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769 Dalla contemplatio alla compassio: Tendenze espressive in Passioni italiane fra Medioevo e Rinascimento Diego Toigo I brani evangelici che narrano la passione e morte di Cristo rivelano, nell’alternanza fra parti dialogate e parti narrative, una loro natura in- timamente drammatica; questa inclinazione, com’è noto, tende a realiz- zarsi compiutamente al momento della proclamazione liturgica, quando il testo viene destinato a persone diverse che recitano su più corde di cantillazione. Il carattere drammatico del testo, tuttavia, non va inteso nel senso moderno, cioè come mera attitudine rappresentativa, ma, come avverte Kurt von Fischer, 1 deve essere considerato nell’ottica di un’intima propensione a coinvolgere l’uditore, secondo una tendenza che può essere compresa e riassunta nel termine compassio. Si tratta di un modo nuovo di guardare alla croce di Cristo, di una sensibilità nuova, che tende a favorire non solo la contemplazione della croce come strumento oggettivo di salvezza (contemplatio), ma anche e so- prattutto l’immedesimazione personale e soggettiva del singolo con le sofferenze di Cristo (compassio, appunto). 2 È noto che questa volontà di immedesimazione si venne affermando in pieno Duecento sotto l’influsso della pietà dei Francescani e dei Domenicani, e si incrementò 1 Kurt von Fischer, “The Passion from its Beginnings Until the 16 th Century,” in Essays in Musicology (New York: The Graduate School and University Center, City University of New York, 1989), pp. 9–65; 23–24 (orig. Die Passion von ihren Anfängen bis ins 16. Jahrhundert, in Gattungen der Musik in Einzeldarstellungen. Gedenkschrift Leo Schrade, herausgegeben von Wulf Arlt [et al.] (1973), pp. 574–620. 2 Su queste importanti osservazioni di carattere teologico-culturale, e in particolare sugli influssi decisivi che la Theologia Crucis di s. Bernardo esercitò in quest’ambito, Kurt von Fischer si sofferma con profondità e dovizia di riferimenti nel citato articolo (Ivi, pp. 9–24). In proposito, si vedano anche i seguenti contributi: Kurt von Fischer, The “Theologia crucis” and the performance of the early liturgical Passion, Israel Studies in Musicology III (1983), pp. 38–43; idem, “Passionsmusik und Passionsfrömmigkeit,” in Aufsätze zur Musik: aus Anlass des 80. Geburtstages von Kurt von Fischer (Zurich: Hug Musikverlage, 1993), pp. 56–62.

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Dalla contemplatio alla compassio: Tendenze espressive in Passioni italiane fra

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I brani evangelici che narrano la passione e morte di Cristo rivelano, nell’alternanza fra parti dialogate e parti narrative, una loro natura in-timamente drammatica; questa inclinazione, com’è noto, tende a realiz-zarsi compiutamente al momento della proclamazione liturgica, quando il testo viene destinato a persone diverse che recitano su più corde di cantillazione. Il carattere drammatico del testo, tuttavia, non va inteso nel senso moderno, cioè come mera attitudine rappresentativa, ma, come avverte Kurt von Fischer,1 deve essere considerato nell’ottica di un’intima propensione a coinvolgere l’uditore, secondo una tendenza che può essere compresa e riassunta nel termine compassio. Si tratta di un modo nuovo di guardare alla croce di Cristo, di una sensibilità nuova, che tende a favorire non solo la contemplazione della croce come strumento oggettivo di salvezza (contemplatio), ma anche e so-prattutto l’immedesimazione personale e soggettiva del singolo con le sofferenze di Cristo (compassio, appunto).2 È noto che questa volontà di immedesimazione si venne affermando in pieno Duecento sotto l’influsso della pietà dei Francescani e dei Domenicani, e si incrementò

1 Kurt von Fischer, “The Passion from its Beginnings Until the 16th Century,” in Essays in Musicology (New York: The Graduate School and University Center, City University of New York, 1989), pp. 9–65; 23–24 (orig. Die Passion von ihren Anfängen bis ins 16. Jahrhundert, in Gattungen der Musik in Einzeldarstellungen. Gedenkschrift Leo Schrade, herausgegeben von Wulf Arlt [et al.] (1973), pp. 574–620. 2 Su queste importanti osservazioni di carattere teologico-culturale, e in particolare sugli influssi decisivi che la Theologia Crucis di s. Bernardo esercitò in quest’ambito, Kurt von Fischer si sofferma con profondità e dovizia di riferimenti nel citato articolo (Ivi, pp. 9–24). In proposito, si vedano anche i seguenti contributi: Kurt von Fischer, The “Theologia crucis” and the performance of the early liturgical Passion, Israel Studies in Musicology III (1983), pp. 38–43; idem, “Passionsmusik und Passionsfrömmigkeit,” in Aufsätze zur Musik: aus Anlass des 80. Geburtstages von Kurt von Fischer (Zurich: Hug Musikverlage, 1993), pp. 56–62.

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via via fra i secoli XIV e XV;3 anzi, proprio da essa pare sia derivata, in pieno Duecento, la consuetudine di destinare il testo della Passione a più lettori.

In quest’ottica si spiega anche il particolare rilievo che nei secoli è stato conferito a certi luoghi del racconto della passione: mi riferisco soprattutto alle ultime parole di Cristo sulla croce, che non a caso rap-presentano spesso, nei libri liturgici, l’unica sezione notata. In quei passi la melodia tende a staccarsi dal contesto e a caricarsi di nuova forza drammatica, abbandonando il tono di recitazione consueto per portarsi verso l’ambito acuto: ne risultano spesso formule molto carat-terizzate, le cosiddette «melodie-Eli». Ebbene, un sistematico lavoro di raccolta e di comparazione di tali melodie non è stato fatto ancora se non in minima parte e in modo frammentario: potremmo ricordare la breve silloge pubblicata a fine Ottocento da Heinrich Böckeler sulle colonne di una rivista ceciliana,4 oppure l’accenno che Bruno Stäblein riserva all’argomento nella prima edizione di MGG,5 o ancora, in epoca più recente, un lodevole contributo sul genere-Passione di Giacomo Baroffio e Cristiana Antonelli, che alle melodie-Eli dedicano un ap-profondimento.6

3 Si pensi al movimento dei Disciplinati, alle laude di Passione, ai planctus Mariae. In proposito corre l’obbligo di riportare almeno un passo del Rationale divinorum officiorum di Guglielmo Durando, un’opera di grande successo, composta proprio sullo scorcio del secolo XIII, che ben rappresenta e chiarisce il senso della nuova attitudine alla compassio: «… finis Passionis, qui ad sepulturam pertinet, in tono legitur doloroso […] ad maiorem devotionem et amaritudinem propter Christi Passionem in animis audientium excitandam»; cfr. Guillelmi Duranti Rationale divinorum officiorum, 3 voll., ediderunt A. Davril O.S.B. et T.M Thibodeau (Turnhout: Brepols, 1995–2000) (Corpus Christianorum, CXL, CXLA, CXLB), II, 1998, p. 329. 4 Heinrich Böckeler, “Über den Passionsgesang,” Gregorius Blatt VI (1881): 27 e sgg., 52. 5 Bruno Stäblein, “Die einstimmige lateinische Passion,” in Die Musik in Geschichte und Gegenwart, 16 voll. (Kassel: Bärenreiter, 1949–1979), voce “Passion,” X, coll. 887–98: 895–96. Lo studioso suddivide le melodie in due gruppi: una tipologia più semplice, come quella attestata nella tradizione Sarum e in talune fonti spagnole, e un’intonazione più elaborata, ben rappresentata in manoscritti tedeschi e italiani. 6 Bonifacio Baroffio e Cristiana Antonelli, “La passione nella liturgia della Chiesa cattolica fino all’epoca di Johann Sebastian Bach,” in Ritorno a Bach. Dramma e

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1. Fra i secoli XIII e XIV, nel periodo in cui si venne affermando la riforma romano-francescana, in Italia ebbe grande diffusione una melo-dia significativa, che possiamo leggere in un cantorino francescano redatto fra i secoli XIV e XV, oggi conservato presso la Biblioteca Universitaria di Bologna.7 La riproduzione della c. 266v (fig. 1) con-sente di osservare un dato interessante: prima dell’intervento del Cristo, un’inflessione di tipo drammatico subentra già nella parte dell’Evangelista, e precisamente sul termine «dicens» della cadenza ante vocem Christi; la formula, che punta decisamente verso l’acuto preannunciando con grande solennità le ultime parole di Cristo, non compare nelle sezioni precedenti e torna di seguito per due sole volte, a sottolineare altrettanti momenti importanti della narrazione.8 A quel punto la melodia del Cristo, prima intonata intorno alla corda di Sol, si solleva sulla finalis di Re e disegna, così collocata in posizione acuta, un andamento ondeggiante, permeato da una sensibilità di tipo dram-

ritualità della Passione, a cura di Elena Povellato (Venezia: Marsilio, 1986), pp. 11–33; 30–32. 7 Bologna, Biblioteca Universitaria, 2893, membranaceo, cc. I–III, pp. 549 (numerazione a pagine del sec. XVIII), mm. 140 x 105, secc. XIV–XV. Una breve descrizione del manoscritto si trova in Irene Ventura Folli, I codici posseduti da Giovanni Grisostomo Trombelli, conservati nella Biblioteca Universitaria di Bologna, in Giovanni Grisostomo Trombelli (1697–1784) e i Canonici regolari del SS. Salvatore, a cura di M.G. Tavoni e G. Zarri (Modena: Mucchi, 1991), pp. 211–65; 247; si vedano anche Lodovico Frati, Indice dei codici latini conservati nella r. Biblioteca universitaria di Bologna (Firenze: successori B. Seeber, 1909) (Studi italiani di filologia classica, 16–17), p. 557, n° 1561; idem, “I codici musicali della R. Biblioteca Universitaria di Bologna,” Rivista musicale italiana XXIII (1916): 219–42; 228, 241; Maria Cristina Bacchi e Laura Miani, “Vicende del patrimonio librario bolognese: manoscritti e incunaboli della Biblioteca Universitaria di Bologna,” in Pio VI Braschi e Pio VII Chiaramonti. Due Pontefici cesenati nel bicentenario della Campagna d’Italia, Atti del Convegno internazionale, maggio 1997 (Bologna: Clueb, 1998) (Sussidi eruditi, 33–34), pp. 369–475; 462. Il codice è citato anche in Giacomo Baroffio, I manoscritti liturgici italiani: ricerche, studi, catalogazione. II: 1980–1988, Le fonti musicali in Italia. Studi e ricerche II (1988), pp. 89–134; 94; Nicola Tangari e Walter Tortoreto, Il congresso di Giulianova “Il patrimonio musicale in Italia: tutela e ricerca,” Giulianova Lido 18–20 maggio 1989, Le fonti musicali in Italia. Studi e ricerche III (1989), pp. 7–30, 23. 8 Si tratta dell’istante della morte, «emisit spiritum», e della conclusione del Passio, sulla parola «sepulchrum» che precede immediatamente il vangelo «Altera autem die».

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matico-imitativo: alla ripetizione dell’invocazione «Heli», infatti, cor-risponde la ripetizione del melisma, che imita pateticamente un grido, con innalzamento e ricaduta della voce.9

Questa formula, ben riconoscibile per il doppio melisma, ricorre con particolare frequenza in manoscritti ed edizioni di epoca e di tradizioni diverse: la si trova in molti messali romano-francescani dei secoli XIV e XV, ma anche nel Ms. 16 della Biblioteca del Comune e dell’ Acca-demia Etrusca di Cortona, databile con ogni probabilità alla fine del secolo XIII;10 agli inizi del Cinquecento essa compare persino in alcune edizioni di tradizione monastica, come il cantorino cassinese stampato a Venezia nel 1506 presso le officine Giunta,11 e i due messali camal-dolesi del 1503 e del 1567, usciti dalle stamperie della stessa città.12 Va detto che la formula persiste ancora in libri liturgici di epoca posteriore, come testimonia un processionario domenicano del 1754.13

2. Due Cantorini francescani manoscritti del secolo XV, conservati in biblioteche trentine,14 attestano una variante interessante della melo-

9 Naturalmente il doppio melisma si ripete con la stessa enfasi sulle parole «Deus meus, Deus meus»; la melodia-Eli si conclude poi sulla finalis di Re, con un lieve movimento ascendente che sospende in alto, caricandola di mistero, la domanda «ut quid dereliquisti me?». 10 Per una descrizione del codice, cfr. Inventari dei manoscritti delle Biblioteche d’Italia. 18: Cortona, a cura di Albano Sorbelli (Firenze: Olschki, 1911 (rist. 1966)), p. 10. Nel messale cortonese le Passioni non sono provviste di notazione se non in corrispondenza delle ultime parole di Cristo sulla croce, nella versione di Matteo (c. 95v) e di Marco (c. 101r: è errata l’informazione di Fischer, The Passion cit., pp. 20–21, secondo cui il messale non riporterebbe la Passione di Marco). La melodia-Eli con doppio melisma si snoda intorno alla finalis di Sol, tuttavia non possiamo sapere se anche i toni tipici della tradizione italiana (Sol per il Cristo, Do per l’Evangelista, Fa per le turbae) vi figurassero trasportati. 11 Monastici cantus compendiolum (Venezia: Giunta, 1506), c. 129r–v; l’intitolazione è desunta dal colophon, poiché l’esemplare conservato presso la Biblioteca Marciana di Venezia è acefalo. Nelle due ristampe del 1523 e del 1535 il frontespizio reca l’incipit «Cantus monastici formula». 12 [Missale camaldulense] (Venezia: Antonio de Zanchi, 1503), c. 69r (essendo l’edizione acefala, il titolo è del tutto generico); Missale monasticum secundum ordinem Camaldulensem (Venezia, Liechtenstein, 1567), c. 66r. 13 Processionarium Sacri Ordinis Praedicatorum (Roma: Mainardi, 1754), pp. 502–03. 14 Cantorino n° 1: Trento, Biblioteca L. Feininger, FC 133, membranaceo, cc. I + 148 + I, mm. 105×77 (formule di Passione alle pp. 193–200); cfr. Cesarino Ruini, I

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dia-Eli appena presentata; si legga all’esempio 1 la trascrizione ricavata dal piccolo codice della Biblioteca Feininger:15

Qui l’ornata cadenza ante vocem Christi dell’Evangelista è ancora presente, tuttavia il primo melisma della sezione «Hely, Hely» è so-stituito da una formula diversa, caratterizzata da un salto di quarta as-cendente; in questo modo la melodia-Eli, nel complesso più sobria della manoscritti liturgici della Biblioteca L. Feininger presso il Castello del Buonconsiglio di Trento, 2 voll. (Trento: Provincia autonoma di Trento—Servizio beni culturali—Servizio beni librari e archivistici, 1998–2002) (Patrimonio storico e artistico del Trentino, 21, 25), I, pp. 298–99, II, pp. 641–44; “Codici liturgico-musicali,” a cura di Fabrizio Leonardelli e Cesarino Ruini, in La Biblioteca musicale Laurence K.J. Feininger. Trento, Castello del Buonconsiglio, 6 settembre–25 ottobre 1985, a cura di Danilo Curti e Fabrizio Leonardelli (Trento: Provincia Autonoma di Trento, 1985), pp. 101–126. Cantorino n° 2: Trento, Fondazione Biblioteca S. Bernardino, 312, membranaceo, cc. 110, mm. 125×90 (formule di Passione alle cc. 75v–79r); il manoscritto proviene con tutta probabilità dalla stessa città di Trento: cfr. Giulia Gabrielli, Il canto fratto nei manoscritti della Fondazione Biblioteca S. Bernardino di Trento (Trento: Provincia autonoma di Trento, Soprintendenza per i beni librari e archivistici, 2005) (Patrimonio storico e artistico del Trentino 28), pp. 115–19 e Tav. 2, p. 58; Fortunato Turrini, Manoscritti liturgici della diocesi di Trento dal secolo XI: catalogo-inventario (Trento: Vita trentina editrice, 2001), pp. 226–27. 15 Nella trascrizione ho segnalato per mezzo di corone le note in forma di virga allungata che chiudono i singoli incisi: si tratta di segni simili a quelli riportati in Ruini, I manoscritti liturgici cit., I, Appendice 1, p. 387, es. 9b.

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precedente, perde qualcosa del suo carattere drammatico, cioè l’imitazione della doppia invocazione, e acquista una nuova scorrevo-lezza. È importante osservare che proprio questa soluzione melodica venne accolta nella tradizione a stampa del cantorino romano-francescano, uscito in sei edizioni fra il 1513 e il 1566.16

A partire dal 1535, la stessa formula, lievemente semplificata e pri-vata del solenne melisma «dicens» dell’Evangelista, è riportata nella lunga serie di ristampe del Familiaris clericorum liber, un rituale di origine francescana che ebbe grande diffusione nel corso del secolo XVI.17 Uno sguardo a ritroso nel tempo, infine, ci permette di segnalare anche in questo caso una testimonianza più antica, e cioè il messale Rossi lat. 199 della Biblioteca Apostolica Vaticana, databile ai secoli XIII–XIV, che attesta la melodia con salto iniziale di quarta alla c. 82v.18

3. Non meno interessanti sono le formule destinate alle ultime pa-role di Cristo sulla croce secondo la versione dell’evangelista Giovanni. In fig. 2, ad esempio, è riprodotta la melodia del citato cantorino bolo-gnese, il Ms. 2893 della Biblioteca Universitaria di Bologna: in questo caso, se l’espressiva cadenza ante vocem Christi permane inalterata («dixit»), il grido di Cristo («Consumatum est») assume una linea me-

16 Compendium musices confectum ad faciliorem instructionem cantum choralem discentium, necnon ad introductionem huius libelli qui Cantorinus intitulatur, omnibus divino cultui deditis perutilis et necessarius, ut in tabula hic immediate sequenti latius apparet (Venezia: Giunta, 1513). Con il medesimo frontespizio il cantorino uscì a Venezia presso Liechtenstein nel 1538 e nel 1549; con il titolo di Cantorinus fu ristampato dagli eredi Giunta nel 1540, nel 1550 e nel 1566. 17 Le edizioni del Familiaris furono in totale 14, tutte veneziane: Gregorio de Gregori lo impresse nel 1517 e nel 1525, con due brevi frontespizi diversi (rispettivamente Familiaris clericorum e Familiaris clericorum libellus musices divinique cultus miro orationum ordine contextus); i più ampi frontespizi delle edizioni successive contengono il tipico incipit di Familiaris clericorum liber: si vedano Giunta 1530 e 1542, Vittore Ravani e soci 1535 e 1540, Liechtenstein 1541 e 1550, eredi Pietro Ravani e soci 1549, Bindoni 1561, Varisco e soci 1560, 1562, 1565 e 1570. La melodia con salto iniziale di quarta, introdotta appunto nell’edizione del 1535, perdura fino all’ultima ristampa. 18 Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, Rossi lat. 199; sulla probabile origine umbra del codice, cfr. Baroffio-Antonelli, “La passione,” p. 31 (Note), lettera t); p. 32, es. t.

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lodica a dir poco ardita: la voce sale di un’ottava sopra il tono dell’Evangelista, elevandosi con straordinaria forza drammatica, e poi discende languidamente verso la nota iniziale.

Non si tratta di una testimonianza isolata, giacché la stessa formula, che doveva forse mettere alla prova le capacità tecniche di chi la eseguiva, è notata alla terza inferiore in un coevo cantorino francescano di origine italiana, del quale oggi rimane la sola riproduzione in micro-film.19

4. Dunque, le melodie-Eli con doppio melisma (fig. 1) e con salto iniziale di quarta (es. 1), godettero di una certa popolarità in Italia, come testimoniano non pochi libri liturgici, di tradizione romano-francescana e non solo; tuttavia, nelle fonti emergono anche altre for-mule, che ebbero forse una diffusione limitata, ma che nel loro pro-cedere melismatico riflettono una stessa sensibilità di tipo drammatico-imitativo. Un testimone interessante, in proposito, è costituito dal pas-sionario quattrocentesco XII. F. 46 della Biblioteca Nazionale di Napo-li, al quale è stata attribuita un’origine veneziana.20 Anche in questo caso (si veda l’esempio 2) la melodia-Eli è preceduta dalla nota e solenne cadenza dell’Evangelista, ma il grido di Cristo assume una struttura melodica particolarmente elaborata.

Le due invocazioni «Heli, Heli», si noti, tendono a bilanciarsi, per cui la prima sale rapidamente verso l’acuto, mentre la seconda scende a trovare riposo sulla finalis; la formula ascendente viene poi subito

19 Il codice era custodito a Berlino presso la Deutsche Staatsbibliothek (Mus. 40562, secc. XIV–XV, membranaceo, cc. 231, mm. 85x60); si veda Handschriften mit mehrstimmiger Musik des 14., 15. und 16. Jahrhunderts, beschrieben und inventarisiert von Kurt von Fischer und herausgegeben im Zusammenarbeit mit Max Lütolf (München-Duisburg: G. Henle, 1972) (Répertoire International des Sources Musicales, B/IV/3), p. 317. Il microfilm si trova presso il Bruno-Stäblein-Archiv, già all’Università di Erlangen, ora collocato all’Università di Würzburg. 20 Napoli, Biblioteca Nazionale, Ms. XII. F. 46, sec. XV (1495), cartaceo, cc. 1 + 36 + 1 (numerazione moderna a matita in alto, sul margine destro del recto), mm. 147 x 100 (la melodia-Eli si trova alla c. 17v); sul dorso della moderna legatura (sec. XIX) si legge Venetia 1495; si veda anche Raffaele Arnese, I codici notati della Biblioteca Nazionale di Napoli (Firenze: Olschki, 1967), pp. 162–63. Il volume è citato anche in Giacomo Baroffio, Iter Liturgicum Italicum (Padova: CLEUP, 1999), p. 159.

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ripetuta, in modo che la domanda drammatica del Cristo, «ut quid dere-liquisti me?», rimanga sospesa al registro acuto. Si tratta, nel comples-so, di una melodia particolarmente fiorita, che spicca, nel contesto della narrazione, per il suo carattere cantabile, a tratti quasi lirico.

Un’altra formula significativa è contenuta nelle prime due edizioni del Familiaris clericorum liber, stampate a Venezia dall’editore de Gregori nel 1517 e nel 1525.21 Rispetto alla formula già menzionata, quella cioè che si impose nelle ristampe del Familiaris a partire dal 1535, in questo caso (fig. 3) la melodia presenta un breve melisma sulla cadenza «di-cens» dell’Evangelista, poi ripetuto come di consueto nel tratto «emisit spiritum»;22 di seguito, le due invocazioni si muovono con eleganza 21 Come avrò modo di mostrare in altra sede, le prime due edizioni del Familiaris riportano formule di Passione diverse rispetto a quelle poi fissate a partire da Ravani 1535; nell’edizione di mezzo, Giunta 1530, il Passio è addirittura privo di notazione. 22 Si noterà in fig. 3 che il tratto «Iesus autem clamans voce magna emisit spiritum» è riportato per errore prima della melodia-Eli. Va detto che nell’edizione del 1525 il melisma «dicens» dell’Evangelista non è uguale a quello di fig. 3 (Gregori 1517); del

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intorno ad uno stesso nucleo melodico (pes—climacus resupinus—nota ascendente); tuttavia, se il primo «Heli» muove dal basso, il secondo scende dal vertice melodico Sol, conferendo all’insieme un’inflessione particolarmente patetica. Anche in questo caso, si noti, la domanda conclusiva del Cristo («ut quid dereliquisti me?») rimane sospesa in posizione acuta.

Altre testimonianze di questa formula non sono emerse, fatta ec-cezione per il manoscritto Ottob. lat. 221 della Biblioteca Apostolica Vaticana, che la riporta al margine inferiore della c. 61v, lievemente semplificata e vergata da mano cinquecentesca.23

5. Se dunque nelle intonazioni di area italiana ricorrono in prevalen-za melodie di carattere ornato e patetico, spicca a maggior ragione l’autorevole testimonianza del Cantus ecclesiasticus Passionis di Gio-van Domenico Guidetti, un’opera che apparve nell’anno 1586 e che in breve tempo venne a porsi come modello per le espressioni liturgiche riconducibili alla tradizione cattolica.24 Ebbene, all’interno di questa

resto, non lo sono nemmeno le altre formule di Passione; tuttavia, nei due esemplari la melodia-Eli si mantiene inalterata. 23 Biblioteca Apostolica Vaticana, Ottob. lat. 221 (Napoli, sec. XV); cfr. Baroffio-Antonelli, “La passione” cit., p. 30 (Note), lettera i), p. 32, es. i. 24 Cantus ecclesiasticus Passionis Domini nostri Iesu Christi secundum Matthaeum, Marcum, Lucam et Ioannem, iuxta ritum Capellae S.D.N. papae ac sacrosanctae Basilicae Vaticanae, a Ioanne Guidetto Bononiensi eiusdem Basilicae clerico beneficiato in tres libros divisus et diligenti adhibita castigatione pro aliarum Ecclesiarum commoditate typis datus, 3 voll. (Roma: Alessandro Gardano, 1586). L’opera di Guidetti ebbe numerose ristampe già a partire dai decenni successivi: posto che non ho potuto accertare l’esistenza dell’edizione del 1604 menzionata in Giuseppe Baini, Memorie storico-critiche della vita e delle opere di Giovanni Pierluigi da Palestrina, 2 voll. (Roma: Società tipografica, 1828–29 (rist. anast. Hildesheim, Olms, 1966)), II, p. 108, nota 535, sono invece facilmente reperibili le ristampe romane pubblicate da Andrea Fei nel 1615 e nel 1637, da Poggioli nel 1644 e da Campana nel 1689. L’intonazione romana di Guidetti venne accolta anche in edizioni di altro tipo, quali il Cantorinum pro Canonicis Regularibus S. Salvatoris ex directorio chori Romano excerptum (Venezia: Polo, 1615), o il volume curato da Marzio Erculeo, sopranista della cappella di Francesco I d’Este, che reca il seguente frontespizio: Cantus omnis ecclesiasticus ad hebdomadae maioris Missas, Passionem D.N.I.C., Officia tenebrarum, Lamentationes, Benedictiones, Processiones &c., iuxta ritum S.R.E., collectus ad usum faciliorem cleri universi cathedralium, collegiatarum, aliarumque ecclesiarum, et omnium qui gregoriano cantu in choro utuntur, ex Missali,

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intonazione, che è romana e cinquecentesca, manca di fatto una melo-dia-Eli, nel senso che la parte del Cristo si limita a riproporre il tono di recitazione consueto, cioè la corda di Sol, con le più tipiche formule del metrum e dell’interrogatio (esempio 3).25

Nemmeno la cadenza ante vocem Christi dell’Evangelista presenta amplificazioni di sorta, e il tratto «emisit spiritum» è reso in modo es-tremamente sobrio e sillabico.

Non sappiamo se l’intonazione pubblicata da Guidetti incarni con-suetudini più antiche, dal momento che l’unica attestazione manoscritta che la precede, costituita da tre Passionari provenienti dalla Basilica Lateranense, risale anch’essa al secolo XVI;26 in ogni caso, dal momen-

Breviario, Graduali, Antiphonario, Pontificali et Rituali Romano, opera Martii Herculei ex sacerdotibus sodalitatis SS. Sacramenti congregationis B. Mariae et divi Caroli, Mutinae, nobilissimis ac praestantissimis dominis alumnis almi Collegii Germanici et Hungarici de Urbe (Modena: eredi Cassiani, 1688). Quanto al successo transalpino dell’intonazione romana, potrei citare l’edizione settecentesca stampata a Kempten col seguente frontespizio: Cantus ecclesiasticus sacrae historiae passionis Domini nostri Iesu Christi, secundum quatuor evangelistas; itemque lamentationum, et lectionum pro tribus matutinis tenebrarum. Iuxta exemplar Romae editum emendatius, in usum omnium ecclesiarum, tam cathedralium ac collegiatarum, quam regularium nec non et ruralium accomodatus (Kempten: Joseph Kösel, 1763 (poi ristampato dallo stesso Kösel nel 1794)). In pieno Ottocento il tono romano cinquecentesco fu pubblicato da monsignor Pietro Alfieri (Cantus gregorianus Passionis D. N. Iesu Christi secundum Matthaeum, Marcum, Lucam et Joannem, cura et studio Petri Alfierii presbyteri Romani, sacri concentus ecclesiae magistri, Collegii Sanctae Caeciliae socii honorarii, restitutus et in lucem editus, 3 voll. (Roma: Typis Ioannis Baptistae Marini et socii, 1838) e infine godette di nuova popolarità grazie alle edizioni Pustet, che lo accompagnarono fin oltre le soglie del secolo XX. Una prima edizione Pustet, a quanto mi risulta, uscì nel 1877 con il titolo di Cantus ecclesiasticus Passionis; a partire dal 1881 l’editore pubblicò la stessa melodia nell’Officium majoris hebdomadae, molte volte ristampato e talvolta accompagnato dalla dicitura «ex editionibus authenticis» (o «ex editione authentica»), con riferimento all’opera di Guidetti. 25 La trascrizione combina insieme le melodie dell’Evangelista e del Cristo, che nell’opera compaiono all’interno dei rispettivi libri-parte (Verba Evangelistae, pp. 13–14; Verba Christi, p. 5). Quanto all’uso del bemolle, sempre posto in chiave nell’edizione, mi sono attenuto alla ragionevole interpretazione dell’Alfieri, che lo inserisce appunto nella cadenza ante vocem Christi e nella parte del Cristo. 26 Roma, Archivio della Basilica di San Giovanni in Laterano, Mss. Rari 96, Rari 97, Rari 98: cfr. L’Archivio musicale della Basilica di San Giovanni in Laterano. Catalogo dei manoscritti e delle edizioni (secc. XVI–XX), a cura di Giancarlo Rostirolla, 2 voll. (Roma: Ministero per i beni e le attività culturali, Direzione generale per gli archivi,

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to che i tre manoscritti testimoniano una redazione del tutto omologa a quella del Cantus ecclesiasticus Passionis, si può dire che Guidetti si è sostanzialmente attenuto a una tradizione romana già esistente.27

6. A proposito del tono romano di Passione, corre l’obbligo a questo punto di aggiungere alcune considerazioni circa l’intonazione pubblica-

2002) (Pubblicazioni degli Archivi di Stato-Strumenti CLIII), II, pp. 1201–03; i tre manoscritti cartacei costituivano altrettanti libri-parte destinati agli “attori” del Passio (Evangelista, Cristo, turbae); il Rari 97 (n. 9092 del catalogo) porta alla c. 70r la seguente iscrizione in inchiostro rosso: Per Joannem Baptistam Cereum clericum lateranensem, editum anno 1567. 27 Secondo Giuseppe Baini, l’intonazione testimoniata dai tre manoscritti e accolta dal Guidetti sarebbe l’esito di un adattamento operato dai cantori della Cappella pontificia verso la metà del secolo: «ond’è certo, che nell’anno 1556. dovette farsi alcun miglioramento al canto consueto del Passio. E dopo tal’ epoca appunto fu questo canto comunicato dai nostri predecessori alla proto-basilica lateranense nel 1567., alla basilica vaticana, e forse anche alla liberiana» (Baini, Memorie storico-critiche cit., II, p. 112, nota 537); non sappiamo tuttavia quanto si debba prestar fede a queste supposizioni. Un paragone puntuale fra la redazione manoscritta e la versione del Guidetti sarà oggetto di mie prossime pubblicazioni.

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ta nel 1917 dalle Edizioni Vaticane.28 Va detto che questa nuova melo-dia, proclamata «autentica e tipica» nell’introduttivo Decretum di Benedetto XV, non è di provenienza italiana, ma piuttosto di origine germanica: si diffuse infatti in area tedesca fra i secoli XIV e XVI,29 distinguendosi dalla tradizione italiana per via della corda riservata alla parte del Cristo, un Fa in luogo del Sol.

Dunque, grazie alle edizioni Pustet, il tono romano cinquecentesco di Guidetti rimase in voga nella liturgia cattolica fino alle soglie del secolo XX, dopodiché fu improvvisamente abbandonato in favore di una melodia di fatto estranea alla grande famiglia delle intonazioni italiane che utilizzano i toni di Sol per il Cristo, Do per l’Evangelista e Fa per le turbae. La sostituzione era stata voluta e preparata dagli stu-diosi di Solesmes, e in particolare da dom Jospeh Gajard, che aveva creduto di individuare nella nuova melodia l’archetipo di tutte le inton-azioni di modalità lidia (e quindi anche di quella romana cinquecentes-ca);30 uno dei motivi che indussero dom Gajard a persistere nel suo lavoro di restituzione, fu proprio l’intento di ritrovare l’originaria sem-plicità, eliminando quegli ornamenti di carattere espressivo che egli non esitava a definire come «amplifications maladroites et païennes», derivanti a suo dire da un cattivo gusto ancora persistente fra Cinque e Seicento.31

28 Cantus Passionis Domini nostri Iesu Christi secundum Matthaeum, Marcum, Lucam et Joannem, SS. D. N. Benedicti XV Pontificis Maximi jussu restitutus et editus (Roma: Typis polyglottis Vaticanis, 1917 (poi nuovamente edito nel 1920)). 29 Cfr. Fischer, “The Passion,” p. 17. 30 Un resoconto di quelle vicende si legge in Bernard Andry, “Le chant liturgique de la Passion,” Études grégoriennes XXIX (2001): 95–127. 31 Cfr. Dom Joseph Gajard O.S.B., “L’édition vaticane du chant de la Passion. Simples notes au courant de la plume,” Revue Grégorienne VI (janvier-février, 1921): 19–32; 23; quest’articolo fu scritto in risposta a una recensione negativa del Cantus Passionis pubblicata da A. Gastoué in La vie et les arts liturgiques XXX (1917), pp. 373–74 (cfr. Andry, “Le chant liturgique,” pp. 104–06 e 107). Ecco inoltre quanto scrisse dom Gajard nel 1915, giustificando le scelte operate e i manoscritti utilizzati per approntare il nuovo tono di Passione: «les chants que l’on trouve dans les missels imprimés—y compris Guidetti et Ratisbonne—ne sont que des enjolivements, apportés par le mauvais goût des XVI–XVII siècles, à un type traditionnel unique» (cfr. Andry, “Le chant liturgique,” pp. 103–04).

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Certo, l’intonazione del 1917 si distingue per essenzialità e sobrietà, soprattutto in corrispondenza della melodia-Eli, alla quale vengono destinate le formule consuete, al registro grave (esempio 4).

Si potrebbe osservare che, in rapporto a questa versione del 1917, la melodia romana cinquecentesca riportata all’es. 3 non risulta molto più carica di ornamenti: ben più ornate ed espressive sono le formule ro-mano-francescane, che anzi, si ricordi, intonano la parte del Cristo al registro acuto.

7. A sintesi di questo percorso di ricerca e di analisi sulle fonti ital-iane della Passione, si può dunque confermare quanto Bruno Stäblein asserisce in MGG, e cioè che le intonazioni di area italiana tendono a conferire un carattere espressivo alle ultime parole di Cristo sulla cro-ce.32 Certo, è una tendenza di antica tradizione, come testimoniano i neumi che non di rado provvedono di ornamenti il tratto «Eli, Eli» in manoscritti di epoca precedente:33 tuttavia, è evidente che

32 Cfr. nota 5. 33 Ne è esempio il manoscritto CV della Biblioteca Capitolare di Verona, ma ricordo anche i codici B8 e B50 della Biblioteca Vallicelliana di Roma, per i quali si veda Baroffio-Antonelli, “La passione,” p. 31 (Note), lettera v), p. 32, es. v; p. 31 (Note), lettera A).

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quell’inclinazione si fa più marcata, fino a tingersi di sfumature patet-iche, nella tradizione romano-francescana dei secoli XIV–XV, così sensibile alle nuove istanze di una teologia della compassio. D’altro canto, non mancano in Italia formulazioni melodiche più semplici, fra le quali spicca proprio quella tradizione romana cinquecentesca che perdurò nella liturgia cattolica fino ai primi anni del secolo XX. Fig. 1: Bologna, Biblioteca Universitaria, Ms. 2893, c. 266v

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Fig. 2: Bologna, Biblioteca Universitaria, Ms. 2893, c. 268v

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Fig. 3: Familiaris clericorum, Venezia, Gregorio de Gregori, 1517, c. 55r