Dante alter Homerus nel Rinascimento

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RIVISTA DI LETTERATURA ITALIANA

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SOMMARIO

Elena Landoni, Rileggendo Paradiso vi e vii. Poesia e intertestualità 9Davide Colombo, Dante alter Homerus nel Rinascimento 2

Wafaa El Beih, La donna che non si trova di Giacomo Leopardi 5

Fabio Russo, Il pensiero della scienza in Giacomo Leopardi e l’ombra dell’eresia 67Gaetano Oliva, Gustavo Modena tra teatro educatore e teatro nazionale 8

Enrica Mezzetta, A tu per tu con il contropoeta Sanzin 97Raffaele Cavalluzzi, Moravia: ritorno agli anni Trenta 7Andrea Rondini, Ve lo giuro. Primo Levi tra Konrad, Lorenz e Marco Polo 3

Anna Bellio, Marco Beck: per una poesia senza confini 4

testi e documenti

Luigi Paglia, L’Itinerario di una ‘extravagante’ ungarettiana 55Paola Baioni, Testi rari. Il velo dell’aurora: una poesia ritrovata di Mario Luzi 59

note e discussioni

Maria Cristina Albonico, Un sogno per Ripano. Suggestioni classiche nel giovane Parini 65

Paolo Bartesaghi, Preliminari ai ‘soggetti’ di Parini per la Milano di fine Sette-cento 7

Federica Millefiorini, Onomastica infantile nelle Piccole anime di Matilde Se-rao. Canituccia, Aloe e Rosso Malpelo: l’essere e l’apparire 79

DANTE ALTER HOMERUS NEL RINASCIMENTO

Davide Colombo

Il presente saggio studia la storia del paragone fra Dante e Omero, da Petrarca e Boccaccio sino all’ini-zio del ’600, con rapidi cenni agli sviluppi successivi, al fine di mostrare che tale formula umanistica ed accademica dell’esegesi dantesca di tradizione fio-rentina assume la funzione militante di negoziare le forme e i limiti del riuso letterario della Commedia. Chi preferisce Dante ad Omero vuol far diventare la Commedia contemporanea del Rinascimento, e perciò si chiede in base a quali criteri si possa fon-dare, tra le pieghe del principio di autorità, la pro-rompente carica semantica di un’opera che proprio il Rinascimento prende a chiamare ‘divina’, la sua vitalità che si mantiene e si tramanda. La questione della preminenza dell’uno o dell’altro poeta passa in secondo piano rispetto alla definizione d’una poetica globale, che finisce coll’implicare alcuni dei temi forti della scholarship cinquecentesca.

. Premessa

Oggi che Dante è il poeta per antonomasia, e quando si parla di lui si può discu-tere di tutto, tranne che della sua eccellenza, il paragone Dante-Omero sembra

rivestire solo la comunque non trascurabile importanza storica d’aver segnato due momenti decisivi nella ricezione della Commedia. Appunto perché è funzionale alla discussione se egli sia poeta, e, in caso affermativo, se sia sommo poeta, il paragone rinascimentale con Omero contribuisce nel Seicento barocco e nel Settecento razio-nalista al deprezzamento di Dante, il quale esce dallo stato di minorità solo in seguito, non appena la critica romantica metabolizza il paragone omerico reimpostato da Vico. Ma la questione non ha soltanto l’interesse storico che induce a ripercorrere la strada dei secoli. Certi problemi d’erudizione, direbbe Roland Barthes,2 fanno sorri-dere sino a quando non ci si rende conto ch’essi interessano non soltanto un’intera epoca, ma altresì la nostra sensibilità di studiosi, nella misura in cui condividiamo l’antico abito mentale per cui il giudizio discende dal confronto.

2. Boccaccio e Petrarca di fronte a Dante « sesto fra cotanto senno »

Fin da Boccaccio e Petrarca quest’abito mentale sostanzia il paragone d’un carattere militante tale da rovesciare sul presente dei moderni il confronto con gli antichi, in

Ad intendere la « rivoluzione » vichiana è stato Benedetto Croce, Intorno alla storia della critica dan-tesca, in Idem, La poesia di Dante, Bari, Laterza, 960, pp. 75-20. Cfr. poi Giorgio Bàrberi Squarotti, Il mito di Omero, « Revue des Études Italiennes », xli, 955, pp. 9-22 ; da ultimo Enrico Guglielminetti, Necessità del Purgatorio. Vico e Schelling lettori di Dante, « Levia gravia », iii, 200, pp. 3-43 ; e Andrea Battistini, Un « critico di sagacissima audacia » : il Vico di Cesarotti, in Aspetti dell’opera e della fortuna di Melchiorre Cesarotti, i, a cura di Gennaro Barbarisi e Giulio Carnazzi, Milano, Cisalpino, 2002, pp. 9-70 (in particolare pp. 68-70).

2 Roland Barthes, La querelle del sipario [955], in Idem, Sul teatro, Roma, Meltemi, 2002, pp. 59-6 (a p. 59).

The article studies the history ofthe comparison between Dante and Homer, starting from Petrarch and Boccaccio up to the beginning of the 1600s. There are brief notes on subsequent developments in order to show that this humanistic and academic formula of the Dantesque exegesis of Florentine tradition assumes the militant function of negotiating forms and limits in the literary re-use of the Commedia. Those who prefer Dante to Homer want to make the Commedia contemporary to the Renaissance; thus one asks on which criteria can the irrepressible semantic charge of a work the Renaissance itself called “divine”, its vitality enduring as it is passed down, be based? The question of the pre-eminence of one or the other of the poets becomes secondary to the definition of a global poetics, finally suggesting several powerful themes in 16th century scholarship.

«rivista di letteratura italiana» · 2007 · xxv, 3

22 davide colomboparticolare con Omero. Malgrado lo conoscesse attraverso traduzioni latine, o forse proprio per questo, Dante nel Convivio sostiene che traducendo Omero si perdereb-be la sua bellezza ; eppure ad un Omero di seconda mano ricorre la Vita nuova per celebrare l’incanto di Beatrice, col verso « Ella non parea figliuola d’uomo mortale, ma di deo ». Omero apre i cataloghi di poeti classici del iv canto dell’Inferno e del xxii del Purgatorio, dove due perifrasi (« segnor de l’altissimo canto / che sovra li altri com’aquila vola », e « quel Greco / che le Muse lattar più ch’altri mai ») lo connotano come paradigma universale d’eccellenza letteraria. Affiancandosi ad « Omero poeta sovrano » Dante contribuisce ad orientare la propria ricezione : visto che la coopta-zione nella « bella scola » presieduta da Omero e aperta a Virgilio legittima il desi-derio del « cappello », della corona poetica di Pd., xxv,2 in che termini il poeta « sesto fra cotanto senno » può esser inserito nella scuola del « sire » Omero e quindi a buon diritto paragonato a lui ? Boccaccio, che rivendica d’aver riportato in Toscana i libri di Omero, avvia il paragone nel Trattatello in laude di Dante : questi, capace di farsi intendere anche dagli « idioti », è il « primo » ad aver onorato la sua lingua, come han fatto Omero e Virgilio con la loro.3 A Petrarca Boccaccio invia in dono, oltre ad un saggio di versione latina dell’Iliade ad opera di Leonzio Pilato,4 un codice della Com-media, accompagnato da un carme laudatorio.5 La risposta di Petrarca al Trattatello e al carme, ed in genere ad una certa idea di poesia, è la memorabile Familiare, xxi, 5, ricca o forse gravosa di spunti e sottintesi, per taluni aspetti sfuggente, ma non per il nostro paragone :

nisi forte sibi [a Dante] fullonum et cauponum et lanistarum ceterorumve, qui quos volunt laudare vituperant, plausum et raucum murmur invideam, quibus cum ipso Virgilio cumque Homero carere me gratulor ?

Petrarca ha una grande opinione dell’ingegno di Dante (« magna enim michi de inge-nio eius opinio est »), poeta nobile « ad rem », ma popolare « ad stilum ». La scelta del

Guido Martellotti, Omero, in Enciclopedia dantesca, iv, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 973, pp. 45-48 ; Dante e la « bella scola » della poesia. Autorità e sfida poetica, a cura di Amilcare A. Iannucci, Ravenna, Longo, 993 (in particolare pp. 65-86) ; per uno sguardo d’insieme, Glenn W. Most, I Greci di Dante, « Belfagor », lxi, 2, 2006, pp. 8-200 (in particolare p. 87). Non è stato possibile evitare ripetizioni rispetto a quanto ho scritto sul tema di Dante alter Homerus nella comunicazione al Congresso adi del 2006, i cui Atti sono in corso di stampa.

2 I poemi classici cui la Commedia s’ispira non possono però accedere né al bene assoluto della fede cristiana né alla « configurazione della totalità del mondo » attraverso un nuovo genere epico-drammati-co di spiccata teatralità : tale « letteratura come verità militante » emerge dal saggio di Francesco Spera, La poesia forte dell’Inferno dantesco, in « E ’n guisa d’eco i detti e le parole ». Studi in onore di Giorgio Bàrberi Squarotti, iii, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2006, pp. 773-793.

3 Dante « primo non altramenti fra noi Italici esaltò e recò in pregio [la lingua volgare], che la sua Omero tra’ Greci o Virgilio tra’ Latini. Davanti a costui, come che per poco spazio d’anni si creda che innanzi trovata fosse, niuno fu che ardire o sentimento avesse, dal numero delle sillabe e dalla consonan-za delle parti estreme in fuori, di farla essere strumento d’alcuna artificiosa materia ; anzi solamente in leggerissime cose d’amore con essa s’esercitavano. Costui mostrò con effetto con essa ogni alta materia potersi trattare, e glorioso sopra ogni altro fece il volgar nostro » (Ia red., a cura di Pier Giorgio Ricci, in Giovanni Boccaccio, Tutte le opere, iii, Milano, Mondadori, 974, pp. 457-458). I materiali utili al pre-sente saggio sono perlopiù raccolti dal database del Dartmouth Dante Project e dal cd rom I commenti danteschi dei secoli xiv, xv e xvi, a cura di Paolo Procaccioli, Roma, Lexis editrice, 999. Da ora in avanti questa fonte sarà indicata con la sigla cd.

4 Il codice parigino latino 7880.1 : Iliade di Omero tradotta in latino da Leonzio Pilato, con le postille di France-sco Petrarca, a cura di Tiziano Rossi, Milano, Libreria Malavasi, 2003.

5 Carlo Pulsoni, Il Dante di Francesco Petrarca : Vaticano Latino 3199, « Studi petrarcheschi », x, 993, pp. 55-208 ; Marisa Boschi Rotiroti, Sul carme Ytalie iam certus Honus del Boccaccio, nel Vaticano Latino 3199 (nota paleografica), « Studi danteschi », lxviii, 2003, pp. 3-37.

23dante alter homerus nel rinascimentovolgare però lo fa conoscere « inter ydiotas in tabernis et in foro », gli fa guadagnare la stima della vil plebe, di cui Petrarca si compiace di non aver bisogno, insieme a Virgilio ed Omero. Il poeta che aveva chiuso la sua prima ecloga, centrata sul paral-lelo fra Omero, Virgilio e David, coll’annunzio della composizione dell’Africa, e che nell’Africa aveva reclamato per sé, attraverso Ennio, il paragone con Omero proposto per Dante dal Trattatello, questo stesso poeta nell’epistola a Boccaccio pone una pre-giudiziale di lingua e di pubblico respinta dall’amico.2 Importa rilevare che il parago-ne assume sin dal principio la funzione che manterrà poi a lungo, almeno negli snodi più sintomatici dell’esegesi dantesca : la funzione di negoziare le forme e i limiti del riuso letterario della Commedia.

3. Specificità e topicità del paragone da Salutati a Landino

Il primo Quattrocento fiorentino ripropone i termini del confronto su un diverso sfondo culturale, alle prese coll’incertezza del ruolo da assegnare al Dante volgare nella propria civiltà letteraria, ma in una sostanziale linearità di implicazioni euristi-che e di esiti sintattici.3 Come Petrarca stimava Dante « in suo genere optimus », Co-luccio Salutati ripete che sì, Dante avrebbe superato persino i Greci, ma a condizione che si fosse servito d’un altro genere di scrittura, « si alio genere scribendi usus esset » ;4 più precisamente Dante sarebbe stato da preferire a Virgilio e ad Omero se avesse potuto cantare « latine […] sicut materni sermonis elegantia ».5 Allo stesso modo per Poggio Bracciolini il poema di Dante non sarebbe da postporre ai poeti precedenti « si literis latinis constaret ».6 Giannozzo Manetti aderisce invece alla linea boccacciana, per cui Dante, noto alla « plebecula », aveva per primo coltivato ed elevato il volgare alla stessa maniera in cui Omero e Virgilio avevano illustrato le rispettive lingue.7 A superare le basilari riserve di Salutati, e a materiare la prospettiva di Manetti, con-corre l’analogia convalidante della biografia dantesca di Leonardo Bruni : dato che ogni lingua ha la sua perfezione, sostiene Bruni, volgare, latino e greco vanno messi

Giuseppe Velli, Petrarca e Boccaccio. Tradizione – Memoria – Scrittura, Padova, Antenore, 995, in particolare p. 22.

2 Ampia e articolata la bibliografia sulla Familiare e sul dantismo petrarchesco. Riassume lo status quaestionis e stimola a nuove investigazioni Emilio Pasquini, Dantismo petrarchesco. Ancora su Fam. xxi 15 e dintorni, in Motivi e forme delle Familiari di Francesco Petrarca, a cura di Claudia Berra, Milano, Cisalpino, 2003, pp. 2-38.

3 Giuliano Tanturli, Il disprezzo per Dante dal Petrarca al Bruni, « Rinascimento », s. ii, vol. xxv, 985, pp. 99-29.

4 Leonardo Bruni, Opere letterarie e politiche, a cura di Paolo Viti, Torino, utet, 996, p. 08, fa dire a Salutati : « Dantem vero, si alio genere scribendi usus esset, non eo contentus forem ut illum cum antiquis nostris compararem, sed et ipsis et Grecis etiam anteponerem ». « Dove è chiaro che l’iperbole dell’elogio è condizionata da un’ipotesi irreale », osserva Carlo Dionisotti, Dante nel Quattrocento, in Atti del congresso internazionale di studi danteschi, Firenze, Sansoni, 965, pp. 333-378 (a p. 348).

5 A differenza del precedente questo è un giudizio diretto, avanzato in un’epistola del 405 : Coluccio Salutati, Epistolario, iii, a cura di Francesco Novati, Roma, Forzani, 896, p. 49. Non sfugga Danilo Aguzzi Barbagli, Dante e la poetica di Coluccio Salutati, « Italica », xlii, , 965, pp. 08-3 (in particolare a p. 9).

6 Poggio Bracciolini, De infelicitate principum, cit. da Marcello Aurigemma, Il giudizio degli antesi-gnani dell’Umanesimo e degli umanisti sul valore e sulle caratteristiche della latinitas di Dante, in Dante e Roma : atti del Convegno di studi, Firenze, Le Monnier, 965, pp. 53-87 (a p. 74).

7 Giannozzo Manetti, Vite di Dante, Petrarca e Boccaccio, a cura di Stefano U. Baldassarri, Palermo, Sellerio, 2003, p. 00 : « hanc suam materni sermonis poeticam hic noster poeta primus apud Italos, per-paucis ante annis adinventam […], non secus nobilitavit quam aut Homerus graece apud Graecos aut Vergilius latine apud Latinos, quondam suam quisque apud suos illustraverit ». Manetti dice d’aver scrit-to le biografie per far conoscere agli eruditi i poeti noti alla « plebecula » (p. 40).

24 davide colombosullo stesso piano, e dunque – è lecito inferire – il fiorentino di Dante sta al latino di Virgilio come questo al greco di Omero. Proposito di Bruni era accreditare un mito delle origini che, resecando il Boccaccio ellenista, coinvolgesse Dante nella renovatio quattrocentesca delle lettere fiorentine sotto il segno di Omero, grazie alla scuola di Crisolora.2 A metà del Quattrocento, tra gli umanisti fiorentini della generazione successiva a Bruni e a Manetti il paragone tra Dante e Omero diviene topico,3 senza però ingolfarsi negli anestetizzanti cerimoniali del panegirico, ma anzi schiudendo-si a suggestioni nuove, esemplificate dall’epigramma di Ugolino Verino De laudibus Danthis Aldigherii florentini, poetae praeclarissimi :

Quisquis inexpliciti divina volumina Danthispellegat, hoc dicet doctius esse nihil.Quicquid Aristoteles, quicquid sacra pagina dicitcantavit, tusco disposuitque pede.Virgiliumque aequat, prisco nec cedit Homero, et mathematicis ille vel ille minor.Salve, tyrrheni decus immortale Leonis !Salve, pierii fama decusque chori !4

La questione della lingua sembra retrocedere in secondo piano rispetto alla glorifi-cazione della dottrina dantesca, tradizionale fra i primi lettori del poema, se è vero che l’epitafio di Giovanni del Virgilio presenta Dante come filosofo cui niente è sco-nosciuto, gloria delle Muse, in una parola poeta teologo.5 Dante stesso, « sesto fra cotanto senno » nel Limbo, qualifica la propria guida Virgilio sotto il segno dell’en-ciclopedismo medioevale (« quel savio gentil, che tutto seppe »), e perciò mette in versi toscani la Bibbia, la sacra pagina, e Aristotele, « maestro di color che sanno ».6 Il

Leonardo Bruni, Le vite di Dante e del Petrarca, a cura di Antonio Lanza, Roma, Archivio Guido Izzi, 987, p. 49 : « lo scrivere in istile litterato o vulgare non ha a fare al fatto, né altra differenza è se non come scrivere in greco od in latino. Ciascuna lingua ha sua perfezione e suo suono e suo parlare limato e scientifico ».

2 Lorenzo Bartoli, « La lingua pur va dove il dente duole » : Le vite di Dante e del Petrarca e l’antiboccac-cismo di Leonardo Bruni, « Esperienze letterarie », xxix, 2, 2004, pp. 5-72 (in particolare pp. 67-69).

3 Hans Baron, La crisi del primo Rinascimento italiano. Umanesimo civile e libertà repubblicana in un’età di classicismo e di tirannide, Firenze, Sansoni, 970, p. 375, n. 24. Attestano la topicità del paragone Benedet-to Accolti (Dialogus de praestantia virorum sui aevi, in Philippi Villani Liber de civitatis Florentiae famosis civibus, a cura di Gustavo Camillo Galletti, Firenze, Mazzoni, 847, p. 22 : « fuisse in primis duos, Dantem videlicet et Franciscum Petracum, quorum neminem elegantia, suavitate et sententiarum copia Virgilio aut Homero postponendum arbitrarer »), Anselmo Calderoni (Lirici toscani del ’400, a cura di Antonio Lanza, Roma, Bulzoni, 973, p. 349 : « Così come del greco fu Omero, / sol simil è Virgilio nel latino ; / e Dante fiorentino / nobilitò questo nostro idïoma »), Michele del Giogante (Lirici toscani del ’400, cit., p. 678 : « Io ho sentito già il particulare / del greco Omero e del buon Mantovano, / di Tulio ancor, che seppe e dire e fare, / Valerio ed altri come noi sappiàno ; / ognun diffusamente in suo trattare / n’han detto e mostro quel che ne leggiàno, / singularmente ancora i tuoi moderni, / Dante e ’l Petrarca, sol per fama etterni »).

4 Ugolino Verino, Epigrammi, a cura di Francesco Bausi, Messina, Sicania, 996, pp. 330-33. Una pagina del De illustratione urbis Florentiae di Verino è riportata da Baron nella prima ed. del suo libro The Crisis of the Early Italian Renaissance, ii, Princeton (n.j.), Princeton University Press, 955, p. 62, n. 6 : « Aequarunt veteres patrio sermone poetas : / Quos Florentinus longe supereminet omnes / gloria Musarum, Dantes ; nec cedit Homero ; / par quoque Virgilio : doctrina vincit utrunque ».

5 Giuseppe Frasso, Riflessioni sulla « difesa della poesia » e sul rapporto « teologia-poesia » da Dante a Boc-caccio, in Il pensiero filosofico e teologico di Dante Alighieri, a cura di Alessandro Ghisalberti, Milano, v&p Università, 200, pp. 49-73.

6 Cesare Vasoli, Dante scienziato e filosofo, in « Per correr miglior acque ... ». Bilanci e prospettive degli studi danteschi alle soglie del nuovo millennio, i, Roma, Salerno Editrice, 200, pp. 7-9.

25dante alter homerus nel rinascimentorimando allo Stagirita, non ancora imperante nelle poetiche, non deve stupire, se è vero che l’Expositio dantesca di Filippo Villani, dopo aver incolonnato Dante, Virgilio e Omero, dell’Odissea rilevava l’intendimento morale, in cui i filosofi, « soprattutto i peripatetici », ripongono la felicità dell’uomo. Il sentiero si fa strada maestra nel 48, allorché Cristoforo Landino, il più influente chiosatore dantesco del Rinascimento, assegna ai tre poeti l’identica funzione catartica di far conoscere all’uomo i vizi, di purgarlo, di condurlo al sommo bene tramite la contemplazione delle cose divine :

È verisimile adunque, che Danthe si proponessi il medesimo fine el quale et apresso de’ Greci Homero et apresso de’ Latini Virgilio s’havevono proposto. Et chome quegli l’uno per Ulixe, l’altro per Enea dimostrano in che modo venendosi nella cognitione de’ vitii et conosciutogli, purgandosi da quegli, s’arriva finalmente alla contemplatione delle chose divine, chosì Dan-the sotto questo figmento per la peregrinatione finge haver facto con Virgilio, in persona di sé dimostra quel medesimo.2

Lo spiccato rilievo di questo passo, anche nel senso d’una persistenza di posizioni cri-tiche umanistiche nell’esegesi specie fiorentina di Dante,3 procede da una prerogativa del commento landiniano : esso riflette un sistema letterario in cui Dante, ammesso alla tradizione degli auctores antichi, merita come loro sia il riconoscimento dell’espo-sizione continuata sia l’adozione di schemi esegetici consentanei a quella tradizione. In altre parole, se Dante si legge come i classici antichi, egli va sottoposto all’alle-goresi riservata ad Omero e Virgilio e rivendicata dall’Epistola a Cangrande, il primo documento dell’esegesi, se non dell’autoesegesi, del poema sacro. Questa è una delle chiavi di lettura del Comento di Landino : inquadrare nel neoplatonismo ficiniano lo schema allegorico portato all’eccesso da Villani,4 e di conseguenza riannodare i fili tra enciclopedismo e allegoresi. Collegata all’interpretazione allegorica di Omero è infatti « l’idea secondo cui la poesia non solo contiene, e deve contenere, una sapienza segreta, ma anche una conoscenza universale delle cose ».5 Per esprimere quell’idea Angelo Poliziano, il maggior conoscitore del greco in quegli anni, si serve della me-

Filippo Villani, Expositio seu comentum super Comedia Dantis Allegherii, a cura di Saverio Bellomo, Firenze, Le lettere, 989, pp. 44-45 : « Et licet non inepte dicere possimus comicum nostrum in invento materie Homerum immitasse, presertim in Odixea, ubi de Ulixis peregrinatione tractatur, tamen, quia Maro simile negotium altius ac plenius in Eneyde pertractavit, commodius rectiusque dicemus Virgilium immitasse, ut ipse idem poeta ostendit in prothemate suo. De intentione siquidem, fuit Homeri, libro quo supra, vitam hominis studiosi seque rectificantis per decursum communis vite usque ad emeritam mortem, sub figmentis poeticis ingeniis melioribus ostendere, hominemque rectum secundum morales virtutes componere, in quibus phylosophi, presertim peripathetici, felicitatem viatoris hominis repone-bant, extimantes unumquemque virtutibus suis iustificari posse ».

2 Cristoforo Landino, Comento sopra la Comedia, i, a cura di Paolo Procaccioli, Roma, Salerno, 200, p. 284 : l’idea ritorna in altri luoghi (pp. 253 e 892) ; cfr. inoltre la n. precedente (in Villani « sub fig-mentis poeticis », in Landino « sotto questo figmento »).

3 Il passo avrà decisiva risonanza almeno per Daniello (p. 28, n. ), Lenzoni e Gelli (p. 29, n. 4), e, stan-do a Tiziano Zanato, per il Comento laurenziano : « questa medesima sentenzia pare che abbino seguito Omero, Virgilio e Dante, delli quali Omero manda Ulisse apresso alli inferi, Virgilio Enea, e Dante lui medesimo perlustra lo inferno, per mostrare che alla perfezzione si va per questa via » (Lorenzo de’ Medici, Opere, Torino, Einaudi, 992, pp. 590-59) ; più vicino a Lorenzo pare un altro luogo landiniano, a p. 402 dell’ed. cit..

4 Saverio Bellomo, Dizionario dei commentatori danteschi : l’esegesi della Commedia da Iacopo Alighieri a Nidobeato, Firenze, L. S. Olschki, 2004, pp. 34-35.

5 Ernst Robert Curtius, Letteratura europea e Medio Evo latino, Scandicci (Firenze), La Nuova Italia, 995, p. 230. Dell’influenza su Dante dell’esegesi neoplatonica di Omero ragiona Robert Lamberton, Homer the Theologian : Neoplatonist Allegorical Reading and the Growth of the Epic Tradition, Berkeley-Los Angeles-London, University of California Press, 986.

26 davide colombotafora (pseudo-plutarchea) di Omero oceano di tutte le discipline ; sulla stessa, pluri-secolare, linea di pensiero si colloca Landino quando scrive che,

chome dicono e Greci d’Homero, si può affermare lui [Dante] esser simile all’occeano. Im-peroché come tutti e fiumi nascono dall’occeano, et nell’occeano ritornano, chosí tutte le scientie da chostui s’attingono, et in lui redondano (Comento, cit., p. 267).

Dalla fine del mondo classico non s’era più vista un’opera che sola facesse coopera-re la letteratura all’edificazione morale e all’apprendimento intellettuale dell’uomo : a quest’utile Dante unisce orazianamente il dolce d’un’eccezionale elaborazione di lingua e di stile, con l’ulteriore merito d’aver saputo raggiungere l’eccellenza, a diffe-renza di Omero e Virgilio, a partire da una lingua ancora grezza e disadorna :

Trovò Homero la lingua greca molto già abondante et exculta da Orpheo, et da Museo, et da altri poeti più vetusti di lui. Trovò la latina Virgilio già elimata et exornata, et da Ennio, et da Lucretio, da Plauto, et da Terentio, et da altri poeti vetusti amplificata. Ma innanzi a Danthe in lingua toscana nessuno havea trovato alchuna leggiadria, né indocto elegantia o lume alchu-no ; et excepto le rime, benché anchora quelle sieno inepte et roze (p. 253).

4. Dante e Omero nel Parnaso di Raffaello

Landino non stila graduatorie di eccellenza poetica fra tre autori che paiono convi-vere pacificamente passandosi il testimone quasi all’interno d’un modo equivalente di fare letteratura. Il presente atemporale dei poeti, la parentela sempre rinnovantesi tra antichi e moderni, tra pagani e cristiani, trova un’icastica figurazione in uno degli affreschi dipinti da Raffaello tra il 508 e il 5 sulle pareti della Stanza della Segnatu-ra, voluta da papa Giulio II nei Palazzi vaticani e probabile sede delle riunioni della curia.2 Due volte vi è ritratto Dante, tra i teologi della Disputa del sacramento e tra i poeti del Parnaso : in questo secondo caso egli è di profilo, vicino a Virgilio, che gli indica la via, e più ancora al cieco Omero, l’unico riprodotto frontalmente. « Mitolo-gia e religione si fondono nell’immagine ‘originaria’ del Parnaso di Raffaello, ispirata dal commento a Dante del neoplatonico Cristoforo Landino, in cui l’arte, la poesia o la musica immuni da dissonanze, viene elaborata quale attività che consente e pre-dispone l’ascesi, che riavvicina temporaneamente l’uomo a Dio, dopo averlo sciolto dai vincoli della materia ».3 Questo progetto iconografico intriso di neoplatonismo

Angeli Politiani Oratio in expositione Homeri, in Idem, Opera omnia, a cura di Ida Maïer, i, scripta in editione Basilensi anno mdliii collecta, rist. anast., Torino, Bottega d’Erasmo, 97, pp. 485-486. L’imma-gine dell’oceano viene dal trattatello pseudoplutarcheo De Homero, una delle fonti dell’Oratio poliziane-sca. Collettore di tali motivi topici è il libro primo Dell’imitazion poetica di Bernardino Partenio : « Quale scienza è li cui semi non si veggano sparsi in Omero, dai quali come ruscelli da fonti derivati sono questi fiumi, questi pelaghi di scienzie ? Da quel poeta, come scrisse Massimo Tirio filosofo, ne fu illustrata la filosofia antica, nella quale fu principe e mastro di tutti, et ancora di Platone tutto che dissimuli e mostri il contrario ; nondimeno egli non può nascondere i vestigi della dottrina appresa da lui. Onde afferma-no che Platone non fu men simile ad Omero che a Socrate, dichiarando ch’infino le parole e le voci di Platone così da Omero erano venute come la Palude Meotica dall’Oceano et il Ponto dalla palude, e dal Ponto l’Ellesponto, e da questo l’altro mare era derivato » (Trattati di poetica e retorica del Cinquecento, ii, a cura di Bernard Weinberg, Bari, Laterza, 970, pp. 52-522).

2 Ernst Hans Gombrich, La stanza della segnatura di Raffaello e il carattere del suo simbolismo [970], in Idem, Immagini simboliche : studi sull’arte nel Rinascimento, Milano, Mondadori-Electa, 2002, pp. 93-09.

3 Michela Scolaro, Il Parnaso, in Andrea Emiliani, Michela Scolaro, Raffaello. La Stanza della Segnatura, Milano, Mondadori-Electa, 2002, pp. 68-99 (a p. 68). Sul neoplatonismo rinascimentale e sulla spiritualità agostiniana ha insistito Giovanni Reale, Raffaello, la Disputa. Un’interpretazione filosofi-ca e teologica dell’affresco con la prima presentazione analitica dei singoli personaggi e dei particolari simbolici e allegorici emblematici, Milano, Rusconi, 998.

27dante alter homerus nel rinascimentosupporta un canone letterario tripartito, poiché Raffaello ha tenuto conto dell’invo-cazione ad Apollo del Paradiso dantesco per rappresentare il Parnaso, al di sotto del quale sono dipinti – non da Raffaello, ma su suo disegno – due monocromi relativi ai poemi omerici, deposti da Alessandro Magno nel tumulo di Achille, e all’Eneide, la cui distruzione è impedita da Augusto. Raffaello consegna al Rinascimento la luminosa consistenza dell’immagine di Dante poeta teologo, prossimo ad Omero, sulle tracce di Virgilio.

5. La svolta di Bembo

Già nel ’600 s’avanzò l’ipotesi, oggi giudicata « plausibile […] ma non verificabile »,2 che a fornire a Raffaello il soggetto per le stanze vaticane fosse stato Pietro Bembo. Non è ipotetico invece che le sue Prose della volgar lingua furono influenzate dall’ir-ripetibile temperie culturale della Roma di Raffaello e Michelangelo : i due artisti assurgono a incarnazione dell’ideale classicista della necessaria imitazione dell’antico all’inizio del terzo libro delle Prose, dove però l’exemplum già raffaellesco di Alessan-dro al tumulo di Achille serve a provare la virtù eternatrice della letteratura, non della pittura. Altrettanto indubitabile che Bembo avrebbe gerarchizzato in modo di-verso i poeti del Parnaso di Raffaello, Omero e Dante su tutti. A Venezia, crocevia nevralgico dell’editoria e della cultura greca in Italia, Bembo aveva incitato i concit-tadini a riportare in auge gli studi greci,3 e nel 502 s’era servito del manoscritto della Commedia inviato da Boccaccio a Petrarca per allestirne una nuova edizione aldina,4 in coerenza con un classicismo che nelle Prose omologa la tradizione volgare ai prin-cìpi di quella greco-latina :

è da vedere che alle nostre compositioni tale forma et tale stato si dia ; che elle piacer possano in ciascuna eta, et ad ogni secolo ad ogni stagione esser care : si come diedero nella Latina lingua a loro componimenti Virgilio, Cicerone, et degli altri ; et nella Greca Homero, Demo-sthene, et di molt’altri agli loro.5

Dell’invocazione ad Apollo (« O buono Appollo, a l’ultimo lavoro… » : Pd., i, 3-2) Raffaello ha te-nuto conto almeno per tre aspetti : la divisione del monte in due falde, al di qua ed al di là della finestra, accenna ai due « gioghi », uno sacro alle Muse, l’altro ad Apollo ; la scritta Numine afflatur sulla volta nel tondo della Poesia rievoca l’« entra nel petto mio, e spira tue » del luogo dantesco ; sempre sulla volta compaiono Apollo e Marsia (« quando Marsia traesti / de la vagina de le membra tue »).

2 Chrysa Damianaki, Liceità e pratica dell’imitazione nelle Prose. Bembo e il recupero dell’antico nel pri-mo Cinquecento (letteratura e arte), in Prose della volgar lingua di Pietro Bembo, a cura di Silvia Morgana, Mario Piotti, Massimo Prada, Milano, Cisalpino, 2000, pp. 67-654 (alle pp. 638-639). A detta di Eugenio Battisti, Rinascimento e Barocco, Torino, Einaudi, 960, p. 77, n. 2, « quanto mai attendibile » è la notizia che Bembo « avrebbe dato lui il soggetto delle camere di Raffaello », come già indicato dalle secentesche Considerazioni sulla pittura di Giulio Mancini. L’ultima messa a punto è il paragrafo The inventor of the Program del saggio di Christiane L. Joost-Gaugier, Raphael’s Stanza della Segnatura. Meaning and In-vention, Cambridge, Cambridge University Press, 2002, pp. 7-2.

3 Agostino Pertusi, L’umanesimo greco dalla fine del secolo xiv agli inizi del secolo xvi, in Storia della cultura veneta, 3.1. Dal primo Quattrocento al Concilio di Trento, a cura di Girolamo Arnaldi e Manlio Pastore Stocchi, Vicenza, Neri Pozza, 980, pp. 77-264 (in particolare pp. 85-89).

4 Carlo Pulsoni, Per la ricostruzione della biblioteca bembiana : i. I libri di Dante, « Critica del testo », ii, 2, 999, pp. 735-749. Sulle cinquecentine della Commedia, cfr. Pagine di Dante. Le edizioni della Divina Com-media dal torchio al computer, Milano-Perugia, Electa-Editori Umbri Associati, 989 ; Deborah Parker, Commentary and Ideology. Dante in the Renaissance, Durham and London, Duke University Press, 993, pp. 24-58 ; Leonella Coglievina, Lettori della Commedia : le stampe, in « Per correr miglior acque… », cit., pp. 325-370.

5 Pietro Bembo, Prose della volgar lingua. L’editio princeps del 1525 riscontrata con l’autografo Vaticano latino 3210, ed. critica a cura di Claudio Vela, Bologna, clueb, 200, p. 45.

28 davide colombo

Su Dante la Familiare di Petrarca aveva stretto la pregiudiziale di lingua e di pubblico. Bembo continua a credere che si scriva innanzitutto per i dotti, « percio che le buone scritture prima a dotti et poi al popolo del loro secolo piacendo piacciono altresì et a dotti et al popolo de gli-altri secoli parimente » (ivi, p. 47). Il modello unico per la poesia italiana, tale da varcare i secoli a fianco di Omero e Virgilio, e da meritare di star accanto a loro in un’ideale hall of fame, è Petrarca, non Dante, per il fatto che Dante « secondo il mutamento della lingua si mutava egli, a.ffine di poter piacere alle genti di quella stagione, nella quale esso scrivea » (ivi, p. 43). A differenza della Familiare le Prose non dubitano però della « dignità e grandezza » della lingua volgare, ma su di essa innestano le più accese riprensioni. Mentre Landino mette l’accento sulla capacità dantesca d’elevare all’eccellenza stilistica una lingua grezza, Bembo ritiene che Dante non sia piacevole quanto a stile, che sia anzi sregolato nella lingua e nell’elezione delle parole, e che dunque rispetto a Petrarca potrebbe esser lodato per i contenuti, non per l’arte, nel modo in cui Petrarca giudicava Dante popolare ad stilum, ma nobile ad rem. Anche Landino esalta la validità pedagogica dei contenuti della Commedia, oceano di tutte le scienze e di tutte le arti, laddove Bembo ripropone una condizionale dell’impossibilità che fa pensare a Salutati : meglio sarebbe stato che Dante si fosse occupato « di meno alta et di meno ampia materia », considerato

che mentre che egli di ciascuna delle sette arti et della philosophia e, oltre a.ccio di tutte le Christiane cose maestro ha voluto mostrar d’essere nel suo poema ; egli men sommo et meno perfetto è stato nella poesia.2

Le Prose, manuale normativo per le lettere coeve e seriori, stabiliscono che Dante vada collocato non sul verdeggiante monte dei poeti, ma in un campo di grano infestato d’erbacce, e consacrano l’inferiorità dell’autore della Commedia rispetto a Petrarca in virtù sia delle censure di lingua e stile, sia dell’incompatibilità d’impegno dottrinario ed elaborazione artistica.3

6. Contro Bembo, con Aristotele, per Firenze

Le ingombranti ipoteche accese da Bembo sul successivo svolgimento del paragone e in genere sul Fortleben di Dante vengono raccolte, e quindi avversate o rilanciate,

Che nei circoli di cultura frequentati e in certo qual modo orientati da Bembo fosse più che noto il primo passo cit. di Landino sulla validità pedagogica della Commedia (« È verisimile adunque, che Dan-the si proponessi il medesimo fine el quale et apresso de’ Greci Homero… »), è attestato dalla Poetica di Bernardino Daniello : « Ora non è egli intendimento del nostro divino poeta Dante Alighieri di volerne in tutt’e tre le sue Cantiche dimostrare, niuna altra cosa essere il fine dell’uomo che il sommo bene, il quale solamente nella contemplazione d’Iddio, il quale è esso sommo bene, consiste ? E perché, a volere alla contemplazione di esso sommo bene pervenire, bisogna che prima dal vizio ci purghiamo, né pos-siamo ciò fare non conoscendolo, ci mena all’Inferno, da lui per lo vizio figurato, ove egli de’ vizii tutti ampiamente ragiona acciò che noi prima li conosciamo, e conosciuti poi ce ne purghiamo (non potendo prima che conosciuto il male aver cognizion del bene), ci guida al Purgatorio et indi al Paradiso, e cioè ad essa contemplazione di Iddio ; alla quale non ci possiamo se non con l’ali delle virtuose operazioni e dai vizii purgati levare » (Trattati di poetica e retorica del Cinquecento, i, cit., p. 244).

2 Pietro Bembo, Prose della volgar lingua, cit., p. 03. Ciò non toglie che Dante sia maestro negato di Petrarca e di Bembo : cfr. Emilio Pasquini, Le Prose della volgar lingua e il linguaggio poetico di Dante, in Prose della volgar lingua di Pietro Bembo, cit., pp. 39-56. Utile Aldo Vallone, Dante tra luci e ombre nel Rinascimento italiano, « Nuova Antologia », 29, 994, pp. 302-39 (in particolare pp. 304-309).

3 Cfr. Giancarlo Mazzacurati, Dante nell’Accademia fiorentina (1540-1560). (Tra esegesi umanistica e razionalismo critico), « Filologia e letteratura », xiii, 967, pp. 258-308 (in particolare a p. 278) ; dello stesso studioso L’eclissi di Dante nella critica bembesca, in Idem, Misure del classicismo rinascimentale, Napoli, Li-guori, 967, pp. 22-256.

29dante alter homerus nel rinascimentoda altri grammatici e vocabolaristi del primo Cinquecento. Nondimeno « tutte le cose dette dagli altri sono scritte a la lanterna di esso Bembo », rileva Carlo Lenzoni nella sua postuma Difesa di Dante (556), il primo ragionato tentativo di riaffermazio-ne della primazia di Dante e quindi del patrimonio letterario di Firenze nell’àmbito dell’Accademia fiorentina.2 Giancarlo Mazzacurati ha messo in rilievo che la seconda parte della Difesa di Lenzoni è una poco originale replica delle idee del sodale Giovan Battista Gelli ;3 è probabile però che la sottigliezza dei pro e contra si fortifichi e s’in-gorghi nell’intreccio di più voci. Tanto Gelli quanto Lenzoni attestano la persistenza d’una basilare proposizione landiniana riguardo al paragone, ossia la carica salvifica dei viaggi di Dante « in persona di sé », di Ulisse e di Enea : viaggi attraverso la co-noscenza del male che portano alla liberazione da esso.4 Diversamente da Landino, tuttavia, Lenzoni fa del paragone Dante-Omero uno dei punti qualificanti della sua Difesa quando azzarda che, pur senza conoscere Aristotele, Dante – « per la forza […] dell’altissimo ingegno suo, et come quello che veramente nacque poeta » – ha messo in pratica la maggior parte dei precetti aristotelici per l’epica ; di conseguenza si può dire di Dante quel che Aristotele diceva di Omero, « ch’egli, o per arte o per natura, fusse stato poeta eccellentissimo, et appresso di noi, come quelli appresso de’ Greci, havesse trovato, et dato perfezzione, alla poesia toscana » (ivi, p. 46). Al fine di con-fermare la tesi d’un Dante aristotelico ante litteram, Lenzoni avvia dunque una decisa omerizzazione della Commedia : in primo luogo questa potrebbe esser criticata per aver introdotto parole straniere, « se il poema d’Homero non fusse un componimen-to di cinque lingue » ;5 in secondo luogo, i detrattori filobembiani delle similitudini dantesche ignorano che Omero stesso ne ha scritte di apparentemente indecorose

Cfr. Giuseppe Guido Ferrero, Dante e i grammatici della prima metà del Cinquecento, « Giornale sto-rico della letteratura italiana », cv, 935, pp. -59.

2 Carlo Lenzoni, In difesa della lingua fiorentina, et di Dante. Con le regole da far bella et numerosa la prosa, Fiorenza, Lorenzo Torrentino, 556, p. 45 per la cit. su Bembo. Mario Pozzi, che ha curato nelle Discussioni linguistiche del Cinquecento, Torino, utet, 988, un’ed. parziale della Difesa, ne sta approntando una integrale per la Res.

3 Giancarlo Mazzacurati, Il mito di Dante a Firenze : dal Lenzoni al Borghini, in Idem, Conflitti di culture nel Cinquecento, Napoli, Liguori, 977, pp. 83-223 (a p. 9).

4 Il seguente passo di Lenzoni è da confrontare col primo di Landino che abbiamo addotto : Dante « prese il suggetto altissimo et divinissimo ; et a similitudine forse del viaggio di Ulisse o di Enea, lo dimo-strò mediante ’l cammino della vita nostra per i tre strati di quella, et nella sua propria persona, ora lodan-do, hor biasimando i costumi degli huomini, secondo che e’ fu forzato a ben voler dimostare che fussero la vera virtù et la vera felicità, mediante i lor’ contrarii, a ciò che ciascuno potesse vedere in quello, come in uno specchio, lo stato dell’animo suo, et imparare tutto quello che egli havesse da fare per liberarsi da’ vitii, acquistarsi gli habiti virtuosi, et farsi finalmente beato in questa vita, come nella altra » (In difesa della lingua fiorentina, cit., pp. 46-47). Alla stessa attitudine esegetica si conforma Gelli nell’Orazione fatta sopra la esposizione di Dante (in cd), quando, nell’ambito del solito confronto, precisa che Dante « scrive la par-tita dell’anima umana da Dio […], il viaggio che ella fa […], lo arrivare che egli [l’uomo] fa, scampato e purgatosi da’ vizii, al regno del Cielo […]. E così finalmente, dove tutti gli altri poeti par che scrivino più tosto cose favolose e dilettevoli che utili, e se pure elle arrecano utilità alcuna all’uomo, gnene arrecano come a mortale e che abbia il fine suo in questa vita, Dante scrive cose, le quali non gli insegnano solo vivere moralmente e civilmente in questa, ma come egli possa ancora procacciarsi la eterna beatitudine nell’altra ». Per la rideterminazione di tale attitudine nel percorso intellettuale di Gelli, si rimanda a Tina Caporaso, L’interpretazione della « selva oscura » di Giovan Batista Gelli, tra eredità umanistica, aristotelismo ed echi della Riforma, « Rivista di Studi Danteschi », iii, 2, 2003, pp. 37-350 (in particolare pp. 328-330).

5 Carlo Lenzoni, In difesa della lingua fiorentina, cit., p. 43. Che Omero si fosse servito di tutte le lin-gue della Grecia aveva detto il De Homero pseudoplutarcheo e ripetuto il Dialogo della volgar lingua di Pie-rio Valeriano : « di Dante già constò l’altr’ieri fra noi che, come Omero della Grecia, così egli abbracciò tutte le lingue d’Italia » (Discussioni linguistiche del Cinquecento, cit., pp. 74-75). Lenzoni è però sicuramente il primo ad inserire l’idea in un nuovo ritmo di pensiero.

30 davide colombo(ivi, p. 69). Solo che a Lenzoni non basta dire che Omero è un « esemplo » di Dante, Aristotele un suo « difensore » (ivi, p. 60) : come non si può più parlare di Dante sen-za tener conto delle obiezioni di Bembo, così Omero è indissolubilmente connesso all’investitura di Aristotele, il quale ha tratto secondo Vincenzo Maggi quasi tutta la sua dottrina da Omero. Per questo a Dante Lenzoni attribuisce alcuni dei caratteri che Aristotele ravvisava in Omero : la virtù imitatrice, la capacità d’imporsi quale archegete, la struttura duplice, la mutazione delle parole.2

7. Trissino e Omero come genus universum

La fase aristotelica del confronto Dante-Omero richiede il consenso a percorsi lette-rari più compositi rispetto a quelli delineati dalla codificazione bembiana. Dato che ora un genere poetico s’identifica con lo scrittore considerato maestro in quel genere, la critica del pieno Rinascimento è indotta a riflettere sui generi privi di modelli forti e universalmente accetti, come l’epica e la tragedia,3 e a ricercare « il genus universum personificato dal mitico Omero, cui la tradizione plutarchiana circolante nel Rinasci-mento, indiscussa ed esemplare, ascrive la paternità implicita di tutti i generi ».4 Per questa via i poemi di Omero e di Dante non potevano non finire sul tavolo di lavoro di Giovan Giorgio Trissino. Il progetto trissiniano di rifondazione della letteratura italiana su basi greche individua in Omero il genus universum, e quindi deve trovar po-sto alla Commedia nella tassonomia omerica dei generi.5 È il tragitto compiuto dalla Quinta e la sesta divisione della poetica : vi si assevera che Omero è stato « il principio e quasi il fonte di tutta la poesia », nel senso aristotelico di archegete non solo del poema eroico, ma anche della commedia col Margite e della tragedia con l’Iliade e l’Odissea.6 A rigor di norma aristotelica la Commedia dantesca non è, non può essere,

Vincentii Madii Brixiani et Bartholomaei Lombardi Veronensis In Aristotelis librum De Poeti-ca communes explanationes, Venetiis, in officina Erasmiana Vincentii Valgrisii, mdl (rist. anast. München, Fink, 969), p. 45 : « Nil igitur mirum videbitur Aristotelem in Poetica usum ea locutione quae et Home-rus utitur ; cum praesertim totam hanc pene libelli doctrinam ex illius praeclarissimi poetae observatio-ne desumptam ab Aristotele videamus ».

2 Carlo Lenzoni, In difesa della lingua fiorentina, cit., pp. 48, 53, 56, 57.3 Daniel Javitch, La nascita della teoria dei generi poetici nel Cinquecento, « Italianistica », xxvii, 2, 998,

pp. 77-97 ; una versione in inglese dello stesso articolo è The Emergence of Poetic Genre Theory in the Six-teenth Century, « Modern Language Quarterly », lix, 2, 998, pp. 39-69.

4 Andrea Battistini, Ezio Raimondi, Retoriche e poetiche dominanti, in Letteratura italiana, iii, Le forme del testo, i, Teoria e poesia, Torino, Einaudi, 984, pp. 5-339 (a p. 96).

5 Sull’omerismo del poema cinquecentesco cfr. Guido Baldassarri, Il sonno di Zeus : sperimentazione narrativa del poema rinascimentale e tradizione omerica, Roma, Bulzoni, 982. Si potrà poi spigolare tra le dense pagine di Claudio Gigante e Francesco Sberlati, La polemica sul poema epico e le discussioni sull’Orlando Furioso e sulla Gerusalemme Liberata. Torquato Tasso, in Storia della letteratura italiana, xi, diretta da Enrico Malato, Roma, Salerno, 2003, pp. 369-435 (alle pp. 379, 400, 4). Tra i numerosi studi su Trissino che hanno provato a chiarire i problemi in esame, segnalo Maria Lieber, Gian Giorgio Trissino e la translatio studii : un umanista tra greco, latino e italiano, « Italienische Studien », xxi, 2000, pp. 9-5 ; ed Enrico Musacchio, Il poema epico ad una svolta : Trissino tra modello omerico e modello virgiliano, « Italica », iii, 2003, pp. 334-352.

6 Giovan Giorgio Trissino, La quinta e la sesta divisione della poetica, in Trattati di poetica e retorica del Cinquecento, ii, cit., pp. 7-90 (a p. 0). Aristotele aveva scritto che Omero suggerì la struttura della trage-dia con l’Iliade e l’Odissea, della commedia col Margite (Poet., 449a) ; poi aveva precisato che l’Odissea ha struttura duplice, finisce cioè in modo opposto per i buoni e per i cattivi (Poet., 453a). A Giovan Battista Giraldi Cinzio (Discorsi intorno al comporre rivisti dall’autore nell’esemplare ferrarese Cl. i 90, a cura di Susanna Villari, Messina, Centro Interdipartimentale di studi umanistici, 2002, pp. 247-248), ciò basta per dire che Omero aveva dato l’esempio sia di due tipi di tragedia, triste con l’Iliade e lieta con l’Odissea, sia di commedia col Margite.

31dante alter homerus nel rinascimentouna commedia, ma un poema « eroico » scritto ad imitazione di Virgilio. A battezzare così la Commedia, e in un caso persino ad imitare Virgilio,2 Dante però ha sbagliato, ma con un’attenuante di gran peso, la nascita « in quella età rozza et imbarbarita, che non conobbe né vaghezza di stile latino né arte retorica né poetica, quantunque egli fosse di profondissima memoria e di ingegno acutissimo et elevato e di natura quasi miracolosa », e fosse anzi dotato di una dottrina enciclopedica.3 Natura e ingegno sono del resto le qualità che a detta di Trissino permettono ai poeti eccellentissimi – Omero, Virgilio, Dante – di usar bene la metafora, campo in cui Omero nel passato e Dante nel presente sono stati criticati a torto.4

8. Gelli crocevia del paragone

Il susseguirsi dei rimandi e l’accavallarsi delle chiose non debbono occultare i linea-menti storici basilari. Per Lenzoni Dante non ha conosciuto Aristotele, ma grazie al suo ingegno s’è comunque conformato ai suoi princìpi, tanto da poter esser più volte equiparato ad Omero. Per Trissino Dante ha commesso errori, cioè non s’è conformato a tutti quei princìpi, in primis a quello di genere, perché ai suoi tempi nessuno li conosceva, per quanto rimanga indiscussa la grandezza del suo ingegno.5 Sono queste le coordinate letterarie entro cui si muovono, per il tema ora oggetto di studio, i contributi danteschi di Gelli. In primo luogo essi finiscono coll’imporsi nel Rinascimento fiorentino quale epicentro propulsivo dell’omerizzazione della Com-media, dal momento che da una parte ne ricapitolano il vario atteggiarsi, dall’altra riempiono di nuovi contenuti il vecchio paragone. Non stupisce dunque che Gelli promuova la carica salvifica dei viaggi di Ulisse, Enea e Dante, o che ritorni sul moti-vo boccacciano, filtrato da un capitolo di Simone Serdini, di un Dante che eleva una lingua grezza, come voleva Landino, e sino ad allora ferma a temi amorosi.6 A fornire

Giovan Giorgio Trissino, La quinta e la sesta divisione della poetica, cit., pp. 58-59.2 Ibidem : Dante avrebbe malinteso, in Pg., xxii, 40, i vv. virgiliani « Quid non mortalia pectora cogis,

/ Auri sacra fames », accusa già rivolta da Angelo Camillo Decembrio, De politia litteraria, Kritisch herausgegeben sowie mit einer Einführung, mit Quellennachweisen und einem Registerteil versehen von Norbert Witten, München-Leipzig, Saur, 2002, pp. 408-40. « Duro luogo an legit Regis pro cogis ut excusari aliquo modo », annota Borghini : cfr. Natascia Bianchi, Le postille di Vincenzio Borghini a un Dante aldino : spunti esegetici e polemica letteraria a margine del Laurenziano Antinori 260, « Rivista di Studi Danteschi », iii, 2, 2003, pp. 455-467 (a p. 466).

3 Giovan Giorgio Trissino, La quinta e la sesta divisione della poetica, cit., p. 58. Sul trinomio memo-ria, ingegno, natura, cfr. Quintiliano, Institutiones Oratoriae, i, 3, : « Tradito sibi puero docendi peritus ingenium eius in primis naturamque perspiciet. Ingenii signum in parvis praecipuum memoria est ».

4 Giovan Giorgio Trissino, Poetica…, cit., pp. 42-44.5 Meglio andrebbero investigate le eventuali tangenze fra queste posizioni e quelle di Girolamo

Benivieni, non si sa se autore o ispiratore d’un Discorso sopra la Commedia, in cui – stando almeno ai generosi excerpta riprodotti da Mazzacurati, Dante nell’Accademia fiorentina, cit., pp. 282-283 – si affer-ma che Dante osservò « gli ammaestramenti poetici » grazie al suo « naturale istinto » e all’« esempio » di Virgilio.

6 Simone Serdini, Rime, a cura di Emilio Pasquini, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 965, p. 02 : « E se tu ben, lettor, cerchi e avverti, / le rime non fur mai prima di lui / se non d’amore, e d’uo-mini inesperti. / Così il vulgar nobilitò costui / come il latin Vergilio, e ‘l greco Omero, / e onorò più il suo che ’l suo altrui » : versi che Gelli cita in due testi : Il Gello accademico fiorentino sopra que’ due sonetti del Petrarca che lodano il ritratto della sua m. Laura, Fiorenza, Lorenzo Torrentino, 549, p. 9, e la Orazione fatta sopra la esposizione di Dante, in cd, dove subito dopo aggiunge : « Ma chi sarà quello, lasciata da parte come cosa certissima la lingua (per essere stata quella, nella quale scrisse Dante ne’ suoi tempi, nella bassezza e rozzezza che può vedere ciascuno che vuole, e quelle di Omero e di Virgilio, quando eglino scrissero, quasi nel colmo della bellezza e perfezione loro), che si maravigli di tal cosa, s’ei considererà bene la materia e il soggetto del quale trattano e questi e gli altri poeti, e quello di che tratta in questa sua

32 davide colomboa Gelli due spunti significativi per il rapporto Dante-Omero è però Trissino. Intanto il proemio dell’Italia liberata dai Goti attribuisce ad Omero la capacità di far vedere le cose rappresentate, quell’evidentia che Gelli riconosce a Dante in più punti delle sue letture, richiamandosi esplicitamente a Trissino. Inoltre nella lettura ottava, del 562, Gelli sembra tener presente una novità editoriale, la già citata Quinta e sesta divisione della Poetica di Trissino, uscita nello stesso anno, anche se conclusa prima del ’50. In particolare nel commento ad Inf., xxi, -6, l’errore di Dante, aver chiamato Commedia un poema eroico, o meglio eroico-satirico, ha di nuovo l’attenuante dell’antinomia tra attitudine personale e temperie storica. In altre parole per colpa dei tempi rozzi e imbarbariti in cui si trovò a vivere, e malgrado il suo ingegno e la sua natura, Dante ha sbagliato a chiamar così la Commedia. Cediamo la parola a Gelli :

Dante, per la povertà di quei tempi che non avevan […] quella perfetta cognizione de’ poeti e della poesia che hanno oggi i nostri, non poteva saper più là, ch’ei si sapessi accidentalmente. Ma egli andò ben tanto in là col sapere suo naturale, e con la bontà e acutezza dello ingegno suo, che ei fece questo suo poema, se non con le regole degli altri poeti, con le sue, tale che di tre gran litterati ed esercitati che noi abbiamo oggi nella città nostra nelle cose de’ Greci, due non lo tengono punto inferiore a Omero, il quale tiene, come voi potete sapere, il primo luogo infra i poeti ; e l’altro lo prepone a lui, tanto ch’egli usa dire che non dubita punto, che se Aristotile avesse veduto Dante, come ei vedde Omero, ch’egli arebbe fatta la sua Poetica secondo Dante, e non secondo Omero. Né sia alcuno che si persuada ch’ei non si possa, non che equiparare, trapassare nelle cose che posson far gli uomini come uomini, gli antichi.2

La lettura oscilla fra retaggio umanistico, che deriva le regole dai modelli, e platoni-smo estetico, che verifica nei testi l’inveramento di regole fissate a priori. Infatti senza la Poetica « non si può aver la perfetta cognizione della diversità de’ poemi », nota Gelli, persuaso però che Dante sappia elaborare autonomamente le regole della poesia in virtù del « sapere suo naturale »,3 della « bontà e acutezza dello ingegno suo », che gli

Comedia Dante ? ». (Un pensiero dello Zibaldone di Leopardi del 22 luglio 82 appunta però che « quantun-que la lingua greca sia molto più formata in Omero, che non è l’italiana massime in Dante […], Dante fu quasi il primo scrittore italiano, Omero non fu né il primo scrittore né il primo poeta greco »). Da vedere infine il commento gelliano a Inf., xxv, 42-5 : « voi non troverrete poeta alcuno, inanzi a Dante, che abbia scritto nella nostra lingua d’altro che di cose amorose ».

Dice Giovan Battista Gelli ad es. a margine di Inf., xviii, 06-4 : « Scrive il Trissino […] in quel proe-mio ch’ei fa nella sua Italia liberata, che lo essere stato Omero tanto lodato nasce infra l’altre cagioni da questa, che le azioni ch’egli scrive son espresse da lui con parole tanto propie, che a chi le legge par propiamente essere a la presenza loro e vederle, e ch’ei non si cura, per dar loro tal energia e tal forza, usar talvolta comparazioni e parole bassissime, pur ch’elle sien propie ed esprimino bene i concetti ; il che non avviene a la maggior parte de’ poeti latini […]. Questa lode, che dà il Trissino a Omero, quanto ella si convenga ancora a Dante nostro, si vede in moltissimi luoghi di questo suo poema ». È questo uno dei punti in cui Mazzacurati ha rilevato il debito di Lenzoni con Gelli, contestualizzando poi un passo dei Discorsi dell’arte poetica di Tasso. Di siffatti temi e di altri affini trattano due articoli di Natascia Bian-chi : Tasso lettore di Dante : teoresi retorica e prassi poetica, « Medioevo e Rinascimento », n. s., ix, 998, pp. 224-247 ; e Le postille di Torquato Tasso al Convivio di Dante, in Scritti offerti a Francesco Mazzoni dagli allievi fiorentini, Firenze, Soc. Dantesca Italiana, 998, pp. 2-29.

2 Giovan Battista Gelli, Commento edito e inedito sopra la Divina Commedia, ii, Firenze, Bocca, 887, pp. 295-296 (anche in cd). Sulla rilevanza di questa pagina hanno insistito Giancarlo Mazzacurati, G. B. Gelli : un « itinerario della mente » a Dante, « Filologia e letteratura », xv, 969, pp. 49-94 (in particolare a p. 8) ; e Delmo Maestri, Le Letture di Giovan Battista Gelli sopra la Commedia di Dante nella cultura fioren-tina dei tempi di Cosimo I, « Lettere Italiane », xxvi, , 974, pp. 3-24 (in particolare a p. 3). Delle digressioni del commento gelliano discorre Armand L. De Gaetano, Dante and the Florentine Academy : the Commen-tary of Giambattista Gelli as Work of Popularization and Textual Criticism, « Italica », xlv, 2, 968, pp. 46-70.

3 Il connubio Dante-Aristotele può consumarsi sul terreno della natura. Cfr. Il Gello sopra un sonetto di m. Francesco Petrarca, in Firenze, 549 : « Aristotele stesso ; quello dico di cui il grande Arabo scrisse, che

33dante alter homerus nel rinascimentovenivano riconosciuti, seppur con diverso intendimento, anche da Lenzoni e Trissi-no. La riflessione sull’ingegno, per cui da alter Homerus Dante è promosso a Homero superior, è quel che più nettamente separa Gelli da Trissino, e, a ben vedere, da Pe-trarca e Poliziano. Pur avendo una grande opinione dell’ingegno di Dante, Petrarca sta dalla parte di Omero ; per Poliziano un ingegno poetico superiore al Greco non è mai esistito.1 Per Gelli, invece, forse su suggestione di Boccaccio, l’ingegno di Dante gli consente di andare al di là dei suoi tempi e di eguagliare Omero :2 ben tre ‘grecisti’ l’hanno affermato, testimonia Gelli, e uno di loro giunge a sostenere, convertendo in ipotesi il luogo comune del confronto, che se Aristotele avesse conosciuto Dante, avrebbe esemplato su di lui le sue regole. Il ragionamento riferito da Gelli è speculare a quello di Lenzoni, per il quale Dante non conosce Aristotele, ma arriva comunque a conformarsi alla sua poetica.3 I fermenti attuali, ancorché non originali, della cri-tica gelliana dilatano e assieme disciplinano l’esemplarità radiante del poema sacro, refrattario alla norma in quanto norma a sé stesso.

9. L’intervento di Salviati

Nel 564, due anni dopo la lettura gelliana appena analizzata, gli stessi accademici fio-rentini ascoltano l’Orazione in lode della fiorentina favella dell’allora esordiente Lionar-do Salviati. A supporto della tesi della preminenza del fiorentino Salviati ricorre ad un’argomentazione in parte già invocata da Gelli, ovvero che la qualità degli scrittori fiorentini supera di gran lunga quella dei greci e dei latini : è l’opinione « di qualchuno, che nella cognizione della [lingua] Greca avanza per avventura tutti gli altri, che sono stati dopo l’antichità ».4 Mentre nella lettura di Gelli il richiamo all’anonima autorità

e’ fu più tosto divino che humano, et che la natura lo produsse, per dimostrare l’ultimo suo potere circa a le cose che può sapere l’intelletto nostro ». Il rimando è ad un passo di Averroè menzionato pure nel-l’Hercolano : « Credo enim quod iste homo fuit regula in Natura, et exemplar quod Natura invenit ad de-mostrandum ultimam perfectionem humanam in materiis » (Averrois cordubensis commentarium magnum in Aristotelis de anima libros, a cura di F. Stuart Crawford, Cambridge, Massachussetts, The Mediaeval Academy of America, 953, pp. 43-45). Cfr. Harold S. Wilson, Some Meanings of « Nature » in Renais-sance Literary Theory, « Journal of the History of Ideas », ii, 4, 94, pp. 430-448.

L’Oratio omerica di Poliziano, a p. 478, vuol provare che « ullum unquam extitisse ingenium Home-rico maius ».

2 Stiamo parlando dell’« alto ingegno » che Dante invoca all’inizio del suo viaggio e che Cavalcante suppone lo giustifichi. Su « alto ingegno » di Inf., ii, 7, Boccaccio chiosa : « È lo ’ngegno dell’uomo una forza intrinsica dell’animo, per la quale noi spesse volte troviamo di nuovo quello che mai da alcuno non abbiamo apparato. Il che avere sovente fatto l’autore in questo libro si truova, per ciò che, quantunque Omero e, appresso lui, Virgilio dello scendere in inferno iscrivessero, ancora che in alcuna parte gli abbia l’autore imitati nello Inferno, nelle più delle cose tiene dal loro cammino molto diverso : del quale però che alcuno altro scrittore non si truova che in quella forma trattato n’abbia, assai manifestamente possiam vedere della forza del suo ingegno questa invenzione e il modo del procedere esser premuto » (Esposizioni sopra la Comedia di Dante, a cura di Giorgio Padoan, vol. vi di Tutte le opere di Giovanni Boc-caccio, a cura di Vittore Branca, Milano, Mondadori, 965, p. 02).

3 Nello stesso angolo visuale di un Dante divino per natura, e come tale riconosciuto da Aristotele in luogo di Omero, cfr. il Discorso di Vincenzio Buonanni sopra la prima cantica del divinissimo theologo Dante d’Alighieri del Bello nobilissimo fiorentino, intitolata Commedia, in Fiorenza, nella stamperia di Bartolomeo Sermartelli, 572, p. 6 : « bene è, anzi ragione gagliarda, e però quasi forza, il [Dante] dirlo divino, cioè per natura in ogni cosa eccellentissimo. Et io non penso che alcuno dubiti che se Aristotile havesse potuto havere la medesima notizia di Dante, la quale egli hebbe di Homero, non havesse dato a Dante l’epitheto del Divino, e non assolutamente a Homero, né chiamatolo sopravanzante e maggiore, cioè più degno di tutti li altri poeti ».

4 Giulia Dell’Aquila, L’Orazione in lode della fiorentina favella di Lionardo Salviati, ristampata dal Beni in calce al « Cavalcanti », « Rivista di letteratura italiana », xv, -3, 997, pp. 32-343 : introduzione alle

34 davide colombonon di uno, ma di tre ‘grecisti’ inseriva il paragone Dante-Omero nel problema del regolismo aristotelico, nell’orazione di Salviati Petrarca e Dante sono superiori ad Anacreonte, Pindaro, Euripide, Sofocle, Omero : l’eccellenza della letteratura, unita alla dolcezza della lingua, assicura l’eternità e quindi la preminenza del fiorentino. Salviati, conscio però che gli autori a confronto non rientrano nello stesso genere, precisa perciò che Berni è « nel suo genere […] così perfetto, quanto il Petrarca è nel suo » ; del resto Petrarca è superiore a « Pindaro con tutti gli altri lirici » (p. 339). Più avanti comunque ad Omero e a Dante pare esser riservata la centralità dei rispettivi canoni : se gli scrittori greci lodano compatti Omero, si domanda il pugnace Salviati, perché noi fiorentini non facciamo lo stesso con Dante, e anzi tolleriamo le critiche verso di lui ? Tale sciovinismo letterario trova alimento nell’opera di Pietro Bembo, considerata basilare per la rinascita della fiorentina favella, da lui sostituita alla latina, in aperto contrasto con chi, come Lenzoni e Gelli, non sopporta che un veneziano prescriva ai fiorentini le regole del bel parlare.2

0. Varchi e Borghini

L’adesione al bembismo e l’attitudine comparativa emerse dall’Orazione del ’64 di Salviati risentono del magistero di Benedetto Varchi,3 allora impegnato nella stesura dell’Hercolano, uscito postumo nel ’70. Qui Varchi da una parte riaggiorna, a meno d’un secolo da Landino, la metafora omerica dell’oceano,4 dall’altra, impostato il pa-ragone sul terreno aristotelico dei generi, ritiene Dante migliore di Omero :

Conte. E nell’heroico havete voi nessuno non dico che vinca, ma che pareggi Homero ?Varchi. Uno, il quale non dico il pareggia, ma lo vince.Conte. E chi ?Varchi. Dante.

pp. 32-327, testo alle pp. 328-343, citazione alla p. 339. A giudizio di Peter M. Brown, Lionardo Salviati. A Critical Biography, Oxford, Oxford University Press, p. 6, l’Orazione del ’64 rappresenta « a landmark in the history of Italian culture in the Cinquecento and a statement of principle which was to govern Lionardo’s activity for the rest of his life ».

Già nel 550 Anton Francesco Grazzini aveva anticipato l’idea del primato linguistico e letterario di Firenze su Atene e Roma, idea ripetuta dopo l’Orazione nei versi « Ma certo i lor migliori, / Virgilio, Orazio, Pindaro e Omero, / appetto a Dante non vagliono uno zero » : cfr. Peter M. Brown, Lionardo Salviati, cit., pp. 57-58 e 72, n. 29.

2 Al proposito nella stessa lettura ottava Gelli s’era espresso chiaramente, e ancor più chiaramente nella lettura quinta : « Questa traslazione di questo verbo fonde non considerando il Bembo, né manco in-tendendo la proprietà di quell’altro biscazza, e volendosi far censore, come dice il nostro Carlo Lenzoni in quella sua Difensione di Dante, d’una lingua che, non essendo sua natia, ei non intendeva ben la forza delle sue parole, biasimò (come io vi dissi di sopra) questo luogo, e disse che Dante arebbe fatto molto meglio a dire, in luogo di biscazza e fonde, consuma e sperde » (in cd).

3 Si rimanda alla biografia di Brown, in particolare al cap. vii, per dimostare che l’influenza di Varchi sul protégé Salviati raggiunse l’acme appunto nel ’64. Precisa Maurizio Vitale, L’oro nella lingua. Contri-buti per una storia del tradizionalismo e del purismo italiano, Milano-Napoli, R. Ricciardi, 986, pp. 50-5 : « il bembismo del Salviati, troppo spesso esagerato dagli studiosi e mal inteso, e le ragioni e i modi della accettazione delle scelte bembiane, vanno intesi nel limite della simultanea adesione da parte del Salviati alle tesi del fiorentinismo naturalistico, a cui l’aveva persuaso da giovane durevolmente la lezione del Varchi ».

4 Benedetto Varchi, L’Hercolano, ii, ed. critica a cura di Antonio Sorella, presentazione di Paolo Trovato, Pescara, Libreria dell’Università, 995, p. 97 : « vi potrei allegare infiniti luoghi, non solamente nella Commedia, la quale è un oceano di tutte le maraviglie, ma ancora nell’altre poesie sue, i quali lo [Dante] rendono degnissimo di tutte le lodi e di tutte l’ammirazioni che a grandissimo e perfetto poeta si convengono ».

35dante alter homerus nel rinascimentoConte. Dante ? Oh io n’ho sentito dire tanto male, e alcuni non l’accettano ne’ loro scritti per poeta, non che per buono poeta ; qui è forza, secondo me, che voi andiate sotto.Varchi. Basta non affogare ; e anco, se io non sono da me il miglior notatore del mondo, ho non dimeno tai due sugheri sopre le spalle, o volete dire gonfiotti, che non debbo temere di dovere andare a fondo ; ma che vi muove a così dubitare del fatto mio ?Conte. Primieramente voi ne volete più che la parte, perciò che a Dante stesso bastò essere il sesto fra cotanto senno, e voi lo fate il primo e lo ponete innanzi a tutti. Poscia havete contra voi il Bembo e ultimamente monsignor della Casa, che pur fu fiorentino, nel suo dottissimo e leggiadrissimo Galateo.

S’è detto che secondo Gelli Dante è refrattario alla norma, sia essa aristotelica o bem-biana, in quanto norma a sé stesso ; per converso l’Hercolano avvalora la prevalenza di Dante su Omero solo nei limiti delle norme che fondano il genere eroico. La di-sciplina di genere costituisce un chiaro motivo di polemica rispetto all’Orazione di Salviati, il quale aveva sì paragonato Petrarca a Pindaro e ai lirici,2 ma aveva aggiunto di Boccaccio : « nel suo Decamerone lo credo io sì perfetto, dico quanto allo stile, che a quella meteria è richiesto, quanto nelle loro orazioni si siano per avventura Cicerone, e Demostene ».3 S’intende allora lo scambio di battute dell’Hercolano :

Varchi. Fra Cicerone e Demostene si può ben fare comperazione, come fece giudiziosamente Quintiliano, così quanto alla gravità e spessezza delle sentenze, come quanto alla pulizia e leggiadria delle parole ; ma tra il Boccaccio e Cicerone e Demostene no.Conte. Per qual cagione ?Varchi. Se non per altro, perché le comperazioni si debbon fare nel genere univoco, e il Boc-caccio scrisse novelle e non orazioni ; e in questo non dubiterei d’agguagliarlo e forse preporlo a Luciano.4

La fondazione d’un sistema dei generi che permetta alle lettere volgari di eguagliare, se non di superare, le antiche, è il nucleo dell’ideologia letteraria di Varchi : un’ideo-logia che, al pari di quella trissiniana, sarebbe facile ridurre a capitolo del classicismo cinquecentesco, se non fosse per la ricerca varchiana di una poesia a forte gittata filosofica : di qui l’accostamento di Dante a Lucrezio, più che ad Omero ; di qui il superamento del modello bembiano, che rimane comunque per Varchi, come per Salviati, un saldo punto di riferimento.5 Non a caso il giudizio di superiorità di Dante

Ivi, pp. 844-845. Non sono parole nuove nell’esperienza critica di Varchi, rileva Giancarlo Mazza-curati, Dante nell’Accademia fiorentina, cit., p. 303, n. 54, saggio da cui sarà possibile contestualizzare i riferimenti congiunti a Dante ed Omero nella Lezione della Poetica in generale di Varchi, del 553.

2 Il paragone Petrarca-Pindaro occorre e nell’Orazione e nell’Hercolano, rileva Peter M. Brown, Lio-nardo Salviati, cit., p. 64, n. 7.

3 Lionardo Salviati, Orazione in lode della fiorentina favella, in Giulia Dell’Aquila, L’Orazione in lode della fiorentina favella, cit., p. 339.

4 Benedetto Varchi, L’Hercolano, ii, cit., p. 842.5 Riassumo i risultati della più accurata disamina dell’evoluzione storica dell’ermeneutica varchiana,

il saggio di Annalisa Andreoni, Alla ricerca di una poetica post-bembiana : il Dante « lucreziano » di Benedetto Varchi, « Nuova Rivista di Letteratura Italiana », vii, -2, 2004, pp. 79-23 (in particolare pp. 29-227) per il tema ora in esame. Asseverava Varchi già nella Lezione sopra il secondo canto del Paradiso del 545, in cd : « ciascun poeta ha bisogno di tre cose principalmente, della invenzione o vero subbietto, della dispo-sizione o vero ordine, dell’elocuzione o vero ornato parlare. E come nelle prime due vince Dante, non solo agguaglia, tutti gli altri poeti di tutte l’altre lingue, per quanto posso conoscere io, così nella terza è vinto non che agguagliato da molti, se bene in alcuni luoghi è ancora in questo miracoloso ». Patente la discontinuità coi paradigmi gelliani : « Tre sono, come voi potete aver inteso più volte, le parti che si ri-cercon principalmente a un poema, a voler ch’egli sia bello e approvato ; la invenzione, la disposizione e la elocuzione ovver descrizione. E queste son tali e tanto belle in questo Inferno del Poeta nostro, ch’elle lo fanno, non che bello, bellissimo e maraviglioso » (commento a Inf., xi, 0-2).

36 davide colombosu Omero non è pacifico per il fatto che l’autore dell’Hercolano tiene in gran conto le riserve stilistiche su Dante avanzate da Bembo e Della Casa, due poeti che Varchi ha commentato all’Accademia degli Infiammati di Padova, dove tra l’altro è ben viva la lezione di Bembo. Appunto perché teme di star nuotando nell’acqua alta, Varchi avverte il bisogno di « due sugheri », due salvagenti che lo tengano a galla, quando afferma che Dante vince Omero. Gelli s’è appellato all’autorità « di tre gran litterati ed esercitati che noi abbiamo oggi nella città nostra nelle cose de’ Greci », ma non li ha nominati apertis verbis ; anonima è anche l’autorità che nell’Orazione di Salviati postpone ai fiorentini gli autori greci in cui è esperta. Invece la stesura originale del-l’Hercolano indica a chiare lettere che i salvagenti sono due filologi nel senso più alto e ampio della parola, Pier Vettori e Vincenzio Borghini.2 L’identità dei salvagenti è stata chiarita una volta per tutte dalla recente edizione critica dell’Hercolano : cosicché a noi non resta che integrare quei chiarimenti su due punti non accessori. Prima inte-grazione. Vettori, ammiratore di Dante, interviene su di lui nell’epistola al lettore del suo commentario alla Poetica di Aristotele :

Quod si aliquem inferiore aetate natura armavit, ac siquis se ad scribendum divino spiritu af-flatus contulit, hic profecto is [Dantes] fuit : neque enim humanis viribus nixa mens ulla, quae vidit ipse, et ut nos videremus effecit, potuisset unquam contemplari.3

Se dire che Dante è favorito dalla natura appare scontato, meno scontata è l’allusione ad Omero attraverso un passo delle Tusculanae Disputationes, in cui Cicerone rileva che quel cieco aveva fatto vedere a noi quel che lui non poteva vedere (« ut que ipse non viderit, nos ut videremus, effecerit ») :4 ora Vettori assevera che nessuna mente, quindi nemmeno quella omerica, avrebbe potuto contemplare quel che Dante vide e fece vedere (« mens ulla quae vidit ipse et ut nos videremus effecit, potuisset unquam contemplari »). Per quanto coperto, il confronto con Omero è qui risolto da Vettori a vantaggio di Dante. Seconda integrazione. Anche se Borghini considerava Dante

Annalisa Andreoni, Benedetto Varchi all’Accademia degli Infiammati. Frammenti inediti e appunti sui manoscritti, « Studi rinascimentali », iii, 2005, pp. 29-44. A Bembo e Della Casa il canone di Salviati s’allar-ga nella Lezion prima della poetica, risalente allo stesso 564 : « cotali [presi dal furor poetico] non mi credo io che fussero già né Omero, né Sofocle, né Pindaro, né Virgilio, né Lucrezio, né Orazio, né ’l Petrarca, né Dante, e tra i moderni né il Bembo né Monsignore Della Casa ; ché bene stimo di potere tra molti altri, senza invidia del medesimo secolo solo questi due nominare ».

2 Lucia Cesarini Martinelli, Contributo all’epistolario di Pier Vettori (lettere a Don Vincenzo Borghini, 1546-1565), « Rinascimento », s. ii, vol. xix, 979, pp. 89-227 ; Eliana Carrara, Il discepolato di Vincenzio Borghini presso Pietro Vettori, « Annali della scuola normale superiore di Pisa », iv, 2, 999, pp. 59-538 ; Il car-teggio di Vincenzio Borghini. i. 1541-1552 : la filologia classica e la corrispondenza con Pier Vettori, la collaborazione alle Vite vasariane per l’edizione torrentiniana del 1550, lettere in lingua italiana a cura di Daniela Francalanci e Franca Pellegrini, lettere in lingua latina a cura di Eliana Carrara, Firenze, Studio per edizioni scelte, 200.

3 Petri Victorii Commentarii in primum librum Aristotelis De arte poetarum […], Florentiae, in officina Iuntarum, Bernardi filiorum, 573 [560], f. bii v. Ancora inedito l’intervento di Anna Siekiera su La critica dantesca del filologo classico Piero Vettori al convegno del 2004 della Normale di Pisa Testi, immagini e filologia nel xvi secolo. Ringrazio la Siekiera per aver letto il presente saggio e per avermi dato preziosi suggerimenti per migliorarlo.

4 Il secolare commento già s’era appropriato del passo ciceroniano per merito dell’Esposizione litterale boccacciana di Inf., iv : « Fu adunque costui [Omero] estimato il più solenne poeta che avesse Grecia, né fu pure appo i Greci in sommo pregio, ma ancora appo i Latini in tanta grazia, che per molti eccellen-ti uomini si truova essere stato maravigliosamente commendato : e intra gli altri nel quinto delle sue Quistioni tusculane [v, 4] scrive Tullio così di lui : “Traditum est etiam Homerum cecum fuisse : at eius picturam, non poesim videmus. Que regio, que ora, qui locus Grecie, que species forme, que pugna queque artes, quod remigium, qui motus hominum, qui ferarum ita expictus est, ut que ipse non vide-rit, nos ut videremus, effecerit !” » (in cd).

37dante alter homerus nel rinascimento« poeta sovrano », e quindi spendeva per lui le parole riferite dalla Commedia stessa ad Omero, nondimeno egli mai aveva voluto arrischiarsi sul terreno scivoloso d’un confronto diretto, e pertanto era intervenuto a più riprese per ricusare il ruolo di sal-vagente : prima della pubblicazione dell’Hercolano Borghini aveva parlato e scritto a Varchi, ottenendo da lui che non gli fosse più attribuita l’affermazione di superiorità di Dante su Omero, considerato quanto Omero « sia celebrato da Aristotele, cioè dal maestro di que’ che sanno ».2 Varchi però era morto senza intervenire, sicché il priore s’era rivolto prima ad Annibal Caro, poi agli editori dell’Hercolano, i fratelli Giunti. A loro Borghini aveva sempre ribadito da una parte la sua incompetenza ad esprimersi su Omero, e quindi il rifiuto di farlo, dall’altra parte l’altissima stima per Dante :

quantunque io tenga Dante fra i belli ingegni bellissimo e quasi divino, e dotato dalla natura d’uno spirito veramente poetico e in questa parte sopraumano, […] e che io lo giudichi il pri-mo che dopo la rovina delle buone lettere riaccendesse il lume poetico interamente spento, riaprisse la via della umanità in tutto smarrita e risuscitasse le Muse state già morte e sepolte gran tempo ; e che però a lui principalmente si debba il primo pregio e la gloria della rinno-vazione di questo secolo […], nondimeno non ardisco però, né mai mi cadde nel pensiero di dare quella sentenza di preporlo così risolutamente a Omero […]. Il far poi comparazione, che è una spezie di giudicare e un dar sentenza de’ meriti d’altri, e darla così diffinitiva e come senza appello, questo io non so quanto debba essere conceduto a ognuno ; ma so bene che a me non istà bene.3

Al termine della missiva Borghini accenna alla « molta cognizione » di Dante da parte di Vettori : in effetti l’incipit della citazione appena ritagliata (« quantunque io ten-ga… »), con l’insistenza sul nerbo divino e sovrumano d’un poeta premiato dalla na-tura, a mio avviso rimanda piuttosto chiaramente al passo dei Commentarii di Vettori, la cui lezione è trasposta da Borghini nel volgare.4 Non è però questione di debiti sin-golarmente circoscrivibili, poiché a tutela del suo poeta aveva serrato i ranghi un’in-tera città : « molte di quelle ragioni che io adduco in quel luogo in difesa di quel che ei dicono contro a di lui, non son mie » – rammenta il solito Gelli a proposito di Dante e Omero – « ma son d’uomini molto più dotti, e più esercitati e giudiziosi di me nelle cose de’ poeti ». Prima d’essere nel Risorgimento poema della nazione, la Commedia è stata nel Rinascimento poema d’una città, Firenze :5 una città che doveva volgersi ad

Cfr. i Discorsi di Monsignore Don Vincenzio Borghini, parte seconda, Firenze, Giunti, 585, p. 33 : Dante « riuscì poi sovran poeta, e si può veramente chiamare il padre e primo illustratore di questa nostra, oggi tanto reputata, lingua ».

2 Cfr. la lettera di Borghini a Benivieni riportata da Claudia Tapella, Mario Pozzi, L’edizione del Decameron del 1572 : lettere e documenti sulla rassettatura, « Giornale storico della letteratura italiana », clxv, 988, pp. 394-396 : rapido riassunto d’una vicenda che, lo si ripete, si trova descritta in modo parti-colareggiato nell’ed. dell’Hercolano a cura di Sorella.

3 Lettere del Cinquecento, a cura di Giuseppe Guido Ferrero, Torino, utet, 9672, pp. 597-598.4 Anna Siekiera, Il volgare nell’Accademia degli Alterati, in Italia linguistica : discorsi di scritto e di parlato,

a cura di Marco Biffi, Omar Calabrese, Luciana Salibra, Siena, Protagon, 2005, pp. 87-2 (in particolare pp. 02-03) : nei Commentarii in librum Demetri Phalerei Vettori giudica infondate le critiche di Demetrio ad una metafora omerica e di Della Casa ad una dantesca (la « lucerna del mondo » di Pd., i, 38) ; Borghini richiama il giudizio in uno scritto su Della Casa. Per contro Bulgarini, lo si vedrà, rifiuta il parallelismo tra le similitudini di Omero e quelle di Dante.

5 Simon A. Gilson, Dante and Renaissance Florence, Cambridge, Cambridge University Press, 2005. Ha ragione Carlo Dionisotti, Dante nel Quattrocento, cit., p. 335 : « la regola è che per duecento anni, dalla polemica umanistica del primo Quattrocento all’edizione della Commedia procurata dagli Accademici della Crusca nel 595, il corso della tradizione dantesca fiorentina si distingue da quello che essa tradizio-ne ebbe nel resto d’Italia » ; Dionisotti è tornato sul tema in Dante e il Rinascimento, « Terzo programma », iv, 965, pp. 6-68.

38 davide colomboun monumento del passato anche perché Giovanni della Casa, l’unico suo figlio che forse sarebbe stato in grado di competere coi campioni del presente, nel Galateo aveva preferito allinearsi col veneziano Bembo. La Firenze del tardo Rinascimento avrebbe potuto dunque scorgere nell’epistola borghiniana ai Giunti la media delle opinioni vulgate su Dante, revocator ab Orco delle lettere volgari2 inquadrato dalle categorie di natura e ingegno, già usate da Lenzoni, Trissino e Gelli, e assimilabili a quelle oraziane di natura e arte. Conta poco che Borghini non abbia mai avallato che Dante sia meglio di Omero, e che anzi per lui non sia possibile il paragone in sé : l’urgenza di ricondurre Dante al centro del sistema letterario italiano spinge a minimizzare le sfumature, a far parlare all’unisono l’intellighenzia fiorentina tutta, ad attribuire a Vettori e Borghini pareri anche solo ufficiosi.

Alla fine comunque il priore degli Innocenti viene accontentato : le prime edizioni dell’Hercolano s’arrendono alla contumacia dei grandi letterati d’accordo con Varchi sulla superiorità dantesca ; al massimo fa capolino, in tono dubitativo e comunque a rincalzo, il padovano Sperone Speroni :

Conte. E quali sono questi due sugheri o gonfiotti, ne’ quali in così grande e manifesto peri-colo confidate tanto ?Varchi. Due de’ maggiori letterati de’ tempi nostri, quali il dicono e l’affermano, e ve ne fa-ranno, se volete, un contratto [...]. E di più mi pare ricordarmi che messer Sperone, quando io era in Padova, fusse nella medesima sentenza (Hercolano, ii, cit., p. 859).

In realtà Speroni non s’era limitato a giocare il ruolo di teste secondario a favore di Dante, anzi, in uno scritto di almeno una decina d’anni più tardo, frutto d’una succes-siva fase della critica dantesca, s’era spinto oltre :

Né vaglia dire che Dante poeteggi senza esempio di altro poeta ; perciocché ’l suo poema è anche senza esempio. Non è Dante poeta fatto dallo esemplo, ma dalla sua propria ragione : e non è pur sesto, ma è primo fra tutti Greci e Latini.3

Quel paragone con Omero (e Virgilio) che ai tempi di Leonardo Bruni serviva a dare alla lingua di Dante pari dignità rispetto al greco e al latino, ora serve a giustificare il

Claudio Marazzini, Il problema del « primato » fiorentino, in Idem, Da Dante alla lingua selvaggia. Sette secoli di dibattiti sull’italiano, Roma, Carocci, 999, pp. 77-02. Ha scritto Giancarlo Mazzacurati, Per un profilo storiografico di due « Rinascimenti » : la crisi culturale del xvi secolo in Italia, in Studi offerti a Luigi Blasucci dai colleghi e dagli allievi pisani, a cura di Lucio Lugnani, Marco Santagata, Alfredo Stussi, Luc-ca, Pacini Fazzi, 996, pp. 365-388 : « Un napoletano, come Sannazaro, sarà il più celebrato continuatore nazionale del Boccaccio “bucolico” : un veneto (Bembo) sarà il restauratore del Petrarca, un ferrarese (Ariosto) il nuovo “classico” del poema romanzesco ; e un giorno, a fine secolo xvi, vi saranno anche giovani critici e letterati fiorentini (come Lorenzo Giacomini e altri del suo circolo, all’Accademia degli Alterati), fervidi ammiratori del Tasso in polemica con la tradizione cittadina, rappresentata dal Salviati e dalla prima Accademia della Crusca » (p. 37).

2 Secondo un motivo topico occorrente già nel Prologus del commento di Guido da Pisa (« enim mor-tuam poesiam de tenebris reduxit ad lucem »), poi ripreso da Boccaccio e dagli umanisti fiorentini : ai passi compulsati da Eugenio Garin, Dante nel Rinascimento, « Rinascimento », vii, 967, pp. 3-28, s’ag-giungano l’Hercolano, cit., p. 686, e la parte prima dei Discorsi di Monsignore Don Vincenzo Borghini, cit., p. 6 : « Dante il primo un poco, e più dopo di lui il Petrarca cominciarono a risu[s]citare le buone lettere, che finalmente con l’aiuto di molti si posson quasi dire ritornate nella loro prima purità e bellezza, et havere ricuperata a’ tempi nostri l’antica gloria ».

3 Sperone Speroni, Sopra Dante discorso secondo, in Idem, Opere, v, Venezia, Occhi, 740 (rist. anast. Manziana, Vecchiarelli, 989), pp. 504-59 (a p. 58a ; essendo il testo disposto su due colonne, sigliamo con a la prima, con b la seconda). Condotto col solito acume è lo studio speroniano di Stefano Jossa, La “verità” della Commedia. I Discorsi sopra Dante di Sperone Speroni, « Rivista di Studi Danteschi », i, 2, 200, pp. 22-24 ; in subordine cfr. Antonio Daniele, Sperone Speroni, Bernardino Tomitano e l’Accademia degli Infiammati di Padova, « Filologia Veneta », ii, 989, pp. -53 (in particolare pp. 9-2).

39dante alter homerus nel rinascimento

In pieno parallelismo con l’evoluzione dell’esegesi dantesca tratteggiata da Cecil Grayson, Dante nel Rinascimento, in Idem, Cinque saggi su Dante, Bologna, Pàtron, 972, pp. 89-6 (a p. 5).

2 Sperone Speroni, Sopra Dante discorso secondo, cit., pp. 58a e 59a. A detta di Bernard Weinberg (A History of Literary Criticism in the Italian Renaissance, Chicago, the University of Chicago Press, 96, p. 868), per lodare Dante Speroni ricorre al De Homero dello pseudo-Plutarco ; s’è già detto (cfr. p. 29, n. 5) che vi compare l’idea della lingua d’Omero come koinè, idea ripetuta per Dante da Lenzoni e ora da Speroni (Sopra Dante discorso secondo, cit., pp. 50b-5a). Topica è anche la frase d’una lettera senza data, compresa nel quinto volume delle Opere speroniane, a p. 320 : « Dante […] onora la nostra lingua col suo poema, non men che Omero la Greca, o la Latina Virgilio » : cfr. p. 22, n. 3.

3 La Varchina di Muzio, scritta fra il ’73 e il ’75, sarebbe uscita solo nel 582 nelle miscellanee Battaglie per difesa dell’italica lingua, pubblicate da Rossana Sodano per la Res nel 994, e da Carmelo Scavuzzo per l’editrice Sicania nel 995. Il Discorso del non meglio identificato Castravilla, circolato manoscritto a partire dal 572, apparve in princeps grazie a Bulgarini nelle sue Annotazioni, ovvero chiose marginali, sopra la prima parte della Difesa, fatta da m. Iacopo Mazzoni, Siena, Bonetti, 608 ; l’ha ristampato Mario Rossi nel 897, insieme ai Discorsi di Filippo Sassetti, nella collezione di Opuscoli danteschi inediti o rari. La prossimità cronologica non esclude limitate tangenze argomentative : come può Varchi dire che Dante è migliore di Omero – si domandano Castravilla (ed. curata da Rossi, p. 32) e Muzio (ed. curata da Sodano, p. 3) – se Varchi stesso ammette che Dante presenta difetti ?

4 Muzio prima precisa che Bembo non ha mai anteposto Dante ad Omero (ed. curata da Sodano, p. 42), poi ripropone la distinzione fra argomento e stile che nelle Prose qualificava il paragone fra Dante e Petrarca : « la grandezza di Dante è per la dignità del suggetto e della dottrina. Se Omero avesse scritta la sua Iliada, e Virgilio la sua Eneida, e Dante la sua Comedia in una lingua stessa, sarebbe per questo Dante men grande di quello che egli è ? Fermamente no : se egli comparato a loro è grande, è per lo suggetto. Quanto al modo dello scrivere, chiara cosa è che più leggiadri scrittori sono que’ due nelle loro lingue che Dante nella sua » (ed. curata da Sodano, p. 6), sino allo stesso risultato bembiano, « che Omero e Virgilio sono poeti, e poeti eccellentissimi, e Dante è ogni altra cosa (al mio giudicio) più tosto che poe-ta » (ibidem). Landino inoltre aveva annotato che, a differenza di Omero e Virgilio, Dante dovette servirsi d’una lingua ancora grezza : ciò non sarebbe successo, argomenta Muzio, se si fosse verificata un’ipotesi accreditata da Varchi, ossia se Omero, Virgilio e Dante avessero scritto nella medesima lingua (ibidem).

5 Stagione più volte sondata dagli specialisti : dalla tesi di laurea di Michele Barbi (Dante nel Cinque-cento, Avezzano, Studio bibliografico A. Polla, 983 [890]), a Saverio Bellomo, La critica dantesca nel Cinquecento, in Storia della letteratura italiana, xi, diretta da Enrico Malato, cit., 2003, pp. 3-323.

6 Lodovico Castelvetro, Correttione d’alcune cose del Dialogo delle lingue di Benedetto Varchi, a cura di Valentina Grohovaz, Padova, Antenore, 999. Se non in quest’opera, Castelvetro s’era già cursoria-

tipo di lingua che Dante ha scelto, anzi il tipo di poema che Dante ha scritto. Se per Lenzoni Dante l’ha scritto con l’esempio di Omero e con la difesa di Aristotele, Gelli ribatte che Dante scrive con regole sue, tanto che potrebbe esser lui esempio per quel filosofo. Alle spalle di Speroni risuona ora la stessa tradizione che accampa l’atipicità di Dante negli anni del regolismo aristotelico : Dante è primo di tutti perché al di là di tutti, senza che questo comporti una rinuncia all’ormai consueta omerizzazione della Commedia, simile all’Odissea per la « favola », all’Iliade per il « subietto ».2

. Due risposte a Varchi

Due risposte immediate all’Hercolano di Varchi, la Varchina di Girolamo Muzio e il Discorso nel quale si dimostra l’imperfettione della « Commedia » di Dante di Ridolfo Castra-villa,3 sono per certi versi complementari (Muzio privilegia la questione della lingua esplicitamente tralasciata da Castravilla), ma assumono un peso affatto diverso nella storia del paragone. Marginale è Muzio, che s’accontenta del piccolo cabotaggio di osservazioni risapute ;4 epocale Castravilla, non tanto in sé, come casus belli d’una lun-ga stagione di dibattiti,5 quanto piuttosto per i suoi presupposti euristici e per i riflessi sulla fortuna e sull’esegesi di Dante. In principio Castravilla dichiara che si sarebbe astenuto dal condannare l’Hercolano se Castelvetro, nella sua Correzione al dialogo di Varchi,6 non avesse trascurato la « più falsa e la più assurda di tutte le falsità », il più

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mente pronunciato sul paragone nel commento alla Poetica (570) : ) Dante ha errato ad introdurre nella Commedia argomenti scientifici, incomprensibili per il popolo, naturale destinatario della poesia : « nel qual peccato non caddero mai Omero, né Virgilio nell’Eneida » ; 2) a differenza di Omero, Dante parla di sé nella Commedia (lo nota anche Castravilla), e, presentando Guido da Montefeltro buono nel Convivio e cattivo nella Commedia, commette un errore nel costume.

Ecco il passo incriminato : « Il paradosso è questo […], che Dante non adegua Homero, ma lo eccel-le. Et io voglio provare in questo mio breve e semplice discorso che il Poema di Dante e quell’opera che ’l Varchi la estima tale, e che egli, con quella sua hiperbolica exuperantia, nel medesimo dialogo noma un Oceano di tutte le meraviglie, tantum abest che e’ sia quel che e’ dice, che non è pur poema ; e, dato, e non concesso, che fosse poema, non è poema heroico, e, dato e non concesso che fosse poema heroi-co, è in fra’ poemi heroici malo poema, ed è tutto pieno d’imperfezioni in tutte le sue parti ; cioè nella favola (dato e non concesso che habbia favola) e nel costume e nella dianea, o vuoi dire concetto, e nella dizione, o vuoi dire elocuzione » (Ridolfo Castravilla, Discorso, cit., pp. 9-20).

2 La genealogia s’era imposta sin dalla prima esegesi del poema. Chiosa Benvenuto da Imola a margine di Inf., i, 85 (in cd) : « aliqui ex hoc dicto volunt inferre quod Dantes pro magna parte fuerit furatus a Virgilio, quod est manifeste falsum cuique intelligenti utrumque : imo Dantes pauca accepit a Virgilio, imo Virgilius plura accepit ab Homero, et ab aliis poetis et oratoribus tam Graecis, quam Latinis ». Si vedano poi i luoghi di Boccaccio, Villani, Equicola e Varchi citt. rispettivamente a p. 33 n. 2, p. 25 n. , p. 45 n. 6, p. 46 n. .

3 Emilio Bigi, La tradizione esegetica della Commedia nel Cinquecento, in Idem, Forme e significati della Divina Commedia, Bologna, Cappelli, 98, pp. 73-209, a p. 98 parla di « una polemica alla quale non si vuol negare il merito di aver tentato di inquadrare, per la prima volta in una sistematica discussione teorica, il giudizio critico della Commedia, ma alla quale […] sembra difficile poter riconoscere un sostan-ziale progresso nella comprensione della poesia di Dante ».

4 Aldo Vallone, Un momento della critica dantesca nel tardo Cinquecento, articolo uscito in due riprese su « Filologia e letteratura », viii, 4, 962, pp. 45-433, e ix, , 963, pp. 5-4 (la cit. a p. 23). Gli esempi inven-tariati da Vallone nella prima parte del suo articolo comprovano che il paragone risente della tendenza a ricapitolare l’ovvio e a ripetere il già noto : i, p. 48 : pur riprendendo gli schemi aristotelici, Antonio degli

clamoroso « paradosso », ossia che « Dante non adegua Homero, ma lo eccelle » : per converso Dante, erroneamente ritenuto « oceano di tutte le meraviglie », non può neppure esser paragonato ad Omero, giacché non dispone dei requisiti minimi di dignità letteraria stabiliti da Aristotele. Lenzoni aspirava a far di Dante un alter Ho-merus, poiché per questa via l’autore della Commedia sarebbe stato arruolato tra gli aristotelici ; viceversa per Castravilla il paragone è inammissibile, dato che Dante non s’adatta alle regole di Aristotele. Contro e oltre Gelli, che aveva sostenuto che Dante avesse scritto la Commedia con regole sue, segno che i moderni possono superare gli antichi, Castravilla ribatteva che non era di Dante l’invenzione della Commedia : « come Virgilio la prese da Homero, ampliandola et abbellendola, così Dante l’ha tratta da Virgilio » (p. 25).2 Al guinzaglio di siffatte argomentazioni, non nuove, ma sfoggiate con unilaterale agilità, la Commedia esce fatalmente ridimensionata.

2. Occasionalità e rilevanza del paragone : tre casi emblematici

I cerchi concentrici provocati nel mare magno della critica tardorinascimentale dal sas-so scagliato da Varchi e raccolto da Castravilla s’allargano a così disparati argomenti – la natura e la regola, il preteso primato municipalistico di Firenze, la questione della lingua, i canoni dell’imitazione – che non è difficile acclarare la debolezza euristica del paragone fra Dante e Omero. A livello generale, nel quadro d’una considerazione svalutativa delle sottigliezze esegetiche dispiegate dai polemisti su Castravilla,3 non si può che condividere il giudizio di Aldo Vallone : « ricorrere all’esempio di altri auto-ri, conclamati come pari (Omero nella letteratura greca e Virgilio nella latina), vale come giustificazione, ma poco come schietto approfondimento e aperta intelligenza dell’opera dantesca ».4 Il paragone – una formula umanistica ed accademica dell’ese-

41dante alter homerus nel rinascimento

Albizzi asserisce l’irriducibilità della Commedia ai precetti aristotelici, basati su una o due tragedie antiche e sui poemi omerici ; i, p. 426 : Filippo Sassetti rifugge il confronto Dante-Omero al pari di Borghini : « Non dee compararsi Dante con Homero onde ne nasca l’innalzamento dell’uno o l’abbassamento del-l’altro, ma misurare ciascuno con quella misura » ; i, p. 432 : Bongioanni Gratarolo rinnova lo stereotipo di Dante alle prese con una lingua grezza.

Mario Martelli, Una giarda fiorentina : il Dialogo della lingua attribuito a Niccolò Machiavelli, Roma, Salerno, 978, p. 80 : Martelli ipotizza che l’autore del Dialogo della nostra lingua sia il fantomatico Castra-villa.

2 Sulle annotazioni manoscritte anti-Castravilla (si trascura l’appunto del ms. ii-x-99 : cfr. Vincenzio Borghini. Filologia e invenzione nella Firenze di Cosimo I, a cura di Gino Belloni, Riccardo Drusi, Firenze, Olschki, 2002, pp. 330-333), e sulla lettera ad Altoviti, si vedranno Bernard Weinberg, A History of Lite-rary Criticism, cit., pp. 847-849 ; Aldo Vallone, Un momento della critica dantesca nel tardo Cinquecento, cit., pp. 35-38 ; Mario Pozzi, Note sulla critica dantesca del Borghini, in Idem, Lingua e cultura del Cinquecento. Dolce, Aretino, Machiavelli, Guicciardini, Sarpi, Borghini, Padova, Liviana, 975, pp. 257-287 (in particolare pp. 259-262) ; Giancarlo Mazzacurati, Il mito di Dante a Firenze, cit. ; Erminia Ardissino, La risposta del Castravilla, in Vincenzio Borghini. Filologia e invenzione, cit., pp. 262-265 ; Eadem, Appunti di critica dantesca : la risposta di Vincenzio Borghini al Discorso del Castravilla, « Giornale storico della letteratura italiana », clxxx, 2003, pp. 56-85 ; Giuseppe Chiecchi, Preliminari per una edizione degli scritti danteschi di Vincenzio Borghini, « Studi sul Boccaccio », xxxiii, 2005, pp. 237-267 (in particolare pp. 254-257).

3 Argomenti anzi amplificati sino alla ridondanza da Francesco Bonciani, intellettuale dell’Accademia degli Alterati nonché coesecutore testamentario di Borghini, in un manoscritto della Riccardiana, alme-no per quanto riporta Bernard Weinberg, A History of Literary Criticism, cit., pp. 90-902 : Omero « la facoltà poetica non dalle regole altrui, ma dalla natura apparò, e dalla propria sollecitudine », mentre a Dante « fu di mestiero [...] più valersi del lume naturale, e ubbidire all’altezza del suo ingegno, che dal libretto imparare, che scrisse della poetica il maestro di color che sanno ».

4 Il saggio di Tina Caporaso, L’interpretazione della « selva oscura » di Giovan Batista Gelli, cit., p. 37,

gesi dantesca di tradizione fiorentina – si riscatta dalla sua occasionalità acquistando spessore storico-critico allorché fa divenire l’analisi particolare della Commedia e del suo riuso il laboratorio in cui si ragiona della concezione globale della poesia. In tal senso non è del tutto arbitrario specificare tre strade, con voluta semplificazione : Vincenzio Borghini, e in parte Tommaso Campanella, continuano a perfezionare, in piena sintonia col circolo fiorentino, le categorie in base alle quali Dante è stato sot-toposto al collaudo della dottrina aristotelica ; Bellisario Bulgarini accetta la disputa sul terreno pseudorazionalista di Castravilla ; Giacomo Mazzoni infine sperimenta un’ardua sintesi tra la prima tesi e la seconda antitesi.

3. Primo caso : Borghini

Alla levata di scudi di Firenze contro Castravilla, « il castratore della città, colui che privava Firenze del suo attributo onorifico », non poteva sottrarsi il difensore e in-terprete quasi ufficiale della cultura fiorentina, quel Borghini al quale Varchi avrebbe voluto attribuire il giudizio di superiorità di Dante su Omero, e quindi, di riflesso, la colpa della contesa. Il priore degli Innocenti decise di giocare su due fronti : da una parte la famosa lettera del 24 di novembre del 573 ad Antonio Altoviti, dall’altra gli appunti conservati su un quaderno magliabechiano della Nazionale di Firenze.2 I due fronti, da vagliare unitariamente, pur non soggiungendo alcunché di sostanziale alla storia del paragone, valorizzano in una sintesi non scontata argomenti della danti-stica specie gelliana già noti, se non a questo punto usurati ;3 in particolare occorre rifarsi al commento di Gelli a Inf., xxi, -6 citato in relazione a Trissino. Borghini era il coordinatore esterno di quell’Accademia Fiorentina che aveva conferito a Gelli l’incarico ufficiale di leggere Dante : perciò è più che probabile che la dimestichezza di Borghini con l’esposizione dantesca di Gelli risalga a molti anni prima del 575, allorché Borghini provvede ad una recensione sistematica delle Letture gelliane.4 Bor-

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prende avvio da un appunto autografo di Borghini conservato alla Nazionale di Firenze : « Il Gello com-mentò Dante che non mi è più venuto alle mani se non questo anno 75 et l’ho messo insieme che è in 7 parti et va fino al 29 canto tutto et ci ho notato alcune cose et invero vi è del buono, ma pure vi può esserne alcuna cosa che si potrebbe dubitare et alcuna forse migliorare, io noterò […] luogo per luogo come mi verranno alle mani ».

Gelli discorre dei « moderni […] persuasi ch’ei non si possa far componimenti, se non secondo l’ordine che hanno tenuto ne’ loro i Greci » (commento a Inf., xxi, -6, in cd) ; Borghini respinge « questa opinione […] di alcuni, che credono, che chi fa altrimenti poema che secondo Omero, non faccia buon poema » (Vincenzio Borghini, A monsig. Antonio Altoviti, in Vincenzio Borghini dall’erudizione alla filolo-gia. Una raccolta di testi, a cura di Gino Belloni, Pescara, Libreria dell’Università editrice, 998, pp. 62-82, in particolare a p. 67).

2 La missiva ad Altoviti (col sospetto che « l’intera e perfetta opinione d’Aristotile di questa poesia non ci sia », e coll’ammissione d’aver visto la Poetica « più per passatempo che per proprio studio » : Vincenzio Borghini, A monsig. Antonio Altoviti, cit., pp. 70-7 e 8) va ancora affiancata alla lettura di Gelli di Inf., xxi, -6 (in cd) : « Aristotile nella sua Poetica, o per me’ dire in quella parte di quella che si truova oggi in essere […] ; poeti greci, de’ quali io non ho veduti (per non intender la lingua greca) se non quei pochi che ci son latini o vulgari, come io ho fatto ancor medesimamente delle cose di Aristotile ».

3 Vincenzio Borghini, A monsig. Antonio Altoviti, cit., p. 70 : « da questa generale e propria idea, o for-ma, o natura, che la vogliamo chiamare, di questa grande e magnifica poesia, credo io che e’ si potesse dar forma alle composizioni tutte di quella sorte, e che da questa non si discostasse il poema di Dante, e che sarebbe, se oggi ci fusse Aristotile, molto da lui commendato ».

4 Ezio Raimondi, Dalla natura alla regola, in Idem, Rinascimento inquieto, Palermo, U. Manfredi, 965, pp. 7-2 ; Carlo Dionisotti, Geografia e storia della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 967 ; Giancarlo Mazzacurati, Il Rinascimento dei moderni. La crisi culturale del xvi secolo e la negazione delle origini, Bolo-gna, Il Mulino, 985.

5 La similitudine dei «buoi che vanno a giogo» centra il merito di « proporre inanzi agli occhi e far quasi toccar con mano la cosa assomigliata » (Magl. ii-x-03, Bibl. Nazionale Centrale di Firenze, f. 26v, cit. da Erminia Ardissino, Appunti di critica dantesca, cit., p. 72) ; in più Dante – parafrasa ancora la Ar-dissino, art. cit., p. 73 – ha fatto « della dottrina poesia, così come anche Omero fu celebrato da Plutarco per il sapere messo in poesia ».

6 Magl. ii-x-03, f. 7v, cit. da Erminia Ardissino, Appunti di critica dantesca, cit., p. 78. Ripetiamo che per Trissino « profondissima memoria e […] ingegno acutissimo et elevato e […] natura quasi miracolo-sa » hanno salvato Dante dalla sua « età rozza et imbarbarita ».

7 Magl. ii-x-03, f. 60v, cit. da Erminia Ardissino, Appunti di critica dantesca, cit., p. 6. Giraldi Cinzio

ghini e Gelli condividono un’intelaiatura argomentativa che ancora non sa se fissare le regole a priori o derivarle dai modelli : perciò la contrarietà agli ellenisti che dedu-cono le regole generali della poesia dai Greci, da Omero in particolare, non esclude l’esame della Poetica aristotelica, per quanto mutila e malnota.2 Su questa strada Gelli e Borghini arrivano a rispondere all’interrogativo centrale della dantistica coeva : se Aristotele avesse conosciuto Dante, che giudizio ne avrebbe dato ? Secondo Gelli, o meglio secondo l’anonimo grecista da lui citato, Aristotele avrebbe fatto derivare le sue regole da Dante piuttosto che da Omero ; secondo Borghini, attestato sulla posi-zione di Lenzoni, Aristotele avrebbe lodato Dante perché conforme alle sue regole.3 La civiltà letteraria italiana del tardo Cinquecento è marcata dal frastagliato transito dalla natura alla regola, verso l’assestamento delle norme e la chiusura delle forme.4 Borghini e Gelli, d’accordo nel considerare Dante campione di scienza ed evidenza,5 lo valutano però Borghini più vicino alla regola, Gelli alla natura. Abbiamo visto pri-ma che a detta di Gelli Dante sa elaborare da solo le regole della poesia, e sollevarsi al di sopra dei suoi tempi, in virtù del « sapere suo naturale », della « bontà e acutezza dello ingegno suo ». Il quaderno magliabechiano di Borghini ribadisce che Dante, « creato poeta dalla natura », ha saputo superare i tempi suoi perché « aiutato da uno ingegno miracoloso »,6 ma non mette mai in discussione le regole di Aristotele : al massimo le ridimensiona, circoscrivendo – giraldianamente – la giurisdizione dello Stagirita ai generi di cui s’occupò in effetti.7 A riprova dell’indole riepilogativa piut-

43dante alter homerus nel rinascimento

è raffronto genericamente addotto da Giancarlo Mazzacurati, G. B. Gelli, cit., p. 66 ; però nel Giudizio d’una tragedia di Canace e Macareo, apparso, manoscritto e anonimo, forse nel 543, forse più tardi, e pub-blicato nel 550, Borghini poteva trovare sia l’attenuazione dell’esemplarità della Poetica, sia l’idea d’un Edipo re che interpreta al meglio le regole generali della poesia tragica, ma non esaurisce tutte le tragedie possibili. I luoghi paralleli sono la lettera ad Altoviti, op. cit., p. 69, e Giambattista Giraldi Cinzio, Scritti contro la Canace. Giudizio ed Epistola latina, pubblicati con Sperone Speroni, Canace e Scritti in sua difesa, a cura di Christina Roaf, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 982, pp. 28-29.

Mario Pozzi, Note sulla critica dantesca del Borghini, cit., p. 258.2 Vincenzio Borghini, Magl. ii-x-03, f. 7r, cit. da Erminia Ardissino, Appunti di critica dantesca, cit.,

p. 65 : « il modo potrebbe esser coperto, e quasi aliud agentis, come pigliar un discorsetto che contasse le virtù che sono nel poema di Dante, come alcuni hanno fatto di quel di Omero » ; da confrontare con Salviati, Orazione in lode della fiorentina favella, cit., pp. 339-340.

3 Vincenzio Borghini, A monsig. Antonio Altoviti, cit., pp. 74-75.4 Vincenzio Buonanni, Discorso sopra la prima cantica, cit., p. 5 : « Vinse Dante questa universal dif-

ficultà con la felicità del suo ingegno [non sfugga il cliché dell’ingegno dantesco], variando il piacere, et in diverse maniere, tutte nondimeno leggiadre, proponendolo : il che chiaramente si conosce atteso che non mai, se la medesima cosa propone, usa le medesime parole, né se la figura ci dipigne, adopera i medesimi colori […]. Et in questo più felice di Homero si può egli dire, perché da Homero le medesime cose et accidenti con le medesime parole quasi sempre sono trattate ».

5 Vincenzio Borghini, A monsig. Antonio Altoviti, cit., p. 79.6 Vincenzio Borghini, Comparazione fra Dante e Petrarca, in Studi sulla Divina Commedia, di Galileo

Galilei, Vincenzo Borghini ed altri ; pubblicati per cura ed opera di Ottavio Gigli, Firenze, Le Monnier, 855 (rist. anast. Firenze, Le Monnier, 2000), pp. 306-33 (in particolare p. 306) : « Io non vo’ disputar questo punto [la comparazione fra Dante e Petrarca delle Prose di Bembo], perché ho tenuto sempre e tengo ancora che fra cose tanto dissimili non si possa fare vera e reale comparazione ; e se comparazione ci cade, è, quale nel suo genere sia più perfetto » : all’unisono con Lionardo Salviati, Orazione in lode della fiorentina favella, cit., p. 339 : « io lo [Berni] stimo nel suo genere forse così perfetto, quanto il Petrarca è nel suo ». A proposito di Bembo, provano a mitigare il suo antidantismo sia l’Hercolano (« Bembo non so che faccia questa comparazione, so bene che poche volte biasimò Dante, che egli ancora nel medesimo tempo non lo lodasse » : op. cit., ii, p. 845), sia la lettera ad Altoviti (« questo non sarebbe forse da tacere, che quelli ancora che lo biasimano in alcuna cosa, come fu il Bembo, nondimeno onoratissimamente ancora quando bisogna lo chiamano grande e magnifico poeta » : op. cit., pp. 7-72).

tosto che innovativa della pagina borghiniana, scevra di « un pensiero del tutto con-sapevole della propria originalità », si tenga presente che la proposta borghiniana di esemplare la difesa di Dante contro Castravilla su quella di Omero ad opera di Plutar-co sembrerebbe rinnovare un risentito incitamento dell’Orazione di Salviati.2 Inoltre la lettera ad Altoviti dice che la Commedia sopravanza i poemi omerici e virgiliani in quanto « nuova […] varia […] vagamente formata » :3 « nuova » poiché Castravilla aveva insinuato che l’invenzione della Commedia scimmiottasse quella di Omero e Virgilio. Ora, solo un anno prima, nel ’72, un altro e meno eccelso Vincenzio, Vincenzio Buo-nanni, aveva asserito che Dante era superiore ad Omero per gli stessi motivi, ovvero per la sua novità e varietà.4

Dunque a giudizio di Borghini il paragone è possibile, ma non nei termini in cui è stato espresso da Castravilla, il quale, scrive Borghini ad Altoviti, « non pensò punto che poema era questo, e quale era il fine suo, e conseguentemente l’ufizio del poeta, e che altro è questo che l’ira d’Achille, o il viaggio d’Ulisse ».5 Un altro scritto di Bor-ghini, la Comparazione fra Dante e Petrarca, compie lo stesso percorso, negando dap-prima il paragone, poi ammettendolo, ma all’interno dello stesso genere letterario : al massimo si possono paragonare fra loro le canzoni di Dante con quelle di Petrarca, oppure la Commedia con i Trionfi. Così Borghini tanto s’avvicina all’Orazione di Salvia-ti e all’Ercolano di Varchi, che con accenti diversi avevano subordinato il paragone alla disciplina di genere, quanto s’allontana dalle Prose di Bembo, che equiparano Omero, Virgilio e Petrarca, e risolvono a favore di Petrarca il paragone tra lui e Dante.6 Via

44 davide colombo

Lo studio di Enzo Noè Girardi, Dante nel pensiero e nella poesia di Campanella, « Critica letteraria », xxx, 5-6, 2002, pp. 423-440, alle pp. 433-434 inserisce la critica campanelliana in una vena di pensiero che dal Rinascimento approda a T. S. Eliot : Campanella « non soltanto […] assumendo Dante nella stessa prospettiva di Gelli, Tomitano, Salviati e Borghini, gli conferma, in un senso pienamente cristiano, la qualifica boccaccesca e landiniana di “poeta-teologo”, ma anche […], riguadagnando a Dante l’affinità con i poeti pagani, fa di lui la pietra di paragone della stessa poesia degli antichi ».

2 Tommaso Campanella, Poëtica, in Idem, Tutte le opere, i, Scritti letterari, a cura di Luigi Firpo, Mila-no, Mondadori, 954, p. 998 : « Recte Plato Homerum de sua republica expellit : quanto magis de christia-na, quoniam mendacia et deorum improbitates magnificat ».

3 Ivi, pp. 028 e 092 : « Dantes videtur omnes excessisse, quoniam naturam secutus, non poëtas, et poëtas superavit […]. Aristoteles non satis intellexit quo pacto et Herodoti historia possit cani in forma poëtica : ipse enim non naturam, sed Homerum consulit in sua Poëtica ».

4 Ivi, p. 34 : « Vi è poi la Divina Commedia di Dante, il quale, uscito dalle regole communi, quanto più le trapassò, tanto più dimostrò che il divino spirito del poeta architettonico non si obliga a regole, da questo [o] da quel pedante descritte, né all’imitazione di quei poeti, che dal volgo sono apprezzati come gl’istruisce Aristotile ad imitazione di Omero, ma all’utile e al diletto ragionevole e all’imitazione della natura ».

5 Se Paolo e Francesca soffrono tra i dannati per aver letto « il libro di Lancellotto », quale destino at-tende – si chiede la Poetica di Campanella, op. cit., a p. 349 – i lettori di Omero e dei suoi amori scandalosi fra dei ?

6 Ivi, p. 68 : « plebecula et grammatici insulsi, qui vocabulis afficiuntur delicatis, non vere significan-tibus quod oportet, fastidiunt Dantem, qui, ut ante oculos ponat scientias et rerum veritates, ut personis variis exprimit vocibus tam vivis, ut res potius quam voces ipsae voces videantur ». La Poëtica latina di

via che il paragone fra Dante e Petrarca si sovrappone a quello fra Dante e Omero, Dante si staglia su Omero da una parte e su Petrarca dall’altra.

4. Ancora il primo caso : Campanella

Omero e Dante, Aristotele e la natura : sul finire del secolo la proporzione della danti-stica fiorentina ritrova l’ormai familiare declinazione nel pensiero di Tommaso Cam-panella, redivivo Platone che esilia l’aristotelico Omero dalla respublica cristiana, al centro della quale è saldamente insediato Dante.2 La differenza fra Dante e Omero è dovuta al fatto che Dante solo seppe imitare la natura fuori dalle regole, e quindi superò tutti i poeti regolati,3 compreso l’Omero ipostatizzato da Aristotele.4 Dante, capace d’innovare il linguaggio in virtù d’una superiore emancipazione rispetto alle norme, impersona l’arduo ideale di poeta filosofo e profeta, che dice solo parole di moralità, e che al massimo, differentemente da Omero, riproduce il male al fine di farlo odiare :

Ecco Moise, divinamente ammaestrato, che non tacette la istoria de’ Sodomiti per far venire a schifo il loro nefando vizio, nemicissimo alla generazione degli uomini ; all’incontro Omero, maestro de’ ciurmatori, introduce questo vizio esser più piaciuto a Giove ancora sopra tutti. Dunque tra’ poeti Dante si deve amare nella buona repubblica, per esser egli gran laudatore del bene e del male grande biasimatore (Poetica, cit., p. 328).

La sfasatura qui evidente rispetto alla dantistica fiorentina, che, da Villani in poi, col-lega il viaggio oltremondano di Omero, Virgilio e Dante ad un fine di elevamento morale, si spiega col fatto che Campanella aveva appreso a sue spese che i libri pos-sono far andare all’inferno :5 questo conta, l’utilità sociale della poesia, non se il poe-ma di Dante davvero sia una commedia secondo i precetti aristotelici. Il Campanella secentesco della Poëtica latina è oltre Castravilla, oltre il vaniloquio dei « grammatici insulsi » che avversano Dante senza intenderne la risorsa dell’evidentia, la capacità d’esprimere le parole in modo tale da metterle dinnanzi agli occhi e da farle sembrare cose.6

45dante alter homerus nel rinascimento

Campanella, op. cit., alle pp. 96 e 98, ribadisce che la lingua di Omero e di Dante riflette una sorta di koinè dei tempi loro : « Homerus Laconica, Attica, Dorica et Ionica lingua loquitur […]. Dantes mirifice cunctis Italiae linguis loquitur, vocabulis tamen ad Etruscam inflexis phrasim ». L’idea si riaffaccia in un pensie-ro dello Zibaldone leopardiano datato 9 di novembre del 82 : « Omero e Dante (massime Dante) fecero espressa professione di non volere restringere la lingua a veruna o città o provincia d’Italia, e per lingua cor-tigiana l’Alighieri, dichiarandosi di adottarla, intese una lingua altrettanto varia, quante erano le corti e le repubbliche e governi d’Italia in que’ tempi. Simile fu il caso d’Omero e della Grecia a’ suoi tempi e poi ».

Su Bulgarini dantista, oltre all’Enciclopedia dantesca, al Dizionario biografico degli italiani, alla storia della critica rinascimentale di Weinberg, si vedranno Baxter Hathaway, The Age of Criticism : The Late Renaissance in Italy, Ithaca-New York, Cornell University Press, 962, pp. 355-374 ; Aldo Vallone, Storia della critica dantesca dal xiv al xix secolo, i, Padova, Vallardi, 98, pp. 489-58 ; Marziano Guglielminet-ti, Un’idea di letteratura, in Storia della civiltà letteraria italiana, iii, diretta da Giorgio Bàrberi Squarotti, Torino, utet, 990, pp. 39-74 (in particolare pp. 48-53).

2 Bellisario Bulgarini, Antidiscorso. Ragioni di Bellisario Bulgarini sanese, l’Aperto accademico introna-to, in risposta al primo Discorso sopra Dante, scritto a penna, sotto finto nome di M. Speron Speroni, Siena, Bonetti, 66, p. 6. Ricorrono in questo testo le trite formulazioni contro la lingua di Dante come koinè (p. 64), la Commedia simile all’Odissea (p. 32), il paragone del Trattatello boccacciano (p. 69).

3 Bellisario Bulgarini, Risposte a’ Ragionamenti del sig. Ieronimo Zoppio intorno alla Commedia di Dante, Siena, Bonetti, 586, p. 92 : « perché alcuno, ingannato dalla fama et dal nome che s’era sparto di Dante, che egli anco nella poesia rimanesse superiore al maraviglioso Omero et al gran Virgilio, non si desse ad intendere di doverlo seguire et imitare in quelle cose nelle quali esso merita biasimo o non s’è procacciata sicura lode ».

4 Stefano Jossa, La “verità” della Commedia, cit., p. 224.5 Aristotele, Poetica, 46b, 35-37 ; Giovan Giorgio Trissino, La quinta e sesta divisione della poetica,

cit., p. 54.6 La redazione manoscritta del Libro de natura de amore di Mario Equicola, a cura di Laura Ricci, Roma,

Bulzoni, 999, p. 240. Equicola sottopone ad un fine morale la rappresentazione dantesca dell’aldilà : « Dante, il quale, in materni endecasyllabi, de’ vitii la pena, et de virtù il premio, poi la exacta vita, demonstare intende, con non meno ingenio (forsi, se non erro) che li antiqui » (p. 239). Dove, oltre al ritornello dell’ingegno, si potrà supporre che Equicola si sia giovato del luogo della Prefatio di Villani riprodotto a p. 25, n. , luogo preceduto dall’osservazione « Quos fuerit poeta imitatus, et de triplici vita : voluptuosa, activa et contemplativa » ; ed Equicola : « Dante, dunque, con doctissimo figmento, per la voluptuaria, activa et contemplativa vita discorre » (p. 24).

5. Secondo caso : Bulgarini

A Castravilla guarda invece un’altra retrospettiva secentesca, l’Antidiscorso di Bellisa-rio Bulgarini, che, uscito nel 66 in risposta a Speroni, per l’ultima volta reindividua nel paragone il momento genetico e condizionante d’una contesa sviluppatasi sotto l’egida aristotelica.2 Bulgarini stesso aveva rivelato d’esser sceso nell’agone perché Dante era stato erroneamente ritenuto superiore ad Omero, non per ragioni per-sonali.3 Non si tratta però del modulo retorico « amicus Plato, sed magis amica ve-ritas », è in gioco la verità della Commedia : i critici impegnati nel dibattito intendono cioè non « difendere o condannare il poema dantesco, quanto chiarire la natura della poesia e della critica ».4 Sotto certi aspetti la verità della Commedia dipende dalla con-sonanza con l’orizzonte d’attesa dei contemporanei : nella Poetica Aristotele stabilisce infatti che, se si critica un testo perché non espone cose vere, si può ribattere che quel testo è conforme all’opinione comune della gente. Trissino offre questa para-frasi : « alle opinioni degli uomini si riferiscono le cause dell’impossibile, quando i poeti dicono quello che le genti comunemente credeno, come è quello che disse Dante dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso ».5 Anche il Libro de natura de amore di Mario Equicola, dopo aver enumerato le rappresentazioni oltremondane di altri poeti, tra cui Omero e Virgilio, conclude che « Dante, observando il poetico decoro et theologica maiestà, non si parte dalla verità di christiani ».6 Da una premessa opposta

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Si rilegga la prima Lezione su Dante del 545 : « chi vorrà considerare senza passione, conoscerà che niuno poeta di niuna lingua in niuno tempo trattò mai materia niuna nè più alto nè più grave di questa, nè dove bisognasse maggior dottrina o ingegno più eccellente ; ed io per me senza punto dubitarne […], affermerei che l’Inferno che descrisse Omero insieme con quello di Vergilio sono a comparazione di quello di Dante, quali son le cose finte verso le vere » (Benedetto Varchi, Lezioni sul Dante, ii, in Idem, Opere, Trieste, Dalla Sezione Letterario-Artistica del Lloyd Austriaco, 859, pp. 284-439, anche in cd).

2 Bellisario Bulgarini, Alcune considerazioni […] sopra ’l Discorso di M. Giacopo Mazzoni, Siena, Bonetti, 583, pp. 54-55 : « si dice dal Mazzoni : facciasi paragone fra l’inferno d’Omero e di Virgilio e quel di Dante, se si vuol dagl’avversarii conoscer tosto l’error loro. A che, concedendosi per ora (salva sem-pre la verità) che Dante superi in questo Omero e Virgilio, si dirà che essi lo dipinser tale quale egli era imaginato dalle genti di quei tempi, onde ne meritorno non piccola lode : là dove Dante non lo descrive tale quale egli è creduto da’ Cristiani, e però potrebbe facilmente meritarne biasimo. Né in ciò s’ha da far la considerazione in rispetto della descrizzion sua alla loro ; ma sì bene in rispetto di quel ch’egli è in verità, ed è tenuto esser da noi Cristiani, alli quali da Dante si poetava ».

3 Ennio, tramite ad Omero nell’Africa di Petrarca e nelle Prose di Bembo, ascolta rapito il poeta greco nel Parnaso di Raffaello.

4 Bellisario Bulgarini, Repliche alle risposte del sig. Orazio Capponi sopra le prime cinque particelle delle sue Considerazioni, Siena, Bonetti, 585, p. 67 : « l’autorità d’Omero solo in contrario, sarà bastante per contraporsi a tutte l’autorità di qualsivoglia altro, e di molti insieme ».

5 Questo il contesto completo della citazione : « non si afferma da noi che ’l poeta non possa parlare ancor di sé stesso in persona propria, ma sì bene che quanto meno egli parla in sua persona, più imita, e per conseguenza è maggiormente poeta, e più degno di lode. La medesima oppinione è d’Aristotele, però da lui si celebra sopra tutti gli altri poeti Omero, il quale si guardò parlare in persona propria quan-to possibile era » (Bellisario Bulgarini, Risposte a’ Ragionamenti del sig. Ieronimo Zoppio, cit., p. 59).

6 Tali motivi di superiorità omerica erano già stati numerati dalla Poetica d’Aristotele di Castelvetro, esplicitamente nominato da Bellisario Bulgarini, Repliche alle risposte del sig. Orazio Capponi, cit., pp. 24-25 : « si dice con ragion da Aristotile […] che Empedocle, ancorché egli scrivesse in versi della filo-sofia, non ha nulla in comune con Omero altro che ’l verso […] ; M. Lodovico Castelvetro e Monsig. Alessandro Piccolomini, nelle loro sposizioni di quella particella […] ne cavano il medesimo precetto, riprendendo Dante e Lucano, che habbiano a esso contrafatto. Non si scuserà in ciò Dante come poeta, col dire che, trattone dalla sua opera alcuno episodio, può esser da molti del popolo intesa, e molto più che non era per aventura inteso Empedocle dal popol greco, e Lucrezio dal romano ».

7 Bellisario Bulgarini, Risposte a’ Ragionamenti del sig. Ieronimo Zoppio, cit., p. 92 : « io mi stimava

Benedetto Varchi approda ad un’opposta conclusione : proprio perché nessuno prima di Dante ha rappresentato l’aldilà alla sua altezza, si può dire che l’oltretomba ome-rico e virgiliano siano rispetto a quello dantesco come una cosa finta comparata ad una vera. Di contro a detta di Bulgarini la Commedia è meno vera dei poemi omerici e dell’Eneide, giacché Dante non « descrive » l’inferno « tale quale egli è creduto da’ cristiani »,2 e dunque tradisce il loro orizzonte d’attesa. Però Dante è manchevole sia quando trascende i suoi tempi, sia quando vi si adegua : un marcato primitivismo di stile lo apparenta ad Ennio,3 con l’avvertenza che

se egli [Ennio] fu chiamato tra i Latini alter Homerus (benché par che Orazio se ne beffi [Ep. ii, 50]), devè questo avvenire ne’ suoi tempi, prima che fusse conosciuta la perfezzion dell’arte, o vero per altro che per l’elocuzione (Risposte… a Zoppio, cit., p. 82).

Date queste premesse si può capire come il nome di Omero valga ormai da semplice reagente, da termine di paragone puramente strumentale, incapace di scalfire la ras-sicurante prevedibilità della blindatura aristotelica del pensiero. Dunque, da un lato Omero è autorità assoluta,4 in quanto gode d’un’investitura concessagli da Aristotele per il fatto ch’egli « si guardò parlare in persona propria quanto possibile era » :5 per que-sto Omero è meglio di Dante, perché non parla in persona propria, e quindi non inter-viene come personaggio, e poi perché non mischia indebitamente poesia e filosofia.6 Dall’altro lato, però, l’Omero non certificato dal « maestro di color che sanno » perde autorità,7 tanto da non potersi nemmeno proporre per il paragone con Dante :

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che a tor via l’autorità d’Aristotele vi bisognasse altro che l’essempio di quei poeti de’ Gentili, siano pur quanto si voglia appregiati e di nome ».

Ivi, pp. 98-99. Nella coscienza critica rinascimentale era diffusa la sanzione delle indecorose simi-litudini omeriche, dall’Arte poetica di Vida (a cura di Raffaele Girardi, Bari, Adriatica, 982, p. 36 : « nec Turnus asellum, / Turnus avis atavisque potens, dignabitur heros. / Aptius hanc speciem referet leo »), a quella di Muzio (in Trattati di poetica, ii, cit., p. 205 : « il grande Omero, / Ch’avendo scritto come ’l forte Aiace / Quasi fero leon superbamente / Si ritirasse da l’arme nemiche, / V’aggiunse poi l’esempio vergognoso / De l’asino cacciato dai bastoni, / Senza ’l qual meglio stava il suo poema »), sino a Ber-nardino Tomitano (La lingua toscana. Quarto libro, a cura di Marcello Verdenelli, Urbino, Argalia, 984, pp. 46-47 : « Volendo lodare col mezzo di questo ornamento, pigliar si dee lo simile da cose maggiori, o migliori, e da’ loro contrarij la ragione di biasimare. Così vedremmo Omero paragonar Achille ad un leone affamato, entrando nella battaglia, e non a l’asino, qualora, ugualmente digiuno, corre al prato per pascer l’erbe »). La ricezione d’Omero nel Cinquecento è segnata dalla dicotomia tra il mito del ‘poeta sovrano’ e la prassi critica che lo esclude dal novero degli exempla, a maggior ragione dopo il fallimento trissiniano : cfr. Silvia D’Amico, Omero nello specchio degli Arts poétiques. Frammenti di ricezione tra Francia e Italia, in Riflessioni teoriche e trattati di poetica tra Francia e Italia nel Cinquecento, a cura di Elio Mosele, Fasano, Schena, 999, pp. 69-82.

2 Bellisario Bulgarini, Alcune considerazioni, cit., p. 89.3 Giancarlo Mazzacurati, Dai balli nel sole al bucato di Nausica : l’eclissi dei linguaggi “naturali”, in

Idem, Il Rinascimento dei moderni. La crisi culturale del xvi secolo e la negazione delle origini, cit., 985, pp. 297-322 (in particolare pp. 33-35). Spetta a Mazzacurati il rinvio al passaggio di Giraldi, che ora si legge nei Discorsi intorno al comporre, cit., p. 42. Sotto il presidio d’un’idea più tradizionale di decoro, la disa-mina gelliana delle « fiche » di Vanni Fucci a Dio è consentanea alla dilatazione dantesca delle necessità mimetiche.

le quali cose, oltre all’essere Omero poeta pagano, né aver preso a cantar principalmente sog-getto religioso, lo renderebbono in parte scusato, quanto in ciò avesse commesso alcuno erro-re, per conto del mal costume che si fosse potuto prendere in quei tali introdotti da lui. Posti dunque da banda gli essempi al caso nostro non simiglianti si devevano addurre le ragioni, se però vi si trovavano in contrario (Risposte a’ Ragionamenti del sig. Ieronimo Zoppio, cit., p. 24).

Qui l’errore di Omero è ancora presunto. Altro è il tono delle pagine in risposta all’argomentazione di Lenzoni, rimessa in circolo dai partigiani di Dante, per cui lo stesso Omero si sarebbe servito di comparazioni in apparenza indecorose. A chi gli faceva notare che, come Dante aveva usato la similitudine dei « buoi che vanno a giogo », così Omero aveva comparato Aiace ad un asino e perciò era stato lodato nel De Homero, Bulgarini ribatteva che la lode del De Homero non gli risultava, che comunque quell’opera era puramente apologetica e quindi poco attendibile, e che infatti non sempre gli « intendenti » la approvavano. « Volersi scusare con gli error d’altri », tali da giustificare l’apoftegma oraziano « quandoquidem bonus dormitat Homerus », sarebbe in breve « un secondo errore ».2 Omero viene coinvolto nel rias-setto tardocinquecentesco della nozione di decoro, che implica la quarantena dei linguaggi naturali, esclusi dallo spazio del dicibile : allo stesso modo il Discorso dei romanzi di Giovan Battista Giraldi Cinzio (554) s’appella a quel nuovo criterio di decoro sia per giudicare Petrarca superiore a Dante sia per reputare sconveniente l’episodio omerico del bucato di Nausicaa.3

6. Terzo caso : Mazzoni

Resta il fatto che Bulgarini riduce il confronto Dante-Omero a giustapposizione priva d’una valenza euristica stabilmente convenuta, e lo fa rifluire nel grande alveo della presunta inadempienza di Dante rispetto ai protocolli dello Stagirita :

Bastaci che Dante non sia legittimo poeta a dimostrar che non sia stato ben difeso per le

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Due trattati che però si sdoppiano. Il Discorso in difesa della Commedia esce nel 572 collo pseudoni-mo di Donato Rofia, nel 573 col vero nome dell’autore ; la Difesa della Commedia di Dante s’articola in due parti, la prima uscita nel 587, la seconda e postuma nel 688. Il primo Discorso è stato pubblicato nel 898 (Discorso di Giacopo Mazzoni in difesa della Commedia del divino poeta Dante, a cura di Mario Rossi, Città di Castello, Lapi, 898) e tradotto in inglese nel 988 da Francesca Romana Gleason ; la seconda Difesa ha goduto d’una certa fortuna editoriale negli anni ottanta del secolo scorso, senza però andar oltre a scelte antologiche parziali. Propedeutico all’instituenda edizione critica è l’articolo di Claudio Gigante, Per un’edizione critica della Difesa della Commedia di Dante di Jacopo Mazzoni, « Rivista di studi danteschi », i, , 200, pp. 75-90, ristampato in Idem, Esperienze di filologia cinquecentesca : Salviati, Mazzoni, Trissino, Costo, il Bargeo, Tasso, Roma, Salerno, 2003, pp. 26-45.

2 Cfr. in proiezione secentesca Il farnetico savio, overo il Tasso. Dialogo del sig. Alessandro Guarini, Fer-rara, per Vittorio Baldini, 60, p. 2 : « tutto ciò che il Casa, e dopo il Casa, il gran padre Bembo […], scrissero contro a Dante, tutto fu scritto ben molto al proposito loro, ma con pace di cotanti huomini, non molto ben applicato al poema di Dante, percioché la nobiltà et la grandezza di lui nasce principalmente dall’essersi sottrato con nuova sorte di poesia alla catena di certe regole ed alla strettezza d’alcune leggi, tra le quali, se contenuto e’ si fosse, già non sarebb’egli (come è) riverito ed amirato quasi miracolo tra toscani poeti ». Ha lumeggiato gl’intrecci in controcampo tra le controversie su Dante e quelle su Tasso Umber-to Cosmo, Le polemiche letterarie, la Crusca e Dante sullo scorcio del Cinque e durante il Seicento, in Idem, Con Dante attraverso il Seicento, nuova ed. a cura di Bruno Maier, Firenze, La nuova Italia, 973, pp. -75.

3 Iacopo Mazzoni, Della difesa della Comedia di Dante distinta in sette libri […], Parte prima, Cesena, Bartolomeo Raverij, 587, p. 262 : « Platone et Aristotele favellano della forma e della essenza della come-dia ch’era in uso al suo tempo ».

4 Ivi, p. 586 : « Quanto all’autorità d’Aristotele allegata dal Bulgarini, dico primieramente ch’Aristotele non ha favellato pienamente di tutte le cose pertenenti all’arte poetica, e ci potiamo chiarir di questo facilmente, qualhora leggiamo le bellissime Decadi del Patrizio, nelle quali può ciascuno agevolmente avedersi quanto sia imperfetto il libretto della Poetica d’Aristotele. E però non si può, per mio giudicio, formare questa conseguenza : Aristotele non ha favellato di questa cosa nella sua Poetica, adunque ella non può essere usata leggitimamente da’ poeti ».

5 Ivi, pp. 239-240 ; Vincenzio Borghini, A monsig. Antonio Altoviti, cit., pp. 66-67 : « Quel che si tocca, che quantunque colui [Castravilla] ottenesse quel che e’ dice, non però proverebbe più che questo poe-ma non fusse secondo Aristotile, mi pare bellissimo punto ».

regole dateci da Aristotele nella Poetica, le quali si vanno insegnando da lui per formare il poeta legittimo, e con quelle prometteva il Mazzoni dover difendere Dante, né poteva far altrimenti, volendolo mantener superiore ad Omero, a Virgilio, et ad ogn’altro buon poeta, con preservargli ’l nome non solo di divino, ma di divinissimo ancora (Bulgarini, Risposte a’ Ragionamenti del sig. Ieronimo Zoppio, cit., p. 5).

I due trattati che Giacomo Mazzoni ha consacrato alla Commedia ricusano il Dante eslege di Gelli, Speroni e Campanella2 in forza del presupposto che esiste una legge della poesia, che questa è aristotelica, e che essa, per quanto legata a modelli storici, non assoluti,3 ed affidata al testo mutilo della Poetica, non è limitata ai soli generi di cui ha effettivamente parlato quel testo.4 Inoltre quello che per Borghini era un raggiungimento del tutto mar-ginale diventa per Mazzoni « una cosa importantissima », « la somma della nostra Difesa » : « basti a noi di provar solamente che non si trovi nel libro della Poetica d’Aristotele cosa che ripugni alla Comedia di Dante »,5 in piena antitesi, segnata dal « basta » comune, col luogo appena citato delle Risposte a Zoppio di Bulgarini. Questi pensava che Mazzoni po-tesse acclarare la preminenza di Dante su Omero solo grazie ad Aristotele : a dire il vero nel primo trattato di Mazzoni l’usuale declinazione del topos di Dante alter Homerus, con richiamo di prammatica allo pseudo-Plutarco, trova alimento in un più preciso ipotesto, nei Quattro libri della lingua thoscana di Bernardino Tomitano, in particolare nel secondo libro, teso a mostrare la necessità della filosofia al buon poeta :

Percioché venendo agli poeti toscani, chi potrà mai con ragione repugnare che in Dante non sia un oceano di dottrine, Theologia, Philosophia, Astrologia, Cosmographia, et altre sì fatte cose, per lo cui aiuto quelle cose cantò, che alli tre stati de l’anime s’appartengono, con tanta altezza et profondità d’ingegno, con quanta né greco, né latino, poetando, hebbe mai forza o poter di cantare ?

49dante alter homerus nel rinascimento

Bernardino Tomitano, Quattro libri della lingua thoscana, Padova, Olmo, 570 (nel colophon Pa-dova, Pasquati, 569), pp. 75r-75v. L’ultimo intervento su Tomitano, dal titolo Bernardino Tomitano e i Quattro Libri della lingua toscana, a firma di Michele Colombo, risale al convegno petrarchesco del 2004 Cultura volgare e cultura classica tra Feltre e Belluno nei secoli xiv-xvi.

2 Non sarà del tutto casuale che nell’orazione in morte di Mazzoni recitata all’Accademia della Cru-sca si legga che « egli, a guisa di real fiume, trascorrendo per l’ampie campagne delle sapienza, andava raccogliendo tutti i più vivi ruscelli delle scienze, per adunarle insieme nell’immenso oceano del suo divino intelletto ». L’orazione, di Pier Segni, è riportata nella Difesa del 688, prima del testo vero e pro-prio : la cit. a p. lviii.

3 Promessa avanzata nelle Annotazioni al Decameron secondo Gino Belloni, Vincenzio Borghini dal-l’erudizione alla filologia…, cit., p. xlvi.

4 Nel Proemio all’opera del 587 Mazzoni precisa : « molte cose mi spingevano a questa Difesa : ma spe-cialmente l’essermi stato fatto intendere da molti gentilhuomini fiorentini, e fra gli altri dal dottissimo et eloquentissimo cavaliere Lionardo Salviati, ch’essi non haveano voluto metter mano alla difesa di Dante […] solo per mia cagione ». Inedito era il commento aristotelico di Salviati, intervenuto nella polemica su Castravilla « sforzandosi di dimostrare la congruenza della struttura della Commedia con gli assunti della Poetica » : cfr. Claudio Gigante, Esperienze di filologia cinquecentesca, cit., p. 7.

5 Commento di Giovan Battista Gelli a Inf., xviii, 06-4 (in cd).6 La rotta è segnata da Claudio Scarpati (Icastico e fantastico. Iacopo Mazzoni tra Tasso e Marino, in Idem,

Dire la verità al principe, Milano, Vita e pensiero, 987, pp. 23-269), il quale ha provato l’importanza per Mazzoni, attraverso Proclo, della distinzione platonica fra imitazione icastica, che rappresenta le cose come sono, e imitazione fantastica, che rappresenta l’« idolo » concepito dalla fantasia : Mazzoni intende

Chi negherà […] che nel Petrarca non si veggano infiniti secreti delle dottrine, qua et là sparsi per le sue rime, quasi stelle per la serenità del cielo […] ?

E se Plutarcho riputò il poema d’Omero degno studio di filosofo, perché vi si vedono infiniti secreti delle dottrine qua e là per li suoi versi sparsi, quasi stelle per la serenità del cielo ; quanto maggior studio dovemo noi porre nel poema di Dante, il quale chi potrà mai, con ragione, negare che sia un oceano,2 non solamente di tutte le scienze e di tutte l’arti ; ma ancora di tutte le varie oppenio-ni de’ principali filosofi, per lo cui aiuto, quelle cose cantò ch’alli tre stati dell’anima s’appartengono, con tanta altezza e profondità d’ingegno, con quanta né Greco, né Latino hebbe mai forza, poetando, di cantare ? (Mazzoni, Discorso di Giacopo Mazzoni in difesa della Commedia, a cura di Mario Rossi, cit., p. 4).

Il riscontro, confortato da coincidenze lessicali inoppugnabili, induce a discutere del sen-so del paragone nel quadro dell’enciclopedismo di Mazzoni. Mentre il suo primo tratta-to è una striminzita replica a Castravilla, il secondo porta al massimo grado, al giganti-smo di un’opera ambiziosa, la struttura cumulativa e digressiva del commentario, tanto che a noi che siamo incapaci di legger Dante con lenti tarate sul Cinquecento Mazzoni sembra a tutta prima aprire troppo gli occhi, e quindi vedere meno. In aiuto di Dante il secondo trattato aduna infatti un’araldica letteraria estesa a tutta la tradizione occiden-tale, e quindi anche ad Omero, che così funge da filo fatto passare attraverso temi diver-si, però non più rilevante dei molti, moltissimi altri scrittori citati insieme a lui. Il senso del paragone nella Difesa si comprende ancora in rapporto a Borghini. Mentre questi non aveva mantenuto la promessa di scrivere un’operetta pro Dante contro Castravilla,3 Mazzoni, che intendeva accreditarsi quale interprete ufficiale della dantistica fiorentina combattendo con armi prese a prestito dalla città di Dante,4 compie perciò una precisa scelta di campo tutte le volte che ripresenta il paragone con Omero in quanto modulo distintivo del mito di Dante a Firenze nel Rinascimento. La prima occorrenza del pa-ragone, tessera spersa nel mosaico molto più ampio dell’Introduzione e Sommario della Difesa, riguarda la virtù dell’evidentia, che Trissino aveva riconosciuto ad Omero e Gelli e Campanella a Dante. S’è visto che secondo Gelli Dante vanta la stessa qualità dell’Ome-ro di Trissino, ossia « non si cura […] usar talvolta comparazioni e parole bassissime » per far vedere la cosa di fronte agli occhi del lettore ;5 anche in Mazzoni la descrizione minu-ta diventa una tecnica letteraria cosciente, condivisa da Omero e Dante, che permette di far rientrare nello spazio del dicibile le « cose vilissime e bassissime ».6

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dimostrare che quella di Dante è un’imitazione fantastica, e che quindi il suo poema sfugge alla catego-ria di verisimile.

Vincenzio Borghini, A monsig. Antonio Altoviti, cit., p. 7 ; Aristotele, Etica Nicomachea, x, 2, 72b 36. Su quest’aspetto già s’era pronunciato Mario Pozzi, Note sulla critica dantesca del Borghini, cit., p. 263.

2 Vincenzio Borghini ai Giunti, in Lettere del Cinquecento…, cit., p. 597.3 Per la filologia dantesca paragonare Dante ad Omero – come per la filologia classica Virgilio ad

Omero – dà accesso ad una sorta di accidentato percorso di autocoscienza e affinamento. Nel saggio Dante als Dichter der irdischen Welt (929) Erich Auerbach reputa Dante vero erede della tradizione greca, e ripensa alla consunta antinomia fra il primitivo Omero e il costruito Virgilio, antinomia primamen-te superata, aggiungiamo noi, dalla Virgils epische Technik (903) di Richard Heinze. Cfr. Gian Biagio Conte, Defensor Vergilii : la tecnica epica dell’Eneide secondo Richard Heinze, in Idem, Virgilio. L’epica del sentimento, Torino, Einaudi, 2002, pp. 25-37.

4 Marc Fumaroli, Le api e i ragni : la disputa degli antichi e dei moderni, Milano, Adelphi, 2005 ; Idem, Sur Homère en France au xviie siècle, « Revue d’Histoire Littéraire de la France », lxxiii, 4, 973, pp. 643-656.

5 Bruno A. Arcudi, Some Seicento Doubts about Homer, « Forum Italicum », vii, 973, pp. 63-76.6 Paolo Beni, Comparatione di Homero, Virgilio e Torquato. Et a chi di loro si debba la palma nell’heroico

poema. Del quale si vanno anco riconoscendo i precetti : con dar largo conto de’ poeti heroici, tanto greci, quanto latini e italiani. Et in particolare si fa giuditio dell’Ariosto, Padova, appresso Lorenzo Pasquati, 607. Cfr. Giulia Dell’Aquila, Un episodio di antidantismo tra fine ’500 e primo ’600 : Dante « sconcio e senza giuditio » di Paolo Beni, « La nuova ricerca », ix-x, 200-2002, pp. 99-25.

7 Anche Vico avrà spinto Leopardi a ripetere quasi all’infinito il paragone Dante-Omero, nella produ-zione critica (cfr. ad es. pp. 3-32 n. 6 e pp. 44-45 n. 6) più che nei testi poetici (Sopra il monumento di Dante : « colui per lo cui verso / Il meonio cantor non è più solo »). Sulla base dei materiali raccolti e spiegati da Paolo Paolini, Leopardi di fronte a Dante, « Otto/Novecento », xxii, -2, 998, pp. 39-7, si ha l’impressione che il profilo che di Dante Leopardi tratteggia rispetto ad Omero – quello d’un poeta revocator ab Orco delle lettere, miracolo premiato dalla natura, campione d’evidentia e di mescidazioni linguistiche – per questi aspetti affondi le sue radici nel quadro di riferimenti che il presente contributo ha cercato di chiarire.

7. Conclusioni e prospettive

Dal punto di vista dialettico le basi logiche della contesa sono demandate al principio di autorità. Il confronto fra Dante e Omero è risolto in un senso o nell’altro non tanto perché intervengano articolate motivazioni, quanto perché così ha voluto qualcuno, i ‘grecisti’ di Gelli e Salviati, i sugheri di Varchi, o, caso decisivo almeno da Lenzoni e Trissino in poi, Aristotele. Borghini s’arrende all’universale accettazione dell’au-torità, e preferisce credere piuttosto che giudicare : la lettera ad Altoviti legittima la mancata disamina critica della dottrina aristotelica con una massima dell’Etica Nico-machea, cioè che « molto può un’opinione che abbia già preso piede, qualunque ella si sia » : perciò il priore benedettino si rifiuta d’ammettere la supremazia di Dante, perché Omero « è lodato per sommo poeta dalla voce comune ».2 L’abito mentale del confronto produce gerarchie carenti di razionalità ogni volta che trasforma il giudi-zio estetico in criterio esegetico. Razionale può però essere il tentativo di ricostruire il senso d’un percorso, umanistico e fiorentino, di ricezione militante della Commedia. Chi preferisce Dante ad Omero vuol far diventare la Commedia, per certi versi lontana e inaccessibile, contemporanea del Rinascimento, e perciò si chiede in base a quali criteri si possa fondare, tra le pieghe del principio di autorità, la prorompente carica semantica di un’opera che proprio il Rinascimento prende a chiamare ‘divina’, la sua vitalità che permane e si tramanda.3 La dinamica di innovazione e conservazione è solo in parte riconducibile alla cosiddetta disputa degli antichi e dei moderni tra fine Cinquecento e inizio Seicento,4 allorché Tassoni reclama « ingegno sopraumano » per eguagliare Omero e Virgilio,5 e a loro Beni paragona Tasso.6 La civiltà umanistico-rinascimentale finisce per seppellire sé stessa, ma dalle sue ceneri, per merito del paragone omerico rimesso in circolo da Vico, rinasce la moderna dantistica.7

composto, in carattere dante monotype,impresso e rilegato in italia dallaaccademia editoriale®, pisa · roma

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Dicembre 2007

(cz2/fg13)