Dallo stilo allo stile - LES NOMS DU STYLE

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BIBLIOTHÈQUE D’ÉTUDES CLASSIQUES dirigée par J. DANGEL - P.-M. MARTIN 57 LES NOMS DU STYLE Dans l’antiquité Gréco-Latine Textes présentés et édités par Pierre CHIRON et Carlos LÉVY ÉDITIONS PEETERS LOUVAIN – PARIS – WALPOLE, MA 2010

Transcript of Dallo stilo allo stile - LES NOMS DU STYLE

BIBLIOTHÈQUE D’ÉTUDES CLASSIQUESdirigée par J. DANGEL - P.-M. MARTIN

57

LES NOMS DU STYLE

Dans l’antiquité Gréco-Latine

Textes présentés et éditéspar

Pierre CHIRON et Carlos LÉVY

ÉDITIONS PEETERSLOUVAIN – PARIS – WALPOLE, MA

2010

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TABLE DES MATIÈRES

AVANT-PROPOS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1

PREMIÈRE PARTIE

Lo stile semplice di Tirteopar Maria NOUSSIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11

Les styles poétiques sans dénomination à Rome∞∞∞: analogie et métaphore à l’œuvre

par Jacqueline DANGEL . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25

DEUXIÈME PARTIE

Note sur ärmonía et summetríapar Michel CASEVITZ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51

Oratio, de la parole au stylepar Laurent GAVOILLE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57

TROISIÈME PARTIE

Les noms du style chez le Ps.-Démétrios de Phalère∞∞∞: collection ou système∞∞∞?

par Pierre CHIRON . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71La polémique cicéronienne contre Atticistes et Stoïciens autour

de la santé du stylepar Sophie AUBERT . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87

L’austera suavitas de l’orateur (Cic. de Or. 3,103)par Lucia CALBOLI MONTEFUSCO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113

Dallo stilo allo stile. A proposito di Cicerone, De Or. 1, 150par Maria Silvana CELENTANO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131

Cicéron et la catégorie stylistique de l’ethikonpar Charles GUÉRIN . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 143

Venustas chez Cicéronpar Carlos LÉVY . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 165

La teoria dello stile in Dionigi di Alicarnasso∞∞∞: il caso dell’enargeia

par Francesco BERARDI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 179

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Caractérisation et noms du style moyen selon Denys d’Halicar-nasse

par Marcos MARTINHO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 201Les noms du style dans le traité Du Sublime

par Alain BILLAULT . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 221Qu’est-ce qu’un discours évident∞∞∞? les rapports entre l’évidence

et la clarté dans l’Institution oratoirepar Juliette DROSS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 233

Athénée et le stylePar Aurélien BERRA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 253

Physiologie du style∞∞∞: la métaphore du corps dans les traités de rhétorique latins

par Sophie CONTE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 279L’expolitio comme figure de style

par Gualtiero CALBOLI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 299

QUATRIÈME PARTIE

Y a-t-il une théorie stoïcienne du style∞∞∞?par Jean-Baptiste GOURINAT . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 317

Écart dialectal / stylistique∞∞∞: à propos de Diomède, GL I 440, 5-26

par Marc BARATIN . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 347Le “∞∞∞style éthique∞∞∞” chez Aristote et Averroès

par Frédérique WOERTHER . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 357De la toile au style. Continuité et discontinuité dans l’histoire

du mot grec Àfovpar Jean LALLOT . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 371

INDEX DES TEXTES CITÉS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 395

BIBLIOGRAPHIE GÉNÉRALE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 435

TABLE des MATIÈRES . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 453

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DALLO STILO ALLO STILE. A PROPOSITO DI CICERONE,

DE OR. 1, 150

Maria Silvana CELENTANO

Dello stile i Romani hanno molto discusso, teorizzato e fornitoesempi∞∞∞: basta fare una ricerca sotto la voce stilus nei repertori lessicali,ivi comprese le banche-dati informatiche disponibili per i testi latini, e siscoprirà che le occorrenze nel significato di ’stile’ sono davvero moltonumerose.

La nostra attuale cultura mostra palesi tracce di tanto interesse da partedegli antichi riguardo allo stile, come testimoniano sia la persistenza dialcune accezioni di stile, sia l’ampliamento o l’adattamento di nuove acce-zioni che si sono aggiunte a quelle classiche.

Stile è una parola quanto mai diffusa e carica di significati nel mondocontemporaneo. Può essere usata in modo assoluto∞∞∞: si pensi ai modi didire «∞∞∞avere stile∞∞∞», «∞∞∞lo stile è tutto∞∞∞»∞∞∞; oppure può essere impiegata inconnessione con parole-simbolo della cultura di oggi, del tipo «∞∞∞stile divita∞∞∞», che rinvia ad un complesso di abitudini di vita ispirate a precettifilosofici o medici più o meno tradizionali, più o meno legati alla propriacultura o a culture diverse. Ma, nell’opinione comune, lo «∞∞∞stile∞∞∞» diqualcuno si coglie soprattutto in una presentazione originale e connota-tiva di sé nel modo di mostrarsi, di comportarsi, di interagire con altri.

In generale, e non solo limitatamente all’ambito artistico e letterario,tutto ciò che implica un atto creativo può costituire stile. Si pensi allaparola-simbolo stilisti, cioè «∞∞∞creatori di moda, dell’abbigliamento∞∞∞», maanche «∞∞∞imprenditori della moda, dell’abbigliamento∞∞∞», che ben rappre-senta il ruolo significativo assunto appunto dalla moda prima di tutto inambito produttivo, ma poi anche sociale e culturale (quello che è di modasi vende e si compra∞∞∞; distingue chi è in sintonia con il momento attuale∞∞∞;costituisce uno status symbol∞∞∞; si imita e si falsifica per permettere anchea chi non può sostenere i costi dei prodotti con marchi originali di avereun abito o un accessorio alla moda). Naturalmente ci sono ancora oggi ifortunati che possono liberamente autoescludersi dalle mode per scelta,per disprezzo, per grande autostima o narcisismo. Ma in fondo si trattadi persone che a loro volta dettano e seguono regole∞∞∞: anche lo snobismoè una moda, che si oppone alle mode.

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Se prendiamo in considerazione lo stile come il modo di parlare discrivere di comunicare, oggi possiamo riferirci con sfumature e accezionidiverse ad un atto linguistico comunque originale, creativo, ad un’e-spressione del tutto personale di uno scrittore, di un oratore. A secondadei punti di vista, la percezione di uno stile è legata alla presenza di trattidistintivi significativi rispetto ad un linguaggio comune (insomma si devepoter cogliere uno scarto tra una norma e la deviazione dalla stessa), omeglio dipende dall’interazione tra forme del contenuto e forme dell’e-spressione. Tale interazione si fonda sulla compresenza e sulla coopera-zione di un sistema linguistico e di un sistema letterario e dei codici attra-verso cui essi si esprimono.

Ma qualunque sia oggi l’ampliamento semantico assunto dal terminestile e qualunque sia la visuale da cui si può esaminare lo stile in gene-rale o uno stile in particolare, quello che vorrei sottolineare è che nellelingue moderne la parola stile – style (fr.), style (ingl.), Stil, estilo – portasu di sé la chiarissima impronta del latino stilus e ne conserva anche lostatuto di parola/figura. Infatti, come è noto, in senso proprio stilus indicalo stilo, lo strumento per scrivere1∞∞∞: è attestato fin da Plauto2. Per meto-nimia stilus è poi passato a indicare l’atto stesso dello scrivere o il mododi scrivere. E anche questa accezione è molto antica3. La genesi, per cosìdire naturale, dell’uso metonimico del termine si coglie molto bene pro-prio nel passo ciceroniano su cui vorrei soffermarmi, Cic. De Or. 1, 150– parla Crasso –∞∞∞: <stilus est> stilus optimus et praestantissimus dicendieffector ac magister, «∞∞∞lo stilo è il migliore e il più efficace creatore emaestro di eloquenza∞∞∞»4. Dunque la scrittura è la migliore fonte di elo-quenza. Ma per capire esattamente quanto sia fondamentale questa bre-vissima affermazione di Cicerone, sarà bene prendere in considerazioneil passo in una maggiore ampiezza e prima ancora ricordare brevementeil contesto in cui si inserisce e la tematica a cui si riferisce.

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1 Come è noto, lo stilo era uno strumento in metallo o in osso, con un’estremità appun-tita per scrivere sulle tavolette cerate, e con l’altra estremità allargata, per cancellare la scrit-tura stendendo la cera.

2 Cf. e.g. Bac. 728 ss. Ch. cape stilum propere et tabellas tu <h>as tibi. Mn. quidpostea∞∞∞? // Ch. quod iubeo scribito istic. nam propterea <te> volo // scribere ut patercognoscat lit<t>eras quando legat.

3 Cf. e.g. Ter. And. 9-12 Menander fecit «∞∞∞Andriam∞∞∞»et «∞∞∞Perinthiam∞∞∞»∞∞∞; // qui utram-vis recte noris ambas noverit∞∞∞: // non ita dissimili sunt argumento, et tamen // dissimili ora-tione sunt factae ac stilo.

4 Cf. § 257 – parla Antonio –∞∞∞: stilus ille tuus, quem tu vere dixisti perfectorem dicendiesse ac magistrum.

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Nel De Oratore, composto nel 55 a.C., è sostanzialmente delineata lafigura ideale dell’oratore, o meglio del perfetto uomo pubblico, uomopolitico, destinato a tenere discorsi diversi sui temi più diversi. Il trat-tato, in forma di dialogo fittizio, che prende a modello tanto i dialoghi pla-tonici (il Fedro innanzitutto), quanto i giovanili dialoghi aristotelici,intende rappresentare in modo vivido una conversazione che si imma-gina svolta nel 91 a.C. a Tuscolo nella villa di Lucio Licinio Crasso, unodei due protagonisti pricipali del dialogo. L’altro è Marco Antonio. I duepersonaggi, come si ricorderà, sono stati i più insigni oratori della gene-razione precedente a Cicerone.

Il perfetto oratore, unitamente ad un indispensabile talento naturale perl’eloquenza, deve avere una formazione enciclopedica, che lo sostenganell’affrontare in modo globale e completo aspetti e problemi, piuttostoche una preparazione meramente tecnicistica. Ma deve anche avere unaprofonda familiarità con quella antica ed eloquente sapientia universali-stica di tradizione greca e romana che fa coincidere il bene dicere con ilbene vivere e che ha modelli mirabili quali Fenice, precettore di Achille,Licurgo, Solone, ma soprattutto Temistocle e Pericle tra i Greci∞∞∞; oppureFabrizio, Catone, Scipione tra i Romani. Sullo sfondo del dialogo è per-cepibile l’eco della contesa retorica/filosofia5.

Ai §§146-152 del primo libro del De Oratore Cicerone per bocca diCrasso ribadisce che l’apprendimento delle tecniche retoriche da solo nonbasta a garantire ad un oratore di diventare eloquente, se non è dotato diun talento naturale. Gli insegnamenti tecnici retorici non hanno prodottooratori∞∞∞; piuttosto è accaduto il contrario, e cioè che l’osservazione del-l’eloquenza istintiva di alcuni uomini ha suggerito la necessità di fissarecerti precetti. Pertanto è la retorica che proviene dall’eloquenza e nonviceversa (§146)∞∞∞:

verum ego hanc vim intellego esse in praeceptis omnibus, non ut ea secutioratores eloquentiae laudem sint adepti, sed quae sua sponte homines elo-quentes facerent, ea quosdam observasse atque digessisse. sic esse non elo-quentiam ex artificio, sed artificium ex eloquentia natum.

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5 Sarebbe lungo elencare in dettaglio la nutrita e articolata bibliografia utile alla com-prensione del De oratore, della sua collocazione all’interno della produzione ciceroniana,delle problematiche tecniche retoriche ivi discusse, e più in generale del quadro storico-culturale in cui si inserisce. Mi limiterò pertanto a ricordare solo alcuni significativi con-tributi, rinviando ai medesimi per ulteriore bibliografia∞∞∞: LEEMAN & PINKSTER (et alii),1985-1996∞∞∞; NARDUCCI, 1997∞∞∞; MAY & WISSE, 2001∞∞∞; WISSE, 2002a e 2002b∞∞∞; FANTHAM,2004. Per il commento a De Or. 1, 146-152 cf. LEEMAN & PINKSTER, 1981 ad loc.

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Ma Crasso, pur ridimensionandone il valore, non rifiuta la retorica∞∞∞;anzi ritiene che soprattutto gli oratori in formazione debbano studiare condisciplina e costanza i precetti tecnici ed esercitarsi continuamente, invista delle future battaglie oratorie (§147)∞∞∞:

etiam exercitatio quaedam suscipienda… est… iis qui ingrediuntur ad stu-dium quique ea, quae agenda sunt in foro tamquam in acie, possunt etiamnunc exercitatione quasi ludicra praediscere ac meditari.

Inoltre, proprio in rapporto al tipo di addestramento più utile, più com-pleto per la performance oratoria, egli, pur apprezzando la diffusa prassidelle esercitazioni orali, esorta piuttosto a valorizzare la scrittura, anzi aprivilegiarla rispetto ad altro (§§149-150)∞∞∞:

“∞∞∞equidem probo ista∞∞∞” Crassus inquit “∞∞∞quae vos facere soletis, ut causaaliqua posita consimili causarum earum quae in forum deferuntur, dicatisquam maxime ad veritatem accommodate. sed plerique in hoc vocem modo,neque eam scienter, et vires exercent suas et linguae celeritatem incitant ver-borumque frequentia delectantur. in quo fallit eos quod audierunt, dicendohomines ut dicant efficere solere. vere enim etiam illud dicitur, perversedicere homines perverse dicendo facillime consequi. quam ob rem in istisipsis exercitationibus etsi utile est etiam subito saepe dicere, tamen illudutilius, sumpto spatio ad cogitandum, paratius atque accuratius dicere.caput autem est quod ut vere dicam minime facimus – est enim magni labo-ris, quem plerique fugimus – quam plurimum scribere∞∞∞”.

La scrittura è lo strumento per eccellenza che permette all’aspiranteoratore di dare corpo e ordine ai pensieri, di creare armonie stilistiche eritmiche, di evitare i rischi conseguenti ad una improvvisazione privadella necessaria diligente cura, di valutare di volta in volta i risultati rag-giunti, di verificare ogni aspetto del discorso∞∞∞: insomma, di meditare sulproprio stile. Se ci si affida all’esercizio costante della scrittura, si riusciràpoi ad essere efficaci anche nell’improvvisazione, che recherà tracce evi-denti e positive della precedente fase di scrittura. Si riuscirà ad essereefficaci pure nel caso che al momento della performance di un’orazionesi renda necessario deviare dal testo scritto che si ha con sé (§§150-152)∞∞∞:

<stilus est> stilus optimus et praestantissimus dicendi effector ac magi-ster∞∞∞; neque iniuria∞∞∞: nam si subitam et fortuitam orationem commentatioet cogitatio facile vincit, hanc ipsam profecto adsidua ac diligens scripturasuperabit. omnes enim, sive artis sunt loci sive ingenii cuiusdam atque pru-dentiae, qui modo insunt in ea re de qua scribimus, inquirentibus nobisomnique acie ingenii contemplantibus ostendunt se et occurrunt∞∞∞; omne-sque sententiae verbaque omnia quae sunt cuiusque generis <maxime pro-pria> maximeque inlustria, sub acumen stili subeant et succedant necesseest∞∞∞; tum ipsa conlocatio conformatioque verborum perficitur in scribendo,

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non poetico sed quodam oratorio numero et modo… et qui a scribendi con-suetudine ad dicendum venit, hanc adfert facultatem, ut etiam subito si dicat,tamen illa quae dicantur similia scriptorum esse videantur∞∞∞; atque etiam,si quando in dicendo scriptum attulerit aliquid, cum ab eo discesserit, reli-qua similis oratio consequetur.

Dalla lettura di questa sezione del De oratore risulta evidente il ruolofondamentale assunto dalla scrittura nell’elaborazione di una precettisticain lingua latina sullo stile. E tale collegamento con la scrittura costitui-sce un precedente imprescindibile per tutta la tradizione successiva.

Inutile dire che l’esortazione a continui esercizi di stile mediante lascrittura sottende l’applicazione costante e disciplinata di un autocon-trollo individuale del discorso, ma soprattutto è un banco di prova dellacapacità dell’oratore in formazione di confrontarsi con la tradizione pre-cedente, di imitare modelli illustri, di innovare acquisendo un proprio ori-ginale modo espressivo, insomma uno stile tutto suo.

Ecco dunque riaffermato un tratto peculiare e tradizionale della dottrinaantica sullo stile∞∞∞: il continuo confronto con la tradizione attraverso lamimesi. Peraltro è ben noto che la mimesi rappresenta in senso lato l’asseportante della produzione artistico-letteraria greca e romana. Ogni ele-mento di novità deve essere giustificato e si deve evincere proprio dalconfronto con la tradizione∞∞∞: i modelli imitati dichiarano il punto di par-tenza, le coordinate teoriche da cui un autore si distacca per creare ele-menti espressivi significativi, originali.

Dunque lo stile di un autore, di un’opera, di un discorso è il risultatodi un complesso equilibrio di tradizione e innovazione che devono essereentrambe percepite dal destinatario. La mimesi di uno o più modelli e levariazioni rispetto ad essi sono l’equivalente del moderno scarto rispettoad una norma linguistico-formale o letteraria.

Un dato interessante che si ricava dal passo del De Oratore di cuistiamo parlando è, come dicevo, la menzione di opportuni esercizi peracquisire un proprio stile personale. Lo stile è frutto di studio assiduo epuò essere insegnato. Non è un frutto unicamente del talento naturale.Trova certo un’ottima base nel talento naturale, ma deve essere costruitocon il laborioso, faticoso atto della scrittura.

Per di più dalle parole di Crasso si ricava che la scrittura è in assolutoil miglior esercizio soprattutto per i discorsi destinati ad una performanceorale.

Lo stile passa per la scrittura e lo stilo, strumento che realizza la scrit-tura, si trasforma in strumento di giudizio del testo, del discorso. Eancora∞∞∞: la visualizzazione concreta dello strumento scrittorio, lo stilo,

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che usato ogni giorno e diligentemente sulle tavolette cerate si identificacon la scrittura e questa a sua volta con lo stile, fa sì che le paroleimpresse sulla cera sembrino distaccarsi, allontanarsi in una loro realtàintellettuale, semantica.

Al tempo stesso il passaggio dallo stilo alla scrittura, allo stile, il pro-cesso metonimico raddoppiato che si produce per arrivare alla nozione distile sono talmente naturali e conseguenti che la percezione della figuraè lieve, quasi spenta.

Ma dalle parole di Crasso emerge anche un altro dettaglio∞∞∞: il discorsooratorio trova la sua naturale dimensione nella scrittura. L’oralità è subor-dinata alla scrittura, anzi ne deve conservare una chiara impronta a dimo-strazione della perfezione raggiunta.

Si può dire che Cicerone ratifica in modo definitivo il primato dellacomposizione meditata e scritta dei discorsi, rispetto alla performancefondata sull’improvvisazione. O meglio testimonia in modo inequivoca-bile che ormai un’orazione è recepita come testo, più che come discorso,e che di conseguenza l’antica controversia, cominciata in Grecia con Alci-damante e Isocrate, sull’opportunità di improvvisare i discorsi o piutto-sto di prepararne in anticipo una versione scritta, si è definitivamenterisolta anche a Roma a favore della scrittura. Infatti anche il discorsoimprovvisato è considerato efficace se conserva il sapore di una paginascritta. Oggi siamo soliti esprimere ammirazione per i conferenzieri cheparlano molto bene «∞∞∞a braccio∞∞∞», senza un testo scritto dinanzi, e di lorodiciamo che «∞∞∞parlano come un libro stampato∞∞∞».

I cambiamenti nei modi di comunicazione in Grecia e a Roma tra IV eI secolo a.C. hanno trasformato le diverse forme comunicative in testi (let-terari, oratori etc.), testi da riconnettere ad una tradizione precedente, rico-noscendone i tratti distintivi del genere di appartenenza, i modelli a cuisono ispirati e con i quali si intravvedono rapporti di intertestualità più omeno estesa. E così lo stile è insieme imitazione, emulazione e interte-stualità, e il rapporto con i modelli è sempre più vitale. Ed è appunto quantoemerge dal De Oratore di Cicerone in merito allo stile. Ma a sua voltaCicerone diventa per le epoche successive un modello di teorizzazione sullostile. E abbiamo un testimone autorevole a dimostrarlo∞∞∞: Quintiliano.

Nell’Institutio oratoria Quintiliano coniuga il fine pedagogico dell’operacon l’illustrazione dello sviluppo storico di teoria e pratica oratoria. Adintegrazione dei precetti sulle prime tre parti della retorica già impartitinei libri 1-9, nel decimo egli dedica molto spazio a quegli elementi acces-sori e per così dire professionalizzanti, di norma non previsti dai manualidi retorica, ma di certo di grandissima utilità per gli oratori in formazione.

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Insomma, delinea un quadro sistematico e completo riguardo all’exercita-tio, al tirocinio ottimale, cioè, per il giovane aspirante oratore6∞∞∞:

IO 10, 1, 4 verum nos non quomodo sit instituendus orator hoc loco dici-mus (nam id quidem aut satis aut certe uti potuimus dictum est), sed athletaqui omnis iam perdidicerit a praeceptore numeros quo genere exercitatio-nis ad certamina praeparandus sit. igitur eum qui res invenire et disponeresciet, verba quoque et eligendi et conlocandi rationem perceperit, instrua-mus †qua in oratione† quod didicerit facere quam optime quam facillimepossit.

Per raggiungere la vis dicendi, cioè per mettere in luce una maturacapacità nel discorso oratorio, non basta apprendere al meglio le regoleelocutive∞∞∞; si deve acquisire anche una certa firma facilitas dicendi, cioèuna disinvolta sicurezza nella comunicazione verbale∞∞∞:

IO 10, 1, 1 sed haec eloquendi praecepta7, sicut cogitationi sunt necessa-ria, ita non satis ad vim dicendi valent nisi illis firma quaedam facilitas,quae apud Graecos hexis nominatur, accesserit 8.

Tale firma facilitas presuppone il possesso di un patrimonio di argo-menti appropriati alle diverse tipologie del discorso e di parole adatte adesprimerli (cf. 10, 1, 6 copia rerum ac verborum). Dunque l’obiettivo èquello di conferire all’oratore in formazione la firma facilitas dicendi,fondata sulla copia dicendi, con l’aiuto di specifici, mirati esercizi, com-plementari tra loro e tutti di uguale importanza. Infatti anche se alcuni sisono posti il problema di individuare se all’acquisizione della firma faci-litas dicendi giovi di più l’esercizio della lettura, della scrittura o delladeclamazione, Quintiliano è di parere diverso∞∞∞:

IO 10, 1, 1-2 ad quam (scil. firmam facilitatem dicendi) scribendo plus anlegendo an dicendo conferatur, solere quaeri scio. quod esset diligentius

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6 In questa parte del mio contributo dedicata a Quintiliano riprendo alcune delle rifles-sioni sui precetti scrittori quintilianei che ho esposto nel corso del Convegno internazio-nale «∞∞∞Quintilien ancien et moderne∞∞∞» (Gand, 30 novembre-3 dicembre 2005), i cui Attisono in corso di stampa.

7 La trattazione specifica dei precetti relativi all’elocutio occupa i libri immediatamenteprcecedenti, ottavo e nono, dell’Institutio oratoria. Ad essi esplicitamente Quintiliano quisi ricollega.

8 Su hexis, termine di derivazione filosofica qui adattato al contesto retorico, si vedanoLAUSBERG, 1990, p. 28 e 528, COUSIN, 1979, p. 3 e 292, nonché RUSSELL, 2001, p. 252 n.1, che, sull’utilità della hexis in rapporto a lettura e scrittura, rinvia anche a Eccli., prol.5. Sul ruolo chiave della firma facilitas / hexis nell’Institutio oratoria e più in generale sullasua importanza nell’intero processo educativo descritto da Quintiliano rimando a MURPHY,1998. Si veda anche PUJANTE, 1999, le cui osservazioni sulla hexis sono inserite nell’am-bito di una mirata analisi dei contenuti e della struttura del decimo libro dell’Institutiooratoria.

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nobis examinandum [citra] si qualibet earum rerum possemus una esse con-tenti∞∞∞; verum ita sunt inter se conexa et indiscreta omnia ut, si quid ex hisdefuerit, frustra sit in ceteris laboratum. Nam neque solida atque robustafuerit umquam eloquentia nisi multo stilo vires acceperit, et citra lectionisexemplum labor ille carens rectore fluitabit, et qui sciet quae quoque sintmodo dicenda, nisi tamen in procinctu paratamque ad omnis casus habue-rit eloquentiam, velut clausis thesauris incubabit.

Nel decimo libro pertanto sono illustrati tutti i diversi esercizi miratial conseguimento della firma facilitas dicendi, fondata sulla padronanzadella copia verborum che proviene dall’ascolto, dalla lettura e dall’imi-tazione/emulazione dei migliori modelli di eloquenza e che è corroboratadalla pratica costante della scrittura e della accurata revisione di quantosi è scritto. In stretta relazione con la scrittura sono anche gli indispen-sabili esercizi sulle differenti tipologie di contenuti dei discorsi (esercizidi parafrasi, traduzione, rielaborazione etc.)∞∞∞; così come quelli di medi-tata concentrazione prima di pronunciare un discorso, nonché quelli dideclamazione estemporanea.

Se nel De oratore la figura dell’oratore ideale, della sua eloquenzaerano occasione per una riflessione sull’importanza degli esercizi di scrit-tura che perfezionavano una firma facilitas dicendi, un talento naturale perl’eloquenza, nell’Institutio oratoria si è ormai consolidata una educazioneallo stile.

Che Quintiliano, soprattutto per le considerazioni sull’importanza da annettere agli esercizi di scrittura, abbia a modello Cicerone è com-provato tra l’altro dalla citazione letterale e circostanziata che si legge inIO 10, 3, 1∞∞∞: nec inmerito M. Tullius hunc (scil. stilum) “∞∞∞optimum effec-torem ac magistrum dicendi∞∞∞” vocat, cui sententiae personam L. Crassiin disputationibus quae sunt de Oratore adsignando iudicium suum cumillius auctoritate coniunxit9. Ancora in linea con Cicerone, poco prima,nel medesimo luogo, ha premesso che l’esercizio della scrittura comportasì molta fatica, ma anche grande utilità∞∞∞: ut laboris, sic utilitatis etiamlonge plurimum adfert stilus.

C’è da aggiungere che Quintiliano segue da vicino Cicerone anchenel procedimento con cui illustra i precetti scrittori. Infatti, all’enuncia-zione di ogni precetto si accompagnano similitudini e metafore (diambito agonale, sportivo, militare, naturalistico) in funzione esplicativae argomentativa dell’enunciazione stessa. Il richiamo analogico a realtà

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9 Il riferimento è naturalmente a Cic. De Or. 1, 150.

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riscontrabili nella vita quotidiana aiuta a rafforzare la credibilità del pre-cetto impartito∞∞∞; l’autorevolezza di un esempio illustre rafforza il precettoe ne facilita l’apprendimento.

Ecco in dettaglio alcuni momenti salienti della trattazione di Quinti-liano.

Dopo la considerazione su quanto sia preziosa la pratica della scritturaper acquisire un proprio stile originale, egli esorta all’accuratezza e all’as-siduità nella scrittura (IO 10, 3, 2 scribendum ergo quam diligentissimeet quam plurimum). Soprattutto all’inizio la redazione di testi scritti potràforse richiedere tempi lunghi, ma si dovrà sempre cercare di scrivere almeglio delle proprie possibilità∞∞∞; successivamente ci si preoccuperà delladisposizione opportuna e non certo casuale delle parole e del ritmo daattribuire alle frasi. Per essere davvero accurati si dovrà leggere a piùriprese quanto si scrive, sia per essere sicuri di redigere un testo coerentesia per recuperare, attraverso le pause della lettura, la freschezza di ispi-razione del pensiero e trasferirla in una nuova scrittura∞∞∞:

IO 10, 3, 5-6 sit primo vel tardus dum diligens stilus, quaeramus optima necprotinus offerentibus se gaudeamus, adhibeatur iudicium inventis, disposi-tio probatis… post subeat ratio conlocandi versenturque omni modo numeri,non ut quodque se proferet verbum occupet locum. quae quidem ut dili-gentius exequamur, repetenda saepius erunt scriptorum proxima. nam prae-ter id quod sic melius iunguntur prioribus sequentia, calor quoque ille cogi-tationis, qui scribendi mora refrixit, recipit ex integro vires, et velut repetitospatio sumit impetum.

L’oratore deve controllare gli impulsi creativi, diffidare della facilitàdella propria scrittura e imparare ad applicare ad essa la rapidità solodopo l’accuratezza. Insomma, imparando fin dall’inizio a scrivere bene,poi si riuscirà anche e con facile naturalezza a scrivere rapidamente∞∞∞:

IO 10, 3, 9-10 primum hoc constituendum, hoc optinendum est, ut quamoptime scribamus∞∞∞: celeritatem dabit consuetudo… cito scribendo non fit utbene scribatur, bene scribendo fit ut cito.

Dopo aver decantato le virtutes della pratica della scrittura, Quintilianomette in guardia dai vitia, quali, ad esempio, l’eccesso di zelo che impe-disce di essere soddisfatti di quanto si continua a riscrivere o l’eccessoopposto, la fretta, che riesce a produrre solo qualche abbozzo di discorso(IO 10, 3, 10-17). Se si è accurati fin dall’inizio si dovranno solo apporremigliorie a quanto già redatto, piuttosto che riscrivere tutto daccapo∞∞∞:

IO 10, 3, 18 protinus ergo adhibere curam rectius erit, atque ab initio sicopus ducere ut caelandum, non ex integro fabricandum sit.

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Quintiliano esprime anche la sua opinione in merito alle modalità tec-niche della scrittura. Chi scrive da solo il proprio discorso, diversamenteda chi lo detta ad uno scrivano, ha la possibilità di riflettere su quello chesta scrivendo, anche se lo scrive in fretta, perché la velocità della manonello scrivere è sempre inferiore a quella della mente nell’elaborare i pen-sieri∞∞∞:

IO 10, 3, 19 in stilo quidem quamlibet properato dat aliquam cogitationimoram non consequens celeritatem eius manus.

Né dimentica di concludere il capitolo con avvertenze minime, ad esem-pio sui materiali scrittori e sul formato degli stessi (IO 10, 3, 31-33)10.

Se poi diamo uno sguardo alla tradizione retorica latina successiva,troveremo conferma che l’enunciato ciceroniano <stilus est> stilus opti-mus et praestantissimus dicendi effector ac magister (De Or. 1, 150),forse proprio attraverso la mediazione di Quintiliano, è diventato il prin-cipio-guida della ricerca di uno stile oratorio attraverso la scrittura.Basterà ricordare un solo esempio.

Nella sua Ars rhetorica, Giulio Vittore (IV sec. d.C.), con un procedi-mento in qualche misura analogo a quello quintilianeo, dopo aver portatoa termine la trattazione di tutta la materia retorica con l’esame della pro-nuntiatio, inserisce tre capitoli che costituiscono un insieme omogeneo eche si distinguono nettamente dal resto dell’opera. Insomma, la rassegnastorica e normativa sul discorso oratorio è seguita da alcune riflessioni suquelle problematiche che esigevano nuovi chiarimenti da parte deldocente di retorica. I tre capitoli in questione contengono precetti relativi∞∞∞:1) alla necessità di applicarsi in continui esercizi da parte di chi vogliadiventare eloquente (de exercitatione)∞∞∞; 2) all’impiego opportuno deldiscorso comune o conversazione (de sermocinatione)∞∞∞; 3) al correttomodo di redigere lettere (de epistolis).

Nel capitolo de exercitatione il retore rinvia, spesso con molte omis-sioni, a numerosi luoghi di Cicerone e di Quintiliano, come di normalungo tutta l’Ars rhetorica, costuituendo Cicerone e Quintiliano due dei

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10 Indispensabile complemento alla pratica della scrittura è il corretto uso della emen-datio, della correzione, che consiste nel limare il lavoro già scritto aggiungendo, togliendoo cambiando qualcosa. A questo tema Quintiliano dedica il quarto capitolo del decimolibro∞∞∞: si tratta di una pratica vantaggiosissima per l’oratore e forse la parte degli studi piùutile. In generale il metodo ideale per correggere consiste nel lasciare da parte uno scrittoper un po’ di tempo e dopo un certo intervallo tornare a esaminarlo come se fosse un testodel tutto nuovo. Ma l’atto della correzione deve avere dei limiti per non sfociare nel gravedifetto dell’eccesso di correzione che invece di abbellire sfigura lo scritto.

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principali modelli a cui egli si è ispirato11. Ma la cosa che qui preme sot-tolineare è che, dovendo ribadire l’importanza della pratica della scrittura,egli, come già aveva fatto Quintiliano (IO 10, 3, 1), cita alla lettera leparole che nel De Or. 1, 150 Cicerone fa dire a Lucio Licinio Crasso∞∞∞:

Rhet. 100, 9-10 Giomini-Celentano “∞∞∞stilus est∞∞∞” inquit Marcus Tullius“∞∞∞stilus optimus et praestantissimus effector dicendi ac magister∞∞∞”12.

Il testo modello di Cicerone fa ormai corpo unico con il riuso/adatta-mento di Quintiliano.

Mi pare di poter concludere ribadendo che un principio teorico codi-ficato da Cicerone – lo stile presuppone la scrittura – è riusato, adattato,ampliato da Quintiliano e riecheggiato in Giulio Vittore∞∞∞; insomma, ladimensione testuale della scrittura, dello stile oratorio è divenuta interte-stualità.

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11 I nomi degli autori-modello dell’Ars rhetorica di Giulio Vittore sono riportati nel-l’incipit e nell’explicit dell’unico manoscritto che ha conservato per intero l’opera, il Vati-cano Ottoboniano Latino 1968. Sull’argomento rinvio a GIOMINI & CELENTANO, 1980, p. XVI-XXIII.

12 Alle righe 9-16 Giulio Vittore riporta gli enunciati, a suo giudizio più significativi,di Cic. De Or. 1, 150-152.

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