Gloria in Excelsis. La Natività nell’arte

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Gloria in Excelsis La Natività nell’arte. Percorso storico-artistico. Centro storico di Pesche (IS) - 7 dicembre 2012 – 8 gennaio 2013

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Gloria in ExcelsisLa Natività nell’arte. Percorso storico-artistico.

Centro storico di Pesche (IS) - 7 dicembre 2012 – 8 gennaio 2013

Percorso iconografico sul tema della NativitàA cura di Tommaso Evangelista Centro storico di Pesche (IS)7 dicembre 2012 – 8 gennaio 2013

Nell’ambito della manifestazione “I Presepi nel Presepe” XIII Edizione

Realizzata da:Pro-Loco di PescheComune di Pesche

Col Patrocinio diRegione MoliseProvincia di Isernia

Testo e selezione a cura di Tommaso EvangelistaProgetto grafico a cura di Luca Pop

In copertina: Giotto, Natività, 1303-05. Affresco, Padova, Cappella degli Scrovegni.

Regione Molise Provincia di Isernia I Presepi nel PresepeComune di Pesche Gloria in ExcelsisLa Natività nell’arte. Percorso storico-artistico.

Centro storico di Pesche (IS) - 7 dicembre 2012 – 8 gennaio 2013

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Un percorso è sempre una modalità originale per fruire di un luogo poiché evitando itinerari direzionali prestabiliti propone ipotesi di interazione. Pur nell’organizzazione, infatti, la visita rimane sempre libera al punto tale che il fruitore può decidere le modalità del cammino facendo del cammino stesso un’esperienza. Nei precedenti due anni abbiamo vissuto queste interferenze visive nel cuore del paese come spunti per riflettere su temi legati al Presepe, l’idea di famiglia e il concetto di viaggio, attraverso gli occhi di artisti molisani contemporanei che, con le loro opere riprodotte, davano nuova luce a sensi e concetti ben più antichi. Quest’anno l’idea cambia ma rimane invariata la modalità di fruizione che ha reso il centro storico di Pesche una vera galleria all’aperto arricchita da luci, colori, suoni, presepi e soprattutto da un mondo di idee in divenire capaci di lasciare un segno anche nell’occhio più distratto. Quest’anno il percorso vuole essere di carattere storico-didattico in quanto propone una selezione di immagini della Natività tratte dalla storia dell’arte. Opere capitali del genio

artistico dell’uomo arricchiscono vicoli e strade rendendo le mura pagine vive e veri e propri manuali. I capolavori dialogano con i presepi, dai più piccoli e semplici ai più complessi, e soprattutto raccontano una millenaria storia di arte e di fede legata ad uno degli episodi più importanti della Cristianità, la nascita del Salvatore. Dall’arte paleocristiana alla raffinatezza dell’arte gotica, dalla perfezione e la norma del Rinascimento all’esuberanza barocca, fino ad arrivare ai nostri giorni, i dipinti proposti sui pannelli svelano il cammino iconografico di un’immagine attraverso l’infinità varietà delle forme elaborate dagli artisti. Un’arma preziosa contro i segni dei tempi che vorrebbero un’arte aniconica e fortemente nichilista, quanto non esplicitamente anticristiana.

L’arte e la cultura contribuiscono in maniera determinante allo sviluppo sociale ed economico di un territorio.Ecco perché mi è particolarmente gradito introdurre questa brochure dedicata alla XXIII edizione della mostra concorso I PRESEPI NEL PRESEPE .Quale Sindaco, mi sento orgoglioso di poter ospitare questa rassegna nel magico scenario offerto dalle vie del centro storico di Pesche e l’occasione mi è gradita per porgere i migliori auguri all’iniziativa “Gloria in excelsis- La Natività dell’ Arte”, che si propone di tener viva e di arricchire una tradizione antica, la Sacra Rappresentazione della Natività. Una proposta , appunto, attraverso la quale la cristianità celebra l’avvento di una nuova era, invitando TUTTI ad un dialogo personale, intellettuale ed emotivo con l’ arte del passato.

PrefazioneIdo De VincenziSindaco di Pesche

PrefazioneTommaso EvangelistaStorico dell’arte

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La nascita di Dio come uomo è l’evento centrale nella storia dell’umanità poiché segna l’inizio della salvezza e della redenzione. L’incarnazione di Dio nella persona di suo Figlio è un avvenimento tanto significativo che nel corso dei secoli è stato lungamente discusso, interpretato e quindi rappresentato. Si può dire che l’arte è intimamente connessa col dogma dell’Incarnazione in quanto è stata l’umanità di Cristo, e la possibilità di raffigurarlo come uomo concreto e tangibile, a dare corpo alla pittura la quale oltre che Biblia Pauperum diventa anche scuola teologica. San Giovanni Damasceno affermava «un tempo Dio, non avendo né corpo né figura, non poteva in alcun modo essere rappresentato da una immagine. Ma ora che si è fatto vedere nella carne e che ha vissuto con gli uomini, posso fare una immagine di ciò che ho visto di Dio». La nascita è un mostrarsi e vuole un’arte che rappresenti il corpo e la carne, ovvero che dia testimonianza e porti alla contemplazione. L’evento della natività è tra le scene più raffigurate della storia dell’arte, e tra le più antiche, proprio perché si sofferma sul mistero della duplice natura di Cristo, umana e divina, sull’ingresso di Dio nella Storia come un piccolo e indifeso bambino.

La vicenda e le fonti.

Nei Vangeli solo Luca e Matteo narrano la nascita di Gesù, avvenuta al tempo della grande pace Augustea, mentre Giovanni tratta l’evento da un punto di vista più prettamente teologico «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). Dal testo di Luca ci giunge l’informazione della sistemazione del Bambino nella mangiatoia per mancanza di alloggio e dell’arrivo dei pastori guidati dagli angeli; nel testo di Matteo l’episodio è collegato all’arrivo e all’adorazione dei Magi. Gli altri elementi familiari dell’iconografia furono invece tratti da testi apocrifi successivi dove la vicenda veniva arricchita di particolari, aspetti miracolistici e suggestive descrizioni. In particolare si segnala il Protovangelo di Giacomo (II secolo), il Vangelo arabo dell’Infanzia (VIII-IX secolo) e il Vangelo dello pseudo-Matteo (IX secolo). La mancanza di ulteriori particolari narrativi nei Vangeli porta a ricercare dettagli in altri testi quali la Legenda Aurea di Jacopo da Varagine e le Meditazioni dello Pseudo Bonaventura. Tra il V e il VIII secolo quindi i testi apocrifi ebbero una grande influenza nella formazione del ciclo della natività, tanto da finire con

l’essere recepiti dagli stessi Padri della Chiesa, come dimostrano i passi di Ambrogio e Prudenzio. A partire dal XIV secolo molti elementi vengono sostituiti dalle Rivelazioni di santa Brigida di Svezia che visita Betlemme nel 1370 e discute nei suoi testi la visione della Vergine adorante.

La prima raffigurazione.

La più antica raffigurazione della Natività è quella che compare in un arcosolio delle catacombe di Santa Priscilla a Roma, risalente al II secolo (Fig.1). Nell’immagine la Vergine è seduta con il Bambino in braccio mentre la figura accanto è il profeta Balaam che indica la stella, in riferimento ad un passo delle Scritture che recita «Una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele» (Nm 24,17). Nelle catacombe di San Sebastiano, sempre a Roma, troviamo invece già una raffigurazione di Gesù posto in una cassa di legno e adorato da due animali ma senza altre figure pertanto l’immagine più che richiamare alla Natività riprende il celebre passo di Isaia: «ecco la vergine concepirà e partorirà un figlio» (Is 7,14).

Maria e Giuseppe.

San Giuseppe e la sua Sposa sono, naturalmente, insieme al Bambino, le figure principali dell’iconografia della Natività anche se nel corso dei secoli hanno assunto ruoli e posizioni differenti nella scena. Sul coperchio di alcuni sarcofagi del IV secolo l’immagine essenziale di Gesù con i due animali può essere affiancata da uno o due pastori con la corta tunica romana legata in vita, il capo scoperto e il bastone curvo in cima, o anche da un profeta con un rotolo di pergamena. Maria, seduta su una pietra in disparte, appare solo se la scena è unita a quella dell’adorazione dei Magi e così pure la stella. Dal V secolo il profeta, e spesso anche il pastore, scompaiono per lasciare posto a Giuseppe seduto su un sasso dal lato opposto a Maria; è con il VI secolo che Maria diventa il secondo punto focale della composizione. La vera e propria rappresentazione della Natività compare molto tardi nell’arte cristiana: è il concilio di Efeso del 431 che, proclamando la divina maternità di Maria (Theotokos “Colei che ha generato Dio”), dà inizio alla rappresentazione di questo tema. Fondamentale per il suo sviluppo è stata anche l’istituzione della festa

Percorsi iconografici sulla Natività.

Fig. 1 Natività, II secolo

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del Natale il 25 dicembre, menzionata per la prima volta nella redazione della Depositio martyrum del 335, separandola dall’Epifania, e la costruzione nel 435, per volere di papa Sisto III, nella chiesa di Santa Maria Maggiore a Roma, di una cappella contenente le assicelle della mangiatoia e per questo detta “Sancta Maria ad Praesepe”. In seguito la rappresentazione del presepe a Greccio per volere di San Francesco nel 1223 ne portò ovunque la diffusione. Nel 1289 Arnolfo Di Cambio ha così modo di realizzare il primo presepe tridimensionale, comprendente otto statue, proprio per la chiesa di Santa Maria Maggiore a Roma (Fig. 2). In genere partendo dall’arte paleocristiana che raffigura tale tema con tipi già esistenti nella tradizione greco-romana, l’iconografia prevede: Maria adagiata su un fianco, con la testa velata e avvolta con un manto, distesa come una puerpera secondo iconografie di stampo classico ma in riferimento anche alla devozione popolare; Gesù come un putto fasciato deposto sulla mangiatoia vicino alla madre, su cui si affacciano il bue e l’asino adoranti; Giuseppe, un vecchio con una lunga barba e un’ampia toga raccolta su un braccio, che siede da un lato in atteggiamento meditativo e riflessivo, mentre dall’altro l’angelo in

forma di vittoria alata appare ai pastori; in basso di solito si trovano due levatrici che preparano il bagno a Gesù (Fig. 3). Tale formula arriva almeno fino agli inizi del Quattrocento quando viene introdotta l’immagine di Maria adorante inginocchiata per terra mentre perdura ancora oggi nelle icone bizantine, mutuando il modello da una celebre tavola di Rublev. In tutte le adorazione dei Magi anteriori alla Controriforma il ruolo di Giuseppe è decisamente defilato, essendo incentrata la scena su Maria e il Bambino; dal Cinquecento in poi anche la sua figura viene riscoperta e considerata in un atteggiamento maggiormente attivo.

La levatrice incredula.

Il protovangelo di Giacomo include un episodio marginale che ha una certa fortuna in area nordica. Per aiutare Maria nel parto, Giuseppe va a cercare una levatrice che tuttavia arriva quando Gesù è ormai nato. La levatrice si accorge della verginità di Maria, e leva un inno alla nascita prodigiosa del Salvatore. Corre poi a chiamare un’amica, Salomè, che non vuole per nulla credere all’evento e alla verginità, e mentre è in

cammino per la grotta continua ad affermare «Com’è vero Dio, se non ci avrò messo il dito e scrutato la sua natura, non crederò». Giunta alla grotta protende la mano verso Maria ma la mano immediatamente si secca e si paralizza; solo allora la donna implora il perdono e sarà guarita dopo aver preso in braccio il Bambino.

Adorazione dei pastori.

L’episodio è narrato nel Vangelo di Luca che sottolinea il momento notturno; tale dettaglio costituisce un’eccezione per la pittura sacra che, almeno fino alla fine del Cinquecento, è prevalentemente ambientata nella luce diurna. Un improvviso bagliore, che sgomenta i pastori, segnala l’arrivo dell’angelo. Luca parla al singolare e solo in seguito aggiunge «una moltitudine della milizia celeste». L’angelo annuncia ai pastori una «grande gioia» e segue il celebre Gloria in excelsis Deo, pronunciato da tutta la moltitudine, anche se non è specificato se si tratti di un coro musicale come spesso viene raffigurato. Gli angeli si limitano ad indicare agli uomini un “segno”: il Bambino avvolto in fasce, adagiato nella mangiatoia.

I pastori allora si incamminano verso Betlemme fino a trovare il luogo; dopo aver visto il Salvatore diffondono a tutti la lieta notizia «glorificando e lodando Dio». I momenti raffigurati, quindi, sono diversi ma di solito sono presentati insieme: sullo sfondo, in piccolo, l’annuncio dell’angelo e in primo piano la scoperta del Bambino. I pastori possono avere abiti e atteggiamenti simili a quelli dei pellegrini, come nel dipinto di Giorgione dove però sono senza greggi o cornamuse, oppure sono genuine figure popolari, come nell’opera di Murillo. Portano di solito degli animali come doni, in legame con i Magi dai quali riprendono anche il numero, e nell’opera di El Greco l’agnello con le zampe legate è la figura chiave in quanto simbolo di Gesù che si offre come vittima sacrificale. Alcuni artisti sottolineano, con rari effetti luministici, l’ambientazione notturna come si vede nell’opera di Geertgen tot Sint Jans, di Correggio o di Rembrandt: in questi casi è il Bambino la vera fonte luminosa della scena e la sua luce è naturalmente quella divina che apre le tenebre, rischiara gli animi e allontana le paure (Fig. 4).

Fig. 4 Gerard van Honthorst, Adorazione dei pastori, 1622Fig. 3 Rublev, Icona della Natività, 1415

Fig. 2 Arnolfo di Cambio, Presepe di Santa Maria Mag-giore, 1289

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Adorazione dei Magi.

Un tema a sé stante, che ha conosciuto una complessa evoluzione iconografica, è l’adorazione dei Magi. La tradizione dice che le loro reliquie furono portate a Sant’Eustorgio, Milano, rubate dal Barbarossa nel 1164 e portate a Colonia, dove sono molto venerate. Le prime rappresentazioni sono molto semplici e vogliono sottolineare il carattere simbolico del viaggio dei Magi verso il Bambino; infatti comprendono solo la Madonna con il Bambino e i Magi. Gesù è un bambino di circa due anni, in piedi, vestito con una corta tunica, in atto di benedire o stendere le mani verso i presenti; a destra si pone la Madonna e talvolta c’è anche Giuseppe come nell’Ara di Ratchis di Cividale del Friuli. Nei primi secoli i Magi sono imberbi e hanno tutti e tre la stessa andatura veloce; sono vestiti con una corta tunica, un mantello ondeggiante, i pantaloni aderenti e il berretto frigio. Recano le offerte su un semplice piatto e le mani sono coperte da un lembo del mantello, segno di purezza e di rispetto secondo il cerimoniale imperiale romano. Al XV secolo si fa risalire la tendenza a fissare il colore degli

abiti, avendo ogni colore un significato particolare, ma molti altri sono gli elementi simbolici nel racconto dei Magi. Fra essi la stella è sicuramente il principale e appare fin dal III secolo. La stella può avere la forma di un fiore, un rosone o un cerchio luminoso, ma può essere sostituita dalla testa di un cherubino o da un angelo in volo; a volte è il Bambino stesso a guidare i Magi o la mano divina. Il vangelo di Matteo non precisa quanti siano i Magi e il numero tre è fissato da Leone Magno nel V secolo: è il numero divino per eccellenza ed è scelto in funzione dei doni, che hanno un significato simbolico, così come illustrato già alla fine del II secolo da sant’Ireneo. L’oro è inteso come un tributo alla regalità di Gesù, l’incenso è simbolo di devozione, preghiera e sacerdozio; la mirra, un’erba medicinale usata nell’imbalsamazione, simboleggia l’umanità fisica e corporea di Gesù destinato a morire ed essere sepolto. Fin dal IV secolo è rappresentato un Magio inginocchiato, ma è solo alla fine del XIII secolo che si diffonde tale raffigurazione e diventa classica l’immagine del primo Magio, il più anziano, inginocchiato, a capo scoperto in atto di deporre simbolicamente la corona ai piedi del Bambino, e del secondo che indica la stella al terzo. A partire da questo

momento si parla di “Adorazione dei Magi”. Una delle innovazioni più importanti è la comparsa del Re dalla pelle scura in un’opera di Mantegna del 1464, con riferimento ai Padri della Chiesa che vedevano nei tre Re i discendenti dei tre figli di Noè: Sem, Cam e Jafet; dal XV secolo in poi diventano, quindi, immagine dei tre continenti allora conosciuti: Melchiorre rappresenta l’Europa, Baldassarre l’Asia e Gaspare l’Africa. Già dall’XI secolo invece i Magi apparivano nell’iconografia come Re per la lettura di alcuni testi biblici menzionati dai Padri; Tertulliano è il primo a chiamarli “Re” accostando al testo di Matteo il Salmo 72: «I re di Tarsis e delle isole porteranno offerte; i re degli Arabi e di Saba offriranno tributi. A lui tutti i re si prostreranno, lo serviranno tutte le nazioni» (Fig. 5).

La grotta e la mangiatoia.

Luca non parla esplicitamente del luogo della nascita ma scrivendo di una mangiatoia in cui viene deposto il Bambino lascia intendere che possa trattarsi di una stalla o una tettoia per gli animali. Nell’apocrifo pseudo-Matteo invece si parla in modo molto esplicito di una grotta, e vengono aggiunti alla scena l’asino e

il bue. Dal XII secolo si precisa lo scenario dietro i personaggi: all’inizio c’è la roccia o la grotta, simbolo del legame tra cielo e terra che, pur restando in alcune rappresentazioni fino al Medioevo, viene generalmente sostituita da una specie di architettura. Tale architettura può essere sia una tettoia o un portico, come nei dipinti gotici, o una struttura in legno incassata nella montagna come quella di Giotto agli Scrovegni o un semplice spiovente in stato di abbandono con grossi buchi nella paglia che lo ricopre, come si può vedere fino al XV secolo. La grotta è ripresa invece ai giorni nostri da Rodolfo Papa il quale nell’opera introduce un esplicito rimando all’Eucarestia con l’inserimento di una cesta di pani, anche in legame col nome di Betlemme che significa appunto “Casa del pane” (Fig. 6). Gli artisti fecero a volte della mangiatoia una piccola costruzione simile a una versione ridotta della Chiesa della natività di Betlemme: una pianta a tre navate con una cappella ottagonale in corrispondenza dell’abside. La costruzione diviene poi sempre più complessa e talvolta un pavone, simbolo di immortalità, è appollaiato sul tetto. Le rovine o le ali di muro sbrecciate compaiono nei quadri alla fine del XV secolo: secondo i Padri della Chiesa le

Fig. 6 Rodolfo Papa, Natività, 2012Fig. 5 Gentile da Fabriano, Adorazione dei Magi, part., 1425

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rovine, presenti poi in molti presepi napoletani, sono il simbolo del vecchio mondo che crolla all’avvento di quello nuovo, segnato dalla nascita di Cristo. Dal XVIII secolo si perde il calore devozionale per lasciare spazio al sentimentalismo. Con l’800 infine l’attenzione si sposta sulla fedeltà ambientale e sulla veridicità dei costumi più che sull’accentuazione del valore religioso. La mangiatoia, menzionata da Luca stesso come segno per riconoscere il Bambino, viene sostituita spesso con un tavolo, una cassa o una cesta di vimini. L’origine di quest’ultima è forse riconducibile al racconto del ritrovamento di Mosè in una cesta sulle acque, mentre nella variante del tavolo, solitamente coperto da un drappo, probabilmente è da vedere un altare, come a Chartres o a Klosterneuburg, secondo quanto suggeriscono alcuni passi di Gregorio di Nissa, Giovanni Crisostomo e Ambrogio, che definiscono la mangiatoia «un altare simbolico» e Cristo come il «pane vivente». La mangiatoia, in riferimento all’antico e come simbolo di vittoria sul mondo pagano, in relazione anche al sacrificio e alla morte, può essere sostituita da un sarcofago classico, come nel caso del Ghirlandaio. Dal Quattrocento in poi, in seguito alle Rivelazioni di Santa Brigida, il Bambino

può venir raffigurato non deposto in una mangiatoia bensì disteso sulla nuda terra, come osserviamo in Piero della Francesca, Giorgione e Hugo Van Der Goes. A volte la Vergine, inginocchiata, adora da sola il Figlio ma lo scopo di tale immagine non è tanto quello di raccontare bensì di invitare i fedeli alla contemplazione e alla meditazione di fronte al mistero della Nascita.

Il bue e l’asino.

Il bue e l’asino pur non essendo menzionati né da Luca, né da Matteo, sono sempre rappresentati nelle scene della natività facendo riferimento al testo apocrifo dello pseudo-Matteo e a un trattato scritto da Origene intorno al 220, in cui l’autore rimanda alla profezia di Isaia 1,3: «Il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende». La frase è stata letta in chiave simbolica come profezia del rifiuto degli ebrei nel riconoscere in Gesù il Messia. Tale passo è quindi un’allegoria della contrapposizione tra il bue e l’asino dietro cui si nascondono le dottrine

dell’ebraismo (il bue) e del paganesimo (l’asino). Gli animali, però, possono rappresentare anche l’Antico Testamento (l’asino) contrapposto al Nuovo (il bue) come affermato da San Girolamo oppure simboleggiare il sole e la luna. In pittura mentre il bue solitamente manifesta un atteggiamento di riverenza e attenzione nei confronti del Bambino, l’asino appare distratto e può ragliare (Fig. 7).

La stella cometa.

Già nell’antichità i pareri dei cristiani erano discordi, anche perché le opinioni dei filosofi sulla natura dei corpi celesti erano confuse. Secondo il filosofo ebreo Filone di Alessandria e prima di lui Platone e gli Stoici, le stelle «sono creature viventi, ma di un genere interamente spirituale». Perfino Aristotele espresse giudizi contraddittori sull’argomento. L’identificazione delle stelle con gli angeli traspare in molti testi biblici o della letteratura giudaica. Perciò diversi padri della chiesa, fra cui Giovanni Crisostomo, non videro alcuna contraddizione nel fatto che una stella, cioè un angelo, scendesse in terra a guidare i Magi sino alla stalla di Gesù, secondo la narrazione

popolare. Una linea di pensiero completamente diversa compare in Origene, che sostenne che dovesse trattarsi di un evento naturale e non miracoloso. San Gerolamo, poi, combatté l’idea che le stelle potessero essere angeli e finalmente nel 553 il secondo concilio di Costantinopoli escluse tassativamente che i pianeti o le stelle potessero avere un’anima. La maggior parte degli esegeti antichi, quindi, interpretarono la stella come un fenomeno celeste inanimato, naturale o portentoso, ma senza identificarlo con una cometa. Nell’iconografia cristiana antica, infatti, la stella non è mai rappresentata con la coda. L’esempio più antico è un affresco delle Catacombe di Priscilla. La comune rappresentazione a forma di cometa e la dicitura “stella cometa” risalgono al fatto che Giotto, impressionato dal passaggio della Cometa di Halley nel 1301, la disegnò appunto come una cometa dalla lunga coda nella Cappella degli Scrovegni a Padova. A partire dal XV secolo il particolare ha avuto una straordinaria fortuna artistica nelle rappresentazioni della natività e del presepe. La coda risponde al desiderio di rappresentare un oggetto celeste che indichi una direzione, in accordo con la lettura popolare del testo evangelico (Fig. 8).

Fig. 8 Giotto, Natività, part., 1305Fig. 7 Beato Angelico, Natività, part., 1445

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Il presepe.

Il presepe (o presepio) è una rappresentazione plastica e tridimensionale della nascita di Gesù, derivata da tradizioni medievali. Il termine viene dal latino praesaepe, cioè greppia, mangiatoia. Nella storia dell’arte dal XVII secolo il presepe inizia a diffondersi nelle case dei nobili sotto forma di “soprammobili” o di vere e proprie cappelle in miniatura anche grazie all’invito del papa durante il Concilio di Trento poiché ammirava la sua capacità di trasmettere la fede in modo semplice e vicino al sentire popolare. Il grande sviluppo dei presepi scolpiti si ebbe nel Settecento quando si formarono le grandi tradizioni presepistiche: quella del presepe napoletano, quella del presepe genovese e quella del presepe bolognese. Nel XVIII secolo, addirittura, a Napoli si scatenò una vera e propria competizione fra famiglie su chi possedeva il presepe più bello e sfarzoso: i nobili impegnavano per la loro realizzazione intere camere dei loro appartamenti ricoprendo le statue di capi finissimi, di tessuti pregiati e scintillanti gioielli autentici. Sopratutto il Settecento è il secolo in cui si diffusero i presepi nelle chiese mentre solo fra la

fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento il presepe arriverà anche negli appartamenti dei borghesi e del popolo, ovviamente in maniera meno appariscente, resistendo fino ai giorni nostri. Se guardiamo all’iconografia il presepe napoletano aggiunge alla scena molti personaggi popolari e case e luoghi tipici dei borghi agricoli, tutti elementi palesemente anacronistici. Questa è comunque una caratteristica di tutta l’arte sacra che, almeno fino al XX secolo, ha sempre rappresentato gli episodi della vita di Cristo con costumi ed ambientazioni contemporanee all’epoca di realizzazione dell’opera. Tali personaggi sono spesso funzionali alla simbologia ed hanno, in particolare in quello napoletano, una tradizione specifica. Ad esempio il male è rappresentato nell’osteria e nei suoi avventori, mentre il personaggio di Ciccibacco, che porta il vino in un carretto con le botti, impersona il Diavolo ed è posto sempre su un ponte. Il pastorello dormiente (Fig. 9), detto Benino, simboleggia la rinascita a nuova vita col risveglio, passaggio dalla religione pagana a quella cristiana, mentre il pastore con braccia aperte e cappello in mano, detto Niniello lo sbantuso, è il meravigliato posto nel punto più alto verso la stella e

poi posto a Natale davanti alla grotta. La lavandaia o levatrice era una figura legata alla Vergine e derivata dalla tradizione medievale, che rimanda al concetto di purificazione come la costante presenza di un fiume. Stefania è una giovane vergine che, quando nacque il Redentore, si incamminò verso la Natività per adorarlo. Bloccata dagli angeli che vietavano alle donne non sposate di visitare la Madonna, Stefania prese una pietra, l’avvolse nelle fasce, si finse madre e, ingannando gli angeli, riuscì ad arrivare al cospetto di Gesù il giorno successivo. Alla presenza di Maria, si compì un miracoloso prodigio: la pietra starnutì e divenne bambino, Santo Stefano, il cui compleanno si festeggia il 26 dicembre. Ma nel presepe tra i tanti ruoli troviamo anche il bottigliaro, la moccaturara (venditrice di fazzoletti), il pescatore (in riferimento a Cristo pescatore di anime), la popolana, la zingara (figura profetica), i due compari (zi’ Vicienzo e zi’ Pascale, sono la personificazione del Carnevale e della Morte), il monaco (figura tra sacro e profano), i musici, gli zampognari (di solito abruzzesi e molisani) e una vasta serie di animali comuni ed esotici. Tra gli animali si evidenziano oltre all’asino e al bue il cavallo e il cammello, simboli del viaggio del corteo dei Magi,

la scimmia, allusione al mondo esotico, l’agnello, simbolo del futuro sacrificio di Cristo, il pavone, di solito posto sulla grotta e simbolo di rinascita spirituale e resurrezione. Il mendicante, il deforme, il nano, il guercio ed altre figure simili facevano parte delle cosiddette “anime pezzentelle” e raffiguravano le anime purganti mentre figure come l’oste, il macellaio, la meretrice, l’ubriaco erano personificazioni del maligno e del peccato (Fig. 10). Il corteo dei Magi è spesso un corteo sfarzoso con echi orientaleggianti: l’origine di tale moda risale al 1741 quando un’ambasciata turca sfilò per le strade di Napoli col suo seguito di suonatori, odalische e servitori nei pittoreschi costumi orientali. Anche i luoghi avevano un preciso significato in relazione alla futura vicenda di Cristo e a particolari valenze profetiche: il pozzo, la fontana, il mulino, il fiume, la taverna, il castello, le rovine di templi classici in riferimento al trionfo sul paganesimo, la grotta posta sempre in basso. Tutta questa complessa struttura scenografica veniva e viene tuttora chiamata comunemente “scoglio”. E’ una sorta di sperone roccioso, generalmente di sughero o di legno, che, a seconda delle dimensioni, può ospitare la scena del Mistero (o Natività) o costituire la base

Fig. 9 Benino, figura settecentescain terracotta Fig. 10 Scene popolari, Real presepe di Caserta, part., 1740 ca.

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per tutto il paesaggio presepiale dove scorrono fiumi e si stendono vallate con case, capanne e personaggi (Fig. 11). La lettura del presepe napoletano in chiave simbolica ci aiuta a chiudere questo ideale percorso nell’iconografia della natività mostrando come ciò che si vede nasconda significati ben più profondi e complessi che hanno radici profonde nella nostra storia. L’arte ha il pregio non solo di mostrare ma di scavare anche sulla superficie delle immagini per raccontarci una millenaria storia fatta di fede e devozione. Solo attraverso la riscoperta del Bello e del Buono, intesi come Trascendentali ineliminabili quando ci si riferisce all’arte sacra autentica, si riuscirà finalmente a rivedere l’arte come suprema forma di conoscenza ed arricchimento morale e spirituale.

Tommaso Evangelista

Fig. 11 Presepe napoletano settecentesco

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• Natività con profeta, II secolo. Roma, Catacombe di Santa Priscilla.

• Giotto, Natività, 1303-05. Affresco, Padova, Cappella degli Scrovegni.

• Duccio di Buoninsegna, Natività da La Maestà, 1308. Tempera su tavola, Washington, National Gallery of Art.

• Maestro di Hohenfurth, Natività, 1350. Tempera su tavola, Praga, Narodni Galerie.

• Gentile da Fabriano, Adorazione dei Magi, 1423. Tempera, argento e oro su tavola, Firenze, Galleria degli Uffizi.

• Piero della Francesca, Natività, 1470-75. Olio su tavola, Londra, National Gallery.

• Botticelli, Adorazione dei Magi, 1475. Tempera su tavola, Firenze, Galleria degli Uffizi.

• Hugo van der Goes, Adorazione dei pastori dal Trittico Portinari, 1477-79. Olio su tavola, Firenze, Galleria degli Uffizi.

• Geertgen tot Sint Jans, Natività, 1480-85. Olio su tavola, Londra, National Gallery.

• Leonardo Da Vinci, Adorazione dei Magi, 1481-83. Olio su tavola, Firenze, Galleria degli Uffizi.

• Domenico Ghirlandaio, Adorazione dei pastori, 1485. Tempera su tavola, Firenze, Chiesa di

Santa Trinità, Cappella Sassetti.• Ercole de Roberti, Natività, 1490. Olio su

tavola, Londra, National Gallery.• Giorgione, Adorazione dei pastori detta anche

Natività Allendale, 1500-05. Olio su tavola, Londra, National Gallery.

• Jan Grossaert detto Mabuse, Adorazione dei Magi, 1510-15. Olio su tavola, Londra, National Gallery.

• Correggio, Adorazione dei pastori detta anche La notte santa, 1525-30. Olio su tavola, Dresda, Gemaldegalerie.

• Jan Brueghel il Vecchio, Adorazione dei Magi, 1598. Olio su tela, Londra, National Gallery.

• Peter Paul Rubens, Adorazione dei Magi, 1609. Olio su tela, Madrid, Museo del Prado.

• El Greco, Adorazione dei Pastori, 1612. Olio su tela, Madrid, Museo del Prado.

• Murillo, Adorazione dei Pastori, 1630. Olio su tela, Londra, National Gallery.

• Rembrandt, Adorazione dei Pastori, 1646. Olio su tela, Londra, National Gallery.

• Rodolfo Papa, Natività, 2012. Olio su tela, Karaganda, Cattedrale della Beata Vergine Maria di Fatima.

Opere in percorso,in ordine cronologico.

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