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La trasmissibilità del diritto di prelazione nella successione legittima e
testamentaria.
Di Pasquale Ragone.
Sommario: 1. La normativa sulla prelazione nell’ ordinamento giuridico italiano; 2. La durata del
rapporto di prelazione; 3. Trasmissibilità del diritto di prelazione; 4. La prelazione testamentaria:
il legato di prelazione; 4.1.Figure similari al legato di prelazione; 4.2 Limiti alla prelazione
testamentaria; 4.3 Rimedi per il caso di violazione dell’ obbligo di preferire.
1. La normativa sulla prelazione nell’ ordinamento giuridico italiano.
Il codice civile italiano, diversamente da quanto accade in altri ordinamenti, come quello
tedesco1, non contiene una organica disciplina del diritto di prelazione, né tantomeno una
articolata regolamentazione di detto istituto, limitandosi ad accennare a quest’ ultimo in
determinate norme sparse nel c.c.: basti pensare all’ art. 732 c.c., il quale prevede la cd.
prelazione ereditaria; all’ abrogato art. 966 c.c., che prevedeva la prelazione in favore del
concedente nel caso di alienazione del fondo enfiteutico; all’ art. 1566 c.c. il quale,
esprimendosi in termini di “diritto di preferenza”, disciplina l’ ipotesi in cui il somministrato
si sia pattiziamente obbligato a concedere al somministrante la preferenza nella stipulazione
di un nuovo contratto di somministrazione; all’ art. 230-bis c.c. il quale, introdotto nel codice
dalle legge di riforma del diritto di famiglia, disciplina la prelazione nell’ ambito della
impresa familiare mediante un mero richiamo all’ art. 732 c.c; all’ art. 2441 terzo comma
c.c., il quale disciplina il diritto di prelazione nell’ acquisto delle azioni (o delle obbligazioni
convertibili) non optate di società non quotate in Borsa. Altre importanti fattispecie prelatizie
sono poi contenute in larga parte nella legislazione speciale di cui, fra le principali, è bene
citare: quella di cui all’ art. 30 l. 1 giugno 1939 n. 1089 (oggi v. T.U. n. 42/2004) relativo alla
prelazione dello Stato per l’ acquisto di beni di interesse culturale; quella di cui all’ art. 8 l.
26 maggio 1965 n. 590, modificato ed integrato dall’ art. 7 della l. 14 agosto 1971 n. 817
concernente il diritto di prelazione in favore di chi coltiva fondi rustici o di chi coltiva fondi
1Nel BGB invece, ai §§ 463 – 473, con riferimento al contratto di compravendita, è presente una articolata disciplina
del Vorkaufrescht, specificamente della prelazione obbligatoria (schuldrechtliches [personliches]), che costituisce un
vero e proprio modello di base per l’ istituto, al quale così si richiama, per la regolamentazione del rapporto tra preferito
ed obbligato, anzitutto il dinglichesVorkaufreschtprevisto ai §§ 1094 – 1104 BGB (per l’ espresso rinvio del § 1098
comma primo). Inoltre, pur in assenza di un esplicito rinvio, la disciplina della prelazione obbligatoria è ritenuta
applicabile anche al Vorkaufreschtdei coeredi, disciplinato dai §§ 2034-2037 BGB, in via integrativa alla sintetica
disciplina ivi prevista. Vedi “Studi in onore di Giorgio Cian” Tomo I, Cedam 2010, p. 436 ss.
confinanti; quella di cui agli artt. 38 e 40 della l. 27 luglio 1978 n. 392 relativo alla
prelazione per l’ acquisto o per la locazione di edifici ad uso diverso dall’ abitazione, in
favore dei conduttori; quella di cui all’ art. 24 r.d. 29 giugno 1939 n. 1127, relativo alla
prelazione del datore di lavoro per l’ acquisto di brevetti relativi a invenzioni dei dipendenti.
Nel diritto italiano dunque, la mancanza di un modello adeguatamente delineato della
disciplina della prelazione, ha fatto sì che le varie ipotesi di prelazione in esso previste siano
caratterizzate, oltre che da regolamentazioni a loro volta scarsamente organiche, da
previsioni che nel modo più vario divergono anche sugli elementi fondamentali della
fattispecie. Detta carenza di disciplina delle fattispecie prelazionarie nelle ipotesi legali
inoltre, comporta altresì l’ impossibilità di identificare anche una regolamentazione stabile
relativamente alla prelazione volontaria, divenendo in tal modo compito dell’ interprete
interrogarsi circa le modalità e la regolamentazione delle svariate fattispecie che possono
presentarsi nella pratica.
Ciò detto, con il presente lavoro, lungi dal voler delineare delle linee guida relative alle
molteplici problematiche che dal punto di vista pratico il diritto di prelazione (sia legale che
volontaria) comporta, si cercherà di analizzare più da vicino il fenomeno della trasmissione e
della nascita del diritto di prelazione attraverso il fenomeno successorio.
2. La durata del rapporto di prelazione.
Prima di passare all’ analisi della possibilità che il diritto di prelazione venga trasmesso o
nasca attraverso la vicenda successoria, pare opportuno analizzare le varie teorie susseguitesi
in dottrina e giurisprudenza in ordine alla tematica, strettamente connessa all’ argomento in
esame, della ammissibilità della mancanza di un termine finale nel patto di prelazione
nascente dalla volontà delle parti.
Circa tale problematica più aperta si mostra la tesi, seguita anche in giurisprudenza2, di chi
3
ritiene che poiché il proprietario, nonostante vincolato ad un patto di prelazione, rimane
comunque libero di disporre dei suoi beni, sarebbe ammissibile una prelazione senza limiti di
tempo. E’ stato affermato4 che non troverebbero applicazione nella fattispecie considerata le
limitazioni stabilite, rispetto al divieto di alienazione dall’ art. 1379 c.c., trattandosi nella
specie di obbligazione sia pure condizionata di alienare e non già di non alienare; né può
2 Cfr. Cass 13 Maggio 1982 n. 3009, in Giust. Civ., 1982, I, 3085 con nota di PEREGO; Cass 15 febbraio 1944 n. 91, in
Giur. Compl. Cass. civ., 1944, 67; Appello di Napoli 24 aprile 1972 in Dir. Giur., 1973, I, 890. 3 D’ORAZI FLAVONI, M., Della prelazione legale e volontaria, Milano, 1950; RUBINO, D., La compravendita, in
Trattato Cicu Messineo, Milano 1962; ROMANO, Salv., Vendita – Contratto estimatorio, in Trattato Grosso - Santoro
Passarelli, Milano, 1960. 4 Cass 28 Luglio 1983 n. 5213, in Foro.it, 1983, I, 2770, con nota di MACARIO.
soccorrere il rimedio della fissazione del termine da parte del giudice secondo gli artt. 1183 e
1131 c.c. in quanto la previsione di un diritto di prelazione non comporterebbe l’
annullamento della facoltà di disposizione da parte del proprietario, ma solo un limite
soggettivo concernente la libera scelta del compratore.
Tuttavia le perplessità che si manifestano circa tale questione hanno fonte nella
considerazione che , mancando un termine, l’ obbligo di preferire in molti casi sarebbe
potenzialmente perpetuo, in contrasto con l’ asserita ripugnanza del nostro ordinamento con i
vincoli personali perpetui, che si traduce in un divieto generale inespresso d’ ordine pubblico
– economico5. Dubbio appare dunque, che la carenza della espressa previsione di un termine
finale, implichi necessariamente un intento delle parti rivolto a costituire un rapporto
perpetuo: tale mancanza potrebbe intendersi piuttosto , come lacuna del regolamento
contrattuale in ordine ad un aspetto del contenuto, e precisamente al quantum della
prestazione che, in mancanza del termine, rimarrebbe indeterminato. Orbene, poiché in
fattispecie similari che si verificano nell’ ambito di contratti nominati, tale lacuna viene
sempre colmata dall’ intervento di norme suppletive, le quali rappresentano l’ espressione del
principio generale di conservazione dei negozi, sembrerebbe corretto invocare, per il caso in
cui si volesse integrare il patto di prelazione carente del termine finale, la norma che regola la
fattispecie rispetto alla quale sussistono maggiori elementi di analogia. Infatti è generalmente
sostenuta , anche da coloro che valutano col massimo rigore la gravità del sacrificio imposto
al promittente mediante il patto di prelazione, la tesi per cui la mancanza del termine non
comporterebbe nullità6. Viceversa, opinioni discordanti vi sono allorquando si tenta di
individuare la norma applicabile per sopperire alla lacuna costituita dalla mancanza del
termine.
Secondo un primo orientamento, sostenuto dalla Giurisprudenza7, basato sulla dubbia tesi
che individua la natura giuridica del patto di prelazione in un preliminare unilaterale
condizionato, il limite temporale sarebbe dato in ogni caso dalla morte del promittente, in
quanto l’ evento morte renderebbe definitivamente impossibile il verificarsi della condizione
potestativa, consistente nella volontà del promittente stesso di addivenire alla stipula del
contratto, cui sarebbe asseritamente subordinato l’ obbligo di preferire. Tale tesi tuttavia deve
ritenersi ormai abbandonata anche in giurisprudenza, laddove non è più seguito l’
5 FERRI, G., Vendita con esclusiva, in Foro it.. 1993, 228; OPPO, G., I contratti di durata, in Riv. Dir. Comm., 1943,
240 ss. 6 per un isolato precedente giurisprudenziale in senso opposto v. Appello di Milano 15 settembre 1972, in Giur. Mer.,
1973, 123. 7 Cass 28 giugno 1951 n. 1635, in Giust. Civ., 1953; Trib. Torino 28 Gennaio 1972, in Giur. It., 1972
orientamento che riconduce il patto di prelazione al contratto preliminare, ritenendosi che il
patto di prelazione sia un contratto puro, né preliminare, né condizionato.
Secondo altra tesi intermedia8, quando la prelazione trova la sua oggettiva ragione
giustificatrice in una situazione giuridica permanente (la comunione ordinaria, la
partecipazione ad una società) durerebbe fin quando permarrebbe la situazione giuridica cui
essa inerisce; viceversa quando la ratio che sta alla base del diritto di prelazione è solo
soggettiva, ossia determinata dall’ interesse occasionale di chi la ottiene, può ritenersi che la
sua durata non vada oltre un certo limite di tempo, applicandosi analogicamente quale
termine massimo quello quinquennale previsto dalla legge all’ art. 1566 c.c. per il patto di
preferenza nel contratto di somministrazione e, secondo taluno9, riguardante ogni ipotesi di
patto di prelazione. Qualche autore10
ha ritenuto che l’ applicabilità della norma anzidetta
sarebbe possibile quantomeno in tutte le ipotesi di patto di prelazione intercorso fra
imprenditori ed avente ad oggetto contratti pertinenti all’ esercizio dell’ impresa, potendosi
ricondurre il termine quinquennale di cui all’ art. 1566 c.c., al principio generale dettato in
tema di patti regolatori della concorrenza, sancito nel secondo comma dell’ art. 2596 c.c.
Altra parte della dottrina invece, ignorando completamente la disposizione contenuta nell’
art. 1566 c.c., al fine di integrare il patto di prelazione che sia carente del termine finale,
preferisce invocare norme diverse: alcuni autori11
, ritengono che la mancata indicazione del
termine non rende necessariamente nullo il patto, potendosi analogicamente applicare l’ art.
1131 c.c., previsto in materia di opzione, con conseguente possibilità di fissazione del
termine ad opera del giudice;altri12
affermano che, nel caso in cui il patto di prelazione sia
sprovvisto del termine, si dovrebbe applicare ai fini della fissazione dello stesso non già l’
art. 1131 c.c., quanto piuttosto l’ art. 1183 c.c., relativo all’ adempimento della obbligazione,
ma applicabile per analogia all’ esecuzione della stessa.
Secondo altri autori13
ancora, dovendo il diritto di prelazione comunque essere ristretto entro
convenienti limiti di tempo non essendo ammissibile, in base ad un principio generale
desumibile da varie norme del codice civile, che si possa essere indefinitamente vincolati
nella propria libertà contrattuale e nel potere di disporre, dovrà ritenersi generalmente
applicabile anche al patto di prelazione, il limite temporale previsto dall’ art. 1379 c.c. per il
8 SANTORO PASSARELLI , Struttura e funzione, cit., 709.
9 CORRADO , R., La somministrazione, inTratt. Vassalli, Torini, 1963
10PEREGO, E., I vincoli preliminari e il contratto, Milano, 1974; CAGNASSO, O., Diritto di prelazione e patto di
preferenza nella somministrazione, in Riv. Trim. dir. e proc. civ., 1980, 49 ss. 11
ROPPO, Il contratto, cit. 166. 12
FRANCHI – BATTISTA, Rassegna di dottrina e giurisprudenza sulla prelazione convenzionale, in Riv. Notariato,
1997, 257 ss; TAMBURRINO, G., I vincoli unilaterali nella formazione progressiva del contratto, Milano, 1974;
MESSINEO, F., Il contratto in genere, in Tratt. Cicu – Messineo, Milano, 1968. 13
Cfr. Bianca, Il Contratto, cit., 271; SACCO in Sacco e De Nova, Il contratto, II, cit., 352,
divieto contrattuale di alienazione (costituente il nucleo del patto di prelazione), il quale
“non è valido se non è convenuto entro convenienti limiti di tempo”.
Orbene, nel prendere posizione sulla problematica in oggetto, anche alla luce degli
orientamenti dottrinali innanzi citati, vale la pena osservare che il patto di prelazione, anche
quando sia carente di un termine finale, nella maggior parte dei casi conterrebbe un termine
implicito, soprattutto nel caso in cui l’ obbligo di preferire si inserisca nel quadro di un
rapporto contrattuale più complesso, laddove potrà verosimilmente essere destinato, secondo
la volontà delle parti, ad avere la stessa durata del rapporto al quale inerisce: in tal caso
risulterebbe operazione assai difficoltosa quella di apporvi un termine dall’ esterno,
integrando la stessa non già una integrazione della autonomia contrattuale, quanto piuttosto
una coattiva sostituzione.
Viceversa, qualora la perpetuità del vincolo risulti voluta, come per esempio potrebbe
accadere nel caso di clausole, spesso ricorrenti nella pratica, con il quale il promittente
obbliga se ed i propri successori mortis causa, non sembrerebbe corretto invocare, al fine di
correggere tale intento, norme che contemplano casi differenti e che, per la loro stessa natura
di limiti all’ autonomia contrattuale, non sarebbero suscettibili di applicazione analogica: in
particolare non l’ art. 1379 c.c. in quanto se è vero che la prelazione rende più difficoltosa la
circolazione dei beni, è altrettanto vero che essa, diversamente dal divieto di alienazione, non
li immobilizza del tutto; non l’ art. 1566 c.c il quale, come detto, si giustifica solo in virtù di
caratteri particolari non rinvenibili in tutte le ipotesi di prelazione. Orbene in simili ipotesi
non resterebbe quindi che ammettere la possibilità di un intervento del giudice.
Tuttavia a ben vedere, se da un lato è pur vero che il nostro ordinamento male accetta vincoli
perpetui, non deve tuttavia sorprendere il fatto che l’ orientamento giurisprudenziale sia
quello di ammettere la possibilità che il patto di prelazione manchi di un termine finale: l’
efficacia del patto di prelazione infatti è strettamente connessa alla circostanza che lo stesso
non sia ristretto in un ridotto arco temporale, potendo esplicare a pieno i suoi effetti in quanto
tendenzialmente perpetuo e pienamente operativo allorquando il promittente addiviene alla
decisione di concludere quel determinato contratto per il quale l’ obbligo di preferire è
previsto, indipendentemente dal tempo trascorso tra la stipula del patto di prelazione e l’
anzidetta decisione del promittente14
.
14
Non ci si deve dunque sorprendere dinnanzi a patti aventi un termine indeterminato o perpetuo. A sostegno di ciò
basti pensare che nell’ ordinamento francese, pur sussistendo una norma analoga all’ art. 1379 c.c., sono stati ammessi
patti con un vincolo indeterminato o perpetuo, qualora lo stesso assecondi interessi generali aventi una carattere di
meritevolezza. Ad esempio si è ritenuta valida la clausola di inalienabilità perpetua relativa al trasferimento di un bene
immobile di una fondazione che persegue interessi pubblici. (Cass. civ 19/10/1965 in Rev. Trim. dr. Civ. 1966, p. 328 e
3. Trasmissibilità del diritto di prelazione.
Nonostante la Giurisprudenza pare ritenga ammissibile la configurabilità di un rapporto di
prelazione privo di termine finale, la ansiosa ricerca volta ad assegnare a tutti i costi un
termine finale di durata al rapporto di prelazione, ha indotto taluni ad affermare che l’
obbligo di preferire, in linea di principio, non si trasmetterebbe agli eredi del promittente15
.
Prevale tuttavia nettamente la tesi contraria secondo la quale la pretesa intrasmissibilità
sarebbe incompatibile con i principi del nostro diritto successorio16
. E’ bene sottolineare a
riguardo che detto orientamento prevalente deve ritenersi senz’ altro accoglibile, soltanto se
si abbandona la tesi che configura la natura giuridica del patto di prelazione come un
contratto preliminare unilaterale sottoposto a condizione potestativa: infatti, se si ricostruisse
il patto di prelazione in questi termini, sarebbe pienamente giustificata l’ osservazione per cui
la condizione apposta al preliminare unilaterale costituita da un fatto proprio del promittente,
con la morte di quest’ ultimo, verrebbe definitivamente a mancare. I principi della
successione universale comportano subingresso dell’ erede nei rapporti giuridici facenti capo
al defunto, ma non già equivalenza dei fatti da lui posti in essere a quelli che eventualmente
avrebbe dovuto compiere il defunto. Viceversa se si accoglie la tesi dominante, secondo la
quale l’ obbligo di preferire ha per oggetto una prestazione del tutto peculiare, di facere
fungibile, allora non si presentano ostacoli alla trasmissione dell’ obbligo testè citato all’
erede, secondo i principi del diritto successorio, ivi compreso l’ erede accettante con
beneficio di inventario, giacchèin quest’ ultimo caso, il rispetto delle regole procedimentali
da osservarsi per l’ alienazione dei beni, a tutela di certi creditori ereditari, non può imporre
il sacrificio di un altro creditore, qual è il promissario della prelazione17
. E’ stato altresì
acutamente osservato18
che, pur se corretto ritenere possibile la trasmissione dell’ obbligo di
preferire in capo all’ erede, è comunque necessario avere riguardo al carattere strumentale
in Rep. Not. Defrenois, 1966, p. 146 ss., con nota di J. Defrenois). A riguardo v. M. FERRARIO HERCOLANI, La
durata delle obbligazioni di origine volontaria e la libertà del debitore, nota 12 a p. 6.
15
GORLA, G., Precedenti giudiziale sulla trasmissibilità e sul termine dell’ obbligazione pattizia di prelazione e su
alcune questioni connesse,in Quaderni foro.it., 1967, 97 e 161; in giurisprudenza incidentalmente CASS. 28 Giugno
1951 n. 1635, inGiust. Civ., 1953, 125; Tribunale Lecco 8 Luglio 1958, riportata da GORLA in op. cit, nonché in
Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1990, vol. XXIII, P.7. 16
D’ORAZI FLAVONI, M., Della prelazione legale e volontaria, Milano; OGGIONI, La successione dell’ erede nel
patto di prelazione, in Studi in onore di E. Aula, Milano, 1957, 61 ss.; MESSINEO, F., Il contratto in genere in Trattato
Cicu – Messineo, Milano, 1968; in giurisprudenza v. CASS. 16 aprile 1954 n. 3791, in Foro. It.; Trib. Varese 27 luglio
1969 in Foro Padano 1971, 818; Appello di Napoli 24 aprile 1972, in Dir. Giur., 1973, 890. 17
CATRICALA’, A., Funzioni e tecniche della prelazione convenzionale, in Riv. Dir. Civ., 1978, 546; nonché in
Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1990, vol. XXIII, P.7. 18
PEREGO, E., I vincoli preliminari e il contratto, Milano, 1974.
del negozio preparatorio di prelazione in quanto, qualora quest’ ultimo abbia ad oggetto un
contratto in cui rilevi l’ intuituspersonae, tale cioè che il rapporto si sciolga per effetto della
morte di uno dei contraenti, conseguentemente anche l’ obbligo di preferire si estinguerà con
il decesso del promittente.
Addirittura, relativamente alla trasmissibilità del lato attivo agli eredi del promissario, l’
intuituspersonae pare influire in maniera ancora maggiore, ritenendosi che ogni volta in cui
la prelazione sia stata originata da un atto avente natura di liberalità19
, deve escludersi in
radice la trasmissibilità mortis causa della stessa: un principio generale in tal senso potrebbe
ricavarsi sia dall’ art. 772 c.c. il quale, in relazione alla donazione di prestazioni periodiche,
afferma che questa si estingue con la morte del donante, salvo che dall’ atto risulti una
diversa volontà, sia dall’ art. 1811 il quale, nel caso di morte del comodatario, attribuisce al
comodante, benchè sia convenuto un termine, di esigere dagli eredi l’ immediata restituzione
della cosa.
4. La prelazione testamentaria: il legato di prelazione.
E’ da ritenersi possibile20
che il diritto di prelazione trovi la sua fonte nel testamento
attraverso la previsione di un legato atipico mediante il quale il testatore attribuisca ad un
determinato soggetto il diritto ad essere preferito, a parità di condizioni, nella stipulazione di
un determinato contratto. In tal caso l’ onerato del legato (sia esso erede o legatario), in una
19
In dottrina infatti, si ritengono validi anche contratti gratuiti atipici ma, a riguardo, occorre tenere conto della norma
di cui all’ art. 769 c. c. In effetti in dottrina si è ripetutamente affermato che il patto autonomo di prelazione, se fatto a
titolo gratuito e determinato da spirito di liberalità del promittente, costituisce donazione (D’ ORAZI FLAVONI, op.
cit.; SARASSO, C. Lineamenti del patto di prelazione, Milano, 1968, rimasta allo stato di edizione provvisoria;
GABRIELLI G., Il contratto preliminare, Milano, 1970; SACCO, R. Il contratto, in Trattato Vassalli, Torino, 1975;
nonché in Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1990, vol. XXIII, P.3 ). Altra dottrina (G. BONILINI, La prelazione
volontaria, Milano, 1984 p. 85 ss; A. GUIOTTO, La qualificazione, in La prelazione volontaria, Milano, 1993, p. 43),
osserva tuttavia che in tale ipotesi è difficile parlare di donazione, in quanto mancherebbe l’ arricchimento del
prelazionario in quanto, se pur vero che egli acquisisca un vantaggio, nessun arricchimento avrà invece il suo
patrimonio: secondo tali autori è preferibile dunque parlare di contratto gratuito atipico. La giurisprudenza invece non
sembra porsi il problema se non nella sentenza 28 gennaio 1955 n. 223, la quale equipara il diritto di prelazione a titolo
gratuito ad un mero negozio di cortesia il cui inadempimento pertanto, non comporta sanzioni giuridiche, ma
riprovazione sociale per un comportamento scortese. In altre sentenze invece (Cass. 28 giugno 1952 n. 1921, in Giur.
It., 1952; Cass 15 Gennaio 1957 n. 79, in Giur. Sic., 1957, 65) si afferma invece che il patto di prelazione a titolo
gratuito può essere perfezionato secondo lo schema di cui all’ art. 1333 c.c., per cui non sarebbe necessaria l’
accettazione del prelazionario per il suo perfezionamento, bastando un mancato rifiuto nei termini. Per una critica all’
orientamento giurisprudenziale suddetto v. SACCO, R. op. cit. 20
La configurabilità della prelazione testamentaria è, secondo la dottrina più attenta (BONILINI), ricavabile dal fatto
che, a seguito della riforma del diritto di famiglia del 1975, pare aver trovato cittadinanza nel nostro diritto successorio
l’ imposizione mediante testamento di un divieto di alienazione, così come disciplinato dall’ art. 1379 c.c.: in altre
parole si afferma che essendo, nei limiti di legge, possibile per il testatore imporre un divieto di alienazione, a maggior
ragione tale soggetto potrà prevedere nel suo atto di ultima volontà un diritto di prelazione che, dal punto di vista dell’
onerato, altro non sarebbe che un vincolo di portata nettamente inferiore rispetto alla più grave ipotesi del divieto di
alienazione.
20 G. BONILINI, La prelazione testamentaria, in Riv. Dir. Civ., 1984, p. 223 ss.
eventuale e futura negoziazione di un determinato bene, sarà tenuto a preferire il legatario a
qualsiasi altro soggetto, a parità di condizioni. La prelazione testamentaria dunque potrà
avere fonte sia in un legato, che in un sublegato o in un prelegato: ovviamente l’ onerato sarà
sempre libero di non negoziare dal momento che il diritto di prelazione diverrà produttivo di
effetti solo se ed in quanto egli deciderà spontaneamente di addivenire alla conclusione del
contratto. Il prelazionario potrà essere erede, legatario o anche un soggetto indeterminato al
momento della confezione del testamento, purchè sia determinabile in seguito sulla base di
indicazioni fornite dal testatore, non potendosi concretizzare la scelta dell’ onerato in un
mero arbitrio. Il testatore inoltre ben potrà prevedere più prelazionari, spingendosi sino a
prevedere più prelazionari congiunti e stabilire anche il venir meno del diritto di prelazione
qualora non accettino tutti. Il testatore potrà altresì indirizzare la scelta dell’ onerato verso
una serie di alternative tra più prelazionari o, ancora, similmente al meccanismo della
sostituzione, individuare un soggetto prelazionario prevedendone un altro in sostituzione,
qualora il primo non possa o non voglia accettare. Tale fattispecie di legato è inquadrabile
nella categoria dei cd. legati obbligatori, aventi la caratteristica di far sorgere in capo all’
onerato un obbligo e in capo al legatario un diritto di credito21
. I beni, per i quali può essere
attribuito l’ obbligo di preferenza attraverso il legato, ben potranno appartenere sia alla massa
ereditaria che ad un legatario, ritenendosi altresì possibile che il vincolo prelazionario
riguardi anche un bene dell’ onerato. E’ possibile altresì che il vincolo abbia ad oggetto
anche beni futuri, purchè questi ultimi siano determinabili alla luce di indicazioni fornite dal
testatore. Inoltre nulla esclude la possibilità per il testatore di attribuire al legatario il diritto
ad essere preferito anche nel caso di alienazione della eredità: infatti, come è possibile che il
vincolo riguardi uno o più beni, di sicuro sarà altresì possibile attribuirlo per il caso di
vendita dell’ intero asse ereditario.
Tale tipo di prelazione non deve essere confusa e va nettamente distinta dal diritto di
prelazione previsto dall’ art. 732 c.c., il quale invece disciplina l’ ipotesi di prelazione legale
operante nel caso di alienazione della quota ereditaria che, nel caso di violazione dei diritti
spettanti al prelazionario, è altresì assistita dal c.d. retratto successorio. La prelazione
testamentaria viceversa, trova fonte nella volontà del testatore ed ha ad oggetto non già la
quota ereditaria, bensì singoli beni: trattandosi dunque di prelazione volontaria nel caso di
violazione della stessa, diversamente dalle ipotesi di prelazione legale, il prelazionario non
potrà avvalersi della tutela reale del riscatto, potendosi giovare del solo rimedio risarcitorio.
Tuttavia, nonostante le oggettive differenze esistenti tra il legato di prelazione e la prelazione
legale di cui all’ art. 732 c.c., non è da escludersi la possibilità che le due fattispecie innanzi
dette coesistano : basti pensare all’ ipotesi in cui ad un soggetto non coerede sia attribuito il
diritto di prelazione proprio sulla quota ereditaria, ampliandosi così in modo pattizio l’
elemento soggettivo del diritto di prelazione previsto dalla legge in favore dei coeredi.
Secondo autorevole dottrina che si è occupata dell’ argomento22
la fattispecie in esame,
seppur legittima dal punto di vista giuridico, incontrerebbe comunque il limite legale,
inderogabile, di dover rispettare la prelazione legale prevista in favore dei coeredi:
conseguentemente il diritto di prelazione attribuito al legatario sarà esercitabile
subordinatamente al diritto di prelazione legale di cui all’ art. 732 c.c.
4.1. Figure affini.
Al fine di meglio cogliere le peculiarità di tale figura, è altresì opportuno distinguerla da altri
istituti similari, che nella pratica possono presentarsi all’ attenzione dell’ operatore giuridico.
Preliminarmente pare opportuno cogliere le differenze esistenti tra il legato di prelazione
vero e proprio ed il legato di contratto. Orbene, intuitivo è osservare che la differenza tra le
due figure riecheggia quella sottolineata da dottrina e giurisprudenza tra contratto preliminare
e patto di prelazione23
. Con il legato di contratto infatti, al legatario viene attribuito il diritto
di concludere con l’ onerato un determinato contratto: il legatario pertanto in caso di
inadempimento da parte dell’ onerato, ove possibile, potrà beneficiare anche del rimedio
dell’ esecuzione in forma specifica previsto dall’ art. 2932 c.c. Viceversa, mediante il legato
di prelazione, al legatario viene attribuito soltanto il diritto ad essere preferito, a parità di
condizioni, nella stipulazione di un determinato contratto, qualora l’ onerato stesso
liberamente decida di addivenirne alla relativa conclusione. Conseguentemente l’ onerato
non sarà assolutamente obbligato alla stipula del contratto per il quale la prelazione è
prevista, ma sarà solo obbligato a preferire il legatario, a parità di condizioni, se e solo
quando deciderà di concluderlo e, nel caso di inadempimento, sarà soggetto al solo rimedio
risarcitorio.
Potrebbe accadere anche che il testatore, ove possibile, attribuisca al legatario un diritto di
prelazione del quale egli risulti già titolare in virtù di un precedente negozio inter vivos: in tal
22
V. G. Bonilini“Trattato delle successioni e Donazioni”, vol. 3, p. 453 ss. 23
Mentre con il patto di prelazione il promittente non è affatto obbligato a stipulare il contratto definitivo, bensì è solo
tenuto a preferire il promissario, qualora deciderà di concludere effettivamente il contratto e, nel caso di violazione del
patto, sarà tenuto soltanto al risarcimento del danno. Inoltre, mentre nel patto di prelazione è sufficiente la
predeterminazione del tipo contrattuale (es: vendita), nel contratto preliminare essere completo di tutti gli elementi del
definitivo (Cfr. Cass 12 aprile 1999 n. 3571, in Riv. Not. 1999, pag. 1283; Cass 1 aprile 1987 n. 3124, in Arch. Civ.,
1987, pag. 840)
caso dunque non saremo di fronte ad un vero e proprio legato di prelazione mediante il quale
si crea in capo al legatario, al momento dell’ apertura della successione, il diritto di
prelazione, trattandosi semplicemente di un legato il cui oggetto è rappresentato da un diritto
di credito già presente nel patrimonio del testatore. E’ bene sottolineare che, anche in tal
caso, qualora il diritto di prelazione spettante al testatore gli sia pervenuto in virtù di un atto a
titolo gratuito, più controversa sembrerebbe la possibilità che esso possa essere oggetto della
disposizione testamentaria a titolo particolare, soprattutto qualora si aderisse alla tesi secondo
la quale, nel caso di attribuzione a titolo gratuito dell’ obbligo di esser preferiti, occorrerebbe
comunque tener conto di quanto disposto dall’ art. 769 c.c.24
Può accadere altresì che il de cuius, oltre che attribuire in modo diretto per testamento il
diritto ad essere preferiti, attribuisca al legatario il diritto a concludere con l’ onerato un
contratto di prelazione: è evidente che anche in tale ipotesi, non saremo in presenza di un
vero e proprio legato di prelazione, bensì si tratterà di un legato di contratto, il cui oggetto
sarà proprio il diritto di prelazione e conseguentemente, ciò che farà capo al legatario non
deriverà dal testamento, ma sarà il frutto del patto di prelazione inter vivos che onerato e
legatario avranno concluso in virtù del legato disposto dal testatore.
Diverso è invece il caso in cui sia oggetto di legato il bene soggetto alla prelazione: in tal
caso il legatario, non subentrando nei debiti ereditari (arg. Ex art. 752 e 756 c.c.), non sarà
assolutamente obbligato a preferire il prelazionario nella stipula di alcun contratto, a meno
che il testatore stesso gli abbia espressamente imposto un determinato onere, sia pure entro i
limiti del valore della cosa legata, così come prescritto dall’ art. 671 c.c25
. In tal caso, con la
previsione del legato, avendo il promittente – testatore disposto del bene, verrà meno la
possibilità di esercizio della prelazione stessa senza che vi sia un inadempimento da parte del
promittente – testatore, dal momento che, essendo il legato una disposizione a titolo liberale,
è esclusa la prelazione mancando la parità di condizioni26
(salvo il caso in cui sia stata
prevista la cd. prelazione impropria).
4.2. Limiti alla prelazione testamentaria
Al fine di un valido inserimento nella scheda testamentaria della disposizione attributiva del
diritto di prelazione, pare opportuno analizzare l’ eventuale sussistenza di limiti alla stessa,
24
Vedi sub. pag 7 nota 19. 25
Né si potrà invocare a riguardo l’ art. 668 primo comma, il quale prevede che alcuni pesi gravanti sul fondo, siano
sopportati dal legatario: la norma infatti si riferisce a pesi strettamente inerenti al fondo stesso, per lo più aventi
carattere reale (quali ad esempio le servitù) e tale non è il patto di prelazione, la cui natura è obbligatoria (v. CAPOZZI
G. Il contratto in generale, pag. 179 nota 124). 26
R. SACCO, Il contratto, cit. pag. 740.
soprattutto alla luce del fatto che, secondo alcuni, traendo tale attribuzione la sua liceità dalla
possibilità di prevedere per il testatore il maggiore limite del divieto di alienazione di cui all’
art. 1379 c.c., ci si chiede se i limiti previsti in tale norma debbano applicarsi anche alla
disposizione in esame: ci si chiede quindi se, anche nell’ attribuzione del diritto di
prelazione, il testatore debba avere un apprezzabile interesse e se l’ obbligo di preferire
imposto all’ onerato debba essere convenuto entro convenienti limiti di tempo.
Coloro che ritengono applicabili i suindicati limiti anche alla prelazione testamentaria,
partono dal presupposto per cui ai negozi mortis causa debbano applicarsi le norme sui
contratti in virtù del richiamo contenuto nell’ art. 1324 c.c. Tuttavia, come innanzi detto,
dottrina maggioritaria e giurisprudenza27
ritengono che il divieto di alienazione sia una
fattispecie del tutto differente dal diritto di prelazione, non incidendo quest’ ultima sul potere
di disposizione del bene, ma limitandosi solo a prevederne alcune modalità di esercizio.
Conseguentemente non si dovranno applicare alla fattispecie in esame le prescrizioni previste
dall’ art 1379 c.c. per il divieto di alienazione. Altri autori, sulla base di quanto detto innanzi
in ordine alla necessità o meno della presenza di un termine finale nel patto di prelazione,
ritengono che anche la prelazione disposta per testamento debba essere accompagnata da un
termine finale, non essendo ammissibili nel nostro ordinamento vincoli perpetui: alcuni
ritengono applicabile anche in tal caso la disposizione di cui all’ art. 1566 c.c.; altri invece
affermano che l’ eventuale lacuna costituita dalla mancanza del termine debba essere colmata
dal giudice ex art. 1331 c.c. o, ex art. 1183 c.c.28
Pare tuttavia a riguardo preferibile la tesi,
sostenuta anche in giurisprudenza29
, secondo la quale sarebbe ammissibile un diritto di
prelazione privo di termine finale, in virtù delle considerazioni innanzi esposte.
Ci si chiede inoltre se la prelazione testamentaria rientri o meno nel divieto di imporre pesi e
condizioni previsto dall’ art. 549 c.c. Basti pensare al caso in cui il testatore istituisca erede il
legittimario nella quota lui riservata, imponendogli tuttavia di preferire un altro soggetto
qualora intenda alienare un bene ereditario o, addirittura, un proprio bene. Orbene, circa tale
questione, secondo autorevole dottrina in materia, la risposta non può che essere positiva,
alla luce del fatto che, essendo la clausola prelatizia qualificabile come legato ad effetti
obbligatori, la stessa potrà gravare sulla quota del legittimario solo nei limiti della
27
V. per tutti CASS. 8 febbraio 1986 n. 802, in Mass Foro it., 1986: “L’ onere per gli eredi, nel caso di vendita di uno
specifico bene compreso nella massa ereditaria, di trasferire lo stesso ad un determinato soggetto indicato dal
testatore, non contrasta con i principi di ordine pubblico, né con alcuna norma di legge riguardante i poteri di
disposizione del testatore né, in specie, con il divieto pattizio di alienazione di cui all’ art. 1379 c.c., e comporta la
costituzione in favore del designato di un diritto di prelazione azionabile, in caso di inosservanza, ai termini di cui all’
art. 648 c.c.”. 28
Vedi quanto sopradetto al paragrafo sub 2. 29
Vedi nota 2.
disponibile, senza poter in alcun modo incidere sulla quota di riserva. Il legato di prelazione
pertanto, come ogni altro legato obbligatorio, impone un vincolo dal quale deriva un
ridimensionamento economico del valore della istituzione: tale previsione dunque, alla luce
di quanto affermato dalla prevalente dottrina in materia di sanzioni per il caso di violazione
del divieto di cui all’ art. 549 c.c., dovrà essere considerata come non apposta o, al massimo,
potrà assumere l’ aspetto di una mera raccomandazione morale, che l’ onerato rimarrà in ogni
caso libero di onorare30
.
4.3 Rimedi per il caso di violazione dell’ obbligo di preferire.
Come già accennato il prelazionario, nel caso di violazione dell’ obbligo di preferire previsto
dal testatore, come in ogni altra prelazione pattizia, non è assistito da una tutela di tipo reale,
potendosi solo valere del rimedio risarcitorio nei confronti dell’ onerato. Tuttavia il testatore
potrebbe avvalersi di una serie di istituti al fine di rafforzare maggiormente il vincolo
prelatizio: infatti, premesso che secondo l’ opinione prevalente31
la clausola penale può
trovare sicuramente cittadinanza nel testamento affiancandone le relative disposizioni, la
previsione della stessa per il caso in cui l’ onerato non rispetti il vincolo di preferire lui
imposto dal testatore, potrebbe essere un ottimo incentivo all’ adempimento.
Inoltre, senza soffermarci in questa sede in ordine alla ammissibilità di dedurre quale evento
sospensivamente o risolutivamente condizionante rispettivamente l’ adempimento o l’
inadempimento32
, altro mezzo utilizzabile al fine di incentivare l’ adempimento dell’ obbligo
di preferire da parte dell’ onerato potrebbe essere quello della condizione risolutiva, laddove
la istituzione di erede o il legato vengono risolutivamente condizionati all’ inadempimento
dell’ obbligo di preferire. Il verificarsi della condizione risolutiva risolverebbe non solo l’
istituzione di erede o il legato, ma anche il negozio dispositivo fatto in dispregio dell’
obbligo di preferire, in virtù di quanto sancito dall’ art. 1357 c.c.: in tal modo il patto di
prelazione sarebbe connotato, per volontà del testatore, di una sorta di efficacia reale e
riflessa, divenendo opponibile anche ai terzi acquirenti come effetto naturale della
condizione. Il terzo acquirente infatti, non potrebbe nemmeno invocare a suo favore le norme
dettate in materia di erede apparente, dal momento che, non potrà invocare di non essere a
30
G. BONILINI, Trattato di diritto delle successioni e donazioni, Vol. 3, p. 461 ss. 31
MARINI A., La clausola penale, Napoli, 1984; TRIMARCHI M., La clausola penale, Milano, 1954. 32
A sostegno della ammissibilità di dedurre in condizione sospensiva o risolutiva, rispettivamente l’ adempimento o l’
inadempimento v. CASS 15 Novembre 2006 n. 24299, in Riv. Not. 2007 pag. 1208 con nota di E. ROMOLI; CASS 24
Novembre 2003 n. 17859 in Giust. Civ. 2004, p. 935 con nota di E. GIACOBBE; in dott. MIRABELLI, Del contratto in
generale, p. 626; CAPOZZI, Il contratto in generale, p. 419 ss. Contra v. BIANCA, Il contratto in generale, p. 315 ss;
SANTORO PASS, FUSCO in Vita Not. 1983 e Cass 24 giugno 1993 n. 7007. Tuttavia a favore vedi anche il code civil
francese il quale all’ art 1184 stabilisce che nei contratti sinallagmatici è sempre sottointesa una condizione risolutiva
per il caso di inadempimento di una delle parti.
conoscenza, sulla base del testamento, della condizione risolutiva apposta alla disposizione33
,
mancando così il requisito della buona fede richiesto dall’ art. 534 c.c. E’ bene sottolineare
che gli effetti della condizione risolutiva in esame sono del tutto differenti da quelli derivanti
dall’ esercizio del c.d. retratto successorio: quest’ ultimo infatti fa si che il bene venga
attribuito al prelazionario leso, viceversa nel caso di avveramento dell’ evento dedotto in
condizione risolutiva, così come anzidetto, il bene tornerà all’ eredità e non al prelazionario.
Deve infine sottolinearsi la possibilità che il testatore condizioni risolutivamente non già l’
istituzione di erede o il legato, ma solo la singola disposizione attributiva del bene per il
quale la prelazione è prevista: in tal caso quindi, in caso di avveramento della condizione, il
singolo bene tornerà nell’ asse ereditario, rimanendo salva l’ istituzione di erede o il legato.
In conclusione la possibilità per il testatore di attribuire, attraverso il negozio testamentario,
il diritto di prelazione, potrebbe essere un ulteriore mezzo utile a migliorare la realizzazione
di un preciso disegno che il egli si è prospettato in ordine alla destinazione da dare al proprio
patrimonio. Infatti, con la previsione del diritto di prelazione, il testatore potrebbe far si che,
oltre ad aver disposto in un certo modo dei beni costituenti il proprio patrimonio, anche
mediante istituti aventi carattere divisionale, sia conferito ai beni stessi un ulteriore
particolare indirizzo per il caso in cui i soggetti beneficiati intendano liberarsi degli stessi.
33
G. BONILINI, La prelazione testamentaria, in Riv. Dir. Civ., 1984, p. 223 ss.