Federico II allo specchio. Analisi iconografica e politico-funzionale delle sue raffigurazioni

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I UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SIENA FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA Corso di Laurea in Storia FEDERICO II ALLO SPECCHIO. Analisi iconografica e politico-funzionale delle sue raffigurazioni Relatore: Chiar.mo Prof. Sergio Raveggi Controrelatore: Chiar.mo Prof. Michele Bacci Tesi di Laurea: Mirko Vagnoni Anno Accademico 2003-2004

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SIENA FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA

Corso di Laurea in Storia

FEDERICO II ALLO SPECCHIO. Analisi iconografica e politico-funzionale

delle sue raffigurazioni

Relatore: Chiar.mo Prof. Sergio Raveggi Controrelatore: Chiar.mo Prof. Michele Bacci

Tesi di Laurea:

Mirko Vagnoni

Anno Accademico 2003-2004

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Premessa. Questo lavoro di tesi si propone di analizzare l’uso politico ed ideologico che Federico II ha fatto delle sue raffigurazioni cercando così da un lato di comprendere meglio la sua figura storica, dall’altro di ricavare maggiori informazioni riguardanti l’uso propagandistico e le potenzialità comunicative che venivano attribuite a quei prodotti artistici che riportavano l’effige del sovrano. In particolare mi riferisco proprio a quelle raffigurazioni che erano state eseguite durante il regno di Federico e all’interno della sua corte o comunque che, se non direttamente commissionate, almeno ricevettero il tacito assenso dell’imperatore. Questa precisazione è doverosa perché, per le finalità che questo lavoro si è proposto di raggiungere, risultano inutili se non addirittura forvianti quelle rappresentazioni che del sovrano svevo furono eseguite in un secondo tempo, in contesti storici e politici che niente avevano a che fare con lui, ma promosse più dal mito che si sviluppò fin dalla sua morte e da quell’alone di leggenda che da sempre aveva circondato la sua figura. A proposito della materia trattata è doveroso notare che mentre i nostri fini sono prettamente storici, ed in particolar modo indirizzati alla ricostruzione delle teorie politiche che concorrevano a costituire l’ideologia imperiale di Federico II, il campo della ricerca è soprattutto artistico. Infatti le fonti che interroghiamo sono principalmente gli affreschi, le miniature, le sculture, i sigilli, le monete e tutto ciò che in qualche modo riproduce l’imperatore. L’idea di cimentarsi in una ricerca del genere, a cavallo tra storia e arte, prende le mosse da una considerazione di Glauco Maria Cantarella relativa alla statua lignea di Bonifacio VIII conservata nel Museo Civico Medievale di Bologna. Al suo riguardo lo storico si esprime con le seguenti parole: “È una sagoma tutta rivestita di lamelle di bronzo dorato, splendenti, levigate, sfuggenti sulle superfici

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curve: serena, ierocratica, liscia, senza appigli, congelata in un gesto di benedizione che è un gesto di potere, coronata da un viso scivoloso e vuoto, espressivo quanto può essere un uovo, senz’altra forma al di là di quella della levigatezza sulla quale lo sguardo slitta come su uno specchio. Lo specchio trionfante del potere senza pari, senza rimedio e senza appello. È la Maestà.” (Vedi G.M. CANTARELLA, Principi e corti, p. 79). Il volto di Bonifacio è uno specchio, è lo specchio trionfante del potere è l’essenza stessa della Maestà. Chi si trova davanti a quella statua non è di fronte al simulacro di un uomo ma alla personificazione di un’idea, di un concetto astratto che grazie al legno e al bronzo dorato, sapientemente lavorati, diviene qualcosa di tangibile e concreto. Il volto della statua di Bonifacio come uno specchio riflette l’essenza stessa del potere. Ne consegue che tramite essa possiamo comprendere, proprio come se fosse un trattato di filosofia politica, quale fosse il concetto di potere del potente papa di Anagni. L’idea che guardando le immagini dei regnanti medievali si potesse penetrare nell’intimo del loro pensiero politico ha animato la mia ricerca indirizzata alle raffigurazioni dell’imperatore Federico II. In tal senso ho intitolato queste pagine Federico II allo specchio, perché non altro che specchi sono da considerarsi le sculture, le pitture, le miniature o quant’altro raffiguri l’imperatore. Specchi che ancora riflettono a otto secoli di distanza, in maniera più o meno deformata ed idealizzata, la concezione del potere dell’imperatore svevo, il suo modo di presentarsi ai sudditi e di propagandare la sua immagine. Superfici che possono mostrare con inusitata vividezza le sue aspirazioni e i suoi desideri, le sue vittorie e le sue sconfitte. Basandomi su questo postulato ho strutturato un’indagine quindi che parte dall’iconografia ma che spaziando tra funzionalità delle immagini e ideologia politica cerca di porre in evidenza gli intenti politici che portarono all’esecuzione di tali raffigurazioni. Dal punto di vista pratico per meglio agevolare questo obiettivo mi sono avvalso dei contributi sia degli studi sull’ideologia politica di Federico II della più recente storiografia, sia dei contributi di iconografi e storici dell’arte riguardanti sia l’arte federiciana in genere, che le singole raffigurazioni trattate. Nel primo caso voglio sottolineare soprattutto gli studi del Kantorowicz, del De Stefano e dell’Abulafia. In particolar modo fondamentale il primo di questi

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perché, se da un lato enfatizza eccessivamente la figura dello Staufer, dall’altro risulta utile per chi come me è interessato più al voler essere che all’essere di Federico II. I contributi degli storici dell’arte sono stati fondamentali invece per poter individuare e censire le sicure raffigurazioni dell’imperatore. Infatti l’identificazione e la datazione di molte di queste opere è ancora oggi campo di dibattito della critica, rendendo problematico il poter far luce in maniera chiara su quali effettivamente raffigurino Federico II e siano a lui contemporanee. Querelle dalla quale è stato effettivamente difficile districarsi. Il costante intrecciarsi di diverse discipline necessariamente si rispecchia anche nella struttura interna dell’opera che ho diviso in due parti intitolate rispettivamente “L’iconografia” e “Il significato”. Nella prima propongo una rassegna delle descrizioni fisiche dell’imperatore tramandate dalle fonti scritte a lui contemporanee; identifico e descrivo dettagliatamente tutte le varie raffigurazioni che con un limitato margine di dubbio rappresentano l’imperatore e che furono composte all’interno del suo entourage; prendo in considerazione le loro potenzialità comunicative e il genere di pubblico con cui entrarono in contatto; ed infine analizzo tutti i simboli del potere che compaiono nelle varie immagini ed il loro significato. Nella seconda parte invece il discorso si fa più storico-politico e cerco di andare oltre il piano descrittivo per arrivare a comprendere le motivazioni che sono alla base di quelle immagini, i perché delle loro caratteristiche iconografiche e dei temi che in esse si affrontano, le spiegazioni per cui una tale raffigurazione ha quella determinata forma ed è posta proprio in quella certa posizione. Allora diviene necessario ricostruire l’attività politica di Federico sia nelle terre dell’impero che in quelle del Regno, i suoi rapporti con la tradizione iconografica precedente e il suo scontro con il papato e il mondo comunale. E diviene doveroso, per meglio poter spiegare le raffigurazioni raccolte, ricreare il quadro storico generale nel quale visse e operò lo Stupor mundi. Così, almeno negli intenti, questo percorso dovrebbe approdare nelle conclusioni ad una migliore comprensione, sotto l’aspetto iconografico e funzionale, delle immagini riguardanti Federico II, mentre sul piano storico dovrebbe permettere di gettare un’ulteriore luce sulla sua personalità, in particolare sulla sua concezione del potere.

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Parte prima

L’iconografia Descrizione delle immagini di Federico II

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I.1.

L’aspetto di Federico II. Prima di iniziare con l’argomento vero e proprio del nostro lavoro, ovvero le raffigurazioni di Federico II, vogliamo cercare di ricostruire l’aspetto fisico dell’imperatore tramite le testimonianze scritte dei suoi contemporanei. Il punto di partenza in questa indagine ci è fornito dal Kantorowicz. Infatti nella sua grandiosa opera sul sovrano svevo ci dà anche una completa rassegna di tutte quelle cronache a lui coeve dove possiamo trovare una sua descrizione1. Partendo da queste informazioni ho così potuto sviluppare la mia ricerca che ha portato ai risultati che riporto qui di seguito. Questa è la descrizione che un anonimo autore della corte ci dà di Federico in giovane età, tra i tredici e i quattordici anni: “[...] Staturam igitur regis nec brevem intelligas nec maiorem quam tempus etatis exposcat. Illud tamen in eo nature auctor adiecit quod in solido corpore robusta membra formasset, quibus ad omnem actum forcior indoles perseveret [...] vultus et maiestas imperiosa regnantis forma quidem venuste decoris; leta fronte conspicuus, lecioribus oculis aspectu desiderabilis, vultu alacer, animo acer, [...]”2. 1 Vedi E. KANTOROWICZ, Federico II imperatore, nota a p. 379 e Appendice I, pp. 705-711. 2 Questa descrizione è presente nella lettera del 1207/1208 scoperta dall’Hampe in un codice della Biblioteca Nazionale di Parigi. Il testo è riportato nella sua interezza dal Ricci (Vedi S. RICCI, Gli “augustali” di Federico II, pp. 71-72). Per quanto riguarda i brani che ci interessano li possiamo così tradurre “[...] Dunque potresti considerare la statura del sovrano né bassa né più alta di quanto potrebbe richiedere la circostanza dell’età. Tuttavia l’Autore della nascita aggiunse quella cosa in lui poiché aveva plasmato nel fisico robusto membra robuste, con le quali avrebbe potuto perseverare l’inclinazione ad ogni azione più impetuosa [...] certamente il

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Durante la crociata che si svolse tra il 1228 ed il 1229 i cronisti arabi si interessarono di lui ed alcuni ci tramandano delle informazioni sulle sue sembianze. La prima testimonianza, anonima, è tratta dal capitolo XXXIX del Kitâb Sîar (Vite dei santi padri patriarchi ecc., della grande città di Alessandria), mentre la seconda è la non lusinghiera descrizione di Federico fatta durante la sua permanenza in Gerusalemme da Sibt Ibn Al-Giawzi nel Mir’àt az-zamàn: “L’imperatore era filosofo, uom generoso, di gentil tratto e di bella fama”3. “L’imperatore, raccontarono sempre quegli inservienti, era di pel rosso, calvo, miope: fosse stato uno schiavo, non sarebbe valso duecento dirham”4. Ecco invece come lo dipingono alcuni cronisti provenienti dalle città del nord Italia che ebbero modo di entrare in contatto con lui5. Iniziamo dalla descrizione che ne fa Salimbene de Adam: “Et valens homo fuit interdum, quando voluit bonitates et curialitates sua ostendere, solatiosus, iocundus, delitiosus, industrius; legere, scribere et cantare sciebat et cantilenas et cantiones invenire; pulcher homo et bene formatus, sed medie stature fuit. Vidi enim eum et aliquando dilexi”6. volto, la maestosa dignità del regnante e l’aspetto di graziosa bellezza; ragguardevole per il lieto volto, desiderabile per lo sguardo e per gli allegri occhi, alacre per l’espressione del volto, energico per stato d’animo, [...]”. 3 Biblioteca Arabo-Sicula, a cura di M. Amari, pp. 519-520. 4 Storici arabi delle crociate, a cura di F. Gabrieli, p. 270. 5 Non sono utili a questa rassegna le cronache dello Jamsilla e del Villani perché nonostante la presenza di importantissime informazioni di carattere generale riguardanti la personalità di Federico, non riportano alcuna sua descrizione fisica. 6 SALIMBENE DE ADAM, Cronica, pp. 533-534. “E talvolta fu uomo vigoroso, quando volle mostrare le sue buone qualità e le sue virtù curiali, fu sollazzevole, allegro, delizioso, operoso; sapeva leggere, scrivere, cantare e inventare sia ritornelli che canzoni; fu uomo bello e opportunamente fatto, ma fu di media statura. Infatti io lo vidi e un giorno lo apprezzai”. Sono le stesse informazioni che vengono riportate anche da Riccobaldo da Ferrara che però nasce nel 1248 e che quindi non ebbe modo di incontrare di persona l’imperatore. Questa è la sua descrizione di Federico: “ Fuit autem Fridericus imperator quasi iusta statura, membris quadratis, surrufus,

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Proseguiamo con quella presente tra le aggiunte del XIII secolo al Tresor di Brunetto Latini: “E fue di mezzana taglia e più intra’ grandi, e fue di bella compressione (sic): la faccia sua grande, colorita ed occhi serpentini e capellatura bionda e tutto bene fatto d’ogni membra”7. Infine alcune informazioni sul volto e sul modo di apparire in pubblico le possiamo dedurre dalla Cronica in factis et circa facta Marchie Trivixane, composta da Rolandino da Padova: “Ibi dompnus imperator, sedens in eminenciori loco in suo throno, se cunctis hostendit hylarem et iocundum [...] et dompnus imperator, audita sollepnitate missarum in maiori ecclesia, propter honorem dei, dum ad Sanctam Iustinam rediret, hostendit se cunctis videntibus capite coronato”8. Purtroppo le informazioni ricavate non sono molto abbondanti e non ci viene in aiuto né la relazione dell’indagine condotta sul

leta facie, super homines prudens, satis litteratus, linguarum doctus”. La possiamo tradurre nel seguente modo: “Invece fu l’imperatore Federico quasi di giusta statura, di membra proporzionate, rossiccio, di faccia allegra, esperto sugli uomini, sufficientemente colto, conoscitore delle lingue” (Vedi RICCOBALDI FERRARIENSIS, Compendium Romanae Historiae, p. 727). Riporta in parte la stessa identica descrizione anche Francesco Pipino, frate bolognese della prima metà del XIV secolo, autore di una cronaca che va dal 1176 al 1314. Egli ci informa che Federico secondo la tradizione: “Fuit autem non procerus, obaeso corpore, subrusus, super homines prudens, satìs literatus, linguarum ductus, omnium artium meccanicarum, quibus animum dederat, artifex peritus;”. Cioè: “Invece fu non alto, di corpo grasso, rossiccio, esperto sugli uomini, abbastanza colto, conoscitore delle lingue, di tutte le arti meccaniche, alle quali aveva posto la mente, esperto maestro;” (Vedi FRANCISCI PIPINI, Chronicon, p. 661). 7 Altre narrazioni del Vespro Siciliano, a cura di M. Amari, p. 24. 8 ROLANDINI PATAVINI, Cronica in factis et circa facta Marchie Trivixane, p. 64. “Là il signore imperatore, che sedeva in una posizione più eminente sul suo trono, si mostrò a tutti allegro e lieto [...] e il signore imperatore, ascoltata la festa solenne delle messe nella chiesa più grande, a motivo di lode a Dio, finché non ritornò a Santa Giustina, si mostrò a tutti coloro che guardavano con la testa incoronata”.

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sarcofago dell’imperatore a Palermo composta dal Daniele nel 18599, né quella più recente del 1994-1999 che, nonostante i più moderni strumenti scientifici, non è riuscita a fare luce sulle reali sembianze dell’imperatore10. Da quanto ricavato dalle fonti scritte possiamo ipotizzare che Federico II fosse di statura media e che, nonostante non avesse una corporatura imponente, nell’insieme risultasse ben proporzionato e robusto a dispetto di quanto aveva affermato Ibn Al-Giawzi. Sicuramente fu di bell’aspetto e il suo portamento, dignitoso e onorevole, si confaceva pienamente a quello di un sovrano. Per quanto riguarda il volto si ricorda soprattutto la graziosità degli occhi, la vitalità dello sguardo e il rossore delle guance, che presumibilmente erano leggermente paffute. La capigliatura, di un colore tra il biondo e il rosso, con gli anni si deve essere diradata rendendolo presumibilmente, non come ebbe a dire Ibn Al-Giawzi calvo, ma più semplicemente stempiato. Inoltre, se seguendo il Kantorowicz, consideriamo quanto sostiene Brunetto Latini – secondo il quale l’imperatore aveva la faccia colorita - un indizio della consuetudine di Federico II di non portare la barba,11 dobbiamo immaginarci il volto del sovrano ben rasato. Infine è doveroso ricordare la spesso citata allegra, lieta e deliziosa espressione del volto, ma notando che questa non gli era naturale, ma compariva, anzi possiamo dire meglio che egli stesso la mostrava, solo in determinate occasioni. Per esempio, come ci informa Salimbene, quando Federico voleva apparire uomo adatto alla vita di corte, oppure quando, come nella cronaca di Rolandino da Padova, appariva in pubblico nella veste ufficiale, magari seduto in trono o cinto dalla corona. Era quindi un’espressione voluta ed ostentata per determinate finalità.

9 F. DANIELE, I regali sepolcri del Duomo di Palermo. 10 Studi ricerche e indagini sulla tomba di Federico II nella Cattedrale di Palermo 1994-1999. 11 E. KANTOROWICZ, Federico II imperatore, p. 708.

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I.2. Introduzione bibliografica.

Federico II è una delle personalità del Medioevo che più ha affascinato gli storici contemporanei e per questo ha ricevuto l’interesse di molti di essi. Per quanto riguarda questa prima parte del nostro lavoro, sono fondamentali quei contributi che ci illuminano sulle pitture, miniature, sculture ecc. che ritraggono l’imperatore. Il primo studio in ordine di tempo del quale ci siamo avvalsi, è quello del Ricci1, apparso nel 1928. Il saggio, pur muovendo dalla moneta che Federico volle circolante nel Regno di Sicilia dal 1231, cita anche altre opere, dandone informazioni generali e facendo un confronto tra di loro. Ciò che viene particolarmente analizzato è il volto di Federico, ponendo l’accento sull’evoluzione che questo ebbe nel corso degli anni, e sui suoi tratti fisionomici più caratteristici. Secondo studio per noi fondamentale è quello del Prandi2, edito nel 1953. L’opera, prendendo le mosse da un busto rinvenuto a Barletta, passa in rassegna un gran numero di raffigurazioni di Federico II, dandone informazioni generali, iconografiche e soprattutto evidenziando i tratti somatici ricorrenti. Il saggio, pur essendo piuttosto sintetico, è un buon punto di partenza nella ricerca sulle immagini dell’imperatore. L’analisi spazia dalla pittura alla scultura, dalle monete ai sigilli, dalle miniature ad oggetti di vario genere, risultando nel suo insieme completa. Inoltre si danno informazioni anche sullo stile dell’arte federiciana. Il Prandi e a sua volta il Ricci, si sono concentrati soprattutto sui tratti del volto, scendendo in minuziose descrizioni, ma forse 1 S. RICCI, Gli “augustali” di Federico II. 2 A. PRANDI, Un documento d’arte federiciana.

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insistendo eccessivamente su tali particolari, attribuendo troppa veridicità espressiva a rappresentazioni della prima metà del XIII secolo. Un’importante rassegna sulle opere d’arte prodotte nel sud Italia durante il regno degli svevi fu eseguita dal Bologna, come introduzione al suo studio sulla pittura angioina a Napoli3. Qui si abbandona la precedente analisi filologica dei tratti somatici per prestare maggiore attenzione al linguaggio artistico e stilistico, pur senza tralasciare importanti informazioni iconografiche e funzionali, ed un’abile ricostruzione storica delle vicende che portarono a tali prodotti. L’impegno del Bologna spazia dalla pittura alla scultura, dando utili notificazioni anche su opere andate perdute nel corso degli anni e tramandate attraverso descrizioni scritte. Certamente tra gli studi più completi ed importanti sono da annoverare i cataloghi scaturiti da mostre riguardanti Federico II. Nel 1980 fu composta una guida di supporto all’esposizione organizzata a Bari sugli svevi e curata da De Venere4. Tale opera descrive e dà informazioni generali, quali la datazione e il luogo di conservazione, sui singoli pezzi presentati, dividendoli in settori diversi: sigilli, monete, miniature e così via. Di conseguenza risulta essere un ottimo strumento di classificazione, che fa, sinteticamente ma esaurientemente, il punto su gran parte dei prodotti artistici riguardanti Federico II. In particolare ci siamo serviti di quest’opera per quanto riguarda i sigilli, perché ne viene fatta un’ approfondita e sistematica rassegna riguardante il periodo di emissione, le dimensioni, il luogo di produzione e di conservazione, la legenda e l’immagine impressa. Le ultime opere in ordine di tempo, ma prime per quantità e qualità di informazioni, sono due cataloghi di mostre allestite nel 1995 e scaturite dalle celebrazioni dell’ottavo centenario della nascita di Federico II. In questi due lavori troviamo saggi di carattere generale sulle rappresentazioni dell’imperatore, una completa rassegna bibliografica che permette di approfondire singoli argomenti e molte immagini, di buona qualità e spesso a colori. Nel lavoro a cura della Calò Mariani e della Cassano5 vi è, in particolare, il contributo fondamentale del Claussen6. Lo studioso tedesco fa il punto sullo stato 3 F. BOLOGNA, I pittori alla corte angioina di Napoli 1266-1414. 4 Gli Svevi in Italia meridionale, a cura di C. De Venere. 5 Federico II. Immagine e potere, a cura di M.S. Calò Mariani, R. Cassano. 6 P. C. CLAUSSEN, Creazione e distruzione dell’immagine di Federico II.

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delle identificazioni delle immagini di Federico nella statuaria. Postulando l’esistenza di una ritrattistica ufficiale dell’imperatore manifestatasi nel conio degli augustali, egli estrapola le caratteristiche fondamentali dell’iconografia federiciana. Dopodiché verifica se le opere di scultura attribuite alla corte sveva e raffiguranti l’imperatore, rispettano questi canoni illustrativi. Il Claussen, quindi, non basa l’identificazione di Federico II su presupposti fisionomici, come era stato fatto dal Ricci e dal Prandi. Questo modo di procedere, che appare più critico ed analitico, porta ad una sostanziale revisione dei risultati a cui erano giunti i precedenti studiosi, con una diminuzione del numero delle opere in cui possiamo identificare con certezza Federico II. Per quanto riguarda l’altro catalogo7, si segnalano soprattutto i saggi di Pace, riguardanti il ritratto di Federico8, e la pittura e la miniatura sveva9. Nel primo si analizzano le opere d’arte raffiguranti Federico II alla luce del concetto di ritratto nel mondo medievale, conformandosi in linea di massima, per la scultura, con quanto sostiene il Claussen, anzi rimandando esplicitamente al saggio di questo autore per una disamina più accurata. Lo studio del Pace tocca, se pur sinteticamente, tutte le principali raffigurazioni di Federico, viste non solo dal punto di vista iconografico e fisionomico, ma anche cercando di ricostruirne il reale rapporto con il pubblico, penetrando nella mentalità dell’uomo medievale. Il secondo contributo propone una rilettura delle opere di ambito pittorico e delle miniature, argomentata su basi stilistiche, iconografiche e funzionali, allargando l’indagine fino all’effimera esperienza terrena di Corradino. Il catalogo di questa mostra inoltre propone nella parte finale un dettagliato elenco delle opere trattate, molto più ricco di quelli incontrati fin ora. Vi si riassumono le posizioni dei vari studiosi circa la datazione e l’identificazione del soggetto rappresentato nei vari pezzi, corredate da un’esauriente bibliografia e da un’accurata descrizione. In particolare ci siamo serviti della prima sezione10 e della quinta11, riuscendo così ad integrare le informazioni che negli studi precedenti non erano state del tutto esaurienti. Nel complesso,

7 Federico II e l’Italia. 8 V. PACE, Il “ritratto” e i “ritratti” di Federico II. 9 Idem, Pittura e miniatura sveva da Federico II a Corradino. 10 V. PACE, H. HOUBEN, L’identità di Federico II. 11 V. PACE, Arte federiciana e arte sveva.

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possiamo notare un maggiore e generale senso critico, che porta, tranne poche eccezioni, alla diminuzione, o comunque ad una più attenta verifica, delle rappresentazioni di Federico II.

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I.3. Alcune premesse.

Prima di iniziare una dettagliata rassegna delle rappresentazioni di Federico II, è bene motivare alcune scelte. Sono utili al nostro fine le immagini contemporanee all’imperatore, che furono eseguite all’interno della sua corte e secondo le sue volontà. A queste possiamo aggiungere quelle che, eseguite senza il Cesaris imperium, ne ricevettero ugualmente un tacito assenso, perché conformi all’immagine che l’augusto volle dare di sé. Ne consegue che sono da escludere dalla nostra analisi le immagini prodotte durante l’interregno - cioè prima della maggiore età di Federico (1208) – e quelle posteriori alla sua morte (1250). Fanno parte del primo gruppo: la miniatura del Liber ad honorem Augusti, (1195) che raffigura un bimbo in fasce tra le braccia dell’imperatrice Costanza; e la lunetta scolpita di Santa Maria Maggiore in Monte Sant’Angelo (1198), che rappresenta un fanciullo prostrato con la madre ai lati della Vergine. Del secondo gruppo fanno parte, le miniature della Cronica Figurata di Giovanni Villani, contenute nel manoscritto Chigi LVIII, 296, conservato a Roma nella Biblioteca Apostolica Vaticana. Invece fanno eccezione quelle opere, che pur essendo prodotte in epoche successive, ci aiutano a ricostruire sicure raffigurazioni di Federico II, ormai andate irreparabilmente perse: la miniatura del folio 1v., del De arte venandi cum avibus, conservato nel manoscritto latino 1071, della Biblioteca Apostolica Vaticana a Roma. Questo codice è stato prodotto in età manfrediana, tra il 1258 e il 1266, ma si ritiene che la miniatura in questione, sia una copia fedele dell’originale scritto dallo

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stesso imperatore Federico1 e poi andato perso nella rotta di Vittoria 12482. L’incisione nei Ritratti di cento capitani illustri intagliati da Aliprando Caprioli (Roma 1596); la gemma von Raumer (1784 circa) del Museo di San Martino a Napoli; il gesso eseguito da Tommaso Solari (XVIII secolo) e conservato nel Museo Campano Provinciale di Capua; i disegni di J.B. Séroux d’Agincourt3; che ci informano sulle fattezze della statua di porta Capua, raffigurante Federico in trono, prima che nel 1799 le truppe francesi si accanissero contro qualsiasi emblema del potere monarchico. Oggi di quella statua ci resta solo il busto acefalo, conservato a Capua, nel Museo Provinciale Campano. Esistono, inoltre, tutta una serie di opere, in cui l’identificazione del soggetto con Federico II di Svevia è controversa e dibattuta dagli stessi storici dell’arte. L’ambito in cui sono presenti maggiori incertezze è quello della scultura. Per prima cosa sarà appropriato eliminare dalla nostra rassegna quei frammenti di teste e busti circa i quali non è possibile andare più in là di ipotesi e congetture, o poco di più. Anche se, per certe caratteristiche e peculiarità, vi possiamo rintracciare elementi affini alla fisionomia e agli ideali politici ‘classicheggianti’ dell’imperatore, per il loro stato di conservazione siamo costretti ad escludere il busto acefalo del cavaliere nel cortile di Castel del Monte e la testa laureata frammentaria proveniente, ugualmente, da Castel del Monte e ora conservata a Bari, nella

1Volbach considera le miniature del codice libere riproduzioni di età manfrediana, ad eccezione di quelle del folio 1v. che per motivi stilistici ritiene copie fedeli dell’originale federiciano (Vedi W.F. VOLBACH, Le miniature del codice Vatic. Pal. Lat. 1071 «De arte venandi cum avibus», pp. 145-175); il Bologna ritiene tutte le miniature del codice fedeli all’originale (Vedi F. BOLOGNA, I pittori alla corte angioina di Napoli 1266-1414, pp. 37-41); Cfr. con il Pace che torna ad avversare la fedeltà di tali miniature al codice federiciano (Vedi V. PACE, Pittura e miniatura sveva da Federico II a Corradino, p. 104). 2 Una più recente indagine, argomentata dalla Trombetti Budriesi nell’introduzione alla sua edizione del De arte venandi cum avibus, sembra aver dimostrato che il manoscritto perduto a Vittoria non sia stato, come comunemente si credeva, il trattato composto dall’imperatore Federico II (Vedi FEDERICO II DI SVEVIA, De Arte venandi cum avibus, a cura di A.L. Trombetti Budriesi, pp. XLIV-L e LXVLXVIII). 3 Uno è un disegno eseguito tra 1781 e 1782 e conservato a Roma, nella Biblioteca Apostolica Vaticana. L’altro è una riproduzione in calcografia inserita tra le tavole allegate al terzo volume dell’Histoire de l’Art par les monumens di J.B. Séroux d’Agincourt, pubblicata postuma nel 1823.

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Pinacoteca Provinciale4; e il frammento di testa laureata, conservato in una collezione privata a Bitonto5. Ancora si è creduto di vedere Federico II nella statua di cavaliere sulla piazza di Magdeburgo, o in quello che si erge all’esterno del coro orientale, dedicato a San Giorgio, della cattedrale di Bamberga. In quest’ultimo caso saremmo di fronte ad un cripto-ritratto dello svevo sotto le sembianze di un santo6. Ma tale ambito di ritrattistica esula dal nostro campo d’indagine. Non sono utili ai nostri fini quelle raffigurazioni di sovrani ed imperatori, sì di età sveva, ma che non rappresentano dichiaratamente Federico II. Questo è l’ambito che ci siamo proposti di indagare. Come detto maggiori incertezze ci sono per quanto riguarda la scultura. Questo perché i presunti busti dell’imperatore ci sono giunti in un non perfetto stato di conservazione e soprattutto decontestualizzati. Non sappiamo chi li produsse, dove erano posti, se facevano parte di opere maggiormente strutturate, come grandi monumenti pubblici di chiaro intento propagandistico; se erano rivolte ad un pubblico vasto, oppure ornavano le stanze private del sovrano; inoltre non vi sono iscrizioni che ci indirizzano sull’identificazione o la datazione, cosicché tutto è labile ed incerto. Da parte nostra, ben lungi da voler porre la parola fine alla questione, ci limiteremo ad accettare solo quelle che sono con un più

4 La Calò Mariani, (Vedi M.S. CALÒ MARIANI, L’arte al servizio dello Stato, p. 142), ritiene questi due frammenti, facenti parte di una scultura che raffigurava Federico. Per il Molajoli, (Vedi B. MOLAJOLI, Una scultura frammentaria di Castel del Monte, pp. 120-125) non vi sono convincenti indizi per affermare che il frammento di testa laureata, rappresentasse l’imperatore. 5 Il Claussen non ne parla neppure, perché per lui i danni che ha subito non rendono possibile alcuna affermazione certa (Vedi P.C. CLAUSSEN, Creazione e distruzione dell’immagine di Federico II, p. 73). Vorrei però fare, per inciso, alcune considerazioni. Di questa opera è stato messo in risalto il suo legame con l’arte di stampo federiciano e la somiglianza con quella conservata a Barletta., in particolare per quanto riguarda le mascelle vigorose, il taglio degli occhi, che risultano fortemente incassati e per l’inquietudine espressiva che la caratterizza (Vedi P. BELLI D’ELIA, Un nuovo documento federiciano a Bitonto, p. 549, p. 555; e V. PACE, Arte federiciana e arte sveva, p. 245). Ora, se come evidenzierò nel prossimo capitolo, il busto di Barletta può essere considerato una rappresentazione piuttosto certa di Federico II, ne consegue che molto presumibilmente anche il nostro frammento, raffiguri lo stesso imperatore. Ma siamo nell’ambito delle ipotesi. 6 Vedi M.S. CALÒ MARIANI, Immagine e potere, p. 40; e E. CASTELNUOVO, Il volto di Federico, p. 64.

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largo consenso considerate sculture raffiguranti Federico II, che sono state prodotte durante il suo regno e che hanno ricevuto maggiore attenzione dagli studiosi, in modo che ci potremmo districare meglio in un ambito nel quale non abbiamo né competenza né esperienza. Nel busto da Genova, conosciuto anche come ‘marmo Cellini’, la critica vede, in maniera unanime, gli stessi lineamenti delle raffigurazioni ufficiali di Federico, nonché lo stesso vestiario7. Un problema è posto dal Claussen, che ritiene il busto di epoca postmedievale, pur confermando le analogie per quanto riguarda la foggia dei capelli e le insegne con la raffigurazione di Federico presente sugli augustali8. Saremmo di fronte, quindi, ad un busto che riproduce le fattezze di Federico, ma composto non durante il suo regno. Quindi siamo indotti ad escluderlo dalla nostra rassegna. Similmente ci comportiamo con il busto della collezione Cariplo, conservato a Milano, che tra l’altro costituisce un episodio della ritrattistica federiciana ancora tutto da indagare. Benché ne siano state messe in risalto le similitudini con la statua di Capua e il ritratto degli augustali9, il Bologna lo considera, per il taglio del busto e per la politezza del ritratto, opera di inoltrato Quattrocento, legata alla fortuna che il mito di Federico ebbe nel Regno aragonese10. Inoltre è difficile sbilanciarsi sull’identificazione della mensola di Castel Maniace a Siracusa, in cui il Prandi vede i tratti di Federico II 11. Anche qui il cattivo stato di conservazione non ci permette di esprimere un giudizio certo. Lo stesso vale anche per il secondo ‘busto all’antica’ custodito nel castello di Barletta, ma detto provenire da Manfredonia, di cui inoltre anche la datazione è problematica12.

7 Il Quartino mette in luce le similitudini tra il busto e il profilo di Federico presente sugli augustali (Vedi L. QUARTINO, Un busto genovese di Federico II, pp. 289-299); il Todisco considera l’opera come fedele ritratto di Federico (Vedi L. TODISCO, Controversie federiciane, p. 151). 8 P.C. CLAUSSEN, Creazione e distruzione dell’immagine di Federico II, p. 70. 9 Vedi Ivi, p. 71; e V. PACE , Arte federiciana e arte sveva, p. 243. 10 F. BOLOGNA, DIVI IVLI CAEsaris, pp. 17-18. 11 Cfr. A. PRANDI, Un documento d’arte federiciana, p. 274. 12 Vedi P.C. CLAUSSEN, Creazione e distruzione dell’immagine di Federico II, p. 73; e L. TODISCO, Controversie federiciane, p. 151.

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Sulla scia del Claussen13 eliminiamo anche tutte quelle immagini in cui non è presente nessun simbolo di potere. In un mondo come quello medievale, in cui il soggetto rappresentato veniva riconosciuto dal pubblico per la presenza di oggetti che lo caratterizzavano, è impensabile che un sovrano fosse rappresentato senza l’attributo che più lo qualificava. Di questo genere sono la ‘testa di Lanuvio’ dell’Istituto Archeologico Germanico a Roma14 e il così detto ‘ritratto senile’ del Kunsthistorisches Museum di Vienna15. Per la mancanza della corona e per l’interpretazione e la datazione che ne dà il Bologna16, escludiamo che nel cacciatore dell’affresco detto ‘Il trionfo della morte’, nella chiesa di S. Margherita a Melfi, si possa identificare, come sostenuto dal Capaldo17, un ritratto di Federico II. Per quanto riguarda il busto di Acerenza, risulta quasi impossibile esprimersi, poiché al problema di identificazione si aggiunge quello di datazione, con un gap cronologico, che oscilla dal IV al XVI secolo18. Certo la fisionomia e la lunga barba, ci portano ad escluderlo dalle rappresentazioni di Federico19. Una folta barbetta, appare anche nella

13 Il Claussen afferma: “Il ritratto ufficiale dell’imperatore, in quanto tale, dovrebbe essere riconoscibile da una corona o da un serto di alloro alla guisa dei cesari” (P.C. CLAUSSEN, Creazione e distruzione dell’immagine di Federico II, p. 70). 14 Vedi Ibidem; V. PACE, Il “ritratto” e i “ritratti” di Federico II, pp. 5-10; e Idem, Arte federiciana e arte sveva, pp. 243-244; Cfr. A. PRANDI, Un documento d’arte federiciana, pp. 274-275. Quest’ultimo ne mette in risalto alcuni particolari federiciani: la scarsa depressione alla radice del naso, come negli augustali; il labbro superiore breve come nel gesso Solari e nella testa-mensola di Castel Maniace; la bocca stretta, curva e tumida, come nel gesso Solari e nei disegni d’ Agincourt; i due solchi tra le gote e il labbro superiore; e le rughe. 15 Vedi P.C. CLAUSSEN, Creazione e distruzione dell’immagine di Federico II, p. 70; V. PACE, Il “ritratto” e i “ritratti” di Federico II, p. 7; e Idem, Arte federiciana e arte sveva, p. 244. 16 Per il Bologna l’opera è posteriore al 1266 e si legherebbe quindi al dominio angioino (Vedi F. BOLOGNA, I pittori alla corte angioina di Napoli 1266-1414, p. 43). 17 Il Capaldo basa tale identificazione su il simbolo che si trova sulla borsa del cacciatore, elemento mandalico che ricorrerebbe in tutta la produzione artistica federiciana (Vedi L. CAPALDO, Il Trono di Federico II, pp. 86-89). 18 V. PACE, Arte federiciana e arte sveva, p. 250. 19E. Kantorowicz ci informa (Vedi E. KANTOROWICZ, Federico II imperatore, p. 708) che l’imperatore non portava la barba. Tale informazione è confermata anche dal Claussen (Vedi P.C. CLAUSSEN, Creazione e distruzione dell’immagine di Federico II, p. 70), che per tale motivo esclude il busto di Acerenza dalla ritrattistica di Federico II. Dello stesso parere è A. Prandi (Vedi A. PRANDI, Un documento

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testa diademata, rinvenuta nel Tevere ed esposta nei Staatliche Museen di Berlino. Per questo è stata esclusa20. Anche se non è inverosimile che il nostro imperatore, avesse un po’ di lanugine intorno al mento21, la barba che presenta questa testa contraddice le principali caratteristiche iconografiche di Federico II. Eliminiamo il busto laureato di Berlino, dei Staatliche Museen - da non confondere con la testa diademata, conservata sempre a Berlino – per problemi di datazione e di identificazione fisionomica22. Restiamo particolarmente incerti riguardo alla testa laureata del Museum of Fine Arts di Boston, che il Claussen ha escluso per la corona, che si discosta da quelle degli augustali23. Eppure quel volto allungato, le pesanti mascelle, le rughe e le linee profonde che racchiudono la bocca e che fanno pensare al busto di Barletta, come ha ben messo in evidenza il Rowland24, ci porterebbero quasi ad identificarvi l’imperatore. Ma sapendo che non arriveremo mai ad una conclusione certa, nell’incertezza preferiamo non prenderla in considerazione. In conclusione di questa rassegna al negativo delle rappresentazioni di Federico II, passando ai cammei, ci sentiamo di escludere quello conservato a Monaco di Baviera, il cosiddetto ‘Puer Apuliae’25 e i due, quasi identici, raffiguranti una scena di incoronazione, conservati uno a Monaco, l’altro al Louvre di Parigi. Questi due cammei hanno avuto una datazione molto ampia,

d’arte federiciana, pp. 289-290 ), che aggiunge anche motivazioni fisionomiche. Per F. Bologna (Vedi F. BOLOGNA, I pittori alla corte angioina di Napoli 1266-1414, p. 33), sulla base di un’analisi di tipo stilistico, il busto non è da ritenersi neppure di ambito federiciano; Cfr. con Belli D’Elia (Vedi P. BELLI D’ELIA, Un nuovo documento federiciano a Bitonto, p. 557) e il Ricci (Vedi S. RICCI, Gli “augustali” di Federico II, pp. 65-66) che lo datano al Medioevo e soprattutto quest’ultimo vi vede il ritratto dell’imperatore. 20 P.C. CLAUSSEN, Creazione e distruzione dell’immagine di Federico II, p. 70. 21 Vedi S. RICCI, Gli “augustali” di Federico II, pp. 63-63; G. GEROLA, L’affresco della torre di San Zeno a Verona, p. 255; e F. ZULIANI, Gli affreschi duecenteschi del palazzo abbaziale di San Zeno, p. 28. 22 P.C. CLAUUSEN, Creazione e distruzione dell’immagine di Federico II, p. 73. 23 Ibidem. 24 B. ROWLAND, A New Portrait Head of Frederick II Hohenstaufen, pp. 351-356. 25 La sua datazione è troppo incerta per poter sostenere con certezza che si tratti di Federico II. Vedi V. PACE, Arte federiciana e arte sveva, p. 251; Cfr. A. GIULIANO, Motivi classici nella scultura e nella glittica di età normanna e federiciana, p. 25.

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spaziando dall’età antica al XIII secolo, o addirittura al XVII26. Sono stati attribuiti alla corte sveva soprattutto per il tema iconografico, di esaltazione laica. Ma per la condotta piuttosto intransigente che fin qui abbiamo tenuto nei confronti delle rappresentazioni di Federico, non possiamo accettarli, considerato, tra l’altro, che di loro si auspica una generale riconsiderazione, che faccia luce definitivamente27. A questo punto è doveroso elencare le rappresentazioni su cui intendiamo basarci per il nostro studio e che successivamente analizzeremo più dettagliatamente. Per quanto riguarda la pittura, abbiamo: l’affresco con scena cortese del Palazzo Finco a Bassano del Grappa; l’affresco dell’Omaggio dei popoli della terra a Federico II del Palazzo abbaziale di San Zeno a Verona; la miniatura della Chronica regia coloniensis conservata nella Bibliothèque Royale a Bruxelles; la miniatura dell’Autorità temporale dell’Exultet del Duomo di Salerno; la miniatura del folio 1v. del manoscritto latino 1071 del De arte venandi cum avibus della Biblioteca Apostolica Vaticana a Roma. Tra le sculture, dopo la lunga epurazione, sono rimasti: il busto-ritratto di Federico II nel Museo Civico di Barletta; il rilievo dell’ambone della cattedrale di Bitonto; la statua della porta di Capua, di cui ci resta solo il busto, ma, come abbiamo già detto, possiamo recuperare le fattezze della testa tramite opere posteriori. Di notevole importanza sono inoltre le monete. Quelle sulle quali compare il volto del nostro sovrano sono: l’augustale, nelle sue tre fasi di sviluppo; l’augustale di ‘tipo speciale’, conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna; alcune monete coniate nelle città del nord Italia; il grosso argenteo della zecca di Vittoria; alcuni denari. La figura dell’imperatore in maestà campeggia in tutte le serie dei sigilli: del 1212, del 1215, del 1220 e del 1225/1226. Infine vanno tenuti in considerazione il cammeo rappresentante Federico II in trono, conservato nel Tesoro del Duomo di Praga e la statuetta facente parte dello scrigno-reliquiario di Carlo Magno nel Tesoro del Duomo di Aquisgrana.

26 Quello di Monaco oscilla tra l’età antica e il XVII secolo, mentre quello di Parigi tra la metà del XIII secolo e il XV secolo. Vedi V. PACE, Arte federiciana e arte sveva, p. 252. 27V. PACE, Arte federiciana e arte sveva, p. 252.

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I.4. Le raffigurazioni di Federico II.

Intendo adesso entrare nel vivo della materia che sarà l’oggetto del lavoro e quindi presentare brevemente le varie raffigurazioni scelte, dandone una sommaria descrizione e motivando le mie scelte. Gli affreschi. L’affresco del palazzo Finco a Bassano del Grappa (fig. 1) è stato studiato dall’Avagnina1. La studiosa identifica con Federico II il sovrano che seduto in trono porge una rosa alla regina che gli sta di fianco e lo data ai decenni quarto-quinto del XIII secolo, più precisamente intorno al 1239. Le sue argomentazioni si basano su dati stilistici e storici. Da un raffronto con le miniature del De arte venandi cum avibus, risultano somiglianze negli attributi regali, nell’abbigliamento, nelle acconciature dei falconieri e nelle fisionomie carnose e arrotondate dei volti2. Ma se accettiamo la datazione che delle miniature dà il Volbach3, dovremmo postdatare l’affresco all’età manfrediana, più precisamente tra il 1258 e il 1266, come sostiene il Pace4. Dal punto di vista storico l’Avagnina insiste sull’alleanza tra Federico ed Ezzelino da Romano, che aveva vaste concentrazioni 1 M.E. AVAGNINA, Un inedito affresco di soggetto cortese a Bassano del Grappa, pp. 105-111. 2 Ivi, p. 111 3 W.F. VOLBACH, Le miniature del codice Vatic. Pal. Lat. 1071 «De arte venandi cum avibus», pp. 145-175. Ma ricordo che, come ho già detto, ritiene quelle dei due sovrani in maestà copie fedeli dell’originale federiciano. 4 Il Pace data l’affresco all’inizio del terzo quarto del XIII secolo su basi stilistiche (Vedi V. PACE, Pittura e miniatura sveva da Federico II a Corradino, p. 107).

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edilizie a Bassano, nella zona dell’odierno palazzo Finco, e sulla presenza dell’imperatore e della sua consorte a Padova, nei primi mesi del 12395. A questo si oppone ancora il Pace che, se da una parte non ritiene tali motivazioni soddisfacenti, aggiunge inoltre che la resa fisionomica del monarca, in nulla si apparenta ai ritratti di Federico6. Ritornerò sull’argomento nella seconda parte dell’opera, limitandomi qui, ad una breve descrizione. La raffigurazione si è conservata in modo purtroppo lacunoso. Rimane il busto di un uomo coronato da una corona circolare, del tipo ‘a gigli’. Nella mano destra, guantata, ha una rosa, nella sinistra, che non si vede, lo scettro gigliato. I capelli, che scendono lungo il collo, sono in parte racchiusi in una cuffietta alla francese. Il viso è caratterizzato da una trama di rughe che si sviluppano sotto gli occhi. Del trono resta solo un piccolissimo frammento, dove spiccano dei cuscini. L’abito è di colore rosso tenue, quasi rosa e sotto di questo, all’altezza delle maniche, appare un altro camice. Non è presente il mantello. Attorno al sovrano sono raffigurati un menestrello, un individuo di difficile identificazione7 e una regina, con un falchetto sulla mano sinistra, ben protetta da un guanto di cuoio. Il sovrano sovrasta tutti gli altri personaggi in altezza, aiutato anche dalla corona, che intacca il bordo della cornice dell’affresco. In tutta la scena aleggia un’atmosfera di serenitas. Passiamo all’altro importantissimo affresco, quello del palazzo abbaziale di Verona (fig. 2). La pittura, divisa in tre strisce, si trova all’esterno del lato settentrionale della torre, sotto un loggiato che aveva funzione di salone per le cerimonie. Nella fascia centrale si trova un sovrano seduto in trono, omaggiato da una serie di personaggi dagli abiti di tipo orientale. Per il Gerola sarebbe qui rappresentato il tema dell’omaggio all’imperatore da parte dei rappresentanti delle varie nazioni del mondo8. Ma, per quanto riguarda la datazione, opta, su basi stilistiche, per la fine del Duecento e per 5 M.E. AVAGNINA, Un inedito affresco di soggetto cortese a Bassano del Grappa, p. 107. 6 V. PACE, Pittura e miniatura sveva da Federico II a Corradino, p. 107. 7 Può essere un membro o della famiglia dei da Romano - forse Alberico - o della corte sveva - Pier delle Vigne o forse un falconiere di nobile lignaggio -. Vedi M.E. AVAGNINA, Un inedito affresco di soggetto cortese a Bassano del Grappa, p. 107 e p. 110. 8 Tale identificazione si basa su di un raffronto con miniature di simile soggetto di età ottoniana. Vedi G. GEROLA, L’affresco della torre di San Zeno a Verona, p. 245.

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quanto riguarda l’identificazione del sovrano, afferma che il pittore, senza concentrarsi su un personaggio preciso, esprime “allegoricamente la potenza e l’universalità dell’impero”9. Diversamente lo Zuliani, confermando il tema dell’affresco, si spinge ad identificarvi l’imperatore Federico II, sulla base di precise motivazioni storiche, ideologiche, stilistiche ed iconografiche, retrodatando la pittura agli anni seguenti la vittoria di Cortenuova (1237)10. Secondo lo Zuliani vi si possono individuare elementi squisitamente svevi: uno stemma con un’aquila nera in campo oro; i frammenti di una ruota della fortuna, tema iconografico, già presente nel Liber ad honorem Augusti di Pietro da Eboli; e una scena di caccia, attività molto amata da Federico II11. Anche il Pace, se da una parte è scettico sul fatto che nella raffigurazione dell’imperatore possa vedersi veramente un ritratto in senso veristico di Federico II, sostiene che questa lascia meno dubbi di altre. Guardando all’affresco con gli occhi dell’uomo medievale, afferma: “per chi si trovasse a Verona a quel tempo il «sovrano» dell’affresco era Federico II”12. Sufficientemente certi che si tratti del nostro imperatore, procediamo a descriverlo. Il sovrano siede sotto un’arcata, su di un trono a zampe di leone incrociate, del tipo a faldistorio. Su tale scanno è disteso un drappo a righe bianche e verdi. La mano destra, a causa delle lacune in cui versa questa parte dell’affresco, possiamo solo ipotizzare che reggesse uno scettro e fosse tesa verso il corteo13. La sinistra è posata sulle ginocchia e sembra che indossi un guanto bianco. Il sovrano veste una tunica azzurra ed un mantello rosso, con collare e risvolti bianchi, probabilmente di ermellino. Il mantello non è retto da alcuna spilla o fermaglio. La corona, composta da tre larghe punte, è da considerarsi del tipo a gigli. Il volto è caratterizzato da baffi e da una rada barbetta, l’aspetto è giovanile14. I capelli, rossicci, sono lunghi e

9 Ivi, p. 258. 10 F. ZULIANI, Gli affreschi duecenteschi del palazzo abbaziale di San Zeno, p. 24 e pp. 28-30; Idem, Gli affreschi del palazzo abbaziale di San Zeno a Verona, pp. 114-115. Analizzerò meglio tali motivazioni nella seconda parte. 11 Idem, Gli affreschi duecenteschi del palazzo abbaziale di San Zeno, pp. 29-30. 12 V. PACE, Il “ritratto” e i “ritratti” di Federico II, p. 10. 13 Vedi G. GEROLA, L’affresco della torre di San Zeno a Verona, p. 255; e F. ZULIANI, Gli affreschi duecenteschi del palazzo abbaziale di San Zeno, p. 20. 14 Vedi Ivi, p. 28; e G. GEROLA, L’affresco della torre di San Zeno a Verona, p. 255. Per l’esattezza il Gerola non parla nemmeno di “rada barbetta”, come lo Zuliani, ma di “volto circondato di fine pelurie”.

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scendendo sulle spalle si gonfiano voluminosi. Pur essendo seduto, Federico risulta più alto degli altri personaggi e grazie alla corona acquista un senso di maestosità. La postura del corpo, non è perfettamente frontale, ma risulta leggermente volta di lato, verso il corteo. L’atmosfera che caratterizza tutto la scena è di grande solennità. Le miniature. Su quella della Chronica regia coloniensis (fig. 3) non ho trovato uno studio specifico. L’ho incontrata per la prima volta citata come sicura immagine di Federico II dal Prandi15, senza un’ulteriore informazione, né nel testo, né in nota. In seguito, in un saggio di J. Dörig sui ritratti di Federico II16 si riportava la riproduzione in bianco e nero della miniatura, contenuta in un codice conservato nella Biblioteca Reale del Belgio a Bruxelles. Per quanto riguarda la datazione, veniva attribuita alla metà del XIII secolo. Più precisamente, lo Zuliani la considerava eseguita intorno al 1238, ad Aquisgrana17. Infine in uno scritto di Cardini ho casualmente trovato una riproduzione a colori di questa raffigurazione18. Inoltre in un catalogo di una mostra sugli svevi ho rinvenuto un’altra miniatura, tratta dallo stesso codice, rappresentante Enrico VI19. Dato il silenzio che circonda questa raffigurazione di Federico II, posso dire ben poco. Il sovrano è seduto in maestà, sotto ad un arco, retto da due colonne. Del trono si vede poco, spicca solo il poggiapiedi. Tiene nella mano sinistra lo scettro gigliato, mentre il dito indice della mano destra, è alzato in segno di ammonimento. La corona è circolare, del tipo a gigli stilizzati. Il mantello, che ricopre tutta la persona, è fermato da un fermaglio sul petto. Si notano poi una lunga tunica, le calze e i sandali.

15 A. PRANDI, Un documento d’arte federiciana, p. 271. 16 J. DÖRIG, Ritratti dell’Imperatore Federico II, p. 69-91. Tale miniatura è riprodotta a p. 78. 17 F. ZULIANI, Gli affreschi duecenteschi del palazzo abbaziale di San Zeno, p. 35. In realtà nel testo c’è scritto 1138, ma visto il contesto, penso sia un errore di stampa. 18 F. CARDINI, Gli Ordini cavallereschi, p. 50. 19 Gli Svevi in Italia meridionale, a cura di C. De Venere. Anche qui non si aggiunge alcuna informazione sull’immagine.

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Il volto è quello di un giovane. Spiccano i baffi, divisi in due parti e la barba. I capelli sono lunghi, sciolti sul collo e abbozzano degli ampi riccioli sulla fronte e sotto agli orecchi, che restano scoperti. Sullo sfondo l’abitato di una città. Il sovrano è identificabile da una scritta, che lo designa Fridericus Rex. Penso che sia utile, per una migliore comprensione di questa miniatura, sottolineare che tra la rappresentazione di Federico e quella del padre Enrico VI non ci sono sostanziali differenze. Anzi i due volti, tanto simili se non identici, sembrano rifarsi ad un comune modello iconografico. Nella miniatura rappresentante l’autorità temporale dell’Exultet di Salerno (fig. 4), è stato riconosciuto, con unanime consenso, Federico II. Naturalmente non si tratta di un ritratto fedele dell’imperatore, ma di una sua immagine idealizzata, conforme a quella ufficiale prodotta all’interno della corte20. L’opera, potrebbe essere stata commissionata dallo stesso imperatore. In tal caso la data di esecuzione non supererebbe il 1227, anno della sua prima scomunica. Se a far eseguire il rotolo fosse stato invece l’arcivescovo Niccolò d’Ajello dovremmo datarlo non oltre il 1222, anno della morte del prelato21. Questa miniatura, insieme alle altre che illustrano tutto il documento, aveva la funzione di spiegare al popolo il contenuto del preconio pasquale, letto dal diacono, la notte del Sabato Santo. La pittura in esame rappresentava la commendatio per il principe, che chiudeva il testo22. Il sovrano è su un trono dorato, senza schienale, ma ricoperto da un cuscino rosso. Nella mano sinistra tiene un globo crocifero, nella destra un lungo scettro liliato. La corona, costituita da un’alta fascia decorata da un motivo a rombi, è sormontata da tre piccole punte. Sembra del tipo a gigli, ma fortemente stilizzata. Per quanto riguarda il vestito abbiamo una lunga veste verde, che arriva fino ai piedi, bordata da un ricamo in oro. Un gallone dorato corre anche nel centro dell’abito, dal collo ai piedi, a mo’ di loros. Sotto di questa appaiono le maniche di una tunica di colore rosso. Ai piedi dei sandali scuri. Il volto è di aspetto giovanile, imberbe. Spiccano gli orecchi,

20 Vedi V. PACE, Miniatura di testi sacri nell’Italia meridionale al tempo di Federico II, pp. 436-437; G.B. LADNER, The “portraits” of emperors in southern italian Exultet rolls and the liturgical commemoration of the emperor, p. 316; e V. PACE, H. HOUBEN, L’identità di Federico II, p. 186. 21 Vedi V. PACE, Miniatura di testi sacri nell’Italia meridionale al tempo di Federico II, p. 437; e V. PACE, H. HOUBEN, L’identità di Federico II, p. 188. 22 A. CARUCCI, L’exultet salernitano, p. 137.

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particolarmente grandi e che rimangono scoperti, nonostante i lunghi e voluminosi capelli biondi. L’imperatore è di dimensioni spropositate, risultando il doppio delle persone che lo circondano. Queste sono state interpretate come dignitari di corte, oppure come popolo, per le vesti e perché è quest’ultimo ad essere ricordato nel preconio23. La scena si svolge sotto un baldacchino, composto da due colonne di porfido con capitelli di ordine corinzio e un tendaggio serico di colore verde, con ornature in oro. Presumibilmente siamo all’interno del palazzo imperiale24. L’espressione ieratica e la maestosa immobilità del sovrano, espressa grazie alla “grammatica figurale bizantina”25, permea tutta la rappresentazione, di una solennità quasi sacrale. La miniatura più famosa rappresentante Federico II è quella del folio 1v., del De arte venandi cum avibus del Codice Vaticano Palatino Latino 1071, conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana, a Roma (fig. 5). Ho già accennato al problema di corrispondenza delle miniature di questo codice di età manfrediana, a quelle dell’originale federiciano, ma adesso è il momento di trattarne più dettagliatamente. Penso che sia da escludere la riflessione del Ricci, che basandosi sull’affermazione che l’imperatore scrisse nell’introduzione dello stesso trattato, - “Intentio vero nostra est manifestare in hoc libro de venatione avium ea quae sunt sicut sunt” - considera la raffigurazione un ritratto fedele dell’imperatore26. Ma il problema per quanto mi riguarda non è tanto quello della resa fisionomica del volto del puer Apuliae, ma la consonanza di queste miniature con quelle originali, con quelle che Federico se non disegnò di proprio pugno, almeno vide e accettò, come sufficientemente caratterizzanti la propria regalità. Il Volbach, ammette che “le miniature del codice vaticano non possono essere riproduzioni di

23 Gli astanti sono interpretati come dignitari di corte dal Pace e dall’Houben (Vedi V. PACE, Miniatura di testi sacri nell’Italia meridionale al tempo di Federico II, p. 436; e V. PACE, H. HOUBEN, L’identità di Federico II, p. 186), mentre li considera parte del popolo il Carucci (Vedi A. CARRUCCI, L’exultet salernitano, p. 139). 24 V. PACE, Miniatura di testi sacri nell’Italia meridionale al tempo di Federico II, p. 436. 25 F. BOLOGNA, I pittori alla corte angioina di Napoli 1266-1414, pp. 21-22. 26 Cfr. con il Ricci, che partendo proprio da questa affermazione dell’imperatore, ritiene la miniatura un ritratto veristico di Federico (Vedi S. RICCI, Gli “augustali” di Federico II, p. 65). Ibidem è riportata anche la frase tratta dal De arte venandi cum avibus (Vedi FEDERICO II, De Arte venandi cum avibus, p. 5).

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miniature esistenti nell’originale” perché “l’imperatore stabilisce, nel suo trattato (libro IV), che il falconiere debba avere vesti poco vistose, in grigio, o in colore della terra, mentre nel codice vaticano i falconieri hanno vesti vistosamente colorite” ed inoltre non vi sono incertezze dei presunti copisti, né dal punto di vista stilistico né da quello iconografico27. Fanno, però, eccezione proprio quelle del folio 1v., che dal punto di vista stilistico hanno un carattere più antico e dal punto di vista iconografico rappresentano un tipo di vestiario tipico della prima metà del XIII secolo, con particolari analogie con la figura in maestà dell’Exultet di Salerno. Inoltre ci sono strettissimi rapporti con i sigilli di Federico e gli augustali28. Per il Bologna anche le altre immagini sono una copia dell’originale, perché il loro stile ‘moderno’ lo ricavarono dall’arte francese della prima metà del XIII secolo, che già aveva attecchito nel sud Italia tra architetti e scultori29. Per inciso, il Pace, anticipando nuovi studi, torna a optare per una disuguaglianza tra il modello e la copia manfrediana30. Non voglio entrare nel merito della discussione. Quello che mi interessa è che, allo stato corrente degli studi, le due rappresentazioni di sovrano in maestà si possono considerare con un buon margine di certezza fedeli al modello federiciano. I due personaggi seduti in trono si differenziano tra loro, tanto da ritenere, che il primo sia Federico, mentre il secondo il figlio Manfredi31. Quello superiore è seduto su un trono coperto da un cuscino, poggia i piedi su uno sgabello e porta un’alta corona gialla,

27 W.F. VOLBACH, Le miniature del codice Vatic. Pal. Lat. 1071 «De arte venandi cum avibus», pp. 144-145. 28 Ivi, p. 162. 29 F. BOLOGNA, I pittori alla corte angioina di Napoli 1266-1414, pp. 40-41. 30 V. PACE, Pittura e miniatura sveva da Federico II a Corradino, p. 104. 31 W.F. VOLBACH, Le miniature del codice Vatic. Pal. Lat. 1071 «De arte venandi cum avibus», p. 159. Purtroppo non dà un’esauriente spiegazione sui motivi che inducono a vedere Federico nel primo e Manfredi nel secondo. Il Prandi pur concordando con questa interpretazione, sottolinea la somiglianza e non le differenze dei due ritratti (Vedi A. PRANDI, Un documento d’arte federiciana, p. 272). Secondo me è difficile distinguere chi dei due è Federico. La corona più grande del primo, sottolineata dal Volbach, non è attendibile perché se guardiamo alle dimensioni, allora è il secondo sovrano ad essere più maestoso del primo. Inoltre si tenga presente che c’è chi ha identificato entrambe le miniature come raffiguranti Federico II (Vedi FEDERICO II DI SVEVIA, De Arte venandi cum avibus, a cura di A.L. Trombetti Budriesi, p. LXXV). Visto che dal punto di vista iconografico non vi sono grosse differenze tra le due figure, preferisco descriverle tutte e due, lasciando in sospeso la questione.

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del tipo a gigli stilizzati. Veste un mantello blu foderato di pelliccia bianca, chiuso da una spilla sul petto e un abito di color porpora- violetto, sotto il quale appaiono le maniche di una tunica di colore arancione. Lungo il corpo scende un loros decorato con gioielli, che passa sotto una cintura gialla. Indossa sandali scuri. Porta nella mano destra un giglio, che “potrebbe essere la copia mal capita di un coronamento di un globo”32. Con la sinistra compie il tipico gesto del docente che intende insegnare le modalità di fruizione del suo trattato ai lettori33. Ai suoi piedi un falchetto che sta appollaiato sul suo trespolo. Il sovrano è in posizione frontale, in un atteggiamento solenne. Il volto è sbarbato, giovanile, si notano gli occhi ravvicinati e infossati, la bocca piccola e i capelli lunghi, che non scendono oltre gli orecchi. Quest’ultimi non appaiono rimanendo presumibilmente sotto la chioma rossiccia. Anche l’altra figura siede su un trono, impreziosito da un cuscino. Porta un mantello rosso, abbottonato da una spilla sul petto, una veste blu e presumibilmente una tunica, anche se questa raffigurazione ha subito alcuni danni, ed è meno leggibile. Anche qui è presente un loros, identico al precedente e stretto in vita da una cintura. La corona, non ben visibile, è di un tipo diverso da quella precedente. Sembra una fascia circolare, senza fregi foliacei, o comunque di dimensioni molto ridotte. Nella mano destra, un lungo e sottile scettro, alla cui sommità spicca un giglio. La sinistra come nella precedente miniatura si pone nell’atteggiamento tipico di colui che sta insegnando qualcosa34. Sullo stesso lato due falconieri e i relativi falchi, rappresentati di profilo, mentre si inchinano verso quel fianco del sovrano. Il volto anche in questo caso, è sbarbato e giovanile. I capelli, anche se tagliati in maniera leggermente diversa da quella dell’altro sovrano, sono lunghi e coprono gli orecchi. La bocca è piccola, gli occhi ravvicinati. L’espressione è ierocratica, caratterizzata da solennità e maestosità. Le dimensioni di questo re sono leggermente superiori a quelle dell’altro.

32 W.F. VOLBACH, Le miniature del codice Vatic. Pal. Lat. 1071 «De arte venandi cum avibus», p. 159. 33 FEDERICO II DI SVEVIA, De Arte venandi cum avibus, a cura di A.L. Trombetti Budriesi, p. LXXV. 34 Ibidem.

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Le sculture. Passiamo adesso alla scultura. Inizio da un’opera enigmatica, che ha fatto scrivere molto di sé: è il busto conservato nel Museo Civico di Barletta (fig. 6). Per il Prandi si tratta di un ritratto, e di un ritratto non idealizzato, ma fortemente veristico, di Federico II, presumibilmente rappresentato negli ultimi anni di vita, tra il 1245 e il 125035. Allo stesso modo il Bologna non considera inverosimile riconoscervi un ritratto dell’imperatore, datando l’opera al 1231, “quando prendono corpo definitivo l’intento imperiale e l’universalismo laico della politica di Federico”36. Inoltre il busto segue un’iconografia identica a quella degli augustali, i cui primi esemplari appaiono nello stesso 123137. Si segnalano lo stesso vestiario, gli stessi simboli del potere e notevoli affinità nella visualizzazione dei dettagli del collo38. Ambedue gli studiosi, infine, ricostruiscono l’iscrizione, eseguita in età rinascimentale sulla base della scultura, con la scritta “DIVI FRI CAE”, da sciogliere in “Divi Friderici Caesaris”39. Sullo stile duecentesco della scultura concorda anche Belli d’Elia, che vi identifica un’espressione indubbiamente gotica, esemplata sui modelli tedeschi e francesi degli inizi del XIII secolo40. A queste interpretazioni si oppongono il Claussen e il Todisco. Il primo, pur concordando con la datazione medievale (federiciana nello specifico) del pezzo41, esclude che possa essere un ritratto del sovrano, per l’aspetto senile dell’uomo rappresentato, elemento che contraddice

35 Il Prandi arriva a tali conclusioni tramite un confronto fisionomico con i principali ritratti di Federico (Vedi A. PRANDI, Un documento d’arte federiciana, pp. 275-281). 36 F. BOLOGNA, I pittori alla corte angioina di Napoli, p. 27. 37 Ivi, p. 28. 38 F. BOLOGNA, DIVI IVLI CAEsaris, p. 22. 39 La scritta risulta lacunosa nella parte centrale. Si identifica solamente la prima parola DIVI e l’ultima CAE. Il Prandi propone l’integrazione, poi accettata anche dal Bologna, della parte mancante con la scritta FRI (Vedi A. PRANDI, Un documento d’arte federiciana, pp. 279-280; e F. BOLOGNA, DIVI IVLI CAEsaris, pp. 9-12). Il Todisco ritenendo il busto una rappresentazione di Giulio Cesare ricostruisce la scritta in “DIVI IULI CAE” (Vedi L. TODISCO, Il busto del museo di Barletta e le epigrafi CIL, IX, 101*-102*, pp. 196-198; e Idem, Controversie federicane, pp. 146-148). 40 P. BELLI D’ELIA, Un nuovo documento federiciano a Bitonto, p. 555, nota 8. 41 P.C. CLAUSSEN, Creazione e distruzione dell’immagine di Federico II , pp. 78-81.

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l’iconografia ufficiale di Federico II42. Il secondo ritiene il busto opera rinascimentale rappresentante Giulio Cesare43. Visto che la maggior parte degli studiosi ritiene la raffigurazione di ambito federiciano, mi trovo a concordare con loro, escludendo così l’ipotesi formulata dal Todisco. Più difficile è il problema dell’identificazione del personaggio. Senza entrare in merito della disputa sulla ricostruzione dell’iscrizione incisa sulla base, - che anche nel caso che, rechi veramente la scritta “Divi Friderici Caesaris”, è ritenuta per certo un’aggiunta rinascimentale - resta il problema della vecchiaia del personaggio rappresentato. A tal proposito, mi ha fatto riflettere una considerazione del Rowland, che sottolinea come l’aspetto così cadente del busto, può essere stato causato dalla cattiva conservazione, tenendo conto che l’opera era stata oggetto di fucilate44 ed è stata lungamente immersa in acqua salata45. Ne consegue che in origine la statua non avesse quell’accentuato carattere di senilità. Sicuramente un aspetto maturo, con qualche ruga che inizia a solcare la fronte, a contornare gli occhi e che offre quell’espressione pensosa. Una fisionomia, che ben si accorda con la descrizione che il Claussen, sulla base del Kowalsky, dà dell’augustale della così detta terza fase: “Kowalsky ritiene che questa terza fase abbia prodotto una tipologia organica di ritratto: un uomo tra i trenta e i quaranta anni che trasmette energia. [...] un sovrano energico e sereno a un tempo, ancora giovane ma né puer né senex.”46. Già il Prandi ne aveva messo in risalto le similitudini con un augustale dei conii più tardi, dove si fondevano “l’impronta idealistica e il carattere veristico”47. Inoltre, se riteniamo l’opera eseguita negli ultimi anni di vita dell’imperatore, possiamo legittimare la presenza di qualche ruga, pur in un contesto idealizzato. In questo oceano di proposte e supposizioni, salda e sicura come uno scoglio irrompe l’affermazione del Pace: “Diverso dal «ritratto» capuano è quello del busto di Barletta, nel quale, come si sa,

42 Il Claussen partendo dall’analisi degli augustali, esclude dalle rappresentazioni di Federico le “opere che rivelano chiaramente i segni dell’età che incalza” (Vedi P.C. CLAUSSEN, Creazione e distruzione dell’immagine di Federico II, pp. 73-74). 43 L. TODISCO, Il busto del museo di Barletta e le epigrafi CIL, IX, 101*-102*, p. 196; e Idem, Controversie federiciane, p. 148. 44 B. ROWLAND, A New Portrait Head of Frederick II Hohenstaufen, p. 351-356. 45 P.C. CLAUSSEN, Creazione e distruzione dell’immagine di Federico II, p. 78. 46 Ivi, p. 74. 47 A. PRANDI, Un documento d’arte federiciana, p. 275.

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si è identificato con quasi unanime concordia Federico II. Il suo volto è carico di un realismo espressivo che, di per sé ci invita a pensare a una precisa verosimiglianza con quello dell’imperatore”48. Verosimilmente certo che si tratti di una rappresentazione di Federico, ne propongo una breve descrizione. Il busto, presenta un nuovo tema iconografico, rispetto alle rappresentazioni fin qui incontrate. Il sovrano veste all’antica, con un mantello tenuto da una fibbia preziosa sulla spalla destra (come nel ‘paludamento’) ed è incoronato da un serto d’alloro, proprio come gli antichi imperatori romani. La scultura è impostata in modo da essere contenuta in una nicchia o comunque avere una posizione elevata rispetto a chi l’ammira49. Per quanto riguarda il volto segnalo le già ricordate rughe, gli occhi molto vicini ed infossati, il mento aguzzo e la mascella ampia, la bocca quasi socchiusa e contornata da due profonde incavature. La posizione della testa è leggermente girata di lato, verso destra. Il movimento provoca l’evidenziarsi delle corde del collo. Nel complesso l’opera pare avere una forte connotazione veristica, ma nello stesso tempo manifesta grande fierezza e maestosità. Passiamo adesso alla statua della porta di Capua (fig. 7). Questa, eseguita tra il 1234 e il 124750, ornava il monumento che Federico II aveva fatto erigere a Capua, ai confini del proprio regno. Di questa statua, ci resta solo il busto, acefalo, conservato nel Museo Provinciale Campano. È interessante notare che qui l’imperatore, seduto in trono, vestiva il paludamento con fibula sulla spalla destra, tipico dell’antica Roma. Per quanto riguarda le braccia, sappiamo da un cronista di età angioina, che “extensis brachiis duobusque digitis, quasi os tumide comminacionis versiculos intonantem” cioè le parole scolpite sulla porta stessa51. Alcune informazioni sul volto le possiamo avere tramite

48 V. PACE, Il “ritratto” e i “retratti” di Federico II, p. 7. 49 A. PRANDI, Un documento d’arte federiciana, p. 278. C’è anche chi ha pensato ad un monumento equestre (Vedi M. BUSSAGLI, “Ars instrumentum regni”, p. 188). 50 Mentre sappiamo che il complesso architettonico della porta fu probabilmente terminato entro il 1239, la sua decorazione scultorea fu presumibilmente conclusa solo verso il 1247 (Vedi E. KANTOROWICZ, Federico II imperatore, pp. 537-538). 51 La descrizione della statua dell’imperatore, citata dal Cordaro (Vedi M. CORDARO, La porta di Capua, p. 44, nota 4), è ripresa da ANDREAE UNGARI, Descriptio Victoriae a Karolo provinciae comite reportate, p. 571. La possiamo così tradurre: “con le braccia e due dita distese, la bocca che quasi gonfiandosi tuona i

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opere posteriori, ma dobbiamo stare attenti. Per esempio il Gesso Solari (fig. 8), che è stato spesso considerato un calco dell’originale e che lo stesso Claussen, nel saggio che ho molte volte citato, considera sostanzialmente attendibile52, non è da ritenersi tale. Già il Prandi aveva evidenziato come il naso e le gote fossero state modellate ex novo e come certe caratteristiche, come gli occhi troppo distanti l’uno dall’altro, non corrispondessero alla ritrattistica dello Svevo53. Inoltre “recenti tentativi di adattare il gesso al colossale torso di marmo hanno avuto esito negativo” 54. Tra le nostre fonti non c’è omogeneità e si differenziano su alcuni particolari del volto. La capigliatura del gesso, corta e priva d’ondulazione55, così estranea alla moda del tempo56, si discosta dal disegno che di questa statua fece Aliprando Caprioli57 e dai due disegni realizzati da Séroux d’Agincourt (fig. 9)58. La bocca, che a quanto ci informa il cronista Andrea Ungaro, doveva essere socchiusa59, la troviamo ben stretta, sia nel Gesso Solari, che nella Gemma von Raumer (fig. 10)60. Su alcuni punti, che per me sono fondamentali, si trova però concordanza: il volto di Federico è rappresentato senza barba e di aspetto giovanile; la corona è sempre riprodotta nella medesima forma: consiste in un cerchio aureo, sulla cui circonferenza spiccano una serie continua di punte, cioè del genere definibile ‘corona a dentelli’. Se in generale è ritenuta una corona

versi di minaccia”. I suddetti versi sono: “Cesaris imperio regni concordia fio, / Quam misero facio quas variare scio; / Intrent securi qui querunt vivere puri, / Infidus excludi timeat vel carcere trudi.” (Vedi Ibidem). 52 P.C. CLAUSSEN, Creazione e distruzione dell’immagine di Federico II, p. 71. 53 A. PRANDI, Un documento d’arte federiciana, p. 270. 54 Ibidem. 55 L. SPECIALE, Federico e il suo doppio, p. 806. 56 V. PACE, Il “ritratto” e i “ritratti” di Federico II p. 5. 57 P.C. CLAUSSEN, Creazione e distruzione dell’immagine di Federico II, p. 71. 58 L. SPECIALE, Federico e il suo doppio, p. 805. Dei due disegni ho scelto di proporne nell’appendice iconografica solo uno perché sostanzialmente identici. 59 Ivi, p. 806. 60 La gemma von Raumer fu eseguita verso 1784 sulla base del gesso Solari. Per questo non ritengo necessario dilungarmi su di essa, visto che ha, in linea di massima, le stesse caratteristiche del gesso (Vedi Gli Svevi in Italia meridionale, a cura di C. De Venere, p. 40). Così mi comporto anche con le due raffigurazioni di Séroux d’Agincourt e con quella di Aliprando Capraroli, perché, pur lievemente differenti l’una dall’altra, sono identiche nella sostanza.

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medievale, Kantorowicz la definisce “nudo diadema romano a punte”61. Tornerò in seguito su questo argomento. Nel rilievo dell’ambone della cattedrale di Bitonto (fig. 11), che secondo un’iscrizione dovrebbe essere stato eseguito nel 1229, Federico II è stato individuato con relativa certezza nella terza figura da sinistra. Il Prandi aveva evidenziato in quel personaggio alcune caratteristiche fisiche dell’imperatore62. In aggiunta a queste motivazioni, che non sono molto probanti in una rappresentazione di tal genere, lo Shaller aveva confermato l’identificazione, sulla base della posizione preminente del personaggio nella scena63. Tale riconoscimento era stato confermato anche dal Paratore64. Federico II è in piedi, veste una camicia (‘alba’), con sopra una veste senza maniche. Il mantello, che copre il dorso, è aperto sul petto e tenuto tramite lunghi lacci, dalla mano sinistra65. Al collo si nota un fermaglio. In vita troviamo una cintura decorata, di cui una gran parte, viene lasciata penzolare lungo il corpo. La corona è un semplice cerchio, lavorato con un motivo elicoidale. Il sovrano, che poggia su un calice di fiore66, con la destra regge una mensola d’imposta della struttura architettonica ad archi, sotto la quale si svolge l’azione. Nel volto non è possibile rintracciare caratteristiche fisionomiche particolari, a parte il fatto che nessuno dei personaggi porta la barba. Di difficile interpretazione è il significato della scena e l’identità degli altri tre personaggi che circondano il nostro sovrano. La tesi che ultimamente ha ricevuto più credito è quello dello Schaller67, che

61 E. KANTOROWICZ, Federico II imperatore, p. 540. 62 Il Prandi nota una somiglianza fisionomica con quelli che considera i ritratti dell’imperatore, ma non specifica di quali caratteristiche si tratti (Vedi A. PRANDI, Un documento d’arte federiciana, pp. 272-273). In generale il Prandi, riguardo al volto di Federico, mette in evidenza: gli occhi grandi, ravvicinati ed infossati; il volto ovale; il mento accentuato; la bocca stretta; le labbra carnose e tumide (Vedi A. PRANDI, Un documento d’arte federiciana, pp. 266-290). 63 H.M. SCHALLER, Il rilievo dell’ambone della cattedrale di Bitonto, p. 45. 64E. PARATORE, L’ambone di Bitonto e la predica dell’abate Nicola di Bari, p. 230. 65 H. THELEN, Ancora una volta per il rilievo del pulpito di Bitonto, p. 219. 66Per lo Schaller nello sfondo del rilievo, comparirebbero una serie di elementi vegetali ispirati dalle rappresentazioni medievali dell’albero di Jesse (Vedi H.M. SCHALLER, Il rilievo dell’ambone della cattedrale di Bitonto, pp. 56-57). 67 Tra gli autori che ho letto, concordano con la tesi dello Schaller (Vedi H.M. SCHALLER, Il rilievo dell’ambone della cattedrale di Bitonto, pp. 40-60. In questo stesso saggio lo studioso, riassume anche le varie interpretazioni precedenti): il

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legge il rilievo alla luce della predica dell’abate Nicola68. In essa si esalta la dinastia sveva, paragonandola alla stirpe di Jesse. Secondo questa interpretazione, il sovrano seduto in trono, sarebbe il Barbarossa, che dà lo scettro al figlio Arrigo VI. Federico II sarebbe il personaggio di maggior spicco, in quanto l’attuale detentore del potere e perché avrebbe ottenuto per il proprio casato la corona più prestigiosa, quella di Gerusalemme. In ultima posizione Corrado IV, associato al padre nel governo della Terra Santa. In basso a destra l’aquila, stemma degli svevi. Nello sfondo una fitta ornamentazione vegetale di foglie, fiori e frutti69, che dovrebbero rappresentare l’albero di Jesse. A dire il vero l’interpretazione dello Schaller mi sembra troppo elaborata e troppo legata alla predica dell’abate Nicola. Preferisco dare alla scena una spiegazione più semplice e lineare. La motivazione che spinse alla composizione di un tale rilievo mi sembra che sia stata ipotizzata in modo più plausibile dall’Acquafredda, che vi vide la rappresentazione dell’omaggio e della sottomissione degli abitanti di Bitonto all’imperatore nell’estate del 1229, dopo la loro ribellione del 1228. La sua interpretazione peccava nell’individuazione dei personaggi, ritenendo Federico II la figura seduta, un rappresentante dei bitontini quello di fronte a lui e dignitari della corte imperiale i due personaggi rimanenti70. H. Thelen riconoscendo Federico II nel terzo personaggio da sinistra, sostiene che quello seduto in trono, sarebbe una personificazione al femminile della città di Bitonto, sottolineando le analogie con questo genere di raffigurazioni presenti sulle monete antiche. Già lo Schaller aveva notato che la sua corona era da donna, dello stesso tipo di quella un tempo conservata nel tesoro di S. Michele a Bamberga. Inoltre H. Thelen, nota che il suo vestiario e i suoi capelli, sono diversi da quelli degli altri tre personaggi, che sono sicuramente tutti uomini. Quindi la

Bussagli (Vedi M. BUSSAGLI, “Ars instrumentum regni”, p. 173), il Paratore (Vedi E. PARATORE, L’ambone di Bitonto e la predica dell’abate Nicola di Bari, pp. 227-235); e il Thiery (Vedi A. THIERY, Semantica sociale: messaggi e simboli, p. 244). 68 Tale predica fu scoperta nel 1954 da R.M. Kloos. Per lo Schaller, sarebbe stata pronunciata nel duomo di Bitonto nel 1229, alla presenza dell’imperatore (Vedi E. PARATORE, L’ambone di Bitonto e la predica dell’abate Nicola di Bari, p. 228). 69 Tralascerei l’interpretazione del Thiery, che vi identifica simboli mandalici (Vedi A. THIERY, Semantica sociale: messaggi e simboli, p. 245). 70 La sua tesi è sintetizzata dallo Schaller (Vedi H.M. SCHALLER, Il rilievo dell’ambone della cattedrale di Bitonto, pp. 43-44).

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scena rappresenterebbe la città di Bitonto, che riceve privilegi e regalie - simbolizzati dallo scettro - dall’imperatore circondato da due suoi dignitari71. Visto che lo Schaller e coloro che lo seguono concordano sul fatto che nel 1229 Bitonto si sottomise all’imperatore72, interpreterei il gesto più come una dedizione della città, che concede la sua autorità – rappresentata dallo scettro – al sovrano circondato da due dignitari. Il copricapo73 e il ciondolo, identico a quello dell’imperatore, della quarta persona si potrebbero spiegare con la posizione di riguardo che tale personaggio aveva all’interno della corte. Magari un uomo di fiducia, un consigliere del sovrano. La scena avrebbe così un fine più politico, da connettersi alla politica accentratrice di Federico II. Inoltre si motiverebbe meglio la sua collocazione proprio a Bitonto. Le monete. Tra le numerose emissioni monetarie di Federico II, troviamo alcuni conii che recano il suo volto74. Naturalmente si tratta di rappresentazioni idealizzate, spesso convenzionali, in cui è difficile ritrovare i veri lineamenti dell’imperatore. La moneta più studiata ed analizzata da questo punto di vista è l’augustale (fig. 12)75. La sua

71 Per quanto riguarda l’interpretazione del primo personaggio in una personificazione della città di Bitonto vedi H. THELEN, Ancora una volta per il rilievo del pulpito di Bitonto, p. 223; sulla corona portata da questa figura vedi H.M. SCHALLER, Il rilievo dell’ambone della cattedrale di Bitonto, p. 46 e H. THELEN, Ancora una volta per il rilievo del pulpito di Bitonto, p. 222; sulla pettinatura della figura seduta in trono vedi Ivi, p. 223; per le conclusioni a cui arriva la Thelen sul significato della scena vedi Ivi, pp. 224-225. 72 H.M. SCHALLER, Il rilievo dell’ambone della cattedrale di Bitonto, p. 45. 73 Lo Schaller vede sulla testa di questo personaggio un tipo particolare di corona (H.M. SCHALLER, Il rilievo dell’ambone della cattedrale di Bitonto, p. 46). 74 Riguardo alle monete esistono esemplari di denari o tarì, che non presentano il busto o la testa dell’imperatore, ma ora un’aquila, ora una o più croci, ora dei globetti. Queste tre diverse immagini vengono presentate indifferentemente sul dritto o sul rovescio, combinandosi tra loro con assoluta libertà (per una catalogazione completa delle monete del sud Italia in età sveva, in particolare vedi R. SPAHR, Le monete siciliane dai bizantini a Carlo I d’Angiò). 75 Per esempio il Claussen (Vedi, P.C. CLAUSSEN, Creazione e distruzione dell’immagine di Federico II, pp. 69-81) basa la sua indagine sull’immagine ufficiale che Federico dà di sé negli augustali.

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emissione fu autorizzata dal 1231 e le sole zecche che potevano coniarlo erano quelle di Brindisi e di Messina. La moneta, completamente in oro, recava sul dritto il busto dell’imperatore, con la scritta CESAR AVG / IMP ROM (da sciogliere in Cesar Augustus Imperator Romanorum), sul rovescio l’aquila imperiale romana e il nome del sovrano FRIDE/RICUS. Tutti gli augustali in nostro possesso, sono stati classificati secondo tre fasi evolutive. Magistrale è la descrizione fattane dal Kowalsky riassunta dal Claussen. Di particolare interesse è la terza fase, che produce una tipologia organica di ritratto: “un uomo tra i trenta e i quaranta anni che trasmette energia [...] un sovrano energico e sereno a un tempo, ancora giovane ma né puer né senex”76. Qualcosa del genere aveva già evidenziato il Ricci, distinguendo nella produzione degli augustali, una fase in cui Federico è rappresentato “maturo e disinvolto come persona esperta, [...] fra i 38 e i 48 anni”77. Per il Claussen, questo tipo di raffigurazione, segnerebbe il passaggio “da un classicismo impersonale alla rappresentazione di un individuo vivente. [...] una «memoria» iconografica che faccia riferimento non già alla sovranità astratta bensì al nome e alle sembianze di una persona specifica”78 . A parte lievi differenze fisionomiche tra una fase e l’altra, in tutti gli augustali, tranne quelli speciali di cui parleremo tra poco, Federico appare solo dalle spalle in su, visto di profilo e vestito alla maniera dei Cesari antichi: paludamento; fibula, che regge il mantello sulla spalla destra; e serto d’alloro annodato sulla nuca, con i lunghi nastri, che pendono liberamente sul collo. Il volto è piuttosto giovanile e senza barba. Nell’augustale del tipo speciale (fig. 13) compare invece un tipo di corona diversa, ad anello, con dei dentelli a foglie, simile a quella che fu trovata nel sarcofago dell’imperatore a Palermo79. Il busto ha un taglio più alto e sulla fibula si trovano quattro ciondoli. Questa moneta è stata considerata dal Kowalsky di età postsveva, del primo XIV

76 La descrizione delle tre fasi degli augustali e riportata in, P.C. CLAUSSEN, Creazione e distruzione dell’immagine di Federico II, pp. 73-74. La citazione si trova, Ivi, p. 74. 77 S. RICCI, Gli “augustali” di Federico II, p. 62. 78 P.C. CLAUSSEN, Creazione e distruzione dell’immagine di Federico II, p. 74. 79 S. RICCI, Gli “augustali” di Federico II, p. 62. Sul rinvenimento del corpo di Federico II nel sarcofago all’interno del duomo di Palermo, vedi F. DANIELE, I regali sepolcri del Duomo di Palermo, p. 103.

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secolo80. L’ho inserita nella mia ricerca, perché da altri è considerata di età federiciana. La include tra gli augustali di Federico II il Ricci81 e la troviamo nel catalogo della mostra di Bari del 1980, datata al secondo trentennio del XIII secolo, anche se non è escluso che si tratti di un conio postumo di re Manfredi o di Enrico (VII)82. Monete riportanti il busto di Federico, furono coniate anche in città italiane estranee al Regnum, ma con risultati stilisticamente molto più rozzi. È il caso di Bergamo (fig. 14)83. Un episodio a sé è quello di Como (fig. 15 e 16), che raffigura il sovrano con una corona con quattro punte perlinate, i capelli lunghi che calano sul collo, uno scettro liliato nella mano destra, e ora un fiore, ora una mela nella sinistra84. Siamo di fronte ad un caso di rappresentazione dell’immagine dell’imperatore del tutto diversa da quella che Federico si era prodigato a diffondere sui suoi augustali. Come già ho notato, esistono altre monete in cui compare l’imperatore, ma la figura è talmente piccola e stilizzata, che non consente di dire molto. Ne è un esempio il grosso coniato a Vittoria nel 1247-48 (fig. 17), dove si vede una corona che per quel poco che si riesce a distinguere pare composta da delle punte terminanti a trifoglio, forse simile a quella dell’augustale di tipo speciale. La legenda reca sul dritto la scritta FRIDERICUS II e sul rovescio Romanorum Imperator Augustus85. Qualche informazione sulle corone la possiamo ricavare anche da due denari del 1225 (fig. 18 e 19)86. Vi troviamo il sovrano, in uno visto di fronte, nell’altro visto di lato, rappresentato con in testa una 80 P.C. CLAUSSEN, Creazione e distruzione dell’immagine di Federico II, p. 70. 81 S. RICCI, Gli “augustali” di Federico II, p. 62. 82 Gli Svevi in Italia meridionale, a cura di C. De Venere, p. 72. 83 E. KANTOROWICZ, Federico II imperatore, p. 707. 84 Ibidem. Per quanto riguarda il fiore Volbach ritiene che si tratti di un giglio e come nel caso dalla miniatura del De arte venandi cum avibus, sia da spiegare come “la copia mal capita del coronamento di un globo” (Vedi W.F. VOLBACH, Le miniature del codice Vatic. Pal. Lat. 1071 «De arte venandi cum avibus», p. 159). 85 Per quanto riguarda l’identificazione, la datazione e l’attribuzione alla zecca istituita nella città di Vittoria durante l’assedio di Parma del 1247-48 vedi L. TRAVAINI, Le monete di Federico II, p. 657-659. La legenda della moneta è riportata in, Ivi, p. 657. 86 Esiste anche un denaro del 1243/44 in cui è raffigurata la testa di Federico, ma senza alcun attributo regale. Essendo difficile, vista la scarsità di elementi in nostro possesso, interpretare e trarre da questa immagine qualsiasi considerazione ci sentiamo di escluderla dalla nostra rassegna.

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corona che niente ha della tradizione romana. La legenda reca in entrambi i casi la scritta +. F . IMPERATOR, sul dritto e IERL’SICIL’REX, sul rovescio87. I sigilli. Nei sigilli un po’ come negli augustali è stato ricercato il vero volto di Federico II. Sicuramente, qui come là, siamo certi della committenza imperiale e possiamo considerarli il suo ‘ritratto’ ufficiale, il suo modo di presentarsi al mondo. I primi esemplari (1199 e 1211-1212, vedi fig. 20) sono fortemente legati alla tradizione normanna, sia per gli abiti che per la corona, senza staffa e con pendenti che ricadono ai lati del capo. Uniche eccezioni, mutuate dalla tradizione tedesca, il globo nella mano destra e lo scettro, a forma di labarum, nella sinistra, entrambi crociferi. In particolare ci si rifà a Guglielmo II, che aveva già adottato tali espressioni di potere nei suoi sigilli88. Dopo l’incoronazione a Magonza, nel dicembre del 1212, fu approntato in Germania un nuovo sigillo. Anche questo è poco caratteristico, perché ripropone abbastanza pedissequamente modelli precedenti, in particolare quello del predecessore Filippo di Svevia. Nella legenda la scritta: + FREDERICUS – DEI – GR(ATI)A – ROMANOR(UM) – REX – (ET) SEMP(ER) – AUGUSTUS. Ai lati della figura: ET REX SICILIE89. Fu dopo l’incoronazione di Aquisgrana (28 luglio 1215), che fece la sua comparsa il sigillo artisticamente più riuscito (fig. 21). L’imperatore è in maestà su di un trono con schienale, ai lati del quale

87 Ho trovato queste due immagini nello studio di Spahr sulle monete del sud Italia (R. SPAHR, Le monete siciliane dai bizantini a Carlo I d’Angiò (582-1282), p. 197 e figure 112-113). Purtroppo non veniva data alcuna informazione aggiuntiva oltre alla datazione, il luogo di produzione e la legenda. 88 Vedi Gli Svevi in Italia meridionale, pp. 25-27, a cura di C. De Venere; e V. PACE, H. HOUBEN, L’identità di Federico II, p. 185. Anche il Delogu aveva evidenziato come nei sigilli di Guglielmo II, si sentisse più l’influenza della tradizione occidentale che di quella bizantina (P. DELOGU, Idee sulla regalità: l’eredità normanna, p. 204). 89 Gli Svevi in Italia meridionale, a cura di C. De Venere, p. 28. Un’impronta di questo sigillo è conservato a Karlsruhe, Badisches Generallandesarchiv, D II: 1213, 31 marzo.

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sono posti due gigli. Nella mano sinistra un grosso globo sormontato da un croce e nella destra un lungo scettro liliato. In testa la solita corona di tradizione medievale, con pendenti di perle ai lati. Per quanto riguarda il vestiario spiccano il mantello allacciato con una fibula sul petto e la ‘dalmatica’, sulla quale sono ricamati dei medaglioni con delle aquile. Il volto è giovanile, senza barba, con gli occhi infossati, il naso lungo e la bocca piccola. Vi compare la scritta: + FRIDERICUS – D(E)I : GR(ATI)A : ROMANOR(UM) : REX : ET – SE(M)P(ER) AUGUST(US) – ET – REX : SICIL(IE)90. Nel modello del 1220 (fig. 22), quello dell’avvenuta incoronazione imperiale a Roma, spicca “l’alta corona imperiale”91, la corona ottagonale di Ottone il Grande92, con due pendenti ai lati della testa. Per il resto troviamo il solito sovrano in trono, con scettro gigliato nella mano destra e globo crocifero nella sinistra, che indossa mantello e dalmatica. Il volto è canonicamente giovanile e senza barba. Nella legenda è scritto: (+) FRIDERICUS : D(E)I – GR(ATI)A : IMPERATOR : ROMANORU(M) – (ET) – SEMP(ER) – AUGUS(TUS). Dopo l’incoronazione a re di Gerusalemme, nel 1229, ai lati della figura, venne aggiunto anche questo titolo93. Esistono anche altri esemplari di sigilli, ma che sostanzialmente si basano sugli stessi modelli iconografici. L’unica eccezione è il sigillo di Oppenheim, del 1225/6 (fig. 23), in cui compare solo la testa del sovrano94. È opportuno proseguire la trattazione, con il cammeo conservato nel Tesoro del Duomo di Praga (fig. 24), perché iconograficamente affine ai sigilli. Questo presenta un sovrano seduto in trono, con una corona a foglie stilizzate. Nella mano destra uno scettro sormontato da una croce, croce che ritroviamo anche sul globo, impugnato nella mano sinistra. Il trono è ampio, provvisto di schienale. Il sovrano veste un mantello, agganciato da una spilla sul petto. Il volto ha lineamenti molto giovanili, i capelli sono lunghi. La scena è quasi perfettamente sovrapponibile a quella del sigillo imperiale del 122095.

90 Gli Svevi in Italia meridionale, a cura di C De Venere, pp. 28-29. 91 P.C. CLAUSSEN, Creazione e distruzione dell’immagine di Federico II, p. 70. 92 Gli Svevi in Italia meridionale, a cura di C. De Venere, p. 30. 93 Ibidem 94 A. PRANDI, Un documento d’arte federiciana, p. 272. 95 V. PACE, H. HOUBEN, L’identità di Federico II, p. 186.

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L’oreficeria. Di questo ambito fa parte la figura seduta in trono sullo scrigno reliquiario di Carlo Magno ad Aquisgrana (fig. 25 e 26). Questa raffigurazione di Federico II risulta conforme ai canoni dei ritratti in serie, anche se “il viso imberbe, i capelli relativamente corti e la piccola statura sembrano far riferimento alla giovane età del sovrano da poco incoronato”96. Infatti sembra leggermente più piccolo e meno maestoso degli altri imperatori qui rappresentati. Il sovrano appare in trono, sotto un arco a tutto sesto sorretto da due colonne con capitelli corinzi, lungo il quale corre una scritta che lo identifica. Nella mano sinistra porta il globo sormontato da una croce, nella destra un crocifisso. La corona è costituita da una fascia metallica circolare, riccamente lavorata e con pietre preziose incastonate, abbellita da quattro elementi perpendicolari ad essa. Un mantello copre il sovrano. Queste sono le rappresentazioni di Federico II che ho trovato ed ho ritenuto importanti e che saranno punto di partenza per la mia ricerca sulla sua ideologia imperiale.

96 P.C. CLAUSSEN, Creazione e distruzione dell’immagine di Federico II, p. 69.

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I.5. Le potenzialità delle immagini.

In questo breve capitolo cercheremo di indagare la funzione che il ritratto e l’immagine del sovrano aveva nel mondo medievale e per quali fini politici, propagandistici o giuridici se ne faceva uso. Inoltre ci occuperemo dei mezzi e dei canali di comunicazione distinguendo tra le varie forme espressive e le varie fasce di pubblico coinvolto. Il ruolo dell’immagine. Le forme in cui si esplica la propaganda politica sono molto varie ed abbracciano una grande quantità di campi artistici dalla storia alla poesia, dai monumenti architettonici alle feste pubbliche, passando attraverso oggetti, gesti e riti sapientemente orchestrati1. Tra queste sono comprese anche le immagini, veicoli di trasmissione per messaggi religiosi e politici2. In particolar modo proprio quelle raffiguranti il sovrano, che sono l’oggetto del nostro lavoro, hanno un chiaro intento di propaganda. Iniziamo cercando di capire i motivi che spingono un sovrano a rappresentare se stesso in opere più o meno pubbliche. Nei Problemata physica, opera che fu erroneamente attribuita ad Aristotele, e nel commento a questa relativo, Expositio

1 Per quanto riguarda le forme della propaganda in particolar modo quelle federiciane vedi M.S. CALÒ MARIANI, I fenomeni artistici come espressione del potere, pp. 215-250; Eadem, L’arte al servizio dello Stato, pp. 123-145; E. ELZE, La simbologia del potere nell’età di Federico II, pp. 45-51; e J. VERGER, Théorie politique et propagande politique, pp. 29-44. 2 Sul ruolo svolto dall’immagine nel Medioevo vedi P. CAMMAROSANO, Immagine visiva e propaganda nel Medioevo, pp. 8-29.

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problematum Aristotelis, eseguito da Pietro d’Abano tra lo scorcio del Duecento e gli inizi del Trecento, si afferma che agli uomini piaceva mostrare l’immagine del proprio volto per essere riconosciuti meglio e per esibire la loro dispositio, cioè l’insieme delle loro caratteristiche psicologiche e fisiche3. In un tale contesto il primo, forse banale, obiettivo dell’immagine è quello, evidenziato dal Claussen per quanto riguarda gli augustali, di ricordare ai posteri l’effige del sovrano affinché se ne perpetui la memoria4. Ma in un ritratto in cui, come abbiamo visto si ricerca la dispositio del sovrano, immediatamente si impone per forza di cose anche un intento propagandistico. Il sovrano per prima cosa cercherà di conformare la sua immagine ad il canone espressivo che meglio rappresenta quei valori fisici e psichici che egli considera più utili e rappresentativi della propria idea di potere. In seguito sfrutterà questa immagine per indirizzare tale messaggio celebrativo verso un determinato pubblico. Così il sovrano sarà rappresentato all’interno di cicli pittorici o musivi per propagandare certi messaggi politici o celebrare una vittoria militare oppure troveremo statue che lo raffigurano nei luoghi pubblici di maggior afflusso di cittadini, come l’esterno delle chiese o dei palazzi, in modo da diffondere meglio la sua immagine. Anche nella ritrattistica riguardante Federico II di cui è stata messa in risalto la tendenza al realismo5 non dobbiamo ritenere che il volto del sovrano fosse riprodotto in maniera fedele ed oggettiva. L’immagine del sovrano essendo un modo di presentarsi ai sudditi è sempre viziata dal tentativo di mostrarsi nel miglior modo possibile o comunque in quello che si ritiene più utile ai propri fini 6. Nell’immagine possiamo rintracciare anche altre importanti funzioni prettamente politiche e giuridiche. Il ritratto cerca di

3 E. CASTELNUOVO, Il volto di Federico, p. 67. 4 P.C. CLAUSSEN, Creazione e distruzione dell’immagine di Federico II, p. 74. 5 Sulla concezione del ritratto in età federiciana sono fondamentali i contributi del Prandi (Vedi A. PRANDI, Il ritratto medievale fino a Federico II, pp. XIV-XV), del Castelnuovo (Vedi E. CASTELNUOVO, Il significato del ritratto pittorico nella società, p. 1037). Alcune informazioni si desumono anche dagli scritti del Claussen (Vedi P.C. CLAUSSEN, sub voce: ritratto, in Enciclopedia dell’arte medievale, pp. 33-46) e della Travaini (Vedi L. TRAVAINI, sub voce: ritratto, in Enciclopedia dell’arte medievale, pp. 49-51). 6 Sulla funzione dell’immagine come mezzo per magnificare le doti e le virtù guerriere, politiche e religiose del sovrano concorda il Bacci (Vedi, M. BACCI, Artisti, corti, comuni, p. 672).

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esprimere la maschera ufficiale del sovrano è quindi una raffigurazione del potere politico che in lui si incarna7. In altre parole l’immagine che raffigura il sovrano è un simbolo della sua autorità. Infatti il Cantarella nella sua opera Principi e corti rintraccia l’essenza stessa del potere nel volto di una statua, quella conservata al Museo Civico di Bologna raffigurante Bonifacio VIII, che definisce come “lo specchio trionfante del potere senza pari, senza rimedio e senza appello. È la Maestà.”8. Passando alle raffigurazioni del nostro imperatore è lo stesso Federico II che, motivando il privilegio concesso alla città di Tortona di batter l’augustale affermava: “ut ipsa nova moneta forma nostri memoriam nominis et nostre majestatis imaginem eis jugiter representet” e ancora “ut frequens ipsius nove monete inspectio eos in fide et devotione nostra magis ac magis corroboret et accendat”9, evidenzia l’importantissimo ruolo che a livello politico le sue raffigurazioni esprimono. Esse sono simboli del potere imperiale anzi sono il potere imperiale. Tramite esse è come se il sovrano fosse sempre presente in ogni luogo e controlli costantemente i sudditi, suscitando in loro rispetto e devozione. Nell’impero bizantino le immagini dell’imperatore sono dappertutto e spesso lo sostituiscono in occasioni della vita pubblica10. Ancora Federico, ma questa volta riferendosi ai sigilli, sottolineava la funzione di simbolo di comando dell’immagine dicendo che “procura autorità soltanto l’immagine esatta di chi ordina”11. Il sovrano governa tramite la sua immagine in

7 A. GRABAR, L’empereur dans l’art byzantin, p. 10. 8 G.M. CANTARELLA, Principi e corti, p. 79. 9 Le due citazioni rispettivamente tratte dal Claussen (Vedi P.C. CLAUSSEN, Creazione e distruzione dell’immagine di Federico II, p. 74) e dalla Calò Mariani (Vedi M.S. CALÒ MARIANI, Immagine e potere, p. 41) fanno parte del medesimo testo (Vedi J.L.A. HUILLARD-BRÉHOLLES, Historia diplomatica Friderici Secundi, VI, 2, p. 669) e le possiamo così tradurre: “affinché la nuova moneta, attraverso proprio quel suo aspetto, continuamente ponga sotto gli occhi il ricordo del nostro nome e l’effigie della nostra dignità a quelli [...] così che il frequente esame di questa stessa nuova moneta rafforzi e infiammi sempre più quelli nella fedeltà e nella devozione nei nostri confronti”. 10 A. GRABAR, L’empereur dans l’art byzantin, p. 5. 11 Citazione è tratta da, M.S. CALÒ MARIANI, Immagine e potere, p. 41. La studiosa ricava questa informazione dalle stesse parole dell’imperatore “Inter accidencium multiplices diversaque maneries que regnantes insigniunt, adest de magis participantibus provida modestia mandatorum. Nam sive de mera gracia, quam aliquibus conferant, vel mista iusticie mandata per litteras dirigant ad

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maniera che questa oltre che semplicemente rappresentarlo, diviene, viste le scarse occasioni per gli uomini comuni di vederlo in carne ed ossa, il vero e proprio sovrano. Parallelamente alla funzione politica se ne evidenzia, sopratutto per monete e sigilli, anche una giuridica. L’immagine del sovrano, in quanto raffigurazione della massima autorità che garantisce l’ordine, la giustizia ed il funzionamento dello stesso, ha un potere giuridico. Tale funzione è confermata dalle parole del Castelnuovo quando afferma che i simulacri dei sovrani troneggiano “sulle porte delle città come sigilli di possesso e di dominio” nonché “come strumenti attivi di magica tutela”12. Nel caso delle monete il richiamo al monarca legittima il loro valore, cioè la quantità di materiale prezioso in esse presente e ne autorizza la circolazione e l’uso. Il sovrano è di norma raffigurato anche sui sigilli che vengono applicati ai documenti emanati dalla corte regia. Qui tale immagine legittima l’atto e visualizza l’autorità che l’ha emanato. L’immagine del sigillo diviene come una personificazione del sovrano nell’esercizio delle sue funzioni. Nell’impero bizantino il ritratto del sovrano è sempre presente nei tribunali in quanto raffigurazione del detentore del potere giudiziario e garante della legalità dell’atto giuridico13. Anche se lontano il sovrano riesce ad essere costantemente presente agli occhi dei propri sudditi grazie a questa finzione giuridica. Così l’immagine impressa sulle monete, sui sigilli o sui pesi si avvalora di tutta l’autorità, il potere e la sacralità di cui è investito il re. Tali oggetti divengono tante emanazioni del potere del re. La ricezione dell’immagine. Abbiamo visto come le immagini sono ricche di potenzialità, ma per svolgere al meglio il loro ruolo dovevano essere visibili ed entrare in contatto con il pubblico. Analizzeremo adesso il genere di pubblico al quale erano rivolte le immagini di Federico II. Una prima

subiectos, motum interioris hominis, quo medio in actum de potencia singula prodeunt, litteris creditum metallo vel cera figurata mandantis species autorizat”, in E. WINKELMANN, Acta imperii inedita, I, p. 693. 12 E. CASTELNUOVO, Il significato del ritratto pittorico nella società, p. 1038. 13 Sulla funzione giuridica dell’immagine del sovrano vedi M. BACCI, Artisti, corti, comuni, pp. 672-674; e A. GRABAR, L’empereur dans l’art byzantin, pp. 4-7.

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considerazione da fare è che la maggior parte di queste immagini provengono dall’Italia. Ed è proprio qui che, con la lotta con il papato e i comuni, l’imperatore fu più politicamente e militarmente attivo e quindi è proprio qui che lo scontro propagandistico fu più acceso. Ne consegue che se proprio dove c’è n’è più bisogno fu fatto un più largo utilizzo di immagini, il loro valore politico e propagandistico è da considerarsi notevole. Se seguiamo la catalogazione che delle immagini di Federico abbiamo fatto notiamo che il numero più cospicuo è quello delle monete e dei sigilli, seguiti dalle miniature, dalle sculture ed infine dagl’affreschi. Sicuramente le monete sono il miglior veicolo per la trasmissione dell’immagine dell’imperatore. Queste circolano ampiamente di mano in mano, sono un oggetto, soprattutto nei suoi tagli più piccoli, piuttosto comune, quindi inserire la propria immagine su queste garantisce sicuramente un’ampia circolazione della stessa. Le coniazioni di Federico sono legate principalmente al regno di Sicilia, anche se è concesso di battere monete con l’immagine del sovrano anche ad alcune città filo imperiali del nord Italia. Inoltre una moneta come l’augustale essendo interamente d’oro, ha un enorme potere d’acquisto, che la può rendere di circolazione internazionale. Ponendo la sua immagine su monete di vario tipo e valore Federico riesce a presentarsi su un vasto territorio e a strati diversi della popolazione. Egualmente i sigilli hanno un vasto raggio d’azione. Le loro impronte impresse su cera circolano sul territorio appese a documenti di vario genere e sanciscono, con la loro presenza, la legittimità di quest’ultimi. Esse raffigurano l’immagine ufficiale del sovrano, un‘immagine che proprio nell’essere vista esplica la sua funzione14. Se l’obiettivo comune di tutte queste raffigurazioni è quello di essere viste dobbiamo notare che mentre le immagini precedentemente trattate riescono a dirigersi verso il loro pubblico le statue e gli affreschi si comportano all’opposto, cioè lo aspettano immobili. Infatti in questo caso è il pubblico che si deve muovere per vederle. Ne consegue che quest’ultime devono essere poste in luoghi specifici, scelti ad hoc, nei quali possono meglio esplicare le loro funzioni. Troveremo quindi raffigurazioni di questo genere dove abitualmente

14 Sul significato e le potenzialità comunicative delle monete e dei sigilli vedi, M. PASTOUREAU, L’Etat et son image emblématique, pp. 61-69; e Idem, Le scenau médiéval, pp. 71-87.

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passa più gente, nei luoghi pubblici, nelle piazze, sulle porte delle città, all’esterno di chiese e palazzi. L’esempio più clamoroso è la statua di porta Capua, posta sul confine tra il regno di Sicilia e quello del papato, subito dopo un ponte, passaggio obbligato per tutti coloro che vogliono accedere alle terre dell’imperatore. Anche il busto di Barletta, come abbiamo notato precedentemente, per la sua impostazione strutturale si può ipotizzare che fosse posto all’interno di una nicchia collocata in alto, magari sulla porta d’ingresso di un palazzo o di una città, in un luogo quindi in cui poteva propagare con maggiore intensità il messaggio propagandistico voluto da Federico II. Possiamo considerare immagini per un ampio pubblico anche gli affreschi posti all’esterno di palazzi, come il caso di quello del palazzo abbaziale di San Zeno a Verona. Qui la scena dell’omaggio dei popoli della terra all’imperatore è posta sotto ad un loggiato esterno alla residenza imperiale proprio per rendere l’immagine più accessibile e visibile a chiunque si avvicinasse. Diverse sono le modalità di percezione delle immagini poste all’interno di un edificio. Queste certamente sono destinate ad un pubblico più selezionato, ma se da una parte subiscono una diminuzione della quantità di pubblico che le può osservare, dall’altra acquistano maggiore valore sul piano del significato. Per vedere ad esempio il rilievo dell’ambone di Bitonto bisogna entrare all’interno del duomo della città. Certamente nel Medioevo l’afflusso dei credenti alle cerimonie religiose era più nutrito e continuo rispetto ai giorni nostri, ma mentre chiunque si avvicinava o passava attraverso ad una città (mercanti, pellegrini e un po’ tutti i forestieri in genere) poteva vedere una statua posta sulla sua porta, il pubblico che accedeva ad un rilievo posto all’interno di una chiesa era certamente più limitato. A questa perdita che possiamo definire ‘quantitativa’ corrisponde però un incremento sul lato ‘qualitativo’ del significato di tale immagine. Il fatto che a quell’epoca all’interno delle cattedrali si tenevano cerimonie politiche e l’intero edificio era considerato come luogo privilegiato dell’auto-rappresentazione della comunità, se da una parte limitava il pubblico, dall’altra ammantava l’immagine di un notevole significato emozionale. Infatti proprio perché poste in un luogo di elevato valore civico e dove principalmente la sola cittadinanza era solita riunirsi tali raffigurazioni acquistavano un ruolo più preponderante all’interno della città stessa, stabilendo un legame più stretto tra sé ed il cittadino e legandosi intimamente, dal punto di vista

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emotivo, con i più importanti episodi della storia politica e sociale della comunità. Addirittura esistono immagini che sono poste ancora in luoghi più appartati, quasi nascoste. Fino ad adesso abbiamo visto immagini per il ‘grande pubblico’, presentate con insistenza, ostentate quotidianamente e che coinvolgono tutte le classi sociali, dal povero al ricco, dal nobile al servo, dal mercante all’artigiano. Alcune immagini però possono venire gelosamente conservate all’interno delle corti e sono riservate di solito a fruitori molto eccezionali e particolari. Pensiamo per esempio alle miniature che illustrano codici preziosi, spesso proprietà di ricchi signori o di grandi enti monastici o abbaziali. Il rotolo dell’Exultet di Salerno veniva srotolato una sola volta all’anno, durante la notte del sabato santo, alla luce del cero pasquale, quando era più vivo nei fedeli il miracolo della resurrezione di Cristo15. Il codice miniato (a prescindere che fosse l’originale del De arte venandi cum avibus oppure no) che è catturato dai cittadini di Parma a seguito della rotta di Vittoria insieme alla corona, allo scettro e al sigillo imperiali, era conservato con questi oggetti in un forziere. Sappiamo che i manoscritti possono essere fatti viaggiare tra i principali centri d’Europa, ma non c’è dubbio che il pubblico che entra in contatto con queste immagini è molto ristretto e decisamente diverso rispetto a quello che può ammirare ad esempio gli affreschi16. La miniatura è un’espressione molto più elitaria, che raggiunge solo un destinatario di un alto livello culturale quindi la sua fruizione è molto più limitata nello spazio e nel tempo. Intendo per limitazione dello spazio il fatto che sarà possibile vedere queste immagini solo in alcuni luoghi specifici come le corti principesche o i monasteri mentre con limitazione nel tempo il fatto che, come abbiamo visto per le miniature dell’Exultet, sono accessibili solo in precisi momenti dell’anno o secondo la volontà del proprietario. Non per questo tali immagini sono però meno importanti o hanno un minor significato. L’essere poco visibili connota le immagini di una forte aura magica. La non riproducibilità delle opere d’arte provoca una loro valorizzazione più per il semplice fatto di esistere che di essere viste, privilegiando il valore simbolico sulla vastità

15 A. CARUCCI, L’Exultet salernitano, pp. 15-18. 16 A. BARBERO, La propaganda di Roberto d’Angiò re di Napoli, p. 126.

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espositiva17. La visione della miniatura del sovrano rappresentato nell’Exultet aveva, per il suo uso centellinato e limitato ad una sola notte l’anno, certamente un rilevante valore emozionale, quasi si compisse una vera e propria parousìa del sovrano. Anche in questi casi, se pure il pubblico è limitato, l’impatto celebrativo risulta ugualmente forte.

17 P. CAMMAROSANO, Immagine visiva e propaganda nel Medioevo, p. 23.

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I.6. Le insegne del potere.

Introduzione. Se come sostiene l’Arnaldi “la corona, lo scettro, il trono, l’abbigliamento sono i segni del re” così che il loro studio consente “l’accesso più diretto e sicuro all’intima natura del potere”1 noi non possiamo di certo esimerci da un’analisi indirizzata in tal senso. A tal fine riprenderemo in rassegna le varie immagini di Federico II e ci concentreremo su questi oggetti, cercando di sottolinearne il valore simbolico e politico e gettando così maggior luce sul significato delle sue figurazioni. Nello specifico analizzeremo le caratteristiche ed il significato simbolico di corone, scettri, abiti, troni ecc. concludendo con un’indagine delle caratteristiche iconografiche del volto dell’imperatore. Prima di iniziare tale rassegna voglio qui dare alcune sintetiche informazioni bibliografiche generali su opere, saggi e contributi di cui ci siamo serviti. Questo è un ambito che ha da relativamente poco tempo interessato gli storici moderni. I primi studi pionieristici sui simboli del potere furono compiuti da P.E. Schramm. Dello studioso tedesco abbiamo utilizzato un saggio di carattere generale, uscito nel 1966, riguardante problemi di metodo e spunti per la ricerca2. Più pratico il contributo del 1955, riguardante tutti i simboli del potere dello stato del periodo post-carolingio3. Vi si prendono in considerazione sia i vari oggetti - come il trono, la corona ecc. ricercandone le origini nella tradizione romana e biblica - sia i riti di

1 G. ARNALDI, Federico II nelle ricerche dello Schramm, p. 26. 2 P.E. SCHRAMM, Il simbolismo dello stato nella storia del Medioevo. 3 Idem, Lo stato post-carolingio e i suoi simboli del potere.

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insediamento e di investitura del sovrano. È un lavoro fondamentale sia per conoscere le varie forme e tipologie, che per comprendere i significati simbolici e di conseguenza politici di tali articoli del potere. Schramm si dedicò specificatamente anche alle insegne del potere di Federico II4. Questo lavoro edito nel 1976, ci è di particolare interesse perché qui si sintetizzano e correggono le informazioni che sull’argomento lo stesso Schramm aveva dato in una monografia del 1955: Kaiser Friedrichs II. Herrschaftszeichen. In particolare si accenna agli abiti, ai troni e alle corone che Federico usualmente indossava e di cui si serviva per glorificare la sua persona durante le cerimonie pubbliche. La ricostruzione dello storico tedesco si basa non solo sulle fonti scritte, ma anche sui reperti dell’epoca che sono giunti sino a noi. Sulla base dei lavori dello Schramm altri studiosi si sono interessati della simbologia dello stato. Per esempio Bak ha contribuito con uno scritto edito nel 19735. Qui si sintetizzano i precedenti lavori dello Schramm, dando ulteriori informazioni sul vestiario e gli oggetti che simboleggiano l’autorità ed il potere monarchico. Inoltre si fanno alcune considerazioni di metodo e si inseriscono i nuovi risultati a cui la ricerca è pervenuta. Purtroppo anche qui ci si concentra sul periodo carolingio ed ottoniano senza raggiungere i secoli che interessano maggiormente il nostro lavoro. Ha proseguito gli studi in tale direzione anche un altro storico tedesco: R. Elze. Nel 1976 fu pubblicato un suo studio sulle insegne del potere dei sovrani nell’alto Medioevo6. Maggiormente utile ai nostri fini è però il contributo, sempre dell’Elze, sulla simbologia del potere di Federico II contenuto nel catalogo della mostra di Bari del 19957. Tale studio oltre a ripercorrere gli oggetti a suo tempo già analizzati dallo Schramm, insiste anche su altre manifestazioni del potere come la musica, l’esibizione di animali feroci, o certe cerimonie e cortei di chiaro valore simbolico e propagandistico. Inoltre il saggio è integrato da una serie di immagini sulle corone ed altri oggetti attribuiti a Federico II. Infine in un lavoro del 1996 G. Arnaldi fa il punto sulle ricerche di P.E. Schramm riguardanti Federico II8. Qui si prendono in rassegna le

4 Idem, Le insegne di potere di Federico II. 5 J.M. BAK, Medieval Simbology of the State: P.E. Schramm’s Contribution. 6 R. ELZE, Insegne del potere sovrano e delegato in Occidente. 7 Idem, La simbologia del potere nell’età di Federico II. 8 G. ARNALDI, Federico II nelle ricerche dello Schramm.

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corone dell’imperatore alla luce delle revisioni che già lo stesso Schramm aveva proposto nel saggio del 1976. Per quanto riguarda le insegne del potere della monarchia normanna ci siamo avvalsi di uno studio di A. Lipinski edito nel 19739. Qui si prendono dettagliatamente in rassegna la corona e gli abiti indossati dai re normanni di Sicilia e che necessariamente, in quanto loro erede, confluirono nel guardaroba di Federico II. Oltre che una descrizione minuziosa e una spiegazione del loro significato simbolico si propongono anche bellissime immagini. Il trono. Tutte le volte che Federico II è raffigurato in figura intera, dalla testa ai piedi, lo troviamo seduto in trono10. L’essere seduto in trono è simbolo di gran prestigio e potere. Già nei poemi omerici era attributo di Zeus e dei sovrani venendo a sottolineare una superiorità di questi rispettivamente su tutti gli dei e tutti gli uomini11. Nell’impero romano sedevano su di un trono gli alti funzionari, i giudici, i capi militari e l’imperatore, così come nell’arte cristiana i santi, Cristo e la Madonna. Il trono aveva anche un’importante funzione giuridica. Nel mondo medievale l’assegnazione del trono al sovrano appena unto era designata come traditio, cioè come rito caratterizzante la trasmissione della sovranità. Questa usanza proveniva da una parte dal mondo germanico e dall’altra dalla tradizione biblica. Anche il re ebreo dopo aver ricevuto l’unzione prendeva posto sul trono per rendere ben visibile l’acquisizione del proprio ruolo di sovrano. Negli Ordines di incoronazione medievali era previsto che il sovrano fisicamente ascendesse al trono prima di considerarsi re a tutti gli effetti12. La posizione seduta era quindi considerata più onorevole di quella in piedi, essa era sinonimo di potere e si coniugava da sempre con la

9 A. LIPINSKI, Le insegne regali dei sovrani di Sicilia e la scuola orafa palermitana. 10 Fa eccezione a questa regola solo il rilievo dell’ambone di Bitonto in cui è raffigurato in piedi. Si tratta dell’unico esempio di raffigurazione in piedi contro le undici in cui si presenta in trono. 11 Dizionario Enciclopedico Italiano, sub voce: trono. 12 Per tali funzioni attribuite al trono vedi P.E. SCHRAMM, Lo stato post-carolingio e i suoi simboli del potere, pp. 157-172.

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figura del sovrano. Analizzando in maniera più dettagliata i troni che compaiono nelle raffigurazioni di Federico II, possiamo sottolineare la presenza di tre diversi modelli: con un alto schienale; a faldistorium; senza schienale, simile ad un moderno sgabello. Quest’ultimo tipo è quello più presente, su undici casi è riscontrato ben sei volte. Lo troviamo in tutte le miniature (ad eccezione di quella della Chronica Regia Coloniensis), nell’affresco di Bassano del Grappa13, nei primi esemplari dei sigilli, nella statuetta dello scrigno-reliquiario di Carlo Magno ad Aquisgrana e, stando al ritratto che ci ha lasciato Séroux d’Angicourt, nella statua di porta Capua. La sua struttura è in legno impreziosito da intarsi e decorazioni e presumibilmente, visto il colore, d’orato. È composto da un alto sedile senza braccioli né spalliera sul quale è posto un cuscino e da un piano leggermente rialzato che funge da sgabello per i piedi. Un trono di tal fatta è comune nel Medioevo, lo troviamo, tanto per fare qualche esempio, nei mosaici normanni nella cattedrale di Monreale come trono di Cristo o della Madonna; nei sigilli di Guglielmo II e, come abbiamo osservato, nei primi esemplari di Federico II, che a quelli del cugino normanno si rifacevano esplicitamente; ancora lo troviamo come trono papale nel ciclo di affreschi illustranti la Donazione di Costantino, eseguito nell’oratorio di San Silvestro, nella basilica dei Santi Quattro Coronati a Roma. Per quanto riguarda la tipologia da me definita con schienale la identifichiamo nei sigilli di Federico prodotti dopo l’incoronazione di Aquisgrana, nel cammeo di Praga e nella miniatura della Chronica Regia Coloniensis. Questo trono è composto da un ampio sedile, da un alto schienale e da uno sgabello mobile per i piedi, è fabbricato in legno e adeguatamente decorato. Per le sue caratteristiche si assimila allo stallo della tradizione germanica e al solium romano. Un esempio del primo tipo è la ‘Cattedra di San Pietro’ custodita nella Basilica di San Pietro in Vaticano14. Il secondo era il seggio degli dei nella tradizione romana e che in seguito fu adoperato dall’imperatore in quanto essere divinizzato. Spesso il solium veniva collocato sotto un baldacchino poggiante su quattro colonne e provvisto di tendaggi.

13 In questo caso la parte dell’affresco riguardante il trono è lacunosa, però il fatto che dietro il sovrano non si veda uno schienale e che nella raffigurazione compaia sicuramente un cuscino, elemento tipico di questa tipologia di sedile, fa pensare che si tratti proprio di questo. 14 P.E. SCHRAMM, Le insegne di potere di Federico II, p. 80.

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Troni di questo tipo erano utilizzati a Bisanzio e li troviamo in alcune miniature dei re carolingi15. Infine, tornando alle raffigurazioni di Federico, abbiamo un unico esempio di trono che penso possa essere assimilato ad un faldistorium. Questo è rappresentato nell’affresco del palazzo abbaziale di San Zeno a Verona. È formato da delle gambe leonine incrociate e da un basso schienale coperto da un drappo a righe bianche e verdi. Questi troni erano generalmente in metallo, con le gambe ad X e pieghevoli per facilitarne il trasportato. Riprendevano la tradizione delle sellae, le sedie d’onore e da cerimonia prerogativa dei funzionari romani preminenti16. A Roma ne venivano usati due tipi: la sella curulis, con gambe ricurve ornate d’avorio, simbolo del potere giudiziario; la sella castrensis, pieghevole e con gambe dritte, utilizzata dal comandante in capo dell’accampamento e dall’imperatore17. Tal genere di sedile era utilizzato anche dagli imperatori prima di essere sostituito dal solium18. Sappiamo che Federico II possedeva un trono a faldistorium, anche se con decorazioni molto diverse e più complesse di quello raffigurato a Verona (fig. 44). Di questo parleremo nella seconda parte. Gli animali. Visto che abbiamo incontrato proprio in quest’ultimo trono delle gambe a forma di zampe di leone, è doveroso aprire una breve parentesi sugli animali ed il loro significato simbolico. Presenti nelle raffigurazioni di Federico II incontriamo solamente tre animali: l’aquila, il falco ed il leone. L’affresco di Verona è l’unico esempio in cui incontriamo un elemento leonino, ovvero le gambe del trono a forma di zampe di leone. Come abbiamo notato descrivendo questo affresco vi viene raffigurata anche l’aquila nera in campo oro, stemma degli svevi. L’aquila compare anche nel rovescio dell’augustale, sui medaglioni che ornano la dalmatica del sigillo di Darmstadt e nel rilievo dell’ambone di Bitonto. Un falco è posto sulla mano della regina Isabella nell’affresco di Bassano del Grappa e nelle 15 Idem, Lo stato post-carolingio e i suoi simboli del potere, pp. 158-159. 16 Ivi, p. 158. 17 Dizionario Enciclopedico Italiano, sub voce: sedile. 18 P.E. SCHRAMM, Lo stato post-carolingio e i suoi simboli del potere, p. 158.

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due miniature dei sovrani in maestà del De arte venandi cum avibus. Nella sensibilità medievale tutti gli animali hanno qualità positive e negative, valorizzare le une o le altre dipende dal periodo, dalla moda e dal gusto personale. Il leone insieme all’aquila e all’orso sono i tre animali generalmente considerati re di tutti gli altri, con il sopravvento ora di questo ora di quello a seconda del periodo e della regione geografica19. Il trono formato da zampe o da braccioli leonini è elemento che si rifà alla tradizione imperiale e come tale viene adottato dal papa nel corso del XII e XIII secolo, nel tentativo di presentarsi come vero imperatore20. Questo elemento decorativo proveniva sia dalla tradizione germanica che da quella biblica, infatti dei leoni erano a guardia del trono di Salomone21. Nell’alto medioevo il leone era interpretato in senso negativo, come il drago era elemento di perturbazione e di distruzione della pace22. La sua presenza al ‘fianco’ dell’imperatore celebrava la capacità di questi di essere un ‘dominatore di mostri’. La potenza del sovrano era tale da sottomettere qualsiasi essere vivente. Il Paravicini Bagliani analizzando il basamento della sedia ‘stercorata’23 di ambito papale afferma che vi erano “raffigurati, in alto rilievo, serpenti, leoni, e dragoni, immagini che costituivano «un chiaro richiamo al simbolismo del trono regale altomedioevale», ispirato da un versetto biblico, espressione dell’idea del sovrano «dominatore dei mostri»” e la stessa interpretazione la propone per la ‘cattedra di San Pietro’ 24. L’imperatore troneggiando vittorioso sul leone dimostrava tutto il suo potere e la sua autorità. Quando, a partire dal XII secolo, il leone

19 Il Pastoureau (Vedi M. PASTOUREAU, Quel est le roi des animaux?, pp. 159-175) fa una rapida, ma istruttiva rassegna su questi animali, il loro significato e la loro diffusione nelle armi della nobiltà medievale. Per esempio l’orso era più diffuso nell’Europa germanica, mentre l’aquila ed il leone in quella romana. Inoltre dal punto di vista cronologico il leone si afferma sui blasoni nobiliari a partire dal XII secolo. 20 Al tal riguardo vedi F. GANDOLFO, La cattedra papale in età federiciana, p. 342; e A. PARAVICINI BAGLIANI, Le Chiavi e la Tiara, p. 17. 21 J.M. BAK, Medieval Simbology of the State, p. 36. 22 Vedi M. PASTOUREAU, Quel est le roi des animaux?, p. 162 ; e Dizionario Enciclopedico Italiano, sub voce: leone. 23 Stercorata nel senso che si rifaceva allo sterco. Il neoeletto papa si sedeva su questo trono posto in Laterano come atto di auto umiliazione. 24 A. PARAVICINI BAGLIANI, Le Chiavi e la Tiara, p. 16 e p. 63.

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diviene l’animale più rappresentato sulle insegne dei nobili si inizia a dimenticare il suo aspetto negativo e a sottolineare i suoi lati positivi. Esso allora rappresenta il simbolo del cavaliere cristiano che combatte il male e gli infedeli, identificati nel drago e nel leopardo; racchiude in sé tutte le virtù del capo: la forza, il coraggio, la fierezza, la generosità e la giustizia25; è elemento cristologico in quanto Cristo è definito nell’Apocalisse leone della tribù di Giuda26. Malgrado tutto ciò il leone non occupa molto spazio nelle raffigurazioni di Federico. L’animale che più ha conquistato la casata degli svevi ed in particolar modo il nostro imperatore è l’aquila. Ciò che questo animale rappresenta è stato ben sintetizzato da Franco Cardini27. L’aquila per le sue caratteristiche è un animale che si lega alle regioni dell’aria e del fuoco uranico, cioè del sole e del fulmine. Proprio per questo è adatta a simboleggiare le divinità e le monarchie sacre. L’utilizzo dell’aquila come simbolo di potere ha radici lontane nel tempo e nello spazio. La incontriamo già tra i babilonesi, gli ittiti, i persiani e i frigi. Successivamente fu adottata come simbolo di Giove e nel mondo romano, fu Caio Mario ad utilizzarla per primo come insegna militare. Un’aquila si levava in volo dalla pira funebre degli imperatori romani ai quali spettava l’apoteosi per condurre la loro anima in cielo insieme agli dei. Diviene così simbolo primario dell’impero romano. Al volatile si attribuiscono le virtù di potenza, sapienza e giustizia. Nella tradizione cristiana gli angeli hanno ali aquiline e si arriva a vedere in essa un simbolo dell’Uomo-Dio, cioè di Cristo. Per tutti questi aspetti che uniscono sacro e profano, tradizione imperiale romana e cristiana, l’aquila ben si presta a rappresentare il Sacro Romano Impero. Ma se fu adottata già da Carlo Magno è con Federico Barbarossa e il nipote Federico II che viene utilizzata in maniera sistematica come simbolo dell’impero28. L’aquila nera in campo oro divenne così il simbolo degli Hohenstaufen e dei ghibellini.

25 M. PASTOUREAU, Quel est le roi des animaux?, pp. 159-162. 26 Dizionario Enciclopedico Italiano, sub voce: leone. 27 F. CARDINI, L’aquila imperiale, pp. 53-57. Sull’aquila come emblema araldico vedi anche M. PASTOUREAU, Quel est le roi des animaux?, pp. 167-168. 28 Sembrerebbe invece che durante il periodo ottoniano non vi sia stato un utilizzo di questo animale come simbolo specifico dell’impero, anche se non è escluso un suo impiego su vessilli e stendardi ma come animale che, insieme al falco, rappresenta genericamente l’autorità del potere politico all’interno della tradizione germanica.

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Al contrario al falco non attribuirei un rilevante valore simbolico o politico. È vero che tale animale era simbolo di potere nel regno egizio29, è vero anche che era considerato come re degli uccelli nella tradizione germanica e celtica prima di fondersi iconograficamente e ideologicamente, durante l’epoca ottoniana, con l’aquila romana30, ma la sua presenza nelle raffigurazioni di Federico II è dovuta, secondo me, al gusto personale dell’imperatore ed alla sua passione per la falconeria cioè per la caccia eseguita con questo animale. Passione che lo spinse a scrivere un’opera sull’argomento e secondo la tradizione gli causò la rotta di Vittoria nel 124831. A corte i falchi erano trattati con grande riguardo, facevano parte del serraglio che accompagnava l’imperatore nel suo pellegrinare per le terre del regno ed avevano valletti addetti alle loro cure. Il baldacchino. Tornando alle nostre raffigurazioni possiamo notare che Federico II è spesso posto sotto un arco o un drappo sorretto in genere da due colonne. Nello specifico è così rappresentato nell’affresco di Verona, nella miniatura della Chronica Regia Coloniensis, nella miniatura dell’Exultet di Salerno, nel rilievo dell’ambone della cattedrale di Bitonto, nel sigillo di Oppenheim, nella statuetta dello scrigno reliquiario di Carlo Magno e nel caso di Capua la scultura dell’imperatore era fisicamente posta in una nicchia fatta ad arco e sorretta da due colonne32. Dal punto di vista iconografico una tale struttura rappresenterebbe una sorta di baldacchino o ciborio stilizzato che presumibilmente era posto all’interno del palazzo reale e sotto al quale il sovrano si sedeva in trono. Sappiamo che porre i sovrani sotto

29 F. CARDINI, L’aquila imperiale, p. 55. 30 M. PASTOUREAU, Quel est le roi des animaux?, p. 167. 31 Infatti secondo la ricostruzione sia dell’Abulafia (Vedi D. ABULAFIA, Federico II, p. 331) che del Kantorowicz (Vedi E. KANTOROWICZ, Federico II imperatore, p. 657) i cittadini di Parma approfittarono della lontananza di Federico impegnato in una battuta di caccia per sferrare l’attacco decisivo all’accampamento. 32 Questo è quanto si evince dalle ricostruzioni che della porta hanno eseguito lo Schearer (Vedi M. CORDARO, La porta di Capua, fig. 13) e il Willemsen (Vedi F. CARDINI, Castel del Monte, fig. 13). A tal proposito vedi anche le fig. 47 e 48 dell’appendice iconografica.

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degli archi era consuetudine dell’arte medievale33 ed infatti se ne riscontrano numerosi esempi nelle miniature carolingie ed ottoniane34. A Bisanzio il trono imperiale era posto sotto un baldacchino sostenuto da colonne35 ed abbiamo già accennato al fatto che al solium romano “apparteneva il baldacchino poggiante su quattro colonne, con tendaggi (vela), che ha poi trovato il suo posto sopra l’altare cristiano, seggio del rex regum”36. Ne consegue piuttosto evidentemente che essere posti sotto un arco o un baldacchino era espressione di potere e prestigio, prerogativa dei re e dell’ambito ecclesiastico, ma che significato ha una tale usanza? Può far luce sulla questione una considerazione del Bertelli sul baldacchino: “sin dall’inizio fu connesso con la regalità e col rito dell’unzione. Trasposizione mobile del ciborio imperiale, il baldacchino fu subito parte della rappresentazione della Christomimèsis” e prosegue ancora “il re sotto il baldacchino prese il posto del Corpus Christi”37. Quindi sembrerebbe che il baldacchino sia da connettersi all’ideologia della regalità sacra medievale. Per quanto riguarda la tenda sorretta da due colonne della miniatura di Salerno, unico caso in cui al posto dell’arco troviamo un drappo di seta, secondo quanto sostiene Kantorowicz al riguardo delle miniature carolingie, la possiamo considerare una raffigurazione simbolica del cielo38. In ambedue i casi possiamo ipotizzare di essere di fronte a qualcosa di simile ad una linea di confine tra il sovrano e Dio, tra il mondo della materia e quello dello spirito.

33 H.M. SCHALLER, Il rilievo dell’ambone della cattedrale di Bitonto, p. 45. 34 Vedi per qualche esempio figura 41 e 42 dell’Appendice iconografica. 35 Vedi A. PARAVICINI BAGLIANI, Le Chiavi e la Tiara, p. 65; e P.E. SCHRAMM, Lo stato post-carolingio e i suoi simboli del potere, p. 158. 36 Ibidem. 37 S. BERTELLI, Il corpo del re, p. 91. 38 E. Kantorowicz (Vedi E. KANTOROWICZ, I due corpi del re, pp. 60-68) con un’abile esegesi iconografica e biblica, che parte dall’antichità e dalla prima era cristiana per giungere a quella carolingia ed ottoniana, dimostra che il velo appeso sulle colonne del baldacchino rappresenta un’immagine simbolica del cielo che separa il mondo terrestre da quello spirituale sede di Dio.

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Lo scettro, il globo e la corona. Stando alle parole di Nieto Soria, “Los elementos típicos de la iconografía imperial suelen ser la corona cerrada y alta, la exhibición de la esfera o «globus» y del cetro o virga”39: infatti Federico è sempre accompagnato nelle sue raffigurazioni da questi simboli di potere. Iniziamo dallo scettro. Nei tredici casi delle raffigurazioni di Federico in cui possiamo vedere le mani, lo scettro compare per ben dieci volte40. Fanno eccezione il rilievo del pulpito di Bitonto nel quale Federico non ha niente in mano, la statuetta dello scrigno-reliquiario di Carlo Magno dove lo scettro è sostituito da una croce e la miniatura del De arte venandi cum avibus nel quale è il secondo sovrano ad impugnare uno scettro, non quello comunemente identificato con l’imperatore. Nella stragrande maggioranza dei casi lo scettro è liliato, cioè termina con una raffigurazione di un giglio, ma a volte può anche presentare una croce, - parleremo tra poco di questi due importantissimi simboli – e per quanto riguarda le dimensioni può essere corto ma anche lungo e sottile a mo’ di labarum, lo stendardo imperiale di Costantino. La verga o il bastone era attributo di molte divinità greche e romane, in special modo di Giove e talora della Giustizia e della Fortezza; inoltre era simbolo dei sacerdoti, dei messaggeri divini e dell’autorità dei sovrani. Nel mondo romano uno scettro era portato dal condottiero celebrante il trionfo e dai consoli, che ne utilizzavano un tipo speciale sormontato da un’aquila41. Tale usanza fu adottata anche nell’impero bizantino, ma Leone I (457-475) sostituì l’aquila con la croce42. Nel IX secolo il suo uso era riservato al re come segno del suo potere43 e sappiamo che Carlo Magno ne possedeva uno sormontato da una colomba44. Lo scettro si lega al re ed alla sua funzione di giudice, è il simbolo “de la virtud y de la equidad de que deberá ser garante el emperador”45.

39 J.M. NIETO SORIA, El imperio medieval como poder pùblico, p. 439. 40 Però tra questi dieci casi dobbiamo segnalare che nell’affresco di Verona la presenza dello scettro è solo ipotizzata visto lo stato lacunoso dell’immagine. 41 Sullo scettro vedi J. HALL, Dizionario dei soggetti e dei simboli nell’arte, sub voce: scettro; e Dizionario Enciclopedico Italiano, sub voce: scettro. 42 A. GRABAR, L’empereurs dans l’art byzantin, p. 13. 43 R. ELZE, Insegne del potere sovrano e delegato in Occidente, p. 582. 44 Dizionario Enciclopedico Italiano, sub voce: scettro. 45 J.M. NIETO SORIA, El imperio medieval como poder pùblico, p. 426.

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Il globo, che di solito è impugnato dalla mano sinistra mentre la destra tiene lo scettro, appare con certezza in solo cinque casi. Ad un’attenta analisi però possiamo considerare, come abbiamo già evidenziato nelle loro descrizioni, che siano dei globi, anche se fortemente stilizzati, il giglio della miniatura del De arte venandi cum avibus ed il fiore e la mela tenuti in mano da Federico nelle due monete di Como. Per quanto riguarda l’interpretazione del fiore ci comportiamo allo stesso modo del giglio della miniatura del De arte venandi cum avibus, nel caso della mela invece possiamo ricordare che il globo era definito anche pomum46, quindi identificabile con un semplice frutto. Come lo scettro anche il globo è un attributo della sovranità e caratterizza l’iconografia imperiale47. Esso indica il potere sul mondo da parte di chi lo porta e con tale significato fu utilizzato per la prima volta dagli imperatori romani. Inoltre può comparire in mano alla Giustizia e nella tradizione cristiana identifica Cristo come salvator mundi e Dio padre. Sormontato da una croce divenne simbolo del Sacro Romano Impero48. In particolare la croce indica che il potere dell’imperatore si estende su tutto il mondo cristiano. Il globo crocifero da Teodosio II (401-450) divenne simbolo di potere anche nel mondo bizantino49, ma sappiamo che nessun imperatore, né romano né bizantino né franco, ha mai posseduto o portato fisicamente un pomo prima dell’XI secolo. Tale usanza fu istituita durante l’incoronazione di Enrico II50 e da allora divenne una norma delle incoronazioni imperiali. La croce è elemento specificatamente cristiano adottato già da Costantino come stemma militare durante il vittorioso scontro con Massenzio a Ponte Milvio51. Per il suo carattere religioso e cristologico fu utilizzata come emblema trionfale nel Sacro Romano Impero e fu intimamente connessa all’aquila in quanto entrambi venivano considerati segni della sacralità imperiale52. Il giglio che abbiamo incontrato sugli scettri e sui globi di Federico, compare anche sul trono raffigurato sul sigillo di Darmstadt

46 J.M. BAK, Medieval Simbology of the State, p.56. 47 J.M. NIETO SORIA, El imperio medieval como poder pùblico, p. 439. 48 J. HALL, Dizionario dei soggetti e dei simboli nell’arte, sub voce: globo. 49 A. ARSLAN, Emissioni monetarie e segni del potere, p. 820. 50 R. ELZE, Insegne del potere sovrano e delegato in Occidente, pp. 580-581. 51 M. BACCI, Artisti, corti, comuni, p. 634. 52 F. CARDINI, Castel del Monte, p. 86.

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e di solito abbellisce le corone. Il giglio era un elemento che faceva parte della dignità regale, era simbolo di purezza adottato secondo la leggenda da Clodoveo per simboleggiare il suo passaggio alla religione cristiana e compariva anche sul mantello di Carlo Magno53. Dobbiamo considerare tale fiore caratterizzante la monarchia consacrata ed il sovrano che, in quanto unto del signore, ritrova una primitiva purezza che lo rende vicino a Dio e lo fa il suo rappresentante sulla terra, il suo messaggero. Passiamo all’oggetto forse più affascinante e rappresentativo della monarchica: la corona. Questo oggetto prezioso nell’antichità distingueva iconograficamente la maestà divina ed in seguito coloro che la rappresentava sulla terra, cioè i sovrani e i sacerdoti54. Secondo le indicazioni della Bibbia, i re giudei portavano delle corone55. Nel Sacro Romano Impero principalmente era il simbolo che identificava l’imperatore e che manifestava la volontà divina che l’aveva elevato a tal onore56. L’uso della corona d’oro come insegna di regalità sappiamo che esisteva già tra i visigoti e i longobardi57. Nelle rappresentazioni di Federico compiono corone di varia foggia e tipo. Infatti come gran parte dei sovrani del tempo possedeva più corone, di forme e dimensioni diverse58. Cercheremo di classificarle distinguendo tra alcuni gruppi principali e stando attenti ad alcuni dettagli formali, ma senza attribuire a quest’ultimi troppo valore, perché spesso poco rispettosi della realtà e dettati più dalla moda o dalla libertà espressiva dell’artista che da precisi intenti politici e propagandistici. In linea di massima possiamo dividere le corone di Federico in due gruppi principali: quelle di chiara espressione medievale e quelle che si rifanno ai modelli dell’antica Roma. Tra le ventidue raffigurazioni di Federico compaiono quindici corone che possiamo assimilare al primo gruppo. Al contrario il serto d’alloro, tipico emblema dell’imperatore romano, compare solo in tre casi: nel busto di Barletta, nell’augustale del Regno di Sicilia e in quello di Bergamo. Le corone della statua di Capua, dell’augustale tipo

53 J. HALL, Dizionario dei soggetti e dei simboli nell’arte, sub voce: giglio. 54 Dizionario Enciclopedico Italiano, sub voce: corona. 55 P.E. SCHRAMM, Lo stato post-carolingio e i suoi simboli del potere, p. 185. 56 J.M. NIETO SORIA, El imperio medieval como poder público, p. 426. 57 R. ELZE, Insegne del potere sovrano e delegato in Occidente, p. 575. 58 Vedi R. ELZE, La simbologia del potere nell’età di Federico II, p. 50; P.E. SCHRAMM, Le insegne di potere di Federico II, p. 78.

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speciale, del grosso argenteo di Vittoria e degli augustali di Como sono di più difficile identificazione e meritano un discorso a parte. Nel primo dei due gruppi identificati spicca per importanza simbolica la corona imperiale di Ottone I, la Reichskrone, che al contrario di quanto si potrebbe pensare compare in un solo caso: il sigillo di Monaco di Baviera del 1224. Della sua forma e del suo significato si sono spesso interessati gli storici moderni59. Sintetizzando possiamo dire che la corona - utilizzata per la prima volta durante l’incoronazione ad imperatore del Sacro Romano Impero di Ottone I, svoltasi a Roma nel 962 – è costituita da otto placchette poste a forma di ottagono ed è decorata da immagini smaltate e pietre preziose che costruiscono un complesso sistema simbolico comprensibile solo con l’ausilio dell’Antico Testamento e dell’Apocalisse. Ai lati erano applicati tre lunghi pendenti, mentre sovrasta la prima placchetta una croce voluta da Enrico II (1002-1024). Un arco-ponte aggiunto da Corrado II (1024-1039) attraversa il cerchio aureo della corona. Tutto il complesso veniva a significare la funzione di rex et sacerdos dell’imperatore, proprio come il re Melchisedek dell’Antico Testamento. Questa corona dimostrava che l’imperatore unto dal Signore aveva acquistato uno status diverso dagli altri uomini, egli era l’unico essere umano libero e perfetto, proprio come Adamo prima del peccato originale. Egli era un mediator tra clero e popolo come Cristo lo era tra Dio e gli uomini, quindi l’imperatore era il typus Christi. Se questa corona proveniva dalla tradizione alto-medievale germanica, altre si rifacevano a quella normanna e di conseguenza bizantina. Questo è ovvio per quelle raffigurazioni che maggiormente si legano al Regno di Sicilia, quelle del periodo di reggenza di Innocenzo III e quelle dei primi anni di regno di Federico, precedenti allo sviluppo di un diverso e più coerente programma propagandistico. In esse si esibiscono i simboli del potere della tradizione normanna di cui egli era l’erede. Fanno parte di questo gruppo il sigillo conservato a Karlsruhe del 1210 e i due denari del 1225. In queste immagini appare un tipo di corona molto simile a quelle che compaiono sulla

59 Sulla ‘corona d’impero’ a differenza degli altri tipi di corona ho trovato molte informazioni, anche dettagliate. Per la descrizione che qui riporto mi sono basato su: F. CARDINI, Castel del Monte, pp. 69-73; D. MERTENS, Il pensiero politico medievale, pp. 68-69; e P.E. SCHRAMM, Lo stato post-carolingio e i suoi simboli del potere, pp. 188-191.

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testa dei regnanti normanni raffigurati nei mosaici di Palermo e Monreale. Queste erano di forma quasi cilindrica, alte poco meno di quanto non fossero larghe, tempestate di gemme e perle e sormontate da dei cuspidi triangolari. Corone di tal genere erano utilizzate nel mondo bizantino, ma per le regine. La loro adozione nel regno di Sicilia può essere motivata dalla maggiore altezza di queste rispetto al kamelaukion, la corona ufficiale dell’imperatore di Bisanzio, che consisteva in una cuffia aderente alla testa e che a causa delle sue scarse dimensioni non consentiva di accrescere l’autorità del sovrano come invece faceva la corona del Sacro Romano Impero60. Nelle raffigurazioni di Federico II in cui compaiono corone normanne stranamente non troviamo il kamelaukion, eppure il nostro sovrano possedeva corone di tal fatta ed una si è conservata sino a noi61. Ciò conferma che nelle raffigurazioni delle corone spesso non ci si rifaceva ai modelli effettivamente posseduti dai sovrani. Infatti anche nelle corone rappresentate nelle rimanenti undici immagini di Federico, pur essendo modelli tutti assimilabili alle tipologie medievali, vige la più completa libertà espressiva. Il gruppo più consistente è quello costituito da un anello dal quale si innalzano tre foglie poste ai lati ed al centro dello stesso, talora sostituite da elementi decorativi astratti, o che tendono fortemente a stilizzare tali elementi vegetali. Nelle descrizioni delle immagini di Federico II, per comodità, l’ho definite indistintamente ‘a gigli’ secondo la classificazione che delle corone fa lo Schramm62, anche se è evidente che in queste corone del suddetto fiore non c’è niente. L’elemento floreale che forse in partenza era il giglio tende, nelle immagini analizzate, ad essere sempre più stilizzato o in semplici foglie, come nella prima miniatura di sovrano in maestà del De arte venandi cum avibus, o in elementi astratti che del fiore mantengono solamente la forma appuntita, come nell’affresco della torre abbaziale di San Zeno a Verona o nella miniatura dell’Exultet di Salerno. La

60 Le corone normanne ed in particolare il kamelaukion sono state analizzate dal Lipinski (Vedi A. LIPINSKI, Le insegne regali dei sovrani di Sicilia, pp. 170-176). 61 Tale corona è stata rinvenuta nel sarcofago della regina Costanza d’Aragona a Palermo. Vi fu tumulata dallo stesso Federico come dono per la propria moglie scomparsa. Da esami del Deér e dello Schramm è risultata essere l’originaria corona del Regno di Sicilia (Vedi Ivi, p. 171). 62 P.E. SCHRAMM, Lo stato post-carolingio e i suoi simboli del potere, pp. 185-189.

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corona di gigli era stata suggerita dalla Bibbia e sembra che fosse adottata per la prima volta da Carlo il Calvo (843-877)63. Questo tipo è in assoluto il più rappresentato, essendo possibile riscontrarlo in sette casi. Esiste poi una corona di forma intermedia tra questa e quella che lo Schramm definisce ad archi64, che si trova raffigurata nel sigillo di Oppenheim. Tale corona è costituita da una fascia bassa sormontata da un arco e tre gigli posti rispettivamente ai lati e nel centro. La corona della statuetta dello scrigno-reliquiario di Carlo Magno potrebbe rappresentare un’evoluzione di quella a gigli, ma le sue punte sono a tal punto stilizzate da non avere più niente della forma né di un fiore né di una foglia. Infine nel rilievo dell’ambone di Bitonto compare una corona a forma di semplice cerchio che sappiamo essere abituale nel Medioevo65. Passiamo al serto d’alloro. Questo cingeva la testa del conquistatore nel corteo trionfale dell’antica Roma, infatti l’alloro era da sempre simbolo dei vincitori, poi durante l’età imperiale passò a caratterizzare gli imperatori66. Con una simile corona è chiaro il richiamo da parte di Federico all’antica tradizione imperiale romana. Concludendo la rassegna delle corone voglio parlare di quella raffigurata rispettivamente nella statua di Capua, nell’augustale di tipo speciale, nell’augustale di Como e nel grosso di Vittoria. Questa è costituita da un cerchio dal quale si slanciano numerosi denti terminanti a punta o con delle pietre preziose. Penso che il modello di queste corone sia per tutte il solito, perché nonostante specifiche particolarità, tutte e quattro sembrano avere un’identica struttura. Il mio punto di partenza alla ricerca di questo esemplare base è la statua di porta Capua. La corona che qui Federico II indossa è stata comunemente interpretata come una generica corona medievale a dentelli67, ma Kantorowicz nella sua biografia su Federico la definisce “nudo diadema romano a punte”68. Il Rowland affermando che tale

63 Ivi, p. 189. 64 Ivi, p. 188. Questa corona consiste in un anello sormontato da due archi ricoperti di gioielli che si incrociano. 65 H.M. SCHALLER, Il rilievo dell’ambone della cattedrale di Bitonto, p. 46. 66 J. HALL, Dizionario dei soggetti e dei simboli nell’arte, sub voce: corona. 67 L. QUARTINO, Un busto genovese di Federico II, p. 295; e P.C. CLAUSSEN, Creazione e distruzione dell’immagine di Federico II, p. 70. 68 E. KANTOROWICZ, Federico II imperatore, p. 540.

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corona è “forse ripresa dal diadema stellato di alcuni Augustali”69 mi conferma due delle mie ipotesi, cioè che il suo modello base è forse più da ricercare nei diademi di origine romana che nelle corone medievali; e che come forma è assimilabile a quella dell’augustale di tipo speciale. Se ci soffermiamo a considerare la corona di quest’ultimo noteremo come sia stata definita “diadema raggiante”70, o “corona radiata”71. Quindi nelle sue definizioni ritorna l’elemento del raggio e dell’astro. Quest’ultimo emettendo luce è rappresentato con raggi che si dipanano dal corpo centrale. Viene spontaneo legare questi raggi di luce a quelli del sole e a tal proposito possiamo sottolineare come il ritratto imperiale dell’augustale di tipo speciale è stato identificato come “un libero rifacimento di una effige del Sol”72. Sappiamo che nell’arte greca il sole era rappresentato con in testa una corona di raggi - anche se questi avevano un andamento orizzontale e non verticale rispetto al corpo della corona – e che tale modello iconografico fu ripreso a Roma ed utilizzato da alcuni imperatori per le effigi monetali73. In merito ho trovato alcuni esempi di monete imperiali (per un esempio vedi fig. 27) tra i quali spicca il nome di Elagabalo, devoto sacerdote del Sol invictus74. Infatti l’assimilazione del re al Sole entrò a Roma dopo l’ascesa al potere di questo imperatore e fu sottolineato da un tipo speciale di corona, la ‘radiata’75. Sembrerebbe quindi che queste corone di Federico II siano state ispirate da un modello romano che celebrava nell’imperatore il Sole. È opportuno notare come la commemorazione del sovrano come Sole rimase viva nel Medioevo. La religione cristiana trasferì il culto del re-sole sul Cristos-Helios, ma tramite il cerimoniale bizantino l’identificazione tra il monarca e il sole rimase sempre presente in

69 B. ROWLAND, A New Portrait Head of Frederick II Hohenstaufen, nota 4. 70 E. KANTOROWICZ, Federico II imperatore, p. 209. 71 R. SPHAR, Le monete siciliane dai bizantini a Carlo I d’Angiò, p. 195. 72 Gli Svevi in Italia meridionale, a cura di C. De Venere, p. 72. 73 Dizionario Enciclopedico Italiano, sub voce: sole. 74 Il fatto che nell’appendice iconografica abbia posto come esempio emblematico l’immagine di una moneta raffigurante Nerone è perché la qualità e la leggibilità di questa è superiore rispetto a quelle riguardanti Elagabalo che ho potuto visionare. Inoltre la presenza di tale corona sulla testa di Nerone non contraddice quanto vado sostenendo poiché sappiamo che questo imperatore, precedentemente alla diffusione sistematica del culto del sole che ripeto avvenne con Elagabalo, si identificava con il sole (Vedi F. CARDINI, Castel del Monte, p. 53). 75 Ivi, p. 40.

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tutte le corti d’Europa, anche in quella federiciana. A Bisanzio il rito della parousìa, cioè l’apparizione che il sovrano compiva circondato dalle luci delle torce all’interno della tribuna lignea posta nel circo al momento del tramonto, derivava direttamente dall’idea di Sol invictus applicata all’imperatore. Via Bisanzio il culto solare riapparve in Sicilia dove il re Guglielmo II fu definito da Eugenio di Palermo con le stesse caratteristiche dell’astro76. Federico II è spesso paragonato al sole, per esempio da Orfino da Lodi e da Terrisio di Atina77, mentre al momento della sua morte il figlio Manfredi così si espresse: “Il sole della giustizia è tramontato, l’artefice della pace è spirato”78. Quello che qui ho cercato di dimostrare è che il modello che ha ispirato la corona di Capua e quella dell’augustale tipo speciale è un diadema di età imperiale romana che ricorda e celebra nella persona dell’imperatore il Sole. Nella corona del grosso di Vittoria, pur risultando molto stilizzata, come ho già detto, sembra di vedere la stessa forma di quella dell’augustale di tipo speciale, quindi la considererei della stessa specie. La corona dell’augustale di Como non è certamente uguale alle altre, ma ha una struttura che vi si avvicina molto. Nel Medioevo qualcosa di simile era utilizzato dalle regine79, ma considerando l’assenza di regole precise e sistematiche nelle raffigurazioni delle corone durante questo periodo, forse la possiamo considerare basata sullo stesso modello delle altre, anche se in questo caso mi sembra che si sia perso il valore originario. Queste corone pur avendo caratteristiche leggermente diverse sembrano rimandare, più o meno consapevolmente, alla stessa tradizione iconografica. Forse anche con questa corona, come con il serto d’alloro, Federico intendeva esplicare per l’ennesima volta il suo desiderio di renovatio che ispirò gran parte delle sue iniziative

76 Importanti informazioni sul rituale bizantino e sul paragone tra sovrano e sole sia a Bisanzio che nella Sicilia normanna ce le offre il Bertelli (Vedi S. BERTELLI, Il corpo del re, pp. 129-130). Al riguardo è importante anche il contributo di Tronzo (Vedi W. TRONZO, The Cultures of His Kingdom, pp. 104-125). 77 Per il paragone di Federico II al sole vedi E. KANTOROWICZ, I «due soli» di Dante, p. 102 e Idem, Federico II imperatore, nota p. 702. 78 D. ABULAFIA, Federico II, p. 338. La citazione, che è tratta dalla lettera che Manfredi indirizzò al re Corrado al momento della morte di Federico II, nella forma originaria suona così: “Cecidit quidem sol mundi qui lucebat in gentibus, cecidit sol justitie, cecidit auctor pacis” (Vedi J.L.A. HUILLARD-BRÉHOLLES, Historia diplomatica Friderici Secundi, VI, 2, p. 811). 79 H. THELEN, Ancora una volta per il rilievo del pulpito di Bitonto, p. 222.

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propagandistiche e va dunque considerato ancora un tentativo di presentarsi come discendente diretto degli imperatori romani. Infine è doveroso notare come cronologicamente le raffigurazioni di questo tipo di corona si inseriscano nell’ultima fase del regno di Federico e, se fosse confermata l’ipotizzata datazione del busto di Capua e dell’augustale tipo speciale, la potremmo più esattamente datare agli anni Quaranta del XIII secolo. Riassumendo, sulle ventidue corone delle rappresentazioni di Federico quindici si rifanno alla tradizione medievale e sette a quella romana. Nel primo gruppo ne troviamo tre che si legano alla tradizione normanna e bizantina, mentre le altre dodici sono tipiche dell’Europa carolingia ed ottoniana. Nel secondo gruppo abbiamo evidenziato due tipi di corone: il serto d’alloro e il diadema raggiante. Le pietre preziose. Nel descrivere questi oggetti che rappresentano e simboleggiano più di ogni altro il potere regio abbiamo più volte notato la presenza di perle e pietre preziose. Queste ornavano anche le vesti dei re ed avevano un loro significato preciso. Per quanto riguarda le perle Giustiniano nel 529 aveva stabilito che fossero riservate al solo uso dell’imperatore e della sua famiglia, divenendo così una prerogativa imperiale, uno status symbol ripreso anche in Occidente da Carlo Magno e dagli Ottoni. Perle ornavano, ad esempio, la corona del Sacro Romano Impero80. Invece le pietre preziose avevano la funzione di sottolineare l’essenza divina dell’imperatore. Il loro scintillio faceva in modo che dal corpo del sovrano, che le indossava sulla corona e sulle vesti, emanasse una luce colorata che veniva considerata sintomo di divinità81. Gli abiti. Anche le vesti che i sovrani indossano hanno una forte valenza simbolica e un chiaro messaggio politico. Federico II generalmente

80 S. MALAGUZZI, Gemma imperiale, pp. 79-82. 81 A. CARILE, Immagine e realtà nel mondo bizantino, p. 102.

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veste un mantello drappeggiato più o meno corto, di colore rosso, che è allacciato da una fibula o sulla spalla destra alla maniera del paludamento degli antichi generali romani, o sul petto come nella clamide di origine greca e tipica del mondo bizantino82. Fanno eccezione per quanto riguarda l’allacciatura il mantello raffigurato nel rilievo dell’ambone di Bitonto che non presenta un fermaglio, ma è retto da due lacci e quello raffigurato nell’affresco della torre abbaziale di San Zeno a Verona che non mostra alcun tipo di abbottonatura. Per quanto riguarda il colore differisce quello del primo dei due sovrani in maestà della miniatura del De arte venandi cum avibus che è blu scuro. Sotto il mantello troviamo una tunica detta dalmatica (fig. 28), cioè un ampio camice di seta, in genere di colore rosso83, indossato dal diacono nell’esercizio delle sue funzioni. Le maniche, spesso corte, sono ricamate in oro ed ornate di perle84, come abbiamo modo di vedere nella miniatura dell’Exultet di Salerno. La tunica è chiusa da una cintura di seta85. Sopra la dalmatica di solito viene indossato il lorum, accessorio tipico dell’ambito sacerdotale consistente in una striscia di stoffa di 10-12 centimetri che gira attorno al collo e ricade sul davanti86. Tale striscia di stoffa può anche essere cucita direttamente sulla dalmatica, come ad esempio nella miniatura dell’Exultet di Salerno. Sotto la dalmatica veniva portata un’altra veste, lunga fino ai piedi, di nome alba (fig. 29). Anche questa era un indumento tipico del clero, che di norma doveva essere bianca, ma che in Federico troviamo di colore rosso tenue o arancione87. Si discosta leggermente dagli altri l’abito raffigurato nel rilievo dell’ambone di Bitonto. Qui mi sembra che siamo in presenza più che della dalmatica, di un bliaud, sorta di sopraveste originaria della Francia che dall’epoca carolingia venne indossata fino al XIII secolo88. 82 Dizionario Enciclopedico Italiano, sub vocibus: clamide e paludamento. 83 Nelle raffigurazioni di Federico lo troviamo anche di colore verde e blu. 84 Sulla dalmatica vedi A. LIPINSKI, Le insegne regali dei sovrani di Sicilia, p. 181; e C. GIORGETTI, Manuale di Storia del Costume e della Moda, p. 123 e p. 139. 85 A. LIPINSKI, Le insegne regali dei sovrani di Sicilia, p. 182. 86 Dizionario Enciclopedico Italiano, sub voce: stola. 87 A. LIPINSKI, Le insegne regali dei sovrani di Sicilia, p. 182; e C. GIORGETTI, Manuale di Storia del Costume e della Moda, p. 139. 88 Su questo abito vedi, Ivi, p. 140.

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Infine Federico portava dei calzari scuri, di colore oscillante tra il nero e il marrone (fig. 30). Tali sandali erano a Bisanzio uno dei più importanti emblemi distintivi dell’imperatore, anche se qui come alla corte normanna erano rigorosamente di colore rosso porpora89. Calzari neri erano indossati dai senatori dell’antica Roma90. In generale gli abiti indossati da Federico si rifacevano, a parte il mantello e forse i calzari, alla tradizione sacerdotale. Gli abiti da alto sacerdote erano stati adottati per la prima volta da Ottone I nell’intento di innalzare il potere laico dell’imperatore anche alla sfera del sacro, facendo del sovrano consacrato contemporaneamente un rex et sacerdos, come nella tradizione biblica91. Dall’età ottoniana erano divenuti una costante dell’abbigliamento indossato dall’imperatore durante l’incoronazione. Tali abiti furono adottati anche dalla monarchia normanna92 e bene si inserivano in tutti quei contesti nei quali il sovrano, in quanto unto del signore, non era più considerato semplicemente un uomo, ma un rappresentante di Dio sulla terra. I colori. Abbiamo visto che principalmente i colori degli abiti di Federico sono il rosso ed il blu. Anche questi avevano un loro preciso significato, una funzione simbolica e di distinzione sociale93. Il manto rosso, anzi più precisamente porpora, era attributo di potere già nel mondo antico. Nel 274 a.C. Pirro scherniva Antigono Gonata perché pur sconfitto, continuava ad indossare la porpora reale94, mentre Demetrio Poliorcete (336-283 a.C.) per sottolineare la sua essenza divina, vestiva in oro e porpora95. Di color porpora e giacinto era la tenda di Mosè, il tempio e l’abito da sacerdote nella 89 P.E. SCHRAMM, Le insegne di potere di Federico II, pp. 74-75. 90 C. GIORGETTI, Manuale di Storia del Costume e della Moda, p. 131. 91 D. MERTENS, Il pensiero politico medievale, p. 53. 92 D. ABULAFIA, Federico II, p. 6. 93 Un’analisi sui colori e il loro impiego nel corso del Medioevo è stata fatta dal Pastoureau (Vedi M. PASTOUREAU, Et puis vint le bleu, pp. 15-22; Idem, Formes et couleurs du désordre: le jaune avec le vert, pp. 23-34; Idem, Les couleurs médiévales, pp. 35-49). 94 B. VIRGILIO, Lancia, diadema e porpora, p. 67. 95 Ivi, p. 84.

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tradizione ebraica. Nel pettorale del Gran Sacerdote del popolo d’Israele, tra le dodici gemme che rappresentavano le altrettante tribù, quella rossa raffigurava la Tribù di Giuda, da cui discendevano Davide e Salomone96. Di rosso era colorata la faccia del generale o dell’imperatore che celebravano il trionfo. L’uso esclusivo della porpora ad opera dell’imperatore, per sottolineare l’essenza divina del suo potere, fu sancito da Diocleziano (243-313) introducendo un’usanza ripresa dalla corte persiana. A Bisanzio tra i segni distintivi dell’imperatore c’erano la tunica e la clamide di porpora, simbolo del sangue versato dalla potestà punitiva dell’imperatore, ma anche immagine del sangue versato da Cristo nel suo martirio. Anche l’uso del porfido rosso, che nella sua colorazione ricorda la porpora, fu riservato ai monumenti imperiali. L’erede al trono era legittimato dalla nascita all’interno di una stanza interamente costruita in porfido. Dello stesso materiale a Bisanzio erano i sarcofaghi imperiali97. Il colore rosso appare spesso anche negli abiti normanni, che dal mondo bizantino mutuarono gran parte dei simboli del potere e del cerimoniale di corte, mentre il porfido fu utilizzato nei troni e nei sarcofaghi papali. Anche il sarcofago di Federico II, che in realtà era stato commissionato da Ruggero II, era di questo preziosissimo materiale98. Mentre la presenza del rosso è quindi dovuta alle sue valenze simboliche e politiche, quella del blu si spiega dal punto di vista della storia del gusto e della moda. Statisticamente la maggior parte degli europei moderni preferiscono il colore blu. È stato accertato dal Pastoureau che l’affermazione di questo colore a discapito del rosso ebbe inizio proprio nel corso del XIII secolo, quando l’azzurro divenne il colore che principalmente connotava le vesti degli aristocratici. Dove il rosso resistette di più fu in Germania, perché il suo legame con l’impero era più saldo99. Mentre la presenza del rosso 96 A. LIPINSKI, Le insegne regali dei sovrani di Sicilia, p. 179. 97 Per questa rassegna del valore del colore rosso porpora vedi A. CARILE, Immagine e realtà nel mondo bizantino, pp. 101-102; e Idem, La sacralità rituale dei BAΣIΛEIΣ bizantini, pp. 68-76. 98 Sul materiale della tomba dell’imperatore possiamo trarre informazioni dalle indagini del Daniele (Vedi F. DANIELE, I regali sepolcri del Duomo di Palermo, pp. 26-30 e p. 103) e da una più recente campagna archeologica organizzata dalla Regione Sicilia (Vedi Studi ricerche e indagini sulla tomba di Federico II nella Cattedrale di Palermo, pp. 216). 99 M. PASTOUREAU, Et puis vint le bleu, pp. 16-19.

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negli abiti di Federico II è quindi una questione di ‘etichetta’, in quanto è per l’imperatore doveroso indossare abiti di tal colore, ritengo che il timido affacciarsi del blu sia dovuto ad un must della moda contemporanea, un labile riflesso di quella tendenza che stava investendo l’intera Europa. Il volto del sovrano. “When Otto III uses a bull with the pictures of a bearded, aged man on it, we do not obtain information about the appearance of the youthful ruler and his insignia, but about his political program: the renovatio of the Carolingian Empire. Hence an image that seemed to be Charlemagne’s on the seal is the ‘right’ portrait in the medieval, analogical way of thinking. It implies the important spiritual identification of Otto with Charles the Great rather than the accidental, individual features of the young emperor”100. Sulla scia dell’esempio del Bak qui esposto, voglio adesso analizzare le caratteristiche del volto che sono maggiormente presenti nelle immagini di Federico, considerandole come dei simboli del potere, come immagine, per usare ancora un’espressione del Bak, dell’ “idea of the state”101. Le raffigurazioni dell’imperatore, al pari di quelle del papa, o del re, o di chiunque ricoprisse un ruolo eminente ed avesse attributi di sovranità avevano nel Medioevo una chiara funzione politica e di propaganda in quanto esprimevano la visione astratta, ma adeguata e solenne dell’uomo che incarna il potere102. È vero che con il XIII secolo ed in special modo con Federico II iniziò il passaggio dal ritratto tipico a quello autentico, ma non dobbiamo anticipare troppo i tempi di tale comparsa, che fu progressiva e non si affermò definitivamente prima del XIV secolo103. Ne consegue che, 100 J.M. BAK, Medieval Simbology of the State, pp. 56-57. 101 Ivi, p. 40. 102 A. GRABAR, L’empereur dans l’art byzantin, p. 10. 103 Per una rapida rassegna sul ritratto segnalo il contributo di Castelnuovo (Vedi E. CASTELNUOVO, Il significato del ritratto pittorico nella società, pp. 1031-1094) che arriva fino all’età contemporanea. Importanti anche gli scritti del Claussen (Vedi P.C. CLAUSSEN, sub voce: ritratto, in Enciclopedia dell’arte medievale, pp. 33-46) e della Travaini (Vedi L. TRAVAINI, sub voce: ritratto, in Enciclopedia dell’arte medievale, pp. 49-51). Più circoscritto quello del Prandi (A. PRANDI, Il ritratto medievale fino a Federico II, pp. XI-XV).

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anche se nei ritratti di Federico si iniziavano a mescolare volontà idealizzante e volontà veristica, sarà sempre la prima a dominare. Inoltre anche quando il ritratto ha un carattere più conforme alla realtà, non è detto che non nasconda intenti politici o propagandistici. Perciò penso che sia lecito e opportuno cercare di comprendere, ove possibile, il significato di certe caratteristiche espressive e fisionomiche. La prima considerazione che posso fare riguarda la statura. In particolar modo nell’affresco di Verona e nella miniatura dell’Exultet di Salerno, Federico è dotato di una notevole altezza superando nettamente, pur essendo seduto in trono, gli altri personaggi. In realtà come abbiamo visto le cronache del tempo concordano nel ritrarre il nostro sovrano di altezza media. Sicuramente questo tentativo di enfatizzare le sue dimensioni ha in primo luogo un intento pratico di lettura dell’immagine. Così infatti si capisce subito chi è il protagonista della raffigurazione e dove l’occhio dell’osservatore si deve con maggiore attenzione rivolgere. A questa finalità se ne aggiunge un’altra di carattere ideologico e politico. Abbiamo precedentemente visto come i monarchi normanni fossero pronti ad indossare una corona da donna pur di guadagnare qualche centimetro. L’altezza era un elemento che si legava strettamente con l’autorità in un mondo come quello medievale nel quale vigeva la tradizione per cui il capo politico era necessariamente un capo militare. Forza fisica, robustezza, altezza e via dicendo erano tutte virtù che non potevano mancare ad un re. Ritroviamo la figura gigantesca anche come carattere distintivo degli imperatori romani e bizantini in alcuni monumenti dell’antichità e anche Gesù secondo una credenza popolare della prima età cristiana era un gigante104. Il raffigurare il sovrano alto era un modo per celebrarlo e in qualche modo legittimare la sua funzione. All’inizio del nostro studio abbiamo posto, sulla scia del Claussen, tra gli elementi fondamentali dell’iconografia federiciana l’assenza della barba. Sappiamo che Federico non portò mai la barba e Kantorowicz l’ha ben dimostrato dandoci anche alcune motivazioni. Per prima cosa tale usanza è confermata dalle testimonianze scritte come abbiamo precedentemente osservato; sappiamo che i ghibellini di Cremona si diedero nome Barbarasi, sottolineando così tramite

104 E. KANTOROWICZ, I due corpi del re, p. 62.

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l’uso di radersi il volto la loro appartenenza al partito filo imperiale105; e del resto era la moda del tempo a esigere tale aspetto. Infatti nel XIII secolo il volto veniva comunemente rasato, mentre i capelli venivano lasciati lunghi con una frangia sulla fronte106, proprio come si vede nelle raffigurazioni di Federico. Posso aggiungere che l’uso di tagliarsi la barba fu adottato dai romani fino al I secolo d.C. e poi si ripresentò in età Tardo Antica nell’impero orientale da Costantino in poi107. Kantorowicz ha sottolineato l’intimo legame tra l’ideologia politica di Federico e quella di Cesare, Augusto e Giustiniano108, non a caso tre imperatori che dalle fonti iconografiche sappiamo non essere usi a portare la barba. Può essere una coincidenza, ma la suggestiva idea che si tratti di un programmato tentativo di mimesi imperiale non sembra inverosimile. Infine l’assenza di barba può essere spiegata come mezzo per accentuare un altro aspetto sul quale molto insiste l’iconografia federiciana: la giovinezza del volto. Federico II tende a presentarsi, tranne che in due casi, in maniera piuttosto idealizzata, con i tratti del volto giovanili109. Certamente nell’arte di quel periodo iniziava a sentirsi un certo bisogno di oggettività, ma non tale da produrre veri e propri ritratti come ha sostenuto il Prandi110. Quindi possiamo considerare accettabile la

105 Idem, Federico II imperatore, p. 708. 106 C. GIORGETTI, Manuale di Storia del Costume e della Moda, p. 148. 107 Dizionario Enciclopedico Italiano, sub voce: barba. 108 E. KANTOROWICZ, Federico II imperatore, p. 208. 109 Fanno eccezione l’affresco di Bassano del Grappa e il busto di Barletta in cui il volto è solcato da qualche ruga. 110 Il Prandi (Vedi, A. PRANDI, Un documento d’arte federiciana, pp. 265-302) mi sembra che insista troppo sulla ricorrenza di certi tratti fisionomici nella serie di raffigurazioni di Federico. Senza niente togliere all’importanza del saggio, che prende in esame quasi tutte le raffigurazioni vere e presunte di Federico II, ritengo che non si possa affermare che l’imperatore si faceva raffigurare come era nella realtà quando si tenga presente la sistematica ricorrenza dei tratti giovanili del volto anche in raffigurazioni di età più matura. Per spiegare questa tendenza dobbiamo per forza di cose considerare la presenza di una buona dose di idealizzazione, anche se sicuramente unita al rispetto di alcuni tratti del volto che effettivamente sono ricorrenti. Penso soprattutto agli occhi vicini ed infossati e alle labbra strette e tumide. Secondo me non possiamo quindi parlare né di pura idealizzazione, né di sistematico rispetto della verità, ma di una commistione dei due elementi. Quindi dobbiamo ammettere che era effettivamente desiderio di Federico farsi raffigurare di aspetto un po’ più giovanile rispetto alla realtà.

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conclusione a cui era giunto il Willemsen e che il Prandi aveva cercato di smentire, secondo la quale Federico voleva essere così rappresentato per esaltare la sua eterna gioventù e la sua allegria, che con un volto giovane appunto ben si accordava111. Questa ostentata manifestazione di giovinezza è spiegabile anche come un tentativo di legarsi strettamente al puer divino di ascendenza virgiliana che “era stato recuperato dalla tradizione medievale e applicato alla figura di questo imperatore nell’espressione puer Apuliae come appellativo di colui che avrebbe donato al mondo una nuova età dell’oro”112. Inoltre proprio nell’adolescenza Federico aveva visto realizzarsi la propria ascesa fino al suo incarnarsi nell’ “augusta natura dei Cesari”113. Possiamo notare infine che il ritrarre il sovrano con tratti del volto giovanili, peculiarità già presente nel passato, si diffuse sopratutto in Francia durante il regno di Luigi IX, contemporaneo di Federico II, e si canonizzò nel corso del Duecento sia nella galleria dei ritratti funerari dei re di Francia che lo stesso sovrano fece allestire nel transetto di Saint-Denis, sia in alcuni ritratti ufficiali di Carlo d’Angiò114. Si diffonde quindi la tendenza a connettere la dignità regale con la giovane età. Sulle motivazioni che hanno portato ad un tal tipo di ritratto posso fare due considerazioni. Già Plutarco in un precetto dal titolo Se un vecchio debba occuparsi di politica aveva affermato che “a un re quando è vecchio è tempo dunque di consigliare di deporre il diadema e la porpora, di prendere mantello e bastone e vivere in campagna, perché non pensi di fare cose eccessive e fuori stagione regnando con i capelli bianchi”115. Inoltre ritengo che la giovinezza del sovrano esalti la sua astrazione dal tempo. Il suo essere sempre uguale negli anni lo slega dal tempo e dal mondo terreno che è continuo movimento e cambiamento, legandolo all’immobilità dell’eterno e quindi a Dio. Il re trionfa sullo scorrere ineluttabile del tempo. Da ciò deriva un altro aspetto che ricorre soprattutto nelle descrizioni che del sovrano si trovano nelle fonti scritte, ovvero la

111 Tale conclusione è citata dallo stesso Prandi (Vedi ivi, pp. 280-281). 112 L. QUARTINO, Un busto genovese di Federico II, p. 295. 113 Ibidem. 114 L. SPECIALE, Federico II e il suo doppio, p. 806. 115 La citazione dai Moralia di Plutarco è in B. VIRGILIO, Lancia, diadema e porpora, p. 76.

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serenitas e la iucunditas. Penso che già il Kantorowicz pensava ad una relazione tra questi elementi quando scriveva che di Federico “l’immagine migliore resta quella del puer Apuliae che egli conservò sempre: «serena la fronte, più serena ancora la chiarezza dell’occhio».”116. Se il raffigurarsi senza barba sottolinea la giovinezza del sovrano e se un volto giovane meglio incarna l’idea di gioia e serenità è in queste due caratteristiche che dobbiamo ricercare le motivazioni che hanno spinto il sovrano a farsi raffigurare così. La giovialità è attributo di Giove, quindi attributo divino. Un volto che esprime tale stato d’animo sottolinea la vicinanza e la familiarità con il dio. Il volto sereno e gioioso fa del sovrano un essere divino. A tal proposito penso che siano opportune alcune considerazioni sul ‘gisant’ (cioè una statua del defunto giacente) eseguito da Arnolfo di Cambio per il sepolcro di Bonifacio VIII, nelle Grotte Vaticane nella Basilica di San Pietro a Roma (fig. 31). Qui il viso del papa, che morì nel 1303 alla, per l’epoca, longeva età di sessantotto anni, non mostra alcun segno dello scorrere del tempo, né il minimo inclinare verso elementi fisionomici che possano esprimere vecchiaia, stanchezza, deperimento, paura della morte. “La sua calma classica è serenità che vince la morte” e “prefigura l’immortalità” secondo l’interpretazione del Paravicini Bagliani117. Qui si esalta la concezione di un papa che dopo aver trionfato su qualsiasi potere del mondo vince anche sulla morte. Anche se l’esempio è posteriore all’esistenza di Federico penso che metta bene in evidenza come la serenità del volto riesca a sintetizzare il concetto di potere assoluto e sia il migliore esempio di personificazione del concetto di Maestà. Il sovrano è eternamente vincente, non conosce sconfitta e per questo è costantemente gioioso. Una tale interpretazione sembra del tutto conciliabile con l’ideologia politica di Federico II che non a caso in apertura del Liber augustalis si definì, tra le altre cose, “felix victor ac triumphator”118. Appaiono a questo punto chiare le implicazioni ideologiche alla base di un tale modello iconografico che si stava affermando nelle rappresentazioni dei sovrani del XIII secolo. 116 E. KANTOROWICZ, Federico II imperatore, p. 327. 117 A. PARAVICINI BAGLIANI, Le Chiavi e la Tiara, p. 93. 118 Constitutiones regum regni utriusque Siciliae mandante Friderico II, a cura di G. Carcani, p. 1. La citazione è riportata in E. KANTOROWICZ, Federico II imperatore, p. 208.

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Parte seconda

Il significato Analisi ideologica e politica delle immagini di Federico II

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II.1. Introduzione.

Voglio qui analizzare di nuovo le immagini di Federico II, ora partendo da un punto di vista non iconografico, ma funzionale. Cercherò cioè di spiegare quali motivazioni politiche e propagandistiche stanno alla base di certe tipologie di raffigurazione, di certi abiti indossati, o di alcuni oggetti o atteggiamenti ricorrenti. Punto di partenza adesso non saranno le singole raffigurazioni ma le motivazioni politiche che di volta in volta portarono alla loro composizione. Prima di tutto sarà necessario enunciare brevemente i punti base dell’ideologia federiciana che la storiografia moderna ha evidenziato. La prima opera dedicata all’argomento fu la completa ed affascinante biografia di Federico II scritta da Ernst Kantorowicz nel 19271. Qui si riassumono accuratamente i fatti salienti della vita dell’imperatore svevo esponendoli in una prosa avvincente. Inoltre si dedica particolare attenzione agli aspetti dell’ideologia politica identificandone i principali. L’opera intende celebrare in Federico un sovrano illuminato e un precursore dell’uomo rinascimentale che governa secondo machiavellici piani solo in funzione della ragion di stato. Nella sua concezione della monarchia, che si indirizzava alla separazione completa dalla chiesa, è vista una forte influenza aristotelica. Kantorowicz sottolinea il valore messianico e profetico della figura di Federico, legata ad un secolo nel quale si erano sviluppate le speranze di rinnovamento della società e della chiesa profetizzate da Gioacchino da Fiore. Pur se spesso incline alle suggestioni e al mito che l’enigmatica figura dello Svevo produsse da

1 E. KANTOROWICZ, Federico II imperatore.

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subito intorno a sé, quest’opera riesce a mettere in campo tutti gli aspetti e le caratteristiche principali che caratterizzarono l’esistenza di Federico II2. Nello stesso anno uscì una monografia dedicata interamente all’ideologia politica di Federico opera del De Stefano3. Qui ci si concentra sulla concezione federiciana della funzione dello stato e della figura dell’imperatore, rilevando l’influenza del pensiero aristotelico e tomistico. Ancora una volta si identifica il concetto cardine dello stato di Federico nella giustizia e nel diritto, mentre nel regno normanno e bizantino si ricercano le fonti del suo agire politico accennando anche alle influenze ricevute dagli Ottoni e dal Barbarossa. Però a differenza del Kantorowicz il Federico del De Stefano è meno aggressivo e sopraffattore nei confronti dei diritti della Chiesa. Per esempio l’imperatore, che secondo l’interpretazione dello storico di Poznań fu laico, scettico, flagello della chiesa e maglio del mondo, per il De Stefano non prese nessuna iniziativa antiecclesiastica e fu da sempre moralmente subordinato al papato pur opponendosi alla sua crescente ingerenza in campo temporale. In generale l’analisi è compiuta in maniera più misurata senza eccessiva enfasi su certi aspetti leggendari dell’imperatore. Lo stesso Kantorowicz tornò ad analizzare il concetto basilare dell’ideologia imperiale di Federico II, ovvero la giustizia, in un capitolo della sua opera dedicata alla sacralità della monarchia4. La giustizia è il fondamento dello stato e il sovrano, in quanto padre e figlio di questa, rappresenta la lex animata in terris. All’interno del regno la giustizia esige un vero e proprio culto che si esplica tramite i suoi ministri che divengono, quasi come sacerdoti, i custodi di una sorta di teologia di stato.

2 Il lavoro di Kantorowicz ha spesso suscitato l’interesse degli storici successivi. Questi hanno sovente criticato le troppe suggestioni del patriottismo tedesco e il carattere più letterario che storico, cioè più incline all’immaginario che alla vita reale di Federico, presenti in quest’opera (Vedi D. ABULAFIA, Kantorowicz and Frederick II, pp. 193-210). Ultimamente però sembra che lo studio del Kantorowicz sia stato rivalutato e la sua importanza per la comprensione della figura storica dell’imperatore svevo rivalutata (Vedi R. DELLE DONNE, Kantorowicz e la sua opera su Federico II nella ricerca moderna, pp. 67-86). Da parte mia ricorro spesso a questo scritto perché caratterizzato da una quantità superiore di particolari e di dettagli sulla vita di Federico rispetto a quelli di altri storici. 3 A. DE STEFANO, L’ideologia imperiale di Federico II. 4 E. KANTOROWICZ, I due corpi del re.

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La seconda importante biografia di Federico II è quella compiuta da Abulafia5. Il sottotitolo del libro, che suona così: “Un imperatore medievale”, istruisce sulla revisione che la storiografia degli ultimi anni ha eseguito nei confronti dello Stupor mundi. Lo storico inglese abbandona il tono enfatico di Kantorowicz e fa di Federico non un uomo rinascimentale arbitro del proprio destino, uno statista deciso e sicuro che lucidamente opera per conseguire i propri obiettivi, ma un tipico prodotto medievale ancora strettamente legato a quel mondo e vittima della politica papale. Abulafia sfata tutti i miti che volevano Federico un colto razionalista, uno scettico in materia di fede, un amante della civiltà araba e di tutte le forme di cultura. Dal punto di vista ideologico, pur confermando i punti cardine quali il concetto di giustizia, la derivazione del potere imperiale da Dio ed il legame con la tradizione normanna e romana, Abulafia insite molto sull’eredità dinastica come vero obiettivo delle scelte politiche di Federico. Inoltre sottolinea come la sua concezione dello stato risente più dell’insegnamento agostiniano e del diritto canonico che della filosofia aristotelica e che, come aveva affermato il De Stefano, il suo rapporto con la Chiesa è meno aggressivo ed ostile di quanto si fosse pensato. Anche la teoria che vedeva nel regno di Sicilia una struttura organizzativa ed amministrativa fortemente razionale ne risulta compromessa. Nel complesso Federico II ne esce fortemente ridimensionato. Sulla scia di questa tendenza si inserisce anche il saggio del Colliva edito nel 19876 che cerca di interpretare alla luce di nuove riflessioni la struttura statale creata da Federico II nel sud Italia. Il contributo prende le mosse dall’opera di Jacob Burckhardt uscita nel 1860 Die Kultur der Renaissance in Italien che considerava l’amministrazione del regno di Sicilia da parte di Federico II come il frutto del calcolo razionale di un principe illuminato, una vera e propria opera d’arte. Colliva pone l’accento per prima cosa sul legame che il Liber augustalis aveva con la tradizione precedente, cioè con le leggi normanne e il diritto canonico, naturale e divino. In secondo luogo fa notare come le leggi riguardanti questo regno fossero pragmatiche, indirizzate dalla realtà dei fatti e dalle necessità di volta in volta considerate più impellenti. Così arriva a concludere che lo stato di

5 D. ABULAFIA, Federico II. 6 P. COLLIVA, Lo stato di Federico II.

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Federico non poteva essere un’opera perfetta e compiuta, ispirata da astratte teorie e riflessioni logiche ma il prodotto della tradizione medievale e delle necessità immediate. Breve ma denso di significato e fondamentale per una sintesi dell’ideologia politica federiciana è il saggio di Landau apparso tra la quantità di studi che nel 1994 celebrarono l’ottavo centenario della nascita di Federico II7. Qui si fa il punto delle precedenti interpretazioni che della politica dell’imperatore erano state date. Particolare importanza si dà a quella del Kantorowicz presentando però anche le principali obiezioni che gli sono state mosse e le linee di sviluppo della storiografia più recente. In particolare si sottolinea la lontananza dell’imperatore dalla dottrina dello stato aristotelica e per contro il legame con la tradizione staufica. Così, per esempio, all’origine del Liber augustalis si pone la tradizione filosofica medievale del XII secolo, l’esegesi della Bibbia, il pensiero agostiniano e il diritto canonico. Landau in particolare sottolinea nella politica di Federico quei punti che abbiamo già visto emergere all’interno della ricerca storica: il legame con il diritto romano; il tentativo di affermare la successione dinastia della famiglia staufica all’interno dell’impero; l’origine divina dell’impero; il conflitto con la Chiesa, che però non comporta la formazione di uno stato laico in senso moderno; e l’interpretazione messianica del ruolo dell’imperatore. Infine si sottolineano le radici ellenistiche e bizantine della sacralità del suo potere imperiale. Nel complesso il contributo è utile come primo approccio indirizzato alla ricerca dell’ideologia politica federiciana. Infine ho trovato molto interessante uno scritto del Cardini su Castel del Monte edito nel 20008. La più affascinante ed enigmatica fatica architettonica dell’imperatore è in realtà solo il punto di partenza per un rapido ma esaltante excursus sulla figura del sovrano. Si toccano i fatti principali della sua vita, il suo modo di organizzare e governare lo stato, le dottrine filosofiche e giuridiche alla base della sua concezione del ruolo dell’impero e del suo rapporto con il papato. Sono grosso modo le stesse considerazioni già messe in evidenza con l’aggiunta però di una maggiore attenzione al legame tra la politica di Federico e quella del nonno Barbarossa. Cardini insiste molto sul

7 P. LANDAU, Federico II e la sacralità del potere sovrano. 8 F. CARDINI, Castel del Monte.

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concetto di sacralità dell’impero mutuata da Federico senza dubbio dall’impero bizantino, ma anche dalla tradizione romano-germanica ed islamica. Se da un lato si continua la più moderna linea interpretativa dell’ideologia politica federiciana, dall’altra si ricolloca Federico nella sua giusta posizione dopo essere stato forse eccessivamente desacralizzato nell’opera dell’Abulafia. In conclusione volendo riepilogare i principali elementi della politica di Federico II che ci serviranno come riferimento nell’analisi funzionale delle sue raffigurazioni possiamo rifarci al seguente schema:

1) Il legame con le precedenti tradizioni, vale a dire il grado di eredità delle ideologie regie bizantina, normanna, ottoniana, sveva e romana.

2) I principi di governo. Cioè la formazione di uno stato accentrato, il consolidamento del principio dinastico e la difesa dell’autorità imperiale contro quella crescente del papato.

3) I principi ideologici. Cioè il ruolo che deve essere svolto dall’impero e dall’imperatore, le loro funzioni e le loro finalità all’interno del mondo medievale.

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II.2. L’apporto della tradizione.

La tradizione bizantina e normanna. Federico II in quanto figlio di Costanza d’Altavilla era discendente dei normanni e quindi erede al trono di Sicilia. A causa della situazione politica che si venne a creare dopo la prematura scomparsa dei genitori Federico dovette abbandonare ogni velleità sul titolo imperiale ed accontentarsi solamente di questo regno. Dal 1198 al 1211, anno in cui fu eletto re di Germania e poté rivendicare per sé il titolo imperiale, Federico fu sovrano della Sicilia, del ducato di Puglia e del principato di Capua. Inoltre abbiamo visto come la storiografia contemporanea abbia evidenziato il legame che l’ideologia politica di Federico II ebbe con la tradizione normanna e bizantina. Se però guardiamo ad alcuni esempi di raffigurazioni prodotte in ambito normanno e bizantino ci rendiamo conto che di questa tradizione iconografica nelle raffigurazioni di Federico II c’è ben poco. Cerchiamo di analizzare quali sono gli aspetti più caratteristici ed il loro significato1. Nelle loro raffigurazioni gli imperatori bizantini indossano abiti, che saranno ripresi in seguito dai re normanni di Sicilia, che sono diversi da quelli che appaiono nelle immagini di Federico II. Inoltre sulle loro teste spicca sempre un’aureola come simbolo del potere imperiale, che è considerato perpetuo e quindi

1 Per quanto riguarda l’analisi che qui di seguito esporrò sulle caratteristiche iconografiche all’interno dell’impero bizantino in gran parte mi rifaccio alla datata, ma fondamentale opera di Grabar (Vedi A. GRABAR, L’empereur dans l’art byzantin). Qui sono presenti anche una buona quantità di immagini che ho potuto così visionare.

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venerabile e santo2 e i loro volti sono spesso barbuti. Questi due elementi non compaiono mai invece nelle raffigurazioni del nostro sovrano. Balza agli occhi che i sovrani d’Oriente sono quasi sempre raffigurati in piedi e non in trono. Questa tendenza si afferma dal IX secolo quando il sovrano è rappresentato al fianco di Cristo o dei santi e diviene quindi irrispettoso verso tali entità celesti il presentarsi seduto in trono. Tramite queste raffigurazioni (per un esempio vedi fig. 32, 33 e 34) l’imperatore esprimeva ad un tempo la sua condizione privilegiata di unico essere umano vicino al Pantocratore e dimostrava il suo rispetto e la sua devozione a Dio al quale doveva il suo regno3. Abbiamo invece notato come Federico II sia sempre seduto in trono e che non sia mai circondato da esseri divini come santi, angeli, oppure Cristo o la Madonna. Non troviamo Federico II neppure raffigurato a capo di un concilio di carattere religioso, raffigurazione comune nell’impero bizantino visto che all’imperatore spettava la direzione degli affari della Chiesa, né rivolto in preghiera verso Cristo o Dio. Se nell’iconografia federiciana non sono presenti scene di carattere religioso, mancano anche quelle che enfatizzano il ruolo militare del sovrano. Al contrario in Bisanzio possiamo trovare l’imperatore che veste abiti militari o che celebra il trionfo. L’iconografia bizantina è solita presentare il sovrano celebrante il trionfo sulle popolazioni barbariche sottomesse e che gli offrono doni, ma per quanto riguarda l’affresco dell’omaggio dei popoli della terra a Federico II che troviamo nella torre abbaziale di San Zeno a Verona, non si basa su un modello bizantino ma come abbiamo già rilevato su miniature di età ottoniana. Un elemento ricorrente dell’iconografia bizantina è la presenza di Cristo che incorona l’imperatore o lo benedice (vedi fig. 33 e 34). Così si esprime il concetto che il potere discende da Dio tramite Cristo che funge da suo vicario. Quindi il sovrano riceve, tramite questa investitura divina, protezione ed ispirazione nel governare oltre che facoltà morali come la clemenza e la giustizia. Quando è un angelo a porre la corona sulla testa del sovrano persiste anche un ricordo dell’iconografia del trionfo militare dell’età tardo-antica e di conseguenza si lega più al concetto di vittoria che di potenza. Ciò che queste immagini vogliono esprimere è che l’imperatore incarna

2 E. KANTOROWICZ, I due corpi del re, pp. 70-71. 3 A. GRABAR, L’empereur dans l’art byzantin, pp. 19 e 24-26.

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l’immagine di Cristo sulla terra e il suo potere ha un’essenza divina. Questa legittimazione del potere sostituisce quella che si basa sulla proclamazione da parte dei soldati o del popolo e prende le distanze anche dall’incoronazione avvenuta tramite il patriarca4. Anche questo tema iconografico è completamente assente nelle immagini di Federico. Infine troviamo nel mondo bizantino dei ritratti dell’imperatore affiancato da membri della sua famiglia. Questa usanza fu inaugurata nel periodo della tetrarchia per esprimere l’idea del regno simultaneo di due o tre sovrani, mentre dal VI secolo tale tipo di ritratto tende a sottolineare il tentativo di formazione di una dinastia regnante5. Sappiamo che anche Federico fu sensibile a questo argomento e vedremo come si fece raffigurare insieme ai suoi predecessori sia di linea normanna che sveva, ma in questi esempi, dei quali ci resta peraltro pochissimo, la tradizione bizantina può essere ridotta ad una sola suggestione tematica e tutto sembra rimandare più alla consuetudine iconografica occidentale che orientale6. Tramite queste tipologie di raffigurazione si esprimono i concetti base dell’ideologia politica bizantina. “L’imperatore cristiano sta, solo e senza opposizione, al vertice dell’ordine gerarchico, per rappresentare sulla terra la potenza di Dio e l’ordine del cosmo”7. In Oriente non si sviluppa una teoria delle due spade come in Occidente perché l’imperatore è il capo indiscusso della società, e in quanto tale oltre che detentore di ogni potere laico, garantisce anche la disciplina ecclesiastica e l’ortodossia religiosa, convoca e guida i concili ecumenici ed influisce sull’assegnazione dei seggi vescovili e patriarcali. L’imperatore è secondo la concezione espressa da Eusebio di Cesarea immagine e imitazione di Dio. Il patriarca pur essendo il massimo potere religioso resta sempre uno scalino sotto l’imperatore. Per questo egli non ha alcun ruolo istituzionale nell’incoronazione, perché l’imperatore riceve la corona direttamente da Dio in quanto suo amico, suo favorito e puro difensore della fede e della chiesa cristiana. Tramite tale elevazione l’imperatore si colloca su un piano intermedio tra la divinità e gli uomini, venendo così sottolineata la natura divina e

4 Su questi concetti vedi Ivi, pp. 98-105 e 112-120. 5 Su questo argomento vedi Ivi, pp. 27-28. 6 L’unico esempio che ci resta di immagini che possono esprimere questo concetto è la statuetta dello scrigno-reliquiario di Carlo Magno ad Aquisgrana. 7 D. MERTENS, Il pensiero politico medievale, p. 10.

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sacra dell’impero. L’unico compito che la chiesa ha è quello di constatare che l’imperatore sia effettivamente puro e libero dal peccato tanto da meritare l’incoronazione divina. Per affermare questa sua qualità il sovrano si fa raffigurare in atteggiamenti pii, mentre prega o mentre, con aria remissiva, sta di fronte a Cristo. In generale l’imperatore non conosce autorità terrena superiore alla sua e nel farsi incoronare da Dio celebra questo suo immenso potere. Infine per trasmettere con maggiore sicurezza il potere di padre in figlio il sovrano cerca di legare la propria autorità alla discendenza dinastica. Per fare ciò sottolinea il legame tra potere politico concesso da Dio e propria dinastia associando il proprio figlio al trono8. Non aderendo allo stesso tipo di raffigurazioni possiamo ipotizzare che l’applicazione di questi principi politici ed ideologici non fosse possibile o non avesse importanza rilevante per Federico II. Al contrario, tali teorie politiche che sono alla base delle raffigurazioni degli imperatori bizantini le ritroviamo anche nella monarchia normanna del sud Italia. Prendiamo ad esempio il mosaico della Martorana a Palermo nel quale Ruggero II è incoronato da Cristo (fig. 35)9, o quello della Cattedrale di Monreale nel quale ad essere incoronato è Guglielmo II (fig. 36)10. Qui si sente con forza tutto il peso della tradizione iconografica bizantina. Infatti il re è in entrambi i casi in piedi come nelle immagini degli imperatori d’Oriente che abbiamo precedentemente analizzato, veste abiti e corona di foggia bizantina e ha di fronte Cristo che lo incorona. Anche in questi casi le motivazioni sono chiare, i re normanni che ufficialmente sono vassalli del papa facendosi incoronare da Cristo non riconoscono la tutela di alcun potere terreno, ma legano il loro regno direttamente al volere di Dio. “La virtù dell’Altissimo li ha elevati e incoronati col diadema”11 così che il re si pone come vertice della società e quindi, alla maniera bizantina, detiene poteri sia in ambito laico che religioso. Nel secondo

8 Tornerò in seguito a parlare dell’ideologia politica bizantina. A lì rimando per le relative informazioni bibliografiche. 9 Per l’analisi di questo mosaico soprattutto vedi Kitzinger (E. KITZINGER, On the Portrait of Roger II in the Martorana in Palermo, pp. 30-35) e Tronzo (W. TRONZO, The Cultures of His Kingdom, p. 118, pp. 140-141 e pp. 147-150). 10 Per l’analisi di questo mosaico soprattutto vedi Delogu (P. DELOGU, Idee sulla regalità: l’eredità normanna, pp. 202-204). 11 Ivi, p. 209.

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caso si arriva anche a manifestare la glorificazione celeste del re tramite la legenda “manus enim mea auxiliabitur ei” che esprime la continua presenza di Cristo negli atti del re12. Ci sono comunque anche motivazioni più pratiche alla base del recupero degli schemi iconografici bizantini. Alcuni territori del sud Italia conquistati dai normanni facevano precedentemente parte dell’impero bizantino, quindi tal modo di presentarsi dei conquistatori può apparire come un escamotage atto a suscitare un’illusione di continuità istituzionale. Inoltre sappiamo che i normanni aspirarono con una certa insistenza al controllo del Mediterraneo orientale e alla conquista della stessa Costantinopoli e perciò, anche se alcune circostanze sfavorevoli ridimensionarono i loro propositi, tesero sempre a presentarsi nelle vesti del basileus, come se fossero detentori di un potere analogo a quello imperiale13. Nel mosaico della Martorana Kitzinger ha evidenziato un elemento che si rifà non alla tradizione iconografica bizantina ma a quella ottoniana14 e che ci conferma ulteriormente sia la discendenza divina del regno di Sicilia che la plenitudo potestatis del suo sovrano. Ruggero II oltre che essere incoronato da Cristo, derivando così solo da Dio il suo potere, ha delle caratteristiche fisionomiche che lo rendono molto simile se non identico al figlio di Dio. Non solo quindi, per usare le parole del Cantarella, “la realtà superna e quella terrena si guardano e si comprendono, sono l’una negli occhi dell’altra” ma addirittura “il re di Sicilia è Cristo, Cristo è il re di Sicilia”15. Il sovrano normanno è in ultima analisi un typus Christi. Mai nessun artista bizantino aveva osato tanto, per cercare il modello di tale

12 Ivi, p. 204. 13 Su queste intenzioni politiche in particolare ci informano Delogu (Vedi Ivi pp. 195) e Lipinski (Vedi A. LIPINSKI, Le insegne regali dei sovrani di Sicilia, p. 168). Mentre Tronzo si discosta da questo genere di interpretazione (Vedi W. TRONZO, The Cultures of His Kingdom, p. 141). In generale per quanto riguarda la politica normanna ho tratto importanti informazioni oltre che dai già citati saggi di Delogu e Lipinski, dall’Abulafia (Vedi D. ABULAFIA, Federico II, pp. 5-49), Cardini (Vedi F. CARDINI, Castel del Monte, pp. 43-44) e Stürner (Vedi W. STÜRNER, Federico II, pp. 19-33). 14 E. KITZINGER, On the Portrait of Roger II in the Martorana in Palermo, pp. 31-32. 15 G.M. CANTARELLA, Principi e corti, p. 24. La volontà cristomimetica di questo mosaico è espressa anche da Tronzo (Vedi W. TRONZO, The Cultures of His Kingdom, pp. 147-150).

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raffigurazione dobbiamo guardare al “German imperial imagery of the Ottonian period”16 infatti, come vedremo tra poco, alcune immagini di imperatori di questo periodo imitano gli schemi iconografici relativi a Cristo, in modo che il carattere sacro del sovrano ne usciva ulteriormente potenziato. Quindi anche nell’iconografia normanna che a prima vista si basa fedelmente sulla tradizione bizantina troviamo elementi estranei che provengono dal mondo Occidentale. Questo è ancora più evidente nel caso del sigillo di Guglielmo II o nel capitello della Cattedrale di Monreale raffigurante lo stesso re che offre la Basilica alla Vergine (fig. 37). Nel primo l’esaltazione della maestà regia è accentuata dall’adozione della posizione in trono del sovrano che deriva dai sigilli diffusi in Occidente dalla metà dell’XI secolo mentre nel suddetto capitello addirittura il re non indossa più neppure il costume bizantino e anche la corona sembra del tipo Occidentale17. Nelle raffigurazioni normanne vediamo quindi congiungersi due tradizioni diverse pur rimanendo preponderante dal punto di vista iconografico ed ideologico quella bizantina. Se torniamo alle immagini di Federico II noteremo, invece, che in realtà non sopravvive praticamente nessuno degli elementi che abbiamo messo in luce nel descrivere le immagini prodotte in questi due ambiti. Fanno, se pur di poco, eccezione solamente il sigillo prodotto durante i primi anni di regno e le due monete del 1225. La figura del sovrano che troviamo nel sigillo abbiamo visto che si rifà, negli abiti e nei simboli di potere, alla tradizione normanna. Questo è ovvio visto che Federico II era erede diretto della stirpe normanna degli Altavilla e come re di Sicilia si presentava nella maniera in cui abitualmente erano stati raffigurati i suoi predecessori. Se però consideriamo che il modello su cui si basa questo sigillo è quello di Guglielmo II, cioè quello che maggiormente era entrato in contatto con la tradizione dei regnanti tedeschi e con i loro schemi iconografici, ci rendiamo conto che anche in questo caso la tradizione normanna risulta ridimensionata. Quindi anche negli anni in cui Federico era solamente

16 E. KITZINGER, On the Portrait of Roger II in the Martorana in Palermo, p. 32. 17 Per l’analisi su queste immagini vedi, P. DELOGU, Idee sulla regalità: l’eredità normanna, pp. 204-207. L’influenza occidentale e in particolare germanica nei prodotti artistici eseguiti all’interno della Cappella Palatina durante i regni di Guglielmo I e Guglielmo II sono stai individuati anche da Tronzo (Vedi W. TRONZO, The Cultures of His Kingdom, p. 129 e p. 131).

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il re di Sicilia e il legame con la tradizione normanna era doveroso se non addirittura scontato tale relazione dal punto di vista iconografico risulta essere piuttosto debole. Nei due denari del 1225 abbiamo notato una corona che sembra rifarsi alla tradizione normanna. In quegli anni Federico era già stato incoronato imperatore a Roma come risulta anche dalla scritta della legenda. Ma allora come spiegare la corona normanna e il titolo di re di Gerusalemme? Federico proprio nel 1225 sposò Isabella di Brienne, figlia del re di Gerusalemme, e quindi adottò da subito questo titolo anche se poté essere incoronato come tale solo a seguito della crociata del 1228-1229. Per quanto concerne la corona dobbiamo considerare che Federico II mantenne il regno di Sicilia come possedimento personale disgiunto dai territori dell’impero a causa dell’opposizione del papato che considerava quel territorio come un proprio feudo, paventando di essere stretto da nord e da sud nella morsa imperiale. Essendo re di Sicilia Federico si presentò su questa moneta che aveva corso proprio nell’Italia meridionale con i simboli del potere tipici della tradizione normanna. Così sottolineava la continuità con la dinastia precedente e la divisione del titolo imperiale da quello regio. Inoltre consideriamo che se con tale emissione si fosse voluto sottolineare l’acquisizione del regno di Gerusalemme era forse più appropriato utilizzare una corona di stampo orientale rispetto ai modelli in voga nell’Occidente. Ecco così che una tale corona poteva rispondere convenientemente ad una doppia finalità. Tutto ciò detto, se possiamo concludere che dal punto di vista iconografico e funzionale c’è una totale assenza della tradizione bizantina e normanna nelle immagini di Federico II, viene da chiedersi se sia giusta la teoria che vuole il nostro sovrano fortemente legato all’ideologia politica di questi due regni. La tradizione ottoniana e sveva. Abbiamo evidenziato come un altro punto messo in luce dalla storiografia contemporanea nello studio dell’ideologia politica di Federico II sia il legame con la tradizione imperiale ottoniana e sveva. Nel 1211 Federico è eletto re di Germania, da quel momento può rivendicare di diritto l’incoronazione imperiale, evento che avviene ad Aquisgrana nel 1215 e a Roma nel 1220. Così il re di Sicilia Federico,

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che aggiunge al suo nome il numerale ordinale II per distinguersi dal nonno Federico Barbarossa, diviene imperatore e lega la sua persona alla tradizione imperiale del Sacro Romano Impero germanico. Già dallo stesso 1211 sotto l’aspetto iconografico le sue immagini si collegano a quelle degli imperatori germanici che l’hanno preceduto e dunque è nostro compito prendere in esame alcune raffigurazioni di sovrani di queste due dinastie ed esaminare gli elementi che hanno in comune e quelli che invece differiscono. Nelle immagini dei sovrani sassoni si ritrovano elementi già presenti nell’iconografia bizantina misti a quelli tipici degli imperatori del Sacro Romano Impero. L’ideologia politica bizantina ben si sposava alla situazione politica degli Ottoni. Anzi, per certi versi questi imperatori, seguendo la strada intrapresa dai bizantini, si spinsero molto più in là nella consacrazione della loro autorità18. Gli elementi iconografici bizantini inoltre si affermarono all’interno dell’impero ottoniano grazie al matrimonio di Ottone II con la principessa bizantina Teofano avvenuto nel 972 e la politica di loro figlio Ottone III. Dunque, per esempio, nell’incisione conservata al Musée National du Moyen Age a Parigi è rappresentato Cristo che in posizione eretta sovrasta Ottone II e la moglie Teofano – anche loro in posizione eretta e con abiti di foggia bizantina – segnandoli con le mani sulla testa. L’immagine è molto simile a quella di ambito bizantino che abbiamo precedentemente visto (fig. 34). In altri casi possiamo trovare Ottone III ed Enrico II incoronati rispettivamente dalla mano di Dio e da Cristo (vedi fig. 38 e 39), tema classico della tradizione bizantina. Anche in Occidente durante l’alto Medioevo il re è, come nella teologia imperiale bizantina, l’immagine e il rappresentante di Dio nel mondo partecipando della sua potenza e della sua sacralità. Infatti è noto come con Ottone I si intensifichi la sacralizzazione della regalità e la consacrazione del re tenda ad avvicinarsi il più possibile all’ordinazione del vescovo. L’imperatore risulta sempre più separato dai laici, egli è un rex et sacerdos. In conseguenza dell’unzione e del rito della consacrazione il sovrano riceve la virtù della grazia divina, diviene il preferito di Dio, tanto che quello che fa non lo fa lui ma Dio. In un tale contesto l’incoronazione dell’imperatore da parte del papa ha solamente un valore simbolico, in

18 Per un rapido riassunto dell’ideologia politica ottoniana e la relativa bibliografia rimando all’ultimo capitolo.

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realtà il sovrano è a Deo coronatus. “El acceso al trono imperial es la consecuencia de un juicio divino”19. Ma gli imperatori sassoni andarono ancora oltre arrivando a fare del sovrano un christomimētēs. Nella figura 38 vediamo il sovrano in trono come è tipico dell’iconografia occidentale, ma questo non è un semplice trono. L’intera figura dell’imperatore è circondata da una aureola a forma di mandorla ed è accompagnata dai simboli dei quattro evangelisti. Questi elementi accompagnano nella tradizione iconografica cristiana un avvenimento preciso: il Cristo trionfante che celebra la sua vittoria sulla morte. L’imperatore si identifica con il Cristo in Maestà, appare “non solo come vicarius Christi e antitipo umano del celeste sovrano universale, ma quasi fosse egli stesso il Re di Gloria”20. Il sovrano in virtù della grazia divina diviene Dio e Cristo e “qualsiasi cosa che egli compia, non la compie semplicemente come uomo, ma come colui che per grazia è divenuto Dio e Cristo”21. Parafrasando la citazione del Cantarella poc’anzi riportata a riguardo del mosaico della Martorana a Palermo possiamo dire che: “l’imperatore è Cristo, Cristo è l’imperatore”. Un altro tentativo di innalzare la figura del sovrano verso la santità divina e di legare il suo operato direttamente al volere divino è espresso dall’immagine della figura 39. Qui per sottolineare la santità di Enrico II si pongono ai suoi lati due angeli e due santi che lo aiutano ad innalzare la spada e lo scettro, tanto lungo da sembrare piuttosto un pastorale vescovile. Anche in questo caso si sottolinea come il sovrano in realtà non governa secondo i propri fini, ma secondo quelli di Dio e in ciò è aiutato dai santi e dagli angeli, cioè da creature divine. La grazia di Dio discende costantemente ad illuminarlo sul da farsi e ad istruirlo, così come viene espresso anche in un’altra miniatura che raffigura lo stesso imperatore Enrico II (fig. 40). Qui il sovrano nelle vesti del giudice riceve sotto forma di colomba lo Spirito Santo che ispirerà la sua volontà a giudicare secondo il desiderio di Dio. Il sovrano è circondato dalle virtù che lo devono guidare nel giudizio (Iustitia, Pietas, Sapientia e Prudentia) e ha ai propri ordini Lex et Ius. È interessante notare che il sovrano nella sua attività di giudice non è guidato dalla scienza giuridica, cioè dalla

19 J.M. NIETO SORIA, El imperio medieval como poder pùblico, pp. 424. 20 E. KANTOROWICZ, I due corpi del re, p. 58. 21 Ivi, p. 44.

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legge e dai principi del diritto, ma da Dio. L’ideologia politica che esprime in questi termini la funzione del sovrano è ancora legata ad una concezione religiosa e fortemente teologica dello stato22. Tornando alla miniatura di Ottone III in gloria notiamo che contornano l’imperatore anche due re in atteggiamento di venerazione e sotto di lui due arcivescovi e due guerrieri che rappresentano i principi ecclesiastici e laici. In questa miniatura si rappresenta la concezione che dell’ordine gerarchico del mondo avevano gli Ottoni. L’imperatore è il vertice della società, tutti si devono sottomettere a lui, sia i laici che gli ecclesiastici23. Come nel mondo bizantino la società ha un solo vertice e questo vertice è l’imperatore, anche nell’Occidente ottoniano il potere papale non è ancora in grado di opporsi a questa concezione esaltata dell’autorità imperiale. L’imperatore si presenta sia come capo della Chiesa che dell’Impero. Le raffigurazioni degli imperatori sassoni sono caratterizzate da un altro gruppo di elementi di carattere militare di grande importanza legittimante, ovvero la spada, la lancia e lo scudo che erano presenti nelle monete e sui sigilli dei primi sovrani di Sassonia e di Franconia, come Corrado I, Enrico I e Ottone I. La spada e la lancia legittimano il ruolo del re in quanto secondo la tradizione germanica egli doveva essere il primo dei guerrieri. Ma la lancia per i re sassoni era anche una reliquia alla quale venivano attribuite virtù taumaturgiche capaci di condurre Ottone I alla vittoria contro gli ungari sul Lechfeld nel 95524. Lo stesso Ottone insistette molto sul fatto che la corona imperiale gli fosse stata offerta per l’acclamazione sul campo da parte dei suoi soldati in virtù di questa vittoria militare, non dalla volontà papale che non aveva alcun potere legittimante. Il suo successo era voluto da Dio e di conseguenza anche l’autorità imperiale che gli era stata donata grazie a questo era basata sulla volontà di Dio25. Il sovrano è tale quindi in virtù della sua forza fisica e della sua abilità militare, attributi che gli sono concessi direttamente da Dio. La spada, che per esempio vediamo ben impugnata da Enrico II e sorretta da un angelo nella figura 39, sarà utilizzata per governare dall’imperatore in

22 Per l’interpretazione di questa miniatura vedi, Ivi, pp. 98-99. 23 La mia analisi delle miniature riportate a figura 38 e 40 si basa su quella fatta da Kantorowicz (Vedi, Ivi, pp. 42-74 e pp. 96-99). 24 P.E. SCHRAMM, Lo stato post-carolingio e i suoi simboli del potere, p. 177. 25 R. FOLZ, L’idée d’émpire en Occident du V au XIV siècle, pp. 58-59.

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funzione sì della fede e della cristianità, ma sotto la guida e la volontà direttrice di Dio, non del papa. Concludiamo la rapida analisi delle raffigurazioni di età ottoniana con la miniatura contenuta nei Vangeli di Ottone III raffigurante l’imperatore mentre riceve l’omaggio dei popoli della terra (fig. 41). Qui il sovrano rappresentato di dimensioni maggiori rispetto agli altri personaggi è seduto in trono e fiancheggiato da quattro persone, due guerrieri e due vescovi che rappresentano rispettivamente le autorità laiche ed ecclesiastiche che rendono omaggio al sovrano. Ciò rientra nella funzione già precedentemente espressa di un imperatore vertice della società cristiana, capo dello Stato e della Chiesa e quindi detentore di tutti e due i poteri. Il nuovo concetto ideologico che questa miniatura apporta è dovuto alla presenza nella carta adiacente di quattro donne genuflesse personificanti le popolazioni italiana, gallica, germanica e slava. In altri esempi le Nazioni fiancheggiano a due a due il trono imperiale, oppure sono poste tutte nell’estremità in basso del foglio. Queste rappresentano simbolicamente le varie nazioni dell’impero che rendono omaggio all’imperatore. L’intento di questo tema iconografico, che troviamo durante il regno di tutti e tre gli Ottoni e che non risulta più presente con Enrico II, è quello di esaltare il concetto di autorità universale dell’imperatore. Questo immenso potere era stato in precedenza dell’imperatore romano, quindi l’idea di rinnovare l’antica autorità universale comportava la restaurazione dell’impero romano, la renovatio Imperii Romanorum alla quale si indirizza soprattutto Ottone III durante il suo regno. È assai significativo constatare che l’attenzione rivolta alle potenzialità politiche della renovatio lascia cadere in disuso uno dei temi iconografici di maggior successo, ovvero l’incoronazione imperiale ad opera di Cristo, o di Dio. Procedendo ad un paragone con le immagini di Federico II possiamo notare che vi sono degli elementi comuni, certo non molti ma sicuramente più abbondanti di quelli che abbiamo trovato analizzando la tradizione normanna. Come gli imperatori sassoni Federico è rappresentato in trono, con in mano lo scettro e il globo. Questa consuetudine iconografica fa parte della tradizione imperiale occidentale così come le sue corone sono assimilabili più a modelli occidentali che orientali. Anche gli abiti composti da alba, dalmatica, mantello e sandali indossati da Federico si rifanno ai vestimenti da alto sacerdote adottati da Ottone I durante la sua incoronazione a

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Roma (962). Da questo punto di vista possiamo dire che Federico si presenta nelle sue immagini come un imperatore del Sacro Romano Impero germanico, quello che in fin dei conti era. Infatti se guardiamo i suoi sigilli, o le miniature dei due sovrani in maestà del De arte venandi cum avibus o il cammeo di Praga troveremo l’imperatore nella stessa posizione frontale, ierocratica, mentre seduto in trono indossa gli stessi abiti e gli stessi simboli del potere. Vi sono però alcune differenziazioni, per esempio manca nell’iconografia federiciana qualsiasi attributo militare quale la lancia, la spada o lo scudo, non vi si ritrova la presenza di angeli o santi né di personificazioni delle virtù ed infine la sua testa non è mai circondata da un’aureola. Se poi guardiamo agli argomenti messi in scena all’interno delle miniature ottoniane la distanza diviene incolmabile. Abbiamo visto che gli Ottoni utilizzarono molti dei temi già presenti nell’iconografia bizantina e che sulla loro scia ne svilupparono altri, ma in realtà sia gli uni che gli altri non trovano il minimo posto all’interno delle immagini di Federico. Penso soprattutto all’investitura imperiale ad opera di Cristo o di Dio, ai vari tentativi di cristomimesi o all’ossequio dei poteri laici ed ecclesiastici nei confronti dell’imperatore. Unico tema federiciano che come abbiamo già osservato si rifà ad un argomento ottoniano è quello dell’omaggio dei popoli della terra presente, pur con alcune varianti, nell’affresco della torre abbaziale di San Zeno a Verona. Possiamo quindi concludere che l’unico argomento dell’ideologia degli Ottoni che sembra interessare veramente e viene riproposto da Federico è quello della renovatio. Spiegheremo in seguito l’intento ideologico che si nascondeva dietro a certe scelte. Prima dell’affermarsi della dinastia sveva si verifica un avvenimento di grande portata politica ed ideologica. Tra la metà dell’XI secolo e il 1122, anno del concordato di Worms, si scatena la lotta per le investiture. Più che lo scontro in sé tra papato e impero ci interessa ciò che comporta dal punto di vista ideologico la riforma del papato ad opera di Gregorio VII. Le sue idee espresse all’interno del Dictatus papae rivoluzionano la concezione del ruolo del papa e di quello dell’imperatore. In particolare viene avversata la supremazia imperiale sia in ambito laico che religioso arrivando a considerare il papa come il massimo potere della terra. Da allora il papa si arroga

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poteri e diritti specificamente politici, come l’autorità di deporre l’imperatore o di imporgli di servire militarmente per i propri fini26. Ciò che ne deriva è un aspro scontro tra questi due poteri ed un conseguente cambiamento radicale dei ruoli e delle funzioni da loro rivestiti all’interno della società. La figura dell’imperatore viene completamente ripensata cercando di legittimarne l’autorità tramite nuove teorie politiche che gli permettono di salvaguardare i propri diritti dalle sempre maggiori ingerenze papali. Dopo un lungo periodo di crisi dell’autorità temporale Federico I Barbarossa è il primo imperatore che riesce a trovare nuove fonti di legittimazione del potere imperiale cercando di svincolarlo dalle interferenze del papato divenute troppo opprimenti. Senza entrare in maniera specifica nel merito dell’azione politica del grande imperatore svevo - che influenzerà sia la pratica del governo che la tradizione iconografica del nipote Federico II e che quindi tratteremo tra poco - possiamo dire che principalmente i punti nei quali maggiormente ha insistito sono tre: la santificazione dell’impero e dell’imperatore tramite il diritto romano; di conseguenza il ristabilimento dell’antica autorità imperiale tramite uno stretto legame sia con gli antichi imperatori romani che con i predecessori franchi; e l’affermazione della successione dinastica al trono27. Penso che la miniatura di Federico Barbarossa con i figli Enrico e Federico (fig. 42) riassuma bene tali concezioni. L’imperatore si presenta nei consueti abiti che la tradizione ottoniana aveva designato come tipici dell’ufficio imperiale e come di consueto seduto in trono, ma con ai lati i propri figli. Tutti e tre sono collocati sotto tre snelle arcate sopra le quali una scritta chiarisce i loro ruoli. Federico è designato come imperatore, mentre i figli Enrico e Federico rispettivamente come re e duca. Questi hanno gli stessi abiti del padre e stanno vicini a lui come a sottolineare che sono pronti a prenderne il

26 Anche per una più dettagliata argomentazione su questo importantissimo avvenimento politico nonché per i relativi rimandi bibliografici rimando all’ultimo capitolo. 27 Per una rapida rassegna dei punti fondamentali della politica imperiale del Barbarossa principalmente ho tratto spunto dall’Abulafia (Vedi D. ABULAFIA, Federico II, pp. 50-62) e dallo Stürner (Vedi W. STÜRNER, Federico II, pp. 2-11). Per una disamina sulla politica degli Staufer in genere vedi R. FOLZ, L’idée d’empire en Occident du V au XIV siècle, pp. 111-126. Inoltre rimando, per una più completa analisi, al mio ultimo capitolo.

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posto al momento della sua morte. Ciò è confermato dall’attributo di re dato ad Enrico, infatti sappiamo che questi era stato nominato re dei Romani già nel 1169 e associato dal padre nel governo dell’impero dal 1184. Mi sembra che l’intento di affermare il principio della successione dinastica propugnato da Federico I sia con chiarezza ribadito da questa miniatura. Inoltre è da segnalare l’assenza di qualsiasi figura di carattere sacro o religioso, quasi che la santificazione dell’impero, che come abbiamo detto Federico si è impegnato a diffondere tramite il diritto romano, non abbisognasse più di alcun rimando esplicito all’ambito religioso. Se guardiamo alle immagini di Federico II notiamo subito alcune similitudini. Per esempio anche il nipote del Barbarossa insiste sul legame con i precedenti imperatori franchi ed ottoniani tramite la sua figura imposta sullo scrigno-reliquiario di Carlo Magno ad Aquisgrana. Così facendo si pone in relazione diretta con tutti i suoi predecessori lì riuniti intorno ai resti dell’illustre fondatore del Sacro Romano Impero. Anche un importante gesto simbolico sottolinea la volontà di Federico di legarsi ideologicamente alla politica dei sui predecessori svevi, in particolare del nonno Barbarossa. Due giorni dopo l’incoronazione ad Aquisgrana (1215) Federico fa adagiare, partecipando lui stesso all’operazione, le preziose reliquie di Carlo Magno, proclamato santo su volere di Federico Barbarossa nel 1165, nello stesso scrigno-reliquiario (fig. 26). Tale opera era stata iniziata nello stesso 1165 ma portata a termine proprio per l’incoronazione di Federico II. Il compimento di quello che era un progetto del nonno dava continuità alla sua politica imperiale, ponendo Federico direttamente nella direzione tracciata della tradizione ottoniana e sveva. Quello della continuità dell’impero è un elemento su cui l’ideologia politica staufica insiste molto sottolineando così il carattere provvidenziale e salvifico dell’impero voluto ed istituito da Dio e che accompagnerà l’esistenza umana fino alla fine dei tempi28. Si viene così ad unificare l’impero romano con quello franco e quello germanico sulla scia del concetto di renovatio. Inoltre santificando Carlo Magno, il rinnovatore dell’impero romano, si dà una connotazione sacra sia all’impero che al suo rappresentante, creando una situazione di notevole vantaggio nello scontro politico con il papato.

28 Ivi, p. 111.

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Come nella raffigurazione riguardante il Barbarossa anche Federico II si fa rappresentare insieme ad un proprio figlio, infatti nella miniatura del De arte venandi cum avibus, secondo l’interpretazione che tradizionalmente ne viene data, il nostro imperatore si presenta seduto in trono insieme al figlio Manfredi. Infine la concezione della sacralità dell’impero - ormai modificata rispetto a quella predominante durante l’alto Medioevo a causa del difficile rapporto con il papato – ci viene in qualche modo confermata in tutte le raffigurazioni riguardanti Federico II. Come abbiamo più volte notato qui non vi sono né santi né ecclesiastici che accompagnano o incoronano l’imperatore, “Cesare era Cesare per se stesso, e non veniva più incoronato nelle figurazioni dal Datore di vita”29. I termini di definizione e legittimazione del potere sono orami cambiati. Dall’analisi di questa raffigurazione di Federico I Barbarossa abbiamo evidenziato alcuni consistenti analogie con quelle di Federico II. Possiamo quindi concludere che sia dal punto di vista iconografico e conseguentemente da quello politico ed ideologico in Federico II esistono maggiori affinità con gli svevi che con i normanni o gli ottoni. Federico II è un imperatore del Sacro Romano Impero germanico e la sua politica si inserisce a pieno nel quadro storico del XIII secolo. La tradizione dell’antico impero romano. Il concetto di renovatio nasce già con l’incoronazione imperiale di Carlo Magno la notte di Natale dell’800 e caratterizza il Sacro Romano Impero per tutta la sua esistenza. Con Ottone III, che stabilisce la sua residenza a Roma sull’Aventino, il tentativo di far rinascere l’antico impero romano acquista sempre più forza e vigore. Il concetto di translatio o renovatio dell’impero romano è un elemento basilare di quello che Nieto Soria ha definito come “el mito de Impero” identificando le sue finalità nel “dar estabilidad” e nell’ “anular la influencia peturbadora de los factores històricos”30. In altre parole tramite il richiamo ad un modello di stato perfetto basato sulla

29 E. KANTOROWICZ, Federico II imperatore, p. 536. 30 J.M. NIETO SORIA, El imperio come poder pùblico, pp. 410-413.

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pace e la giustizia collocato nel passato si legittimano i cambiamenti politici del presente, che si configurano come tentativi di recupero di quelle vecchie tradizioni. Nel XII e XIII secolo gli imperatori staufici intensificarono il recupero dell’eredità dell’impero romano soprattutto tramite lo studio dei suoi codici legislativi e infatti la coscienza romana e cesaristica degli svevi è stata universalmente riconosciuta31. Secondo il principio della translatio imperii il Sacro Romano Impero germanico è quello romano che continua ininterrottamente la sua esistenza attraverso quello bizantino e quello franco. Dal punto di vista iconografico abbiamo evidenziato come nelle sue raffigurazioni Federico spesso tenda a presentarsi come un antico imperatore romano. L’opera che forse meglio sintetizza questo intento è certamente l’augustale. Già il presentarsi di profilo è una caratteristica della tradizione iconografica dell’Antichità, giacché mentre il ritratto di faccia è peculiare del mondo bizantino quello di profilo è tipico dell’uso imperiale romano, conservato nel mondo medievale proprio attraverso le coniazioni delle monete32. Inoltre l’augustale di Federico si rifà piuttosto esplicitamente ad un conio dell’imperatore Augusto. Questo è evidente sia dal nome dato alla moneta, sia dalla corona d’alloro indossata dal sovrano nel dritto e dall’aquila che compare sul rovescio, ispirata alla victrix aquila delle insegne imperiali romane33. Il richiamo ad Augusto starebbe ad esplicare, secondo Kantorowicz, l’intenzione ideologica più volte espressa da Federico di legare il proprio stato con quello dell’imperatore della pace. Durante il regno di Augusto si sarebbe creato un periodo di tranquillità e prosperità per tutto l’impero, il ritorno dell’età aurea celebrato dalla poesia di corte e soprattutto da Virgilio. La missione che Federico sente come propria è quella di rinnovare proprio questa pax augustea34.

31 Questo elemento del pensiero politico svevo è largamente trattato. In particolare oltre alle opere che abbiamo già sottolineato riguardanti la politica imperiale del Barbarossa vedi E. DUPRÉ THESEIDER, L’idea imperiale di Roma nella tradizione del Medioevo, pp. 36-50. Inoltre per una più completa rassegna rimando al mio ultimo capitolo. 32 Sulla tradizione del ritratto di profilo vedi, A GRABAR, L’empereur dans l’art byzantin, p. 11; e L. QUARTINO, Un busto genovese di Federico II, p. 290, nota 3. 33 R. ELZE, La simbologia del potere nell’età di Federico II, p. 50. 34 E. KANTOROWICZ, Federico II imperatore, p. 209.

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Questa moneta, la cui coniazione ha inizio nel 1231, è destinata al solo regno di Sicilia, ma nella legenda non si fa menzione dell’ambito territoriale e del titolo regio: Federico vi è designato come Cesare Augusto Imperatore dei Romani. Poiché una scelta del genere non può non essere pensata e voluta, sembra chiaro l’intento di fare di questa moneta un veicolo di circolazione internazionale che presenti ad un pubblico il più vasto possibile Federico nelle vesti di un cesare romano. Il fatto che la moneta “pareggia in contenuto aureo il conio di Bisanzio della metà del XII secolo, cosicché non è escluso possa rappresentare un tentativo di imitazione di un impero romano d’Oriente [...] i cui regnanti si erano gloriati della loro romanità”35 la dice lunga sullo scopo implicito in questo conio di celebrare la renovatio dell’antico impero romano. Ma la volontà di rinnovamento imperiale non si ferma qui. Nello stesso anno, volutamente in agosto cioè proprio nel mese dedicato all’imperatore romano Augusto, Federico emana la sua più importante raccolta di leggi, le Costituzioni di Melfi, conosciute più comunemente col nome di ‘Liber Augustalis’. Subito in apertura il sovrano si presenta, modellandosi nella forma e nella sostanza ai titoli degli imperatori romani, come l’ “Imperator Fridericus Secundus. Romanorum Caesar semper Augustus. Italicus Siculus Hierosolymitanus Arelatensis. Felix Victor ac Triumphator”36 e per tutta l’opera accenna ai suoi “divi predecessori, gli Augusti dell’antica Roma”37. Anche questa raccolta di leggi come gli augustali è in vigore nel solo regno di Sicilia, ma il fatto che anche qui come lì Federico si presenti principalmente come imperatore tradisce quanto primariamente la politica di Federico sia imperiale più che regia. Unica eccezione in cui la tradizione iconografica dell’augustale riesce a varcare i confini del regno di Sicilia è la moneta coniata su autorizzazione imperiale nella città ghibellina di Bergamo. Ancora al regno di Sicilia è legata un’altra raffigurazione nella quale Federico si presenta alla maniera dei cesari antichi, è il busto di Barletta. Oltre al fatto che le statue costituiscono una delle forme di rappresentazione dei sovrani maggiormente indebitate con la

35 D. ABULAFIA, Federico II, p. 186. 36 Constitutiones regum regni utriusque Siciliae mandante Friderico II, a cura di G. Carcani, p. 1. La citazione è riportata in E. KANTOROWICZ, Federico II imperatore, p. 208. 37 D. ABULAFIA, Federico II, p. 171.

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tradizione classica38, per effetto della corona a serto d’alloro e del paludamento in questa figura rivive, come un po’ in tutta la plastica federiciana di ascendenza antica, “la «volontà inesauribile» dell’imperatore di rinnovare la grandezza dei Cesari, di porsi accanto agli Augusti e di misurarsi con essi”39. Una variante iconografica sembra costituirsi nella fase finale del regno di Federico. Nella statua dell’imperatore esposta sulla porta di Capua e nell’augustale di tipo speciale troviamo, insieme ai soliti abiti di ispirazione romana, una corona assimilabile a quella presente nel grosso coniato a Vittoria tra 1247 e 1248. Ho cercato di dimostrare nel capitolo relativo ai simboli del potere che questa corona rinvia ad un tema caro agli imperatori romani, l’identificazione del sovrano con il sole. Sembrerebbe quindi che l’intento di renovatio nell’ultima fase del regno di Federico II si arricchisca anche di questo ulteriore elemento. Proprio negli anni in cui lo scontro con il papato e i comuni del nord Italia si fa più duro Federico lega la sua persona ad un simbolo di vittoria eterna - e ricordiamo che Federico in apertura del Liber augustalis si è insignito dei titoli di Victor ac Triumphator - che si riallaccia al culto del Sol invictus già presente all’interno dell’impero romano. Questa immagine è propagandata con grande intensità se pensiamo alla prospettiva di circolazione dell’augustale e che la porta di Capua era passaggio obbligato per chi volesse attraversare il Volturno ed entrare nel regno di Sicilia. Eppure anche in questi casi, nonostante Federico sia raffigurato e definito imperatore dei romani, tali raffigurazioni le troviamo legate ai soli territori del regno di Sicilia o ad ambiti molto ristretti del nord Italia come l’effimera esperienza dell’accampamento di Vittoria. Tirando le fila, gli esempi in cui il nostro sovrano si presenta vestito alla maniera dei cesari antichi curiosamente provengono quasi esclusivamente dal sud Italia, proprio dalle terre che egli detiene in quanto re-vassallo del papa e non come imperatore: quindi sono dal punto di vista giuridico quanto meno inappropriate. Evidentemente le finalità che Federico attribuisce loro sono di altra natura. Prima di tutto vuole sottolineare il ruolo di rappresentanza internazionale dato a queste immagini ed in particolar modo alle due monete40 ed in

38 M. BACCI, Artisti, corti, comuni, p. 675. 39 E. KANTOROWICZ, Federico II imperatore, p. 537. 40 L. TRAVAINI, Le monete di Federico II, p. 659.

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secondo luogo la maggiore importanza dal punto di vista strategico, diplomatico e politico di questi territori. Certamente in Italia Federico può contare su un pubblico più sensibile ai fasti e ai trionfi dell’antico impero romano, ma oltre a ciò non dobbiamo dimenticare che è proprio in questo scacchiere che si sta giocando lo scontro risolutivo dell’impero contro le sempre maggiori ingerenze politiche delle città lombarde e del papato. Quindi è nelle terre del regno di Sicilia, base economica della sua potenza politica, è tra le città lombarde ribelli, è nel cuore di quel regno pontificio sempre più bramoso di potere che Federico ha più bisogno di concentrare la sua propaganda. Inoltre proprio nel regno di Sicilia la celebrazione di Federico II come imperatore romano acquista maggior valore perché più apertamente si oppone al papa che considera quelle terre come un proprio feudo e vuole scongiurare la loro unione ai territori dell’impero. Infatti tramite la persona di Federico si può correttamente dire che a capo delle terre di Sicilia c’è l’imperatore anche se giuridicamente, essendo le due realtà separate, chi ha il dominio sulla Sicilia è il re di Sicilia e non l’imperatore. Inoltre la devozione e la riverenza di quei sudditi sarà accresciuta dal fatto di essere governati non da un semplice re, ma da un imperatore, discendente di quei cesari che un tempo furono i dominatori del mondo. Al riguardo del sentimento di renovatio che anima Federico II possiamo aggiungere una considerazione di carattere più generale. In apertura di questo lavoro abbiamo citato molte statue che sono state interpretate con alterna fortuna come raffigurazioni di Federico II. Se come suggerisce il Pace riflettiamo su quale sia il loro connotato caratterizzante ci accorgiamo che è il “referente antico dei loro modelli”41. È curioso che quasi tutte le volte che si è cercato di individuare Federico II lo si sia fatto in un busto di sovrano con serto d’alloro e paludamento alla maniera degli antichi imperatori romani. Certamente la raffigurazione dell’augustale ha influito molto su queste scelte, ma dobbiamo tenere nel giusto conto anche il fatto che Federico II ha sempre teso a caratterizzare la sua esistenza sull’imitazione dei modelli antichi. Pensiamo ad esempio alla monumentale porta di Capua che esplicita abbastanza chiaramente la volontà “di rinnovare i monumenti trionfali romani e le statue pubbliche degli imperatori” esprimendo la “«Romanità perenne»,

41 V. PACE, Il “ritratto” e i “ritratti” di Federico II, p. 8.

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come [...] poteva essere sentita dalla cultura medievale del XIII secolo in generale e dall’ambito laico e ghibellino degli imperatori svevi (dal Barbarossa a Federico II) in particolare”42. Il visitatore al momento di passare nel regno di Sicilia “si trovava dinnanzi un esplicito richiamo alla monarchia imperiale romana la cui restaurazione era stata lo scopo della dinastia degli Hohenstaufen sin dalla metà del XII secolo”43. Ma gli esempi di restaurazione dell’impero romano si sprecano, dalle collezioni delle statue antiche alle produzioni commissionate dallo stesso imperatore, dal titolo adottato in apertura del Liber augustalis a quello inciso sulle monete e sui sigilli, dalle fondazioni di città dal nome evocativo di Augusta, Cesarea, Aquila, alla chiesa dedicata a San Vittore degli accampamenti invernali davanti a Parma battezzati non a caso Vittoria, dai toni esaltati e retorici dei manifesti di propaganda composti dalla sua cancelleria ai poemi encomiastici dei poeti di corte. In particolar modo mi piace ricordare la vittoria di Cortenuova (1237) identificata come passaggio chiave della renovatio imperii e come starter point del cesarismo di Federico44. “Già durante la battaglia e durante il trionfo dopo la vittoria, Federico II aveva pensato agli usi di Roma antica e dei Cesari: pieni e veridici suonavano adesso i suoi titoli Victor Felix Triumphator, che non erano più pallidi simulacri di un’idea, bensì annuncio d’una immagine tradottasi in pratica. [...] Peculiare, poi, che si ponesse – certo derivandolo dal diritto romano – accanto alla gloria e al trionfo come elementi cesarei, anche la vendetta come compito dei Cesari [...]. Nel proclama per la vittoria, Pier delle Vigne annuncia come «fiumi di sangue [tingessero] i gladi cesarei», come «selvaggiamente [procedesse] Cesare col suo esercito», come l’imperatore fosse deciso a far vedere al mondo in che modo «Augusto proceda contro i nemici 42 M. CORDARO, La porta di Capua, p. 53 e p. 61. 43 D. ABULAFIA, Federico II, p. 238. 44 Se il Bologna concorda con l’interpretazione di Cortenuova come momento centrale per la nascita dell’ideologia cesaristica di Federico (Vedi, F. BOLOGNA, DIVI IVLI CAEsaris, p. 24) è sopratutto Kantorowicz (Vedi E. KANTOROWICZ, Federico II imperatore, pp. 447-450) che ne mette in evidenza motivazioni e conseguenze. Non dobbiamo però dimenticare che se il legame con Cesare si intensifica da questo momento condizionando tutta la politica di renovatio organizzata da Federico, quello con Augusto e gli imperatori romani in genera era presente già dal 1231 anno dell’emissione degli augustali e delle Costituzioni di Melfi e che prosegue per tutta l’esistenza dell’imperatore.

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e si compia col ferro la vendetta di Cesare...»: «Augusto vendicatore», un Cesare terribile nella sua splendida ira, questa l’immagine che di sé dava Federico ai suoi nemici [...]. Poeti, cronisti, letterati presero a paragonare Federico a Cesare e ad Augusto, le sue gesta a questa o a quella impresa loro. Un poeta lo celebra vincitore della guerra civile, apostrofandolo così: «Tu sei maggiore di Giulio, quando il popolo ribelle ti provoca a battaglia»; si cita Lucano per misurare a quel Cesare il modo tenuto da Federico nel trattare i soldati; [...] e si applicano allo Staufen tutti i superlativi e gli attributi, elencandoli uno per uno, portati dagli antichi imperatori. I rapporti di Federico con Pier delle Vigne vengon paragonati a quelli di Augusto con Virgilio, di Teodorico con Cassiodoro”45. A questa schiacciante vittoria seguono due atti di grandissima portata propagandistica. Per prima cosa Federico celebra a Cremona il suo trionfo alla maniera dei condottieri dell’antica Roma, facendo sfilare per le vie della città il carroccio emblema dell’autorità cittadina conquistato alla rivale Milano solamente dal Barbarossa nel 1162 e adesso. Così in una lettera Pier delle Vigne descrive la scena: “l’albero del carro era stato piegato ignominiosamente fino a terra e vi era stato legato vergognosamente il Podestà, e, con l’approvazione della folla circostante, il carro era stato trainato a Cremona da un elefante che portava sul dorso una torre di legno e dei suonatori di flauto e i

45 La citazione è tratta da Ivi, pp. 449-450. La funzione vendicativa di Federico II Kantorowicz la desume da due lettere di Pier delle Vigne, in particolar modo dai seguenti passi: “Verum qualiter hostilis sanguinis flumina Cesareos tinxerunt gladios, qualiter inimicos cunctos imperatoris potentia expugnaverit, audiatis. [...] Mediolanensibus, Placentinis, et eorum fautoribus, qui ad Brixianorum auxilium venerant, Cesar procedebat forociter cum suo exercitu obviare” (Vedi J.L.A. HUILLARD-BRÉHOLLES, Historia diplomatica Friderici Secundi, V, 1, p. 137) e “alioquin, utraque terra sentiet qualiter in persecutorem ac consequentes principes et fautores procedat Augustus, et qualiter ferro cesareos inferat ultiones” (Vedi Ivi, p. 351). La stretta similitudine tra Cesare e Federico è invece ricavata, tra gli altri, da Rolandino Patavino (Vedi ROLANDINO PATAVINO, Cronica in factis et circa facta Marchie Trivixane, p. 66) quando così si esprime: “Quod cum facere contempsissent, termino preterito, privilegium dedit et scribi fecit quod imperialis maiestatis, videns Tarvisinos existere contumaces, Paduanos vero subditos et fideles, confirmans constitucionem illam usque tempore Cesaris introductam et allegatam: Arma tenenti / Omnia dat, qui iusta negat. [LUCANI, Pharsalia, vv. 348-349] donavit ex imperiali gracia populo paduano Castrum franchum et civitatem Tarvisii a flumine Sili citra, scilicet versus Paduam, usque ad mare”.

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gonfaloni dell’Impero, a lode e gloria dell’imperatore”46. Poi il carroccio milanese è donato ai cittadini di Roma e posto sul Campidoglio accompagnato da una lettera di Federico nella quale “le parole di dedizione appaiono imbevute d’una sorta di ebbrezza augustea, una follia retorica nella quale forse per un momento credette anche lui”47 e che mirano alla celebrazione del rinato impero romano. “Veramente s’allontanerebbe dalla considerazione di ogni raziocinio l’intenzione nostra, quando volessimo, noi illustrati dal fulgore cesareo, tollerare che i romani vengano privati del tripudio di una vittoria romana...; quando vi defraudassimo del frutto di un negozio intrapreso in nome vostro, allorché sconfiggemmo i ribelli dell’impero romano al grido di Roma...; e se non trasferissimo lo splendore e la gloria della nostra potenza alla città regia [...]. E alla memoria dei Cesari antichi, ai quali il senato e il popolo romano decretarono il trionfo e l’alloro per le gloriose gesta compiute sotto le vittoriose insegne, noi ci rifacciamo [...]. Onde grati accogliete, o Quiriti, la vittoria del vostro imperatore! traendone bellissima speranza, perché laddove volentieri seguiamo le antiche solennità, ancor più caramente aspiriamo al rinnovamento dell’antica nobiltà nell’Urbe”48. Del carroccio posto sul Campidoglio immediatamente si fece una sorta di monumento scolpendo in marmo le insegne della vittoria e aggiungendovi un iscrizione celebrativa dell’imperatore: “I doni del Cesare Augusto, Federico secondo, o Roma, conserva, e il carro quale primo ornamento della città. Esso, catturato nella sconfitta di Milano,

46 La citazione, tratta da R. ELZE, La simbologia del potere nell’età di Federico II, p. 48, traduce il seguente testo: “Sic itaque devictis hostibus et fugatis cum triumpho Cremonam venit inclytus imperator: inde infortunatum carocium Mediolanense cum potestate filio ducis Venetiarum aliisque captivis Cremonam accelerans, consequenti die ad mandatum Cesaris, sui vexilli pertica usque ad terre faciem turpiter inclinata, potestate ad dedecus ligato superius et multitudinem gentium magnis applausibus pretereunte, ab elephante qui castellum ligneum et tibicines cum vexillis imperii gerebat in dorso, per Cremonam ad laudem et gloria principis trahebatur”. Vedi J.L.A. HUILLARD-BRÉHOLLES, Historia diplomatica Friderici Secundi, V, 1, p. 139. 47 F. CARDINI, Castel del Monte, p. 103. 48 Questi brani sono tratti da E. KANTOROWICZ, Federico II imperatore, pp. 451-452. La ricostruzione dell’atmosfera di trionfo e di esaltazione incentrata sul mito di Roma, che circonda Federico II soprattutto dopo la vittoria di Cortenuova, è desunta dal Kantorowicz da alcuni scritti composti dal Pier delle Vigne e pubblicati in HUILLARD-BRÉHOLLES, Historia Diplomatica Friderici Secundi, V, 1, rispettivamente a pp. 137-140; pp. 147-149; pp. 142-145; pp. 132-134).

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viene preda gloriosa a riferire i trionfi di Cesare. Starà a obbrobrio del nemico: viene inviato in onore di Roma e l’amore di Roma gli impone di mandarlo”49. Da queste parole si chiarisce in maniera inequivocabile l’aspirazione alla romanitas che ispira ogni gesto di Federico II. Infine anche nella morte il sovrano vuole assimilarsi ad un imperatore dell’antica Roma. Il suo corpo è infatti adagiato in un sarcofago interamente in porfido che era stato fatto costruire dal re normanno Ruggero II. Abbiamo già parlato del significato imperiale del porfido, qui voglio solo ricordare che se, come ha suggerito Cyril Mango, i re normanni e lo stesso Federico II si sono ispirati per le loro sepolture ai sarcofaghi dei primi imperatori bizantini allineati all’interno del complesso chiesastico dei Santi Apostoli50, ciò non ci autorizza a concludere che sia stata loro intenzione legarsi maggiormente al modello bizantino rispetto che a quello romano. Infatti non dobbiamo dimenticare che Bisanzio è stata pur sempre un importante veicolo di tradizioni dell’antica Roma e che già Innocenzo II nel 1143 si era fatto inumare nel sarcofago di porfido dell’imperatore Adriano. Alla luce degli esempi fatti possiamo concludere con un po’ di enfasi retorica, citando ancora una volta Kantorowicz, che con Federico II il sangue staufico “si muta in stirps cesarea, in stirpe imperiale romana! È il casato divino dei Cesari romani, che ricompare negli Staufen, [...] che da Enea, padre del popolo romano, trapassa per Cesare a Federico”51. Diviene lampante il motivo per cui sono state spesso identificate con Federico statue di soggetti abbigliati alla maniera degli imperatori romani. Federico II vive di questo mito romano e modella la sua immagine secondo i suoi principi. Federico

49 L’iscrizione “+ CESARI AUGUSTI FRIDERICI ROMA SECUNDI DONA TENE CURRUM PPES IN URBE DECUS / HIC MEDIOLANI CAPTUS DE STRAGE TRIUMPHOS CESARIS UT REFERAT INCLITA PREDA VENIT / HOSTIS IN OPPBRIUM PENDEBIT IN URBIS HONOREM MICTITUR HUNC URBIS MICTERE IUSSIT AMOR” è incisa sulla base del monumento del carroccio conservato a Roma nel Palazzo Senatorio all’interno della Sala del Carroccio (Vedi E. LA ROCCA, S. GUARINO, Roma e il carroccio, p. 336). La traduzione citata è tratta da F. BOLOGNA, I pittori alla corte angioina di Napoli 1266-1414, p. 29. 50 Studi ricerche e indagini sulla tomba di Federico II nella Cattedrale di Palermo, p. 216. 51 E. KANTOROWICZ, Federico II imperatore, p. 573.

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non è un cesare romano, ma vuole apparire come tale e si impegna perché i sudditi, il papa, le città lombarde lo credano tale. “La pubblicistica federiciana consolida definitivamente il significato di Roma come simbolo dell’Impero e [...] alla grandezza ideale dell’antica Roma egli tributa un culto entusiastico”52. Se ancora oggi tendiamo ad ‘identificare’ Federico con un imperatore romano è perché subiamo il fascino e l’influsso di quell’azione di propaganda, evidentemente molto efficace, organizzata da Federico stesso. Questa azione propagandistica si basa certamente su delle finalità politiche come abbiamo già accennato. Già Panofsky analizzando il classicismo federiciano in campo artistico ha sostenuto che Federico “promosse lo stile classico per motivi di politica imperiale più che per una preferenza «estetica»” e ancora che “egli sia ricorso all’antichità ogni volta che gli tornava utile per dare alle sue aspirazioni imperiali una espressione efficace, addirittura propagandistica”53. Presentandosi come un imperatore romano Federico II si colloca automaticamente sotto quel diritto romano che precedentemente il Barbarossa si era tanto impegnato a riproporre come fonte di legittimazione per tutto l’impero. Inoltre ancora prima i normanni ed in special modo Ruggero II si erano ispirati nel regno di Sicilia alle leggi del diritto romano con prontezza e decisione54. Applicando le leggi del diritto romano si riesce ad accrescere l’autorità del potere temporale. In particolare basandosi su due principi legislativi conservati nel Digesto che consentono di fare del re medievale un sovrano di tipo assoluto: “Quod principi placuit, legis habet vigorem” cioè “Ciò che ha deliberato il principe ha forza di

52 Citazioni tratte da E. DUPRÉ THESEIDER, L’idea imperiale di Roma nella tradizione del Medioevo, p. 50 e p. 175. 53 Le citazioni sono tratte da E. PANOFSKY, Rinascimento e rinascenze nell’arte occidentale, p. 85 e p. 86 nota 48. 54 Ho già fornito alcune informazioni riguardanti l’uso politico riservato al diritto romano dagli imperatori svevi e a lì rimando. Mentre per quanto riguarda la riscoperta del diritto romano in ambito normanno in particolare ricordo i contributi dell’Abulafia (Vedi D. ABULAFIA, Federico II, pp. 23-26), del Delogu (Vedi P. DELOGU, Idee sulla regalità, pp. 192-195) e dello Stürner (Vedi W. STÜRNER, Federico II, pp. 26-27).

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legge” e “Princeps legibus solutus est” ovvero “Il principe è sciolto dalle leggi”55. E soprattutto legarsi all’impero romano e alle sue leggi crea un nuovo elemento di legittimazione della sovranità che affranca l’imperatore dalla tutela che la Chiesa vanta di avere su di esso a causa delle cerimonie dell’unzione e dell’incoronazione. In quanto imperatore romano Federico II riceve l’autorità di governare tramite la Lex Regia de Imperio, secondo la quale il potere imperiale era stato concesso dal popolo all’imperatore, quindi il papa non ha alcun potere nei suoi confronti. Inoltre rifacendosi alla Digna vox, con la quale gli imperatori romani avevano dichiarato che il loro potere dipendeva dall’autorità del diritto, il potere imperiale è legittimato anche tramite la legge. Tra XII e XIII secolo gli imperatori cercano sempre più di creare un concetto nuovo di sovranità svincolato dal potere religioso, o meglio dal potere religioso del papa di Roma, ma non per questo la concezione dell’impero di Federico II è da considerarsi laica, essa è semplicemente basata su un concetto diverso di sacralità che si fonda non sull’unzione e l’incoronazione papale, ma come vedremo meglio tra poco sulla legge. Concludendo possiamo quindi sostenere che, dal numero di raffigurazioni coinvolte e dalla portata ideologica che sottintendono, la tradizione iconografica romana sia da considerarsi la più importante tra quelle analizzate e che il concetto di renovatio sia un aspetto fondamentale del pensiero politico di Federico II.

55 Le citazioni delle due leggi del Digesto sono tratte da C. DOLCINI, I due poteri universali, p. 101, che a sua volta le ha tratte dal Digesta Iustinani Augusti, a cura di Th. Mommsen.

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II.3. I principi di governo.

La volontà accentratrice. Il rilievo dell’ambone del duomo di Bitonto è un ottimo esempio di illustrazione della politica che Federico II esercita nel regno di Sicilia. Come abbiamo descritto nel capitolo relativo alle raffigurazioni del sovrano in questa opera si rappresenta la città che consegna i propri poteri e la propria autorità all’imperatore dopo la ribellione del 1228. Ciò che accade in quell’anno a Bitonto è analogo a quanto accade anche nel resto del Regno: città e baroni si ribellano alla politica di Federico che prevede l’abolizione di qualsiasi potere feudale e di qualsiasi autonomia cittadina. I rivoltosi approfittano della lontananza di Federico, impegnato nella crociata in Terra Santa, e fomentati dalla sobillazione papale cercano di riconquistare diritti e autogoverno. Ma ecco che al momento del suo rientro l’imperatore riprende immediatamente in mano la situazione e ristabilisce, già dal 1229, l’ordine1. Nel rilievo di Bitonto quindi si celebra il ritorno della città sotto la giurisdizione del suo sovrano. Questo annientamento di qualsiasi potere periferico e limitante l’autorità del sovrano è teso al tentativo di creare un regno di Sicilia compatto ed omogeneo al suo interno, con un intento espresso già nelle prime azioni giuridiche ed amministrative compiute da Federico subito dopo il ritorno dalla Germania e l’incoronazione romana ad imperatore (1220). L’intenzione di creare un regno fortemente centralizzato, nel quale tutto fa capo al suo signore in modo che, come ebbe a scrivere Gregorio IX allo stesso Federico: “nessuno osa

1 Sui fatti del 1229 vedi D. ABULAFIA, Federico II, pp. 163-167.

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muovere una mano o un piede senza un tuo ordine”2, si esplica anche nell’organizzazione degli spazi sia urbani che rurali adottata nel regno di Sicilia. A partire dallo stesso 1220 egli attua un programma edilizio e una pianificazione del territorio di vastità inusitata, imponendo, con la costituzione intitolata Castra, munitiones et turres, la distruzione delle fortificazioni private e riservando a sé il diritto di costruire nuove fortezze. Da questo momento ogni castello, torre, fortezza o semplice residenza che si erge su ogni altura del sud Italia diviene un’espressione visibile del potere di Federico e del suo messaggio di forza e magnificenza. Organizzando lo spazio sia della vita civile (strade, porti, città, fattorie, cantieri, pascoli e foreste) che di quella militare il sovrano celebra la sua costante presenza nel regno e la sua peculiare azione di controllo della società. Il suddito e lo straniero riscontrano in ogni luogo l’impronta del sovrano, ogni struttura del territorio diviene segno del potere centrale e della sua azione politica. Il fine dell’attività edificatoria di Federico è praticamente l’opposto di quello del fenomeno dell’incastellamento che aveva prodotto nell’Europa dei secoli precedenti un’enorme quantità di piccoli centri di potere in larga misura autonomi. Anche alle città è attribuito il solito ruolo politico e propagandistico sottolineato tramite la costruzione di un palazzo regio, chiaro emblema della presenza costante del sovrano3. Tale centralismo statale è confermato anche dal fatto che in tutte queste costruzioni ricorre lo stesso stile, sintomo dell’ “accorta regia centralizzata”4 espressa dal committente e anche prova delle potenzialità politiche che l’arte può sviluppare quando si pone “al servizio dello Stato”5.

2 La citazione nella forma latina originale - “quod cum in regno suo, ubi nullus manum vel pedem absque ipsius movet imperio” – è in Epistolae saeculi XIII et regestis pontificum Romanorum selectae, a cura di C. Rodenberg, I, p. 648. La traduzione è tratta da T. KÖLZER, «Magna imperialis curia», p. 80. 3 Sulle finalità e la pianificazione dell’attività edilizia di Federico II vedi M.S. CALÒ MARIANI, I fenomeni artistici come espressione del potere, p. 218; Eadem, Immagine e potere, p. 39; e Eadem, L’arte al servizio dello Stato, pp. 124-127; per quanto riguarda il significato politico delle costruzioni militari federiciane vedi F. CARDINI, Castel del Monte, p. 48 e p. 91. 4 M.S. CALÒ MARIANI, Immagine e potere, p. 40. 5 Eadem, L’arte al servizio dello Stato, p. 127.

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L’idea di una monarchia assoluta e fortemente centralizzata ha in Sicilia una tradizione secolare avendo caratterizzato il dominio dei greci, degli arabi e dei normanni. Proprio da quest’ultimi Federico eredita uno stato in cui le strutture feudali hanno poco se non addirittura alcun valore. Il Regno è caratterizzato da un’amministrazione statale e finanziaria che fa sistematicamente capo al proprio sovrano. Infatti il suo tentativo di debellare le forze centrifughe, che avevano preso corpo durante il periodo di reggenza, si rifà esplicitamente proprio alle iniziative politiche di Guglielmo II6. Così si forma, o forse è meglio dire che si ha intenzione di formare, uno stato in cui l’imperatore tiene nelle proprie mani tutte le leve del potere. Federico cerca di affermare la sua autorità anche nel nord Italia diminuendo il potere delle città che lì costituiscono i principali centri politici che si oppongono all’azione imperiale. A tal proposito sappiamo che a partire dal 1236/37 tenta di creare un legame più stretto con il regno d’Italia7 e basta guardare alle azioni politiche che caratterizzano la sua vita per rendersi conto di quanto tempo e di quanti sforzi economici e militari indirizza al conseguimento di questo obiettivo. In tale contesto il conio della moneta di Bergamo, che presenta il sovrano secondo gli stessi canoni iconografici della ritrattistica ufficiale che abbiamo visto espressa nell’augustale o nel busto di Barletta, è sintomo della riverenza e dell’assoggettamento che la città dimostra all’autorità imperiale. Inoltre tale episodio costituisce un’ottima possibilità per il sovrano di presentarsi con i suoi titoli ed attributi imperiali proprio nel cuore di quelle terre che proprio quell’autorità vogliono limitare. Sotto questa luce il rilievo di Bitonto acquista anche un ulteriore significato propagandistico. Esso funge da monito oltre che per le città del Regno anche per quelle del nord Italia che, ispirandosi a quanto lì è raffigurato, devono rimettere i loro poteri nelle mani dell’imperatore, legittimo signore di quelle terre, Cesare romano che altrimenti verrà a riaffermare con la forza ciò che non gli è concesso pacificamente.

6 Sull’assetto del Regno in particolare vedi C. BRÜHL, Federico II: personalità di un sovrano, p. 27; e T. KÖLZER, «Magna imperialis curia», pp. 65-66. 7 Ivi, p. 66.

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Il tentativo di riaffermare la propria autorità imperiale sulle città del nord Italia è espresso anche nel conio della moneta di Vittoria. Qui il richiamo all’impero esplicato dalla legenda (Romanorum Imperator Augustus) e dal numerale ordinale secondo è manifestato nonostante la scomunica e la deposizione sancita da Innocenzo IV nel 1245. Di fronte alle loro mura i cittadini di Parma hanno l’imperatore del Sacro Romano Impero venuto a restaurare la propria posizione politica e il proprio ruolo sulle città del nord Italia e per logica derivazione sull’intera società cristiana. Il quadro fin qui delineato non è completo, perché ci informa su come Federico vuole organizzare il proprio stato il linea teorica, ma nella realtà le cose sono ben diverse. In tal senso sono necessarie alcune ulteriori informazioni. Se, come abbiamo evidenziato parlando dell’attività edificatoria di Federico, una certa omogeneità stilistica è sintomo di una regia pianificata e diretta da un potere centrale forte e costantemente presente, non è questo tipo di governo che troviamo nei territori dell’impero. Sauerländer analizzando la produzione artistica dell’epoca degli svevi afferma che “la notion d’un «Style Hohenstaufen» est problématique”8. Dunque se un’arte ufficiale e comune a tutto il territorio dell’impero non esiste, dobbiamo pensare che quest’ultimo non è politicamente un’entità omogenea e forte tanto da imporre delle proprie direttive artistiche in tutte le sue propaggini territoriali. Anche a riguardo delle caratteristiche iconografiche delle raffigurazioni di Federico II abbiamo notato una certa libertà espressiva che porta a rappresentare il sovrano sia alla maniera degli antichi imperatori romani che dei contemporanei monarchi medievali e che lascia spaziare i modelli a cui rifarsi dalla tradizione normanna a quella ottoniana, da quella dell’antica Roma a quella dei predecessori svevi, creando differenze da un regno all’altro e da un contesto politico ad un altro. Insomma l’immagine di Federico si adatta e si trasforma a seconda delle necessità e dei territori in cui è presentata. Prendiamo in considerazione i due augustali coniati a Como. Qui a differenza di quello di Bergamo ci si discosta enormemente dalle caratteristiche della moneta coniata dall’imperatore nel Regno. Gli abiti e i simboli del potere non sembrano rifarsi alla tradizione romana ma a quella medievale e il taglio del busto è completamente diverso da

8 W. SAUERLÄNDER, L’époque des Hohenstaufen, p. 80.

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quello dell’augustale. Insomma Como rappresenta un insuccesso della politica accentratrice di Federico II ed è sintomo che l’organizzazione amministrativa e il potere politico di Federico non sia così capillare e forte da imporre l’immagine ufficiale del sovrano in tutti i suoi territori. La maggiore autonomia espressiva della città di Como è simbolo di quanto labile fosse la presenza dell’impero. L’idea di stato fortemente accentrato, almeno nelle terre dell’impero, ne esce ridimensionata. Effettivamente poteri periferici detentori di autonomie e privilegi di natura feudale coesistono insieme al potere centrale sia nel nord Italia che in Germania. Quest’ultimo è un regno elettivo con un potente ceto di principi orgogliosi difensori delle loro prerogative pubbliche, quindi anche in questo caso non si può proprio parlare di un potere centrale di governo. Inoltre Federico II nonostante che, secondo quanto afferma Brühl, “nella sua Confoederatio cum principibus ecclesiasticis del 1220, quanto nello Statutum in favorem principum del 1232, si è limitato a fissare per iscritto norme di diritto consuetudinario”, mirando nella realtà “semplicemente a proteggersi le spalle per portare avanti i suoi progetti nell’Italia settentrionale”, non dobbiamo dimenticare che così facendo riconosce, volente o nolente, i principi tedeschi come suoi partners nel governo del regno tedesco rendendo la loro posizione tanto forte da risultare inattaccabile anche negli anni successivi alla sua morte9. In realtà sappiamo, grazie a più recenti chiavi di lettura storiografica che hanno ridimensionato l’interpretazione dello stato accentrato e assolutistico frutto del calcolo e del genio politico di Federico II, che anche nel regno di Sicilia l’azione politica dell’imperatore non è caratterizzata solo da successi e che persistono forti poteri locali in lotta con l’autorità centrale. Fu sulla scia dell’opera del 1860 di Jacob Burckhardt, Die Kultur der Renaissance in Italien, che la condotta politica di Federico II nel Regno venne interpretata come una prefigurazione di uno stato assolutistico in senso moderno, insomma una vera e propria opera d’arte. Se guardiamo, per esempio, all’azione legislativa però ci rendiamo subito conto come Federico non ha mai una piena disponibilità normativa di

9 Per una rapida disamina sull’azione politica di Federico in Germania in particolare vedi C. BRÜHL, Federico II: personalità di un sovrano, p. 26 e p. 28. Le due frasi citate sono tratte da Ivi, p. 28.

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tipo moderno e le sue leggi coesistono insieme ad altre forme normative originarie, autonome o concorrenti. Ne deriva che quello stato che si voleva compatto ed omogeneo, nella sua interezza facente capo al solo sovrano, è sul piano pratico costituito da frizioni e contrasti tra il diritto regio e quello consuetudinario delle città e dei baroni. Tale conflitto non sarà mai composto per tutto il periodo svevo lasciando sopravvivere ancora a metà del XIII secolo una società legata a strutture feudali e popolari, ad ordinamenti speciali come il diritto ecclesiastico-canonico e alle particolarità cittadine10. Anche l’attività federiciana di costruttore di castelli è stata fortemente ridimensionata dall’Abulafia, forse anche troppo, notando che “Carlo d’Angiò ebbe a lamentarsi delle dimensioni insignificanti di quasi tutti gli edifici siciliani” e che “l’imperatore si dedicò soprattutto alla ricostruzione e all’ampliamento dei manieri eretti dai Normanni, o anche dai Bizantini e dagli Arabi”11. Con questo non vogliamo ribaltare ciò che abbiamo detto precedentemente, ma soltanto concludere, usando le parole del Colliva, che la “concezione di un Federico II del tutto moderno e quasi nostro contemporaneo [...] non è che un monstrum storico [...]. Il suo Stato siciliano accentrato e burocratico fu quello che poteva essere, cioè accentrato, ma frammentario, burocratico, ma anche feudale e tradizionale”12. Indiscutibilmente una volontà accentratrice caratterizza la politica del nostro imperatore ma essa è nella realtà lontana dal realizzarsi, anche nel regno di Sicilia. Il ‘voler essere’ dell’imperatore non è ‘l’essere’. La continuità dinastica. Dal punto di vista di alcune opere d’arte possiamo notare come Federico cerchi di sottolineare il legame con i suoi predecessori enfatizzando il concetto di continuità dinastica. Se guardiamo al già citato scrigno-reliquiario di Aquisgrana noteremo che è decorato da statuette raffiguranti tutti gli imperatori del Sacro Romano Impero tra le quali spicca, come abbiamo visto, 10 Per l’interpretazione qui riportata riguardante lo stato di Federico II vedi P. COLLIVA, Lo stato di Federico II, pp. 426-446. 11 Le due citazioni sono tratte entrambe da D. ABULAFIA, Federico II, p. 235. 12 P. COLLIVA, Lo stato di Federico II, p. 456.

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anche quella di Federico II. Queste immagini sono conformi alla tipologia dei ritratti in serie quindi propongono fisionomie piuttosto tipizzate, cioè si presentano tutti i sovrani - fatta eccezione per i capelli corti, il viso imberbe e la piccola statura dell’immagine di Federico II, quasi a voler sottolineare la sua giovane età al momento dell’incoronazione13 - sostanzialmente con le stesse caratteristiche iconografiche. Quello che si vuole esprimere ponendosi in un contesto del genere è proprio il rapporto di continuità dinastica che lega tutti gli imperatori anche se in realtà appartenenti a casate se non addirittura a nazioni diverse. Qui, come nei ritratti funerari dei re di Francia realizzati da Luigi IX a Saint-Denis, si crea, tramite l’intimo legame fisionomico di tutti gli imperatori riuniti intorno al sacro corpo del fondatore dell’impero, una dinastia imperiale. L’impero è un qualcosa di continuo, che non conosce cesure, che dai tempi di Carlo Magno esiste senza pause fino al regno di Federico II. Nonostante le scarne informazioni che ho rinvenuto, posso ipotizzare che la celebrazione dello stretto legame che unisce Federico ai suoi predecessori, in questo caso alla dinastia sveva, sia alla base anche delle due miniature raffiguranti Federico II ed il padre Enrico VI all’interno della Cronica Regia Coloniensis prodotte intorno al 1238 ad Aquisgrana (fig. 3 e 43). I due sovrani sono rappresentati non solo con gli stessi identici abiti e nella stessa posizione – fatta eccezione per lo scettro che uno impugna con la destra e l’altro con la sinistra e conseguentemente uno tiene alzata la mano sinistra e l’altro la destra – ma hanno addirittura il medesimo volto. Guardiamo i capelli che con ampi riccioli scendono sino all’orlo del mantello, guardiamo gli occhi stretti, i baffi spioventi, o ancora la barbetta che contorna le mascelle ed il mento, soffermiamoci sulle labbra strette quasi un po’ imbronciate. Insomma l’idea che se ne ricava è che questi due sovrani siano identici, anzi che quasi siano la stessa persona. Anche tenendo conto che i due qui rappresentati sono padre e figlio una tale somiglianza sembra troppo accentuata e quindi indizio di un implicito intento politico e propagandistico. Dal mio punto di vista un elemento ci consente di far luce su questa enigmatica miniatura, la presenza della barba. Questa presenza è insolita nell’iconografia federiciana perché, come abbiamo visto, Federico per motivi estetici e

13 P.C. CLAUSSEN, Creazione e distruzione dell’immagine di Federico II, p. 69.

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ideologici tiene il volto rasato. La barba ci informa quindi che la fisionomia di Federico II è falsata, non corrisponde ai canoni ufficiali della sua iconografia. Perché questa forzatura? In realtà penso che l’obiettivo di questa miniatura non sia tanto di rappresentare Federico II quanto quello di sottolineare la continuità dinastica che lega, proprio tramite questa mimesi facciale, padre e figlio. Federico è il legittimo imperatore perché è il discendente della dinastia degli svevi ed è discendente della dinastia sveva perché è identico all’imperatore suo padre. La forza della continuità dinastica è tale da rendere quasi impercettibile il passaggio del regno da un sovrano all’altro, ecco perché Enrico e Federico sono rappresentati dal punto di vista fisionomico identici. È singolare che entrambe queste immagini si leghino all’ambito tedesco e in particolar modo a quella città che costituisce da sempre il cuore dell’impero, quell’Aquisgrana in cui Carlo Magno aveva fatto edificare il suo palazzo e dove aveva stabilito la sua corte, quell’Aquisgrana dove ogni re di Germania, per essere considerato tale, doveva essere incoronato e prendere posto sul trono. Curiosamente in questo periodo il concetto di dinastia in Germania è molto più labile rispetto al resto d’Europa perché qui il principio della successione dinastica non è giuridicamente valido. Infatti è qui consuetudine che il nuovo rex Romanorum sia eletto tramite un’assemblea composta dai vari principi sia laici che ecclesiastici che fanno parte del regno. Già il Barbarossa ed Enrico VI avevano tentato di modificare il sistema di successione sostenendo quello dinastico, affermatosi già in Francia ed in altri regni della cristianità, che prevedeva l’associazione al trono del principe ereditario prima della morte del padre, ma entrambi non avevano, anche per la loro morte prematura, avuto successo14. In realtà dall’analisi dell’attività politica di Federico II se ne evince che un punto fondamentale della sua azione di governo è proprio quello di affermare il principio della successione dinastica all’interno

14 Sul tentativo di affermare la successione ereditaria all’impero dei predecessori di Federico II ed in special modo di Enrico VI in particolare segnalo l’opera dell’Abulafia (Vedi D. ABULAFIA, Federico II, p. 67), del Folz (Vedi R. FOLZ, L’idée d’empire en Occident du V au XIV siècle, pp. 117-120) e del Tabacco (Vedi G. TABACCO, Le idee politiche del Medioevo, p. 64).

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dell’impero15. A questo punto diviene chiaro ciò che l’esaltazione della continuità dinastica vuole sottolineare, ovvero la trasmissione ereditaria del potere, che permette di avere una maggiore stabilità politica. Al riguardo possiamo portare come esempi gli sforzi politici e diplomatici che l’imperatore sostiene per far eleggere re di Germania ed associare all’impero prima il figlio Enrico e, dopo la sua ribellione all’autorità paterna (1235) e la conseguente sconfitta e prigionia, l’altro figlio Corrado. Il fatto che le miniature della Cronica Regia Coloniensis si leghino proprio a questa iniziativa politica è confermato anche dalla loro datazione, intorno al 1238, proprio gli anni che seguono la ribellione di Enrico e l’elezione a rex Romanorum di Corrado. Ipoteticamente proprio in quegli anni il problema dell’associazione al trono del figlio, che anche se legittimata dall’elezione di fatto sanciva la trasmissione ereditaria dell’impero, sarà tornato d’attualità e avrà avuto bisogno di ricevere una maggiore propaganda. Possiamo affermare che nel sottolineare la continuità della successione imperiale si vuole dimostrare la necessità che il passaggio della corona avvenga in maniera ereditaria e in particolare che sia strettamente legato alla dinastia degli Staufer. Questo concetto è espresso da Federico anche tramite cinque dipinti che egli fa eseguire nell’atrio del duomo di Cefalù e che saranno distrutti nel corso del Quattrocento. Qui sono rappresentati Ruggero II, Guglielmo I, Guglielmo II, Costanza e Federico, designato come primo imperatore della casa di Altavilla16. Evidentemente mentre nell’impero si evidenzia il legame con la casata degli svevi nel regno di Sicilia si pone l’accento sulla discendenza normanna di Federico II. Ma ciò non inficia, anzi per certi versi rafforza, il messaggio di legittimità regia che tramite il legame dinastico si vuole esprimere. L’esaltazione degli antenati è presente anche su di un trono, ora scomparso, appartenuto all’imperatore (fig. 44). Questo era un faldistorio caratterizzato da quattro tabelle presumibilmente rotonde applicate alle terminazioni dei braccioli rappresentanti due re e due regine. Queste immagini costituivano una sorta di albero genealogico che metteva in scena la legittimità della trasmissione del potere per 15 Sull’attenzione posta da Federico II per l’affermazione di questo principio politico sostanzialmente tutti gli storici concordano. In particolare però insiste molto su questo concetto l’Abulafia (vedi D. ABULAFIA, Federico II, p. 136, 338 e 365). 16 H.M. SCHALLER, Il rilievo dell’ambone della cattedrale di Bitonto, p. 55.

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diritto dinastico17. In questo contesto “le immagini dei re e delle regine [...] individuano i termini di una trasmissione di diritto della dignità imperiale, al di fuori di qualsiasi tutela papale”18. Questo principio politico come abbiamo visto è caro a Federico II, egli “era un tipico prodotto dei secoli XII e XIII, vittima degli stessi affanni che tormentarono Enrico VI, gli Angioini che alla sua morte presero il potere e gli Aragonesi che in parte li soppiantarono: assicurare un futuro alla propria discendenza, tramandare la corona, trasmettere un patrimonio integro e possibilmente accresciuto”19. Sappiamo che “anche nelle sue lettere l’imperatore spesso sottolineava che il suo dominio era legittimo, perché l’aveva ereditato dai suoi antenati, al contrario del dominio del papa fondato solamente sull’elezione”20. In questa maniera, per dirla ancora un volta con le parole del Kantorowicz, “la nascita era sufficiente per manifestare l’elezione al trono del principe [...e] nella cerchia di Federico si cominciò inoltre a combinare l’idea dinastica con le dottrine filosofiche che sostenevano la credenza nella presenza nel sangue dei re di certe qualità e potenze regali che creavano, per così dire, una specie umana regale”21. Concludendo possiamo ritenere che anche questo principio di governo sia segno di un cambiamento ideologico della concezione della sovranità ed un utile mezzo politico nella lotta contro il papato. Il signore del mondo. Nel descrivere le varie raffigurazioni di Federico II abbiamo accennato alle motivazioni di carattere storico e politico in base alle quali lo Zuliani identifica il monarca rappresentato nell’affresco della torre abbaziale di San Zeno a Verona con il nostro imperatore. Adesso è il momento di esporre dettagliatamente le sue considerazioni. Prima di tutto il luogo in cui sorge l’affresco è tradizionalmente legato alle discese in Italia degli imperatori. La via percorsa era allora come ora

17 Per la descrizione di questo trono di Federico vedi Ivi p. 56; e F. GANDOLFO, La cattedra papale in età federiciana, pp. 355-358. 18Ivi, p. 358. 19 D. ABULAFIA, Federico II, p. 136. 20 H.M. SCHALLER, Il rilievo dell’ambone della cattedrale di Bitonto, p. 56. 21 E. KANTOROWICZ, Federico II imperatore, pp. 283-284.

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quella del valico del Brennero che seguendo il corso prima dell’Isarco e poi dell’Adige giungeva fino a Verona. Dall’ultima discesa di Ottone I il monastero veronese di San Zeno divenne consueto luogo di sosta degli imperatori germanici che qui tenevano corte bandita. I resti della residenza abbaziale che si sono conservati sembrano essere identificabili proprio con il luogo deputato per l’alloggio dell’imperatore22. Stando così le cose non possiamo non ammettere che anche Federico II abbia soggiornato in questa dimora e abbia, se non commissionato l’affresco, almeno visionato ed acconsentito, tramite quello che nelle premesse abbiamo definito il Caesaris imperium, al soggetto dell’affresco. Inoltre l’identificazione di quel sovrano con Federico II è confermata dal fatto che a rendergli omaggio compare un’imponente sfilata di ventotto personaggi rappresentanti popolazioni esotiche. Più precisamente come possiamo vedere dal colore della pelle, dalle fisionomie aggressive e quasi caricaturali, dalle vesti e dai copricapo inusuali questi individui sembrano provenienti dall’Africa e dall’Oriente23. Se come ha ben evidenziato lo Zuliani il solo Federico tra gli imperatori medievali può vantare l’omaggio di popolazioni orientali, la sua identificazione con il sovrano qui rappresentato diviene certa. Infatti egli è in primo luogo il legittimo successore di quelle terre perché nel 1225 sposa Isabella di Brienne, figlia di Giovanni di Brienne, re di Gerusalemme. Inoltre nel marzo del 1229, concludendo la sua crociata con successo (anche se poi contestato dai suoi avversari), sancisce giuridicamente questa conquista incoronandosi nella chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme come re. Infine, argomenta lo Zuliani, negli anni che culminano nella vittoria di Cortenuova l’intento di restaurazione dell’antico impero romano appare così prossimo a realizzarsi e il potere di Federico così insuperabile che sembra che egli possa legittimamente rivendicare per la sua autorità politica un’universalità tale da estendersi anche sulle terre del vicino Oriente e dell’Africa24. “Com’è noto, Federico si circondò di animali esotici. Cammelli, elefanti, orsi erano tra i doni ricevuti dal sultano, insieme con preziosi manufatti e oggetti meravigliosi. Nell’ampia sfera del simbolismo del

22 F. ZULIANI, Gli affreschi del palazzo abbaziale di San Zeno a Verona, p. 114. 23 Ivi, p. 113. 24 Tali motivazioni sono espresse dallo Zuliani in maniera sintetica in Ivi, p. 114 e più dettagliatamente in Idem, Gli affreschi duecenteschi del palazzo abbaziale di San Zeno, p. 28.

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potere è lo stesso imperatore a includere l’esibizione del serraglio, che accompagna ripetutamente il corteo imperiale durante i viaggi: «prout imperialem decuit maiestatem prodecens in magna gloria cum quadrigis [...] camelis, mulis atque dromedis»” e ancora prosegue sempre la Calò Mariani “lo stupore e l’ammirazione che suscitava lo spettacolare corteo di Federico II, l’alone arcano che accompagnava la corte, risuonano ancora nelle parole di Salimbene: «Eodem anno dominus imperator Fridericus misit elefantem in Lombardiam cum pluribus dromedariis et camelis et cum multis leopardis et cum multis derfalcis et asturibus. Et transierunt per Parmam, ut vidi oculis meis, et steterunt in civitate Cremone». Un favoloso riflesso dell’esotico corteo federiciano può cogliersi nelle sontuose cavalcate dei Magi, che nella pittura tardogotica assumono accentuate caratteristiche orientaleggianti, per la esibizione di cammelli, babbuini, leopardi, cani, falchi, pavoni e la sfilata di scudieri mori tra nobili cavalieri in vesti sfarzose.”25 Penso che di fronte a qualcosa di simile all’affascinante atmosfera che fa del corteo di Federico II una sorta di melting pot, sapientemente ricostruita dalla Calò Mariani, si devono trovare i cittadini di Verona

25 I due brani sono ripresi da M.S. CALÒ MARIANI, I fenomeni artistici come espressione del potere, p. 235. La prima citazione riportata dalla studiosa è in J.F. BÖHMER, Regesta imperii, V, 2098a. Nella sua interezza il passo suona così: ”Festinavit quantum potuit ad Reni confinia multisque principibus ei apud Ratisponam occurrentibus, prout imperialem decuit maiestatem procedens in magna gloria cum quadrigis plurimis auro argentoque onustis, bysso et purpura, gemmis atque preciosa suppellectili, cum camelis mulis atque dromedis, Sarracenos, quoque multos et Ethyopes diversarum arcium noticiam habentes cum symiis et leopardis, pecunias et thesauros suos custodientes secum adducens, in multitudine copiosa principum et exercitus Winpiam usque pervenit”. Lo possiamo così tradurre: ”Accorsi a quello molti principi presso Ratisbona, si affrettò quanto poté verso i confini del Reno e procedendo, in quanto si confaceva all’imperiale magnificenza, in grande gloria, con moltissimi cavalli carichi di oro e argento, lino e porpora, gioielli e suppellettili preziose, con cammelli, muli e dromedari e anche conducendo con sé molti saraceni ed etiopi, che avevano fama di arcieri e che, con scimmie e leopardi, custodivano le ricchezze e i suoi tesori, pervenne fino a Winpia nella copiosa moltitudine dei principi e dell’esercito”. La seconda citazione che la studiosa ci presenta è in SALIMBENE DE ADAM, Cronica, p. 135. La possiamo così tradurre: “In quello stesso anno il signor imperatore Federico inviò un elefante in Lombardia con parecchi dromedari e cammelli e con molti leopardi e con molti girifalchi e astori. E poi passarono per Parma, come vide con i miei occhi, e si fermarono nella città di Cremona”.

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proprio al momento che l’esercito di Federico si muove, nel 1237, per la seconda spedizione militare contro le città lombarde, spedizione che lo sta portando proprio alla fatidica vittoria di Cortenuova. Se a questo si aggiunge che i guardiani degli animali del serraglio imperiale sono spesso saraceni26 e che nel 1238 davanti alla stessa Verona Federico riceve le truppe islamiche inviategli in aiuto dall’amico sultano al-Kamil27, senza aggiungere la presenza nel regno di Sicilia di una città interamente abitata da musulmani (Lucera), l’interesse per la cultura islamica e la corte frequentata da studiosi arabi, ci rendiamo conto di quanto questo sovrano agli occhi dei veronesi fosse veramente il signore di tutte le parti del mondo e meritasse anche l’omaggio delle popolazioni orientali. Dunque l’affresco si lega a Federico II e principalmente a due avvenimenti della sua vita, ovvero la crociata e le spedizioni militari contro le città ribelli del nord Italia. Lo stretto rapporto con le iniziative belliche che hanno impegnato per diversi anni Federico nel nord Italia è confermato anche dalla presenza del trono a faldistorium che riprende la tradizione militare romana e che sicuramente, per le sue qualità di seggio ripiegabile e quindi facilmente trasportabile, è utilizzato dai sovrani medievali nei loro spostamenti e in particolar modo nelle spedizioni militari. Abbiamo visto che Federico possiede un trono proprio di tal fatta. Inoltre l’elemento romano e militare, che è alla basa di tutta la rappresentazione, è ancora una volta sottolineato dalla presenza nella fascia inferiore della stessa parete affrescata di una scena venatoria che “recupera una connotazione antico-romana, in cui la caccia era trasfigurazione simbolica delle virtù eroiche dell’imperatore”28. Come ha evidenziato lo Zuliani l’affresco sintetizza bene l’atmosfera trionfalistica che in quegli anni circonda la figura di Federico II. L’idea di una restaurazione dell’antico impero romano sembra prossima a verificarsi ora che l’imperatore ha riconquistato Gerusalemme, riceve l’appoggio ufficiale dei re europei, ha sconfitto con la vittoria di Cortenuova le città lombarde ribelli e il papa è incapace di qualsiasi contromossa. Che Federico, o chi per lui, in questo affresco celebri il suo trionfo e si presenti come Dominus

26 R. ELZE, La simbologia del potere nell’età di Federico II, p. 46. 27 F. ZULIANI, Gli affreschi duecenteschi del palazzo abbaziale di San Zeno, p. 28. 28 Ivi, p. 30.

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mundi è confermato anche dal luogo in cui è collocato, cioè sotto il vasto loggiato posto di fronte alla residenza imperiale che poteva fungere da anticamera di rappresentanza. A chiunque si presentasse al cospetto dell’imperatore quel dipinto ricordava chi egli fosse e quanto rispetto, quanta devozione e reverenza gli si dovesse. Abbiamo anche già avuto modo di notare come proprio da Cortenuova abbia inizio quel forte connubio tra impero medievale e antico impero romano che caratterizza le iniziative propagandistiche di Federico e il suo concetto di renovatio. Ritengo però che sulle finalità politiche che portano a un tal tipo di rappresentazione siano possibili ulteriori riflessioni. Al riguardo del rimando al mondo orientale e alla crociata lo stesso Zuliani propone di considerare la pittura come “un manifesto politico contro il papa, che era il più ostile al taglio dato da Federico ai suoi rapporti con il mondo islamico”29. Concordando con questa interpretazione ritengo che il richiamo alla crociata, che egli dirige personalmente e che lo porta alla riconquista di Gerusalemme, voglia sottintendere un messaggio di ben più ampia portata. Se guardiamo al manifesto che la cancelleria imperiale produce per celebrare la presa della città e l’incoronazione di Federico a re di essa il quadro risulta più chiaro. Nel brano relativo alla conquista infatti si afferma trionfalmente: “Il Signore Iddio stesso, che solo grandi miracoli compì, non dimentico dell’antica misericordia rinnova nel nostro secolo i miracoli che fece nel tempo antico, come sta scritto. Egli non sempre procede con carri e cavalli affinché risplenda al mondo la Sua potenza; ma, come ora, manifesta la Sua gloria per mezzo di una esigua schiera di uomini: affinché tutte le genti vedano e riconoscano ch’Egli è terribile nella Sua signoria, glorioso nella Sua maestà, miracoloso nei Suoi disegni sopra i figli dell’uomo; e volge i tempi a Suo grado e unisce in Uno i cuori di tutti i popoli. Perché in pochi giorni, grazie alla Sua forza più che al nostro valore, s’è felicemente compiuta quell’opera che, nei tempi andati, molti principi e vari potenti dell’orbe, né per folle di genti che avessero, né per timore che incutessero, né per altro, furono in grado di compiere”. Ed ora quello relativo all’incoronazione: “Il Signore onnipotente, che dal trono della maestà Sua a noi la riserbava, ci ha, per grazia particolare della Sua clemenza,

29 Ivi, p. 28.

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miracolosamente innalzato fra tutti i principi della terra: cosicché, mentre noi ci affidiamo al giubilo vittorioso di quest’alto onore, si sparga più e più fra le genti tutte la nuova che la mano del Signore ha compiuto tutto questo. E poiché tutte le cose recano l’impronta della Sua misericordia, tutti i credenti nella vera fede devono ormai riconoscere e proclamare a ogni luogo della terra, che Colui che è benedetto nei secoli ci ha visitato, ci ha creato liberatori del popolo Suo, e istituiti a pilastro della casa di Davide, suo figliolo”30. Ad una prima analisi il senso delle parole di Federico sembra essere tutto centrato da un atto di sottomissione a Dio. Infatti, insistendo sull’idea che la vittoria è in realtà opera di Dio e che lui si è limitato solamente a compiere quello che l’Altissimo aveva nei suoi disegni imperscrutabili già stabilito, sembra che l’imperatore faccia un atto di grande umiltà. In realtà questa insistenza nel rimettere nelle mani di Dio il suo operato permette all’imperatore di legare la sua persona e l’istituzione imperiale all’Essere supremo senza l’intermediazione papale. Secondo questa concezione l’impero ha una natura provvidenziale perché la sua attività “è costantemente ispirata e guidata dalla Provvidenza divina”31: ciò che ne deriva è che l’impero è

30 I due brani sono tratti da E. KANTOROWICZ, Federico II imperatore, pp. 184-185. Kantorowicz traduce i seguenti passi prodotti all’interno della cancelleria imperiale: “Laudemus et nos ipsum quem laudant angeli, quoniam ipse est dominus Deus noster, qui facit mirabilia magna solus quique antique sue misericordie non oblitus, ea miracula nostris temporis innovavit que fecisse legitur a diebus antiquis. Quia cum ipse, ut notam faciat potentiam suam, semper non in equis aut curribus glorietur, nunc dedit sibi gloriam in paucitate virorum, ut cognoscant et intelligant omnes gentes, quod ipse sit terribilis in magnificentia, gloriosus in maiestate et mirabilis in consiliis super filios hominum, cum in paucis diebus istis miraculose potius quam virtuose negatium illud feliciter sit peractum, quod a longis retroactis temporibus multi potentes et diversi principes orbis nec in multitudine gentium nec per metum aut quodlibet aliud facere potuerunt” (Vedi Legum Sectio IV, a cura di L. Weiland, II, n. 122, 1, p. 163) e “[...] Dominus omnipotens de throno maiestatis sue nos habendam previdens, de speciali gratia pietatis sue inter orbis principes nos mirabiliter exaltavit, ut sic, prosequentibus nobis tante dignitatis tripudium, que nobis competit iure regni, magis ac magis notorium universis appareat, quod manus Domini fecit hec omnia. Et cum miserationes eius super omnia opera sint eisdem, cognoscant orthodoxe fidei cultores de cetero et enarrent longe lateque per orbem, quod ille qui est benedictus in secula visitavit et fecit redemptionem plebi sue et erexit nobis cornu salutis in domo David pueri sui” (Vedi Legum Sectio IV, a cura di L. Weiland, II, n. 122, 5, p. 166). 31 A. DE STEFANO, L’idea imperiale di Federico II, p. 40.

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voluto da Dio e quindi capace di acquisire una connotazione di sacralità che lo pone al pari del papato e non in subordine. Se questo è il messaggio rivolto al papato un altro ben più terribile si viene scagliando contro le città lombarde ribelli: ‘Io sono il braccio armato di Dio che ha soggiogato l’Oriente’ sembra dire l’affresco di Verona ‘chi si oppone a me non ha speranza di vittoria’. Alla luce di quanto detto la vittoria di Cortenuova acquista i connotati di un giudizio divino, di uno scontro risolutivo tra bene e male. Possiamo dire che a Verona Federico celebra il proprio trionfo ed inoltre riesce ad assestare dal punto di vista propagandistico ed ideologico un duro colpo sia verso il papato che soprattutto verso i comuni ribelli. La ‘nobiltà d’animo’. Parlando dell’affresco del palazzo Finco a Bassano del Grappa abbiamo notato che l’identificazione del sovrano con Federico II non è universalmente condivisa. In particolare per l’Avagnina la stretta militanza della famiglia da Romano nello schieramento imperiale a partire dal 1232 e la fedeltà di Ezzelino III (1194-1259) legittimano fondatamente l’ipotesi che il dipinto sia stato realizzato come omaggio dei fedeli alleati a Federico II, in vista probabilmente di una visita a Bassano in occasione del suo soggiorno in compagnia della consorte Isabella d’Inghilterra a Padova nel 123932. A conferma di questa identificazione la studiosa porta anche l’evidente similitudine stilistica tra i personaggi qui raffigurati e i particolari dell’abbigliamento, delle acconciature, delle fisionomie carnose e arrotondate dei volti e della vivace pregnanza dei gesti e delle espressioni delle miniature riguardanti i falconieri della copia di età manfrediana conservata alla Biblioteca Apostolica Vaticana (manoscritto Palatino Latino 1071) del De arte venandi cum avibus.33 Effettivamente se guardiamo al sovrano notiamo quanto anche questa raffigurazione si avvicini stilisticamente ai prodotti del naturalismo gotico d’oltralpe. Notiamo, per esempio, l’attenzione posta nel rendere i dettagli della corona, oppure la

32 M.E. AVAGNINA, Un inedito affresco di soggetto cortese a Bassano del Grappa, p. 107. 33 Ivi, pp. 110-111.

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maestria nel rendere l’atto dell’omaggio floreale, con quel voltarsi di lato e protendersi verso la regina, che esprime una tensione dinamica che è assente dalle raffigurazioni precedenti e ancora merita di essere segnalato anche il particolare della cuffietta per i capelli, indumento di origine francese che non compare mai nelle altre raffigurazioni di Federico, mentre la troviamo abbondantemente nelle miniature del De arte venandi cum avibus. Il Pace ritiene che il tema di questa raffigurazione sia da considerarsi di carattere prevalentemente simbolico, senza un legame ad un sovrano preciso, quindi impossibile da identificare con Federico II e non accetta come probanti le dimostrazioni storiche e stilistiche addotte dall’Avagnina34. In particolare alla spiegazione dal punto di vista stilistico obietta che le miniature del De arte venandi cum avibus non sono, come abbiamo già detto, fedeli riproduzioni delle originali federiciane, ma liberi rifacimenti di età manfrediana e quindi comportano una posticipazione della data dell’affresco a dopo la morte dell’imperatore. Da parte mia ho invece collocato quest’opera tra le raffigurazioni di Federico II perché penso che sia dal punto di vista iconografico che da quello funzionale si possa legare all’azione propagandistica del sovrano nel nord Italia. Sul piano stilistico certamente ci sono analogie con lo stile gotico d’oltralpe, ma dobbiamo considerare che questa nuova corrente artistica, proprio durante il regno di Federico e proprio grazie al suo ruolo di committente, penetra anche in Italia35. Senza dilungarmi in una rassegna di carattere tecnico e stilistico dei manufatti artistici prodotti nell’ambito federiciano, che esulano dagli obiettivi di questo lavoro, voglio porre l’attenzione su di una specifica raffigurazione di Federico, ovvero il busto di Barletta. Ritengo che tra questo e il sovrano raffigurato a Bassano esistano alcune significative similitudini dal punto di vista stilistico. In entrambi i casi le figure presentano una lieve torsione del busto che esprime un‘idea di movimento tipica delle statue dell’arte gotica. Inoltre l’attenzione posta ai dettagli, che nel busto di Barletta si esprime attraverso la resa molto realistica delle rughe che contornano gli occhi e della nervatura 34 V. PACE, Pittura e miniatura sveva da Federico II a Corradino, p. 104 e 107. 35 Su questo argomento soprattutto si sono espressi il Bologna (Vedi F. BOLOGNA, I pittori alla corte angioina di Napoli 1266-1414, pp. 24-28) e il Prandi (Vedi A. PRANDI, Un documento d’arte federiciana, pp. 281-295).

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del collo e nell’affresco di Bassano nei fregi della corona, nell’ondulazione dei capelli e nella trama di rughe che caratterizza il volto, legano le due opere a quella corrente naturalistica che proviene dalla Germania e dalla Francia. Visto che, evidenziando le sue analogie con l’arte gotica d’oltralpe, abbiamo già datato il busto di Barletta agli anni 1245/50, nulla ci vieta di fare lo stesso con l’affresco di Bassano, magari propendendo più verso gli ultimi anni di questo periodo. In tal caso sarebbero anche più ammissibili le similitudini con la copia manfrediana del De arte venandi cum avibus la cui esecuzione, avvenuta tra 1258 e 1266, disterebbe così dal nostro affresco da un massimo di sedici ad un minimo di otto anni, contro i diciotto/ventisei anni della datazione proposta dall’Avagnina. Presupponendo questa datazione e la conseguente più forte influenza del naturalismo gotico, che sempre più si andava affermando nella penisola, è possibile pure spiegare la presenza delle rughe in queste due rappresentazioni, elemento che maggiormente compromette dal punto di vista iconografico l’identificazione con Federico II. Come abbiamo più volte evidenziato il sovrano predilige essere raffigurato con i lineamenti del volto piuttosto giovanili, quindi dovremmo escludere tutte le immagini che presentano i segni dello scorrere del tempo. Però nel caso specifico di queste due immagini penso che se assumiamo come attendibile la datazione che ho proposto si possa fare un’eccezione. Prendiamo in considerazione gli ultimi anni di vita dell’imperatore. Nel 1248 egli subisce la disfatta di Parma, nel 1249, a quasi cinquantacinque anni, patisce il tradimento del fidato Pier delle Vigne, scampa all’attentato del suo medico di fiducia e apprende la notizia che suo figlio Enzo è stato fatto prigioniero dai bolognesi. Dopo una vita piena di affanni, di campagne militari, di repentini spostamenti dalla Sicilia alla Germania, dal nord Italia alla Terra Santa, queste ultime vicende lo avranno certamente segnato nel fisico e nell’animo. Il suo volto sarà ora sensibilmente marcato dalle fatiche che il suo corpo e il suo spirito hanno dovuto sopportare per tanti anni e un artista formato all’esperienza della nuova corrente artistica proveniente dal nord Europa, tanto attenta ai particolari, non può più passar sotto silenzio quelle rughe che ormai sono sempre più pronunciate. Inoltre ostinarsi a presentare con i lineamenti giovanili un uomo che ormai sta per compiere il cinquantaseiesimo anno, età che

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all’epoca doveva considerarsi senile, può risultare controproducente se non quasi risibile. Dal punto di vista iconografico altri elementi ci permettono di legare il sovrano di Bassano con Federico II. La presenza del falco sulla mano della regina assume l’aspetto di un esplicito rimando alla caccia, l’attività preferita del nostro sovrano, mentre l’omaggio della rosa, il fiore per antonomasia dell’amore cortese, e l’esibizione del menestrello rinvierebbero all’altra sua grande passione, ovvero la poesia lirica, essendo egli stesso, come è noto, considerevole poeta e promotore nella sua corte della scuola poetica siciliana. In questo modo ritengo di aver dimostrato come dal punto di vista stilistico ed iconografico sia possibile identificare nell’affresco Federico II, ma ulteriori conferme le possiamo avere se ricerchiamo adesso le motivazioni politiche che avrebbero spinto l’imperatore a farsi rappresentare in un tale contesto. La prima ipotesi che possiamo avanzare è che Federico si faccia raffigurare ‘avanti negli anni’ in immagini di ambito privato, ma se così fosse perché mai nel busto di Barletta si presenta vestito alla ‘maniera antica’? Cioè, se veramente quel busto appartiene all’ambito privato non gli sarebbe stato più appropriato comparirvi abbigliato del vestiario medievale? E perché cedere al connotato realistico delle rughe per poi lasciare spazio alla finzione retorica della corona d’alloro che pare non abbia mai sfoggiato36? Secondo me la motivazione sta nel fatto che la presenza delle rughe non pregiudica il messaggio di valore politico e ideologico, cioè di natura ufficiale e quindi pubblica, che questa statua vuole esprimere. Allo stesso modo non dobbiamo pensare che a Bassano il ritratto di Federico - espresso “in termini del tutto inediti, in un contesto di cultura trobadorico-cortese e in una non altrimenti nota dimensione di disimpegnata ufficiosità, aliena da rigidi formalismi protocollari”37 - non nasconda fini propagandistici. Possiamo comprendere il ruolo politico svolto da questo affresco se guardiamo all’offensiva polemica a cui fece ricorso la curia papale. In essa è delineata un’immagine dell’imperatore a fosche tinte,

36 Infatti secondo lo Schramm (Vedi P.E. SCHRAMM, Le insegne del potere di Federico II, p. 80) Federico non si è mai cinto nella realtà di un serto d’alloro, corona che compare invece nel busto di Barletta. 37 M.E. AVAGNINA, Un inedito affresco di soggetto cortese a Bassano del Grappa, p. 107.

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demonizzandolo e accusandolo di assassinii, profanazioni di reliquie e di chiese, arrivando fino a muovergli contro accuse di eresia. Federico è il figlio ingrato della Chiesa, è l’uomo irreligioso, l’inventore dell’aneddoto dei tre truffatori (ovvero Mosè, Cristo e Maometto), l’imperatore che ha permesso che a Gerusalemme venga pubblicamente invocato il nome di Allah. E la sequenza delle accuse prosegue fino a vedere incarnato in lui niente meno che l’Anticristo38. Tutte queste calunnie tendono ad essere espresse con maggiore aggressività ed in maniera più massiccia con il trascorrere degli anni del regno di Federico e col farsi sempre più insanabile il dissidio col papa. Se già nel 1227 Gregorio IX aveva predicato contro Federico il giorno di San Michele paragonando l’imperatore al dragone sconfitto dal santo, ancora più espliciti si fanno i connotati di Federico quale Anticristo nelle grandi encicliche antiimperiali del 1239 - quando viene definito come ‘bestia quae ascendit de mari’ - e soprattutto con l’avvento al soglio pontificio di Innocenzo IV (1243) e la conseguente deposizione, sancita nel 124539. Il manifesto più impressionante, prodotto proprio in questi anni, è Iuxta vaticinium Ysaie che sconfina nell’apocalittico presentando con maggiore vigore che in passato un Federico II precursore dell’Anticristo, anzi addirittura l’Anticristo in persona: “Ma quando Michele per incarico della Vergine gloriosa combatté contro di lui, egli venne sconfitto e sorpreso dalla Chiesa nei suoi crimini. Scagliato sulla Terra come Satana, precipitò come un fulmine, perciò egli, il grande drago con la coda, non trascinò con sé la minima parte delle stelle che aveva aizzato, per traviare i buoni e profanare il tempio del Signore e i suoi sacramenti [...]. Egli si sollevò contro il cielo, precipitò i santi dell’Altissimo dalla volta celeste e dalle stelle uccidendoli, e poiché nelle fauci aveva tre file di denti, per monaci, chierici e innocenti laici, e poiché si servì dei suoi denti e dei suoi grandi artigli di ferro, alcuni li divorò infliggendo loro la pena capitale, altri li uccise con vari supplizi e annientò nelle prigioni.”

38 Per una rassegna delle accuse rivolte a Federico vedi G. BARONE, La propaganda antiimperiale nell’Italia federiciana, pp. 278-289; e W. MALECZEK, La propaganda antiimperiale nell’Italia federiciana, pp. 290-302. 39 G. BARONE, La propaganda antiimperiale nell’Italia federiciana, p. 287.

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Inoltre sempre in questo testo Federico viene definito come Faraone, Erode, Nerone, Babilonese e Giuliano l’Apostata.40 Dobbiamo anche segnalare il Grande piaculum (marzo 1248) nel quale l’imperatore viene apostrofato come il figlio del diavolo e il precursore dell’Anticristo, gli si rimprovera l’uccisione di vescovi siciliani ed alcuni tentativi di uccidere il papa, arrivando a fare appello ai crociati perché si muovano contro di lui piuttosto che contro saraceni o tartari41. Tra il 1248 e il 1250 spicca il Commento all’Apocalisse di Alessandro da Brema dove si tratteggia un sovrano nelle vesti di bestia apocalittica e persecutore della Chiesa42. Dal quadro qui esposto sembra che le accuse più forti nei confronti di Federico si concentrino proprio negli anni in cui abbiamo posto l’esecuzione dell’affresco di Bassano. Ciò sembra essere confermato anche dall’azione propagandistica dei legati papali, che si concentra soprattutto “fra la seconda scomunica dell’imperatore e la sua morte” e in particolar modo dalla predica intensiva della crociata nei suoi confronti che inizia “solo dopo la deposizione, con la bolla formale dei crociati del 27 giugno del 1246”43. Se guardiamo anche alla cronachistica cittadina notiamo come negli stessi anni si verifichi un cambiamento nell’interpretazione dei fatti salienti della vita di Federico, più precisamente “nel declinare degli anni Trenta, con la lotta esplosa appieno tra Federico e i

40 L’analisi del manifesto papale Iuxta vaticinium Ysaie, nonché il passo che ho qui citato è tratto da W. MALECZEK, La propaganda antiimperiale nell’Italia federiciana, p. 301. Il testo del manifesto papale nella sua originaria versione in latino suona così: “Set Mychaele pugnante cum eo de mandato virginis gloriose, victus est et ab ecclesia in suis sceleribus deprehensus isque ad instar Sathan cecidit sicut fulgor in terram prostratus, propter quod tamquam draco magnus cauda sua stellarum non minimam partem secum traxit, quas fecit apostatos ad temptandum bonos et ad prophanandum templum domini et ecclesiastica sacramenta. [...] Magnificatus est usque ad celum, deiecit de celi fortitudine ac de stellis sanctos altissimi conterens, habensque tres in ore dentium ordines adversus religiosos clericos et laycos innocentes gestansque dentes et ungues ferreos atque magnos comedit quosdam dictando in eos mortis sententiam, comminuit alios penis diversis et reliquos in carceribus pedibus conculcavit” (Vedi E. WINKELMANN, Acta imperii inedita, II, p. 710). 41 W. MALECZEK, La propaganda antiimperiale nell’Italia federiciana, pp. 301-302. 42 G. BARONE, La propaganda antiimperiale nell’Italia federiciana, p. 288. 43 Le due frasi citate sono riprese da W. MALECZEK, La propaganda antiimperiale nell’Italia federiciana, p. 291.

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lombardi e, specialmente, con la definitiva scomunica dell’imperatore nel 1239; credo però che il vero passo finale, il salto decisivo si sia compiuto con il tracollo imperiale a Vittoria, nel 1248, e – seppure in modo meno influente – con la cattura di re Enzo nel 1249: due eventi in grado di incidere in modo fortissimo sull’immagine dell’imperatore, sui modi della sua percezione nella sensibilità collettiva, sulle interdizioni culturali e sui condizionamenti di ordine etico-politico che ne accompagnavano la persona e il ruolo”. Sarà proprio da questo momento che avverrà “il passaggio dalla turbata coscienza degli eventi alla loro rilettura mitizzata ed enfatica”44. Insomma quello che sto cercando di dire è che in questi anni sta prendendo forma quella sorta di ‘mito di Federico’ che possiamo così riassumere con le parole di Franco Cardini: “Se da una parte per i suoi fedeli il sovrano era «Stupor mundi» e «Restitutor Orbis, Novus Christus Domini» e «Lex animata in terris», la propaganda guelfa – della quale si sarebbe fatta voce un Salimbene da Parma – insisteva sulla scomunica che gli pesava addosso, dilatava i suoi gesti di arbitrio e di crudeltà, lo diceva eretico – un tema raccolto dallo stesso Dante – e insinuava addirittura che si fosse fatto segretamente musulmano”45. Che queste siano solamente voci messe in circolazione dalla propaganda pontificia per creare una figura dell’imperatore che riassuma in sé tutti i connotati che la società medievale considera come i più negativi è confermato anche dalle parole del De Stefano quando sostiene che “parecchie delle più gravi accuse in materia di fede, fatte dai Papi a Federico, sono sostanzialmente false”46. In una situazione del genere, in cui tutte le forze avverse al nostro sovrano si concentrano nello screditarlo e presentarlo come il dragone dell’Apocalisse e l’Anticristo, l’affresco di Bassano acquista il valore di manifesto politico celebrante un’immagine di Federico cortese, nobile e gentile, che si oppone completamente a quella diffusa dalla propaganda papale. La presenza di questa specie di ‘riabilitazione’ della figura di Federico II proprio nei territori della marca Trevigiana si spiega meglio se consideriamo che il signore di quelle terre, Ezzelino da Romano, è politicamente alleato di Federico, come lui

44 I due passi citati sono ripresi da G. ORTALLI, Federico II e la cronachistica cittadina, p. 261- 263. 45 F. CARDINI, Federico II, p. 453. 46 A. DE STEFANO, L’idea imperiale di Federico II, p. 193.

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accusato delle peggiori nefandezze e scomunicato nel 125447. Ne consegue che la redenzione del sovrano svevo acquista un doppio valore perché permette di recuperare anche la fama di Ezzelino, valido alleato per le lotte nel nord Italia contro i comuni ribelli. Concludendo se la mia disamina dal punto di vista stilistico e storico è corretta l’affresco di Bassano del Grappa acquista un ruolo importante all’interno dello scontro che vede impegnato Federico II contro il papa e i comuni, perché esempio di come le forze in campo sanno sfruttare con abilità tutti i mezzi della propaganda politica e dello scontro ideologico. Anche nel caso in cui l’esecuzione di questo affresco fosse da datare ad epoca post federiciana penso che la sua funzione politica sia egualmente valevole all’interno del mondo comunale italiano diviso dalle lotte tra guelfi e ghibellini, perché il mito dell’imperatore prosegue anche successivamente alla sua morte ed anzi si intensifica e si colora di tinte più vivaci.

47 Per una rapidissima rassegna su Ezzelino vedi P. GRILLO, Un magnifico tiranno, pp. 83-87.

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II.4.

L’ideologia politica.

La sacralità dell’impero. Parlando dello scrigno-reliquiario di Carlo Magno abbiamo già accennato come quest’oggetto e le relative statuette raffiguranti tutti gli imperatori esprimessero simbolicamente il tentativo di Federico II di allinearsi ai principi ideologici che avevano caratterizzato la politica dei suoi predecessori svevi. In particolare si cerca di stabilire un forte legame con l’impero franco e il suo concetto di renovatio e di celebrare nell’imperatore la funzione di protettore della Chiesa e di capo militare nella crociata contro gli infedeli, proprio sull’esempio di quel Carlo Magno Rex christianissimus che aveva combattuto contro i musulmani in Spagna e i pagani sassoni. Quanto Federico sia sensibile a questi argomenti lo dimostra il fatto che proprio a termine della cerimonia d’incoronazione avvenuta ad Aquisgrana nel 1215 lo stesso imperatore impugna la croce come atto simbolico, compiuto di fronte a tutti gli astanti, del suo prossimo impegno come crociato in Terra Santa, voto già del nonno Federico I Barbarossa e del padre Enrico VI. Ma c’è un altro aspetto che dal punto di vista simbolico lo scrigno-reliquiario sta a rappresentare: il tentativo di sacralizzare l’istituzione imperiale in sé, liberandola così dall’ingerenza papale. Nel 1165 Federico Barbarossa fece proclamare santo Carlo Magno senza il consenso della Chiesa di Roma. L’obiettivo della santificazione del fondatore del Sacro Romano Impero è espresso proprio nello scrigno-reliquiario perché circondando il corpo di questo venerando personaggio con le statuette di tutti gli imperatori si vuole creare una sorta di trasmissione della dignità sacrale, in modo che la santità di Carlo investa tutti gli imperatori fino a permeare di sé

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l’impero stesso1. Inoltre la serie delle effigi raffiguranti i vari imperatori stanno a sottolineare, come abbiamo già visto, la continuità dell’impero che è considerato come un qualcosa di continuo che, senza cesure e senza pause, prosegue la sua funzione politica ininterrottamente sin dai tempi di Carlo Magno. In tal senso anche lo scrigno-reliquiario, sottolineando la continuità di un’istituzione che non muore mai e che sarebbe esistita sino alla fine dei tempi, celebra il carattere provvidenziale dell’impero. Ne deriva che se l’impero è istituito da Dio la sua caratteristica predominante sarà quella di essere sacro e che tale sacralità non gli deriva dal volere papale, ma grazie alle sue qualità intrinseche. Un’iniziativa del genere è del resto in piena sintonia con quella che a partire dall’XI secolo porta le grandi monarchie europee, nel tentativo di legittimare il loro potere, ad attribuire alla propria dinastia una dignità sacrale2. E a tal proposito possiamo portare l’esempio di un altro gesto carico di implicazioni simboliche compiuto da Federico II. Nel 1236 Federico presiede in Marburgo alla cerimonia per la traslazione di santa Elisabetta di Turingia, figlia di Andrea II d’Ungheria e sposa del langravio di Turingia, cugino in terzo grado dell’imperatore. In questa occasione è ancora il sovrano stesso, come in occasione della traslazione del corpo di Carlo Magno, a collocare le spoglie della santa in una tomba e a cingerle la testa, rimossa dal corpo per farne una reliquia, con una sua corona. Sicuramente alla base di questo gesto c’è il tentativo da parte dell’imperatore “di coniugare il motivo non occultabile dell’affectio sanguinis per una lontana parente assurta di recente alla santità con il più ostensibile motivo della sancta devotio per la pia donna, che Elisabetta era stata, prima di sposarsi, da sposata e, poi, da vedova” ed inoltre l’ “intento pratico di presentare un’immagine di sé che valesse a scongiurare le nubi che già si stavano addossando sul suo capo ad opera di Santa Romana Chiesa”3. Ma più significative ci appaiono le motivazioni addotte dall’Arnaldi: “La possibilità che l’alone della santità si estendesse, come per contagio, fino a raggiungere un lontano cugino era, dunque, da tenersi 1 M. BACCI, Artisti, corti, comuni, p. 644. 2 Ibidem. 3 Per queste interpretazioni formulate dallo Schramm vedi G. ARNALDI, Federico II nelle ricerche dello Schramm, p. 32.

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nel debito conto. Anche la corona mobile, che circondava il capo di Elisabetta, e avrebbe potuto un giorno essere usata per incoronare un’imperatrice, dovette essere concepita in questa prospettiva di santità espansiva e contagiosa. Federico insiste troppo sul carattere disinteressato di quel suo indugiare nelle lodi di Elisabetta, perché gli si possa prestare fede fino in fondo”4. In altre parole si esplica “il desiderio di acquisire alla casa imperiale, sia pur attraverso l’adozione della moglie di un secondo cugino, una santa e un centro cultuale”5. Questo intento è motivato come ad Aquisgrana dalla ricerca di una sacralità che, emanata qui da una lontana parente dell’imperatore lì dal fondatore stesso dell’impero, irradi il sovrano e la sua dinastia connotandoli di un alone sacrale. In risposta al sempre crescente potere papale gli imperatori insistono sulla sacralità dell’impero perché vogliono così legittimare la discendenza divina di quest’ultimo in modo da porlo, dal punto di vista politico, quanto meno alla pari del papato. Quanta importanza si attribuisca a questa disputa ideologica è confermato anche dal fatto che l’imperatore cerca di investire l’impero della sacralità divina e farlo strumento del volere dell’Onnipotente anche tramite l’adozione dei principi del diritto romano. Grazie all’adozione di questa ‘sacralità alternativa’ Federico può contrapporre al concetto espresso da Innocenzo III di sole simbolo del Sacerdozio e di luna simbolo dell’Impero - in quanto il secondo dei due poteri è subordinato al primo - il principio dei ‘due luminari’ che si basa sull’istituzione della sancta ecclesia e del sacrum imperium con pari diritti e pari doveri, cioè di due “istituzioni ugualmente provvidenziali e divine, non solo per l’universalità del potere ma anche e soprattutto per una particolare disposizione di Dio”6. Visto in tale contesto lo scrigno-reliquiario acquista il ruolo di simbolo del sacro impero che fa della Cappella Palatina di Aquisgrana, il sancta sanctorum della imperialis ecclesia. 4 Ivi, p. 33. 5 D. ABULAFIA, Federico II, p. 207. 6 A. DE STEFANO, L’idea imperiale di Federico II, pp. 140-143; mentre la frase citata è ripresa da Ivi, p. 148.

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I due poteri. Un’idea del rapporto esistente tra potere spirituale e potere temporale nella concezione dell’impero di Federico II ce la possiamo fare analizzando la miniatura dell’Exultet di Salerno. Questa immagine raffigurante il sovrano in qualità di autorità temporale è da considerarsi in pendant con l’immagine sottostante raffigurante il papa come autorità spirituale. Esse servivano ad illustrare il testo del preconio pasquale e, nello specifico della miniatura del nostro imperatore, il momento della commendatio per il principe, cioè la raccomandazione del sovrano che il popolo presente all’interno della chiesa la notte del sabato santo rivolgeva a Dio. Questo genere di preghiere giocava già un ruolo importante nella liturgia del primo cristianesimo durante la tarda età imperiale. Con la restaurazione, prima carolingia e poi ottoniana, dell’impero la commendatio tornò ad assumere una parte importante all’interno della celebrazione eucaristica, dimostrando una linea di continuità istituzionale tra l’impero tardo antico e il Sacro Romano Impero sia franco che germanico. Ciò dimostra come in origine fosse stretta la relazione tra la Chiesa e gli imperatori interpretati come i difensori della fede e della cristianità e giustifica la presenza di quest’ultimi all’interno dei rotoli dell’Exultet proprio in associazione alle immagini riguardanti i pontefici7. Dobbiamo quindi considerare questa miniatura come il prodotto di una felice collaborazione tra impero e papato che eccezionalmente riesce ad esistere anche durante i burrascosi anni di regno di Federico II, o almeno fino alla prima scomunica del 1227. Infatti l’opera viene datata non oltre il 1222 nel caso che sia l’arcivescovo Niccolò d’Ajello il committente, oppure non oltre il 1227 qualora sia l’imperatore a volere la sua esecuzione8. Inoltre, se consideriamo che stando a quanto sostenuto dal Ladner questo è un tema principalmente imperiale, dobbiamo collocare la sua esecuzione successivamente all’incoronazione imperiale avvenuta a Roma, quindi tra 1220 e 1227, anni in cui siede sul soglio pontificio un papa certamente più accomodante come Onorio III. 7 G.B. LADNER, The “portraits” of emperors in the southern italian Exultet rolls and the liturgical commemoration of the emperor, pp. 320-322 e pp. 332-334. 8 V. PACE, Miniature di testi sacri nell’Italia meridionale al tempo di Federico II, p. 437.

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L’eccezionalità di questa immagine di Federico II sta nella constatazione che è l’unica che si lega fermamente ad un contesto religioso. Infatti anche se il rilievo del pulpito di Bitonto è collocato all’interno del duomo, l’affresco di Verona in un edificio abbaziale e lo scrigno reliquiario di Aquisgrana nella cappella del palazzo, dobbiamo considerare che tutte e tre queste immagini non hanno una funzione attiva all’interno delle celebrazioni religiose come invece avviene nel caso del rotolo dell’Exultet. A questo si aggiunga che nel caso di Verona e di Aquisgrana gli ambienti in cui le immagini sono conservate, pur essendo pertinenti al mondo ecclesiastico, sono fortemente uniti da vincoli di fedeltà all’impero, anzi, nel caso della cappella palatina di Aquisgrana, un simbolo stesso dell’impero. La situazione è ben diversa nel caso del duomo di Salerno sul quale il peso politico dell’imperatore svevo è meno rilevante anche a causa delle sempre maggiori pressioni papali. I pontefici del Duecento svolgono una politica molto più aggressiva nei confronti del potere secolare rispetto a quella dei loro predecessori che con il concordato di Benevento (1156) avevano concesso a Ruggero II importanti autonomie in ambito ecclesiastico. In merito alle procedure di elezione e di successione del clero Norbert Kamp ha affermato che “i risultati conseguiti a Benevento, per il re, rappresentarono solo un successo temporaneo, poiché il diritto d’elezione del clero continuò a figurare nell’ordine del giorno di sinodi e concili, e in ogni papa trovò un nuovo difensore. Sotto il segno di un mutato equilibrio politico, dopo la morte di Guglielmo II, fu quasi inevitabile adeguare gradatamente le prerogative del re siciliano ai parametri europei. L’imperatore Federico II sanzionò quest’evoluzione ormai giunta a compimento, quando nel 1230, negli articoli della pace di San Germano, dichiarò vincolanti per il regno le norme prescritte dal Concilio Laterano nel 1215 in materia di elezioni”9. Nel periodo in cui verosimilmente la miniatura della quale stiamo trattando venne prodotta l’influenza di Federico nel condizionare la politica dei vescovi all’interno dei territori del regno è sicuramente in ribasso, quindi i toni di questa raffigurazione saranno il più possibile concilianti. Se leggiamo quest’immagine come il prodotto del pacifico rapporto che caratterizza il primo periodo del regno di Federico, non

9 N. KAMP, Potere monarchico e chiese locali, p. 89.

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dobbiamo tenere in gran conto le considerazioni che su di essa ha fatto il Pace: “A conclusione della sequenza illustrativa, l’immagine del «monarca» pare qui siglarne trionfalmente il ruolo, con la sua spiccata monumentalità che lo evidenzia «visivamente» assai più del sottostante pontefice (anche se ciò avviene perché su questi incombe il simbolico edificio ecclesiale retrostante). Non soltanto: la sua veste verde, su una sottostante «tunica intima» rossa (evidenziata dalle maniche) con gallone dorato – a mo’ di loros - riprende punto per punto il sistema coloristico usato per il Cristo Bambino in grembo alla Madre in un illustrazione di poco anteriore [nel senso che occupa una pagina precedente dello stesso rotolo dell’Exultet], così come, con la sola eccezione della spalliera, è identico il trono dorato con la sua stoffa. Che tutto ciò si spieghi solo con la prassi operativa dell’illustratore (del «coloritore») e senza nessuna implicazione ideologica, mi parrebbe soluzione troppo semplicistica, sia per quanto sappiamo sulle specifiche valenze dell’«iconografia del colore», sia perché la tradizione normanna (per limitarci ad essa, senza valicare le alpi per addentrarci nei territori svevi) aveva già consapevolmente usato procedimenti analoghi di «politica d’immagine» - si ricordi la «Cristomimesi» di Ruggero II alla Martorana”10. Se così fosse sarebbe l’unico esempio di volontà cristomimetica di Federico II, ma se postuliamo, come tra l’altro lo stesso Pace fa, che “in questo rotolo vada colta una rara testimonianza di «consenso» fra l’imperatore e le gerarchie ecclesiastiche, che presto i successivi e tempestosi eventi avrebbero fatto dimenticare”11 non si capisce il motivo per cui l’arcivescovo di Salerno accetti l’identificazione tra Federico e Cristo, visto che questa si oppone apertamente alla propaganda politica di ambito papale che vede nel pontefice l’unico e solo vicario di Dio. Inoltre è ancora lo stesso Pace che ci offre una spiegazione alternativa all’utilizzo del verde per colorare la veste

10 V. PACE, Miniature di testi sacri nell’Italia meridionale al tempo di Federico II, p. 437. 11 Ibidem.

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dell’imperatore quando afferma che tale colore “riflette una predilezione e un uso testimoniati dalle fonti per Federico II”12. Quindi non si dovrebbe insistere troppo sulle analogie con la figura del Cristo perché in realtà non è intenzione del miniatore presentare l’imperatore con attributi divini ma come il detentore di un potere limitato alla sfera temporale e alle cose di questo mondo. L’imperatore dell’Exultet di Salerno, secondo quanto proposto dal Carucci, non appare come deus praesens alla maniera dell’iconografia bizantina, perché il tema che si vuole esprimere non è quello del carattere sacro del principe, ma del suo potere e della sua autorità in ambito temporale, l’assenza dell’aureola è indicativa in tal senso13. Quello che qui si vuole esprimere è una teoria che vede i due poteri, quello papale e quello imperiale, collaborare insieme, pur rimanendo autonomi, all’interno della società cristiana pensiero che caratterizza ora con maggiore ora con minore intensità il rapporto di Federico con la chiesa per tutta la durata del suo regno. In uno scritto polemico nei confronti di Gregorio IX, attraverso la metafora delle ‘due luci’, Federico chiarisce il rapporto tra impero e papato. Come Dio aveva creato nell’universo sole e luna per meglio indirizzare l’uomo così sulla terra erano stati istituiti papato e impero affinché il genere umano fosse disciplinato da una doppia briglia. Ma come in cielo i due astri coesistono uno accanto all’altro senza che il corso del primo disturbi quello dell’altro, così deve essere tra i due massimi poteri terreni che devono rimanere indipendenti ed autonomi. Si noti che proprio paragonando l’impero alla luna Federico dimostra di non aver assolutamente intenzione di voler stabilire una supremazia imperiale su quella papale14. Possiamo dire che con Federico II prevale apertamente “il concetto dell’assoluta uguaglianza dei due poteri”15, in altre parole quello che l’imperatore vuole sottolineare è che le due potenze universali dell’impero e del papato, che agiscono autonomamente in due ambiti

12 V. PACE, H. HOUBEN, L’identità di Federico II, p. 186. Una conferma sull’uso di abiti verdi è data anche da Kantorowicz (E. KANTOROWICZ, Federico II imperatore, nota p. 366) 13 A. CARUCCI, L’exultet salernitano, p. 139. 14 Sulla teoria delle ‘due luci’ sostenuta da Federico vedi E. KANTOROWICZ, Federico II imperatore, p. 496 e nota p. 523; e A. DE STEFANO, L’idea imperiale di Federico II, pp. 140-143. 15 Ivi, p. 140.

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diversi, hanno eguale dignità - perché dotate delle stesse prerogative carismatiche e atte a far realizzare all’uomo la sua missione non solo terrena ma anche celeste – e per questo possono operare autonomamente perché entrambe volute da Dio e quindi ispirate dalla grazia divina16. Il nostro imperatore ben sintetizza la sua concezione di azione congiunta del potere imperiale (temporale) con quello papale (spirituale) in una lettera indirizzata a Gregorio IX, dove ricorre ad un’originale variante dell’immagine delle due spade. La grazia divina, si sostiene in questo scritto, è all’origine dei due poteri entrambi i quali devono occuparsi dell’affermazione della vera fede. In tal senso queste due potestà vengono considerate non come ‘due spade’ secondo la tradizionale interpretazione gelasiana, ma come una sola. Ne deriva che le prerogative della sovranità discendono direttamente da Dio senza la mediazione del papa17. Si noti per inciso che così la Chiesa non ha più diritto di esercitare alcuna supremazia sull’Impero. Quello che quindi si viene ad esplicare nelle miniature di Salerno è una perfetta sintesi della teoria delle due luci. All’interno del rotolo troviamo il papa e l’imperatore perché per tutti e due il popolo si raccomanda a Dio, perché tutti e due sono i punti di riferimento fondamentali che gli uomini hanno sulla terra e perché tutti e due regolano ed indirizzano l’esistenza terrena, - l’uno dal punto di vista spirituale, l’altro dal punto di vista temporale - proprio come il sole e la luna fanno nell’universo. Per motivi tecnici le due immagini sono poste una sopra all’altra ma in realtà è come se fossero una accanto all’altra, unite e distinte, una cosa sola pur essendo due. Lo stato ‘laico’. Nel visionare ed analizzare le immagini raffiguranti re ed imperatori medievali abbiamo notato come ad un certo punto la figura del sovrano seduta in trono non è più incoronata da Dio o da Cristo né intorno ad essa prendono posto santi o angeli. Queste peculiarità caratterizzano anche le raffigurazioni di Federico II. A parte monete e 16 Per questa disamina sulla concezione federiciana del rapporto tra papato e impero vedi Ivi, p. 25-27, p. 36 e p. 48. 17 Sulla teoria riguardante le ‘due spade’ espressa da Federico vedi P. LANDAU, Federico II e la sacralità del potere sovrano, pp. 43-44.

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sigilli, nei quali tradizionalmente non troviamo mai questi elementi, tale assenza si fa più significativa proprio nelle miniature e negli affreschi, soprattutto in quelli dove compare il sovrano assiso in maestà, in quelle immagini cioè, dove si vuole evidenziare e rendere il più possibile manifesto da dove il monarca deriva la legittimità ad esercitare il suo potere. Abbiamo visto come proprio in queste immagini, penso alle miniature bizantine o a quelle ottoniane, il sovrano è presentato incoronato da Cristo, o circondato dai santi. Diversamente se prendiamo in considerazione quelle relative a Federico, per esempio quella dell’Exultet di Salerno, della Chronica Regia Coloniensis, o del De arte venandi cum avibus, subito ci accorgiamo che in questi casi intorno all’imperatore non è raffigurato nessuno e la corona è ben salda sulla sua testa senza che Dio o chi per lui ce la collochi. Penso che il messaggio politico ed ideologico che un tale modo di raffigurare il sovrano vuole esprimere si possa spiegare prendendo in considerazione alcune raffigurazioni successive. A tal proposito la situazione dei re di Castiglia risulta esemplare e ci fornisce uno spunto per meglio comprendere questa peculiarità dell’iconografia federiciana. I sovrani di Castiglia-Léon salgono al trono principalmente per diritto di lignaggio, per acclamazione popolare o con l’uso della forza. Pochi monarchi vengono incoronati o consacrati e le rare volte che avviene scaturisce dal fatto che giudicano necessario o comunque opportuno giovarsi di questo evento davanti ai sudditi. Ne consegue che il loro potere non è mediato dalla Chiesa o dai suoi rappresentanti e che il passaggio al titolo ed all’autorità sovrana è contrassegnato da simboli, rituali e cerimonie di particolare sapore secolare e marziale. Anche se nelle fonti documentarie e letterarie questi re si servono di simboli religiosi per promuovere e definire la natura del loro potere, se si guarda ai sigilli e agli stemmi si nota come i re di Castiglia scelgano immagini totalmente laiche. Anche i cronisti danno maggior enfasi alla natura marziale della monarchia attribuendo alle vittorie militari riportate nella Reconquista un forte potere legittimante18. Se guardiamo ad un paio di immagini raffiguranti Alfonso X ‘il saggio’ (1252-1284) e Juan I (1379-1390) ambedue re di Castiglia (fig. 45 e 46) possiamo notare che vi sono analogie con le suddette raffigurazioni di Federico II. Anche qui non

18 Per questa analisi della monarchia castigliana vedi T.F. RUIZ, La formazione della monarchia non consacrata, pp. 231-246.

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c’è alcun elemento che lega i due sovrani alla sfera sacrale, infatti l’incoronazione non avviene tramite la mano di Dio e i due non sono circondati né da santi né da angeli. Se spieghiamo queste caratteristiche iconografiche come un tentativo di esprimere il carattere laico della regalità castigliana, possiamo considerare tali principi ideologici alla base anche delle raffigurazioni di Federico. Principalmente insisterei non tanto sul carattere marziale - infatti abbiamo visto come la spada, o un qualsiasi altro oggetto militare, non compare mai nelle raffigurazioni di Federico mentre sostituisce lo scettro nella miniatura riguardante Juan I di Castiglia – quanto su quello della legittimazione al regno espressa tramite l’acclamazione popolare e il diritto di lignaggio. Sembrerebbe che nelle raffigurazioni dei sovrani della seconda metà del XIII e del XIV secolo si voglia esprimere qualcosa di diverso rispetto a quelle precedenti e che vi si sottintenda un cambiamento avvenuto a livello politico ed istituzionale. Perché non si raffigura più il sovrano mentre è incoronato o benedetto da Dio o da Cristo? Penso che una motivazione sia da imputare al fatto che in questo periodo la Chiesa avoca sempre più esclusivamente a sé l’autorità di attribuire ai re la grazia divina tramite l’unzione e l’incoronazione. In una tale situazione rappresentare il sovrano incoronato da Dio in qualche modo concede un’ulteriore opportunità alle pretese di coloro che materialmente compiono quel gesto, cioè alle alte cariche ecclesiastiche. Perciò le monarchie d’Europa e principalmente l’impero germanico da questo momento entrano in una crisi profonda e “sono costretti ad accettare la sfida di produrre una propria definizione della loro legittimazione e del loro diritto”19. Sembrano confermare questa tesi le parole del Bloch: “Venne però un momento in cui i campioni del temporale presero coscienza più nettamente che in passato, del pericolo potenziale per le monarchie nell’apparire troppo strettamente dipendenti da una sanzione concessa dalla Chiesa. Queste inquietudini sono manifeste, in modo pittoresco, in una curiosa leggenda storica, nata verso la metà del secolo XIII negli ambienti italiani favorevoli agli Svevi [tale leggenda è riportata nel manifesto di Manfredi ai romani del 24 maggio 1265]: si immaginò che l’incoronazione imperiale di Federico Barbarossa fosse stata una cerimonia puramente laica;” e ancora lo

19 D. MERTENS, Il pensiero politico medievale, p. 46.

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storico francese prosegue “i teorici di questa parte si diedero a ridurre la consacrazione ad essere, in diritto pubblico, il semplice riconoscimento di un fatto compiuto. Secondo questa tesi, il re derivava il suo titolo unicamente dall’eredità, oppure in Germania, dall’elezione; è re sin dal momento della morte del predecessore o dal momento in cui gli elettori qualificati lo hanno designato; le pie solennità che si svolgevano poi avranno soltanto lo scopo di ornarlo, dopo il fatto, di una consacrazione religiosa, venerabile, prestigiosa, ma non indispensabile. Questa dottrina sembra aver visto la luce per l’appunto nell’Impero, patria classica della lotta fra i due poteri”20. Quindi tale cambiamento iconografico sarebbe un riflesso della ben più importante novità che sta penetrando all’interno delle teorie basso medievali riguardanti la monarchia, nel tentativo di trovare una fonte di legittimità alternativa a quella ecclesiastica. Risposte positive in tal senso giungono dal riscoperto diritto romano, grazie al quale i re e l’imperatore possono “attribuire alla loro posizione nel regno carattere di indipendenza, in modo simile all’elevazione sacrale proveniente al rex Dei gratia e vicarius Christi dall’unzione” arrivando, come vedremo meglio tra poco, fino a concepire il sovrano “come legislatore che non decide più «secondo diritto» in una procedura giudiziaria, bensì emana leggi «nella pienezza del suo potere»”21. Inoltre ritengo che un tipo di raffigurazione del sovrano che si conforma a queste caratteristiche iconografiche esprima anche un cambiamento a livello politico-istituzionale. Dopo la moltiplicazione dei poteri locali che tra X e XI secolo aveva dato vita al fenomeno dell’ ‘incastellamento’ nel corso del XII e XIII secolo, come sappiamo, si riaffermano potenti monarchie che tendono ad assumere sempre più dimensione nazionale, assorbendo al loro interno tutti i poteri locali. Obiettivo di questi regni è quello, come possiamo vedere in Francia ma anche nella Sicilia normanna e poi sveva, di raggiungere un assetto interno sempre più omogeneo e centralizzato. Dal XIV secolo tali iniziative diventano tanto pressanti da soppiantare quasi completamente i precedenti poteri locali alla ricerca della formazione di uno stato assolutistico di stampo moderno. In una società in cui il potere signorile sta allentando la sua presa, anche se il

20 I due passi sono tratti da M. BLOCH, I re taumaturghi, p. 167. 21 Ambedue le asserzioni sono tratte da D. MERTENS, Il pensiero politico medievale, p. 90.

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suo annientamento è ancora lungi dall’avverarsi, anche la rappresentazione della trasmissione del potere assume delle modifiche. In tal senso non sarà più necessaria la raffigurazione dell’investitura divina perché nel passaggio dell’autorità politica si insite su altri elementi. Ricapitolando in questo genere di raffigurazioni tutto sembra voler sottolineare un importante cambiamento dal punto di vista ideologico e istituzionale che investe la concezione e la legittimazione del potere monarchico. Se guardiamo all’ideologia politica del nostro imperatore possiamo trovare importanti conferme in tal senso. Infatti se riassumiamo tutti i principi che abbiamo considerato sottesi a questo genere di immagini notiamo come essi concordano con le principali iniziative politiche di Federico II: 1) la liberazione della legittimazione del potere dall’influenza della Chiesa. Abbiamo visto che tramite la riscoperta del diritto romano e il tentativo di creare una sacralità alternativa nell’istituzione imperiale il nostro sovrano cerca di legittimare il suo potere senza l’intromissione delle gerarchie ecclesiastiche. Una conferma indiretta in tal senso ce la dà il Bologna quando correggendo la datazione del perduto mosaico dell’abside della chiesa di Santa Maria della Scala detta la “Badiazza” convalida l’ipotesi che è intenzione dell’imperatore svincolarsi dall’autorità della Chiesa. Qui secondo la testimonianza di Monneret de Villard Federico II si sarebbe fatto raffigurare nel 1240 umilmente inginocchiato ai piedi di san Pietro, ma ribatte lo studioso: “Se nel mosaico Federico di Svevia era «umilmente figurato ai piedi del Vicario di Cristo, Pietro l’Apostolo», cioè d’una immagine la cui simbologia era inscindibile, per i tempi, dalla sede pontificia di Roma e dal Papa continuatore di Pietro, è quanto meno improbabile che ciò avvenisse nel 1240. Federico, scomunicato una prima volta nel 1228, una seconda nel 1239, era allora in lotta aperta con Gregorio IX e le sue truppe guerreggiavano nel territorio di San Pietro; il papa negli stessi giorni portava in processione per le vie di Roma, a titolo propiziatorio e rivendicativo, proprio le reliquie dei santi Pietro e Paolo. Viceversa, l’assetto iconografico del mosaico diviene storicamente probante se lo si riferisce agli anni anteriori al 1212, quando Federico, che era rimasto sotto la tutela di Innocenzo III fino al 26 dicembre 1208, si trovava in rapporti stretti col papa per le vicende di Germania, che spingevano al sud Ottone IV di Brunswick; tanto più che quel legame, con un papa così perentorio e ierocrate, non

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poteva essere concepito che in un solo modo: la sottomissione alla Chiesa”22. 2) la legittimazione del potere per acclamazione popolare e per successione dinastica. Anche in tal senso abbiamo visto che Federico cerca con insistenza di legittimare il suo potere da una parte tramite vincoli di sangue affermando il diritto della successione dinastica e dall’altra ripescando dall’antico diritto romano la Lex Regia de Impero secondo la quale l’autorità imperiale fu concessa in maniera irreversibile dal popolo al sovrano. 3) la legittimazione del potere tramite i princìpi giuridici del diritto. È questo un altro aspetto su cui Federico in linea con la politica dei suoi avi normanni ma soprattutto svevi insite molto. Il sovrano riscoprendo grazie agli studi dei giuristi e riapplicando nel suo regno le norme del diritto romano legittima il proprio ruolo monarchico fino, come vedremo tra poco, ad attribuirsi il potere di creare nuove leggi in quanto lex animata in terris. 4) la fine della concezione feudale del potere. Infine abbiamo posto l’accento sul tentativo, anche se ancora incompleto e frammentario, da parte di Federico di creare uno stato accentrato ed unitario dove tutto rispondesse alle iniziative della corte regia, limitando se non addirittura annientando tutte le iniziative feudali presenti all’interno del regno. In tal senso possiamo ipotizzare che sia intenzione di Federico superare la precedente concezione feudale e frammentaria della monarchia nel tentativo di passare, almeno nel regno di Sicilia, da un regno feudale ad uno stato monarchico. Se la mia analisi è giusta si viene a verificare una stretta coincidenza tra questo genere di raffigurazione e i principali argomenti espressi dall’ideologia politica di Federico II. Ne consegue che tale tipologia iconografica ben si applica alle intenzioni politiche dello Svevo e quindi penso che non sia lontano dal vero ritenere che l’imperatore se ne serve per propagandare la propria concezione dello stato e rispondere in maniera appropriata alle iniziative antiimperiali del papa. In questa maniera si raffigura un potere senza compromessi e le parole del Kantorowicz risuonano come una legenda esplicativa di questo nuovo tipo di raffigurazione: “Cesare era Cesare per se stesso,

22 F. BOLOGNA, I pittori alla corte angioina di Napoli 1266-1414, p. 23.

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e non veniva più incoronato nelle figurazioni dal Datore di vita, ma piuttosto rappresentava lui quel datore”23. Lex animata in terris. Con l’Abulafia possiamo notare che “sul piano teorico, l’imperatore aveva enunciato una dottrina semplice e chiara del significato e del fine della monarchia che viveva di vita propria, ossia non dipendeva dalla grazia redentrice del papa”24. Ma egli non si ferma qui e arriva a fare della sua persona una sorta di mediatore tra gli uomini e Dio. Come ha sintetizzato il Kantorowicz in passato i sovrani in quanto difensori della pace dovevano attenersi al diritto stabilito e allora per legittimare gli inevitabili mutamenti delle leggi ci si rifaceva a vecchi diritti e si preferiva guardare alle innovazioni del sovrano come a un proseguimento e a un ristabilimento di antiche leggi dimenticate. Lo stato era in questo caso conservatore e non creatore di leggi e il compito del sovrano consisteva nel conservare l’antico diritto. In seguito il monarca diviene la fonte della giustizia all’interno dello stato quindi non solo colui che tutela il diritto ma anche un creatore di diritto25. Possiamo ritenere Federico II il principale fautore di questo pensiero a metà strada tra il filosofico e il politico. D’ora innanzi l’imperatore appare come il mediatore fra il diritto divino e quello umano. Riuscendo a portare il diritto divino all’interno del suo stato possiamo dire che egli quasi precipita il cielo sulla terra. In altre parole il Dio che per un millennio s’era mostrato solo attraverso i miracoli come spirito aleggiante nello spazio, ora viene, grazie a Federico II, captato sulla terra e l’inafferrabile grazia divina, mutata nella legge dello stato, si presenta in questo modo chiara e comprensibile26. Così Federico diviene una sorta di lex animata in terris ma non nel senso utilizzato dal Barbarossa secondo il quale

23 E. KANTOROWICZ, Federico II imperatore, p. 536. 24 D. ABULAFIA, Federico II, p. 173. 25 Per quanto qui espresso ho seguito le riflessioni del Kantorowicz (Vedi E. KANTOROWICZ, Federico II imperatore, pp. 213-214). 26 Anche per questi concetti ho tratto spunto da quanto espresso dal Kantorowicz (Vedi Ivi, pp. 214-216).

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l’imperatore è la fonte del diritto. Per il puer Apuliae la sua volontà è rivelazione di un volere divino, non espressione della propria individualità. In questo senso può applicare a se stesso la definizione che Innocenzo III dava di sé quando si definiva intermediario tra Dio e gli uomini. Posto cioè al disotto di Dio ma al di sopra degli uomini e, in quanto guidato da Dio, giudice di tutti e non giudicato da nessuno. Infatti Federico non crede di impersonare la legge positiva in quanto re, ma che la legge divina s’incarni in lui27. Se nel primo caso il sovrano crea il diritto autonomamente, nel secondo è indirizzato dall’ispirazione divina. Del resto solo la comunione mistica con Dio, la vera fonte della giustizia, rende l’imperatore atto a dar le leggi e ad interpretare il diritto perché solo a lui è ‘sciolta la lingua’28. A questo modo il sovrano si trova al di sopra del diritto terreno e al di sotto di quello divino. Nel Liber augustalis si legge che Cesare deve essere al contempo il padre e il figlio della giustizia, il servo e il ministro, cioè padre e signore nel crearla e nel proteggerla mentre suo figlio e ministro nel venerarla e nell’amministrarla29. Da quanto detto possiamo affermare che nella grandiosa e solenne opera legislativa di Federico II, due orbite sembrano sovrapporsi: una giuridica e l’altra teologica. Nello stato di giustizia federiciano si rispecchia lo stato divino di matrice ecclesiastica, ovvero quella sorta di chiesa imperiale, l’imperialis ecclesia, che spesso viene ricordata nella cerchia di Pier delle Vigne. Infatti nella Magna Curia di Federico giudici e giuristi amministrano la giustizia come se fossero sacerdoti, le sessioni dell’Alta corte sono preparate con una pignoleria comparabile a quella riservata al cerimoniale ecclesiastico, gli uomini di corte interpretano il ‘culto della giustizia’ come una religio iuris o una ecclesia imperialis che rappresenta una sorta di completamento dell’ordine ecclesiastico e lo stesso imperatore è definito sol iustitiae. Ma ancora possiamo aggiungere che “nei documenti della cancelleria

27 Per queste precisazioni sull’ideologia imperiale di Federico qui espresse mi sono basato sul De Stefano (Vedi A. DESTEFANO, L’idea imperiale di Federico II, p. 56-58). 28 Per questo concetto vedi E. KANTOROWICZ, Federico II imperatore, pp. 214-215. 29 Per questi concetti qui espressi di Federico padre e figlio della giustizia e per quanto di seguito esporrò relativamente alla concezione divina del suo stato nonché agli usi all’interno della sua corte soprattutto sono di fondamentale importanza le pagine del Kantorowicz (Vedi Idem, I due corpi del re, pp. 85-88).

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imperiale noi troviamo frequentemente adoperati a designare e a illustrare la fedeltà temporale, concetti ed espressioni che nella tradizione letteraria cristiana sono riservati alla fede religiosa, come le formule: zelus fidei, fidei puritas et constantia, meritum fidei, ecc., mentre la ribellione all’Impero costituisce un vero atto di superstitio. Il sentimento, che unisce i sudditi all’Impero è, infatti, della stessa natura di quello che unisce i fedeli alla Chiesa, per quanto esso sia rivolto a due oggetti diversi. [...] Ecco perché la ribellione all’Imperatore è, non meno che la disubbidienza alla Chiesa, un’offesa alla maestà divina”30. In questo contesto “l’eresia è a tutti gli effetti assimilabile al tradimento. Coloro che negano gli articoli della fede cattolica implicitamente non riconoscono l’autorità che i principi traggono da Dio: sono perciò nemici non solo del Creatore e delle singole anime, ma dell’intero tessuto sociale. Mettere in discussione il credo religioso significa porre in dubbio l’essenza stessa della monarchia; in quanto antagonisti della legge, essi ne sono i bersagli legittimi”31. Ma l’identificazione tra Impero e Chiesa non finisce qui32. Come il papa è infallibile in materia di fede perché ispirato dallo spirito santo, così l’imperatore, per il fatto che ‘trabocca di giustizia’, non gli è inferiore in materia di diritto. Ne consegue che, come nel diritto romano e nella legislazione normanna, anche nel regno dello Svevo discutere sentenze, decisioni e massime dell’imperatore è sacrilegio mentre coltivando la giustizia i sudditi servono e piacciono a Dio e all’imperatore. E ancora si afferma che così come papa e preti elargiscono Dio ai credenti in forma di grazia attraverso il miracolo, lo stesso Dio passa dall’imperatore e dai giudici sotto forma di legge ai sudditi. In questo senso i ministri della giustizia possono essere definiti sacerdoti e i sudditi assimilabili ai fedeli. Quanto la divinità abbia permeato lo stato di Federico II si può desumere anche da alcune leggi che il nostro imperatore introduce. Per esempio è concesso a chi è ingiustamente aggredito di tutelarsi mediante l’invocazione del nome dell’imperatore per mezzo del quale è fatto divieto al molestatore di proseguire nell’offesa. Oppure si

30 A. DE STEFANO, L’idea imperiale di Federico II, p. 75 e p. 77. 31 D. ABULAFIA, Federico II, p. 177. 32 Sulle ulteriori informazioni riguardanti l’imperialis ecclesia e l’assimilazione dell’imperatore a Dio che qui di seguito riassumo ci informa il Kantorowicz (Vedi E. KANTOROWICZ, Federico II imperatore, pp. 215-217 e pp. 221-222).

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stabilisce che nel caso di lesa maestà i funzionari addetti possono intervenire in luogo dell’imperatore e senza una particolare autorizzazione. O infine è prescritto che come non è lecito abusare del nome di Dio così chi invoca abusivamente il nome dell’imperatore (per esempio per procurarsi un vantaggio), sarà punito nel modo più severo. Tutta questa complessa impalcatura concettuale è alla base di due rappresentazioni di Federico. Una, dipinta o scolpita33 all’interno del tribunale imperiale del palazzo di Napoli, è purtroppo andata perduta, l’altra, la ben nota statua facente parte della monumentale porta di Capua, è solo in parte conservata. Queste immagini sono prodotte all’interno del Regno e ovviamente dopo l’emanazione del Liber augustalis perché si fondano sui principi ideologici che qui sono espressi e rappresentano forse gli esempi in cui la propaganda della concezione federiciana dell’impero e dell’imperatore si esprime nel modo più enfatico e vibrante. Della prima, che può essere datato al 1240 per la posizione che vi occupa Pier delle Vigne, riporto l’affascinante descrizione che ne fece il Kantorowicz nella sua biografia sull’imperatore svevo: “E per quanto competeva all’arte plastica nel culto dell’imperatore, in nessun atteggiamento «il sovrano foggiato a uomo dalla mano dell’artefice supremo» poteva apparire sensibilmente ai suoi fedeli come ritratto di Dio, come più simile a Dio, meglio che in quello, solenne, del giudice e legislatore supremo che compiva davanti agli occhi di tutti la sua unione con Dio, nella terribilità della sua maestà divina: quando in lui, il Figlio senza macchia, Dio si faceva uomo in forma di legge. Le cronache letterarie rimandano a quest’alto ufficio dell’imperatore, alla «Cena coi discepoli» e alla fondazione della imperialis ecclesia in Pier delle Vigne, il più intimo dei fedeli. Negli anni in cui sorse quel rituale solenne e Pier delle Vigne esercitava la funzione di tramite e portavoce dell’imperatore, fu compiuta, nel palazzo di Napoli, una raffigurazione di questa scena: una scultura a

33 La raffigurazione è andata perduta e quindi non sappiamo secondo quale tecnica era stata composta. Il Kantorowicz parla di una “scultura a rilievo” (Vedi E. KANTOROWICZ, Federico II imperatore, p. 534) mentre il Panofsky di “dipinto murale” (Vedi E. PANOFSKY, Rinascimento e rinascenze nell’arte occidentale, p. 85), il Bologna di “affresco (o mosaico?)” (Vedi F. BOLOGNA, I pittori alla corte angioina di Napoli 1266-1414, p. 41) e il Cordaro di ‘dipinto’ (Vedi M. CORDARO, La porta di Capua, nota 31).

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rilievo, a quel che pare, che, se pure non ci è rimasta, ci è stata però minutamente descritta”34. Questa è la trascrizione latina della descrizione: “[...]in Neapolitano Palatio, Imperatoris et Petri effigies habebantur. Imperator in throno, Petrus in cathedra resiedebat. Populus ad pedes imperatoris procumbens justitiam sibi in causis fieri his versibus innuebat: Caesar, amor Legum, Friderice piissime Regum, Causarum telas nostras resolve querelas. Imperator autem his aliis versibus ad haec videbatur tale dare responsum: Pro vestra lite Censorem juris adite: Hic est; jura dabit vel per me danda rogabit. Vinee cognomen Petrus Judex est sibi nomen. Imperatoris enim figura respiciens ad Populum, digito ad Petrum sermonem dirigere indicabat”35. E questa è l’immaginifica interpretazione che ne dà il Kantorowicz: “L’imperatore troneggiava alto e irraggiungibile nella sua sacra maestà, il capo sormontato da una corona gigantesca...; solo con la proskynesis ci si poteva avvicinare a lui per baciargli il piede...; e il

34 E. KANTOROWICZ, Federico II imperatore, p. 534. 35 La descrizione opera di Francesco Pipino (Vedi FRANCISCI PIPINI, Chronicon, p. 660) è riportata per intero dal Kantorowicz (Vedi E. KANTOROWICZ, Federico II imperatore, nota a p. 336). La stessa identica citazione è riportata anche dal Delle Donne (Vedi F. DELLE DONNE, Una perduta raffigurazione federiciana descritta da Francesco Pipino e la sede della cancelleria imperiale, p. 737). La possiamo così tradurre: “[...] nel palazzo napoletano erano conservate le immagini dell’imperatore e di Pietro. L’imperatore sedeva in trono, Pietro in una cattedra. Il popolo, chinato verso i piedi dell’imperatore, accennava a lui che fosse fatta giustizia nelle contese con questi versi: «Cesare, amore delle leggi, o Federico piissimo tra i re, sciogli i nostri lamenti e le trame delle contese». Invece l’imperatore sembrava dare, con questi altri versi, tale risposta: «A favore della vostra disputa ascoltate il censore della legge: è questo; le leggi darà o chiederà che siano date attraverso di me. Il suo cognome è Delle Vigne, giudice Pietro il suo nome». Infatti la figura dell’imperatore, guardando verso il popolo, con il dito indicava di dirigere verso Pietro il discorso”.

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popolo restava prosternato dinanzi al divo Augusto, il quale, come la divinità, rimaneva sullo sfondo, senza parlare quasi mai ma solo accennando i suoi ordini al logoteta in piedi al suo fianco: che poi, autorizzato da un cenno dell’augusta mano, si faceva labbro e strumento del sovrano, pronunciando sacralmente la sentenza come un oracolo, accompagnato in certi casi dal suono delle campane. Tale era in effetti il mysterium, «il servizio più sacro di ogni altro»: alto giudizio come alto ufficio dell’imperatore-Dio-iustitia”36. Infine lo stesso Kantorowicz conclude: “Anche senza la leggenda esplicativa, sarebbe bastata la disposizione del tutto a spiegare la rappresentazione: si trattava dell’imperatore in cultu iustitiae, di quella giustizia che veniva soddisfatta, diciamo, per gradi. Come mediatrice tra l’imperatore e Dio stava la giustizia, così il giudice Petrus de Vinea stava a mediatore fra l’imperatore della giustizia e il popolo. In tale atteggiamento si era soliti vedere il sovrano nei giudizi dell’alta corte; e forse la cosa più importante è che qui venisse rappresentata la vita stessa, quella che si aveva sott’occhio, non un semplice ricordo”37. Della seconda immagine abbiamo già parlato quando abbiamo analizzato il rapporto di Federico II con l’antica Roma, ma adesso ci concentreremo sul messaggio politico che la statua dell’imperatore propaganda in relazione alle altre sculture che facevano parte del complesso monumentale della porta di Capua. Questa grandiosa opera d’arte fu ordinata dall’imperatore nell’agosto del 1233 e fu ultimata intorno al 1239 anche se l’imponente portale di marmo decorato dalle suddette sculture venne terminato, secondo il Kantorowicz, solamente nel 124738. La porta era costituita da due torri di base poligonale a sviluppo cilindrico e da una grandiosa porta trionfale che superato il Volturno permetteva l’ingresso nella città di Capua. Purtroppo già nel 1557, per adattare la struttura all’uso dei pezzi d’artiglieria, le due torri sono dimezzate e l’arco è completamente distrutto. Un’idea di come poteva essere l’edificio e in quale posizione fossero collocate le sculture ce la possiamo fare grazie a due disegni tracciati prima dell’abbattimento e conservati uno nella Biblioteca di Stato di Vienna e l’altro, attribuito a

36 E. KANTOROWICZ, Federico II imperatore, pp. 218-219. 37 Ivi, p. 535. 38 Ivi, p. 538.

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Francesco di Giorgio Martini, agli Uffizi. Grazie a ulteriori studi recentemente è stata proposta una ricostruzione verosimile del complesso (vedi fig. 47). Per quanto riguarda la decorazione scultorea possiamo dire che il lato della porta che guarda Capua presentava vari rilievi che illustravano le vittorie e i trionfi di Federico e un gran numero di erme, il tutto sormontato da una testa di Giove laureato39. L’altro lato era ancora più impressionante dal punto di vista decorativo (per una ricostruzione della posizione delle varie immagini vedi fig. 48). L’imperatore in trono era collocato in alto, sotto ad un elaborato colonnato, al centro di una nicchia ed affiancato da due statue di giovani donne. Sotto di lui, al sommo dell’arco, un busto femminile coronato d’edera, interpretato come la raffigurazione della Iustitia. Più in basso i busti dei due magistrati che comunemente si identificano con Pier delle Vigne e Taddeo di Suessa, ma possono essere anche delle raffigurazioni allegoriche di attributi della giustizia40. Per rendere più chiaro e manifesto il significato dell’intero monumento una legenda esplicativa era incisa lungo i bordi delle nicchie: “CESARIS IMPERIO REGNI CUSTODIA FIO / QUAM MISEROS FACIO QUOS VARIARE SCIO / INTRENT SICURI QUI QUERUNT VIVERE PURI / INFIDUS EXCLUDI TIMEAT VEL CARCERE TRUDI”41. Grazie a questa scritta intuiamo che la Giustizia è posta dall’imperatore a guardia del Regno ed è pronta a scagliarsi in maniera figurata, tramite l’azione dei giudici e dei magistrati, contro chiunque voglia perturbare o danneggiare il Regno non rispettando le sue leggi.

39 Ibidem. 40 La ricostruzione del Kantorowicz è per sua stessa ammissione viziata dall’errore di collocare il busto di donna al di sopra di quello dell’imperatore (vedi Ibidem e Ivi nota a p. 601). Forse ciò ha influenzato anche la sua interpretazione della perduta raffigurazione del palazzo di Napoli che abbiamo precedentemente esposto, ma al riguardo il Kantorowicz non si esprime. Per la disposizione delle statue della porta qui descritta vedi D. ABULAFIA, Federico II imperatore, p. 236; e M. CORDARO, La porta di Capua, p. 47. 41 ANDREAE UNGARI, Descriptio Victoriae a Karolo provinciae comite reportate, p. 571. Di questa iscrizione ce ne propone una traduzione il Kantorowicz (Vedi E. KANTOROWICZ, Federico II imperatore, p. 539): “Per il comando di Cesare io garantisco la concordia del regno; / Misero renderò chi io sappia la voglia mutare. / Entrino sicuri quelli che bramano di vivere puri, / Tema l’infido di essere bandito e cacciato in carcere”.

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Sul significato che la porta acquisiva grazie a questo complesso sistema scultoreo è stato notato che “doveva ricordare la natura dell’autorità regia e del potere della monarchia a chiunque, strada facendo, facesse il suo ingresso nella prima grande città del regnum. La si potrebbe in un certo senso considerare una proiezione delle Costituzioni di Melfi, volta a celebrare la Iustitia come principio ispiratore e a sottolineare che l’imperatore ne era l’espressione vivente, il dispensatore designato a far da tramite tra Dio e il mondo. [...] Come i mosaici della Martorana avevano tolto ogni dubbio in merito alla derivazione dell’autorità regia da Dio, al modo bizantino, così la porta federiciana offriva della regalità un’interpretazione che si accordava al diritto romano e trovava inequivocabilmente riscontro nelle opinioni che circolavano nella curia papale a proposito dell’ufficio del pontefice come mediatore tra Dio e l’uomo, guidato nei suoi giudizi politici e morali dall’attenzione alla iustitia”42. E sulla stessa linea interpretativa possiamo aggiungere che la porta rappresenta “la concezione del potere imperiale fondato sulla Giustizia ed esalta la funzione dell’impero nella società medievale. Essa è dunque il simbolo della Iustitia Caesaris e non a caso è posta sul limitare della Ecclesia imperialis; non troviamo la celebrazione della potenza e della gloria di un individuo, ma il «manifesto» che proclama i fondamenti morali e teorici della autonomia della potenza imperiale e della sua derivazione diretta dall’ordine divino, che si attua in terra con la Giustizia amministrata dal potere sovrano dell’imperatore. La testa femminile posta al di sopra dell’arco d’ingresso sarà allora la personificazione della Giustizia, e le due maschili, ai lati, significheranno, piuttosto che ritratti di personaggi storici, attributi della Giustizia come Ratio e Provvisio, Necessitas o Lex, oppure qualità che dovrebbero essere specialmente distintive per il legislatore e il custode del diritto, come Sapientia, Prudentia o Pietas”43. Sicuramente tutte queste considerazioni riguardanti la porta di Capua sono molto importanti e ci servono a capire meglio quale sia la dislocazione e il significato delle varie immagini, sia il messaggio politico che l’imperatore vuole propagandare attraverso questo

42 D. ABULAFIA, Federico II, p. 237. 43 Questa è l’interpretazione del Willemsen riportata dal Cordaro (Vedi M. CORDARO, La porta di Capua, pp. 58-59.

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gigantesco monumento. Ma un aspetto – presente qui come, anche se con minore intensità, nella perduta raffigurazione del palazzo di Napoli - che secondo me non è tenuto nella considerazione che merita è quello che vede il sovrano come lex animata in terris. Mi sembra che tutte le interpretazioni del significato della porta di Capua tendano a sottolineare come principale messaggio più quello del sovrano ‘tutore della giustizia’ rispetto a quello del sovrano ‘produttore di leggi’. Quando il Bologna sostiene che la porta era “un vero e proprio edificio-manifesto, dove l’autorità imperiale era prodotta in persona dall’imperatore lì stesso raffigurato”44 dobbiamo riflettere sulla posizione che la statua di Federico aveva all’interno del complesso scultoreo. Al riguardo di questa possiamo notare che essa è ben distinta da quella della Giustizia e collocata sopra di essa. Da questo punto di vista il sovrano rappresenta qualcosa che sta al di sopra della Giustizia e ritengo che si debba individuare nella Legge. Infatti la giustizia agisce per far rispettare le leggi che devono necessariamente essere stabilite precedentemente. Per quanto riguarda la teoria politica riguardante la figura del sovrano sulla quale è costituito il complesso scultoreo della porta di Capua possiamo far notare che abbiamo già espresso come Federico II considerasse se stesso non più come semplice amministratore della giustizia ma, in quanto ispirato da Dio, fonte del diritto. In altre parole l’imperatore in virtù del suo privilegiato rapporto con la divinità è autorizzato a creare le leggi, tanto da divenire egli stesso l’incarnazione vivente della Legge. In questo senso a Capua Federico che ha facoltà di emanare le leggi è posto al di sopra della Giustizia che è solo chiamata a farle rispettare. Alla luce di quanto detto penso che spiegare il significato della porta di Capua solamente come raffigurazione della giustizia imperiale è riduttivo del ruolo che Federico si attribuisce dal punto di vista ideologico. Quindi a mio parere qui non si celebra solo il giudice, ma anche e forse soprattutto il legislatore che (metaforicamente nel Liber augustalis e fisicamente sulla facciata della porta) sospeso tra cielo e terra è l’unico in grado di creare nuove leggi perché ispirato dalla volontà divina. Penso che qualcosa del genere sia espresso anche in Castel del Monte. Quindi, anche se questo enigmatico monumento esula dal

44 F. BOLOGNA, La Porta di Capua, p. 136

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nostro ambito di ricerca, ritengo opportuno spendere qualche parola su di esso anche sulla scorta della recente analisi dedicata a questo edificio da Franco Cardini. Che l’imperatore consideri in egual misura il Castel del Monte e la porta di Capua è confermato dalla sua disposizione del 1239 che sospende, per motivi economici, tutti i lavori edili intrapresi dalle casse regie ad eccezione di quelli relativi a questi due monumenti45 evidentemente considerati importantissimi dal punto di vista simbolico e politico. Ne consegue che dobbiamo pensare a Castel del Monte come ad uno “status symbol, un segno ed una metafora del potere”46, come alla “«pietrificazione» di un’ideologia del potere, un manifesto della regalità”47 insomma più che a un castello si è di fronte ad una sorta di “memoriale”48 celebrante il potere imperiale49. Castel del Monte è costituito da un corpo centrale ottagonale ai cui angoli sono collocate otto torri di forma egualmente ottagonale. Visto il ruolo preponderante che l’ottagono vi gioca dobbiamo chiarirci le idee sul suo significato e sul suo ruolo nella tradizione architettonica. Per esempio ha otto punte la rosa dei venti, che indicando la direzioni dei punti cardinali acquista valore cosmico. Nell’antica Roma è ottagonale un edificio della Domus Aurea di Nerone, in modo da sottolineare il carattere cosmico dell’auctoritas imperiale e dell’identificazione dell’Augusto col sole; la sala dell’osservatorio stellare delle Terme di Diocleziano a Roma ed il suo mausoleo a Spalato che presumibilmente rinvia al carattere divino dell’imperatore, cioè alla sua apoteosi. L’ottagono entra anche nell’architettura cristiana, difatti è di questa forma la basilica gerosolimitana dell’Anastasis (la ‘Resurrezione’) costruita sul sepolcro di Cristo, la cappella di San Vitale a Ravenna e la cappella palatina d’Aquisgrana.

45 M.S. CALÒ MARIANI, L’arte al servizio dello Stato, p. 127. 46 G. MUSCA, Castel del Monte, il reale e l’immaginario, p. 45. 47 Ivi, p. 46. 48 F. CARDINI, Castel del Monte, p. 35. 49 Di diverso avviso, in contraddittoria e irriverente controtendenza rispetto alla schiera degli ammiratori, è l’Abulafia che considera questo castello un semplice casino di caccia e motivando la sua costruzione come un futile capriccio dell’imperatore: “Non essendo facile dissuadere l’imperatore dal porre la falconeria al vertice dei suoi pensieri, possiamo capire come l’edificazione di una nuova palazzina di caccia potesse procedere nel 1240 nonostante la cronica penuria di fondi; i nobili decaduti di solito convogliano ogni risorsa sui loro passatempi prediletti” (D. ABULAFIA, Federico II, pp. 238-239).

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Infine è ottagonale la moschea fatta costruire da Abd al-Malik, fra 686 e 691, sulla ‘Spianata del Tempio’ a Gerusalemme50. L’ottagono è inoltre simbolo del passaggio dal quadrato al cerchio. Se nella simbologia cristiana il quadrato simboleggia il mondo terreno e l’umanità, il cerchio è la sfera celeste e l’infinito. In tal senso in molte chiese islamiche e cristiane l’ottagono è il tramite, il ponte che permette il passaggio dalla base quadrata, forma umana, al tamburo circolare, forma divina. In questo modo si rappresenta la trascendenza verso una redenzione celeste e verso l’immortalità. Il sistema quadrato-ottagono-cerchio quindi sintetizza il passaggio dal mondo terreno alla salvezza eterna ed assume i connotati di elemento cristologico in quanto sta a metà tra Dio e l’Uomo51. Alla luce di queste considerazioni risulta facile interpretare Castel del Monte come il simbolo del carattere messianico, cristomimetico e di Vicario di Dio che fa di Federico “un Vicario visibile e tangibile, da onorare e venerare in quanto tramite, egli come Sol Iustitiae e lex animata in terris, fra gli uomini e il Re dei Re. [In tal senso a Castel del Monte] torna il simbolo dell’ottagono, forma mediana fra il quadrato della natura-realtà, del mondo, e il cerchio perfetto della divinità. Torna il concetto – senz’ombra di cesaropapismo – dell’imperatore come Pontifex, cioè come gestore di quel «ponte» fra Dio e gli uomini costituito appunto dalla suprema autorità terrena, che – come dichiara Dante nel De Monarchia – ha la funzione di guidare i fedeli verso il bene e la felicità”52. Ne consegue che nasce spontaneo il paragone con due oggetti essi stessi di forma ottagonale, ovvero la Reichskrone e il Barbarossa-Leuchter, facenti parte dell’apparato regale e sacerdotale dell’imperatore medievale. Anche il complesso sistema simbolico che essi esprimono rinvia alla funzione dell’imperatore come rex et sacerdos sottolineando il suo legame con Dio. Il sovrano diviene un nuovo Noè, un nuovo Mosè, un nuovo Salomone, un typus Christi, il suo ruolo diviene quello di un intermediario divino53.

50 Per questa rassegna di monumenti ottagonali vedi F. CARDINI, Castel del Monte, pp. 51- 63. 51 Sul significato del numero otto e dell’ottagono vedi Ivi, pp. 55-57; e H. GÖTZE, Castel del Monte, p. 76. 52 F. CARDINI, Castel del Monte, p. 66. 53 Per l’esegesi simbolica di questi due oggetti vedi Ivi, p. 67-73.

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In conclusione quindi quello che nella costruzione di Castel del Monte Federico suggerisce per sé è la funzione di Cristo visibile sulla terra e di rex et sacerdos alla maniera di Melkisedek. Questa è la funzione coperta dagli imperatori bizantini, consci del loro ruolo di Augusti nella continuità imperiale romana e della loro sostanza di sacrae personae, che mai né Carlo Magno, né Ottone III, né il Barbarossa avevano mai avuto il coraggio di attribuire alla persona dell’imperatore54. In altre parole “la trasposizione della stella ottagonale, legata all’esoterismo cristiano, nella pianta di Castel del Monte rappresenta in modo molto efficace la sacralità dell’autorità sveva. Castel del Monte è il simbolo di Federico II per rappresentare la comunione di Regnum e Sacerdotium nella sua persona”55. Pur concordando con l’interpretazione di un Castel del Monte come simbolo del ruolo di ‘ponte’ che Federico ha tra Dio e gli uomini, ritengo che questa sua funzione non sia dovuta principalmente né tanto meno esclusivamente al fatto che egli incarni un rex et sacerdos o un typus Christi, ma come a Capua alla posizione di legislatore che l’imperatore ha in quanto ispirato da Dio, secondo quanto è teorizzato nel Liber augustalis. Il castello, che collocato su di un tronco di cono sovrastante l’altopiano delle Murge ben rappresenta un punto d’incontro tra il cielo e la terra (vedi fig. 49) e che guardando il cielo dal suo cortile ci proietta verso l’Altissimo (fig. 50), diviene così simbolo di un sovrano che è tramite tra cielo e terra non in quanto re e sacerdote ma perché fonte del diritto.

54 Per questa interpretazione del ruolo che Federico attribuisce a sé vedi Ivi, p. 66. 55 H. GÖTZE, Castel del Monte, p. 102.

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II.5. Legittimazione e sacralizzazione ‘alternative’.

Mi preme qui sottolineare maggiormente due aspetti che sono emersi dalla precedente analisi funzionale delle immagini di Federico II. Come abbiamo già sottolineato l’imperatore compare assiso in trono senza che Cristo o la mano di Dio venga ad incoronarlo o a benedirlo. L’assenza di qualsiasi personaggio che si possa ricollegare all’ambito religioso o ecclesiastico è sottolineata anche dal fatto che ai suoi lati o nelle sue vicinanze non compaiono mai né i santi né la figura della Madonna. Ho già elencato le motivazioni che portano a questa caratteristica iconografica ma per comprenderne meglio la portata politica dobbiamo rifarci alla situazione che caratterizzava precedentemente i rapporti tra l’impero e il papato. Durante l’alto Medioevo l’imperatore era sostanzialmente considerato il vertice della società cristiana, posto al governo sia della sfera ecclesiastica che di quella secolare e tutore del papato che rimaneva a questo subordinato1. Secondo l’esempio di Costantino egli amministrava la Chiesa convocando e guidando assemblee ecclesiali e influendo sull’assegnazione dei seggi vescovili2. L’imperatore, incoronato in maniera figurata da Dio, diveniva il suo vicario sulla terra posizionandosi su un piano sovrumano intermedio tra

1 Per quanto qui espresso e per un rapido riassunto sulla figura dell’imperatore nell’alto Medioevo vedi R. FOLZ, L’idée d’empire en Occident du V au XIV siècle, pp. 15-18 e pp. 26-42; e G. TABACCO, Le idee politiche del Medioevo, pp. 30-38. 2 Per quanto riguarda le funzioni imperiali adottate da Costantino vedi R. FOLZ, L’idée d’empire en Occident du V au XIV siècle, p. 15; D. MERTENS, Il pensiero politico medievale, p. 9; e G. TABACCO, Le idee politiche del Medioevo, pp. 3-12.

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l’Onnipotente e gli uomini3. Specialmente con gli Ottoni, come ha messo bene in evidenza il Folz, il ruolo di tramite e il carattere sacrale dell’imperatore venne accentuato4. Come possiamo vedere grazie all’Ordine di Magonza (la liturgia dell’incoronazione del re composta nel 960), la consacrazione del sovrano era sempre più assimilabile all’ordinazione del vescovo che si rifaceva a quella dei re biblici e che si esplicava tramite l’unzione con l’olio catecumenale sulla testa, sul petto, sulle scapole e sui gomiti. Da questo momento il sovrano non era più solo un laico, ma contemporaneamente un rex et sacerdos e in virtù di questa sua nuova qualifica egli poteva presiedere sia nella sfera temporale che in quella spirituale. In questo modo l’imperatore diveniva un christomimētēs perché proprio come Cristo era allo stesso tempo re e sacerdote. Inoltre dal punto di vista giuridico il sovrano era considerato a Deo coronato quindi il rito dell’incoronazione papale non era assolutamente legittimante in quanto era come se fosse direttamente Dio che incoronava l’imperatore mentre il papa era il semplice intermediario umano. Infine il sovrano si arrogava diritti anche in ambito ecclesiastico assumendo prerogative papali, per esempio si attribuiva il diritto di deporre il papa e di intervenire direttamente nella sua elezione. Nell’alto Medioevo quindi ci si rifaceva in maniera piuttosto esplicita alla concezione della regalità del mondo bizantino ma sviluppandola fino nelle sue estreme conseguenze. Infatti anche a Bisanzio l’imperatore stava al vertice dell’ordine gerarchico, in quanto rappresentante sulla terra di Dio, e garantiva la disciplina ecclesiastica e l’ortodossia religiosa. Anche qui il patriarca era un semplice dignitario che rivolgeva a Dio le preghiere in nome dell’imperatore e non aveva alcun ruolo legittimante all’interno del rito dell’incoronazione perché il suo potere proveniva direttamente da Dio senza bisogno di intermediari. L’imperatore assumeva così il ruolo di 3 Sulla sacralità dei re e degli imperatori nell’alto Medioevo vedi M. BLOCH, I re taumaturghi, pp. 46-51; e A.M. ORSELLI, Santi e re e santi imperatori nell’Occidente medievale, pp. 97-109. 4 Per quanto qui esprimo relativamente alla politica degli Ottoni ho principalmente seguito il Folz (Vedi R. FOLZ, L’idée d’empire en Occident du V au XIV siècle, pp. 58-63 e pp. 74-86). Inoltre una rapida rassegna dell’ideologia politica ottoniana è espressa anche dal Kantorowicz (Vedi E. KANTOROWICZ, I due corpi del re, pp. 43-44 e p. 53), dal Mertens (Vedi D. MERTENS, Il pensiero politico medievale, pp. 67-68) e dal Nieto Soria (Vedi J.M. NIETO SORIA, El imperio medieval como poder pùblico, pp. 418-426).

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quasi vescovo e Impero e Chiesa risultavano profondamente uniti, una cosa sola che si adoperava per il bene dell’intera società cristiana5. Come abbiamo visto sia l’iconografia bizantina sia quella ottoniana sottolineavano tale ideologia politica da una parte tramite la raffigurazione dell’investitura divina del sovrano e la costante presenza di santi o entità angeliche che contornano la figura dell’imperatore (vedi per esempio fig. 32, 33 e 34) e dall’altra evidenziando, tramite oggetti e simboli del potere, il carattere sacrale di cui era ammantato. In particolare ricordiamo l’introduzione operata dagli Ottoni di abiti e di oggetti relativi all’apparato cerimoniale dell’incoronazione che si rifacevano alla tradizione veterotestamentale del re-sacerdote perché saranno adottati anche dai successori. Penso soprattutto alla corona ottagonale con tutto il suo apparato di gioielli e immagini che sottolineano l’essenza divina e sacra dell’imperatore e agli abiti utilizzati per l’incoronazione che riprendono pedissequamente quelli del sacerdote ad ulteriore conferma del fatto che il sovrano, tramite il rito dell’unzione, si innalzava dal mondo terreno verso quello divino. L’esempio che meglio sintetizza, portandola a estreme conseguenze, la sacralità di cui l’imperatore era impregnato è costituito dalla già citata miniatura dell’Evangelario di Liuthar raffigurante Ottone III (fig. 38). Qui l’imperatore non solo è incoronato dalla mano di Dio, vestito con gli abiti da sacerdote e seduto in trono alla maniera della divinità, ma è interamente racchiuso all’interno di un’aureola a forma di mandorla e circondato dai simboli dei quattro evangelisti. Nella tradizione iconografica cristiana caratteristiche del genere contrassegnavano il Cristo celebrante il suo trionfo sul male e sulla morte. L’intento di questa miniatura è quindi cristomimetico. Ottone III viene a figurare l’immagine del Cristo, egli è il vicario di Cristo anzi è Cristo stesso. L’autorità imperiale non si era mai spinta e non si spingerà mai più così in alto nella celebrazione e nell’identificazione divina del proprio rappresentante.

5 Per la rapida sintesi che qui ho espresso sulla regalità bizantina in particolare vedi D. MERTENS, Il pensiero politico medievale, pp. 10-16; e G. TABACCO, Le idee politiche del Medioevo, pp. 67-70. Per uno studio più approfondito sul pensiero politico bizantino è inoltre fondamentale il contributo del Dagron (Vedi G. DAGRON, Empereur et prêtre). La sacralità che circonda l’imperatore bizantino si desume inoltre dall’analisi dei suoi simboli del potere compiuta dal Carile (vedi A. CARILE, La sacralità rituale dei BAΣIΛEIΣ bizantini, pp. 55-88).

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Come ancora una volta ha ben sintetizzato il Folz, questa concezione fortemente teocratica dell’autorità imperiale entrava in crisi a causa della volontà riformatrice che la Chiesa sviluppava al suo interno a partire dal X-XI secolo e che sfociava nella lotta per le investiture e nella formulazione teorica della supremazia papale sull’impero formulata da Gregorio VII nel Dictatus papae redatto nel 10756. Criticando il principio degli interventi regi nell’ordinamento ecclesiastico Gregorio arrivava a rivendicare per sé non solo una supremazia universale su tutta la cristianità in ambito puramente ecclesiastico, ma anche nella sfera politica. Gregorio derivava l’istituzione della Chiesa romana direttamente da Dio di contro alla precedente formulazione dell’origine divina dell’impero. Questa rivoluzione ideologica veniva a contrastare e limitare il carattere sacro del potere regio e soprattutto imperiale fino a fare dell’imperatore uno strumento del papa, il suo braccio combattente. L’impero perdeva la sua componente divina e gli veniva di conseguenza negata la possibilità di cooperare con la Chiesa all’interno dell’ambito ecclesiastico. Si arrivava così addirittura a svalutare la sacralità della cerimonia dell’unzione e si interpretava l’incoronazione da parte del papa come segno dello stato di vassallaggio in cui versava l’imperatore nei suoi confronti. Di conseguenza il papa possedeva sia il potere spirituale che quello temporale e per suo proprio volere, non per disposizione divina, concedeva quest’ultimo all’imperatore. Ne conseguiva che era diritto papale giudicare e deporre l’imperatore. La portata politica di queste idee era veramente rivoluzionaria e avrebbe condizionato ormai per sempre il rapporto dei due massimi poteri medievali. La negazione del carattere sacrale dell’imperatore e della sua autorità sacerdotale ben si riflette nei cambiamenti avvenuti all’interno

6 Per quanto qui di seguito esprimo sulla disputa politico-ideologica istituita dal tentativo di riforma del papato vedi R. FOLZ, L’idée d’empire en Occident du V au XIV siècle, p. 90-101. Importanti informazioni inoltre si possono desumere dal Bloch (Vedi M. BLOCH, I re taumaturghi, pp. 90-92), dal Dolcini (Vedi C. DOLCINI, I due poteri universali, pp. 110-114), dal Mertens (Vedi D. MERTENS, Il pensiero politico medievale, p. 77), dal Kantorowicz (Vedi E. KANTOROWICZ, I due corpi del re, p. 54), da Tabacco (Vedi G. TABACCO, Le idee politiche del Medioevo, pp. 49-59) e dallo Stürner (Vedi W. STÜRNER., Federico II, pp. 10-11). Infine per una rassegna del rapporto tra regno e sacerdozio vedi G.M. CANTARELLA, Le basi concettuali del potere, pp. 193-206; e O. CAPITANI, Regno e sacerdozio, pp. 30-42.

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dei riti di unzione ed incoronazione durante il XII ed il XIII secolo. Analizziamo quindi la solenne cerimonia fin nei suoi dettagli, in particolare proprio quelli per noi più importanti della benedizione, dell’unzione e dell’incoronazione7: Il sovrano, entrato in Roma insieme al seguito di ecclesiastici e laici, sale la gradinata di San Pietro e si presenta davanti al pontefice che ha preso posto su un trono eretto sul gradino superiore di questa ed è affiancato dai cardinali vescovi, dai preti e dai diaconi mentre davanti a lui, sui gradini più bassi, stanno le cariche ecclesiastiche meno elevate nonché i laici della corte pontificia. L’incoronando si genuflette, bacia il piede al pontefice e dopo avergli offerto dell’oro viene ammesso al bacio e all’abbraccio di lui. In relazione a ciò è stata giustamente notata la differenza rispetto all’incoronazione di Carlo Magno “quando era stato Leone III, il Papa, a prosternarsi in adorazione ai piedi”8 dell’imperatore. Dopo questo primo atto di devozione l’imperatore, nella cappella di Santa Maria in Turribus, presta giuramento di difendere il pontefice e i possessi e i diritti della Chiesa di Roma. Anche in questo caso sembra doveroso sottolineare quanto il ruolo dell’imperatore si sia nella realtà ridotto, rispetto alla sua funzione precedente, a semplice braccio armato della Chiesa. Subito dopo l’imperatore ‘cambia il proprio status’ ed indossando tunica, dalmatica, piviale, mitra, calze e sandali entra a far parte dei canonici di San Pietro. Anche qui possiamo fare alcune considerazioni. Infatti nei tempi della dinastia sassone e ancora sotto i Salici, i testi ufficiali della cerimonia d’incoronazione mettevano in luce il cambiamento di stato che ne derivava per il principe. Infatti descrivendo la consegna, fatta al futuro imperatore dal papa, della tunica, della dalmatica, del piviale, della mitra, e dei sandali, essi commentavano quest’atto dicendo che qui il papa fa l’imperatore chierico. Nel secolo XII questa menzione scompare. Persiste la cerimonia della consegna dei vestimenti ma

7 Per quanto riguarda la descrizione del rituale di incoronazione seguo quello proposto da Hannelore Zug Tucci (Vedi H. ZUG TUCCI, Le incoronazioni imperiali nel Medioevo, pp. 125-131) che a sua volta si basa sull’Ordo coronationis formatosi in età sveva e che sarà determinante per le modalità delle incoronazioni imperiali dal Duecento in poi. Anche il Kantorowicz nella rievocazione dell’incoronazione di Federico II sostanzialmente descrive lo stesso tipo di cerimoniale (Vedi E. KANTOROWICZ, Federico II imperatore, pp. 97-99). 8 H. ZUG TUCCI, Le incoronazioni imperiali nel Medioevo, p. 126.

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l’interpretazione che se ne dà è differente, perché il re dei Romani è ormai semplicemente annoverato fra i canonici di San Pietro, è collocato cioè in una posizione più bassa della gerarchia ecclesiastica e di conseguenza perde il diritto di amministrare i sacramenti9. A questo punto il sovrano accede in San Pietro dove raggiunge l’altare maggiore sotto il quale si trova l’ingresso alla tomba di San Pietro e si prosterna sul pavimento con le braccia allargate in modo da assumere la forma di una croce. Poi si dirige all’altare di San Maurizio per ricevere dal cardinale di Ostia l’unzione. Questa avviene con l’olio benedetto sul braccio destro e tra le spalle. Nella tradizione biblica, da cui questo rito trae le sue origini, i re erano unti anche sul capo così come i vescovi, ma ciò comportava una sgradevole parità tra monarchia ed episcopato. Si viene così a stabilire, e sappiamo che Innocenzo III si impegna in tal senso, che i laici devono essere unti sulla spalla e sulla mano e dal solo olio benedetto ordinario, detto dei catecumeni, non dal crisma (unione di olio e balsamo) esclusivo delle ordinazioni episcopali10. L’importanza data a questo specifico dettaglio del rito e l’esistenza di una distinzione del cerimoniale spettante ai laici da quello dei chierici che implica una differenziazione ideologica tra i due soggetti e sottintende il ben noto scontro politico tra papato ed impero è confermata anche dalle parole di Zug Tucci: “Non è da tralasciare il rilievo che presso i contemporanei assumevano le parti del corpo sulle quali era praticata l’unzione, perché, a differenza del modello biblico che prevedeva quella del capo, nell’ideologia medievale propugnata dalla Chiesa a cominciare dal secolo IX, tale gesto doveva rimanere riservato al clero. Al clero si voleva che fosse riservato anche il crisma, mentre per l’incoronazione bastava l’olio dei catecumeni. Il tentativo di sminuire in questo modo, rispetto all’ordinazione sacerdotale, il significato dell’unzione regale – ed imperiale – ebbe successo solo in parte. Ciò che si riuscì ad imporre nel XII secolo, con la delimitazione dei sacramenti a sette, fu l’esclusione dell’unzione regale dal loro numero”11. Ponendosi sulla stessa linea interpretativa il Kantorowicz argomenta:

9 Su questo concetto vedi M. BLOCH, I re taumaturghi, p. 153. 10 Ivi, pp. 152-153 e E. KANTOROWICZ, I due corpi del re, pp. 274-275. 11 H. ZUG TUCCI, Le incoronazioni imperiali nel Medioevo, p. 128.

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“col crescere della potenza papale diminuirono in maniera rilevante, anziché venir accresciute, le prerogative sacerdotali dell’imperatore: il quale non ricevette più l’anello vescovile, l’unzione non toccò più il capo ma lo spazio fra le scapole e il braccio destro, e per essa non si ricorse più al crisma ma semplicemente all’olio santo; alla consacrazione a vescovo, poi, subentrò l’ammissione alla confraternita dei canonici di San Pietro (come fu appunto il caso di Federico II). Solo il rituale di preghiere e litanie si manteneva ancora molto simile a quello per la consacrazione a vescovo”12. Questa ‘desacralizzazione’ della cerimonia dell’incoronazione è ulteriormente confermata nel caso di Federico II da quanto è espresso dallo Stürner: “Un cerimoniale ponderato e denso di significato regolò il suo svolgimento, il cui fastoso e solenne decorso certo solo ancora in pochi punti lasciava riconoscere che l’incoronato era tolto dalla condizione dei laici, che a lui spettava un certo rango spirituale”13. Da quanto qui riportato emerge chiaramente come il cerimoniale d’incoronazione abbia avuto delle significative modifiche che costituiscono un limpido riflesso del diversificato rapporto tra papato ed impero e quindi un’importante manifestazione simbolica della contemporanea situazione politica. Propenderei quindi ad attribuire al cerimoniale romano una notevole valenza simbolica e politica a differenza di quanto fa l’Abulafia quando afferma: “Alcuni hanno ravvisato nell’assenza del crisma, e nell’omissione dell’unzione sul capo, un tentativo papale di sminuire l’importanza della cerimonia (che peraltro in questa forma veniva praticata già nell’XI secolo). D’altra parte l’atto essenziale, la consacrazione del sovrano, aveva già avuto luogo in Germania; Federico si ergeva ormai al di sopra dell’uomo comune grazie all’acquisito titolo di re dei Romani. Troppo risalto hanno forse voluto dare gli storici al significato della più modesta forma di unzione adottata in Roma. Essendosi presentato come monarca, la liturgia aveva l’esclusiva funzione di elevarlo dallo status di rex territoriale a quello di imperatore universale. La prassi ordinaria era in questo caso superflua [...] ”14.

12 E. KANTOROWICZ, Federico II imperatore, p. 98. 13 W. STÜRNER, Federico II, p. 262. 14 D. ABULAFIA, Federico II, pp. 114-115.

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Canonico ed unto l’incoronando ascende i gradini dell’altare maggiore dove riceve il bacio della pace dal papa. Dopo, durante la messa che lo stesso papa celebra, si avvicina nuovamente all’altare di San Pietro per ricevere dalle mani del papa le insegne del potere imperiale. È il momento dell’incoronazione vera e propria, quando l’imperatore riceve la mitra chiericale, la corona imperiale, lo scettro, il globo ed infine la spada, concessa come mezzo di difesa della Chiesa, per disperdere i nemici della cristianità, punire gli ingiusti e ricompensare i buoni alla maniera del Cristo. Tale assimilazione dell’imperatore a Cristo, se da una parte sorprende “tenendo conto dell’epoca e dello spirito che anima questo particolare ordo”15 coronationis, dall’altra ci conferma, tramite le parole di Zug Tucci, quello che a noi più interessa adesso, cioè che all’epoca di Federico II la consacrazione della figura dell’imperatore è enormemente ridotta rispetto al periodo precedente: “Tale allegoria, infatti, sorta intorno al 960 in Germania, appartiene più ad un clima di massima sacralizzazione della figura dell’imperatore, all’apice del suo splendore e della sua magnificenza, allorché Chiesa e Impero erano ancora uniti sotto la sua guida com’era appunto il periodo degli Ottoni, che non all’epoca degli Hohenstaufen, quando la teoria della separazione dei due poteri, quello spirituale e quello temporale, era già progredita, l’impero ripiegato in campo secolare e la giustizia imperiale si nutriva alle fonti del diritto romano più volentieri che ispirandosi a concetti teologici”16. Poi in qualità di suddiacono l’imperatore si dispone a servir messa e infine accompagnato dal papa esce dalla basilica e conclude la cerimonia con il servizio di strator, cioè regge la staffa al pontefice mentre sale a cavallo e lo guida per qualche passo tenendogli la briglia in segno di devozione. Quello che mi preme sottolineare a conclusione di questa piuttosto lunga disquisizione sulla cerimonia d’incoronazione è che nel XIII secolo numerosi indizi ci inducono a ritenere che all’interno di un rituale del genere la figura dell’imperatore non appare più secondo il modello biblico di rex et sacerdos, ma piuttosto si tende a collocarla in uno dei gradi inferiori della gerarchia ecclesiastica. Ovvero che se l’imperatore in passato soleva essere adornato come un vescovo,

15 H. ZUG TUCCI, Le incoronazioni imperiali nel Medioevo, p. 130. 16 Ibidem.

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adesso l’ordo cerca di darne un’immagine di minor dignità, relegandolo a compiti, come quello di servire la messa, che da vescovi non sono. Tutto ciò si iscrive perfettamente in quella politica propugnata dalla curia e tendente a sminuire la dignità imperiale.17. Ciò avviene perché la sua sfera di competenza all’interno della società cristiana non è più temporale e spirituale insieme ma si va sempre più limitando alla prima delle due. Si potrebbe dire che per volontà papale l’imperatore, che con gli Ottoni si era proiettato nelle immensità dei cieli fino a troneggiare con Dio tra le schiere dei santi, adesso ridiscende sulla terra e da entità divina torna ad essere semplicemente uomo. Per questo motivo la presenza di santi o angeli che accompagnano l’imperatore (per esempio vedi fig. 39) o la volontà cristomimetica, che si esprime nella più volte citata miniatura di Ottone III, sparisce completamente dall’iconografia federiciana18. Si potrebbe obiettare che analizzando i simboli del potere presenti nelle immagini di Federico II abbiamo evidenziato come gran parte di quegli oggetti sono, secondo la cultura ellenistica, romana e germanica, tradizionalmente legati con la divinità e la sfera del sacro. In realtà ritengo che lo loro adozione, almeno nel caso delle rappresentazioni di Federico, stia semplicemente a sottolineare, proprio insistendo su questa tradizione iconografica plurisecolare che vuole gli imperatori vestiti in una data maniera e contraddistinti da degli oggetti specifici, il suo intimo legame con il Sacro Romano Impero germanico. Federico si conforma a quest’usanza perché egli è, e deve essere chiaro a tutti, l’imperatore. Possiamo meglio capire la situazione politica in cui vive Federico II e le motivazioni per cui avvengono questi importanti mutamenti nelle sue raffigurazioni se analizziamo la politica espressa dal papato in questo periodo. Infatti la sua riforma aveva portato ad un importante mutamento nell’ambito dell’ideologia politica imperiale e 17 Per questa interpretazione ancora una volta vedi H. ZUG TUCCI, Le incoronazioni medievali nel Medioevo, p. 129. 18 Non considero rilevante il fatto che Federico nella miniatura del rotolo dell’Exultet di Salerno sia vestito di verde come il Cristo bambino illustrato in una miniatura facente parte dello stesso codice (Cfr. V. PACE, Miniatura di testi sacri nell’Italia meridionale al tempo di Federico II, p. 437) sia per il fatto che lo ritengo un particolare di scarso rilievo sia perché, come abbiamo spiegato, questa miniatura rappresenta l’autorità temporale e tra l’altro all’interno di un contesto chiesastico: quindi, per quanto detto fin qui, applicarle intenzioni di cristomimesi urterebbe troppo con il messaggio politico che la Chiesa vuole affermare in questo periodo.

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come sostiene Bloch “il carattere sacerdotale dei principi temporali non venne più affermato dai partigiani del regnum con la foga del passato”19. Grazie alle nuove teorie politiche esposte da Gregorio VII e sempre più applicate dai papi del XIII secolo come Innocenzo III, Gregorio IX e Innocenzo IV, il potere temporale viene presentato come un organo esecutivo di quello spirituale e di conseguenza il papa, grazie alla falsa donazione di Costantino, diviene il vero imperatore, mentre l’imperatore, a sua volta, un semplice vicario del papa. Tutta la Chiesa acquista un’organizzazione fortemente gerarchica facente capo al vescovo di Roma, il vero ed unico capo della cristianità, che si arroga addirittura il diritto di approvare o di respingere come illegittimo il re tedesco destinato all’impero. Questo diritto gli è simbolicamente reso legittimo dal ruolo che egli svolge nella cerimonia d’incoronazione che avviene nelle forme che abbiamo descritto. Infatti scrive Innocenzo III in una lettera inviata al duca di Carinzia nel marzo 1202 e trasformata in canone nel Liber Extra, voluto da Gregorio IX e composto tra 1230 e 1234, che spetta a lui solo di compiere la sacra unzione, di consacrare ed incoronare l’imperatore. Inoltre se i principi elettori fossero tra loro in discordia o se invece in accordo volessero eleggere un sacrilego o uno scomunicato, un tiranno, un incapace o addirittura un eretico o magari un pagano egli avrebbe il diritto di non concedergli la corona20. Tale teoria è suffragata dal concetto di translatio imperii, secondo il quale fu il papato, per propria facoltà, a trasferire l’autorità imperiale dai bizantini, che se ne erano resi indegni, ai franchi21. In un tale contesto, dove ormai l’impero sembra attestato sulla difensiva, le prerogative sacrali dell’imperatore ne escono fortemente ridimensionate e il principio che l’incoronazione imperiale avviene direttamente da Dio appare insostenibile. Come sostiene il Kantorowicz: “la vittoria del rivoluzionario papato riformato in 19 M. BLOCH, I re taumaturghi, p. 147. 20 Informazione tratta da C. DOLCINI, Tra le fonti giuridiche e teologiche delle incoronazioni nell’età medievale, p. 49. 21 Per la rapida rassegna dei princìpi politici papali che qui ho espresso mi sono avvalso dei contributi di Mertens (Vedi D. MERTENS, Il pensiero politico medievale, p. 81) e Tabacco (Vedi G. TABACCO, Le idee politiche del Medioevo, pp. 60-63). In particolar modo per quanto riguarda l’azione politica e le teorie ideologiche propagandate dal papato nel XIII secolo attraverso l’uso di opere d’arte e di riti simbolici e religiosi vedi A. PARAVICINI BAGLIANI, Le Chiavi e la Tiara; e Idem, Sacerdozio e regalità nel pontificato romano, pp. 153-162.

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seguito alla lotta per le investiture e il sorgere di un impero clericale sotto l’egida papale, che monopolizzò le forze ecclesiastiche riconducendole nell’ambito sacerdotale, annullarono ogni sforzo di continuare o rinnovare quel modello re-sacerdote della regalità liturgica”22. Da questo cambiamento ideologico e politico scaturisce il venir meno di qualsiasi volontà cristomimetica e del tema dell’investitura divina all’interno delle raffigurazioni imperiali, tendenza che come abbiamo sottolineato troviamo già con il Barbarossa e che passando attraverso Federico II si perpetua nelle immagini degli imperatori e dei sovrani successivi. In realtà queste nuove caratteristiche iconografiche hanno una doppia valenza perché se da una parte sottolineano l’avvenuta esautorazione dell’imperatore da qualsiasi intervento nella sfera dello spirituale, dall’altra permettono a quest’ultimo di rafforzare il suo potere, liberandosi dalle sempre crescenti pressioni papali, nell’ambito del temporale. Se il papa gli toglie qualsiasi competenza in ambito ecclesiastico il massimo tra i sovrani non è assolutamente disposto a cedere terreno anche per quanto riguarda la sfera secolare del suo potere e quindi, anche se non potrà più legittimare la sua autorità tramite l’incoronazione romana perché finirebbe per fare il gioco del papa, è assolutamente intenzionato a ricorrere a mezzi alternativi per salvaguardare il suo potere. Quella che nell’iconografia imperiale e regia si manifesta come un’assenza (assenza dell’Onnipotente o del Cristo che incoronano o benedicono il sovrano) è in realtà simbolo dell’avvenuto cambiamento ideologico della concezione del potere. A partire dal XII secolo ed in particolar modo nel XIII gli imperatori tedeschi sono costretti dalla politica papale a produrre una nuova definizione della legittimità di governo che sia svincolata dalla gerarchia ecclesiastica e dal rito dell’unzione. In questa nuova elaborazione teorica soprattutto viene posto l’accento sul potere legittimante del riscoperto diritto romano, dell’elezione dei principi tedeschi e del principio dinastico. In particolare tramite il primo - oltre che l’universalità e, come vedremo meglio tra poco, la sacralità dell’Impero – si fa derivare: la legalità della sua autorità fondata, tramite la Lex regia, sulla legge e sul popolo ed inoltre una nuova funzione all’interno della società per il sovrano e cioè la facoltà di legiferare in quanto incarnazione della

22 E. KANTOROWICZ, I due corpi del re, p. 54.

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giustizia ed ispirato ex officio da Dio23. A tal proposito possiamo ribadire, sulla scia dello Stürner, che col proposito di rafforzare l’autorità del potere temporale, ormai ridottosi a causa della lotta per le investiture, gli imperatori tedeschi, da Enrico IV, si erano dedicati al potere legislativo quale loro compito peculiare24. Riprendendo un’immagine evocata del Kantorowicz questo nuovo legame del re con il diritto e la giustizia comporta la figurata trasposizione di questi “dall’altare al banco del giudice, dal regno della grazia a quello della giurisprudenza, mentre il re gerens typum Jesu Christi venne gradualmente soppiantato dal principe gerens typum iustitiae”25. Per quanto riguarda il crescente peso legittimante dato all’elezione dei principi tedeschi in contrasto a quello attribuito al papa possiamo far notare come gli imperatori tendano a sottolineare il carattere imperiale della loro sovranità già prima della cerimonia d’incoronazione romana. Così vediamo che Federico Barbarossa prende il titolo precedentemente alla cerimonia ed afferma di essere imperatore solo in virtù dell’avvenuta elezione dei principi26. Infine si cerca di limitare contemporaneamente l’influenza della Chiesa e degli stessi principi elettori sottolineando il legame dinastico quale elemento capace di legittimare l’autorità imperiale27.

23 Questo è un argomento ampiamente trattato dalla storiografia. Ho già precedentemente espresso questa teoria in maniera più dettagliata relativamente a Federico II. Lì rimando per la relativa bibliografia concernente il nostro imperatore, mentre per un discorso generale sull’argomento ho tratto in particolar modo spunto da Kantorowicz (Vedi E. KANTOROWICZ, I due corpi del re, pp. 81-84 e pp. 109-121; e Idem, La sovranità dell’artista, pp. 23-25 e pp. 31-32). Inoltre di questo argomento hanno trattato in maniera generica Dolcini (Vedi C. DOLCINI, I giuristi medioevali tra assolutismo e costituzionalismo, p. 121) e Mertens (Vedi D. MERTENS, Il pensiero politico medievale, pp. 45-47 e p. 90). Sempre sullo stesso concetto, ma rivolti con maggiore attenzione alla politica degli svevi, sono i contributi dell’Abulafia (Vedi D. ABULAFIA, Federico II, pp. 54-55), del Dupré Theseider (Vedi E. DUPRÉ THESEIDER, L’idea imperiale di Roma nella tradizione del Medioevo, p. 42) e soprattutto del Folz (Vedi R. FOLZ, L’idée d’empire en Occident du V au XIV siècle, pp. 115–121). 24 W. STÜRNER, Federico II, p. 27. 25 E. KANTOROWICZ, I due corpi del re, p. 121. 26 R. FOLZ, L’idée d’empire en Occident du V au XIV siècle, p. 118. 27 Ho già parlato dell’azione politica intrapresa da Federico II in tal senso e a lì rimando per la relativa bibliografia. Per un discorso più in generale riguardante gli svevi si possono trarre importanti informazioni dall’Abulafia (Vedi D. ABULAFIA, Federico II, p. 67), dal Dupré Theseider (Vedi E. DUPRÉ THESEIDER, L’idea

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Insomma quello che qui mi preme evidenziare è che la concezione del sovrano e i princìpi sui quali questi legittima il suo potere nel corso del XII e XIII secolo si sono mutati rispetto a quelli dell’alto Medioevo e di conseguenza necessitano di una resa iconografica diversa delle raffigurazioni che vogliono esprime e propagandare proprio l’intima essenza del suo potere. Possiamo quindi concludere che quando Federico II è raffigurato ‘solo’ sul suo trono, senza essere incoronato né da santi, né da Dio, né dal papa, celebra questo nuovo concetto di legittimazione che si basa più sull’autorità astratta della legge e sul legame invisibile del sangue che sul ruolo di mediatrice divina svolto dalla Chiesa. L’imperatore, abbandonata qualsiasi velleità in campo spirituale, cerca in questo modo di riaffermarsi prepotentemente in ambito temporale. Il sovrano vuol far derivare la sua posizione non da un’incoronazione, cioè da un rito che lo viene a vincolare a chi poi quella funzione compie fisicamente, ma da due elementi invisibili e non rappresentabili: la legge ed il sangue. Infine un’ultima considerazione. Questa tipologia iconografica mi sembra sottintendere anche il passaggio da un modo di concepire la trasmissione del potere tangibile che si basa su di una concessione che avviene fisicamente e materialmente, ad un altro ben più astratto fondato su dei principi invisibili. In tale contesto ricevere la corona a Roma non ha più valore legittimante è solo un riconoscimento formale di quello che il sovrano in realtà è già28. Da quanto emerso poc’anzi sembrerebbe che la concezione della regalità di Federico II sia completamente laica. In realtà non è assolutamente così. Dobbiamo stare ben attenti a non anticipare troppo i tempi della formulazione teorica della monarchia come organismo prettamente svincolato dall’ambito sacrale. In una società come quella medievale in cui tutto è visto come compimento del disegno divino e tutto è indirizzato al conseguimento della salvezza eterna, anche la concezione che Federico ha del suo ruolo politico è fortemente legata ai precetti cristiani. Se come abbiamo visto precedentemente lo stato dello Svevo è riuscito a legittimarsi in maniera autonoma, adesso ha bisogno di rendersi sacro e funzionale alla religione cristiana, altrimenti verrebbe a perdere qualsiasi sua ragion d’essere. Quindi se imperiale di Roma nella tradizione del Medioevo, p. 41) e da Tabacco (Vedi G. TABACCO, Le idee politiche del Medioevo, pp. 63-64). 28 Teorie del genere nacquero soprattutto nelle terre dell’impero dalla metà del XIII secolo. Vedi M .BLOCH, I due corpi del re, p. 167.

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precedentemente abbiamo ‘spogliato’ l’imperatore di un tipo specifico di sacralità, quello che si esplica all’interno della gerarchia ecclesiastica e che è concessa per volere del romano pontefice, adesso è il momento di ‘rivestirlo’ di una sacralità alternativa. Come abbiamo visto analizzando le sue raffigurazioni, Federico sacralizza la sua persona in vari modi: tramite il concetto di lex animata in terris, o tramite il ruolo di mediatore tra Dio e gli uomini; insistendo sul legame con la santa figura di Carlo Magno e sul carattere provvidenziale dell’impero; e non ultimo attraverso lo speciale rapporto di continuità che lega il presente impero a quello degli antichi romani. Ulteriori considerazioni al riguardo le possiamo evincere dal Proemio delle Costituzioni di Melfi, “che viene ritenuto la fonte più caratteristica e illuminante per comprendere la concezione federiciana della sovranità”29. Qui narrando la storia della creazione dell’universo e della cacciata dell’uomo dal paradiso terrestre a causa del peccato originale, si viene ad esporre la teoria federiciana sulla nascita del potere sovrano. Questo si fa risalire “non a una disposizione naturale dell’uomo ad associarsi nello stato, ma al «peccato originale» e alla conseguente corruzione della natura umana, che ha portato ineluttabilmente, e in virtù di un istinto concesso all’uomo dalla divina provvidenza ( «instinctus divinae provisionis» ), all’insediarsi di un sovrano temporale”30. In questa prospettiva la sovranità che è istituita come conseguenza del peccato originale acquista un ruolo positivo perché risulta essere un atto della provvidenza divina che fa pervenire le norme agli uomini e consente che siano rispettate attraverso la mediazione dei re e degli imperatori. In tal modo si attribuisce all’istituzione imperiale una sorta di necessità salvifica e una funzione provvidenziale nell’economia della religione cristiana. Così come ha sostenuto Kantorowicz: “la divinità non viveva, sulla terra, soltanto all’interno del suo regno prediletto, la chiesa, bensì come iustitia si calava anche nello stato laico, questo allora non era più «colpevole», non era più un bene relativo in un mondo di peccatori: era un bene assoluto per sua propria volontà: anzi, in esso era entrato Dio”31. Ne consegue che lo stato è concepito come un “provvidenziale rimedio contro l’infirmitas peccati”, come un

29 P. LANDAU, Federico II e la sacralità del potere sovrano, p. 34. 30 Ivi, p. 35. 31 E. KANTOROWICZ, Federico II imperatore, p. 223.

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“praeambulum gratiea” che deve preparare la società terrena a quella celeste e viene a “realizzare il contenuto del disegno divino, vale a dire, la salvezza spirituale dell’umanità intera”32. In questo modo lo stato federiciano pareggiava i conti con la Chiesa creandosi una propria sacralità33. Tali considerazioni mi spingono a precisare meglio anche l’altro tema che abbiamo visto essere primariamente presente all’interno dell’iconografia federiciana – non solo quantitativamente ma anche qualitativamente essendo legato a quelle immagini maggiormente connesse alla corte imperiale e alle quali l’imperatore riservava maggiore attenzione - ovvero quello della raffigurazione del sovrano in abiti da antico imperatore romano. Questa è la caratteristica peculiare delle raffigurazioni di Federico II, infatti un’adozione così sistematica di questa tipologia rappresentativa non trova riscontro nella produzione imperiale né precedente né successiva. Abbiamo già visto quanto Roma sia costantemente presente nei sogni e nei pensieri di Federico e quanto spesso ad essa ci si rifaccia. Abbiamo anche già ampiamente considerato la portata ideologica e politica dell’intenzione di renovatio dell’impero romano che infiamma il cuore dello Stupor mundi. Senza stare a ripetere quanto già descritto voglio qui aggiungere qualche ulteriore considerazione sulle potenzialità del riscoperto Corpus Iuris Civilis. Grazie al riavviato studio del diritto romano giustinianeo diffusosi nel XII secolo tra i giuristi dell’università di Bologna si “dischiuse alla regalità, rimossa dall’ambito sacrale, una nuova fonte di dignità sacra [...]”34. La “grave solennità dell’antico diritto romano, che era ovviamente inseparabile dalla religione e dal contesto sacrale in genere”35 irradiava così di sé tutto l’ambito imperiale, dalla persona dell’imperatore alle sue leggi ecc., divenendo “il nuovo contrassegno dell’immediata derivazione da Dio del potere temporale, che in nessun

32 Per il concetto e le definizioni di stato citate vedi A. DE STEFANO, L’idea imperiale di Federico II, p. 2, p. 24 e p. 29. 33 Per quanto qui espresso sulla concezione sacrale dello stato di Federico vedi D. ABULAFIA, Federico II, pp. 171-173; A. DE STEFANO, L’idea imperiale di Federico II, pp. 18-29; P. LANDAU, Federico II e la sacralità del potere sovrano, p. 34-37 e pp. 41-43; e E. KANTOROWICZ, Federico II imperatore, pp. 220-238. 34 D. MERTENS, Il pensiero politico medievale, p. 85. 35 E. KANTOROWICZ, I due corpi del re, p. 109.

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caso intendeva essere temporale o farsi secolarizzare”36. A questa maniera l’impero acquistava la sua autorità sacra derivata dalle leggi imperiali e alcune “delle più fortunate similitudini della regalità – il re divinamente ispirato, il re offerente, il re sacerdote – furono recuperate dall’epoca della regalità liturgica e cristocentrica per essere adottate al nuovo ideale di governo centrato sulla giurisprudenza scientifica”37. È proprio il Barbarossa che sulla base del riscoperto diritto romano designa l’impero come sacrum o sanctissimus, la persona dell’imperatore divus e sacra maiestas mentre lo stesso palazzo imperiale sacer. Grazie al diritto romano quindi l’impero acquista un’ulteriore specifica sacralità indipendente dalla Chiesa. Quindi nell’augustale o nel busto di Barletta Federico celebra, tramite la romanità del suo abito e dei suoi simboli di potere, la sacralità del suo impero, sacralità che come abbiamo visto significa anche legittimità. Come sostiene Cardini “l’assenza di segni tradizionalmente cristiani nella simbolica federiciana non va intesa come un’affermazione anticristiana, e neppure antiecclesiale o «anticlericale», ma interpretata alla luce della forte sacralità – una sacralità essa stessa cristiana – che il sovrano intendeva conferire ai simboli squisitamente imperiali”38. In tal senso l’aquila imperiale può sostituire legittimamente la croce nel rovescio dell’augustale in quanto santo segno di un impero che è esso stesso santo39. Egualmente Federico si può sostituire gli abiti da alto sacerdote con quelli da imperatore romano pur rimanendo un sacro imperatore germanico. Non dimentichiamo che a Capua Federico si presenta - pur celebrando lì la sua funzione di lex animata in terris, mediatore tra Dio e gli uomini – nelle vesti del Cesare romano e con in testa la corona radiata del Sole. In ciò non dobbiamo leggere un atteggiamento blasfemo o irriverente. Federico unisce tutti questi vari elementi e se ne serve per i propri fini ideologici e politici. Anche dalla tradizione romana, anzi soprattutto dalla tradizione romana, l’imperatore eredita la possibilità di legittimare e sacralizzare il suo impero senza il minimo intervento papale. Anche questo è un esempio del tentativo federiciano di creare una legittimità ed una sacralità alternativa. 36 D. MERTENS, Il pensiero politico medievale, p. 86. 37 E. KANTOROWICZ, I due corpi del re, p. 109. 38 F. CARDINI, Castel del Monte, p. 86. 39 Su questo concetto vedi Ibidem.

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“Soleva Roma, che ‘l buon mondo feo, due soli aver, che l’una e l’altra strada facean veder, e del mondo e di Deo. L’un l’altro ha spento; ed è giunta la spada col pasturale, e l’un con l’altro insieme per viva forza mal convien che vada; però che, giunti, l’un l’altro non teme: se non mi credi, pon mente a la spiga, ch’ogn’erba, si conosce per lo seme.” (DANTE ALIGHIERI, Purgatorio, XVI, vv. 106-114).

Parte conclusiva

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Considerazioni finali. Tramite le sue raffigurazioni abbiamo visto Federico presentarsi come sovrano normanno, imperatore svevo, o Cesare romano, l’abbiamo visto propagandare i suoi principi politici contro le iniziative dei comuni lombardi e del papato, fino ad incarnare in sé il signore dei popoli d’Oriente, la lex animata in terris e, quasi fosse Cristo, il tramite tra Dio e gli uomini. Ormai giunti alla conclusione è il momento di tirare le somme di tutto quanto abbiamo descritto ed analizzato. Dopo aver approntato una selettiva scelta delle immagini che effettivamente raffigurano Federico II e che sono state prodotte all’interno dalla sua corte o perlomeno in ambiti affini, le abbiamo descritte nelle loro caratteristiche iconografiche compresi i simboli del potere che con più frequenza vi ricorrono. Delineato quindi il campo d’indagine ci siamo per prima cosa chiesti a quale tradizione raffigurativa principalmente l’imperatore si è ispirato. Dall’analisi è emerso che la produzione iconografica di Federico II non ha nulla della tradizione bizantina sia per quanto riguarda gli abiti e i simboli di potere, sia per le caratteristiche tematiche delle varie raffigurazioni. Anche la tradizione iconografica normanna, che in gran parte deriva da quella bizantina, riceve poco spazio. Ricordiamo al riguardo solamente il primo sigillo e le due monete del 1225 (fig. 18, 19 e 20). Dal momento dell’elezione a re dei Romani (1211) quello che era un semplice re di Sicilia diviene il candidato numero uno al trono dell’impero. Da questo momento il carattere occidentale della tradizione monarchica medievale diviene preponderante nelle rappresentazioni federiciane. Da adesso il puer Apuliae si fa raffigurare con gli abiti e i simboli del potere tipici delle immagini dei precedenti imperatori medievali, cioè quelli degli Ottoni e dei

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predecessori svevi. Per fare qualche esempio guardiamo ai sigilli che vengono prodotti dopo il 1215 ed il 1220 (fig. 21 e 22) o al cammeo di Praga (fig. 24). Ma nel tentativo di stringere più saldi legami con la tradizione imperiale Federico non si ferma qui e crea quella che può essere considerata la sua principale peculiarità iconografica. Dal 1231, anno dell’emanazione delle Costituzioni di Melfi, il suo rapporto con l’antico impero romano si fa sempre più stretto, tanto da portare alla produzione dell’immagine dello Svevo nelle vesti dell’antico imperatore romano, che troviamo nel busto di Barletta, nella porta di Capua e nell’augustale (fig. 6, 7, 12, e 13). Sicuramente quindi il primo intento di Federico è quello di legarsi alla tradizione del Sacro Romano Impero germanico e al suo substrato antico. Qualche considerazione l’abbiamo fatta anche relativamente ai territori di produzione delle immagini di Federico. Non so se è un caso dovuto alla fortuita conservazione delle tessere di quel puzzle che è la storia, ma la stragrande maggioranza di queste raffigurazioni si trovano in Italia e per l’esattezza il primo posto spetta al regno di Sicilia che stacca abbondantemente le terre del nord Italia. Invece tra le immagini conservate il numero di quelle prodotte all’interno del regno di Germania è molto modesto. Effettivamente, come abbiamo notato, è in Italia che si sta giocando il doppio scontro con i comuni lombardi ed il papato, scontro al quale Federico è particolarmente interessato perché ne vale l’autorità se non l’esistenza stessa dell’impero. Inoltre proprio in Italia c’è Roma la chiave ed il centro di tutto, il vero e proprio mito sul quale si basa tutta la concezione imperiale. Alcune considerazioni le abbiamo fatte anche al riguardo dei luoghi in cui queste immagini sono collocate per esplicare al meglio la loro funzione di propaganda politica. Per esempio abbiamo visto come spesso vengano poste in luoghi di un maggiore afflusso di pubblico, per esempio all’esterno degli edifici come nel caso del palazzo abbaziale di San Zeno in Verona (fig. 2), o del busto di Barletta, che per la sua strutturazione sembra essere stato destinato ad una nicchia posta in alto, sulle porte delle città, o in passaggi obbligati come nel caso della statua della porta di Capua (fig. 47 e 48). Inoltre il volto dell’imperatore viene impresso anche su oggetti di ampia circolazione come le monete. Sto pensando in particolar modo all’augustale (fig. 12 e 13). Infine anche quando le raffigurazioni sono poste all’interno degli edifici si scelgono luoghi molto accessibili e frequentati, come

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chiese o cappelle - penso al rilievo del duomo di Bitonto (fig. 11) - che, poiché congiungono la funzione religiosa con quella politica e sociale, sono un punto d’aggregazione e di confronto tra i cittadini. Specialmente nel Regno l’uso che Federico fa della sua immagine è sistematico e condotto alle sue estreme conseguenze propagandistiche, segno dell’importanza che l’imperatore attribuisce a questo mezzo come veicolo delle proprie concezioni politiche soprattutto nella lotta contro il papato che fin dall’inizio viene giocata proprio sul piano della propaganda. Naturalmente non si abbandonano consueti mezzi di comunicazione come i codici miniati – vedi le miniature della Chronica Regia Coloniensis, dell’Exultet di Salerno o del De arte venandi cum avibus (fig. 3, 4 e 5) – che se da una parte centellinano la visione delle raffigurazioni dell’imperatore, dall’altra l’ammantano di un carattere magico e sacrale, di una vera e propria epifania divina. Volendo generalizzare comunque sembrerebbe che l’imperatore preferisca essere raffigurato in ambiti prevalentemente laici e di ampio contatto con il pubblico, segnando, se non una svolta, una chiara presa di posizione rispetto alla tradizione precedente che sicuramente era maggiormente legata all’ambito religioso. Grande spazio l’abbiamo dedicato ai simboli del potere, ovvero agli abiti, ai troni, agli scettri, alle corone e così via, che compaiono nelle rappresentazioni di Federico II. In particolare questi oggetti si rifanno alla tradizione iconografica imperiale medievale che li aveva mutuati da quella romana che considerava il trono, lo scettro e il globo ecc. come attributi divini ed imperiali. Dove troviamo delle innovazioni riconducibili alle iniziative di Federico è negli abiti. Infatti a parte l’abbigliamento da alto sacerdote, comprensivo di piviale, dalmatica, alba e sandali (vedi fig. 28, 29 e 30) che gli imperatori ottoniani utilizzarono per la cerimonia d’incoronazione, il nostro sovrano adotta anche il paludamento degli antichi generali romani o la clamide di origine greca. Lo stesso si può dire per le corone. Se da una parte l’imperatore accoglie modelli tipici dei suoi predecessori carolingi ed ottoniani, tra i quali spicca l’ottagonale corona dell’impero presente nel sigillo prodotto dal 1220 (fig. 22), dall’altra lo troviamo spesso raffigurato con la testa cinta da corone che riprendono la tradizione degli antichi imperatori romani. In particolare abbiamo evidenziato il serto dall’alloro, presente nell’augustale o nel busto di Barletta, e la corona radiata che invece troviamo nella statua della porta di Capua (fig. 8, 9 e 10),

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nell’augustale tipo speciale o nel grosso di Vittoria. Anche questo è un esempio di quanto Federico si senta legato alla tradizione romana e cerchi di presentarsi in ogni modo come un antico Cesare romano. Anzi da questo punto di vista proprio il fatto che Federico come sua peculiarità iconografica tenda ad insistere principalmente sul legame con l’antico mondo romano ci induce a considerare l’adozione di simboli, oggetti ed abiti di carattere sacerdotale non come un tentativo di presentarsi nelle vesti di un rex et sacerdos, ma come un modo di uniformarsi alla precedente tradizione iconografica imperiale, ormai canonizzata, avulso da qualsiasi altro intento politico. Abbiamo dedicato alcune pagine anche all’analisi della fisionomia e dell’aspetto fisico di Federico tenendo presente quanto ci dicono al riguardo le fonti scritte. In particolare abbiamo posto attenzione al volto, un volto spesso raffigurato giovane, senza barba e d’aspetto gioviale in modo da sottolineare la sua astrazione dal tempo, cioè il suo non essere soggetto allo scorrere del tempo perché, quasi come un Dio, dominatore del tempo. Da quanto emerso possiamo quindi ipotizzare che nelle raffigurazioni di Federico II difficilmente si possa vedere il suo vero aspetto. Infatti anche se in esse compaiono alcuni elementi sicuramente veritieri, come ad esempio l’assenza di barba, o i capelli lunghi di un colore a metà strada tra il biondo e il rosso, certamente sarà consuetudine, per rispondere a finalità propagandistiche, il trasfigurare la figura del sovrano. Accordato così ai tradizionali canoni estetici tipici delle raffigurazioni dei monarchi l’aspetto di Federico ovviamente risulta bello, imponente e ben proporzionato a prescindere dalla realtà. Sempre relativamente a questa prima parte possiamo fare qualche ulteriore considerazione anche dal punto di vista stilistico. Infatti possiamo notare che le immagini di Federico in generale si conformano alla tradizione artistica bizantina che, nella resa composta e di completa immobilità del soggetto, e nella raffigurazione assente e stranita dell’espressione del volto, bene rende la magnificenza e l’autorità di derivazione divina del sovrano (guardiamo come esempio più compiuto la miniatura del rotolo dell’Exultet o del De arte venandi cum avibus). Questa situazione viene ad essere modificata nelle ultime rappresentazioni soprattutto grazie all’apertura, promossa anche dallo stesso imperatore, nei confronti dell’arte gotica d’oltralpe che tendeva a rendere l’aspetto del sovrano più realistico e in atteggiamenti

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dinamici. Ne risulta quindi un Federico che, se non capace di influire direttamente sullo stile delle proprie raffigurazioni, era almeno ricettivo nei confronti di ciò che poteva servire a meglio rappresentare la sua immagine. Nella seconda parte del lavoro ci siamo dedicati alle motivazioni politiche ed ideologiche che hanno condotto alla formazione di ogni singola raffigurazione di Federico II. Tramite questa analisi abbiamo visto propagandare la volontà da parte dell’imperatore di costituire una struttura statale stabile e fortemente accentrata sia nel Regno (vedi il rilievo dell’ambone di Bitonto) che nel nord Italia, ma ci siamo imbattuti anche in esempi che mettono in luce il fallimento di questa politica. Penso al caso dell’augustale di Como (fig. 15 e 16). Abbiamo visto, specialmente nei territori tedeschi, sottolineare la continuità e sacralità dell’istituzione imperiale tramite la statuetta dello scrigno-reliquiario d’Aquisgrana (fig. 25 e 26) mentre abbiamo visto propagandare, grazie alla miniatura della Chronica Regia Coloniensis, il principio ereditario come veicolo di trasmissione dell’autorità imperiale all’interno della dinastica staufica. Infine, ma questa volta nel nord Italia, abbiamo osservato nell’affresco di Verona Federico presentarsi come una sorta di signore del mondo celebrante non solo il suo potere sulle terre dell’impero e del regno di Sicilia ma anche su quelle d’Oriente, in modo da costituire un chiaro monito sia nei confronti del papa che delle città lombarde. Nel caso dell’affresco di Bassano del Grappa (fig. 1), invece, l’abbiamo visto esaltare la sua nobiltà d’animo e la sua cortesia probabilmente in risposta alle accuse e alle dicerie messe in giro dalla curia pontificia. Possiamo notare che tutte queste immagini rinviano più o meno esplicitamente ad una funzione propagandistica di trasmissione di un messaggio di forza e di potere sia all’interno del Regno che nel nord Italia. Anche nel caso di Bassano dove la funzione politica sembra assente, abbiamo notato come l’affresco possa svolgere un importante ruolo a livello celebrativo, o, direi forse meglio, riabilitativo della figura del sovrano. Infine negli ultimi capitoli abbiamo tentato di ricavare dalle caratteristiche iconografiche generali delle immagini di Federico II le teorie politiche ed ideologiche che hanno caratterizzato lo scontro politico del XIII secolo, soprattutto tra papato ed impero, e alle quali più o meno coscientemente si ispirano. Per esempio abbiamo individuato la separazione dell’autorità temporale e di quella spirituale come concezione politica alla base delle miniature del rotolo

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dell’Exultet di Salerno nelle quali quelle dell’imperatore e del papa coesistono, pur rimanendo separate ed autonome l’una dall’altra, all’interno dello stesso codice. Abbiamo sottolineato il tentativo di affermare una sacralità imperiale alternativa e quindi una legittimazione imperiale alternativa a quella trasmessa dalla Chiesa di Roma e dal papa alla base dello scrigno-reliquiario d’Aquisgrana, o al presentarsi di Federico nelle vesti da antico imperatore romano. Ancora il diverso concepimento della legittimazione dell’autorità imperiale è alla base dell’assenza del tema dell’investitura divina da tutte le raffigurazioni di Federico a differenza di quanto invece avveniva nelle miniature bizantine o ottoniane (per qualche esempio vedi fig. 33, 34 e 39) e nei mosaici normanni (vedi fig. 35 e 36). Abbiamo messo in evidenza anche come tali tipologie di raffigurazione siano pure sintomo di un cambiamento della concezione della sovranità monarchica che si sta spostando, in opposizione alle sempre crescenti ingerenze papali, verso valori diciamo più laici. La figura del sovrano si va sempre più dislocando all’esterno dell’ambito ecclesiastico per trovare un proprio ruolo e una propria legittimità nella sfera giuridica, sotto il segno della legge e della giustizia. In tal senso l’imperatore, o il monarca in genere, non sarà più un rex et sacerdos, non sottolineerà più la sua somiglianza, se non la sua identificazione, con Cristo – come avviene nel mosaico della Martorana raffigurante Ruggero II incoronato da Cristo o nella miniatura dell’Evangelario di Liuthar in cui compare Ottone III in maestà - ma verrà in particolar modo a presentare per sé una nuova funzione, quella di lex animata in terris, di mediatore tra Dio e gli uomini in quanto garante della giustizia e fonte, tramite l’ispirazione divina, del diritto. Questo è ciò che si ricava per esempio dal complesso scultoreo della monumentale porta di Capua o dalla perduta raffigurazione di Federico impegnato nel ‘culto della giustizia’ del palazzo di Napoli. In questo modo l’imperatore si crea un nuovo ruolo all’interno della società cristiana che pur essendo voluto e indirizzato da Dio ha delle funzioni che si ascrivano prettamente alla sfera temporale del potere e viceversa pur avendo un ruolo prettamente laico e collocabile in ambito temporale, la sua autorità discende direttamente da Dio e si uniforma agli insegnamenti religiosi. Tutta la concezione politica federiciana si basa su questo apparente paradosso che fa dell’istituzione imperiale una imperialis ecclesia.

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Tutto ciò è quanto viene ben sintetizzato nella teoria federiciana delle due spade. Due poteri divisi, ognuno impegnato nella propria sfera di competenza, ma entrambi rivolti ad un unico fine, quello della salvezza eterna, tanto da risultare, nella sostanza, come un’unica spada. Federico nella fucina della storia, da abile artiere, fonde insieme l’impero dei romani con quello dei germani e il diritto romano con quello canonico rendendo il tutto omogeneo, poi plasma con abilità questo composto e lo tempra della divina potestà dell’Altissimo forgiando così la sua spada, quella dell’autorità temporale. Quello che in questa maniera viene a creare è un potere legittimo, sacro e che si pone alla pari di quello papale visto che anche questo è egualmente istituito e voluto da Dio. Un potere caratterizzato da una sacralità alternativa che non ha niente a che fare con quella dell’ambito spirituale. Infatti dalle raffigurazioni di Federico non emerge alcun intento di prevaricazione dei diritti del papato. Egli cerca con grande impegno di rifare dell’impero la massima autorità nel campo temporale, ma mai allude alla possibilità di presentarsi come superiore al papa e come il detentore dei poteri spirituali. Il suo potere pur affiancandosi e collaborando con quello papale perché di pari dignità, rimane sempre un potere legato alla sfera temporale: Federico non ha prerogative ecclesiastiche, come il papato non deve avere prerogative civili. Ecco che così splendidi sorgono in cielo due luminari che in armonia e in completa autonomia indicano la retta via all’uomo. Se, alla luce di quanto abbiamo fin qui detto, vogliamo esprimere in poche parole ciò che Federico fu, ce ne servono solo quattro. Egli fu un sacro romano imperatore germanico.

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Appendice iconografica.

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Figura 1.

Scena cortese, affresco, c. 1250. Bassano del Grappa, Palazzo Finco.

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Figura 2.

Omaggio dei popoli della terra a Federico II, affresco, post 1238. Venezia, Palazzo Abbaziale di San Zeno.

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Figura 3.

Ritratto di Federico II, miniatura su pergamena, c. 1238. Bruxelles, Bibliothèque Royale de Belgique, cod. 476, Chronica Regia Coloniensis, fol. 144.

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Figura 4.

L’autorità temporale, miniatura su pergamena, 1220-1227. Salerno, Museo Diocesano, Exultet.

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Figura 5.

Federico II in maestà, miniatura su pergamena, 1258-1266. Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ms. Lat. 1071, De arte venandi cum avibus, fol. 1v.

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Figura 6.

Busto-ritratto di Federico II, scultura, c. 1245-1250. Barletta, Museo Civico.

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Figura 7.

Statua acefala di Federico II, scultura, 1234-1247. Capua, Museo Provinciale Campano.

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Figura 8.

T. SOLARI, Testa di Federico II, gesso della statua dell’imperatore, XVIII secolo. Capua, Museo Provinciale Campano.

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Figura 9.

J.B. SÉROUX D’AGINCOURT, Ritratto della statua federiciana di Capua prima della distruzione, disegno, 1781. Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ms. Lat. 9840, fol. 50r.

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Figura 10.

Gemma von Raumer, cammeo intagliato sul modello del Gesso Solari, c. 1784. Napoli, Museo di San Martino.

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Figura 11.

Rilievo dell’ambone, 1229. Bitonto, Cattedrale.

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Figura 12.

Augustale di Federico II, dritto e rovescio di moneta in oro, 1231. Napoli, Museo Archeologico Nazionale, Collezione Fiorelli, n. 1127. Figura 13.

Augustale di Federico II, dritto di moneta in oro, c. 1245-1250. Vienna, Kunsthistorisches Museum, Bundessammlung von Medaillen, Modernen Münzen und Geldzeichen.

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Figura 14.

Augustale di Bergamo, dritto e rovescio di moneta, post 1231. Figura 15.

Augustale di Como, dritto e rovescio di moneta, post 1231. Figura 16

Augustale di Como, dritto e rovescio di moneta, post 1231.

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Figura 17.

Grosso argenteo della zecca di Vittoria, dritto e rovescio di moneta d’argento, 1247-8. Cambridge, Fitwilliam Museum, Collezione P. Grierson. Figura 18.

Denaro di Federico II, rovescio di moneta d’argento, 1225, tratto a penna da me eseguito dall’immagine pubblicata in R. SPAHR, Le monete siciliane dai bizantini a Carlo I d’Angiò, fig. 112. Figura 19.

Denaro di Federico II, rovescio di moneta d’argento, 1225, tratto a penna da me eseguito dall’immagine pubblicata in R. SPAHR, Le monete siciliane dai bizantini a Carlo I d’Angiò, fig. 113.

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Figura 20.

Sigillo di Federico II, impronta su cera, gennaio 1210. Karlsruhe, Badisches Generallandesarchiv, D 10. Figura 21.

Sigillo di Federico II, impronta su cera, 12 luglio 1218. Darmstadt, Hessisches Staatarchiv, Urk Oberhessen, A 3.

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Figura 22.

Sigillo di Federico II, impronta su cera, febbraio 1224. München, Bayerische Hauptstaatarchiv, Abt. I. Ks. 664.

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Figura 23.

Sigillo di Oppenheim raffigurante Federico II, impronta su cera, 1225/6. Figura 24.

Federico II in trono, cammeo, post 1220. Praga, Tesoro del Duomo.

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Figura 25.

Statuetta di Federico II, particolare dello scrigno-reliquiario di Carlo Magno, seconda metà XII secolo-1215. Aquisgrana, Tesoro del Duomo.

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Figura 26.

Scrigno-reliquiario di Carlo Magno, scultura orafa, seconda metà XII secolo-1215. Aquisgrana, Tesoro del Duomo.

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Figura 28.

Ritratto di Nerone, particolare del rovescio di moneta, 54-68 d.C.

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Figura 28.

Dalmatica di Ruggero II, prima metà XII secolo. Vienna, Kunsthistorisches Museum, Schatzkammer.

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Figura 29.

L’alba di Guglielmo II, 1181. Vienna, Kunsthistorisches Museum, Schatzkammer.

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Figura 30.

I sandali di Federico II, prima metà XIII secolo. Vienna, Kunsthistorisches Museum, Schatzkammer.

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Figura 31.

ARNOLFO DI CAMBIO, Sepolcro di Bonifacio VIII, scultura, seconda metà XIII secolo. Città del Vaticano, Basilica di San Pietro in Vaticano, Grotte Vaticane.

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Figura 32.

Nicéphore Botaniate, miniatura su pergamena, seconda metà XI secolo. Parigi, Biblioteca Nazionale, cod. Coislin 79.

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Figura 33.

Constantino Monaco, miniatura su pergamena, XI secolo. D’après Benechevitch, Cod. Sinaït. 364.

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Figura 34.

Couronnement d’un couple impérial, incisione, X secolo. Parigi, Cabinet des Médailles.

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Figura 35.

Ruggero II incoronato da Cristo, mosaico, 1140. Palermo, Chiesa della Martorana.

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Figura 36.

Incoronazione di Guglielmo II, mosaico, 1174-1185. Monreale, Cattedrale, mosaici del coro.

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Figura 37.

Guglielmo II offre la Basilica alla Vergine, dettaglio di un capitello, scultura, 1174-1185. Monreale, Cattedrale, chiostro.

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Figura 38.

Ottone III in gloria, miniatura su pergamena, c. 990. Aquisgrana, Tesoro del Duomo, Evangelario di Liuthar, c. 31.

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Figura 39.

L’imperatore Enrico II incoronato da Cristo, miniatura su pergamena, 1002-1014. München, Bayerische Staatsbibliothek, Ms. Lat. 4456, Sacramentarlo di Enrico II, f. 11r.

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Figura 40.

L’imperatore Enrico II come giudice, miniatura su pergamena, prima metà XI secolo. Vangelo di Montecassino.

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Figura 41.

L’Imperatore circondato dai grandi dell’Impero riceve l’omaggio dei popoli della terra, miniatura su pergamena, X secolo. München, Bayerische Staatsbibliothek, Vangelo di Ottone III.

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Figura 42.

Federico Barbarossa con i figli, miniatura su pergamena, 1179-1191. Abbazia di Weingarten, Cronaca dei Guelfi.

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Figura 43.

Ritratto di Enrico VI, miniatura su pergamena, c. 1238. Bruxelles, Bibliothèque Royale de Belgique, cod. 476, Chronica Regia Coloniensis.

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Figura 44.

A. CADEI, ricostruzione di faldistorio federiciano.

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Figura 45.

Alfonso X de Castilla con los símbolos imperiales, miniatura, seconda metà XIII secolo. Madrid, Biblioteca Nacional de Madrid, Primiera Crónica General de España.

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Figura 46.

Juan I de Castilla con los símbolos imperiales, miniatura, seconda metà XIV secolo. Se villa, Biblioteca Capitular, Institución Colombina, Libro Pontifical.

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Figura 47.

C.A. WILLEMSEN, tentativo di ricostruzione del complesso del castello sul ponte a Capua.

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Figura 48.

Ricostruzione della porta di Capua.

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Figura 49.

Castel del Monte tra cielo e terra, particolare della foto di Castel del Monte si S. Trimboli, in S. TRIMBOLI, Castel del Monte, p. 4.

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Figura 50.

Il cielo dal cortile di Castel del Monte, foto.

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Apparato bibliografico e indice.

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PRANDI A., Un documento d’arte federiciana. Divi Friderici Caesaris imago: fig. 12. SCHRAMM P.E., Kaiser Friedrichs II. Herrschaftszeichen: fig. 13, 23, 24. TRAVAINI L., Le monete di Federico II: fig. 17. ZULIANI F., Gli affreschi duecenteschi del palazzo abbaziale di San Zeno: un allestimento cerimoniale per Federico II: fig. 2.

297

Indice. Premessa....................................................................................p. 1 Parte Prima. L’iconografia........................................................p. 5 I.1. L’aspetto fisico di Federico II........................................p. 7

I.2. Introduzione bibliografica...............................................p. 11 I.3. Alcune premesse.............................................................p. 15 I.4. Le raffigurazioni di Federico II.......................................p. 23 Gli affreschi.................................................................p. 23 Le miniature................................................................p. 26 Le sculture...................................................................p. 31 Le monete....................................................................p. 37 I sigilli.........................................................................p. 40 L’oreficeria..................................................................p. 42 I.5. Le potenzialità delle immagini.........................................p. 43 Il ruolo dell’immagine.................................................p. 43 La ricezione dell’immagine.........................................p. 46 I.6. Le insegne del potere......................................................p. 51 Introduzione................................................................p. 51 Il trono.........................................................................p. 53 Gli animali...................................................................p. 55 Il baldacchino..............................................................p. 58 Lo scettro, il globo e la corona...................................p. 60

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Le pietre preziose........................................................p. 68 Gli abiti.......................................................................p. 68 I colori.........................................................................p. 70 Il volto del sovrano......................................................p. 72 Parte Seconda. Il significato.......................................................p. 77 II.1. Introduzione...................................................................p. 79 II.2. L’apporto della tradizione.............................................p. 85 La tradizione bizantina e normanna...........................p. 85 La tradizione ottoniana e sveva..................................p. 91 La tradizione dell’antico impero romano...................p. 99 II.3. I principi di governo.......................................................p. 111 La volontà accentratrice..............................................p. 111 La continuità dinastica.................................................p. 116 Il signore del mondo.....................................................p. 120 La ‘nobiltà d’animo’....................................................p. 126 II.4. L’ideologia politica.........................................................p. 135 La sacralità dell’impero...............................................p. 135 I due poteri...................................................................p. 138 Lo stato ‘laico’.............................................................p. 142 Lex animata in terris....................................................p. 148 II.5. Legittimazione e sacralizzazione ‘alternative’...............p. 161 Parte Conclusiva..........................................................................p. 177 Considerazioni finali..............................................................p. 179 Appendice iconografica...............................................................p. 187 Apparato bibliografico e indice...................................................p. 275

299

Fonti.......................................................................................p. 277 Bibliografia.............................................................................p. 279 Strumenti................................................................................p. 293 Referenze fotografiche...........................................................p. 295 Indice......................................................................................p. 297

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