nani una

catena magica (Gleipnir) che era impossibile da spezzare. Fenrir accettò di sottoporsi

anche a questa prova, pur avendo capito ormai di esser stato ingannato, ma chiese

una garanzia: uno degli dèi avrebbe dovuto mettere la propria mano tra le sue fauci

lasciandosela mozzare nel caso in cui non fosse riuscito a spezzare la catena 82

.

Snorri usa spesso espressioni che sottolineano il valore e il coraggio di Tyr, come

“valoroso come Tyr” e “saggio come Tyr”83

. Se i guerrieri vogliono ottenere il

trionfo in battaglia devono invocare due volte questo dio e incidere le rune della

spada84

.

A differenza di Odino, dio del furore in battaglia, Tyr si configurerebbe proprio

come dio della guerra. Infatti, l’interpretatio romana fa corrispondere Tyr a Mars

(Marte, noto dio della guerra) e un’iscrizione sul vallo di Adriano, presso

Housesteades in Gran Bretagna, risalente all’inizio del III secolo, lo qualifica come

80

B. Vignola, ‘La Religione degli Antichi Germani’, in Storia delle Religioni, II, ed. P. Tacchi

Venturi (Torino: Unione Tipografico-Editore Torinese, 1939), p. 15.

81 Su Loki si veda il paragrafo 2.2.4.

82 Di Fenrir si narra in Chiesa Isnardi, Edda di Snorri, Gylfaginning, 34, pp. 103-108.

83 Chiesa Isnardi, Edda di Snorri, Gylfaginning, 25, p. 99.

84 Ci si riferisce alla runa ↑ germ. *tiwaz: la si ritrova con una certa frequenza nell’iconografia

(bratteate, su cui compare anche il nome del dio, e armi). Chiesa Isnardi, I miti nordici, p. 217. Si veda

anche Scardigli, Il canzoniere eddico, Canzone di Sigdrifa, str. 6, p. 221.

27

Þingsus85

. Questo appellativo va senza dubbio collegato al termine nordico þing

‘assemblea’ ed essendo Tyr il dio che presiedeva all’alþingi, era anche dio del diritto.

Sebbene diritto e guerra sembrino essere due concetti in contrapposizione, bisogna

tener conto del fatto che, dal punto di vista germanico, non vi è contraddizione tra

l’essere ‘dio della guerra’ e ‘dio del diritto’.

La guerra, infatti, non è soltanto la mischia sanguinosa del

combattimento, ma una decisione ottenuta tra le due parti combattenti e

garantita da precise regole di diritto: il giorno e il campo di battaglia, per

esempio, sono fissati in anticipo86

.

L’associazione del dio Tyr con Marte è anche suffragata dalla traduzione del giorno

‘martedì’, che in antico nordico è Týsdagr, in inglese moderno Tuesday, in tedesco

moderno Dienstag87

. Il nome del dio, che come sostantivo significa ‘dio’, risale

all’indoeuropeo *DÉIWOS ‘dio’88

e suggerisce che il suo culto fu probabilmente

antecedente a quello di Odino, ma vide decadere la propria importanza a favore del

lato magico e oscuro di quest’ultimo. In effetti Tyr è detto da Snorri “figlio di

Odino” “[…]son Óðins”89

, cosa che testimonia la netta supremazia dell’uno

sull’altro.

2.2.3 THOR

Thor (an. Þórr) è un dio assai amato e venerato, tanto che il suo culto era

probabilmente più diffuso di quello di Odino. In queste due figure sono incarnati

verosimilmente due diversi atteggiamenti nei riguardi della vita e quindi della

religione: Thor è il dio della comunità contadina, il garante protettore della stabilità

sociale e della continuità della stirpe; Odino si pone invece come il dio

dell’individuo, colui al quale rivolgono il proprio culto e la propria venerazione

85

Dumézil, Gli dèi dei germani, p. 83.

86 Ibid., pp. 83-84.

87 Vignola, ‘La Religione degli Antichi Germani’, p. 13.

88 Chiesa Isnardi, I miti nordici, p. 218.

89 Skáldskaparmál, 16 [Kenningar per Tyr]. Traduzione a cura di Stefano Mazza.

http://bifrost.it/GERMANI/Fonti/EddaSnorri-3.html#16

28

cerchie particolari di uomini e di guerrieri90

. Il culto di Thor rispecchia per molti

versi la mentalità e la tradizione della Sippe, mentre, in maniera opposta, il culto di

Odino incarna il modello dei componenti del comitatus (gruppo di guerrieri, detti

comites, che combattono per il princeps secondo un patto di alleanza inscindibile).

La competizione con il culto di Odino è anche testimoniata dalla descrizione di

Adamo da Brema del tempio di Uppsala in Svezia, in cui Thor è in posizione

centrale, mentre Wotan (Odino) e Fricco (probabilmente Freyr) stanno

rispettivamente alla sinistra e destra del dio.

Odino, Thor e Fricco91

In questo tempio, che è interamente decorato in oro, il popolo adora le

statue di tre dèi: al centro della sala ha il suo trono Thor, il più potente di

loro, a destra e a sinistra hanno posto Wotan e Fricco.

Uno degli aspetti più importanti della descrizione di Adamo riguarda le varie

funzioni che egli assegna a questi tre dèi: Thor, che tiene in mano uno scettro –

probabilmente una identificazione sbagliata con il martello Mjöllnir che il dio

90

Chiesa Isnardi, I miti nordici, pp. 228 e 249.

91 Immagine tratta M. Trogilli Arnkiels, Cimbrische Heyden-Religion (Hamburg: Von Wiering, 1702),

p. 91. Visualizzabile on line su http://diglib.hab.de/wdb.php?dir=drucke/hq-2-1. Consultato

08/06/2013.

29

brandisce effettivamente, secondo i racconti mitologici, quando combatte contro i

suoi nemici giganti92

– governa sul clima, e a lui bisogna votarsi quando

incombevano carestie o malattie; Odino, raffigurato con le armi, supporta i guerrieri

e viene invocato quando incombe una battaglia; Fricco è connesso alla pace e al

piacere dei sensi93

, ha il potere di consacrare i matrimoni94

.

Thor, descritto come un uomo alto e bello dalla barba rossa, difende gli dèi dai

giganti grazie al suo martello magico Mjöllnir donatogli dai nani: per impugnarlo ha

bisogno di speciali guanti di ferro. Mjöllnir ha il potere di non mancare mai il

bersaglio e tornare sempre indietro dal suo padrone. Produce folgori accompagnate

da assordanti tuoni95

, i quali sono provocati dal passaggio nel cielo del carro del dio

trainato da due capri: ecco perché Thor viene anche chiamato Ökuþórr, ‘Thor del

carro’. Nel folklore della Svezia orientale restano espressioni quali ‘asen kör’, ossia

‘il dio (ase) guida il carro’ per intendere che tuona96

.

Nell’interpretatio romana Thor venne prima identificato con Ercole per la forza e

in seguito con Giove, poiché come lui era dio del tuono e del fulmine. Il suo culto

viene ricordato, infatti, il giovedì: an. Þorsdagr; ags Þunoresdæg; inglese Thursday;

tedesco Donnerstag97

.

2.2.4 BALDR E LOKI

Oltre alle divinità principali troviamo altre divinità non meno importanti. Baldr

rappresenta il mite e giusto dio della purezza e dell’innocenza, il martire del destino

fatale, la cui vita è indissolubilmente legata alla felicità degli dèi, poiché la sua morte

è il triste preludio alla fine del mondo degli Asi. Figlio di Odino e di sua moglie

92

Adamo di Brema, Storia degli arcivescovi della chiesa di Amburgo, ed. I. Pagani (Torino: UTET,

1996), p. 470, nota 2.

93 Ibid., p. 471, nota 4. L’ idolo di Fricco è spesso effigiato con un grosso fallo. Il collegamento di

Fricco con Freyr è testimoniato dagli amuleti che raffigurano il dio dei Vani con un fallo prominente.

94 Adamo di Brema, Storia degli arcivescovi della chiesa di Amburgo, pp. 470-471; P. Orton, ‘Pagan

Myth and Religion’, in A Companion to Old-Norse-Icelandic Literature and Culture, ed. McTurk, pp.

302-324, p. 305.

95 Chiesa Isnardi, I miti nordici, p. 265, nota 15.

96 Ibid., p. 226.

97 Vignola, ‘La Religione degli Antichi Germani’, p. 17.

30

Frigg, Baldr è presentato da Snorri come il migliore fra gli dèi, bello d’aspetto e

luminoso, saggio ed eloquente, amato da tutti gli uomini98

. Il mito principale che lo

riguarda è quello della sua morte che è “la chiave di volta della storia del mondo” 99

.

La sua scomparsa è stata provocata da Loki: Baldr viene colpito a morte da un

rametto di vischio scagliato dal cieco Höðr su istigazione di Loki100

. Costui,

catturato dagli dèi, deve attendere la fine del mondo incatenato a tre massi con le sue

stesse viscere. Vi è un serpe velenoso sopra si lui e quando lascia gocciolare il suo

veleno sul volto di Loki, egli si scuote con tale violenza da provocare i terremoti101

.

Il carattere di Loki è segnato da una profonda ambivalenza apparentemente

insanabile, poiché soccorre gli dèi in situazioni difficili (che spesso ha causato lui

stesso), ma è anche un demone nemico dell’ordine cosmico. Questa sua natura risalta

in molte circostanze, specialmente nel carme eddico Lokasenna (Insulti di Loki), in

cui scaglia sugli dèi riuniti a banchetto una serie di pesanti ingiurie102

. Possiede la

capacità di trasformarsi in numerosi animali grazie alla conoscenza e pratica della

magia. È un dio malvagio estremamente astuto e intelligente, nonché di bell’aspetto,

e da lui discende la progenie che distruggerà il mondo. Egli infatti generò tre figli

con la gigantessa Angrboða: Hel, la guardiana del regno delle tenebre; il serpente di

Miðgarðr; Fenrir, il lupo nemico degli dèi103

. Alla fine del mondo Loki si libererà e

guiderà le forze del male alla battaglia contro di dèi.

2.2.5 NJÖRÐR, FREYR E FREYJA

Alla fine della guerra tra le due stirpi divine Njörðr, Freyr e Freyja andarono fra gli

Asi, poiché erano le divinità eccellenti fra i Vani. Raggiunsero pari dignità

all’interno della comunità divina che risiedeva ad Ásgarðr divenendo protettori della

98

Chiesa Isnardi, Edda di Snorri, Gylfaginning, 22, pp. 93-96.

99 Dumézil, Gli dèi dei germani, p. 112.

100 Sul mito della morte di Baldr si vedano Chiesa Isnardi, I miti nordici, pp. 155-160; Scardigli, Il

canzoniere eddico, Profezia della veggente, str. 31-33, p. 10.

101 Chiesa Isnardi, I miti nordici, p. 247; si veda anche p. 162.

102 Scardigli, Il canzoniere eddico, Insulti di Loki, pp. 103-118.

103 Sui figli di Loki si veda Chiesa Isnardi, Edda di Snorri, Gylfaginning, 34, p. 103-108; Chiesa

Isnardi, I miti nordici, pp. 63-66; cfr. paragrafo 2.2.2.

31

fecondità e della vita104

. Njörðr è il padre di Freyr e Freyja, che ha concepito con la

propria sorella, secondo un costume frequente tra i Vani105

. Egli governa il vento, il

mare e il fuoco: è il dio che si deve invocare per i viaggi in mare e per la pesca

abbondante. Il suo rapporto con il mare è così stretto che per questa causa fallì il

matrimonio con la gigantessa Skaði. Skaði era abituata a vivere nelle montagne, in

Þrymheimr, ma Njörðr non le sopportava, così raggiunsero il compromesso di abitare

nove notti tra le montagne e nove notti in mare. L’accordo non durò a lungo perché il

dio non sopportava l’ululato dei lupi, così si separarono.

Il culto di Njörðr deriverebbe da quello della dea Nerthus, venerata da un gruppo di

germani, gli Anglii, che erano stanziati lungo le coste del mar Baltico. Si credeva che

Nerthus abitasse un’altura sacra su un’isola danese, sebbene lei non fosse sempre lì;

solo i sacerdoti che si curavano di lei nel tempio potevano dire quando era presente.

La dea veniva periodicamente portata in processione nel paese su un carro trainato da

tori. Il suo procedere era accompagnato dalla pace e dalla deposizione di tutte le

armi. Alla fine del suo percorso Nerthus veniva lavata in un lago dagli schiavi, i quali

venivano annegati, e in seguito custodita nuovamente nel suo tempio insieme a tutto

ciò che era a lei legato106

.

Freyr, figlio di Njörðr, è il dio che governa la pioggia o fa spendere il sole per la

fecondità della terra, ma è anche il dio della crescita delle ricchezze degli uomini107

.

Secondo Snorri, Freyr sarebbe il progenitore della stirpe degli re svedesi detta degli

Ynglingar (discendenti di Yngvi, appellativo del dio)108

. Il mito più noto relativo al

dio Freyr è quello del suo innamoramento e delle nozze con la gigantessa Geðr. Freyr

riuscì a corteggiarla solo grazie all’aiuto del proprio servitore Skírnir, il quale,

tuttavia, volle in cambio la spada del dio109

. Fu un grave errore da parte di Freyr

104

Chiesa Isnardi, Edda di Snorri, Gylfaginning, str. 23-24, pp. 96-99; Chiesa Isnardi, I miti noridici,

p. 277.

105 Chiesa Isnardi, Leggende e miti vichinghi, p. 83.

106 Orton, ‘ Pagan Myth and Religion’, p. 303.

107 Chiesa Isnardi, Edda di Snorri, Gylfaginning, 24, p. 98.

108 Si veda il paragrafo 1.3.

109 Chiesa Isnardi, Edda di Snorri, Gylfaginning, 37, pp. 112-114.

32

quello di cedere la spada, poiché durante il Ragnarök egli avrebbe lottato contro Sutr,

il gigante di fuoco, e soccomberà110

.

Infine Freyja, assunta anch’essa con pari dignità fra gli Asi, insegna per prima la

magia agli dèi111

. La sua dimora si chiama Fólkvangr (campo del popolo), là ella

sceglie ogni giorno la metà dei caduti in battaglia, dato che l’altra metà spetta di

diritto a Odino112

. Alla connessione con la battaglia è dovuto il fatto che possiede un

travestimento da falco113

, tipico animale da battaglia. La sua funzione principale è

quella di dea della fecondità. Non solo fa parte della stirpe dei Vani, ma è anche detta

dea dell’amore: Loki la accusa di aver giaciuto con tutti gli dèi e persino con suo

fratello114

; è connessa ad animali prolifici o sensuali, ma i suoi prediletti sono i gatti

(due tirano il suo carro)115

, animali connessi all’arte magica, arte cui sono legate

anche pratiche oscene116

.

2.3 GLI ESSERI SOPRANNATURALI: VALCHIRIE, NORNE, ELFI, NANI E

GIGANTI.

Insieme ai numerosi dèi che costituiscono il pantheon nordico vi sono altri esseri

soprannaturali, divini o semidivini, un po’ in ombra rispetto ai culti tradizionali.

Le valchirie, ad esempio, sono le dee che stabiliscono il destino degli eroi in

battaglia, tramite ordine di Odino. Il nome di questa stirpe deriva dal nordico

valkyrja , ‘[colei che] sceglie i caduti’117

. Per la loro qualità di divinità guerriere

appaiono armate a cavallo dei loro destrieri, sanno cavalcare nell’aria e sull’acqua.

Odino insegna loro le rune e le valchirie possono trasmetterle a un eroe se lo

110

Chiesa Isnardi, Edda di Snorri, Gylfaginning, 51, pp. 147-153; Scaridigli, Il canzoniere eddico,

Profezia della veggente, str. 53, p. 13.

111 Chiesa Isnardi, Leggende e miti vichinghi, pp. 81-83.

112 Chiesa Isnardi, Edda di Snorri , Gylfaginning, 24, p. 98; Scardigli, Il canzoniere eddico, Canzone

di Grímnir, str. 14, p.62.

113 “[…] se Freyja gli avesse prestato il suo travestimento da falco”: Chiesa Isnardi, Edda di Snorri ,

Arte poetica, pp. 163.

114 Scardigli, Il canzoniere eddico, Insulti di Loki, str. 30-32, pp. 110-111.

115 Chiesa Isnardi, Edda di Snorri , Gylfaginning, 24, p. 98.

116 Chiesa Isnardi, I miti nordici, pp. 571-572.

117 Ibid., p. 307.

33

desiderano. Alcune di loro sono ricordate come protettrici di un eroe particolare: la

valchiria Brunilde che si innamora di Sigurðr o anche Sigrún che potregge l’eroe

Helgi118

.

La valchiria è, quindi, dea del destino, ma solo per il guerriero e per l’eroe; per

questo si manifesta come incarnazione della battaglia. Una volta condotti gli eroi

nella Valhöll, le valchirie servono loro birra e idromele durante i banchetti e sono al

servizio di Odino.

Le vere dee del destino sono le norne, incarnazione di un fato superiore e

ineluttabile. Il mito conosce norne buone e norne cattive, dal cui volere dipende la

sorte degli uomini. Alle norne alludono diversi passi della poesia eddica e

scaldica119

, nei quali ci si riferisce prevalentemente a norne ostili che stabiliscono un

destino di sfortuna e di morte; tuttavia è ricordato anche che le norne accorrono alla

culla di un eroe per preparargli una sorte felice. Le norne appaiono come un gruppo

numeroso di divinità dal carattere indistinto, ma Snorri, così come la Völuspa, parla

di tre di esse in particolare, che hanno dimora accanto alla fonte del destino,

Urðarbrunn. I loro nomi sono Urðr ‘il destino stesso’, Veðandi ‘ciò che diviene’,

Skuld ‘debito’120

. L’interpretazione di queste figure come immagine del passato, del

presente e del futuro non pare molto lontana dal vero: si recano presso ogni nuovo

nato per deciderne la sorte121

.

Norne e valchirie, divinità femminili, possono essere ricondotte a quel gruppo di

esseri sovrannaturali che ha nome dísir. Le dísir possono apparire come dee della

fecondità. Sebbene nelle fonti manchi un’indicazione precisa della loro funzione, il

significato di queste divinità va cercato nell’ambito del concetto di Sippe, delle sue

necessità e del suo funzionamento122

. I riti in loro onore avevano luogo a metà

ottobre circa, periodo in cui cadevano di regola i sacrifici alle divinità della

118

I personaggi sono contenuti all’interno dei carmi eddici. Si veda Scardigli, Il canzoniere eddico,

pp. 10-11 per la suddivisione dei carmi; si veda anche Scardigli, Il canzoniere eddico, pp. 145-184 per

il ciclo eroico di Helgi e pp. 185-340 per il ciclo eroico di Sigurðr.

119 Chiesa Isnardi, I miti nordici, p. 304.

120 Ibid.

121 Chiesa Isnardi, Edda di Snorri , Gylfaginning, 15, pp. 82-85.

122 Chiesa Isnardi, I miti nordici, p. 301.

34

fecondità123

. Le dísir mostrano un carattere strettamente femminile: la funzione della

donna nel mondo germanico, oltre a quella di contribuire alla crescita della stirpe, era

di proteggere, anche magicamente, coloro che vi appartenevano, danneggiando

perciò i nemici. Forse incarnano le anime delle donne morte della famiglia,

configurandosi come spiriti tutelari. Ciò spiegherebbe anche il loro legame con le

pietre dette landísasteinar (per la credenza che i morti dimorino nelle rocce e nei

tumuli), così come il loro manifestarsi come valchirie che invitano l’eroe nel regno

dei morti124

.

Un culto che richiama per certi versi quello delle dísir è quello degli elfi. Spesso

questi esseri sovrannaturali, ai quali è attribuita natura divina125

, vengono interpretati

come spiriti dei morti della famiglia che garantiscono la fecondità della stirpe. Un

concetto vivo nel folklore è quello di identificare gli elfi come abitanti dei tumuli e

delle rocce, sotto terra, proprio come i morti126

. Snorri li distingue in due stirpi: gli

‘elfi chiari’ che dimorano in Álfheimr e gli ‘elfi scuri’ che vivono in

Svartálfaheimr127

.

Altri esseri che ospita la mitologia nordica sono i giganti e i nani. I giganti sono gli

esseri delle origini, i primi abitatori del mondo128

, i nemici degli dèi e al contempo i

loro progenitori. Essi simboleggiano la manifestazione e l’esuberanza delle forze

della natura e della materia, le quali, se prive della potenza ordinatrice dello spirito,

sconfinano in eccesso e travolgono anche se stesse. Per questo i giganti sono al

123

J. Kristjánsson, Víga-Glúms saga (Reykjavík: Hið íslensk fornritafélag, 1956). Citato in Chiesa

Isnardi, I miti nordici, p. 302.

124 Scardigli, Il canzoniere eddico, Primo carme di Guðrun, str. 19, v. 2, p. 240, “donna di Herjan”

(Herjan: Odino, per cui valchiria), cfr. Guðrunarkviða in fyrsta, str.19, v. 4: “Herjans dísi”

http://www.northvegr.org/old%20icelandic%20old%20english%20texts/the%20poetic%20edda%20in

%20old%20icelandic/027.html

125 Ibid, La canzone del nano onniscente, pp. 137-156, in cui Álvis (il nano) parla di Asi, Vani e elfi,

mettendoli sullo stesso piano.

126 A. Cipolla, Il racconto di Nornagestr (Verona: Fiorini, 1996), cap. 1, in cui uno spirito che appare

di notte viene definito ‘elfo’, citato in Chiesa Isnardi, I miti nordici, p. 316, nota 7. I riti a loro tributati

vengono definiti álfablot, si veda S. Caldara, ‘La rappresentazione degli elfi nella tradizione

germanica’, in Le rune: epigrafia e letteratura, ed. Dolcetti Corazza, Gendre, pp. 325-341, p. 333.

127 Sulle stirpi degli elfi si veda il III capitolo, paragrafo 3.1.

128 Si ricordi il gigante primordiale Ymir, cfr. paragrafo 2.1.

35

contempo gli esseri dai quali origina il cosmo e i demoni che lo divorano: sono

presenti alle origini del mondo, ma attendono la fine, momento in cui combatteranno

contro gli dèi. La tendenza a identificare gli elementi pericolosi e potenti della natura

nelle figure dei giganti è testimoniata da molti dei loro nomi. Snorri, infatti, riferisce

che il vento si forma per il battito delle ali di un gigante in forma d’aquila di nome

Hræsvelgr129

‘vortice veloce’; vi è anche una stirpe dei giganti del mare che ha

origine da Hlér130

‘mare’; poi vi sono i giganti del ghiaccio detti hrímþursar131

,

discendenti di Bergelmir; e ancora i giganti del fuoco che distruggeranno il mondo

insieme al gigante Sutr, il guardiano di Muspell132

. Dal momento che questa stirpe

risale alle origini stesse del mondo, i giganti sono estremamente saggi. In particolar

modo Mímir ‘colui che ricorda’, il quale dimora presso la fonte detta Mímisbrunnr in

cui è celata ogni sapienza. Gli dèi confinarono questi esseri ai confini del mondo, a

Jötunnheimr (da jötunn ‘gigante’ e heimr ‘paese’)133

, per proteggere se stessi e gli

uomini dalla loro minaccia.

I nani, dvergar, nascono (secondo il mito) dalle carni del gigante Ymir: venuti

fuori come vermi ebbero aspetto e intelligenza umana secondo il volere degli dèi134

, i

quali misero quattro di loro a sorreggere il cielo (Austri ‘Est’, Vestri ‘Ovest’, Norði

‘Nord’, Suðri ‘Sud’). Si dice che i nani temono la luce del sole poiché essa

pietrificandoli li uccide135

, ecco perché vivono sotto terra, nei tumuli. Ciò li connette

con i morti e spesso vengono confusi o identificati con gli elfi scuri. La caratteristica

principale dei nani è quella di essere fabbri abilissimi: essi hanno forgiato gli oggetti

più preziosi degli dèi136

. Oltre a possedere i segreti del metallo, i nani sono custodi di

grande saggezza. Un nano certamente assai saggio è Alvíss ‘[colui che] sa tutto’,

protagonista del carme eddico che da lui prende il nome, l’Alvíssmál. In esso il nano,

129

Chiesa Isnardi, I miti nordici, p. 318.

130 Ibid., p. 319.

131 Ibid., p. 320.

132 Chiesa Isnardi, Edda di Snorri , Gylfaginning, 4, pp. 64-66; Scardigli, Il canzoniere eddico,

Profezia della veggente, str. 52, p. 13.

133 Chiesa Isnardi, I miti nordici, p. 317.

134 Chiesa Isnardi, Edda di Snorri , Gylfaginning, 14, pp. 48-52; Scardigli, Il canzoniere eddico,

Profezia della veggente, str. 9, p. 6.

135 Scardigli, Il canzoniere eddico, Canzone del nano onnisciente, str. 35, p. 144.

136 Sugli oggetti magici fabbricati dai nani per gli dèi si veda Chiesa Isnardi, I miti nordici, pp. 92-94.

36

che chiede in sposa la figlia di Thor, viene interrogato dal dio sino alle luci dell’alba,

cosa che lo pietrificherà137

.

2.4 I NOVE MONDI

“Nove Mondi ricordo” aveva affermato l’indovina nel principiare il suo canto

profetico138

. Ella si riferiva alle nove regioni dell’universo. Su quali esse siano

esattamente, dove siano localizzate nello spazio, e come siano disposte è un

problema interpretativo:

1. Il primo dei nove mondi è Miðgarð, il ‘recinto mediano’, posto al centro

dell’universo; vi dimorano gli uomini.

2. Il secondo mondo è Ásaheimr, da dove provengono gli Asi. Vi si trova la città

di Ásgarðr, con i suoi templi e palazzi.

3. Il terzo mondo è Vanaheimr, la terra devi Vani. Anche se non si hanno dati

precisi, pare si trovi ad occidente di Ásaheimr139

.

4. Il quarto mondo è Jötunheimr, il regno dei giganti. Viene posto a oriente e a

settentrione, agli estremi del mondo: Útgarðr140

.

5. Il quinto mondo è Álfheimr. Vi dimorano gli elfi chiari, ljósálfar.

6. Il sesto mondo è Svartálfaheimr, in cui vivono gli elfi scuri, dokkálfar, gli elfi

neri, svartálfar, e i nani, dvergar.

7. Il settimo mondo è il gelido e nebbioso Niflheimr, localizzato a settentrione,

anche se a volte pare venga situato negli abissi, confuso con Helheimr141

. È

uno dei mondi più antichi e faceva parte, in origine, del Ginnungagap.

8. L’ottavo mondo è l’ardente Múspellsheimr, che pure agli inizi faceva parte

del Ginnungagap. Questa regione brucia e arde, vi dimorano i giganti di

fuoco e il suo guardiano è Sutr.

137

Scardigli, Il canzoniere eddico, Canzone del nano onnisciente, pp. 137-144.

138 Ibid., Profezia della veggente, str. 2, v. 2, p. 5.

139 Nella Saga degli Ynglingar, Snorri rappresenta sul piano umano ciò che nell’ Edda aveva descritto

sul piano divino. Colloca la terra dei Vani a occidente di Ásaheimr. Si veda Chiesa Isnardi, Leggende

e miti vichinghi, pp. 79-80.

140 Chiesa Isnardi, Edda di Snorri , Gylfaginning, 45, pp. 125-128.

141 Scardigli, Il canzoniere eddico, Canzone di Vafthrúdhnir, str. 43, v. 4-5, p. 54.

37

9. L’ultimo e nono mondo è il regno dei morti, Helheimr, la cui sovrana è Hel.

Si trova nella zona più profonda e buia dell’universo, caratterizzata da gelo,

pioggia, umidità e nebbia. Vi vanno a stare le anime di coloro che non

muoiono in battaglia.

Questi mondi/regioni sono disposti su un asse verticale e orizzontale, lungo le varie

direzioni cardinali e su un asse che va dal cielo agli inferi. Una delle interpretazioni

sul posizionamento dei nove mondi è data da Scardigli.

Rappresentazione dei nove mondi di Piergiuseppe Scardigli142

.

I nomi di questi mondi vengono continuamente citati sia nell’Edda in prosa sia nei

Carmi dell’Edda, con i nomi di varie regioni cosmiche dell’universo, senza però

venir specificati come mondi. La loro collocazione è un’ipotesi interpretativa.

142

Scardigli, Il canzoniere eddico, p. 343.

38

CAPITOLO III

GLI ELFI NELLA TRADIZIONE GERMANICA

L’analisi delle credenze sulle creature soprannaturali (elfi, nani, troll, giganti, ecc.)

nelle tradizioni d’area germanica rimane un ambito di studio alquanto complesso.

Pertanto, occorre partire dai testi e adottare un’ottica che tenga conto delle

problematiche intrinseche allo studio di una materia pagana, le cui più antiche fonti

sono dei versi composti prima dell’età della scrittura, raggiunta in Islanda soltanto

nel XII secolo. La conseguenza di ciò è un’estrema variabilità dei contenuti sia su

base sincronica sia diacronica. L’Edda poetica non ci offre un’ottica precisa né

descrizioni esaustive per comprendere chi fossero esattamente gli elfi:

il Grímnismál ci informa che la loro terra non era molto lontana da quella degli Asi

(“Sacra è la terra / che vedo estendersi / agli Asi vicina agli elfi”143

) e

dalla Lokasenna apprendiamo che partecipavano allo stesso banchetto degli dèi

(“degli Asi e degli elfi che sono qua dentro”144

). La fonte principale da cui attingere

informazioni è senza dubbio l’Edda di Snorri, il quale ci fornisce una descrizione più

dettagliata – anche se talvolta non proprio congruente o persino contraddittoria –

sulla razza degli elfi145

. Le saghe ci informano che venivano loro tributati offerte e

sacrifici, e anche del curioso uso dei marinai, appena spiaggiata l'imbarcazione a

riva, di defecare ai suoi lati per tenere lontani gli elfi146

. Non sono mai descritti, se

non nelle ballate folcloristiche, dove appaiono come esseri dal carattere leggero e

sensuale, ma assai pericolosi per gli uomini che li incontrino nei boschi.

Al fine di una maggiore chiarezza, si userà il termine ‘alfo’, proposto da Sara

Caldara147

, in riferimento alle culture germaniche più antiche (germanico *alßaz148

,

da cui anglosassone ælf, antico alto tedesco alb, antico nordico alfr e – più recente –

143

Scardigli, Il canzoniere eddico, Canzone di Grímnir, str. 4, vv.1-2, p. 61.

144 Ibid., Insulti di Loki, str. 13, v. 3, p. 108.

145 Si veda il paragrafo 3.1.

146 Si veda nota 168.

147 Caldara, ‘La rappresentazione degli elfi nella tradizione germanica’, p. 325.

148 [ß] è una fricativa bilabiale sonora [ƀ].

39

álfr) e si adopererà ‘elfo’ per le evoluzioni più moderne, proprie delle tradizioni

medievali e del folclore, seguendo l’indirizzo di Hall149

.

Analizzando le fonti più antiche è possibile postulare che lo status originario degli

alfi sia stato di carattere divino o almeno semidivino: essi sono sempre nominati

insieme agli Asi nei carmi dell’Edda150

. La caratterizzazione originaria degli alfi

aveva, di certo, una connotazione positiva, la quale è suggerita dall’etimo

strettamente connesso alla nozione di luminosità, che in ambito indoeuropeo è

riferito a figure benevole. ‘Alfo’, infatti, deriva dalla radice indoeuropea *albh-

‘essere bianco, risplendere’ confrontabile con il latino albus e con termini germanici

indicanti il cigno (antico alto tedesco albiz, e anglosassone ælbitu)151

. La nozione

etimologica si può riscontrare ancora nel termine nordico Álfheimr ‘Paese degli alfi’

che nel Grímnismál è il nome della dimora donata al dio Freyr bambino per il suo

primo dente: “la terra degli elfi / a Freyr dettero al principio dei tempi / gli dèi come

dono per il suo primo dente.”152

.

A questa rappresentazione benevola e splendente degli alfi, si contrappone quella

che li presenta come creature dispettose e malvagie. È ipotizzabile che questa

rappresentazione degli alfi sia stata favorita dalla cristianizzazione, nella cui ottica

tali creature potevano trovare posto solo come demoni153

. In quanto creature nocive,

gli alfi dovevano essere tenuti lontani: in alcuni testi islandesi come la Bárðar saga

ritroviamo l’espressione “ganga álfreka” “andare a scacciare gli alfi”, che indica

149

T. Gunnell, ‘How Elvish Were the Alfar?’, Constructing Nations, Reconstructing Myth 9 (2007),

pp. 111-130; Hall, Elves in Anglo-Saxon England, pp. 4-5.

150 Questo porterà a un’errata ipotesi di identificazione degli alfi con i Vani. Si veda paragrafo 3.1.

151 Chiesa Isnardi, I miti noridici, p. 311; Hall, Elves in Anglo-Saxon England, pp. 54-55, concorda

con Grimm, il quale considerò il biancore come segno implicante connotazioni morali positive e

accostò il termine ljósálfar di Snorri Sturluson con gli angeli di derivazione cristiana. J. Grimm,

Teutonic Mythology (Göttingen: Dieterich, 1835), cap. 2, p. 444.

152 Scardigli, Il canzoniere eddico, Canzone di Grímnir, str. 5, vv. 4-6, p. 61. Questo avvenimento,

tuttavia, non viene riferito in nessun altro testo.

153 E.O., Sveinsson, The Folk-Stories of Iceland, traduzione di B. Benedikz (London: Viking Society

for Northern Research, 2003), p. 74.

40

l’atto di defecare. I coloni arrivati in Islanda avevano defecato lungo i lati della loro

nave lasciata in secco per evitare che gli alfi vi salissero a bordo154

.

Le fonti, inoltre, riferiscono di sacrifici a loro tributati: la testimonianza dello

scaldo Sigvatr Þórðason155

riferisce di sacrificio di carattere privato tributato agli alfi

durante il periodo autunnale, di nome alfablót, quando le messi erano state raccolte:

"Gakkattu inn," kvað ekkja,

"armi drengr, en lengra.

Hræðumk ek við Óðins,

erum heiðnir vér, reiði."

Rýgr kvazk inni eiga

óþekk, sús mér hnekkði,

alfablót, sem ulfi

ótvín, í bœ sínum.

“Non entrare – disse la vedova –

Povero giovane oltre!

Temo infatti di Odino,

qui siamo pagani, la collera”.

La donna disse che dentro

–inospitale colei che mi respinse –

si stava tenendo un alfablót, come un lupo

inflessibile, nella sua fattoria.156

La Saga di Kormákr157

allude a un sacrificio fatto agli alfi per accelerare la

guarigione delle ferite:

“A hill there is,” answered she, “not far away from here, where elves

have their haunt. Now get you the bull that Kormak killed, and redden the

154

G. Vigfússon, Bárðar saga (Kjøbenhavn: Udgivet af det nordiske Literatur-Samfund, 1860), p. 7.

“Þar á lóninu höfðu þeir gengið á borð að álfreka og þann sama vallgang rak upp í þessari vík og því

heitir það Dritvík” “In quell’insenatura si recarono a defecare lungo i lati della nave e tutti quegli

escrementi si accumularono in questa baida, e perciò si chiama ‘Baia della sporcizia’” (traduzione di

Sara Caldara). Citato in Caldara, ‘La rappresentazione degli elfi nella tradizione germanica’, p. 332.

Sull’atto di defecare per scacciare gli elfi si veda anche Chiesa Isnardi, I miti nordici, p. 331.

155 Un’antologia della poesia scaldica è contenuta nel volume di L. Koch, Gli scaldi. Poesia cortese

d’epoca vichinga (Torino: Einaudi, 1984).

156 Austrfararvísur, str. 5, ed. E.A. Kock, Den norsk-isländska skaldediktningen (Gleerup: Lund,

1946-1949), p. 114. Citato in Caldara, ‘La rappresentazione degli elfi nella tradizione germanica’, p.

333. Traduzione di Sara Caldara; cfr. Gunnell, ‘How Elvish Were the Alfar?’, p. 120.

157 E.O Sveinsson, Kormáks saga (Reykjavík: Hið Íslenzka Fornritafélag, 1939), citato in Chiesa

Isnardi, I miti nordici, p. 310.

41

outer side of the hill with its blood, and make a feast for the elves with its

flesh. Then thou wilt be healed.”

“Vi è un colle” – rispose lei – “non lontano da qui, dove dimorano gli elfi.

Adesso prendi il torno ucciso da Kormak, tingi di rosso le pendici del

colle con il suo sangue e prepara un pasto per gli elfi con la sua carne.

Allora sarai guarito.”158

L’uso di cospargere con il sangue di bue il tumulo in cui abitavano gli alfi ricorda

l’offerta di burro o grassi nelle cosiddette älvkvarnar (älv è in svedese ‘elfo’)159

che

si trovano in Svezia. Le älvkvarnar, Skålgropar in svedese moderno, erano una sorta

di ciotole o scodelle scavate su lastroni di pietra che sino all’età del bronzo venivano

utilizzate per rituali magici, offrendo doni agli alfi160

. Potrebbe esserci uno stretto

collegamento con gli studi effettuati da Fulvio Gosso sulle ‘coppelle’ scavate nella

pietra lungo l’area alpina italiana161

: egli formula delle ipotesi sulle loro funzioni

rituali nel periodo neolitico. Egli suppone che la maggior parte delle coppe scavate

nelle pietre fossero l’espressione di un culto religioso che poteva esplicarsi in diverse

manifestazioni di rito162

: una analogia molto evidente con l’uso nei riti scandinavi.

Skålgropar ritrovati a Hov, Västergötland (Svezia)

163.

158

The Saga of Cormac the Skald. La traduzione dall’islandese è stata effettuata da W.G.

Collingwood, J. Stefansson dall’originale ‘Kormáks saga’. http://sagadb.org/kormaks_saga.en

159 Chiesa Isnardi, I miti nordici, p. 310.

160 Ibid.

161 F. Gosso, On the Potential Use of Cup-Marks, pubblicazione on line presente sul sito del

Dipartimento Valcamonica e Lombardia del Centro Camuno di Studi Preistorici

http://www.simbolisullaroccia.it/.

http://www.simbolisullaroccia.it/archivio/2010/2010%20-

%20On%20the%20Potential%20Use%20of%20Cup-Marks%20-%20F%20Gosso.pdf

162 Ibid., p. 1.

163 Immagine tratta dal sito http://wadbring.com/historia/undersidor/bronsalder.htm

42

Altri elementi della credenza popolare sugli alfi ci vengono fornite dalle ballate

popolari scandinave; nessuna di queste è posteriore al XV secolo ed in esse ricorrono

continuamente le stesse idee ed espressioni164

. Gli alfi ancora vivi nei ricordi e nelle

tradizioni del popolo scandinavo sono distinti in buoni e malvagi, hanno i loro

sovrani e celebrano nozze e banchetti proprio come la gente comune e con loro

hanno spesso dei contatti diretti165

.

Le antiche credenze negli spiriti e negli alfi si perpetuarono parallelamente al

Cristianesimo senza venire mai assimilate al suo interno. Le divinità che avevano

avuto culto pubblico scomparvero, mentre gli esseri soprannaturali legati più

strettamente a luoghi particolari e alle famiglie sopravvissero166

. La condanna del

clero nei confronti delle credenze popolari non ebbe alcun effetto su di esse, anzi

furono rinforzate attraverso i racconti tramandati di generazione in generazione e le

credenze si mescolarono alla religione cristiana. In Islanda si disse persino che gli

elfi erano figli che Adamo ed Eva avevano nascosto a Dio167

:

Una volta Dio onnipotente andò da Adamo ed Eva. Essi lo accolsero bene

e gli mostrarono tutto quello che avevano dentro casa. Gli mostrarono

anche i loro figli e a Lui tutti parvero molto promettenti. Egli domandò a

Eva se essi non avessero altri figli oltre a quelli che lei gli aveva appena

mostrato. Ella disse di no. Ma la verità era che Eva non aveva finito di

lavare alcuni dei [suoi] figli e si vergognava di farli vedere a Dio e per

questo motivo li aveva nascosti. Dio sapeva questa cosa e disse: “Ciò che

deve essere nascosto a me resterà nascosto [anche] agli uomini”. Questi

bambini divennero dunque invisibili agli uomini ed ebbero dimora nei

boschi e nelle alture, nelle colline e nelle pietre. Di là sono originati gli

elfi, mentre gli uomini sono originati da quei due figli che Eva mostrò a

Dio. Gli esseri umani non possono mai vedere gli elfi a meno che essi

medesimi non vogliano, perché essi possono vedere gli uomini e far sì che

gli uomini li vedano.168

164

T. Keightley, The Fairy Mythology (London: W.H. Ainsworth,1828), p. 77. È disponibile una

versione online sul sito

http://www.gutenberg.org/files/41006/41006-h/41006-h.htm#FNanchor_125_125

165 Si discuterà in maniera più approfondita del folklore legato agli elfi nel capitolo IV.

166 Sveinsson, The Folk-Stories of Iceland, p. 74.

167 L’esempio più antico di questa storia si trova in Árnaskjal, contentuto nella raccolta di J. Árnason,

Íslenzkar þjóðsögur og æfintýri (1862-1864), la raccolta è stata riedita da Á. Böðvarsson, B.

Vilhjálmsson nel 1961 (si veda il paragrafo 4.2.1).

168 Chiesa Isnardi, Racconti popolari e fiabe islandesi, Genesi degli uomini invisibili, p. 19. Si veda

anche J.M. Bedell, Hildur, Queen of the Elves, and Other Icelandic Legends (Northampton,

Massachusetts: Interlink Books, 2007), The Origin of the Hidden People, pp. 29-30. Si noti che

43

3.1 LE STIRPI ALFICHE

Gli álfar vengono citati trenta volte nell’Edda poetica e di solito il termine compare

insieme a quello degli Æsir, come a voler indicare qualcosa di universalmente

conosciuto: “Che accade tra gli Asi. Che accade tra gli alfi?”169

potrebbe essere

parafrasato in “Che accade nell’intero universo?”. Ci sono solo dei suggerimenti

sull’idea di alfo nell’Edda poetica, ma il lavoro che offre maggiori spunti per lo

studio degli alfi è sicuramente l’Edda in prosa di Snorri. Ciò che Snorri dice riguardo

gli alfi è difficile da interpretare. Usa invariabilmente álf come composto, ad

esempio in Álfheimr, aggiungendo un prefisso con un colore per distinguerne le

stirpi: ljós-, dökk-, svart-, cioè ‘alfi chiari’, ‘alfi scuri’ ed ‘alfi neri’.

Sá er einn staðr þar er kallaðr er Álfheimr. Þar byggvir fólk þat er

Ljósálfar heita, en Dökkálfar búa niðri í jǫrðu, ok eru þeir ólíkir þeim

sýnum en miklu ólíkivari reyndum. Ljósálfar eru fegri en sól sýnum, en

Dökkálfar eru svartari en biki.170

Molti luoghi lassù sono nobili. Ce n’è uno chiamato Álfheimr dove vive il

popolo che si chiama Ljósálfar, mentre i Dökkálfar abitano sotto terra, e

sono da loro riversi all’aspetto, ma più ancora nella realtà.

I Ljósálfar all’aspetto sono più belli del sole, mentre i Dökkálfar sono più

scuri della pece.171

In questo passo del Gylfaginning, ciò che dice Snorri è chiaro e inequivocabile, ma

sorge immediatamente un problema quando ci dice che i dökkálfar sono svartari

biki, ‘più neri della pece’. Ciò significa che essi sono svartálfar? Ma quando Odino,

nella vicenda della cattura del lupo Fenrir, manda il servo di Freyr (Skírnir) in

Svartálfaheimr, non vengono nominati gli alfi, ma “certi nani”, che devono costruire

il laccio Gleipnir.

l’opera di Chiesa Isnardi e quella di Bedell sono traduzioni parziali dell’edizione del 1961 di

Böðvarsson, Vilhjálmsson, la quale comprende sei volumi per un totale di 3019 pagine.

169 Scardigli, Il canzoniere eddico, Carme di Thrymr, str. 7, vv. 1-2, p. 122.

170 T.A, Shippey, ‘Light-elves, Dark-elves, and Others: Tolkien’s Elvish Problem’, Tolkien Studies 1

(2004), pp. 1-15, p. 4.

171 Chiesa Isnardi, Edda di Snorri, Gylfaginnig 17, pp. 87-89.

44

Perciò Allfödhr mandò il servitore di Freyr, di nome Skírnir, in

Svartálfaheimr alla ricerca di certi nani e fece costruire [da loro] la catena

che è detta Gleipnir.172

Secondo Tom Shippey la spiegazione potrebbe essere che Snorri nomina quattro

gruppi (alfi chiari, alfi scuri, alfi neri e nani), ma in realtà ne intende soltanto due: il

primo sarebbe un gruppo di esseri buoni, luminosi e angelici; il secondo, composto

da alfi scuri, alfi neri e nani, è stato semplicemente pensato in opposizione al

primo173

. Questa è solo una delle ipotetiche spiegazioni date al ‘problema alfico’,

questione che interessò diversi studiosi e acquistò maggiore rilevanza proprio quando

questi studiosi iniziarono a documentarsi non solo sul lato filologico-linguistico delle

parole, ma anche su quello semantico strettamente connesso ad esso.

Due in particolare si interessarono alla divisione alfica di Snorri: il danese N.F.S.

Grundtvig (1783-1872) e il tedesco J. Grimm (1785-1863).

In Nordens Mythology174

, Grundtvig pose maggiormente l’attenzione su “Vætter,

Alfer og Dværge” “spiriti, alfi e nani”. Fu probabilmente il primo a notare

l’incongruenza nell’Edda di Snorri. La sua soluzione andava verso un significativo

compromesso: i ljósálfar erano sicuramente angelici e gli svartálfar erano nani, ma

forse i dökkálfar erano diversi da entrambi:

Alfer var det gamle Nordens Engle, og Dværge kun et Mellem-Slags af

dem: hverken Lys-Alfer eller Mörk-Alfer, men saa at sige Skumrings-

Alfer.

Elves were the angels of the ancient North, and dwarves only a middle

grade of them: neither light-elves nor dark-elves, but so to speak elves of

the twilight.

Gli elfi erano gli angeli dell’antico Nord e i nani erano solo un livello

intermedio di questi: né elfi chiari, né elfi scuri, ma per così dire elfi del

crepuscolo.175

172

Chiesa Isnardi, Edda di Snorri , Gylfaginning, 34, p. 105. Nella nota 185 Chiesa Isnardi definisce

Svartálfaheimr “Patria degli elfi neri”.

173 Shippey, ‘Light-elves, Dark-elves, and Others: Tolkien’s Elvish Problem’, p. 4.

174 N.F.S. Grundtvig, Nordens Mythologi (Kjöbenhavns: J.H. Schubotes Boghandling, 1832), citato in

Shippey, ‘Light-elves, Dark-elves, and Others: Tolkien’s Elvish Problem’, p. 6.

175 Ibid., p. 263, traduzione di Tom Shippey.

45

Questa soluzione, assolutamente personale da parte di Grundtvig, pone i dökkálfar in

mezzo ai due gruppi, ma introduce anche l’idea di Skumrings-Alfer, alfi del

crepuscolo. Per cui le categorie alfiche venivano ridotte in: alfi chiari, alfi scuri e alfi

del crepuscolo, i quali erano al contempo alfi neri e nani.

Nella sua Deutsche Mythologie Jacob Grimm affrontò anche il tema della divisione

degli alfi, trovandovi una soluzione forse troppo semplicistica:

Some have seen, in this antithesis of light and black elves, the same

dualism that other mythologies have set up between spirits good and bad,

friendly and hostile, heavenly and hellish, between angles of light and of

darkness.

Alcuni hanno visto in questa antitesi tra elfi chiari ed elfi scuri, lo stesso

dualismo che viene riscontrato nelle altre mitologie tra spiriti buoni e

cattivi, amichevoli e ostili, angelici e diabolici, tra angeli della luce e

dell’oscurità.176

Senza citarlo direttamente, Grimm critica Grundtvig sostenendo che non bisogna

abbandonare la tripartizione di Snorri in ljósálfar, dökkálfar e svartálfar:

But ought we not rather to assume three kinds of Norse: genii, ljósálfar,

dökkálfar, svartálfar?

Non dovremmo piuttosto impotizzare tre tipi di generi norreni: ljósálfar,

dökkálfar, svartálfar?177

A mio parere potrebbero esistere due ipotesi sulla suddivisione delle stirpi alfiche. La

prima è che vi siano ljósálfar e dökkálfar ma non svartálfar, poiché nel Gylfaginning

l’aggettivo svart- è associato solo al composto Svartálfheimr ‘Paese degli elfi neri’ e

non viene mai nominata direttamente la stirpe degli svartálfar. Una ragione potrebbe

essere che i dökkálfar siano semplicemente “svartari biki” (più neri della pece) e che

Svartálfheimr indichi il sottosuolo in generale in cui dimorano anche i nani, con i

quali gli alfi scuri condividono alcune caratteristiche, come l’abilità nel lavorare i

metalli e il preferire l’oscurità alla luce. Presumibilmente Snorri rappresenta una

trasposizione del passato pagano della contrapposizione cristiana tra angeli buoni e

176

J.S. Stallybrass, Grimm’s Teutonic Mythology (London: George Bell and Sons, 1882-1888), pp.

444-445, citato in Shippey ‘Light-elves, Dark-elves, and Others: Tolkien’s Elvish Problem’, p. 7.

177 Ibid.

46

angeli caduti, infatti nel Gylfaginning si afferma che gli alfi chiari abitino nel cielo

che si trova più in alto, Víðbláinn.178

La seconda ipotesi è che invece esista solamente una stirpe degli alfi e sia quella

dei ljósálfar, mentre i dökkálfar siano identificabili completamente con i nani. Ciò ci

viene testimoniato da alcuni dei loro nomi composti sulla parola álfr: Alfr179

,

Gandalfr e Vindalfr180

. Inoltre l’unico nome di alfo che appare nell’Edda poetica, in

Hávamál, è quello di Dáinn che è anche il nome di un nano181

.

L’identificazione degli elfi con i nani non è l’unica incongruenza che si ritrova nei

carmi dell’Edda: vi è un’altra ipotesi che afferma che si potrebbero identificare gli

elfi con i vani. In particolare nella Lokasenna elfi e Asi partecipano allo stesso

banchetto, ma a prendere la parola sono gli Asi e alcuni Vani (Njörðr, Freyr e

Freyja), mentre nessuno degli alfi proferisce parola: prima li nomina Eldir: “Fra gli

Asi ed elfi, / quanti sono là dentro,”182

; poi Loki “ degli Asi e degli elfi / che sono

qua dentro”183

. A dar sostegno a questa ipotesi anche nell’Hávamál l’io narrante

recita:

Odino con gli Asi e Dainn per gli elfi

Innanzi ai nani Dvallin

Innanzi ai giganti Asvidhr,

io stesso ne incisi più di una.184

Qui vengono nominate tutte le stirpi degli esseri sovrannaturali eccetto quella dei

Vani, che ci sia una corrispondenza divina tra questi e gli alfi che vengono

continuamente nominati accanto agli Asi? Anche nelle strofe successive si legge:

178

Chiesa Isnardi, Edda di Snorri, Gylfaginning, 17, pp. 87-89.

179 Scardigli, Il canzoniere eddico, Profezia della veggente, str. 16, p. 7.

180 Ibid., str. 12.

181 Dáinn compare in Scardigli, Il canzoniere eddico, Canzone dell’eccelso, str. 143, v. 1, p. 40 come

nome di un elfo, mentre in Chiesa Isnardi, Edda di Snorri, Gylfaginning, 14, pp. 78-82 come nome di

un nano.

182Scardigli, Il canzoniere eddico, Insulti di Loki, str. 2 v. 3;

183 Ibid., str. 13, v. 3; str. 30, v. 3.

184 Ibid, Canzone dell’eccelso, str. 143, p. 40.

47

“degli Asi e degli elfi / di tutti l’ordine conosco a perfezione.”185

; “il nano, davanti le

porte di Dellingr: / cantò forza agli Asi / e capacità agli elfi;”186

.

In altri carmi appare il binomio ‘Asi e alfi’, come in Skirnismál187

e nella

Þrymskviða188

e – come detto in precedenza – il Grimnismal ci dice che Freyr è il

padrone di Álfheimr189

.

Rispetto a quanto detto sinora, alcuni poemi eddici presentano Vani ed alfi come

clan differenti. Nel Sigrdrífumál la valchiria Sigdrífa insegna all’eroe la saggezza e

narra di come le rune siano distribuite tra gli Asi, tra gli alfi, alcune tra i Vani e

alcune tra gli uomini:

Sono fra gli Asi sono fra gli elfi

Fra i saggi Vani alcuni,

altri li hanno gli esseri umani.190

Nello stesso Skirnismál ritroviamo una contraddizione: nella strofa sette il binomio

‘Asi e alfi’ esclude i Vani, ma più avanti nella strofa diciassette la gigantessa Gerðr

domanda “Chi è degli elfi o dei figli degli Asi / oppure dei sapienti Vani?”191

.

Un altro esempio è l’ Alvíssmál in cui il nano Alvís risponde alle domande di Thor

e traduce per lui alcune parole considerando differenti le lingue degli alfi e dei Vani:

Cielo vien detto fra gli uomini e Volta degli Astri fra gli dèi

Tessitore dei venti lo chimano i Vani,

Terra superna i giganti, Magnifico Tetto gli elfi,

i nani Corte Gocciolante.192

È possibile postulare che alfi e Vani siano da considerarsi come stirpi differenti e che

l’espressione ‘Asi e alfi’ vada interpretata come indicante la totalità delle creature

185

Ibid., str. 159, vv. 4-5, p. 43.

186 Ibid., str. 160, vv. 2-4, p. 43.

187 Ibid., Canzone di Skirnir, str. 7, vv. 3-5, p. 74: “degli Asi e degli elfi / nessuno vuole / che lei ed io

stiamo insieme.”

188 Ibid,. Carme di Thrymr, str. 7 vv. 1-2, p. 122: “Che accade tra Agli / che accade tra gli elfi?”

189 Si veda il paragrafo 3.1.

190 Scardigli, Il canzoniere eddico, Canzone di Sigdrífa, str. 18, vv. 4-6, p. 223.

191 Ibid., Canzone di Skirnir, str. 17, vv. 1-2, p. 76.

192 Ibid., Canzone del nano onniscente, str. 12, p. 141.

48

divine – come detto all’inizio di questo paragrafo – dalle più importanti, gli Asi, alle

minori, gli alfi, e non come identificazione degli alfi con i Vani. Tutte queste

incongruenze e diverse ipotesi interpretative sono dovute al fatto che Snorri stesso si

trovò in evidente difficoltà nel tentativo di costruire una singola immagine del

mondo pagano, difficoltà dovuta probabilmente non solo alla sua fede cristiana, ma

anche alla presenza di un ambiente multiculturale venutosi a formare secoli prima del

suo lavoro. Troppo spesso gli studiosi si affidano esclusivamente alla classificazione

degli álfar fatta da Snorri, dimenticando apparentemente il fatto che, come Grundtvig

e Grimm, anche lui stava essenzialmente traendo conclusioni da materiali più antichi

e di varia fonte193

.

3.2 GLI ELFI NELLA CULTURA ANGLOSASSONE

Nella sua opera Elves in Anglo-Saxon England194

, Alaric Hall195

, nel tentativo di

trovare un collegamento tra l’antica cultura norrena e quella anglosassone, analizza il

tema degli elfi partendo dalla Völundarkviða. Questa richiede un’attenzione speciale

perché è l’unico poema in cui un personaggio è chiaramente identificato come uno

degli álfar. Völundr è definito come ‘álfa lióði’ (‘compagno degli alfi’)196

, e ‘vísi

álfa’ (‘guida degli alfi’)197

e nella descrizione iniziale si dice di lui che abbia un

‘bianco collo’. Hall crede che questa sia una caratteristica peculiare della razza

alfica, ma al contempo – secondo un’ipotesi non condivisa da tutti gli studiosi– della

bellezza femminile piuttosto che di quella maschile198

.

Nell’opinione di altri studiosi, invece, l’uso di associare gli alfi con Völundr

serviva a sottolinearne soltanto la bellezza e l’indicazione della pelle bianca era usata

193

Gunnell, ‘How Elvish were the Álfar?’, p. 117.

194 Si veda la nota 1.

195 Studioso e insegnante di Letteratura Medievale dell’Europa Nord-Occidentale (in particolare

scandinava e anglosassone) presso l’Università di Leeds, Inghilterra. Considerato tra i suo i estimatori

un esperto di elfi.

196 Scardigli, Il canzoniere eddico, Il carme di Völundr, str. 10, v. 2, p. 131.

197 Ibid., Il carme di Völundr, str. 13, v. 2; str. 32, v. 1, p. 134.

198 Hall si avvale di descrizioni femminili in cui le fanciulle vengono definite ‘bianche’, partendo dagli

aggettivi norreni ljósa (chiaro) e hvítastr (bianco), cfr. Hall, Elves in Anglo-Saxon England, p. 44,

nota 106.

49

come indice di nobili origini199

più che di femminilità. In effetti, Snorri ci dice che

gli alfi sono “più belli del sole”, “eru fegri en sól”200

, ma non allude mai a

caratteristiche femminee; anche le saghe ci testimoniano la loro bellezza: per

esempio nel Sögubrot, il frammento di saga derivato da una versione ampliata del

XIII secolo della perduta Skjöldunga saga, in cui si afferma che gli alfi sono molto

più belli degli altri uomini201

.

Gli alfi sono sempre nominati al plurale, indicando tutta la stirpe, e ciò non ci

permette una precisa distinzione del genere sessuale: quando si ritrova il termine álfr

al singolare nelle kenningar, esso denota individui di genere maschile, guerrieri o

nobili, ma ciò non è prova sufficiente per stabilire che tutti gli alfi fossero maschi o

monosessuati. Tuttavia Hall tende a evidenziare il carattere unicamente maschile di

álf nella cultura scandinava – analisi che sembra in parte contraddire le sue ipotesi

sull’effeminatezza di Völundr e degli alfi in genere202

– attraverso lo studio della

Ragnarsdrápa, di Bragi Boddason, in cui il re Jörmunrekr viene definito come

sóknar alfs, alfo dell’attacco, mentre l’eroe Högni ha l’appellativo di raðaralfs, alfo

della nave203

. Anche qui, però, sembrerebbe esserci un’incongruenza. Si pensi alle

valchirie, divinità femminili guerriere: proprio perché non vi sono solo guerrieri

maschi, l’appellativo ‘alfo dell’attacco’ (attribuito a un guerriero) non può essere

una prova inconfutabile del genere unicamente maschile della razza alfica.

199

J. McKinnell ‘The Context of Völundarkviða’, Saga-Book of the Viking Society 23 (1990), pp. 1-

27, pp. 9-10; in area anglosassone, i nomi che contengono il prefisso ælf- sono associati ad un preciso

status sociale: esso appare quasi esclusivamente nei nomi di re e nobili (Ælfrēd ed Ælfric), si veda H.

Stuart, ‘The Anglo-Saxon Elf’, Studia Neophilologica, 48 (1976), pp. 313-320, p. 314.

200 Si veda il paragrafo 3.1.

201 Sögubrot, cap. 10: “þat fólk, er Álfar hétu, at þat var milu fríðara enn engi önnur mannkind á

Norðurlöndum” “Quelle genti, che si chiamano alfi, che erano molto più belli della restante

popolazione dei paesi del nord”. Caldara, ‘La rappresentazione degli elfi nella tradizione germanica’,

p. 336, nota 57. Traduzione a cura di Sara Caldara.

202 Hall, Elves in Anglo-Saxon England, p. 76: “Our early Scandinavian evidence, attests only to male

álfar – albeit in Vöundr’s case, álfar of dubitable masculinity.”

203 Ibid., p. 28.

50

Se le prime testimonianze scandinave utilizzano álfr per denotare uomini eccellenti e

guerrieri204

, quelle anglosassoni portano il termine ælf ad assumere connotazioni

prettamente femminili, facendolo corrispondere al latino ninpha205

e incorporandone

la caratteristica bellezza e sensualità. Ælf venne utilizzato come base per comporre

nuove glosse, di cui abbiamo testimonianza in un manoscritto risalente ad un periodo

“non successivo alla prima metà del IX secolo”206

, conservato a Leiden (Bibliotheek

der Rijksuniversiteit Voccius Lat. 4° 106).

Nimphae . aelfinni eadem . & muse

Oreades dūun . aelfinni .

Driades . uudu . aelfinne

Amadriades uater . aelfinñ

Maides feld . aelfinne

Naides sāe . aelfinne

Nymphae: ælfenne207

, and at the sametime musae;

Oreades: mountain-ælfenne;

Dryades: wood-ælfenne;

Hamadryades: water-ælfenne;

Maides: open-land-ælfenne;

Naiades: sea-ælfenne

Ninfe: donne elfo ed allo stesso tempo muse;

Oreadi: donne elfo dei monti;

Driadi: donne elfo dei boschi;

Amadriadi: donne elfo dell’acqua;

Maiadi: donne dei campi;

Naiadi: donne dei mari.208

L’uso di ælf come base per glossare parole indicanti le ninfe potrebbe indicare una

visione generale delle donne elfo come caratterizzate da peculiarità angeliche, e

quindi donne di particolare bellezza e leggiadria. Questa visione potrebbe essere stata

204

Un altro esempio ci viene fornito dalla kenning “fjörnis álfr” (alfo dell’elmo) che ritroviamo nella

Hrynhenda di Sturla Þorðarson (1214-1284), riferito al re norvegese Hákon Hákonarson, Si veda

Caldara, ‘La rappresentazione degli elfi nella tradizione germanica’, p. 329.

205 Hall, Elves in Anglo-Saxon England, p. 88.

206 M.B. Parkes, ‘The Manuscript of the Leiden Riddle’, Anglo-Saxon England 1 (1972), pp. 207–17,

p. 215, citato in Hall, Elves in Anglo-Saxon England, p. 78.

207 Hall decide di non tradurre il termine ‘ælfenne’. Hall, Elves in Anglo-Saxon England, p. 79.

208 H.D. Meritt, ed., Old English Glosses: A Collection (New York: Modern Language Association of

America; London: Oxford University Press, 1945), p. 61.Citato in Hall, Elves in Anglo-Saxon

England, p. 79.

51

poi trasmessa alle generazioni successive. Ad esempio, un poeta-alchimista inglese

del XV secolo ci narra che

In þe cyte of Damaske {Damascus} was Albert dwellyng

And as he wente be weldernesse in a somerys morwenyng

There he mette wyth Elchyʒel fayre & fre

þe queen of elphys lond vndyr an ev {yew} tre.

Nella città di Damasco si trovava Albertus

E mentre andava nel deserto in una mattina d’estate

Lì incontrò Elchizel bella e libera

La regina della terra degli elfi sotto un albero di tasso.209

Un’ulteriore testimonianza di questa bellezza è il composto ælfscȳne210

che compare

nella Genesi A ( vv. 1822-1829) riferito a Sara, moglie di Abramo, sottolineandone la

bellezza seduttiva:

ongān þā his brȳd frēa .

wīshȳdig wer . wordum lǣran .

siððan ēgypte . ēagum mōton .

on þīnne wlite wlītan . wlance . monige .

þonne æðelinga eorlas wēnað .

mǣg ælfscīeno . þæt þū mīn sīe .

beorht gebedda . þē wile beorna sum .

him geāgnian.

Then the lord, wise-minded man, began to instruct his wife with words:

‘After the Egyptians, many and proud, are able to look with their eyes

upon your beauty, then the nobles of princes will expect, ælfscȳne wife,

that you are my bright consort; one of those warriors will want to take

you for himself.’

Poi il signore, uomo saggio, cominciò a istruire sua moglie con queste

parole: “poiché gli Egiziani, tanti ed orgogliosi, possono guardare con i

loro occhi la tua bellezza, allora i nobili tra i principi immagineranno,

moglie dalla bellezza elfica, che tu sei la mia splendente consorte; uno di

questi guerrieri vorrà prenderti a causa mia”211

Le donne che hanno questa dote non sono semplicemente belle, ma pericolosamente

belle. Sara, per la sua bellezza, suscita desiderio e mette in pericolo se stessa e il suo

209

P. Grund, ‘Albertus Magnus and the Queen of the Elves: A 15th-Century English Verse Dialogue

on Alchemy’, Anglia 122 (2004), pp. 640–62, p. 657.Citato in Hall, Elves in Anglo-Saxon England, p.

89.

210 Hall, Elves in Anglo-Saxon England, p. 89-92.

211 A.N. Doane, Genesis A: A New Edition (Madison: The University of Wisconsin Press, 1978), p.

167, citato in Hall, Elves in Anglo-Saxon England, p. 91.

52

sposo. In un altro esempio, tuttavia, quello di Giuditta, questa bellezza è pericolosa

per gli altri e non per chi la possiede.

Giuditta viene definita “ides ælfscīnu”212

, che Hall traduce con “ælfscȳne lady”213

e

sappiamo che il suo compito è quello di sedurre e uccidere, per volontà di Dio, il re

Oloferne214

nella città di Betulia.

L’utilizzo dell’appellativo ælfscȳne per denotare la bellezza di due personaggi della

Bibbia fa pensare che il termine fosse di uso comune nell’Inghilterra anglosassone e

che quindi esisteva un’effettiva credenza negli alfi. Gli alfi, e la superstizione che li

riguardava, vennero gradualmente trasformati dalla religione cristiana in esseri

pericolosi: la cultura popolare cominciò a considerarli come la causa di una serie di

malattie che potevano colpire in egual modo persone ed animali.

Un importante testo medico di riferimento in cui si parla di malattie causate dagli

alfi è il Wið fǣrstice215

. Per poter guarire il paziente da una malattia alfica era

necessaria una formula recitata:

Gif hit wǣre ēsa gescot, oððe hit wǣre | ylfa gescot,

oððe hit wǣre hægtessan gescot, nū ic wille ðin helpan.

If it were shot of gods, or it were shot of elves,

Or it were shot of hags, now thee I’ll help.

Se fossero colpi di dèi o se fossero colpi di elfi,

o se fossero colpi di megere, ora ti aiuterò.216

L’ ‘ylfa gescot’, il ‘colpo alfico’, di cui parla il Wið fǣrstice viene nominato soltanto

alla fine del rituale, il quale narrava in termini eroici le sofferenze del malato217

. Gli

212

E. Dobbie, ‘Beowulf and Judith’, Anglo-Saxon Poetic Records, 4 (1953.), p. 99.Citato in Hall,

Elves in Anglo-Saxon England, p. 92.

213 Hall, Elves in Anglo-Saxon England, p. 92.

214 Nella versione della Bibbia Oloferne è Nabucodònosor e la città è Ninive.

215 Il Wið fǣrstice (Contro un colpo improvviso) è un testo medico in antico inglese contenuto nella

collezione conosciuta con il nome di Lacnunga (Rimedi) che si trova a Londra, British Library

Manuscript Harley 585. Il testo descrive come i fǣrstice siano causati da dardi di donne magiche,

menzionate anche come elfi. Si veda Hall, Elves in Aglo-Saxon England, pp. 1-6.

216 F. Grendon, ‘The Anglo-Saxon Charms’, The Journal of American Folklore, vol XXII (1990), pp.

105-237, pp. 164-165. Traduzione dal Wið fǣrstice, vv. 23-24, 176a di Grendon.

http://www.jstor.org/stable/pdfplus/534353.pdf?acceptTC=true

53

alfi potevano causare una gran varietà di patologie: generici malori – ælfādl –,

problemi al fegato e della digestione – ælfsogoða –, infiammazioni, podagra, ascessi,

coliche, eruzioni cutanee, diarrea. Difficile giudicare quanto fossero clinicamente

efficaci i diversi rimedi per le ‘malattie alfiche’218

, sicuramente, però, gli effetti

psicologici dei rituali facilitavano le guarigioni psicosomatiche grazie alla loro

“efficacia simbolica”219

.

Oltre alle malattie, gli alfi venivano collegati alla magia: nella sezione 65 del

Bald’s Leechbook220

si trova un rimedio contro un alfo:

Wið ælfe et wiþ uncuþūm sīdsan gnīd myrran on wīn et hwītes rēcelses

emmicel et sceaf gagātes dǣl þæs stānes on þæt wīn, drince .iii. morgenas

neaht nestig […]

Against an ælf [or against ælfe] and against unknown/strange/unusual

sīdsa, crumble myrrh into wine and the same amount of white

frankincense and shave a piece of the stone gagātes into that wine, drink

[on] three mornings, fasting [at] night […]

Contro un alfo [o contro degli alfi] e contro una

sconosciuta/strana/insolita magia221

, mescolate della mirra con il vino e la

stessa quantità di incenso bianco, macinate un pezzetto della pietra

gagātes in quel vino, bevetene per tre mattine digiunando la sera […].222

Trovare nella stessa citazione i termini alfo e magia (ælf e sīdsa) non lascia alcun

dubbio sul fatto che gli alfi utilizzassero le pratiche magiche, ma queste erano

‘sconociuste/strane/insolite’. Questo carattere magico e ostile degli alfi fu

ulteriormente demonizzato dalla religione cristiana che, cercando di eliminare le

tracce di un antico paganesimo, demonizza gli alfi sino a utilizzare il termine ælf

217

Hall, Elves in Anglo-Saxon England, p. 112.

218 Per un ulteriore approfondimento sulle patologie inferte dagli alfi si veda Hall, Elves in Anglo-

Saxon England, pp. 110-115.

219 Per il concetto di efficacia simbolica si veda la ricerca di Lévi-Strauss sullo sciamanesimo nella

tribù dei kuna, C. Lévi-Strauss, Antropologia Strutturale (Milano: il Saggiatore, 2009), pp. 210-230.

220 Il Bald’s Leechbook (conosciuto anche come Medicinale Anglicum) è un antico testo medico

anglosassone, scritto nel IX secolo, probabilmente sotto l’influenza delle riforme di Alfredo il Grande.

Il testo è sopravvissuto in un solo manoscritto attualmente conservato alla British Library, Royal 12 D

xvii.

221 Sulle origini della parola sīdsa, il cui significato è attribuibile a magia, si veda l’analisi di Hall,

Elves in Anglo-Saxon England, p. 119, p. 130.

222 Ibid., p. 120. Traduzione dall’anglosassone di Hall.

54

come sinonimo di Satana: si legge nel Royal Prayerbook (VIII secolo) “adiuro te

satanae diabulus aelfae”, “scaccio te, diavolo di Satana e di un alfo”223

.

L’intento di cancellare gli alfi dall’immaginario popolare attraverso una

demonizzazione, probabilmente eccessiva, non ebbe l’effetto sperato, come

dimostrano le testimonianze successive: si qui fa riferimento a secoli successivi, in

particolare alla letteratura del Middle English (XII-XIV secolo). Sicuramente la

testimonianza principale è quella di Geoffrey Chaucer in The Wife of Bath’s Tale in

cui parla di una ‘regina degli elfi’ che ballava sui prati con altre fanciulle “The elf-

queene, with hir joly compaignye, / Daunced ful ofte in many a grene mede”224

;

Chaucer ci dice anche che per colpa delle preghiere e dei santi frati non è più

possibile agli uomini vedere gli elfi “But now kan no man se none elves mo, / For

now the grete charitee and prayeres / Of lymytours and othere hooly freres,”225

.

Come si può notare nel XIV secolo (periodo in cui scrive Chaucer) il termine ælf si è

trasformato in elf. Questa variazione ebbe uno sviluppo piuttosto regolare con un

certo numero di cambiamenti fonetici che è possibile esaminare nello schema

ricostruito da Alaric Hall226

. Nel Middle English si attestano ælf, ylf ed elf che sono

distribuiti a seconda degli antichi dialetti; la forma definitiva di elf 227

(che è quella

che ritroviamo in Chaucer e attualmente nell’inglese moderno) si affermò nel X

secolo in Anglia e nelle regioni a Sud-Est.

223

A.B. Kuypers, The Prayer Book of Aedeluald the Bishop, Commonly Called the Book of Cerne

(Cambridge: Cambridge University Press, 1902), p. 221, citato in Hall, Elves in Anglo-Saxon

England, p. 175.

224 “La regina degli elfi, con la sua lieta compagnia, / Danzava spesso in più di un prato verde” G.

Chaucer, The Canterbury Tales, The Wife of Bath’s Tale, vv. 860-861. http://www.sacred-

texts.com/neu/eng/mect/mect12.htm

225 “Ma adesso nessuno può più vedere gli elfi, / Grazie alla grande carità e le preghiere / di chi pone

dei limiti e degli altri santi frati,” Ibid., vv. 864-866.

226 Si veda la tabella alla pagina successiva.

227 K. Luck, Historische Grammatik der englischen Sprache (Leipzig: Tauchnitz, 1914-40), p. 366,

citato in Hall, Elves in Anglo-Saxon England, p. 179.

55

Lo sviluppo fonologico di ælf228

228

Hall, Elves in Anglo-Saxon England, p. 178.

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56

CAPITOLO IV

FOLCLORE E MITO DEGLI ELFI NELL’ISLANDA

CONTEMPORANEA

4.1 JÓN ÁRNASON E MAGNÚS GRÍMSSON: LE PRIME RACCOLTE

L’ondata di interesse nel folclore sorta in Europa all’inizio del XIX secolo raggiunse

anche l’Islanda. L’evento più importante, che doveva avere enorme influenza sullo

studio del folclore islandese, fu l’inizio della raccolta di materiale folcloristico che

venne intrapresa da due studiosi: Jón Árnason (1819-1888) e Magnús Grímsson

(1825-1860). Árnason era figlio di un pastore, si diplomò alla scuola di Bessastaðir

nel 1843, divenne insegnante presso la scuola di latino a Reykjavík e in seguito

segretario di due vescovi d’Islanda. Grímsson era figlio di un fattore, e si laureò in

teologia all’università di Reykjavík nel 1850. Si sa molto poco riguardo alle loro

attività di raccolta: l’idea gli era venuta attraverso la lettura di Kinder- und

Hausmärchen dei fratelli Grimm229

e decisero di emularli. Nel 1852 pubblicarono

una piccola anteprima della loro ricerca, intitolandola Íslenzk æfintýri230

(Racconti

popolari islandesi). All’inizio Grímsson voleva dare alle storie uno stile letterario,

ma presto accettò l’idea di Árnason secondo cui era meglio mantenerle il più vicino

possibile alla narrazione orale. Nell’estate del 1858, lo studioso tedesco Konrad

Maurer (1823-1902) fece un viaggio in Islanda e lesse il materiale che avevano

raccolto Grímsson e Árnason e lo ampliò grazie ai racconti di uomini e donne che

conobbe per tutto il paese. Dal suo lavoro derivò Isländische Volkassagen der

Gegenwart231

. Maurer suggerì a Jón di ampliare la sua raccolta contattando le stesse

persone che aveva incontrato lungo il suo viaggio e altre che Árnason stesso avrebbe

potuto conoscere. Árnason ricevette così una grande quantità di nuovo materiale su

cui lavorare; poiché Grímsson contribuì molto poco negli ultimi due anni prima

della sua morte, il nuovo testo, Íslenzkar þjóðsögur og æfintýri232

venne attribuito

229

J. Grimm, W. Grimm, Kinder- und Hausmärchen (Berlin: Realschulbuchhandlung, 1812-1815).

230 M. Grímsson, J. Árnason, Íslenzk æfintýri (Reykjavík, Einar Þorðarson, 1852).

231 K. Maurer, Isländische Volkassagen der Gegenwart (Leipzig: J.C. Hinrichs Buchhandlung, 1860).

232 J. Árnason, Íslenzkar þjóðsögur og æfintýri (Leipzig: Hinrichs, 1863-1864).

57

soltanto al suo collega Árnason. La pubblicazione avvenne a Lipsia nel 1862 e andò

in ristampa nel 1864, grazie alla collaborazione dell’amico Maurer. Nella

presentazione del materiale Árnason propose una suddivisione molto articolata.

Riallacciandosi alla ricchissima tradizione folcloristica islandese che affonda le

proprie radici nel paganesimo, divise il proprio lavoro in dieci sezioni principali:

Goðfræðsögur (Storie di esseri mitologici)233

, Draugasögur (Storie di draugar)234

,

Galdrasögur (Storie di magia), Náttúrusögur (Storie sulla natura), Helgisögur

(Leggende), Viðburðasögur (Vicende), Útilegumannasögur (Storie di fuorilegge),

Ævintýri (Fiabe), Kímnisögur (Storie comiche), Kreddur (Credenze).

Il lavoro di Jón Árnason e – per quanto gli è stato possibile – di Magnús Grímsson

offre a tutti coloro che sono interessati alle radici della cultura islandese la possibilità

di usufruire di uno straordinario patrimonio letterario. L’importanza di queste storie è

ben rimarcata dalle parole di Jón Sigurðsson (1811-1879), uomo simbolo della lotta

per l’indipendenza235

, che vengono citate all’inizio della raccolta:

Vér horfum með undrun á hinar fornu sögur sem standa eins og fjallháar

eikur, óhræranlegar og fastar, en vér virðum lítils hinar se meru í

kringum oss eins og smáblóm alls staðar á vegi vorum, spretta upp og

vaxa með oss í æskunni, lifa undir tungurótum mæðra og fósturmæðra og

gæti orðið að fögrum eikum og blómguðum, en hverfa fyrr af því vér

köstum þeim frá oss eins og visnuðum skarifíflum. Þær hafa aldrei komizt

‘a skinn, þess vegna metum vér þær að engu.

Noi guardiamo con meraviglia alle storie antiche che sono come querce

immobili e salde, alte come montagne, ma consideriamo poco le altre che

come piccoli fiori stanno attorno a noi, ovunque sul nostro cammino,

germogliano e crescono con noi nella giovinezza, vivono sotto la radice

della lingua delle madri e madrine e potrebbero diventare alberi

meravigliosi e rigogliosi; ma scompaiono prima perché le gettiamo via da

noi come piante autunnali appassite. Esse non sono mai state messe per

iscritto, per questo non le consideriamo affatto.236

233

Gli esseri mitologici di questa prima sezione sono elfi, esseri acquatici, orchi, troll e giganti.

234 Cioè di fantasmi, di esseri magici e di spiriti: Chiesa Isnardi, Racconti popolari e fiabe islandesi, p.

6 e p. 164.

235 Ibid., p. 11. Dal 1262 al 1387 l’Islanda fu sotto il dominio norvegese, poi il paese divenne parte del

regno danese. Le prime lotte per l’indipendenza iniziarono nel XIX secolo e finalmente nel 1944

l’Islanda riacquistò la sua originaria indipendenza.

236 Árnason, Íslenzkar þjóðsögur og æfintýri, p. 6; citato in Chiesa Isnardi, Racconti popolari e fiabe

islandesi, p. 12. Traduzione di Gianna Chiesa Isnardi.

58

4.2.1 RACCOLTE FOLCLORISTICHE

Fino a poco tempo fa non vi era, tuttavia, un vero e proprio archivio di leggende

folcloristiche in Islanda. Ciò voleva dire che l’unico modo per trovare materiale su

leggende di un particolare tipo, su credenze locali e via dicendo, era quello di

curiosare attraverso le varie collezioni237

.

Il materiale della narrazione folcloristica islandese è uno dei maggiori tesori

culturali della nazione, alla pari delle saghe, dei poemi dell’Edda e dell’Edda in

prosa. Purtroppo, però, solo il 5% dei racconti folcloristici islandesi è accessibile a

coloro i quali non parlano l’islandese. Un ulteriore problema è che le leggende

islandesi non sono mai state dettagliatamente indicizzate, catalogate o classificate: in

molti casi, queste collezioni non danno nemmeno informazioni riguardo ai narratori

o al luogo d’origine delle leggende238

. Inoltre, tutto il materiale d’archivio era

ripartito tra tre istituzioni diverse, nessuna delle quali aveva un catalogo completo:

l’Istituto Arnamagnano (Árnastofnun), il Dipartimento di Etnologia del Museo

Nazionale (Þjóðháttardeild þjóðminjasafns), e il Dipartimento Sezione Manoscritti

della Libreria Nazione (Handritadeild).

Attualmente, l’archivio più completo e meglio organizzato si trova presso

l’Árnastofnun, nel quale, durante gli anni 1971-1997, furono accolti 141 manoscritti

provenienti dalla biblioteca reale danese239

. Molti dei manoscritti sono stati

fotografati e resi disponibili sul sito ‘Handrit.is’240

(all’interno del sito ufficiale

dell’istituto) e vi sono anche foto digitali sul sito ‘Saganet’241

(progetto fondato dalla

biblioteca nazionale universitaria d’Islanda in collaborazione con la Cornell

University di Ithaca, New York, per la pubblicazione su internet di testi manoscritti

ed antiche edizioni di saghe islandesi).

Esiste anche un Dipartimento di Studi Folcloristici che contiene materiale registrato

proveniente dalla tradizione orale. Una gran quantità di racconti popolari è stata

237

Per un elenco delle varie collezioni di racconti popolari, fiabe, canzoni e filastrocche si veda

Sveinsson, The Folk-Stories of Iceland, pp. 141-147.

238 T. Gunnell, ‘Sagnagrunnur: a New Database of Icelandic Folk Legends in Print’, p. 153.

http://www.folklore.ee/folklore/vol45/gunnell.pdf

239 http://www.arnastofnun.is/

240 http://handrit.is/

241 http://saga.library.cornell.edu/

59

registrata su nastri, in cooperazione con l’Icelandic National Broadcasting Service,

che ha raccolto – insieme agli studiosi dell’Istituto Arnamagnano – leggende, rímur

(ballate), composizioni in prosa e in versi, in ogni angolo dell’Islanda. Il materiale

più antico è composto da registrazioni di canti folcloristici realizzate su cilindri di

cera tra il 1903-1912; tale materiale, tra il 1984-1994, è stato trasferito su supporti di

migliore qualità, catalogato secondo i contenuti, le fonti, le aree di registrazione,

ecc., e reso disponibile per la ricerca. Dal 1994, grazie soprattutto al lavoro di Gísli

Sigurðsson e Rósa Þorsteinsdóttir, che hanno ricevuto l’incarico da parte dell’istituto

di iniziare la compilazione di un database di tutto il materiale contenuto negli archivi

audio, è possibile ascoltare queste registrazioni senza doversi recare direttamente a

Reykjavík, collegandosi al sito web dell’istituto, al link ‘Ísmús’242

.

Oltre all’archivio audio e alla raccolta dei manoscritti originali dell’Istituto

Arnamagnano, vi è un ulteriore database che riguarda tutte le leggende e i racconti

popolari stampati e pubblicati: ‘Sagnagrunnur’. Realizzato da Terry Gunnell e dai

suoi studenti a partire dal 1999, è visionabile on line dal 10 agosto 2010243

. Sono già

state inserite circa quindicimila leggende e racconti all’interno di Sagnagrunnur, ma

l’intento è quello di inglobare anche il materiale contenuto nell’archivio Ísmus. Il

progetto è ancora in corso e prevede di includere anche il materiale proveniente dalle

isole Fær Øer, Orkney e Shetland, così da formare un più ampio catalogo

internazionale delle isole del nord Atlantico.

Nel complesso, Sagnagrunnur, Ísmus, Saganet e Handrit.is forniscono, grazie ad

uno straordinario lavoro di raccolta e catalogazione, un quadro estremamente ampio

e variegato delle vite, credenze, attitudini e valori degli islandesi. Tutto ciò ha anche

il merito di essere accessibile non solo ai ricercatori universitari, ma a chiunque sia

curioso di conoscere la cultura dell’isola.

4.3 GLI ELFI DEI RACCONTI POPOLARI

I racconti popolari nacquero e si diffusero all’interno di una cultura rurale che,

osservata dall’esterno, poteva sembrare semplice e povera, ma in realtà era arricchita

dalla conoscenza e dalla pratica della poesia, dalla familiarità con la tradizione

242 http://www.arnastofnun.is/id/1033260

243 http://notendur.hi.is/terry/database/sagnagrunnur.htm

60

letteraria e dagli ininterrotti legami con l’antica cultura del paese244

. I racconti

popolari islandesi mostrano le caratteristiche peculiari della gente e degli ambienti da

cui hanno origine, anche se si notano molte contaminazioni provenienti da altri paesi,

specialmente Norvegia e Danimarca245

. Tuttavia, il materiale delle storie provenienti

dall’esterno veniva ‘islandizzato’, cioè trasformato dall’inventiva islandese al punto

che era difficile distinguerlo da ciò che apparteneva già alle radici dell’isola.

Innanzi tutto il contesto ambientale dei racconti era fortemente legato al territorio

islandese, il quale possedeva in sé scenari quasi magici: le eruzioni vulcaniche

improvvise producevano rocce laviche che spesso, per la loro forma, ricordavano

creature mitologiche o mostruose e si credeva fossero il risultato di qualche magia; il

mare e i laghi erano misteriosi e spaventosi tanto da portare a credere che fossero

abitati da mostri; le aperture sul ghiaccio dei laghi venivano chiamate ‘varchi degli

elfi’246

. Non bisogna dimenticare, inoltre, che queste storie – anche se provenivano

talvolta da fonti scritte – venivano raccontate oralmente247

all’interno di ambienti

familiari. Vi erano delle riunioni serali, chiamate kvöldvökur (letteralmente

‘veglie’)248

, durante le quali si raccontavano storie, si faceva musica e si cantava. Gli

abitanti della casa sedevano nella baðstofa249

eseguendo le loro occupazioni serali

244

L’istruzione aveva avuto maggiore diffusione in Islanda, tra tutte le classi sociali, rispetto ad altre

nazioni, e sono molto comuni le influenze letterarie nei racconti folcloristici islandesi. Si veda

Sveinsson, The Folk-Stories of Iceland, p. 16 e pp. 311-312.

245 I racconti provenienti da altri paesi vengono detti ‘leggende migratorie’ e attecchiscono nel

territorio laddove trovano abili narratori. Sulle principali leggende migratorie che ritroviamo in

Islanda si veda Bedell, Hildur, Queen of Elves and Other Icelandic Legends, pp. 8-10.

246 Sveinsson, The Folk-Stories of Iceland, pp. 154-156 e p. 311.

247 La prima è più importante caratteristica di una folk-stories è che si tratta di una narrazione orale.

Non importa se una storia popolare ha origine da una storia scritta, ma perché una storia scritta

cominci a far parte del folclore deve circolare oralmente. Si tratta di una narrazione in prosa, può

contenere versi, ma la storia stessa deve essere in prosa e deve raccontare un evento specifico. Si veda

Sveinsson, The Folk-Stories of Iceland, pp. 14-15.

248 Gunnell traduce kvöldvökur con “evening wakes”, si veda Bedell, Hildur, Queen of Elves and

Other Icelandic Legends, p. 5.

249 La baðstofa era la stanza in cui gli abitanti delle fattorie islandesi, dal Medioevo sino all’inizio del

XX secolo, dormivano e lavoravano nelle ore serali. Aveva spessi muri fatti di torba e poche finestre

per far entrare la luce. I letti disposti sui lati della stanza venivano usati per sedere durante i pasti o per

le occupazioni serali. In questa stanza dormivano solitamente i bambini, i visitatori e gli operai della

61

(filare, tessere, cucire le scarpe, incidere il legno) e trascorrevano il tempo

incoraggiando un uomo o una donna250

a sedere al centro e iniziare una narrazione. I

narratori di solito vivevano o lavoravano all’interno della fattoria, tuttavia alcune

volte potevano essere visitatori di passaggio: viandanti che si spostavano tra le

diverse fattorie, intrattenendo i loro ospiti. Proprio questi viaggiatori erano i veri

portatori di notizie, pettegolezzi e leggende nelle differenti aree del paese251

.

Le figure più comuni che appaiono nei più antichi racconti popolari sono quelle

degli álfar e del cosiddetto ‘popolo nascosto’, huldufólk252

. Come si è visto, la parola

álfar si ritrova già negli antichi testi islandesi e si riferisce ad esseri vicini agli dèi253

,

a differenza degli elfi di cui si parla oggi. Gli esseri del popolo nascosto

rappresentano una commistione tra gli antichi álfar e i nátturuvættir254

(spiriti della

natura che proteggevano il territorio). Generalmente sono simili agli esseri umani per

aspetto e dimensioni, ma possiedono la capacità di rendersi molto piccoli o molto

grandi. Le leggende che li riguardano sembrerebbero rispecchiare le vite degli esseri

umani, tranne per il fatto che gli elfi sono di solito belli, potenti, affascinanti e liberi

da preoccupazioni255

. Vivono in comunità, hanno fattorie, vanno a pesca, traslocano,

hanno figli, si innamorano, si sposano e muoiono, proprio come gli esseri umani.

I racconti raccolti da Jón Árnason ci danno due versioni sull’origine degli elfi. Una

è quella già citata che li vede come i figli che Eva non aveva mostrato a Dio, perché

fattoria che erano stati assunti temporaneamente. Bedell, Hildur, Queen of Elves and Other Icelandic

Legends, pp. 1-2.

250 Come è ovvio gli anziani sono quelli che conoscono più storie e in islandese esiste una parola per

indicare un vecchio o una vecchia ‘che sa tante storie’: rispettivamente sögukarl e sögukerlin. Negli

ultimi secoli le donne sono state più attive degli uomini nel conservare le storie folcloristiche:

Sveinsson, The Folk-Stories of Iceland, p. 69.

251 Bedell, Hildur, Queen of Elves and Other Icelandic Legends, p. 6.

252 Il termine islandese huldufólk è strettamente legato al norvegese huldre/underjordisk, ‘popolo

nascosto o sotterraneo’; Bedell, Hildur, Queen of Elves and Other Icelandic Legends, p. 10. I danesi

usano il termine ellefolk e gli svedesi högfólk. Si veda Keightley, The Fairy Mythology, pp. 79-81.

253 Cfr. paragrafo 3.1.

254 T. Gunnell, ‘The Coming of the Christmas Visitors’, The Journal of Scottish Society for Northern

Studies 38 (2004), pp. 51-71, p. 52.

255 Bedell, Hildur, Queen of Elves and Other Icelandic Legends, p. 11.

62

non li aveva puliti256

, l’altra invece li identifica come spiriti che non presero una

posizione quando Lucifero ed altri angeli si ribellarono a Dio:

Un tempo, quando il demonio fece la ribellione in cielo, allora lui e tutti

quelli che combatterono con lui furono cacciati nell’oscurità più

profonda. Anche quelli che lo seguirono con lo sguardo furono cacciati

via dal cielo. Ma quelli che non erano con lui né contro di lui e [non

stavano] da nessuna parte furono cacciati giù sulla terra e fu stabilito che

[dovessero] vivere nelle colline, nelle montagne e nelle pietre e questi

sono detti elfi o [anche] uomini invisibili. Essi non possono vivere con

nessun altro se non fra di loro. Essi possono fare tanto il bene quanto il

male e molto in entrambi i casi.257

Se è pur vero che gli elfi non possono vivere insieme agli esseri umani, hanno spesso

con loro contatti di vario genere. Molti racconti ci dicono che essi possono apparire

in sogno, e in altri ritroviamo contatti più diretti. Ciò che accade nei sogni ha effetti

sulla vita reale258

: uno degli esempi meglio conosciuti è Il sogno di Katla259

che narra

dell’amore di un elfo per una donna mortale, Katla, moglie di un uomo di nome

Marr. Durante un sogno Katla viene rapita da una donna e condotta nel regno degli

elfi di re Kari. L’elfo la seduce e prima di lasciarla tornare a casa le predice la nascita

di un figlio maschio per il quale le consegna dei doni: una cintura e un pugnale. Nel

momento stesso in cui Kari lascia andare Katla, ella si sveglia, ha con sé i doni

dell’elfo e racconta tutto a suo marito. In seguito partorirà un figlio maschio a cui

viene dato il nome di Kari.

Incontrare un elfo nella vita reale, e non in sogno, può essere tanto una benedizione

quanto una sciagura. Tutto dipende da come agisce chi li vede. Gli elfi non si

dividono in buoni e cattivi, essi sono vendicativi se gli si fa un torto e generosi se gli

si fa un favore. Gli si può nuocere in diversi modi: profanando le loro dimore, non

ascoltando i loro consigli ed essendo avidi desiderando le loro ricchezze.

256

Si veda il capitolo III. La storia a cui si fa riferimento è Genesi degli uomini invisibili, in Chiesa

Isnardi, Racconti popolari e fiabe islandesi, p. 19.

257 Ibid., Origine degli elfi, pp. 20-21.

258 Alcuni esempi in cui gli elfi appaiono in sogno: Il dottor Skafti Saemundsson, p. 25; “Hai sete,

vuoi bere?”, p. 98; La roccia degli elfi presso Æsustaðir, p. 101; in Chiesa Isnardi, Racconti popolari

e fiabe islandesi. Tutti i racconti che verranno citati di seguito fanno parte di quest’opera.

259 Il sogno di Katla, pp. 48-57.

63

Nel racconto Del ragazzo di Dyrhólaey260

si narra di un pastore che non credeva che

nell’isola di Dyrhólaey vivessero gli elfi, così per divertimento infilava il suo bastone

tra gli anfratti delle rocce e talvolta vi faceva anche i suoi bisogni. Una volta il

ragazzo non tornò a casa come al solito e venne cercato per tutta l’isola. Alcuni

udirono le urla persino dalla terraferma, e tutto ciò che trovarono di lui in seguito fu

il suo cappello e le sue budella sparse sulle rocce dell’isola.

Questo è certamente uno degli esempi più cruenti dell’indole vendicativa degli elfi,

ma è più frequente che questi facciano incantesimi o inviino maledizioni di sfortuna

al malcapitato261

. Sembra che abbiano una predilezione nell’attirare gli umani nel

proprio mondo, soprattutto offrendo loro cibi e bevande magiche, tuttavia se si cede

alle loro lusinghe si perde il senno per il resto della vita262

. Hanno soprattutto un

desiderio particolare per i bambini e spesso li rapiscono scambiandoli con gli anziani

della terra degli elfi, i quali sono davvero di orribile aspetto se si riesce a vederli

nella loro vera natura263

; si crede che la presenza di una croce al di sopra della culla

impedisca agli elfi di portare via il bambino264

.

Gli elfi, d’altro canto, si dimostrano anche molto generosi se li si ascolta e li si

aiuta. Il modo più semplice per non venir colpiti dalla maledizione di un elfo è quello

di essere rispettosi nei loro confronti265

. In maniera più diretta, un essere umano può

aiutare una donna elfo che sta per partorire266

, ponendo le proprie mani su di lei,

260

Del ragazzo di Dyrhólaey, p. 102.

261 L’uomo invisibile e la ragazza, pp. 27-29; Tungustapi, pp. 30-36; Rauðhöfð, pp. 64-66; La vecchia

vuol qualcosa per il fuso, pp. 95-98.

262 Gli incroci, pp. 88-89. “Poi assaggiò il suo boccone di lardo cotto e fu preda dell’incantesimo e

divenne pazzo.”

263 Sveinsson, The Folk-Stories of Iceland, p. 177; cfr. Il bambino scambiato a Sogn, pp. 38-39; Padre

di diciotto figli nel paese degli elfi, pp. 41-43; Il bambino e la donna degli elfi, pp. 44-45. In queste

storie viene detto che per poter vedere la vera forma di un ‘bambino scambiato’ bisogna picchiarlo

violentemente, finché non si trasforma.

264 “Prendiamolo, prendiamolo”, p. 40.

265 Il pescatore di Götur, pp. 21-22; “Metti qualcosa nelle mani del vecchio, del vecchio”, pp. 29-30;

“Su, su mia Lappa”, pp. 26-38; La danza degli elfi la notte di Capodanno, pp. 85-88.

266 L’uomo invisibile e la ragazza, pp. 27-29; La donna degli elfi in travaglio, pp. 23-25; Il dottor

Skafti Sæmundsson, pp. 25-27.

64

oppure rompere un incantesimo che costringe un elfo a vivere tra le persone267

.

Proprio il racconto Hildur regina degli elfi268

è uno degli esempi più celebri che

riguarda una maledizione scagliata su una donna degli elfi – più esattamente sulla

loro regina – costretta a vivere così tra gli umani. Hildur era la governante di una

grande fattoria, che però non aveva un pastore che accudisse il bestiame. Ogni

mattina di Natale il pastore di quella fattoria, infatti, veniva trovato morto, così il

fattore decise di non assumere più nessuno. Un giorno però un uomo rude ed

energico si propose per questo lavoro. Trascorse tanto tempo e la vigilia di Natale

tutti, tranne Hildur che restava di guardia alla casa e il pastore che sorvegliava il

bestiame, andarono alla veglia in chiesa. Il pastore pensò che sarebbe stato prudente

restare sveglio tutta la notte, dati gli avvenimenti degli anni precedenti. Durante la

notte Hildur si avvicinò al pastore, il quale finse di dormire, gli mise delle briglie

magiche269

in bocca e così lo cavalcò sino ad un precipizio. Hildur scese e il pastore,

senza farsi notare, si tolse prima le briglie magiche (strofinando la testa contro una

roccia) e poi chiuse nel palmo della sua mano una pietra dell’invisibilità che portava

sempre con sé, così che nessuno potesse vederlo.

267

Snotra, pp. 78-81.

268 Hildur regina degli elfi, pp. 69-78.

269 Secondo il folclore islandese la briglia che serve per la ‘calvalcata magica’, grazie alla quale si può

cavalcare tanto un uomo quanto un animale (e persino un oggetto) su qualsiasi superficie, si fa

utilizzando parti di un cadavere rese magicamente potenti grazie a un incantesimo. Si veda Chiesa

Isnardi, Racconti popolari e fiabe islandesi, p. 72, nota 65.

65

Saltando dopo Hildur

270

Quello che il pastore vide, seguendo Hildur, fu un magnifico mondo sotterraneo con

verdi pianure e una magnificente reggia. Scoprì anche che Hildur era in realtà la

regina di quel mondo. Coloro che vivevano in quel luogo organizzarono un banchetto

in suo onore, festeggiarono e danzarono tutta la notte. Sia Hildur che il re, suo

marito, pregarono tanto la vecchia suocera di sciogliere l’incantesimo che

costringeva la regina a vivere tra gli uomini, ma la vecchia non volle sentire ragioni.

Così si continuò a festeggiare, approfittando della presenza della regina per

quell’unica notte dell’anno. Si fece quindi ora di tornare alla fattoria, prima che il

fattore e la sua famiglia rientrassero dalla veglia. Il pastore tornò in superficie, si

rimise le briglie e si lasciò cavalcare sino alla fattoria. Il mattino seguente tutti erano

preoccupati che il pastore fosse morto, ma, con sorpresa di tutti, era vivo e raccontò

tutto al fattore. Hildur lo ringraziò perché, avendo lui scoperto la maledizione che la

imprigionava, ella era ora libera di tornare da suo marito e regnare nel suo regno.

Prima di andare, Hildur pronunciò queste parole:

270

Disegno di G. Pearson. L’immagine è tratta dal libro di R. Bentley, Icelandic Legends: Collected

by Jon Árnason (London: Richard Bentley, 1864), p. 88. È possibile visionarla online tramite il link:

http://books.google.it/books?id=qDAeAAAAMAAJ&printsec=frontcover&hl=it&source=gbs_ge_su

mmary_r&cad=0#v=onepage&q&f=false

66

Ora è del tutto chiaro che tutti gli altri precedenti pastori del contadino, da

quando io venni qui, hanno trovato la morte per causa mia, tuttavia io mi

aspetto di non venire accusata di ciò dal momento che ciò non accadeva

per mia volontà, perché nessuno prima d’ora è riuscito a conoscere la

strada che porta nel mondo sotterraneo e ad avere notizie sulle dimore

degli elfi.271

Da quel momento il pastore ebbe una lunga vita fortunata: riuscì a costruire una sua

fattoria e prosperò sino alla sua morte.

Vi sono due momenti dell’anno ritenuti speciali dagli islandesi e a cui le leggende

sugli elfi fanno riferimento: la notte della vigilia di Natale e quella della vigilia

dell’anno nuovo272

. Si crede, infatti, che in questi due momenti gli elfi raggiungano

le fattorie degli uomini per le loro celebrazioni annuali che comprendono danze e

banchetti273

. Nella sua collezione, Jón Árnason classifica tre tipi particolari di

leggende che riguardano questo periodo, denominate “The Christmas Dances of

Elves” (“Le danze di natale degli elfi”)274

.

Terry Gunnell le analizza separatamente perché, anche se hanno lo stesso comun

denominatore (gli elfi si muovono in questo periodo dell’anno dentro e fuori dal loro

mondo e si incontrano per celebrare danze e banchetti nelle loro dimore o nelle

fattorie degli uomini), esse differiscono in alcuni importanti elementi che bisogna

tener presenti. Il primo tipo di leggenda è quella a cui ci si riferisce come “The Elf

Queen Legend” (“La leggenda della regina degli elfi”)275

– lo si è precedentemente

visto con il racconto Hildur regina degli elfi276

– ed ha la seguente struttura

generale277

:

271

Hildur la regina degli elfi, p. 77.

272 Sia il momento di queste riunioni, alla mezzanotte, che le loro date sono strettamente collegati a

dei punti di svolta nel tempo, in cui un periodo sta terminando ed un altro comincia. Gunnell, ‘The

Coming of the Christmas Visitors’, p. 53.

273 Ibid., p. 51; cfr. Tungustapi, pp. 30-36;

274 Gunnell, ‘The Coming of the Christmas Visitors’, p. 52.

275 Ibid., p. 53. Questo tipo di leggenda è strettamente connesso alle leggende migratorie scandinave

conosciute come “Following the Witch” (“Seguendo la strega”).

276 Si confronti anche il racconto Snotra, pp. 78-81.

277 Esistono dieci leggende nella raccolta di Árnason che seguono questo schema. Si veda Gunnell,

‘The Coming of the Christmas Visitors’, p. 54. Nella parziale traduzione della raccolta di Jón Árnason

in Chiesa Isnardi, Racconti popolari e fiabe islandesi, ritroviamo solo due storie di questo tipo: Hildur

regina degli elfi e Snotra.

67

1. Una donna sconosciuta compare e chiede lavoro presso una fattoria. Lavora

bene e le viene data una posizione di responsabilità.

2. Ogni anno, quando la gente va alla messa di mezzanotte (a Natale o a

Capodanno), questa donna sceglie di restare a casa a prendersi cura della

fattoria.

3. (Motivo extra) Ogni anno un uomo rimane con lei alla fattoria, e il giorno

dopo viene trovato morto o scompare.

4. In un’occasione, un uomo coraggioso decide di seguire la donna.

5. Senza essere visto, l’uomo segue la donna sconosciuta quando lei si reca nel

suo mondo.

6. L’uomo vede che lei è una regina degli elfi sotto un incantesimo e la osserva

mentre prende parte ai festeggiamenti in suo onore.

7. Il giorno seguente, egli informa il fattore di quello che ha fatto la donna,

liberandola in tal modo la donna dall’incantesimo. La donna, quindi,

scompare tornando nel mondo degli elfi, piena di gratitudine per essere stata

liberata dall’incantesimo.

Gli altri due tipi di leggende sono più direttamente collegate alla ‘danza degli elfi’.

Anche questi, tuttavia, trattano di un essere umano che deve restare a casa da solo

nella notte di Natale (o di Capodanno), mentre tutti gli altri si recano alla messa di

mezzanotte278

. La persona deve in qualche modo resistere alle tentazioni degli elfi, i

quali organizzano una festa che si protrae fino al sorgere del sole.

Il primo tipo di leggende racconta di una donna o ragazza che deve sorvegliare la

fattoria mentre gli altri non ci sono e che rimane a casa per svolgere le attività serali.

Questo tipo di leggenda si chiama “The Girl and the Dance of the Elves” (“La

ragazza e la danza degli elfi”)279

:

1. Una fanciulla deve stare a casa durante la notte di Natale mentre gli altri della

fattoria vanno alla messa di mezzanotte.

278

La danza degli elfi la notte di Capodanno, pp. 85-88; Le sorelle e il popolo degli elfi, pp. 89-90.

279 Quattordici sono le leggende che seguono pedissequamente questo tipo di schema, e tre le

leggende, che, invece, lo seguono solo parzialmente: Gunnell, ‘The Coming of the Christmas

Visitors’, pp. 55-56. In Chiesa Isnardi, Racconti popolari e fiabe islandesi, si vedano La danza degli

elfi la notte di Capodanno, pp. 85-88; Le sorelle e il popolo degli elfi, pp. 89-90.

68

2. Le donne che in precedenza hanno sorvegliato la fattoria sono morte o

impazzite.

3. La ragazza finisce le occupazioni serali.

4. Siede sul letto e legge (di solito la Bibbia).

5. Entrano alcuni estranei (elfi).

6. Due bambini si avvicinano alla ragazza e lei offre loro dei doni (spesso

candele).

7. Le si avvicina un uomo degli elfi che vuole dormire con lei, ma lei rifiuta.

8. Talvolta viene invitata a prendere parte alla danza, ma ancora rifiuta.

9. Infine, una donna degli elfi si avvicina alla ragazza e la loda per il suo buon

comportamento. La ricompensa con abiti, oggetti e gioielli.

10. Gli estranei vanno via, talvolta quando sentono l’arrivo del giorno.

11. Quando tornano gli abitanti della casa sono meravigliati per i magnifici doni.

12. In sette delle leggende, la madre della ragazza o la moglie del fattore vuole

occuparsi della fattoria la volta successiva, ma non sapendo come

comportarsi correttamente con gli elfi viene duramente punita.

L’ultimo tipo di leggende narra invece di un uomo che si occupa della fattoria nello

stesso periodo dell’anno ed è definito “The Man with No Name and the Christmas

Spirits” (“L’uomo senza nome e gli spiriti del Natale”)280

. Innanzi tutto, l’eroe è

sconosciuto, proviene dall’esterno e si offre senza indugio di occuparsi della casa al

posto dei proprietari. Le caratteristiche principali di questo tipo di leggende sono le

seguenti281

:

1. Ogni anno degli spiriti cattivi (di solito chiamati ‘popolo nascosto’ o elfi)

occupano una fattoria durante la notte di Natale o quella di Capodanno,

mentre gli abitanti sono fuori per la messa di mezzanotte.

2. La persona che deve sorvegliare la fattoria scompare o viene ritrovata morta

il giorno dopo. Nessuno osa restare a casa in quel momento dell’anno.

3. Un uomo sconosciuto (spesso un fattore o pastore) arriva e dice di non aver

paura degli spiriti.

280

Gunnell, ‘The Coming of the Christmas Visitors’, p. 57.

281 Hanno queste caratteristiche dieci racconti della raccolta di Jón Árnason: Gunnell, ‘The Coming of

the Christmas Visitors’, p. 58. In Chiesa Isnardi, Racconti popolari e fiabe islandesi, La danza degli

elfi la notte di capodanno, pp.85-88 è un racconto di questo tipo.

69

4. Gli abitanti della casa vanno via e l’uomo si prepara nascondendosi dietro i

pannelli di legno del muro o all’interno di una buca ricoperta.

5. Il suo cane (se ne possiede uno) è steso sul pavimento.

6. Arrivano rumorosamente gli spiriti e, se l’uomo ha un cane, questo viene

ucciso violentemente.

7. Talvolta il gruppo è guidato da un anziano che si lamenta per l’odore di carne

umana all’interno della casa.

8. Gli spiriti danzano e bevono fino a che non sorge il sole.

9. L’uomo annuncia che sta per sorgere il sole, talvolta invoca Dio o Gesù.

10. Gli spiriti fuggono in preda al panico e trascinano con loro l’anziano.

11. L’uomo si tiene gli indumenti e gli altri oggetti che sono stati abbandonati.

12. Gli spiriti non ritornano mai più.

Comparando le versioni più antiche di quest’ultimo tipo di leggenda con quelle più

recenti, è interessante notare i cambiamenti che hanno avuto luogo all’interno della

tradizione orale. All’inizio c’era un unico spirito malvagio che poi si trasforma in

una pluralità di ‘spiriti malvagi’; l’eroe, che era un pastore, diviene un guardiano

all’interno dell’ambiente domestico; nelle versioni più recenti, l’eroe ha spesso un

cane che è parte integrante della storia e, infine, gli antichi troll/fantasmi diventano in

seguito ‘popolo nascosto’ o elfi282

. La forma più antica di questo tipo di leggenda, in

cui un pastore uccide un troll, si ritrova nel racconto Vatnsdalur e nella leggenda

Sagan af Grími Skeljungsbana (Il racconto di Grímr, che uccide Skeljumgur),

entrambi facenti parte della collezione di Magnússon283

. Nella struttura di questo tipo

di leggenda vi è solo uno spirito cattivo a cui ci si riferisce come fantasma o troll,

piuttosto che un elfo, e che comunemente attacca i pastori durante la notte di Natale.

282

Gunnell, ‘The Coming of the Christmas Visitors’, p. 60. Una prova del fatto che queste leggende

rivestissero molta importanza all’inizio del XX secolo può esser vista nelle croci che annualmente

venivano dipinte sulla porta principale della fattoria, su quella della stalla e del granaio con lo scopo di

proteggere gli edifici dall’invasione di questi esseri sovrannaturali; ibid., p. 67.

283 La collezione di Magnússon, conosciuta come Arnamagnæan Manuscript Collection, è

attualmente suddivisa tra due istituzioni che portano entrambe il suo nome: l’Istituto Arnamagnano di

Copenhagen e l’Istituto Arnamagno di Reykjavík.

70

Il cambiamento da troll/fantasma a elfi è oscuro284

e risulta particolarmente

discordante con la concezione che si ha degli elfi nella cultura islandese: essi non

hanno caratteristiche di pura malvagità, non sono spaventati dalla luce del sole285

nota o dal nome di Dio, anzi alcuni racconti li dipingono persino cristiani con le loro

chiese e i loro pastori286

.

4.4 HULDUFÓLK E ISLANDESI

Il folclore, i racconti e le leggende sugli elfi e altre creature sovrannaturali non hanno

perso il loro fascino nell’Islanda del XX e XXI secolo. Ancora oggi si raccolgono

nuove leggende e si cerca di capire in che modo gli islandesi vivano queste

‘superstizioni’.

La prima ricerca sociologica, condotta in Islanda, che riguarda le leggende sul

sovrannaturale è stata condotta dallo psicologo Erlendur Haraldsson, docente

dell’Università d’Islanda, nel 1974, e pubblicata nel 1978287

. Il questionario era

composto da 54 domande, raggruppabili in sei gruppi:

1. Sogni

2. Esperienze psichiche e aspetti del folclore islandese

3. Esperienze religiose e lettura di libri sulla religione e su fenomeni psichici

4. Sedute psichiche

5. Atteggiamenti verso i fenomeni paranormali, vita dopo la morte ecc.

6. Informazioni demografiche

Le domande vennero poste a un campione casuale di 1132 persone con un’età

compresa tra trenta e settanta anni (la popolazione islandese era di circa 210.000

abitanti), di varia estrazione sociale e con istruzione diversa. Solamente 902 persone

risposero al questionario (425 uomini e 477 donne). Il 64% di loro affermò di aver

avuto una qualche esperienza psichica (57% degli uomini e il 70% delle donne).

La domanda numero 41 riguardava l’esistenza degli elfi/del popolo nascosto e di

altre creature magiche. I risultati statistici furono:

284

Gunnell, ‘The Coming of the Christmas Visitors’, p. 62.

285 Si tratta in realtà di una caratteristica dei nani, si veda il capitolo III.

286 Ibid., p. 70; cfr. i racconti Tungustapi, pp. 30-36; La ragazza che visse con gli elfi, pp. 44-45.

287 V.Tr. Hafstein, ‘The Elves’ Point of View. Cultural Identity in Contemporary Icelandic Elf-

Tradition’, Fabula: Journal of Folktale Studies 41 (2000), pp. 87-104, p. 87.

71

#41 Popolo nascosto ed esseri magici:

Uomini Donne

Impossibile 10% 14% 7%

Improbabile 18% 19% 16%

Possibile 33% 31% 34%

Probabile 15% 14% 16%

Certa 7% 7% 8%

Nessuna opinione 17% 15% 19%

Dati originali del questionario di Haraldsson del 1974288

Come si può notare la percentuale maggiore ricade sulla risposta ‘possibile’, mentre

c’è poca differenza tra ‘improbabile’ e ‘probabile’. Da questa prima ricerca

scaturirono diverse opinioni riguardo a ciò in cui credevano degli islandesi. In

particolare Árni Björsson scrisse nel 1996 un articolo dal titolo “Hvað merkir

þjóðtrú” (“Cosa significa credenza popolare”)289

, sostenendo che þjóðtrú era la

parola sbagliata da usare per i tanto discussi atteggiamenti islandesi nei confronti dei

fenomeni sovrannaturali come sogni, spiriti, contatti con gli spiriti dei morti e con il

popolo nascosto. L’articolo di Björnsson sostiene essenzialmente che gli argomenti

che trattano di queste credenze sono esagerati e che la maggior parte della gente in

Islanda è, in genere, dubbiosa nei confronti di questi fenomeni: le leggende narrate

nel passato e nel presente riflettono per prima cosa l’immaginazione e le abilità

poetiche del popolo islandese, un modo per interpretare ciò che li circonda, piuttosto

che una credenza diffusa. Per lui l’affermazione dell’esistenza degli elfi è in realtà

288

E. Haraldsson, Þessa heims og annars. Könnung á dulrænni reynslu Íslendinga, trúarviðhorfum og

Þjóðtrú (Reykjavík, University of Iceland, 1978), citato in Hafstein, ‘The Elves’ Point of View’, p.

103. Il documento, in inglese ‘This world and the next. A survey of psychic experiences in Iceland,

religious beliefs and folklore’, è scaricabile dalla pagina web:

http://en.wikipedia.org/wiki/Hulduf%C3%B3lk.

289 L’articolo è visionabile online tramite il link dell’Associazione Forn Sed, la quale si interessa di

mitologia e religione: http://www.forn-sed.no/folkesagn/folkesagn/artikler_lenker/artikkel21.shtml.

Questo articolo è anche stato pubblicato sul periodico Skirnir nel 1996; si veda anche T. Gunnell,

‘Heima á milli: Þjóðtrú og þjóðsagnir á Íslandi við upphaf 21 aldar’, relazione presentata durante una

conferenza dell’ottobre 2009 all’Istituto di Scienze Sociali di Reykjavík, p. 1.

72

poco più che “ferðamannaþjóðfræði”290

, qualcosa mantenuta a beneficio dei turisti

piuttosto che il riflesso di una vera fede.

L’articolo non è esente da critiche, soprattutto da parte di Hafstein e Gunnell.

Queste sono le parole che Valdimar Tr. Hafstein indirizza verso l’articolo di

Björnsson: “Se ho capito bene, lui sostiene che il moderno folclore elfico sia

principalmente costruito per ingannare i turisti, che si tratti in altre parole di

‘folclorismo’291

”. Hafstein considerava erronea l’ipotesi di Björnsson, secondo cui le

leggende antiche venivano considerate vere dagli islandesi dell’epoca, mentre le

leggende moderne (nuove) sono diventate un puro escamotage turistico.

Le affermazioni di Björnsson, in effetti, contraddicono i dati che Hafstein ha

ricavato in seguito a ricerche sul campo condotte nel 1995 e nel 1996292

. Lo studioso

si è concentrato su un tipo particolare di leggende in costante circolazione dalla

seconda metà del XX secolo, che sono quelle che riguardano l’interferire con le

dimore e le proprietà degli elfi293

. Queste narrazioni formano quasi l’intero corpus

delle leggende contemporanee: ci raccontano di guasti meccanici senza causa

apparente, strani incidenti e sogni d’ammonimento interpretati come opera degli

elfi294

. Coloro che sono a capo dei progetti hanno atteggiamenti diversi nei confronti

di questi eventi e spesso preferiscono acconsentire ai desideri degli elfi piuttosto che

rischiare qualcosa. Le alternative che si possiedono comprendono: dare agli elfi il

tempo di trovare un’altra sistemazione, abbandonare l’uso degli esplosivi, dare un

altro percorso alla nuova strada o persino abbandonare l’idea di costruire nell’area

designata. In altri casi non si tiene conto dell’interferenza degli elfi, il che significa

rischiare incidenti, danni meccanici o anche calamità naturali.

Tre esempi che riguardano resoconti di interviste condotte da Hafstein sono

rappresentativi di queste leggende, tutte nate nei dintorni di Reykjavík295

. Il primo

290

Gunnell, ‘Heima a milli’, p. 2.

291 “If I have understood him correctly, he claims that modern elflore is to a great extent fabricated to

defraud tourists, that it is in other words folklorism”. Hafstein, ‘The Elves’ Point of View’, p. 88.

292 Si vedano i tre successivi esempi riguardanti i resoconti delle interviste condotte da Hafstein.

293 Hafstein, ‘The Elves’ Point of View’, p. 89.

294 Ibid., p. 90.

295 Ibid., p. 88. Oltre alle interviste effettuate sul luogo, Hafstein si avvale dell’utilizzo di file

archiviati del Dipartimento di Etnologia del Museo Nazionale d’Islanda. L’archivio consiste in lettere

73

esempio risale all’inizio degli anni ’70 quando degli appaltatori avevano convinto i

loro operai a trasportare un grosso masso fuori dal percorso di un’autostrada in

costruzione. Delle voci riferivano che la roccia appartenesse agli elfi e dei piccoli

incidenti sul campo lo avevano confermato. Il sovrintendente ai lavori Petur Jonsson

e l’ingegnere esecutivo Gudmundur Emarsson avevano deciso di prendere

precauzioni e di spostare la roccia. Era stato chiamato persino un veggente,

Zophanias Petursson, per ottenere il consenso dei possibili abitanti delle rocce.

Questi confermò che lì c’erano degli elfi e sostenne di aver avuto il loro permesso di

portare avanti i lavori, ma proprio uno degli operai che aveva spostato la roccia ebbe

un incidente: quella sera urtò accidentalmente con il bulldozer una conduttura

dell’acqua che riforniva un vicino allevamento di pesci causando la morte di 70.000

trote. Ancora una volta, l’incidente venne attribuito all’intervento degli elfi, forse per

il fatto che la pietra si era spaccata in due quando i bulldozer l’avevano rimessa a

terra. Dopo questo fatto, nessuno dei lavoratori volle più avvicinarsi alla roccia

durante la realizzazione dell’autostrada e uno di loro, vent’anni dopo, raccontò ad

Hafstein che la sua vita era stata segnata da un’incredibile sfortuna296

.

Il secondo esempio riguarda la Álfhóll, collina dell’elfo, e la strada che porta il suo

nome, Álfhólsvegur. Si trova a Kópavogur (un sobborgo vicino la capitale) ed è la

più famosa casa degli elfi. Si tentò di perforare la collina, ma la costruzione della

strada fu segnata da guasti ai macchinari ed altri incidenti. Nemmeno i costruttori

responsabili dell’istallazione di nuove condotte d’acqua lungo Álfhóll, negli anni

’70, riuscirono a completare i lavori. Infine, le autorità cittadine decisero di dividere

in lotti le proprietà presso Álfhólsvegur alla fine degli anni ’80, ma chi ricevette la

proprietà proprio vicino alla collina la restituì in cambio di un altro pezzo di terra.

Adesso Álfhóll è protetta dalla città come eredità culturale297

.

con esperienze personali e racconti della tradizione locale, che degli informatori hanno scritto in

risposta a questionari qualitativi su vari argomenti, e coprono circa 35 anni.

296 Ibid., pp. 90-91.

297 Ibid., p. 91.

74

Álfhóll, Kópavogur298

Il terzo, ed ultimo, esempio riportato da Hafstein riguarda sempre Kópavogur. Nel

febbraio del 1996 si era deciso di costruire un cimitero a Leirdalur, valle della

cittadina. I camion portarono grandi quantità di terreno, pronto per essere livellato

dai bulldozer, ma una particolare collinetta nella vallata sembrava presentare alcuni

problemi. Hjörtur Hjartarson, uno dei manovratori, raccontò ad Hafstein che, quando

si avvicinava a questa collinetta, le ruote del bulldozer giravano a vuoto e ogni volta

che lavorava intorno alla collina aveva una strana sensazione: “non un senso di

disagio, o roba del genere, ma una sensazione di paura”299

.

Hjartarson venne a sapere dal supervisore del progetto, Jón Ingi Ragnarsson, che

c’era una tradizione locale nel vicinato secondo cui gli elfi o il popolo nascosto

vivevano in quella collinetta. In seguito i due bulldozer non riuscirono mai a salire

completamente la collinetta perché, ogni volta che ci provavano, finivano con il

ribaltarsi. Tutto questo rinforzò la convinzione che creature sovrannaturali stessero

ostacolando il lavoro a Leirdalur e la notizia si sparse in un lampo. Immediatamente

la stampa cominciò a recarsi sul luogo per intervistare gli operai e filmare la collina 298

Dall’immagine tratta dal sito islandese della città di Kópavogur, la collina degli elfi sembrerebbe

piuttosto un piccolo promontorio. http://www.kopavogur.is/thjonusta/umhverfi-og-

skipulag/umhverfismal/verndud-svaedi/baejarverndud-svaedi/

299 “Ekki neinum ónotum eða svona, svona einhverri smá hræðslu svona eitthvað” Hafstein, ‘The

Elves’ Point of View’, p. 91, nota 16. Le traduzioni dall’islandese all’inglese sono dello stesso

Hafstein, si è deciso di riportare solo l’originale in islandese.

75

in questione, ma anche le troupe dei media ebbero problemi. I reporter di Stöð Tvö

(Canale Due) raccontarono di come la telecamera non riuscì a registrare nulla quando

era rivolta verso la collinetta, ma funzionava benissimo se riprendeva qualcos’altro.

Alla fine il supervisore del progetto sospese tutto: “Vedremo se è possibile o no

trovare un accordo con gli elfi spostandoci da un’altra parte per un po’. Sono

propenso a credere che ci sia qualcosa qui che non possiamo spiegare”300

. Quando

ripresero i lavori, le difficoltà erano scomparse. Hjartarson disse che a parer suo,

qualsiasi cosa ci fosse lì, popolo nascosto o elfi avevano semplicemente accettato la

cosa ed erano andati via. A dar forza alla sua opinione c’erano le visioni che una

donna con il dono della ‘seconda vista’ disse di aver avuto, cioè di elfi che si

allontanavano dalla collinetta durante l’autunno.

La cosa interessante riguardo agli interventi degli elfi nell’Islanda odierna è che i

loro attacchi sono sempre diretti contro lo sviluppo: abitativo, infrastrutturale,

costruzioni di fabbriche e altri progetti che contribuiscono all’espansione urbana. Ciò

significa che gli elfi proteggono e rafforzano i valori di una cultura rurale

tradizionale? Hafstein ne è convinto301

, in primo luogo perché le nuove leggende

contemporanee nascono quando si tenta di riconfigurare lo spazio, di ampliare la

comunicazione, cosa che si traduce nella costruzione di nuove strade. Gli elfi

sembrerebbero combattere contro la distruzione di un ordine tradizionale,

opponendosi alla moderna tecnologia: nel loro mondo – o per meglio dire nel mondo

che le leggende ritraggono – essi possiedono tutta la cultura materiale della società

preindustriale islandese e nessuno dei segni esteriori della modernizzazione.

Tutto ciò viene confermato dalle persone sensitive che riescono a vedere gli elfi.

Regina Hallgrímsdóttir, un’informatrice che riesce a vedere gli elfi, racconta che da

bambina aveva giocato con loro e che “il loro abbigliamento era all’antica, sembrava

tutto cucito a casa”302

. Un’altra donna, Erla Stefánsdóttir, sostiene che vedere il

300

“Við ætlum að vita hvort við getum ekki náð sáttum við álfana með því að færa okkur um set um

tíma. Ég hallast helst að því að þarna sé eitthvað sem við getum ekki útskýrt.” Ibid., p. 92, nota 18.

301 Ibid., pp. 93-94.

302 “[…] klæðaburðurinn, hann var sko gamaldags. Allt heimaunnið virtist vera”. Ibid., p. 95, nota 26.

76

popolo nascosto “è come guardare indietro nel tempo […], è spesso come vedere

persone provenienti dall’XVII o XVIII secolo”303

.

In ogni caso, i progetti di costruzione alla fine vengono completati, le strade

asfaltate e gli edifici costruiti. Tutto ciò viene fatto nonostante gli elfi; talvolta con il

loro consenso, altre volte in una nuova collocazione. Non si vuole qui mettere in

dubbio, né confermare l’effettiva esistenza degli elfi, ma certamente queste leggende

(che probabilmente nascono ad hoc) potrebbero rappresentare a livello psicologico

sia una tenue nostalgia per il passato, sia una certa ansia riguardo al cambiamento.

Hafstein non fu l’unico a occuparsi di ricerche e sondaggi che riguardassero le

creature sovrannaturali in cui credevano gli islandesi. Il professor Terry Gunnell

insieme a un gruppo di ricercatori304

ha condotto un’indagine nel 2006. Ottenuti i

fondi necessari, mandò, a un campione casuale di persone, un questionario di

cinquanta domande che riguardavano una serie di fenomeni sovrannaturali:

esperienza con i fantasmi, UFO, credenze negli spiriti protettori, gli elfi, il potere dei

sogni e Dio. Le domande si basavano su quelle poste da Haraldson nel 1974 con del

materiale aggiunto inteso a fornire più dettagli o a mettere il questionario in linea con

una società più moderna di allora305

. Le indagini sottolinearono la credibilità delle

precedenti cifre ottenute da Erlendur Haraldson e, come prima, resero chiaro che

queste credenze hanno profonde radici nella cultura islandese e che sono molto più

che ferðamannaþjóðfræði (folclore turistico)306

.

Il questionario fu inviato a 1500 persone, ma risposero solo in 662, un numero che

non poteva essere considerato rappresentativo. Si ipotizzò che la gente non avesse

poi così tanta voglia di rispondere a questionari di questo genere o rispedirli per

posta. Così l’anno successivo (2007) Gunnell chiese ai suoi studenti di folclore di

prendere dieci questionari ciascuno e darli ad un gruppo di persone di età, sesso e

aree del paese diversi: persone che essi ritenevano tipi ‘completamente normali’307

.

303

“Það er svona kannski svipadð, […] þetta er svona eins og að sjá fólk kannski frá sautján eða

átjánhundruð.”. Ibid., nota 28.

304 Ásdís A. Arnalds, Ragna Benedikta Garðarsdóttir, Unnur Dilja Teitsdóttir

305 Gunnell, T., ‘Modern Legends in Iceland’, relazione presentata al 15° Congresso dell’ ISFNR

(International Society for Folk Narrative Research), p. 1

306 http://www.forn-sed.no/folkesagn/folkesagn/artikler_lenker/artikkel21.shtml

307 Gunnell, T., ‘Modern Legends in Iceland’, p. 2.

77

Sia che fossero interessati all’argomento o meno i questionari andavano restituiti e,

in questo modo, pervennero 325 nuove risposte dando un totale di 984.

Classi di età308

Distribuzione di sesso e residenza

Le domande che furono poste riguardo agli elfi e al popolo nascosto furono309

:

19. Hai mai visto álfar (elfi) o huldufólk (popolo nascosto)?

� No

� Sì, credo Quante volte? (Disegna un cerchio intorno al numero di occasioni in cui

hai li ha visti)

1 2 3 4 5 6 7 8 9 volte o più

58. Pensi che l’esistenza di álfar (elfi) e huldufólk (popolo nascosto) sia…

� Impossibile

� Improbabile

� Possibile

� Probabile

� Certa

� Non ho opinioni su questo

59. Pensi che ci sia differenza tra álfar (elfi) e huldufólk (popolo

nascosto)? 308

Delle 662 persone il 34% avevano un’istruzione universitaria, il 38% erano lavoratori che

potevano o no occupare una posizione autorevole; delle 325 persone che hanno risposto al

questionario del 2007 il 22% aveva un’istruzione universitaria e il 57% erano lavoratori.

309 Queste domande sono estratte da T. Gunnell, ‘Survey of Icelandic Folk Belief and Belief Attitudes’

(Faculty of Social Sciences, University of Iceland, August 2006 and Spring 2007).

Tot. 14-15 16-24 25-34 35-44 45-54 55-64 65-80 91-90

2006 622 10% 18% 21% 25% 14% 12%

2007 325 1% 14% 19% 16% 18% 15% 13% 4%

Tot. Uomini Donne Area della

Capitale

Campagna

2006 662 266 (40%) 396 (60%) 59% 41%

2007 325 132 (41%) 193 (59%) 35% 65%

78

� No

� Non sono sicuro

� Sì In che modo gli huldufólk sono differenti dagli álfar? (Puoi segnare più di

una risposta)

� Huldufólk sono più grandi degli álfar

� Álfar sono più grandi degli huldufólk

� Huldufólk sono più simili agli umani rispetto agli álfar

� Álfar sono più simili agli umani rispetto agli huldufólk

� Huldufólk sono più chiari degli álfar

� Álfar sono più chiari degli huldufólk

� Huldufólk hanno orecchie appuntinte ma non gli álfar

� Álfar hanno orecchie appuntinte ma non gli huldufólk

� Sono differenti in un altro modo, quale?

60. Come sono gli esseri del popolo nascosto comparati agli esseri umani?

� Più alti degli esseri umani

� Più bassi degli esseri umani

� Simili per aspetto fisico agli esseri umani

� Con alcune differenze; quali?

Rispetto ai dati forniti da Haraldson la fede negli elfi si è ridotta di molto poco, ma al

contempo i risultati sottolineano come gli islandesi siano propensi a credere nella

loro esistenza:

Álfar/elfi/popolo nascosto (domanda 58)

310

Le credenze vengono poste in una scala da 1-5, dove 5 è una fede assoluta del 100%, 1 è un

atteggiamento scettico. Alcune credenze raggiungono una cifra superiore a 3, come la telepatia, l’idea

che il futuro possa essere letto, l’idea che i sogni ci predicano il futuro, l’idea che ci si possa

relazionare con i morti, persino vederli o contattarli, l’idea che c’è una vita oltre la morte, che le case

possano essere infestate e che i morti possano visitarci nei sogni e chiedere che venga dato il loro

nome ai bambini. C’è anche una forte fede negli spiriti guida, chiamati fylgjur.

Impossib. Improb. Possibile Probab. Certa N. opinione Media

(1-5)310

2006 13% 22% 32% 16% 8% 9% 2.8

2007 13% 19% 37% 17% 8% 5% 2.9

1974 10% 18% 33% 15% 17% 7%

79

Il 5%, principalmente donne e gente della campagna, dice di aver visto questi esseri

(6% nella ricerca del 2007 e 5% in quella del 1974). Per quanto riguarda le

sembianze degli álfar e degli huldufólk il 20% immagina una differenza nell’aspetto

fisico (soprattutto nelle dimensioni), il 54% non immagina alcuna differenza (49%

nella ricerca del 2007).

Particolarmente interessante è il fatto che gli islandesi sembra abbiano poca fede

nei nuovi spiriti che sono stati introdotti nel paese in tempi recenti o per influenza

danese, come per esempio gli elfi dei fiori e delle case.

Impossib. Improb. Possibile Probab. Certa N. opinione Media

(1-5)311

2006 21% 31% 21% 6% 3% 18% 2.3

2007 20% 30% 26% 9% 2% 13% 2.5

Elfi dei fiori (Blómálfar) (domanda 61)312

Impossib. Improb. Possibile Probab. Certa N. opinione Media

(1-5)313

2006 19% 29% 25% 8% 3% 17% 2.3

2007 17% 28% 30% 8% 3% 15% 2.4

Elfi delle case (Búálfar) (domanda 62)314

Le cifre sono semplicemente cifre, dicono molto poco dei pensieri di una persona che

segna nel questionario che ‘crede’ o ‘non crede’ nella vita dopo la morte, nel

significato profetico dei sogni, nell’esistenza di huldufólk o UFO. Per tale ragione le

domande non riguardavano solo le credenze in genere, ma si chiedeva di parlare

(anonimamente) anche delle proprie esperienze personali, poiché per comprendere

meglio in che modo gli islandesi vivono il sovrannaturale intorno a loro, doveva

essere affiancata alla ricerca di tipo quantitativo una di tipo qualitativo. Ecco perché

si decise di intervistare direttamente le persone che avevano fornito spontaneamente

il proprio numero di telefono e l’indirizzo e-mail nel questionario del 2007. Questo

311

Si veda la nota 310.

312 Pensi che l’esistenza dei blómálfar (elfi dei fiori) sia…

313 Si veda la nota 310.

314 Pensi che l’esistenza dei búálfar (elfi delle case) sia…

80

lavoro venne fatto tra il 2008 e il 2009 da Júlíana Magnúsdóttir, Dagbjört

Guðmundsdóttir, Silja Rún Kjartansdóttir, Hrefna Bjartmarsdóttir315

.

Il materiale collezionato in tal modo costituisce un tesoro che formerà a breve una

preziosa aggiunta al materiale dell’archivio audio dell’Istituto Arnamagnano316

. È di

particolare interesse che le storie raccontate alle studentesse abbiano un carattere

‘tipicamente islandese’: riguardano principalmente i sogni, gli incontri con gli spiriti

della famiglia o fylgjur, i contatti con huldufólk (popolo nascosto) o álfar e anche con

quegli spiriti che vengono in sogno per far dare ai neonati il proprio nome

(nafnavitjun)317

.

Oltre a raccontare il rapporto che gli islandesi hanno con il sovrannaturale, queste

interviste forniscono una nuova aggiornata collezione di leggende islandesi. Qui di

seguito si dà, a titolo esemplificativo, la traduzione della trascrizione del racconto

dell’esperienza di Margarét Einarsdóttir (nata nel 1941) raccolta da Júlíana

Magnúsdóttir. Si parla di sogni profetici, spiriti ed elfi:

ME: Prima che ci trasferissimo qui a […], si era parlato di comprare

questa terra e allora io sognai di trovarmi qui a nord all’interno del terreno

della casa. E lì, avevo la sensazione, che ci è una grande sala, dove

viveva una certa donna di cui non ricordo esattamente l’aspetto. Io le

parlavo, ero in qualche modo davvero nervosa, preoccupata. E lei mi

disse qualcosa del genere: “fin tanto che credi in me, non avrai

preoccupazioni”.

JÞM.: Oh.

ME: E allora ho avuto la sensazione, senza che lei lo dicesse, che parlasse

di problemi finanziari.

JÞM: Ok.

ME: Ed è così strano che io abbia spesso pensato a questa donna da quel

momento e che quando spesso mi trovai a pensare “Ok, non c’è un

centesimo per comprare qualcosa”, qualcosa saltava fuori a risolvere

tutto.

JÞM: Ok.

ME: Ma era così strano che chiesi al vecchio fattore, che era lì quando

traslocai, se sapeva di huldufólk in questa zona. “No”, disse lui, non ne

era a conoscenza. Ma poi cominciò a raccontarmi “Sì, in realtà, mio padre

aveva intenzione di costruire un capanno qui dietro il campo, presso la

grande roccia che c’è lì. E aveva finito di sistemare le pietre e di fare le

fondamenta per i muri (JÞM: Sì) su tre lati. La roccia doveva formare uno

dei quattro muri, e allora lui aveva intenzione di sistemare le pietre per gli

altri tre, ma non lo fece. Aveva sognato qualcosa una notte”. E così io

dico: “Sì, non si tratta forse della donna che vive lì dentro?” “Non so

315

Studentesse in folclore islandese.

316 Gunnell,‘Heima á milli’, p. 5.

317 Gunnell, ‘Modern Legends in Iceland’, p. 4.

81

niente di questa cosa” dice lui, “non ho mai sentito niente di questa cosa”.

Ma io credo che lì dentro viva una donna molto buona.

JÞM: Sì.

ME: In questa roccia c’è la grande casa che io ho sognato prima di

trasferirmi qui.

JÞM: Sì, allora questa è una huldukona (donna del popolo nascosto)?

ME: Sì…

JÞM: Ti ricordi che aspetto avesse nel tuo sogno?

ME: No, non lo ricordo. Penso che fosse una persona normale. Tranne

che io sapevo nel sogno che non era di questo mondo. (JÞM: Sì) Ed ero

totalmente sicura di ciò quando mi svegliai. 318

La ricchezza del nuovo materiale proveniente da queste interviste fa sorgere altre

importanti domande su ciò che intendiamo esattamente quando parliamo di

‘leggende contemporanee’. Le indagini e le interviste (così come altro materiale

che attualmente viene raccolto in Islanda) sottolineano che, se si dovesse

pubblicare una nuova collezione, che rappresenti le leggende moderne della

campagna islandese (e possibilmente anche delle città), non sarebbe molto diversa

dalle prime collezioni di Jón Árnason319

.

4.5 FATTI DI CRONACA

Ogni estate, e talvolta con maggiore frequenza, viene diffusa una nuova leggenda –

attraverso giornali , tv, radio e passaparola – che riguarda gli elfi320

. Molti articoli e

interviste parlano di episodi apparentemente inspiegabili, attributi agli elfi: in alcuni

casi si crede effettivamente all’esistenza degli esseri del popolo nascosto, in altri si

tratta probabilmente di una strategia per attrarre turisti, proprio come Björsson aveva

suggerito nel suo articolo321

.

Ciò che è certo è che le notizie incentrate sugli elfi in Islanda non sono un evento

così raro. Árni Johnsen, un membro del Parlamento, ebbe nel gennaio del 2010 un

grave incidente stradale durante il quale il suo SUV si ribaltò più volte prima di

fermarsi vicino ad una grande roccia, a circa quaranta metri dall’autostrada. Uscì

illeso dal veicolo e giunse alla conclusione che quella roccia dovesse essere una

dimora degli elfi. Quando l’anno successivo, nel luglio del 2011, la roccia doveva 318

Ibid., p. 6.

319 Gunnell, ‘Heima á milli’, p. 7.

320 Hafstein, ‘The Elves’ Point of View. Cultural Identity in Contemporary Icelandic Elf-Tradition’, p.

90.

321 Si veda il paragrafo 4.3.

82

essere distrutta per permettere l’ampliamento della Ring Road (l’autostrada nazionale

islandese), Johnsen contattò una certa Ragnhildur Jónsdóttir, la quale possiede il raro

dono di riuscire a vedere e comunicare con gli elfi. Johnsen voleva salvare il masso e

spostarlo davanti la sua casa sulle isole Westman (Vestmannaeyjar in islandese). Lei

esaminò la roccia e fu sorpresa dal fatto che ci vivessero tre generazioni di elfi: i

nonni al piano superiore e la famiglia più giovane con i tre figli al piano inferiore.

Ragnhildur presso la dimora degli elfi322

L’idea del trasferimento fu accettata dalla famiglia elfica, a patto di poter viaggiare

separatamente dai macchinari che avrebbero spostato il masso. Gli elfi chiesero

inoltre che la nuova sede della loro casa avesse una bella vista sull’oceano e dell’erba

intorno così da poter allevare le pecore.

322

Tutte le immagini relative a questa soria sono tratte da http://www.norsemyth.org/2012/05/elf-

kerfuffle-in-iceland.html.

83

Lo spostamento della ‘casa’

La roccia e la famiglia vennero trasportati sul traghetto e Johnsen comprò persino i

biglietti per gli elfi. Gli impiegati del traghetto si mostrarono ragionevoli al riguardo

e gli fecero pagare solo l’importo per la giovane coppia, facendo viaggiare gratis

nonni e bambini. Ragnhildur portò un cesto rivestito con pelle di pecora così che gli

elfi potessero viaggiarci dentro in modo confortevole; inoltre, offrì loro del miele in

caso avessero fame durante il tragitto323

.

323

Questa storia è narrata in un articolo di Dr. Karl E.H. Seigfried del 24/05/2012 sul blog ‘The

Norse Mythology Blog’. http://www.norsemyth.org/2012/05/elf-kerfuffle-in-iceland.html. Anche

l’Icelandic Review online ha pubblicato questa storia, al seguente indirizzo:

http://www.icelandreview.com/icelandreview/daily_news/Icelandic_MP_Moves_Elves%E2%80%99_

Boulder_to_His_Home_0_390052.news.aspx. Consultato 09/06/2013.

84

Il miele per il viaggio

Non sono rari gli interventi degli islandesi che cercano di salvaguardare la sicurezza

degli elfi. Nel 1982 un gruppo di 150 persone (attivisti anti-NATO) andò a protestare

alla base militare di Keflavík, vicino la capitale. Erano preoccupati perché i jet

phantom americani e gli arei di ricognizione potevano mettere in pericolo gli elfi che

abitavano lì vicino. Tuttavia dopo una ricognizione all’interno della base, i

dimostranti si dispersero pacificamente324

.

Il tono con cui vengono narrate le vicende ai/dai quotidiani è certamente diverso

rispetto a quello che è stato utilizzato dalle persone intervistate dagli studenti di

folclore per la ricerca di Gunnell325

. Nel caso della ricerca condotta nel 2006 e 2007

è evidente il carattere informale e confidenziale con cui vengono raccontati eventi

personali, nei quali i protagonisti credono fermamente, e non hanno alcun interesse

evidente a finire sui giornali. Quando si legge di elfi in qualsiasi testata giornalistica

324

J.M. Markham, ‘Iceland’s Elves are Enlisted in Anti-NATO Effort’, New York Times 30/03/1982.

http://www.nytimes.com/1982/03/30/world/iceland-s-elves-are-enlisted-in-anti-nato-effort.html

Consultato 09/06/2013.

325 Si veda il paragrafo 4.3.

85

o blog, o ne viene data notizia alla radio o in tv. non possiamo non farci cogliere dal

sospetto che qualcosa non corrisponda esattamente alla realtà.

In effetti, l’‘argomento elfi’ viene sfruttato in alcuni casi per attrarre curiosi e

turisti. Chi si reca in Islanda con il desiderio di conoscere in maniera più

approfondita questo argomento, può visitare Hafnarfjöður, considerata la capitale

elfica islandese.

Erla Stefánsdóttir, una sensitiva che riesce (come Ragnhildur) a vedere gli elfi, dice

della città che “ha la più ricca popolazione di elfi e spiriti di tutta l’Islanda”326

. I

turisti possono prenotare un tour dei ‘mondi nascosti’: una passeggiata di circa 90

minuti che comprende anche una visita al parco Hellisgerdi, il quale possiede sentieri

vecchi di settemila anni scavati dalla lava. Chi guida il tour è Sigubjorg Karlsdottir,

conosciuta anche come Sibba, una donna singolare che indossa sempre un berretto

rosso vivo e racconta ai turisti aneddoti sul popolo nascosto, anche se lei non riesce a

vedere gli elfi. Una grande roccia sulla collina del vecchio centro città è la prima

tappa del tour, e lì Sibba racconta la storia di un uomo che, durante i primi anni del

‘900, voleva costruire una casa in quel punto e disfarsi della roccia. “Loro stavano

proprio per rompere la pietra alla vecchia maniera, ma non riuscirono a smuoverla” e

questo perché l’elfo che viveva lì non voleva andarsene; così il proprietario decise di

costruire la casa da un’altra parte327

. Il tour di Sibba offre ai visitatori la possibilità di

percorrere le vie secondarie di Harfnarfjördur e, anche se nessuno di loro ne ha mai

visti, rimangono comunque affascinati dal paesaggio, dalle storie e da Sibba stessa.

Sibba è una vera istituzione del folclore elfico, ma non è l’unica. A Reykjavík da

circa un ventennio è aperta tutto l’anno la cosiddetta scuola elfica: Álfaskólinn, con

tanto di classi, libri di testo e attestato. Ciò che gli studenti dell’Álfaskólinn imparano

riguarda tutto quello che si conosce sugli elfi e il popolo nascosto, compresi gnomi,

nani, fatine, troll, spiriti della montagna ed anche altri spiriti della natura. Si impara

dove vivano queste creature, che aspetto abbiano, come bisogna comportarsi con loro

per non recargli fastidio.

326

R. Bourte, ‘Hidden Creatures Make Home in Icelandic Town’, Herald 25/5/2005.

http://rense.com/general69/hidden.htm. Consultato 09/06/2013.

327B. Gruber, ‘Iceland: Searching For Elves And Hidden People’ giugno 2007

http://www.dw.de/iceland-searching-for-elves-and-hidden-people/a-2786922. Consultato 08/06/2013.

In Bourte, ‘Hidden Creatures Make Home in Iceland’ questa roccia viene definita la ‘roccia del nano’.

86

I corsi della scuola si basano principalmente su due conferenze tenute dal preside

Magnus Skarphedinsson che ha studiato presso l’Università Islandese. Egli stesso ha

svolto ricerche riguardanti gli elfi e il popolo nascosto e ha incontrato personalmente

centinaia di islandesi che hanno avuto esperienze dirette con gli elfi. In un’intervista

rilasciata al National Geographic, Skarphedinsson ha affermato che “esistono dodici

razze elfiche di dimensioni diverse tra loro, che vanno dai tre centimetri fino

all’altezza degli esseri umani adulti”328

. Le sue lezioni sono tenute in inglese, tranne

per i gruppi formati esclusivamente da scandinavi per i quali utilizza una delle lingue

scandinave329

.

Nemmeno le riviste italiane sono esenti dal ‘fenomeno huldufólk’: il 7 aprile del

2012 il Marie Claire Italia ha dedicato un articolo proprio al popolo nascosto

islandese. L’articolo di Debora Attanasio, ‘In Islanda credono agli elfi’330

, apre una

finestrella sul mondo (o sui mondi) che vi sono in Islanda. L’esperienza diretta – così

come altre storie – di una signora anziana, che racconta di come sia scappata da una

donna degli elfi, è incorniciata da alcune foto di Adam Panczuck tratte dal suo

reportage ‘Very Hidden People’, i cui soggetti ritraggono islandesi di ogni età (e ogni

ceto) nei luoghi in cui hanno incontrato il popolo nascosto.

328

Il video del National Geographic si trova online http://www.youtube.com/watch?v=dHvOeiGHgfw

329 Si veda http://www.elfmuseum.com/.

330 Pubblicato su Marieclaire.it http://www.marieclaire.it/Attualita/Credere-agli-elfi-le-storie-di-chi-in-

Islanda-pensa-che-sull-isola-ci-abitano-gli-Huldufolk

87

Foto di Adam Panczuck

331

Attanasio parla anche di un film documentario basato proprio su questa terra e sugli

esseri invisibili che la popolano: Huldufólk 102. La regista è Nisha Inalsingh, una

newyorkese nata a Trinidad, che fu catturata dal paesaggio islandese la prima volta

che visitò l’isola nel 2001. Dice Inalsingh: “Tornai qui in Islanda sei mesi dopo e

cominciai a intervistare le persone per vedere quanto fosse diffusa questa credenza.

C’era davvero qualcosa qui? Quando iniziai semplicemente a parlare con la gente di

Reykjavík, ognuno aveva una storia…”332

, e fu così che nacque il progetto per il suo

documentario. Il film ha partecipato a diversi film festival, iniziando con il Fantasy

Worldwide Film Festival di Toronto (2008), per finire in Francia con il Taluah,

Festival of Imagination and Wonder (2009) e il Montherme’s Festival, Spring of

Legends (2010)333

.

331

Immagine tratta da Picture Tank, sito di esposizioni fotografiche:

http://picturetank.com/___/series/36cb6d6ce78a91a38d432f65fdb92b12/en/o/PAA_Very_Hidden_Peo

ple_(29166).html

332 M. Arpe, ‘A little trip into the mystic’, su Toronto star (27/10/2006),

http://www.huldufolk102.com/publicity.html. Consultato il 18/06/2013.

333 Sugli ulteriori festival a cui ha partecipato Huldufólk 102 si veda

www.huldufolk102.com/festivals.html. Consultato il 18/06/2013.

88

Il folclore sugli elfi è estremamente radicato nella cultura islandese: è una realtà

sociale contemporanea che è sopravvissuta nella tradizione per secoli attraverso la

mitologia, i racconti popolari, le saghe e le nuove leggende. Rappresenta

simbolicamente l’attaccamento alla natura e alle proprie radici culturali.

89

CONCLUSIONE

Il complesso mondo mitologico norreno presenta ben due stirpi divine, Asi e Vani, di

cui molto si parla nei carmi dell’Edda e nell’Edda in prosa di Snorri Sturluson. Gli

dèi, almeno la maggior parte di loro, vengono descritti con perizia e precisione in

tutte le loro qualità e caratteristiche. Valchirie, giganti e nani hanno un proprio posto

accanto a loro: si sa della loro origine, del loro aspetto e di dove vivano esattamente.

Le valchirie, figlie di Odino, sono divinità che vivono con lui nella Valhöll,

cavalcano i loro destrieri fendendo aria e acqua e scelgono, su ordine di Odino, i

guerrieri i caduti in battaglia. I giganti, che vivono ai confini del mondo, in

Jötunheimr, sono gli esseri primordiali, custodi del tempo, persino più vecchi degli

dèi stessi: dal gigante Ymir ebbe orgine il mondo. I nani erano originariamente i

vermi presenti nel cadavere di Ymir, ma per volere di Odino e dei suoi fratelli, Vili e

Vè, ebbero forma umana e intelletto. Sono abilissimi fabbri e sfuggono la luce del

sole che li trasforma in pietra334

, per questo motivo vivono sotto terra a

Svartálfarheimr, il Paese degli elfi neri.

Sugli elfi, invece, affascinanti creature, le fonti non forniscono informazioni

precise. Snorri non ci dice quale fu la loro origine ma ci dice che ne esistono due (o

forse tre) stirpi: gli elfi chiari, che vivono vicino agli dèi nel luogo denominato

Álfheimr, i quali sono più belli del sole e dall’aspetto divino, e gli elfi scuri, più neri

della pece, che vivono nel sottosuolo insieme ai nani in Svartálfarheimr335

.

Diversi studiosi hanno cercato di interpretare ciò che Snorri narra riguardo agli elfi,

ma le loro ipotesi non arrivano a una risposta definitiva. Qui, si sono analizzate le

ipotesi di Grundtvig e di Grimm. Il primo, nella sua opera Nordens Mythologi, non

solo identifica completamente gli elfi neri con i nani, ma li pone a un livello

intermedio tra gli elfi chiari e scuri, così da doversi inventare una nuova razza elfica,

gli elfi del crepuscolo336

. Il secondo, invece, paragona il dualismo di elfi chiari e

scuri a quello che viene riscontrato tra angeli del paradiso e angeli caduti nella

religione cristiana, o in maniera ancora più generale, riscontra una semplice

opposizione, comune a tutte le mitologie, tra esseri buoni e cattivi. Ma non formula

334

Scardigli, Il canzoniere eddico, Canzone del nano onnisciente, pp. 137-144.

335 Svartálfarheimr, il Paese degli elfi neri, lascia pensare che ci sia una terza razza elfica oltre agli elfi

chiari e gli elfi scuri, ossia quella degli elfi neri (svartálfar). Cfr. il capitolo III, paragrafo 3.1.

336 Shippey, ‘Light-Elves, Dark-Elves, and Others: Tolkien’s Elvish Problem’, p. 6.

90

nessuna ipotesi sugli elfi neri, sostenendo semplicisticamente che non bisogna

abbandonare la tripartizione che lui vede Snorri: ljósálfar, dökkálfar e svartálfar337

.

Partendo dalle considerazioni di questi studiosi e dallo studio diretto delle due

versioni dell’Edda, sono state esposte, nel terzo capitolo, due ipotesi diverse: da un

lato è possibile che vi siano solamente elfi chiari ed elfi scuri, poiché Snorri non

utilizza mai il termine svartálfar; dall’altro è possibile dire che la razza elfica, vera e

propria, sia costituita solo dai ljósálfar, gli elfi che vivono vicino agli dèi, mentre

‘elfi scuri’ ed ‘elfi neri’ siano degli appellativi dati ai nani. Ciò è, a mio avviso,

plausibile perché l’unico nome di elfo che appare nei carmi dell’Edda è quello di

Dáinn, che è anche il nome di nano338

.

La riduzione delle stirpi elfiche da tre a una (quella dei ljósálfar) potrebbe indicare

una sovrapposizione di questi ultimi con i Vani, e poiché alcuni carmi eddici sono

poco chiari sulla distinzione tra questi dèi e gli elfi chiari, non tutti i dati sono

congruenti con questa ipotesi339

.

Di particolare importanza è lo studio condotto da Alaric Hall in Elves in Anglo-

Saxon England, in cui compara gli elfi nordici con quelli anglosassoni. Questi

utilizzano il termine ælf e i suoi composti dapprima come corrispettivo del termine

latino ninpha, e poi come termine del linguaggio comune, ma soprattutto medico.

Infatti, la credenza popolare anglosassone vede gli elfi come creature pericolose che

provocano malattie e, proprio un antico testo medico anglosassone, il Wið fǣrstice,

contiene una formula rituale per scacciare l’incantesimo lanciato da un elfo340

. Il

termine ælf rimase di uso comune, in Inghilterra, anche durante il Middle English,

come dimostra uno dei poeti più celebri del periodo, Chaucer, ci parla di una ‘regina

degli elfi’341

.

Apparentemente figure di secondo piano all’interno della mitologia norrena, gli elfi

occupano, invece, un posto di rilievo nel folclore islandese. Sono protagonisti di

337

Ibid., p. 7.

338 Scardigli, Il canzoniere eddico, Canzone dell’eccelso, str. 143, v. 1, p. 40 come nome di un elfo,

mentre nel Gylfaginning, 14 come nome di un nano.

339 Si veda il capitolo III.

340 Si veda il paragrafo 3.2.

341 Chaucer, The Canterbury Tales, The Wife of Bath’s Tale, vv. 860-861. http://www.sacred-

texts.com/neu/eng/mect/mect12.htm

91

numerosi racconti popolari che Jón Árnason e Magnús Grímsson hanno messo

insieme nella loro raccolta di racconti popolari e leggende islandesi nel 1852. La

versione definitiva del loro lavoro, Íslenzkar þjóðsögur og æfintýri (1863), che

tuttavia è attribuibile solamente ad Árnason a causa della prematura morte di

Grímsson, dedica una delle dieci sezioni in cui è divisa proprio agli elfi. Queste

creature, molto simili per aspetto agli esseri umani, conducono una vita in un mondo

parallelo a quello umano. I racconti popolari tendono a soffermarsi sulle

caratteristiche peculiari degli islandesi, sugli ambienti tipici dell’isola e sulle

tradizioni più antiche, e proprio le storie incentrate sugli elfi si riallacciano a queste

antiche tradizioni a cui nostalgicamente tende la cultura islandese. Conosciuti nel

mondo moderno con il nome di popolo nascosto, huldufólk, gli elfi vivono sotto terra

o nelle rocce, e conducono una vita pastorale, vivono in comunità, possiedono

fattorie e vanno a pesca. La loro origine viene narrata in due racconti diversi: nel

primo si dice che siano i discendenti di quei figli che Eva non aveva mostrato a Dio

perché erano sporchi – dato che lei non era riuscita a lavarli prima dell’arrivo del

Signore – ed erano stati quindi resi da Dio invisibili342

; nel secondo, invece, vengono

identificati con quegli spiriti che, durante la ribellione degli angeli in cielo, furono

condannati a vivere in mezzo agli uomini come esseri invisibili343

.

Le caratteristiche principali degli elfi che emergono dai racconti folcloristici

indicano che essi hanno continui rapporti con gli esseri umani e che talvolta hanno

bisogno del loro aiuto344

. Ciò che li contraddistingue è il loro carattere vendicativo:

se vengono disturbati o danneggiati sono capaci di lanciare pericolose maledizioni,

persino di fare del male agli esseri umani345

, ma li ricompensano anche se aiutati.

Queste credenze sono sopravvissute all’interno della cultura islandese sino ad oggi

e si notano poche differenze nonostante siano trascorsi due secoli e mezzo dalle

prime raccolte di Árnason e Grímsson. Le nuove leggende contemporanee sono

incentrate soprattutto su strani incidenti, attribuiti agli elfi, che colpiscono operai e

342

Chiesa Isnardi, Racconti popolari e fiabe islandesi, Genesi degli uomini invisibili, p. 19.

343 Ibid., Origine degli elfi, pp. 20-21.

344 Alcuni racconti narrano di donne elfo in travaglio che non riescono a partorire a meno che un

essere umano non ponga le mani su di lei. Ad esempio in Chiesa Isnardi, Racconti popolari e fiabe

islandesi, La degli elfi in travaglio,pp. 23-25.

345 Ibid., Del ragazzo di Dyrhólaey, p. 102.

92

macchinari durante la costruzione di nuovi edifici o di strade. Proprio come gli elfi

dei racconti popolari raccolti da Árnason, gli elfi delle leggende contemporanee

sembrano vivere in modo anacronistico, con abiti all’antica cuciti in casa,

appartenenti forse al XVII o XVIII secolo346

. Forse queste leggende nascono per

cercare di proteggere i valori di una cultura rurale tradizionale, alla quale, come si è

detto, gli islandesi sono molto legati.

Sebbene le ricerche sociologiche condotte da Haraldson (1974-1975), da Hafstein

(1996-1997) e da Gunnell (2006-2007) mostrino come la maggior parte degli

islandesi sia incline a credere nell’esistenza degli elfi (per esempio a credere che gli

‘incidenti’ durante l’ampliamento delle strade o dello spazio abitativo siano

effettivamente opera degli elfi), si nota anche chiaramente come, in Islanda, il

folclore sugli elfi e le leggende che li riguardano vengano usati dai media per attrarre

turisti. Secondo Björnsson347

si tratterebbe di una mera strategia di marketing. A

corroborare questa ipotesi vi è, per esempio, l’istituzione di una scuola elfica, la

Álfskólinn, a Reykjavík: dove si tengono corsi sul ‘popolo nascosto’ frequentati da

studenti provenienti da molte parti del mondo nordico e non solo.

L’atteggiamento degli islandesi è forse riassumibile nelle parole di Sigurbjorg

Karlsdottir, una donna che organizza delle visite guidate in quella che è definita la

capitale degli elfi, Hafnarfjörður, ovvero la città che vanta la più ricca popolazione di

elfi e spiriti di tutta l’Islanda348

: “Che tu creda o meno nell’esistenza degli elfi, non ti

costa nulla portare rispetto alle antiche tradizioni”349

.

346

Hafstein, ‘The Elves’ Point of View. Cultural Identity in Contemporary Icelandic Elf-Tradition’,

pp. 26-28.

347 Si veda il capitolo IV.

348 Bourte, ‘Hidden Creatures Make Home in Icelandic Town’.

349 Ibid.

93

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