Incendi di palazzi pubblici e case private a Venezia nel Rinascimento: dalla distruzione ai processi...

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Usi, rischi e rappresentazioni dell’incendio dal Medioevo al XX secolo Usages, risques et représentations de l’incendie du Moyen Âge au XXe siècle Bräuche, Risiken und Darstellungen des Brandes vom Mittelalter bis ins 20. Jahrhundert a cura di / sous la direction de / Herausgeber Luigi Lorenzetti Vanessa Giannò Giampiero Casagrande editore Al fuoco! Au feu! Es brennt!

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Usi, rischi e rappresentazioni dell’incendio dal Medioevo al XX secolo

Usages, risques et représentations de l’incendie du Moyen Âge au XXe siècle

Bräuche, Risiken und Darstellungen des Brandes vom Mittelalter bis ins 20. Jahrhundert

a cura di / sous la direction de / HerausgeberLuigi Lorenzetti Vanessa Giannò

Giampiero Casagrande editore

Al fuoco!

Au feu!

Es brennt!

INDICE – 7

Indice • Table des matières • Inhalt

11 Introduzione • Introduction • EinleitungLuigi Lorenzetti

Parte Prima Fuoco e incendi: interpretazioni, simboli, memoriaPremière Partie Feu et incendies: interprétations, symboles, mémoire

Teil eins Feuer und Brandfälle: Interpretationen, Symbolen, Erinnerung

67 Portata simbolica della conquista del fuocoPatrik Krebs

91 Beten oder Löschen? Feuer in den böhmischen Städten der Frühen Neuzeit

Josef Hrdlicka109 Punition divine ou hasard? Perception

et interprétation des incendies urbains à l’époque moderne

Marie Luisa Allemeyer129 Souvenirs cuisants, ou les Musées de Pompiers en Suisse

Christophe Gros139 Bücher im Feuer – Funktionen eines Mythos

Mona KörteParte Seconda Incendi e controllo del territorio:

usi politici ed economiciDeuxième Partie Incendies et contrôle du territoire:

usages politiques et économiquesTeil zwei Brandfälle und Kontrolle über das Gebiet:

politischer und wirtschaftlicher Gebrauch159 Per distruggere e terrorizzare.

Usi del fuoco in guerra e profughi in età medievaleRoberto Leggero

8 – INDICE

177 Fuoco! La guerra, l’assedio, l’incendio dal XVI al XIX secolo

Marino Viganò191 La pratica del fuoco pastorale nella Svizzera subalpina

dal tardo Medioevo ai nostri giorniMarco Conedera, Patrik Krebs

217 Les incendies à la Grande Chartreuse: pratiques, mémoire et instrumentalisation du risque

Emilie-Anne Pépy 235 L’incendie des puits de pétrole roumains par les Alliés

en 1916. Un exemple de politique de “terre brûlée”Jean-Noël Grandhomme

Parte Terza Prevenzione, soccorso e repressioneTroisième Partie Prévention, secours et répression

Teil drei Brandverhütung, Hilfe und Repression259 Feuerverhütung – Feuerbekämpfung. Exemplarische

Feuerordnungen der Frühen Neuzeit für den RaumNiederösterreich

Trude Kowarsch-Wache 281 La “grande fureur de l’embrasement”.

Essai d’histoire sociale et matérielle de l’incendieMichel Porret

305 Prévention et lutte contre les incendies en Franche-Comté du XVIe siècle à la fin du XVIIIe siècle

André Ferrer321 Secourir les victimes. L’incendie au village

dans les Alpes dauphinoises (seconde moitié du XVIIIe siècle)

René Favier339 Stadtbrände und Zukunftsdenken

in der Frühen Neuzeit: Wiederaufbauplanung und Feuerversicherung im 18. Jahrhundert

Cornel Zwierlein

INDICE – 9

363 Se venger par le feu. Prévention de l’incendie et pratique pénale dans les terres vaudoises sujettes de Berne au XVIIIe siècle

Elisabeth Salvi385 Crime d’incendie, crime rural, crime de voisinage

en Ille-et-Vilaine de 1815 à 1914Jean-François Tanguy

Parte Quarta Gli incendi: implicazioni architettoniche, urbanistiche e demografiche

Quatrième Partie Les incendies: implications architecturales, urbanistiques et demographiques

Teil vier Die Brandfälle: architektonische, städtebauliche und demografische Konsequenzen

411 Dis-fare la città: Venezia e gli incendi in età moderna (XV-XVIII secolo)

Elena Svalduz 431 Incendi di palazzi pubblici e case private

a Venezia nel rinascimento: dalla distruzione ai processi di ricostruzione

Stefano Zaggia 449 La lutte contre l’incendie: toitures inflammables

et matériaux de substitution en Franche-Comté(XVIIIe-XIXe siècles)

François Lassus465 Gli incendi di Fontana e di Airolo: contesto storico

e demografico (novembre 1868, settembre 1877) Raffaele Peduzzi

481 Brandkanton Graubünden – Über den Wiederaufbauabgebrannter Dörfer im 19. und 20. Jahrhundert

Nott Caviezel

497 Indice dei nomi e dei luoghi Index des noms et des lieux Personen- und Ortsregister

513 Autori • Auteurs • Autoren

Nell’elaborazione mitica delle proprie origini Venezia lega il carattere specifico del suo insedia-mento, non solo alla presenza protettiva e insiemepericolosa dell’acqua, ma anche al potere distrutto-re/rinnovatore del fuoco. Sebbene nel corso dei se-coli le connotazioni materiali dell’edificato venezia-no migliorassero progressivamente, il rischio d’incendio rimase per lungo tempo un’inesorabilecalamità. Gli incendi costituivano per Veneziapressoché gli unici eventi traumatici in grado di al-terare profondamente l’assetto urbano. Essi rap-presentavano, così, un’opportunità di cambiamen-to per la città, mettendone in luce la capacità direagire. Sono vicende, inoltre, che permettono dievidenziare comportamenti e mentalità della socie-tà veneziana. Il saggio illustra alcuni casi emblema-tici di complessi architettonici pubblici e palazziprivati distrutti dal fuoco e successivamente rico-

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Riassunto

INCENDI DI PALAZZI PUBBLICI E CASE PRIVATE A VENEZIA

NEL RINASCIMENTO: DALLA DISTRUZIONE

AI PROCESSI DI RICOSTRUZIONE

Stefano Zaggia

struiti, in età rinascimentale. L’analisi si focalizzasulle scelte operate al momento della ricostruzione,sulle modalità di rifabbrica e sulle conseguenze chetutto ciò comportò sulla materialità degli edifici,sulla loro forma e sul contesto urbanistico.

In the mythical elaboration of its origins Venicelinks the specific character of its settlement not onlyto the protective and at the same time dangerouspresence of water, but also to the destructive/reno-vating power of fire. Although the material conno-tations of Venetian building improved progressivelyover the centuries, the risk of fire was an inexorabledisaster for a long time. For Venice fires were almostthe only traumatic events able to change the urbansetting profoundly. Thus they constituted an oppor-tunity of change for the city, bringing out its abilityto react. Moreover, they are events which enable thebehaviour and mentality of Venetian society to behighlighted. The essay illustrates some emblematiccases of public architectonic complexes and privatebuildings destroyed by fire and then rebuilt duringthe Renaissance. The analysis focuses on the choicesmade at the time of rebuilding, on the methods andconsequences it all had on the materiality of thebuildings, their shape and on the urban context.

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Abstract

Memoria del fuoco e formazione dello spazio urbano

Nell’immaginario mitico su cui Venezia fonda il racconto delle sue ori-gini, il carattere dell’insediamento lagunare si lega non solo alla pre-senza protettiva e insieme temibile dell’acqua, ma anche al potere di-struttore/rinnovatore del fuoco. Il ricordo di devastazioni antiche ap-pare rielaborato e intrecciato con i miti di fondazione, divenendo laconferma della volontà divina che aveva benevolmente protetto la vitadi Venezia. Le cronache, le memorie, le leggende tramandano l’imma-gine di una condizione di fragilità e pericolo per uomini che, con mez-zi rudimentali, tentano eroicamente di opporsi alle minacce insite in unambiente naturale avverso1. L’ancestrale insediamento fondato da En-tinopo, così, era descritto come composto da un unico palazzo in pie-tra contornato da ventiquattro case di “tavole”. Il palazzo e le case fu-rono aggrediti dal fuoco e gli abitanti si salvarono solo grazie a un vo-to. È questo il vero “inizio”: sulle ceneri del primitivo villaggio fu eret-ta la prima chiesa cittadina in pietra, San Giacomo di Rialto “e da al-lora le case di legno si mutarono in ricchi palagi di marmi”2.

L’azione del fuoco, sostanza primordiale connessa al tempo sacra-le dell’origine, è dunque una delle basi su cui si regge l’antica nascitadella città alla quale l’architettura è chiamata a corrispondere. In que-sto senso gl’incendi, pur nella tragicità della situazione, furono nelcontempo percepiti come aperture al cambiamento, come presuppo-sto di futuri miglioramenti: “i fuochi, ho avertito per la historia, […]hanno predetto in ogni tempo guerre e travagli, dopo li quali sono se-guiti felici et aventurosi successi”3. Il valore simbolico del fuoco, in-somma, è allargato al significato di ciclica “purificazione”, momentoin cui la città non solo rivive attualizzata la propria storia, ma deve ri-pensare alla configurazione dello spazio urbano e affrontare un diffi-cile confronto tra continuità e innovazione, persistenza o modificadelle funzioni del sito.

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Per cronache e annali la frequenza degli incendi che funestarono l’“in-fantia della città”, è sempre associata alla fragilità materiale di edifici co-struiti con tecniche rudimentali4. Al di là dei racconti più o meno leg-gendari, effettivamente sino al XIII secolo Venezia, ormai pienamenteformata come città, appariva dominata dal legno e dunque costantemen-te minacciata dal fuoco5. A fronte di un’attività edificatoria assai intensa,nel giro di un secolo l’assetto fisico della città mutò definitivamente. E lasecolare lotta contro i rischi del fuoco, in questo senso, favorì indubbia-mente la sostituzione dei materiali da costruzione. Un ruolo fondamen-tale, così, fu svolto dalla diffusione dei camini in muratura, divenuti do-tazione consueta della casa privata veneziana. Questi apparati di servizioerano connotati da sistemi di funzionamento e forme del tutto originali6.

Sebbene i materiali impiegati nei cantieri migliorassero progressiva-mente, e soprattutto nel corso dell’età moderna, il legno rimase uno deiprincipali elementi costruttivi. Per secoli esso fu impiegato per realiz-zare vaste porzioni degli edifici veneziani: le strutture dei solai e le co-perture; ma anche le rampe delle scale, alcuni tipi di pavimentazione esovente i muri divisori: i parè de tole. Tale larghissimo impiego fattodalla “civiltà costruttiva” lagunare deriva dalla necessità di dotare i ma-nufatti edilizi di particolari accorgimenti statici e costruttivi in relazio-ne al contesto ambientale7. La poca portanza dei terreni palustri co-strinse a impiegare masse architettoniche leggere mediante l’impiegoesclusivo del laterizio e del legno. Queste scelte strutturali finirono perdeterminare anche gli impianti distributivi interni e l’espressione for-male dell’architettura veneziana.

Certo è che il fuoco rimase una componente essenziale sia della vi-ta associata, che di quella privata. Nonostante il miglioramento dellaqualità dei materiali impiegati nella costruzione, è pur sempre vero chei pericoli non furono mai del tutto scongiurati8. Nei grandi palazzi co-me nelle abitazioni più modeste, all’interno delle chiese come dei pa-lazzi pubblici, il fuoco era un elemento indispensabile, sia in senso pra-tico che simbolico. Se, dunque, il rischio d’incendio appare essere sta-to per lungo tempo un’inesorabile calamità, un fatto quasi inevitabile,è altrettanto vero che dopo un tragico accadimento si schiudevano pos-sibilità d’intervento altrimenti impensabili in una città dalla strutturaurbana incomparabile come Venezia.

In questo senso, è di particolare interesse considerare il quadro de-gli interventi edilizi messi in campo nella fase susseguente all’evento

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distruttivo. In altre parole, considerare come soprattutto in età moder-na – fase di forte cambiamento sul piano dei linguaggi e delle forme –si configurarono i processi di ricostruzione, di re-interpretazione deiluoghi per mezzo dell’architettura quando a essere interessati furonoedifici pubblici piuttosto che privati.

Processi di ricostruzione di pubblici palazzi

Negli annali ricorrono spesso gli elenchi degli incendi che colpironoampi settori urbani, le chiese oppure i più importanti palazzi pubblicidella città lagunare. Sono fatti tragici spesso evocati per scandire i mo-menti salienti della storia della Repubblica9. Tali accadimenti eranopercepiti come una soglia, come sintomo di un cambiamento profon-do, che in alcuni casi avevano segnato la nascita di un nuovo edificio ol’avvio di una mutazione materiale riconosciuta come particolarmentesignificativa sul piano simbolico per l’autoidentificazione cittadina.

A questo proposito Manuela Morresi ha rilevato il ruolo svolto datre grandi incendi scoppiati al principio del Cinquecento nel dare im-pulso ad alcuni importanti cambiamenti dell’assetto urbano di Vene-zia10. Proprio le vicende connesse alla ricostruzione degli edifici o com-plessi architettonici pubblici di particolare importanza e significatosimbolico colpiti da distruzioni improvvise, così, mettono in luce letendenze espresse dal patriziato veneziano in una fase in cui più radi-calmente si fronteggiano volontà di rinnovamento e mentalità che ri-chiamano al rispetto della tradizione.

Tre incendi: il Fondaco dei Tedeschi, le Procuratie vecchie, il mercato di Rialto

Nel 1505 un incendio distrusse il grande deposito dei mercanti nordi-ci, il Fondaco dei Tedeschi. Si trattava di una struttura di fondazionemedievale, più volte ricostruita e ampliata – un’ultima volta nel 1423 –,posta ai piedi del ponte di Rialto, sulla sponda opposta rispetto al mer-cato e con affaccio sul Canal Grande. Il complesso aveva già subito inpassato numerosi incendi, tra i quali uno assai grave al principio delTrecento. Il Fondaco degli Alemanni era uno dei dispositivi commer-

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ciali ed economici più importanti dello Stato e un edificio di una certaimponenza e complessità architettonica. Al suo interno facevano tappai mercanti e venivano stoccate le merci provenienti d’oltralpe11.

All’indomani del rogo che distrusse le strutture, mentre ancora fer-vevano i lavori di demolizione e sgombero delle macerie, della que-stione si occuparono attivamente sia il Consiglio dei Dieci che il Colle-gio. Dalle discussioni in seno ai massimi organi politici dello Statoemerse così la volontà che la ricostruzione dovesse essere eseguita“presto”, mentre il nuovo palazzo si voleva “bellissimo”12. Si giunse ra-pidamente alla scelta del modello: quello presentato dalla nazione te-desca e redatto da Girolamo Tedesco “homo intelligente et pratico”, ri-servandosi, tuttavia, ampi margini di libertà nella traduzione in opera.

Il cantiere fu affidato alle cure dei proti di due delle principali ma-gistrature pubbliche: inizialmente Giorgio Spavento, tecnico dei Pro-curatori di San Marco; poi Antonio Abbondi, proto dell’Ufficio al Sa-le. La storiografia è concorde nel ritenere che, inoltre, sulla questionedel modello sia intervenuto, con suggerimenti o forse anche con modi-fiche sostanziali, Fra’ Giocondo, domenicano, ingegnere e studioso diantichità13.

I lavori iniziarono subito e furono rapidissimi rispetto alla consuetu-dine: nel giro di poco meno di tre anni il palazzo veniva inaugurato(1505-1508). L’edificio costruito presenta una forma “perfetta”, regolaree definita, inusuale per Venezia. Si trattava di un edificio completamen-te nuovo rispetto alle tradizioni costruttive e alle geometrie che molti edi-fici erano costretti ad adottare nel contesto lagunare. La pianta dellanuova costruzione è basata su una griglia rigorosa, che misura lo spaziointerno centrato attorno a un ampio cortile quadrato (5 arcate per lato)e che, forse intenzionalmente, rievoca la regolarità dell’impianto di unaDomus antica, secondo l’interpretazione offertane di lì a pochi anni daFra’ Giocondo nell’edizione del trattato vitruviano (1511). Soluzioni in-novative furono adottate anche per l’esecuzione delle strutture: volte, so-lai e coperture furono realizzati in laterizio limitando il più possibile l’u-so del legno. Altrettanto severe furono, inoltre, le norme di comporta-mento introdotte per gli abitanti e i fruitori dell’edificio14.

Sicuramente a favore della rapida esecuzione contribuì non poco ilvalore rivestito dal deposito per l’economia della Signoria veneta; tutta-via, l’evento fortuito, traumatico, aveva fornito l’occasione per attuareuno degli interventi di maggior rilievo sul piano architettonico e urba-

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nistico del primo Cinquecento veneziano. Una congiuntura nella qualeera stato “reinventato” in forme rinascimentali un tipo architettonicomaturato in contesti culturali diversi e lontani nel tempo15. L’opera evi-denzia, inoltre, inattese potenzialità della pubblica committenza, maicosì concorde e rapida nelle decisioni, come nel concludere in breve ilcantiere. La ricostruzione del grande fondaco, d’altronde, con la suanuova concezione architettonica, agì da stimolo per operazioni di rego-larizzazione delle aree urbane circostanti, alcune rimaste solo sulla car-ta, come la sistemazione dell’area di pertinenza del convento di San Sal-vador, altre realizzate pochi anni più tardi, come l’allargamento dellecalli di San Giovanni Crisostomo16.

Solo pochi anni dopo l’inaugurazione del fondaco, la scelta tra ripri-stino edilizio secondo le preesistenze o rifabbrica completa sulla base dinuovi concetti architettonici, si ripropose nel contesto prestigioso di piazza San Marco. Nel 1512 un incendio, non particolarmente grave,scoppiato nei pressi della torre dell’orologio, danneggiò parte dell’edi-ficio delle Procuratie Vecchie poste sul lato settentrionale della piazza17.In questo caso, sebbene i danni non fossero particolarmente rilevanti,su proposta del procuratore Antonio Grimani, futuro doge, si decise diricostruire tutto il complesso: “butar a basso il restante e poi fabricar tu-to de novo”18. La direzione del cantiere, protrattosi dal 1513 al 1538, fuassunta dal proto della procuratia de supra Pietro Bon – affiancato daGugliemo de’ Grigi – al quale subentrò poi Jacopo Sansovino. Al con-trario di quanto avvenuto nel grande emporio, tuttavia, la soluzione ar-chitettonica posta in campo in questa circostanza fu meno innovativa, sipreferì introdurre un cauto ammodernamento: l’aggiunta di un piano,limitate modifiche alle distribuzioni interne e l’introduzione di pilastriquadrangolari a reggere le arcate del portico terreno. In definitiva, lanuova fabbrica che definisce un intero lato della piazza, razionalizzan-done gli accessi, non è che una ripresa stilisticamente aggiornata delprecedente edificio d’origine medievale. Certo è che, al di là delle ri-strettezze economiche sicuramente presenti in una fase in cui lo Statoera impegnato in un conflitto bellico, motivazioni d’ordine simbolico,legate al significato sacrale connesso alla piazza principale della città,imposero un limite invalicabile alle possibilità d’innovazione.

D’altronde, dopo pochi anni, la necessità di ricostruire si tradussein conflitti e in lunghe discussioni sulle alternative. È questo il caso, si-curamente più complesso, data la vastità delle strutture coinvolte, del-

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la ricostruzione delle fabbriche incenerite del mercato realtino. Il 10gennaio 1514 un terribile incendio bruciò “tutto Rialto”: il cuore eco-nomico, commerciale della Serenissima, dello Stato (Fig. 1). L’eventofu sconvolgente per l’autocoscienza veneziana, nonostante già in pas-sato fossero scoppiati roghi più o meno gravi nell’area19. Le cronache,gli annali, i documenti, lo ricordano con toni apocalittici: come “la rui-na di Troia” o il “saco di Padova”. Banale, quanto fortuito, l’innesco:da un recipiente d’olio, tenuto acceso per riscaldarsi, era caduta una fa-villa su mercanzie accatastate. La merce, costituita da stoffe e da cor-dami facilmente incendiabili, aveva cominciato ad ardere senza che siriuscisse a fermare la propagazione del fuoco. Ben pochi edifici si sal-varono: solo il palazzo dei Camerlenghi e la chiesa antichissima di SanGiacomo. Quest’ultimo fatto fu subito interpretato come un segno del-la volontà di Dio, perché a salvarsi era stata la prima chiesa edificata aVenezia, come raccontavano le antiche cronache.

Sulle vicende relative alla ricostruzione esiste una vasta bibliogra-fia e una consolidata storiografia20. In questa sede mi sembra impor-tante ribadire come in questo caso, al contrario di quelli sin qui deli-neati, la scelta portata a esecuzione scaturì da un lungo processo didiscussione, durante il quale non mancarono momenti di acceso con-flitto. Nonostante le buone intenzioni manifestate sin dai primi mo-menti, infatti, fece seguito un lungo periodo di incertezze in cui furo-no messe a confronto diverse modalità di ripristino o di totale rico-struzione. A distanza di qualche mese dallo scoppio dell’incendio sicontavano almeno una decina di proposte progettuali.

Nel corso delle discussioni, quindi, emersero tra le altre due solu-zioni alternative tra di loro: quella redatta dal proto al Sale, AntonioAbbondi, detto lo Scarpagnino, sollecitato dai Provveditori allo stessoufficio e illustrato da Daniele Renier, e quella elaborata da Fra’ Gio-condo. Il primo progetto, in sostanza, proponeva di avviare rapida-mente il ripristino sulla base della situazione precedente. Il secondo,invece, proponeva una riforma radicale, stando a quanto tramandatodalle narrazioni scritte. Giorgio Vasari nel racconto della vita di Fra’Giocondo descrive la proposta progettuale per Rialto come un foro“alla maniera dei Greci”: sulla base dell’autorità vitruviana, il com-plesso doveva costituirsi di un doppio corpo di fabbrica separato al suointerno da una strada e che avrebbe occupato tutta l’isola, rettifican-done i confini. “Tutto serato”, cioè chiuso verso l’esterno, lo definisce

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anche il Sanudo nei suoi Diarii. Ridisegnando tutta l’area, il progettoconfigurava un complesso edilizio basato sullo schema di un quadratoperfetto, circondato dall’acqua e da una fondamenta per lo sbarco del-le merci. Quattro porte d’accesso erano collocate sulla mezzeria deiquattro lati, mentre al centro era posta una grande piazza circondata daportici e una chiesa, “per udire i divini uffici”. Tutte le attività presen-ti nel vecchio mercato dovevano essere ricollocate nel nuovo spazio se-condo una rigida distribuzione gerarchica: il commercio internaziona-le ricco e prezioso, nel corpo di fabbrica più interno con affaccio sullapiazza; i panni e le sete in posizione mediana; la vendita di prodotti ali-mentari e le merci povere e sporche nell’edificio perimetrale.

Nell’incertezza sul da farsi, tuttavia, le tracce della storia del luogoerano sempre più percepite come un vincolo primario da rispettare nel-la ricostruzione. Tanto che, mentre gli stati maggiori della Repubblicadiscutevano sulle soluzioni, proseguivano le misurazioni in loco per de-finire limiti, spazi e proprietà. Infine, il 30 agosto, dopo oltre sette mesidal disastro, il Senato decretava la formazione di una nuova magistratu-ra con compiti operativi: i tre Provveditori sopra la fabbrica di Rialto.

In definitiva la scelta finale fu quella di attuare un disegno rispettosodei vincoli della storia (“qual sia andarà poi reformando per zornata”21),

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Fig. 1. L’area di Rialto prima dell’incendio del1514; part. dallapianta prospettica di Venezia di J. De’ Barbari, 1500

che procedeva correggendo dove possibile senza tuttavia modificare inmodo radicale. L’esecuzione, durata più di vent’anni, si fece sulle lineeproposte da Antonio Abbondi detto lo Scarpagnino, il proto della ma-gistratura del Sale, e sotto la sua direzione perché unica doveva esserela mano. Si trattava di una scelta di compromesso: da un lato un rifiu-to del modello architettonicamente “perfetto” proposto dal frate vero-nese, che però avrebbe cambiato in modo radicale le forme degli edifi-ci e perfino dell’isola nel suo complesso; dall’altro il rifiuto di seguirele proposte che suggerivano di assecondare pedissequamente le traccepreesistenti rinunciando a qualsiasi innovazione. La scelta compiutadal Senato era dunque a favore di una maggior solidità d’insieme, conl’introduzione di soluzioni murarie più sicure rispetto al fuoco, e di unparziale rinnovamento formale basato sull’adozione di un modulo ri-petuto.

“Rifarlo sul vecchio”: il Palazzo Ducale

Forti analogie con la vicenda realtina si riscontrano, invece, in occasio-ne degli incendi subiti dal Palazzo Ducale negli ultimi decenni del Cin-quecento. La storia del palazzo è costantemente segnata da eventi di-struttivi provocati dalla fiamme. Sin dalle origini: nel 976 al palazzoviene appiccato il fuoco nel corso di una rivolta contro Pietro IV Can-diano. Poi, nei secoli successivi, gli eventi tragici si susseguono, scan-discono il trascorrere del tempo e danno luogo a rinascite e ricostru-zioni. Addirittura, dopo l’ennesimo incendio scoppiato nel 1483 e cheaveva devastato l’ala occidentale con gli appartamenti dogali, il procu-ratore Nicolò Trevisan, propose di acquistare alcuni immobili posti aest del palazzo, oltre il canale, per realizzare un “nuovo palazzo del Do-se”. Il nuovo edificio destinato alla sola residenza del doge doveva es-sere collegato all’antico, trasformato in sede delle magistrature e degliorgani collegiali, mediante un ponte22. La proposta, fortemente inno-vativa rispetto alle tradizioni consolidate, non fu accolta e si decise diricostruire rapidamente le strutture introducendo nel contempo mi-glioramenti d’immagine e nuovi materiali: “candido saxo et in ada-mantis speciem fastigiato”23.

Ciò che interessa qui sottolineare, a ogni modo, sono le proceduremesse in campo dopo che a tre anni di distanza di un precedente, nel

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1577 (Fig. 2), un rogo aveva danneggiato gli ambienti posti sul corpo difabbrica sud occidentale: devastando le stanze del Maggior Consiglio edello Scrutinio. Questo incidente costò la perdita irreparabile di mol-tissime opere pittoriche e provocò gravi scompensi alle strutture edili-zie. Per affrontare i lavori di ricostruzione come di consueto s’istituìun’apposita commissione, i tre Provveditori sopra la Restauration delGran Consiglio, e si fece ricorso al parere dei maggiori architetti e tec-nici presenti a Venezia. Ai quattordici esperti coinvolti – architetti, in-gegneri e funzionari delle magistrature (proti) – fu sottoposto un elencodi domande specifiche relative alle soluzioni da adottare a cui rispon-dere dapprima oralmente, poi mediante uno scritto24. Le perizie eranoassai differenti tra loro: la maggior parte prevedeva il restauro, un con-solidamento statico o una ricostruzione secondo le linee del palazzo an-tico; molte meno sostenevano la necessità della demolizione e di una

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Fig. 2. L’incendio del Palazzo Ducale del 1577; incisone di G. HoefnagelFonte: BRAUN G., Civitates orbisterrarum, Coloniae Agrippinae,1542-1622

nuova costruzione. Tutte le relazioni, inoltre, attribuivano i guasti pre-senti nelle strutture del palazzo non solo all’incendio, ma ai “difetti emancamenti” propri della fabbrica originaria25. Particolarmente severofu il parere di Cristoforo Sorte, perito del magistrato dei Beni Inculti, ilquale giudicava essere l’edificio difettoso in sé: “fabbricato in aria”26.

Anche in questo caso le discussioni furono accese, e sulla base diqueste fu infine deliberato il ripristino delle parti distrutte secondo l’a-spetto preesistente. Nella congiuntura, tra le altre personalità tecnicheconvocate, fu interpellato anche Andrea Palladio il quale espresse for-ti critiche nei confronti dei difetti della fabbrica gotica e forse avanzòpure un progetto concreto per un nuovo palazzo27.

Insomma, tutte le ipotesi più radicali furono sconfitte e si deliberò di“rifarlo sul vecchio”. Prevalse in questo caso la fedeltà alle tradizioni, aquelle concezioni sacrali dei luoghi marciani, che già nel 1422, quando sidecise la costruzione dell’ala sulla piazzetta, impose di non discostarsidai modi “tardogotici” dell’edificio trecentesco28. Le ragioni di questoatteggiamento sono ben illustrate dalle parole di Francesco Sansovino,che vedeva nel “corpo” del palazzo una sorta di talismano: “perciochèessendo quel nobilissimo [palazzo] stato fondato sotto felicissima costel-latione da’ padri antichi loro, poiché la Repubblica da quel tempo in quaè sempre cresciuta in potenza e grandezza, et fattasi prima del mondo:mi parrebbe assai male il lasciarlo, essendovi genio per loro fortunato etfelice”29. L’immutabilità delle forme architettoniche era testimonianza erappresentazione della perennità delle istituzioni della Repubblica.

Palazzi privati

Diverso, rispetto a quanto visto nel caso delle strutture pubbliche, eral’atteggiamento tenuto quando l’evento calamitoso investiva un edificioprivato. In quest’ambito, la memoria collettiva ci ha tramandato le vi-cende relative ad alcuni palazzi privati, distrutti da incendi e in seguitoricostruiti. Le ragioni di queste testimonianze sono da ricercare nel pre-stigio dell’edificio, nella fama e importanza della famiglia, ma anche nel-l’entità considerevole dei danni materiali causati dall’incidente.

Le distruzioni provocate dal fuoco sulle strutture edilizie private co-stituirono spesso una forte motivazione per avviare la costruzione dinuove residenze, innovative non solo dal punto di vista formale, ma an-

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che funzionale, tipologico30. D’altro canto, la Signoria favorì sempre ilavori di rifabbrica, mediante agevolazioni fiscali o sovvenzioni da re-stituire in seguito. Ciò, indubbiamente, promuoveva anche il migliora-mento dell’assetto urbano. Così, per esempio, nel 1465 si accordava unprestito di mille ducati alla famiglia Nani per ricostruire la loro casa di-strutta da un incendio, precisando: “qua de muro construere tenean-tur”; ma, anche in seguito, la politica d’incentivo non fu interrotta e sipassò dal sostegno diretto allo sgravio delle spese.

Non sempre però l’edificio colpito dalle fiamme veniva sostituito orifabbricato. Spesso, per assoluta mancanza di mezzi, si rabberciavano lestrutture superstiti continuando ad abitarle o affittandole. Non è raronei documenti imbattersi, infatti, nella descrizione di abitazioni o, inrealtà, piccole stanze ricavate all’interno di immobili parzialmente deva-stati da un incendio. È stato detto che “l’incendio annienta le disugua-glianze” e rammenta le leggi di un destino comune31. In realtà, contaresull’aiuto di molte persone, magari pagando, in questi frangenti si rive-lava decisivo. Così, agli occhi dei contemporanei, quale antagonista delfuoco poteva apparire più efficace dell’acqua un altro elemento: l’oro.Al principio del Cinquecento lo storico della Repubblica Marc’AntonioSabellico, riferendo un aneddoto circolante all’epoca, esemplifica que-sta convinzione. Si raccontava che nel corso di un grave incendio scop-piato presso alcuni magazzini di Rialto, un privato cittadino per evitarela distruzione della sua casa, non ancora raggiunta dalle fiamme, fossesceso in strada “con una gran borsa d’oro piena” promettendo laute ri-compense e riuscendo in tal modo a condurre “quasi tutto il popolo adifendere le sue case dal vicino fuoco […]. Et dicesi che non v’entrò al-cuno, il quale primieramente un ducato almeno non pigliasse in dono[…]; et perciò avvenne che non solamente quella casa ma (come si cre-de) nobilissima parte della città da quella rovina fu salvata”. La storiasuggerisce, così, un comportamento opposto a quello sottinteso da cer-ti ammonimenti morali, confutando coloro che ritenevano l’oro semprecosa nociva, mentre “manifestamente si vede che l’oro molte volte con-tro il fuoco è di più efficacia che l’acqua contrario elemento. Ma questoopera per sua natura, quello per avarizia”32.

Nel corso del Cinquecento sono attestati alcuni importanti esempidi nuove edificazioni sul luogo di palazzi o strutture edilizie preesi-stenti devastati da eventi calamitosi. Particolarmente significativa è lavicenda della famiglia Corner, una delle più prestigiose, ricche e in-

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fluenti dello Stato. Nel giro di pochi anni ben due gravi incendi dis-trussero i loro palazzi, considerati tra i più eleganti e comodi della cit-tà: uno sito sul Canal Grande, l’altro presso il campo di San Polo. Co-sì, sui terreni resi liberi dalle fiamme, furono eretti due nuovi palazzi informe all’antica su progetto dei maggiori architetti attivi in laguna.

Il caso del palazzo dei Corner presso San Maurizio, già appartenu-to ai Malombra, lasciò una traccia indelebile nella memoria collettiva.La vicenda è narrata in modo dettagliato da un osservatore attento epartecipe, Marino Sanudo. Posta all’imbocco del Canal Grande, si trat-tava di una delle più pregevoli residenze patrizie che contribuiva al-l’ornamento della città: “caxa bellissima e la più bella di Veniexia e po-tria dir de Italia, signoril, magnifica et comoda, se brusoe tutta”33. L’evento sconvolge tutta la città. La dinamica dell’incidente è come alsolito fortuita e dovuta forse a un’imperizia: il calore delle braci postea rassodare una partita di pani di zucchero giunti da Cipro accende letravi di un solaio al secondo piano.

Già all’indomani del rogo del palazzo, il prestigio della famiglia eratale che l’opinione pubblica esprimeva la certezza che il palazzo sa-rebbe stato ricostruito. E difatti pochi giorni dopo l’evento, per poterdisporre della liquidità sufficiente ad avviare l’opera di riedificazione,i membri della famiglia chiesero il rimborso della dote non riscossaappartenente a Caterina Cornaro regina di Cipro, incamerata dallaRepubblica all’atto della sua abdicazione. Nelle lettere di supplica in-viate alle autorità, la famiglia esprimeva la convinzione del valore d’or-namento cittadino rivestito dal grande palazzo scomparso: “et perchéserà necessario de reedificar quella casa per satisfar questa cità che l’aspetta, parendo il loco di quella difforme a chi la vede, essendo lo-co celebre et frequente”. Sebbene qualche intervento edilizio fossestato operato nell’immediato, l’avvio effettivo del cantiere per l’ere-zione della Ca’ Granda giunse però solo dopo il 1545, al termine di unlungo iter giuridico legato alla spartizione dei beni dinastici. Il pro-getto di Jacopo Sansovino, già predisposto probabilmente poco tem-po dopo l’incendio, rispetto alla preesistenza, previde un avanzamen-to del fronte dell’edificio verso il canale e l’articolazione di un pode-roso organismo architettonico, completamente inedito per forme eproporzioni rispetto alla tradizione. Il mutamento fu eclatante e di-rompente rispetto ai costumi consolidati e ispirati alla mediocritas inmateria d’ostensione mediante l’architettura della ricchezza privata34.

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Presso il campo di San Polo fu sempre un membro della famiglia Cor-ner, questa volta Giovanni, a erigere un nuovo palazzo. Anche in que-sto caso la costruzione, su disegno di Michele Sanmicheli, fu resa pos-sibile utilizzando il terreno lasciato libero dall’edificio distrutto dallefiamme nel 1535. I lavori di costruzione furono avviati a quindici annidi distanza dall’evento disastroso, quando ancora sul luogo rimaneva-no brandelli e rovine del vecchio immobile. In questo caso è rimasto ilcontratto predisposto per la rimozione delle macerie che, in termini as-sai precisi, stabilisce quanto delle consunte strutture doveva essereasportato: “tutto il ruinazo che si atrova nel suo terren della casa bru-sada”; e quanto doveva essere lasciato sul posto per essere riutilizzatonel nuovo cantiere: “le prede et robbe cotte, et pietre vive”35. Il nuovopalazzo, concluso attorno al 1564, dal punto di vista dello schema ti-pologico, con lungo salone passante, così come la facciata sul canale,fortemente sviluppata in altezza e priva di ordini a grande scala, rivita-lizza adeguandoli all’antico i tradizionali motivi dei palazzi veneziani.

Non differiva poi di molto il contesto in cui sorse il grandioso pa-lazzo voluto da Girolamo Grimani sul Canal Grande presso San Luca.L’organismo, progettato inizialmente da Michele Sanmicheli, deve lasua genesi all’opportunità di acquisire dalla famiglia Contarini un vec-chio edificio da anni in rovina a causa di un incendio: “unum terrenumcum stabili super ipso existenti vetusto et male conditionato, ac in par-te dirupto et combusto ex incendio”36. Trattandosi della rifabbrica sulsedime di un edificio distrutto dal fuoco la Signoria accordò, quindi,uno sgravio fiscale. La costruzione della nuova dimora, dopo lo sgom-bero delle macerie residuali, innescò un processo giuridico che com-portò il rafforzamento delle fondazioni lungo il canale laterale e unnuovo allineamento della colossale facciata rivestita in pietra.

In definitiva, i tre esempi richiamati, tutti clamorosi sul piano dellaforma architettonica, in qualche modo restituiscono l’impressione cheper la famiglia colpita dalla sventura l’incendio potesse diventareun’opportunità per rinascere, per rifondare su nuove basi la propria di-mora. E, all’interno di una concezione circolare del tempo come quel-la espressa dalla mentalità veneziana, rinascere dalle ceneri significavariattingere alle fonti originarie.

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1 CONCINA E., Fuochi di Medioevo, in CALABI D. (a cura di),Venezia in fumo. I grandi incendi della città-fenice, Lea-ding, Bergamo, 2006, pp. 21-40.

2 DANDOLO A., Chronica per extensum descripta, in PASTO-RELLO E. (a cura di), Rerum Italicarum Scriptores, vol. 12,parte 1, fasc. 1, Zanichelli, Bologna, 1941-1949, pp. 53-54.; SANSOVINO F., Venetia città nobilissima et singolare,Venezia, 1581 (rist. anastatica Leading, Bergamo, 2001),p. 72r.

3 SANSOVINO F., Venetia città…, cit., p. 118r. 4 SVALDUZ E., Dal fuoco si rinasce. Gli incendi a Venezia dal

XV al XVIII secolo, in CALABI D. (a cura di), Venezia in fu-mo…, cit., pp. 41-82, pp. 49-51.

5 DORIGO W., Venezia romanica. La formazione della cittàmedievale fino all’età gotica, Istituto Veneto di Scienza,Lettere e Arti, Venezia, 2003, in part. vol. 1.

6 PIANA M., Acqua e fuoco nella casa veneziana del Cinque-cento, in SCOTTI TOSINI A. (a cura di), Aspetti dell’abitarein Italia tra XV e XVI secolo. Distribuzione, funzioni, im-pianti, Unicopli, Milano, 2001, pp. 92-99.

7 PIANA M., Accorgimenti costruttivi e sistemi statici dell’ar-chitettura veneziana, in GIANIGHIAN G. (a cura di), Dietroi palazzi. Cinque secoli di architettura minore a Venezia,Arsenale, Venezia, 1984, pp. 33-35; Id., Tecniche edificato-rie cinquecentesche: tradizione e novità in Laguna, in MAI-RE VIGUEUR J.-C. (sous la dir. de), D’une ville à l’autre.Structures matérielles et organisation de l’espace dans lesvilles européennes, XIIIe-XVIe siècles: actes du colloque,École Française, Roma, 1989, pp. 631-639.

8 Per quanto riguarda le misure di prevenzione e le proce-dure d’intervento messe in opera da Venezia per ovviareai pericoli del fuoco rimando, oltre che al volume CALABID., Venezia in fumo…, cit., al saggio di Elena Svalduz inquesto stesso volume.

9 SVALDUZ E., Dal fuoco si rinasce…, cit.10 MORRESI M., Il “secolo breve” di Venezia, in BRUSCHI A.

(a cura di), Storia dell’architettura italiana. Il primo Cin-quecento, Electa, Milano, 2002, pp. 318-353.

11 Sulla storia del Fondaco: CONCINA E., Fondaci. Architet-tura, arte e mercatura tra Levante, Venezia e Alemagna,Marsilio, Venezia, 1997, pp.152-217. Sull’incendio: CALA-BI D., Le aree mercantili. I fondaci, le botteghe, i magazzi-ni, in CALABI D. (a cura di), Venezia in fumo…, cit., pp. 101-139, in part. pp. 107-116.

Note

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12 SANUDO M., I Diarii, Regia Deputazione Veneta di StoriaPatria, Venezia, 1879-1903, vol. VI, col. 131. La decisionevenne quindi approvata dal Senato.

13 Sul coinvolgimento di Fra’ Giocondo nel contesto pro-gettuale della ricostruzione si veda: CONCINA E., Fonda-ci…, cit., pp. 173-180; MORRESI M., Il “secolo breve”…,cit., pp. 318-320.

14 CALABI D., Le aree mercantili…, cit., p. 115.15 CONCINA E., Fondaci…, cit., pp. 179-180.16 Ivi, pp. 159-160; ZAGGIA S., “Ordinar e comodar”. Processi

di controllo, custodia e trasformazione del tessuto urbano diVenezia, in ZAGGIA S. (a cura di), Fare la città. Salvaguardiae manutenzione urbana a Venezia in età moderna, BrunoMondadori, Milano, 2006, pp. 13-40, qui pp. 22-23.

17 CONCINA E., La Piazza e le fabbriche marciane, in CALABID., Venezia in fumo…, cit., pp. 83-100; MORRESI M., Piaz-za San Marco. Istituzioni, poteri e architettura a Venezia nelprimo Cinquecento, Electa, Milano 1999, pp. 11-35.

18 SANUDO M., I Diarii, cit., vol. XV, coll. 305, 341.19 CALABI D., Le aree mercantili…, cit., pp.116-138.20 Per una sintesi delle vicende rimando al saggio citato nel-

la nota precedente.21 SANUDO M., I diarii…, cit., vol. XVIII, col. 470.22 CONCINA E., Tempo Novo. Venezia e il Quattrocento, Mar-

silio, Venezia, 2006, pp.170-171. 23 Ibid.24 WOLTERS W., Le perizie sulla ricostruzione del Palazzo do-

po l’incendio del 20 dicembre 1577, in ROMANELLI G. (a cura di), Palazzo Ducale. Storia e restauri, Banca Popo-lare di Verona e Novara, Verona, 2004, pp. 195-204.

25 ZORZI G. G., Le opere pubbliche e i palazzi privati di An-drea Palladio, Neri Pozza, Venezia, 1965, pp. 151-167.

26 WOLTERS W., Le perizie…, cit., p. 170.27 A un possibile progetto di Palladio per il Palazzo Ducale,

è stato collegato un disegno conservato presso la Devons-hire collection, Chatsworth, sulla cui paternità e destina-zione la storiografia non è ancora concorde. Si veda TA-FURI M., Venezia e il Rinascimento. Religione, scienza, ar-chitettura, Einaudi, Torino, 1985, pp. 272-278; da ultimo:BURNS H., Progetto per la ricostruzione del Palazzo Ducale,Venezia, in BURNS H., BELTRAMINI G. (a cura di), Palladio,catalogo della mostra, Marsilio, Venezia, 2008, scheda181, pp. 361-363.

28 CONCINA E., Tempo novo…, cit., pp. 209-215.

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29 SANSOVINO F., Venetia città…, cit., p. 218.30 Per le referenze bibliografiche complete, rimando a ZAG-

GIA S., Incendi di Palazzi e case private, in CALABI D. (a cu-ra di), Venezia in fumo…, cit., pp. 195-214.

31 CROUZET-PAVAN E., La guerre au feu dans une cité médié-vale: un péril et ses limites, in SCARAMELLA P. (a cura di),Alberto Tenenti. Scritti in memoria, Bibliopolis, Napoli,2005, pp. 65-90, p. 67.

32 SABELLICO M. A., Del sito di Venezia città (1502), a cura diMENEGHETTI G., Filippi, Venezia, 1985, p. 17.

33 SANUDO M., I diarii…, cit., vol. LVI, coll. 751-754.34 TAFURI M., Il pubblico e il privato. Architettura e commit-

tenza a Venezia, in Storia di Venezia, vol. 6; COZZI G., PRO-DI P. (a cura di), Dal Rinascimento al Barocco, Istituto del-l’Enciclopedia Italiana, Roma, 1996, pp. 367-447.

35 DAVIES P., HEMSOLL D., Michele Sanmicheli, Electa, Mila-no, 2004, pp. 203-210.

36 Ivi, pp. 210-217.

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