Una muta fedeltà: le cerimonie di baciamano fra Sei e Ottocento, in Le strategie dell’apparenza....

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Corti e principi fra Piemonte e Savoia 3

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Corti e principi

fra Piemonte e Savoia 3

Hanno contribuito alla pubblicazione del volume:

In copertina: P. SANRY su disegno di F. JUVARRA, Veüe du grand salon orné pour le bal ou LL. AA. RR. ont dansé en presence de toute la cour (1722/23), Torino, Palaz-zo Madama - Museo Civico d’Arte antica, inv. 702 (IV.14.g). Autorizzazione Fondazione Torino Musei con divieto di ulteriore riproduzione o duplicazione con qualsiasi mezzo. Ripresa fotografica di Marco Padovan, 2007. ISBN 9788871581828

2010 Silvio Zamorani editore Corso San Maurizio 25 10124 Torino www.zamorani.com [email protected]

Le strategie dell’apparenza Cerimoniali, politica e società

alla corte dei Savoia in età moderna

a cura di Paola Bianchi e Andrea Merlotti

Silvio Zamorani editore

Indice

9 p. 13 Paola BIANCHI - Andrea MERLOTTI

Introduzione

p. 11 Thalia BRERO p.17 Le baptême des enfants princiers (XVe et XVIe siècles)

p.37 Paola BIANCHI p.39 Politica matrimoniale e rituali fra Cinque e Settecento

p.63 Paolo COZZO p. 73 «Con lugubre armonia». Le pratiche funerarie in età moderna

P75 Andrea MERLOTTI p. 93 Una «muta fedeltà»: le cerimonie di baciamano fra Sei e Ottocento

p.87 Tomaso RICARDI DI NETRO p.133 Il duca diventa re. Cerimonie di corte per l’assunzione del titolo regio (1713-

1714)

Paolo CORNAGLIA 147 Il teatro della corte e del cerimoniale: il Palazzo Reale di Torino

111 Annarita COLTURATO P167 Musica e cerimoniale nel Settecento

125 Pietro PASSERIN D’ENTRÈVES P201 Il cerimoniale della caccia al cervo

223 Indice dei nomi

Elenco delle abbreviazioni

f. fascicolo

m., mm. mazzo, mazzi n. numero

Abbreviazioni archivistiche:

ACT Archivio Capitolare di Torino

ASCT Archivio Storico della Città di Torino

AST Archivio di Stato di Torino

BNT Biblioteca Nazionale di Torino

BRT Biblioteca Reale di Torino

Funerali AST, Corte, Materie Politiche in rapporto agli interni, Cerimo-niale, Funerali

Lettere ministri AST, Corte, Materie politiche in rapporto agli esteri, Lettere mi-nistri

Matrimoni AST, Corte, Materie politiche in rapporto agli interni, Matrimoni de’ sovrani principi e principesse della Reale Casa di Savoia

Opere a stampa:

DUBOIN F.A. DUBOIN, Raccolta per ordine di materie delle leggi, cioè editti, pa-tenti, manifesti, etc. ..., pubblicati negli Stati di terraferma dal principio dell'anno 1861 sino l'8 dicembre 1798 dai Sovrani della Real Casa di Savoia, Torino, 1826-1869, 29 tomi in 31 volumi, più indici

MANNO A. MANNO, Il patriziato italiano. Notizie di fatto storiche, genea-logiche, feudali ed araldiche, 2 voll. a stampa, Torino, 1906, e 25 voll. dattiloscritti in consultazione presso le principali biblioteche e gli archivi torinesi

Andrea Merlotti Una «muta fedeltà»: le cerimonie di baciamano fra Sei e Ottocento

Fra Sette e Ottocento le principali cerimonie della corte sabauda furono due: il baciamano di capodanno e il lavabo (o pedilavium). Mentre quest’ultima era una cerimonia religiosa, che s’inseriva all’interno dei riti pasquali, durante la quale il sovrano, alla presenza della corte, lavava i piedi di tredici poveri ripetendo così il gesto di Cristo verso gli apostoli1, il baciamano di capodanno era costituito da un insieme di cerimonie che si svolgevano nella settimana fra il 25 dicembre e il 1° gennaio e che portavano a corte i corpi dello Stato e la nobiltà.

I riti di baciamano non erano certo una prerogativa sabauda. Essi erano pre-senti, anzi, in molte corti europee. Pur non essendo questa la sede per ricostruire la storia di quello che costituì uno dei tipici riti curiali d’antico regime, va detto, al-meno, che esso aveva origini antiche, che rimontavano alla latinità, e che poi s’era diffuso nell’Europa feudale. In una dissertazione letta nel 1715 all’Académie Royale des inscriptions et belles lettres, Henry Morin (1655-1728) notava come alla corte degli imperatori romani i cortigiani più importanti potessero baciare la mano dell’imperatore, mentre quelli «d’un rang inférieur estoient obligez de se contenter d’adorer la pourpre, ce qu’ils faisoient en se mettant à genoux pour toucher la robbe des empereurs avec la main droite, qu’ils portoient ensuite à leur bouche». Per Morin, l’uso era poi passato presso tutte le monarchie europee, tanto «qu’elle se pratique encore aujourd’huy dans presque tous les pays connu a l’égard des princes et de superieurs»2. La fortuna del baciamano nel mondo delle corti era da-ta, quindi, dalla capacità di costituire una simbologia tanto semplice quanto forte: «accedere ad manum», infatti, esplicitava il privilegio di esser ammessi nella cer-chia più ristretta del sovrano.

Nell’Europa del Sei-Settecento, tuttavia, tale rito presentava caratteristiche diverse 1 Su tale cerimonia, diffusa nelle principali corti dell’Europa cattolica, si vedano A. RODRÍGUEZ

VILLA, Etiquetas de la Casa de Austria, Madrid, 1913, p. 64; J. DUINDAM, Vienna e Versailles. Le corti di due grandi dinastie rivali, Roma, 2003, pp. 194, 198-199, 294 e 396. Per il Piemonte cfr. I. MASSABÒ RICCI - C. ROSSO, La corte quale rappresentazione del potere sovrano, in Figure del barocco in Piemonte. La corte, la città. i cantieri, le province, a cura di G. Romano, Torino, 1988, pp. 11-38 (in part. pp. 15-16) e P. COZZO, Il clero di corte nel Ducato di Savoia fra XVI e XVII secolo, in L’affermarsi della corte sabauda. Dinastie, poteri, élites in Piemonte e Savoia fra tar-do medioevo e prima età moderna, a cura di P. Bianchi e L.C. Gentile, Torino, 2006, pp. 362-386 (in part. pp. 366-367, 380-381). 2 H. MORIN, Des Baisemains, in Histoire de l’Académie Royale des inscriptions et belles lettres avec les mémoires de littérature tirez des registres de cette académie depuis l’année MDCCXI jusques et com-pris l’année MDCCXVII, Paris, 1723, t. III, pp. 74-77 (la cit. da p. 77).

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da monarchia a monarchia. Nel 1690 l’anonimo glossatore dei Nouvelles remarques sur la langue françoise di Vaugelas scriveva: «anciennement les empereurs romains don-noient leurs mains à baiser comme un grand honneur et cette coûtume s’est encore conservée à la cour de l’Empereur d’Allemagne et des rois de la Grand Bretagne»3. Egli non faceva cenno alla Francia. Alla corte di Luigi XIV il baciamano era praticato di ra-do, e non costituiva una cerimonia così centrale come nelle corti asburgiche e in quelle che ne subivano l’influenza. Essa era prerogativa dei cavalieri dell’Ordine del Santo Spirito, sia in occasione delle cerimonie dell’Ordine stesso sia durante il sacre 4. Certo, non appena morto Luigi XIV, il duca d’Orléans, primo principe del sangue, «suivi des autres princes et grands du Royaume, alla saluer le roi et lui baiser la main, un genoüil en terre, comme à son nouveau roi»5, ma si trattava d’un atto di rispetto, non di una cerimonia codificata. D’altra parte, lord Chesterfield, per spiegare al figlio il principio che «ogni corte ha le sue peculiarità», notava proprio che «in Francia nessuno s’inchina davanti al re né gli bacia la mano; ma in Spagna e in Inghilterra ci si inchina e vige il baciamano»6. Ciò spiega perché gli autori francesi guardassero a tale pratica curiale come a qualcosa di un po’ esotico, che necessitava d’una spiegazione.

Un esempio è dato dal Tableau de l’Espagne moderne scritto alle soglie della Ri-voluzione dal barone Jean François de Bourgoing (1748-1811), segretario della le-gazione di Francia in Spagna dal 1777 al 1786 7. In esso il diplomatico descriveva con dovizia di particolari la cerimonia del besamanos, che durante il regno di Carlo IV si svolgeva una trentina di volte l’anno, definendola «une espece de foi et hom-mage, de renouvellement de serment de fidélité». «Le matin de ces jours solen-nels», raccontava de Bourgoing, «tout ceux qui ont quelque relation avec la cour, soit par leur service intérieur, soit par leurs fonctions militaires ou civiles, les mili-taires de tout grade, nombre d’ecclesiastiques et toujours quelques moines, vont defiler le roi et successivement devant les personnes de la famille royale, mettent un genou en terre et leur baisant la main»8. Ciò che colpiva di più il diplomatico francese era «que les dames, même les plus distinguées, baisent aussi, non seule-ment la main du monarque, mais encore celle de tous ses enfans, quel que soit leur sexe et leur age, et qu’on peut voir la plus élégant duchesse se prosterner devant le plus jeune infant, fût-il à la mamelle, et presser de ses lèvres de rose la petite main

3 Paris, 1690, p. 15. 4 N. MENIN, Traité historique et chronologique du sacre et couronnement des rois et reines de France depuis Clovis I jusqu’à present et de toute les princes souverains chrétiens, avec la relation du sacre de Louis XV, Amsterdam, 1724, p. 504. 5 Ivi, pp. 156-157. 6 Cfr. LORD CHESTERFIELD, L’educazione del gentiluomo. Lettere al figlio, Milano, 1991, p. 53, lettera del 7 agosto 1747. 7 Tornò poi in Spagna come ambasciatore della Francia rivoluzionaria fra 1792 e 1793. Il Nou-veau voyage en Espagne ou Tableau actuel de la monarchie apparve nel 1789 in 5 volumi. Fu riedi-to nel 1806 col titolo Tableau de l’Espagne moderne. Uso qui l’edizione Paris, 1807. 8 Tableau de l’Espagne moderne cit., vol. I, pp. 144-145.

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qui se prête ou se refuse machinalement à cet hommage prémature»9. L’uso del baciamano si diffuse in Francia solo con la Restaurazione, segno del nuovo e più reverente rapporto della nobiltà francese verso il suo sovrano.

In effetti ancora per tutto il Settecento il rito del baciamano fu praticato so-prattutto là ove era stato forte l’influsso asburgico e spagnolo. Un dato registrato, per quanto sommariamente, anche dall’Encyclopédie dove si scriveva: «le coutume de bai-ser la main du prince est en usage dans presque toutes les cours de l’Europe et sur-tout en Espagne, ou dans les grandes cérémonies les grands sont admis à baiser la main du Roi»10. Tuttavia, esso si diffuse anche in uno spazio tanto apparentemente lontano quanto avido di riprendere riti e stilemi europei: mi riferisco alla Russia di Pietro il Grande, dove però a esser baciata era solo la mano della zarina e non quella dello zar11. Fu proprio la persistenza del baciamano fra i grandi riti della corte che fra Sei e Settecento ne rese possibile la diffusione verso strati più ampi di popolazio-ne. Nella storia del baciamano, anzi, «le XVIIIe siècle joue un rôle charnière pour la tournure que baisemain prend vers le sens galant généralisé que nous lui connaissons aujourd’hui», ma questo senza che esso perdesse il suo senso politico iniziale: «le geste reste … attaché à sa valeur initiale, sacrale (perpetuée dans le baisemain de l’èvêque) ou cérémonielle (laquelle reste vivante durant tout l’Ancien Régime)»12.

Portando ora l’attenzione alle corti della penisola, va detto che nel Settecento non ve ne fu alcuna in cui esso non fosse presente. A Napoli, seguendo il modello della corte di Spagna, il baciamano s’affermò come la principale cerimonia curiale, venendo abolito solo con la conquista da parte di Vittorio Emanuele II nel 1860, e lo stesso accadde a Parma, dopo l’ascesa al trono del duca Ferdinando. Più tarda fu la comparsa della cerimonia alle corti asburgiche di Milano e Firenze dove, inoltre, come si vedrà, ebbe vita abbastanza breve, concentrandosi fra gli anni Sessanta e Ottanta del Settecento. Alla corte di Roma, infine, si praticava il rito del bacio del piede13: «tutte le persone che vanno all’udienza del Papa fanno tre genuflessioni,

9 Ivi, p. 146. 10 Encyclopédie ou dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, mis en ordre … par Diderot … et … d’Alembert, Lausanne et Berne, 1781, t. IV, p. 235. Riflessione simile si trova nell’Encyclopédie ou dictionnaire universel del De Felice: «Les coutume de baiser le main du Prince est en usage dans pres-que toutes les cours de l’Europe, et sur-tout en Espagne, a Naples etc. ou, dans les grandes cérémo-nies, les Seigneurs sont admis à baiser la main du Roi» (Yverdon, 1771, vol. IV, p. 434). 11 Cfr. R. WORTMAN, Scenarios of Power: Myth and Ceremony in Russian Monarchy from Peter the Great to the Abdication of Nicholas II, Princeton, 2006, p. 152. 12 G. VICKERMANN-RIBEMONT, Baiser du coeur ou de l’ésprit: le baisemain au XVIII

e siècle fran-çais, in Les baisers des lumières, a cura di A. Montandon, Clermont-Ferrand, 2004, pp. 55-74 (la cit. da p. 56). Sul baciamano nella Francia del Settecento si veda anche G. PATURCA, Le baise-main, geste de communication: entre la politesse et la séduction, in Savoir-vivre, a cura di A. Mon-tandon, Lyon, 1990, vol. I, pp. 201-214. 13 Su tale rito e sulle polemiche che esso generò fra Sette e Ottocento si veda M. CAFFIERO, Religione e modernità in Italia (secoli XVII-XIX), Roma, 2000, pp. 78 e sgg. Cfr., inoltre, S. BERTELLI, Il re, la Vergine, la sposa. Eros, maternità e potere nella cultura figurativa europea, Roma, 2002, pp. 30-34.

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indi prostrate gli baciano umilmente il piede; gli ambasciatori delle corone … gli onorevoli personaggi e le dame illustri devono far lo stesso»14. Anche i sovrani era-no tenuti allo stesso gesto. Nel 1744, per esempio, Carlo III di Napoli in visita a Benedetto XIV fu ammesso a render tale atto di omaggio15. Un secolo dopo, la vi-sita di Pio IX a Napoli, nel 1850, fu scandita da una lunga serie di cerimonie del bacio del piede, nelle quali sia Ferdinando II sia la nobiltà napoletana, i ministri e i magistrati fecero a gara per esser ammessi16. Ma anche Vittorio Emanuele I nel 1815, ricevendo il papa a Savona, non esitò a compiere lo stesso gesto17.

Ciò posto e considerata la tradizionale tesi dell’influenza del gusto e dello stile francese sulla corte sabauda, l’importanza in essa dei riti di baciamano curiale può, quindi, stupire. Conviene ora cercare di comprendere come tale cerimonia abbia attecchito alla corte sabauda individuando le ragioni del suo successo.

1. I riti di baciamano alla corte sabauda del Settecento

La prima traccia nei Registri dei cerimoniali di corte18 d’una cerimonia di bacia-mano organizzata il 1° gennaio risale al 1692. Sino a quel momento il baciamano era certo praticato alla corte sabauda, ma non pare esso fosse oggetto d’una rituali-tà codificata e iterata.

Al contrario, almeno dall’epoca di Cristina (reggente dal 1637 al 1645 per il figlio Carlo Emanuele II, ma vera sovrana sino alla morte nel 1663) sino a quella di Maria Giovanna Battista (reggente per Vittorio Amedeo II dal 1675 al 1684) il giorno d’ini-zio anno era occasione della cosiddetta cavalcata «di parada». «Il primo giorno dell’an-no», scriveva l’elemosiniere Pietro Ottavio Piscina, «le loro Altezze Reali … sono solite d’andare alla Chiesa del Gesù in parada con le guardie a sentire messa»19. La giornata i-niziava, solitamente, con l’arrivo a corte del nunzio o dell’ambasciatore francese che presentava al sovrano gli auguri da parte del corpo diplomatico. Poi i sovrani, precedu-

14 A. TOSI, Lo stato presente della corte di Roma, Marsiglia, 1774, cap. XIX, pp. 111-115; J. PO-

VYARD, Dissertazione sopra l’autorità del bacio dei piedi dei Sommi Pontefici, Roma, 1807 e la vo-ce Bacio del piede in G. MORONI, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da San Pietro sino ai nostri giorni, Venezia, 1840, vol. IV, pp.15-17. 15 F. BECATTINI, Storia del regno di Carlo III di Borbone, Venezia, 1790, p. 152. 16 S. D’ALOE, Diario del soggiorno in Napoli di Sua Santità Pio IX, Roma, 1850, p. 72. 17 B. PACCA, Relazione del viaggio di Pio papa VII a Genova nella primavera dell’anno 1815, Or-vieto, 1833, p. 86. 18 Con tale espressione intendo la serie di registri stesi dai maestri di cerimonie della corte sa-bauda dal 1637 al 1848, in cui si raccontano giorno per giorno gli eventi della corte. La serie è conservata in BRT, Storia patria 726. Essa presenta tre lacune: la prima relativa agli anni 1685-1689, la seconda agli anni 1704-1709, la terza agli anni 1723-1737. 19 P.O. PISCINA, Cerimoniale da osservarsi alla Real Corte ne’ giorni ne’ quali S.A.R. il duca di Sa-voia tiene cappella et interviene alle funzioni in chiesa (1675 ca.), trascritto in P. COZZO, La geo-grafia celeste dei duchi di Savoia. Religione, devozioni e sacralità in uno Stato di età moderna (sec. XVI-XVIII), Bologna, 2006, pp. 284-299.

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ti dalle guardie svizzere e dal corpo degli archibugieri, lasciavano Palazzo Reale a caval-lo e, a tambur battente, si recavano «in parada», insieme alla corte, sino alla chiesa dei Gesuiti, dove assistevano alla messa, officiata dall’arcivescovo di Torino, con l’assi-stenza degli elemosinieri di corte20. Terminato il rito, la corte rientrava a Palazzo, dove il duca teneva pranzo pubblico. La cavalcata «di parada» era regolata da un cerimoniale complesso, la cui più compiuta definizione sembra esser quella offerta dalle Memorie per il regolamento delle fonzioni spettanti alle tre cariche di corona, approvata da Maria Giovanna Battista nel 168021. Tale cerimonia si svolse almeno sino al 1684, ma non più dal 1690. Purtroppo, una lacuna nei registri delle cerimonie di corte non permette di cogliere i cambiamenti avvenuti fra 1685 e 1690, tuttavia un’ipotesi è possibile. Nel 1684 Vittorio Amedeo II sposò Anna d’Orléans, nipote di Luigi XIV, e riuscì a esau-torare la madre, la quale sperava di protrarre la sua reggenza ancora per anni, così come aveva fatto Cristina di Francia con Carlo Emanuele II. La presenza di una duchessa e la nascita, nel giro di pochi anni, di tre principesse, Maria Adelaide (1685-1712), Ma-ria Anna (1687-1690) e Maria Gabriella (1688-1714), tolse a Maria Giovanna Battista il rango di prima donna e diede alla sua corte, stabilitasi nel Castello (Palazzo Mada-ma), un ruolo via via più marginale. Assunti i pieni poteri, Vittorio Amedeo II inter-venne anche sul cerimoniale. La già ricordata mancanza del registro dei cerimoniali fra 1685 e 1689 impedisce di cogliere l’esatto dispiegarsi delle riforme di corte. Quel che è certo, tuttavia, è che dal 1690 diversi riti presenti nel cerimoniale di Maria Giovanna Battista non risultano più praticati. Tali modifiche sono particolarmente evidenti nel caso del 1° gennaio.

20 Si tratta dell’attuale Chiesa dei Santi Martiri, in via Garibaldi. Su di essa si veda I Santi Martiri: una chiesa nella storia di Torino, a cura di B. Signorelli, Torino, 2000. La più antica descrizione che ne ho trovato nei Registri dei cerimoniali di corte è relativa al 1646. La si veda in Registro originale di mano propria del fu signor conte Muratore, già mastro delle cerimonie di S.A.R., cominciato li 20 ottobre 1643 sino alli 24 dicembre 1672, in BRT, Storia patria 726/2, c. 22r: «Il primo dell’anno 1646. Madama Reale con Sua Altezza Reale [Carlo Emanuele II] accompagnati dal signor principe Tomaso [di Cari-gnano] sortendo di palazzo andarono a sentire la messa nella Chiesa de’ Padri del Gesù, ove era prepa-rato il baldacchino di seta d’oro bianca a mano destra nel ingresso della Chiesa presso il gradino del coro servite esse reali altezze da gran numero di cavalieri e dame, con le guardie de’ Svizzeri et archi-bugieri con tamburo battente. V’intervennero le corazze di Madama Reale quali erano di guardia con le alabarde dorate a conto della carrozza e li signori tenenti delle guardie e cornette al solito e con il medesimo ordine fu il ritorno dopo la messa, sin al Palazzo, ove disnorono pubblicamente insieme». 21 Memorie per il regolamento delle fonzioni spettanti alle tre cariche di corona, alle cariche di gran maestro della guardarobba e delli elemosinieri di S.A.R. … divise in tre libri, cioè Casa, Camera e Scuderia … de-scritte dal segretario di Stato e de’ ceremoniali di S.A.R. Bernardino Bianco l’anno 1679 ed approvate con patenti di S.M. del 25 febbraio 1680, pubblicate in DUBOIN, t. VIII, vol. X, pp. 204-206. Su tale ceri-moniale cfr. I. MASSABÒ RICCI - A. MERLOTTI, In attesa del duca: reggenza e principi del sangue nella To-rino di Maria Giovanna Battista, in Torino. 1675-1699. Strategie e conflitti del barocco, a cura di G. Ro-mano, Torino, 1993, pp. 121-174. Si badi, però, che dopo il 1685 ampie parti di tale cerimoniale fu-rono modificate, se non annullate, da Vittorio Amedeo II. Esso va poi integrato con le Memorie per il regolamento delle funzioni spettanti alle cariche della dama d’honore, della dama d’atour, del Gran maestro della Casa e del Gran scudiere di Madama Reale, conservate in BRT, Storia patria 725.

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Se, infatti, il conte Balbis di Vernone, maestro delle cerimonie di Vittorio A-medeo II, non riporta nulla in relazione al 1691, per il primo gennaio 1692 egli registra un insieme di cerimonie diverso da quello di pochi anni prima.

La giornata si sarebbe dovuta aprire con la visita del nunzio apostolico a corte, ma questi era stato costretto a rinunciare perché malato. Il duca e la duchessa, accom-pagnati da Madama Reale, si erano, quindi, recati al duomo, dove, dalla tribuna reale, avevano assistito alla messa. «Al ritorno nel gabinetto di madama la duchessa reale, Sua Altezza Reale volle che tutta la corte baciasse la mano alle dette Reali Sovrane, come si fece, e nell’istesso luogo pure si compiacque Sua Altezza Reale di lasciarsi baciar la ma-no e ricevere i complimenti di tutta la corte per un buon principio d’anno». Dopo di che i sovrani tennero pranzo pubblico. Nel pomeriggio, la duchessa e Madama Reale si recarono alla chiesa dei Gesuiti, ma senza il duca e senza cavalcata «di parada» e, com-mentava il conte Balbis, «non colle solite ceremonie di cappella»22.

Dal 1692, quindi, la struttura della giornata del 1° gennaio risulta aver assunto la fisionomia che avrebbe mantenuto sino al 1848 e che l’avrebbe vista divisa in quattro momenti principali, pur se con alcuni cambiamenti nell’ordine degli even-ti: 1) auguri al sovrano del corpo diplomatico; 2) baciamano ai sovrani e ai princi-pi; 3) messa al duomo; 4) pranzo pubblico dei sovrani.

Dagli stessi anni, poi, i registri del cerimoniale di corte iniziarono a riportare no-tizie di baciamani solenni, tenuti in occasione di matrimoni e morti dei sovrani e dei principali principi: cerimonie che divennero una consuetudine nel Settecento. Nel 1684 l’incontro fra Vittorio Amedeo II e Anna d’Orléans a Chambéry fu segnato dal baciamano non solo della nobiltà, ma anche del Senato e della Camera di Savoia, del Consiglio di Chambéry e dei rappresentanti dei Consigli delle principali città del ducato23. Un altro esempio interessante di tale rituale è offerto da quanto accaduto nel 1696, quando l’undicenne principessa Maria Adelaide lasciò Torino per trasferir-si a Versailles, dove avrebbe sposato il duca di Borgogna (erede al trono di Francia). Il 6 ottobre le alte magistrature del Piemonte (Consiglio di Stato, presieduto dal gran cancelliere, Senato di Piemonte, Camera di Piemonte) e il Consiglio di Torino si recarono a corte per baciarle la mano; una settimana più tardi la cerimonia si ripe-té a Chambéry, con i magistrati della Savoia. Cerimonie analoghe si ebbero cinque anni dopo, nel 1701, in occasione della partenza della principessa Maria Gabriella, sposa del pretendente francese al trono di Spagna Filippo d’Angiò. In tale occasione, anzi, si ha notizia anche di baciamani organizzati per la nobiltà e i Consigli delle cit-tà attraversate dalla principessa e dalla sua corte24.

22 Registro del cerimoniale della Real Corte di Savoia … incominciato li 17 settembre 1690 sino li 14 maggio 1699 esercitando la carica di Gran maestro di cerimonie il conte di Vernone, in BRT, Storia patria 726/3, cc. 55r-55v. 23 Relazione dell'occorso nel viaggio di S.A.R. Anna Maria d'Orléans sposa di S.A.R. Vittorio Ame-deo da Chiamberì a Torino, in AST, Corte, Matrimoni, m. 36, n. 12. Su di esso si veda il saggio di Paola Bianchi in questo volume. 24 Si veda, per esempio, la Lettera di ragguaglio del pubblico ricevimento fatto alla Real Maestà Maria Gabriella di Savoia regina di Spagna dalla città di Cuneo li 14 settembre 1701, Cuneo, 1701.

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Nonostante la partecipazione dello Stato sabaudo alla Guerra di successione spagnola (1703-1713) obbligasse a numerose deroghe e variazioni rispetto ai ceri-moniali, all’inizio del Settecento il baciamano del primo dell’anno era ormai una pratica consolidata. Nel 1708 il conte Maurizio Robbio di Montemarzo, succedu-to a Balbis di Vernone come maestro di cerimonie e introduttore degli ambascia-tori, scriveva: «Il primo giorno dell’anno si è fatta da cavaglieri e dame la solita fontione del baciar le mani alle luoro Altezze Reali e [ai] serenissimi principi di Piemonte e duca d’Aosta»25. E «funzione solita» il baciamano è definito anche nel cerimoniale del conte Tarino per il 1713, quando la cerimonia, ormai nell’immi-nenza della pace, fu segnata da un «grandissimo concorso di dame e cavalieri»26. La consacrazione del baciamano ai sovrani come cerimonia più importante della corte si ebbe proprio in quello stesso 1713, quando l’ascesa al trono di Sicilia e, soprattutto, la conquista del rango regale furono celebrate il 22 settembre con un grande baciamano che occupò l’intera mattina. Esso si svolse in quattro tempi: una prima cerimonia riguardò i soli membri della dinastia, che dopo aver baciato la mano di Vittorio Amedeo II furono da questi ricambiati con un abbraccio e un bacio. La seconda fu il baciamano al re dei vescovi, dei cavalieri dell’Annunziata, dei ministri di Stato e dei militari di corte. La terza fu il baciamano della corte. La-sciata la camera dell’alcova, Vittorio Amedeo II si portò nella camera di parata, dove ricevette il baciamano delle magistrature e del Consiglio di Torino, quarta parte della lunga cerimonia. Al baciamano al re seguì poi, con analoghe scansioni, il baciamano alla regina. A questo punto fu il momento della messa in duomo, del baciamano a Madama Reale e, infine, del pranzo pubblico. Nel pomeriggio, la ce-rimonia riprese con il baciamano al re e poi alla regine degli ecclesiastici e delle magistrature minori27. Il baciamano al re e alla regina ebbe un ruolo importante anche nelle cerimonie che si tennero a Palermo e in altre città della Sicilia in occa-sione del lungo soggiorno nell’isola della corte sabauda fra 1713 e 171428.

Al ritorno dalla Sicilia Vittorio Amedeo II introdusse un’importante innova-zione, destinata a non mutare sino al 1848. Egli ordinò, infatti, che il rito del ba-ciamano di capodanno riguardasse anche le magistrature e il Consiglio di Torino. Questi, però, non avrebbero dovuto compiere il baciamano insieme alla corte, ma il giorno precedente, il 31 dicembre. Il baciamano delle magistrature si prolungava per l’intera giornata, poiché, dopo averlo presentato al re, lo ripetevano alla regina 25 Ceremoniale della Real Corte di Savoia esercito et regolato per ordine di S.A.R. da me conte di Montemarzo Mauritio Robbio maggiordomo di detta A.R. dalli 26 ottobre 1703 sino per tutto l’anno 1709, in BRT, Storia patria 726/4, c. 38r. 26 Cerimoniale Tarino, in BRT, Storia patria 726/5, c. 282r. 27 Una dettagliata descrizione di tale cerimonia è offerta nel saggio di Tomaso Ricardi di Netro. Cfr., inoltre, V.E. STELLARDI, Il regno di Vittorio Amedeo di Savoia nell’isola di Sicilia dall’anno 1713 al 1719. Documenti raccolti e stampati per ordine della Maestà del re d’Italia, Torino, 1862-63, vol. 1, pp. 33-34. Su tale tema si veda ora E. WÜNSCHE-WERDEHAUSEN, «La felicità in trono». L’entrata di Vittorio Amedeo II a Palermo nel 1713, «Artes», XIII (2005-2007), pp. 362-388. 28 J. LEVESQUE DE BURIGNY, Storia generale di Sicilia, Palermo, 1792, p. 406.

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e, nel pomeriggio, a Madama Reale e al principe ereditario. Vittorio Amedeo II volle dare un nuovo e più forte valore al rito, tanto che per

il baciamano del 1° gennaio 1715 invitò anche il clero. Dopo il baciamano della nobiltà, infatti, racconta il marchese Luserna d’Angrogna, furono ammessi alla presenza dei sovrani i padri superiori degli ordini religiosi presenti in Torino. «Fu cosa nuova che detti superiori si portassero a corte in tal dì per l’augurio del na-scente anno», commentò il marchese, «né avrebbe il re pensato di dar un tal ordine se il signor abbate di Gattinara, elemosiniere, non avesse detto alla Maestà Sua che qualche religioso gl’aveva chiesto se non avrebbe avuta la sorte d’esser anch’esso ammesso al baciamano, sopra di che mi comandò il Re di fargli avvisare, com’ese-guii, e credo non sia per continuare tale formalità»29. Il riferimento all’abate di Gattinara è interessante poiché questi costituiva una delle principali figure religio-se della corte. Si tratta, infatti, dell’abate Francesco Veremondo Gattinara (1669-1728), elemosiniere di corte dal 1709, che grazie alla sua vicinanza a Vittorio A-medeo II era riuscito a far diventare il nipote Francesco Giuseppe (1656/58-1743) vescovo di Alessandria nel 1706 e che, poco prima di morire nel 1727, sarebbe riuscito a farlo trasferire a Torino sulla cattedra di San Massimo. È forte la sugge-stione di ricondurre al Gattinara un anonimo Mémoire pour la Majesté relativo al baciamano degli ecclesiastici che risale agli anni Venti del secolo30. In esso, dopo una breve ricostruzione storica del baciamano e del suo valore come cerimonia cu-riale che non s’accordava «qu’à tres peu de personne, du premier rang et du der-nier merite», l’anonimo autore chiedeva con forza che vi fossero ammessi anche gli ecclesiastici. Poiché ciò avveniva già nei baciamani di nozze, di felicitazioni e di condoglianze, è evidente che la richiesta era riferita al baciamano di capodanno. Non era giusto che il re non volesse ammettere al baciamano i religiosi, «pendant qu’elle l’accorderoit à des laïques». L’autore insisteva, in particolare, sul carattere laico della cerimonia e sul ruolo dei religiosi quali funzionari di Stato:

Au reste, messieurs les prelats ne viennent à semblables ceremonies que comme à des ceremonies civiles et de l’état, pas consequent comme des membres les plus dis-tingueés de l’ État; ce qui ne regarde nullement leur caractere, le deüil qu’ils por-tent en cette qualitè en est une preuve s’ajoute que comme dans ces païs les prelats n’ont pas étés accoûtumes de distinguer le spirituel de leur jurisdiction du civil, qu’ils doivent au Souverain et à l’État, il est à propos et même d’importance de le servis des occasions qui le presentent pour les accoutumes peu à peu pour les enga-ges à l’y rendre plus facilment dans autres occasions31.

29 Registro de’ ceremoniali della corte sotto il gloriosissimo regno della Sacra Reale Maestà di Vittorio Amedeo re di Sicilia, Gerusalemme e Cipro incominciato il 21 settembre 1713 e continuato per tutto l’anno 1721 dal marchese d’Angrogna, Carlo Amedeo di Luserna, maestro delle cerimonie di Sua Maestà, BRT, Storia patria 726/6, c. 228v. 30 Il riferimento alla Sardegna lo rende, evidentemente, successivo al 1720. Il fatto che sia invia-to a Vittorio Amedeo II lo fa datare, però, entro il 1730. Lo si veda in AST, Corte, Cerimoniali, Funzioni diverse, m. 1 non inv., fascicolo non numerato. 31 Sulla politica religiosa di Vittorio Amedeo II si veda M.T. SILVESTRINI, La politica della reli-

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Non c’era poi il rischio che il baciamano potesse avvilire il sacerdozio:

le baisemain n’est pas une ceremonie basse qui puisse avilir aucun caractere ni di-gnitè, car quoiqu’elle soit de la part du sujet une protestation de soûmmission et de veneration pour son souverain, il est de la part du souverain la marque d’une bienveillance speciale et d’une protection toute particuliere.

La supplica, tuttavia, non ebbe successo e il capodanno del 1715 restò un caso isolato. Nel frattempo, al rito dei baciamano di capodanno s’era aggiunto un nuovo sog-

getto. Dal 1° gennaio 1718, infatti, era stato ammesso a esso anche il Consiglio di Sici-lia: non insieme alle altre magistrature il 31 dicembre, ma il 1° gennaio, prima della corte32. La perdita del Regno di Sicilia e la sua sostituzione con il Regno di Sardegna fecero sì che tale baciamano si svolgesse però solo per pochissimi anni. Dal 1722 il suo posto fu preso dal Supremo Consiglio di Sardegna, per il cui baciamano fu poi fissato il giorno di Natale. Da allora, quindi, i riti di baciamano di capodanno si dispiegarono su tre giorni, saliti poi ulteriormente a quattro solo oltre un secolo dopo, nel 1831.

Carlo Emanuele III, asceso al trono nel 1730 in seguito all’abdicazione paterna, introdusse alcune variazioni nella pratica dei baciamani di capodanno e diede a essi la configurazione che avrebbero mantenuto per oltre un secolo. Rispetto a quanto a-veva fatto il padre, abbassò il rango dei principi del sangue (di fatto i soli principi di Carignano, rimasti ormai l’unico ramo cadetto). Negli anni di Vittorio Amedeo II il baciamano di principi e principesse del sangue era avvenuto privatamente, «ne’ ap-partamenti loro [dei sovrani] prima del pubblico baciamano»33. Il re, inoltre, era sta-to solito ricambiare il baciamano ricevuto con un abbraccio e un bacio. Carlo Ema-nuele III, invece, rese pubblica anche questa parte della funzione, facendone il mo-mento iniziale del baciamano della corte e abolì il bacio sovrano34. Egli volle così marcare in modo nuovo la differenza fra principi reali e principi del sangue.

Nello stesso tempo egli ammise nuovi soggetti al baciamano di corte: nel 1741 chiamò a quello del 31 dicembre anche l’Università degli Studi (un atto che può vedersi come la manifestazione sul piano cerimoniale di quella volontà di «assimi-lare l’insegnamento universitario ai quadri della burocrazia statale» che è stata vista come una delle linee guida della politica universitaria sabauda35) e nel 1744 volle che a chiudere il baciamano del 1° gennaio fossero i rappresentati dei reggimenti posti a difesa della capitale.

È utile, a questo punto, esaminare singolarmente le tre cerimonie dei baciama-ni di capodanno.

gione. Il governo ecclesiastico nello Stato sabaudo del XVIII secolo, Firenze, 1997. 32 Registro de’ ceremoniali della corte … [del] … marchese d’Angrogna, cit., c. 440r. 33 Ibidem. 34 Registro de’ ceremoniali del conte Carlo Amedeo Salmatoris, in BRT Storia patria 726 / 7, reg. 1 (1737-43), baciamano del 1° gennaio 1738. 35 D. BALANI, Toghe di Stato. La facoltà giuridica dell’Università di Torino e le professioni nel Piemonte del Settecento, Torino, 1996, p. 29, n. 59.

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2. I baciamani di capodanno («complimenti»)

Con l’espressione baciamani di capodanno indico l’insieme dei baciamani che si tenevano fra Natale e capodanno e in cui le principali magistrature dello Stato, la nobiltà di corte e gli alti gradi dell’esercito presentavano ai sovrani e ai principi della dinastia i propri auguri, rinnovando la loro fedeltà. I baciamani di capo-danno sono indicati nei documenti dell’epoca anche come «complimenti». Essi si svolgevano solo a Palazzo Reale. Quando la corte era a Venaria o in un’altra delle residenze extra-moenia venivano annullati. Poteva, tuttavia, accadere che, essendo a Torino un rappresentante della dinastia, il sovrano ordinasse che la cerimonia si tenesse in suo onore, ma si trattava di casi rari e isolati36.

2.1. Il baciamano delle magistrature (31 dicembre)

Il baciamano delle magistrature risulta praticato almeno dagli anni Novanta del Seicento, ma per una sua codificazione più precisa si devono attendere gli anni Venti del Settecento, quando il sovrano in occasione della stesura delle Regie Costituzioni del 1723 e del 1729 emanò cerimoniali per i principali corpi dello Stato.

La giornata aveva inizio fuori dalla corte. Le magistrature, infatti, si riunivano intorno alle 8 nella casa del loro presidente. Questo non deve stupire perché per l’intero Settecento le magistrature sabaude ebbero nelle case dei loro presidenti una delle sedi principali e giuridicamente riconosciute. Inoltre, i cerimoniali pre-vedevano che in assenza del loro primo presidente (o equivalente figura) l’intera magistratura non potesse prender parte alle cerimonie di Stato. Esemplare la vi-cenda del Consiglio dei memoriali. Questo aveva per capo il gran cancelliere, for-malmente la principale carica politica dello Stato, e per tale ragione doveva esser la prima magistratura a prestare il baciamano ai sovrani. Tuttavia, poiché durante il regno di Carlo Emanuele III la carica di gran cancelliere fu vacante dal maggio 1745 al settembre 1768, in questo lungo lasso di tempo il Consiglio dei memoriali non poté intervenire al baciamano37. Tornando alla questione della sede delle ma-gistrature, va rilevato inoltre che commissioni, «giunte» e riunioni si tenevano in prevalenza nei palazzi dei magistrati piuttosto che in quelli (se esistevano) dove si svolgevano le attività giudicanti. Anche ministri e alti funzionari, che pure posse-devano grandi dimore e avrebbero potuto contare sul palazzo delle Segreterie di Stato, preferirono vivere a corte, almeno durante i regni di Vittorio Amedeo II

36 Fu quello che accadde, per esempio, il 31 dicembre 1716, quando la corte era a Venaria e Vittorio Amedeo II ordinò che le magistrature facessero il baciamano alla sola Madama Reale, o il 25 dicembre 1742, quando, essendo il re fuori città, il Consiglio di Sardegna baciò la mano del duca di Savoia. 37 Il cerimoniale del Consiglio prevedeva esplicitamente che «in caso di malattia o d’altro giusto impedimento per cui non possa il Gran Cancelliere intervenire … nemmeno v’interverrà il ri-manente del Consiglio». Regolamento di Sua Maestà per il cerimoniale da osservarsi dal Gran Can-celliere e dal Consiglio dei memoriali, Torino, 1741, cap. 1, § 9.

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(1675-1730) e Carlo Emanuele III (1730-1773)38. Un resoconto di che cosa acca-desse quando le magistrature si recavano nei palazzi dei loro presidenti e delle tra-sformazioni che tale evento richiedeva alla struttura stessa delle abitazioni interes-sate ci è stato lasciato dal conte Filippo Domenico Beraudo di Pralormo (1678-1753), presidente della Camera dei conti dal giugno 1744 al maggio 1749, autore di un tanto singolare quanto prezioso Diario della casa, in cui descrisse i lavori ese-guiti nella sua abitazione. Scrive Pralormo che chi giungeva a cariche di comando nella magistratura (ma il discorso si poteva estendere a molte altre) doveva posse-dere «un appartamento della qualità che si richiede … per far congressi, per ricever visite di personaggi che seco conducono corteggio, … [per] ricevere il magistrato in corpo per le funzioni pubbliche», il che comportava perlomeno l’esistenza «di più anticamere» e passaggio fra le varie stanze utilizzabili a seconda delle diverse necessità. Partendo da questa considerazione, egli affidò a uno dei più importanti architetti torinesi dell’epoca, Giovan Pietro Baroni di Tavigliano, la riplasmazione del suo palazzo torinese, così da renderlo adatto alle responsabilità sociali del suo nuovo incarico. Per inaugurarlo egli scelse il 31 dicembre 1747, quando ricevette la Camera dei conti per portarsi con essa alla cerimonia del baciamano:

Si è per la prima volta fatta funzione nel quarto nuovo con aver ricevuto in essa il magistrato della Camera all’occasione del bacciamano per l’anno nuovo a Sua Mae-stà. Li signori togati ed i patrimoniali [sono stati] ricevuti nella camera ultima di ri-cevimento. Li altri signori del mantello nella camera gialla. Li uscieri nell’anticamera nuova. Si è lasciata la prima anticamera verde per li servitori di livrea che custodisco-no li mantelli. Li signori del Magistrato sono stati serviti secondo al solito del cioco-latte et altri rinfreschi, tanto alla mattina che al doppopranzo39.

Normalmente, intorno alle 10, le magistrature si avviavano verso Palazzo Rea-le, con carrozze e processione di gala, per giungervi intorno alle 10,30. I membri delle magistrature si portavano a corte in toga. Colori e decorazioni delle toghe e-rano rigidamente regolati dal cerimoniale. Senato e Camera erano immediatamen-te riconoscibili perché il Senato indossava toghe rosse (o porpora) e la Camera to-

38 Emblematico il caso del potentissimo marchese d’Ormea, che dal suo trasferimento a Torino nel 1717 sino alla morte nel 1745 abitò in un appartamento appositamente costituitogli in un’ala di Palazzo Reale. Nel corso del Settecento anche i primi segretari agli Interni e agli Esteri vissero quasi sempre a Palazzo. Cfr. L. PALMUCCI, Palazzi, castelli, arredi e giardini: l’«opulenza non mediocre» dei Ferrero d’Ormea nel Settecento, in Nobiltà e Stato in Piemonte. I Ferrero d’Or-mea, a cura di A. Merlotti, Torino, 2003, pp. 457-473. 39 F.D. BERAUDO DI PRALORMO, Diario della casa, in Archivio Beraudo di Pralormo, m. 35, n. 3bis, c. 54r. Sul conte Pralormo e sulla sua famiglia si veda A. MERLOTTI, Il silenzio e il servizio. Le «Epoche principali della mia vita» di Vincenzo Sebastiano Beraudo di Pralormo, Torino, 2003 dove sono edite, fra l’altro, le Epoche principali della vita di mio padre don Filippo Beraudo di Pralormo, scritte dal figlio Vincenzo Sebastiano. Sulla sua esperienza in Sardegna come reggente e capo della Real Udienza si veda ora E. MURA, Diario di Sardegna del conte Filippo Domenico Beraudo di Pralormo (1730-1734), Cagliari, 2009. In virtù di tale esperienza, Pralormo fu poi nominato presidente del Supremo Consiglio di Sardegna nel 1749.

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ghe nere. Dalle singole toghe, poi, era possibile riconoscere il ruolo di chi le ve-stiva all’interno della sua magistratura. Si prenda l’esempio del Senato. I presidenti avevano la toga di velluto rosso, ma solo quella del primo presidente (a cui nel ba-ciamano spettava tener l’arringa e baciare per primo la mano al re) era bordata d’ermellino. I senatori, l’avvocato generale, l’avvocato fiscale generale e l’avvocato dei poveri avevano una toga porpora «colle mostre di velluto rosso alle maniche», i sostituti degli avvocati generali avevano le «mostre» dello stesso colore, ma di «sati-no» e non di velluto, mentre quelle dell’avvocato dei poveri erano di «satino nero»; i segretari, il procuratore dei poveri e il priore degli attuari indossavano una toga rossa più corta e con «mostre di taffetà nero»40. Regole analoghe valevano per la Camera dei conti. Ogni corteo, poi, seguiva un rigido cerimoniale, deciso dal re. Quello del Senato di Piemonte, per esempio, prevedeva, fra l’altro, che il primo presidente fosse accompagnato «da un usciere … colla mazza» e da un corteo aper-to dagli uscieri colle bacchette alzate, dal procuratore dei poveri, dal priore degli attuari, dal capitano di giustizia col manto rosso, dai due segretari ecc.41.

Giunti a Palazzo e lasciato all’ingresso il personale di minore rango, i magistrati venivano fatti accomodare nell’anticamera dei paggi, che nei giorni precedenti era stata «ben guernita di banchi». Nello stesso tempo, il re, conclusasi l’udienza agli ambasciatori, si portava alla camera dell’alcova e si preparava a ricevere il baciama-no ponendosi «vicino al fuoco in piedi, col cappello sotto al brachio» (1715) op-pure «in piedi per contro la tavola che sta situata fra le due finestre, col cappello sotto il braccio per suo commodo» (1737). Alle 11 il maestro delle cerimonie face-va entrare il Gran cancelliere, standogli a sinistra; dietro di loro entravano i refe-rendari del Consiglio dei memoriali. Dopo le tre genuflessioni di rito, il gran can-celliere teneva l’arringa, s’inginocchiava per baciare la mano, seguito poi dai refe-rendari. La stessa cerimonia si ripeteva poi per il Senato di Piemonte, la Camera dei conti, il Consiglio comunale di Torino e, dal 1741, la Regia Università. Sino al 1719 «entravan al seguito dei corpi tutti gli officiali subalterni», ma dal 1720 l’accesso fu limitato solo ad alcuni di essi. Per quanto riguarda Senato e Camera, per esempio, dopo le «toghe rosse» (Senato) e le «toghe nere» (Camera) furono ammessi solo gli avvocati generali, fiscali e dei poveri, nonché il segretario ordina-rio, mentre ne furono esclusi i gradi inferiori42. Nel 1771 fu ammesso anche il ca-pitano di giustizia «sul riflesso», scriveva il conte Piozzo, «che oggidì il detto capi-

40 Cerimoniale per li Senati cit., pp. 310-311. L’uso della toga rossa da parte di segretari, procu-ratore dei poveri e priore degli attuari era stato il risultato di anni di trattative, originate proprio dalla partecipazione al rito del baciamano, giacché sino allora le cariche avevano indossato la to-ga nera; ma il presidente Riccardi aveva convinto il re che nella cerimonia del 31 dicembre sa-rebbe stato meglio che tutto il Senato avesse avuto toghe dello stesso colore. Cfr. E. GENTA, Se-nato e senatori di Piemonte nel secolo XVIII, Torino, 1983, pp. 13-14. 41 Il Cerimoniale per li Senati, datato 14 novembre 1729, si può leggere in DUBOIN, tomo III, vol. III, parte I, pp. 309-312. 42 Cfr. Registro de’ … marchese d’Angrogna cit., baciamano del 31 dicembre 1720.

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tano è laureato e veste toga, come gl’altri ufficiali subalterni del Magistrato»43. Nel 1783, poi, furono ammessi anche i rettori dei collegi di Teologia, Legge e Medici-na44. Alla cerimonia assistevano i grandi di corona e gli altri membri principali della corte. Man mano che le magistrature terminavano il loro omaggio al re, ve-nivano condotte nella camera di parata della regina, dove attendevano di prestare il baciamano anche alla sovrana, che intanto li aveva attesi nel gabinetto del «circo-lo», insieme alla sua corte.

Nel pomeriggio le magistrature ripetevano nuovamente il baciamano, questa volta per il principe ereditario e per gli altri principi della real casa.

2.2 Il baciamano dei Consigli di Sicilia e di Sardegna (1° gennaio, 25/26 dicembre)

Il baciamano del Supremo Consiglio di Sicilia e quello del Supremo Consiglio di Sardegna, magistrature istituite rispettivamente nel 1717 e nel 1721, si teneva nella stessa forma e nello stesso spazio (la camera dell’alcova dell’appartamento del re) del baciamano delle altre magistrature.

Per dare al Consiglio di Sicilia un «particolare tratto di distinzione», Vittorio Amedeo II volle che esso prestasse il baciamano il 1° gennaio, subito prima della nobiltà. Il Consiglio si presentava in toga, tranne il presidente che doveva esser «vestito a mantello».

Quando, nel 1721, al Consiglio di Sicilia si sostituì quello di Sardegna, Vitto-rio Amedeo II confermò il privilegio di prestare il baciamano in un giorno distinto dalle altre magistrature. Stabilì, anzi, che in tutte le cerimonie di corte cui erano ammesse le magistrature il Consiglio di Sardegna si presentasse in un giorno pre-cedente alle altre. Inizialmente il giorno prescelto fu il 1° gennaio, prima del ba-ciamano della nobiltà. Il luogo restava, però, la camera dell’alcova, come per gli al-tri corpi. Successivamente si fissò come data la mattina del 25 dicembre45, ma tale scelta si rivelò presto infelice. Il giorno di Natale, infatti, la corte aveva già un ce-rimoniale abbastanza ricco per cui il tempo per il baciamano del Consiglio era as-sai ristretto. Nel 1750 si decise, allora, si spostarlo al 26 dicembre. In realtà, du-rante il regno di Carlo Emanuele III il baciamano del Consiglio di Sardegna fu spesso annullato: nei venticinque anni fra 1743 e 1767 si tenne solo cinque vol-te46. La scusa formale furono le cattive condizioni di salute dei suoi presidenti, ma

43 Cfr. Registro di cerimoniali del conte [Vacca di] Piozzo, BRT, Storia Patria 726/8, reg. 4, ba-ciamano del 31 dicembre 1771. 44 Traggo la notizia dal citato cerimoniale del conte Cravetta di Villanovetta, reg. 3, baciamano del 31 dicembre 1783. 45 Un cerimoniale dei primi anni di regno di Carlo Emanuele III scrive che «fu deciso che il suo baciamano ai sovrani si tenesse il giorno di Natale … Per esser [la Sardegna] uno Stato dove Sua Maestà ha lasciati gli usi spagnoli». Cfr. Ceremoniale di corte (1735 ca.), in AST, Corte, Ceri-moniali, Funzioni diverse, m. 1 d’add., n. 18, pp. 276-278. 46 Si tenne, infatti, solo negli anni: 1750, 1751, 1763, 1764 e 1765.

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è difficile non ipotizzare una qualche ragione politica47. Un elemento da conside-rare a proposito di ciò è che per diversi anni il re non rinnovò i posti di consigliere che via via si rendevano vacanti, tanto che nel 1748 il maestro delle cerimonie Salmatoris non esitò a scrivere nel suo registro che il baciamano del Consiglio era annullato «per trovarsi scarso assai tal corpo de’ soggetti per formarlo». Forse la difficoltà di partecipazione al baciamano va letta come un’indicazione sul terreno del cerimoniale della stessa debolezza politica del Consiglio di fronte all’imporsi del potere delle Segreterie di Stato, in particolare nel momento in cui Giovan Bat-tista Bogino dalla Segreteria di Guerra dirigeva con forza un’intensa politica di ri-forme in Sardegna. Si tratta, però, di un’ipotesi che dovrà esser verificata.

I membri del Consiglio di Sardegna si presentavano al baciamano «in toga ne-ra» (i ranghi si distinguevano per le diverse lunghezze delle toghe e degli strascichi, lunghi per i gradi maggiori, brevi per quelli inferiori), tranne il «reggente di cappa e spada», che andava «vestito a mantello», con un «giubbone nero con fodera chermisina e manichetti uniformi alla fodera, ornati di piccoli nastri di seta cher-misina … ornati di filetti d’oro intrecciati» e che, soprattutto, aveva il privilegio di portare la spada al fianco48.

2.3. Il baciamano della nobiltà (1° gennaio)

Se i baciamani del 25/26 e del 31 dicembre coinvolgevano i funzionari dello Stato, quello dei 1° gennaio era diretto alla corte, ai ministri, agli alti gradi militari e, in generale, alla nobiltà.

La giornata iniziava con l’«udienza di complimento» che il sovrano concedeva al corpo diplomatico. Nel Seicento solitamente essa si limitava a uno o due di-plomatici (di norma il nunzio o l’ambasciatore di Spagna e/o Francia, a seconda delle alleanze dello Stato); dopo l’ascesa al trono reale divenne norma che si por-tassero a corte tutti gli ambasciatori e ministri esteri di qualsiasi grado essi fossero. Terminata l’udienza, alla quale aveva presieduto il gran maestro della Casa assistito dal maestro di cerimonie nella sua qualità di introduttore degli ambasciatori, i so-vrani si chiudevano nelle loro stanze per ricevere gli auguri dei principi della Casa. Nel frattempo, il maestro delle cerimonie verificava che la nobiltà si portasse nella camera di parata dell’appartamento della regina, dove si sarebbe svolto il baciama-no. La scelta della sala dipendeva dal fatto che in questa il trono era circondato da una balaustra (mancante, invece, attorno al trono del re), la quale svolgeva un ruo-lo importante nella cerimonia. Nel baciamano al re, infatti, questi e «tutta la real

47 Il Consiglio non fece mai baciamano al re negli anni in cui furono presidenti il conte Ri-chelmi di Cavallerleone (16 giugno 1744 - 24 maggio 1749) e il conte Angelo Francesco Benso di Pramollo (29 aprile 1754 - 25 dicembre 1761). Il conte Paolo Michele Niger fu nominato presidente il 26 dicembre 1761 e da allora il rito rientrò in uso. 48 Registro de’ … marchese d’Angrogna cit., baciamano del 31 dicembre 1721. Il reggente di cap-pa e spada era scelto fra le fila della nobiltà sarda e spesso era anche un membro della corte, così da porsi come una sorta di tramite fra questa e il Consiglio.

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famiglia» entravano dentro lo spazio delimitato dalla balaustra, al centro del quale era il trono. Insieme a essi era solo il capitano delle Guardie del corpo, per non la-sciare il re o un altro componente della real casa senza difesa in caso di bisogno. Il re stava in piedi, fermo «a pie’ del trono», con a destra la regina e a sinistra il prin-cipe ereditario e gli eventuali altri figli maschi. Fuori dalla balaustra restavano, in-vece, i principi del sangue (Carignano e, finché non si estinsero, i Carignano Sois-sons) e i principi legittimati. Il primo a baciare la mano al sovrano era il principe di Carignano, primo principe del sangue, seguito (sino al 1767) dal marchese di Susa, fratellastro del re e principe legittimato. Dopo di loro seguivano i cavalieri dell’Ordine dell’Annunziata, i grandi di corona, i marescialli di Savoia e i ministri di Stato «e finalmente tutt’il rimanente della nobiltà senza ordine rigoroso di pre-cedenza». Per ultimi, dal 1744, chiudevano gli ufficiali rappresentanti dei reggi-menti di stanza a Torino49. La mano era baciata prima al re, poi alla regina, poi al duca di Savoia e agli altri principi e principesse della Casa. Quando, dopo circa un’ora, finiva il baciamano al re, questi insieme alla famiglia e alla corte si portava alla messa in duomo, cui assisteva dalla tribuna, appositamente realizzata. Sovrani e corte rientravano a palazzo, dove si teneva pranzo pubblico.

Oltre al re, la nobiltà era chiamata a «omaggiare» del bacio della mano anche i principi e le principesse della real casa e le dame di corte dovevano, da parte loro, baciare la mano della regina (o della principessa ereditaria, quando la prima era as-sente). La disposizione di queste cerimonie variò più volte nel corso del secolo, a seconda del numero di principi e principesse. Può esser utile considerare quattro diversi anni: 1717 (regno di Vittorio Amedeo II), 1738 e 1751 (regno di Carlo E-manuele III) e 1776 (regno di Vittorio Amedeo III).

Nel 1717 il primo baciamano fu quello delle dame e, come scrisse il marchese d’Angrogna, si tenne «senza formalità veruna»: alcune dame «andavano prima dal-la Regina e poi da Madama Reale, le altre comminciaron prima da Madama Reale poscia vennero dalla Regina; e a misura che giungevano esse dame si dava loro l’in-gresso ai respettivi gabinetti o camera della Regina e di Madama Reale». Una si-tuazione che si era già verificata nel 1715 e si sarebbe ripetuta ancora negli anni successivi. Nello stesso momento, si teneva l’«udienza pubblica» data dal re all’am-basciatore di Francia. A questa corsa di dame che si muovevano da una parte al-l’altra, senza che il maestro delle cerimonie potesse fare qualcosa per organizzarle, pose fine alle undici l’arrivo di Vittorio Amedeo II nell’appartamento della regina. I due sovrani si portarono, allora, nella camera di parata, «in piè vicino al baldac-chino», dove ricevettero il baciamano della nobiltà, secondo l’ordine già riportato. Al termine, i sovrani e la corte andarono in duomo per la messa. Al ritorno il re

49 Raccontando il baciamano del 1° gennaio 1749 Salmatoris scrive che dopo i «primari della corte e del militare» vi presero parte anche «li corpi de’ reggimenti che si trovavano esser di pre-sidio tanto in questa capitale che nella Cittadella, secondo però l’anzianità de’ medesimi reggi-menti, avendo principiato quello di Piemonte, susseguentemente quello d’artiglieria, in seguito quello di Bourgsdorf e finalmente il corpo degli ingegneri. Tutti li enunziati corpi avendo alla testa li colonnelli loro rispettivi».

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andò al Castello «per vedere Madama Reale e ritiratasi la Maestà Sua v’andò la no-biltà a baciar la mano» all’anziana sovrana nel gabinetto del «circolo». Dopo il pranzo pubblico dei sovrani, nel pomeriggio si tenne il baciamano al principe di Piemonte. Come si vede, negli anni di Vittorio Amedeo II il percorso di ritualizza-zione del baciamano non era compiuto: aveva toccato soprattutto la cerimonia ri-volta al re, piuttosto che quella per la regina.

Vent’anni più tardi, il 1° gennaio 1738, la famiglia reale era composta dai due so-vrani, dal duca di Savoia (principe ereditario) e dalle sue tre sorelle, indicate solita-mente come le «principesse reali». Il rito del baciamano appare ora codificato e ben organizzato. Terminata l’udienza agli ambasciatori, il re, la regina e il duca di Savoia si riunirono nella camera di parata della regina e ricevettero il baciamano. Le dame, invece, prestarono il loro omaggio alla regina nel tardo pomeriggio, prima di andare a teatro: «la sera tutte le dame furono a corte», scrive il conte Salmatoris, «e nel mentre che la Regina si portò al circolo, le ammise tutte al bacio della sua real mano».

Poco più d’una decina d’anni dopo, nel 1751, il processo di ritualizzazione a-veva organizzato anche i ranghi del baciamano delle dame. Scomparsa la regina, il suo ruolo era ora ricoperto dalla duchessa di Savoia. Costei e le tre «principesse re-ali» ammisero «al bacio delle loro mani le dame … all’ora del circolo, nella camera di parata della regina, stando la duchessa e principesse in piedi contro il balaustro, principiando le mogli dei cavalieri dell’Ordine, quelle di corte, indi la principessa di Francavilla che quivi trovavasi di passaggio, dappoi quelle che i loro mariti han-no impieghi distinti». La dame di palazzo della regina e delle principesse avevano potuto compiere il loro baciamano in precedenza e, quindi, durante la cerimonia poterono «corteggiare le loro padrone». Sempre il conte Salmatoris informa, in re-lazione al baciamano dell’anno successivo, che fra i gruppi di dame era stato intro-dotto il principio dell’anzianità50.

Nel 1776 la situazione era ancora più ordinata e, per così dire, standardizzata. Nuovi sovrani erano, dal 1773, Vittorio Amedeo III e Maria Antonia Ferdinanda. Dalle loro nozze, venticinque anni prima, erano nati dodici figli, di cui a Torino ne restavano sette (tre erano morti piccoli e due principesse s’erano sposate in Francia con i futuri Luigi XVIII e Carlo X). La famiglia reale si completava poi con il duca del Chiablese, fratello minore del re, e le «reali principesse» (ora rima-ste due). Invece di ampliare i riti, magari condensando in un’unica cerimonia quelli a più principi, Vittorio Amedeo III decise di far effettuare il baciamano a ciascuno di loro. Ferma restando, quindi, la mattina per l’omaggio al re e il tardo-pomeriggio per quello alla regina, il pomeriggio si trasformò (sia il 31 dicembre per i magistrati sia il 1° gennaio per la corte) in un turbillon di baciamani. Orga-nizzate «secondo l’apparato degli appartamenti»51, le cerimonie del pomeriggio si tenevano nelle residenze dei rispettivi principi, in primis il Castello, residenza dei 50 «Principiò la più anziana dama d’onore … indi seguitando tutte le altre osservando fra di loro l’anzianità». 51 Libro dei cerimoniali del conte Cravetta di Villanovetta, in BRT, Storia patria 726/9, reg. 4 (1784-1790).

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principi di Piemonte, e palazzo Chiablese, dimora dell’omonimo principe. Nel 1776, dopo il pranzo pubblico dei sovrani, la seconda parte della giornata preve-deva altri sei baciamani, saliti a otto pochi anni dopo52.

3. Altri tipi di baciamani di corte

Oltre a quelli che si susseguivano fra Natale e capodanno, alla corte sabauda ave-vano luogo anche altri riti di baciamano. Assai importanti erano quelli che si teneva-no in occasione delle ascese al trono, dei matrimoni o dei funerali di sovrani o princi-pi ereditari. A essi partecipavano anche i rappresentanti del clero, delle alte magistra-ture non residenti a Torino, e dei Consigli comunali. Un altro tipo di baciamano cu-riale era quello che si svolgeva quando la corte si recava in viaggio in città dello Stato che non fossero la capitale. Vi erano, poi, baciamani del tutto differenti, cui la nobiltà era tenuta in particolari occasioni, come la promozione a una determinata carica: essi non possono esser considerati una vera e propria cerimonia, ma costituivano un rito di corte e, come tale, ritengo opportuno accennarne qui, per quanto brevemente.

3.1. Baciamani di felicitazioni e di condoglianza

Inizialmente il baciamano al re, alla regina e ai principi si teneva anche in occasioni di compleanni e onomastici. Vittorio Amedeo II, per esempio, ammise la nobiltà di Palermo a baciargli la mano il 14 maggio 1714, suo «giorno natalizio» e lo stesso ac-cadde il 27 agosto per il compleanno della regina Anna. Negli anni successivi, tuttavia, tale uso decadde. Durante il regno di Vittorio Amedeo III (1773-1796) i registri dei maestri di cerimonie ci informano, infatti, che queste ultime erano «solennizzate … con gala e gran corteggio la mattina e festa di ballo senza etichetta di cerimonia e senza distinzione di posti la sera», ma non fanno alcun riferimento a baciamani.

Inoltre, il rito del baciamano aveva sede obbligatoriamente a Palazzo Reale (tran-ne che nei casi di viaggi della corte in altre città), ma non nelle residenze extra-ur-bane. Durante il regno di Vittorio Amedeo III, per esempio, la festa e il ballo per il compleanno del principe di Piemonte Carlo Emanuele (IV), il 24 maggio, si teneva di norma a Venaria, mentre quella della principessa di Piemonte, il 23 settembre, si svolgeva al castello di Moncalieri. A Palazzo Reale, con cerimoniale prettamente mi-litare, si tenevano invece i festeggiamenti per Vittorio Amedeo III. Una scelta che di-stingueva la corte sabauda da quelle borboniche e asburgiche, dove, invece, i bacia-mani costituivano uno dei punti forti delle feste per compleanni e onomastici.

I baciamani di felicitazione per i matrimoni e di condoglianze per i funerali, così come quelli per l’ascesa al trono, coinvolgevano molte più persone rispetto a 52 Al principe di Piemonte (futuro Carlo Emanuele IV), alla principessa di Piemonte (Maria Clotilde di Borbone), ai duchi di Aosta (Vittorio Emanuele I) e Monferrato (Maurizio), al duca del Chiablese (Benedetto Maurizio), alla duchessa del Chiablese (Maria Anna) e, infine, alle «principesse reali» (Eleonora e Maria Felicita, figlie nubili di Carlo Emanuele III), cui pochi an-ni dopo si aggiunsero quello al duca di Genevese (Carlo Felice) e al conte di Moriana (Giuseppe Benedetto) e quello alla principessa Maria Carolina.

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quelli di capodanno. Vi partecipavano, infatti, tutte le magistrature dello Stato (e non solo quelle torinesi); il clero secolare e regolare (arcivescovi, vescovi, abati e vicari abaziali, i capi degli ordini religiosi); i Consigli delle città del regno. Il ba-ciamano seguiva il modello usato per le magistrature, per cui ogni corpo era guida-to da un capo, che teneva un’arringa. I deputati della città si presentavano come «un sol corpo», dando la precedenza alla sola Torino (per la quale era presente l’intero Consiglio), e l’arringa a loro nome era tenuta dall’avvocato fiscale del Se-nato53. Per i deputati dei Consigli delle città piemontesi si trattava, inoltre, di un’occasione importante per stabilire o proseguire rapporti diretti con le autorità della corte e dello Stato54. L’alto clero, lungi dall’opporsi alla pratica, la considera-va un’espressione importante del suo rapporto con la Corona e numerose erano le richieste da parte di membri del secondo stato per esservi ammessi55.

3.2. Baciamani in provincia

Quando il sovrano o un principe della real casa si portava in una città dello Stato che non fosse la capitale, spesso, d’intesa con il locale governatore, organiz-zava nel corso di tale soggiorno un baciamano per dame e cavalieri. Esser ammessi a baciar la mano al sovrano in tali circostanze aveva particolare importanza, poiché era considerata dai giuristi dei Savoia una prova di nobiltà: per una realtà come quella sabauda dove esistevano patriziati urbani riconosciuti de facto, ma non de iure, si trattava di un’occasione di grande rilievo sociale. Anche se il governatore si affannava a ricordare che l’ammissione avveniva «senza tratto di conseguenza», ciò non impediva che gli giungessero suppliche e memoriali d’ogni genere prima per esser compresi fra i fortunati e poi per ottenere, sulla base di tale ammissione, il di-ritto di frequentare la corte di Torino o, ancora, per esser riconosciuti come nobili, anche quando il loro rango era più correttamente patrizio o civile56. La corona si

53 Per le cerimonie legate ai matrimoni dinastici si veda il saggio di Paola Bianchi in questo volume. 54 Si veda, per esempio, quanto operato dai deputati della città di Casale in occasione dei loro soggiorni a Torino per partecipare ai baciamani per la morte della regina Polissena, nel 1735, per il matrimonio di Carlo Emanuele III con la nuova regina Elisabetta Teresa, nel 1737, e per la morte di quest’ultima. Le notizie sono reperibili in V. DE CONTI, Notizie storiche della città di Casale e del Monferrato, Casale, 1841, vol. IX, pp. 522, 546-549, 585-596. 55 In occasione del baciamano per le prime nozze di Carlo Emanuele III, i capi torinesi degli ordini avrebbero voluto esser ammessi al baciamano, ma non vi erano riusciti. Essi, allora, misero in atto un piano per riuscire lo stesso a baciar la mano al re: «La mattina seguente, quando uscì la Maestà Sua per andare alla messa, trovò in linea nell’anticamera dei paggi tutti li superiori delle Religioni di Torino e nel passare che fece il Re li baciarono la mano». Cfr. Memoria di ciò che si è praticato nella funzione di baciamano in occasione del matrimonio di S.A.R. il principe di Piemonte colla signora principessa di Pie-monte (12 aprile 1722), in AST, Corte, Cerimoniali, Funzioni diverse, m. 3, n. 1. 56 Per una riflessione sulla complessa struttura delle nobiltà piemontesi mi permetto di rinviare a: A. MERLOTTI, L’enigma delle nobiltà. Stato e ceti dirigenti nel Piemonte del Settecento, Firenze, 2000; ID. - P. BIANCHI, Cuneo in età moderna. Città e Stato nel Piemonte d’Antico regime, Milano, 2002; A. MERLOTTI, Le nobiltà piemontesi come problema storico-politico. Francesco Agostino Della Chiesa tra

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serviva con grande abilità di questi baciamani in provincia per confermare e, in-sieme, ricontrattare i patti di fedeltà con quelle élites urbane che costituivano uno dei suoi principali interlocutori sociali.

3.3. Baciamani di riconoscenza

Vi era poi un altro tipo di baciamano delle dame che va qui richiamato, perché nel corso del regno di Carlo Emanuele III assunse anch’esso le caratteristiche di un rito di corte. Mi riferisco all’obbligo per le mogli di coloro ch’erano promossi a im-pieghi sia a corte sia nel militare, sia nel governo sia nella magistratura di recarsi dalla regina per «umiliarle» un baciamano di ringraziamento. Quello ch’era nato come una pratica privata si trasformò in un pubblico «atto di rispetto e di gratitudine», re-golato anch’esso dal cerimoniale di corte. Uno Stabilimento emanato la vigilia di Na-tale del 1768 (la data non è casuale, poiché era abitudine che le promozioni fossero annunciate nell’ultima settimana dell’anno) lo rese, anzi, obbligatorio, ordinando che dovessero recarsi a baciar la mano della duchessa di Savoia non solo «le dame madri e le mogli dei cavalieri promossi a impieghi di corte», ma anche quelle di colo-ro che erano stati promossi negli «impieghi militari» (ma solo per le promozioni a partire dal grado di colonnello), nei ministeri e nella magistratura. In mancanza di madri o mogli avrebbe dovuto recarsi a corte «una parente prossimiore, come sareb-be la sorella o la cognata». Carlo Emanuele III volle, inoltre, che si recassero a corte anche le mogli o parenti di chi era stato promosso a incarichi per cui non si era soliti ringraziare con il baciamano: «in occasione poi di qualsivoglia promozione in cui non è l’uso di andare al baciamano», recitava lo Stabilimento del 1768, «sarà conve-nevole che le dame parenti più prossime vadano la sera al corteggio della Reale Du-chessa, all’ora del circolo»57. Peraltro, le rigide regole di corte mal si armonizzavano con la relativa apertura alla borghesia operata dai Savoia nella burocrazia e nella ma-gistratura. Era prassi, infatti, che fossero ammesse a corte solo le dame già nate nobili e il cui marito era anch’esso nella medesima condizione. Un progetto sempre del 1768 si dimostrava ancor più rigido, prevedendo che fossero ammesse a corte solo «le mogli de’ vassalli che godono già da tre generazioni di tale prerogativa, purché … di famiglie nobili o almeno d’egual condizione de’ mariti». In tal modo, l’accesso a corte ai membri dei ceti emergenti restava sottoposto a un provvedimento «di grazia» del sovrano: «quanto alle mogli di persone che cuoprono impieghi distinti ed a quel-le de’ loro figliuoli», recitava il progetto del 1768, «se esse per la loro nascita o quella storiografia dinastica e patrizia e Patriziato, «nobiltà civile», feudalità. Le declinazioni del ceto dirigente monregalese fra Sei e Settecento, entrambi in Nobiltà e stato in Piemonte cit., pp. 19-56, 83-109; ID., Società e ceti. Le complessità della struttura per ordini nel Piemonte d’Antico regime, in Il Piemonte in età moderna. Linee storiografiche e prospettive di ricerca, a cura di P. Bianchi, Torino, 2007, pp. 137-166. 57 Stabilimento di Sua Maestà per il baciamano delle dame parenti de’ promossi ad impieghi. Con un regolamento riguardante le dame che potranno esser ammesse a corte (24 dicembre 1768), in AST, Corte, Cerimoniale, Funzioni diverse, m. 1 d’add., n. 10. Un nuovo regolamento in meri-to fu emanato da Vittorio Amedeo III nel 1775: Reglement du Roi pour le personne qui peuvent avoir l’honneur de baiser la main à la Reine en cas de promotion, ivi, n. 13.

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del marito non sono al caso … d’esser ammesse alla corte, si prenderanno gl’ordini di Sua Maestà». Anche in questa particolare declinazione, quindi, il baciamano di-veniva un rivelatore sociale, oscuro per coloro che erano esterni al mondo che lo a-veva prodotto, ma ben chiaro e comprensibile per gli altri.

Per capire, tuttavia, in cosa i riti di baciamano sabaudi fossero comuni a quelli che si tenevano in altre corti d’Europa e in cosa, invece, avessero aspetti di peculia-rità è necessario a questo punto spostare l’attenzione agli altri Stati della penisola.

4. Riti di baciamano nelle corti italiane del Settecento

Pietro Verri, scrivendo nel 1791 Delle nozioni tendenti alla pubblica felicità, so-steneva che fra le ragioni che avevano indebolito il «dispotismo dei monarchi» anda-va considerato anche il loro progressivo allontanarsi da quell’insieme di riti ed onori che per lungo tempo aveva legato loro gli «ecclesiastici, ... i sudditi più facoltosi, i terrieri più potenti». In quello che si presentava come un vero e proprio «catechismo rivoluzionario», Verri scriveva, infatti, che i sovrani del suo tempo avevano «abolito le cerimonie, le genuflessioni, i baciamano e le idolatrie che si usavano ai re loro an-tecessori», mostrandosi così «senza formalità, senza corredo che ricordi la maestà che rappresentano»58. È evidente che Verri avesse in mente l’esempio di Giuseppe II e, forse, anche del fratello di questi Pietro Leopoldo. La sua osservazione poteva valere per diverse corti europee. Non si dimentichi che proprio nella Versailles di Luigi XV «le rêve du monarque simple était … partagé largement dans la noblesse comme chez le philosophes» e che nella seconda metà del Settecento «la simplicité semblait être l’une des vertus communes aux monarques éclaires»59.

In Italia, tuttavia, il quadro era ben diverso. Per quanto alcune delle corti della penisola avessero rivisto alcuni aspetti dei propri cerimoniali per renderli più consoni ai tempi, non vi avevano rinunciato. Le corti borboniche di Napoli e Parma, sorte fra anni Trenta e Quaranta, anzi, avevano ripreso in gran parte il cerimoniale spa-gnolo. E questo stesso, tramite la mediazione viennese, fu alla base dei riti delle corti asburgiche di Milano e Firenze, sorte fra anni Sessanta e Settanta. Per certi aspetti, considerando le mutazioni insorte negli ultimi decenni del Settecento nelle corti di Vienna e Parigi, le corti italiane – sabauda inclusa – si potrebbero forse considerare come aree di conservazione di riti curiali altrove, se non passati in disuso, almeno messi in discussione. Con la sola eccezione della Toscana di Pietro Leopoldo, anche dove vi furono sovrani che potrebbero esser inseriti nella categoria del «monarque simple» non vi fu necessariamente una riduzione dei riti curiali. L’esame della fortu-na del rito del baciamano nelle corti italiane permette di verificare quest’ipotesi.

Punto di partenza può esser la Napoli di Carlo III. Cresciuto alla corte spagnola, dove il besamanos era la cerimonia per eccellenza, una volta giunto sul trono di Na-poli nel 1734 portò tale esperienza nella sua nuova corte. Una caratteristica del rito di baciamano alla corte partenopea era lo stretto legame che esso evidenziava con la 58 P. VERRI, Delle nozioni tendenti alla pubblica felicità, a cura di G. Barbarisi, Roma, 1994, p. 97. 59 B. HOURS, Louis XV et sa cour, Paris, 2002, p. 130.

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corte di Madrid. A differenza di quanto accadeva nelle altre corti, infatti, il particola-re rapporto con la Spagna fece sì che, oltre al baciamano di capodanno e a quelli per gli eventi dinastici, a Napoli la cerimonia fosse organizzata anche per onomastici, compleanni, nascite dei sovrani spagnoli. Il tutto in reciprocità piena con quanto ac-cadeva a Madrid. Per un trentennio, per esempio, dal 1759 al 1788, alla corte di Napoli e a quella di Madrid il mese di gennaio fu segnato dai baciamani solenni, quasi consecutivi, per i compleanni di Ferdinando II (12 gennaio) e di Carlo III (20 gennaio). Né i baciamani reciproci si limitavano alla figura del sovrano. Ogni nasci-ta, compleanno, onomastico di infanti dei due rami veniva celebrata in entrambe le corti60 e spesso anche in quella di Parma. Il rito del baciamano mostrava, così, anche sul piano del cerimoniale la partecipazione dei tre Stati a un unico sistema degli ono-ri, destinato a sopravvivere, almeno in parte, ancora nella prima metà dell’Ottocen-to. Del resto, il Regno di Napoli era l’unico in cui i cavalieri del principale ordine dinastico – quello di san Gennaro – fossero per lungo tempo nominati anche dal so-vrano di un altro regno: quello di Spagna61. Non stupisce, quindi, che il rito del ba-ciamano solenne fra capodanno e feste dei Borboni dei diversi rami potesse tenersi a Napoli anche una decina di volte all’anno. Con Ferdinando II e Maria Carolina, an-zi, esso aumentò ancora la propria presenza nel calendario di corte. È importante no-tare che, rispetto a quello sabaudo, il baciamano dei Borbone di Napoli era più complesso e articolato. Basti pensare che, fra coloro che erano ammessi a baciare la mano al sovrano, alcuni erano ammessi al solo baciamano, mentre altri potevano partecipare anche alla successiva festa di corte, e un numero ancor più ristretto pote-va spingersi sino a entrare nella sala del trono62.

La comparsa del rito del baciamano a Firenze e a Milano, fu, invece, più tarda, le-gata alla nascita delle corti del granduca Pietro Leopoldo e dell’arciduca Ferdinando.

A Firenze fu proprio un baciamano a segnare l’arrivo di Pietro Leopoldo, il 13 settembre 1765. La nobiltà fiorentina, che di fatto non faceva più corte da un tren-tennio, si riunì a Palazzo Pitti: qui ebbe modo di conoscere il nuovo sovrano, ma non tutta fu ammessa al baciamano. Sir Horace Mann (1706-1786), residente ingle-se a Firenze, racconta che i granduchi erano «tired of the constraint which the rigo-rous etiquette of Vienna imposed upon them in this occasion», ma che avevano do-vuto assoggettarsi agli ordini di Maria Teresa63. Questi prevedevano anche che

60 Mi limito qui all’esempio di quanto accaduto nel 1775, quando, non appena un corriere giunse dalla Spagna per annunciare il felice parto della principessa delle Asturie Maria Luisa (moglie dell’erede al trono spagnolo), Ferdinando II ordinò tre giorni di gran gala, da conclu-dersi con l’ennesimo baciamano a corte. Cfr. Napoli, 9 maggio, «Gazzetta universale», II (1775), n. 39 (16 maggio), p. 312. 61 Cfr. A. MERLOTTI, Gli ordini monarchici nell’Europa delle dinastie (secoli XIV-XVIII), in Cavalie-ri. Dai Templari a Napoleone, catalogo della mostra (Reggia di Venaria, 28 novembre 2009 - 11 aprile 2010) a cura di A. Barbero e A. Merlotti, Milano, 2009, pp. 175-194 (in part. pp. 191-192). 62 A. SPAGNOLETTI, Storia del Regno delle Due Sicilie, Bologna, 1997, p. 117. 63 Mann and Manners at the Court of Florence, 1740-1786, Founded on the Letters of Horace Mann to Horace Walpole, by Doctor Doran, London, 1876, vol. II, p. 148.

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l’ammissione al baciamano fosse stabilita secondo regole le più simili possibili a quel-le di Vienna. Tuttavia, la nobiltà toscana, per la maggior parte patrizia e dedita al commercio, era quanto di più lontano potesse esserci dalla feudalità mitteleuropea64. La prima cerimonia di baciamano fu, quindi, riservata solo alle nobiltà di primissi-mo rango e questo comportò forti tensioni nell’aristocrazia, soprattutto per coloro che avevano comprato la nobiltà da Francesco Stefano e che ora scoprivano di esser troppo parvenus per esser ammessi a corte: «All those who have bought their nobi-lity, or had it by favour and by the patent of the late empereur, and who, from the first words of it, Nous voulons, have acquired the ridiculous appellation of Nuvoloni, being excluded, regret the money they gave for it, whilst the patrizi exult in this di-stinction», raccontava Mann all’amico Walpole65. La reazione dei Nuvoloni non s’era fatta attendere: essi, infatti, disertarono in massa la sera loro dedicata (su oltre cento invitati non se ne presentarono nemmeno venti). «This occasioned so much dis-pleasures», riprendendo ancora le parole del residente inglese, «that it was instantly determined to exclude that class for ever after from the court»66. Tuttavia, in un se-condo momento il granduca tornò sui suoi passi, e i Nuvoloni furono invitati e pre-senti al baciamano per il compleanno della duchessa, nel successivo mese di novem-bre. Il 1° gennaio 1766 si tenne, poi, il primo baciamano di inizio anno, seguito da pranzo pubblico e messa in duomo. Come a Torino, al mattino si teneva il bacia-mano al re e al pomeriggio quello delle dame alla sovrana; la sera si sarebbe aperto il grande appartamento67. Fu, inoltre, emanato un apposito regolamento che stabiliva che per primi baciassero la mano al sovrano la Guardia nobile, l’ufficialità di palazzo e la paggeria; dopo toccava alla nobiltà, ai senatori, a coloro che, per diverse ragioni, godevano «l’onore dell’anticamera», alle cariche di corte e ai consiglieri di Stato. A seconda della sala in cui il granduca riceveva i diversi gruppi era facilmente percepi-bile la posizione degli stessi nelle gerarchie di corte, esplicitata dalla maggiore o mi-nore distanza dal trono68. Vale la pena notare che Maria Luisa di Borbone (1745-1792), moglie di Pietro Leopoldo, era figlia di Carlo III ed era cresciuta alle corti di Napoli e di Madrid, per cui non solo era abituata al rito del baciamano, ma lo con-

64 Cfr. M. VERGA, Da «cittadini» a «nobili». Lotta politica e riforma delle istituzioni nella Toscana di Francesco Stefano, Milano, 1991; ID., «Per levare ogni dubbio circa lo stato delle persone». La le-gislazione sulla nobiltà nella Toscana lorenese (1750-1792) e F. ANGIOLINI, La nobiltà «imperfet-ta». Cavalieri e commende di Santo Stefano nella Toscana moderna, entrambi in Signori, patrizi, cavalieri in Italia centro-meridionale nell’età moderna, a cura di M.A. Visceglia, Roma-Bari, 1992, pp. 146-167, 355-368. 65 Mann and Manners at the Court of Florence cit., pp. 148-149. 66 Ivi, pp. 152-153. 67 K. ASCHENGREEN PIACENTI, «Pranzo in pubblico»: cerimonie alla corte di Pietro Leopoldo, in Arte – Collezionismo – Conservazione, a cura di M.L. Chappell, M. Di Giampaolo, S. Padovani, Firenze, 2004, pp. 95-100. 68 Una descrizione delle cerimonie di gran gala con baciamano alla corte toscana è in M. RA-

STRELLI, Memorie per servire alla vita di Leopoldo II imperatore de' Romani, già granduca di To-scana, Italia (sic), 1792, pp. 45-47.

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siderava irrinunciabile. Nel 1768, in occasione della nascita dell’arciduca Francesco, futuro imperatore, volle che il baciamano di complimenti le fosse reso mentre era ancora a letto69. Nel primo decennio di regno di Pietro Leopoldo il rito del bacia-mano s’affermò come il principale evento pubblico della corte70. Fu celebrato sia a capodanno, che anche a Firenze costituiva la ricorrenza di gala dell’anno, sia nelle occasioni legate alle vite dei principi dinastici, non solo toscani. Anche alla corte to-scana, infatti, non era raro che si organizzassero baciamani per onomastici e comple-anni di sovrani stranieri, con cui il granduca era imparentato. Se non stupiscono quelli per Maria Teresa e per Giuseppe I, nel 1772 Pietro Leopoldo ordinò «gran ga-la a corte con baciamano» per il compleanno sia del re di Spagna sia del duca di Par-ma, cui era imparentato per via della moglie71.

Nel frattempo, nel 1771, Maria Teresa inviò a Milano come nuovo gover-natore della Lombardia suo figlio Ferdinando (1754-1806), che quello stesso anno sposò Maria Beatrice d’Este, erede del ducato di Modena. I due aprirono corte, dividendosi fra il Palazzo Reale di Milano e la Villa Reale di Monza. L’inaugu-razione di una corte ebbe importanti conseguenze sull’aristocrazia milanese. Anche qui, come a Firenze, l’ammissione delle famiglie a corte vide lo scontro fra la con-cezione feudale della nobiltà, tipica del mondo germanico, e la realtà patrizia e commerciale della gran parte della nobiltà lombarda72. In ogni caso, anche a Mi-lano fu infine trovata una soluzione e la cerimonia del baciamano s’affermò come la più importante73. Sino al 1780, in buona sostanza, essa accomunava tutte le corti italiane, anche se in ciascuna presentava varianti proprie. L’ascesa al trono di Giuseppe II (formalmente imperatore dal 1765, ma senza aver mai messo in di-scussione il potere della madre Maria Teresa) e la sua politica mirante a ridurre il cerimoniale di corte modificarono questa situazione, con conseguenze destinate a protrarsi nell’Ottocento. La scarsa passione di Giuseppe II per il cerimoniale, e in particolare per quello spagnolo dominante alla corte di Vienna, era cosa nota. Già nel 1781, per esempio, a Milano corse voce che l’arciduca Ferdinando avesse rice-vuto ordine di non far più tenere il baciamano per l’onomastico di Giuseppe II. La

69 Mann and Manners at the Court of Florence cit., p. 189. 70 Cfr. A. CONTINI, Concezione della sovranità e vita di corte in età leopoldina (1765-1790), in La corte di Toscana dai Medici ai Lorena, atti del convegno (Firenze, 15-16 dicembre 1997), a cura di A. Bellinazzi e A. Contini, Roma, 2002, pp. 129-220 (in part. p. 169). 71 «Gazzetta toscana», VII (1772), n. 4, p. 1. 72 Cfr. C. MOZZARELLI, Impero e città. La riforma della nobiltà nella Lombardia del Settecento, in L’Europa delle corti alla fine dell’Antico regime, a cura di C. Mozzarelli e G. Venturi, Roma, 1991, pp. 495-538 (in part. pp. 518-521). 73 Come nelle altre capitali italiane, anche a Milano il baciamano si teneva o a capodanno o in occa-sioni legate ai principi e alle principesse di casa d’Asburgo (ogni 19 marzo, per esempio, si teneva ba-ciamano per l’onomastico di Giuseppe II). Il rito era praticato anche in onore delle partenze e dei ri-torni della coppia arciducale. La «Gazzetta universale» informa che quando alla fine del giugno 1775 l’arciduca Ferdinando e la moglie lasciarono Milano per recarsi in Austria, prima di partire «ammise-ro al baciamano la primaria nobiltà», «Gazzetta universale», II (1775), n. 53, 4 luglio, p. 420.

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decisione gettò nelle ambasce gran parte della nobiltà milanese, la quale dopo dieci anni si stava assuefacendo alla vita di corte. Fra coloro che si rammaricarono di ta-le scelta vi fu anche Pietro Verri, il quale, scrivendo al fratello Alessandro, com-mentava che il rito era «una occasione in cui ogni nobile una volta all’anno per lo meno si presenta[va] a Sua Altezza Reale, il che era un bene»74. Dieci anni dopo, come visto, avrebbe espresso pensieri ben differenti. In ogni caso, la notizia si rive-lò falsa, e il baciamano si tenne regolarmente. Ma si trattava solo di un rinvio. Da parte sua, Pietro Leopoldo non attese che il fratello si pronunciasse in materia. Nel 1781 il baciamano di capodanno non si tenne per il lutto della morte di Maria Teresa. Nel 1782 il granduca lo ordinò ancora, ma in forma ridotta, senza pranzo pubblico. Fu l’ultima volta, perché dall’anno successivo il granduca non lo fece più svolgere75. Giuseppe II, nel frattempo, aveva suscitato grande imbarazzo nell’entourage pontificio rifiutandosi di compiere il bacio del piede a papa Pio VI quando questi si recò in visita a Vienna nel 1782. L’imperatore l’accolse non ba-ciandogli il piede – come prevedeva il cerimoniale millenario, che tutti i re aveva-no sin allora seguito alla lettera –, ma abbracciandolo tre volte. A lasciare ancora più esterrefatto il papa e il suo seguito fu il cancelliere Kaunitz: quando il papa gli porse la mano per ricevere il consueto baciamano, infatti, il cancelliere gliela strin-se con forza, come a un vecchio amico. Atteggiamenti come questi non lasciavano dubbi su quali fossero le intenzioni dell’imperatore.

Nel 1786 questi decise di ridurre una volta per tutte l’etichetta. Il 1° gennaio 1787, in occasione del baciamano di capodanno, informò la corte che sarebbe sta-to l’ultimo. A una corte che non si fatica a immaginare colpita, ma non sorpresa, l’imperatore comunicò inoltre che il «grand habit de cour» delle dame era «totale-ment supprimé» e che anche la Guardia nobile ungherese avrebbe dovuto rinun-ciare alle sue «riches uniformes». «L’on assure aussi», scriveva l’ambasciatore sa-baudo a Vienna, «que l’on a interdit pour l’avenir l’usage etabli ici de flêchir le ge-nou devant la famille regnant»76. Due ordinanze del 4 e del 10 gennaio conferma-rono e specificarono meglio la riforma, che fu estesa alle altre dell’Impero – quella di Ferdinando a Milano e quella del duca di Teschen a Bruxelles – e che fu subito recepita anche da Pietro Leopoldo a Firenze. Il 21 gennaio la «Gazzetta Universa-le» informava della riforma riportando le parole dell’imperatore: «in avvenire nes-suno» avrebbe dovuto «inginocchiarsi nell’atto di presentar supplica o altra cosa,

74 Pietro ad Alessandro Verri, 21 febbraio 1781, in Carteggio, vol. 11 (1780-81), pp. 269-270. Sulla corte dell’arciduca Ferdinando mi permetto di rimandare a A. MERLOTTI, Note sulla socia-bilità aristocratica nell’Italia del secondo Settecento: i «casini de’ nobili», in L’amabil rito. Società e cultura nella Milano del Parini, atti del convegno (Milano, 8-10 novembre 1999), a cura di G. Barbarisi, C. Capra, F. Degrada, F. Mazzocca, Milano, 2000, t. I, pp. 45-69. 75 A. CONTINI, Concezione della sovranità e vita di corte cit., pp. 177-178, n. 142. 76 Ludovico Giuseppe Arborio Sartirana, marchese di Breme, a Vittorio Amedeo III, Vienna, 1° gennaio 1787, in Lettere ministri, Vienna, m. 103. Il marchese di Breme (1754-1827) era arri-vato a Vienna da pochi mesi come nuovo ambasciatore sabaudo. La sua carriera lo avrebbe por-tato vent’anni dopo a esser ministro degli Interni nel napoleonico Regno d’Italia.

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non essendo quest’azione conveniente fra uomo e uomo, ma dovendo essere uni-camente riservata a Dio»77. È interessante notare che la «Gazzetta toscana» collegò questo provvedimento all’abolizione della tortura e della pena di morte decise da Pietro Leopoldo nei mesi precedenti. Scriveva il giornale:

Dopo d’aver riconosciuti i sacrosanti diritti dell’umanità coll’abolire la pena di morte, ha riconosciuto parimente che l’amore e l’attacco ai propri sudditi non deve consistere in mere apparenze ed in esterne etichette, in conseguenza ha ordinato che «per l’avvenire le dame non facciano più uso a corte dei così detti abiti da corte e d’appartamento; che cessi affatto l’uso del baciamano tanto per gli uomini che per le donne; e cessi ancora il costume di fare alle Reali Altezze la reverenza colla genu-flessione». L’immortale Giuseppe II … ha fatto promulgare anch’esso nei suoi do-mini un simile regolamento78.

Non sappiamo come queste notizie venissero giudicate alla corte sabauda. In essa, probabilmente, echeggiava ancora la disapprovazione che Carlo Emanuele III, una ventina d’anni prima, aveva espresso sui viaggi in incognito di Giuseppe II, «dicendo che i principi, a somiglianza delle statue, non hanno a discendere mai dal piedistallo, perché vedute da vicino se ne scorgono i difetti»79. Quel che è certo è che il cerimonia-le sabaudo non mutò. Negli stessi giorni in cui giungeva da Vienna la notizia della ri-forma dell’etichetta, il conte Gabriele Asinari di Bernezzo, maestro delle cerimonie, ri-portando sui suoi registri la notizia del baciamano di capodanno del 1787, vi scriveva: «Secondo il consueto in ogni rinnovamento d’anno, si porta in corte quest’oggi la no-biltà tutta in splendida gala, per rinnovare coll’omaggio del baciamano – al quale Sua Maestà e Reali Individui si degnano di ammetterla – quei sensi d’amore, rispetto e fe-deltà che vanta inalterabili verso il … nostro augusto sovrano e reale sua famiglia»80.

Negli anni successivi la corte sabauda non modificò i propri riti secolari, tanto me-no quelli del baciamano. Nel 1789, anzi, essi furono parte centrale delle cerimonie per

77 «Gazzetta universale», XIV (1787), n. 9, martedì 30 gennaio, p. 70. 78 «Gazzetta toscana», XXII (1787), n. 4, p. 13, Firenze, 27 gennaio. Cfr. anche M. RASTRELLI, Memorie cit., p. 228. 79 F. PREDARI, Storia politica, civile, militare della dinastia di Savoia dalle prime origini a Vittorio Emanuele II, Torino, 1869, vol. 2, p. 262, n. 1. L’aneddoto è presente nella Storia di Carlo E-manuele III di Domenico Carutti (Torino, 1859, vol. 2, p. 177), ma non è riferito in particolare a Giuseppe II. Lo stesso in A. MANNO, Informazioni sul Ventuno in Piemonte, ricavate dagli scrit-ti inediti di Carlo Alberto, 1879, p. 37, dove si ricorda come tale affermazione fosse stata più vol-te ripetuta da Carlo Alberto. Sul soggiorno a Torino di Giuseppe II resta utile G. CLARETTA, L’imperatore Giuseppe II a Torino nel giugno del 1769. Memorie aneddotiche, «Archivio storico i-taliano», s. V, VI (1890), pp. 386-425. 80 Libro dei cerimoniali del conte Asinari di Bernezzo, in BRT, Storia patria 726/10, reg. 2 (1787-1795). Eppure, qualche discussione le riforme di Giuseppe II – e non solo quelle d’etichetta – dove-vano averla generata, se persino in uno spazio periferico come la Sardegna l’ex gesuita torinese Giu-seppe Gagliardi (1734-1786), docente di fisica all’Università di Cagliari dal 1765, pubblicava a Sas-sari (Piattoli, 1780) un trattato De’ baciamano che altro non era che una mera traduzione del Des Baisemains di Morin. Ringrazio Piero Sanna di avermi fatto avere copia di questo raro esemplare.

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il matrimonio del duca d’Aosta Vittorio Emanuele I con Maria Teresa d’Asburgo, fi-glia dell’arciduca Ferdinando, che, a differenza di Pietro Leopoldo, aveva accolto senza troppo entusiasmo la riforma dell’etichetta di Giuseppe II. Non solo, infatti, si tenne a Torino il tradizionale baciamano per la principessa, con partecipazione del clero, della nobiltà e delle magistrature sabaude, ma nelle città di Novara e Vercelli, attraversate da Maria Teresa nel suo viaggio da Milano a Torino, vennero organizzate cerimonie di baciamano che compresero le dame ammesse a corte e le principali dame patrizie che non godevano di quest’onore81. Una conferma della centralità che la corte di Torino (come peraltro quella di Napoli) continuava a riconoscere a una cerimonia che un so-vrano illuminato come Giuseppe II considerava ormai anacronistica.

L’esperienza di Giuseppe II, tuttavia, era destinata a esser essa stessa percepita come poco più che una parentesi dai suoi successori. Solo due anni dopo la sua morte, il nipote Francesco II in occasione dell’incoronazione a Buda come re d’Ungheria accordò «la grazia e l’onore alla nobiltà tutta del baciamano»82, pratica ripetuta diverse volte negli anni successivi: nel 1799, per esempio, lo stesso impe-ratore diede un «gran baciamano … per la ricorrenza del giorno natalizio» della granduchessa di Toscana83. Di fronte all’irrompere delle nuove idee, le antiche pratiche di corte – sino a poco prima considerate con malcelato disprezzo – ri-prendevano vigore.

Fu allora, comunque, che il rito del baciamano a corte fu oggetto della pesante satira di Giovan Battista Casti (1724-1803) nel suo poema Gli animali parlanti, scritto nella Francia del Direttorio. Casti, che aveva visto di persona la cerimonia a Firenze, quando tra 1769 e 1772 era stato poeta di corte di Pietro Leopoldo, e poi di nuovo a Vienna, dove soggiornò a lungo divenendo poeta cesareo (la carica ch’era stata di Metastasio) nel 1793, descriveva l’evento in due pagine del poema. La prima era nel canto IV, consacrato a «l’incoronazion del re Leone».

E dopo la real coronazione Per bestie d’ogni razza e d’ogni sorte Ricevimento e leccazampa a corte.

Leccazampa dicean le bestie allora, che leccavan la zampa al lor sovrano. Baciamano dall’uomo si dice ancora Allor ch’ei bacia al suo signor la mano. L’uno e l’altro è d’omaggio atto solenne;

81 Si veda il saggio di Paola Bianchi in questo volume. 82 «Gazzetta Universale», XIX (1792), n. 50, 23 giugno, p. 397, Vienna, 11 giugno. Nello stesso anno sembrò che anche in Toscana la pratica fosse stata ripristinata. La «Gazzetta Universale» scrisse, infatti, che il 1° gennaio 1792 vi era stata «magnifica gala a corte con baciamano e pran-zo pubblico», ma poi corresse la notizia, scrivendo che il baciamano non s’era tenuto, ma vi era stato «solo … invito di molta distinta nobiltà». Cfr. Pisa, 4 gennaio, «Gazzetta Universale», XIX (1792), n. 2, 7 gennaio, p. 15, e n. 4, 14 gennaio, p. 32. 83 Firenze, 7 agosto, «Gazzetta Universale», XXVI (1799), n. 68, 8 agosto, p. 644.

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E baciaman da leccazampa venne.

Presta omaggio il quadrupede? Ti lecca. Omaggio presta l’uomo? Un bacio scocca. Presta omaggio il volatile? Ti becca. E ogni omaggio si presta con la bocca. Né alcun sovrano, per quanto sia potente, Omaggio esiger può di cor, di mente.

Il vero omaggio che a talun si presta Figlio è di gratitudine, d’amore, Di stima e cose tai che nella testa Han sede solo e molto più nel core. Ma per chiunque d’apparenza campa. Vi voglion baciamano e leccazampa84.

Dedicato interamente, invece, al racconto d’una cerimonia di baciamano, come nel

1796 si poteva vedere ancora nelle corti di Torino o Napoli, sotto forma del «Lecca-zampa», è il canto VI dell’opera, di cui credo opportuno richiamare alcune strofe:

Tutto disposto già pel leccazampa Colà trovando, l’animal sovrano Sotto l’eccelso baldacchin s’accampa; E posando sul soglio il deretano Dritta su i piè, che fissi al suolo tiene, Di sé la parte anterior sostiene.

[…]

Ma non mica a ogni suddito animale Indifferentemente era permesso La sovrana leccar zampa reale. Solo a certi animai venia concesso Sì luminoso e nobil privilegio Per merto avito e per diploma regio.

Vero è però che nelle grandi e grosse Bestie alcun pregio o merto alcun distinto Uopo non fu che personale ei fosse, Bastava che talun lor avo estinto Fama di gran sterminatore avesse Per isbranate belve e guasta messe.

A ogni animale allor balordo e ignavo, Tralignante dai celebri antenati

84 G.B. CASTI, Gli animali parlanti, Milano, 1802, t. I, p. 89.

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Per dritto e sol pei meriti dell’avo Di corte eran gli onori tutti accordati. Onde qual animal d’illustre stampa, Ammesso era all’onor del Leccazampa.

Il leccazampa con più fausti auspici In baciaman da noi fu trasformato, E i giorni memorabili e felici, I lieti avvenimenti dello Stato, Per cui gloria maggior ridonda al Trono, Con gala e baciaman distinti sono.

[…]

O pregio insigne, o portentosa e grande Sublimità degli europei monarchi. Sovente, in ver, le gesta lor non spande L’avara fama, e spesso ancor ben parchi Usi essi fan delle virtù volgari. Han però le virtù dei loro pari.

Cioè talmente san negli umani petti Introdur l’orgogliosa ed inquieta Ambizion, che stuol di servi eletti D’onor crede toccar l’ultima meta, Se il servil bacio in quella mano imprime Che l’assoggetta e che talor l’opprime85.

Casti scriveva nel 1796, lo stesso anno in cui Carlo Emanuele IV celebrava la

propria ascesa al trono con un baciamano solenne analogo a quelli fatti celebrare dai suoi antenati. Il re di Sardegna, però, sconfitto e quasi prigioniero dei francesi, all’epoca rappresentava il passato. Quello che Casti non poteva immaginare è che un decennio dopo Gioacchino Murat, il figlio di un mercante di Pau divenuto re di Napoli, avrebbe ripristinato la cerimonia per cercare di conquistare, anche tra-mite essa, il consenso della nobiltà86. O che lo stesso Napoleone avrebbe spinto il fratello Giuseppe, nel divenire re di Spagna, a organizzare a Bayonne una cerimo-nia di baciamano: «une imitation ridicule de la belle scène ou Philippe V, enfant, se montra au-dessus de la grandesse pour se faire reconnaitre»87. Ma ben più para-dossale fu quanto accadde a Firenze. Qui, com’è noto, le armate francesi, cacciato il granduca Ferdinando (figlio di Pietro Leopoldo), trasformarono il ducato nel

85 Ivi, pp. 119-130. 86 Cfr. N. D’ARBITRIO, La tavola del re: cronache dei reali Offici di Bocca: feste pubbliche e private alla corte dei Borbone, Napoli, 1997, p. 77. Sulla corte di Murat si veda E. PAPAGNA, La corte murattiana, in All’ombra di Murat: studi e ricerche sul decennio francese, a cura di S. Russo, Bari, 2007, pp. 27-62. 87 J.B. CAPEFIGUE, L’Europe pendant le consulat et l’Empire de Napoléon, Bruxelles, 1842, t. 8, p. 240.

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Regno d’Etruria e vi posero sul trono il duca di Parma Ludovico di Borbone e sua moglie Maria Luisa di Borbone Spagna. I nuovi sovrani rimisero in atto la pratica del baciamano: e così ciò che era stato abolito dal dispotismo illuminato vi ritornò grazie alla baionette dalla Francia rivoluzionaria88.

5. Dalla Restaurazione alla fine della corte d’antico regime (1815-1849)

Il ritorno di Vittorio Emanuele I in Piemonte, nel maggio 1814, fu accompa-gnato, com’è noto, dal ripristino delle leggi in vigore alla fine dell’antico regime. La corte sabauda fu ricostituita, con non poche difficoltà. Non è questa la sede per ricostruire una vicenda per la quale Vittorio Emanuele I si servì non solo di uomi-ni che gli erano rimasti fedeli negli anni d’esilio, ma anche di alcuni fra coloro che erano rimasti in Piemonte durante l’occupazione e che, almeno in alcuni casi, ave-vano servito il regime napoleonico89.

È interessante notare che il primo contatto fra il re e la nobiltà piemontese re-gistrato nel cerimoniale di corte si sia concluso proprio con un baciamano. Fra 17 e 18 maggio, infatti, il sovrano incontrò ad Alessandria i rappresentanti del Con-siglio di Torino in carica nel 1800 per organizzare il suo ingresso nella capitale. Al termine, i due decurioni «non poterono trattenere le lacrime» e Vittorio Emanuele I «terminò l’udienza con avere loro accordato l’onore di baciarle la mano, nel qua-le atto il re istesso non poté pure trattenere la lacrime»90.

A dicembre, il conte Carlo Perrone di San Martino, nuovo maestro di ceri-monie, chiese al sovrano se dovesse organizzare o meno le cerimonie del baciama-no. Vittorio Emanuele I rispose affermativamente. Le cerimonie si svolsero esat-

88 Traggo la notizia da J. CAVAGNARI, E. MIGNONI, Imborghesimento di una corte: Firenze tra i Lorena e i Borbone, in Traités de savoir-vivres italiens, a cura di A. Montandon, Clermont-Ferrand, 1993, pp. 115-134, in part. pp. 129-130. 89 Per un primo inquadramento sulla storia dello Stato sabaudo dopo il ritorno dei Savoia si veda-no i saggi raccolti in Ombre e luci della Restaurazione. Trasformazioni e continuità istituzionali nei territori del Regno di Sardegna, atti del convegno (Torino, 21-24 ottobre 1991), Roma, 1997. Su Vittorio Emanuele I restano fondamentali A. SEGRE, Vittorio Emanuele I. 1759-1824, Torino, 1928; ID., Il primo anno del Ministero Vallesa: 1814-1815. Saggio di politica sarda, interna ed estera, nel primo anno della Restaurazione, Torino, 1928. Su alcuni aspetti della politica cavalleresca del sovrano mi permetto di rinviare a P. BIANCHI - A. MERLOTTI, La Restaurazione impossibile? Note sparse sulla politica di Vittorio Emanuele I e Carlo Felice, in L’insegnamento dell’equitazione alla Ve-naria Reale nel 1800. Otto Wagner e Carlo Le Maire, atti del convegno (Reggia di Venaria, 14 no-vembre 2009), a cura di M. Gennero, Torino, 2009, pp. 7-16; A. MERLOTTI, La corte sabauda dal Regno di Sardegna al Regno d’Italia, in Diademi e gioielli reali. Capolavori dell’arte orafa italiana per la corte sabauda, a cura di S. Papi e T. Ricardi di Netro, Torino, 2009, pp. 13-25. 90 Registro di cerimoniali di corte diretti da me cavalier Perrone di San Martino, maestro delle ce-rimonie e introduttore degli ambasciatori da 5 settembre 1814 a tutto il 1817 (d’ora in poi Re-gistro Perrone), in BRT, Storia patria 726/12 reg. 1. Poiché Perrone fu nominato maestro delle ce-rimonie solo in settembre, non poté registrare gli eventi accaduti nei primi quattro mesi dopo il ri-torno del re. I dati relativi all’ingresso in città gli furono forniti dal Consiglio comunale.

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tamente come nel secolo precedente: il 31 dicembre vi fu il baciamano dei magi-strati e il 1° dicembre quello della corte. Secondo tradizione, il re dichiarò allora le nomine di corte, ridando così a essa una struttura compiuta. L’assenza del Consi-glio di Sardegna e, soprattutto, quella della regina ricordavano, tuttavia, che non tutto sopravviveva com’era stato. L’elemento di grande interesse, poi, fu la presen-za accanto al re del giovane principe di Carignano, che con tale cerimonia compi-va di fatto il suo ingresso a corte.

Proprio il ritorno in terraferma della regina Maria Teresa fu l’occasione per fa-re della cerimonia di baciamano il primo vero momento d’incontro fra la corte sa-bauda e i ceti dirigenti di Genova dopo l’annessione della Repubblica. Se a Torino era abbastanza chiaro chi dovesse prender parte alla cerimonia, a Genova il pro-blema si rivelava assai delicato. La questione, essenzialmente, era capire chi si do-vesse riconoscere nobile: problema oggetto di lunghe riflessioni nello Stato sabau-do della Restaurazione, come già nel Settecento, senza, però, che si riuscisse mai a trovare una soluzione soddisfacente91.

Vittorio Emanuele I, dapprima, ordinò al conte Cordero di Pamparato, gran maestro delle cerimonie, di preparare un elenco della nobiltà genovese che servisse ufficialmente per stabilire la partecipazione alla cerimonia del baciamano, ma che, più in generale, divenisse una sorta di primo censimento della nobiltà ligure. Pamparato si rivolse, quindi, al governatore di Genova Thaon di Revel, perché in-viasse a Torino materiali ed elenchi su cui potesse operare. Contrariamente a quanto fatto dalle magistrature asburgiche a Milano e Firenze nel secolo preceden-te, Vittorio Emanuele I non volle che a Genova fossero applicati gli stessi criteri e-sistenti in Piemonte. Anzi, egli insistette molto con Pamparato e Revel perché il rapporto della nobiltà genovese col commercio non fosse considerato un elemento «derogante» alla nobiltà, come avveniva invece in Piemonte. Perrone raccontando la vicenda nel proprio registro di cerimoniale, scriveva:

Siccome in detto Ducato [di Genova] la maggioranza delle primarie e principali famiglie, tanto di Genova che delle due riviere, hanno costantemente per lo passato atteso alla mercatura, quale esercizio deroga in Piemonte alla conservazione della nobiltà, non volendo Sua Maestà … né allontanare o mettere il benché minimo incaglio a ciò che formò per tanti secoli la fortuna ed il lustro di quelle sterili con-trade, ordinò …. di formare una nota delle principali famiglie patrizie nobili e più distinte della Liguria, le quali quantunque avessero per lo passato atteso al com-mercio hanno però esercita tal professione nobilmente, ed hanno tenuto e tengono tuttavia posto fra le più distinte di quel Ducato92.

Nonostante l’arrivo della regina fosse ormai imminente, a inizio di maggio l’elen-co non era stato ancora stilato. In realtà una parte della corte era più o meno tacita-

91 Cfr. A. MERLOTTI, L’enigma delle nobiltà cit., pp. 257-304. 92 Cfr. supra n. 90. Si veda, inoltre, quanto riportato in Registro dei cerimoniali di corte diretti da me conte Gianazzo di Pamparato, gran maestro delle cerimonie, dal 1° gennaio 1815 al 20 febbraio 1817, BRT, Storia patria 726/13.

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mente contraria a criteri che ammettessero fra le fila delle nobiltà famiglie che in Piemonte, nel migliore dei casi, sarebbero state considerate appartenenti all’alta bor-ghesia. Il nuovo governatore inviò comunque un elenco che comprendeva anche famiglie non patrizie, ma che «per il rango che occupavano nella classe de’ negozianti erano ammesse nelle principali case di Genova». A questo punto Vittorio Emanuele I decise d’istituire una commissione presieduta dal ministro degli Esteri. La commis-sione stabilì i criteri da seguire, coinvolgendo la nobiltà genovese nel processo deci-sionale, che doveva stabilire, tramite l’ammissione al baciamano, chi avesse «il privi-leggio di presentarsi alla corte nel Ducato di Genova». I dubbi e le questioni sollevati da Genova lasciarono trasparire la profonda lontananza della nobiltà e della borghe-sia genovesi dal concetto di corte, ovvio per i piemontesi, ma estraneo a quello ch’era stato ceto di governo nella Repubblica. Solo dopo un lungo dialogo e una non sem-plice concertazione l’elenco poté esser compilato e sottoposto al re, giunto a Genova il 10 agosto. Due settimane dopo, il 24, si tenne infine il baciamano per la regina, sbarcata il 22. La cerimonia fu un successo e l’apertura della corte sabauda a Genova sembrò avvenire sotto i migliori auspici. Ci vollero anni, tuttavia, perché una strut-tura così estranea alla storia genovese venisse veramente recepita dai ceti dirigenti li-guri: in questo fu fondamentale, come si vedrà, il ruolo di Carlo Felice. Nonostante tutto, a Genova la corte restò a lungo qualcosa di diverso da quello che era a Torino. Carlo Alberto, dieci anni più tardi, scriveva: «i grandi e i ciambellani genovesi furo-no ammessi a questa sedicente Corona ed il servizio di rinfresco fu curato dai sindaci … i nostri vecchi signori piemontesi avrebbero certo fatto qualche riflessione se aves-sero visto un banchiere servire il re in una grande occasione di gala»93.

Tornando al rito del baciamano, dal 1815 esso riprese esattamente il posto che aveva avuto nel Settecento, mantenendo il rango di principale cerimonia di corte. «In due occasioni, principalmente, i Reali di Savoia facevano sfoggio della loro munificente grandezza», raccontava nei suoi diari don Pietro de Quesada di San Saturnino, «l’una era quella del baciamano, l’altra quella del lavabo, nel Giovedì santo»94. Il ricordo legato alla sua gioventù trascorsa alla corte di Carlo Alberto va-leva a maggior ragione per quella di Carlo Felice. Anche se, a dire il vero, fra i due sovrani quello più attento al rispetto del cerimoniale fu certo il Carignano. Stan-do, infatti, a pressoché tutti i testimoni dell’epoca, Carlo Felice detestava le prati-che di corte. Lo conferma anche un personaggio a lui politicamente ostile quale

93 Carlo Alberto a Maria Nicolis di Robilant, Genova, 8 aprile 1828, in L’epistolario di un re. Carlo Alberto a Maria di Robilant 1827-1844, a cura di I. Massabò Ricci, Torino, 1999, p. 29. Col termine «Corona» si indicava il palco reale del teatro (in questo caso quello di Genova), l’ammissione al quale era regolata da una sezione del cerimoniale di corte. 94 V. PRUNAS-TOLA, Dai miei ricordi (ms. del cavaliere don Pietro de Quesada di San Saturnino), «Ri-vista araldica», XII (1914), f. 1, pp. 10-103 (la cit. da p. 11). Figlio del marchese Raimondo (1761-1849), ambasciatore sabaudo a Roma dal 1808 al 1815 e a Napoli dal 1806 al 1836, poi ministro di Stato, Pietro Quesada di San Saturnino (1823-1885), laureatosi in giurisprudenza a Torino nel 1843, intraprese la carriera diplomatica. Nel 1845 fu nominato segretario di legazione in Svizzera e nel 1846 gentiluomo di corte. Nel 1850 si ritirò a vita privata, non condividendo lo Statuto.

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Angelo Brofferio, proprio in riferimento al rito del baciamano. «Le smorfie di cor-te gli recavano tedio. Non era mai tanto di cattivo umore come nei giorni del ba-ciamano, stupido e abbietto omaggio, non meno per chi lo porge che per chi lo ri-ceve»95. Differente era, invece, l’atteggiamento della moglie Maria Cristina, che, cresciuta ed educata alla corte di Napoli, una volta ascesa al trono volle che il gior-no del suo compleanno si tenesse un apposito baciamano, stabilendo così una no-vità nel cerimoniale sabaudo96. In ogni caso, secondo Brofferio e altri scrittori piemontesi il fastidio di Carlo Felice sarebbe esploso nel baciamano del capodanno del 1825: «Fu veduto una volta scendere dal trono e tirarsene via nel più bello ri-cevendo i soliti complimenti dei magistrati e dei grandi del regno. In conclusione, diceva egli, non son re per essere seccato»97. Luigi Collino, in un libro di aneddo-tica sabauda, precisa meglio l’accaduto: «da circa due ore Carlo Felice stava facen-dosi baciare la mano senza interruzione, e finché l’omaggio gli era stato reso dalle dame, bene o male aveva resistito», ma quando avevano iniziato a sfilare «le grandi cariche dello Stato» aveva preferito ritirarsi «nei suoi appartamenti privati. La regi-na Maria Cristina, col suo enorme turbante di velo bianco, guardò sconcertata il marito che si allontanava, ma infine si adattò all’inevitabile: farsi baciare la mano anche per lui»98. Si comprende bene che l’autore non avesse chiara la dinamica dei baciamano, mettendo insieme quello delle dame e quello delle magistrature, che erano, invece, due cerimonie distinte. Inoltre, il conte Gazelli non riporta nulla di ciò sul suo registro delle cerimonie99.

Sulla veridicità dell’aneddoto è lecito dubitare, ma il fatto che la voce si fosse diffusa è comunque rivelatore di insofferenze e tensioni che dovevano esser ben note alla società torinese. Quel che è certo, poi, è che nel 1826 e di nuovo nel 1827, per la prima volta nella storia sabauda, i riti del baciamano di capodanno non si tennero a Torino, ma a Genova.

Per la corte di Torino fu un trauma. Si sparse persino la voce che la nota antipatia di

95 A. BROFFERIO, Storia del Piemonte dal 1814 ai giorni nostri, parte II, Regno di Carlo Felice, Torino, 1850, pp. 84-85, poi in ID., I miei tempi, Torino, 1860, vol. XVI, pp. 116-117. 96 L’espressione «novità» è usata dal maestro di cerimonie conte Gazelli dando la notizia della decisio-ne della regina il 17 gennaio 1823. Cfr. BRT, Storia patria 726/14, reg. 2. Paolino Gazelli di Rossana (1782-1844), ufficiale nel Savoia Cavalleria, nel 1818 era stato nominato maggiordomo di Carlo Feli-ce, duca del Genevese, e lo stesso anno era stato chiamato a far parte del decurionato di Torino, dive-nendo poi sindaco della città. Nel 1822 Carlo Felice lo chiamò a ricoprire la carica di maestro delle ce-rimonie. Negli stessi anni il re lo volle membro del Magistrato della riforma (la magistratura che con-trollava l’Università e le scuole del Regno). Gazelli mantenne la sua carica anche dopo l’ascesa al trono di Carlo Alberto, dal quale, anzi, nel 1834 fu promosso gran maestro di cerimonie. Una sua breve biografia è in L. TETTONI - F. SALADINI, Teatro araldico ovvero raccolta generale delle armi e insegne gentilizie delle più illustri e nobili casate, Milano, 1851, t. IX, ad vocem. 97 A. BROFFERIO, Storia del Piemonte dal 1814 ai giorni nostri, parte II, Regno di Carlo Felice cit., pp. 107, poi in ID., I miei tempi cit., vol. XVII, p. 9. 98 L. COLLINO, Torino incipriata e romantica, Torino, 1931, pp. 86-87. 99 BRT, Storia patria 726/14, reg. 2 (1823-24), reg. 3 (1825-28).

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Carlo Felice per Torino potesse portare a un trasferimento della capitale. La lettura dei registri del cerimoniale del devoto Gazelli di Rossana restituisce l’imbarazzo dei corti-giani piemontesi. Gazelli di Rossana scrive, infatti, che la decisione di tenere il baciama-no a Genova fu causata «dal tempo cattivo», che avrebbe impedito ai sovrani di mettersi in viaggio per Torino. Sapendo, però, quanto fosse complessa la macchina organizzativa che richiedeva un rito di corte come il baciamano, è lecito dubitarne. È lo stesso Gazelli a fornire un indizio in tal senso, quando racconta che la cerimonia a Genova coinvolse «274 personaggi distinti per nobiltà, cariche e impieghi nella regia milizia, oltre a 80 al-tri individui non militari né impiegati»: troppi perché la cerimonia non fosse stata pre-parata per tempo. Inoltre, quando Carlo Felice e Maria Cristina tornarono a Torino tutti si attendevano una grande cerimonia di corte che, in qualche modo, compensasse l’accaduto. Ciò però non accadde. «Essendo cessata la pioggia», scriveva il maestro delle cerimonie, «le Loro Maestà si posero in viaggio per restituirsi in Torino dove rientraro-no … non vi è stato in corte ricevimento alcuno per aver così ordinato Sua Maestà». La «Gazzetta piemontese» non poté, però, non rimarcare lo sfarzo con cui si erano svolte le cerimonie genovesi, rendendo evidente così a ogni lettore consapevole dei tempi della corte che non poteva essersi trattato solo di un imprevisto100.

La stessa situazione si ripeté l’anno dopo. La corte aveva lasciato Torino sin da fine ottobre, prima per Genova e poi per Nizza. Nella capitale si diceva che i sovrani sarebbero rientrati per Natale e con loro i baciamani dei magistrati; ma così non ac-cadde. Ancora una volta il conte Gazelli diede la colpa al maltempo101. Colpisce che la «Gazzetta piemontese», di solito solerte e minuziosa nel dar notizia di ogni ceri-monia di corte, non dia – caso unico – alcuna notizia sulle cerimonie genovesi.

A compensare in parte l’assenza dei sovrani provvidero i principi di Carignano, che avevano ormai riassunto il proprio ruolo di eredi al trono, dopo l’esilio succes-sivo al 1821. Il 31 dicembre 1826 Carlo Alberto e la moglie Maria Teresa diedero un ricevimento a Palazzo Carignano in cui ricevettero i «complimenti della nobiltà ... in gala»102. Da allora questo divenne un appuntamento fisso nel calendario di 100 A proposito del baciamano delle magistrature, per esempio, il giornale scriveva: «Questa mattina [31 dicembre 1825] l’eccellentissimo Real Senato, il corpo decurionale e la Regia Uni-versità si sono recati a corte per la funzione del baciamano e per presentare alle Loro Maestà, con l’omaggio della loro devozione, le rispettose loro congratulazioni nella fortunata circostanza del capo d’anno, in cui per la prima volta gli augusti ed amatissimi nostri sovrani si trovano in questa lor ben affetta città. L’eccellentissimo Real Senato ed il corpo decurionale partiti dal pa-lazzo di loro residenza in 25 carrozze, con belli equipaggi, formavano uno spettacolo affatto nuovo per noi, in quest’occasione che attirò l’attenzione universale». Cfr. «Gazzetta piemon-tese», XIII (1826), 3 gennaio, p. 3. 101 «Come il tempo piovoso aveva impedito l’anno scorso alla Real Corte di trovarsi in Torino il primo giorno dell’anno, così la contrarietà dei venti di mare ci tolse altra volta in questo di posse-dere fra noi gli adorati nostri sovrani e di tributar loro gli auguri d’ogni più compiuta felicità». 102 Come racconta il conte Gazelli «i gentiluomini di camera si presentarono con l’abito tur-chino ricamato in oro, ritenendo però le divise del lutto per l’imperatore di tutte le Russie, gli altri personaggi non decorati d’uniforme intervennero in abito di velluto nero. Le dame che fu-rono in numero di 104 vestivano di nero colle guarnizioni bianche ed ornamenti di diamanti.

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corte: un fatto impensabile qualche anno prima, che esplicitava sul piano curiale il superamento dei contrasti fra Carlo Felice e Carlo Alberto.

Fra 1828 e 1829 il baciamano di capodanno si tenne di nuovo a Torino. Nel 1830 i sovrani, invece, decisero di trascorrere lontano dalla capitale l’intera stagione invernale. La corte fu a Nizza dal novembre 1829 al marzo 1830: un evento unico nella storia del Regno di Sardegna. A saltare non furono, quindi, solo i baciamani, ma tutte le consuete cerimonie dinastiche che avevano in quei mesi il loro momento centrale: decisione che non mancò di suscitare a Torino malumori e polemiche. A Torino il capodanno fu particolarmente triste, poiché anche i principi di Carignano non tennero il consueto ricevimento, per potersi recare a Nizza. Qui Carlo Felice volle che si svolgesse il baciamano delle magistrature locali e della nobiltà.

La situazione cambiò nuovamente con l’ascesa al trono di Carlo Alberto, nel 1831. Preso il potere il 27 aprile 1831, anche questi iniziò il suo regno, così come aveva fatto Carlo Felice, con un baciamano di condoglianza e di felicitazione. La cerimonia, tenutasi l’8 maggio, fu imponente: secondo i calcoli del conte Gazelli vi parteciparono 729 gentiluomini al mattino e 241 dame la sera103. Nonostante il re avesse deciso di non rinnovare la cerimonia del giuramento di fedeltà, venendo così incontro alla parte meno reazionaria della nobiltà piemontese, non era dispo-sto, evidentemente, a rinunciare a quella del baciamano. D’altronde, Carlo Al-berto non apportò quasi alcuna riforma alla struttura e alla composizione della corte. Nonostante egli fosse stato inviso alla gran parte dei suoi maggiori espo-nenti, il nuovo re non ne dimise nessuno, limitandosi ad affiancare nuovi cortigia-ni a quelli già in carica: «Une partie des grandes charges de la Couronne étaient occupées par des personnes, qui avaient fait beaucoup de mal au Prince et s’étaient monstrées ouvertement ses ennemis», scrisse in terza persona diversi anni dopo, rievocando il suo ingresso a corte nella primavera del 1831: «le Roi les leur conser-va, obliant leur conduite passée. Il en fit de même avec tous les membres du Mini-stère, ne voulant faire aucun changement avant de s’être bien mis au fait des cho-ses; jugeant au plus qu’un régne ne devait point débuter par des innovations»104. Brofferio, acuto osservatore (per quanto di parte), trattando l’ascesa al trono di Carlo Alberto notava proprio che «nei primi giorni non seguirono che insignifi-canti promozioni di corte. La gazzetta ufficiale continuava a parlare di baciamani, di riverenti omaggi della nobiltà, di devoti ossequi della milizia»105.

Le cerimonie dei baciamani di capodanno furono oggetto di una piccola, ma S.A.S. non che il suo seguito e quella della Real Principessa erano in piccolo costume». 103 BRT, Storia patria 726/14, reg. 5. 104 CARLO ALBERTO DI SAVOIA, Precis des actes du gouvernement du Roi depuis son avénement ju-squ’au 1er novembre 1832, in F. SALATA, Carlo Alberto inedito, Milano, 1931, pp. 386-387. 105 A. BROFFERIO, Storia del Piemonte dal 1814 ai giorni nostri, parte III, Regno di Carlo Alberto, Torino, 1850, p. 6. Brofferio notava che anche la prima apparizione in pubblico del nuovo so-vrano, il nove maggio, con moglie e figli era stata rovinata dalla presenza della corte: «Seguivalo in cocchio la regina e i suoi figliuoli con molto servidorame di corte che scemava non poco il pregio di quella domestica rappresentanza».

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contestata, riforma. Carlo Alberto, infatti, decise di abolire le arringhe che da ini-zio Settecento venivano pronunciate dai capi delle diverse magistrature106. Ciò sol-levò forti reazioni da parte delle stesse, che in tali arringhe vedevano un’importan-te occasione per far sentire la propria voce al sovrano. Basta leggere le pagine del Journal carloalbertino per comprendere che dietro la scelta vi era la volontà di con-tenere le prerogative dei magistrati, accusati di arrogarsi più poteri di quanti in re-altà loro competessero107.

A proposito del cerimoniale che riguardava i magistrati, Carlo Alberto impose una novità importante. Il primo baciamano non sarebbe stato più quello del Consi-glio supremo di Sardegna, come da oltre un secolo, ma quello del Consiglio di Stato, segno della centralità che il sovrano intendeva dare all’organismo che proprio allora aveva rifondato108. Il baciamano della nobiltà si svolse in piena continuità con quelli degli anni precedenti109 e così fu negli anni successivi sino al 1848. Carlo Alberto proseguì senza scosse la pratica d’un rito che, intanto, veniva sempre più considera-to, nel migliore dei casi, una cerimonia propria di Paesi arretrati come la Spagna e il Regno di Napoli. D’altronde, alla corte di Carlo Alberto «l’etichetta era molto seve-ra», ricordava anni dopo un nobile conservatore come il cavalier de Quesada, rievo-cando che solo negli anni Quaranta il re aveva accettato di abolire l’uso obbligatorio dei «calzoni corti» di foggia settecentesca. De Quesada scriveva che «Carlo Alberto,

106 Carlo Alberto ricordava bene cosa era successo dieci anni prima, quando il 31 dicembre 1820 l’avvocato Borgarelli, presidente del Senato di Piemonte e leader dei reazionari, aveva usato proprio l’occasione offertagli dal baciamano per attaccare la politica del conte Prospero Balbo, ministro degli Interni e leader dei riformatori. L’arringa di Borgarelli era stata fra i motivi di ten-sione che avevano contribuito agli eventi del marzo 1821. Cfr. inoltre G.P. ROMAGNANI, Pro-spero Balbo intellettuale e uomo di Stato (1762-1837), Torino, 1988-90, t. II, pp. 464-467. E-sempi di arringhe («complimenti») lette fra 1815 e 1817 sono in AST, Corte, Cerimoniale, Funzioni diverse, m. 1 d’add., n. 19. 107 CARLO ALBERTO DI SAVOIA, Journal, 14 dicembre 1831, pp. 81-82. 108 Il Consiglio di Sardegna protestò, ma senza successo. Cfr. CARLO ALBERTO DI SAVOIA, Journal, 24 dicembre 1831, p. 100. Sul Consiglio di Stato si veda P. CASANA TESTORE, Riforme istituzionali della restaurazione sabauda: il Consiglio di Stato, «Rivista di storia del diritto italia-no», LXV (1992), pp. 337-419 e EAD., Il Consiglio di Stato, in Ombre e luci della Restaurazione cit., pp. 46-80. Assai utili anche i saggi raccolti negli atti del convegno celebrativo del 150° an-niversario della istituzione del Consiglio di Stato (Torino, 1981), Milano, 1983, in particolare, per il periodo che qui interessa, G.S. PENE VIDARI, Il Consiglio di Stato albertino: istituzione e re-alizzazione e G. LOMBARDI, Il Consiglio di Stato nel quadro istituzionale della Restaurazione, ri-spettivamente alle pp. 21-61 e 63-84. Le cerimonie dei baciamani ebbero allora inizio il 24 di-cembre con quello del Consiglio di Stato. Il 26 toccò al Consiglio supremo di Sardegna, il cui presidente conte Peiretti fu il primo a dover subire l’abolizione dell’arringa. Carlo Alberto, co-munque, elogiò il suo «compliment», definendolo «fort bref, mais un chef d’oeuvre d’élo-quence». Si trattò, però, d’un esempio che non fu seguito dai rappresentanti di Camera, Senato, Città di Torino e Università, «car leur compliments dégénérènt en harangues». CARLO ALBERTO

DI SAVOIA, Journal cit., 26 e 31 dicembre 1831, pp. 102 e 115. 109 CARLO ALBERTO DI SAVOIA, Journal, 2 gennaio 1832, p. 117.

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che aveva molta maestà nella sua persona congiunta a molta grazia, non permetteva che si compiesse l’atto della genuflessione mentre gli si baciava la mano e sorreggeva il gentiluomo che si disponeva a fare quell’atto di sudditanza e gli stringeva affettuo-samente la mano», mentre «la regina Maria Teresa, sua sposa, più sostenuta e meno maestosa lasciava che si osservasse pienamente l’etichetta»110.

I registri del cerimoniale del conte Gazelli, decisamente più minuziosi di quelli precedenti, offrono una quantità di dati e dettagli. Tutte le volte che gli fu possibile, per esempio, il conte precisò il numero di persone ammesse ai baciamani di capo-danno. Il 1° gennaio 1823 furono 484 le persone che intervennero al baciamano dei sovrani e 180 le dame che parteciparono a quello della regina. Un anno più tardi, il 1° gennaio 1824, per ragioni che sfuggono, il numero scese rispettivamente a 437 e 130. Per il 1825 Gazelli non riporta il numero dei partecipanti al baciamano del mattino, ma solo quello delle dame ammesse al baciamano serale: 150. Gazelli nota-va, con una punta di malcelato disappunto, che il baciamano del 1826 a Genova (il primo fuori Torino) non era poi stato così meno numeroso di quello di Torino: 354 al baciamano del mattino e 46 dame a quello della sera. Forse non casualmente, egli non riportò dati sul baciamano del 1827, tenutosi ancora a Genova. Questa sorta di contabilità degli onori riprese nel 1828, quando il solerte maestro delle cerimonie registrò 488 persone al baciamano del mattino e 181 dame a quello serale della regi-na. Numeri un po’ calati nel 1829: 418 al mattino e 163 dame alla sera. Un chiaro aumento dei presenti si ebbe, invece, nei partecipanti al primo baciamano che vide protagonisti Carlo Alberto e Maria Teresa, con 541 «individui», mentre restò pres-soché invariato il numero delle dame: 164. Tali dati restarono sostanzialmente im-mutati, pur con un piccolo incremento, nell’epoca carloalbertina. Il baciamano del 1° gennaio 1848, destinato a essere l’ultimo, vide la presenza di 542 persone a quello del mattino e di 150 dame a quello della sera.

Di fronte a queste cifre, stupisce il tempo relativamente esiguo richiesto dalla cerimonia. Durante l’età carloalbertina, infatti, il baciamano ai sovrani si compiva nell’arco di un’ora, un’ora e mezza. Tanto era, infatti, il tempo a disposizione in una mattina che, come detto, non si esauriva nel solo baciamano, ma iniziava con la visita del corpo diplomatico e proseguiva con la messa in duomo, che doveva necessariamente iniziare intorno a mezzogiorno, così da permettere il pranzo del-l’una. Un tempo analogo, se non minore, era riservato al baciamano della regina. Negli anni di Vittorio Emanuele I e Carlo Felice esso iniziava alle cinque e si con-cludeva fra le sei e le sei e mezza. Durante il regno di Carlo Alberto fu anticipato alle quattro e doveva finire per le cinque, così da concedere alle dame – e ai so-vrani – di portarsi al Teatro Regio. In questo senso va considerata con attenzione la testimonianza di Stanislao Grimaldi del Poggetto. Questi, raccontando, ormai anziano, i baciamano cui aveva partecipato da giovane, descriveva un rito che «du-rava per ore e ore». Ciò, in realtà, non corrisponde a quanto emerge dai documen-

110 V. PRUNAS-TOLA, Dai miei ricordi cit., p. 11.

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ti. La sua testimonianza va quindi vista come il ricordo del tedio d’un ragazzo di fronte a una cerimonia oggettivamente noiosa. Era, invece, nel vero quando la-mentava la scarsa igiene della situazione, considerando che «né il Re né la Regina non si asciugavano mai la mano», ma anche in ciò egli sovrapponeva la cultura dell’igiene diffusasi nell’età del Positivismo, quando scriveva, a quella, decisamente meno attenta a tali problemi, dell’Europa della Restaurazione111.

L’ultimo baciamano a corte si tenne il 1° gennaio 1848. Esso si svolse esattamente come i tanti che lo avevano preceduto. Il duca Pietro Vivaldi Pasqua, gran maestro di cerimonie di Carlo Alberto, registrò nel Cerimoniale di corte che al baciamano del re presero parte 542 «intervenuti» e a quello della regina 150 dame112. Da qualche tempo egli non usava più l’espressione «cavalieri». Negli ultimi anni, infatti, Carlo Alberto vi aveva ammesso militari e funzionari che dovevano destare una qualche perplessità negli ambienti più conservatori. Era il caso, per esempio, del «medico capo» e del «chirurgo capo dello spedale militare» di Torino, che vi erano stati chiamati per la prima volta il 1° gennaio 1847. Ma queste aperture non potevano evitare che la cerimonia apparisse ormai anacronistica. Tre giorni dopo, il 3 gennaio 1848, usciva sulle pagine de «La Concordia», il giornale moderato vicino a Cavour, un articolo del conte Carlo Baudi di Vesme (1809-1877), il quale attaccava la cerimonia, cui pure doveva avere parteci-pato egli stesso. Baudi di Vesme non era certo un rivoluzionario: appartenente a un’antica famiglia nobile di Cuneo, era uno dei maggiori storici piemontesi e grazie al-le sue opere si era guadagnato una buona fama anche all’estero; nel 1836 era stato chiamato a far parte della Deputazione di Storia patria e nel 1837 dell’Accademia delle Scienze di Torino. Pochi mesi dopo, il 17 aprile 1848, sarebbe stato eletto deputato al Parlamento subalpino e per pochi mesi, fra marzo e agosto, avrebbe assunto la carica di primo ufficiale nella Segreteria di Stato agli Interni per la polizia: una fedeltà alla dina-stia premiata nel 1850 con la nomina a senatore e il cavalierato mauriziano. Nell’articolo Baudi di Vesme descriveva la cerimonia con dovizia di particolari, che dovevano giungere ben nuovi alla gran parte dei lettori, poco avvezzi alla vita di corte.

Grande e bella funzione … fu già un tempo, e morale in sommo grado questa per la quale si tributavano ai sovrani quei medesimi segni di amore e di rispetto che si davano per antica consuetudine ai genitori. Era come una sola famiglia che si rac-coglieva annualmente intorno al comun padre.

I tempi, però, erano cambiati: «mutarono i segni esterni degli stessi sentimenti; e come ora nelle famiglie cessò questo di essere simbolo di riverenza e di affetto fi-gliale … quest’uso … divenne quasi un anacronismo, poiché oramai, per i mutati

111 S. GRIMALDI DEL POGGETTO, Ricordi di un ufficiale dell’antico esercito sardo, Torino, 1891, pp. 98-99. 112 Registro dei cerimoniali di corte diretti da Pietro Vivaldi Pasqua, duca di san Giovanni, gran maestro di cerimonie (25 giugno 1844 - 8 febbraio 1848), in BRT, Storia patria 726/15. Nel 1849 Vittorio Emanuele nominò il duca Vivaldi Pasqua primo prefetto di palazzo della nuova corte sabauda. Il duca mantenne la carica sino alla morte, nel 1856, così da garantire una qual-che continuità fra la struttura della corte d’antico regime e quella della corte costituzionale.

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costumi, esprime idee troppo difformi da quelle che dapprima indicava». Il conte Baudi suggeriva di abolire la cerimonia e di sostituirla con un ricevimento che comprendesse le stesse persone, ma che non prevedesse più «l’antico rito», ormai superato113. I voti dello storico e ormai prossimo deputato si sarebbero avverati anche oltre le sue più rosee previsioni. Poco più di un mese dopo, infatti, il duca Vivaldi Pasqua registrava nel Cerimoniale di corte un fatto nuovo:

Martedì 8 febbraro 1848. Pubblicazione delle basi di un nuovo Statuto fondamen-tale rappresentativo. Resta con ciò sospeso il corso del presente cerimoniale di corte finché piacerà a Sua Maestà di determinare le basi del nuovo regolamento. Torino, li 9 febbraio 1848.

Sulla pagina seguente, in un momento successivo, aveva poi copiato lo Statuto. Dopo di che, solo pagine bianche. La corte sabauda d’antico regime era definitivamen-te finita, colpita dallo Statuto e dalla riforma disegnata da Carlo Alberto e da Gioberti.

Il rito del baciamano, tuttavia, non scompariva dall’Italia. A Napoli esso re-stava la cerimonia principale della corte, esattamente per le stesse ragioni simboli-che per cui in Piemonte veniva abolito. D’altronde, l’uso familiare e sociale del ba-ciamano nel Regno dei Borboni non era certo caduto in disuso, a differenza di quanto occorso in Piemonte e, più in generale, nell’Italia settentrionale. Il 1° gen-naio 1860 Francesco II e Maria Sofia, sovrani delle Due Sicilie, aprirono il nuovo anno con un baciamano114. Meno di sei mesi dopo, il 13 giugno 1860, Garibaldi, conquistata la Sicilia, emise a Palermo un editto con il quale vietava il «baciamano da uomo ad altro uomo», considerando che «un popolo libero deve distruggere qualsiasi usanza derivante dal passato servaggio»115.

6. Conclusioni

All’inizio del Settecento Morin definì il baciamano un «formulaire muet établi pour assurer les réconciliations, pour demander le graces et pour remercier de celles qu’on a reçûes». Qualche decennio più tardi, Fortunato Bartolomeo De Felice (1723-1789), gesuita napoletano fattosi protestante, riprese tale definizione nella sua fortu-nata Encyclopédie ou dictionnaire universel raisonné des connaissances humaines, ma ag-giungendovi una definizione, che da allora sarebbe stata ripetuta infinite volte nei di-zionari successivi. De Felice scrisse, infatti, che il baciamano era un «formulaire muet» per «marquer» la «vénération à ses superieurs»116. All’origine di ciò è, probabilmente, la diversa esperienza dei due personaggi. Morin scriveva nella Francia di Luigi XIV,

113 C. BAUDI DI VESME, Il baciamano a corte, «La Concordia», lunedì 3 gennaio 1848, p. 6. Traggo la citazione da F. MAZZONIS, La Monarchia e il Risorgimento, Bologna, 2003, p. 30. 114 Sul baciamano del 1860 alla corte di Napoli si vedano le pagine di R. DE CESARE, La fine di un regno (Napoli e Sicilia), Città di Castello, 1900. 115 Il testo del decreto, controfirmato Crispi, si può leggere nella Raccolta degli atti del governo dittatoriale e prodittatoriale in Sicilia (1860), Palermo, 1861, p. 49. 116 Yverdon, 1771, vol. IV, p. 434.

LE CERIMONIE DI BACIAMANO FRA SEI E OTTOCENTO

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dove il baciamano curiale, come abbiamo visto, non aveva un ruolo paragonabile a quello che rivestiva in altre corti europee. De Felice, invece, s’era formato a Napoli presso la cui università era stato professore di fisica: egli ben conosceva il fasto e il sen-so dei baciamani borbonici, cui forse ebbe anche occasione di partecipare. Per De Fe-lice, cioè, era evidente che il gesto fosse prima di tutto un’espressione di fedeltà.

Nello Stato sabaudo del Seicento, vi era stato un altro rito di corte destinato a esprimere la fedeltà dei ceti dirigenti dello Stato al sovrano. Si trattava del solenne giuramento di fedeltà che si teneva a ogni ascesa al trono. Introdotto con tutta probabilità già da Vittorio Amedeo I, esso riprendeva cerimonie già testimoniate in precedenza. Fu solo negli anni della reggenza di Cristina di Francia che esso eb-be tuttavia una compiuta codificazione. Il solenne giuramento di fedeltà si svol-geva al duomo di san Giovanni e prevedeva che tutte le parti e i ceti dello Stato inviassero loro rappresentanti. Cristina di Francia lo fece tenere tre volte, nel 1637, nel 1638 e nel 1646. Esso fu poi richiesto ancora da Maria Giovanna Bat-tista per il piccolo Vittorio Amedeo II nel 1675. Vittorio Amedeo II non ritenne necessario organizzarne uno in occasione della sua ascesa al trono di Sicilia, consi-derando sufficiente, invece, il grande baciamano a corte del 22 settembre 1713. Nel 1730 Carlo Emanuele III ordinò di nuovo un solenne giuramento117. Fu solo una settimana più tardi, il 6 ottobre, che emanò il decreto sul giuramento di fedel-tà, il quale si tenne il 20 novembre118. Egli, fra l’altro, mutò profondamente l’assetto della cerimonia. Fra 1637 e 1675 essa aveva visto giurare le antiche circo-scrizioni territoriali dello Stato sabaudo: dal Ducato di Savoia al Marchesato di Ceva, dal Principato di Piemonte alla Contea di Asti. Nel 1730, invece, Carlo Emanuele III volle razionalizzare il giuramento, per cui a giurare furono chiamate le province, in ordine alfabetico. Quello del 1730 fu l’ultimo giuramento solenne del Settecento. Sia Vittorio Amedeo III nel 1773 sia Carlo Emanuele IV nel 1796 non lo ripristinarono, ritenendolo lesivo dell’onore delle nobiltà dello Stato119. Tutto ciò era ben noto a Carlo Felice quando nel 1822 decise di far nuovamente tenere il solenne giuramento di fedeltà. Il sovrano non si fidava più della nobiltà piemontese120. D’altronde, i regnanti della Restaurazione sapevano bene qual con-to si dovesse fare della devozione dimostrata nelle cerimonie di corte. Quando Maria Cristina ricevette il baciamano per la sua ascesa al trono, la cognata Maria Teresa, regina sino all’abdicazione del marito pochi mesi prima, le scrisse:

Sento con piacere che il baciamano è stato numeroso assai e che tutto il pubblico

117 Ricavo delle materie e funzioni più essenziali che si trovano nel cerimoniale di corte dalli 3 set-tembre 1730 … all’anno 1752, AST, Corte, Cerimoniali, Funzioni diverse, m. 3, n. 2. Il 10 set-tembre si tenne il baciamano della nobiltà, il giorno successivo quello delle magistrature. 118 Cfr. Regolamento da osservarsi nella funzione del solenne giuramento di fedeltà, Torino, 1730. Sui giuramenti di fedeltà cfr. A. MERLOTTI, I Savoia. Una dinastia europea in Italia, in I Savoia. I secoli d’oro d’una dinastia europea, a cura di W. Barberis, Torino, 2007, pp. 87-133 (in part. pp. 121-124). 119 Cfr. l’Editto di Carlo Emanuele IV (15 novembre 1796), DUBOIN, t. VI, pp. 652-656. 120 Sul giuramento del 1822 si veda A. MERLOTTI, L’enigma delle nobiltà cit., pp. 274-287.

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vi abbia dimostrato sincero attaccamento. Vedo che avete fatto esattamente come noi il giorno della mia entrata in Torino il 23 settembre 1815, che fra gli applausi continui del pubblico io mi sentivo morire, pensando che dall’Osanna si sarebbe passati al Crucifige: come fu in effetti121.

Se in antico regime il baciamano era stato un’espressione di fedeltà adatta allo stile dei tempi, nell’Ottocento la situazione era cambiata. Nel 1830 don Michele Ponza, nel suo Vocabolario piemontese-italiano, registrava l’espressione dialettale «andé al basaman» nel senso di «andar a prestar giuramento d’obbedienza, di sud-ditanza»122. Ponza era nato nel 1772 e aveva fatto in tempo a conoscere l’antico regime e i riti che in esso si praticavano alla corte di Torino. L’anno dopo Luigi Cibrario, di trent’anni più giovane e da poco entrato all’Accademia delle Scienze di Torino, recensendo il Dizionario sulle colonne dell’«Antologia» di Gino Cap-poni, contestava la veridicità di quest’interpretazione, negando che il baciamano fosse un’attestazione di fedeltà123. A confrontarsi non erano tanto due interpreta-zioni, quanto due generazioni. Ponza era cresciuto nell’antico regime, Cibrario ne-gli anni napoleonici. Per un uomo destinato a diventare ministro nei governi d’A-zeglio e Cavour, così come per il citato Baudi di Vesme, la potenza simbolica dell’«accedere ad manum» non era certo scomparsa, ma proprio per questo il rito non poteva sposarsi coi tempi nuovi. In fondo, la questione era semplice: la fedeltà dei sudditi era cosa ben diversa dalla fedeltà dei cittadini.

121 Traggo la citazione da G. GIOVANNINI, Le donne di Casa Savoia dalle origini della famiglia sino ai giorni nostri, Milano, 1900, p. 343. 122 M. PONZA, Vocabolario piemontese-italiano, Torino, 1830, vol. I, p. 157. 123 «Antologia», XVII (1831), vol. III, n. 127, pp. 125-126.