Opere di artisti svizzeri alla Galleria Sabauda, in G. Mollisi-L. Facchin (a cura di), Svizzeri a...

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646 di Laura Facchin* Premessa Il trasferimento nel 1563 della capitale del du- cato sabaudo da Chambéry a Torino deter- minò, come noto, la pressante esigenza di delineare un nuovo assetto della città. Fon- damentale fu l’apporto di maestranze impe- gnate nel settore edile, ma anche in quelli della scultura e della pittura provenienti dall’area delle valli dei laghi lombardo-svizzeri. Segno distintivo del prestigio raggiunto da tali pro- fessionisti fu la stessa fondazione, nei primi decenni del Seicento, della Compagnia di Sant’Anna, con sede nella chiesa conventuale di San Francesco d’Assisi, nel cuore dell’an- tico insediamento di età romano-medievale 1 , dominata dalla più vasta componente ticinese. In virtù della natura stessa dell’attività degli artisti lacuali, destinata prevalentemente al- l’ambito architettonico e all’uso delle arti fi- gurative per la decorazione degli edifici, ese- guita, molto spesso, dalla stessa équipe o da famiglie di analoga provenienza, poche sono le opere rintracciabili in ambito museale. Alle opere individuabili nel patrimonio di stretta provenienza dalle collezioni sabaude, che sto- ricamente costituisce il nucleo fondante della Regia Pinacoteca, aperta al pubblico per vo- lontà del novello sovrano Carlo Alberto il 19 giugno 1832, grazie all’infaticabile lavoro di Roberto d’Azeglio e a seguito di oltre un decennio di dibattiti e di iniziative volte alla riqualificazione e all’aggiornamento della po- litica culturale sabauda, vivacemente soste- nuto dagli esponenti culturalmente più avan- zati dell’aristocrazia di corte 2 , si possono aggiungere interessanti ritrovamenti connessi agli incrementi delle raccolte, costantemente operati nel corso dell’Otto-Novecento. Opere dalle collezioni ducali Il gruppo di busti raffiguranti principi sabaudi conservati nella Pinacoteca rappresenta un in- sieme complesso, eppure di rilievo per qua- lità, che, al di là del dibattito attributivo di difficile risoluzione, nel tentativo di identifi- cazione del singolo artefice, è comunque da riconnettersi ad artisti lacuali di cui si con- ferma l’impegno, tra gli ultimi decenni del XVI e la prima metà del XVII secolo, in qua- lità di ritrattisti della dinastia sabauda: dai Vanelli di Grancia ai Carlone di Rovio, og- getto di specifiche indagini nel presente vo- lume 3 . Si tratta di cinque sculture in marmo rappresentanti, rispettivamente, Margherita di Valois, Emanuele Filiberto, Carlo Ema- nuele I, Vittorio Amedeo I e un principe sa- baudo in armatura con croce di Malta, pre- sumibilmente Emanuele Filiberto di Savoia, vicerè di Sicilia 4 . Se la riconoscibilità dei per- sonaggi, dal confronto con i coevi esemplari della ritrattistica dipinta e dall’esibizione dei tradizionali attributi dinastici 5 , appare per lo più consolidata, diverse sono le ipotesi per quanto attiene alla cronologia dell’insieme *Università degli Studi di Verona Opere di artisti svizzeri alla Galleria Sabauda Una prima indagine

Transcript of Opere di artisti svizzeri alla Galleria Sabauda, in G. Mollisi-L. Facchin (a cura di), Svizzeri a...

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di Laura Facchin*

PremessaIl trasferimento nel 1563 della capitale del du-cato sabaudo da Chambéry a Torino deter-minò, come noto, la pressante esigenza didelineare un nuovo assetto della città. Fon-damentale fu l’apporto di maestranze impe-gnate nel settore edile, ma anche in quelli dellascultura e della pittura provenienti dall’areadelle valli dei laghi lombardo-svizzeri. Segnodistintivo del prestigio raggiunto da tali pro-fessionisti fu la stessa fondazione, nei primidecenni del Seicento, della Compagnia diSant’Anna, con sede nella chiesa conventualedi San Francesco d’Assisi, nel cuore dell’an-tico insediamento di età romano-medievale 1,dominata dalla più vasta componente ticinese.In virtù della natura stessa dell’attività degliartisti lacuali, destinata prevalentemente al-l’ambito architettonico e all’uso delle arti fi-gurative per la decorazione degli edifici, ese-guita, molto spesso, dalla stessa équipe o dafamiglie di analoga provenienza, poche sonole opere rintracciabili in ambito museale. Alleopere individuabili nel patrimonio di strettaprovenienza dalle collezioni sabaude, che sto-ricamente costituisce il nucleo fondante dellaRegia Pinacoteca, aperta al pubblico per vo-lontà del novello sovrano Carlo Alberto il19 giugno 1832, grazie all’infaticabile lavorodi Roberto d’Azeglio e a seguito di oltre undecennio di dibattiti e di iniziative volte allariqualificazione e all’aggiornamento della po-

litica culturale sabauda, vivacemente soste-nuto dagli esponenti culturalmente più avan-zati dell’aristocrazia di corte 2, si possonoaggiungere interessanti ritrovamenti connessiagli incrementi delle raccolte, costantementeoperati nel corso dell’Otto-Novecento.

Opere dalle collezioni ducaliIl gruppo di busti raffiguranti principi sabaudiconservati nella Pinacoteca rappresenta un in-sieme complesso, eppure di rilievo per qua-lità, che, al di là del dibattito attributivo didifficile risoluzione, nel tentativo di identifi-cazione del singolo artefice, è comunque dariconnettersi ad artisti lacuali di cui si con-ferma l’impegno, tra gli ultimi decenni delXVI e la prima metà del XVII secolo, in qua-lità di ritrattisti della dinastia sabauda: daiVanelli di Grancia ai Carlone di Rovio, og-getto di specifiche indagini nel presente vo-lume 3. Si tratta di cinque sculture in marmorappresentanti, rispettivamente, Margheritadi Valois, Emanuele Filiberto, Carlo Ema-nuele I, Vittorio Amedeo I e un principe sa-baudo in armatura con croce di Malta, pre-sumibilmente Emanuele Filiberto di Savoia,vicerè di Sicilia 4. Se la riconoscibilità dei per-sonaggi, dal confronto con i coevi esemplaridella ritrattistica dipinta e dall’esibizione deitradizionali attributi dinastici 5, appare perlo più consolidata, diverse sono le ipotesiper quanto attiene alla cronologia dell’insieme

*Università degli Studi di Verona

Opere di artisti svizzerialla Galleria SabaudaUna prima indagine

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attuale, non concepito originariamente cometale, ma originatosi dall’aggregazione fruttodelle sopravvivenze collezionistiche e pertantosoggetto anche a manipolazioni funzionaliai successivi allestimenti, come ben testimoniail ritratto del duca Emanuele Filiberto, il cuibusto risulta eseguito ‘in stile’ da GiacomoSpalla all’inizio dell’Ottocento 6.

Ulteriori effigi dinastiche, da ricondurre al

medesimo ambito di produzione, si conser-vano, già attribuite a Leone Leoni, anche nelleraccolte di Palazzo Madama, parimenti pro-venienti dalle residenze sabaude: Carlo Ema-nuele I fanciullo, Emanuele Filiberto e Mar-gherita di Valois, per le quali si è ipotizzatoche possano identificarsi con quelle inventa-riate nel 1631 su un camino della Grande Gal-leria del Palazzo Ducale 7.

A tale gruppo di immagini dinastiche scol-pite in materiale lapideo si può aggiungere ilpiù tardo ritratto del principe Maurizio, da-tato sul basamento al 1656, che, sia per la ti-pologia massiccia e caratterizzata del volto,sia per motivazioni storiche, appare imme-diatamente riconducibile alla produzione delladitta di Tommaso Carlone, come dimostra ildiretto confronto con il ritratto dello scultoreeseguito dai figli per il suo monumento fu-nebre in San Francesco da Paola nel 1667 8.

Proprio il confronto con le più documen-tate imprese dei Carlone di Rovio tenderebbea far escludere la paternità dei busti in esame

Sopra, scultore lacuale affine a FedericoVanelli (attr.), Carlo Emanuele I duca diSavoia, Torino, Galleria Sabauda (da G.Romano (a cura di), Le collezioni di CarloEmanuele I di Savoia, Torino 1995, tav. 36)e, a destra, scultore lacuale affine a Fede-rico Vanelli (attr.), Emanuele Filiberto vicerédi Sicilia, Torino, Galleria Sabauda (da M.Failla, C. Goria, Committenti d’età barocca.Le collezioni del principe Emanuele Filibertodi Savoia a Palermo. La decorazione diPalazzo Taffini d’Acceglio a Savigliano,Torino-Londra-Venezia-New York, 2003,p. 70, fig. III).

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a tale famiglia di scultori, dal momento cheessi appaiono caratterizzati da una maggiorefissità e secchezza nei tratti, pur nella accu-rata resa e perizia tecnica. Si veda, in parti-colare, il busto ritenuto del principe EmanueleFiliberto, contraddistinto da estrema curanella resa del motivo floreale cesellato sull’ar-matura da parata 9, che maggiormente lo av-vicinano al, pur bronzeo, monumento eque-stre di Vittorio Amedeo I, eseguito da Fede-rico Vanelli e Andrea Rivalto, i cui lavori eb-bero inizio nel 1619-20 10, e al monumento fu-nebre di Cassiano dal Pozzo in Sant’Agostinoa Torino, risalente al 1579 e documentato alloscultore di corte Ludovico Vanelli, di evidentederivazione romana nella posa 11. È proprioa questo esponente della dinastia di Granciache alcune note di pagamento riferiscono, nel-l’assai ampio spettro di attività del suo studio,anche l’esecuzione di una serie di busti desti-nati al castello di Moncalieri e al “giardinode’ Padri Cappuccini” 12. Certamente a questotipo di produzione, come già proposto daglistudi, devono essere collegati i ritratti dei mo-numenti funebri dei Porporato e di ManfredoSolaro nella chiesa della Beata Vergine delMonte Carmelo al Colletto di Pinerolo, oveil busto di Barbara d’Annebault, moglie delgiurista Gerolamo, mostra strette affinità conquello della duchessa Margherita di Valois 13,i busti di palazzo Cravetta di Savigliano 14, masoprattutto le due figure, rispettivamente,inginocchiata e giacente nelle singole edicole,di Francesco e Annibale della Torre di Lu-serna nella chiesa di San Bernardo di Saluzzo15,tutte opere ancora prive di paternità, in at-tesa di un sistematico censimento delle me-morie funerarie lapidee diffuse nelle chiese to-rinesi, a partire dal duomo, ma senza dubbioriferibili al monopolio esercitato dagli artistilacuali nello Stato sabaudo sia per l’approv-vigionamento di marmi che per la realizza-zione architettonica e scultorea di tali manu-fatti.

Parimenti destinato all’arredo delle sale dellaresidenza ducale fu lo splendido Martirio disan Bartolomeo riferito a Isidoro Bianchi daCampione 16. Già ricordato nel 1631 nel Pa-

lazzo Ducale (Vecchio) di Torino come ‘ma-niera’ di Cerano 17, è riconoscibile, quattroanni dopo, nell’inventario compilato dal pit-tore Antonio della Cornia che lo conside-rava di Morazzone “de migliori” 18. L’operagodette di particolare apprezzamento nell’am-bito delle collezioni sabaude e trovò ancoraun’aulica sistemazione a seguito della costru-zione e allestimento della Galleria Beaumont,principale ambiente di rappresentanza dellacorte, ove vennero ricevuti sovrani e perso-naggi di spicco nel panorama internazionale19.Dopo il trasferimento alla sede museale, visseun periodo di oblio dovuto al suo trasferi-mento per lungo tempo negli ambienti di rap-presentanza della palazzo della Prefettura 20.Il suo rientro nelle collezioni della GalleriaSabauda ha visto alimentarsi il dibattito at-tributivo sino a quando, negli anni Novantadel Novecento, incluso nel nuovo allestimentodel museo, è stato avvicinato da Giovanni Ro-mano all’autore della tela con Apollo e Marsiadel Castello Sforzesco di Milano, opera giàriferita a Isidoro Bianchi, cui è stato collegatoanche il dipinto in esame 21.

Considerata la ben documentata attività delpittore in territorio sabaudo e la realizzazionedella tela necessariamente prima del 1631,anno in cui compare già registrata nelle col-lezioni ducali, il riferimento avanzato nontrova puntuali riscontri nella produzione con-servatasi dell’artista campionese, specialmenteper i forti accenti chiaroscurali e una certaforzatura nell’evidenza delle muscolature. Cer-tamente si tratta di un’opera derivata, per lacomplessa articolazione della composizionee i vistosi scorci, da modelli tardo manieristie che mostra affinità con il clima culturale,assai variegato, maturato nei primi decennidel XVII secolo nello Stato di Milano.

A più riprese accertati dalla storiografia,ma certamente ancora passibili di approfon-dimenti, furono gli invii di opere, non solopittoriche - si pensi solamente alle fornituredi preziose armature da parata 22 o all’am-bito tessile 23 - dal capoluogo milanese nelloStato sabaudo e le possibili presenze di artisti,basti ricordare la significativa testimonianza

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di Aquilino Coppino24, in vi-sita a Torino all’inizio delXVII secolo: e la documen-tata presenza di variegatepersonalità per l’esecuzionedei cicli dedicati alle Pro-vince del ducato sabaudo 25.

Fu certamente, invece, ese-guito da Isidoro Bianchi, inconnessione alla decora-zione ad affresco della saladedicata alle gesta diAmedeo VIII, primo duca diSavoia, nella residenza di Ri-voli, il bozzetto con Il ducaAmedeo VIII e il re diFrancia Carlo VI, recente-mente presentato in mostraa Bruxelles insieme a nume-rose opere della Galleria Sa-bauda. La sua stessa pro-venienza dal patrimoniodella principessa Maria Ga-briella di Savoia permette diconsiderarla come opera ori-ginariamente facente partedelle collezioni ducali 26. Iltema presenta, entro unsaldo impianto architetto-nico, sviluppato con abili ef-fetti illusionistici anche sullepareti della residenza suburbana, il duca sa-baudo in qualità di mediatore, grazie all’in-tercessione del re Carlo VI, tra i rivali ducadi Borgogna e duca di Berry ai quali era di-rettamente imparentato 27, con evidente in-tento encomiastico nel momento in cui CarloEmanuele I aveva suggellato le proprie posi-tive relazioni con la corona francese attra-verso il matrimonio del figlio primogenito,Vittorio Amedeo I, con Cristina di Francia 28.

L’esemplare è da leggersi in stretta correla-zione con la tela, proveniente dalle raccoltedella principessa Maria Beatrice di Savoia,con Re Luigi di Francia e Amedeo III contedi Savoia con i cristiani in armi davanti allacittà di Damasco che mostra, nuovamente,un tema rappresentato nella sala della resi-

denza sabauda di Rivoli 29.L’indiscussa capacità di Bianchi nella rea-

lizzazione della tecnica del monocromo, par-ticolarmente imitante il rilievo a finto bronzo,messa in opera anche su grandi dimensioninelle pareti affrescate, oppure negli apparatieffimeri, era ben nota al panegirista gesuitaLuigi Giuglaris, che nel Funerale fatto nelduomo di Torino alla gloriosa memoria del

Isidoro Bianchi (attr.), Martirio di San Barto-lomeo, 1631/ ante, Torino, Galleria Sabauda(da A. M. Bava, C. E. Spantigati (a cura di),Maestri lombardi in Piemonte nel primo Sei-cento, catalogo della mostra, Torino 2003,Torino-Londra-Venezia-New York, 2003, p. 73).

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Duca Vittorio Amedeo I (1638), con riferi-mento ad un illusionistico bassorilievo dipintoche decorava il timpano della porta centraledel duomo di Torino, osservava quanto il “Ca-vaglier Isidoro, ch’in questi chiari oscuri riescemiracoloso” 30.

La consuetudine di realizzare bozzetti mo-nocromi delle opere ad affresco o di cicli sutela di largo impegno, oggetto poi, essi stessi,di collezionismo, non fu certo episodica. Ana-logamente a quanto avvenuto per il salonedella residenza di Rivoli, Isidoro procedette,oltre un decennio più tardi, per la commis-sione della decorazione del Salone delle Bat-taglie al castello del Valentino. Sono docu-mentate, sulla base di una meritoria segnala-zione di Mauro Natale risalente all’inizio deglianni Ottanta del Novecento 31, quattro telettederivate dagli affreschi della residenza di loisirdella Prima Madama Reale. Ad oggi è notoun esemplare in collezione privata: la Batta-glia di Crecy, nel Ponthieu, combattuta dalconte Verde, Amedeo VI, alleato di FilippoVI di Valois contro Edoardo III d’Inghilterranel 1346, resa con effetti di forte dinamicità,enfatizzati dalla sciolta stesura pittorica 32. Èassai probabile, come emerso per le grisaillesche riproducevano il ciclo con Storie di Giosuèdella galleria del cardinale Cesare Monti aVaprio d’Adda 33, che originariamente esistes-sero due serie complete di modelletti prepa-ratori, forse destinati all’approvazione ducalee di coloro che sovrintendevano all’elabora-zione dei progetti iconografici per la corte,fossero gli stessi principi o, piuttosto, perso-nalità colte: dal gesuita Pierre Monnod, pro-posto come iconografo per la celebrazione di-nastica, accompagnata spesso da toni epici,nelle sale del castello di Rivoli, al conte Fi-lippo San Martino d’Agliè, noto ispiratoredegli eruditi cicli della prediletta residenzadi Cristina di Francia 34.

Indubbiamente, l’apprezzamento riscon-trato da queste opere di piccolo formato nedeterminò immediatamente una notevole for-tuna collezionistica, attestata dalla loro stessasopravvivenza e circolazione sul mercato sinoad oggi 35.

Donazioni reali e acquisti nel XIX secoloLa donazione alla Regia Pinacoteca, non ap-pena aperta, della serie di miniature diAbraham Costantin costituì non solo uno deipiù cospicui donativi disposti direttamentedal sovrano, ma rappresentò, nella scelta diesporle, un segnale dell’indirizzo nelle poli-tiche artistiche carloalbertine al sostegno versogli artisti contemporanei, principalmenteespresso nel riarredo delle residenze di corte,nonché l’espressione di un fenomeno di gustolargamente diffuso a livello europeo 36. Glianni venti-trenta dell’Ottocento avevano rap-presentato il culmine dell’interesse, ma anchedel vivace dibattito, in merito alla riproduci-bilità dei capolavori dei grandi maestri delpassato, in una fase in cui la musealizzazionedelle opere, aprendo a un ancora in nuce ‘con-sumo popolare’ dell’opera d’arte, aveva con-tribuito anche all’incremento della sensibilitànei confronti della loro conservazione e sullepossibilità di una corretta fruizione delle stessenel corso del tempo, grazie all’impiego di mezzinuovi, frutto della ricerca scientifica e tecno-logica 37. La pittura su smalto, rispetto ad altresoluzioni, da quella su vetro alla romana ri-scoperta del mosaico, veniva considerata damolti il mezzo più efficace, anche in conside-razione dei costi relativamente contenuti, pergarantire un’alta fedeltà nella riproduzionedell’originale, di cui si sarebbe potuto così co-gliere un’immagine difficilmente alterabile neltempo che avrebbe, almeno parzialmente, po-tuto risarcire della sua decadenza ed eventualeperdita 38. Il relativamente piccolo formato,poi, garantiva facilità nel trasporto e nella dif-fusione. I laboratori ginevrini rappresenta-vano l’avanguardia di tale sperimentazionetecnica e il miniaturista Costantin, che si eraformato in questo ambiente, grazie alla suanotevole abilità pittorica giunse all’eccellenzain questo settore 39. La raccolta torinese costi-tuisce, ad oggi, il corpus più consistente diopere dell’artista, che aveva ottenuto il pri-vilegio di poter riprodurre le più importantiopere di quel ‘tempio dell’arte’ che erano leraccolte granducali fiorentine e, in partico-lare, le collezioni degli Uffizi 40. Il futuro so-

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vrano e l’artista avevano avuto modo di co-noscersi e frequentarsi per anni durante l’e-silio trascorso dal principe presso la corteasburgica, dopo la condanna espressa dal reCarlo Felice a conclusione dei moti liberalidel 1821 in Piemonte, ai quali Carlo Albertoaveva fornito aperto consenso 41. L’entusiasmonei confronti della produzione dell’artista,unita a un comune apprezzamento verso lapittura rinascimentale, ma anche al recupero

in chiave romantica del medioevo, condus-sero il principe ad acquistare un primo gruppodi tredici smalti del ginevrino nel 1826 perla considerevole somma di 120.000 franchi,il cui pagamento fu dilazionato in ben diecianni. Le opere, che lo stesso autore, eviden-temente, considerava tra le migliori della suaproduzione, grazie alla disponibilità di CarloAlberto, prima di giungere a Torino furonoesposte, nello stesso 1826, a Ginevra, a Pa-rigi al Palais de l’Institut e a Londra, in Re-gent Street. Questo primo nucleo, munito diopportune cornici, eseguite a Firenze, di gustospiccatamente classicista, comprendeva unaselezione di opere celeberrime nella storia del-l’arte italiana, in qualche modo tese a colmarequelle carenze evidenti fin dall’inizio nel com-plesso dei 420 dipinti destinati al museo to-

Sopra, Abraham Costantin, Venere coricatada Tiziano, 1821, Torino, Galleria Sabauda(da Capolavori in smalto e avorio. PietroBagatti Valsecchi e la miniatura d’après,catalogo della mostra, Milano 2004-05,Milano 2004, p. 60) e, a sinistra, AbrahamCostantin, Autoritratto, 1824, Torino,Galleria Sabauda (da Ivi, p. 59).

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rinese, provenienti dai vari palazzi di pro-prietà della Corona 42: dalla Madonna dellaseggiola alla Venere coricata 43. Ad esse si ag-giunsero, come naturale e didattico comple-mento, tra il 1829 e il 1832, gli smalti deiquattro autoritratti di Raffaello, Tiziano, An-nibale Carracci e Pieter Pawel Rubens, ovverodi quelli che venivano universalmente consi-derati i più grandi maestri dal Rinascimentoal Barocco. La raccolta fu completata nel 1831con un dono da parte del sovrano Carlo X,anch’egli sostenitore del lavoro di Costantin,dalla forte valenza politica: uno smalto cheraffigurava lo stesso Carlo Alberto alla presadel Trocadero, celebre episodio militare concui il principe aveva riacquistato credito agliocchi dei sovrani assoluti nel 1823 e che avevafavorito il suo ritorno in patria 44.

Tra le opere di più recente esecuzione espostenei primi anni di apertura della Regia Pina-coteca figuravano due dipinti di AngelicaKauffmann. Nella prima, monumentale, pub-blicazione dedicata al catalogo della Pinaco-teca, curata dal direttore Roberto d’Azeglio,

veniva inclusa un’incisione di una delle duetele dell’artista, la Sibilla che si svela. Accom-pagnava una erudita dissertazione encomia-stica sul difficile rapporto nei secoli tra learti figurative, e in particolare la pittura, e il‘gentil sesso’, che culminava in un elogio dicolei che, sostenuta dalla paradigmatica espe-rienza di rinnovamento delle arti in dire-zione di un rigoroso classicismo già operatada Johann Johachim Winkelmann e da AntonRaphael Mengs, “coll’opera anziché colla pa-rola predicando, ridusse alla gloria italiana igran genii di Raffaello, di Leonardo e di Mi-chelangiolo” 45.

Si trattava, tuttavia, di opere giunte in ter-ritorio sabaudo a seguito dell’acquisizione delpalazzo genovese dei Durazzo di Strada Balbie della sua trasformazione a sede regia 46. Lafama della ‘pittrice delle Grazie’ era stata bennota alle punte più avanzate dell’aristocraziasabauda negli ultimi decenni del Settecento.Nel 1791 la contessa Paola Perrone di SanMartino aveva richiesto a Roma un proprioritratto alla pittrice, realizzato secondo il tra-dizionale modello della raffigurazione a mezzafigura assai simile, nell’impostazione e neglielementi di moda, a quello di Domenica Vol-pato, conservato oggi presso il Museo Bor-gogna di Vercelli 47. Al di là di diretti contattinella ‘capitale delle arti’, ancora da inda-gare, doveva aver rappresentato un forte sti-molo la galleria che il conte Nicolaj BorisoviJusupov, ambasciatore russo presso la cortesabauda, aveva allestito nella propria resi-denza nel capoluogo piemontese, che vantavaopere di livello internazionale, da Pompeo Ba-toni a Elisabeth Vigée Le Brun, personalmenteincontrata nel 1789 quando l’artista si rifugiòa Torino, principalmente acquisite durante iviaggi romani e napoletani che il nobile in-traprese durante gli anni di permanenza nellapenisola italiana 48. Accanito collezionista delleopere della Kaufmann, dalla quale acquistò,tra il 1784 e il 1790, otto dipinti, certamenteaveva esposto nelle sale del palazzo torineseun intrigante Cupido seduto che medita al-cuni misfatti o intrecci amorosi dal quale,nel 1789-90, a seguito delle nozze tra Vittorio

Abraham Costantin, Madonna della seggiolada Raffaello, 1820, Torino, Galleria Sabauda(da Capolavori in smalto e avorio. PietroBagatti Valsecchi e la miniatura d’après,catalogo della mostra, Milano 2004-05,Milano 2004, p. 64)

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Emanuele I, duca d’Aosta, e Maria TeresaAsburgo-Este, cresciuta nel vivace ambientedella Milano piermariniana 49, fu richiesto diderivare un’incisione, espressamente dedicataalla principessa e destinata ad essere inclusatra gli importanti doni, al valente Carlo An-tonio Porporati, noto alle corti di Parigi eVienna 50.

Nel 1796 erano giunti a Torino, dopo unlungo viaggio da Roma, con sosta a Firenze,una tela di soggetto sacro, rappresentanteAbramo scaccia Agar e Ismael nel deserto,ambito di interesse ancora poco noto in queglianni nella produzione della pittrice e desti-nato a intensificarsi negli ultimi dieci anni diattività dell’artista, e un busto di Angelica,personalmente richiesti in Roma dalla mar-chesa Polissena Gamba della Perosa e dal ma-rito, Giovanni Antonio Turinetti di Priero, af-fiatata coppia di committenti e amatori d’arteparticolarmente attenta alle novità del mer-cato internazionale51. Il dipinto, inciso da Ales-sandro Contardi, fu oggetto di una singolarepredilezione da parte della nobildonna chelo portò con sé durante i ripetuti cambi diresidenza tra Roma e Firenze 52. Era stata lastessa Polissena, nel luglio 1793, a richie-dere che il referente della famiglia nella capi-

tale, l’architetto piemontese Bartolomeo Ca-valleri, si interessasse per procurarle una copiain gesso di un busto della Kauffmann che uno“scultore inglese” andava compiendo, rife-rendosi al ritratto scolpito dall’irlandese Cri-stopher Hewetson, artista con cui la pittriceebbe un rapporto di familiarità53. È molto pro-babile che la marchesa frequentasse, durantei soggiorni romani, il ‘salotto’ culturale creatodalla pittrice, e certamente fu ammessa a quellofiorentino della celebre Luisa Stolberg, con-tessa d’Albany, a più riprese in contatto conAngelica, che ebbe un ruolo di intermediariacon Antonio Canova per la realizzazione delmonumento funebre di Vittorio Alfieri in SantaCroce 54. Un prolungato rapporto di fiduciacon la nobile piemontese potrebbe essere con-fermato dal fatto che, stabilitosi alla fine del

A fianco, Angelica Kauffmann, Sibilla che sisvela, 1782-1788, Torino, Galleria Sabauda(da L. Leoncini (a cura di), Da Tintoretto aRubens. Capolavori della Collezione Durazzo,catalogo della mostra di Genova, Milano,2004, p. 295) e, sotto, Angelica Kauffmann,Sibilla che legge, 1782-1788, Torino, GalleriaSabauda (da Ivi, p. 294).

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1796, dopo molti rinivii e perplessità, di spe-dire a Torino tutto il materiale acquistato ecustodito per anni a Roma da Cavalleri, il ma-rito, Giovanni Antonio Francesco, forse susuggerimento della stessa Polissena, invitassel’architetto Cavalleri a chiedere consiglio allapittrice riguardo al modo più opportuno diimballare dipinti, arredi, stampe e sculture 55.

Al di fuori dell’ambiente torinese, infine, ilnobile novarese Damiano Pernati frequentòripetutamente lo studio della Kauffmann du-rante gli anni romani, arricchiti dai rapportiintessuti con i giovani Luigi Sabatelli e PietroBenvenuti. Ne sono testimonianza un ritrattocelebrativo di Angelica, incisioni derivate dasue opere e la donazione di alcuni disegni dierudito soggetto tratto dalla storia romana ein particolare dalle gesta di Ottaviano, riela-borate in una dimensione moraleggiante 56.

Mancano, tuttavia, rapporti diretti con gliesponenti della famiglia reale, sebbene nonfossero mancati negli ultimi decenni del Set-tecento interessi verso artisti di gusto spicca-tamente classicista e richieste di opere nel-l’ambiente romano 57, e sia riportato di unavisita dei sovrani Carlo Emanuele IV e MariaClotilde di Borbone, secondo una prassi assaicomune che aveva visto il passaggio di per-sonalità internazionali quale l’imperatore Giu-seppe II d’Asburgo, nello studio della pit-trice nel 1801, dopo aver scelto di trascorrerel’esilio in Roma 58.

I due dipinti della quadreria Durazzo sonostati scarsamente studiati e poco si conoscesulle modalità con cui pervennero alla rac-colta patrizia. In occasione della mostra de-dicata alla storia delle collezioni dei diversirami della famiglia del 2004 è stata espostala Sibilla che si svela ed è stato pubblicatoun inventario del 1788, che conferma la pre-senza delle due opere nel palazzo preceden-temente a queste date, opportunamente avan-zando un collegamento tra le tele e la figuradel conte Giacomo Durazzo 59. Personaggio dinotevole interesse e di contatti cosmopoliti,la cui carriera si era svolta per la maggiorparte al servizio dell’impero – e non si dimen-tichino le ambizioni di Angelica, pur nata a

Coira, ma da padre austriaco, di presentarsicome suddita asburgica 60 – trascorse gli ul-timi trent’anni anni della sua brillante esi-stenza a Venezia, venti dei quali impegnaticome ambasciatore cesareo 61. Come noto lapittrice, di ritorno dal lungo soggiorno lon-dinese, si era trattenuta a Venezia, città d’o-rigine del marito, il pittore Antonio Zucchi,per alcuni mesi lavorando, oltre che per la va-riegata clientela dei viaggiatori del Grand Tour,destinata ad incrementarsi considerevolmentedopo l’opportunamente vagliato trasferimentoa Roma, anche per diversi esponenti del pa-triziato della Serenissima, con i quali perdu-rarono rapporti anche negli anni successivi 62.È proprio al breve soggiorno nella città la-gunare tra il 1781 e il 1782 che corrispondeuna nota nel diario della pittrice in cui si ri-corda il dono di un “Ovalletto con meza fi-gura d’una Musa in atto di suonare la lira”al “Sig.r Conte Durazzo Ambasciatore del-l’Imperatore a Venezia” 63. L’opera non coin-cide con le due tele della Sabauda, ma è pos-sibile comunque che queste siano state acqui-site poco dopo, a seguito della soddisfazionedel Durazzo per il regalo strategicamente in-viato a un personaggio di cui era ben nota lafama di collezionista e committente d’arte ag-giornato per accattivarsene i favori. I temirappresentati ben rispondono a un gusto perla scena femminile di genere che, pur costi-tuendo un filone praticato dalla pittrice edal suo studio per tutta la sua carriera, avevaincontrato particolare fortuna proprio nel pe-riodo di permanenza a Londra e, nella mul-tiforme quantità di tipi elaborati, aveva tro-vato ulteriore divulgazione attraverso la ri-produzione a stampa, grazie all’attività di variincisori, tra cui privilegiato fu il rapporto conil famoso Francesco Bartolozzi, trasferitosinel Regno Unito nel 1764. È proprio ad unadelle stampe incise dall’artista di origini fio-rentine, Fatima, the Beautiful Wife of theSultan, che sembra ispirarsi la posa della Si-billa che si svela 64. L’incisione, datata al 1779,ripresa nel dipinto della Sabauda anche nellosguardo sottilmente ammiccante verso l’os-servatore, testimonia l’interesse e l’attenzione

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dell’artista per la moda dell’esotismo e dellediverse declinazioni dell’illustrazione delmondo orientale, che la pittrice seppe fareproprio nei due filoni del ritratto femminile‘ambientato’, largamente apprezzato nelmondo britannico, direttamente in contattocon la realtà delle colonie e del commercio in-tercontinentale, di cui sono testimonianza, atitolo di esempio, i ritratti della duchessa diRichmond o di Theresa Robinson Parker, ein quello, già citato, della scena di genere, dol-cemente ammorbidita in atmosfere da ele-gante boudoir, ma, più spesso, assecondandogli ambienti eruditi che la pittrice costante-mente ricercò, specialmente durante gli anniromani anche per propria inclinazione perso-nale, oltre che per necessità di costruzionedella propria immagine di donna colta, tra-dotta in filologica ricostruzione delle caratte-ristiche dell’abbigliamento e dell’acconcia-tura 65. Anche il pendent, la Sibilla che legge,ben si colloca, da un punto di vista stilistico,nella produzione intorno alla fine dell’ottavo-inizio del nono decennio del Settecento 66,abbinando ad una dimensione metatempo-

rale resa dalla rappresentazione di una fan-ciulla vestita all’antica, le istanze, già poc’anziaccennate, di raffigurazione della figura fem-minile intenta ad attività artistiche, nelle piùvarie accezioni, o letterarie, secondo modelliampiamente circolanti a livello europeo e il-lustrati dagli stessi autoritratti della pittriceche, non casualmente, scelse di rappresentarsicome Minerva 67.

Oltre alla presenza delle opere presso pa-lazzo Durazzo, altri contatti della pittrice conGenova sono documentati nel 1792, quandofornì disegni per un centrotavola con partiscultoree al doge Michelangelo Cambiaso 68,figura molto attenta ai cambiamenti del gustoin atto negli ultimi decenni del Settecento, enel 1793 per la commissione del ritratto del

Pier Francesco Mola (attr.), Ida e Linceo,Torino, Galleria Sabauda (da C. E. Spantigati(a cura di), De Van Dyck à Bellotto. Splen-deurs à la cour de Savoie, catalogo della mo-stra, Bruxelles 2009, Torino-Londra- Venezia-New York 2009, p. 192).

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marchese Paolo Francesco Spinola di San Lucain veste da camera, secondo i nuovi modellidella ritrattistica, a ricordo del suo soggiornoromano 69.

Connessa alla politica di acquisizione diopere significative ad illustrazione delle di-verse ‘scuole’ presenti nel panorama nazio-nale, secondo la paradigmatica partizione in-trodotta dall’abate Luigi Lanzi nella celeber-rima Storia Pittorica direttamente messa inpratica nel riallestimento degli Uffizi 70, cheaveva trovato un vivo sostenitore nel primodirettore della Pinacoteca, Roberto d’Azeglio,già fautore dell’acquisto di palazzo Durazzoe delle sue collezioni 71, rientra il Paesaggiocon Ida e Linceo di Pier Francesco Mola, en-trato in Pinacoteca come opera di AnnibaleCarracci 72. Il dipinto, acquistato nel 1840,fu poi attribuito al celebre Salvator Rosa, mae-stro del ticinese, negli inventari manoscrittidel museo degli anni Settanta dell’Ottocento,ove venne avanzata, dubitativamente, ancheun’attribuzione al bolognese Francesco Brizio,che confermava negli studiosi del tempo lalettura di un’influenza della cultura paesag-gistica e figurativa emiliana nel dipinto 73. Lacritica successiva, sino agli anni Settanta delNovecento, ha oscillato tra il più generico eprudente riferimento alla scuola bolognesedel XVII secolo di Alessandro Baudi di Vesme,al riferimento ad Agostino Carracci avanzatoda Adolfo Venturi, alla posizione di NoemiGabrielli nel catalogo della Pinacoteca editonel 1971, sulla scorta dell’opinione di Ro-berto Longhi, verso Ludovico Carracci 74. Al-l’inizio dell’ottavo decennio del Novecento,probabilmente a seguito della pubblicazionedell’opera, Edoardo Arslan, oralmente, e StellaRudolph in un contributo edito su “Arte il-lustrata” hanno riferito l’opera al pittore ti-cinese, accostandola agli affreschi dipinti nellabasilica di San Marco a Roma e ad opere com-piute nella prima metà degli anni cinquantadel Seicento 75. Confermata la paternità del-l’opera da Luigi Salerno nello studio in duevolumi dedicato alla pittura di paesaggio delXVII secolo, non è più stata messa in discus-sione dalla critica. In occasione del riallesti-

mento della Galleria e della pubblicazionedelle Guide Brevi (1991) è stato riconosciutoil soggetto rappresentato nella vicenda dei fra-telli gemelli Ida e Linceo, protagonisti delleimprese degli Argonauti, di rara iconografia,non esente dalle suggestioni di una poussi-niana ‘pittura filosofica’ le cui istanze eranoben note all’artista, in contatto con l’ambientedell’antiquario e collezionista Cassiano DalPozzo. L’impianto della composizione, con lascelta di posizionare gli alberi che tendono aintrecciarsi, in questo caso funzionale anchealla narrazione del fatto rappresentato, risultacifra ricorrente nella produzione dell’autore,così come l’ascendenza emiliana del branopaesaggistico con le rocce in primo piano,nonché la qualità raffinata della resa anato-mica dei personaggi. Ormai definitivamentea Roma dal 1649, dopo oltre un decennio diviaggi nell’Italia settentrionale, tra cui figu-rano almeno due soggiorni a Bologna, gli annicinquanta del Seicento videro la piena affer-mazione dell’artista, attivo per le casate deiColonna, Pamphili e Chigi, nonché in rela-zione con i circoli culturali della regina Cri-stina di Svezia e di papa Alessandro VII, par-ticolarmente confacenti all’inclinazione del-l’artista, già testimoniata dalle fonti, per unapittura concettosa ed erudita, spesso contrad-distinta dalla raffigurazione di isolate figuredi filosofi, poeti, vecchi di ispirazione biblica76.Anche il tema mitologico, come nel caso inesame, o di storia antica è spesso oggetto diuna complessa rielaborazione in chiave idil-lico-pastorale accompagnata, come scrivevaGiovanni Battista Passeri, uno dei suoi primibiografi, da “qualche sito di paese di assaibuono stile” 77.

Il Novecento. La collezione Gualino e leacquisizioni del Secondo dopoguerraNel 1928-30 l’industriale e finanziere torineseRiccardo Gualino donava le sue raccolte diarte antica alla Galleria Sabauda proprio inoccasione del primo centenario di aperturadell’istituzione cittadina 78. La scelta di desti-nare al pubblico una collezione del tutto ete-rogenea e limitatamente connessa con il per-

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corso della pinacoteca dinastica non costituìsolamente una delle più cospicue occasioni diincremento del patrimonio museale, ma rien-trava in un disegno di politica culturale mi-litante di più vasto respiro. Le scelte eclet-tiche, condivise da una larga parte della bor-ghesia capitalistica europea e d’oltreoceanotra Otto e Novecento, dell’uomo che era riu-scito a costruire un impero finanziario se-condo soltanto a quello degli Agnelli, si rin-tracciavano anche nelle diverse sedi che eranostate destinate ad ospitare le raccolte: dal ca-stello di Cereseto nel Monferrato alla resi-denza di Sestri Levante, completamente tra-sformata dal progetto di Carlo Busiri Vici edei suoi fratelli. Parimenti, le opere che li ar-redavano, raccolte prevalentemente sul mer-cato romano, rispecchiavano non solo diffe-renti epoche storiche, dall’antichità all’Ot-tocento, ma anche tutte le tipologie possi-bili, senza distinzione tra ‘arti maggiori’ e ‘mi-nori’. L’incontro nel 1918 con Lionello Ven-turi, che fu l’autore del primo catalogo della

collezione, impresse una svolta negli interessiartistici del facoltoso mecenate 79, non solo in-dirizzandolo anche all’acquisto di opere diarte contemporanea, si pensi al Gruppo deiSei pittori di Torino, ma stimolandolo a con-siderare i beni artistici nell’ambito di un benpiù ambizioso programma di politica cultu-rale che incise fortemente sul panorama tori-nese, specialmente con il sostegno fornito almondo del teatro, facendo della propria casadi via Galliari un multiforme centro culturalee creando nei propri uffici di corso VittorioEmanuele uno dei più avanzati esempi di ar-chitettura razionalista in Italia 80.

All’interno di una raccolta tanto eterogeneasono rintracciabili due opere attribuite ad ar-tisti di provenienza lacuale, già allestite nel-

Pietro Lombardo (attr.), Adorazione dei Magi,Torino, Galleria Sabauda (da N. Gabrielli,Galleria sabauda: maestri italiani, Torino1971, tav. 18, fig. 33).

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l’ultima sezione dedicata alla collezione, dovereperti archeologici egizi e romani dialoga-vano con opere su tavola e oggetti suntuaridei secoli XV e XVI: il bassorilievo con l’A-dorazione dei Magi, attribuito a Pietro Lom-bardo da Carona, e la porzione di politticorappresentante Undici santi di Giovanni daCaversaccio, località comasca a pochi chilo-metri dal confine svizzero, meglio noto comeGiovanni da Milano.

La problematica scultura ha avuto una li-mitatissima fortuna critica, pur essendo semprestata presente nel percorso espositivo, com-parendo esclusivamente nelle pubblicazionidel museo. L’attribuzione a Pietro Solaro daCarona, che si deve a Lionello Venturi nelcatalogo del 1926 e che è stata ripresa daNoemi Gabrielli in quello sui Maestri Italianidel 1971, non era mai stata messa in discus-sione 81. Tuttavia, nella recente e analitica vocebiografica di Matteo Ceriana sul grande scul-tore e architetto caronese è stata espunta dallaserie delle opere autografe del ticinese, po-nendola a confronto con alcuni bassorilievidatabili agli anni Ottanta-Novanta del XVsecolo di varia provenienza, dalla Madonnacol Bambino di collezione privata padovana,alla Madonna della Ca’ d’Oro di Venezia (daSanta Maria degli Angeli a Murano) a quelladel Metropolitan Museum, proveniente peròda Treviso, ove la famiglia di Pietro operò am-piamente nella cappella maggiore della catte-drale, al Salvatore infante del Victoria & Al-bert Museum di Londra 82.

La qualità del rilievo, quasi uno stiacciato,appare piuttosto alta e affine alla produzionedella vasta équipe famigliare che i Solarosvilupparono, per più generazioni, in Venezia.L’attribuzione di Venturi fu probabilmentemotivata dalla raffinatezza dell’esecuzionecon l’attenzione a tecniche e linguaggi di de-rivazione fiorentina, anche nella impostazioneprospettica della composizione, maturati nel-l’ambiente padovano a seguito della perma-nenza di Donatello nel cantiere del Santo, alungo frequentato da Pietro e dalla sua bot-tega sin dalla fine degli anni Settanta, quandoegli è documentariamente attestato nella città

veneta, ove risulta iscritto ancora nel 1495alla locale fraglia dei lapicidi 83.

La fortuna di Pietro Lombardo negli am-bienti collezionistici torinesi più avveduti, delresto, è già attestata alla metà dell’Ottocento,quando Emanuele Tapparelli d’Azeglio, figliodel già citato Roberto, fece apporre una firmaapocrifa ad una balaustra in pietra d’Istria ac-quistata dall’antiquario Richetti a Venezia,che si riteneva provenisse dal santuario ve-neziano di Santa Maria dei Miracoli, senzadubbio uno dei più straordinari edifici pro-gettati e costruiti dalla dinastia di Pietro Lom-bardo e da un cospicuo numero di collabo-ratori 84.

La tavola con Undici Santi, parimenti, furiferita a Giovanni da Milano da Venturi el’attribuzione fu subito accettata dalla cri-tica ed è stata riproposta nella recente mostrafiorentina dedicata al pittore 85. In tale occa-sione, la tavoletta torinese è stata esposta uni-tamente ad altri elementi che gli studiosi ri-tengono, pur considerando gli scarti qualita-tivi, facenti parte di un unico polittico la cuiricostruzione è ancora incompleta e di cui nonè certa la provenienza, che al centro dovrebbepresentare la figura del Redentore, affiancatada santi, come nell’opera in esame, nelle cu-spidi l’Annunciata e San Giovanni Battistaalle estremità e il Dio Padre al centro, mentrenella predella sono rappresentate Scene dellavita di Cristo 86. La provenienza della maggiorparte delle tavole individuate, nel XIX-XXsecolo, orbita intorno al mercato antiquariobritannico, mentre per quanto attiene alla pos-sibile collocazione originaria dell’opera, questaoscilla tra il monastero camaldolese di SantaMaria degli Angeli di Firenze, in particolare,dalla cappella eretta da Piero di Neri del Pa-lagio, consacrata tra il 1370 e il 1372, e lasede, fondata dal medesimo ordine, di SanGiovanni Decollato del Sasso, presso Arezzo,strettamente legata alla precedente. Una di-versa proposta, formulata sulla testimonianzadi Giorgio Vasari, prevede invece la prove-nienza dall’altare di San Gerardo in SantaCroce, pur in assenza di santi francescani di-pinti nei pannelli noti. La raffinata icono-

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grafia, poco frequente in ambiente fiorentino,con i temi del Cristo giudice e di derivazioneapocalittica, ha anche fatto pensare all’appar-tenenza a una chiesa dedicata al Salvatore e,in particolare, alla chiesa di San Salvatore delVescovado di Firenze.

Nella tavola torinese sono riconoscibili,grazie ai rispettivi attributi, in prima fila, isanti Pietro e Giacomo Maggiore, mentre laterza figura, con la penna e il libro chiuso, èda riconoscersi in un evangelista, forse Gio-vanni. Dietro questi, le due figure barbatesono state individuate come due personaggidell’Antico Testamento, forse Abramo, poichétiene in mano un coltello, da riferirsi al sa-crificio di Isacco, e Mosè, per la presenza del-l’attributo della fiamma, affiancati da duesanti tonsurati e con vesti da diacono. In terzafila, un monaco barbato e anziano, forse SanBenedetto o San Bernardo di Chiaravalle, oancora San Romualdo, e due santi vescovi,dignità alla quale allude la presenza della tiara.Termina il gruppo una santa monaca dal velonero profilato di bianco, forse Santa Scola-stica. La datazione è stata collocata dallacritica tra il 1365 e il 1369, nella maturitàdella produzione dell’artista, in una fase diormai piena assimilazione del linguaggio fio-rentino e contraddistinta da una forte ricercadi ricchezza e preziosità nei fondi dorati e nellestoffe, nonché dalla resa dello spazio attra-verso le masse corporee delle figure che scan-discono i piani, come evidenziato proprionel pannello torinese.

Cronologicamente, l’ultima acquisizione diun’opera di artista originario dei territori dellaConfederazione Elvetica, avvenuta nel secondodopoguerra, riguarda una Presentazione diGesù al Tempio di Giovanni Battista Disce-poli, detto lo Zoppo da Lugano, esposta re-centemente nella mostra dedicata al pittore(Rancate 2001) e nella rassegna sugli artistilombardi in Piemonte, svoltasi due anni dopo,presso la Galleria Sabauda 87. Attribuita neicataloghi del museo degli anni Cinquanta-Set-tanta a Panfilo Nuvolone, correttamente in-dividuando l’ambito di pertinenza nella cul-tura figurativa elaborata nei primi decenni del

Seicento nello Stato di Milano, è stata rico-nosciuta al pittore ticinese da Francesco Frangiin occasione delle sopracitate esposizioni.Lo studioso ha ritenuto, sulla base di consi-derazioni di carattere stilistico, peraltro con-divisibili, connesse alle citazioni ben leggi-bili dai sempre vitali prototipi di Morazzone,per una scelta di cromie dai toni vivaci e danetti stacchi chiaroscurali, vicini ad opere già

Giovanni da Milano, Undici Santi, Torino,Galleria Sabauda (da D. Parenti (a cura di),Giovanni da Milano. Capolavori del Goticofra Lombardia e Toscana, catalogo dellamostra, Firenze 2008, p. 244).

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al quarto decennio del Seicento, di avanzareuna datazione alla fine di questa decade peril dipinto in esame, accostandola alla Sacrafamiglia (collezione privata) esposta nel 2001,per la estrema e indubbia vicinanza della fi-gura della Vergine, dalla caratteristica rap-presentazione di profilo, e al San Francescosostenuto da angeli della parrocchiale di Sar-nico, in provincia di Bergamo 88. Consideratal’abitudine, non certo peculiare del pittoreticinese, di riproporre, nell’arco della propriaproduzione, modelli già sperimentati e ap-prezzati dalla committenza, anche a distanzadi tempo, pare possibile lasciare aperta unapossibile cronologia anche a date più avan-zate. È proprio il puntuale riscontro di alcunetipologie ricorrenti. Si vedano la figura delgiovane reggicero all’estrema sinistra del di-pinto, vicinissima nell’espressione sia al SanGiovanni Battista della chiesa della Nativitàdi San Giovanni Battista di Cusino che all’an-gelo di tre quarti nella porzione superiore dellatela con la Vergine che porge a san Francescoil Bambino della chiesa milanese di San Vit-tore al Corpo 89, oppure il tipico colore per-laceo del viso di Maria, contraddistinto da

una certa rotondità e da una particolare e re-plicata fisionomia del naso 90, nonché la so-luzione all’estrema destra, a chiudere la ‘scena’,della figura femminile di offerente con co-lombe, non esente, come già notato, da echinuvoloniani, più volte riproposta, che per-mette di assicurare la paternità della tela allostudio dello Zoppo da Lugano. Benché, con-siderata la provenienza dell’opera dall’am-bito del collezionismo privato, appaia piut-tosto difficile avviare una ricostruzione dellasua originaria ubicazione, le dimensioni da‘stanza’ del dipinto e, allo stesso tempo, il suoformato orizzontale, che rimanda alle serie diteleri di grande popolarità in ambiente lom-bardo, potrebbero lasciare pensare all’esem-plare in esame come elemento di un ciclo più

Giovanni Battista Discepoli detto lo Zoppoda Lugano, Presentazione di Gesù al Tempio,Torino, Galleria Sabauda (da A. M. Bava,C. E. Spantigati (a cura di), Maestri lombardiin Piemonte nel primo Seicento, catalogodella mostra, Torino 2003, Torino-Londra-Venezia-New York, 2003, p. 71).

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vasto, magari di dedicazione mariana e de-stinato a un luogo di culto di fruizione limi-tata, quale un oratorio privato.

In occasione delle ricerche archivistiche ef-fettuate per la mostra monografica dedicataal pittore sono emerse tracce di ulteriori pos-sibili rapporti dello Zoppo con l’ambiente to-rinese. Un figlio dell’artista, Giovanni Bat-tista, si sposò con Maddalena Aprile, appar-tenente alla famiglia di capi mastri e picca-pietre ticinesi attivi in Piemonte 91; quest’ul-tima risulta essere già vedova nel 1702 e re-sidente a Savigliano 92. Nel 1713-17, per la de-corazione a stucco della chiesa di Santa Croce

di Cuneo, pittoricamente dominata dai bis-sonesi Gaggini 93, largamente attestati, sia conopere pittoriche che lapidee nel Piemonte sud-occidentale tra gli ultimi decenni del Seicentoe i primi del secolo successivo 94, è documen-tato, in collaborazione con i Beltramelli di Lu-gano, un Giacomo Discepolo ‘luganese’. Perora non altrimenti conosciuto nel territoriosabaudo, appare probabile che fosse impa-rentato con la famiglia del noto pittore, an-cora una volta confermando una intricata efitta rete di relazioni e di alleanze che con-traddistingueva la diversificata attività degliartisti lacuali.

La presente ricerca è stata possibile grazie al sostegno e alla disponibilità della dott.ssa Paola Astrua, già direttrice della Galleria Sa-bauda a cui, oltre a rivolgere un sincero ringraziamento, questo contributo è dedicato.(1) Si vedano i vari saggi nel presente volume con bibliografia relativa.(2) Ancora fondamentale è Conoscere la Galleria Sabauda. Documenti sulla storia delle sue collezioni, Torino 1982, in particolare il

saggio di Paola Astrua su Ludovico Costa (Torino, 1778-1835) protagonista del recupero delle opere d’arte acquisite a Parigi du-rante il periodo napoleonico e vero animatore del dibattito sulla creazione di un museo pubblico negli anni venti dell’Ottocento,nominato nel 1819 dall’amico Prospero Balbo, al tempo ministro degli Interni, vice direttore della Biblioteca Universitaria. Pari-menti, per una panoramica generale sul complessivo progetto culturale di Carlo Alberto e le interrelazioni tra l’apertura della RegiaPinacoteca e di altre realtà museali, dal Museo Egizio all’Armeria Reale, nonché al mancato progetto di tutela della Giunta di an-tichità e Belle Arti, cfr. G. P. Romagnani, Storiografia e politica culturale nel Piemonte di Carlo Alberto, Torino 1985, pp. 1-37.Il marchese Roberto Tapparelli d’Azeglio (Torino, 1790-1862), partecipe ai moti del 1821 e per alcuni anni in esilio a Parigi, funominato nel 1832 gentiluomo di camera onorario con la “direzione delle gallerie ed oggetti d’arte che si conservano nei reali no-stri palazzi”; fu poi confermato alla carica nel 1836. Si dimise nel 1854 perché in conflitto con le decisioni dell’amministrazionesabauda. Sostenitore del processo risorgimentale, fu senatore dal 1848, cfr. S. Ghisotti, Roberto d’Azeglio direttore della RegiaPinacoteca, in “Studi Piemontesi”, IX, 1980, 1, pp. 70-79 e il recente S. Villano, Roberto d’Azeglio e il catalogo illustrato dellaReale Galleria di Torino, in “Arte Attraverso i secoli, Annuario della Scuola di specializzazione in beni storici artistici dell’Uni-versità di Bologna”, 2008, 7, pp. 72-89. La prima sede fu al piano nobile del vecchio Castello di Torino, l’attuale Palazzo Ma-dama. Il trasferimento delle collezioni presso il seicentesco palazzo dell’Accademia delle Scienze ebbe luogo nel 1865. Il museosorse tra prime istanze di tutela e conservazione, finalità didattiche e, con l’ascesa del nuovo sovrano, volontà di rinnovamentodelle residenze sabaude e di adeguamento a quanto buona parte delle capitali europee aveva già da decenni realizzato, si pensisolo al caso degli Uffizi o del Belvedere di Vienna.

(3) Per i Vanelli si rimanda al saggio di Bruno Signorelli; per i Carlone al contributo di Andrea Spiriti e alla biografia della scrivente.(4) Una sistematica catalogazione degli esemplari in N. Gabrielli, Galleria Sabauda – Maestri italiani, Torino 1971, pp. 264, 266,

267, tav. 51 con fig. 101, tav. 57 con fig. 115, tav. 104 con fig. 251, tav. 152, fig. 411. I ritratti, inseriti nel percorso espositivoallestito nel 1991, sono citati nelle Guide brevi del Museo, cfr. La Galleria Sabauda. Guida del primo settore. Collezioni dina-stiche: da Emanuele Filiberto a Carlo Emanuele I 1550c.-1630, Torino 1991, p. 32 per i busti di Emanuele Filiberto e di Marghe-rita di Valois, già attribuiti alla maniera di Leone Leoni da Noemi Gabrielli per l’effige di Margherita di Valois; p. 46 per quellodi Carlo Emanuele I, riferito a scultore lombardo. La Galleria Sabauda. Guida del secondo settore. Collezioni dinastiche: da Vit-torio Amedeo I a Vittorio Amedeo II 1630-1730, Torino 1991, p. 34 per i ritratti di Vittorio Amedeo I e del principe EmanueleFiliberto viceré di Sicilia.

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(5) Per importanti chiarimenti sull’origine e l’uso delle onorificenze dinastiche e cavalleresche, cfr. A. Barbero, A. Merlotti (a cura di),Cavalieri. Dai Templari a Napoleone. Storie di crociati, soldati, cortigiani, catalogo della mostra Venaria Reale 2010, Milano2010.

(6) Cfr. V. Natale, Uno scultore torinese al servizio dell’Impero: Giacomo Spalla, in M. di Macco (a cura di), Le delizie di Stupinigie della “Danae” del Correggio Camillo Borghese tra Impero e Restaurazione, catalogo della mostra, Stupinigi 1997, Torino1997, pp. 75-76. Nel 1811 il busto fu eseguito sul modello di un esemplare ritenuto di autore francese del 1570, oggi a PalazzoMadama. Il complesso scultoreo al tempo fu collocato nella Biblioteca dell’Università.

(7) Cfr. L. Mallé, Le sculture del Museo d’Arte Antica, Torino 1965, pp. 207-208, tavv. 229-231. Ipotesi avanzata in C. Bertolotto,I ritratti marmorei dei Porporato e di Manfredo Solaro, in M. Marchiando-Pacchiola (a cura di), Arte e devozione nella chiesa B.V. del Monte Carmelo al Colletto presso Pinerolo. Gli ex-voto ritrovati (secc. XVI-XVII), in “I Quaderni della Collezione Civicad’Arte”, Pinerolo 1994, pp. 11-12. Le opere entrarono al Museo Civico nel 1871 con un cambio dal Museo Egizio. Nello stessocatalogo, è riferito alla bottega di Pompeo Leoni un ritratto del re di Spagna Filippo II, di impostazione differente rispetto alle im-magini ducali, mentre è dubitativamente riferito a scultore piemontese un interessante busto che dovrebbe raffigurare FilibertoScaglia di Verrua, gran cancelliere ducale, acquistato da Pietro Accorsi nel 1935 e di provenienza ignota, mentre ad artista tici-nese è collegato il busto con lapide del senatore sabaudo Antonio Sola (morto nel 1591), proveniente dalla distrutta chiesa deiSanti Processo e Martiniano e donato nel 1895 dalla Congregazione dei Calzolai, Ivi, pp. 206-207, 209-211, tavv. 228, 232,234/b. Più recentemente, i soli busti di Carlo Emanuele I e di Emanuele Filiberto sono stati riferiti, sulla base del confronto stili-stico, a scultore francese, e più precisamente, pur con riserva, a Barthélemy Prieur (Parigi, c. 1540-1611), cfr. A. Bacchi, schedenn. 254-255, in S. Pettenati, G. Romano (a cura di), Il Tesoro della Città. Opere d’arte e oggetti preziosi da Palazzo Madama, ca-talogo della mostra, Stupinigi, 1996, Torino 1996, pp. 126-127.

(8) Cfr. L. Calzona, scheda n. 17, in F. Solinas (a cura di), I Segreti di un Collezionista. Le straordinarie raccolte di Cassiano dalPozzo 1588-1675, catalogo della mostra, Roma 2001, p. 113.

(9) Il busto è stato riferito dubitativamente a Tommaso Carlone, cfr. M. Failla, Il principe Emanuele Filiberto di Savoia. Collezioni ecommittenze tra ducato sabaudo, corte spagnola e viceregno di Sicilia, in M. Failla, C. Goria, Committenti d’età barocca. Le col-lezioni del principe Emanuele Filiberto di Savoia a Palermo. La decorazione di Palazzo Taffini d’Acceglio a Savigliano, Torino-Londra-Venezia-New York 2003, p. 70, fig. III, con riferimento ad una seconda possibile immagine del figlio di Carlo EmanueleI nella collezione del medico Giacomo Francesco Arpino (cfr. la voce biografica nel presente volume).

(10) Cfr. la scheda di Bruno Signorelli. Il monumento, collocato dopo la prima rampa dello scalone principale di Palazzo Reale sola-mente nel 1663, doveva originariamente raffigurare il defunto duca Emanuele Filiberto. Le parti bronzee furono eseguite dal fon-ditore Vanelli, documentato nel 1619 anche per statue dei “Ser.mi Prencipi”, e il cavallo marmoreo da Rivalto. Il gruppo fu ritro-vato suddiviso ancora nei rispettivi studi alla morte dei due artisti, avvenuta, rispettivamente, nel 1627 per il maestro di Granciae nel 1624 per lo scultore in materiali lapidei. Potrebbero riferirsi, pertanto, alla produzione ritrattistica del Vanelli anche il bustobronzeo di riferito a Leone Leoni.

(11) Cfr. A. Cifani, F. Monetti, Il monumento funebre di Cassiano Dal Pozzo Senior nella Chiesa di Sant’Agostino a Torino nuovi con-tributi per Ludovico Vanelli e la scultura del tardo Cinquecento a Torino, in “Bollettino d’Arte per il Ministero per i beni e le at-tività culturali”, 101-102, 1997, p. 34. L’impresa, già predisposta nel testamento dallo stesso Cassiano nel 1575, fu portata a ter-mine dal nipote Ludovico Dal Pozzo.

(12) Cfr. A. Baudi di Vesme, Schede Vesme. L’arte in Piemonte dal XVI al XVIII secolo, Torino 1968, vol. III, p. 1075, e il contributodi Signorelli nel presente volume.

(13) Cfr. C. Bertolotto, I ritratti marmorei..., cit., pp. 7-14. Si noti che Barbara d’Annebault fu istitutrice del principe Carlo EmanueleI per volontà della stessa duchessa. Non si esclude, pertanto, una ricercata volontà di imitazione nel ritratto della prima. La so-miglianza tra i vari esemplari era già stata notata da Claudio Bertolotto. In quella sede lo studioso avanzava una possibile attri-buzione al faentino Alessandro Ardente, di cui, tuttavia, si conoscono solamente prove come pittore. Si noti che il quarto bustodella famiglia Porporato, pur accomunato da caratteristiche simili, dovette essere eseguito necessariamente dopo la morte del no-bile, avvenuta nel 1631, mentre gli altri tre personaggi morirono nel 1571. Il monumento del Solaro è databile a dopo il 1578,anno del suo ultimo testamento, ed entro il 1596, data che compare sull’epigrafe della tomba.

(14) Interessante anche il monumento del giureconsulto Aimone Cravetta, morto nel 1569.(15) Cfr. S. Damiano, “Umbra sumus tandem”: monumenti funebri di area saluzzese, in R. Allemano, S. Damiano, G. Galante Gar-

rone (a cura di), Arte nel territorio della diocesi di Saluzzo, Savigliano 2008, pp. 284-293. Il primo personaggio risulta decedutonel 1598, il secondo, nel cui monumento è incluso anche il sottostante busto della moglie, nel 1602. Le due edicole mostrano ilmedesimo impianto. Di analogo interesse anche la figura in armatura della tomba di Gaspare da Ponte nella chiesa di Santa MariaAssunta di Scarnafigi (1594). Diversamente, il busto entro edicola di Francesco Agostino Della Chiesa, risalente al 1662, mostranella resa del defunto e nella testina cherubica al centro del fregio, un chiaro rimando alla produzione dei Carlone. In Saluzzo, ve-nivano avvicinati allo stile del Vanelli anche le tombe di Giovanni Maria Tapparelli di Lagnasco, vescovo di Saluzzo (morto nel1581) e quelle di Matteo Bovero, deceduto nel 1585 e del pittore Michele Bertrando (1597), cfr. A. Cifani, F. Monetti, Il monu-mento funebre..., cit., 1997, p. 33.

(16) Per la presenza del poliedrico artista e dei suoi figli nella capitale sabauda, si rimanda al saggio della scrivente nel presente vo-lume. L’attribuzione a Bianchi è presentata, da ultimo, da C. Arnaldi di Balme, scheda n. 25, in A. M. Bava, C. E. Spantigati (acura di), Maestri lombardi in Piemonte nel primo Seicento, catalogo della mostra, Torino 2003, Torino-Londra-Venezia-New York,2003, pp. 72-73.

(17) Il dipinto era allestito nella “anticamera nova in testa del Sallone”.(18) La tela è indicata nella “camera vecchia di S.A.R.”, accanto a importanti dipinti quali l’Annunciazione di Orazio Gentileschi, la-

vori dei Procaccini, Morazzone e Cerano. L’attribuzione antica a Morazzone dell’opera, pure stilisticamente pertinente, non è di-scussa nella recente monografia dedicata al pittore di Jacopo Stoppa.

(19) Per l’allestimento della Galleria sulla base dell’inventario del 1754, cfr. A. M. Bava, Per una storia della Galleria Beaumont comequadreria di palazzo: antefatti e trasformazioni, in P. Venturoli (a cura di), L’Armeria Reale nella Galleria Beaumont, Torino2008, pp. 150, 151, 154. L’opera fu montata nella quarta campata, insieme a lavori di Nicolas Poussin, Mattia Preti e DanielSeyeter, tutti dedicati a soggetti biblici e a figure di santi. All’allestimento della galleria, progettato da Benedetto Alfieri, lavora-rono, tra quarto e quinto decennio del Settecento, numerosi artisti lacuali: Pietro Filippo e Giovanni Antonio Somasso di Can-nobio, Pietro Giuseppe Muttoni e il figlio Domenico di Valsolda, Domenico Ferretti di Montronio (Valle Intelvi), oltre ad altridue stuccatori il cui nome non è restituito dai documenti. Le pitture di Claudio Francesco Beaumont (Torino, 1694-1766), primopittore di corte, raffigurano Storie di Enea (1738 e il 1743).

(20) Come accuratamente ricostruito da Clelia Arnaldi di Balme, probabilmente non più esposto alla fine dell’Ottocento, nel 1926

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venne concesso all’amministrazione provinciale per essere collocato negli ambienti di rappresentanza al tempo siti nel palazzodella Prefettura.

(21) Negli anni settanta la direttrice, Noemi Gabrielli, aveva recuperato il riferimento a Morazzone e tangenze in questa direzione, apiù riprese, furono notate anche da Mina Gregori; la stessa attribuzione, accompagnata da un punto di domanda, compare anchein La Galleria Sabauda..., cit., p. 47.

(22) L’Armeria Reale di Torino conserva numerose armature da parata acquisite sul mercato milanese tra la fine del XVI e i primi de-cenni del XVII secolo. Un’interessante panoramica in S. Leidy, Gli armaioli milanesi del secondo Cinquecento. Famiglie, botteghe,clienti attraverso i documenti, in J. A. Godoy, S. Leydi (a cura di), Parate Trionfali. Il manierismo nell’arte dell’armatura italiana,catalogo della mostra, Genève 2003, Milano-Genéve 2003, pp. 25-55 e le schede dei numerosi esemplari censiti nel volume.

(23) Si veda, in particolare, la fortuna incontrata dall’attività di abilissimi ricamatori e ricamatrici che spesso operavano su cartoni di-segnati dai più quotati artisti dell’ambiente milanese, cfr. G. L. Bovenzi, “Non pur fiori e fogliami, ma figure e istorie”. Il ricamoa Milano fra Cinque e Seicento, in C. Buss (a cura di), Seta Oro Incarnadino. Lusso e devozione nella Lombardia spagnola, Ce-sano Maderno 2011, pp. 114-119 e pp. 142-145, con riferimento ai ricchi parati poi donati alla Cappella della Sindone.

(24) Per il testo del letterato e musicista Coppino che visitò, oltre alla sede ducale, con la Grande Galleria, le “delizie” perdute del Vi-boccone e di Miraflores, significativamente dedicato al segretario del Senato milanese Giovanni Battista Sacchi, cfr. L. Facchin, ISacchi una famiglia di committenti da Milano a Lonate Pozzolo, in A. Spiriti (a cura di), Libertinismo erudito: cultura lombardatra Cinque e Seicento, atti delle giornate di studio (Somma Lombardo, Castello Visconti di San Vito e Gallarate, Teatro Condo-minio, 15-16 ottobre 2009), Milano 2011, p. 153.

(25) La vicenda delle tele raffiguranti le province del ducato, delle quali ne sopravvivono solamente due, quella di Susa, del Moraz-zone, e quella di Saluzzo, del Fiammenghino (Torino, Galleria Sabauda), e un disegno rappresentante Aosta, firmato da CamilloProcaccini e datato 1608 (Torino, Biblioteca Reale), si intreccia con due diverse occasioni nelle quali, dai documenti, risulta com-piuto un apparato effimero con dipinti che illustrassero tale tema: nel 1608 per le doppie nozze con i Gonzaga e gli Este, e nel1620 per quelle tra Cristina di Francia e Vittorio Amedeo I, cfr. C. E. Spantigati, scheda n. 27, in A. M. Bava, C. E. Spantigati (acura di), Maestri lombardi in Piemonte nel primo Seicento, catalogo della mostra, Torino 2003, pp. 76-77.

(26) Cfr. M. B. Failla, scheda n. 3.11, in C. E. Spantigati (a cura di), De Van Dyck à Bellotto. Splendeurs à la cour de Savoie, catalogodella mostra, Bruxelles 2009, Torino-Londra-Venezia-New York 2009, p. 130. Il monocromo, esposto all’asta Christie’s delle col-lezioni della principessa del giugno 2007 è stato acquisito per il sistema museale torinese dalla Compagnia di San Paolo. La pre-senza di un’iscrizione novecentesca, esplicativa del soggetto rappresentato, è stata opportunamente segnalata come possibile au-tografo del re Umberto II, attento cultore di storia sabauda. Tale elemento, utile per futuri approfondimenti sulle vicende colle-zionistiche dell’opera e delle altre simili di cui si dirà più avanti, porta a ritenere che la tela facesse parte del patrimonio privatodel sovrano oppure che, come molte opere pervenute in eredità ai suoi figli, si veda il caso della collezione di immagini sindoniche(cfr. E. Barbero, Immagini dalla storia. Le ostensioni nelle opere grafiche della collezione di Umberto II, in D. Biancolini, M. Ma-cera, R. Medico (a cura di), Il Tesoro della Sindone. Mirabilia del sacro e incisioni sindoniche di Umberto II di Savoia, catalogodella mostra, Torino 2010, pp. 33-39), sia stato acquistato da Umberto sul mercato antiquario.

(27) Amedeo VIII era figlio di Bona di Berry, figlia di Giovanni, duca di Berry e d’Alvernia, e nipote diretta del re di Francia. Il prin-cipe sabaudo aveva sposato Maria, figlia del duca di Borgogna Filippo l’Ardito, nel 1401.

(28) Il matrimonio era avvenuto nel 1619. Il ciclo di Rivoli fu eseguito a partire dal 1622-23, si rimanda al saggio della scrivente de-dicato al pittore di Campione nel presente volume.

(29) Il dipinto è stato venduto a Londra, asta Christie’s, nel 2005 e si trova in collezione privata. I due esemplari presentano simili di-mensioni, ma differenti cornici, cfr. A. Cifani-F. Monetti, I Sacrifici pacifici di Giosuè: un bozzetto di Isidoro Bianchi (1581-1662)per Villa Monti a Vaprio d’Adda, in “Arte Cristiana”, 96, 2008, 814, p. 58.

(30) Cfr. D. Pescarmona, scheda n. 16, in D. Pescarmona (a cura di), Isidoro Bianchi 1581-1662 di Campione, catalogo della mostra,Campione d’Italia, 2003, Cinisello Balsamo 2003, pp. 122.

(31) M. Natale, scheda n. 27, in M. T. Binaghi Olivari (a cura di), Collezioni Civiche di Como: proposte, scoperte, restauri, catalogodella mostra, Como 1981, Milano 1981, p. 75. I quattro esemplari erano stati presentati all’asta da Sotheby’s Londra il 19 aprile1967.

(32) Cfr. M. di Macco, scheda n. 5, in D. Pescarmona (a cura di), Isidoro Bianchi..., cit., pp. 96-97. La presenza di un’iscrizione set-tecentesca che, oltre a descrivere il soggetto raffigurato, riporta l’attribuzione al Borgognone, conferma la perdita della correttaattribuzione già nel secolo successivo alla realizzazione dell’opera in grande e potrebbe documentare una dispersione antica del-l’esemplare.

(33) Per questo ciclo si veda il saggio della scrivente nel presente volume.(34) Cfr. M. Di Macco, “Critica occhiuta”: la cultura figurativa (1630-1678), in G. Recuperati (a cura di), Storia di Torino. La città

fra crisi e ripresa (1630-1730), vol. 4, Torino 2002, pp. 358-359.(35) Nella mostra monografica del 2003 erano presentati altri monocromi riferiti al pittore, non di committenza sabauda e di soggetto

sacro: l’Adorazione dei Pastori della collezione Borromeo all’Isola Bella, connessa alla pala per la chiesa di Santa Caterina e del-l’Immacolata di Lugano, e un Cristo consegna le chiavi a san Pietro, di collezione privata, che presenta un impianto architetto-nico vicino ai modelletti sabaudi, cfr. F. Bianchi, scheda n. 9 e M. dell’Omo, scheda n. 10, in D. Pescarmona (a cura di), IsidoroBianchi..., cit., pp. 106-109.

(36) Per il rilievo assunto dalle opere di Costantin, si veda la segnalazione del direttore, Roberto d’Azeglio, in un articolo descrittivodell’istituto appena aperto, rimasto manoscritto, ma destinato alla pubblicazione su una rivista forse il “Cosmorama Pittorico”dell’editore Vallardi, in cui veniva definita “collezione rara e preziosa” a cui era dedicata un’intera sala, cfr. S. Ghisotti, Robertod’Azeglio..., cit., p. 71.

(37) Cfr. F. Mazzocca, La fortuna degli smalti e il dibattito sulla riproducibilità dei capolavori in Italia nella prima metà del XIX se-colo, in F. Mazzocca, S. Rebora (a cura di), Capolavori in smalto e avorio. Pietro Bagatti Valsecchi e la miniatura d’après, cata-logo della mostra, Milano 2004-05, Milano 2004, pp. 15-21.

(38) Si pensi solo alla preoccupazione sollevata, sin dall’inizio del secolo, negli ambienti dell’Accademia di Brera a Milano, su un’o-pera in forte pericolo di scomparsa, quale il Cenacolo di Leonardo.

(39) Allievo (Ginevra, 1785-1855) del maestro Henri l’Evêque, si era trasferito a Parigi nel 1807 per perfezionarsi e trovò un forte ap-poggio nel potente Vivant Denon che lo introdusse nell’ambiente della corte imperiale, ove iniziò come miniaturista di ritratti,passando poi a collaborare con la manifattura di porcellana di Sévres per la quale fu inviato a Firenze e con la quale, oltre il sog-giorno di un quindicennio a Roma (1829-44), mantenne costanti rapporti di collaborazione sino al 1848, cfr. B. Falconi, A. M.Zuccotti, Biografie, in F. Mazzocca, S. Rebora (a cura di), Capolavori in smalto..., cit., p. 146.

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(40) Cfr. R. Maggio Serra, Abraham Constantin e Carlo Alberto, in F. Mazzocca, S. Rebora (a cura di), Capolavori in smalto..., cit.,pp. 98-106. La raccolta della Galleria Sabauda si compone complessivamente di 18 esemplari. Nonostante le numerose opereprodotte in una lunga e laboriosa carriera, pochi sono oggi i suoi lavori in collezioni pubbliche italiane: si ricordi l’Autoritrattodonato agli Uffizi nel 1824 e due esemplari eseguiti per il collezionista milanese Giovanni Battista Sommariva, oggi presso le Ci-viche Raccolte d’Arte del Castello Sforzesco. Si noti che durante il soggiorno fiorentino Costantin, legato da viva amicizia con ilcelebre pittore Ingres, gli offrì alloggio presso i compatrioti Gonin, facoltosi fabbricanti di cappelli di paglia, presso i quali eraospite.

(41) Carlo Alberto rientrò a Torino, ormai ufficialmente erede al trono, nel 1824.(42) Cfr. S. Ghisotti, Roberto d’Azeglio..., cit., p. 73. Mentre il settore dei fiamminghi e olandesi, grazie all’acquisto a metà Settecento

delle collezioni del principe Eugenio di Savoia Soissons, conservava opere preziose che potevano competere con le coeve raccolteeuropee, poco organico era il complesso dei dipinti di quegli “artisti sublimi” come Correggio, Michelangelo, Leonardo, Raf-faello, Andrea del Sarto di cui la Pinacoteca era quasi del tutto priva e che costituivano un punto di riferimento irrinunciabile sia,ancora, per la formazione degli artisti che per eruditi e visitatori stranieri.

(43) Decisamente preponderante è il numero di derivazioni da opere di Raffaello, o ritenute tali al tempo, nel rapporto di sei su tre-dici.

(44) Il dipinto è firmato e datato al 1829. La committenza da parte del sovrano francese è rimarcata dalla presenza, in primo piano,centralmente, della bandiera con i gigli di Francia.

(45) Cfr. R. D’Azeglio, La Reale Galleria di Torino illustrata da Roberto D’Azeglio, Torino 1838, vol. II, pp. 161-164. Il contributofu poi riedito in R. D’Azeglio, Notizie estetiche e biografiche sopra alcune opere oltramontane, Firenze 1862, pp. 140-145. Circala metà del testo era occupato da una carrellata sulle donne artiste della storia che ricalcava, specialmente per l’indicazione dellefigure piemontesi, l’orazione pubblicata nel 1778 dal conte Felice Durando di Villa per la riapertura della Regia Accademia di Pit-tura e Scultura a Torino. I cenni alla vita della pittrice, derivati dalla biografia di Giovanni Gherardo De Rossi (Firenze, 1810),ponevano l’accento sul suo soggiorno inglese, sul rapporto con Joshua Reynolds e la sua attività prevalente di ritrattista. Sullapubblicazione dei quattro volumi, che ebbe luogo tra il 1836 e il 1846, cfr. S. Villano, Roberto d’Azeglio..., cit., pp. 72-89. Per lavasta bibliografia sulla pittrice (Coira, 1741-Roma, 1807), rimando alle pubblicazioni edite nel 2007, bicentenario della mortedell’artista, successivamente citate.

(46) L’acquisizione del palazzo da parte del re Carlo Felice era avvenuta nel 1824. Oltre all’edificio, furono venduti in blocco dal mar-chese Marcello quasi tutti gli arredi. Tra il 22 aprile 1833 e la fine del 1854 circa quaranta dipinti dalle collezioni Durazzo furonotrasferiti dalla residenza genovese a Torino e destinati alla Regia Pinacoteca. Oltre alle tele in esame, si ricordino il Ritratto diEleonora di Toledo di Bronzino, l’Adorazione dei Magi di Luca Cambiaso, la Cena di Cristo in casa di Simone il fariseo del Ve-ronese e la Susanna e i vecchioni di Rubens, cfr. L. Leoncini, Storia della collezione, in L. Leoncini (a cura di), Museo di PalazzoReale Genova. I dipinti del Grande Appartamento Reale. Catalogo generale volume primo, Milano 2008, pp. 38-40.

(47) Cfr. L. Facchin, Angelica Kauffmann a Roma: l’attività per una clientela cosmopolita, in G. Mollisi (a cura di), numero speciale,Svizzeri a Roma nella storia, nell’arte, nella cultura, nell’economia dal Cinquecento ad oggi, di “Arte & Storia”, 35, 2007, p. 288con circostanziata bibliografia. Il ritratto della contessa si trova in collezione privata torinese. Il dipinto vercellese fu acquistatoda Antonio Borgogna (Stroppiana, 1822-Vercelli, 1906) dai fratelli Grandi di Milano. Il collezionista possedeva anche un albumdi stampe della pittrice nelle sue eclettiche raccolte, frutto di acquisizioni sul mercato europeo effettuate negli ultimi decenni del-l’Ottocento. Dal dipinto, di cui si conservano anche alcuni disegni preparatori, venne derivata una nota incisione.

(48) Cfr. M. di Macco, Il soggiorno dei conti del Nord a Torino nel 1782. Sedi diplomatiche e collezioni di ambasciatori, in S. Pette-nati (a cura di), San Pietroburgo 1703-1825. Arte di corte dal Museo dell’Ermitage, catalogo della mostra, Stupinigi 1991, Mi-lano 1991, pp. 426-434. Il principe (1751-1831) era giunto a Torino nel 1782 per accompagnare il figlio di Caterina di Russia,Paolo, e la sua consorte, Maria Fëdorovna, durante il viaggio in Italia. Si stabilì nella capitale sabauda il 14 novembre 1783 e ri-siedette nella casa Cigliè, davanti alla chiesa di Santa Maria di Piazza. Vi rimase sino al 1789, pur alternando soggiorni a Roma(1784) e temporanei rientri a San Pietroburgo.

(49) Sulla innovativa politica artistica e architettonica promossa dal governo austriaco, in parallelo con Vienna e Praga, a Milano, sedearciducale e capitale dei possessi asburgici in Lombardia, a partire dagli anni sessanta del XVIII secolo, cfr. L. Facchin, Carlo Fir-mian e la politica artistica della corte viennese nel settimo-ottavo decennio del Settecento. Alcune considerazioni, in “Annali diStoria moderna e contemporanea”, 11, 2005, pp. 261-284. Il matrimonio fu celebrato nel 1789.

(50) Cfr. L. Facchin, Angelica Kauffmann a Roma..., cit., pp. 287-288. L’opera era stata acquistata nel marzo del 1785. L’incisore (Vol-vera, 1741-Torino, 1816), tra il 1768 e 1773 soggiornò a Parigi; nel 1773 venne nominato membro della Académie Royale dePeinture et Sculpture e, grazie a tale riconoscimento, fu contattato dal governo austriaco. La trattativa non andò a buon fine el’artista intraprese una lunga carriera presso la corte sabauda. Nel 1773 fu posto a capo della Scuola di incisione di Torino, vennenominato regio incisore nel 1774, “gardes des dessins du Roi” due anni dopo e professore all’Accademia nel 1778. Porporati furichiesto, successivamente, per incidere una seconda opera della pittrice, Nathan che rimprovera David, appartenuta al celebrecardinale Francesco Saverio Zelada.

(51) Cfr. L. Facchin, Angelica Kauffmann a Roma..., cit., pp. 288-289. Per gli interessi artistici e le commissioni dei marchesi Turinetti,cfr. L. Facchin, Bartolomeo Cavalleri agente dell’aristocrazia sabauda a Roma nell’ultimo quarto del XVIII secolo, in “Percorsi.Rivista della Biblioteca di Storia e Cultura del Piemonte ‘Giuseppe Grosso’”, 7, 2004, pp. 9-43. Polissena (Torino, 1764–Pine-rolo, 1844) e Giovanni Antonio (Torino, 1762–1801) si sposarono nel 1781. Il marchese, accanito amatore di stampe, acquistò,in questi stessi anni, la raccolta di Tommaso Puccini, futuro direttore degli Uffizi. La tela, commissionata nel 1792, venne saldataal 12 giugno del 1793 per 150 zecchini. Del dipinto si conservano alcuni disegni. L’originale è passato più di una ventina di annifa sul mercato torinese; la fama dell’opera è certificata anche dalla presenza di una copia ad acquerello presentata nel 1985 sulmercato antiquario (Christies’s, Roma, 20-21 settembre 1985, n. 418).

(52) L. Facchin, Angelica Kauffmann. Tracce per i rapporti tra la pittrice svizzera e l’ambiente fiorentino nella seconda metà del XVIIIsecolo, in G. Mollisi (a cura di), numero speciale, Svizzeri a Firenze nella storia, nell’arte, nella cultura, nell’economia dal Cinque-cento ad oggi, di “Arte & Storia”, 11, 2010, 48, p. 207.

(53) Cfr. L. Facchin, Angelica Kauffmann a Roma..., cit., p. 289. Bartolomeo Cavalleri fu agente, conoscitore e architetto; soggiornòa Roma dal 1788 al 1797 circa. L’originale era destinato alla chiesa di Voralberg e fu eseguito dunque anteriormente al 1795-96,tradizionale data proposta dalla critica. Christopher Heweston, precocemente trasferitosi a Roma, fu molto apprezzato dai pro-tagonisti del Grand Tour per le sue capacità di ritrattista.

(54) Cfr. L. Facchin, Angelica Kauffmann. Tracce..., cit., pp. 206-207. Polissena Turinetti di Priero si rifugiò nella capitale toscana nel1794 e, pur con frequenti ritorni a Roma, vi rimase sino al 1803.

(55) Cfr. L. Facchin, Angelica Kauffmann a Roma..., cit., p. 289.

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(56) Cfr. A. Cifani, F. Monetti, Angelica Kauffmann, Luigi Sabatelli, Pietro Benvenuti e Vincenzo Camuccini disegni inediti nella rac-colta di Damiano Pernati, in “Bollettino d’Arte”, LXXXVI, 2001, 15, pp. 75-92. Gentiluomo e incisore non dilettante (Novara,1769-1841) era giunto a Roma nel 1789 e vi si intrattenne per oltre un decennio. La sua opera più nota è la serie di stampe deiPensieri diversi da Sabatelli (1795). Rientrato definitivamente nella città d’origine nel 1801, pur mantenendo vivi gli interessi ar-tistici, ricoprì principalmente incarichi nell’amministrazione cittadina. Il ritratto della pittrice e un disegno, raffigurante Metellocondotto davanti a Ottaviano, con lunga nota esplicativa a margine, di mano della stessa, si conservano ancora nella collezioneprivata della famiglia in Novara. Un secondo foglio con lo stesso tema si trova a Innsbruck, Tiroler Landesmuseum Ferdinandeum.

(57) Cfr. M. di Macco, Il Regno di Sardegna: la corte, in F. Mazzocca, E. Colle, A. Morandotti, S. Susinno (a cura di), Il Neoclassi-cismo in Italia da Tiepolo a Canova, catalogo della mostra, Milano 2002, pp. 307-310 con particolare attenzione alla circolaritàdi rapporti tra le corti.

(58) Cfr. A. Baudi di Vesme, L’Arte in Piemonte..., cit., 1966, vol. II, p. 586.(59) Cfr. scheda n. 45 di L. Leoncini, in L. Leoncini (a cura di), Da Tintoretto a Rubens. Capolavori della Collezione Durazzo, cata-

logo della mostra di Genova, Milano, 2004, p. 294. Nell’inventario del 1788 le tele erano collocate nel ‘salotto della Pace’. In-ventariati nel 1823 tra le opere cedibili alla corte torinese e acquistati per 300 lire di Piemonte, i dipinti provenienti dalla dimorapatrizia furono prelevati il 22 aprile 1833 ed entrarono subito nelle collezioni della Regia Pinacoteca.

(60) Cfr. L. Facchin, Angelica Kauffmann. Tracce..., cit., pp. 198-200, con particolare attenzione alla scelta di raffigurarsi in alcuni ri-tratti in tradizionale abbigliamento del Bregenzwald, terra di origine del padre.

(61) Appartenente (Genova, 1717-Venezia, 1794) ad uno dei casati più ricchi e colti dell’aristocrazia genovese, si mosse con grandeabilità nel delicato periodo successivo alla Guerra di Successione Austriaca, venendo inviato dalla Repubblica nel 1749 quale am-basciatore a Vienna, in virtù dei forti legami finanziari della sua famiglia con gli Asburgo. Fortemente apprezzato dal primo can-celliere di Maria Teresa, il potente Wenzel Anton von Kaunitz, ma rimasto pur sempre sospetto, prima all’imperatrice e poi al fi-glio, Giuseppe II, dal 1754 al 1761 ricoprì alti incarichi presso la corte austriaca divenendo Generalspektakeldirector, con pienaresponsabilità sui teatri viennesi. Del tutto in linea con la secolare vocazione famigliare alla musica e al teatro, sostenne la riformagluckiana e fu personale sostenitore del compositore e di un rinnovamento in linea con le posizioni più avanzate del mondo fran-cese, non sempre gradito presso la corte asburgica. Nel 1764 fu allontanato definitivamente da Vienna, con la nomina ad amba-sciatore a Venezia, carica che mantenne sino al 1784, quando si ritirò a vita privata. Oltre al forte interesse musicale - molte dellepartiture vivaldiane da lui acquisite sono confluite, ironia della sorte, presso la collezione della Biblioteca Nazionale di Torino -raccolse, nelle varie residenze distribuite tra la laguna e la terraferma, un’immensa collezione di stampe, confluita all’Albertina diVienna e protesse artisti come il pittore genovese Giovanni David e l’incisore e scrittore Adam von Bartsch Cfr. G. Assereto, voceDurazzo, Giacomo Pier Francesco, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma 1993, vol. 42, pp. 150-153.

(62) Residente in Inghilterra dal 1766, ormai consacrata ‘decima Musa’, presumibilmente nel 1781, decise di trasferirsi in Italia, ini-zialmente a Napoli, a seguito dell’offerta della regina Maria Carolina d’Asburgo. Angelica giunse nella città lagunare nell’ottobredel 1781 e partì nell’aprile dell’anno successivo alla volta del capoluogo campano e della capitale pontificia. Entrò trionfalmentea Roma nel maggio del 1782. Costanti furono i rapporti con Venezia, rinsaldati dal forte legame con la colonia degli artisti ve-neti residenti a Roma, si pensi solo allo stretto rapporto con il bassanese Giovanni Volpato, cfr. L. Facchin, Angelica Kauffmanna Roma..., cit., p. 285, con riferimenti sui temi indicati.

(63) Cfr. C. Knight (a cura di), La “Memoria delle pitture” di Angelica Kauffman, Roma, 1998, p. 13.(64) T. G. Natter, Prints by and after Angelica Kauffman, in T. G. Natter (a cura di), Angelica Kauffman. A woman of immense ta-

lent, catalogo della mostra di Bregenz e Schwarzenberg, Ostfildern 2007, pp. 246-247, n. 152. Bartolozzi (Firenze, 1727-Lisbona,1815) incise numerosi lavori della pittrice anche dopo la sua partenza da Londra.

(65) Sul rapporto tra la Kaufmann e il gusto per l’Oriente, cfr. A. Rosenthal, Angelica Kauffman art and sensibility, New Haven eLondon 2006, pp. 122-153. Il ritratto di Mary terza duchessa di Richmond, fu dipinto nel 1775 (Goodwood Collection, GoodwoodHouse, Chirchester), quello della Parker, più volte effigiata dall’artista, è datato al 1773 (collezione privata). La stessa pittrice sirappresentò in costume turco (opera in collezione privata, 1768-1775).

(66) Pur non individuando un prototipo diretto, si vedano, per la scelta della posa con il corpo di tre quarti e il viso di profilo, spessoutilizzata dall’artista, alcuni dipinti di soggetto mitologico come la Disperazione di Penelope per la partenza di Odisseo (1775-78, Svizzera, collezione privata) oppure connessi alla celebrazione delle glorie letterarie britanniche, come L’educazione di Shake-speare (anni settanta del XVIII secolo, collezione privata), cfr. schede in T. G. Natter (a cura di), Angelica Kauffman..., cit., pp.130-131.

(67) Il dipinto, datato tra il 1775 e il 1780, si conserva a Coira, Bündner Kunstmusuem. Sulle diverse modalità, sempre attentamentestudiate, con le quali, nel corso degli anni la pittrice scelse di proporsi in pubblico, cfr. A. Rosenthal, Angelica Kauffman..., cit.,pp. 222-823, in particolare pp. 246-248.

(68) R. Valeriani, Neoclassicismo-scheda n. 64, in E. Colle, A. Griseri, R. Valeriani (a cura di), Bronzi decorativi in Italia. Bronzisti efonditori italiani dal Seicento all’Ottocento, Milano, 2001, p. 228. Le parti litiche furono eseguite dallo scultore ligure FrancescoRavaschio, i bronzi con figure allegoriche furono gettati da Francesco Righetti a Roma “sotto la direzione della rinomata pit-trice”; il disegno di insieme era dell’architetto genovese Santino Tagliafichi. Si tratta di un tipico prodotto dell’indotto del GrandTour romano dell’ultimo quarto del Settecento.

(69) C. Knight (a cura di), La “Memoria delle pitture”..., cit., p. 64; il dipinto si conserva nella Galleria Nazionale di Palazzo Spinola.(70) Su tali tematiche, considerata la vastissima bibliografia a disposizione, si ricordi il volume di C. Gauna, La “Storia pittorica” di

Luigi Lanzi: arti, storia e musei nel Settecento, Firenze 2003 e, più recentemente, P. Pastres, Accademie, accademici, incisori e di-dattica nella “Storia Pittorica” e nei carteggi di Luigi Lanzi, in “Annali di critica d’arte”, 2008, 4, pp. 141-159.

(71) Il cosiddetto settore dei ‘Maestri italiani’, connesso a esigenze di compensazione per la limitatezza, all’interno del patrimonioregio, di opere di quegli artisti del tardo medioevo e, soprattutto, dell’età umanistica e rinascimentale che in quegli anni costitui-vano privilegiato oggetto di studio a livello internazionale, non disgiunto da esigenze di natura politica, fu costruito principal-mente tra il 1834 e il 1866.

(72) Cfr. Scheda n. 8.3 di S. Villano, in C. E. Spantigati (a cura di), De Van Dyck..., cit., p. 192. Il profilo biografico più recente suMola (Coldrerio, 1612-Roma, 1666) è L. Possanzini, voce, Mola, Pier Francesco, in Dizionario Biografico degli Italiani, Catan-zaro 2011, vol. 75, pp. 310-314. Sulle predilette tematiche ‘filosofiche’ del pittore, si veda, da ultimo, un Euclide con un disce-polo cfr. F. Petrucci, Un nuovo dipinto di Pier Francesco Mola Euclide con un discepolo, in G. Mollisi (a cura di), Svizzeri a Roma...,cit., pp. 212-217, mentre i ritratti del pittore e del padre architetto conservati nell’Accademia di San Luca sono pubblicati da I.Salvagni, I ticinesi a Roma tra corporazione e accademia. Il caso dell’Accademia di San Luca (1550-1610), Ivi, pp. 82-83. Il rife-rimento al maestro bolognese compare nelle registrazioni inventariali più antiche, in relazione alla tela, risalenti al 1851, quandovenne eseguita anche l’attuale cornice, e al 1853.

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(73) Di Salvator Rosa le collezioni sabaude poi confluite al museo possedevano un Battesimo di Cristo, già in Palazzo Reale. Brizio(1574-1623) frequentò la scuola dei Carracci e collaborò come incisore con Agostino. Fu prevalentemente autore di pale di sog-getto sacro.

(74) La vicenda è illustrata nella scheda di Sofia Villano: l’attribuzione di Vesme risale alla redazione del catalogo della Pinacoteca del1899, mentre il riferimento di Venturi è contenuto nei volumi della Storia dell’Arte in Italia (1934).

(75) Ulteriori accostamenti avanzati in tale sede furono quelli al Mercurio ed Argo del Allen Memorial Art Museum d’Oberlin (Ohio)e al Figliol prodigo del Museo Boymans van Beuningen di Rotterdam.

(76) Complessa è la ricostruzione dei primi trent’anni di vita del Mola che si trasferì a Roma bambino, a seguito della nomina delpadre ad architetto della Camera Apostolica nel 1616. I viaggi in Italia settentrionale dovettero interessare gli anni dal 1628 al1647 circa. In Emilia soggiornò una prima volta, presumibilmente, dal 1628 al 1630, per l’incarico di Giovanni Battista come ar-chitetto per il forte di Castelfranco, nei pressi di Bologna. Una seconda permanenza dovrebbe collocarsi dopo il 1644, al seguitodi Francesco Albani, di cui sembra sia stato collaboratore. La carriera romana di Mola ebbe inizio grazie alla protezione dellostesso Innocenzo X e culminò con l’elezione a principe dell’Accademia di San Luca nel 1662-63.

(77) Cfr. G. B. Passeri, Vite de’ pittori, scultori et architetti dall’anno 1641 sino all’anno 1673 (1772, a cura di J. Hess), Leipzig 1934,p. 368.

(78) Per una sintesi sulla vicenda collezionistica e la donazione, cfr. F. Corrado, La collezione Gualino, Torino 1988, senza numero dipagina; sulla figura dell’industriale torinese da ultimo, C. Bernard, Riccardo Gualino finanziere e imprenditore. Un protagonistadell’economia italiana del Novecento, Torino 2005, pp. 161-177 per i suoi interessi culturali e artistici. Le opere furono espostenel museo per la prima volta nel 1928. Nel 1931 Gualino fece bancarotta, venne arrestato e poi mandato al confino a Lipari. Leopere che, in base alle disposizioni dell’industriale, a seguito del successo dell’evento espositivo del ’28, erano state donate alloStato a condizione che venissero esposte alla Sabauda, vennero prese in carico dal museo solamente nel 1933 dopo che, l’annoprecedente, quarantanove dei cento esemplari della collezione, su indicazione di Mussolini, furono destinati a Londra per arre-dare l’ambasciata italiana, senza contare i beni, temporaneamente in deposito nella casa di via Galliari per mancanza di spazi inmuseo, che furono indiscriminatamente messi all’asta a seguito del crollo finanziario, dall’Intendenza di Finanza insieme alle pro-prietà private di Gualino. Le opere, comprese quelle in vario modo recuperate, furono esposte a partire dal 1959, con un allesti-mento che rispettasse la natura di collezione privata della raccolta.

(79) Si pensi agli acquisti operati, ponendo su una linea ideale di eleganza, i ‘primitivi’ senesi, l’arte orientale, Cézanne e Modigliani.(80) Presso l’abitazione di via Galliari era stato aperto un teatrino privato e grande sostegno fu dato alla ristrutturazione del pubblico

Teatro Scribe che prese il nome di Teatro Nuovo di Torino. Il palazzo per uffici, ancora esistente, minutamente arredato con strut-ture all’avanguardia per il tempo fu realizzato da Giuseppe Pagano e da C. Levi Montalcini.

(81) L. Venturi, La collezione Gualino, Torino-Roma 1926, tav. 82 ; N. Gabrielli, Galleria sabauda..., cit., pp. 264-265, tav. 18, fig.33.

(82) M. Ceriana, voce Lombardo, Pietro, in Dizionario Biografico degli Italiani, Catanzaro 2005, vol. 65, pp. 519-528: 522.(83) Ivi, p. 519 in particolare.(84) La balaustra, composta da sei parti con ricca trabeazione scolpita e sorretta da colonnette a fusarola e balaustrini con motivi a

candelabre, fu poi rimontata come balconata di Casa Cavassa a Saluzzo, antica proprietà dei Tapparelli, in occasione dei rifaci-menti ‘in stile’, voluti dallo stesso marchese, strettamente connessi alla suggestione ‘rinascimentale’ delle opere di Matteo Sanmi-cheli nel territorio, cfr. G. Bertero, Guida alla visita, in G. Bertero, G. Carità (a cura di), Il Museo Civico di Casa Cavassa a Sa-luzzo. Guida alla visita. Storia e Protagonisti, Savigliano 1996, pp. 25-26. L’iscrizione sullo zoccolo riporta: “opus Petri Lom-bardi sculpt. Venet. 1490” e da tempo aveva lasciato dubbi di attribuzione. La chiesa, costruita ex-novo per onorare la miraco-losa immagine di proprietà della famiglia Amadi, fu edificata a partire dal 1481 e si inserisce nel momento di massima concen-trazione delle commissioni veneziane della ditta Solari (cognome riferito alla dinastia di Pietro solamente nell’Ottocento). Godettedi un notevole interesse critico sin dal XIX secolo, da ultimo, cfr. T. Tagliabue, Pietro Lombardo a Venezia. L’ordine come orna-mento, in G. Mollisi (a cura di), numero speciale, Svizzeri a Venezia nella storia, nell’arte, nella cultura, nell’economia dalla metàdel Quattrocento ad oggi, di “Arte & Storia”, 8, 2008, 40, pp. 72-83 e pp. 84-89 per ulteriori aggiornamenti bio-bibliografici.

(85) Cfr. scheda n. 27 di D. Parenti, in D. Parenti (a cura di), Giovanni da Milano. Capolavori del Gotico fra Lombardia e Toscana,catalogo della mostra, Firenze 2008, pp. 242-249. La tavola risulta già inclusa nel catalogo del pittore e pubblicata come partedi polittico nella monografia di L. Cavadini, Giovanni da Milano, Valmorea 1980, pp. 121-125.

(86) La tavola del Cristo giudice e angeli oranti si conserva a Milano, Pinacoteca di Brera; il Dio Padre, la Vergine e il San GiovanniBattista alla National Gallery, l’Apparizione di Cristo a san Pietro e l’Incredulità di san Tommaso a Parigi, collezione privata. Ilcollegamento tra il dipinto torinese e il pannello di Milano si deve ad Alessandro Marabottini (1950) sulla base delle misure edella tipologia di carpenteria, mentre per prime furono riferite a Giovanni da Milano da Giovambattista Cavalcaselle le tre cu-spidi londinesi nel 1864.

(87) Cfr. scheda n. 3 di F. Frangi, in F. Frangi, M. G. Bernardini (a cura di), Giovanni Battista Discepoli detto lo Zoppo da Lugano.Un protagonista della pittura Barocca in Lombardia, catalogo della mostra, Rancate 2001, Milano 2001, p. 78, ripresa in schedan. 24, di F. Frangi, in A. M. Bava, C. E. Spantigati (a cura di), Maestri lombardi..., cit., pp. 70-71. Il dipinto fu venduto alla Gal-leria Sabauda nel 1945 da M. Carrera, personaggio non ulteriormente identificato e fu pubblicata nel catalogo della Pinacotecacurato dalla Gabrielli del 1971.

(88) Vale la pena di notare, tuttavia, che il dipinto in collezione privata è privo di datazione certa (cfr. F. Frangi, Scheda n. 2, in F.Frangi, A. Bernardini (a cura di), op. cit., 2001, pp. 76-77). Analogamente la pala bergamasca, collocata nella casa parrocchiale,nella quale sono interessanti le interagenze con i modelli di Daniele Crespi nelle figure degli angeli, specialmente quelli fanciulli,in volo in secondo piano.

(89) La prima opera è datata anteriormente al 1640, in base alla menzione dell’altare maggiore, sulla quale è collocata nella visita pa-storale compilata in quell’anno, cfr. scheda n. 6 di D. Pescarmona, in F. Frangi, A. Bernardini (a cura di), Giovanni Battista Di-scepoli..., cit., 2001, pp. 84-85. La pala della cappella in San Vittore al Corpo, cfr. scheda n. 10 di A. Bernardini, in F. Frangi, A.Bernardini (a cura di), Giovanni Battista Discepoli..., cit., pp. 96-103, fa parte di un ciclo di tre dipinti connessi al culto di sanFrancesco d’Assisi, presumibilmente dovuti alla committenza del marchese Girolamo Rho intorno al 1646.

(90) Si veda, a titolo di esempio, la pala con la Madonna col Bambino, il profeta Elia e i santi Teresa e Simone Stock della chiesa co-masca di San Giorgio in Borgovico, già proveniente dalla chiesa dei carmelitani scalzi e datata verso l’inizio del sesto decennio delSeicento, cfr. scheda n. 25 di F. Bianchi, in F. Frangi, A. Bernardini (a cura di), Giovanni Battista Discepoli..., cit., pp. 128-131.

(91) Sugli Aprile, presenti nello stato sabaudo dal 1626 alla seconda metà del Settecento, e attivi soprattutto nel settore della lavora-zione dei materiali lapidei, si veda il contributo della scrivente nel presente volume.

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(92) Cfr. M. C. Terzaghi, Fatti nuovi del Discepoli, in F. Frangi, A. Bernardini (a cura di), Giovanni Battista Discepoli..., cit., p. 184,nota 7.

(93) Cfr. M. Albanese, La decorazione pittorica di Giovanni Francesco Gaggini a Santa Croce, in G. Galante Garrone, G. Romano,G. Spione (a cura di), La Carità svelata. Il patrimonio storico artistico della Confraternita e dell’Ospedale di S. Croce in Cuneo,catalogo della mostra Cuneo 2007, pp. 43-58. Appare particolarmente interessante la messa in luce nel contributo delle deriva-zioni dall’opera pittorica e incisoria di Carpoforo Tencalla per il quale si rimanda a G. Mollisi, I. Proserpi, A. Spiriti (a cura di),Carpoforo Tencalla da Bissone: Pittura del Seicento fra Milano e l’Europa centrale, catalogo della mostra, Rancate 2005, Cini-sello Balsamo 2005.

(94) Cfr. L. Facchin, Vicende architettoniche e storico-artistiche tra XVI e XX secolo e Cronologia dei lavori, in I. Boglietti, E. Ca-priolo, R. Costamagna, L. Facchin, San Martino in La Morra, Bra 2009, p. 89.