A. Cerasuolo, La «cona magna» di Sant’Agostino alla Zecca. Storia conservativa e ipotesi di...

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1. Le tappe di un recupero

Dopo la rimozione, alla metà del Settecento, della “cona magna” di Marco Cardisco dallatribuna di Sant’Agostino alla Zecca e il conseguente smembramento, la memoria storicadella sua struttura originaria, insieme a quella dell’autore delle tavole che la componevano,era andata rapidamente perduta.Il ricordo più vivo, per la singolarità del soggetto e grazie proprio alla descrizione lasciatacida Vasari1, rimase legato alla tavola centrale, la Disputa di sant’Agostino con gli eretici oggiconservata nel Museo di Capodimonte (fig. 4). Delle altre parti, per oltre due secoli, nonsembra che fosse rimasta memoria, fino all’intervento di Francesco Abbate, che nel 1970individuava nella sacrestia di Sant’Agostino alla Zecca tre tavole raffiguranti Cristo tra gli

apostoli, che costituivano la predella della smembrata ancona2 (figg. 5-7). Eppure, solo oraci rendiamo conto che i diversi elementi che componevano la pala erano rimasti nellastessa chiesa, suddivisi e distribuiti in altre varie collocazioni. I passi che hanno reso possibile l’attuale ipotesi di ricostruzione sono stati compiuti neltempo lentamente, a opera di diversi studiosi, ognuno dei quali ha fornito un contributoalla comprensione dell’intera vicenda. Nel 1994 Andrea Zezza ha rinvenuto i documenti che, oltre a provare l’originariaassegnazione a Polidoro da Caravaggio del progetto per l’esecuzione dei dipinti,testimoniano dettagliatamente la commissione della carpenteria e dalla doratura dellamonumentale struttura lignea della “cona magna”, di cui conosciamo così con estremaprecisione le gigantesche misure e l’articolazione3.Sul fronte dell’esame stilistico, fondamentale l’intuizione di Ferdinando Bologna, chesin dal 1955 aveva restituito a Marco Cardisco la Madonna col Bambino e san Giovannino

in gloria, ora nei depositi di Capodimonte (fig. 3), di cui si era però perso il riferimentoal luogo di provenienza4, infine individuato, nella stessa chiesa di Sant’Agostino allaZecca, da Pierluigi Leone de Castris nel 1999, nel catalogo delle collezioni borbonichee postunitarie del Museo di Capodimonte, in cui la sistematica ricognizione delleintricate vicende attraverso le quali si erano costituite le raccolte di quel museo haconsentito di ricondurre la maggior parte delle opere al contesto di origine5. L’appartenenza della Madonna in gloria alla “cona magna”, già suggerita da Zezza6, è stataproposta nel capitolo precedente. Ma l’attenzione cade ora nuovamente su quel gruppodi documenti che avevano accompagnato il trasferimento delle due grandi tavole al RealMuseo. Il 15 marzo 1814 l’intendente di Napoli Filangieri riferiva al ministro Zurlo sulleopere che in Sant’Agostino alla Zecca giacevano abbandonate, parte conservate nella salacapitolare, parte nel refettorio, adibito a deposito per le attrezzature delle manifatture deitabacchi7; fra queste la Disputa di sant’Agostino con gli eretici, opera capitale di Marco Cardisco,

Angela Cerasuolo

La “cona magna” di Sant’Agostino alla Zecca. Storia conservativa e ipotesi di ricostruzione

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11. Marco CardiscoCristo benedicente tra gli apostoli

particolare in cui si rileva la presenza del disegnopreparatorioNapoli, Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte (dalla chiesa di Sant’Agostino alla Zecca)

12. Marco CardiscoDisputa di sant’Agostino con gli eretici

prima del restauro del 1957Napoli, Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte (dalla chiesa di Sant’Agostino alla Zecca)

13. Marco CardiscoDisputa di sant’Agostino con gli eretici

dopo il restauro del 1957Napoli, Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte (dalla chiesa di Sant’Agostino alla Zecca)

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15. Marco CardiscoApostoli

con la cornicesettecentesca prima delrestauro del 2006-2007.Napoli, Museo eGallerie Nazionali diCapodimonte (dallachiesa di Sant’Agostinoalla Zecca)

14. Marco CardiscoApostoli

con la cornicesettecentesca prima delrestauro del 2006-2007.Napoli, Museo eGallerie Nazionali diCapodimonte (dallachiesa di Sant’Agostinoalla Zecca)

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16. Marco CardiscoDisputa di sant’Agostino con gli eretici

particolare durante il restauro del 1957Napoli, Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte (dalla chiesa diSant’Agostino alla Zecca)

17. Marco CardiscoDisputa di sant’Agostino con gli eretici

particolare durante il restauro del 1957Napoli, Museo e Gallerie Nazionali diCapodimonte (dalla chiesa diSant’Agostino alla Zecca)

18. Marco CardiscoCristo benedicente tra gli apostoli

particolare durante il restauro del 2006-2007 Napoli, Museo e Gallerie Nazionalidi Capodimonte (dalla chiesa diSant’Agostino alla Zecca)

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20. Marco CardiscoDisputa di sant’Agostino con gli eretici

particolare in cui si rileva la presenza del disegnopreparatorio Napoli, Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte(dalla chiesa di Sant’Agostino alla Zecca)

19. Marco CardiscoMadonna con Bambino in gloria

e san Giovannino battista

particolare in cui si rileva la presenza del disegnopreparatorio Napoli, Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte,depositi (dalla chiesa di Sant’Agostino alla Zecca)

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che di lì a poco sarebbe stata trasportata nel Real Museo per entrare a far parte dei capisaldidella costituenda “Galleria dei pittori napoletani”8. Ma altri dipinti elencati in quelle carteè ora possibile ricondurre alla monumentale ancona, di cui la Disputa era il fulcrocompositivo e iconografico.

2. Quadri “di scarto”

Oltre alla Madonna in gloria (fig. 3), dai documenti si può desumere il soggetto di altriquattro dipinti che ne dovevano fare parte: i “quattro evangelisti dipinti su quattro tavoledistinte”, menzionati subito prima della Disputa (fig. 4), si possono identificare con i “santiin varie attitudini” di cui parla Vasari9, che in origine affiancavano le tavole centrali, aconferma dell’intuizione di Abbate che ne ipotizzava la necessaria relazione con la palaprincipale: “del tutto probabile che ‘dalle bande’ fossero rappresentati tutti quei santi …che per antichità ed autorità potevano fungere da ispiratori e ‘patroni’ di Sant’Agostinonella sua lotta per il trionfo dell’ortodossia”10. Lo studioso identificava i quattro santi checircondano il Salvator Mundi assieme a Pietro e Paolo nella predella centrale con i quattroevangelisti, mentre ipotizzava che gli apostoli dovessero essere raffigurati nelle dispersetavole laterali (fig. 5). Ormai riconosciuto nel Cristo circondato dagli apostoli il temaiconografico delle tavole recuperate nella sacrestia della chiesa agostiniana, le osservazionidi Abbate risultano confermate da quest’ultimo rinvenimento11. Le tavole degli Evangelisti, che sia nella lettera riportata da Strazzullo che nella nota in cuisi registrava il trasferimento nel 1814 al Real Museo non recavano il nome dell’autore,figuravano nell’inventario Arditi (1821) già prive della menzione della loro provenienza,ma con la puntuale attribuzione a Marco Cardisco12. Le misure indicate, nove palmi dialtezza per quattro e un terzo di larghezza, sono perfettamente compatibili con quelle deipannelli superstiti della “cona magna”13.Come la Disputa e la Madonna in gloria, anche i quattro Evangelisti erano stati depositati,prima di provenire al Museo, presso le “Scuole del disegno”14. Erano poi ricordati in unanota di spese per un gruppo di dipinti su tavola di scuola napoletana, per i quali sidisponeva un intervento di restauro nel giugno 1822: “quadri in tavola di palmi 9 per 4 eun terzo rappresentanti i quattro evangelisti, di Marco Calabrese”; era prevista la messain opera di “piccole traverse” da applicarsi con “colla e viti”15.Pur se incluse nel gruppo di quadri di scuola napoletana a cui si prestavano cure motivateevidentemente dalla loro immissione nella “Galleria”, le quattro grandi tavole dovetteroperò presto ritrovarsi, forse anche per le notevoli dimensioni che non ne agevolavanol’esposizione nei già insufficienti locali, fra le opere cosiddette “di scarto”. Certo cosìfurono classificate nel 1826 da Vincenzo Camuccini, chiamato a Napoli per sovrintendere

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all’allestimento del Real Museo16. In quell’occasione, oltre a rettificare molte attribuzionie a curare la disposizione delle opere, l’autorevole artista romano – che nella capitalepontificia rivestiva il compito di “Ispettore alle pubbliche pitture” – effettuò una drasticaselezione, che comportò l’esclusione dall’esposizione di oltre mille dipinti17. Fra questiquadri “di scarto”, lo stesso Camuccini aveva indicato un nutrito gruppo di pezzi che, purnon avendo trovato posto nella “Galleria”, potevano utilmente decorare i palazzi reali oessere adoperati per risarcire chiese e conventi depauperati in seguito alle soppressioni.Molte le grandi tavole che, raccolte numerose dalle chiese o anche acquistate sulla spintadell’entusiasmo per il progetto della “Galleria dei pittori napoletani”, avevano finito perrappresentare degli ingombranti intralci di cui liberarsi18. La Madonna in gloria fu risparmiata forse, paradossalmente, proprio grazie all’errataattribuzione, che allora la riferiva a Pedro de Rubiales: si legge infatti nella lettera indirizzatanel 1832 dal direttore del Real Museo Michele Arditi al Ministero di Casa Reale persollecitarne il restauro, che la tavola “dipinta da Francesco Roviale, detto il Polidorino …la Vergine in gloria col Bambino Gesù, il quale è in atto di prendere l’agnello da sanGiovanni” rientrava fra i quadri “destinati per la Galleria sin dall’epoca della classificazionefatta dal cavaliere Camuccini … perché nella Galleria manca il Polidorino”19. La necessitàdi esemplificare un florilegio di tutti gli artisti ‘napoletani’ più rappresentativi aveva cosìspinto a mantenere per la “Galleria” la grande tavola, laddove per illustrare l’opera diMarco Cardisco la Disputa era evidentemente ritenuta più che sufficiente, tanto più ora chegli Evangelisti erano stati declassati, in seguito al parere del Camuccini, a una generica“scuola del Cardisco”.Così le quattro tavole vennero consegnate “ai Camaldolesi della Torre del Greco”, comeè registrato a margine dell’inventario Arditi e come testimoniano i verbali stilati nel 1829in occasione del trasferimento, da cui si desume che erano destinate ad occupare i “quattrovani del coro dell’eremo”20. Purtroppo il convento torrese non rappresentò per i dipintiun rifugio sicuro: soppresso nuovamente – e definitivamente – nel 1861, il complessodivenne patrimonio di privati, passando per diversi proprietari e subendo alterazioni,spoliazioni, decadenza, abbandono21. Dopo la seconda guerra mondiale, quel che restavadel sito fu acquistato dai padri Redentoristi, che tuttora lo occupano, e gli ambienti,ulteriormente danneggiati da bombardamenti e occupazioni militari, furono recuperati erestaurati. Ma delle tavole non resta oggi più traccia.

3. Vicende conservative, trasformazioni, tracce materiali

Dopo lo smembramento avvenuto in seguito all’intervento dell’architetto GiuseppeAstarita, che tra 1756 e 1761 diede un nuovo assetto alla chiesa di Sant’Agostino alla

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21. Marco Cardisco e collaboratori(Pietro Negroni e Leonardo Castellano?)Polittico

Sant’Egidio del Monte Albino, chiesa di Santa MariaMaddalena in Armillis

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22. Ipotesi di ricostruzione della “cona magna” della chiesa di Sant’Agostino alla Zecca

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Zecca22 (fig. 9), le tavole che costituivano il grande polittico trovarono collocazioni diverse.Non è facile ricostruire con esattezza le vicissitudini dei diversi scomparti, ma, almeno peralcuni di essi, è possibile stabilire che vennero riadattati e inseriti in nuove cornici. Èquesto il caso dei tre elementi della predella, che è probabile avessero mantenuto fino alloro ritiro dalla chiesa, avvenuto nel 1984, la collocazione stabilita in quell’occasione23

(figg. 14-15). Le belle cornici intagliate e dorate, perfettamente in carattere con gli altrilavori di intaglio coevi presenti in chiesa – fra cui gli “splendidi organi lignei” definiti daVenditti “preziosa testimonianza dell’artigianato napoletano del Settecento”24 – risalgonoverosimilmente a quel momento.Il nuovo allestimento aveva comportato anche un intervento sulla superficie dipinta. Intutti e tre i pannelli sono state riscontrate le conseguenze di un restauro concaratteristiche comuni: ad una drastica pulitura che, oltre ad impoverire le stesure,aveva causato abrasioni diffuse e profonde, rivelando quasi ovunque la preparazionea gesso, aveva fatto seguito una ridipintura, eseguita col criterio comune fra i pittori-restauratori dell’epoca, che ancora intervenivano sui dipinti antichi come se si trattassedi completare ed eventualmente correggere una loro stessa opera25 (fig. 18). Proprio in quegli anni cominciavano a farsi strada nuovi criteri improntati ad una diversaconsiderazione critica dell’opera del passato, che avrebbero posto le fondamenta delrestauro moderno e che a Napoli sarebbero stati affermati, non senza contrasti, nellaLettera sull’uso delle vernici di Jacob Philipp Hackert26. Ma i pittori-restauratori avrebberocontinuato ancora a lungo, soprattutto lavorando nelle chiese e per il collezionismoprivato, a manomettere i dipinti antichi. È interessante, a questo proposito, la lettura deidocumenti degli anni venti dell’Ottocento che si riferiscono alla Disputa, ormai entrata afar parte del Real Museo Borbonico e oggetto, insieme a numerosi altri dipinti, diun’intensa campagna di restauro sorvegliata da un’apposita “Commessione de’ restauri”27.Dalle relazioni della “Commessione” si desume che l’opera presentava delle esteseridipinture, presumibilmente corrispondenti per epoca e natura a quelle riscontrate sullepredelle; ridipinture che, con un criterio ormai di recupero filologico, si disponeva dirimuovere28. Al tempo stesso, però, l’integrità della raffigurazione veniva ritenutaindispensabile e si procedeva quindi a “rimpiazzare quasi una mezza figura in molte particaduta nel lato sinistro del quadro”. È probabile che a quel “rimpiazzo” risalisse la parteinferiore della grande figura seduta in primo piano in basso a sinistra del dipinto (fig. 12),frutto di un rifacimento individuato e rimosso nel corso dell’ultimo restauro, condottonella sua prima fase tra 1986 e 198929 (fig. 4). All’epoca di questo intervento, parte delleantiche ridipinture era ancora ben visibile e comprendeva un brano di cielo e ilprolungamento delle ali dei due angeli negli spigoli superiori adiacenti alla centina. Questi

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spigoli, in origine, non erano dipinti, poiché destinati ad essere coperti dalla cornice; anzi,è probabile che il supporto ligneo fosse sagomato lungo il profilo della centina, poiché idue spigoli risultano eseguiti su due elementi lignei separati, aggiunti successivamente perdare alla tavola una sagoma rettangolare30 (fig. 16). Non è dato sapere se l’aggiunta e lariquadratura fosse avvenuta già in chiesa, o piuttosto dopo l’ingresso nel Real Museo; èprobabile però che avessero questa funzione i “pezzi suppliti di nuovo” di cui si parla neidocumenti del 1823 e su cui si dispone di “rimpiazzare” il colore. In tal caso anche le alidegli angeli e il brano di cielo, come parte della figura in basso a sinistra, sarebbero daricondurre alla mano del restauratore Giuseppe Amodio.La foto che documenta lo stato del dipinto prima di un altro restauro, compiuto nel 1957,mostra queste ridipinture ancora ben visibili e armonizzate con l’intera superficie, tantoche non è percepibile la presenza della centina (fig. 12). Dell’intervento del 1957, cherientra nell’intensa campagna di restauri realizzata per l’allestimento del museo nella nuovasede di Capodimonte, viene brevemente riferito nel catalogo della IV mostra di restauri:“Restituzione della tavola alla sua sagoma originaria centinata”31. Le foto relativechiariscono come la “restituzione” fosse stata realizzata coprendo i due spigoli superioricon due sottili pannelli di legno che nascondevano la parte ridipinta senza rimuoverla; eraancora visibile il rifacimento della grande figura in basso (fig. 13). Nell’ultimo intervento(1998-1999), infine, le ridipinture sono state coperte con una campitura di coloreuniforme, per eliminare ogni confusione con le stesure originali (fig. 4).Anche i tre scomparti con Cristo tra gli apostoli presentavano – e presentano ancora, poichénon si è ritenuto opportuno rimuoverle – delle ridipinture lungo i quattro margini,originariamente non completati nelle stesure pittoriche per una larghezza di circa 5centimetri che doveva essere coperta dalla cornice. L’esame di queste parti in corso direstauro ha fornito anche delle interessanti tracce sulla modalità esecutiva dei dipinti:infatti l’area destinata ad essere coperta era delimitata da una linea nera tracciata a pennellosulla superficie bianca della preparazione a gesso e colla (figg. 5-7, 11, 18). Questa linea,della stessa natura del disegno preparatorio visibile ovunque al di sotto delle figure, dovevaservire come riferimento per evitare di dipingere inutilmente quelle zone; alcuni dettagli,però, come la mano del primo apostolo da destra nella predella centrale (fig. 11), eranougualmente eseguiti anche dove destinati ad essere coperti, poiché evidentemente eranecessario definirli nella loro interezza, anche solo in funzione di quelle piccole parti chesarebbero rimaste visibili32. Un disegno preparatorio del tutto analogo a quello negli elementi della predella si osservadistintamente anche sotto le stesure pittoriche, alquanto abrase, della Madonna in gloria33

(fig. 19). Il tratto spesso, di colore nero e apparentemente eseguito a pennello, è abbastanza

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23. Marco CardiscoPadre Eterno e angeli

Napoli, collezione privata

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regolare e la raffigurazione sembra seguirlo molto fedelmente. Le caratteristiche di questatraccia sottostante fanno ipotizzare l’esistenza di un disegno preliminare su carta, trasferitosulla superficie della tavola tramite uno spolvero o un altro analogo metodo di riporto, epoi ripreso col tratto a pennello, che ora possiamo vedere a causa delle abrasioni subitedalla pellicola pittorica (figg. 11, 17, 20). La tecnica, consueta nelle modalità esecutivedella pittura su tavola del Cinquecento, consentiva di procedere all’applicazione dellestesure pittoriche con estrema sicurezza, senza modifiche in corso d’opera. Lapredisposizione del disegno avveniva attraverso una serie di passaggi, che dallo ‘schizzo’,sorta di progetto sintetico della composizione, si andava gradualmente precisandoattraverso studi e disegni sempre più dettagliati per giungere alla definizione dellacomposizione in scala ridotta34. Questo disegno poteva essere poi trasferito sulla superficiedella tavola da dipingere con diversi sistemi, per ottenere nella scala opportuna una tracciagrafica da seguire nell’esecuzione. Il disegno preparatorio poteva anche raggiungere unelevato grado di finitezza, o al contrario limitarsi a pochi tratti di riferimento. In questocaso è costituito dalla sola linea di contorno, segnata però in maniera molto netta e distinta.La notizia, tramandata a partire dalle fonti seicentesche, dell’esistenza di un “disegno” diPolidoro per la pala di Sant’Agostino alla Zecca – tradizione confermata dai documentiritrovati di recente35 – induce a chiedersi a che punto della progettazione fosse giunto ilmaestro lombardo prima di abbandonare l’impresa che Marco Cardisco avrebbe poicompiuto. Non sono noti schizzi o altri disegni del lombardo ricollegabili alla “conamagna”, ma un esame riflettografico ci restituirebbe la visione dell’impianto grafico nelsuo complesso, così come trasferito sulla tavola prima di procedere all’esecuzione pittorica.È questa la traccia per un’indagine, da rinviarsi ad altra occasione, dalla quale potrebberogiungere ulteriori indicazioni sulle circostanze dell’esecuzione e sull’entità dell’apporto diPolidoro al grandioso progetto.Per una singolare coincidenza, le vicende dei vari elementi del grande politticoesemplificano, con diverse varianti, le possibili sorti dei dipinti conservati nelle chiese: ilriuso, in altri ambienti della stessa chiesa, nel caso delle predelle, con le conseguentimanomissioni rivolte ad aggiornarne l’aspetto (pulitura, ingrandimento, ridipinture,patinatura, nuova cornice) e il quasi completo oblio per oltre due secoli (figg. 5-7, 14-15);la musealizzazione (successivamente a un probabile riadattamento di tipo analogo alle tretavole della predella) per la Disputa, con immediato riconoscimento dell’autore e delcontesto originario e quindi una valorizzazione unita a tutte le cure conservative, a costoperò della perdita di qualsiasi relazione con l’insieme per cui l’opera era stata concepita(figg. 4, 12); musealizzazione, ma con una sorte meno felice, per la Madonna in gloria,relegata nei depositi e slegata, anche nella memoria, dall’originaria collocazione oltre che,

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per due secoli, dal nome stesso dell’autore (fig. 3); acquisizione, poco più che momentanea,da parte del Museo per i quattro Evangelisti, che dopo appena quindici anni vengonodevoluti in ‘risarcimento’ ad un’altra chiesa, dove vanno incontro ad una oscura sorte chene comporta la dispersione, se non la distruzione.

4. I due contratti e una proposta per la “cona magna”

I due contratti relativi l’uno all’esecuzione della carpenteria, l’altro della doratura epolicromia della “cona magna”, costituiscono una singolare testimonianza che getta lucesu aspetti ancora poco esplorati dell’organizzazione del lavoro in un’opera complessa eche richiede il concorso di abilità e maestranze diverse36. Di grande interessse risulta lamenzione di un progetto grafico affidato allo scultore Girolamo Santacroce37, a cui,assieme al compito di firmare congiuntamente al notaio e custodire il disegno, comegaranzia della conformità a quanto pattuito in merito alle modalità esecutive dell’opera,era stata affidata forse l’ideazione della struttura decorativa dell’ancona, ad esclusionedelle tinte delle policromie da accordare alle dorature, la cui scelta era demandata ai “picturide le figure”, ovvero Polidoro da Caravaggio e Bartolomeo da Pistoia. A questi ultimi, epiù verosimilmente al solo Polidoro, come attesta la tradizione risalente al D’Engenio38,sarebbe stata affidata anche l’ideazione grafica – il “disegno” – delle “storie” da raffigurarenelle tavole dipinte.L’esistenza poi di due contratti ‘simmetrici’ per le due coppie di intagliatori e doratori, acui probabilmente facevano capo due distinte botteghe specializzate nell’una e nell’altraarte, è un altro elemento estremamente significativo, che sembra voler sottolineare unaequivalenza e un coordinamento dell’opera prestata dalle due maestranze, retribuite, forsenon a caso, in misura pressoché uguale. La circostanza che entrambi i contratti sianosottoscritti nello stesso giorno e prevedano il compimento dell’opera entro un annoimplicitamente attesta come il lavoro delle due maestranze fosse in realtà concatenato enon disgiunto, anche relativamente ai tempi, procedendo evidentemente di pari passo,coi doratori impegnati a completare man mano le parti di struttura e di intaglio approntatedai maestri del legno. È interessante notare, infine, che gli stessi artefici provvedono tantoall’allestimento dell’armatura della macchina e all’intaglio dei suoi rilievi e membrature –rispettivamente da eseguirsi in pioppo e tiglio, “de ligname de chiuppo e teglia” benstagionato – che all’approntamento delle tavole destinate ad essere dipinte, rispondendoanche per gli eventuali danni che per loro negligenza avessero avuto a patire in futuro, unavolte eseguite, pitture e dorature. Volendo ora tentare una proposta di ricomposizione del polittico, è possibile basarsi suun sufficiente numero di elementi perché risulti attendibile.

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L’intelaiatura complessiva – ipotizzando che la redazione finale della cornice intagliata edorata della “cona magna” abbia rispettato i criteri fissati nei due contratti del 1527, ilche sembrerebbe confermato almeno dal calibro proporzionale delle tavole superstiti –è ben descritta dai documenti: misure considerevoli, quarantuno palmi di altezza per ventidi larghezza, corrispondenti a circa 10,82 metri di altezza per 5,28 di larghezza; due ordini,l’inferiore ionico, il superiore corinzio (“quello de bascio jonico et nel superiore corintio”),l’ordine inferiore scandito da semicolonne decorate dai due terzi in su con fogliami(“colonne mezze tonne de relievo intagliate da li due terzi in su, de fogliame relevate”),l’ordine superiore da paraste scanalate, o forse piuttosto da colonne scanalate addossatea paraste (“con le colonne pilastrate scanalate dentro”). Il numero delle colonne, quattro,si deduce indirettamente da una notazione finale che rettifica il disegno, affermando che“le colonne … siano le dericte tucte quactro non obstante che in dicto designo siano doicolonne torte”; ne apprendiamo così con precisione anche la forma. Al di sotto, eraprevista una predella con la sua incorniciatura (“lo scabello scorniczato”) e infine sopra,per coronamento, una lunetta semicircolare (“meczo tondo”) circondata da puttini e dadue angeli scolpiti (“dua angeli con puctini de relievo”), come precisato nel documentosottoscritto dagli intagliatori. Dal contratto con i doratori si desume che tutti i rilievi delle colonne e le modanature dellecornici dovevano essere ricoperti d’oro: “si promectono … mectere et ponere de orofino et bono la sopradicta cona tucta, zoè li relevi de le colonne de bascio, lo altro tuctoposto del medesimo oro”; che erano previsti dei fregi decorativi (“frisecti”) da eseguirsi“fra li pilastri de sopra tanto ne li membrecti como fra l’una et l’altra”, seguendo il disegnocustodito da Girolamo Santacroce e le indicazioni dei “picturi de le figure”, ovvero“mastro Polidoro Caravagio, et mastro Barthomeo de Pistoya”, che avrebbero decisoanche il colore dei fondi delle colonne, per cui erano prescritti “coluri … fini et boni”.Anche i due angeli e i puttini previsti nel coronamento (“li ornamenti de sopra lo tonnode dicta cona, angeli, et puctini”) dovevano essere interamente dorati, salvo che negliincarnati (“tucti indorati de oro fino, reservate le carnascione”), come si osservafrequentemente in analoghi rilievi che contornano cornici o insiemi decorativi.La scoperta dell’esistenza dei quattro Evangelisti rafforza l’ipotesi di una collocazione dellaMadonna in gloria al di sopra della Disputa e conferma le affinità dello schema compositivodel polittico di Sant’Agostino alla Zecca con un’opera strettamente legata alla manieratarda del Cardisco e della sua bottega, la pala in Santa Maria Maddalena in Armillis aSant’Egidio del Monte Albino, terminata entro il 1543 e probabilmente esemplata nelsuo schema architettonico, ulteriormente amplificato da un terzo ordine, propriosull’opera napoletana39 (fig. 21). Non sembrano restare molti dubbi sulla disposizione

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degli scomparti della “cona magna”, salvo alcuni dettagli, che lasciano aperta la possibilitàdi altri, piccoli, rinvenimenti (fig. 22). Le quattro tavole degli Evangelisti dovevano occuparesimmetricamente i lati dei due pannelli centrali e non è da escludersi che ripetessero anchenell’incorniciatura – rettangolare nell’ordine superiore, centinata nell’inferiore – lo schemache osserviamo a Sant’Egidio del Monte Albino. Vista l’identità delle dimensioni dellequattro tavole degli Evangelisti, alte poco meno della Madonna in gloria, la maggiore altezzadella Disputa di Sant’Agostino nel registro inferiore lascia ipotizzare che lo spazio restanteal di sopra dei laterali potesse essere colmato da piccoli dipinti – o intagli – di formacircolare appunto, come a Sant’Egidio del Monte Albino e come nella pala di Santa Mariadelle Grazie alla Pescheria di Polidoro, oppure quadrata o rettangolare, come è dato vederein altri casi (ad esempio nel polittico di Giovan Filippo Criscuolo per la chiesadell’Annunziata di Gaeta)40. Infine i tre scomparti minori, un po’ meno larghi dei trepannelli che li sovrastavano, sembrano potersi disporre senza particolari difficoltà nellapredella, seguendo l’andamento compositivo delle figure. L’unico elemento di cui non è ancora possibile precisare l’iconografia, ma la cui forma èchiaramente indicata dai documenti, è il “meczo tondo”, la lunetta che costituiva la cimasa,circondata da due angeli e puttini di rilievo, “tucti indorati de oro fino” tranne che negliincarnati, come si deduce dal contratto con i doratori. Esiste una tavola attribuita a MarcoCardisco da Leone de Castris, un Padre Eterno e angeli di collezione privata, che corrispondeper forma, soggetto, dimensioni e caratteri di stile a quanto richiesto41 (fig. 23): è un’ipotesisuggestiva che, pur in assenza di elementi oggettivi che consentano di precisarne laprovenienza, non sembrerebbe infondata.A parte l’evidente polidorismo e la chiara funzione di cimasa della lunetta in questione,confortano la proposta il soggetto stesso – giova ricordare che il gruppo plastico che hasostituito la pala ha per coronamento una Trinità42 (figg. 9-10) – e soprattutto gli angeli,che sembrano costituire l’elemento di raccordo fra le tavole centrali, dove le figure deidiversi scomparti risultano poste nello spazio con un’armoniosa relazione di profonditàe movimento che la ricomposizione consente di recuperare43. La limitata leggibilità dellamateria pittorica, compromessa da ridipinture e rimaneggiamenti, non consentepurtroppo attualmente di individuare con un sufficiente margine di certezza analogie odifferenze significative nelle modalità esecutive o nelle condizioni di conservazione dellalunetta con i dipinti di Sant’Agostino alla Zecca, utili a sostenere o smentire l’attualeipotesi, che potrebbe ricevere un’importante, necessaria verifica in un intervento direstauro. Sembra di poter cogliere alcuni indizi positivi in dettagli quali le chiome ricciolutee investite dal vento dell’Eterno e degli angeli, la cui conduzione calligrafica a piccolepennellate – anche se apparentemente ripresa e appesantita da un intervento di restauro

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pittorico – trova riscontro in quella dei putti, del Bambino e del San Giovannino dellaMadonna in gloria (figg. 3, 8). La gamma cromatica, il trattamento delle ali degli angeli, glisquarci di cielo azzurro, sono altre indicazioni favorevoli, mentre desta qualche perplessitàla scala delle figure, leggermente più piccole rispetto a quelle delle altre due tavole. Tornando ora ad osservare la pala di Santa Maria Maddalena in Armillis di Sant’Egidiodel Monte Albino, possiamo provare a sovrapporre idealmente gli elementi superstitidella “cona magna” alla sua struttura architettonica, per tentare una restituzionedell’insieme (figg. 21-22). Se si elimina il terzo ordine, lasciando per coronamento la solacentina del dipinto superiore, si può verificare una notevole affinità fra quanto vediamodell’una e quanto sappiamo dell’altra macchina d’altare. La partizione dei due ordiniinferiori, ciascuno scandito da quattro colonne, la forma dei due pannelli centrali,centinato l’inferiore, quadrato il superiore (quest’ultimo peraltro evidentemente ispiratoanche nella composizione al modello della Madonna in gloria), i quattro dipinti lateralioccupati da quattro grandi figure, la partizione della predella, i rapporti proporzionali frai vari elementi, sono tutti indizi di una corrispondenza fra i due complessi che nonparrebbe casuale44.L’immagine dell’insieme, nuovamente riunito nella proposta di ricostruzione, restituisceagli elementi superstiti la serrata corrispondenza che li aveva legati nella grandiosamacchina d’altare di Sant’Agostino alla Zecca, tornando ad evocare la visione di quellaimpressionante “tavola ad olio, con grandissimo ornamento” che indusse Vasari aspendere sincere parole d’elogio per Marco Calabrese, il pittore che “in quella patriamostrò valere più di alcuno altro, che tale arte in suo tempo esercitasse”45.

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1 Vasari 1550, IV, 1976, p. 526. La citazione del brano è riportata sopra, pp. ??-??.2 Abbate 1970.3 Zezza 1994. 4 Bologna 1955, p. 246, nota 16; Bologna 1959, p. 78, nota 27.5 Leone de Castris 1999, pp. 121-122, n. 94. 6 A. Zezza in De Dominici 1742-1745, I, 2003, p. 549, nota 2. 7 Strazzullo 1962-1963, p. 35.8 ASSAN, III.D.6., 19, cc.n.nn.; cit. in Leone de Castris 1999, p. 122, n. 95.9 Vasari 1550, IV, 1976, p. 526; Vasari 1568, IV, 1976, p. 526.10 Abbate 1970, p. 40. 11 Come si è già avuto modo di ricordare (si veda sopra, p. ??), lo studioso ipotizzava inoltre che letre tavole fossero parte di un presunto coronamento della Disputa. Previtali (1978, p. 31 e didascaliadella fig. 45) riconobbe poi correttamente in Cristo tra gli apostoli il tema iconografico dei tre scomparti,precisandone anche la funzione di predella.12AMC; l’inventario riporta i quattro dipinti rispettivamente ai nn. 11899, 11900, 11901 e 11902, cosìdescrivendoli: “Quadro in tavola alto palmi nove, largo palmi quattro e un terzo, san Marcoevangelista, di Marco Calabrese, con cornice. Quadro in tavola alto palmi nove, largo palmi quattroe un terzo, san Luca evangelista, di Marco Calabrese. Quadro in tavola alto palmi nove, largo palmiquattro e un terzo, san Giovanni evangelista, di Marco Calabrese. Quadro in tavola alto palmi nove,largo palmi quattro e un terzo, san Matteo evangelista, di Marco Calabrese”. In margine è riportatoalla colonna “osservazioni”: “dato ai Camaldolesi della Torre del Greco”. 13 Queste le misure dei pannelli superstiti della “cona magna”: Disputa di sant’Agostino, 356x246 cm;Madonna in gloria, 266x246 cm; Cristo tra gli apostoli, 56x222,5 cm (scomparto centrale); 57x94 cm(scomparto sinistro); 56x93 cm (scomparto destro). I quattro Evangelistimisuravano ognuno 238x114cm circa (1 palmo napoletano=26,4 cm). La conversione dalle misure espresse in palmi a quelle incentimetri mantiene sempre un certo margine di approssimazione.14 ASSAN, III.D.8., 22, cc.n.nn.; l’elenco, già ricordato da Leone de Castris 1999 a proposito dellaDisputa (p. 122, n. 95), che vi figura al n. 19, e della Madonna in gloria (p. 121, n. 94), registrata al n. 35,annota anche, ai nn. 22, 23, 24 e 25: “Quadro in tavola alto palmi 9, largo palmi 4 [e] mezzorappresentante san Giovanni evangelista. Quadro in tutto simile: rappresentante san Luca evangelista.Quadro in tutto simile: rappresentante san Matteo evangelista. Quadro in tutto simile: rappresentantesan Marco evangelista”. A margine, riferita ai quattro dipinti, è riportata l’annotazione: “In magazzinoper piazzarsi in Galleria, scuola napoletana”.15 ASSAN, XXI.B.7., 13, cc.n.nn.: “Nota della spesa occorre per lo rassetto de’ quadri in tavola discuola napoletana da eseguirsi dal restauratore de’ bronzi signor Trapani, giusta la sovranadisposizione de’ 26 aprile corrente anno [1822]”. L’intervento commissionato al Trapani per il nutritogruppo di tavole, fra le quali compariva anche la Disputa, comportava per lo più l’applicazione ditraverse o regoli di legno. Trapani godeva di un “soldo” come componente dell’officina dei bronzie non veniva quindi pagato per questo incarico, per cui la nota di spese registrava il costo dei materiali(appunto legname, colla e viti) occorrenti. Per le quattro tavole di Cardisco, registrate collettivamenteai nn. 29, 30, 31 e 32 dell’elenco come “quadri in tavola di palmi 9 per 4 [e] un terzo rappresentantii quattro evangelisti, di Marco Calabrese”, era prevista l’applicazione di “piccole traverse” da applicarsicon “colla e viti” per la spesa di ducati 1. Nello stesso elenco, al n. 22, è riportato l’intervento previstoper la Disputa: “Quadro in tavola palmi 12 per 9 raffigurante san Agostino che disputa cogli ereticidel Cardisco Calabrese n.. 135. Rimettere la tavola nelle rispettive commessure e rassetto, per viti ecolla, grani 50”. L’avvenuta esecuzione degli interventi è attestata da un appunto registrato alla finedell’elenco in cui Raffaele Trapani dichiara di ricevere in data 28 aprile 1824 la cifra corrispondentealla spesa necessaria. La Disputa inoltre è segnalata in un gruppo di tavole che “hanno bisogno diessere senza ritardo appianate nelle varie parti sollevate”, un’operazione di consolidamento di difetti

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di adesione degli strati pittorici, quindi, per la quale in data 8 aprile 1823 il ministro Ruffo comunical’approvazione sovrana (ASSAN, XXI.B.7., 14, cc.n.nn.).16 ASSAN, III.E.3., 8, cc.n.nn., “Notamento de’ quadri risultati di scarto dietro la classificazione fattadal cavaliere Camuccini”, luglio 1826; le quattro tavole, riportate ai nn. 1145, 1146, 1147 e 1148 come“Santo evangelista” la prima, e quindi ciascuna delle tre seguenti come “Altro compagno”, sono quiattribuite a “scuola del Cardisco” e non più evidentemente considerate autografe del maestrocalabrese.17 Giacomini 2007, pp. 78-82.18 È il caso, fra gli altri, delle grandi tavole del Vasari (due laterali della Caduta della manna) e di MarcoPino (Trasfigurazione; Conversione di san Paolo) inviate a Palermo (ora nel Museo Diocesano le prime;nella Galleria Regionale della Sicilia le seconde). Si vedano Pugliatti 1981-1982; Della Gatta 2008.19 ASSAN, XXI.B.8., 7, cc.n.nn.; lettera del 10 settembre 1832. Arditi aggiungeva quindi che “primaperò di collocarli fa d’uopo di praticarvi qualche restaurazione” per cui, sentito il parere del professoredell’Accademia di Belle Arti Raffaele Mattioli, aveva già pattuito il prezzo (di ducati 50) colrestauratore Amodio. La risposta del marchese Ruffo del 12 settembre comunicava prontamentel’approvazione. 20AMC, 2, 18, cc.n.nn.; ringrazio Sergio Liguori per la segnalazione. I documenti, risalenti ad un arcodi tempo compreso fra il dicembre 1828 e il febbraio 1829, includono un breve carteggio fra il prioredell’eremo, il Ministero di Casa Reale e la direzione del Real Museo Borbonico; il Ministero inoltraal direttore del Museo la richiesta del priore del 3 dicembre 1828, che recita: “bisognando nel corodi detto eremo, ne’ quattro vani che ivi sono, alcuni quadri, e ritrovandosi nel Museo, e propriamentenel quartino del controloro, sette quadri di scarto, che unendoli insieme potrebbero adattarsi nellisuddetti quattro vani del coro dell’eremo, prega perciò l’Eccellenza Sua ordinare al custode diconsegnare …”. Dopo una breve corrispondenza, in data 14 febbraio 1829 “Onofrio eremitacamaldolese” firma la ricevuta: “Dichiaro qui sottoscritto d’aver ricevuto dal controloro del RealMuseo don Giuseppe Campo i sette quadri di scarto da sua maestà accordati all’eremo dei Camaldolidella Torre”.21 Alcune notizie si desumono dal carteggio relativo ad un accertamento operato dalla Prefettura diNapoli nel 1999, conservato presso l’archivio della Soprintendenza per i Beni Architettonici ePaesaggistici di Napoli e Provincia, da cui risulta come l’eremo fosse stato colpito da soppressionecon decreto luogotenenziale 17 febbraio 1861, per poi essere tenuto in gestione provvisoria daglistessi monaci camaldolesi, per conto della Cassa Ecclesiastica. Successivamente, si erano avvicendatidiversi proprietari privati, l’ultimo dei quali, la baronessa tedesca Ursula Stohrer, nel secondodopoguerra cedette l’immobile – devastato dalle conseguenze dei bombardamenti e dalla occupazionedelle truppe alleate, quindi passato ad alloggio dei sinistrati – nuovamente alla Chiesa. Va segnalatoinoltre come nel 1879 non vi sia menzione dei quattro Evangelisti in una nota di quadri e statue,provenienti dalla chiesa dei Camaldoli di Torre del Greco ormai chiusa al culto, sottoposti all’esamedel direttore del Museo Nazionale Demetrio Salazaro per valutarne l’interesse artistico (ASSAN,III.D.6., 51, cc.n.nn.).22 Si veda sopra, pp. ??-??, anche per i rimandi bibliografici.23 ASPAN, OA/1-75, verbale n. 180/84 del 20 luglio 1984, che registra il ritiro di 20 opere effettuatoda Ida Maietta per l’allora Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Napoli. Al verbale è allegatoanche un appunto grafico che annota la disposizione dei diversi dipinti sulle pareti della sacrestia: itre scomparti di Cardisco erano disposti simmetricamente in alto, il centrale sulla parete di fondo egli altri due ai lati sulle due pareti adiacenti. Un altro verbale registra i danni conseguenti a un furtoavvenuto pochi giorni prima, che aveva evidentemente motivato il provvedimento di ritiro.Attualmente i tre dipinti, dopo essere stati sottoposti a restauro, sono esposti al secondo piano delMuseo di Capodimonte.24 Venditti 1961-1962, p. 176. Nell’attuale allestimento, che presenta gli elementi della predella accanto

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alla Disputa di sant’Agostino, si è ritenuto opportuno esporre i dipinti senza queste cornici.25 Per i recenti interventi di restauro, eseguiti nel 2006-2007 nei laboratori della Soprintendenza daAntonio De Negri e Giuseppe Marino, si rimanda alla documentazione conservata presso il CentroDocumentazione della Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico edEtnoantropologico e per il Polo Museale della Città di Napoli. 26 Si veda in proposito Napoli, Roma, Dresda 2005-2006.27 D’Alconzo 2003. 28D’Alconzo 2003, p. 153; p. 160, n. 63: ASSAN, XXI.B.5., 2, cc.n.nn., restauro affidato a GiuseppeAmodio, verbale della commissione del 4 agosto 1826: “in questo quadro si debbono togliere moltiridipinti in quasi tutte le figure, si debbono rimpiazzare molti pezzi suppliti di nuovo, e si deverimpiazzare quasi una mezza figura in molte parti caduta nel lato sinistro del quadro. Si è fissato ilprezzo di ducati 60”. Possiamo aggiungere che dalla nota a margine dello stesso documento si desumea proposito dei “pezzi suppliti di nuovo”, evidentemente degli innesti di nuovo legno (applicati perrisarcire lacune del supporto deteriorato, o più verosimilmente, come vedremo, per riquadrare lacentina), che “questi pezzi di tavola sono già stati suppliti dal signor Campo sui ducati 16precedentemente ottenuti”. Infatti in ASSAN, XXI.B.8., 1, cc.n.nn., troviamo una nota di spesefirmata dal “controloro” del Museo Giuseppe Campo, in cui, oltre a riportare il costo delle operazionidi smontaggio e ricollocazione dei dipinti di grandi dimensioni sottoposti a restauro, si dava contoanche della spesa per “diverse riparazioni occorse a talune di esse sopra tavola”; per la Disputa l’elencoindica la spesa occorsa “per staccarlo dalla parete e situarlo a lume ducati 1,80”; poi, “per accomodialla tavola, e gran tasselli occorsi, ducati 3,50” e quindi “per rimetterlo al suo posto per mezzo deltiro ducati 1,50”, con l’annotazione a margine “1826 Agosto”. Infine l’avvenuta esecuzionedell’intervento di pulitura e integrazione affidato ad Amodio è attestata da un altro documento,prodotto dal Ministero di Casa Reale in data 8 agosto 1826 (in ASSAN, XXI.B.7., 17, cc.n.nn.), concui si accoglievano le indicazioni della commissione assegnando il lavoro ad Amodio per 60 ducati,a margine del quale, in data 18 settembre 1826, è annotato che “si è riunita la commissione ed avendoesaminato il lavoro di Amodio sul Cardisco lo ha trovato ben eseguito”, e si dispone quindi il saldodel pagamento.29 Il restauro fu eseguito in due fasi, la prima dalla Cooperativa “Restauro ’81” diretta da FrancescoVirnicchi (1986-1989), la seconda dalla ditta Virnicchi (1998-1999). Si veda la documentazioneconservata presso il Centro Documentazione della citata Soprintendenza Speciale di Napoli.30 Le osservazioni sullo stato precedente all’intervento, solo in parte desumibili dalla documentazioneconservata in Soprintendenza, sono state precisate in un lungo colloquio col restauratore FrancescoVirnicchi, responsabile del restauro al quale, con molta meno consapevolezza e competenza, anchechi scrive ebbe modo di collaborare. 31 R. Causa in IV mostra 1960, p. 110. Il catalogo della mostra presentava i quindici anni di attività svoltidalla Soprintendenza alle Gallerie della Campania nel significativo periodo che dal dopoguerra avevaportato all’istituzione, nella nuova sede di Capodimonte, di un avanzato laboratorio di conservazione.Dalla stessa scheda si desume che l’intervento fu eseguito nel 1957 da Martino Oberto, chenell’introduzione Raffaello Causa, elencando i nomi di tutti i restauratori che avevano prestato laloro opera nel laboratorio di conservazione di Capodimonte, dice proveniente da Genova.L’indicazione dei numeri di negativo consente di recuperare la documentazione fotograficadell’intervento.32Anche nella Disputa è stata rilevata in alcuni punti del bordo una linea di demarcazione analoga. Nonsembra riscontrabile invece nella Madonna in gloria, dove però non sono presenti figure realizzate suimargini.33 La tavola è stata restaurata nel 1985-1986 da Mario e Bruno Tatafiore; anch’essa, come la Disputa

e le predelle, deve aver subito una drastica pulitura in antico che ne ha impoverito la pellicola pittorica.Anche il supporto risulta notevolmente deteriorato, con parti risarcite da tasselli di nuovo legno; non

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sono stati comunque rilevati indizi materiali che inducano a ritenere che il pannello abbia subitodecurtazioni o ridimensionamenti. L’unico restauro antico di cui si è trovata notizia è quello, giàcitato, dovuto a Giuseppe Amodio nel 1832 (si veda anche la nota 19).34 Vasari 1550, I, 1966, p. 117; Vasari 1568, I, 1966, pp. 111-113, 117-121; Armenini 1586, pp. 68-72,89-95.35 Si veda sopra, pp. ??-??.36 Zezza 1994, pp. 146-147, docc. 4-5; ripubblicati in Naldi 1997, pp. 195-196, docc. 3-4, dalla cuinormalizzazione sono tratte le citazioni che seguono. 37 Il ruolo di Santacroce dovette consistere forse in un compito di ‘regia’ analogo a quello che,sessant’anni dopo, avrebbe svolto nel cantiere del soffitto ligneo di Santa Maria DonnaromitaGiovanni Andrea Magliulo, cfr. Vargas 1988, pp. 159-160 dell’appendice documentaria a cura di A.Delfino. La registrazione dei pagamenti per il ricco soffitto intagliato, dorato e dipinto diDonnaromita (1587-1589) rappresenta una testimonianza di grande interesse sull’articolazione dellavoro delle diverse maestranze. Una messa a fuoco della poliedrica personalità del Magliulo è in DeMieri 2004-2005, pp. 75-83; De Mieri 2009, pp. 99-118.38 Per la testimonianza di D’Emgenio si veda sopra, p. ??. Va ricordato che sono noti disegni diPolidoro anche per strutture decorative e cornici di dipinti.39 Sul polittico di Sant’Egidio del Monte Albino si veda sotto, pp. ??-??. L’opera misura circa 850x490cm.40 Per la pala di Polidoro si veda Leone de Castris 2001, pp. 287-322; per quella del Criscuolo, Naldi1989, pp. 36-48, figg. 31-34.41 P. Leone de Castris in Giusti, Leone de Castris 1985, p. 247; p. 265, tav. 48; Idem in Giusti, Leonede Castris 1988, p. 234; p. 218, tav. 51. Incoraggia questa ipotesi la datazione proposta dallo studioso,derivata dall’osservazione nell’opera di un influsso polidoresco, riconducibile al tempo della secondavenuta del pittore a Napoli o a possibili contatti avvenuti in epoca ancora precedente. Se accogliamol’ipotesi che identifica nell’Eterno il coronamento della “cona magna”, si può immaginare che l’operasia stata, in epoca imprecisata, oggetto di una vendita illecita o di un trafugamento, per finire sulmercato ed essere acquistata come arredo prestigioso di una privata dimora. La lunetta misura 90x195cm.42 Si veda sopra, pp. ??.43 Va ricordata in proposito l’ipotesi di Bologna, riportata da P. Leone de Castris in Giusti, leone deCastris 1988, p. 282, che la lunetta in questione possa aver fatto parte del polittico della chiesa di SantaBarbara in Castel Nuovo, da cui provengono un San Sebastiano ed un San Rocco ora nel Museo Civicoe del quale faceva parte, stando alle descrizioni antiche (De Dominici 1742-1745, I, 2003, p. 550), uncoronamento con il Padre Eterno. Pur considerando possibile questa proposta, Leone de Castrisribadisce la necessità che la lunetta sia stata eseguita dopo l’arrivo di Polidoro a Napoli, “ormai cosìdeterminante e palese nella stesura formale del Padre Eterno”. Si veda anche P. Leone de Castris inCastel Nuovo 1990, pp. 134-135, n. 17.44 Un ulteriore riscontro viene da un dettaglio della decorazione delle cornici, le testine di cherubiniche circondano la lunetta superiore della pala di Sant’Egidio del Monte Albino, che richiamano i“puctini de relievo” previsti per “li ornamenti de sopra lo tonno” dell’ancona napoletana. L’incongruadoratura, estesa, oltre che sulle ali, a tutta la superficie delle testine senza risparmiarne gli incarnati,a differenza di quanto normalmente si riscontra e diversamente da quanto prescritto per la doraturadella “cona magna”, è probabilmente da attribuirsi ad un intervento di restauro che ha maleinterpretato queste parti, rendendone difficile la lettura alla normale distanza di osservazione.45 Vasari 1550, IV, 1976, p. 526; Vasari 1568, IV, 1976, p. 526.

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scultori, e architettori …, Firenze 1568; edizioneconsultata in G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori

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