La Compagnia di Gesù e la medicina nel primo Ottocento. Ipotesi di ricerca

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Mélanges de l’École française de Rome - Italie et Méditerranée modernes et contemporaines 126/1 (2014) De la suppression à la restauration de la Compagnie de Jésus : nouvelles recherches - Varia ................................................................................................................................................................................................................................................................................................ Fernanda Alfieri La Compagnia di Gesù e la medicina nel primo Ottocento. Ipotesi di ricerca ................................................................................................................................................................................................................................................................................................ Avertissement Le contenu de ce site relève de la législation française sur la propriété intellectuelle et est la propriété exclusive de l'éditeur. Les œuvres figurant sur ce site peuvent être consultées et reproduites sur un support papier ou numérique sous réserve qu'elles soient strictement réservées à un usage soit personnel, soit scientifique ou pédagogique excluant toute exploitation commerciale. La reproduction devra obligatoirement mentionner l'éditeur, le nom de la revue, l'auteur et la référence du document. Toute autre reproduction est interdite sauf accord préalable de l'éditeur, en dehors des cas prévus par la législation en vigueur en France. Revues.org est un portail de revues en sciences humaines et sociales développé par le Cléo, Centre pour l'édition électronique ouverte (CNRS, EHESS, UP, UAPV). ................................................................................................................................................................................................................................................................................................ Référence électronique Fernanda Alfieri, « La Compagnia di Gesù e la medicina nel primo Ottocento. Ipotesi di ricerca », Mélanges de l’École française de Rome - Italie et Méditerranée modernes et contemporaines [En ligne], 126/1 | 2014, mis en ligne le 05 août 2014, consulté le 08 septembre 2014. URL : http://mefrim.revues.org/1691 Éditeur : École française de Rome http://mefrim.revues.org http://www.revues.org Document accessible en ligne sur : http://mefrim.revues.org/1691 Document généré automatiquement le 08 septembre 2014. © École française de Rome

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Mélanges de l’Écolefrançaise de Rome - Italie etMéditerranée modernes etcontemporaines126/1  (2014)De la suppression à la restauration de la Compagnie de Jésus : nouvelles recherches -Varia

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Référence électroniqueFernanda Alfieri, « La Compagnia di Gesù e la medicina nel primo Ottocento. Ipotesi di ricerca », Mélanges del’École française de Rome - Italie et Méditerranée modernes et contemporaines [En ligne], 126/1 | 2014, mis enligne le 05 août 2014, consulté le 08 septembre 2014. URL : http://mefrim.revues.org/1691

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La Compagnia di Gesù e la medicina nelprimo Ottocento. Ipotesi di ricercaLo statuto della medicina negli orizzonti gesuitici: questionidi disciplina e di organizzazione delle discipline

1 Questo contributo intende ipotizzare scenari di ricerca, partendo da temi e contestipotenzialmente esemplari. Esemplari non perché si supponga possiedano un’assolutarappresentatività, costituendosi a modelli normativi, ma perché, per le differenti problematicitàdi cui sono portatori, possono contribuire a restituire alla Compagnia dei decenniimmediatamente successivi alla sua restaurazione una o, assai più probabile, molte fisionomie.Si procederà a partire dalle singolarità dei casi e da un mosaico di esperienze e situazioni. Lorichiede non solo il carattere esplorativo di questo studio, ma la stessa posizione della medicinanell’ordine dei saperi e delle pratiche gesuitiche: mai accolta nel canone, ma presente in formetanto implicite quanto diffuse.

2 È nota la norma che vieta a chi è nello stato sacerdotale di compiere azioni curativeche provochino contaminante versamento di sangue, pena l’irregolarità, salvo eccezionalepermesso del papa. Si tratta di un’antica preoccupazione per la purità rituale di matriceveterotestamentaria, analoga nelle sue motivazioni originarie a quella che interdice ai chiericiil contatto sessuale con donne (chi amministra il sacro non entri in contatto con le forze occultedella vita e della morte2), che col concilio Lateranense IV (1215) diventa esplicita condannadel chierico chirurgo. Ancora nel Codice di diritto canonico del 1917 si proibisce ai consacratil’esercizio della medicina e della chirurgia salvo permesso del papa, e, benché si ipotizzinopossibili eccezioni in caso di emergenze, si paventa la irregularitas ex delicto qualora lapersona curata morisse a seguito dell’intervento3. La Compagnia di Gesù non fu immunedall’interdizione. La licenza concessa da Gregorio XIII nel 1576 di praticare la medicina incaso di necessità e in assenza di medici escludeva, infatti, l’incisione e la cauterizzazione4.

3 Alla base dell’organizzazione delle discipline che precludono al clero lo studio e la praticadella medicina vi è, quindi, un’istanza originaria di disciplina: preservare lo stato sacerdotaledalla contaminazione (non versare o far versare sangue) e mantenerlo così, nella purezza enell’interezza, separato da quello laico. Un’istanza che, almeno in linea teorica, in età modernasi era fatta tanto più necessaria in un contesto confessionale come quello cattolico, che sicontrapponeva a quello riformato anche accentuando la distinzione fra clero e laici, e ponendoil celibato sacerdotale (costituito da soggetti i cui corpi non devono essere contaminati) inposizione di superiorità gerarchica rispetto al popolo comune. In teoria, solo a quest’ultimoè dato di mischiarsi al mondo nella forma regolamentata e sacramentalizzata del matrimonio,che controlla e assegna dignità e ragion d’essere alle fisiologie della generazione, altrimenticonsiderate degradanti. E, quanto alle questioni che qui interessano, solo a quest’ultimo è datodi dedicarsi alla cura dei corpi, venendo a contatto con le loro superfici e con le loro sostanze.Del resto le tecniche diagnostiche della medicina di Antico Regime, basate sull’applicazionediretta e totale dei sensi del medico (il tatto, la vista, l’odorato e il gusto) all’esame delpaziente, non potevano che confermare la necessità di cautela5. Dell’interdizione alla praticamedica rivolta a tutto il clero bisogna quindi tenere presente nel trattare lo specifico contestogesuitico, almeno quanto alle norme. Tale interdizione ha un effetto centrifugo, perché fasì che la medicina sia in qualche modo respinta dalle sedi istituzionali di produzione e ditrasmissione dei saperi della Compagnia. Essa assume invece un carattere diffuso: confinatanelle esperienze di missione (lontano dalle gerarchie centrali che convalidano il corpus dellenorme), declinata nella farmacia e nella botanica (lontano dal contatto diretto coi corpi)6,oppure connessa agli interessi individuali, legati a singole biografie dalle configurazioniuniche e irriducibili a tipi astratti.

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4 Tuttavia, è altrettanto necessario tenere presente che l’interpretazione dell’interdizione fuspesso piegata alle circostanze. Ignazio stesso avrebbe praticato flebotomie ai suoi fratelli, e,sempre stando alla prima Compagnia, il neocostituito corso di filosofia al Collegio Romanoavrebbe visto assegnare la docenza al gesuita e medico Balthazar de Torres, che dietropermesso del papa prestava cure sanitarie alla casa professa e al Collegio stesso7. Solo dueesempi eclatanti dalla storia delle origini, ai quali se ne potrebbero aggiungere altri. Leeccezioni alla regola – legittimate da licenze pontificie – abbondano nel contesto missionario,dove la cura dei corpi si fa non solo necessaria alla sopravvivenza dei missionari stessi, maanche strumentale all’evangelizzazione8.

5 Quanto alla didattica, le Costituzioni ignaziane stabilivano che la medicina, così come ildiritto, non è da considerare fra le materie di insegnamento nei collegi e nelle universitàdella Compagnia, e che in ogni caso (che per altro si verificò9) non sono i membridell’ordine a doversene fare carico. Le due discipline sono infatti definite « distanti » rispettoallo spirito dell’istituto, che fa della teologia il cardine disciplinare dell’organizzazionedell’insegnamento, il culmine di tutti i saperi (tutto, in fondo, parla di Dio) e il fine di unaformazione di soggetti chiamata, quindi, ad essere solida in primis teologicamente, per unamilitanza che deve esercitarsi a partire dal terreno dottrinale10.

6 L’esclusione della medicina dal canone delle discipline formulato dalla Ratio studiorum nonsignificò, come è noto, l’assenza né di nozioni sul vivente nella didattica11, né della medicinastessa dall’ordine dei saperi. Si pensi, per esempio, al canale casuistico, che come è notoconobbe un’intensa proliferazione dalla seconda metà del XVI secolo. Nei casi, in cui lalegge si discute alla luce delle possibili varianti umane e in cui l’elemento esperienziale simescola all’apparato di norme a disposizione, è possibile anche l’inclusione autoritativa ditesti medici nel canone dei loci theologici. Questo accade, per esempio, nelle Disputationes desancto matrimonii sacramento (1602-1605) di Tomás Sánchez, che in alcuni passaggi mostradi preferire l’embriologia galenica (ricevuta da un’aggiornata traduzione latina delle opere diGaleno da parte di Francisco de Vallés, medico di Filippo II), o l’esplicazione di Avicennadella fisiologia del piacere femminile (ricavata dal commento alle Leges Tauri del giuristaAntonio Gómez) alla tradizionale embriologia aristotelica (trasmessa da Alberto Magno eTommaso d’Aquino), o alla vulgata ippocratica veicolata dalla Patristica. L’introduzione dellamedicina nell’orizzonte delle auctoritates consente a Sánchez di formulare una valutazionemorale (decolpevolizzare la ricerca volontaria di voluptas nella donna sposata ai fini dellaperfetta generazione) che rompe con la tradizione precedente, ma che, non a caso, risulteràsgradita tanto al generale Claudio Acquaviva quanto ai censori che operarono nell’espurgarele edizioni successive del trattato. La condanna delle autorità all’opera di Sánchez non arrivòtanto per l’attribuzione alla medicina di un peso normativo, ma per l’effetto decolpevolizzanteottenuto dall’assegnare un determinante peso morale alla naturalità della fisiologia riproduttiva(se serve alla generazione, anche la fruizione della voluptas è lecita)12.

7 Il caso citato non vuole postulare una conflittualità assoluta tra medicina e teologia, che,anzi, come è stato dimostrato, condividono a lungo un’episteme comune. Per secoli, lecondizioni di conoscenza e gli assetti di potere non sono tali da far sì che la prima sia inesplicita concorrenza con la seconda13. Inoltre, l’ordine dei discorsi e delle pratiche accentuadall’età post-tridentina la subordinazione della figura del medico a quella del confessore.Benché abbia voce in capitolo (per esempio, è interpellata per definire le condizioni in cuisi può pronosticare il pericolo di morte e stabilire se vi è giusto stato di coscienza perricevere il sacramento) la funzione del medico è intesa a lungo come ancillare e preparatoriaall’intervento del parroco14. Prevedibilmente, anche le narrazioni che giungono dall’ordinegesuitico confermano il subordine della cura del corpo a quella dell’anima. La presenzaregolare di padri negli ospedali, o il loro impegno straordinario in occasione di epidemie o dicalamità come la guerra, oltre a costituire espediente di edificazione e prova del soggetto datoredella cura, tende come ultimo scopo alla somministrazione delle cure spirituali nel momentoestremo15.

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8 Inoltre, se è esclusa dalla formazione gesuitica per la ragione canonica del suo potenzialecontaminante e per la sua distanza dalla teologia, la medicina torna costantemente comedisciplina modello dalla quale trarre un metodo per la cura dell’anima (il tema del confessoremedico e della confessione medicinale – intesa la medicina come purga, elemento di sofferenzanecessario alla guarigione – dominano la manualistica di età tridentina, specie gesuitica) e peril mantenimento dell’ordine all’interno della Compagnia, intesa quest’ultima come corpo. Sipensi, quanto all’ultimo caso, alle Industriae ad curandos animae morbos inviate dal generaleAcquaviva ai superiori nel 1600.

9 Infine, il corpo è tutt’altro che assente come oggetto di discorso ed azione. Anzi, ècostantemente tematizzato, tanto nel corpus che regola la disciplina dell’ordine stesso, quantonella teologia morale pratica, codificata come scienza a sé nel primo Seicento (le Institutionesmorales del gesuita Juan Azor ne sono emblematiche) e impegnata nella costruzione di unamorale ad hoc per i vari stati (coniugati, sposi promessi, omnino soluti). Si consideri, peresempio, che nel menzionato testo di Azor, pubblicato nel 1600, il primo dei quattro libridedicati all’esame degli atti umani, prima di affrontare l’esame della legge divina, ecclesiasticae secolare, dedica una trattazione sistematica alla struttura biologica dell’essere senziente,alle leggi naturali che governano l’agire alla radice. Lo richiede un’episteme, intrisa diaristotelismo attraverso la via della scolastica e dei commentari ad Aristotele compilati neicollegi gesuitici, che concepisce la persona come compositum humanum, in cui anima e corposono combinate in una relazione di costante interazione dinamica16. Benché collocate in scalegerarchiche differenti (l’anima è dotata di vita eterna e il corpo è destinato a una finitezza chelo rende indegno di cura), e ontologicamente autonome, le due entità sono necessarie l’unaall’altra per la vita umana. L’anima è principio vitale che regola la costituzione del corpo, dalconceptus (cioè dal seme maschile e femminile raccolti nell’utero e qui coagulati) al feto. Unavolta compiutamente formato il feto, l’anima governa il nutrimento e la crescita. Al corpo, finoalla morte, fornisce calore, movimento, sensibilità. E pur conservando la propria autonomia,del corpo si serve come di uno strumento necessario, perché senza di esso non può compierela sua finalità, che è la conoscenza razionalmente elaborata, la quale passa attraverso i sensi.Insomma, dal corpo non si prescinde. E la sua stessa naturalità, se da un lato lo rende soggettoad inquietanti dinamiche involontarie, dall’altro, e proprio per questo, lo rende ostacolo datrascendere per il superamento di sé.

10 Il quadro tematico e problematico fin qui delineato – necessariamente sparso, anche in assenzadi uno studio complessivo sulla medicina e l’ordine ignaziano17 – può essere riferito allaCompagnia di Antico Regime. Nell’affrontare la storia successiva al 1814, sarà da tenerepresente, in primo luogo, la persistenza dell’ossatura normativa gesuitica originaria, a frontedi un contesto profondamente mutato. La XX Congregazione Generale del 1820, la prima delnuovo corso, stabiliva come nuovamente vigente tutto il corpus precedente alla soppressione.Si può quindi presumere che, almeno dal punto di vista normativo, l’atteggiamento verso lamedicina della Compagnia, intesa come istituzione organizzata, risulti in linea di principioinalterato. Tuttavia, l’ordine che la bolla di restaurazione del 1814 rimetteva al mondo eraquello approvato da Paolo III nel 1540. Alla Compagnia ottocentesca, infatti, non venivanorestituiti i privilegi acquisiti nei suoi primi due secoli e mezzo di vita, fra cui la menzionatalicenza conferita da Gregorio XIII. Nel luglio 1826, Leone XII ripristinava i privilegi e lefacoltà concesse dai pontefici precedenti, Gregorio XIII incluso. Nel decreto, la riammissioneall’esercizio della medicina non era però esplicitata18. La mancata menzione significa unmancato ristabilimento della licenza? E allora quando, e in quali forme, fu nuovamentelegittimata la pratica medica nella Compagnia? È probabile che si sia continuato a procederecaso per caso, e a partire dai contesti missionari, come accadde nella missione nel Madurai,iniziata nel 1836 e contraddistinta, anche per le drammatiche condizioni ambientali incontratee le continue epidemie, dal ricorso frequente a incisioni per salassi e interventi chirurgici, dietroconcessione di Gregorio XVI19. O come nel caso della missione del Madagascar, intrapresanel 1845. Prima ancora di arrivare alla meta, il padre Marc Finaz (1815-1880) chiedeva algenerale di concedergli « de faire quelques opérations de chirurgie: par example, saigner »20,per affrontare quella che padre Louis Jouen (1805-1872), suo compagno nell’impresa, pochi

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mesi dopo avrebbe battezzato « mission des fièvres »21. Come si è detto, si trattava, da un lato,di necessità di sopravvivenza, dall’altro, di usare strategicamente la medicina per la conquistadelle anime. Una combinazione che con ogni probabilità aprì a sperimentazioni altrimenti nonammesse.

11 Quanto alla didattica, è noto che nel 1830 la Ratio Studiorum veniva affidata a unacommissione per il suo aggiornamento, proseguendo un’operazione iniziata già in occasionedella citata Congregazione XX. Nonostante le esortazioni del generale all’adeguamentourgente alle esigenze dei tempi mutati, le modifiche apportate non furono sostanziali rispettoalla formula canonizzata nel 1599. La nova editio, pubblicata nel luglio 1832, ottennedifficile applicazione e di fatto non venne mai ratificata da una Congregazione Generale. Unmanoscritto anonimo, ma attribuibile a Francesco Manera (1798-1847)22, prefetto degli studial Collegio Romano nonché membro della commissione per l’aggiornamento della Ratio,segnalava nel dicembre 1833 i limiti della riforma al provinciale Giovan Battista Dassi. Deltesto, che meriterebbe un’analisi approfondita, si riportano in questa sede alcuni stralci chepossono essere d’interesse per il tema qui in oggetto. Oltre a denunciare che « lo studio dellamorale è decaduto », Manera segnala che, quanto alla « fisico-chimica ... si è voluto eliminareda questa facoltà il metodo scientifico, e attenersi al modo storico ». Il senso dell’affermazioneè così spiegato: « Si è sbandita affatto ogni ombra d’argomentazione ... quasi che sino algiorno d’oggi sia stato un errore il permettere che si esaminassero le prove di alcuna tesi, eche affacciandosi alcuna difficoltà si proponesse questa in forma di sillogismo ». La stessaperdita di sostanza lamentata da Manera per le scienze avrebbe toccato anche la « Filosofiadi Religione ... Con pochissima utilità degli scolari e con somma noia de’ medesimi si spesetutto l’anno nel confutare Dio sa come il sistema di Kant, tutto pura metafisica, senza chenulla vi fosse prossimamente connesso con la religione ». Ma anche la metafisica ne era uscitapenalizzata. Seguendo le prescrizioni del « nuovo Ratio Studiorum ... la metafisica del terzoanno debbe essere come un supplemento delle quistioni omesse nel primo anno, e megliocorrisponda altresì al proprio nome che è filosofia di religione ». Tuttavia, « non potendosinella metafisica del primo anno, attesa la copia delle materie, nulla affatto esporre, 1. delleproprietà e leggi generali dei corpi e di tutto il sistema mondano, 2. della possibilità de’ vericaratteri e in quanto si distinguono dai prestigi »23, la metafisica è stata di fatto privata deifondamenti. Manera lamenta, insomma, un generale svuotamento delle materie sostanziali e,forse, un venir meno di quello strumentario concettuale e retorico che aveva permesso persecoli alla Compagnia di applicare il « dovere di intelligenza »24 ad un ampio spettro di saperi. Ilparere del giovane gesuita, sulla cui figura si tornerà tra poco, può offrire intanto lo spunto perinterrogare la forma mentis che la Ratio ottocentesca intende plasmare, in rapporto al sistemadella conoscenza in generale e, quanto all’argomento trattato in questa sede, alle nozionisul vivente. Sarà necessario chiedersi, inoltre, il senso della denuncia del decadimento dellostudio della morale operata dal prefetto, e da qui formulare una domanda circa l’entità dellaproduzione teologico-pratica – nell’antica Compagnia fortemente connessa con la didattica– nel quadro dell’assetto generale della gerarchia delle discipline nel nuovo corso. Qualescenario si prospetta nell’Ottocento? La storiografia non ha mancato di segnalare l’incrinaturadegli orizzonti « teologizzati » di Antico Regime e la perdita, da parte della teologia, dellasua carica e della sua ambizione inglobante, nonché della sua comunanza epistemica conla medicina. Tuttavia, in accordo con il generale superamento storiografico delle teleologiedel disincanto25, anche in questa sede si cercherà di evitare da un lato, di porre la medicinaunicamente sul versante della razionalizzazione secolarizzante; dall’altro, di attribuire allaCompagnia restaurata un’anima unica, essenzialmente conservatrice e repulsiva delle novità,comprese quelle provenienti dalle scienze. Bisognerà, inoltre, interrogarsi non solo sullostatuto della medicina nella gerarchia dei saperi, ma anche sulla sua importanza sociale epolitica in senso lato, quindi sulle sue possibili strumentalità. Quest’ultimo elemento appareparticolarmente condizionante, almeno nei primi decenni di vita della Compagnia rinata. Adesso sono riconducibili i casi in esame nei prossimi paragrafi.

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Torino 1825-1830: la medicina in collegio, un ospitescomodo

12 Nell’aprile del 1823, Giovanni Antonio Grassi (1775-1849) scriveva da Torino in qualità direttore del Collegio dei nobili al generale Luigi Fortis (1748-1829). Grassi riferiva di unaconversazione con il censore degli studi Giovan Battista Viotti (1755-1824), massima carica digoverno del sistema d’istruzione del Regno di Sardegna, a proposito dell’imminente aperturadi collegi universitari gesuitici: « Viotti mi ha comunicato un’idea che temo non piacerà aVostra Paternità Molto Reverenda. Egli pensa di far sortire in giugno prossimo il VigliettoRegio con cui la direzione del Collegio di teologia e belle arti è affidata da Sua Maestà allaCompagnia, e va pensando che forse sarebbe meglio che nello stesso Viglietto Regio si dicesseaddirittura che alla Compagnia pure sarà affidata la direzione degli altri due collegi quandosaranno attivati questi, perché così, dice il Censore, si farà romore una volta sola, sarò lapidatouna sola volta etc »26. La prospettiva avrebbe, insomma, creato incomodi sia alla Compagniache allo stesso Viotti. Se il censore si doveva trovare a fronteggiare un’opposizione strisciantema tenace per la sua politica filogesuitica, la Compagnia a sua volta avrebbe dovuto fare i continon solo con i suoi nemici (poco dopo sarebbe emerso che copie dei Monita secreta circolavanoper la città)27, ma anche con un carico di lavoro sproporzionato al numero di padri in forze.

13 Riammesso nel Regno di Sardegna nel 1814, poco dopo il ritorno dei Savoia dall’esilionapoleonico e la bolla papale di restituzione, l’ordine ignaziano era stato immediatamentecoinvolto nella riorganizzazione dell’intero sistema educativo (a padre Luigi Taparellid’Azeglio era stata assegnata la stesura del programma di riforma)28. Alla vigiliadell’affidamento dei collegi universitari, oltre agli istituti di Genova e Novara, la Compagniaa Torino gestiva già il Collegio reale di educazione (il « Carmine »). Qui si accoglievano« giovani di nobile e civile condizione, dell’età non minore di sette anni, né maggiore di dodicial loro primo ingresso » per la « maggiore istituzione della mente e del cuore degli allieviper mezzo delle pure massime di religione e di morale cristiana, della istruzione letteraria escientifica, e del conversare urbano e civile »29. Le corrispondenze di quegli anni con Romane segnalavano un governo non semplice. A fronte di centotrentasei convittori, che « godonoottima sanità », vi erano una dozzina di padri, di cui uno si diceva fosse « soggetto a flussioniche lo rendono sordo », un altro che non potesse « sopportare le vociferazioni quindi fu levatodalla scuola », un altro ancora che fosse vessato da « vari malanni ... per una soppressionedi traspirazione »; uno dei coadiutori, invece, soffriva « di verme solitario »30. Una costantedichiarazione di indisposizione fisica, di affaticamento e di ingestibilità dello stato di cose chetornerà anche nei resoconti dello stato dei collegi universitari, e che sembra ricorrere in moltenarrazioni della Compagnia all’alba della sua ricostituzione31.

14 A seguito dei moti del 1821, per decreto regio erano state soppresse alcune facoltà dell’ateneotorinese, considerato uno dei crogiuoli dei disordini, e gli studenti erano stati dispersi in sedidecentrate fuori dalla capitale. Inoltre, era stato chiuso il Collegio universitario delle Province,istituzione che da un secolo ospitava i migliori studenti del Regno32. Al suo posto, l’annosuccessivo Carlo Felice aveva decretato la fondazione di collegi universitari per la formazionedi giovani selezionati nelle classi di teologia, lettere e filosofia, giurisprudenza e medicina,la cui gestione veniva affidata alla Compagnia poco dopo il loro decreto di fondazione.Un’investitura importante e nuova nella storia dell’ordine a Torino33, individuato come alleatoottimale per reimpostare in chiave disciplinante e restaurativa l’educazione dei giovani,troppo sensibili alle sollecitazioni della modernità (i moti del ‘21 lo dimostravano). Nellacorrispondenza gesuitica di quegli anni tra Torino e Roma è possibile cogliere le pressioni dinatura politica che facevano apparire necessaria e inevitabile l’accettazione dell’incarico e, alcontempo, le ragioni delle resistenze della Compagnia ad accoglierlo in serenità. Da un lato, lavolontà regia offriva una importante e prestigiosa opportunità di azione nei luoghi strategici perla formazione del futuro ceto dirigente; dall’altro, l’impresa sembrava richiedere uno sforzosproporzionato, dato lo scarso numero dei padri da impiegare e un contesto percepito comeostile. Infatti, se le alte gerarchie erano favorevoli alla presenza attiva della Compagnia nella

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rieducazione capillare della società, forti erano le resistenze di ampi strati della popolazionesensibili alle correnti liberali e riformatrici.

15 I primi due collegi, di teologia e di belle arti (lettere), istituiti nel 1822 presso il convento di SanFrancesco da Paola con lo scopo di formare insegnanti destinati alle scuole del Regno, furonoaffidati alla Compagnia nel 1823. Quelli di legge e medicina ebbero apertura successiva.Inclusi in origine in un programma organico, la loro presa in carico sembrò venire in qualchemodo imposta ai gesuiti, chiamati ad accogliere l’intero pacchetto. « Si può ottenere il RegioViglietto soltanto pel Collegio di teologia e lettere – riferiva Grassi a Fortis nel gennaio 1823 –purché vi sia almeno segreta accettazione anche della direzione degli altri due che non potrannoattivarsi se non dopo due anni circa, o anche di più. Il collegio di lettere non avrà più di 30allievi, quel di legge 60, ed 80 quel di medicina. Il primo potrà fornire buoni prefetti per isecondi »34. Il collegio di medicina, a sua volta, avrebbe formato « molti bravi medici » che« si faranno gesuiti e faranno gran bene nelle missioni »35, aveva ventilato il censore degli studia Grassi, forse ritenendo, attraverso la promessa di potenziamento del canale missionario, diprocurarsi un’adesione entusiasta da parte della Compagnia.

16 È plausibile che il piano di istruzione volesse favorire la formazione di un corpo di mediciorganizzato, controllato dallo stato e formato alla religione, che soddisfacesse le richiestedel Regno36. Questo almeno negli intenti iniziali. Di fatto furono le discipline teologiche eletterarie ad essere favorite, ricevendo il maggior numero di borse di studio, segno di unapolitica educativa più tendente alla cristianizzazione degli apparati in chiave restaurativa chealla formazione pratica. In ogni caso, nel giro di pochi mesi il coinvolgimento della Compagniaera stato ottenuto. E nel marzo dello stesso anno il censore Viotti poteva scrivere al generale:« Questo è il più bel colpo che abbia fatto in vita mia, perché con esso resta assicurata lamoralità di tutti quelli, che avranno in avvenire parte nell’insegnamento e negli impieghi, dache dipende la felicità dello stato »37.

17 Secondo il Sistema stilato all’atto della fondazione, ogni collegio era posto sotto il controllodi un unico rettore (il futuro generale Roothaan), ma era dotato di un proprio ministro per ladisciplina e di un direttore spirituale, entrambi gesuiti. Della Compagnia erano anche i prefettilettere e filosofia e teologia (i cui studenti erano tutti obbligatoriamente chierici), mentre leggee medicina avevano prefetti laici, scelti dal sovrano, ma approvati da Roothaan. Tutti, studentie personale, compreso quello laico come i docenti di legge e medicina, avrebbero dovutorisiedere nel Collegio di S. Francesco da Paola. Ogni collegio aveva la propria cappella, ilproprio refettorio e le proprie camerate38. Gli studenti ricevevano dai prefetti e dai ripetitori« le lezioni de’ professori della Regia Università, alle quali essi hanno assistito »39, ed eranosottoposti a una pratica religiosa assidua e a una disciplina rigorosa: divisione degli spazi,assegnazione di posti fissi, livellamento delle gerarchie e delle peculiarità individuali. Segli spazi fisici erano rigidamente separati, l’iter formativo conosceva una base comune pertutti, che prevedeva l’ottenimento del grado di magistero previo il superamento di due esamiseparati, « il primo sulli trattati di logica, metafisica e geometria, e sull’eloquenza latina; ilsecondo sulli trattati di filosofia morale e di fisica e sull’Eloquenza italiana ». Quanto aglistudenti che aspirano a entrare al corso di medicina, «  esporranno nel secondo esame pelmagistero anche la Chimica, e faranno nella Regia università il corso di fisica, e chimica, inconformità dei vigenti regolamenti »40. Questo è quanto si apprende dalle Regie patenti concui Carlo Felice approvava il regolamento dell’Università. Le carte gesuitiche non entrano nelmerito delle materie in carico a personale esterno all’ordine. Ciò che è dato di sapere dallecorrispondenze fra Torino e Roma riguarda questioni di carattere istituzionale e disciplinare.

18 Il collegio medico apriva nel novembre 1825. Nel piano originario, si prevedevano due istitutidistinti di medicina e chirurgia, inizialmente accorpati a causa dell’esiguità degli studenti, adispetto degli alti numeri previsti alla fondazione41. Le stesse facoltà universitarie di medicinae chirurgia – sottoposte dopo la restaurazione a una drastica epurazione del personale docenteconsiderato implicato con il regime napoleonico, potenziale fonte di resistenze al nuovo corso42

– erano separate. Una involuzione rispetto alla didattica settecentesca che le aveva viste inveceriunite, superando la distinzione fra l’arte alta della medicina e quella bassa della chirurgia, per

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far convogliare entrambe le conoscenze in un solo profilo professionalizzato per la pubblicautilità43.

19 La prima reazione della Compagnia all’apertura del collegio di medicina fu di preoccupazione.Alla vigilia, Roothaan scriveva a Roma esprimendo timore di non poter esercitarvi il giustocontrollo. Era necessario un prefetto forte, che sapesse « parlare alla gioventù accademica »,e che fosse capace di « intendere l’importanza di certe cose, che al primo aspetto, sembranopiccole e saranno, ma le quali non osservate apriranno la porta a gravi mali »44. Roothaanalludeva forse ad alcuni recenti episodi di indisciplina registratisi nell’altra sezione « secolare »dei collegi, quella di legge, dove, dopo aver ricevuto gli esercizi spirituali, due studenti, giàcompromessi nei moti del marzo 1821, avevano recapitato una lettera piena di ingiurie infrancese, la stessa lingua in cui Roothaan aveva dato gli esercizi45. La scelta del prefetto,operata da Carlo Felice e approvata da Roothaan, era caduta sul giovane medico SecondoBerruti (1796-1870), appena laureatosi in medicina presso l’ateneo torinese e destinato allacattedra di fisiologia sperimentale46, mentre il ruolo di maestro della disciplina era statoassegnato da Roothaan al confratello Giuseppe Maria Suryn (1800-1860)47.

20 Al momento non si dispone di tracce documentarie dell’attività degli incaricati. E le scarsenotizie disponibili relative al collegio di medicina si limitano a segnalare un crescendo didifficoltà. Innanzitutto, l’apertura del collegio medico coincide col venir meno della presenzadi Viotti nel ruolo di censore. Un cambio di cariche che rivela quanto la presenza dellaCompagnia ai vertici dell’educazione fosse legata a un precario sistema di appoggi personali.Già all’inizio dell’impresa, era apparso evidente che il favore di Viotti poteva essere tantocruciale quanto rischioso. Per esempio, aveva proposto che le scuole della Compagniafossero esentate dalle visite del magistrato della riforma e dei visitatori, il che preoccupavaGrassi, perché non avere certificazioni formali avrebbe sottoposto la Compagnia ad accuse diirregolarità, nel momento in cui Viotti fosse venuto meno. Il censore che gli succedette nonmancò, infatti, di rilevarne, segnalando l’esagerata generosità del predecessore e riducendoinnanzitutto le risorse economiche. Mentre gli aiuti del governo diminuivano, il numero deiconvittori, invece, andava aumentando: centotrentaquattro nel 182648, e duecentocinquanta nel182749, a fronte di personale scarso e poco preparato e di crescenti ostilità interne ed esterne.Così, si faceva sempre più chiara l’impossibilità di proseguire nella gestione, insieme allaconsapevolezza che se « il P. Generale defunto si lasciò indurre a caricare la Compagnia diun sì grave peso per la speranza di beni grandi, che gliene promettevano in servizio dellareligione e di Sua Maestà ... a questa speranza corrisponde pochissimo l’effetto  », comeavrebbe scritto nell’estate del 1829 Roothaan, ormai padre generale dell’ordine, ripensandoal suo concluso periodo torinese. Molte le ragioni per cui le speranze erano « quasi fallite ».Da un lato, «  la manifesta guerra che i collegi dell’università fanno allo stabilimento di S.Francesco da Paola », questioni, quindi, di rivalità fra istituzioni. Dall’altro, e soprattutto, lapercepita impossibilità del controllo pieno degli studenti. Per il « contatto fisico ed inevitabiledei giovani del collegio con gli esterni ... non v’è potenza umana che possa impedire chenon prendano massime contrarie a quelle, che si cerca di inspirar loro in collegio »50. Sonoin particolare gli studenti di medicina e chirurgia a sfuggire di mano, destinati ad appartenerea una categoria che, per un « singolare impasto fra la difesa degli interessi corporativi ... el’adesione alle idee libertarie »51, era tendenzialmente ostile all’assolutismo accentratore degliorganismi governativi che controllavano l’accesso alle professioni, e alla Compagnia vistacome massima complice del sistema.

21 A fronte delle difficoltà riscontrate, inizialmente si stabilì di chiedere a Carlo Felice solol’esonero dalla direzione del collegio dei futuri medici, che « starebbero meglio all’ospedale,ove già devono passare i giorni e spesso anche la notte »52. Una mescolanza col mondo cheera fonte di tensioni organizzative (essendo gli studenti doppiamente soggetti alle autoritàgesuitiche e ai direttori dell’ospedale di San Giovanni, presso il quale esercitavano la praticaalloggiandovi all’occorrenza), ma soprattutto di pericolosa contaminazione col secolo. Piùche la formazione scientifica di futuri medici e chirurghi, lo scopo della fallita impresa erachiaramente la disciplina delle idee e dei costumi, che si poteva forse recuperare salvando

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almeno una parte degli studenti, quelli più giovani e più malleabili: « il locale occupato oradai chirurgi farebbe luogo a giovani studenti di filosofia, i quali, venendo naturalmente in etàmeno avanzata, lascerebbero qualche migliore speranza di riuscita »53.

22 L’ipotesi cadde, e l’elezione di Roothaan a padre generale dell’ordine nel 1829 lasciava aGrassi, rimasto a capo dei collegi torinesi, l’incomodo di annunciare a Carlo Felice, di cuiera confessore, la decisione presa, varata dalla XXI Congregazione. Nell’aprile del 1830,per tramite del ministro degli Affari Interni, la Compagnia supplicava Sua Maestà di esseresgravata dalla direzione di tutti i collegi: si stava preparando un altro 1821 – annunciavauna lettera anonima indirizzata a Grassi – e il prossimo sarebbe stato peggio54. Diverse eranole società segrete attive a Torino, e al loro interno non mancavano studenti di medicina echirurgia, come nella neonata Giovine Italia. Alla fine dell’anno i collegi chiusero. Anchel’ateneo venne chiuso per timore di focolai accesi dalle giornate parigine del luglio 1830,e gli insegnamenti vennero decentrati in provincia, per evitare aggregazioni studentesche, aprosecuzione della linea di divisione degli studenti e del loro isolamento dalla società cheaveva caratterizzato gli ultimi quindici anni di politica dell’istruzione.

Aggiornamenti personali e corrispondenze private23 Come accennato, nelle corrispondenze gesuitiche fra Torino e Roma sull’impresa del collegio

medico la medicina spicca come grande assente. Nulla trapela circa i programmi di studio, ilpersonale docente, e ben poco circa i rapporti con le istituzioni produttrici di cultura scientifica,se non per questioni di natura disciplinare55. Questo non esclude, tuttavia, che vi fosserosensibilità individuali inclini all’aggiornamento e alla documentazione. Spostandoci in unadelle molte strade laterali delle corrispondenze private, a una prima esplorazione risulta, peresempio, che, nel 1829, mentre le gerarchie pensavano di liberarsi degli studenti di medicina,quasi corpo estraneo o vettore di contaminazione, il già incontrato Francesco Manera, docentedi eloquenza a Torino al tempo dell’infelice esperimento dei collegi universitari, inviava alconfratello Stanislao Del Pace a Roma un volume di Polizia medica, che Del Pace promettevadi commentare con un medico romano di sua conoscenza56. Non è specificato se si tratti delcelebre testo – peraltro ristampato proprio quell’anno in lingua italiana – di Johann Peter Frank,il viennese chiamato alla facoltà medica di Pavia nel 1783-1794, che introduceva nella penisolal’idea dell’« applicazione all’igiene, alla salute e alla statistica della popolazione della ... nuovascienza dell’amministrazione elaborata dal cameralismo tedesco »57. Con più probabilità, sitratta dell’opera di Lorenzo Martini (1785-1844), professore di fisiologia al Regio Ateneotorinese e già docente presso il soppresso Collegio delle Province58. Riprendendo il sistemadi Frank, Martini si riproponeva di volgarizzare, rendendolo accessibile a un pubblico vasto,un ambizioso programma volto alla realizzazione della pubblica felicità, che tenesse contodella struttura complessa dell’uomo (« fisico » e « morale »), considerato nella sua fisiologia,nella sua psicologia e nell’ambiente culturale e sociale. Un’operazione all’interno della qualela medicina attribuiva a se stessa una cruciale funzione politica e di raccordo fra le scienze,considerandosi capace tanto di curare e prevenire i mali del corpo, quanto di penetrarenelle profondità dell’animo umano (per indagare la natura della colpa, le radici prime deimoti volontari e degli affetti, questioni un tempo riservate alla teologia morale) al fine diarmonizzarlo con la natura e la società.

24 Dove si collochi la medicina nell’orizzonte culturale dei padri impegnati nello scambio sultema, e come vi entri, è difficile a dirsi. L’allora torinese di adozione Francesco Maneraera nato a Napoli nel 1798. Qui giungeva nel 1804 l’esule catalano Juan Andrés y Morell,nella cui cerchia Manera entrava giovanissimo divenendone allievo e braccio destro. ConAndrés, Manera sarebbe giunto a Roma nel 1814 e lì sarebbe entrato nella Compagnia. Allamorte di Andrés, nel 1816, sarebbe stato indicato da molti come custode della sua memoriae autore di una biografia59, che non scrisse mai. Inviato a Torino nel 1826 per insegnareeloquenza all’università, Manera avrebbe organizzato le sue lezioni sulla base di un imponentetentativo di ricapitolazione della letteratura esistente (nemmeno questo fu dato alle stampe)che riproponeva lo schema del maestro Juan Andrés, autore dell’opera Dell’origine, progressie stato attuale di ogni letteratura (nella prima edizione 1782-1799 in sette tomi, più volte

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ristampati con integrazioni dell’autore). Qui un senso classicista di cultura, intesa come«  complesso di tutte le discipline  »60, faceva posto anche a un capitolo sull’anatomia e auno sulla medicina, che ripercorrono autori, scuole, opere fino al presente61. Un’operazione,quella del gesuita esiliato, che aveva lo scopo dichiarato di formare nei lettori « una qualcheidea del corso delle scienze  »62, senza pretese temerarie di «  possesso  » di materie cosìdistanti. Il capitolo sull’anatomia, confessava Andrés, era stato scritto « con mano tremante,come straniero in questa provincia » avvalendosi della collaborazione di due medici che, asua detta, non avevano contribuito nella sostanza, essendosi limitati a leggere il testo senzacommentarlo63. L’opera era attraversata da un senso di progresso possibile dell’umanità: lastoria è un percorso tortuoso che può arretrare, subire deviazioni, ma che sempre prosegue64.

25 Sarà opportuno interrogarsi sul senso della storia – e delle acquisizioni umane in essa –che anima il rapporto del suo «  erede  » Manera col presente, capire dove la medicina sicollochi e quanto possa essere rappresentativo di tendenze in atto all’interno dell’ordine. Unmodus tendente alla ricapitolazione sistematica del tutto, con uno sguardo attento sul presente,sembra senz’altro condurre anche Manera all’aggiornamento sulla letteratura esistente, quellamedica compresa65. È così che probabilmente Manera conobbe la « polizia medica » neglianni in cui Martini declinava Frank sulla realtà sabauda, o che, ancor prima che uscisse,conosceva il Catechismo medico66, favorito dalla corrispondenza col suo autore AngeloScotti (1786-1845)67. L’abate napoletano, precettore della famiglia borbonica e prefettodella biblioteca reale68, aveva inteso « illustrare l’indissolubile alleanza della religione collamedicina  », ricapitolando storia della Chiesa e storia della scienza medica per mostrarnele convergenze e il durevole, reciproco favore. Dietro l’irenismo dei modi, lo scopo eradifensivo: «  l’abuso della notomia  » aveva prodotto «  insensibilità  » e «  indifferenza nelguardar la morte »69; la chimica e la fisiologia avevano messo in dubbio la spiritualità dellasostanza pensante e oscurato il libero arbitrio col materialismo70; i giovani studenti di medicinaleggevano come se niente fosse delle « parti, cui vergogna cela »71. Tutto questo richiedevaall’abate la presa di possesso di una disciplina certo ostica, ma non per questo data comeinaccessibile. L’aver operato nella catechesi del collegio medico-chirurgico di Napoli rendevaScotti convinto dell’estremo bisogno di questa operazione, esplicitata dal titolo del volume,che nulla aveva a che fare con i numerosi catechismi laici che avevano popolato il panoramaeditoriale dall’età napoleonica72. Nelle mani di Manera, per vie diverse e difficilmentericonducibili alle geometrie degli apparati istituzionali ma legate alla singolarità dei percorsi edei legami personali, finivano quindi due opere dagli intenti opposti e probabilmente indicativedi tensioni in atto: una vedeva la medicina attribuirsi la funzione di governo di anime e corpiper la pubblica felicità, l’altra assegnava alla religione la medesima funzione; la prima miravaa fagocitare la seconda, e viceversa.

26 È forse per l’aggiornamento praticato che, quando alcuni anni più tardi Manera fu chiamatodal padre generale a svolgere la funzione di esorcista, e a confrontarsi con le posizioni didottori che sostenevano le origini tutte organiche (e non demoniache) delle convulsioni deiritenuti ossessi, non rigettò la lettura medica come pericolosamente materialista come feceroalcuni confratelli73. Certo non si spinse, come aveva fatto Andrés nei primi anni Novantadel Settecento, a lodare le acquisizioni della moderna neuroencefalotomia o ad auspicareche lo studio del cervello « sempre più ci faccia conoscere l’uomo »74, i meccanismi che neregolano l’intelligenza, la memoria, i sensi. Così scriveva nel 1792 al medico piemonteseVincenzo Malacarne, allora docente di istituzioni chirurgiche e arte ostetrica a Pavia. Dalui, come riferiva Andrés entusiasta, «  il cerebro  » aveva avuto «  la sua, per così dire,chiara e distinta geografia, e la sua sincera e genuina storia, la sua filosofica anatomia »75.Nella concezione anatomo-fisiologica di Malacarne, il cervello consta di singoli apparati, aiquali corrisponde una specifica attività intellettiva. Questa cambia da individuo a individuo,facendosi più raffinata in proporzione alla morfologia cranica. La prospettiva non apparivaad Andrés rischiosamente materialista. Anzi, egli intravvedeva negli studi di Malacarne –« un saggio quasi dirò di psicotomia o frenotomia, cioè de’ differenti organi con cui la menteo l’anima agisce in noi differentemente » – potenzialità positive tanto per il miglioramento

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delle facoltà intellettuali dei singoli quanto per la cura della pazzia, i cui segni sarebberoanatomicamente rintracciabili. Se dal sezionamento di alcuni soggetti sofferenti cretinismoMalacarne aveva evidenziato un’anomalia cranica accompagnata da ipoplasia del cervelletto eriduzione delle lamelle (quest’ultimo fenomeno osservato anche anche dal sezionamento di unfolle) ancor più utile – ipotizzava Andrés – sarebbe stata la dissezione di soggetti « pazzi nonnati tali », avendone osservato in vita il decorso della malattia. Anche la storia della Compagniane verrebbe illuminata: « Quante laminette non avrà avuto Boscovich, e come saranno statemalconce dopo la sua malattia, se in esse veramente si opera l’alterazione? »76.

27 Quanto resta – ci si chiede auspicando prossime indagini a riguardo – e in quali forme prenderànella Compagnia rifondata la domanda sulla connessione fra soma e psiche e la disponibilitàad accogliere le prospettive offerte dalla medicina77?

Nord America: la medicina in università e il fantasma delmaterialismo

28 Mentre si chiudeva l’esperimento universitario torinese, nel 1830 Thomas Mulledy(1794-1860), allora presidente del Collegio di Georgetown, scriveva al generale Roothaan78.Il Collegio, istituzione cruciale per la continuità della presenza gesuitica in Nord America,era stato elevato a università dal Congresso degli Stati Uniti, dal quale dipendeva ricevendoneil privilegio di concedere gradi in ogni facoltà. Tale privilegio, scriveva Mulledy, avrebbedovuto essere di stimolo a introdurre anche lo studio della legge e della medicina79. L’ideagli era stata data da « un medico di questa città, uomo di gran dottrina e reputazione », cheavrebbe « proposto di formare una facoltà di medicina sotto la protezione del nostro collegio.Egli domanda niente da noi che i gradi di dottori per gli allievi, lasciando tutto il resto allaCompagnia [ammissioni e dimissioni degli studenti, gestione della disciplina] ... Quattro altriprofessori si unirebbero a questo signore per formare una completa facoltà ». Mulledy si dicevapersuaso « che questa cosa farebbe molto per il crescimento del collegio, ci guadagnerebbemolti amici  »80. In quel momento, due medici erano sicuramente disposti a collaborare.« Uomini eccellenti. Uno è cattolico prattico ed ottimo, la moglie dell’altro è cattolica, ed eglistesso è ben disposto a convertirsi e sta in guerra aperta con tutti i materialisti »81.

29 La strumentalità dell’insegnamento della medicina, a scopo di ampliamento dell’universitàe di allargamento della cerchia degli «  amici », nella narrazione inviata a Roma appare ilmotore dell’iniziativa, così come fede cattolica e posizioni antimaterialiste sono presentaticome requisiti fondamentali per il reclutamento del personale medico. Queste sono le unicheinformazioni che trapelano dalla corrispondenza sul progetto, che si attuò vent’anni dopo.Allora un gruppo di quattro medici, al fine di sottrarre alla scuola di medicina del ColumbianCollege il monopolio per la formazione e l’accesso alle professioni, ottenne l’appoggio delrettore di Georgetown per la creazione della facoltà. A suo tempo, Mulledy forse aveva giàintuito le potenzialità di un settore dell’istruzione in espansione, o già ricevuto pressioni daparte dei medici di allora, alla ricerca di una sede per la loro scuola e di un luogo istituzionaleattraverso cui esercitare il controllo sulla formazione di nuovi profili. In ogni caso, le scuolemediche avrebbero conosciuto una straordinaria proliferazione nei trent’anni successivi, inconcomitanza con l’aumentata richiesta di personale e con l’accademizzazione del percorsoformativo82. Già nel 1836 ne sarebbe nata una presso l’università gesuitica di Saint Louis,apparentemente senza previa approvazione da Roma. Curioso, infatti, come Peter Verhaegen,provinciale del Missouri, ne diede notizie a Roothaan. Al termine di una lunga lettera, avendopassato in rassegna le questioni più varie, concludeva: « Non so per quale caso mi è sfuggitodi comunicarvi che da alcuni mesi alcuni eminentissimi medici di Saint Louis hanno costituitouna scuola medica sotto la nostra protezione istituzionale [sub nostra incorporationis charta].A noi non è venuto nessun onere, ma grande onore e un’accresciuta popolarità83 ».

30 Come in quella da Torino, anche nella corrispondenza dagli Stati Uniti la medicinanon sembra essere tematizzata in quanto disciplina di insegnamento, dotata di strumenti,metodi, conoscenze. Si riferiscono malattie (di interesse sarebbe valutarne le ricorrenze), siintravedono diagnosi ricevute da medici, rimedi utilizzati dai padri (come l’omeopatia, tema

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da esplorare). La medicina compare soprattutto come avversaria sconfitta nelle narrazioniche proprio in quegli anni (dagli anni Venti e per i venti successivi) si moltiplicano circale guarigioni miracolose operate a richiesta dal principe sacerdote carismatico Alexandervon Hohenlohe (1794-1849)84. I padri del Maryland se ne facevano tramite, premurandosi diorganizzare funzioni in giorni e orari stabiliti. Le storie di sofferenze straordinarie seguite daguarigioni altrettanto straordinarie, nella loro truculenta sensazionalità, si prestavano a unastrumentalizzazione atta a promuovere il potere della fede cattolica, contendendo il territorioai protestanti. I medici cattolici al capezzale delle miracolate, impotenti alla cura ma generosicompilatori di perizie, gridavano al miracolo. Quelli protestanti, stupiti, auspicabilmente sisarebbero convertiti85.

31 Di questa cultura si fa portatore una delle figure di spicco della prima generazione di padrinegli Stati Uniti, Anton Kohlmann (1771-1836). Entrato nella Compagnia nella Russia Bianca,era giunto a Baltimora nel 1804. Vicario della diocesi di New York, fondatore della facoltàteologica a Washington, poi rettore a Georgetown86, qui aveva conosciuto la vedova devotaAnn Mattingly, della cui guarigione miracolosa, operata a distanza da Hohenlohe, si erafatto entusiasta promotore e divulgatore. Chiamato a Roma all’apertura del Collegio Romanoper insegnarvi teologia dogmatica, della guarigione miracolosa aveva personalmente datonotizia a Leone XII, ottenendone appoggio nella divulgazione del caso in Italia. Negli anniTrenta, incaricato dal generale Roothaan a svolgere (come il menzionato Manera), l’incaricodi esorcista, denunciava il pericoloso materialismo dei medici, che riducevano i fenomeniconvulsivi femminili a certi fastidi di matrice uterina (isteria) che condurrebbero le donne,specie quelle che vivono in castità, ad eloquio e movimenti scomposti. Secondo Kohlmann,cedere ai riduzionismi medici avrebbe condotto ad una antropologia che elimina qualsiasielemento di trascendenza ed esclude l’intervento del soprannaturale: come metterla allora conle estasi e con le guarigioni miracolose, che conquistano alla fede cattolica tanti increduli?87.

Il Catechismo medico del coadiutore Antonacci32 Mentre Kohlmann combatteva contro i detrattori del soprannaturale la sua ultima battaglia

(sarebbe morto nel 1836), Roma si preparava a una delle epidemie di colera che la colpironopiù volte nel corso del secolo, come il resto d’Europa. La catastrofe epidemica pare essere stataper la Compagnia un importante banco di prova. Offrì, da un lato, l’opportunità per un’intensaopera di conversione del popolo stremato dalla malattia e dall’angoscia della morte; dall’altro,fu l’occasione per la messa in atto di forme di carità eroica che ebbero, fra i molti risvoltisalutari88, anche quello di mettere in buona luce l’ordine agli occhi delle autorità che, nellevarie località colpite, poterono contare sui padri nell’emergenza.

33 Limitando il campo di osservazione all’Italia, e sondando le corrispondenze da Torino, daGenova, dallo Stato Pontificio, da Napoli e dalla Sicilia, nonché le carte romane fra 1830(data delle prime avvisaglie in Europa) e 1837 (anno dell’esplosione a Roma e dell’estinzionedell’epidemia) si nota, prevedibilmente, prevalere in esse l’urgenza di narrare l’abnegazionedei padri e i molti, stupefacenti frutti del loro sacrificio. « Altro che missioni e quaresime », sicommentava dalla Sicilia. A Palermo, « quanti avean giurato non voler mai vedere in facciaun gesuita, e ci aveano infamato di genio, ora non volean confidar l’anima propria salvo chea noi »89. A Roma, « quegl’ingannati che o per educazione o per irreligione e malvagità ciguardavano poc’anzi come i più spietati nemici della felicità del genere umano, ebbero perpoco a mutar giudizio e quasi vollero far pace con noi »90.

34 Ai fini del presente studio, anche su questo tema ai suoi inizi, il colera è terreno su cuivalutare l’esperienza gesuitica della medicina, il suo uso, la sua collocazione negli orizzontidisciplinari e nelle prassi. Nelle narrazioni del colera offerte dalla Compagnia, connotate daretoriche apocalittiche e trionfali al contempo, sensibili al miracolo (ovunque si segnala, peresempio, un numero straordinariamente esiguo di padri contagiati nonostante l’esposizione)trapela un senso di diffidenza nei confronti dei medici, nei casi migliori impotenti e sconfitti difronte all’inarrestabilità del flagello, nei peggiore codardi e dannosi. A Palermo fuggirono permettersi al riparo. A Roma non solo si divisero di fronte alle cure, gettando confusione sullasituazione già drammatica, ma sostennero l’idea errata e deleteria che « il contagio dover essere

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universale ed inevitabile »91. Il dibattito fra « epidemisti » (il morbo è generato dai miasmi,quindi non contrastabile con misure di quarantena) e « contagionisti » (il morbo si trasmetteper contatto) era infatti acceso92. I secondi prevalevano nella Penisola, frammentata da cordonisanitari. « Dovrò andarmi a chiudere in una di quelle case con tanti inglesi protestanti e femine,e chi sa chi, forse senza neppur poter dire la messa », lamentava il provinciale di Napoli,bloccato in quarantena a Sora sulla via per Roma93.

35 Il terrore del morbo non solo nuoceva alla carità, facendo sì che i bisognosi di cure fosserospietatamente abbandonati anche dai loro congiunti, ma era di pregiudizio alla stessa salutecorporale, predisponendo al colera. « Frà più pusillanimi v’era stato chi negli anni addietro inudire gli eccidii di colera in Genova e Livorno erasi lasciato prendere da tale angoscia, chenella sanità avea sofferto non leggero danno »94. Un’idea assai radicata e diffusa, che tornain narrazioni eterogenee per luoghi e tempi, dalle lettere dal Madurai negli anni Quaranta(dove si auspica che i missionari non abbiano «  qualche esaltamento di spirito  », che liavrebbe resi facili preda del morbo95) alle pagine della Civiltà cattolica, che nel 1855 dedica altema una rassegna delle ultime pubblicazioni uscite, utili « nei calamitosi tempi che corrono,quando tante contrade anche nella nostra Italia trovansi di bel nuovo minacciate o invase dalcholera »96.

36 Uno squarcio su eventuali misure igieniche adottate all’interno della Compagnia è aperto dauna regola rivolta ai padri del Collegio Romano impegnati nell’assistenza ai colerosi nel 1837,ai quali si raccomanda di non toccare gli ammalati « e più generalmente di non ingerirsi inservizi propri degl’infermieri e famigliari fuorché nei casi di vera necessità e sempre con ledovute cautele ». A chi rientra dal Collegio si chiede di sottoporsi alla prassi, diffusa in queglianni in molti luoghi di assistenza, delle fumigazioni di cloro effettuate in apposite stanzepredisposte a tale uso, « lavandosi anche le mani se sarà bisogno »97.

37 Delle possibili terapie riferisce invece il coadiutore e infermiere Pietro Antonacci(1801-1874)98, che avrebbe curato – a sua detta a dispetto dell’opinione contraria di moltimedici – una ventina di colerosi attraverso il «  metodo dell’olio  », ovvero mediante lasomministrazione di un litro e mezzo di olio di oliva in rapidi sorsi, acqua di riso eantiemetici per trattenerne le proprietà, e senapismi negli arti. Nell’agosto del 1837, nell’apicedell’epidemia, Antonacci raccomandava a Roothaan di prescrivere tale cura – peraltro, aun primo sondaggio, considerata fra quelle in uso dalla manualistica sul tema – ai padriimpegnati nell’assistenza, nel caso «  non vi sia professore all’opportunità  »99, in assenzaquindi di un medico. Le storie di guarigione dal colera vennero pubblicate in appendice alsuo Catechismo medico (1854)100, in aggiunta ad altri ottanta casi medici raccolti nella lungaesperienza di infermiere del Collegio di Propaganda. Una sorta di storia clinica del cleroromano del primo Ottocento, di grande interesse non solo per la varietà delle patologie, maanche per i profili dei soggetti trattati, campioni del cosmopolitismo che caratterizzava inquegli anni la congregazione di Propaganda101. L’opera, destinata ai missionari, è presentatacon grande favore dalla Civiltà Cattolica come validissimo aiuto nella conquista dei cuoridei « barbari »102, grandemente coadiuvata dall’applicazione della scienza medica. È inoltregarantita – assicura la rivista – dall’approvazione dei medici revisori. Fra questi, AgostinoCappello, che Gregorio XVI aveva inviato insieme ad Achille Lupi a Parigi per osservare imetodi là applicati per la cura del colera103, Gregorio Riccardi, medico di Propaganda con cuiAntonacci aveva condiviso gran parte delle vicende di cura narrate, e Andrea Belli, chirurgoall’arcispedale di Santa Maria della Consolazione e per anni medico della Compagnia. Unafigura di interesse, quest’ultima, di onnivora erudizione, con cui la Compagnia a Roma ebbeun lungo rapporto di collaborazione e di scambio104.

38 Fra le molte storie cliniche narrate nel Catechismo di Antonacci, la Civiltà cattolica rimandaa quella di Augustin Theiner, ai tempi della malattia novizio oratoriano e futuro prefettodell’Archivio Segreto Vaticano. Theiner, guarito dal colera, era un doppio convertito: nonsolo era nato protestante, passato al cattolicesimo grazie alla frequentazione del citato padreKohlmann, ma credeva nell’omeopatia. Di omeopati esisteva a Roma una conventicola,detestata da Antonacci e da lui frequentata a scopi indagatori105, il cui primo grave errore era

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il rifiuto dei salassi. Antonacci ne aveva praticati negli anni «  a migliaia e migliaia  »106 enon avrebbe mai cessato di celebrarne gli effetti salutari contro i sempre più numerosi lorodetrattori.

39 Pochi, in realtà, i bersagli del Catechismo. Nella prima sezione dell’opera, vengono passatein rassegna le principali scuole mediche in forma dialogica. Alle domande di un lettoreideale alle prime armi con la materia («  anche chi non fosse medico per professione »107)l’autore fornisce una sorta di ricapitolazione in ordine cronologico di figure di rilievo e relativisistemi. Antonacci parte da Ippocrate, del quale seguirebbe ciecamente le orme, non fosse che« scoperte ormai non più recenti, cominciate di là dai monti, e di qua poi perfezionate »108

non lo permettono. Si sofferma a lungo sulla ricezione in Italia della teoria dell’eccitabilitàdi John Brown a partire dalla fine del XVIII109, sulla quale è moderatamente critico, e giungeinfine a confutare quei «  due originalissimi di Mesmer e di Hanemann  »110. Del giudiziosull’omeopatia, di cui Hanemann è fautore, si è detto. A Mesmer, Antonacci dedica unalunga esposizione, culminante con un giudizio incontrovertibilmente negativo. Come è noto,in quegli anni le autorità religiose erano alle prese con le difficili questioni disciplinari edottrinali poste dal magnetismo animale. La condanna definitiva da parte del tribunale delSant’Uffizio sarebbe arrivata nel 1856, preceduta da numerose interpellanze e negli anniQuaranta da più caute riprovazioni che di fatto, però, non ne interdicevano la pratica. Ilconfratello di Antonacci, il docente di fisica al Collegio Romano Giovanni Battista Pianciani(1784-1862), chiamato ad esprimersi nel 1841 in qualità di consultore, si era mantenutosu posizioni di cautela, temendo una condanna affrettata che avrebbe rischiato di esseresmentita da future scoperte scientifiche (come era accaduto con la recente revisione dellacondanna dell’eliocentrismo). Inoltre, accogliendo come plausibile l’efficacia terapeutica delmagnetismo, Pianciani riteneva che il suo uso non fosse da vietare, ma da riservare ai solimedici, specie qualora fosse utilizzato per indurre il sonnambulismo111. Alla vigilia dellacondanna ufficiale da parte della Santa Sede, il coadiutore Antonacci nel suo Catechismoqualificava invece il sistema di Mesmer pari per « ridicolezza » a quello di Paracelso e a quellodi Van Helmont, che credeva la salute fosse determinata da un « diavoletto » collocato nelventricolo. « Eccettuati i fanatici, gli ignoranti, ecc. – dichiarava Antonacci – tutti lo hannotenuto come una vera ciarlataneria »112. La forma letteraria del Catechismo – in cui, peraltro, ipronunciamenti del Sant’Uffizio non vengono menzionati – evidentemente richiedeva prese diposizione nette, e un’impostazione pragmatica e semplificante che, più che problematizzare,fornisse ai missionari linee di condotta chiare. Ma altrettanto evidente appare, a questo primosondaggio, che le posizioni sono quanto mai plurali, fortemente intrecciate con le contingenzein cui l’uso della medicina e il discorso su di essa volta per volta prendono forma. Unapluralità che, come i casi qui evocati, rimanda alle molte anime dell’ordine gesuitico chiamatoa ricollocarsi nel mondo.

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1 Ringrazio Renato Mazzolini e Marina Garbellotti per la lettura e la discussione del testo.2 Il rimando è al classico Douglas 2001, p. 75-94.3 Boni - Zanotti 2009, p. 112-116.4 Si veda la Facultas medendi, citra adustionem et incisionem, pro medicinae peritis, in InstitutumSocietatis Iesu, I, p. 60-61.5 Porter 1996, p. 340.6 Baldini 2012, p. 247.7 Andretta 2013, p. 121, 134.8 Županov 2005, p. 195-231. Il caso gesuitico non è isolato: Clemente XII col breve cum sicut, nel 1735,diede per esempio facoltà ai missionari cappuccini di praticare la medicina e la chirurgia. Vedi la voceMissionari in Moroni 1847, XLV, p. 220.9 Grendler 2009.10 Institutum Societatis Iesu, II, p. 76. La regolamentazione dei seminari per la formazione del clerosecolare escludeva invece tassativamente dal curriculum la medicina, Brambilla 1981, p. 306; Baldini2005, p. 70.11 Romano 2008.12 Alfieri 2010, p. 321-368.13 Baldini 2003, p. 667-668.14 Donato 2010, quanto al controllo del fine vita in età moderna. Sui temi della generazione, il conflittofra scienza medica e dottrina si fa esplicito nell’ultimo ventennio dell’Ottocento, Betta 2006.15 O’Malley 1994, p. 170-173.16 Brambilla 2010.17 Una riflessione in Welie 2003.18 Institutum Societatis Iesu, I, p. 350-355.19 Archivum Historicum Societatis Iesu (d’ora in poi ARSI), Maduren., 1001, fasc. 1, ff. nn.20 ARSI, Madacass., 1001, fasc. 2, 7, lettera di M. Finaz a J. P. Roothaan, 3 dicembre 1845.21 ARSI, Madacass. 1001, fasc. 3, 4, relazione di Louis Jouen, dicembre 1847.22 Abate 1999.

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23 Archivio della Pontificia Università Gregoriana (d’ora in poi APUG), Collegio Romano, A-7-I, ff.nn.nn.24 Giard 1995.25 Donato 2013.26 ARSI, Rom. 1005, fasc. 1, f. 68, lettera di G. A. Grassi a L. Fortis, 2 aprile 1823.27 ARSI, Rom. 1005, fasc. 1, f. 73, lettera di G. A. Grassi a L. Fortis, 27 maggio 1823.28 Bianchini 2008, p. 264-270; 308-322. Sulla Compagnia nel Regno Sabaudo, Monti 1915, p. 238-361.29 ARSI, Rom. 1005, fasc. 1, f. 1 A, Prospetti del collegio reale di educazione in Torino sotto la direzionede’ PP. della Compagnia di Gesù.30 ARSI, Rom. 1005, fasc. 1, f. 83, lettera di G. A. Grassi a L. Fortis, 10 mag 1824.31 Sulle ragioni di ordine materiale e simbolico di questa retorica ho tentato una riflessione in Alfieri2013.32 Talamo 2000, p. 468-491; Violardo 2000.33 Tentativi di ingresso di gesuiti nell’università torinese in età moderna non avevano avuto buon esito,Grendler 2001, p. 41-45.34 ARSI, Rom. 1005, fasc. 2, f. 4, lettera di G. A. Grassi a L. Fortis, 6 gennaio 1823.35 ARSI, Rom. 1005, fasc. 1, f. 56, lettera di G. A. Grassi a L. Fortis, 8 febbraio 1823.36 Come già l’antico Collegio delle Province nella prima metà del Settecento, cfr. Roggero 1987,p. 112-142.37 ARSI, Rom. 1005, fasc. 2, f. 9, lettera di G. B. Viotti a L. Fortis, 11 marzo 1823.38 ARSI, Rom. 1005, fasc. 2, f. 91, Sistema dei Reali collegi in S. Francesco di Paola.39 La Minerva. Giornale per l’anno 1825 ad uso degli studenti della Regia Università di Torino, Torino,1825, p. 57.40 ARSI, Rom. 1005, fasc. 2, f. 1, Regie patenti colle quali Sua Maestà ordina la soppressione delCollegio delle Provincie ed approva l’annesso regolamento per le università di Torino e Genova, indata del 23 luglio 1823.41 Ibid..42 Carpanetto 2001.43 Montaldo 2007.44 ARSI, Rom. 1011, f. 13, lettera di J. P. Roothaan a L. Fortis, 5 maggio 1825.45 Archivio di Stato di Torino, Istruzione pubblica, Regia Università di Torino, 6 (1825-1830), fascicolinn. nn.46 Cfr. Secundus Iohannes Maria Berruti astensis philosophiae et medicinae doctor ut in amplissimummedicorum collegium cooptaretur publice disputabat in Regio Taurinensi Athenaeo, AugustaTaurinorum, 1823.47 Monti 1915, p. 283.48 Ibid., p. 297.49 ARSI, Rom. 1011, f. 33, lettera di J. P. Roothaan a L. Fortis, 10 dicembre 1827.50 Lettera di J. P. Roothaan a G. A. Grassi, agosto 1829, cit. in Monti 1915, p. 324.51 Montaldo 2000, p. 653.52 Così sempre Roothaan a Grassi, cit. Monti 1915, p. 326.53 Ibid..54 ARSI, Rom. 1011, fasc, 2, f. 109.55 Oltre ai rapporti fra la Compagnia e il Regio Ateneo e l’Ospedale di San Giovanni, sarebbe diinteresse considerare i rapporti con l’Accademia delle Scienze, in quegli anni luogo di aggiornamento ediscussione più di quanto lo fosse l’università, cfr. Montaldo 1997.56 ARSI, Vitae 1009, fasc. 4, f. 7, lettera di S. Del Pace a F. Manera, 12 dicembre 1829.57 Brambilla 1984, p. 130.58 Oltre a due manuali di polizia medica (L. Martini, Elementi di polizia medica, Torino, 1824-1825, 5voll.; Manuale di polizia medica, Milano, 1828), il medico torinese pubblicò fra l’altro una Storia dellafisiologia, 8 voll., Torino, 1835-1837, cfr. Hirsch 1932, IV, p. 100.59 ARSI, Vitae 1010, fasc. 15, 1, lettera di Agostino Gervasio [funzionario del Reale Ministero degliAffari Interni] a F. Manera, 5 maggio 1820.60 Fabbri 2012, p. 232; Guasti 2006.

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61 Si è fatto riferimento all’ed. Andrés y Morell 1829-1830, VI, cap. 6 Dell’anatomia, p. 1-66 e cap. 7Della medicina, p. 67-161.62 Epistolario de Juan Andrés y Morell 2006, II, n. 612, p. 756, J. Andrés a V. Malacarne, 13 agosto1792. Sul destinatario della lettera vedi infra.63 Ibid..64 Berti 2012, p. 329.65 APUG, Fondo Curia 1922.66 Il testo, pubblicato nel 1821, conobbe una decina di ristampe, l’ultima delle quali risale al 1854.67 ARSI, Vitae 1010, fasc. 14, f. 4.68 Su Scotti, autore, fra l’altro, di un Elogio storico del padre Giovanni Andres della Compagnia diGesù, Napoli, 1817, si veda Moroni 1855, LXXV, p. 11.69 Scotti, 1821, prefazione, p. nn.70 Ibid., p. 73-85.71 Ibid., p. 218.72 Delivré 2009.73 Sul tema e, fra l’altro, sulle posizioni di Manera, è in corso la stesura di un volume.74 Epistolario de Juan Andrés y Morell 2006, II, n. 610, p. 754, J. Andrés a V. Malacarne, 11 luglio 1792.75 Andrés y Morell 1929, t. VI, cap. 6 dell’anatomia, par. 74, p. 58. Su Malacarne (1744-1816), Arieti2007; Belloni 1977.76 Epistolario de Juan Andrés y Morell 2006, II, n. 613, p. 760, J. Andrés a V. Malacarne, 27 agosto 1792.77 Quanto al primo Ottocento, la domanda va posta alla luce del generale – benché non unanime – rifiutoall’interno della Compagnia dell’ilemorfismo aristotelico-tomista. Come è noto, il tomismo conosceràun ritorno nell’ultimo quarto del secolo. Al revival tomista è collegabile l’intensificazione del dibatittoteologico sulla scienza, in chiave intransigente. Si vedano Malusa 1986, Betta 1999.78 Dopo la soppressione, nel Maryland la Compagnia aveva potuto continuare ad operare protetta dalprimo vescovo cattolico degli Stati Uniti, l’ex gesuita John Carroll. Dal 1805, aggregata alla RussiaBianca, la comunità americana si era alimentata di presenze importanti da là inviate. Come è noto, lostesso Grassi, in questo saggio menzionato ai tempi del suo incarico torinese, era stato inviato dallaRussia al Maryland, dove era stato direttore del Collegio di Georgetown. Vedi Inglot 1997, p. 229- 237.79 ARSI, Maryl., 1003, fasc. 4, f. 20, lettera di T. Mulledy a J. P. Roothaan, 7 gennaio 1830; Sumner1878.80 ARSI, Maryl., 1003, fasc. 4, f. 20, lettera di T. Mulledy a J. P. Roothaan, 7 gennaio 1830.81 ARSI, Maryl., 1004, fasc. 4, f. 28, lettera di T. Mulledy a J. P. Roothaan, 9 agosto 1830.82 Schwitalla 1954.83 ARSI, Missour., 1003, fasc. 1, f. 10, P. Verhaegen a J. P. Roothaan, 28 febbraio 1836.84 Freudenberg 1972.85 ARSI, Maryl., 1007, fasc. 11. Si veda Emmett Currann 2012, p. 69-91; sulla medicina e il miracolo,Di Marco 2013.86 Schmid 2012.87 Antimaterialismo e funzione di propaganda si direbbero, in generale, elementi tipici del rapporto diuna certa Compagnia – la Compagnia istituzionale, e italiana – con la medicina, e uno dei fili rossi chesembrano attraversare l’Ottocento. Questo risulta a un primo spoglio degli articoli e delle recensioni diargomento medico sulla Civiltà Cattolica che come è noto è fondata nel 1850 e che costringe quindi auno spostamento dello sguardo in avanti.88 Per esempio, in ARSI, Taurin., I, f. 31, lettera di J. P. Roothaan a P. Rigoletti (a Genova), 27 agosto1830. « Il cholera morbus in Galizia ha dato campo a’ nostri di colà di esercitare la carità eroica ... Chesia quella malattia, nell’ordine della Provvidenza, una medicina per guarire e teste e volontà malsane,non è improbabile. Speriamo ».89 ARSI, Sic. 1004, fasc. 14, f. 2.90 ARSI, Rom. 1026, fasc. 13, 18, ff. nn., A’ Padri e Fratelli della Provincia Romana della Compagniadi Gesù. I Padri e Fratelli del Collegio Romano. Galletti 1914, I, p. 355-362.91 Ibid..92 La scoperta dell’agente eziologico dell’infezione sarebbe avvenuta già nel 1854 ad opera di FilippoPacini, ma fu solo nel 1883 che venne divulgata, quando Robert Koch isolò a sua volta i vibrioni. Tognotti2000, p. 31-44.93 ARSI, Neapolit., 1005, fasc. 11, f. 3, lettera del p. Ferrari a J. P. Roothaan, novembre 1836.

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94 ARSI, Rom. 1026, fasc. 13, 18, ff. nn., A’ Padri e Fratelli della Provincia Romana.95 ARSI, Maduren., fasc. 10, f. 12.96 Civiltà Cattolica, serie seconda, XII, 1855, p. 213.97 APUG, Collegio Romano A-5-III. A Palermo, « suffumigi di bitume, pece, paglia nelle due porterie,per disinfettarvi chi fosse per introdursi in casa nostra; suffumigi continui dì e notte, ripetuti nei corridoi enelle stanze, nella chiesa e nella sacrestia; pietruzze di canfora, da portar in bocca; aceti e spiriti medicati,da accostare alle nari: cose per avventura più atte a tranquillar la fantasia che a preservar dal male », cit.in Narbone 1907, p. 243-244.98 Per le Costituzioni, l’infermiere doveva essere coadiutore, occupandosi di «  res temporales velexteriores » come la cura dei corpi, cfr Institutum Societatis Iesu, II, p. 28.99 ARSI, Rom. 1026, fasc. 13, f. 15, lettera di P. Antonacci a J. P. Roothaan, 28 agosto 1837.100 Antonacci 1854. L’opera usciva a complemento del Manuale pratico di medicina, chirurgia percomodo delle missioni straniere, Roma, 1845. Sulle opere di Antonacci, Sommervogel 1960, I, coll.427-429.101 Pizzorusso 2000.102 La civiltà cattolica, anno V, seconda serie, VII, anno 1854, p. 420-421.103 A. Cappello e A. Lupi, Storia medica del cholera indiano osservato a Parigi ... colà inviati dalSommo Pontefice Gregorio XVI nell’anno 1832, Roma, 1833.104 Lo studio dei rapporti fra Belli e la Compagnia è in corso. Vedi intanto Alberti 1941.105 Antonacci 1854, p. 50-59.106 Ibid., p. 50.107 Ibid., p. V.108 Ibid., p. 3.109 Vedi Cosmacini 1984.110 Antonacci 1954, p. 44.111 Armando 2013.112 Antonacci 1854, p. 53.

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Référence électronique

Fernanda Alfieri, « La Compagnia di Gesù e la medicina nel primo Ottocento. Ipotesi di ricerca »,Mélanges de l’École française de Rome - Italie et Méditerranée modernes et contemporaines [Enligne], 126/1 | 2014, mis en ligne le 05 août 2014, consulté le 08 septembre 2014. URL : http://mefrim.revues.org/1691

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Fernanda AlfieriFondazione Bruno Kessler - Istituto Storico italo-germanico (Trento) [email protected]

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Résumés

 Il contributo intende sondare alcuni percorsi di indagine sul rapporto tra la Compagnia diGesù nei decenni successivi alla sua restaurazione e la medicina. Esclusa per statuto dalladimensione istituzionale della pratica e dell’insegnamento, essa è presente nell’orizzontedell’antica Compagnia in forme varie e difficilmente sistematizzabili (da disciplina daincludere fra i loci theologici nella sistemazione casuistica, a sapere pratico da utilizzare

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nelle cangianti quotidianità missionarie). Questa dimensione diffusa e al contempo sfuggentesembra presentarsi anche negli orizzonti mutati della Compagnia restaurata, la cui fisionomia,a sua volta, sfugge ora ad uno sguardo complessivo. Ragioni per le quali si è tentato di esplorarela questione con una prospettiva di lungo periodo, incrociando dimensione istituzionalee percorsi individuali, e partendo da luoghi e problemi potenzialmente esemplari perdensità problematica: insegnamento, pratica missionaria, assistenza caritativa, aggiornamentointellettuale. This contribution aims to suggest viable routes for an investigation into the relationshipbetween the Society of Jesus in the decades following its restoration and medicine. Excludedby statute from Jesuit practice and teaching, medicine was nonetheless present in the ancientSociety in varied and hard to systematize forms (as a subject included among the loci theologiciin casuistic systematization, as practical knowledge used in the ever-changing daily scenariosof missionary life, and so forth). In a similarly dispersed and elusive way, medicine appears tohave continued to be present in the changed Society of the post-restoration years, whose overallphysiognomy, in its turn, it is now difficult to grasp. For these reasons, this study attempts toexplore the matter with a long-term perspective, interweaving the institutional dimension ofmedicine with individual experiences, and beginning with cases that are potentially exemplaryfor their particularly problematic nature: teaching, missionary practice, charitable assistance,intellectual debate.

Entrées d’index

Keywords : Jesuits, medicine, universities, canon law, moral theology, missionsParole chiave : gesuiti, medicina, università, diritto canonico, teologia morale, missioni