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MAFIOSITA'
ED ASSOCIAZIONI MAFIOSE
NELLA CONTEMPORANEITA'
la normativa antimafia in relazione all’evoluzione delle mafie
ANTONIO DE BONIS
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Premessa
Questo saggio breve ha lo scopo di portare l'attenzione su alcuni elementi di criticità di natura prevalentemente giuridica, emersi in relazione alla lettura ed analisi di alcuni dei principali provvedimenti restrittivi recenti riguardanti l'organizzazione criminale denominata 'Ndrangheta e di alcune a connotazione etnica. In particolare: la necessità di rivedere il percorso logico che lega il carattere
mafioso di una organizzazione anche al controllo diretto di uno specifico territorio (come avviene nella pratica giurisprudenziale);
riflettere sulla contemporaneità dell'agire delle organizzazioni mafiose a carattere transnazionale che, per definizione ed intrinseca cararatteristica, agiscono prescindendo ed anzi sfruttando la a-territorialità delle proprie azioni.
Glossario
Associazione a delinquere: quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti, coloro che promuovono o costituiscono od organizzano l'associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da tre a sette anni .
Associazione di tipo mafioso:
Chiunque fa parte di un'associazione di tipo mafioso formata da tre o più persone, è punito con la reclusione da sette a dodici anni. Coloro che promuovono, dirigono o organizzano l'associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da nove a quattordici anni. L'associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte
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si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali
Conspiracy in common law l'unione tra due o più persone volta, attraverso un'azione concertata o un piano, al perseguimento di uno scopo criminale o illegale, oppure al perseguimento di uno scopo, di per sé stesso non criminale o illegale, mediante l'utilizzo di strumenti illegali
Gruppo criminale organizzato: Convenzione di Palermo
un gruppo strutturato, esistente per un periodo di tempo, composto da tre o più persone che agiscano di concerto al fine di commettere uno o più reati gravi, o reati stabiliti dalla Convenzione, al fine di ottenere, direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o altro vantaggio materiale
Reato transnazionale: Convenzione di Palermo
commesso: a) in più di uno Stato;
b) in uno Stato, ma che avvenga in un altro
Stato una parte sostanziale della relativa
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preparazione, pianificazione, direzione o controllo;
c) in uno Stato, ma con l’implicazione di un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato;
d) in uno Stato, ma con effetti sostanziali in un altro Stato.
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Introduzione
Quando nel 1982 l’ordinamento giuridico italiano si è dotato dello specifico
strumento di contrasto alle associazioni di tipo mafioso introducendo l’art.
416/bis quale fattispecie criminosa specifica, quest’ultimo di già non 1
rispecchiava più la natura della mafia coeva.
Tuttavia, va detto che riconoscere l’esistenza di questa realtà criminale -la
mafia-, in quell’epoca percepita ancora come esclusivamente siciliana, era
stato comunque di per sé un successo, un amarissimo successo, totalmente
debitore del sangue delle vittime, di tutte le vittime di qualsiasi estrazione,
di cui la mafia si era nutrita per assicurarsi la sopravvivenza ed il futuro.
Era già superato il 416/bis, nella misura in cui le mafie si modificano
evolvendosi continuamente, cogliendo le nuove opportunità e
fronteggiando le sfide della società in cui si sviluppano, generando nel
contempo la resilienza ossia un’intrinseca capacità di adattamento e 2
resistenza, tipica degli agenti patogeni, alle minacce dell’ambiente esterno
in cui proliferano traendone linfa vitale.
Il sacco di Palermo degli anni ’60, il contrabbando di sigarette ed il traffico
di sostanze stupefacenti degli anni ’50-’70 avevano generato un potere
economico che aveva il bisogno fisiologico di un canale di sfogo: la mafia
siciliana emigra al nord verso il mondo produttivo e finanziario vitale per lo
sviluppo dei propri interessi.
Mentre tutto questo avveniva, il mondo politico certificava l’esistenza della
mafia come forma di reato di per sé solo nel 1982, ignorando, con colpevole
11. Art.1, L. 13.9.1982, n.646 22. Le organizzazioni criminali, specie quelle di tipo mafioso hanno l’esigenza di sviluppare la caratteristica della
resilienza in quanto, diversamente, sarebbero destinate ad essere un’organizzazione criminale di livello minore.
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ritardo, quanto accertato dagli stessi colleghi parlamentari componenti la II
Commissione Parlamentare d’inchiesta sulla Mafia, la Commissione
Cattanei, già nel 1972, allorché, nella relazione conclusiva dei lavori,
denunciavano che la mafia siciliana si era già espansa nei grandi centri
urbani di Milano, Genova e Napoli.
Tentare di attrarre l’attenzione sull’attuale necessità di riflettere
sull'interpretazione autentica della fattispecie di reato prevista dall’art.
416/bis, risente senz’altro dell'ambizioso desiderio di non ripercorrere gli
errori del passato partendo dall’analisi di alcune delle più significative
recenti attività di contrasto alla ‘Ndrangheta, nonché di altre nei confronti
delle mafie a connotazione etnica.
Questo saggio ha la mal celata pretesa di offrire uno spunto di riflessione in
tema di associazionismo mafioso in relazione alla prevalente
interpretazione giurisprudenziale relativa all'effetto psicologico prodotto
dalla intrinseca forza intimidatrice nei confronti del soggetto passivo;
effetto da valutare non più esclusivamente in relazione della specificità di
un territorio di riferimento, ma piuttosto nella essenza dell'elemento di
sudditanza psicologica ottentuo a danno delle vittime di tale reato.
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STRUMENTI NORMATIVI L’associazionismo delinquenziale nella contemporaneità
I processi di unificazione dei mercati, favoriti dal crollo delle opposte
ideologie che hanno informato gli equilibri geopolitici del secolo
diciannovesimo e la conseguente globalizzazione dei flussi mercantili,
economici e finanziari, hanno determinato l’evoluzione verso una dimensione
transnazionale della criminalità organizzata.
La presa d’atto di questa nuova caratteristica del modo di strutturarsi per
gestire le complesse attività criminali da parte delle organizzazioni più
evolute, ha indotto, in un passato oramai non molto recente, l’Organizzazione
delle Nazioni Unite a sollecitare una riflessione internazionale sul livello di
minaccia rappresentato dalla criminalità a livello mondiale. In tale quadro, si
sono svolti una serie di lavori preparatori che hanno successivamente
consentito di cristallizzare le posizioni condivise dai vari paesi aderenti alla
Convenzione sul Crimine Organizzato di Palermo nell’anno 2000 a cui va
riconosciuto il merito principale di aver conferito rilevanza penale all'isituto
del reato di natura transnazionale, individuando contestualmente una
definizione di gruppo criminale organizzato . 3
Questa convenzione rappresenta il punto di arrivo di una riflessione in ambito
internazionale che ha dovuto mediare essenzialmente le due posizioni
prevalenti della cultura giuridica internazionale di civil e common law. Tale
processo ha messo in luce la differenza sostanziale tra l’istituto anglosassone
di conspiracy e quello latino di associazione per delinquere lasciando
aperta, ritengo volutamente, la definizione di criminalità organizzata,
3 Un gruppo strutturato, esistente per un periodo di tempo, composto da tre o più persone che agiscano di concerto al
fine di commettere uno o più reati gravi, o reati stabiliti dalla Convenzione, al fine di ottenere, direttamente o
indirettamente, un vantaggio finanziario o altro vantaggio materiale. ______________________________________________________________________________________
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consegnandola ancora ad una categorizzazione di genere socio criminologico
non essendo, evidentemente, maturi i tempi per una sua rigida definizione
tassonomica.
Questo preambolo sulla Convenzione di Palermo e sulla criminalità
transnazionale, che sarà trattata nel capitolo seguente, introduce il tema delle
due principali definizioni giuridiche a cui si ricorre per penalizzare l’attività di
persone che si associano per commettere delitti.
La realtà inglese, con un sistema giuridico più di carattere socio-criminologico
che giuridico in senso stretto, è caratterizzata storicamente da un approccio
pragmatico prima che definitorio. Mancando una disciplina specifica in
materia di criminalità organizzata, si fa ricorso all’istituto della conspiracy,
cui generalmente viene ricondotto qualsiasi fenomeno associativo. Tuttavia,
anche in questo mondo giuridico, la consapevolezza dell’accresciuta minaccia
ed incidenza che la criminalità organizzata contemporanea rappresenta, ha
indotto ad una riflessione in tema di conspiracy da parte della Law
Commission che ha condotto alla emanazione del Serious Organized Crime
and Police Act, da cui trae origine il SOCA e del One Step Ahead
, il primo 4 5
documento di contrasto strategico.
Quanto sin qui esposto connota il fermento internazionale indirizzato a
colmare il gap normativo sia all’interno di ciascuno stato nazionale sia a livelli
superiori, comunitari e sovranazionali.
Da questo punto di vista il nostro paese rappresenta, con la sua esperienza
storica in tema di criminalità organizzata e quindi della relativa produzione
giurisprudenziale, un laboratorio di prim’ordine nello studio e ricerca di
strategie, sia preventive che repressive, tese a contrastare o contenere gli
effetti catastrofici che la criminalità organizzata determina sull’intera
4 http://www.legislation.gov.uk/ukpga/2005/15/contents 5 http://www.archive2.officialdocuments.co.uk/document/cm61/6167/6167.pdf
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struttura sociale in cui opera.
Non è un caso quindi che, proprio analizzando l’evoluzione recente della
realtà criminale nazionale, sono emerse alcune criticità sotto il profilo del
contrasto alle forme più strutturate delle organizzazioni criminali autoctone e
straniere che questo elaborato pretende di mettere in evidenza.
Prima di mettere in luce ed analizzare queste criticità, è opportuno un breve
esame sugli strumenti normativi individuati dall'esperienza italiana e quindi
da quella pattizia della Convenzione ONU di Palermo 2000 nel prossimo
capitolo, per fronteggiare, punendo, le condotte illecite riferibili alla
criminalità organizzata, premettendo che quest'ultima locuzione non trova ad
oggi una chiara, esaustiva e condivisa definizione che ne confermi la natura
socio-criminologica.
Il punto di partenza di questa disamina non può che essere individuato nel
reato di associazione per delinquere previsto dal codice penale italiano che
punisce la condotta di tre o più persone che si associano per commettere più
delitti (...). La scelta di dedicare un titolo specifico per punire questo tipo di
condotta risiede nel particolare disvalore che questa assume nei confronti
dello svolgimento ordinato della vita sociale. Quindi, la condotta è punita in
sé e per sé a prescindere dalla realizzazione o meno dei così detti reati-scopo
che, qualora portati a compimento, rappresentano un quid pluris per la
valutazione della pena in capo ai responsabili. In questa sede invece, non
avendo la presunzione di dibattere le eccezioni dottrinali in materia, ci si
limita a porre in evidenza la criticità che attiene ad una eventuale
anticipazione eccessiva della soglia di punibilità che comporterebbe problemi
di natura costituzionale nel senso di violazione implicita del principio di
offensività; ovvero il caso in cui un gruppo di persone ipotizzino di
organizzarsi per commettere una serie indefinita di reati senza aver posto in
essere i necessari atti idonei ed univoci in funzione del raggiungimento dello
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scopo ricercato. Infatti, va detto che il reato si consuma allorquando la
struttura teorizzata diviene permanentemente operativa al fine di realizzare
gli obbiettivi prefissati poiché è solo in questo momento che si realizza il
pericolo per l’ordine pubblico che la norma esige di tutelare. 6
Quindi abbiamo da un lato la criminalità che si organizza per commettere
reati e dall’altro la corrispettiva fattispecie giuridica che ne penalizza il
comportamento.
Un importante argomento da trattare in tema di associazionismo criminale è
ancora quello dell’organizzazione strutturale dell’associazione che il codice
specifica individuando:
il promotore, ossia l’iniziatore dell’associazione ; 7
il costitutore, colui che determina o contribuisce a determinare la nascita
dell’associazione criminale;
il capo, colui che dirige e regolamenta l’attività degli associati;
il socio, ovvero colui che volontariamente e permanentemente si unisce
all’associane per delinquere al fine di perseguire lo scopo comune . 8
Infine, per completezza, è utile accennare alla differenza sostanziale
intercorrente tra questo reato ed il concorso nel reato, ancorché continuato,
che, pur presentando l’elemento comune dell’accordo, divergono per aspetti
strutturali significativamente differenti in quanto nel concorso l’accordo:
può intervenire anche tra due persone;
avviene in forma occasionale ed accidentale;
è circoscritto alla commissione di uno o anche più reati specificamente
individuati;
si estingue alla commissione dei reati individuati;
manca di una struttura organizzativa.
6 Cass., sez I, 12 gennaio 1990, n. 130. 7 Cass., sez I, 7 agosto 1985, n. 7462. 8 Cass., sez VI, 21 novembre 1989, n. 16164.
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Mentre, l’associazione per delinquere si caratterizza per : 9
una struttura più o meno complessa;
finalizzata alla realizzazione di un ampio disegno criminoso;
commissione di una serie indeterminata di delitti;
ha un carattere permanente;
è indipendente per la sua configurabilità giuridica dalla realizzazione dei
singoli reati-scopo.
Il nostro paese soffre da molto tempo, ovvero dal mio punto di vista sin dal
momento in cui i cambiamenti apportati alla società siciliana dal
Costituzionalismo del 1812 hanno prodotto i primi fenomeni mafiosi, della
presenza ed attività sul proprio territorio di questo fenomeno delinquenziale.
La Mafia, tuttavia, ha trovato solo di recente, se si considera il lungo periodo
in cui ha agito pressocché indisturbata, la sua codificazione penale come
condotta illecita con l'entrata in vigore solamente nel 1982 dell'articolo
416/bis del codice penale italino.
Si tratta di una norma che, sul fondamento giuridico individua e punisce
l'associazione per delinquere, evidenzia uno specifico, ulteriore, carattere di
pericolo per la collettività nella intrinseca mafiosità scaturente dalla forza
intimidatrice che promana dal vincolo associativo, generando nelle vittime
una condizione di assoggettamento ed omertà (non necessariamente frutto di
attività di per sé illecite) che consente all’associazione mafiosa il compimento
dei reati-scopo.
In definitiva il quid pluris, rispetto all’associazione semplice per delinquere,
risiede nel ricorso al -metodo mafioso- che impone al soggetto passivo, sia
esso intraneo o estraneo all’associazione criminale, la realizzazione di
comportamenti frutto di una pressione anche solo psicologica. Questa
9 Cass., sez I, 23 marzo 1995, n. 3161; Cass., sez I, 07 giugno 1995, n. 6684; Cass., sez I, 20 giugno 1995, n. 7063;
Cass., sez V, 5 ottobre 2012, n. 39378.
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pressione è da considerarsi tale qualora generi anche il solo timore di gravi
conseguenze, finanche solamente insinuate con generici riferimenti o espresse
concretamente con azioni di tipo esemplare . 10
Ovviamente nel pensare a questa fattispecie criminosa il legislatore aveva in
mente -e si riferiva- ad una realtà determinata come il sud d'Italia ed in
particolare la Sicilia.
Nel tempo il legislatore ha aggiunto al tipo mafioso anche quello camorristico
e solo di recente ‘ndranghetistico per giungere all'ultima modifica dell’art.
416/bis c.p. con l’inserimento del comma 6: " Le disposizioni del presente
articolo si applicano anche alla camorra, alla ‘ndrangheta ed alle altre
associazioni, comunque localmente denominate, anche straniere ...".
Il legislatore appare evidente rincorre un fenomeno criminale, quello delle
organizzazioni più evolute, strutturate e meglio organizzate, che è per sua
natura in continua evoluzione.
Ovviamente questo è il chiaro sintomo di una strategia anticrimine tutt'altro
che analitica e di ampio respiro che, al contrario, dovrebbe inspirare qualsiasi
decisore politico assennato ed attento non alla contingenza del presente
quanto, piuttosto, alle prospettive future di medio e, meglio ancora, di lungo
termine.
Orbene, siamo giunti ad un punto essenziale della nostra disamina ovvero
l'analisi del rapporto che lega le associazioni criminali a connotazione mafiosa
con il territorio in cui operano. Prima di addentrarci nelle evidenze empiriche
emerse dall'analisi delle recenti indagini di polizia tese al contrasto di alcune
delle forme più pervicaci di manifestazioni mafiose sia nazionali che a
carattere etnico, va evidenziato il legame mafie-territorio per come inteso
nell'ambito del reato di associazione di tipo mafioso.
Innanzi tutto é evidente che la norma non lega in alcun modo né con alcun
10 Cass., sez I, 30 giugno 1990, n. 1785.
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processo logico, la realizzazione della condotta delittuosa all'elemento
territoriale richiamando esclusivamente, ai fini dell'incriminazione il
perseguimento degli scopi tipicizzati nel reato, da perseguire con il ricorso al
metodo mafioso. Corollario è senz'altro la circostanza che il legislatore, in più
occasioni, ed in tempi diversi, è intervenuto estendendo ad altre forme di
criminalità organizzata l'ambito di applicabilità della norma: camorra,
'ndrangheta e mafie straniere comunque localmente denominate.
Questo punto è sostanziale per quanto attiene questo lavoro poiché inquadra
un punto importante del nostro ragionamento ossia la a-temporalità
dell'attuale formulazione dell'articolo 416/bis che non risponde, oggi, alle
mutate dinamiche della criminalità, necessariamente organizzata, che agisce
ricorrendo al metodo mafioso.
In sostanza, il metodo mafioso si può esprimere prescindendo da uno
specifico territorio e può quindi affliggere chiunque ed in ogni luogo. Ad oggi,
nella pratica giudiziaria, sia inquirente che soprattutto del dibattimento, si é
ritenuto considerare agente la mafiosità esclusivamente laddove essa si
esprime in relazione a specifici territori poiché, li e solamente in essi, l'alone
di intimidazione poteva essere finanche sottointeso. Oggi, come vedremo, i
fatti concreti, dimostrano che la realtà non é più solamente questa.
Tuttavia, prima di passare oltre, avendo trattato, seppur schematicamente
delle fattispecie delittuose afferenti all’associazionismo criminale, appare
utile, ora, conchiudere questo argomento passando a trattare di un ulteriore
aspetto molto importante relativo alla tematica dell'associazione di tipo
mafioso ossia del concorso esterno in associazione mafiosa che tanto ancora
oggi impegna in dibattiti dottrinali gli addetti ai lavori. E’ una tematica che ha
assunto un ovvio rilievo, sia teorico che pratico, afferente l’ammissibilità del
concorso eventuale e materiale ex art. 110 c.p. in relazione all’associazione di
tipo mafioso. La necessità di far ricorso al combinato disposto dagli artt. 110 e
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416/bis c.p., per inquadrare questa tematica, è ravvisabile sotto il profilo
giuridico, in relazione alla volontà di contrastare i fenomeni di contiguità con
le associazioni mafiose onde individuarne lo strumento giuridico di punizione
penale. E’ stata la pratica investigativa che ha portato alla luce comportamenti
censurabili messi in atto da parte di individui appartenenti ai settori
dell’imprenditoria, delle professioni e della politica che, seppur estranei al
sodalizio mafioso, per interessi di natura personale o anche per mera
compromissione locale, si risolvano a commettere atti illeciti a favore delle
compagini mafiose.
Per decenni, dopo averne negato perfino la semplice esistenza, si è affrontato
con colpevole ed interessata superficialità il fenomeno mafioso rilegandolo ad
ambiti locali e quindi tutto sommato trascurabili. Come sappiamo solo nei
primi anni ottanta del secolo alle nostre spalle non è stato più possibile tacere
o minimizzare (in ragione della presa di coscenza collettiva prodotta dagli
eventi tragici dell'estate del 1992) la portata della minaccia che questi
fenomeni già allora rappresentavano per l’ordine pubblico, quindi, la
convivenza civile ma soprattutto il suo stesso sviluppo armonico ed equanime.
Ancora più solo di recente, e quindi a maggior ragione ancora più
colpevolmente, si è riconosciuto nel rapporto tra mafiosi ed individui esterni
all’associazione il vero cardine -la pietra angolare- della capacità di accrescere
il potenziale di di resilienza proprio di ogni associazione criminale di tipo
mafioso. Senza questo rapporto con professionisti, amministratori pubblici ai
vari livelli, funzionari dello Stato, politici nazionali ed altre figure similari,
ogni organizzazione di tipo mafioso è destinata da sempre a ridimensionarsi
fino a scomparire.
Non è certo un caso che questo fosse un tema particolarmente a cuore a
Giovanni Falcone ai tempi della sua appartenenza all’ufficio Istruzione di
Palermo (anche se questa è materia che era già ampiamente stata dibattuta ai
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tempi del contrasto al terrorismo interno) e che ha trovato nei maxi processi
degli anni ‘80, sia alla Camorra che a Cosa Nostra siciliana, il primo agone di
confronto giurisprudenziale e conseguentemente dottrinale.
Questa stagione venne caratterizzata da un lato dalle pronunce di merito che
riconoscevano la validità dell’incriminazione per concorso esterno in favore
dell’associazione di tipo mafioso (in particolare a carico di alcuni
imprenditori), mentre quelle di legittimità negavano tale possibilità
imperniandone la motivazione sulla circostanza che il concorrente o è anche
ritualmente inserito nell’associazione o non può concorrere ad essa in base al
filo logico di favorirne l’esistenza ed i fini pur restando ad essa esterno . 11
Tuttavia, la successiva stagione antimafia é stata connotata dallo svilupparsi
di un dibattito dottrinale e giurisprudenziale senz’altro più articolato che
ancora oggi contrappone le due principali linee di tendenza interpretativa,
non sul concorso eventuale di tipo morale, comunemente riconosciuto
possibile, quanto in tema di concorso materiale, e cioè quelle:
negazionista, già individuata dalla Suprema Corte nella richiamata
sentenza (cfr. nota 11), che è imperniata sull’asserita sovrapponibilità e
non differenziabilità dell’elemento psicologico e della condotta
materiale del concorrente sterno con quello dell’associato;
favorevole, cristallizzata, in particolare nella sentenza c.d. Demitry che 12
ha confutato la perfetta sovrapponibilità tanto delle condotte quanto
degli aspetti psicologici individuabili in capo alle figure del partecipe e
del concorrente denunciando la ontologica differenza.
In ultima analisi e cercando di riassumere un tema che è ancora molto sentito
11 Cass. pen., sez. I, 30011992, n. 6992 le ipotesi di concorso esterno”ove concretatisi in semantico e continuativo
appoggio nel conseguimento degli scopi associativi, sono essi stessi condotte di partecipazione, in nulla dissimili
dalle altre concorrenti, restando così limitate le configurazioni di ricettazione, di favoreggiamento e simili ai soli
comportamenti adiuvanti di carattere saltuario ed episodico”; 12 Cass. pen. S.U., 5 ottobre 1994, n. 842;
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e dibattuto, i recenti pronunziamenti della Suprema Corte propendono verso 13
il riconoscimento del concorso esterno in associazione mafiosa laddove il
soggetto attivo, pur sprovvisto dell’affectio societatis, ossia privo della volontà
di far parte dell’associazione criminale di tipo mafioso, ma cionondimeno
consapevole dei metodi e dei fini della medesima, si renda, purtuttavia
perfettamtente conto dell’efficacia causale determinata dai propri
comportamenti in favore dell’associazione criminale.
13 Cass. pe. S.U., 20 settembre 2005, n. 33784 (caso Mannino); Cass. s. V, 9 maggio 2012, n. 15727 (caso Dell’Utri)
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Convenzione ONU per il contrasto alla
criminalità organizzata transnazionale 55° Sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite
Palermo, 15 novembre 2000
Giungere a questa convenzione ha significato concludere un lungo, tortuoso e
senz’altro difficoltoso, lavoro di mediazione tra una molteplicità di posizioni,
finanche antitetiche, connesse alle singole realtà giuridiche dei paesi coinvolti
nel progetto. Il primo passo è stato convenire ad una definizione dei fenomeni
di globalizzazione poiché concordemente ritenuta essere il volano dei
fenomeni di criminalità transnazionale. Definizione questa che può essere
perlomeno descritta come “… un processo in seguito al quale gli Stati
nazionali e le loro sovranità vengono condizionati e connessi
trasversalmente da attori transnazionali, dalle loro chance di potere, dai
loro orientamenti, identità e reti …”. Quindi si è partiti, in sede O.N.U., maturando la necessità di approntare gli
idonei strumenti di contrasto internazionali per fronteggiare questo nuovo
fenomeno criminale; compito delegato a specifici tavoli di lavoro avviati
partendo da un incontro tenutosi a Varsavia nell’aprile 1998 in cui è emersa
per la prima volta “… the idea of having a main Convention dealing with
such matters as the criminalization of money laundering, criminal
associations and conspiracy, and with international cooperation, and
additional protocols dealing with the smuggling of aliens, trafficking in
firearms, trafficking in stolen motor vehicles, and trafficking in women and
children … ”
Questo breve excursus storico ci ha permesso l’introduzione della materia per
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entrare, ora direttamente, nel dettaglio normativo affrontando il dettato
dell’art. 3, con cui la Convenzione indica il suo ambito di applicazione,
consistente nella prevenzione, investigazione ed esercizio dell’azione penale
per:
a) i reati di partecipazione ad un gruppo criminale organizzato (artt. 2 e 5), il
riciclaggio dei proventi di reato (art. 6), la corruzione (art. 8) e l’intralcio
alla giustizia (art. 23), ai quali vanno aggiunti i reati indicati dai protocolli
addizionali, cioè la tratta di esseri umani, il traffico di migranti ed il traffico
di armi da fuoco;
b) i reati gravi, individuati ai sensi dell’art. 2 in quelli sanzionabili con una
pena privativa della libertà personale di almeno quattro anni nel massimo o
con una pena più elevata.
Quindi la Convenzione definisce prioritariamente cosa deve intendersi per un
gruppo criminale organizzato ossia: un gruppo strutturato, esistente per
un periodo di tempo, composto da tre o più persone che agiscano di concerto
al fine di commettere uno o più reati gravi, o reati stabiliti dalla
Convenzione, al fine di ottenere, direttamente o indirettamente, un
vantaggio finanziario o altro vantaggio materiale. L'elemento che per noi ha un interesse primario in relazione al nostro scritto
afferisce alla definizione di reato transnazionale individuato nella
condotta commessa:
a) in più di uno Stato;
b) in uno Stato, ma che avvenga in un altro Stato una parte sostanziale della
relativa preparazione, pianificazione, direzione o controllo;
c) in uno Stato, ma con l’implicazione di un gruppo criminale organizzato
impegnato in attività criminali in più di uno Stato;
c) in uno Stato, ma con effetti sostanziali in un altro Stato.
Il nostro parlamento ha provveduto, senza un'eccessiva fretta -sei anni-, alla
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ratifica della Convenzione con la Legge 146/2006. Va detto prioritariamente
che comunque non si tratta affatto di una mera sovrapposizione di norme
essendo stato costretto, il legislatore, ad una mediazione tra i dettami della
convenzione e l'esperienza italiana riuscendo a non snaturare entrambe ed al
contempo rispettare i parametri del testo pattizio sottoscritto.
Il fenomeno criminale organizzato transnazionale andava ovviamente
inquadrato alla luce dei diversi ordinamenti nazionali che, per quanto
riguarda il nostro paese, va riferito al reato di associazione a delinquere, già
schematicamente esaminato nei suoi tratti salienti, consegnandoci in sostanza
una disciplina ad hoc per quanto attiene la criminalità organizzata, anche di
tipo mafioso, ed una specifica finalizzata al contrasto della criminalità a
carattere transnazionale.
Questa ratifica consegna agli inquirenti ed alla magistratura giudicante la
possibilità di colpire quelle organizzazioni criminali che commettono reati a
carattere transnazionale nel territorio nazionale.
Quindi si riconosce al giudice del dibattimento la capacità di condannare per
associazione a delinquere con aggravio di pena quelle associazioni criminali
che, operando in Italia e che avendo ramificazioni internazionali, commettono
reati di specifica natura transnazionale. In questo modo queste
organizzazioni, pur atteggiandosi come ampiamente emerso dall’esperienza
investigativa sino ad oggi sedimentata con i caratteteri propri di
un'associazione di tipo mafioso, non sarebbero potute essere punite per tale
condotta in ossequio ai dettami dell'art 416/bis poiché, secondo la consolidata
giurisprudenza, non sempre operanti e collegate a quei territori riconosciuti
dalla prassi come infiltrati dalle mafie.
Questo è il punto fondamentale che si vuole fare emergere in questa sede e di
cui si è già accennato ossia la necessità e, a parere dello scrivente, l’urgenza di
ripensare lo strumento degli articoli 416 e 416/bis del codice penale per
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fronteggiare le nuove sfide portate dalla criminalità organizzata nazionale ed
internazionale nella sua veste transnazionale, alla comune convivenza.
Soprattutto l'art. 416/bis nella pratica giurisprudenziale risente, seppur non
esplicitato dalla norma, di un richiesto collegamento delle organizzazioni
incriminate ad un territorio -notoriamente- mafioso e quindi capace di per sé
stesso di fungere da alveo e catalizzatore per la forza intimidatrice derivante
dal vincolo associativo criminale.
Tutto ciò non è più aderente alla complessità del mondo contemporaneo; fino
a qualche decennio orsono le mafie, quelle italiane, erano perlopiù rilegate ed
operanti in un territorio di atavico riferimento. Oggi, o meglio da almeno
mezzo secolo, non è più così, fermo restando che esse continuano ad operare
anche laddove sono nate e si sono sviluppate, ma non in via esclusiva, come
vedremo nel capitolo seguente, avendo pervaso anche altre realtà per lo più
nel nord italiano ma anche in territori esteri. Oltre ciò va detto che oggi, ma
non da oggi, operano in Italia compagini criminali a carattere mafioso di
diverse etnie che, in relazione a quanto sopra descritto, non possono essere
perseguite adeguatamente in relazione allo specifico carattere di pericolosità
poiché, anche per esse, non è presente e quindi certificabile, una
compenetrazione di carattere territoriale in specifiche aree.
In definitiva, criminalità come quella di tipo 'ndranghetista operante al di
fuori della Calabria, oppure cinese od anche nigeriana e da ultima georgiana,
che operano in contesti territoriali -diversi- ma agiscono con i crismi propri
dell'associazione di tipo mafioso come vedremo non possono essere
adeguatamente contrastate se non in ragione di una riflessione
sull'interpretazione autentica dell'articolo del codice penale che persegue
l'associazione di tipo mafioso; il 416/bis.
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Le recenti indagini sulla ‘Ndrangheta
Nel luglio 2010, a conclusione dell’indagine denominata IL CRIMINE, le
forze di polizia hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere
emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Milano su
richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di 183
indagati per associazione mafiosa, traffico e detenzione di sostanze
stupefacenti, omicidio, porto e detenzione illegale di armi, trasferimento
fraudolento di valori, usura, estorsione ed altri reati. Contestualmente,
davano esecuzione ad un provvedimento di fermo di indiziato di delitto,
emesso dalla locale Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di 68
indagati per associazione mafiosa, trasferimento fraudolento di valori ed
altri reati, nonché al sequestro preventivo di beni del valore di circa 10
milioni di euro. Questi diversi interventi cautelari avevano interessato le
province di Reggio Calabria, Milano, Monza Brianza, Como, Lecco, Torino
e Genova, colpendo numerosi esponenti di vertice delle principali cosche
della ‘Ndrangheta reggina e delle rispettive proiezioni nel nord Italia.
Provvedimenti questi che rappresentavano un primo esito investigativo
frutto di indagini preliminari dirette dalle Procure Distrettuali Antimafia di
Milano e Reggio Calabria nell’ambito di numerosi procedimenti penali
collegati, originati da altrettante attività di polizia giudiziaria “Infinito”,
“Patriarca”, nonché “Tenacia”, “Hera”, “Solare” e “Reale”. Gli elementi
raccolti nelle singole attività e raccordati dalle due Procure hanno fornito
un quadro d’insieme degli assetti organizzativi della ‘Ndrangheta, delle sue
articolazioni extraregionali e dei comuni interessi illeciti.
Queste attività hanno generato ulteriori filoni investigativi che, nel tempo,
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sono passati al vaglio tanto del Giudice per le indagini preliminari che di
quello di merito.
Il più recente provvedimento cautelare collegato all’indagine
convenzionalmente denominata ESILIO nei confronti della locale di
Giaveno (TO) ci consente di valutare alcuni profili giuridici utili anche alla
comprensione, più in generale, degli esiti giudiziari di alcune delle attività
investigative già richiamate e vagliate dall’autorità giudicante in Piemonte,
Liguria e Calabria in tema di ‘Ndrangheta delocalizzata al nord. In punto di
diritto il Giudice per le Indagini Preliminari, nell’esaminare gli indizi di
colpevolezza a carico degli indagati nell’indagine Esilio, articola il percorso
logico che sostiene la propria positiva determinazione nella concessione
dei provvedimenti cautelari segnalando e sposando la significativa
evoluzione interpretativa prodotta dalla Suprema Corte in relazione al
requisito della forza di intimidazione nella sua dimensione potenziale
piuttosto che effettuale.
Questo Giudice, come del resto altri in precedenza del Distretto di Torino e
Genova, ha ritenuto centrale il riconoscimento della natura unitaria della
mafia storica nel caso in specie della ‘Ndrangheta poiché tale
riconoscimento costituisce il presupposto fattuale e logico per
l’attenuazione degli oneri probatori in materia di espressione della forza di
intimidazione che, nella sua dimensione potenziale, risulta ripetuta dalla
cellula madre. Ne deriva che, dal punto di vista investigativo, laddove i
requisiti appena accennati vengano accertati e certificati dalla polizia
giudiziaria, l’attività d’indagine ha raggiunto un risultato per cosi dire di
primo livello essendo in grado di sostenere in positivo il vaglio del Giudice
per le Indagini Preliminari, ottenendo il provvedimento di applicazione
della misura cautelare ed interrompendo -di fatto- il potenziale sviluppo
dell’attività criminale della consorteria indagata. A tale proposito si ricorda
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che la Corte di Cassazione ha ritenuto “…configurabile il reato associativo 14
in presenza di una mafia silente purché' l'organizzazione sul territorio,
la distinzioni di ruoli, i rituali di affiliazione, il livello organizzativo e
programmatico raggiunto, lascino concretamente presagire la prossima
realizzazione di reati fine dell'associazione, concretando la presenza del
"marchio" ('Ndrangheta), in una sorta di franchising tra "province" e
"locali" che consente di ritenere sussistente il pericolo presunto per
l'ordine pubblico che costituisce la ratio del reato di cui all'art. 416/bis
c.p…” .
Tuttavia in una fase squisitamente giudicante come quella dibattimentale
in cui va formata la prova, il presupposto sopra richiamato non consente
l’attenuazione della soglia oggettiva e fattuale imponendosi la prova del
metodo mafioso attraverso l’espressione della forza di intimidazione che,
anche secondo la più recente giurisprudenza, può ricavarsi in ragione del
connubio tra caratteristiche strutturali dell’associazione ed induzione di un
derivante clima di omertà.
Ed è esattamente su questa base, ed in assenza di tale evidenza probatoria,
che si sono fondate le decisioni adottate dal Giudice di merito nel processo
di primo grado scaturito dall’indagine ALBACHIARA che hanno
determinato l’assoluzione, dalla contestazione elevata a carico di 16
persone del reato di appartenenza all’associazione di tipo mafioso
denominata ‘Ndrangheta, in quanto appartenenti alla locale insediatasi nel
basso Piemonte . 15
Va detto che il Giudice di merito ha rilevato non sufficiente, da parte degli
associati, il mero sfruttamento potenziale della forza di intimidazione o
14 Cass. Sez. 2, 11 gennaio 2012 n. 4304, C.E.D. Cass. n.. 252205.
15 Si tratta di un’attività d’indagine che ha preso spunto da materiale indiziario proveniente da diverse Procure, in
particolare dagli inquirenti di Milano, Genova e Reggio Calabria e che ha interessato in particolare le zone di Novi
Ligure, Asti, Alba, Sommariva del Bosco.
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l’intenzione di dar vita ad effetti intimidatori ma che “… deve invece essere
presente, effettiva e dimostrata, una capacità attuale di incutere timore,
obbiettivamente riscontrabile, essendo invece insufficiente la prova della
sola intenzione di produrre quell’alone di intimidazione diffusa o di
avvalersene…”
La giurisprudenza ha, nel tempo, chiarito in ripetute occasioni che il c.d. in
sé dell’associazione di tipo mafioso, sul piano descrittivo ed ontologico,
trova fondamento nella “condizione di assoggettamento e di omertà”
derivante dalla forza intimidatrice. Quindi l’essenza stessa della
associazione è costituita dalla sussistenza delle condizioni di
assoggettamento ed omertà, che sono requisiti ontologici della fattispecie;
si tratta dunque di requisiti oggettivi la cui esistenza deve essere
dimostrata.
Ergo, laddove si ritenga che una determinata struttura organizzata si
richiami ai modelli riconducibili alla 'Ndrangheta e che abbia con la “casa
madre” calabrese rapporti più o meno stretti ed esplichi la propria attività
(tentando di perseguire i fini propri indicati nell’art. 416 bis c.p., attuati
valendosi dello strumentario costituito dalla forza di intimidazione) nel
territorio del basso Piemonte, proprio in quel territorio dovrà essere
compiutamente dimostrata la sussistenza effettiva del primo livello di
carica intimidatoria autonoma e del suo riflesso, ossia l’alone di diffusa
intimidazione non essendo sufficiente averne dimostrato la mera
potenzialità.
Quindi recepiamo, dalle diverse valutazioni del Giudice di merito rispetto a
quelle del Giudice per le Indagini Preliminari, l’ovvia necessità di spingere
l’acquisizione del materiale probatorio a sostegno dell’accusa di
appartenenza ad un’associazione di tipo mafioso oltre il primo livello della
c.d. mafia silente, sopra già descritto, non essendo questo di per se stesso
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sufficiente a dimostrare l’oggettiva e fattuale attività di un’associazione
criminale in un determinato contesto geografico senza esporsi a valutazioni
contrarie e negative da parte del Giudice di merito.
Su questa stessa corrente interpretativa sono incardinate le motivazioni
assolutorie del Giudice di merito nel procedimento penale generato dalle
risultanze dell’indagine della Procura di Genova MAGLIO III che, nell’anno
2011, ha portato all’arresto di 12 indagati ritenuti appartenere a proiezioni
della ‘Ndrangheta reggina in Liguria.
Infatti il Giudice, chiamato ad esprimersi in sede di rito abbreviato, tra
l’atro ha ritenuto che:
“… quello che va quindi ricercato, in questo processo, è l'esistenza di una
realtà associativa, operante in Liguria, radicata sul territorio, avente di per
se, al di là del nome, le caratteristiche proprie dell'associazione di stampo
mafioso; deve cioè verificarsi se, alla luce delle emergenze delle indagini, le
sole cui possa riferirsi il Giudice in sede di giudizio, possa ritenersi provato
che in territorio ligure si sia realizzata una struttura criminale avente le
caratteristiche di cui all'art. 416 bis c.p. …”
Quindi, ancora una volta, si ha la conferma della imprescindibile necessità
di oggettivare le attività investigative svolte nei confronti delle proiezioni
delocalizzate di ’Ndrangheta con materiale probatorio certificante l’attività
criminale riconducibile alle previsioni del 416/bis -di per sé-, ossia non
limitandosi ad accertare l’esistenza della struttura (rapporti interpersonali e
rituali), i collegamenti con l’area calabrese di riferimento, ma piuttosto
verificando il reale condizionamento ambientale conseguente allo
sprigionarsi della forza intimidatrice derivante dal vincolo associativo.
In buona sostanza non è auspicabile, nelle aree diverse da quelle di origine,
sfruttare investigativamente il solo riconoscimento del carattere di
mafiosità della ‘Ndrangheta in capo alle articolazioni locali rischiando di
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esporsi a giudizi negativi da parte del Giudice di merito.
Ancora più di recente, isempre in Piermonte, l’indagine COLPO DI CODA
ha esplorato e certificato l’esistenza di due locali di ‘Ndrangheta operanti in
in Chivasso (TO) e Livorno Ferraris (VC).
I riscontri probatori forniti dalla Procura torinese al vaglio del GIP del
locale Tribunale sono stati da quest’ultimo ritenuti congrui per l’emissione
dei provvedimenti restrittivi della libertà personale a carico dei 22 indagati.
Va detto, tuttavia, che quest’attività investigativa non è ancora passata al
vaglio del Giudice di merito e quindi non è possibile valutarne, ad oggi,
l’efficacia investigativa.
Infine, questo punto d’analisi non può prescindere dal dispositivo di
sentenza pronunciato, nello scorso marzo, dal Giudice per l’Udienza
Preliminare del Tribunale di Reggio Calabria, a seguito della richiesta di
celebrazione del rito abbreviato per patteggiamento della pena, avanzata
dalla quasi totalità degli imputati, nel procedimento denominato CRIMINE
. 16
Il Giudice ha tenuto a sottolineare che: “…è noto che il giudizio abbreviato
costituisce un procedimento -a prova contratta- alla cui base è
identificabile un patteggiamento negoziale sul rito, a mezzo del quale le
parti accettano che la regiudicanda sia definita all'udienza preliminare
alla stregua degli atti di indagine già acquisiti e rinunciano a chiedere
ulteriori mezzi di prova …”. Successivamente, in sentenza ha riconosciuto gli imputati colpevoli di aver
fatto parte dell’associazione criminale di tipo mafioso denominata
16 Il 13 luglio 2010, all’esito delle indagini preliminari coordinate dalle Procure Distrettuali Antimafia di
Milano e Reggio Calabria, nell’ambito di numerosi procedimenti penali collegati, venivano eseguiti
un’O.C.C. in carcere, emessa dal Giudice Per Le Indagini Preliminari del Tribunale di Milano nei
confronti di 183 indagati, e due provvedimenti di fermo di indiziato di delitto, emesso dalla DDA di
Reggio Calabria nei confronti di complessivi 121 indagati, raggiungendo soprattutto gli esponenti di
vertice delle principali cosche della ‘Ndrangheta reggina e delle rispettive proiezioni nel nord Italia. ______________________________________________________________________________________
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‘Ndrangheta, operante nel reggino, accogliendo la tesi accusatoria ma -e
questo si intende sottolineare- non ha ritenuto applicare ai condannati
l’aggravante, richiesta dall’accusa, della transnazionalità dell’associazione,
recepita anche dal nostro ordinamento giuridico, esprimendo quindi
un’intrinseca valutazione negativa in relazione all’unitarietà della
‘Ndrangheta per come rappresentata dalla Procura in relazione ai
collegamenti italiani ed esteri con le rispettive propaggini.
Anche in questa occasione emerge la difficoltà dello stesso Giudice di
ritenere sufficiente per definire unitario il fenomeno ‘ndranghetista il
tentativo espresso da molteplici affiliati di vario spessore e provenienza di
uniformarne i riti e l’organizzazione delle cariche.
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Le mafie etniche
Nel maggio dell’anno 2006, le forze dell'ordine hanno eseguito un’ordinanza
di custodia cautelare in carcere, disposta dal Giudice per le Indagini
Preliminari del Tribunale di Torino, a conclusione dell’indagine denominata
NIGER arrestando 24 cittadini nigeriani appartenenti ad un’organizzazione
criminale etnica denominata EIYE, indagata per associazione mafiosa, tentato
omicidio, rapina, estorsione, traffico di stupefacenti, sfruttamento della
prostituzione e favoreggiamento dell'immigrazione clandestina.
Quest’indagine, avviata nel 2003 per far luce sul tentato omicidio di due
cittadini nigeriani da parte di un gruppo di connazionali per futili motivi, ha
documentato l’operatività di un’agguerrita organizzazione criminale di tipo
mafioso pervenendo all’identificazione dei diversi sodali ritenuti responsabili
di numerosi fatti di sangue verificatisi in Torino.
Le successive investigazioni permettevano di identificare i responsabili di tale
evento delittuoso e di documentare la presenza, nell’area torinese, di
un’organizzazione criminale a carattere transnazionale di etnia nigeriana
responsabile di numerosi fatti di sangue verificatisi nel nord Italia dal 2003 al
2005.
L’attività d’indagine accertava che l’organizzazione degli EIYE era una
propaggine dell’organizzazione madre con sede in Nigeria , il cui responsabile 17
per l’Italia era residente a Torino e coordinava tutte le cellule operative degli
17 In Nigeria sono presenti diverse bande organizzate definite organizzazioni massoniche o segrete dedite ad atti di
feroce violenza in tutto il Paese. Tra queste si distinguono per la loro brutalità due gruppi dominanti e da tempo in
lotta tra loro: gli EIYE, le aquile ed i BLACK OUT, il buio.
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EIYE presenti sul territorio nazionale mantenendo stretti legami e contatti 18
con i vertici dell’organizzazione in Nigeria.
Lo stesso era coadiuvato nelle sue attività illecite da altri connazionali
responsabili dei giovani sodali nelle azioni sul campo nonché
dell’amministratore dei flussi di denaro che rimpinguavano la cassa
dell’organizzazione.
Quest’ultima era strutturata verticisticamente e dedita alla commissione di
numerosi delitti contro il patrimonio e contro la persona, opponendosi, di
fatto, ai gruppi rivali della stessa etnia al fine di mantenere il predominio 19
nell’ambito della comunità nigeriana in Italia. Per tale fine gli associati si
avvalevano della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo e
della conseguente condizione di assoggettamento e di omertà tipica delle
consorterie mafiose tradizionali.
L’ingresso nel sodalizio era subordinato ad un rito di affiliazione ed al
pagamento di una somma in denaro che veniva destinata, unitamente agli
introiti derivanti dalle attività illecite, una parte alla cassa comune in Italia e
la restante in Nigeria ai vertici dell’organizzazione.
Quest’indagine è emblematica per la sua unicità in quanto per la prima volta
veniva contestato ad un’organizzazione criminale a connotazione etnica,
riconducibile alle sette segrete nigeriane denominate Secret Cult , 20
l’associazione di tipo mafioso.
Dopo quattro anni, nel maggio 2010, è arrivata la sentenza del Tribunale di
Torino pronunziata nei confronti dei componenti il sodalizio indagato che ne
18 È stata riscontrata la presenza di articolazioni dell’organizzazione nelle province di Milano, Novara, Verona,
Padova, Brescia, Ancona, Terni, Roma e Napoli. 19 Nello stesso periodo la Guardia di Finanza torinese eseguiva un ulteriore provvedimento restrittivo nei confronti di
altri 14 nigeriani componenti della organizzazione criminale rivale degli EIYE denominata BLACK AXE. 20 I “Secret Cult”, nascono in Nigeria nei campus universitari al finire degli anni ’70, per promuovere la “coscienza
nera”, la lotta per la dignità degli africani e della loro libertà dal neocolonialismo. Gli stessi si convertono, nel
tempo, in organizzazioni fine a se stesse con una spiccata tendenza alla violenza per la supremazia di un gruppo su
l’altro compiendo efferati delitti comprese le mutilazioni corporee.
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sancisce l’appartenenza ad un’associazione criminale di tipo mafioso ai sensi
dell’art.416/bis del codice penale.
Questa sentenza rappresenta senz’altro un importante punto di svolta in
questa materia poiché per la prima volta certifica giudiziariamente che
un’organizzazione criminale esogena possa riunire i requisiti tipicizzanti
dell’associazione di tipo mafioso.
Infatti, l’imputazione proposta dall’accusa di costituzione dell’associazione
mafiosa da parte del sodalizio nigeriano ne denunciava la forza
d’intimidazione derivante dal vincolo associativo finalizzata “…ad assumere e
mantenere il predominio della comunità nigeriana…”. Com’è evidente quest’ultimo concetto é riferito all'elemento psicologico su cui
la forza intimidatrice dell'associazione mafiosa poggia e quindi si rende altresì
interessante comprendere il percorso logico induttivo seguito dai giudici per
raggiungere la propria sentenza.
Il punto d’avvio della speculazione parte proprio dagli elementi cardine della
struttura associativa mafiosa, ossia dai concetti di assoggettamento ed omertà
che, sebbene già elaborati sin dal 1965 nella legge 31/05/1965 n.575, in tema
di applicazione delle misure di prevenzione troveranno cristallizzazione
giuridica solamente con l’entrata in vigore nel 1982 del 416/bis.
Per assoggettamento si deve intendere la posizione di sottomissione,
succubanza e vassallaggio sia dell’associato meno autorevole sia di individui
esterni all’associazione, mentre per omertà, invece, va inteso il rifiuto
generalizzato a collaborare con organi dello Stato aventi funzioni inquirenti e
giudicanti; or dunque questi due elementi sono strumentali alla condotta
associativa.
La Suprema Corte in proposito afferma “…Questi elementi non devono, di 21
volta in volta, necessariamente, essere utilizzati dai singoli associati, non
21Cass Pen Sez. I 6/6/91 n. 6203
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devono necessariamente estrinsecarsi in atti di violenza fisica o morale
perché ciò che caratterizza l’associazione mafiosa è la condizione di
assoggettamento e, quindi, lo stato di soggezione derivante dalla
convinzione di essere esposti ad un concreto ed ineludibile pericolo di fronte
alla forza dell’associazione. Detto timore si manifesta nella omertà, intesa
come forma di solidarietà, che ostacola o rende più difficoltosa l’opera di
prevenzione e di repressione e che dal vincolo associativo deriva per il
singolo all’ esterno ma anche all’interno dell’associazione …”
Siamo conseguentemente in presenza di un reato di pericolo come ancora la
Suprema Corte afferma “… è sufficiente che il gruppo criminale considerato
22
sia potenzialmente capace di esercitare intimidazione e come tale sia
percepito, non essendo, di contro, necessario che sia stata effettivamente
indotta una condizione di assoggettamento ed omertà nei consociati
attraverso il concreto esercizio di atti intimidatori …” . Scrivono ancora i Giudici di merito del Tribunale di Torino: “… la fattispecie
della partecipazione alla associazione di tipo mafioso è a forma libera,
perché il legislatore non descrive in modo particolare la forma tipica,
limitandosi ad affermare che commette il reato chi ne fa parte …”
La forma libera che caratterizza la fisionomia del reato di associazione per
delinquere di tipo mafioso e la mancanza di tipizzazione della relativa
condotta consentono al Giudice di merito di cogliere nel processo di
metamorfosi della mafia nel tessuto sociale ed economico i contenuti
dell’appartenenza . 23
Orbene quest’affermazione cardine deve essere considerata nella sua portata
culturale, e quindi sociologica, condividendone l’assoluta logicità ma
soprattutto l’aderenza allo spirito che ha informato i diversi legislatori nel
22 Cass Pen Sez. V 9 /10/03 n. 38412
23 Cass. Pen. Sez. V 6/5/05 n. 173809
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processo di redazione della norma mai mutato nonostante le varie modifiche
apportate nel tempo.
La sentenza di condanna nei confronti degli appartenenti al sodalizio
criminale nigeriano indagato ne afferma la mafiosità espressa nei confronti
dei componenti della stessa etnia, riconoscendo che il processo di
metamorfosi di questa forma criminale nigeriana nel tessuto sociale
intraetnico riuniva tutti i crismi tipici delle associazioni di tipo mafioso.
In questi ultimi tempi alcune Procure hanno avanzato richieste di ordinanze
di custodia cautelare in carcere ai competenti Giudici per le Indagini
Preliminari a carico di componenti di organizzazioni criminali, definite
dall’accusa come mafiose. E’ il caso della Procura di Torino per
un’organizzazione di rumeni e di quella di Bari nei confronti di
un’organizzazione di georgiani entrambe operanti nel territorio italiano, ma in
danno delle rispettive comunità etniche. I diversi Giudici per le Indagini
Preliminari hanno concesso i provvedimenti restrittivi con lo scopo ovvio di
interrompere l’eventuale attività criminosa, avendone ravvisato la necessità;
siamo in attesa dei pronunciamenti futuri dei giudici di merito per poter
valutare la portata di queste indagini, oltre che dal punto di vista investigativo
anche, ed è quello che rileva in questo elaborato, sotto il profilo
giurisprudenziale.
Ad ogni modo anche questi ultimi episodi denotano di per sé una differente
sensibilità rispetto al passato verso questa tematica da parte di tutti gli attori
coinvolti, forze di polizia e magistratura in particolare.
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Conclusioni
Le criticità evidenziate nell'introduzione sono il frutto del lavoro di analisi e
comprensione basato sul materiale riportato nelle pagine precedenti che
appare tuttavia quantomeno sufficiente ad attirare l'attenzione verso una
tematica giuridica con assoluti ed innegabili risvolti pratici che si riverberano
nell'individuazione delle migliori tecniche investigative anticrimine che gli
operatori del settore possono, ed anzi devono, essere in grado di svolgere.
Riassumendo per sommi capi quanto sin qui esposto, ricordiamo che le
differenti esigenze su cui si fondano le decisioni di un Giudice per le indagini
preliminari rispetto a quelle di un Giudice del dibattimento in aree territoriali
diverse da quelle storicamente mafiose si risolvono in pronunciamenti, spesso
assolutori, ineccepibili formalmente, mettendo altresì in risalto la necessità
improrogabile di una riflessione sull'intera tematica della mafiosità delle
organizzazioni criminali contemporanee.
La medesima pretesa emerge chiaramente anche in relazione al contrasto
delle organizzazioni criminali a connotazione etnica, verosimilmente di tipo
mafioso, come nel richiamato caso della consorteria nigeriana degli EIYE.
Dette esigenze di natura giuridica determinano il Giudice per le indagini
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preliminari ad emettere le ordinanze di custodia cautelare in carcere
ritenendo sufficiente il semplice “allarme sociale” per la comunità, derivante
dall’esistenza stessa di una compagine di tipo mafioso in un territorio, nella
fattispecie anche una singola locale di ‘Ndrangheta, mentre il Giudice di
merito, secondo l’attuale formulazione normativa, non può prescindere dal
verificare l’effettività fattuale che riverbera dalla forza intimidatrice derivante
dal vincolo associativo propria dell’associazione di tipo mafioso.
In questo senso vanno comprese alcune delle recenti pronunce assolutorie
relative ad attività investigative concluse nei confronti di articolazioni
‘ndranghetiste in Piemonte e Liguria.
Partendo da questa evidente discrasia tra previsione normativa e realtà
operativa delle mafie si deve avviare una riflessione sull’applicazione o su di
un eventuale aggiornamento dell’art.416/bis in reagione delle mutate esigenze
di contrasto connesse all’evoluzione delle mafie.
Un’organizzazione per essere considerata di tipo mafioso a che livello deve
esprimere nella società in cui agisce la forza d’intimidazione derivante dal
vincolo associativo che la caratterizza?
Appare evidente, considerato quanto espresso, che questa materia deve essere
riesaminata nell’ottica di un ripensamento del concetto di controllo del
territorio.
Premesso quanto sin qui esposto, inoltre, appare inevitabile riconoscere la
mafiosità intra-etnica per le altre mafie, cosi come la forza intimidatrice delle
locali di ‘Ndrangheta operanti in territori diversi dalla Calabria nei confronti
di imprenditori, commercianti ed amministratori.
Troppo spesso si discute di come i processi globalizzanti abbiano modificato
le organizzazioni criminali senza tenere in adeguata considerazione gli effetti
che tali mutazioni hanno comportato nello specifico modo di agire;
riconoscere la deterritorializzazione delle mafie comporta parimenti
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ammettere che l’esercizio della violenza, quand’anche potenziale in relazione
all’essenza mafiosa dell’organizzazione, oggi, fuori dai territori atavici, è
rivolta nella pratica prevalentemente a categorie di persone e non ad un
territorio.
In conclusione, andrebbe senz'altro quantomeno discussa la rilevata
incongruenza dell'aver inserito tra le organizzazioni criminali di tipo mafioso
anche quelle diversamente denominate e straniere senza aver, forse, tenuto in
giusto conto che l'esperienza investigativa ed inquirente ci consegna una
realtà di organizzazioni criminali etniche operanti in Italia con caratteristiche
tipicamente mafiose che prescindono dalla richiesta diffusione territoriale
della forza intimidatrice derivante dal vincolo associativo.
Questa riflessione ovviamente deve necessariamente essere anche estesa al
fenomeno delle propaggini ‘ndranghetiste, le locali , che non sempre, come
dimostrano le investigazioni piemontesi, sono diretta espressione delle
famiglie calabresi, seppur con esse mantengano relazioni e che non
manifestano nel territorio in cui operano la diffusa intimidazione oggi
richiesta dalla norma ma, agendo comunque con comportamento mafioso, la
proiettano su singoli individui nell’ambito di un disegno criminoso -anch’esso
tipicamente mafioso- come l’acquisizione, a titolo didascalico, di ditte di
movimentazione di terra o ancora smaltimento di rifiuti in regime
monopolistico in una determinata area.
In ultima analisi, queste criticità legate all'esperienza investigativa ed alla
trasposizione di esse quale materiale probatorio richiamano l'attenzione
sull'intera materia afferente l'associazionismo criminale per un preventivo
adattamento degli strumenti di contrasto verso forme di criminalità
organizzata che, in un futuro ormai prossimo, investiranno il nostro paese
ovvero, in particolare, quelle a connotazione etnica che potranno essere
colpite sicuramente ricorrendo al 416 c.p. aggravato dalla transnazionalità del
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reato, ma anche operando esclusivamente entro i confini nazionali come già
avviene con fare tipicamente mafioso seppur a livello intraetnico.
In sostanza, è necessario chiarire e rendere esplicito che la forza
d’intimidazione espressa dal vincolo associativo può, al giorno d’oggi, non
investire più solamente un territorio, ma anche essere esercitata e riflettersi
direttamente su singoli individui indipendentemente dall'ambiente sociale in
cui esso é inserito.
In questo modo si colpirebbero i comportamenti tipicamente mafiosi delle
organizzazioni criminali italiane operanti al di fuori delle aree di atavica
origine nonché quelli delle mafie straniere operanti in Italia commettendo
reati anche non a carattere transnazionale ma comunque con caratteristiche
di mafiosità.
La sfida posta oggi dalle organizzazioni criminali più evolute e di alto profilo,
anche transazionali, oltre ad avere effetti sui cittadini, sulle comunità, nel
senso dell'ordinata convivenza civile, attiene all’essenza stessa della sovranità
nazionale, per altro già ampiamente ridimensionata ed in parte svuotata di
consistenza dalle dinamiche economiche globalizzate. L’aspetto della
sovranità nazionale che oggi è soggetto ad erosione da parte della criminalità
organizzata internazionale afferisce sempre più spesso e sempre più
diffusamente direttamente al fondamento democratico dei paesi di diritto.
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