UNO SCAMBIO EPISTOLARE FRA MARIO SCHEPANI E GIOVANNI BATTISTA RAIMONDI Lo studio della lingua...

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EGITTO E VICINO ORIENTE XXXVI 2013 ESTRATTO

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EGITTOE

VICINO ORIENTE

XXXVI2013

ESTRATTO

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EVO XXXVI (2013)

UNO SCAMBIO EPISTOLARE FRA MARIO SCHEPANI E GIOVANNI BATTISTA RAIMONDI1

LO STUDIO DELLA LINGUA ARABA NEL TARDO RINASCIMENTO, INTERESSE SCIENTIFICO E CURIOSITà

Margherita Farina

Il 4 febbraio 1611 il medico napoletano Mario Schepani scrisse una lettera all’ormai anzia-no orientalista e matematico Giovanni Battista Raimondi, che viveva a Roma. Questa lettera, fino ad oggi inedita2, è conservata presso l’Archivio di Stato di Firenze3 insieme a due bozze della risposta di Raimondi, datate 26 aprile dello stesso anno. In questo contributo presentia-mo la trascrizione completa dei tre documenti, accompagnata da alcune osservazioni.

Mario Schepani (o Schipani, o Schipano) apparteneva alla nobiltà calabrese e viveva a Napoli, dove si dedicava alla medicina e alle scienze naturali. Di lui si hanno poche notizie4, ed è conosciuto soprattutto come destinatario delle lettere inviategli da Pietro Della Valle5 nel corso delle sue peregrinazioni in Oriente. Queste al suo ritorno furono raccolte e pubblicate nel 1630 con il titolo di Viaggi di Pietro Della Valle il Pellegrino, con un minuto ragguaglio di tutte le cose notabili osservate in essi, descritti da lui medesimo in 56 lettere familiari, da diversi luoghi della intrapresa peregrinazione mandate in Napoli all’erudito e fra’ più cari, di molti anni suo amico Mario Schipano, divisi in tre parti, cioè la Turchia, la Persia e l’In-dia, le quali avran per aggiunta, se Dio gli darà vita, la quarta parte, che conterrà le figure di molte cose memorabili sparse per tutta l’opera e la loro esplicatione. Schepani, che si interessava alle lingue e alle culture orientali, era stato promotore e sostenitore del viaggio di Della Valle, al quale aveva commissionato anche l’acquisto di manoscritti e la ricerca di erbe medicinali (semplici). I libri spediti nel corso del tempo da Della Valle consentirono infatti a Schepani di costituire una nutrita biblioteca di testi orientali6. Giovanni Battista Raimondi7, di origini cremonesi, fu il direttore di una delle prime tipografie di lingue orientali d’Italia

2  La prima menzione di questo scambio si trova in SiraiSi 1987: 149-150, 153, che ne dà un breve ma efficace riassunto. Siraisi purtroppo non riconosce la figura di Schepani (che trascrive “Sclepani”). Brani delle lettere sono stati inoltre riportati e commentati in Farina (in stampa). 3  ASFi Miscellanea Medicea 721, ff. 327r-332v. 4  Si vedano le poche note in Bianconi 1942: xvii, n. 1 e l’interessante ricostruzione del circolo intellet-tuale napoletano di cui Schipani faceva parte in Ben-Zaken 2009. 5  alMagià 1951, PieMonteSe 1982, la Via e Micocci 1989, gurney 1994. 6  Cfr. Bianconi 1942, xvii, n. 1. 7  Su questo personaggio e sul suo legame con la Tipografia Medicea si vedano Saltini 1860, koro-leVSkij 1924, leVi Della ViDa 1939, PieMonteSe 1979, joneS 1981, 1994, tinto 1987, caSari 2010, BorBone 2012, Fani 2012, Farina 2012.

1  Questo lavoro è stato realizzato nell’ambito del progetto PRIN 2010-2011 Rappresentazioni linguisti-che dell’identità. Modelli sociolinguistici e linguistica storica (protocollo 2010HXPFF2).

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e d’Europa, la Tipografia Medicea, fondata a Roma nel 1584 dal cardinale Ferdinando de’ Medici (dal 1587 Ferdinando I Granduca di Toscana). Raimondi conosceva bene numerose lingue8, tra le quali l’arabo, il persiano, il turco, il siriaco, l’ebraico, il copto. Nel corso della sua carriera di studioso aveva scritto e pubblicato grammatiche di arabo e persiano e teneva dei corsi di arabo a Roma. All’epoca dello scambio epistolare con Schepani, Raimondi era curatore e amministratore della tipografia che, dopo alterne vicende, era tornata di proprietà granducale nel 16109. Fin dai suoi esordi, infatti, la Tipografia aveva sofferto notevoli diffi-coltà economiche, poiché i ricavi delle vendite non erano mai stati sufficienti a compensare le spese. Il mancato guadagno e la lentezza nella pubblicazione dei volumi avevano spinto il Granduca Ferdinando a cedere la tipografia a credito a Raimondi, nel 1596. Quest’ultimo tut-tavia non solo non era riuscito a guadagnare abbastanza da corrispondere il dovuto al Gran-duca, ma aveva finito con l’indebitarsi pur di mantenere in piedi l’impresa alla quale aveva dedicato buona parte della sua vita. Il successore di Ferdinando, Cosimo II, nel 1610 accettò di annullare il contratto stipulato con Raimondi, rientrando in possesso di tutti i materiali della tipografia, che lasciava però in gestione all’orientalista fino alla sua morte10.

Come matematico e orientalista Raimondi era conosciuto e stimato dagli intellettuali suoi contemporanei, e Schepani, pur non conoscendolo di persona, si rivolse a lui su suggerimento del botanico Fabio Colonna11. Questi aveva elogiato pubblicamente la grande cultura di Rai-mondi, insieme alla sua ricchissima biblioteca, in un passo della sua Ekphrasis12.

Schepani scrisse a Raimondi ponendogli due questioni, la prima sull’apprendimento dell’arabo, al quale egli intendeva dedicarsi, e la seconda a proposito dell’identificazione di una pianta medicinale menzionata nel Canone della medicina di Avicenna.

Nella prima parte della lettera il medico napoletano esponeva le ragioni del proprio inte-resse per la lingua araba, strettamente legato alla pratica della medicina. Egli lodava inoltre l’attività di Raimondi («chi con la varietà delle scienze ha congionto anco la varietà delle lingue»), che contribuiva alla diffusione della conoscenza delle lingue e dei testi orientali, in continuità con lo spirito umanistico che, nel secolo precedente, aveva accompagnato lo studio delle lettere greche e la riscoperta dei “classici”. Schepani auspicava quindi l’avvento di nuove traduzioni, ad opera di «qualche spirito desideroso di giovare il comune», che con-sentissero una reale comprensione di opere fondamentali come il Canone.

La condivisione della prospettiva umanistica sul sapere accomunava vari aspetti delle at-tività di Raimondi e Schepani. Uno dei più importanti era certamente la raccolta di mano-

8  Cfr. PieMonteSe 2010. 9  Cfr. Fani 2012. 10  SiraiSi 1987 ha visto un’eco di queste vicende proprio in un passo della lettera di Raimondi a Sche-pani, laddove descrive la propria dedizione allo studio delle lingue orientali: «lei et tutti gli altri, che vor-ranno impiegarsi à questo studio della lingua Araba, haveranno in ciò molti aiuti che non havemo havuto noi, che in apprenderla havemo speso tutta l’età nostra et quella parte che ci resta per quanta ella sarà, havemo determinato spenderla tutta in introdurla fra Latini, si come molto tempo è havemo cominciato, havendo lassato ogn’altro piu dilettevole et piu profittevole studio» (abbiamo scelto per maggior chiarezza la versione riportata nella prima bozza ai ff. 329r-v, cfr. infra). 11  V. infra f. 328r. Su Fabio Colonna v. De Ferrari 1982 e sulle sue opere SiraiSi 1993. 12  Fabii Columnae Lyncei minus cognitarum rariorumque nostro coelo orientium stirpium Ekphrasis (Romae, Apud Jacobum Mascardum: 1616), la notizia è tratta da PieMonteSe 1993: 438.

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scritti, che nel caso di Raimondi, oltre che alla sua curiosità di studioso, rispondeva anche alle esigenze della tipografia da lui diretta. Modelli manoscritti erano infatti indispensabili sia per la ricostruzione filologica del testo che si intendeva stampare, sia per la realizzazione dei punzoni per i caratteri orientali13. L’acquisto di testi orientali era stato quindi finanziato dal cardinale Ferdinando, che a tale scopo aveva inviato a più riprese in Oriente alcuni mercanti con precise istruzioni redatte da Raimondi. Da queste istruzioni emerge come i testi ricercati fossero principalmente grammatiche e lessici delle lingue orientali, insieme a traduzioni in arabo (o talvolta persiano) di opere greche e latine perdute all’Occidente, con le quali si spe-rava di completare la ricomposizione del sapere antico avviata dagli umanisti:

Et per che si crede che in Persia sia copia grandissima di autori greci, et nelle scienze, et nelle istorie de quali appresso di noi, ò è solo il nome, ò gli havemo mutilati come Polibio, et tanti altri faccia esattissima diligenza di saperlo, et piglinsi in tutti i modi, et piglinsi sempre inanzi agli altri quelli che gli parranno più appropriati. De autori Latini manco verisimile è che sene trovi che de Greci. Tuttavia non sarebbe gran fatto che alcuni istorici fussero stati tradotti in altre lingue, come Tito Livio, Cornelio Tacito, Salustio et altri non sarà male di cercarne diligentemente, per che uno che si trovassi di questi importerebbe quanto tutto il resto…14

Fra coloro che viaggiarono per conto della tipografia i fratelli Giovanni Battista e Girola-mo Vecchietti svolsero un ruolo fondamentale. I due mercanti fiorentini, nel corso di missioni commerciali e diplomatiche in Egitto, nel Levante e in Persia, acquistarono e spedirono a Roma numerosi manoscritti di grande valore, oggi conservati in biblioteche europee come la Laurenziana di Firenze e la Nazionale di Parigi15. Giovanni Battista trascorse gli ultimi anni della sua vita a Napoli, dove fu in contatto con Schepani, che dette notizia della sua morte a Pietro della Valle in una lettera del 27 Novembre 162016.

L’acquisto di libri e la ricerca di testi classici sono anche fra i compiti che Schepani aveva affidato a Della Valle, il quale ne fa menzione a più riprese nelle sue lettere. A Costantinopoli il viaggiatore ricerca opere di Galeno:

In tanto terrò a mente quello che V.S. mi comanda de’ semplici, e del libro di Galeno περὶ ἀποδείξεως. Il libro l’ho già cercato più volte; ché V.S. me lo disse in Italia, e non me ne dimen-ticai: fin adesso non ne ho nuova e credo certo che non ci sia, che se ci fosse sarebbe arrivato a quest’ora ne’ paesi nostri: o pur se c’è, sta sepolto in man di chi non lo conosce per ignoranza; della quale oggidì qua c’è grandissima copia. De’ semplici, mi dispiace che V.S. non mi abbia scritto che cosa desiderava, perché forse l’avrei potuta servire…17

13  Cfr. Farina 2012: 46-54. 14  ASFi, Miscellanea Medicea 719, doc. 2 Ricordi comuni a’ M.ri Gio:Batta Britti et Gio:Batta Vec-chietti. Cfr. Farina 2012: 48-51. 15  Si vedano in proposito Fani e Farina 2012, richarD 1980. Sui viaggi dei fratelli Vecchietti cfr. al-Magià 1956, richarD 2005. FiShel 1952 ricostruisce i percorsi seguiti da Giovanni Battista Vecchietti, seguendone l’attività di raccoglitore di manoscritti antichi e traduttore di testi biblici in lingua persiana. 16  alMagià 1956: 341, n.2. Si potrebbe, in via del tutto ipotetica, identificare il Vecchietti anche con il «signor Gio. Battista» cui il Della Valle manda i suoi saluti alla fine di una lettera a Schepani datata 7 febbraio 1615 (Lettera III da Costantinopoli: Della Valle 1843: 85). 17  Lettera III da Costantinopoli, 7 febbraio 1615: Della Valle 1843: 84. In seguito Della Valle continuerà

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Particolarmente interessante è il racconto relativo a un manoscritto contenente le “Deche” di Tito Livio:

Non manchi V.S. per grazia d’avvisarmi ... de’ libri rari arabi e greci, perché questi ancora, tro-vandogli, porterò volentieri, e ci userò diligenza quanto possa in trovargli. Voglio dare a V.S. una nuova in questo proposito … Nella libreria ottomana del serraglio, che è di qualche considerazio-ne, perché è quella che era già degli ultimi imperatori greci, con aggiunta anche di altri, trovati per l’imperio in diverse parti, si sa di certo che c’è un Tito Livio intero con tutte le deche. Il gran duca, alcuni anni sono, trattò, secondo ho inteso, di averlo, e ne offrì cinquemila piastre. Non glielo vollero dare; o perché non avesse qui chi negoziasse e sapesse negoziare a verso, o perché i Turchi dall’offerta entrassero in sospetto che valesse assai più, e che non si dovesse dare. Noi ora (cioè il nostro signor ambassadore) ne abbiamo fatto offrir sotto mano diecimila scudi al custode dei libri, se lo piglia e ce lo dà; perché insomma siamo meglio informati del proceder di questa corte, e questo è il vero negoziare in questi paesi. Ce l’ha promesso; e lo avremo senz’altro: ma la mala sorte di Tito Livio vuole che questo barbagianni del custode non lo ritrova; ed è molti mesi che lo cerca, e non possiamo immaginarci che domine se ne possa esser fatto… Se il signor ambasciatore l’avesse, lo farebbe stampar subito a beneficio pubblico; come farà di molti altri bei libri che ha trovati, greci ed ebraici18.

Tito Livio è fra gli autori menzionati da Raimondi nelle istruzioni a Vecchietti che ab-biamo riportato poc’anzi ed è ragionevole supporre, ammesso che l’aneddoto riportato dal Della Valle sia veritiero, che il Granduca in questione fosse Ferdinando I.

Un ultimo aspetto delle ricerche commissionate ai viaggiatori che è utile ricordare è la rac-colta di semi e piante, che, come vedremo, si lega anche alla seconda questione che Schepani pone a Raimondi. Nella lettera del 7 febbraio 1615 Della Valle fa riferimento alla richiesta di “semplici” da parte di Schepani. Allo stesso modo, nelle istruzioni di Raimondi al Vecchietti si precisa: «In tutti i luoghi dove capiteranno cominciando in Alessandria veggasi di trovare semi o cipolle di fiori, o di piante più rare di quei paesi, et ne mandino per quelle vie che po-tranno, che questi hanno a servire per abbellire il giardino del Cardinale”19.

Torniamo adesso alle lettere qui presentate. Schepani interroga Raimondi dapprima su una questione linguistica. Il medico, che conosceva già l’ebraico, desiderava apprendere l’a-rabo e aveva avuto accesso, a suo tempo, anche alla grammatica tradotta e pubblicata da Raimondi20. Avendo osservato

a cercare il testo galenico. Nella Lettera XIII da Aleppo afferma di aver avuto notizia «da persona di veduta» di una copia in lingua greca che «si trova in Valachia in mano di un gentiluomo» (Della Valle 1843: 332). 18  Lettera VII da Costantinopoli, 27 giugno 1615: Della Valle 1843: 136-137. 19  ASFi, Miscellanea Medicea 719, doc. 2. 20  «La grammatica Arabica fatta da lui latina s’ha lasciato vedere pochi dì sono in queste parti, ma scompagnata da l’alfabeto» (f. 327r). Si tratta rispettivamente del Liber Tasriphi compositio est Senis Alemami. Traditur in eo compendiosa notitia coniugationum verbi Arabici…, Romae: ex Tipografia Me-dicaea linguarum externarum 1610 (per il quale si veda Fani e Farina 2012: 174-175) e dell’Alphabetum Arabicum, Romae: in Tipografia Medicea 1592, entrambe realizzate e pubblicate da Raimondi. La fama e la diffusione delle opere didattiche di Raimondi è confermata anche da Pietro Della Valle che, descri-vendo i propri tentativi di apprendere il turco, racconta: «Nel principio che venni qua passò gran tempo prima che io potessi trovar maestro: poi ne trovai uno ebreo che soleva imparare ai figliuoli, e venne per darmi lezione: ma, benché io gli facessi vedere che conosceva benissimo le lettere e le cose appartenenti

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...molta conformità dell’Arabica lingua con l’Hebrea così nelli geni de’ verbi, come nella diversità delle persone e nella varietà delle flexioni d’un istesso thema, come anco per non esservi da fati-care ne’ nomi, li quali credo che con una terminatione nel meno et un’altra nel più con l’aiuto de gli articoli formino li casi: com’è nell’hebreo...

egli chiedeva conferma dell’esistenza di tali somiglianze, nella speranza che potessero aiu-tarlo nello studio. Raimondi rispose con un dotto e articolato esame della questione, illus-trando come arabo e ebraico, pur molto simili sotto alcuni degli aspetti colti da Schepani, differiscano ad esempio nei sistemi di declinazione e derivazione nominale e nella ricchezza lessicale. A questo proposito l’orientalista aggiunse un esempio, notevolmente ampliato nella seconda bozza della sua lettera, relativo ai nomi del leone in arabo, che, secondo l’autore di «un libro de vita animalium»21 in suo possesso, «nella lingua Araba ha cinquecento nomi» (luogo comune ancora oggi, dovuto in parte al fatto che esistono sinonimi d’uso poetico o raro). D’altra parte, dopo aver sorpreso il lettore con un assaggio di questa straordinaria varietà lessicale, Raimondi lo rassicurava spiegando che le sue fatiche sarebbero state ricom-pensate: una volta imparato l’arabo, con poco sforzo egli avrebbe potuto rivolgersi anche al persiano e al turco, «havendo tanto li Persiani nella lor lingua quanto li Turchi nella loro introdotto una infinità di voci Arabe, et essendo quasi sempre tutte tre scambievolmente l’una interprete dell’altra, come vedrà nelli Dittionarij et Grammatiche». Un aspetto interessante di questa sezione dello scambio fra i due studiosi è la loro percezione della natura dei rap-porti fra ebraico, arabo, persiano e turco. Entrambi rilevano una somiglianza strutturale fra ebraico e arabo, che coinvolge le forme della derivazione verbale, della flessione e della sin-tassi nominale. D’altra parte Raimondi sottolinea come l’affinità del turco e del persiano con l’arabo sia legata all’alfabeto comune e alla grande diffusione di prestiti, cioè a fenomeni di contatto linguistico e culturale.

Nella parte finale della sua lettera Schepani introduceva la questione contingente per la quale si rivolgeva a Raimondi. Nella versione latina del Canone di Avicenna a sua disposizio-ne22 aveva incontrato il nome di una pianta medicinale, «anarcine», usata per curare le malat-tie polmonari, che egli non era in grado di riconoscere. Conoscendo la perizia di Raimondi e avendo saputo da Fabio Colonna che questi era in possesso di un «herbario arabico»23, chie-deva se potesse aiutarlo nell’identificazione. In effetti Raimondi poteva essere considerato un grande esperto dell’opera di Avicenna e del suo testo arabo originale, avendolo stampato per

al leggere, studiate da me nell’alfabeto del Raimondo, del quale i Turchi non hanno cosa migliore, voleva con tutto ciò farmi compitare come i fanciulli da capo…». Lettera VII da Costantinopoli, 27 giugno 1615: Della Valle 1843: 131. 21  Kitāb ḥayyat al-ḥayawān al-kubrà di al-Damīrī (XIV sec.). Sara Fani mi ha segnalato una copia di questo testo nel manoscritto BML Or. 191 (in particolare il f. 3v) descritto in BNCF Magl. Cl.III.102 (ff. 17v-18r, n. 86). 22  Per un elenco delle edizioni latine del Canone disponibili al tempo di Schepani di veda l’Appendix 1 in SiraiSi 1987. 23  Colonna aveva celebrato l’erbario di Raimondi proprio nell’Ekphrasis citata più in alto: «... hoc autem verum esse non sine gaudio, in Arabico Herbario manuscripto in quatuor tomos diviso apud nobilem et Doctiss. o.Bapt.Raimundum Romae reperimus, dum Hyssopi historiam quereremus» (citato da PieMonte-Se 1993: 458).

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la prima volta in Occidente nel 159324. Egli rintraccia infatti prontamente la pianta, sia nel Canone che nel suo erbario25: si tratta del nārkīu, una varietà di papavero26. Raimondi tradu-ce in latino la descrizione riportata dal suo erbario e la trascrive per Schepani. Nella chiusa della sua risposta annuncia di voler spedire al medico anche «l’Alfabeto Arabico, poi che mi pare che fin’hora non n’habbi avuta notitia alcuna, et una delle due Grammatiche detta Giar-romia27, che si stamparono molti anni sono con l’Avicenna et con l’Euclide28 et con altri libri Arabi, et di quant’altro si stamparà per l’avvenire d’Arabico, di Persiano, ò d’altra lingua».

Queste lettere contribuiscono a delineare la figura di Mario Schepani, offrendo una pre-ziosa testimonianza diretta sulla sua attività e sui suoi interessi di studioso. L’immagine ri-flessa nei racconti e nelle osservazioni del Della Valle prende corpo, inserendosi all’interno di una rete di scambi con gli intellettuali suoi contemporanei. D’altra parte, questi documenti collocano anche Giovanni Battista Raimondi in un contesto più ampio di quello del suo im-pegno filologico ed editoriale, mettendolo in relazione con una cerchia non solo romana di uomini di cultura. Inoltre, il confronto con le osservazioni del Della Valle e con il suo punto di vista, condiviso dallo Schepani, sul recupero e sulla ricostruzione del sapere antico, pongo-no in una prospettiva più ampia gli intenti, i metodi e la produzione della Tipografia Medicea.

Qui di seguito si pubblicano le lettere di Schepani e la risposta di Raimondi (di cui è tra-scritta per intero la seconda bozza; le varianti più consistenti contenute nella prima bozza sono riportate in nota [I], mentre le aggiunte presenti nella seconda sono state sottolineate).

Archivio di Stato di FirenzeMiscellanea Medicea V - 721

ff. 327r-328r

Illustrissimo signor mio, e qn [?] ossequiatissimo

Mi ha fatto Iddio grazia di veder dato principio all’introduttione della lingua Arabica conforme al desiderio ch’è stato in me sempre da che cominciai li studi di filosofia e medicina, parendomi che

24  Libri quinque canonis medicinae Abu Ali principis filii Sinae alias corrupte Auicennae. Quibus ad-diti sunt in fine eiusdem libri logicae, physicae et metaphysicae. Arabice nunc primum impressi, Romae: in Tipografia Medicea, 1593. Si veda in proposito Fani e Farina 2012: 172, 173. In un recente studio Sara Fani ha analizzato alcune fasi dell’edizione curata da Raimondi, attraverso l’esame di manoscritti e bozze di stampa (Fani in stampa). 25  Si tratta del Kitāb ǧāmi‘ al-mufradāt di Ibn al-Bayṭār, secondo l’identificazione di Fani in stampa. 26  Sara Fani ha individuato il nome di questa pianta nel manoscritto BML, Or. 44, f. 290v, l. 18 (nell’e-dizione medicea ultima riga della p. 260, Libro V, Summa II, Trattato V, Capitolo sulla tubercolosi e le ulcere polmonari). 27  Si tratta di un’altra grammatica araba pubblicata da Raimondi: Grammatica arabica in compen-dium redacta, quæ vocatur Giarrumia, auctore Mahmeto filio Dauidis Alsanhagij, Romæ: in Tipografia Medicea, 1592. 28  Euclidis Elementorum geometricorum libri tredecim. Ex traditione doctissimi Nasiridini Tusini nunc primum Arabice impressi, Romae: in Tipografia Medicea, 1594, cfr. Fani e Farina 2012: 184-185.

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si come le lettere greche nel secolo avanti à questo sconosciute introdotte dalla magnanima casa de’ Medici e coltivate dalla diligenza di tanti huomini segnalati hanno apportato quella luce, che gli intendenti sanno con la venuta delle traduttioni così alla filosofia come alla medicina et altre scienze, così anco la cognizione della lingua Arabica sia per apportare molta utilità - massime alla nostra medicina, con dare occasione à qualche spirito desideroso di giovare il comune d’imprendere una latina e fedele versione d’Avicenna, e d’altri auctori Arabi, la cui prattica noi esercitiamo, e vendicare le fatiche loro da quella barbarie, che le toglie molto di grazia e rende spiacevoli. Godo assai, che quest’opera cominci à sorgere per la diligenza, e valore di Vostra Signoria, ma da chi altro poteva esser tirata innanti se non da chi con la varietà delle scienze ha congionto anco la varietà delle lingue.[327v] La grammatica Arabica fatta da lui latina s’ha lasciato vedere pochi dì sono in queste parti, ma scompagnata da l’alfabeto e m’ha destato nell’animo tanto desiderio d’attendervi, che se non mi trovassi impiegato in questo esercizio con la conoscenza di molt’anni, volentieri mi condurrei à Roma per attendervi con più aggio e facilità, pure mi guiderò del modo, che ho tenuto nel greco, e nell’hebreo, nelli quali con pochissimo aiuto di maestri ho fatto alcuni progressi, m’inanima assai il vedere molta conformità dell’Arabica lingua con l’Hebrea così nelli geni de’ verbi, come nella diversità delle persone e nella varietà delle flexioni d’un istesso thema, come anco per non esservi da faticare ne’ nomi, li quali credo che con una terminatione nel meno et un’altra nel più con l’aiuto de gli articoli formino li casi: com’è nell’hebreo, resta che Vostra Signoria proseguisca l’opera ag-giungendovi qualche buon lexico Arabico latino, che sarà di non poco giovamento, e senza quello si rende il negozio lungo, e difficile. M’occorre supplicare Vostra Signoria, che sottraendo un momento di tempo alle sue molte occupazioni mi voglia dar luce dal testo Arabico d’Avicenna nel libro V°. summa 2a. tractato V° alla composizione antepenultima, che comincia phtsis, et ulcera pulmonis, che cosa sia |anarcine| de che egli dispensa cinque dramme, e se nel 2° libro l’istesso autore n’ha fatto menzione, e sotto che nome e se l’herbario Arabico, che si conserva appresso Vostra Signoria per quanto [328r] mi ha riferito il sig. Fabio Colonna mette tal voce; mi perdoni di tanto ardimento, che non havendo possuto havere luce di ciò da questi glossatori Arabici, che noi habbiamo m’è stata forza ricorrere a Vostra Signoria alla quale humilmente fo riverenza pregan-dole dal Signore lunghissima vita per utile pubblico: e supplicandola di risposta

Di Napoli alli 4di Feb.° 1611D V.S. Ill. maAff. mo servo Mario Schepani medico

ff. 331r-332r

Illustre signor mio ossequiatissimo

Ho la lettera di Vostra Signoria delli 4 di Febraro prossimo passato, alla quale se io rispondo tardi la prego, che mi scusi con le occupationi, che mi hanno fatto trasportare in sin qui à complire con esso lei questo debito. Inquanto al giuditio, che lei fà intorno alla cognitione della lingua Hebraica, che ella sia per apportarle grande aiuto all’acquisto della lingua Arabica, Vostra Signoria non s’inganna punto, havendo tra di loro molta somiglianza, come lei giuditiosamente ha osservato, in quello che n’ha potuto vedere, oltra che gran copia [I: parte] delle voci Arabe sono Hebree pure [I: pure Hebree]. ma inquanto alla varietà delli nomi nella terminatione loro, che sia come nella lingua Hebrea, non và cossi, per che nella lingua Arabica, vi è il singulare, il duale, et il plurale, come può haver visto in quella parte di Grammatica che tratta del verbo [I: che è stampata], nelli nomi dell’agente et del patiente, come dicono essi Arabi, et nell’altri che si formano dalli verbi, et nell’altri nomi che non sono verbali, oltra la differentia nelle loro terminationi hanno molte formationi delli

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loro plurali, come per esempio è il nome اسد , cio è il leone, che ha tutti questi plurali cioè اسود, et اسد, et اسود, et د ,cioè la leonessa. Et dice un’autore Arabo Medico اسدة oltra il feminino che è آساد et ,اسche ha fatto un libro, che lo chiama اة الحيوان libro delle vite dell’animali, il quale libro, che كتاب حيè filosofico et è medicinale, per che oltra che tratta dell’animali, come ne tratta Aristotele nel libro dell’historia dell’animali, ne tratta ancora come Medico, perche di ciascheduno animale dice, verbi gratia, li peli di questo animale abbrusciati giovano al tal male, et il fecato abrusciato al tal male et l’intestina al tal male et dice dunque questo autore وية لالسد خمس ماية اسم وصفه وزاد علية على بن قال بن خال ,cioè inquit Ben Chalauiah leoni sunt quingenta nomina et epitheta قاسم بن جعف اللغوي ماية وثلثين اسماet addidit illi Ali Ben qasim Ben Giaghpha allaghuuio centum triginta nomina29. talmente che il leone ha nella lingua Arabica seicento et trenta nomi. et se ben tutto questo è fora del proposito delle terminationi delli nomi Arabi, delle quale parliamo, l’ho voluto nondimeno portar qui a essempio per dar qualche [331v] saggio30 à Vostra Signoria della ricchezza e facundia [I: della grandezza et vastità] della lingua Arabica, ma ritornando al proposito delle terminationi delli detti nomi, dico che vi sono le terminationi variate, et geminate, che correspondeno alle variationi di tutti li casi ò vero obliqui delli nomi Latini et Greci, se ben regulate per altri rispetti et per altre cause [I: per altri modi], come lei et altri intenderanno poi benissimo. ne si diffidi per questo perche |et lei et tutti gli altri| ciascuno, che vorranno impiegarsi à questo studio della lingua Arabaica, haveranno in ciò molti aiuti che non havemo havuto noi, che in apprenderla havemo speso tutta l’età nostra con animo di spendervi tutta l’altra parte che Dio ne farà gratia, per quanta ella sarà31 in introdurla fra latini, et gia molti anni sono che [I: si come molto tempo è] havemo cominciato et sequitiamo tuttavia32, et per darle maggior animo le dico, che sequiti allegramente certificandola, che quando havrà imparato la lingua Arabica, si ritroverà haver imparato, senz’altra fatica la metà della lingua Persiana, et cosi parimente la metà della lingua Torchesca, servendosi queste tre lingue d’un carattere solo et havendo tanto li Persiani nella lor lingua quanto li Turchi nella loro introdotto una infinità di voci Arabe, et essendo quasi sempre tutte tre scambievolmente l’una interprete dell’altra, come vedrà nelli Dittionarij et Grammatiche loro33. Hora per dar [I: darli] soddisfattione à Vostra Signoria in quello che desidera [I: saper] da me della parola Anarcine li dico, che ho vista la traduttione Hebraica d’Avicenna dall’Arabico et manca in quel loco tal parola con le sue cinque dramme: ho visto poi l’originale Arabico, et dice ناركيو Narkiu et non Anarcine, nel 2° libro non si ritrova [I: non vi è messo], ne sò se in altro loco l’habbia [I: l’habi] nominata ò dechiarata, ma l’ho ben ritrovata in quello Herbario Arabico [I: in quello Herbario Arabico l’ho ritrovata] et parimente dice [I: dice parimente] ناركيوا ma con’una Aliph di piu nel fine [I: nell’ultimo], et ne parla distesamente, et per non haver tempo di trascriverlo in Arabico li mando solamente questa traduttione, cioè. ناركيوا nuncupatur à Persici malum punicum ad tussim, et est species papaveris, et dicitur quòd ناركيوا est universa species papaveris, et dicitur etiam quòd est papaver niger solummodo. Et inter simplices nobilissima planta est apud Persas; quam oblitus est commemorare Dioscorides, meminit ناركيوا

29  I: «et nell’altri che dependono dalli verbi, et vi sono ancora delli nomi, che non dependono dalli verbi, come è uno di quelli il nome اسد, che vuol dire il leone, che ha tutti questi plurali اسود, et د د et ,اس اساد et اسoltra il feminino che è اسده. et dice un auctor medico Arabo che fa un libro de vita animalium che io l’ho, che questo animale nella lingua Araba ha cinquecento nomi, et porta un’altro autore, che sopra questi agionge cento trenta altri, talmente che il leone hà nella lingua Arabica seicento et trenta nomi» (f. 329r). 30  I: «l’ho voluto dire per darli qualche saggio» (f. 329r). 31  I: «et quella parte che ci resta per quanta ella sarà, havemo determinato spenderla tutta» (f. 329v). 32  I prosegue «havendo lassato ogn’altro piu dilettevole et piu profittevole studio» (f. 329v). 33  I formula diversamente: «et essendo quasi sempre, come vedrà nelli Dittionarij et Grammatiche loro, l’una interprete dell’altre et havendo ricevuto li persiani et li turchi nelle lor lingue una infinità di voci Arabe» (f. 329v).

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autem eam Aben Vahsciati in libro medicamentorum selectorum et dixit ناركيوا [332r] est planta, quae nascitur in ripis fluviorum, et in locis aquosis, et in locis roscidis, et in locis umbrosis. nascitur autem sponte, et extollitur à terra ad altitudinem frumenti, folia habet similia foliis oliuarum, paulo tamen minora, mollia tactu atque [I: et] delicata, instar serici, eius rami sunt apprime duri. Flos eius aestivo tempore apparet, veluti rosa. emittit fructum ad similitudinem nucis avellanae, in cuius ventre sunt grana veluti piper. Cortex huius plantae quando à ramis relaxatur, si tundatur, et in pulverem redigatur, et super vulnera gypsata, et callosa apponatur, solvit illa, praecipue verò si inungantur prius, et postea pulverizetur, et cetera. questo credo che li basterà per quello che lei mostra desiderare. mando à Vostra Signoria con questa l’Alfabeto Arabico [I: Arabo], poi che mi pare, che fin’hora non n’habbi avuta notitia alcuna, et una delle due Grammatiche detta Giarromia, che si stamparono molti anni sono [I: un pezzo fà] con l’Avicenna et con l’Euclide et con altri libri Arabi, et di quant’altro si stamparà per l’avvenire d’Arabico, di Persiano, ò d’altra lingua Vostra Signoria [correzione illeggibile] n’havrà la parte sua [correzione illeggibile], alla quale bagcio le mani et pregogli dal sig.or Dio ogni felicità et ogni contento. Di Roma li 26 d’Aprile 1611.

Di [...] Ill.resempre Aff. mo Gio: batt.a Raimondo.

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