“Modernisme noir” Revisioni del Modernismo nell’arte contemporanea/„Modernisme noir“...

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217 Introduzione: il Modernisme noir quale doppia mimesi del Modernismo Dopo la fine della concorrenza dei sistemi e nel bel mez- zo della globalizzazione si ripropone la questione della rilevanza dell’eredità estetica transatlantica. Si pone sia a livello politico che estetico. Il concetto di Modernisme noir definisce una tendenza retrospettiva dell’arte con- temporanea, che articola diagnosi temporali ambivalenti mettendo le tradizioni formali dello ‘stile internazionale’ del Modernismo e del Minimalismo a confronto con gli effetti catastrofici del “progetto incompiuto della moder- nità” (Habermas 1980). Il Modernisme noir da una parte è la ripetizione ovvero la conferma della chiarezza for- male estetica del Modernismo, che d’altra parte assume sfumature distopiche e politiche. Essendo una tendenza retro-modernista ed autocritica dell’arte contemporanea avanzata, il Modernisme noir si estrinseca in un atteggia- mento di rottura a livello critico al di là dell’enfasi del pro- gresso e della post-storia, che contrassegna una frattura significativa con i clichés culturali del Postmodernismo e dell’Antimodernismo. Per “Modernisme noir” intendiamo i portati dell’arte contemporanea che traggono citazioni dal canone for- male dell’arte non figurativa del Modernismo interna- zionale e allo stesso tempo occupano le formule formali dell’“arte non-oggettiva” del Modernismo impiegate a mo’ di citazioni con motivi oggettivi. Le opere del Mo- dernisme noir si riferiscono alla maniera di una doppia mimesi, tanto per riprendere il concetto di Felix Thür- lemann (2003), sia al lessico formale chiaro del Moder- nismo internazionale che ai contenuti inquietanti della storia delle catastrofi del XX secolo, che l’arte non figu- rativa canonica del Modernismo internazionale ha tanto abilmente oscurato. Per Modernismo internazionale intendiamo inoltre l’arte ‘non-oggettiva’, non figurativa collocata tra la “Modernità classica” e il Minimalismo ossia uno spazio di tempo che inizia intorno al 1910 con le prime “immagini non-ogget- tive” di Malevitsch, Kupka, Kandinsky e Tatlin e che, in qualche modo, termina nel periodo compreso tra i tardi anni ’60 e i primi anni ’70 con le Black Paintings di Frank Stella, con il completamento del vocabolario della Mini- mal Art e con la morte di Barnett Newman. In virtù del loro doppio riferimento agli idiomi formali del Modernismo e ai contenuti della storia delle catastrofi del XX secolo le opere del Modernisme noir, pur perpe- tuando la chiarezza formale della “Modernità classica” e della Minimal Art, tagliano i ponti con le frasi ricorrenti fondamentali del Modernismo: con l’imperativo della pu- rezza della forma pura, ‘liberata’ dall’oggetto, e con la sup- posizione di innocenza nei confronti della “forma pura” dell’arte non figurativa. La “Tortura bianca” di Gregor Schneider, il percorso for- malmente perfetto di Guantánamo (fig. 1), i cubi di cemen- to pseudominimali e mossi da lavoratori precari (fig. 2) di Santiago Sierra, i dipinti presuntamene formalisti di Wil- helm Sasnal e Li Songsong, il ‘design’ pregno di carica esi- stenziale di Martin Boyce, gli scheletri d’acciaio di Monika Sosnowska modernisti, deformati, l’installazione Theatre de Sade Suite di Anita Dube, i diagrammi astratti sull’an- damento delle azioni di Rudolf Bonvie (fig. 4), i “wall-dra- wings” di Adel Abdessemed in filo spinato (citazione del minimalismo neoplatonico di David Rabinowich) oppure, ad esempio, le pitture parietali di Iran do Espírito Santo, che, recuperando il formalismo apollinico di Sol LeWitt, scomparso di recente, ed elaborando configurazioni for- mali seriali, generano i capolavori di muratura e filo di ferro a maglie dei valli di difesa odierni – queste ed altre strategie di contrappunto in parte polemico di contenuti politici e forma presuntivamente apolitica palesano un modo di procedere dell’arte contemporanea consapevole della forma e al tempo stesso con riscontro sul politico. I fondatori del Modernisme noir sono figure eminenti quali Peter Halley (con i suoi rilievi figurativi “Cells”, “Cir- cuits” e “Conduits”) e Luc Tuymans con le sue storie me- ta-moderniste. A questo proposito Tuymans nella Bien- nale di Venezia del 2001 aveva sovrapposto e incrociato reticoli compositivi modernisti della tradizione di “De Sti- jl” e strutture di facciate dell’architettura dell’“Internatio- nal Style” con motivi della storia coloniale belga. Nel Modernisme noir vengono messi in luce i nessi e le frizioni tra Modernismo estetico e modernità politica. Ormai si guarda fondamentalmente con scetticismo alla Gerd Blum & Johan Frederik Hartle “Modernisme noir” Revisioni del Modernismo nell’arte contemporanea*

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Introduzione: il Modernisme noir quale doppia mimesi del Modernismo

Dopo la fine della concorrenza dei sistemi e nel bel mez-zo della globalizzazione si ripropone la questione della rilevanza dell’eredità estetica transatlantica. Si pone sia a livello politico che estetico. Il concetto di Modernisme noir definisce una tendenza retrospettiva dell’arte con-temporanea, che articola diagnosi temporali ambivalenti mettendo le tradizioni formali dello ‘stile internazionale’ del Modernismo e del Minimalismo a confronto con gli e!etti catastrofici del “progetto incompiuto della moder-nità” (Habermas 1980). Il Modernisme noir da una parte è la ripetizione ovvero la conferma della chiarezza for-male estetica del Modernismo, che d’altra parte assume sfumature distopiche e politiche. Essendo una tendenza retro-modernista ed autocritica dell’arte contemporanea avanzata, il Modernisme noir si estrinseca in un atteggia-mento di rottura a livello critico al di là dell’enfasi del pro-gresso e della post-storia, che contrassegna una frattura significativa con i clichés culturali del Postmodernismo e dell’Antimodernismo.Per “Modernisme noir” intendiamo i portati dell’arte contemporanea che traggono citazioni dal canone for-male dell’arte non figurativa del Modernismo interna-zionale e allo stesso tempo occupano le formule formali dell’“arte non-oggettiva” del Modernismo impiegate a mo’ di citazioni con motivi oggettivi. Le opere del Mo-dernisme noir si riferiscono alla maniera di una doppia mimesi, tanto per riprendere il concetto di Felix Thür-lemann (2003), sia al lessico formale chiaro del Moder-nismo internazionale che ai contenuti inquietanti della storia delle catastrofi del XX secolo, che l’arte non figu-rativa canonica del Modernismo internazionale ha tanto abilmente oscurato. Per Modernismo internazionale intendiamo inoltre l’arte ‘non-oggettiva’, non figurativa collocata tra la “Modernità classica” e il Minimalismo ossia uno spazio di tempo che inizia intorno al 1910 con le prime “immagini non-ogget-tive” di Malevitsch, Kupka, Kandinsky e Tatlin e che, in qualche modo, termina nel periodo compreso tra i tardi anni ’60 e i primi anni ’70 con le Black Paintings di Frank

Stella, con il completamento del vocabolario della Mini-mal Art e con la morte di Barnett Newman.In virtù del loro doppio riferimento agli idiomi formali del Modernismo e ai contenuti della storia delle catastrofi del XX secolo le opere del Modernisme noir, pur perpe-tuando la chiarezza formale della “Modernità classica” e della Minimal Art, tagliano i ponti con le frasi ricorrenti fondamentali del Modernismo: con l’imperativo della pu-rezza della forma pura, ‘liberata’ dall’oggetto, e con la sup-posizione di innocenza nei confronti della “forma pura” dell’arte non figurativa. La “Tortura bianca” di Gregor Schneider, il percorso for-malmente perfetto di Guantánamo (fig. 1), i cubi di cemen-to pseudominimali e mossi da lavoratori precari (fig. 2) di Santiago Sierra, i dipinti presuntamene formalisti di Wil-helm Sasnal e Li Songsong, il ‘design’ pregno di carica esi-stenziale di Martin Boyce, gli scheletri d’acciaio di Monika Sosnowska modernisti, deformati, l’installazione Theatre de Sade Suite di Anita Dube, i diagrammi astratti sull’an-damento delle azioni di Rudolf Bonvie (fig. 4), i “wall-dra-wings” di Adel Abdessemed in filo spinato (citazione del minimalismo neoplatonico di David Rabinowich) oppure, ad esempio, le pitture parietali di Iran do Espírito Santo, che, recuperando il formalismo apollinico di Sol LeWitt, scomparso di recente, ed elaborando configurazioni for-mali seriali, generano i capolavori di muratura e filo di ferro a maglie dei valli di difesa odierni – queste ed altre strategie di contrappunto in parte polemico di contenuti politici e forma presuntivamente apolitica palesano un modo di procedere dell’arte contemporanea consapevole della forma e al tempo stesso con riscontro sul politico. I fondatori del Modernisme noir sono figure eminenti quali Peter Halley (con i suoi rilievi figurativi “Cells”, “Cir-cuits” e “Conduits”) e Luc Tuymans con le sue storie me-ta-moderniste. A questo proposito Tuymans nella Bien-nale di Venezia del 2001 aveva sovrapposto e incrociato reticoli compositivi modernisti della tradizione di “De Sti-jl” e strutture di facciate dell’architettura dell’“Internatio-nal Style” con motivi della storia coloniale belga. Nel Modernisme noir vengono messi in luce i nessi e le frizioni tra Modernismo estetico e modernità politica. Ormai si guarda fondamentalmente con scetticismo alla

Gerd Blum & Johan Frederik Hartle

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supposta innocenza della forma pura e alle promesse da essa vagheggiate di miglioramento della vita nel senso di libertà ideologica. Frattanto anche le posizioni più avan-zate che non si vogliono ridurre ad accompagnare la criti-ca scientifica della cultura dell’‘Empire’ tardomodernista nel contesto di un’‘arte della prestazione discorsiva’ fan-no ricorso alla chiarezza formale del Modernismo che a lungo è sembrata ombreggiare nei circoli tardomodernisti ai margini del Markethype. In tali opere artistiche si moltiplica il ricorso al Moder-nismo estetico con rimandi alla Modernità politica ed al suo carattere distopico. Particolarmente e storicamente specifico in tutto ciò non è il commento critico sul ca-rattere utopico della Modernità, divenuto accessibile dai tempi della critica poststrutturalista. A fronte dell’ironia postmoderna e della sua completa dispensa del progetto utopico fa il suo ingresso un atteggiamento ambivalente e indeciso, che gioca a vari livelli con la bellezza formale e con l’orrore politico della Modernità e la sua storia delle catastrofi senza poter o!rire un’alternativa alla Moderni-tà occidentale.L’estetica del Modernisme noir oscilla tra l’ammirazio-ne e l’orrore: l’ammirazione per l’evidenza innegabile e la forza di convincimento di quella chiarezza formale (retro)modernista che negli ultimi anni ha fatto il suo ingresso perfino nel mercato dei mobili e in quello edile-residen-ziale e, sempre negli ultimi anni, ha dato una nuova im-pronta al design e all’architettura; orrore rispetto alle ide-ologie ed idee politiche totalitarie, che sono state quelle che hanno consentito la nascita del Modernismo (come mostrano le ricerche degli ultimi decenni). Questa estetica di un Retromodernismo riflessivo ha un carattere ambivalente. Nel riallacciarsi alla tradizione for-malistica e riduttiva del Modernismo, fa sì che quest’ul-timo venga preso sul serio (a di!erenza delle posizioni artistiche dell’Anti-Modernità ed anche della Postmoder-nità) quale canone vincolante della forma perfetta. Allo stesso tempo l’esperimento modernista della forma as-soluta, pura, ma anche del suo carattere ideologico viene travolto. Le forme “pure” vengono contestualizzate ed in tal modo esternate quali pregne di contenuto a livello so-ciale: la Modernità politica tramite i modelli del loro Ridu-zionismo formale si palesa nella sua ambivalenza. Il contrasto del Modernisme noir con i cardini del Moder-nismo classico può essere sintetizzato in quattro punti o aspetti:

1. Il Modernisme noir (come il Modernismo stesso) è determinato dall’idea di coerenza formale e ne-cessità estetica. In ragione dell’idea del vincolo

formale nonché del ricorso alle strategie estetiche della riduzione formale esso si rende immancabil-mente erede del Modernismo classico e allo stesso tempo ne rappresenta la fase evolutiva.

2. Il Modernisme noir cita la tradizione riduttiva a li-vello formale, ma da una distanza storica, laddove la sua consapevolezza della forma non è più deter-minata dal topos dello sviluppo formale lineare. Il Modernisme noir è arte al di là dell’impellenza storica.

3. Il Modernisme noir mette in questione l’immedia-tezza della forma. Al posto dell’e!etto presuntiva-mente diretto e puro delle forme astratte subentra la dimostrazione del suo contenuto cosmico laten-te e della sua provenienza nello sviluppo sociale generale.

4. L’arte del Modernisme noir pertanto è caratteriz-

zata da una forma o strutturazione specifica del-le strategie della riduzione a livello formalistico, che, tramite il doppio riferimento sia alla Moder-nità estetica, che politica, mettono in questione a livello politico la ‘forma pura del Modernismo’.

Alla luce di quanto esposto la strutturazione specifica del Tardomodernismo acquisisce una conoscenza riflessiva sulla logica funzionale dell’arte moderna. Il mito della forma pura viene messo in discussione nella sua valenza politica. Proprio questo è lo skandalon per l’ortodossia modernista, in quanto l’arte moderna nella lettura inter-pretativa dal 1945 in poi è apolitica, autoriflessiva e avulsa da etichettature politiche. In questo senso il tema riflessi-vo del contenuto cosmico dei modelli formali e dei reticoli modernisti, che è di grande rilievo, si rifà al dibattito di critica dell’arte alle istituzioni degli ultimi anni ’60, di-battito nel quale la cella del White Cube divenne l’oggetto centrale della critica (O’Doherty 1996, Smithson 2000).

1. L’Arte e il suo essere complice

Nel Retromodernismo contemporaneo vi è un’asserita complicità delle formule formali apolliniche e (apparen-temente) apolitiche dell’arte del Modernismo con i lati oscuri della Modernità politica: i ricorsi del Monderni-smo fanno la loro comparsa nel contesto della critica im-manente, ma non nella dispensa del linguaggio formale della Modernità estetica. Gli esponenti contemporanei

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perpetuano l’estetica puristica del Modernismo e del Mi-nimalismo, ne a!ermano l’attualità onde metterne in ri-salto la dipendenza implicita dagli abissi sociali e politici della nostra epoca (in merito a questa ambivalenza cfr. Chave 1990 e Egenhofer 2008). Ciò si distingue dalla critica razionalista post-moderna, dalle dispense post-utopiche, neo-storiche, espressivo soggettive della Modernità o dei particolarismi delle pic-cole realtà. Il Retromodernismo si colloca quindi al di là della Postmodernità, sapendosi votato al vocabolario ri-duttivo e formalista del Modernismo e cercando un im-pegno con esso.A suo agio a livello estetico quanto all’astrazione e alla riduzione, si abbina alle direttive di sorveglianza, movi-mentazione del capitale e guerra. Ciò o!usca lo splendore utopico del Modernismo. Il Modernismo in tutta la critica rimane ancorato nei suoi fondamenti senza far neppure intuire la minima alternativa sostanziale. L’installazione di Gregor Schneider “Tortura bianca” (Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen K 21, Düsseldorf 2007) ne è l’esempio emblematico. Essa nel modus si ri-ferisce alla già menzionata “doppia mimesi” (come pari-menti alla logica della macchina penitenziaria perfeziona-ta di Guantánamo, con le celle della tortura, e al carattere asettico del White Cube (fig. 1). L’opera di Schneider è la riproduzione delle celle e dei corridoi del campo peniten-ziario con elementi che in parte sono mutuati dal ready-made, ossia proprio dal fornitore di detto carcere, e allo stesso tempo sono un remake abissale dell’installazione spaziale purista degli anni ’60.1

Tale Modernisme noir porta avanti l’estetica puristica del Modernismo, ne a!erma l’attualità estetica, ma (in una certa a"nità con la critica istituzionale all’“arte quale si-stema commerciale”) con l’intento di denunciarla quale parte dell’ideologia della Modernità. L’approfondimento riflessivo del tema del sistema dell’arte insito nel Moder-nisme noir si rifà al dibattito sull’arte relativo alla critica istituzionale della fine degli anni ’60, che aveva posto il problema della mummificazione del museo e lo correla alla critica alla politica degli Stati ‘moderni’ e illuminati del ‘mondo occidentale’. Il modus procedendi non con-siste nel superamento avanguardista come neanche nella freschezza argomentativa delle procedure concettuali. Il Modernisme noir implica piuttosto una contraddizione performativa, è un ossimoro. Si consacra ad una critica del proprio modo di procedere, si aggrappa ad un proget-to estetico per screditarlo allo stesso tempo. Pertanto un tale Retro-Modernismo è un’arte intimamente autocritica

e travagliata; è il ghiaccio bollente in una forma divenuta riflessiva a livello sociale. Questa riflessività consiste nel-la replica imperscrutabile, ‘orribile’ dell’arte formalista, riduttiva ed astratta, che lascia intravedere i prodromi di un contenuto irrisolto. In tal modo la forma astratta ac-quista il suo rapporto cosmico inconfessato.

2. Modernità, Modernismo, Modernisme noir

Il concetto di Modernità dischiude una molteplicità di campi: quello estetico, quello politico, quello economico ecc.. Per Modernismo invece si intende in senso stretto un atteggiamento di fondo ottimista di razionalizzazio-ne estetica, caratterizzato ampiamente da una promessa di utopia di redenzione del mondo da parte delle arti fi-gurative e dall’architettura dell’‘International Style’ della prima metà del secolo scorso.Se pertanto il concetto storico politico della Modernità definisce la prospettiva comune di una società complessa, di!erenziata in sistemi di funzionamento eterogenei (di-ritto, morale, religione, arte ecc.) e che sperimenta la pro-pria caratterizzazione decisiva intorno al 1800 con l’età dell’Illuminismo, dell’annuncio dei diritti dell’uomo, del-la Rivoluzione Francese e la nascita degli Stati nazionali, la Modernità estetica comincia a Parigi intorno al 1860 con la comprensione canonica. In essa (ossia con Manet, Baudelaire, Mallarmé e Cézanne) il paradigma della rap-presentazione viene sciolto gradualmente tramite la con-siderazione riflessiva delle strutture formali e dei loro ef-fetti semantici. Concepiamo la Modernità storico-politica e quella este-tica in quegli aspetti di un’epoca che non abbiamo an-cora lasciato alle nostre spalle. Prescindendo da tutte le competizioni contro le implicazioni, contro la violenza dei processi di modernizzazione e gli standard di razio-nalizzazione sociale ed estetica, la Modernità estetica e anche politica è sopravvissuta alla Postmodernità ed ir-radia i suoi e!etti anche ai nostri giorni. Il concetto di Modernismo nella nostra comprensione in-vece definisce una posizione artistica e politico-artistica che ricopre un periodo, alquanto breve al confronto, di circa 60 anni. L’arte del Modernismo, come già osser-vato, inizia in questa definizione con il “Quadrato nero” di Malewitsch, con il “primo figurativo non-oggettivo” di Kupka, Kandinsky e Tatlin. Essa termina con la piena elaborazione della Minimal Art intorno al 1970 ossia con l’arte del Tardo-Modernismo.

1 Vedi in proposito a livello di approfondimento Blum/Hartle: Zelle, Raster, Würfel, nello stesso volume.

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La caratterizzazione emblematica del Modernismo (scul-tura e pittura ‘non-oggettive’, ‘non figurative’) evidenzia allo stesso tempo una rottura con tutta la tradizione delle arti figurative, di mimesi (cfr. di recente vice-versa Rosen-berg 2007). Gli assiomi fondamentali di questa nuova arte non-oggettiva del Modernismo con opportuna circospe-zione possono essere sintetizzati (con le debite di!eren-ziazioni quanto alle intenzioni e agli idiomi della forma) nelle parole chiave universalismo, immediatezza, incon-trovertibilità e utopismo come segue:

1. ‘Modernismo’ definisce un dibattito estetico ed una prassi estetica, che puntano alla generalizzazione di un principio estetico fondato sull’astrazione e sulla forma riduttivo-autonoma ovvero funzionale. L’universalismo dell’International style al riguardo è emblematico. Si autodefinisce canonico e arroga a sé il massimo del vincolo estetico. Tale universali-smo frattanto è stato declassato nella critica a ege-nomialismo (cfr. Ashcroft 2000 e Bhaba 2000).

2. Nel Modernismo (quale componente essenziale del suo universalismo e formalismo) si inserisce l’idea dell’immediatezza, che costituisce il Lei-tmotiv degli scritti programmatici della Moderni-tà estetica e del Modernismo (cfr. Barasch 1998 e Newman 1996). Le configurazioni formali operano secondo l’autocomprensione modernista imme-diatamente sul pubblico e non ricorrono ai pre-supposti culturali e sociali.

3. Per esso è fondamentale l’assunto per cui le in-novazioni estetiche hanno una necessità storica e incontrovertibilità. Questa tesi dello “stato mate-riale avanzato” di una determinata epoca e della linearità progressiva dello sviluppo formale (ide-aliter: da Manet a Barnett Newman) possono esse-re descritte come le formule estreme del pensiero modernista. Clement Greenberg (1939; 1940; 1960) ne è stato l’esponente di massimo radicalismo.

4. A tale pathos innovativo corrisponde infine un pa-thos della realizzazione pratica. I Modernisti sono utopici, in quanto appiattiscono la di!erenza uto-pica classica tra fatto e finzione. Non è che invero propaghino lo sconfinamento immediato dell’arte nella vita (a di!erenza degli avanguardisti e degli azionisti del secolo scorso), ma in ogni caso inten-dono l’arte come modello per un mondo migliore (cfr. Bois 1993, Clair 1998).

In tal modo la questione del rapporto tra Modernismo estetico e Modernità socio-politica non è definita e nem-meno esposta a livello critico. Proprio tale rapporto tut-tavia assurge a tema centrale, anche in maniera espres-samente critica, del Modernisme noir, nel momento in cui i processi formali autonomi del Modernismo artistico vengono retrocessi nel contesto della Modernità storico-politica e nella sua logica latente delle catastrofi.Universalismo, immediatezza, non-oggettività, irreversi-bilità ovvero inarrestabilità ed utopia – “Noir” è un attri-buto totalmente inaspettato nel contesto di tali assiomi dell’arte modernista. Tuttavia è proprio questa ideologia delle “parole radicali“, delle parole slogan del Moderni-smo, che appare sempre più discutibile e il cui fulgore candido negli ultimi anni mostra sempre più il suo ro-vescio oscuro.

3. Minimalismo con complesso di colpa

Santiago Sierra una volta si è autodefinito “minimalista con complesso di colpa” (cfr. Sierra 2003, S. 169). Le sue opere riprendono il cinismo che contraddistingue il pano-rama artistico esclusivo di fronte all’immiserimento so-ciale ed alla conseguente privatizzazione della vita pub-blica; lo riprendono ossia lo imitano esattamente nello schema dell’arte astratta, formalriduttiva. Anche Sierra da parte sua in tal modo pone la questione del carattere implicitamente politico dell’astrazione estetica. In numerose opere di Sierra è presente l’associazione tra apparenza estetica e Modernità capitalistica, tra Moder-nità e Modernismo tramite l’approfondimento del lavoro salariale (precario). In “3 Cubes of 100 cm on Each Side Moved 700 cm” degli immigrati clandestini spostano un blocco di un metro cubo di cemento nello spazio esposi-tivo (Kunsthalle di Sankt Gallen, 2002). Ancora una volta è evidente la citazione del Minimalismo (fig. 2): dal punto di vista formale i cubi di cemento avrebbero potuto essere commissionati anche da Sol Lewitt o Robert Morris. Dato l’odore di sudore che pian piano invade la sala si pone molto concretamente e sostanzialmente la questio-ne dei presupposti della ricchezza sociale. Tale ricchezza si fonda sui beni materiali e la rappresentazione simboli-ca, non ultimo tramite le opere d’arte. Georg Simmel una volta disse che la “questione sociale” è una “questione di naso”, in quanto la di!erenza culturale tra ricchi e poveri, alto livello e basso livello, si renderebbe percettibile tra-mite gli odori (Simmel 1907, 290). Nell’arte di Sierra la cultura elevata diviene tema qua-le soppressione del lavoro fisico, proprio laddove viene

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contrastata appunto con il suo opposto, con il lavoro pre-cario e l’odore di sudore. Tale soppressione o repressione caratterizza anche la cella, il perfezionismo museale del White Cube. Le tracce che si delineano gradualmente sul pavimento della Kunsthalle di St. Gallen vogliono essere metaforicamente dei gra" nello smalto del business del mondo dell’arte. Sierra si era riferito ai cubi monadici del Minimalismo già con la sua mostra-performance 8 uomini che vengono pagati per restare in degli scatoloni, tenutasi nell’agosto del 1999 a Città del Guatemala (e poi itinerata a Berlino) (fig. 3). Le anguste scatole cubiche di cartone sono una citazione sia delle Cardboard Cities nelle metropoli delle due Americhe, che dei cubi e quadrati del grande maestro minimalista Donald Judd. Sierra in questo caso si riferi-sce sia alla cella di cartone quale cinica baracca di peri-feria, che anche agli “specific objects” cubici di Judd, che a loro volta allo stesso tempo possono essere interpretati come variante della ‘box’ modernista e del ‘catenaccio’ modernista (e pertanto anche della baracca modernista di “Dom-ino” di Le Corbusier o del modulo “urbanistico” di Hilberseimer). L’artista mette in scena la stretta grotte-sca tra aspettative e realtà del Riduzionismo modernista, che improvvisamente viene discreditato quale una sorta di prigione ideologica, quale spazio di pensiero nelle cui limitazioni si cementa il carattere elitario della cultura elevata formalista.

4. Astrazione quale e!etto del capitalismo

La letteratura sull’arte del Modernismo (di Theodor Adorno e Clement Greenberg) viene sostenuta dalla fede artistico-religiosa per cui il Modernismo della riduzione formale può essere inteso come una forma di resistenza contro le patologie della modernizzazione sociale. Il rifiu-to di un’esigenza narrativa (e in questo senso) rappresen-tativa ne è il motivo centrale e ricorrente. T. J. Clark nel suo testo su Jackson Pollock parla in maniera emblemati-ca del Modernismo come di un “castello in aria del rifiuto e della resistenza” (Clark 1994, 66) e di una

“mancanza di compromessi o di"coltà in un og-getto creato, di un modo di agire contro i codici e le prassi, tramite i quali il mondo aveva mutuato le proprie immagini tradizionali.” (Clark 1994, 67)

Nei programmi del Modernismo la rinuncia alla duplica-zione, replica nell’autoreferenzialità riflessiva, alla forma e al mezzo viene descritta piuttosto uniformemente come

atto di rifiuto del “bourgeoisem Kitsch” (Greenberg) o di “essere per altro” dalla connotazione merceologica (Ador-no). Ma non solo la funzione ideologica dell’“arte libera” modernista della Guerra Fredda frattanto fa sembrare di-scutibile il narrativo eroico dell’arte libera dell’Occidente, bensì sempre più anche il repertorio formale modernista, percepito come decorativo in ragione dello sfruttamento dell’e!etto sorpresa e del contemporaneo adeguamento alle pretese di rappresentazione tardo-borghese. Il Modernisme noir piuttosto getta sul tappeto il seguente quesito: non è forse che il Modernismo, proprio in questa sua ‘forma disinteressata’, era complice della moderniz-zazione sociale ‘astratta’ in tutta la sua violenza ‘concreta’ (violenza per quanto concerne l’assimilazione di quanto culturalmente estraneo, per quanto riguarda lo sfrutta-mento delle risorse naturali, lo sviluppo di tecniche di do-minio strumentali e del procedere della logica astratta del capitale, che successivamente si è creata “un mondo a sua immagine” (Marx/Engels 1848, 466))? La logica moderna della sorveglianza si pone in un contesto socio-storico, nel quale l’astrazione rappresenta un principio dominan-te. In tal modo anche l’astrazione estetica assume un dop-pio senso occulto.Tale doppio senso è proprio il tema precipuo di Rudolf Bonvie. Nella sua espressione artistica in primo piano vi sono semplicemente i colori, una pittura a campi di colori in connessione al primo Ad Reinhardt. Le foto digitali di Bonvie sono di grosso formato, variopinte e apparente-mente ‘prive di oggetto’. Un trittico a tinte forti, a base di rosso e verde, reca un titolo che allude a qualcos’altro: “Le CAC 40 et la guer-re” (2003). Le tre tavole (fig. 4) nei rispettivi quadrangoli rappresentano l’andamento della borsa delle prime qua-ranta società per azioni francesi in tre momenti specifici della Guerra in Iraq: tendenza al ribasso, rialzo, costante rispettivamente in rosso, verde e nero. L’astrazione della rappresentazione artistica qui corrisponde all’astrazione di cui sopra dei processi sociali ed in particolare alla logi-ca propria del capitale speculativo. L’opera solleva quesi-ti fondamentali: come si pone nel contesto di astrazione estetica e sociale? L’arte astratta del Modernismo si fon-da su un’estetica di complicità con il regime dominante astratto della Modernità, la formalizzazione e la concre-tizzazione delle relazioni sociali all’insegna del processo del capitale? Sebastian Egenhofer in detto contesto ha in-dividuato il carattere principale del Modernismo:

“L’ideale epistemico dell’universalità di un lin-guaggio artistico, di un esperanto delle sensazioni sensoriali che abbia abbandonato le convenzioni

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delle culture storico-particolari è fuso con l’uni-versalismo della forma merceologica e con il co-dice senza memoria del valore di scambio” (Egen-hofer 2008, 17).

Su tale sfondo la Settima tesi sul concetto di storia di Ben-jamin, in base alla quale non è mai esistito “alcun docu-mento della cultura … che non fosse allo stesso tempo un documento della barbarie” (Benjamin 1940, 696), va presa più sul serio di quanto abbiano fatto finora la mag-gior parte dei protagonisti e storiografi del Modernismo, peraltro anche in considerazione della concezione storica e sistematica del Modernismo.

5. Questioni aperte: l’interprete di Wilhelm Sasnal

Tali dimensioni ‘oscure’ del Modernismo diventano sem-pre più chiare laddove vengono messe di fronte al loro contraltare nello spazio della possibilità della Modernità estetica, alle Avanguardie storiche ed alla loro continua rinascita in neo-avanguardie ormai dagli anni ’60. A li-vello concettuale l’Avanguardia nel senso della Theorie der Avantgarde (Bürger 1974) di Peter Bürger implica una critica alla separazione tra arte e vita come era stata va-rata in particolare dal Dada, dal Futurismo e dal Surreali-smo. Una tale Avanguardia può essere distinta dal proprio polo opposto autoriflessivo e riflessivo dei media. Tut-tavia finora tale controparte è stata trattata nel concetto del Modernismo. Il Modernismo della prima metà del secolo in tutto l’au-toincapsulamento nella forma “priva di oggetto”, “pura” ha tratto la sua legittimazione da un latente impeto avan-guardista: la nuova impostazione futura del mondo pre-posta ad o!rire modelli (inizialmente improntati su una logica immanente all’arte). Sulla scorta di questa circon-voluzione allo stesso tempo potevano concepirsi anche la razionalizzazione delle forme d’espressione e la geo-metrizzazione dell’arte quali modello di una razionaliz-zazione del mondo.A tale pathos il Modernisme Noir contrappone l’antitesi: le ‘forme pure’ del Modernismo non appaiono più qua-li modelli e prototipi liberamente posti di questi mondi nuovi, migliori (come ad esempio aveva formulato Mon-drian), bensì piuttosto quali mimicry e mimesi di ordina-menti repressivi. Attraverso i modelli del loro Riduzioni-smo formale che appare pieno di citazioni, la Modernità politica si rende riconoscibile nella violenza della sua pre-cipua tendenza egemonizzante.

Wilhelm Sasnal ha formulato in maniera accentuata il principio della doppia mimesi della Modernità in alcuni dei suoi dipinti, dissolvendo il canone formale moderni-sta e il terrore totalitario e contrastando in maniera di-struttiva con l’universalismo utopico del Modernismo e la volontà di annientamento del Nazionalsocialismo e dello Stalinismo. Sasnal in tal modo retrocede la storia della for-ma estetica nella Modernità nel contesto della storia del-la “violenza totale” caratteristica del XX secolo. E nel far ciò Sasnal non si limita a figure di rappresentazione della pittura non-oggettiva. Ma proprio le strane dissolvenze di forma oggettiva e modernista in senso più stretto dischiu-dono una copiosità abissale di disposizioni della sua pro-cedura pittorica, che peraltro chiarifica anche l’orizzonte problematico della cella e del Modernisme noir.“Forma” e “contenuto” nella visione dei quadri di Sasnal Senza titolo (l’interprete) del 2003 (fig. 5) sono due piani, divenuti permeabili, in quanto il mondo formale del qua-dro non viene percepito come posto originariamente e “in maniera immediata” ossia libero ed originale. Il quadro, in tutta la dinamica pittorica tramite il relazionamento in esso insito delle forme contiene disposizioni ultrachia-re al canone formale del Modernismo. In tal modo l’atto pittorico e la forma autonoma in detto quadro di Sasnal diventa al contempo un agens tanto evidente quanto la disposizione (artistico-)storica.Nell’opera di Wilhelm Sasnal le strategie formali della Modernità estetica sono retrospettivamente tematiche. Il titolo del quadro, Translator (L’interprete), è contem-poraneamente concreto e metaforico. Il punto di parten-za del dipinto è la figura dell’interprete del film “Shoa” di Claude Lanzmanns. La sua rappresentazione straripa espressivamente tanto che nel suo ritratto si riscontrano innumerevoli indicazoni in realtà non presenti in tale fi-gura. Imprecisioni della traduzione in tal modo vengono riportate nel procedimento della pittura di Sasnal. Inoltre il riferimento all’interprete si trasforma anche in un’au-totematizzazione dell’artista che diviene in ogni caso vi-rulenta tramite le allusioni al ritratto classico dell’artista: l’artista, come il traduttore, non è contemporaneamente complice? Come la mettiamo con l’innocenza del mezzo? La capigliatura so"ce, lievemente slittante verso l’esterno ricorre in topoi del ritratto dell’artista moderno, (proto)romantico da Giorgione e Dürer a Delacroix e Courbet. A livello iconografico questa tradizione è rimasta presente per l’Avanguardia politica. La celeberrima icona del Che Guevara è il ritratto in prima linea idealtipico del rivolu-zionario romantico. Il quadro, un ritratto in bianco e nero su sfondo verdi-no freddo evoca le immagini connotative con le quali si

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commemorano le vittime del terrorismo storico (Christian Boltanski ha canonizzato questo suggestivo vocabolario delle immagini evocative). Il capo ben delineato e il tricot al contrario sembrano un’allusione alle immagini supre-matiste e futuriste degli anni ’20, alle coreografie Bauhaus di Oskar Schlemmer o alle rappresentazioni ‘tubiste’ dei corpi di Fernand Léger proprio come ai successivi ritratti dei cosmonauti. Per di più balzano agli occhi una serie di allusioni formali: alla chiarezza della forma del Costrutti-vismo russo e al Formalismo e in particolare all’arte (de-)compositiva basata sul contrasto binario bianco-nero dei controrilievi di Tatlin. Il primo Modernismo in tal modo è presente allo stesso tempo in una connotazione politica. L’angolatura tagliente verso l’interno della capigliatura evoca inoltre la riga di Adolf Hitler. Assieme all’ombra sotto il naso, che potrebbe essere il ba!etto hitleriano come anche una macchia da emorragia nasale, la riga della capigliatura allude a questa figura ricorrente tan-to dell’ideologia totalitaria che ‘estetica’. Il romanticismo politico, l’utopia ed ideologia dell’artista oscilla tra soft edge (promessa romantica di migliorare il mondo, di pa-nacea) und hard edge (potenza totalitaria).Il dipinto di Sasnal si colloca in uno spazio intermedio precario tra il Ritratto di un artista quale dandy e l’inclina-zione politica delle utopie artistiche, tra l’utopia futurista dell’uomo nuovo e l’iconografia del terrore, tra gli artefici imba!ettati e le foto ricordo fragili, femminee delle vit-time, ma anche tra il Fascismo, il Socialismo statale e il ‘mondo libero’. Il dipinto allude parimenti al mondo for-male dell’“International Style” di quest’ultimo e in par-ticolare all’“astrazione quale linguaggio mondiale” degli anni Cinquanta e Sessanta (o meglio alle sagome di Nay ed all’astrazione espressiva di Asger Jorn, Cobra ecc.). Formalmente la costruzione e l’atto vengono contrastati e a loro volta alludono all’antitesi tra Socialismo statale e “mondo libero” e allo stesso tempo alla contempora-neità storica e al confronto dei totalitarismi di sinistra e destra, Stalinismo e Fascismo. In questo senso l’imma-gine dell’“interprete” è essa stessa un “interprete” e for-se addirittura un interprete squisitamente modernista, in quanto la sua prestazione di traduzione è anche una semplificazione e unificazione di categorie. Il dipinto di Sasnal ricorre con un atto dionisiaco e in un certo modo paranoico di fusione a una molteplicità di ambienti storici la cui somma lascia intravedere la storia della Modernità estetica e dei totalitarismi del XX secolo.

6. Celle oscurate: bilancio finale e panoramica

L’insegnamento del Modernisme noir è forse una tesi epocale distopica unificatrice che si riferisce globalmen-te al mondo? Oppure i compiti ideali che trasmette sono più di"cili e di!erenziati? Per la tendenza retro-moder-nistica trattata in questa sede si o!rono in prima linea due interpretazioni. Il Modernisme noir in ogni caso non vuo-le essere inteso né solo come una a!ermazione sul mondo (diagnostica dei tempi), né solo come una a!ermazione sull’arte (politico-artistica). Senza dubbio il Modernisme noir abbraccia ampie tesi epocali che evocano assolutamente i grandi progetti del-la filosofia storica come la dialettica dell’illuminismo. La modernità nel complesso viene dipinta unilateralmente quale la storia del dilagare di terrore, dominio e sottomis-sione, della quale non viene esclusa neanche l’arte (a pro-prio parere) chiaramente illuminante del Modernismo. Una tale interpretazione diagnostica dei tempi trascura il carattere squisitamente modernista, ‘autoriflessivo’ del Modernisme noir, che si riferisce all’arte stessa. In questo senso il Modernisme noir è fortemente conte-stualizzato alla logica modernista della ‘cella estetica’, all’incapsulamento nel White Cube e alla retrocessione dietro la non-oggettività dei reticoli formalisti. Al fine di accentuare il nesso delle opere qui presentate anche quale nesso del Modernisme noir con l’orizzonte dei problemi del presente volume di componimenti, potrà forse risultare d’utilità la sintesi che segue: con il Moder-nisme noir irrompe una cella che era costitutiva e caratte-rizzante per l’arte del Modernismo. Il ritorno di contenuti sociali, che riprendono a costituire il tema, è l’irrompere di quella logica modernistica chiusa (compartimentata a celle) delle prassi istituzionali delle esposizioni e del-le forme d’espressione ‘prive di oggetto’. Il Modernisme Noir in questo senso propone in maniera ostentata il rap-porto cosmico delle ‘forme’ pure, del quale l’astrazione estetica inesorabilmente si è voluta liberare.Le conseguenze in termini di politica dell’arte di tale ri-torno sono comprensibili più e"cacemente sullo sfondo di due direttrici, abbinate in maniera avvincente, della Modernità estetica: da una parte sul background di un superamento avanguardista in ambito di critica istituzio-nale e dall’altra dell’immanenza modernista comparti-mentata a celle. A tali due tronconi si ricollega da un canto un contenuto non compensato e dall’altro anche un problema: nel su-peramento avanguardista (dall’happening orgiastico fino al gioco dei ruoli di critica istituzionale dell’artista quale

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lavoratore nel sociale) si sono perennemente sacrificati standard formali e riflessivi, mentre la critica avanguar-dista dell’ideologia estetica era comunque convincente, manteneva il punto. Viceversa i presupposti sociali e politici impliciti dell’‘ar-te astratta’ erano defraudati dal Modernismo, mentre la contemporanea ripetizione di principi strutturali e di astrazione del dominio rendeva l’arte complice. In ciò quell’arte ‘pura’ riusciva a convincere con i suoi vincoli estetici e la coerenza formale. Questa è l’aporia del Modernisme noir: esso denuncia l’autoequivoco dell’arte non-oggettiva, che si incapsu-la senza tuttavia suggellare, o quanto meno indicare, un’alternativa. Ribadisce la critica avanguardista, ma ne sconfessa la procedura. Si potrebbe definire la sua essen-za quale inversione della critica istituzionale avanguardi-sta che si compie ormai a livello dell’‘opera’ modernista: un’autodenuncia che non abbandona il bianco fosfore-scente del cubo espositivo o i reticoli variopinti delle im-magini e degli oggetti spaziali non-oggettivi, ma che tut-tavia li tinge di un’atmosfera nera.Tale critica istituzionale invertita non esonera l’arte dal suo carattere compensativo a livello ideologico, ma non trova alcuna strategia di risposta nello spazio di manovra dell’arte che sia in grado di agire in maniera costruttiva verso l’esterno. Il Modernisme noir indugia sul riferimen-to cosmico dell’arte e rileva allo stesso tempo le contrad-dizioni dell’arte politica, volgendo gli impulsi avanguar-disti del Modernismo contro esso stesso e senza tutto sommato accomiatarsi da esso. In fin dei conti non viene fuori dalle celle del Modernismo.

* Per le preziose indicazioni, indispensabili ai fini del presente saggio schematico, a mo’ di exposé, si ringraziano sentitamente Christoph Bertsch, Benjamin Buchloh, Preston Scott Cohen, Lilo Ernst, Georg Imdahl, Frank Fehrenbach, Werner Oechslin, Carina Plath, Raphael Rosenberg, e i nostri studenti ad Amsterdam, Heidelberg e Münster, tra cui in particolare Tom Retter e Andreas Daniel Kopietz.

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Gerd Blum & Johan Frederik Hartle

„Modernisme noir“Revisionen des Modernismus in der zeitgenössischen Kunst*

Einleitung: Modernisme noir als doppelte Mimesis des Modernismus

Nach dem Ende der Systemkonkurrenz und inmitten der Globalisierung stellt sich die Frage nach der Relevanz des transatlantischen ästhetischen Erbes von neuem. Sie stellt sich auf politischer wie auf ästhetischer Ebe-ne. Der Begri! Modernisme noir bezeichnet eine retros-pektive Tendenz der Gegenwartskunst, die ambivalente Zeitdiagnosen artikuliert, indem sie die formalen Tradi-tionen der „Internationalen Stile“ von Modernismus und Minimalismus mit katastrophischen E!ekten des „un-vollendeten Projektes der Moderne“ (Habermas 1980) konfrontiert. Modernisme noir ist einerseits a"rmative Wiederholung der ästhetischen Formenklarheit des Mo-dernismus, die andererseits politisch dystopisch einge-färbt wird. Als retro-modernistische und selbstkritische Tendenz avancierter zeitgenössischer Kunst artikuliert der Modernisme noir eine kritisch gebrochene Haltung jenseits von Fortschrittsemphase und Posthistoire, die ei-nen signifikanten Bruch mit den kulturellen Paradigmen des Post- und Antimodernismus markiert.Unter „Modernisme noir“ verstehen wir solche Hervor-bringungen der zeitgenössischen Kunst, die den Formen-kanon der nicht-figurativen Kunst des internationalen Modernismus zitieren und zugleich die zitathaft verwen-deten Formenformeln der ‚gegenstandslosen’ Kunst des Modernismus mit gegenständlichen Motiven besetzen. Werke des Modernisme noir beziehen sich im Modus ei-ner doppelten Mimesis, um hier einen Begri! von Felix Thürlemann (2003) aufzugreifen, sowohl auf den lichten Formenschatz des internationalen Modernismus als auch auf jene dunklen Inhalte der Katastrophengeschichte des 20. Jahrhunderts, welche die kanonische nicht-figurative Kunst des internationalen Modernismus so erfolgreich ausblendete. Mit internationalem Modernismus meinen wir wiederum die ‚ungegenständliche’, nicht-figurative Kunst zwischen „Klassischer Moderne“ und Minimalimus, d. h. aus einem Zeitraum, der um 1910 mit den „ersten ungegenständli-chen Bildern“ eines Malevitsch, Kupka, Kandinsky und Tatlin beginnt, und der in einem Zeitraum zwischen den

späten 60er und den frühen 70er Jahren – mit den Black Paintings Frank Stellas, mit der vollen Ausbildung des Vo-kabulars der Minimal Art und mit dem Tod Barnett New-mans – in gewisser Weise endet.Durch ihren Doppelbezug auf formale Idiome des Moder-nismus und auf Inhalte der Katastrophengeschichte des 20. Jahrhunderts brechen die Arbeiten des Modernisme noir – bei aller Fortschreibung der Formenklarheit von ‚Klassischer Moderne’ und Minimal Art – mit zentralen Leitsätzen des Modernismus: mit dem Reinheitsgebot der puren, vom Gegenstand ‚befreiten’ Form und mit der Unschuldsvermutung gegenüber der ‚reinen Form’ der nicht-figurativen Kunst. Gregor Schneiders formal perfekter Guantánamo-Parcour „Weiße Folter“ (Abb. 1), Santiago Sierras pseudominima-listische, von prekär Beschäftigten bewegte Betonkuben (Abb. 2), die vermeintlich formalistischen Gemälde Wil-helm Sasnals und Li Songsongs, das existenziell aufge-ladene ‚Design’ von Martin Boyce, Monika Sosnowskas deformierte modernistische Stahlskelette, Anita Dubes Sade-Installation, Rudolf Bonvies abstrakte Aktienkurs-Diagramme (Abb. 4), die „Wall-Drawings“ von Adel Abdes-semed aus Stacheldraht (die den neoplatonischen Mini-malismus eines David Rabinowich zitieren), oder etwa die Wandmalereien von Iran do Espírito Santo, die im Rück-gri! auf den apollinischen Formalismus des jüngst ver-storbenen Sol LeWitt aus seriellen Formkonfigurationen die Muster von Mauerwerk und Maschendraht zeitgenös-sischer Verteidigungswälle generieren – diese und andere Strategien einer teils polemischen Engführung von po-litischen Inhalten und vermeintlich unpolitischer Form verdeutlichen eine formbewusste und zugleich politisch reflektierte Verfahrensweise zeitgenössischer Kunst. Wichtige Gründerfiguren des Modernisme noir sind Pe-ter Halley (mit seinen Bildreliefs der „Cells“, „Circuits“ und „Conduits“) und Luc Tuymans mit seinen meta-mo-dernistischen Historien. Einschlägig hatte Tuymans auf der venezianischen Biennale von 2001 modernistische Kompositionsraster in der Tradition von „De Stijl“ und Fassadenstrukturen der Architektur des „International Style“ mit Motiven der belgischen Kolonialgeschichte überkreuzt.

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Im Modernisme noir werden die Verbindungen und Frikti-onen zwischen ästhetischem Modernismus und politischer Moderne beleuchtet. Der vermeintlichen Unschuld reiner Form und den ihr angesonnenen Versprechungen auf ideologiefreie Läuterung des Lebens wird nun gründlich misstraut. Dennoch greifen nun auch die avanciertesten Positionen, die sich nicht darauf zurückziehen wollen, die kulturwissenschaftliche Kritik am spätmodernistischen ‚Empire’ im Rahmen einer ‚Kunst der diskursiven Dienst-leistung’ zu begleiten, auf die Formenklarheit des Moder-nismus zurück, die lange in spätmodernistischen Zirkeln am Rande des Markthype dahinzudämmern schien. In diesen künstlerischen Arbeiten vermengt sich der Re-kurs auf den ästhetischen Modernismus mit Verweisen auf die politische Moderne und ihren dystopischen Cha-rakter. Besonders und historisch spezifisch ist daran nicht der kritische Kommentar zum utopischen Charakter der Moderne, der seit der poststrukturalistischen Kritik gän-gig geworden ist. Gegenüber postmoderner Ironie und ih-rer völligen Verabschiedung des utopischen Projekts tritt eine ambivalente und unentschlossene Haltung hervor, die mehrdeutig mit der formalen Schönheit und mit dem politischen Schrecken der Moderne und ihrer Katastro-phengeschichte spielt, ohne eine Alternative zur westli-chen Moderne anbieten zu können. Die Ästhetik des Modernisme noir changiert zwischen Be-wunderung und Schrecken: Bewunderung für die unab-weisbare Evidenz und Überzeugungskraft jener (retro-) modernistischen Formenklarheit, die in den letzten Jah-ren selbst in Möbelmärkten und dem ‚Bauhaus’-Baumarkt Einzug hielt und in den letzten Jahren Design und Archi-tektur neuerlich prägt; Schrecken vor den totalitären poli-tischen Ideologien und Ideen, welche die Geburt des Mo-dernismus (wie die Forschungen der letzten Jahrzehnte zeigen) erst ermöglichten. Diese Ästhetik eines reflexiven Retromodernismus hat ei-nen ambivalenten Charakter. Indem sie an die formalisti-sche und reduktive Tradition des Modernismus anknüpft, wird dieser zwar (ganz anders als in künstlerischen Posi-tionen der Anti- und auch der Postmoderne) als verbind-licher Kanon perfekter Formgestaltung ernst genommen. Zugleich wird das modernistische Experiment absoluter, reiner Form aber auch seines Ideologiecharakters über-führt. „Reine“ Formen werden kontextualisiert und da-mit als gesellschaftlich gehaltvoll ausgewiesen: Durch die Muster ihres formalen Reduktionismus hindurch wird die politische Moderne in ihrer Ambivalenz sichtbar. Die Auseinandersetzung des Modernisme noir mit den Kernbestandteilen des klassischen Modernismus lässt sich durch vier Eigenschaften kennzeichnen:

1. Der Modernisme noir ist (wie der Modernismus selbst) von der Idee formaler Konsequenz und äs-thetischer Notwendigkeit bestimmt. Mit der Idee der formalen Verbindlichkeit sowie mit dem Rekurs auf ästhetische Strategien der formalen Reduktion beerbt er explizit den klassischen Modernismus und gibt zugleich dessen Fortschrittsemphase auf.

2. Der Modernisme noir zitiert die formal redukti-ve Tradition aus einer historischen Distanz. Da-bei ist sein Formbewusstsein nicht mehr vom Topos linearer Formentwicklung bestimmt. Mo-dernisme noir ist Kunst jenseits historischer Not-wendigkeit.

3. Der Modernisme noir stellt die Unmittelbar keit der Form in Frage. An die Stelle einer ver meintlich direkten und reinen Wirkung abstrakter Formen tritt der Nachweis ihres latenten Weltgehalts und ihrer Herkunft in der allgemeinen gesellschaftli-chen Entwicklung.

4. Die Kunst des Modernisme noir ist somit gekenn-

zeichnet durch eine spezifische Gestalt formalis-tisch-reduktiver Strategien, die durch den Dop-pelbezug auf sowohl die ästhetische als auch die politische Moderne die ‚reine Form des Modernis-mus’ politisch in Frage stellen.

Damit erhält diese spezifische Gestalt des Spätmoder-nismus ein reflexives Wissen über die Funktionslogik moderner Kunst. Der Mythos der reinen Form wird auf seinen politischen Charakter befragt. Dies ist zugleich das Skandalon für die modernistische Orthodoxie, ist doch moderne Kunst in der Lesart nach 1945 unpolitisch, selbstreflexiv und frei von den Insignien des Politischen. Insofern greift die reflexive Thematisierung der Welthal-tigkeit der modernistischen Formenmuster und -raster zugleich den institutionskritischen Kunstdiskurs der spä-ten 1960er Jahre auf, in dem die Zelle des White Cube zum zentralen Gegenstand der Kritik wurde (O’Doherty 1996, Smithson 2000).

1. Kunst und Komplizenschaft

Im zeitgenössischen Retro-Modernismus wird eine Kom-plizenschaft der apollinischen und (scheinbar) apoliti-schen Formenformeln der Kunst des Modernismus mit den Schattenseiten der politischen Moderne behauptet:

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Modernismus-Rekurse erscheinen im Zusammenhang mit einer immanenten Kritik, nicht aber einer Verab-schiedung der Formensprache der ästhetischen Moder-ne. Zeitgenössische Akteure schreiben die puristische Ästhetik von Modernismus und Minimalismus fort. Sie behaupten deren Aktualität, um zugleich deren implizite Abhängigkeit von den gesellschaftlichen und politischen Abgründen unserer Epoche zu pointieren (vgl. zu dieser ambivalenten Geste Chave 1990 und Egenhofer 2008). Dies unterscheidet sich von postmoderner Vernunftkri-tik, von post-utopischen, neo-historistischen, subjektiv-expressiven Verabschiedungen der Moderne oder von den Partikularismen kleiner Erzählungen. Der Retro-Mo-dernismus steht insofern jenseits der Postmoderne, als er sich dem reduktiven und formalistischen Vokabular des Modernismus verpflichtet weiß und mit ihm durchaus nach Verbindlichkeit sucht.Ästhetisches Wohlgefallen an Abstraktion und Reduk-tion paart sich mit Verweisen auf Überwachung, Kapi-talverwertung und Krieg. Das verdunkelt den utopischen Glanz des Modernismus. Ohne dass die neue Morgenröte einer fundamentalen Alternative sichtbar würde, bleibt der Modernismus bei aller Kritik an seinen Grundfesten verbindlich. Gregor Schneiders Installation „Weiße Folter“ (Kunst-sammlung Nordrhein-Westfalen K 21, Düsseldorf 2007) ist das Paradebeispiel. Sie bezieht sich im Modus der bereits erwähnten „doppelten Mimesis“ – gleichermaßen auf die Logik der perfektionierten Strafmaschine Guantánamo mit ihren Folterzellen und auf den aseptischen Charakter des White Cube (Abb. 1). Schneiders Arbeit ist ein Nach-bau der Zellen und Korridore des Gefangenenlagers mit Elementen, die teils als Ready-mades aus dem Strafvoll-zugs-Fachhandel stammen und zugleich ein abgründiges Remake puristischer Rauminstallation der 60er Jahre.1

Solcher Modernisme noir schreibt die puristische Äs-thetik des Modernismus fort, behauptet seine ästheti-sche Aktualität, um ihn jedoch zugleich – in gewisser Af-finität zur Institutionskritik am „Betriebssystem Kunst“ – als Teil einer Ideologie der Moderne zu denunzieren. Die im Modernisme noir reflexive Thematisierung des Kunstsystems greift den institutionskritischen Kunst-diskurs der späten 1960er Jahre auf, der den Sarkophag des Museums problematisiert hatte, und verbindet ihn mit einer Kritik an der Politik der ‚modernen’ und auf-geklärten Staaten der ‚westlichen Welt’. Ihr Verfahren ist nicht die avantgardistische Überschreitung, aber auch

nicht die argumentative Kühle konzeptueller Verfahren. Modernisme noir beinhaltet vielmehr einen performati-ven Widerspruch und ist ein Oxymoron. Er verdankt sich einer Kritik des eigenen Verfahrens, ein Festhalten an ei-nem ästhetischen Projekt, das im selben Atemzug diskre-ditiert wird. Insofern ist solcher Retro-Modernismus eine zutiefst selbstkritische und in sich gespaltene Kunst, er ist das hölzerne Eisen einer gesellschaftlich reflexiv ge-wordenen abstrakten Form. Diese Reflexivität besteht in einer abgründigen, ‚unheimlichen’ Wiederholung forma-listischer, reduktiver und abstrakter Kunst, die Ansätze verdrängter Inhaltlichkeit erkennbar werden lässt. Damit gewinnt die abstrakte Form ihr uneingestandenes Welt-verhältnis zurück.

2. Moderne, Modernismus, Modernisme noir

Der Begri! der Moderne umgreift eine Vielzahl von Fel-dern: das ästhetische, politische, ökonomische etc. Mit Modernismus ist dagegen im engeren Sinn eine opti-mistische Grundhaltung ästhetischer Rationalisierung gemeint, die maßgeblich von dem weltverbessernden Utopie-Versprechen der Bildenden Künste und der Ar-chitektur des ‚International Style’ aus der ersten Hälfte des vorigen Jahrhunderts geprägt wurde.Während also der historisch-politische Begri! der Mo-derne die allgemeine Perspektive einer komplexen, in heterogene Funktionssysteme (Recht, Moral, Religion, Kunst etc.) ausdi!erenzierten Gesellschaft bezeichnet und mit dem Zeitalter der Aufklärung, der Verkündung der Menschenrechte, der Französischen Revolution und der Entstehung der Nationalstaaten um 1800 ihre ent-scheidende Prägung erfährt, beginnt die ästhetische Mo-derne nach kanonischem Verständnis etwa um 1860 in Paris. In ihr wird (mit Manet, Baudelaire, Mallarmé und Cézanne) das Paradigma der Repräsentation zunehmend durch eine reflexive Besinnung auf formale Strukturen und ihre semantischen E!ekte abgelöst. Die historisch-politische wie auch die ästhetische Moder-ne begreifen wir als Aspekte einer Epoche, die wir noch nicht verlassen haben. Ungeachtet aller Sturmläufe gegen ihre Implikationen, gegen die Gewaltsamkeit von Moder-nisierungsprozessen und die Standards gesellschaftlicher und ästhetischer Rationalisierung hat sowohl die ästhe-tische als auch die politische Moderne die Postmoderne überlebt und definiert noch unsere Gegenwart.

1 Siehe dazu ausführlicher Blum/Hartle: Zelle, Raster, Würfel, im selben Band.

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Der Begri! des Modernismus bezeichnet in unserer De-finition hingegen eine künstlerische und kunstpolitische Position, die eine vergleichbar kurze Phase von ca. 60 Jahren einnimmt. Die Kunst des Modernismus beginnt in dieser Definition, wie bereits bemerkt, mit Malewitschs „Schwarzem Quadrat“, mit den ‚ersten ungegenständli-chen Bildern’ eines Kupka, Kandinsky und Tatlin. Sie en-det mit der vollen Ausbildung der Minimal Art um 1970 – mit der Kunst des Spätmodernismus. Die paradigmatische Ausprägung des Modernismus – die ‚ungegenständliche’, ‚nicht-figurative’ Plastik und Malerei – markiert zugleich einen Bruch mit der gesam-ten Tradition der mimetischen, figurativen Bildkünste (vgl. dagegen jüngst Rosenberg 2007). Die grundlegen-den Axiome dieser neuen ungegenständlichen Kunst des Modernismus lassen sich – bei allen gravierenden Unterschieden in Intentionen und Formidiomen – cum grano salis unter den Stichworten Universalismus, Un-mittelbarkeit, Unumkehrbarkeit und Utopismus wie folgt charakterisieren:

1. ‚Modernismus’ heißen ein ästhetischer Diskurs und eine ästhetische Praxis, die auf die Verallge-meinerung eines auf Abstraktion und reduktiv-autonome, bzw. funktionale Form gegründeten ästhetischen Prinzips setzen. Der Universalismus des International style ist hier paradigmatisch. Er begreift sich als kanonisch und erhebt den größt-möglichen Anspruch ästhetischer Verbindlich-keit. Dieser Universalismus ist inzwischen als He-gemonialismus in die Kritik geraten (vgl. Ashcroft 2000 und Bhaba 2000).

2. Dem Modernismus gehört (als Bestandteil seines Universalismus und Formalismus) die Idee der Un-mittelbarkeit an, welche die Programmschriften der ästhetischen Moderne und des Modernismus leitmotivisch prägt (vgl. Barasch 1998 und New-man 1996). Formale Konfigurationen wirken nach modernistischem Selbstverständnis unmittelbar auf das Publikum und rekurrieren nicht auf kul-turelle oder gesellschaftliche Vorbedingungen.

3. Für den Modernismus ist die Annahme wesentlich, dass ästhetische Innovationen eine historische Notwendigkeit und Unumkehrbarkeit haben. Die These vom „avancierten Materialstand“ einer be-stimmten Epoche und von der progressiven Line-arität der Formentwicklung (idealiter: von Manet bis Barnett Newman) kann als die Extremformel

modernistischen Denkens beschrieben werden. Clement Greenberg (1939; 1940; 1960) hat sie mit größter Radikalität vertreten.

4. Diesem Innovationspathos entspricht zuletzt ein Pathos der Umsetzbarkeit. Modernismen sind uto-pistisch, insofern sie die klassische utopische Di!e-renz zwischen Fakt und Fiktion nivellieren. Dabei propagieren sie zwar (im Unterschied zu den Avant-garden und Aktionismen des vorigen Jahrhunderts) keine unmittelbare Überschreitung der Kunst ins Leben, verstehen die Kunst aber doch als Modell einer besseren Welt (vgl. Bois 1993, Clair 1998).

Damit ist die Frage nach dem Verhältnis von ästhetischem Modernismus und gesellschaftlich-politischer Moderne noch nicht di!erenziert und auch noch nicht kritisch be-schrieben. Gerade dieses Verhältnis wird im Modernis-me noir jedoch – und ausdrücklich kritisch – thematisch, indem die autonomen Formprozesse des künstlerischen Modernismus in den Kontext der historisch-politischen Moderne und ihrer latenten Katastrophenlogik gerückt werden.Universalismus, Unmittelbarkeit, Ungegenständlichkeit, Unaufhaltsamkeit und Utopie – „Noir“ ist ein Attribut, das im Zusammenhang dieser Paradigmen der moder-nistischen Kunst niemand erwarten würde. Es ist jedoch exakt diese Ideologie der „Urworte“ des Modernismus, die als zunehmend fragwürdig erscheint und deren wei-ßer Glanz in den letzten Jahren seine dunkle Unterseite hervorkehrt.

3. Minimalismus mit Schuldkomplex

Santiago Sierra hat sich selbst einmal als „Minimalist mit Schuldkomplex“ (vgl. Sierra 2003, 169) beschrieben. Sei-ne Arbeiten imitieren den Zynismus, der das exklusive Kunstgeschehen angesichts sozialer Verelendung und sukzessiver Privatisierung ö!entlichen Lebens kenn-zeichnet. Sie imitieren ihn exakt im Schema abstrakter, formalreduktiver Kunst. Auch Sierra wirft damit die Frage nach dem implizit politischen Charakter von ästhetischer Abstraktion auf. In zahlreichen Arbeiten Sierras ist die Verknüpfung von ästhetischem Schein und kapitalistischer Moder-ne, von Moderne und Modernismus durch die Fokus-sierung auf (prekäre) Lohnarbeit präsent. In „3 Cubes of 100 cm on Each Side Moved 700 cm“ bewegen illegale Flüchtlinge jeweils einen Kubikmeter Beton durch den

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Ausstellungsraum (Kunsthalle Sankt Gallen, 2002). Er-neut ist das Minimalismuszitat o!ensichtlich (Abb. 2): Formal hätten die Betonkuben auch von Sol Lewitt oder Robert Morris in Auftrag gegeben worden sein können. Vermittels des Schweißgeruchs, der im Raum entsteht, stellt sich sehr grundlegend die Frage nach der Voraus-setzung gesellschaftlichen Reichtums. Solcher Reichtum besteht aus materiellen Gütern und symbolischer Reprä-sentation nicht zuletzt durch Kunstwerke. Georg Simmel sprach einmal davon, dass „die soziale Frage“ auch eine „Nasenfrage“ sei, weil sich der kulturelle Unterschied zwischen arm und reich, hoch und niedrig, am Geruch bemerkbar mache (Simmel 1907, 290). In Sierras Kunst wird Hochkultur, gerade indem sie mit ihrem Gegenteil, mit prekuarer Arbeit und Schweißge-ruch, kontrastiert wird, als Verdrängung körperlicher Ar-beit thematisiert. Solche Verdrängung kennzeichnet auch die Zelle, den musealen Perfektionismus des White Cube. Die Spuren, die sich nach und nach im Boden der Kunst-halle St. Gallen abzeichneten, sind demnach auch meta-phorisch Kratzer im Lack des Kunstbetriebs. Auf die monadischen Kuben des Minimalismus bezog sich Sierra bereits mit seiner Ausstellungs-Performance 8 Menschen, die bezahlt wurden, um in Pappkartons aus-zuharren, die im August 1999 in Guatemala-Stadt (und später verändert in Berlin) aufgeführt wurde (Abb. 3). Die engen Karton-Kuben zitierten sowohl die Cardboard Ci-ties in den Großstädten beider Amerikas als auch die Ku-ben und Quader des minimalistischen Großmeisters Do-nald Judd. Sierra verweist hier sowohl auf die Zelle aus Karton als zynische Urhütte am Straßenrand als auch auf die kubischen „specific objects“ Judds, die wieder-um zugleich als Variation der modernistischen ‚Box’ und des modernistischen ‚Riegels’ (und damit der modernis-tischen Urhütte des „Domino“ eines Le Corbusier oder der „urbanistischen“ Module eines Hilberseimer) gelesen werden können. Er inszeniert eine groteske Engführung von Anspruch und Wirklichkeit des modernistischen Reduktionismus, der plötzlich als eine Art ideologisches Gefängnis diskreditiert wird – als ein Denkraum, in des-sen Beschränkungen sich der elitäre Charakter formalis-tischer Hochkultur zementiert.

4. Abstraktion als E!ekt des Kapitalismus

Die Literatur über die Kunst des Modernismus – von Theodor Adorno und Clement Greenberg – wird dage-gen von dem kunstreligiösen Glauben getragen, dass sich der Modernismus formaler Reduktion als eine Form des

Widerstands gegen die Pathologien gesellschaftlicher Modernisierung verstehen lässt. Die Zurückweisung ei-nes narrativen (und in diesem einfachen Sinne) reprä-sentativen Bedürfnisses ist dabei das leitende Motiv. T.J. Clark spricht in seinem Text über Jackson Pollock para-digmatisch vom Modernismus als einem „Luftschloss der Verweigerung und des Widerstands“ (Clark 1994, 66) und von einer

„Kompromisslosigkeit oder Schwierigkeit im ge-scha!enen Objekt, ein Handeln gegen die Codes und Vorgehensweisen, durch die sich die Welt ihre üblichen Abbilder borgte.“ (Clark 1994, 67)

Der Verzicht auf Abbildlichkeit im reflexiven Selbstbe-zug auf Form und Medium wird in den Programmen des Modernismus in großer Übereinstimmung als Geste der Zurückweisung von „bourgeoisem Kitsch“ (Greenberg) oder eines warenförmigen „Sein-für-Anderes“ (Adorno) beschrieben. Aber nicht nur die ideologische Funktion der modernistischen „Freien Kunst“ im kalten Krieg, auch das zunehmend als dekorativ empfundene modernisti-sche Formrepertoire durch Abnutzung seines Überra-schungswerts und gleichzeitige Anpassung an spätbür-gerliche Repräsentationsansprüche lassen das heroische Narrativ der „Freien Kunst des Westens“ inzwischen als fragwürdig erscheinen. Der Modernisme noir wirft vielmehr die folgende Frage auf: War vielleicht der Modernismus gerade in seiner ‚in-teresselosen Form’ ein Komplize von ‚abstrakter’ gesell-schaftlicher Modernisierung in ihrer ganzen ‚konkreten’ Gewaltsamkeit – gewaltsam hinsichtlich der Assimilie-rung des kulturell Fremden, der Ausbeutung natürlicher Ressourcen, der Entwicklung instrumenteller Herr-schaftstechniken und des Voranschreitens einer abs-trakten Kapitallogik, die sich sukzessive „eine Welt nach ihrem eigenen Bilde“ schuf (Marx/Engels 1848, 466)? Die moderne Logik der Überwachung steht in einem sozial-geschichtlichen Kontext, in dem Abstraktion leitendes Prinzip ist. Damit bekommt auch die ästhetische Abs-traktion einen geheimen Doppelsinn. Dieser Doppelsinn ist das Thema von Rudolf Bonvie. In seiner Arbeit geht es vordergründig schlicht um Farben, um Farbfeldmalerei im Anschluss an den frühen Ad Rein-hardt. Bonvies digitale Fotoarbeiten sind großformatig, bunt und scheinbar ‚gegenstandslos’. Ein Triptychon in den starken Komplementärfarben Rot und Grün trägt jedoch einen Titel, der noch auf ande-res hindeutet: „Le CAC 40 et la guerre“ (2003). Die drei Tafeln (Abb. 4) repräsentieren in jeweils vierzig farbigen

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Rechtecken die Börsenkurse der vierzig führenden fran-zösischen Aktienunternehmen während dreier ausge-wählter Momente des Irakkriegs. Fallend, steigend, kon-stant bleibend – rot, grün, schwarz. Die Abstraktion der künstlerischen Darstellung entspricht hier der oben be-nannten Abstraktion gesellschaftlicher Prozesse und ins-besondere der Eigenlogik des spekulativen Kapitals. Die Arbeit wirft grundlegende Fragen auf: Wie steht es mit dem Zusammenhang von ästhetischer und gesellschaftli-cher Abstraktion? Beruht die abstrakte Kunst des Moder-nismus auf einer Ästhetik der Komplizenschaft mit den abstrakten Herrschaftsregimes der Moderne, der Forma-lisierung und Verdinglichung sozialer Beziehungen im Zeichen des Kapitalprozesses? Sebastian Egenhofer hat diesen Zusammenhang als einen Grundzug des Moder-nismus herausgestellt:

„Das epistemische Ideal der Universalität einer künstlerischen Sprache, eines Esperanto der Sin-nesempfindungen, das die Konventionen der his-torisch-partikularen Kulturen abgestreift hätte, ist mit dem Universalismus der Warenform und dem gedächtnislosen Code des Tauschwerts verschmol-zen.“ (Egenhofer 2008, 17)

Vor diesem Hintergrund ist Benjamins Siebte These Über den Begri! der Geschichte, derzufolge „niemals ein Do-kument der Kultur“ exisiert hat, „ohne zugleich ein sol-ches der Barbarei zu sein“ (Benjamin 1940, 696), auch im Hinblick auf die historische und systematische Reflexion des Modernismus ernster zu nehmen, als es Protagonis-ten und Historiographen des Modernismus zumeist ge-tan haben.

5. O!ene Fragen: Wilhelm Sasnals Translator

Diese ‚dunklen’ Dimensionen des Modernismus werden umso klarer, wenn sie mit ihrem Gegenpart im Möglich-keitsraum der ästhetischen Moderne konfrontiert wer-den, mit den historischen Avantgarden und ihrer kontinu-ierlichen Wiedergeburt in den Neo-Avantgarden seit den 1960er Jahren. Konzeptuell beinhaltet die Avantgarde, im Sinne von Peter Bürgers Theorie der Avantgarde (Bürger 1974), eine Kritik an der Trennung von Kunst und Leben, wie sie insbesondere von Dada, Futurismus und Surrea-lismus eingeführt wurde. Solch eine Avantgarde lässt sich von ihrem selbst- und medienreflexiven Gegenpart in der Tat unterscheiden. Bisher wurde hier dieser Widerpart unter dem Begri! des Modernismus verhandelt.

Bei aller Selbstverkapselung in ‚gegenstandslose’, in ‚rei-ne’ Form bezog der Modernismus der ersten Jahrhun-derthälfte seine Legitimation dennoch aus einem latent avantgardistischen Impetus: der zukünftigen Neugestal-tung der Welt die (zunächst kunstimmanenter Logik fol-genden) Modelle zu bieten. Mit diesem Umweg konnten sich auch die Rationalisierung von Ausdrucksformen und die Geometrisierung der Kunst zugleich als Modell einer Rationalisierung der Welt begreifen.Diesem Pathos stellt der Modernisme Noir die Gegen-these entgegen: Die ‚reinen Formen’ des Modernismus erscheinen nicht länger als frei gesetzte Modelle und Muster neuer, besserer Welten – wie es etwa Mondrian formulierte – sondern vielmehr als Mimikry und Mimesis repressiver Ordnungen. Durch die Muster ihres zitathaft aufscheinenden formalen Reduktionismus hindurch wird die politische Moderne in der Gewaltsamkeit ihrer spezi-fischen Homogenisierungstendenz erkennbar. Wilhelm Sasnal hat das Prinzip der doppelten Mimesis der Moderne in einigen seiner Gemälde pointiert formuliert, indem er modernistischen Formenkanon und totalitären Terror überblendet, indem er den utopischen Universalis-mus des Modernismus und den Vernichtungswillen von Nationalsozialismus und Stalinismus verstörend kontras-tiert. Sasnal rückt damit die Geschichte der ästhetischen Form in der Moderne in einen Zusammenhang mit der Geschichte der für das 20. Jahrhundert charakteristischen „totalen“ Gewalt. Zwar beschränkt sich Sasnal dabei nicht auf Darstellungsfiguren der ungegenständlichen Malerei. Aber gerade die merkwürdigen Überblendungen von ge-genständlicher und im engeren Sinne modernistischer Form erö!nen den abgründigen Verweisungsreichtum seines malerischen Verfahrens, der auch den Problem-horizont von Zelle und Modernisme noir verdeutlicht.„Form“ und „Inhalt“ sind in Anschauung von Sasnals Ge-mälde Ohne Titel (Translator) aus dem Jahr 2003 (Abb. 5) zwei Ebenen, die durchlässig geworden sind, da die For-menwelt des Gemäldes nicht als ursprünglich und ‚unmit-telbar’, d.h. als frei und originär gesetzt wahrgenommen wird. Bei aller malerischen Dynamik durch bildinterne Relationierung der Formen enthält das Gemälde über-deutliche Verweise auf den Formenkanon des Modernis-mus. Somit sind der malerische Gestus und die autonome Form in diesem Gemäldes Sasnals zugleich anschauliches Agens als auch (kunst-)historischer Verweis. Im Werk von Wilhelm Sasnal sind die formalen Strategien der ästhetischen Moderne retrospektiv thematisch. Der Titel des Gemäldes, Translator, ist konkret und metapho-risch zugleich. Ausgangspunkt des Bildes ist das Stand-bild einer Dolmetscherin aus Claude Lanzmanns Film

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„Shoa“. Ihre Darstellung ufert expressiv aus, so dass sich in ihrem Porträt zahllose Verweise finden, die im Stand-bild nicht vorgegeben sind. Unschärfen der Übersetzung werden so ins Verfahren der Malerei Sasnals übersetzt. Außerdem wird der Hinweis auf den Übersetzer auch zu einer Selbstthematisierung des Künstlers, die durch An-spielungen auf klassische Künstlerporträts ohnehin vi-rulent ist: Ist der Künstler als Übersetzer nicht zugleich Komplize? Wie steht es mit der Unschuld des Mediums? Das nach außen weich auslaufende Haupthaar rekur-riert auf Topoi des neuzeitlichen, (proto-) romantischen Künstlerporträts von Giorgione und Dürer bis Delacroix und Courbet. Ikonographisch ist diese Tradition für die politische Avantgarde präsent geblieben. Das berühmte Konterfei Che Guevaras ist das in dieser Linie idealtypi-sche Porträt des romantischen Revolutionärs. Als ein vor kühl-grünen Hintergrund gesetztes Schwarz-weiß-Porträt beschwört das Gemälde konnotativ Bilder herauf, auf denen Opfer historischen Terrors erinnert werden (Christian Boltanski hat dieses suggestive Vo-kabular der Erinnerungsbilder kanonisiert). Der rund umfangene Kopf und das Trikot erscheinen dagegen als Anspielungen auf suprematische und futuristische Menschenbilder der 20er Jahre, auf die Bauhaus-Cho-reographien Oskar Schlemmers oder ‚tubistische’ Kör-perdarstellungen Fernand Légers ebenso wie auf spätere Kosmonautenporträts. Zusätzlich fällt eine Reihe for-maler Anspielungen ins Auge: auf die Formklarheit des russischen Konstruktivismus und Formalismus und ins-besondere auf die auf binäre Weiss/Schwarz-Kontraste basierende (De)-Kompositionskunst der Konter-Reliefs von Tatlin. Der frühe Modernismus ist dadurch zugleich in einer politischen Konnotation präsent. Die nach innen schneidige Kante des Haupthaares er-innert darüber hinaus an den Scheitel Adolf Hitlers. Gemeinsam mit dem Schatten unterhalb der Nase, der den Schnurrbart Hitlers ebenso wie ein Nasebluten sein könnte, spielt der Scheitel auf diese Leitfigur einer eben-so totalitären wie ‚ästhetischen’ Ideologie an. Die politi-sche Romantik, die Utopie und Ideologie des Künstlers changiert zwischen soft edge (romantischem Heilsver-sprechen) und hard edge (totalitärer Gewalt).Das Gemälde Sasnals besetzt einen prekären Zwischen-raum zwischen dem Porträt des Künstlers als Dandy und der politischen Aneignung von Künstlerutopien, zwi-schen der futuristischen Utopie des neuen Menschen so-wie der Ikonographie des Terrors, zwischen schnurrbärti-gen Tätern und mädchenhaft fragilen Erinnerungsphotos der Opfer – aber auch: zwischen Faschismus, Staatsso-zialismus und ‚Freier Welt’. Auf deren Formenwelt des

„International Style“ und insbesondere der „Abstraktion als Weltsprache“ aus den 50er und 60er Jahren spielt das Gemälde ebenfalls an (namentlich auf die Scheibenbil-der Nays und die expressive Abstraktion von Asger Jorn, Cobra u.a.). Formal werden Konstruktion und Geste kon-trastiert, die wiederum auf die Antithese von Staatssozi-alismus und „Freier Welt“ anspielen und zugleich auf die historische Gleichzeitigkeit und die Konfrontation der To-talitarismen von links und rechts, von Stalinismus und Fa-schismus. Insofern ist das Bild der „Dolmetscherin“ selbst ein „Dolmetscher“ – und wahrscheinlich sogar ein spezi-fisch modernistischer. Denn seine Übersetzungsleistung ist auch eine kategoriale Vereinfachung und Vereinheit-lichung. Das Gemälde Sasnals rekurriert in einer diony-sischen und gewissermaßen paranoiden Geste der Ver-schmelzung auf eine Vielzahl historischer Milieus, deren Summe die Geschichte der ästhetischen Moderne und der Totalitarismen des 20. Jahrhunderts aufscheinen lässt.

6. Verdunkelte Zellen: Fazit und Ausblick

Ist die Lehre des Modernisme noir eine vereinheitlichend dystopische Epochenthese, die sich auf die Welt insge-samt bezieht? Oder sind die Denkaufgaben, die er auf-gibt, schwieriger und di!erenzierter? Für die retro-mo-dernistische Tendenz, die hier verhandelt wurde, bieten sich in erster Linie zwei Deutungen an. Der Modernisme noir lässt sich allerdings weder allein als eine (zeitdiag-nostische) Aussage über die Welt noch auch allein als eine (kunstpolitische) Aussage über die Kunst verstehen. Zweifellos beinhaltet der Modernisme noir umfassen-de Epochenthesen, die durchaus an geschichtsphiloso-phische Großprojekte wie die Dialektik der Aufklärung erinnern. Die Moderne insgesamt wird einseitig als die Geschichte einer Ausweitung von Terror, Herrschaft und Unterdrückung skizziert, von der ausdrücklich auch die – ihrem eigenem Verständnis nach hell leuchtende – Kunst des Modernismus nicht ausgenommen wird. Eine solche zeitdiagnostische Deutung übersieht den spezifisch mo-dernistischen, ‚selbstreflexiven’ Charakter des Modernis-me noir, bezieht sich jener doch auch auf Kunst selbst. Insofern steht der Modernisme noir im engen Zusam-menhang mit der modernistischen Logik der ‚ästheti-schen Zelle’ – der Verkapselung in den White Cube und dem Zurücktreten hinter die Ungegenständlichkeit for-malistischer Raster. Um den Zusammenhang der hier vorgestellten Werke als auch den Zusammenhang des Modernisme noir mit dem Problemhorizont des vorliegenden Aufsatzbandes

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zu akzentuieren, mag daher die folgende Zusammenfas-sung hilfreich sein: Mit dem Modernisme noir bricht eine Zelle auf, die für die Kunst des Modernismus konstitutiv und kennzeichnend war. Die Wiederkehr gesellschaftli-cher Gehalte, die neuerlich zum Thema werden, ist ein Aufbrechen jener modernistisch geschlossenen (zellför-migen) Logik institutioneller Ausstellungspraxen und ‚gegenstandsloser’ Ausdrucksformen. Der Modernisme Noir bringt insofern ostentativ das Weltverhältnis ‚rei-ner’ Formen auf den Tisch, von dem sich die ästhetische Abstraktion hilflos hatte befreien wollen.Die kunstpolitischen Konsequenzen dieser Wieder-kehr lassen sich am besten vor dem Hintergrund der zwei spannungsreich verknüpften Hauptlinien ästhe-tischer Moderne begreifen: vor dem Hintergrund von avantgardistisch institutionskritischer Überschreitung einerseits und modernistisch zellförmiger Immanenz andererseits. Mit beiden verbindet sich sowohl ein unabgegoltener Gehalt als auch ein Problem: In avantgardistischer Über-schreitung (vom orgiastischen Happening bis zum ins-titutionskritischen Rollenspiel des Künstlers als Sozial-arbeiter) wurden immer wieder formale und reflexive Standards geopfert, während die avantgardistische Kritik ästhetischer Ideologie dennoch stichhaltig war. Umgekehrt wurden die impliziten gesellschaftlichen und politischen Voraussetzungen der ‚abstrakten Kunst’ durch den Modernismus unterschlagen, während die gleichzeitige Wiederholung von Struktur- und Abstrak-tionsprinzipien sozialer Herrschaft die Kunst zur Kom-plizin werden ließ. Dabei vermochte jene ‚reine’ Kunst jedoch durch ästhetische Verbindlichkeit und formale Konsequenz zu überzeugen. Das ist die Aporie des Modernisme noir: Er denunziert das Selbstmissverständnis der in sich verkapselten, un-gegenständlichen Kunst, ohne jedoch anderes als Kunst werden zu können. Er wiederholt die avantgardistische Kritik, nicht aber ihre Verfahren. Man könnte seine Ges-te als eine Inversion der avantgardistischen Institutions-kritik beschreiben, die sich nunmehr auf der Ebene des modernistischen ‚Werks’ selbst vollzieht: eine Selbstde-nunziation, die das leuchtende Weiß des Ausstellungs-würfels und die bunten Raster ungegenständlicher Bilder und Raumobjekte zwar nicht verlässt, allerdings aber at-mosphärisch schwarz einfärbt.Solche invertierte Institutionskritik spricht die Kunst nicht von ihrem ideologisch kompensativen Charakter frei, findet im Möglichkeitsraum der Kunst aber auch kei-ne Antwortstrategien, die noch in der Lage wären, sinn-voll in die Welt hinaus zu wirken. Der Modernisme noir

beharrt auf dem Weltbezug der Kunst und stellt zugleich die Widersprüche politischer Kunst heraus, indem er die avantgardistischen Impulse des Modernismus gegen die-sen selbst wendet, ohne sich vom Modernismus insge-samt zu verabschieden. Er kommt aus den Zellen des Mo-dernismus letztlich nicht hinaus.

* Für wertvolle Hinweise zu diesem notwendig skizzenhaften, expo-séartigen Essay danken wir Christoph Bertsch, Benjamin Buchloh, Preston Scott Cohen, Lilo Ernst, Georg Imdahl, Frank Fehrenbach, Werner Oechslin, Carina Plath, Raphael Rosenberg, und unseren Studierenden in Amsterdam, Heidelberg und Münster, insbesondere Tom Retter und Andreas Daniel Kopietz.

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1 Gregor Schneider: Tortura bianca (dettaglio), K21 Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen, Düsseldorf 2007. Foto: Achim Kukulies © Gregor Schneider / VG Bild-Kunst, Bonn 2007 Gregor Schneider: Weisse Folter (Detail), K21 Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen, Düsseldorf 2007. Foto: Achim Kukulies © Gregor Schneider / VG Bild-Kunst, Bonn 2007

2 Santiago Sierra: “3 Cubes of 100 cm on Each Side Moved 700 cm” (Kunsthalle Sankt Gallen 2002) referenza immagine: Schneider, Eckhard (2004): Minimal als Camouflage, in: idem (ed.): Santiago Sierra. 300 Tons and Previous Works, Köln: Walther König, pag. 81 centro Santiago Sierra: „3 Cubes of 100 cm on Each Side Moved 700 cm“ (Kunsthalle Sankt Gallen 2002) Abbildungsnachweis: Schneider, Eckhard (2004): Minimal als Camouflage, in: ders. (Hg.): Santiago Sierra. 300 Tons and Previous Works, Köln: Wal-ther König, S. 81 Mitte

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3 “8 Menschen, die bezahlt wurden, um in Pappkartons auszuharren” referenza immagine: Schneider, Eckhard (2004): Minimal als Camouflage, in: idem. (ed.): Santiago Sierra. 300 Tons and Previous Works, Köln: Walther König. pag. 122 in alto.

„8 Menschen, die bezahlt wurden, um in Pappkartons auszuharren“, Abbildungsnachweis: Schneider, Eckhard (2004): Minimal als Camouflage, in: ders. (Hg.): Santiago Sierra. 300 Tons and Previous Works, Köln: Walther König. S. 122 oben.

4 Rudolf Bonvie: “Le CAC 40 et la guerre” (2003), figura tratta da: www.bonvie.info. © Rudolf Bonvie / VG Bild-Kunst, Bonn 2007 BONVIES GALERIE (Priska Pasquer, Köln)

Rudolf Bonvie: „Le CAC 40 et la guerre“ (2003), Abbildung aus: www.bonvie.info. © Rudolf Bonvie / VG Bild-Kunst, Bonn 2007

5 Wilhelm Sasnal, “Senza titolo. (Translator.)”, olio su tela, 40x30 cm, Sammlung Boros Berlin, 2003. referenza immagine: Adriani, Götz (2004) (ed.): Opere dalla collezione Boros. Catalogo della mostra nel Museum für Neue Kunst/ZKM Karlsruhe 2004, ed. da Götz Adriani, Ostfildern-Ruit: Hatje, pag. 285

Wilhelm Sasnal, „Ohne Titel. (Translator.)“, Öl auf Leinwand, 40 x 30 cm, Sammlung Boros Berlin, 2003. Abbildungsnachweis: Adriani, Götz (2004) (Hg.): Werke aus der Sammlung Boros. Katalog zur Ausstellung im Museum für Neue Kunst/ZKM Karlsruhe 2004, hrsg. von Götz Adriani, Ostfildern-Ruit: Hatje, S. 285