Diritto Internazionale Conforti

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INTRODUZIONE 1. Definizione del diritto internazionale Il diritto internazionale può essere definito come il diritto della comunità degli Stati. Si tratta di un complesso di norme che nascono dalla cooperazione tra gli Stati e si collocano al di sopra di ogni Stato, e lo Stato stesso con proprie norme, anche di rango costituzionale, si impegna a rispettarlo (es. art.10 Cost.Ital.). Si dice anche che il diritto internazionale regola i rapporti tra Stati, ma questa definizione è un po' equivoca perché oggi si assiste alla tendenza al c.d. "internazionalismo", perché il diritto internazionale disciplina anche molti aspetti commerciali, sociali ed economici e non è più un semplice "diritto per diplomatici", ma viene continuamente applicato direttamente dai giudici interni, nazionali. E' pertanto opportuno distinguere la definizione formale (nel senso che crea obblighi e diritti per gli Stati) da quella materiale (nel senso che regola i rapporti interindividuali, cioè interni alle singole comunità statali). Oggi si tende anche a distinguere il diritto internazionale pubblico dal diritto internazionale privato. In realtà bisogna precisare che non si tratta di due branche dello stesso ordinamento, ma di due ordinamenti diversi: il diritto internazionale privato è formato da quelle norme statali che delimitano il diritto privato di uno Stato, stabilendo quando esso va applicato e quando invece il giudice nazionale deve applicare le norme del diritto privato straniere. In Italia la materia è regolata dalla legge 218/95. 2. Produzione, accertamento e attuazione coattiva del diritto internazionale Anche nell'ordinamento internazionale troviamo tre funzioni: 1. la funzione normativa 2. la funzione di accertamento del diritto 3. la funzione di attuazione coattiva delle norme. 1. Per quanto attiene alla funzione normativa, bisogna distinguere tra diritto internazionale generale e diritto internazionale particolare, ossia tra le norme che si indirizzano a tutti gli Stati e quelle che vincolano solo una ristretta cerchia di soggetti. L'articolo 10 della Costituzione italiana fa riferimento alle norme di diritto internazionali generalmente riconosciute. Queste norme sono innanzitutto le consuetudini, che si formano nella comunità internazionale attraverso l'uso: di queste norme può affermarsi l’esistenza solo se si dimostra che esse corrispondono ad un aprassi costantemente seguita dagli Stati. La 1

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INTRODUZIONE

1. Definizione del diritto internazionale

Il diritto internazionale può essere definito come il dirittodella comunità degli Stati. Si tratta di un complesso di norme chenascono dalla cooperazione tra gli Stati e si collocano al disopra di ogni Stato, e lo Stato stesso con proprie norme, anche dirango costituzionale, si impegna a rispettarlo (es. art.10Cost.Ital.). Si dice anche che il diritto internazionale regola irapporti tra Stati, ma questa definizione è un po' equivoca perchéoggi si assiste alla tendenza al c.d. "internazionalismo", perchéil diritto internazionale disciplina anche molti aspetticommerciali, sociali ed economici e non è più un semplice "dirittoper diplomatici", ma viene continuamente applicato direttamentedai giudici interni, nazionali. E' pertanto opportuno distinguerela definizione formale (nel senso che crea obblighi e diritti pergli Stati) da quella materiale (nel senso che regola i rapportiinterindividuali, cioè interni alle singole comunità statali).Oggi si tende anche a distinguere il diritto internazionalepubblico dal diritto internazionale privato. In realtà bisognaprecisare che non si tratta di due branche dello stessoordinamento, ma di due ordinamenti diversi: il dirittointernazionale privato è formato da quelle norme statali chedelimitano il diritto privato di uno Stato, stabilendo quando essova applicato e quando invece il giudice nazionale deve applicarele norme del diritto privato straniere. In Italia la materia èregolata dalla legge 218/95.

2. Produzione, accertamento e attuazione coattiva del diritto internazionale

Anche nell'ordinamento internazionale troviamo tre funzioni: 1. lafunzione normativa 2. la funzione di accertamento del diritto 3.la funzione di attuazione coattiva delle norme.1. Per quanto attiene alla funzione normativa, bisogna distingueretra diritto internazionale generale e diritto internazionaleparticolare, ossia tra le norme che si indirizzano a tutti gliStati e quelle che vincolano solo una ristretta cerchia disoggetti. L'articolo 10 della Costituzione italiana fa riferimentoalle norme di diritto internazionali generalmente riconosciute.Queste norme sono innanzitutto le consuetudini, che si formanonella comunità internazionale attraverso l'uso: di queste normepuò affermarsi l’esistenza solo se si dimostra che essecorrispondono ad un aprassi costantemente seguita dagli Stati. La

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caratteristica di questo tipo di norme che è la fonte primaria odi primo grado nell’ambito dell’ordinamento internazionale, è ceha dato luogo ad uno scarso numero di norme. A parte le normestrumentali (come quelle che regolano i requisiti di validità edefficacia dei trattati) non sono molte quelle materiali (cheimpongono direttamente obblighi e riconoscono diritti agli Stati).Le tipiche norme del diritto internazionale particolare sonoinvece i trattati (o patti, accordi, convenzioni) che vincolanosolo gli Stati contraenti. Il trattato è subordinato allaconsuetudine come il contratto è subordinato alla legge. In altritermini, la norma internazionale pacta sunt servanda ha naturaconsuetudinaria così come ha natura legislativa la norma secondocui il contratto “fa legge tra le parti”. Al di sotto dei trattati troviamo un'altra fonte: i procedimentiprevisti da accordi, detti anche fonte di terzo grado :costituiscono fonti di diritto internazionale particolare etraggono la loro forza dai trattati internazionali che liprevedono e vincolano solo gli Stati aderenti ai trattati stessi.In questa categoria rientrano molti atti delle organizzazioniinternazionali, ossia delle varie associazioni fra Stati, comel'ONU, le tre Comunità Europee etc.In realtà le organizzazioni internazionali non hanno di solitopoteri vincolanti nei confronti degli Stati membri e lo strumentodi cui si servono è la raccomandazione, che non è vincolante, maha valore di mera esortazione. Non mancano casi però in cuiemanano decisioni vincolanti (es. UE).2. Per quanto concerne invece la funzione di accertamentogiudiziario dl diritto internazionale, nell'ambito della comunitàinternazionale prevale una funzione arbitrale, che poggiasull'accordo tra le parti. Ciò che quindi è l'eccezione neldiritto interno, diventa la regola nell'ordinamentointernazionale.3. Per quanto attiene invece ai mezzi che vengono utilizzati perassicurare coattivamente l'osservanza delle norme e reprimerne leviolazioni, entriamo nella categoria delle forme dell'autotutela(altra diversità dal diritto interno).Ci si chiede se il diritto internazionale sia in realtà un verodiritto e quali argomenti si possano addurre per dimostrare la suaobbligatorietà. Una soluzione proposta di tale problema riposa intre strumenti:1.deve passare attraverso i giudici interni che devono applicarloe quindi farlo rispettare;2. l'art.10 Cost. Italiana impegna al rispetto delle norme del

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diritto internazionale generalmente riconosciute;3. infine i trattati stipulati dal nostro Paese generalmente sonooggetto di una legge ordinaria che ne ordina l'applicazione.Quanto qui esposto è una formulazione in termini moderni dellateoria positivistica di Jellinek, che considerava il dirittointernazionale come il frutto di un'autolimitazione del singoloStato, poiché non esistono veri e propri mezzi giuridici perreagire efficacemente ed imparzialmente alle violazioni dellenorme internazionali. Ciò che bisogna superare è però l'ideadell'arbitrio del singolo Stato, altrimenti si legittimerebbe lapossibilità dello Stato stesso di sciogliersi liberamente inqualsiasi momento da qualunque impegno internazionale.

3. I soggetti del diritto internazionale

Se definiamo il diritto internazionale come il diritto dellacomunità degli Stati, bisogna specificare cosa intendiamo perStato, poiché, a livello di definizione, possiamo distinguerlo inStato-comunità o in Stato-organizzazione. La prima accezione fariferimento ad un insieme di individui che si stanzia su unaporzione di superficie terrestre ed è sottoposta a delle regole.La seconda, invece, è costituita dall'insieme di governanti, cioèdegli organi che esercitano sui singoli associati il potere diimperio.La qualifica di soggetto del diritto internazionale spetta alloStato-organizzazione, allo Stato-apparato. Sono infatti gli organistatali che partecipano alla formazione delle normeinternazionali, sono loro i destinatari delle norme internazionalimateriali e sono sempre loro che rispondono per eventualiviolazioni delle norme internazionali. Ovviamente, quando parliamodi organi statali facciamo riferimento a tutti gli organi, siaquelli del potere centrale che quelli del potere periferico.Lo Stato-organizzazione deve presentare però dei requisiti perpoter essere considerato tale:1. il primo è l'effettività del proprio potere su di una comunitàterritoriale. Pertanto la qualifica di soggetto internazionaledeve essere negata ai Governi in esilio, le organizzazioni ofronti, o comitati di liberazione internazionale che abbiano sedein un territorio straniero, dove hanno costituito una sorta diorganizzazione di governo.2. il secondo requisito è l'indipendenza o sovranità esterna:occorre cioè che l’organizzazione di governo non dipenda da unaltro Stato. In tal senso non sono soggetti del diritto

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internazionale gli Stati federati di Stati federali (perché, anchese talvolta possono essere autorizzati dalla Costituzione federalea stipulare accordi con Stati terzi, devono normalmente avere ilconsenso del Governo centrale), né le Confederazioni che èun'unione fra Stati perfettamente indipendenti e sovrani, creatain genere per scopi di difesa.Il requisito dell'indipendenza deve essere inteso con cautela ( cumgrano salis ): non coincide con la perfetta possibilità dideterminarsi da sé, poiché l'interdipendenza è oggi una dellecaratteristiche sempre più marcate delle relazioni internazionali(stati satelliti, stati deboli, stati con truppe straniere...).Bisogna allora intenderlo in senso formale: è indipendente unostato il cui ordinamento è originario, cioè tragga la sua forzagiuridica dalla propria Costituzione e non da quella di un altroStato.Quando ricorrono i due requisiti, l'organizzazione di governoacquista la qualità di soggetto internazionale automaticamente:non è necessario il riconoscimento, per quanto riguarda la sferagiuridica. Il riconoscimento, come anche il non-riconoscimento, èun atto meramente lecito che attenie alla sfera politica,generalmente infatti il riconoscimento da parte degli Statipreesistenti serve per giudicare se il nuovo Stato "meriti" o menola soggettività per stipulare alleanze o altri rapportidiplomatici.Quando si richiedono altri requisiti come quello che il nuovoStato non debba costituire una minaccia per la pace e la sicurezzaper la pace, che il suo Governo goda del consenso del popolo e chenon violi i diritti umani, questi non sono necessari ai finidell'acquisto della soggettività internazionale, ma servonosoltanto per valutazioni politiche degli altri Stati per valutarese stringere rapporti d'amicizia.Sembra risolto anche il problema della soggettività del Governoinsurrezionale: gli insorti non sono soggetti del dirittointernazionale e il Governo c.d. legittimo potrà prendere iprovvedimenti che reputa più opportuni (fatti salvi però imovimenti di liberazione nazionale). Se tuttavia i ribelli nelcorso della guerra civile riescono a dare vita adun'organizzazione di governo che controlla effettivamente unaparte del territorio, la personalità non può negarsi.Una parte della dottrina parla di una personalità limitata degliindividui, perché destinatari di molte norme e convenzioni chericonoscono loro diritti e poteri di azione. In realtà si contesta

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anche la natura dei diritti e degli obblighi internazionali,perché destinatari delle norme sarebbero sempre e solo gli Stati.Numerose sono anche le norme che tutelano le minoranze etniche, inparticolare, nella prassi si parla sempre più dei diritti deipopoli all’autodeterminazione. Da intendersi però come dirittoriconosciuto ai popoli sottoposti ad un Governo straniero (c.dautodeterminazione esterna), in particolare ai popoli soggetti adominazione coloniale e a quelli occupati con la forza.Secondo la Dichiarazione dell’ONU, e come è stato ribadito dallaCorte Internazionale di Giustizia, l’auto determinazione comportail diritto dei popoli sottoposti al dominio straniero di divenireindipendenti e di scegliere liberamente il proprio regimepolitico.È da escludere, quindi, da un punto di vista giuridico, che tuttii Governi esistenti godano del consenso della maggioranza deisudditi e siano da costoro liberamente scelti ( c.d autodeterminazioneinterna).Di fronte alla violazione di questo principio, gli Stati possonoadottare delle misure sanzionatorie, come il disconoscimento diogni effetto extraterritoriale agli atti di governo emanati nelterritorio o l’appoggio ai movimenti di liberazione nazionale.Piena personalità bisogna poi riconoscere alle organizzazioniinternazionali, ossia alle associazioni tra Stati (ONU, ComunitàEuropea) dotate di organi per il perseguimento degli interessicomuni. La stessa Corte Internazionale di Giustizia ha affermato:"L'organizzazione internazionale è un soggetto di dirittointernazionale, vincolato, in quanto tale, da tutti gli obblighiche gli derivano da regole generali del diritto internazionale,dal suo atto costitutivo e dagli accordi di cui è parte".Altro ente del tutto indipendente dagli Stati, ed attivonell’ambito della Comunità Internazionale, è la Chiesa Cattolica.La sua personalità si concreta non solo nel potere di concludereaccordi internazionali ma, data l’esistenza dello Stato dellaCittà del Vaticano, anche in tutte le situazioni giuridiche chepresuppongono il governo di una comunità internazionale.

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PARTE PRIMA

LA FORMAZIONE DELLE NORME INTERNAZIONALI

4. La consuetudine

Le norme generali del diritto internazionale che vincolano tuttigli Stati, sono le consuetudini. Innanzitutto bisogna vedere cosasi deve intendere per consuetudine: è un comportamento costante euniforme tenuto dagli Stati, accompagnato dalla convinzionedell'obbligatorietà del comportamento stesso. Due sono quindi glielementi costitutivi: la diuturnitas (o meglio la "prassi") el'opinio iuris sive necessitatis. Questa impostazione cosiddetta"dualistica" non ha trovato unanimità di consensi, ma è statacriticata per aver considerato il secondo elemento comenecessario. In altre parole, per potersi parlare di consuetudinebasterebbe soltanto la prassi costante e uniforme, in quanto,ammettendosi la necessità dell’opinio juris, si arriverebbeinevitabilmente a considerarla nata da un errore. Se nel momentoin cui la norma va formandosi, si dice, lo Stato crede che undato comportamento sia obbligatorio, cioè richiesto dal diritto,mentre il diritto non esiste, perchè è in formazione, è evidenteche lo Stato è in errore.Tuttavia la prassi dei Tribunali internazionali e lagiurisprudenza interna sembrano orientati verso l'impostazionedualistica, quindi entrambi gli elementi devono venire in rilievo.Inoltre gli Stati, per evitare che la sola prassi crei diritto,dichiarano che un comportamento che stanno tenendo è determinatoda mere ragioni di cortesia e non può essere considerato comecapace di creare una norma o addirittura una desuetudine.Quello che dobbiamo sottolineare è che, almeno al momento dellaformazione della consuetudine, un comportamento non è sentito comegiuridicamente vincolante, bensì come socialmente dovuto. E semancasse l'elemento della opinio iuris sarebbe impossibiledistinguere una consuetudine produttrice di norme giuridiche da unatto di mera cortesia, di cerimoniale o da un mero "uso".L'opinio iuris inoltre permette di distinguere se un comportamentodi uno Stato sia diretto a modificare o abrogare una determinataconsuetudine dal comportamento che costituisce invece meroillecito internazionale.Quali organi concorrono alla formazione della normaconsuetudinaria?Si riconosce che la partecipazione spetta a tutti gli organistatali e non solo i detentori del potere estero. Possono

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concorrere pertanto non solo atti "esterni" degli Stati (trattati,note diplomatiche, comportamenti in seno ad organiinternazionali), ma anche atti "interni" (leggi, sentenze, attiamministrativi), senza alcun ordine di priorità. Sicuramente unruolo decisivo è svolto dalla giurisprudenza interna, conparticolare riguardo alle Corti supreme, che hanno un’influenzadecisiva nella creazione del diritto consuetudinario; ed è lorocompito, di fronte a consuetudini antiche che contrastino confondamentali valori costituzionali, promuoverne, sia pure concautela, la revisione.Poiché le consuetudini creano diritto generale, vincolano tuttigli Stati, indipendentemente dalla loro partecipazione alla suaformazione. Questo problema si è posto con particolare riguardoper gli Stati nuovi che sono nati dal processo didecolonizzazione: il diritto consuetudinario esistente si eraformato in epoca coloniale e rispondeva ad esigenze ed interessidel tutto contrastanti da quelli emergenti (pensiamo ai settoridel diritto internazionale economico, al diritto internazionalemarittimo).La soluzione del problema viene posta nei seguenti termini:se la contestazione proviene da un singolo Stato ("persistentobjector"), questa è da considerarsi irrilevante. Non occorrerebbeneanche la prova dell'accettazione della norma consuetudinariaperché altrimenti si configurerebbe come accordo tacito, negandola stessa idea di diritto internazionale generale. Inoltre è statodimostrato che generalmente il persistent objector non rivendical'inopponibilità nei suoi confronti della norma, ma tenta diimpedire la sua formazione o di negare che si sia formata. Se lacontestazione, invece, proviene da un gruppo di Stati non puòessere ignorata: in tal caso non solo non è opponibile ai Paesiche la contestano, ma non si può neanche considerare come normaconsuetudinaria esistente. Oltre alle norme consuetudinarie generali esistono anche leconsuetudini particolari, cioè vincolanti una ristretta cerchia diStati, come quelle regionali o locali. La loro figura è certamenteda ammettersi e la sua applicazione più rilevante è fornita, piùche dalle norme a carattere regionale, dal diritto non scritto chepuò formarsi per modificare o abrogare le regole poste da undeterminato trattato: in altre parole, accade che le parti chestipulano un accordo diano inizio ad una prassi che modifica lenorme a suo tempo pattuite. Anche questo tipo di consuetudini devono considerarsi un fenomenodi gruppo, come tale non scomponibile in relazione ai Singoli

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Stati. La consuetudine regionale quindi, risulta pur sempre daicontegni rilevabili in seno ad un gruppo di Stati, senza che sianecessario indagare o provare che il singolo Stato appartenente algruppo abbia effettivamente contribuito a formarla. Non costituiscono consuetudini particolari, invece, i casi diuniformità di contegni tra un certo numero di Stati non legati datrattato o da vincoli geografici o di altra natura, è meglioparlare di reciprocità. Le norme consuetudinarie sono suscettibili di interpretazioneanalogica. L'analogia è una forma di interpretazione estensiva,che consiste nell'applicare una norma ad un caso che essa nonprevede, ma i cui caratteri essenziali siano analoghi a quelli delcaso previsto. Nell'ambito del diritto consuetudinario, il ricorsoall'analogia ha senso solo con riguardo alle fattispecie nuove: lenorme consuetudinarie possono essere applicate a rapporti di vitasociale che non esistevano all’epoca della formazione della norma.

5. I principi generali di diritto riconosciuti dalle Nazioni Civili

L'art. 38 dello Statuto della Corte Internazionale di Giustiziaannovera tra le fonti del diritto internazionale i principigenerali di diritto riconosciuti dalle Nazioni civili. Secondo lacomune interpretazione di quest'articolo, detti principi sicollocherebbero al terzo posto dopo le consuetudini e gli accordie sarebbero applicabili quando manchino norme pattizie oconsuetudinarie applicabili al caso concreto. Costituirebberocosì, secondo quest'impostazione, una sorta di analogia juris,destinata a colmare le lacune del diritto pattizio oconsuetudinario.In realtà esiste una notevole varietà di opinioniin merito: alcuni dicono che non si trattano affatto di normegiuridiche internazionali, altri affermano la natura integratrice,altri ancora li collocano al vertice della gerarchia delle fonti.Senza dubbio ogni ordinamento giuridico ammette il ricorso aiprincipi generali in mancanza di norme specifiche e non si vedeperché lo stesso non debba ammettersi nell’ordinamentointernazionale. A nostro avviso, perché possano essere applicatiquesti principi devono sussistere due condizioni:1. devono essere uniformemente applicati nella maggior parte degliStati;2. devono essere sentiti come obbligatori o necessari anche dalpunto di vista del diritto internazionale, che essi cioèperseguano dei valori e impongano dei comportamenti che gli Staticonsiderino come perseguiti ed imposti o almeno necessari sul

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piano internazionale.Così intesi non sarebbero altro che una categoria sui generis dinorme consuetudinarie internazionali. Secondo una simileimpostazione allora non sarebbero principi destinati a colmaresoltanto le lacune del diritto internazionale; il loro rapportosarebbe invece il normale rapporto tra norme di pari grado: lanorma posteriore abroga quella anteriore e la norma specialederoga quella generale. Bisogna sottolineare che la contrarietà di una legge ordinariaitaliana al diritto internazionale generale comportal'illegittimità costituzionale della legge stessa, per violazionedell'articolo 10: tale illegittimità potrà dichiararsi anche incaso di contrarietà ad un principio generale di dirittoriconosciuto dalle Nazioni civili.

VI. Altre presunte norme generali non scritte: i principi

Una parte della dottrina pone al di sopra delle normeconsuetudinarie un'altra categorie di norme generali non scritte:i principi. Si è così sostenuta l'esistenza di una serie diprincipi "costituzionali" dell'ordinamento internazionale. Secondoil Quadri, vigoroso sostenitore di questa teoria, i principicostituirebbero le norme primarie del diritto internazionale, inquanto "espressione immediata e diretta della volontà del corposociale". Tra questi principi esisterebbero quelli formali, che silimitano a istituire ulteriori fonti di norme internazionali, equelli materiali, che disciplinerebbero direttamente i rapportitra gli Stati. I principi formali sarebbero consuetudo est servanda epacta sunt servanda, l’osservanza delle consuetudini e degli accordi sispiegherebbe quindi in quanto voluta e imposta dalle forzeprevalenti nell’ambito della comunità internazionale.

I principi materiali potrebbero avere qualsiasi contenuto asecondo della materia che si disciplina. Questa impostazione non è accettabile. Non si possono ricostruireprincipi materiali indipendentemente dall'uso e ricostruirli finoalle estreme conseguenze, perché si aprirebbe la strada all'abuso.Un gruppo di Stati, o anche un solo Stato, ad es. gli Stati Uniti,potrebbe imporre, disponendo della forza necessaria, la propriavolontà a tutti gli altri membri della comunità internazionale.Inoltre l'interprete interno, dovendo stabilire quali normeinternazionali generali ad esempio siano da applicare in Italiasecondo l’art.10 Cost., si dovrebbe chiedere di volta in volta se

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non vi siano "imposizioni" in una determinata materia da partedelle forze dominanti nella comunità internazionale.Si discute poi se fonte di norme internazionali l’equità, ovvero“il comune sentimento del giusto e dell'ingiusto”, ed inparticolare ci si chiede se a questa il giudice internazionale ointerno può riccorrere quando è chiamato a risolvere una questionedi diritto internazionale. Si ritiene che a parte la c.d. equitàsecundum o infra legem, ossia la possibilità di utilizzare l'equitàsoltanto come ausilio interpretativo la risposta deve esserenegativa. Ovviamente sarà da escludere l'equità contra legem,contraria cioè a norme consuetudinarie o pattizie, oltre chequella praeter legem, diretta a colmare le lacune del dirittointernazionale.

VII. Il valore degli accordi di codificazione

Bisogna esaminare il problema se esistano o meno normeinternazionali generali scritte. E questo problema si poneinnanzitutto per le codificazioni promosse dalle Nazioni Unite.L'opera di codificazione è nata con le Nazioni Unite e siccomenella comunità internazionale manca un'autorità con poterilegislativi, il Trattato è l'unico strumento per la trasformazionedel diritto non scritto in diritto scritto.L'articolo 13 della Carta delle Nazioni Unite prevede chel'Assemblea generale intraprenda degli studi e facciaraccomandazioni per incoraggiare lo sviluppo del dirittointernazionale e la sua codificazione. A tali fini l'Assemblea hacreato un'apposita Commissione incaricata di provvedere allapreparazione di testi di codificazione delle norme consuetudinarierelative a determinate materie, procedendo a studi, raccogliendodati e predisponendo in tal modo progetti di convenzionimultilaterali internazionali che vengano poi adottati e apertialla ratifica e all'adesione da parte degli Stati stessi. Lacommissione non è l’unico strumento in seno al quale sipredispongono progetti di accordo di codificazione. L’Assembleagenerale delle Nazioni Unite, in alcuni casi, ha convocatoconferenze di Stati in seno alle quali anche il progetto è statoredatto; altre volte la redazione del progetto è stata affidata adorgani sussidiari dell’Assemblea, quali, ad es., il comitatoincaricato nel 1993 di elaborare una convenzione sulla sicurezzadel personale delle Nazioni Unite o il comitato predisposto per ilprogetto della Corte Penale Internazionale permanente.

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Gli accordi di codificazione, in quanto comuni accordiinternazionali, vincolano gli Stati contraenti e non hanno valoreinvece per gli Stati non contraenti.Questo perché, innanzitutto non si può riporre un'illimitatafiducia nei lavori della Commissione di diritto internazionaledelle Nazioni Unite, perché spesso ci può essere l'influenzadell'interprete o anche di chi è chiamato a far parte dellaCommissione stessa. Inoltre gli Stati fanno quello che si fasempre in sede di conclusione delle trattative per la conclusionedegli accordi internazionali: cercano di far prevalere i propriinteressi, le proprie convinzioni. Infine, l'art. 13 parla di"sviluppo progressivo" ma si rischia di far introdurre norme cheerano abbastanza incerte sul piano del diritto internazionale. Per queste ragioni, gli accordi di codificazione vanno consideraticome normali accordi internazionali e quindi vincolano i soliStati contraenti che li ratificano.Un grosso problema si crea al verificarsi del fenomeno del c.d.ricambio delle norme contenute dall'accordo. Ammesso che l'accordodi codificazione sia coincidente con il diritto internazionaleconsuetudinario al momento della sua redazione, è ben possibileche in epoca successiva il diritto consuetudinario subisca deicambiamenti per effetto della mutata pratica degli Stati. Questaeventualità è scarsamente presa in considerazione dagli stessiaccordi di codificazione: tutti gli accordi del genere promossidalle Nazioni Unite sono stipulati per una durata illimitata esolo alcuni di essi prevedono dei procedimenti per la revisionedelle proprie norme. Eppure il fenomeno dell'invecchiamentodell'accordo di codificazione diviene sempre più attuale man manoche gli interessi mutano e i rapporti si evolvono, come anchedimostrato dal diritto dei trattati. Che succede allora?Innanzitutto questo fenomeno riconferma la tesi che a maggiorragione i principi non si possono applicare agli Stati noncontraenti, mentre per gli Stati contraenti, la mancanza diun’autorità nell’ambito della comunità internazionale impedisceche qui si instauri quel rapporto tra diritto consuetudinario ediritto scritto tipico degli ordinamenti statali. Quindiconsuetudine e accordi internazionali sono in linea di principiotra loro derogabili, e nulla vieta dunque che il dirittoconsuetudinario successivo abroghi quello pattizio anteriore.L’interprete dovrà essere estremamente sicuro della prassi da cuiintende estrarre la norma consuetudinaria abrogratirice: devedimostrare che la consuetudine si è formata con il concorso degli

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Stati contraenti e che questi l’intendano come applicabile anchenei rapporti inter se.

VIII. Le dichiarazioni di principi dell'Assemblea dell'ONU

Nel tema del diritto internazionale generale si inquadra anche ilproblema del valore delle Dichiarazioni di principi emanatedall'Assemblea delle Nazioni Unite. Si tratta di dichiarazionicontenenti una serie di regole che talvolta riguardano i rapportitra Stati, ma spesso i rapporti interni alle varie comunitàStatali, come i rapporti dello Stato con i propri sudditi o congli stranieri. Bisogna innanzitutto sottolineare che leDichiarazioni non costituiscono un'autonoma fonte di normeinternazionali generali, poiché l'Assemblea generale delle NazioniUnite non ha poteri legislativi mondiali (tanto che si esprimemediante raccomandazione, che ha valore di esortazione, nonvincolante).Tuttavia le Dichiarazioni svolgono un ruolo assai importante aifini dello sviluppo internazionale e al suo adeguamento alleesigenze di solidarietà e di interdipendenza. Per quanto riguardail diritto consuetudinario, le Dichiarazioni vengono in rilievo,ai fini della sua formazione, in quanto prassi degli Stati, in quantosomma degli atteggiamenti degli Stati che le adottano, e non comeatti dell'ONU. Per quanto riguarda il diritto pattizio, certe dichiarazioni oparti di Dichiarazioni hanno valore di veri e propri accordiinternazionali: sono quelle che non solo enunciano un principio main modo espresso e inequivocabile ne equiparano l'inosservanzaalla violazione della Carta. Tuttavia, poiché l'Assemblea non hapoteri interpretativi sovrani che vincolerebbero tutti gli Stati aquell'interpretazione, anche le Dichiarazioni restano delle mereraccomandazioni, dal punto di vista della Carta. Hanno peròcarattere di accordo e come tale vincolano gli Stati che leabbiano approvate e vanno inquadrate come accordi in formasemplificata.

IX. I Trattati

L'accordo internazionale può essere definito come l'unione ol'incontro della volontà di due o più Stati, dirette a regolareuna determinata sfera di rapporti riguardanti questi ultimi. Vi sono diverse tipologie di trattati :

- Trattati normativi: considerati come gli unici accordiproduttivi di vere e proprie norme giuridiche, sarebbero

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caratterizzati da volontà di identico contenuto, dirette aregolare la condotta di un numero rilevante di Stati (accordidi codificazione, accordi istituitivi di organizzazioniinternazionali, accordi contenenti dichiarazioni solennidegli Stati);

- Trattati contratto : fonti di diritti ed obblighi, ossia dirapporti giuridici, e non di norme, le parti muoverebbero daposizioni contrastanti ed attuerebbero uno scambio diprestazioni più o meno corrispettive ( accordi distabilimento ).

Sul piano giuridico, questa distinzione non ha senso, nonavendo senso la contrapposizione tra norma e rapportogiuridico : qualsiasi atto che sia obbligatorio, che vincoliqualcuno, produce per ciò stesso una regola di condotta.

Anche i trattati possono dar vita sia a norme materiali, cioè aregole che direttamente disciplinano i rapporti tra destinatari,imponendo obblighi o attribuendo diritti, sia a norme formali ostrumentali, che si limitano cioè ad istituire fonti per la creazionedi ulteriori norme. A questa categoria appartengono i trattaticostitutivi di organizzazioni internazionali, che oltre adisciplinare direttamente certi rapporti tra gli Stati membri,demandano agli organi sociali la produzione di norme ulteriori. Come nel diritto interno i contratti sono subordinati alla legge,così i trattati sottostanno alle consuetudini (pacta sunt servanda)che ne disciplinano il procedimento di formazione nonché irequisiti di validità e di efficacia. Le Nazioni Unite hannopromosso l'elaborazione della Convenzione di Vienna del 1969 suldiritto dei trattati. Secondo quanto la stessa Convenzione stabilisce all'art. 4. il suocampo di applicazione non tocca le regole meramente riproduttivedelle norme consuetudinarie generali, che, proprio perchégenerali, valgono per tutti gli Stati e per tutti i trattati. LaConvenzione, invece, si applica unicamente ai trattati conclusitra Stati dopo la sua entrata in vigore per tali Stati. L’accordo può realizzarsi istantaneamente oppure aversi al terminedi procedure complicate, può essere scritto o orale, può essereconseguito in un documento ad hoc oppure risultare dal processoverbale di un organo internazionale o dallo scambio di notediplomatiche, e così via.Generalmente il procedimento formale o solenne di formazione deltrattato ricalca quello già seguito alcuni secoli fa, all’epocadelle monarchie assolute. A quel tempo, la stipulazione del

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trattato era materia di competenza esclusiva del Capo di Stato.Esso veniva negoziato degli emissari del Sovrano, definiti"plenipotenziari", in quanto dotati di "pieni poteri", per lanegoziazione. I plenipotenziari predisponevano il testodell'accordo e lo sottoscrivevano. Seguiva poi la ratifica daparte del Sovrano, con cui accertava se i plenipotenziari sifossero effettivamente attenuti al mandato ricevuto. Alla fine,per portare la volontà del Sovrano a conoscenza delle controparti,avveniva lo scambio delle ratifiche. Abbiamo quindi 4 fasi: negoziazione, firma, ratifica e scambio delle ratifiche,che sono ancora in uso nella prassi internazionale. La fase di negoziazione è tanto più complessa quanto più numerosisono gli Stati che partecipano alla negoziazione stessa.Il negoziato si conclude con la "firma" da parte deiplenipotenziari, ma questa non comporta ancora nessun vincolo pergli Stati: ha solo valore di autenticazione del testo predisposto.La manifestazione della volontà dello Stato che si impegna si hacon la ratifica. La competenza a ratificare è disciplinata daldiritto costituzionale di ogni Stato. L'ordinamento italianoall'art. 87 dispone che il Presidente della Repubblica ratifica itrattati internazionale, previa, quando occorre, l'autorizzazionedelle Camere. L'art. 80 specifica quali sono le materie per lequali è prevista l'autorizzazione e deve essere data con legge:trattati che hanno natura politica, o prevedono regolamentigiudiziari, o comportano variazioni del territorio nazionale ooneri alle finanze, o modificazioni di leggi. Questi due articolidevono essere poi combinati con l'art. 89 Cost., secondo cuinessun atto del Presidente è valido se non è controfirmato dalministro proponente che se ne assume la responsabilità. Nel caso di trattati multilaterali, in cui la manifestazione divolontà diretta a concludere l'accordo proviene da uno Stato chenon ha preso parte ai negoziati, si parla di adesione. Ovviamentesarà necessario che il trattato sia "aperto", ossia che contengauna clausola di adesione.Alla ratifica segue lo scambio delle ratifiche o il deposito delleratifiche. Nel caso di scambio, l'accordo si perfezionaistantaneamente. Nel caso di deposito, che è la proceduranormalmente seguita per i trattati multilaterali, via via che leratifiche sono state depositate (presso un Governo, presso ilSegretariato di n’organizzazione internazionale..) l’accordo siforma tra gli Stati depositanti; di solito però si prevede neltesto del trattato che quest’ultimo non entri in vigore finchénon si raggiunga un certo numero di ratifiche. L’art.16 della

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Convenzione di Vienna aggiunge la notifica agli Stati contraenti oal depositario.L’art.102 della Carta delle Nazioni Unite prevede che ognitrattato internazionale deve essere registrato presso ilSegretariato delle Nazioni Unite. L’omessa registrazione ècostituita dall’impossibilità di invocare il trattato innanzi adun organo delle Nazioni Unite.Questa, abbiamo detto, è la procedura solenne. E' possibile peròche gli Stati, godendo di ampia libertà per la formazione degliaccordi, scelgano un'altra forma. La più diffusa è la formasemplificata, tanto che si parla anche di accordi informali.L'accordo che si perfeziona con questa procedura entra in vigoreper effetto della sola sottoscrizione del testo da parte deiplenipotenziari, attribuendo alla firma il valore di piena edefinitiva manifestazione di volontà. Secondo l’art.12 della Conv.Di Vienna, il consenso di uno Stato ad essere vincolato da untrattato è espresso dalla firma del rappresentante di questo Stato: a) quando il trattato prevede che la firma avrà tale effetto; b)quando è in altro modo stabilito che gli Stati partecipanti ainegoziati abbiano convenuto di attribuire tale effetto alla firma;c) qunado l’intenzione dello Stato di dare tale effetto alla firmarisulta dai pieni poteri del suo rappresentante o è stato espressonel corso della negoziazione.Rientrano nella categoria degli accordi in forma semplificataanche gli scambi di note diplomatiche. In questa categoriarientrano tutti gli accordi che, in modo o in un altro, gli organidello Stato preposti alle relazioni con gli altri Stati, stipulanosenza ricorrere alla procedura della ratifica, impegnandodefinitivamente la responsabilità dello Stato. La competenza a concludere gli accordi in forma semplificata, alpari della competenza a ratificare, è regolata dal dirittocostituzionale di ciascuno Stato e stabilisce fino a che puntol’Esecutivo possa concludere un accordo senza ricorrere allaprocedura della ratifica.Il problema fondamentale in materia di formazione dell’accordointernazionale è il seguente : se l’organo che stipula l’accordo,cioè manifesta la volontà dello Stato di aderire al trattato, nonha competenza o comunque non segue forme o procedure previste daldiritto interno,il trattato è egualmente valido o, essendo lavolontà dello Stato viziata per il diritto interno, lo è anche peril diritto internazionale?La discussione riguarda principalmente gli accordi in formasemplificata: se il potere esecutivo si impegna autonomamente e

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definitivamente sul piano internazionale relativamente a materieper le quali la Costituzione richiede il concorso del Parlamento,che valore ha siffatto impegno ? Tendenzialmente si escludono sia visioni prettamenteinternazionalistiche, sia visioni prettamente interne: gli accordinon sono né sempre validi, né sempre invalidi. Ripudiate talisituazioni estreme, la Convenzione di Vienna propone una soluzioneall'art. 46: il fatto che il consenso di uno Stato ad esserevincolato da un trattato sia stato espresso in violazione di unaregola di competenza a stipulare del suo diritto interno non puòessere invocato da tale Stato come vizio del suo consenso, a menoche la violazione non sia manifesta e non concerna una regola delsuo diritto interno di importanza fondamentale; una violazione èmanifesta se è obiettivamente evidente per qualsiasi Stato che sicomporti in materia secondo la prassi abituale e in buona fede.Noi riteniamo che la violazione di norme interne di importanzafondamentale sia causa di invalidità del trattato solo quandosull'accordo non si sia pronunciato uno degli organi cui laCostituzione assegna un potere decisionale effettivo nelprocedimento di stipulazione. La parte in cui prevede la buonafede, invece, non sembra da seguire perché risente di unaconcezione troppo "diplomatica" del diritto internazionale.Nell’ambito dell’ordinamento italiano si pone la questione seanche le Regioni possano concludere accordi internazionali. Questaha avuto origine da certe iniziative prese da alcune Regioni edirette a concordare con Stati, Regioni o atri enti territorialistranieri forme di collaborazione in settori di rispettivacompetenza, come il turismo e l’agricoltura. La CorteCostituzionale, chiamata a pronunciarsi su ricorsi per conflittodi attribuzione con il Governo centrale, in un primo tempo, haaffermato in linea di principio l’incompetenza degli organiregionali in tema di “formulazione di accordi con soggetti propridi altri ordinamenti” compito spettante, nel nostro sistemacostituzionale, esclusivamente agli organi dello Stato sovrano.Dopo tale intervento, nella sentenza 179/1987, la Cortecostituzionale ha affermato che, le Regioni, procuratosi il previoassenso del Governo centrale, possano stipulare non solo intese dirilievo internazionale, ma addirittura veri e propri accordi, talida impegnare la responsabilità dello Stato e purchè riguardinomaterie di competenza regionale e non rientranti nelle categoriepreviste dall’art.80 della Costituzione.Nella prassi contemporanea è anche molto diffuso il fenomeno degliaccordi stipulati dalle organizzazioni internazionali, sia fra

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loro, sia con Stati terzi. Probabilmente il potere di concluderetrattati è da considerare la manifestazione più saliente dellapersonalità giuridica internazionale delle organizzazioni. IlTrattato istitutivo dell'organizzazione stessa deve disciplinarequali sono gli organi competenti a stipulare e quale sia lacompetenza per materie. Una violazione grave delle norme statutariesulla competenza a stipulare può comportare l'invaliditàdell'accordo. Poiché, però, le norme contenute nel Trattatoistitutivo sono modificabili dalla consuetudine, come tutte lenorme pattizie, la competenza a stipulare può anche risultare daregole consolidatesi nella prassi dell'organizzazione, purché sitratti di prassi certa, ossia seguita dagli organi e accettatadagli Stati membri e sempre che non ci sia un organo giudiziarioincaricato di vegliare sul rispetto del trattato.L’art. 46 della Conv. Di Vienna considera come causa di invaliditàla violazione di una delle “norme dell’organizzazione” sullacompetenza a stipulare di importanza fondamentale.L’art.2 specifica inoltre che per “norme dell’organizzazione” siintendono le norme statutarie, le decisioni e le risoluzioniadottare sulla base delle norme medesime, e la prassi consolidatadell’organizzazione.Gran parte degli accordi conclusi dalle organizzazioni non harilevanza giuridica. Sono i c.d accordi di collegamento che leorganizzazioni stipulano tra loro per coordinare le rispettiveattività.Vi sono invece una serie di trattati conclusi con altri Stati chein nulla differiscono dai normali accordi giuridiciinternazionali. Alcuni di essi, come gli accordi che fissano lasede delle organizzazioni o attribuiscono immunità e privilegi ailoro funzionari, si propongono di assicurare alle organizzazionimedesime la necessaria libertà di azione nei territori statali incui sono destinate ad operare.

X. Inefficacia dei Trattati nei confronti di terzi e incompatibilità

La caratteristica del diritto pattizio è che fa legge tra le partie solo tra le parti. Se il trattato contiene una clausola diadesione, cioè è aperto, altri Stati, che non hanno partecipato ainegoziati, vi possono comunque aderire a pieno titolo mediante unaloro dichiarazione di volontà. In tal modo la posizione degliStati aderenti non differirà giuridicamente da quella degli Statioriginari, se non per il semplice fatto che non hanno partecipatoalla formazione dell'accordo.

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Può verificarsi, però, che la clausola di adesione manchi e che laconvenzione crei diritti in suo favore o obblighi a suo carico.Anche in questo caso sarà necessario dimostrare che gli obblighi ei diritti siano in qualche modo accettati dallo Stato e chel’eventualità dell’accettazione sia, magari in modo implicito,previsto nel testo dell’accordo: cioè che il trattato contenga inqualche modo un'offerta e dallo Stato terzo provengaun'accettazione, il che determinerà quell'incontro di volontà cheè caratteristico dell'accordo. Fuori da questi casi non potrà cheapplicarsi il principio di inefficacia dei trattati nei confrontidegli Stati terzi, non contraenti.Le parti possono anche impegnarsi in un contratto a favore diStati terzi, che quindi risulti vantaggioso per questi Stati noncontraenti. ( es. accordi in tema di navigazione sui fiumi, canalie stretti internazionali, i quali accordi, pur intercorrendo traun numero limitato di Paesi,sanciscono la libertà di navigazioneper le navi di tutti gli Stati). Ma tali vantaggi, finché non sitrasformano in diritti attraverso la partecipazione del terzoall'accordo in uno dei modi indicati, possono essere semprerevocati dalle parti contraenti. Le parti contraenti se vogliononegare al terzo i vantaggi pattuiti non hanno bisogno di stipulareun successivo trattato che formalmente abroghi o modifichi alprimo, ma possono negarli in determinati casi e riconoscerli inaltri.L'art. 34 della Convenzione di Vienna sancisce, come regolagenerale, che un trattato non crea obblighi o diritti per un terzoStato senza il suo consenso. L’art.35 specifica che un obbligo può derivare da una disposizionedi un trattato a carico di un terzo Stato se le parti contraentidel trattato intendono creare tale obbligo e se lo Stato accettaespressamente per iscritto l’obbligo medesimo.L’art.36 prevede a sua volta che un diritto possa nascere a favoredi un terzo Stato solo se questo vi consenta, ma aggiunge che ilconsenso si presume finchè non vi siano indicazioni contrarie.L’art.37 autorizza i contraenti originari a revocare quandovogliono il diritto accettato dal terzo, a meno che non ne abbianopreviamente stabilito in qualche modo l’irrevocabilitàOvviamente un trattato può essere modificato o abrogato da untrattato successivo fra gli stessi contraenti, ma cosa succede sei contraenti dell'uno e dell'altro trattato coincidono solo inparte?Può darsi che lo Stato si impegni mediante accordo a tenere uncerto comportamento e poi, con un accordo con Stati diversi, si

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obblighi a tenere il comportamento contrario.Si tratta del problema di “ incompatibilità “ tra normeconvenzionali. Si cerca di trovare la soluzione nei principi disuccessione dei trattati nel tempo e quello dell'inefficacia deitrattati nei confronti di terzi: fra gli stati contraenti dientrambi i trattati, prevale l'accordo successivo; nei confrontidegli Stati che siano parti di uno solo dei trattati, restanoinvece integri, nonostante l'incompatibilità, tutti gli obblighiche da ciascuno di essi derivano. Lo Stato contraente di entrambisi troverà, in poche parole, a dover scegliere a quali impegnitenere fede, operata la scelta, esso non potrà non commettere unillecito, e sarà quindi internazionalmente responsabile. L’art.30 della Convenzione di Vienna, che si occupadell’applicazione dei trattati nel tempo, dopo aver sancito, alpar.3, la regola che fra due trattati conclusi tra le medesimeparti il trattato anteriore si applica solo nella misura in cui ledisposizioni sono compatibili con quelle del trattato posteriore,stabilisce, al par.4 che, quando le parti del trattato anteriorenon sono tutte parti contraenti del trattato posteriore : a) nellerelazioni tra gli Stati che partecipano ad entrambi i trattati, laregola applicabile è quella del par.3; b) nelle relazioni tra unoStato partecipante ad entrambi i trattati ed uno Stato contraentedi uno solo dei trattati medesimi, il trattato di cui i due Statisono parti regola i loro diritti ed obblighi reciproci.Il par.4 - continua l’art. al par.5 - si applica senza pregiudiziodell’art.41 o di qualsiasi questione di responsabilità che puònascere per uno Stato dalla conclusione o dell’applicazione di untrattato le cui disposizioni sono incompatibili con gli obblighiche sullo Stato medesimo gravano nei confronti di un altro Statoin virtù di un Trattato.L’art.41 stabilisce che due o più parti di un trattato non possonoconcludere un accordo mirante a modificarlo, sia pure nei lororapporti reciproci, quando la modifica è vietata dal trattatomultilaterale, oppure pregiudica la posizione delle altre particontraenti oppure è incompatibile con la realizzazionedell'oggetto e dello scopo del trattato nel suo insieme.L'espressione "non possono" è molto ambigua, ma si ritiene che nonfiguri una causa di invalidità dell'accordo (perché ladisposizione non si colloca nell'ambito delle cause diinvalidità), ma illiceità e responsabilità internazionale.La preoccupazione degli Stati di evitare situazioni del genere èmolto diffusa, per questo con sempre maggiore frequenza vengonoinserite delle clausole per salvaguardare i rapporti giuridici

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derivanti da altri accordi : sono le c.d. dichiarazioni di compatibilità (odi subordinazione).Quando essa riguarda trattati preesistenti, può però accompagnarsil’impegno delle parti ad intraprendere tutte le azioni (lecite)idonee a sciogliersi dagli impegni incompatibili, come la denunciaalla scadenza o l’apertura di negoziati per la revisione degliaccordi relativi. (es. la clausola di compatibilità contenuta neltrattato CE all’art.307 : le disposizioni del seguente trattatonon pregiudicano i diritti e gli obblighi presi da convenzioniconcluse, anteriormente al 1958 o, per gli Stati aderenti,anteriormente alla data della loro adesione, tra uno o più Statimembri da una parte e uno o più Stati terzi dall’altra. Nellamisura in cui tali convenzioni sono incompatibili col presentetrattato, lo Stato o gli Stati membri interessati ricorrono atutti i mezzi atti ad eliminare le incompatibilità constatate.)

XI. Le riserve nei trattati

La riserva indica la volontà dello Stato di non accettare certeclausole del trattato o di accettarle con alcune modifiche, oppuresecondo una determinata interpretazione (c.d. riservainterpretativa). Così facendo tra lo Stato autore della riserva egli altri Stati contraenti, l'accordo si forma solo per la partenon investita dalla riserva, mentre il trattato restaintegralmente applicabile agli altri Stati. Ovviamente la riserva ha senso per i soli trattati multilaterali,soprattutto quello stipulati da un numero rilevante di Stati. Neitrattati bilaterali, lo Stato che non vuole assumere certi impegnideve solo proporre alla controparte di non includerli nel testo.L'istituto della riserva,allora, serve a facilitare la largapartecipazione degli Stati ai trattati multilaterali.Secondo il diritto internazionale tradizionale, la possibilità diapporre riserve doveva essere tassativamente concordata nella fasedi negoziazione e quindi doveva figurare nel testo del trattatopredisposto dai plenipotenziari. In mancanza, lo Stato non avevaaltra alternativa se non quella di ratificare o meno il trattato.Due erano i modi per i quali era possibile apporre riserve: o isingoli Stati dichiaravano al momento della negoziazione di nonvoler accettare alcune clausole e quinid nel testo del trattato sifaceva menzione di tale riserva, oppure il testo prevedevagenericamente la facoltà di apporre riserve al momento dellaratifica o dell'adesione, e in tal sede ogni Stato valutava seavvalersi o meno di tale facoltà. In quest'ultimo caso era

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comunque necessario che il testo specificasse quali clausolepotevano essere oggetto di riserva.Oggi invece si assiste ad un'evoluzione. Un parere del 1951 dellaCorte Internazionale di Giustizia su una richiesta dell’Assembleagenerale delle Nazioni Unite avente per oggetto la Convenzionesulla repressione del genocidio, affermò che una riserva puòessere anche formulata all'atto della ratifica, anche se larelativa facoltà non è espressamente prevista nel testo deltrattato purché essa sia compatibile con l'oggetto e lo scopo deltrattato; purché, in altre parole, essa non riguardi clausolefondamentali e caratterizzanti l'intero trattato, altrimenti nonsi configurerebbe neanche l'accordo. Comunque, un altro Statocontraente può contestare la riserva, sostenendonel’incompatibilità con l’oggetto e lo scopo del trattato, nel qualcaso, se non si raggiunge un accordo sul punto, il trattato nonpuò ritenersi esistente nei rapporti tra lo Stato “contestante” elo Stato autore della riserva.Il parere della Corte ha influenzato gli articoli sulle riservecontenuti nella Convenzione di Vienna.L’art.19 codifica il principio che una riserva può essere sempreformulata purché non sia espressamente esclusa dal testo deltrattato e purché non sia incompatibile con lo scopo e l'oggettodel trattato medesimo. L’art.20 stabilisce che la riserva, quando non sia prevista daltesto del trattato, possa essere contestata da un’altra partecontraente ed se tale contestazione non è manifestata entro dodicimesi dalla notifica della riserva alle altri parti contraenti,essa si intende accettata.L’art.22 e l’art.23 infine, stabiliscono varie norme di dettaglio,come quelle sulla revoca delle riserve e sulla forma in cui essevanno redatte.Dopo la Convenzione, la prassi internazionale ha non soloconfermato quanto disposto, ma ha anche portato innovazioni,riconoscendo, ad esempio, la possibilità che uno Stato formuli leriserve in un momento successivo rispetto a quello in cui avevaratificato il trattato, purché nessuna delle altre particontraenti sollevi obiezioni entro un termine che, nella prassiseguita dal Segretariato dell’ONU quale depositario di trattatimultilaterali, è stato fissato in un primo momento in novantagiorni e poi successivamente a dodici mesi. La tendenza più innovatrice si ricava però dalla giurisprudenzadella Corte europea dei diritti umani: se lo Stato formula unariserva inammissibile (perché espressamente esclusa dal testo o

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perché contraria all'oggetto o allo scopo del trattato), taleinammissibilità non comporta l'estraneità dello Stato stessorispetto al trattato, ma l'invalidità della sola riserva che siavrà per non apposta. Bisogna però osservare che la giurisprudenzadella Corte europea riguarda solo la Convenzione europea deidiritti umani e ogni estensione ad altri tipi di trattati èprematura.Quando alla formazione della volontà dello Stato concorrono piùorgani, può darsi che l'apposizione di una riserva sia decisa dauno, ma non dagli altri. Cosa succede se il Governo non tieneconto di una riserva decisa dal Parlamento o formula una riservache il Parlamento non ha voluto? Casi del genere si sono ancheverificati in Italia e le opinioni dottrinali in merito sonosvariate. Alcuni ritengono che il Governo possa apporre riserve,in quanto gestore dei rapporti internazionali, mentre la tesiopposta, muovendo da posizioni più garantiste e dalla necessitàdella collaborazione tra i due organi, sostiene che il governo nonpossa apporre riserve non volute dal Parlamento.A nostro avviso la questione si risolve tenendo conto di dueprincipi costituzionali cardini: la formazione e manifestazionedella volontà dello Stato e la responsabilità del Governodall'altra. Sotto il primo profilo una riserva è valida sia chevenga formulata solo dal Parlamento, sia solo e autonomamente dalGoverno. Tuttavia se il Governo decide di discostarsi in tema diriserve da quanto deliberato in Parlamento, rischierebbe ilricorso dell'organo legislativo ai meccanismi della messa in giocodella responsabilità governativa. Siccome per il dirittointernazionale è irrilevante la responsabilità del Governo, ma sipreoccupa della formazione della volontà dello Stato, la riservaresta comunque valida, tranne nel caso in cui la riserva fossecontenuta nella legge di autorizzazione e di cui il Governo nontenga conto in cui si verificherebbe una violazione grave deldiritto interno e dovrà ritenersi che lo Stato non resti impegnatoper detta parte se e finché il Parlamento non revochiespressamente o implicitamente la riserva.

XII. L'interpretazione dei trattati

Oggi si tende ad abbandonare il metodo c.d. subiettivistico, in base alquale si renderebbe in ogni caso necessaria la ricerca dellavolontà effettiva delle parti come contrapposta alla volontàdichiarata. Si deve attribuire al trattato il senso che è fattopalese dal suo testo, che risulta dai rapporti di connessione

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logica tra le varie parti del testo. In questo senso i lavoripreparatori assumono un ruolo importante di sussidio, potendosi adessi ricorrere in presenza di un testo ambiguo e lacunoso.La Convenzione di Vienna si pronuncia a favore del metodoobiettivistico, pronunciandosi sull'interpretazione agli artt. 31-33. L’art.31 stabilisce che il trattato deve essere interpretato inbuona fede, secondo il significato ordinario da attribuirsi aitermini del trattato nel loro contesto e alla luce dell'oggetto edello scopo del trattato stesso.L’art.32 considera i lavori preparatori come un mezzosupplementare di integrazione, da usare quando il testo èparticolarmente ambiguo o oscuro oppure porta ad un risultatoassurdo.A parte il ricorso al metodo obiettivistico, valgono perl'interpretazione dei trattati quelle regole che la teoriagenerale ha elaborato per l'interpretazione delle normegiuridiche. Ci riferiamo alle regole sull'interpretazionerestrittiva o estensiva, come quella che tra i diversi significatioccorre scegliere quello più favorevole alla parte più onerata oal contraente più debole.L'inteprete può ricorrere ad un'interpretazione estensiva o ancheall'analogia.Si abbandona l’idea, quindi, secondo cui i trattati dovrebberoessere sempre interpretati restrittivamente in quantocomporterebbero una limitazione della sovranità e libertà degliStati.In base alla teoria dei poteri impliciti, particolarmente sviluppata dallaCorte Suprema degli Stati Uniti d’America per estendere lacompetenza dello Stato federale a scapito delle competenze degliStati membri, ogni organo disporrebbe non solo dei poteriespressamente attribuitigli dalle norme costituzionali, ma anchedi tutti i poteri necessari per l’esercizio dei poteri espressi.La Convenzione di Vienna non avalla interpretazioni“unilateralistiche” dei trattati. Sembra da escludere, cioè, cheuna norma contenuta in un accordo internazionale, a meno che nondisponga essa stessa in tal senso, possa assumere significatidifferenti a seconda dello Stato contraente, così come indicatodall’art.33 che nel caso dei trattati redatti in più lingueufficiali, impone un’interpretazione che comunque concili tutti itesti, e dall’art.31 secondo cui, nell’interpretare un trattato,occorre anche tenere conto di altre norme internazionali in vigoretra le parti.

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A parte la necessità di evitare interpretazioni unilateralistiche,ed a parte i casi in cui un giudice internazionale èesclusivamente competente, in via pregiudiziale, ad interpretareun trattato, deve rivendicarsi ai giudici interni la massimalibertà nell’interpretazione del diritto internazionaleanalogamente a quanto avviene per l’interpretazione del dirittointerno.

XIII. La successione degli Stati nei trattati

Il problema della successione nei trattati si pone quando unoStato si sostituisce ad un altro nel governo di un territorio. E' o non è vincolato dai trattati stipulati dal suo predecessore ein vigore in quel territorio?La sostituzione può avvenire per la cause e nei modi più svariati:per effetto di cessione o conquista, sotto la sovranità delloStato esistente oppure si costituisce uno Stato nuovo eindipendente, può darsi invece che il cambiamento di sovranitàriguarda l’intero territorio dello Stato, o infine, venga atrovarsi, a seguito di eventi rivoluzionari, sotto un apparato digoverno ( regime) diverso.Tutte queste vicende sono costituite da circostanze di fatto,ovvero sono costituite dall’effettivo esercizio del potere digoverno nell’ambito di un territorio. Ciò è vero anche quando lavicenda è conseguenza di un trattato, dato che i trattatiproducono soltanto effetti obbligatori e che pertanto, se unaccordo di cessione o di fusione non viene rispettato, vi sarà laviolazione di un obbligo ma le cose, per quanto riguarda l’assettodel territorio coinvolto, resteranno come prima.Alla successione degli Stati nei trattati è dedicata unaConvenzione di codificazione, predisposta dalla Commissione didiritto internazionale delle Nazioni Unite e firmata a Vienna nel1978.Un principio pacifico per la dottrina e la prassi in materia disuccessione,enunciato anche dall’art.12 della Convenzione, èquello per cui lo Stato che in qualsiasi modo si sostituisce ad unaltro nel governo di una comunità territoriale è vincolato daitrattati o dalle clausole di un trattato localizzabile, cioè cheriguardano l'uso di determinate parti di territorio, conclusi dalpredecessore. In questa categoria rientrano i trattati cheistituiscono servitù attive o passive nei confronti degli Stativicini, la concessione in affitto di parti del territorio, itrattati che prevedono la libertà navigazione dei fiumi e simili.

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La successione nei trattati localizzabili incontra un limite che ècomune a tutte le altre ipotesi in cui il diritto internazionaleammette la trasmissione dei diritti e degli obblighi pattizi. Talelimite consiste nelle non trasmissibilità degli accordi cheabbiano un prevalente carattere politico, che siano cioèstrettamente legati al regime vigente prima del cambiamento disovranità (es. può darsi che non si verifichi successione negliaccordi che concedono parti di territorio per l’installazioni dibasi militari straniere).Per quanto riguarda i trattati non localizzabili, che sono lamaggior parte, la prassi risulta assai confusa anche perché semprepiù spesso la successione nei trattati del predecessore è regolatamediante accordi tra lo Stato subentrante e le altre particontraenti dei precedenti trattati. La regola fondamentale daassumere come punto di partenza per i trattati non localizzabili èquella della c.d. tabula rasa: lo Stato che subentra nel governodi un territorio non è, in linea di principio, salve eccezioni,vincolato dagli accordi conclusi dal suo predecessore. La prassidepone in tal senso.Anche se la regola fondamentale è della tabula rasa, laConvenzione distingue la situazione degli Stati sorti dalladecolonizzazione dalla situazione di ogni altro Stato che subentrinel governo di un territorio. Mentre per la prima assume comeregola fondamentale quella della tabula rasa, per la secondasceglie la regola opposta della continuità dei trattati. Un similetrattamento differenziato non trova però corrispondenza neldiritto consuetudinario.A questo punto possiamo esaminare le singole ipotesi di mutamentodi sovranità assumendo come punto di partenza la regola dellatabula rasa.1. Il principio della tabula rasa si applica anzituttonell'ipotesi del distacco di una parte del territorio di unoStato. Può darsi che la parte di territorio distaccatasi siaggiunga al territorio di un altro Stato preesistente. In tal casogli accordi vigenti nello Stato che subisce il distacco cessano diavere vigore con riguardo al territorio distaccatosi e siestendono invece automaticamente gli accordi vigenti nello statoche acquista il territorio.2. Può darsi invece che sulla parte distaccatasi si formino uno opiù Stati nuovi (secessione). Anche in questo caso gli accordivigenti nello Stato che subisce il distacco cessano di averevigore con riguardo al territorio che acquista l'indipendenza. Laprassi relativa agli Stati sorti dalla decolonizzazione ha

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suggellato tale tendenza. L'applicazione del principio dellatabula rasa agli Stati nuovi formatisi per distacco è integraleper quanto riguarda i trattati bilaterali conclusi dalpredecessore e vigenti nel territorio distaccatosi. Tali trattatipotranno continuare a vivere solo se rinnovati attraverso unapposito accordo con la controparte, che potrà anche esseretacito, ossia risultare da fatti concludenti. La stessa cosa valeper i trattati multilaterali chiusi, ossia dei trattati che nonprevedono la partecipazione, mediante adesione, di Stati diversida quelli originari: anche in questa ipotesi sarà necessario unnuovo accordo con tutte le controparti. Per i trattatimultilaterali aperti, il principio della tabula rasa subisce untemperamento. Lo Stato di nuova formazione può, anziché aderire,procedere alla c.d. notificazione di successione: con tale atto lasua partecipazione retroagisce al momento dell'acquistodell'indipendenza. In altre parole, mentre l'adesione ha effettoex nunc, la notificazione di successione ha carattere retroattivo.3. Affine all'ipotesi della secessione è il caso dellosmembramento. Mentre la secessione non implica l'estinzione delloStato che la subisce, la caratteristica dello smembramento staproprio nel fatto che uno Stato si estingue e sul suo territoriosi formano due o più Stati nuovi. L'unico criterio idoneo adistinguere le due ipotesi è quello della continuità o menodell'organizzazione di governo preesistente: l'ipotesi dellosmembramento è da ammettere quando nessuno degli Stati residuiabbia la stessa organizzazione di governo, lo stesso regime. Aifini della successione nei trattati, lo smembramento deve essereassimilato al distacco. Si applica il principio della tabula rasa,temperato però dalla regola che per i trattati multilateraliaperti prevede la facoltà di procedere ad una notificazione disuccessione. La prassi recente rivela una certa tendenza degliStati nuovi ad accollarsi le obbligazioni pattizie dello Statosmembrato, tra l’altro dividendosi pro quota i debiti contratticon Stati esteri e con organizzazioni internazionali, anche sesembra non tanto ispirato a precisi principi di dirittointernazionale, quanto piuttosto sembra perseguire il fine praticodi evitare che il flusso dei crediti all’estero si interrompa.4. Opposte in un certo senso al distacco e allo smembramento sonol'incorporazione e la fusione. La prima si ha quando uno Stato,estinguendosi, passa a far parte di un altro Stato; la secondaquando due o più Stati si estinguono tutti e danno vita ad unoStato nuovo. La distinzione è molto sottile e bisogna pertantoriferirsi all'organizzazione di governo che risulta

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dall'unificazione, se vi è continuità dell’organizzazione digoverno di uno dei Stati preesistenti si parla di incorporazione (es. il Regno D’Italia nel secolo scorso ) mentre nel casocontrario di fusione. All'incorporazione si applica la regoladella mobilità delle frontiere dei trattati. I trattati delloStato che si estingue cessano di avere vigore, mentre alterritorio incorporato si estendono i trattati dello Statoincorporante. Così i trattati del Regno di Sardegna si estesero,dopo l’unità, al resto d’Italia, emntre si estinsero quelli deglialtri Stati Italiani. Per i trattati dello Stato incorporato vale,ancora una volta, il principio della tabula rasa. Lo stessoprincipio regola i casi di fusione: lo Stato sorto dalla fusione,sempre che sia effettivamente stato nuovo e che non presenticondizioni di continuità per quanto riguarda l'organizzazione digoverno, nasce libero da impegni pattizi.Un’eccezione al principio della tabula rasa, sia nell’ipotesidella incorporazione che in quella della fusione, deve ammettersiquando le comunità statali incorporate o fuse, pur estinguendosicome soggetti internazionali, conservino un notevole grado diautonomia nell’ambito dello Stato incorporante o nuovo, e siinstauri un rapporto di tipo federale. In tal caso, la prassi, siè orientata fin dal secolo scorso nel senso della continuità degliaccordi, con efficacia peraltro limitata alla regione incorporatao fusa e sempre che una simile limitazione fosse compatibile conl’oggetto e lo scopo dell’accordo. La convenzione adotta, agliartt.31-33, il principio della continuità dei trattati, senzadistinguere tra corporazione e fusione e tra sussistenza o meno diun vincolo di tipo federale, discostandosi dal dirittoconsuetudinario. 5. Un problema di successione nei trattati si pone anche nel casosi verifichi un mutamento di governo nell'ambito di una comunitàstatale, senza che il territorio subisca ampliamenti odiminuzioni. Quando il mutamento avviene per vie extralegali e siinstaura un regime radicalmente diverso, si deve ritenere che mutila persona di diritto internazionale (proprio perché lo Statosoggetto di diritto internazionale si identifica con l'apparato digoverno). Opera anche qui il principio della tabula rasa o si hauna successione del nuovo Governo nei diritti e negli obblighi delpredecessore? La prassi sembra orientata in questo secondo senso,eccezion fatta per i trattati incompatibili con il nuovo regime. Più che di un’eccezione, si tratta dell’applicazione nella materiasuccessoria del principio rebus sic stantibus, per cui i trattaticomunque si estinguono se mutano in modo radicale le circostanze

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esistenti al momento della loro conclusione. Per quanto riguardala successione nel debito pubblico, se questo non è statocontratto dal predecessore nell’ambito del proprio dirittointerno, ma è stato contratto da un accordo internazionaleconcluso con un altro Stato o con un’organizzazione internazionale(Fondo Monetario Internazionale, Banca per la Ricostruzione eSviluppo) vale anche qui, come per la successione dei trattati, ilprincipio della tabula rasa, salvi i debiti localizzabili, ossia idebiti contratti con esclusivo riguardo al territorio oggetto delcambiamento di sovranità. Per i debiti non localizzabili, si èvisto, con la prassi più recente, che l’accollo dei debiti è unanecessità pratica per continuare a godere del creditointernazionale, piuttosto che applicare precise regole di diritto internazionale generale.

XIV. Cause di invalidità e di estinzione dei trattatiLe cause di invalidità ed estinzione dei trattati sono moltosimili a quelle previste dal diritto dei contratti, ma lacategoria è allargata dalle cause tipiche del dirittointernazionale. La disciplina è contenuta da norme ad hoc e dalleconsuetudini che costituiscono i principi generali di diritto.Tra le cause di invalidità ( i vizi della volontà ) vi sono:1. errore essenziale, previsto dall'art. 48 della Convenzione di Vienna, è un fatto, una situazione che lo Stato supponeva esistente al momento in cui è stato concluso il trattato e che costituiva una base essenziale del consenso di questo Stato.2. dolo, previsto all'art. 49, comprende anche l'ipotesi della corruzione dell'organo stipulante (art. 50).3. violenza, che può essere fisica o morale, esercitata sull’organo stipulante, prevista all'art. 51.Tra le cause di estinzione vi sono:1. Condizione risolutiva;2. Termine finale;3. Denuncia o il recesso (ossia l’atto formale con cui lo Stato dichiara alle parti contraenti la volontà di sciogliersi dal Trattato, sempre che la possibilità di denunciare o recedere sia espressamente prevista dallo stesso trattato - art.56);4. Inadempimento della controparte ( in applicazione del principiogenerale inadimplenti non est adimplendum - art.60 )5. Sopravvenuta impossibilità di esecuzione6. Abrogazione ( totale o parziale, espressa o per incompatibilità) mediante accordo successivo tra le parti (art. 60)

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Tra le cause di invalidità rientra anche la violenza esercitatasullo Stato nel suo complesso. L'art. 52 infatti dispone che ènullo qualsiasi trattato la cui conclusione sia stata ottenuta conla minaccia o l'uso della forza in violazione dei principi dellaCarta delle Nazioni Unite. Si evince facilmente che viene banditol'uso della forza, ma si ritiene che si tratti della forza armata,perché nella prassi non ci sono elementi che faccianoricomprendere pressioni di altro genere (come le pressionipolitiche ed economiche ancorché illecite che ci sono spesso).La violenza sullo Stato è da configurare come causa d'invaliditàdei trattati entro limiti ristretti. Il problema dei trattatiineguali non si risolve sul piano della validità. Si interpretanoin modo equo i trattati in cui la parte non ha un ampio margine dipotere contrattuale, e in modo restrittivo le clausoleparticolarmente favorevoli agli Stati più forti.Come causa di estinzione degli accordi internazionali vieneconsiderata la c.d clausola rebus sic stantibus. Si ritiene cioè che iltrattato si estingue in tutto o in parte se mutano le circostanzeesistenti al momento della stipulazione, purché si tratti dicircostanze essenziali, senza cui i contraenti non avrebberotrattato. Per l'antica dottrina è una condizione risolutivatacita, perché venivano meno le circostanze a cui si subordinaval'efficacia del trattato. Se è espressa, non si creano problemiperché si configura come condizione stabilita dalle parti. Se,invece, non è espressa, la situazione è più delicata: si riconoscetuttavia che il trattato si estingua solo se le circostanze mutatecostituivano la "base essenziale del consenso delle parti" (art.62 Convenzione di Vienna). Questo principio sembra essere lanegazione della consuetudine secondo cui pacta sunt servanda.Ci si chiede se la guerra sia causa di estinzione o sospensionedei trattati. È ovvio che, fatti salvi certi trattati i quali sonostipulati proprio in vista della guerra e che appartengono al c.d.diritto internazionale bellico, gli accordi conclusi dagli Statibelligeranti prima della guerra non trovino applicazione fin chedurano le ostilità.Ma una volta ripristinato lo stato di pace, vi è la sospensione esi estinguono definitivamente?Il problema si è posto in Italia in relazione alla seconda guerramondiale, in particolare la soluzione venne data dall’art.44 deltrattato di pace del 1947, il quale stabiliva che le Potenzevincitrici avrebbero notificato all’Italia, entro 6 mesidall’entrata in vigore del Trattato, quali accordi bilateraliintendessero mantenere in vigore, e che gli accordi non notificati

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sarebbero stati considerati come abrogati, lasciandoimpregiudicata la questione se, per il periodo tra la fine dellaguerra e l’epoca della notifica, gli accordi bilaterali dovesseroritenersi vigenti o estinti.La prassi si è orientata a favore di eccezioni : si è così negatol’effetto estintivo della guerra in ordine ai trattatimultilaterali, considerando estinte solo quelle convenzioni che,per la materia di cui si occupano, siano incompatibili con lostato di guerra. Tuttavia bisogna verificare di volta in volta se la guerra abbiadeterminato un mutamento radicale delle circostanze esistenti almomento del trattato (rebus sic stantibus).Una volta che si è verificata la causa di estinzione o diinvalidità, questa opera automaticamente o è necessario un attoformale di denuncia? Il problema è molto controverso in dottrina:1. certe cause (termine finale, abrogazione da parte di un accordosuccessivo etc.) operano automaticamente.2. altre cause di invalidità e di estinzione (che sono la maggiorparte, come i vizi della volontà o il mutamento sopravvenuto dellecircostanze) operano in modo automatico secondo alcuni, dopo unformale atto di denuncia notificato agli Stati contraenti secondoaltri, resta in vigore finché non si accerta in modo imparziale lacausa di invalidità o estinzione secondo altri ancora.Tendenzialmente si esclude l'automaticità quando la causainvalidante o estintiva consista in fatti difficili da provare odi dubbia interpretazione (esclusa la guerra).A complicare la materia contribuisce anche la Conv. Di Vienna( artt.65ss.) che, da un lato, introduce modalità e termini perfar valere l’invalidità o l’estinzione, ignoti al dirittoconsuetudinario, dall’altro non prevede un sistema di soluzionedelle controversie realmente capace di evitare gli abusi. Chiunquedebba applicare un trattato, in particolare i giudici nazionali,non può non decidere se il trattato sia ancora in vigore o siaestinto o invalido, che però è una decisione valida solo per ilcaso concreto, cioè non è vincolante in altri casi successivi, mapuò avere conseguenze di carattere internazionale dando luogo aproteste di quegli Stati contraenti che lo ritengono perfettamentevalido.L’automaticità quindi non è alternativa alla denuncia. L’attoformale di denuncia, notificato alle altre Parti contraenti o aldepositario del trattato, consiste nella manifestazione dellavolontà di uno Stato di sciogliersi una volta per tutte dalvincolo contrattuale. La denuncia produce la cessazione del

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vincolo? La denuncia vincola alla disapplicazione, ma deveprovenire dagli organi competenti a manifestare la volontà delloStato sul piano dei rapporti internazionali. A tali fini,bisognerà guardare la Costituzione dei singoli Stati: in generaleè l'Esecutivo, ma esistono anche forme di collaborazioni traParlamento e Governo. Gli altri Stati contraenti non sono vincolati dalla denuncia delloStato. In caso di disaccordo sull'effettiva insorgenza della causadi invalidità o estinzione, il trattato entra in una fase diincertezza sul piano del diritto internazionale.Procedura prevista dalla Conv. di Vienna per far valerel'invalidità e l'estinzione (artt. 65-68)Art. 65 par.1 / Art.67 par.1 : lo Stato il quale invoca un viziodel consenso, o altro motivo riconosciuto come causa di estinzioneo d’invalidità, deve notificare per iscritto la sua pretesa allealtre Parti contraenti del trattato in questione.Art. 65 par.2 / Art.67 par.2 : Se, trascorso un periodo noninferiore a tre mesi salvi i casi di urgenza, non vengonopresentate obiezioni, lo Stato può definitivamente dichiarare cheil Trattato è invalido o estinto, con atto comunicato alle altreparti, sottoscritto dal Capo dello Stato o dal Capo del Governo odal Ministro degli Esteri, o comunque da una persona munita dipieni poteri in tal senso.Art. 65 par.3 : se invece vengono presentate obiezioni, si devecerca una soluzione della controversia con mezzi pacifici qualinegoziati, conciliazione, arbitrato, ecc.. Art.66 : la soluzione deve pervenire entro 12 mesi. Trascorsoinutilmente questo termine, si mette in moto una complicataprocedura conciliativa che fa capo ad una Commissione formatanell'ambito delle Nazioni Unite che sfocia in una decisione nonobbligatoria, ma esortativa. La pretesa all'invalidità o estinzione resta paralizzata inperpetuo. I giudici interni non sono mai vincolati e costrettialla paralisi.

XV. Le fonti previste da accordi: le Nazioni Unite

I Trattati non contengono solo regole materiali, ma anche regolestrumentali o formali, che istituiscono cioè ulterioriprocedimenti o fonti di produzione di norme.L’esempio più importante è fornito dalle Organizzazioniinternazionali : in tutti i casi in cui è abilitata dal usotrattato istituivo ad emanare decisioni vincolanti per gli Stati

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membri, si è in presenza di una fonte prevista da accordo.Generalmente però il loro compito non è quello di emanare norme,ma di facilitare la collaborazione tra Stati membri, medianteraccomandazioni, cioè atti che hanno scarso valore giuridicoperché non sono vincolanti, ma hanno solo valore di esortazione.Non mancano però le eccezioni,come nel caso dell’UE che è dotatadi poteri vincolanti.Le risoluzioni delle organizzazioni internazionali possono essere,a seconda dei loro Statuti, prese a maggioranza o maggioranzaqualificata, ma spesso è richiesta l'unanimità. Recentemente si èaffermata la pratica del consensus, che consente nell'approvareuna risoluzione senza una votazione formale, ma con unadichiarazione (non contestata, ma concertata) dal Presidentedell'organo che attesta l'accordo tra i membri.L’Organizzazione delle Nazioni Unite fù fondata dopo la secondaguerra mondiale dagli Stati che avevano combattuto contro lePotenze dell’Asse, e prese il posto della Società delle Nazioni.La Conferenza di San Francisco ne elaborò la carta nel 1945 chevenne ratificata dagli Stati fondatori (la Svizzera non ne faparte). L'art. 7 della sua carta disciplina i suoi organi principali:1. Assemblea generale: ha una competenza ratione materiae , cioèha quasi tutte le competenze (tende a coincidere con la stessaorganizzazione), ma non ha alcun potere vincolante; sonorappresentati tutti gli Stati e tutti hanno pari diritto di voto.2. Consiglio di Sicurezza: composto da 15 membri, di cui 5 atitolo permanente [USA, Russia, Francia, Gran Bretagna e Cina] chegodono anche del diritto di veto, cioè del diritto di impedire colloro voto negativo l’adozione di qualsiasi delibera che non abbiamero carattere procedurale, e gli altri 10 membri sono eletti perun biennio dall’Assemblea. È l’organo di maggior rilievo, sioccupa di questioni attinenti al mantenimento della pace e dellasicurezza internazionale e dispone in taluni casi di poteridecisionali vincolanti.3. Consiglio economico e sociale: i suoi membri vengono elettidall'Assemblea generale per tre anni ed insieme al Consiglio diamministrazione fiduciaria è subordinato all'Assemblea generale,di cui devono seguire le direttive.5. Corte internazionale di giustizia: formata da 15 giudici, ha lafunzione di dirimere le controversie tra Stati, ma ha anche unafunzione consultiva può dare pareri su qualsiasi questionegiuridica (non sono però né obbligatori, né vincolanti).

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6. Segretariato (Segretario Generale) : è nominato dall'Assembleagenerale su proposta del consiglio di sicurezza ed è l'organoesecutivo.Consiglio di sicurezza, Assemblea generale, Consiglio economico esociale e Consiglio di Amministrazione Fiduciaria sono organicomposti da Stati e quindi manifestano la volontà del proprioStato. Il Segretario generale e la Corte Internazionale diGiustizia sono invece organi composti da individui e non devonomanifestare la volontà di nessun Stato.Le materie di competenza sono vastissime, ma l’art. 2 della Cartasostiene che non devono intervenire in questioni che appartengonosostanzialmente alla competenza interna di uno Stato. Le aree di competenze che le spettano possono essere raggruppatein tre categorie:

1. mantenimento della pace;2. sviluppo delle relazioni amichevoli tra Stati fondatori sul

principio di eguaglianza dei diritti e autodeterminazione deipopoli;

3. collaborazione in campo economico, sociale, culturale eumanitario.

La sua attività principale consiste nell'emanazione diraccomandazioni e nella predisposizione di progetti di convenzione(soprattutto per l'Assemblea generale che non è organolegislativo, ma foro di discussione). L'organizzazione è dotata,in rari casi, anche di poteri vincolanti nei confronti degli Statimembri. Secondo l'art. 17 della Carta, l'Assemblea generale ha il poteredi ripartire tra gli Stati membri le spese dell'organizzazione(deve essere approvata con una maggioranza dei 2/3 - art.18) chevincola tutti gli Stati.Inoltre può esprimere una decisione vincolante sulle modalità etermini per la concessione dell'indipendenza ai territori sottodominio coloniale.Per quanto riguarda le decisioni vincolanti del Consiglio diSicurezza,sono previste da talune disposizioni rispetto alla minaccia allapace,alle violazioni della pace e agli atti di aggressione. Gliartt. 41 e 42 distinguono le misure implicanti e quelle nonimplicanti l'uso della forza contro uno Stato che abbia anchesoltanto minacciato la pace.Secondo l’art.42 il Consiglio può intraprendere azioni di tipobellico contro uno Stato.

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L' art. 41 prevede le c.d. sanzioni e dispone che il Consiglio disicurezza decide quali misure non implicanti l'uso della forzaarmata debbono essere adottate dagli Stati membri contro uno Statoche minacci o abbia violato la pace e indica siffatte misure atitolo esemplificativo, l'interruzione totale o parziale dellerelazioni economiche e delle comunicazioni ferroviarie, marittime,aeree, postali, telegrafiche, radio e altre e la rottura dellerelazioni diplomatiche.Anche un comportamento interno di uno Stato può indurre ilConsiglio a ricorrere a dette sanzioni.XVII. L'Unione Europea e il diritto comunitario

La CECA (Comunità Economica del Carbone e dell’Acciao) fu creatacon il Trattato di Parigi nel 1951,oggi scomparsa non essendostata più rinnovata nel 2002; la CEE (Comunità Economica Europea)oggi denominata CE (Comunità Europea) ed EURATOM (Comunità Europeadell’Energia Atomica) nel 1957 con i Trattati di Roma. Le Comunità, già dall’atto della loro costituzione, sipresentarono come organizzazioni internazionali sui generis,dotate di ampi poteri vincolanti nei confronti degli Stati menbri,offrendo così un’ampia gamma di fonti di norme previste da accordiinternazionali (la c.d. legislazione comunitaria).Nonostante siano separate, hanno organizzazioni comuni.La loro disciplina di funzionamento e organizzazione è stata inmaniera rilevante modificata da una serie di trattati: l'AttoUnico Europeo, firmato a Lussemburgo nel 1986 e il Trattato diMaastricht del 1992 sull'Unione Europea, il Trattato di Amsterdame il Trattato di Nizza.il Trattato di Maastricht ha dato vita all’Unione Europea, che sifonda sulle tre (oggi due) Comunità ed inoltre su azioni comuni inambito di politica estera e su una cooperazione degli Stati nelsettore della giustizia e degli affari interni. Significativemodifiche sono state inoltre introdotte in materia di cittadinanzaeuropea, che è attribuita a tutti i cittadini degli Stati membri ecomporta alcuni diritti come il permesso di soggiornare ecircolare liberamente in tutto il territorio comunitario, nelrafforzamento del potere del Parlamento e nell'istituzione di unaunione economica e monetaria (con la creazione di una bancacentrale comune -BCE- e della moneta unica -euro-).Dell’Unione Europea fanno parte oggi 25 Stati di cui 6 (Belgio,Francia, Italia, Lussemburgo, Olanda e Repubblica FederaleTedesca) fin dall’inizio.

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Delle tre organizzazione sicuramente la CE è la più importante,poiché investe tutta la vita economica e sociale degli Statimembri. Così, mentre la CECA si occupa del mercato comune nelsettore carbosiderurgico e l'EURATOM nel settore dell'energiaatomica.Il Trattato istitutivo della CE prevede infatti:la liberacircolazione delle merci,delle persone,dei servizi e dei capitali.Oltre ad assicurare queste 4 libertà fondamentali, il trattatoprevede :

- l’art.14 : la costituzione di unico “mercato interno”;- artt.81 ss. : interventi degli organi comunitari diretti a

garantire la libera concorrenza (norme antitrust); - artt.32 ss. : attuare una politica agricola comune;- artt.70 ss. : attuare una politica comune dei trasporti;- artt.131 ss. : attuare una politica commerciale comune;- artt.94-97 : disciplinare il regime degli aiuti e degli

incentivi alle imprese, a regolare la materia della sicurezzasociale, della politica economica monetaria e dello sviluppotecnologico e dell’ambiente, ad assicurare la parità tra uomoe donna,ecc.. Infine stabilisce le competenze degli organi comunitari alfine di assicurare il riavvicinamento delle legislazionidegli Stati membri.

La maggior parte delle norme del trattato sono elastiche, generiche eprogrammatiche : esse possono restare lettera morta se gli organicomunitari non le mettono in pratica attraverso i loro atti.Gli organi principali della CE sono:

- COMMISSIONE : è composta da individui e non da Stati e chequindi non ricevono istruzioni dai governi nazionali diappartenenza, a differenza delle altre OrganizzazioniInternazionali, nelle quali di solito gli organi detentoridei poteri principali sono composti da Stati. Per questo didice che la CE è un ente sopranazionale oltre cheinternazionale.Ha poteri esecutivi e poteri di iniziativa legislativa neiconfronti del Consiglio e del Parlamento. Essa è nominata dalConsiglio, il quale delibera a maggioranza, previaautorizzazione del Parlamento Europeo,delle candidatureproposte dagli Stati membri.

- CONSIGLIO : è l'organo che rappresenta i 25 Stati membried è presieduto a turno per 6 mesi. Di solito ne fanno parte iministri. Emana gli atti più importanti della legislazionecomunitaria decidendo, secondo i casi, a maggioranza o

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all'unanimità o alle volte a maggioranza semplice oqualificata.

- PARLAMENTO EUROPEO : dal 1979 è composto dairappresentanti dei popoli degli Stati membri eletti asuffragio universale diretto. Non è l'organo legislativo dellacomunità, ma l’Atto Unico Europeo e il Trattato di Maastrichtgli hanno conferito certi poteri di partecipazioni allafunzioni legislativa. Svolge una funzione di controllopolitico sulle altre istituzioni, mediante l'esame deirapporti che gli altri organi sono tenuti a sottoporgli(tranne la Corte di Giustizia).

Per quanto riguarda la funzione legislativa, vannoricordate le procedure di cooperazione e codecisione. La proceduradi cooperazione (art.252 Trattato CE) si applica in materia ditrasporti, fondo sociale europeo, ricerca e sviluppoprofessionale e l'ultima parola spetta al Consiglio (se ilConsiglio è unanime può anche andare contro il parere delParlamento in seconda lettura). La procedura di codecisione(art.251 Trattato CE) si applica nelle materie di circolazionedelle persone, libertà di stabilimento e circolazione diservizi. Il Parlamento può bloccare l'azione del Consiglio conuna decisione adottata a maggioranza assoluta dai suoi membri.

- CORTE DEI CONTI : svolge funzioni di controllo su tutte leentrate e le spese della Comunità, è composta da 15 giudiciindipendenti nominati dal Consiglio.

- CORTE DI GIUSTIZIA : veglia sul rispetto dei Trattaticomunitari e può essere anche adita dai cittadini europei. Adessa è stato affiancato un Tribunale di prima istanza e unTribunale della funzione pubblica, per le controversie dilavoro con i funzionari.

Da questo quadro, si riesce a capire che in realtà l'organolegislativo è il Consiglio e che la legislazione comunitaria sicaratterizza per essere generica e programmatica.L’art.249 del Trattato CE prevede i seguenti tipi di attivincolanti:

- REGOLAMENTI : hanno portata generale obbligatoria in tutti isuoi elementi ed è direttamente applicabile. Si tratta dinorme generali ed astratte che gli Stati devono applicare(quindi si sostituisce o si sovrappone alla legislazioneinterna dei singoli Stati membri). Ai sensi dell’art.254i regolamenti entrano in vigore a seguitop dellapubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea,

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trascorsa una vacantio legis di 20 giorni oppure entro illimite volta a volta stabilito;

- DECISIONI : non hanno portata generale ed astratta, maconcreta. Può indirizzarsi sia ad uno Stato membro, sia ad unindividuo, sia ad un'impresa che opera nel territoriocomunitario. È un atto vincolante e quindi il soggetto a cuiè indirizzata la deve osservare.Acquistano efficacia non con la pubblicazione, ma con lanotifica al destinatario.

- DIRETTIVE : vincolano lo Stato al risultato da raggiungere,lasciando la scelta di forma e mezzi nella competenza degliorgano nazionali. La direttiva dovrebbe enunciare principi ecriteri generali, ma oggi è sempre più dettagliata, tanto chela scelta dello Stato si limita solo alla forma giuridicainterna della norma (cioè se scegliere una legge o un attoamministrativo).Secondo l’art.254, le direttive indirizzate a tutti gli Statimembri, nonché quelle approvate con la procedura dicodecisione, entrano in vigore per effetto della solapubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea;mentre quelle indirizzate ai singoli Stati sono soltantonotificate ai destinatari.

Altri atti che posso emanare, che sono però non vincolanti, sono leraccomandazioni e i pareri.Vi sono poi degli atti propri dell’UE, riguardando la cooperazionein politica estera e di sicurezza nonché la cooperazione nelsettore della polizia e della giustizia penale.Per la politica estera :

- Azioni comuni : -art.14 Trattato UE- che affrontano specifichesituazioni per cui è necessario un intervento operativodell’Unione e che vincolano gli Stati membri;

- Posizioni comuni : -art.15- che, senza richiedere un interventooperativo, riguardano questioni di antura geografica otematica, e che hanno una forza vincolante più attenuata, inquanto gli Stati provvedono a conformare ad essi le loropolitiche nazionali;

- Decisioni-quadro : -art.34- che si propongono fini diravvicinamento delle legislazioni, e che, come le direttive,vincolano gli Stati quanto al risultato da raggiungere,lasciandoli liberi quanto alle forme ed i mezzi;

- Decisioni : -art.34- che possono perseguire qualsiasi altroscopo coerente con gli obiettivi della cooperazione dipolizia e giudiziaria in amteria penale.

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Come tutte le organizzazioni internazionali, le Comunità Europeehanno la capacità di concludere accordi internazionali.L’art.300 del Trattato CE indica gli organi della Comunitàcompetenti per i Trattati (Commissione, per quanto riguarda inegoziati; al Consiglio, previa consultazione o, in certi casi,previo parere conforme del Parlamento, per la manifestazione divolontà diretta ad impegnarsi). La Corte di Giustizia può dare unparere sulla compatibilità dell'accordo con le disposizioni delTrattato. Gli accordi stipulati diventano una categoria di atticomunitari con efficacia vincolante.Tra gli accordi troviamo:

- Convenzioni di Associazione : -art.310- che istituisconoun'associazione caratterizzata da diritti e obblighireciproci, da azioni in comune e da procedure particolari;

- Accordi commerciali : -art.133- cioè di politica commercialecomune.

In questi casi la competenza esclusiva è della Comunità e gliStati membri non possono stipulare da soli accordi nelle stessematerie.Questo può causare però un effetto paralizzante per gli stessiinteressi comunitari ogni qualvolta un Stato terzo non intendacontrarre con la Comunità, oppure ogni qualvolta nell’ambitocomunitario non si raggiunga l’intesa necessaria per un’azioneesterna comune. Per evitare questo vi è la pratica delleautorizzazioni accordate dal Consiglio ai singoli Stati membri per laconclusione di accordi con Stati terzi o degli accordi misti, ovveroalla conclusione dell’accordo possono partecipare sia la Comunitàsia gli Stati membri. Secondo l’art.300 del Trattato la Comunità non può stipulare inuna delle altre materie regolate dallo stesso. La situazione oggiè mutata soprattutto ad una sentenza della Corte di Giustizia intema di politica dei trasporti. La Corte ritenne che esiste unparallelismo tra competenze interne ed esterne comunitarie: intutte le materie in cui la Comunità ha, in base al Trattato,competenza ad emanare atti di legislazione comunitaria, ha ancheimplicitamente competenza a concludere accordi con Stati terzi.Una volta che la competenza sia stata esercitata all'interno delleComunità in una determinata materia,sempre che non si tratti didisposizioni sulle garanzie minime, la competenza esterna diventaesclusiva rispetto a quella degli Stati membri. Ne consegue chegli Stati restano liberi di stipulare accordi internazionalifinché la Comunità non abbia legiferato, ma poi perdono talelibertà.

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XVIII. Il Consiglio d'Europa

Dopo la seconda guerra mondiale furono create due organizzazioni:l'OECE (Organizzazione Europea per la Cooperazione Economica) poitrasformata nel 1960 in OCSE (Organizzazione per la Cooperazione elo Sviluppo Economico), e il Consiglio d'Europa (comprendente 40Stati).Secondo l’art.1 del Trattato istitutivo lo scopo del Consigliod’Europa è di conseguire una più stretta unione fra i suoi membriper salvaguardare e promuovere gli ideali e i principi checostituiscono il loro comune patrimonio e di favorire il loroprogresso economico e sociale.L’art.3 aggiunge che ogni membro del Consiglio deve accettare ilprincipio della preminenza del Diritto e quello in virtù del qualeogni persona, posta sotto la sua giurisdizione, deve godere deidiritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.Gli organi principali sono :

- COMITATO DEI MINISTRI : dotato di maggiori poteri,compostodai ministri degli Esteri;

- ASSEMBLEA CONSULTIVA : che esprime voti e raccomandazioni alComitato dei Ministri ed è composta da rappresentanti deiParlamenti nazionali;

- SEGRETARIATO (con a capo un segretario generale).Le funzioni principali sono quelle di predisporre convenzioni inmaterie giuridiche, come quelle relative al diritto e allaprocedura penale, e ai diritti umani, come la Convenzione europeadei diritti dell’uomo. Questa fu firmata a Roma nel 1950 e sonoattualmente parti contraenti tutti gli Stati membri del Consigliod’Europa. Contiene due generi di norme: uno a caratteresostanziale (in cui è offerto il catalogo dei diritti e dellelibertà fondamentali) e una a carattere procedurale.

XIX. Le raccomandazioni degli organi internazionali

Le raccomandazioni sono l'atto tipico delle Nazioni Unite. Nonsono vincolanti e per questo non si possono inserire tra le fontidel terzo tipo e ci si chiede se siano del tutto improduttiva dieffetti giuridici.Si dice che la raccomandazione preveda il c.d. effetto liceità:non commette illecito lo Stato che segue una raccomandazione,andando contro ad impegni già assunti con accordo o contro ildiritto consuetudinario. Tale effetto è da ammettere solo nei

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rapporti tra Stati membri e solo con riguardo alle raccomandazionilegittime (che non fuoriescono dalle competenze proprie degliorgani del trattato). Manca però un organo incaricato di giudicarela legittimità della raccomandazioni o quelli che l'abbianoapprovata senza riserva. Per gli Stati che hanno votato contro osi siano astenuti, l'effetto liceità è da escludersi.Qualcuno dice che l'obbligo di cooperazione previsto dai trattatiistitutivi di organizzazione internazionali fa sì che sia illecitoil comportamento di uno Stato che rifiuti di osservare tutta unaserie di raccomandazioni. Questa impostazione non è da condividereperché le raccomandazioni non sono vincolanti e la caratteristicadell'atto consiste proprio nella funzione esortativa.

XX. La gerarchia delle fonti internazionali1. Norme consuetudinarie (compresi i principi generali di

diritto comuni agli ordinamenti);2. Trattati (che ha il fondamento dell’obbligatorietà nella

consuetudine pacta sunt servanda);3. Fonti previste da accordi (gli atti delle organizzazioni

internazionali).La consuetudine è molto flessibile, poiché può essere derogata dauna fonte inferiore, nei limiti in cui la consuetudine loconsente. Oggi si parla sempre più di un gruppo di norme cogenti (iuscogens).L'art. 53 della Convenzione di Vienna sancisce la nullità diqualsiasi trattato che, al momento della sua conclusione, è incontrasto con una norma imperativa del diritto internazionalegenerale. Con norma imperativa del diritto internazionale generalesi intende una norma accettata e riconosciuta dalla comunitàinternazionale degli Stati nel suo insieme, come norma a cui nonsi può apportare nessuna deroga e che non può essere modificata senon da una norma di diritto internazionale generale avente ilmedesimo carattere.Il trattato quindi non può derogare le norme cogenti del dirittointernazionale.L'art. 64 stabilisce che se una norma imperativa di dirittointernazionale generale è in contrasto con un trattato, questodiventa nullo e si estingue.Ma cos'è il diritto cogente? La Convenzione di Vienna non lo dice,né la dottrina riesce a trovare un criterio di riferimento. Si faleva sull'art. 103 della Carta dell'ONU: in caso di contrasti tragli obblighi contratti dagli Stati membri delle Nazioni Unite con

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il presente Statuto e gli obblighi da esse assunti in base aqualsiasi altro accordo internazionale prevarranno gli obblighiderivanti dal presente statuto. Oggi il rispetto della Carta èconsiderato fondamentale.

PARTE TERZA

L’APPLICAZIONE DELLE NORME INTERNAZIONALI ALL’INTERNO DELLO STATO

38. L'adattamento del diritto statale al diritto internazionale

I mezzi di applicazione di una norma internazionale sono:- Gli operatori giuridici e in particolare gli organi statali

(per mezzo delle norme giuridiche);- L’accertamento giudiziario (applicazione diretta della norma

da parte dei giudici).Non si può dire che il diritto internazionale debba essereapplicato a tutti i costi all'interno dello Stato perché ildiritto interno deve poter difendere certi valori costituzionali,sacrificando, se necessario, il diritto internazionale. Tuttaviala difesa dei valori interni non deve avvenire ad ogni costo,perché sono importanti anche valori internazionalistici (come lacollaborazione e la solidarietà internazionale).Una distinzione generale attiene al mezzo attraverso il quale ildiritto internazionale viene nazionalizzato, quindi introdottonell’ordinamento statale. Si tratta della distinzione traprocedimenti ordinari e procedimenti speciali di adattamenti.Nel caso del procedimento oridinario l’adattamento avvienemediante norme (costituzionali, legislative, amministrative) chesi distinguono da quelle statali solo per il motivo per cuivengono emanate. Le norme internazionali vengono riformulateall'interno dello Stato.Nei procedimenti speciali, la norma internazionale non vieneriformulata all'interno dello Stato: gli organi con funzioninormative ordinano l'osservanza della norma internazionale. Ilcostituente, il legislatore o l'organo amministrativo operano conrinvio alla norma internazionale (come del resto obbliga l'art. 10Cost.), dando diretta applicazione nello Stato della normainternazionale. Di solito è infatti con legge che si dà ordine diesecuzione di un trattato.Tra i due è preferibile il procedimento speciale: con ilprocedimento ordinario ci si trova ad interpretare e riformularecon provvedimento interno la norma. L'interprete si trova di

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fronte ad una norma identica a quella statale, tranne che per ilmotivo che l'ha ispirata. Se chi ha emanato la norma interna, nonha esattamente interpretato la norma internazionale da introdurrenell’ordinamento statale o se si è estinta, questo non ha rilievoin quanto l’interprete si trova di fronte ad una norma interna enon ha altra scelta se non quella di applicarla. La situazione èdiversa nel caso del procedimento speciale, qui la norma internaopera un mero rinvio alla norma internazionale, è l’interprete chedeve ricostruire integralmente il contenuto della norma e devestabilire se non si sia estinta. Il giudice potrà commettereerrori di interpretazione della norma internazionale, ma l'erroresi circoscriverà al caso concreto e non a tutte le fattispecie. Ilprocedimento ordinario è però necessario in altri casi: quando lanorma internazionale non è direttamente applicabile ("self-executing"), ma necessita di un'attività integratrice da parte degliorgani statali. In Gran Bretagna generalmente si usa ilprocedimento ordinario e, una volta introdotta, la normainternazionale coincide con quella nazionale. Gli altri Paesiinvece preferiscono il procedimento speciale.Una volta introdotte nell’ordinamento interno,le normeinternazionali sono fonte di diritti e obblighiLe norme internazionali nazionalizzate non sono di per séapplicabili solo quando lasciano ampi margini di libertà alloStato circa la loro esecuzione (norme non self-executing).La norma non self-executing si può avere in tre casi ben precisi:

- quando la norma attribuisce semplici facoltà agli Stati;- quando la norma, pur imponendo obblighi, non riceve

esecuzione perché mancano gli organi predisposti o leprocedure indispensabili per la sua applicazione;

- quando la sua applicazione comporti particolari adempimentidi carattere costituzionale.

Vi è poi la tendenza ad utilizzare la distinzione tra normeinternazionali self-executing e non self-executing a scopipolitici, ossia per non applicare norme indesiderate, appellandosial fatto che contenga principi generali anziché norme didettaglio.Ci sono casi dubbi di norme self-executing e non self executing,ma noi crediamo che si ha self-executing quando, in caso disospensione o di mancata obbligazione o difficoltà di applicazionedella norma internazionale, si debba ricorrere a procedure diconciliazione o atti o mezzi di risoluzione delle controversi, chetengano conto delle esigenze dello stesso Stato che ha sospeso onon ha applicato il Trattato.

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E' ancora self-executing quando la norma internazionale contieneuna "clausola di esecuzione" che preveda che gli Stati adotterannotutte le misure di ordine legislativo o d'altro genere per dareeffetto alle sue disposizioni.Invece quando nonostante la clausola di esecuzione, ci sono normeeffettivamente non direttamente applicabili ed impegnano lo Statoa prendere i provvedimenti legislativi ed amministrativiappropriati, si può parlare di non self-executing.L'adattamento con rinvio comporta delle difficoltà soprattutto neldeterminare la fattispecie astratta ad opera dell’interprete e laconseguente applicazione a causa della formazione della normastessa che è una formulazione internazionalistica : è difficiledire, cioè, a quali soggetti la norma debba applicarsi, e inparticolare se essa debba applicarsi soltanto a rapporti in cuisiano coinvolti enti stranieri oppure sia utilizzabile anche neirapporti tra enti pubblici e privati nazionali (es. normaconsuetudinaria che vieta allo Stato di esercitare poteri divigilanza doganale al di là dei mari adiacenti alle proprie coste,introdotta nell’ordinamento italiano potrà essere invocata daequipaggi di navi straniere, ma non da navi italiane).Può darsi, infine, che un accordo internazionale, di cui sia datoin Italia l’ordine di esecuzione, contenga disposizionivantaggiose per uno Stato estraneo all’accordo (art.77 trattato dipace tra Italia e Potenze Alleate che prevede la rinunciadell’Italia a qualsiasi domanda contro la Germania precedente al1945). Disposizioni del genere possono essere invocate in Italiadallo Stato interessato e dai suoi cittadini, nonostante l’impegnosia stato assunto nei confronti di altri paesi.Rango nella gerarchia delle fonti interne:tende ad essere quello che, nella gerarchia delle fonti,corrisponde al procedimento (ordinario o speciale) di adattamento:se all'adattamento provvede il Costituente la norma avrà rangocostituzionale; se è il legislatore ordinario (trattati) avràrango di legge ordinaria.

39. L'adattamento al diritto internazionale consuetudinario

In Italia l'adattamento al diritto internazionale generale avvienea livello costituzionale, come prevede l’art. 10 della Cost :L’ordinamento giuridico Italiano si conforma alle norme deldiritto internazionale generalmente riconosciute.Questa norma prevede un procedimento di adattamento speciale o conrinvio. Il Costituente ha affermato la sua volontà di adattamento

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automatico, completo e continuo. Le norme internazionali valgonoall'interno dello Stato se e finché vigono nell'ordinamentointernazionale. Il rango assunto dal diritto internazionale generale, introdottonel sistema della gerarchia delle fonti, in quanto l’adattamentoalle norme internazionali è previsto dalla Costituzione, è ad unlivello superiore alla legge ordinaria. Una legge ordinaria cheviola il diritto internazionale, quindi, sarebbecostituzionalmente illegittima per violazione dell'art. 10Costituzione, e quindi potrà essere annullata dalla CorteCostituzionale.In linea di massima il diritto consuetudinario è subordinato aldiritto costituzionale, con la conseguenza che il primo prevarrànormalmente sul secondo a titolo di diritto speciale.In concreto non ci sono molte possibilità di conflitto tra normeinternazionali generali e norme costituzionali perché si ha unadifferenza di competenze. La Costituzione regola i rapporti tra loStato e i suoi organi; il diritto consuetudinario internazionaleregola i rapporti tra organi, stranieri e Stati stranieri.Tuttavia è possibile che si verifichino dei conflitti : ad es.l’art.24 Cost. che garantisce la tutela giurisdizionale deidiritti viene in contrasto con le norme consuetudinariesull’immunità dalla giurisdizione civile. La soluzione al problemasi ravvisa nella possibilità dei giudici di disapplicazione lanorma internazionale che violi i principi fondamentali garantitidalla Costituzione.

40. L'adattamento dei trattati e delle fonti da esso derivate

La nostra Costituzione non prevede alcuna norma sull'adattamentodei Trattati. Il Quadri, con un'interpretazione un po' forzata, hatentato di farli rientrare nella previsione dell'art. 10, facendoleva sulla consuetudine "pacta sunt servanda", ovvero che itrattati vanno osservati, l’adattamento al diritto generalecomporterebbe quindi la volontà del Costituente di conformarel’ordinamento italiano anche a tutti gli accordi stipulatidall’Italia. Il Costituente però si è limitato a parlare didiritto internazionale generale e non anche del dirittointernazionale particolare, con lo scopo di limitarlo alle soleregole materiali; oggi, inoltre, si stipulano fin troppi trattatie farli assurgere a rango costituzionale significherebbefacilitare i raggiri e le revisioni delle norme costituzionalisenza le procedure previste dalla Carta fondamentale.

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Perché il Trattato entri in vigore, è necessario un ordine diesecuzione, è un procedimento speciale o di rinvio: esso si limitaquindi ad esprimere la volontà che il trattato sia eseguito edapplicato all’interno dello Stato,senza riformulare le norme marimettendo all’interprete interno la ricostruzione el’interpretazione delle medesime. Generalmente lo si dà con leggeordinaria, ai sensi dell’art.80 Cost. che autorizza la ratificadel trattato da parte del Capo dello Stato e precede l’entrata invigore dell’accordo. Nulla vieta però che possa essere anche unatto amministrativo. La giurisprudenza ritiene che se è statostipulato un trattato, ma ancora non è intervenuto ilprovvedimento che ne ordini l'applicazione, non si può pretendernel'osservanza e poco importa la responsabilità degli organinazionali sul piano internazionale per violazione degli obblighicontratti. Da questa impostazione si capisce facilmente cheneanche la giurisprudenza avalla la tesi che un trattato abbiaqualcosa in più rispetto alla legge sul piano della gerarchiadelle fonti. Se l'ordine di esecuzione viene dato con legge, iltrattato sarà parificato alla legge.Fino all’entrata in vigore della legge cost.2001 che ha modificatoil titolo V della Costituzione, doveva ritenersi che essi fosseroin tutto e per tutto rapporti fra norme di pari rango, regolatiquindi dal principio per cui la legge posteriore abrogal’anteriore e la legge speciale prevale sulla legge comune.L’art.3 della legge citata sancisce una prevalenza degli obblighiinternazionali, quindi anche degli obblighi derivanti da trattatisulla legislazione ordinaria.Deve ritenersi quindi che sia viziata da illegittimitàcostituzionale, per violazione indiretta della Costituzione, ecome tale possa essere annullata dalla Corte Costituzionale, lalegge ordinaria che non rispetti i vincoli derivanti da untrattato.Sul piano interpretativo gli strumenti utilizzati sono:

- presunzione di conformità delle norme interne al dirittointernazionale: se la legge posteriore è ambigua, deve essereinterpretata in modo da consentire allo Stato il rispettodegli obblighi assunti in precedenza.

- Il trattato si considera una norma speciale ratione materiae:esso non sempre è applicabile, ben potendo una legge internaregolare una materia più specifica rispetto al trattatointernazionale;

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- La legge posteriore prevale se, vi è una chiara indicazione dellavolontà del legislatore di contravvenire agli impegniinternazionali assunti.

Una volta che il trattato abbia acquisito validità formale nelloStato, è sorretto da una duplice volontà normativa: la volontà dirispettare gli impegni assunti e la volontà di regolare quellamateria, così come è disciplinata dal trattato. Non sembra perciòammissibile un'abrogazione o modifica da parte della normaposteriore per una semplice incompatibilità con il trattato. La volontà di derogare con legge posteriore può essere esplicita oimplicita. In quest'ultimo caso si ritiene che l'oggettodell'obbligazione e quello della norma interna debbano coincidereperfettamente: sia per materia, sia per i soggetti destinataridella regolamentazione.Una volta che la norma internazionale è stata immessanell'ordinamento con legge ordinaria, può essere sottoposta acontrollo di costituzionalità e annullate se violano norme dellanostra Costituzione.

41. L'adattamento al diritto comunitario

Ai Trattati istitutivi della Comunità Europea si è data esecuzionecon legge ordinaria. Pertanto non solo hanno acquistato forzagiuridica le norme del Trattato, ma automaticamente acquistano lastessa forza, via via che vengono emanate, le norme deiregolamenti comunitari. L'art. 249 del Trattato espressamenteprevede che i regolamenti siano direttamente applicabili inciascuno degli Stati membri. Il regolamento è così una fontenormativa non prevista dalla Costituzione, ma che non comporta unaviolazione della Carta fondamentale, per effetto della previsioneall'art.11 Cost. che consente in condizioni di parità con glialtri Stati alle limitazioni alla sovranità necessarie ad unordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni;promuove e favorisce le organizzazioni internazionali.La diretta e automatica applicabilità dei regolamenti riguarda laforza formale dei regolamenti stessi: creano diritti ed obblighi,indipendentemente da un provvedimento di adattamento ad hoc.Tuttavia, con ciò non si vuol dire che i regolamenti siano self-executing (direttamente applicabili) anche per il loro contenuto,poiché possono esserci regolamenti incompleti o che, per avereapplicazione, hanno bisogno di essere integrati. Per i regolamentiche lasciano ampi margini di discrezionalità alle autorità stataliè necessaria una legge di attuazione.

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L’art.249 sancisce l’obbligatorietà anche delle direttive e delledecisioni comunitarie. È vero che, per quanto riguarda le direttive, l’obbligatorietà èlimitata al risultato: si tratta allora di stabilire quali effetticostituiscono un corollario dell’obbligo di risultato e siproducono quindi immediatamente e direttamente, e quali effettiinvece sono condizionati dalla forma e dai mezzi da parte degliorgani internazionali, e si producono solo in seguitoall’emanazione degli atti interni di esecuzione.Secondo la Corte di Giustizia, le direttive creano tre effettidiretti:

- quando il giudice interpreta una norma interna su una materiadisciplinanti materie oggetto di una direttiva, taleinterpretazione deve avvenire alla luce della lettera e delloscopo della direttiva medesima;

- se la direttiva riproduce un obbligo di un trattato, la suainterpretazione è vincolante;

- se la direttiva comporta un obbligo di risultato senza unatto di esecuzione necessario, gli individui possono farlavalere davanti al giudice. Secondo l’art.189 del tratto,quest'ultimo effetto può essere invocato solo contro lo Stato(c.d. effetti verticali) e non anche nelle controversie traindividui (c.d. effetti orizzontali): la direttiva fa nasceredegli obblighi a carico dello Stato e lo Stato risponde delritardo o dell'inattuazione della direttiva. Questa tesiviene per lo più accettata, ma è anche criticata perchéfrutto di un'interpretazione troppo letterale dell’art.249 econfonde lo Stato come soggetto di diritto internazionale cheè il destinatario della direttiva, e lo Stato come soggettodel proprio ordinamento : o si esclude che la direttivapenetri nell’ordinamento italiano e allora non sarà in nessuncaso invocabile, o la penetrazione viene ammessa, e alloranon si capisce perche non può essere invocata da tutti.Infatti, ad es. se una direttiva crea dei diritti neiconfronti del lavoratore dipendente, il dipendente dellapubblica amministrazione potrà chiamare a rispondere lo Statoper l'inattuazione, ma il lavoratore privato non potrà dirnulla contro il suo datore privato.

L’art.5 (ora 10) del Trattato CE, secondo il quale gli Statimembri sono tenuti ad adottare le misure necessarie perl’esecuzione degli obblighi comunitari, prevede anche unrisarcimento del danno solo nei casi di inattuazione di direttiveche attribuiscono loro dei diritti.

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Efficacia diretta negli ordinamenti degli Stati membri devericonoscersi anche agli accordi conclusi dalle Comunità con Statiterzi, sempre che, tali accordi contengano norme complete.Non hanno efficacia diretta invece, le decisioni-quadro e ledecisioni, categorie di atti che sono adottati dall’UE nell’ambitodella cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale.Per quanto riguarda il rango delle norme comunitarie, la Cortecostituzionale ha assunto pareri contrastanti.Oggi la Corte non solo ritiene che il diritto comunitariodirettamente applicabile prevalga sulle leggi interne, siaanteriori che posteriori, ma è anche dell’opinione che qualsiasigiudice debba disapplicare le leggi dello Stato nel caso diconflitto con una norma comunitaria direttamente applicabile. Ilprecedenza, la tesi affermata dalla Corte, era che le leggicontrarie a norme comunitarie direttamente applicabiliconcretassero una violazione indiretta dell’art.11 Cost. e fosseropertanto costituzionalmente illegittime. Quindi non si potevaapplicare la norma comunitaria fino a che la legge fosse annullatadalla Corte.I Trattati e le norme della legislazione comunitaria possonoessere sottoposte al controllo di costituzionalità? Lapartecipazione all'U.E. non comporta una rinuncia ai principicostituzionali. Se è vero che i trattati e le norme comunitariepossono essere sottoposte ad un controllo di conformità con laCostituzione, è anche vero che tale controllo debba esserecondotto cum grano salis, cioè a salvaguardia delle sole normemateriali della Costituzione, cioè quelle che tutelano i dirittifondamentali dei cittadini e non di quelle strumentali (chedisciplinano la formazione della legge e l'organizzazione deipoteri dello Stato). L'ordine interno e quello europeocostituiscono due sistemi separati e distinti, anche se fra lorocoordinati.

42. L'adattamento del diritto internazionale e le competenze delle regioni

Il problema delle regioni sorge quando il diritto internazionaletocca le materie che la Costituzione riserva alla competenzaregionale. Si ritiene che ad immettere il diritto internazionalenel nostro ordinamento sia il potere centrale. Tale opinione, chesembra anche sostenuta dalla Corte Costituzionale trova confermaespressa nella Costituzione per quanto riguarda il dirittoconsuetudinario, dato che a procedere in questo casoall’adattamento è addirittura una norma costituzionale. Né sembra

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che il quadro sia oggi mutato per effetto della legge del 2001 cheha modificato il titolo V della parte II della Cost. ed inparticolare dell’art.3 che modifica l’art.117 della Cost. cheprevede che le Regioni, nelle materia di loro competenza,provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordiinternazionali e degli atti dell’UE, nel rispetto delle norme diprocedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina lemodalità di esercizio del potere sostitutivo in caso diinadempienza. Quindi le Regini hanno sì il diritto di esercitarein piena autonomia, ma una volta che queste siano stateformalmente introdotte nell’ordinamento interno.Il problema del coordinamento tra la legislazione regionale equella statale è successivo all’immissione del dirittointernazionale nel diritto interno. In linea di principio, le Regioni devono rispettare gli obblighiinternazionali, come taluni Statuti regionali espressamente losanciscono e come lo sancisce la stessa legge cost.2001 obbligandoil legislatore regionale al rispetto dei vincoli derivantidall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.Innanzitutto si può dire che, in linea di principio, se la leggeregionale è in contrasto con una norma del diritto internazionaledi qualsiasi tipo, vincolante per il nostro ordinamento, ècostituzionalmente illegittima. Le regioni, pur essendo dotate diuna sorta di autonomia, non sono soggetti del dirittointernazionale, perché è sempre lo Stato centrale (che ha poterisovrani) che decide se assumere o meno obblighi internazionali.Agli inizi degli anni ‘70, il legislatore e la CorteCostituzionale sostenevano che tutto ciò che era del dirittointernazionale rientrava nella materia degli "affari esteri" edera di competenza esclusiva dello Stato centrale. Tuttavia nellematerie riservate alla competenza delle regioni, in caso diinerzia di queste ultime, lo Stato non poteva sostituirsi,rischiando quindi di essere chiamato a rispondere per carenze odomissioni non sue. Successivamente si mutò orientamento: leRegioni venivano "delegate" dal potere centrale a partecipareall'attuazione e specificazione dei diritto internazionale. Dopomolteplici critiche, la tesi oggi sostenuta è che la Cortericonosce la competenza autonoma ed originaria delle Regioni nelleloro materie di competenza. Lo Stato centrale può sostituirsi nonsolo in caso di inerzia, ma anche di urgenza o esigenze diuniformità sorrette dall'interesse nazionale, oppure quando unasua disposizione risulti direttamente attuativa della norma

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comunitaria e necessaria al proseguimento della finalitàattuativa.

PARTE QUARTALA VIOLAZIONE DELLE NORME INTERNAZIONALI E LE SUE CONSEGUENZE

43. Il fatto illecito e i suoi elementi costitutivi: l'elemento soggettivo

Può darsi che il diritto interno non riesca ad evitare che loStato incorra in una violazione del diritto internazionali, o comesi dice,di un fatto illecito internazionale che comporta la responsabilitàdegli Stati sul piano internazionale. Nel 1953 la Commissione didiritto internazionale delle Nazioni Unite ha presentato unprogetto di codificazione che ha visto luce nel 1996. Nel 1980 fuapprovato un Progetto di articoli sulla responsabilità degliStati, ma che si limitava a disciplinare l'origine dellaresponsabilità (ossia gli elementi dell'illecito). Nel 2001 furedatto il Progetto definitivo, che si occupa, in 59 articoli, siadegli elementi sia delle conseguenze dell'illecito e con una parterelativa alla risoluzione delle controversie.La caratteristica principale del Progetto è che si considerano iprincipi sulla responsabilità come valevoli in linea di massimaper la violazione di qualsiasi norma internazionale, mentre primavenivano individuati soltanto alcuni tipi di violazione e i danniarrecati venivano risarciti secondo il principio che chi cagionaad altri un danno ingiusto è tenuto a ripararlo (queste succedevasolo in tema di responsabilità dello Stato per danni arrecati aglistranieri).Un primo elemento del fatto illecito internazionale è l'elementosoggettivo : ovvero è lo Stato come soggetto di dirittointernazionale, ossia lo Stato-organizzazione: il fatto illecitodeve consistere in un comportamento di uno o più organi (azione odomissione) attribuibile allo Stato e il comportamento deve essereillecito, antigiuridico. Con Stato-organizzazione intendiamo tutticoloro che partecipano all'esercizio del potere di governonell'ambito di uno Stato. Pertanto non solo l'esecutivo, illegislativo e il giudiziario, ma anche gli organi territoriali ele altre persone a cui è attribuibile la potestà di governo. Non èipotizzabile la violazione di norme internazionali attraverso lasemplice emanazione di leggi o altre norme di portata astratta.In dottrina si discute sulla responsabilità dello Stato quandol'organo commette un'azione internazionalmente illecitaavvalendosi della sua qualità, nell'esercizio delle sue funzioni,

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ma al di fuori dei limiti della sua competenza. La questioneattiene ai soli illeciti commissivi e riguarda essenzialmenteazioni illecite come ad es. azioni condotte da organi di poliziain violazione del proprio diritto interno e contravvenendo agliordini ricevuti. Qualcuno ritiene lo Stato responsabile, qualcun'altro configura laresponsabilità del singolo individuo che l'ha commessa,qualcun'altro ancora ravvisa la responsabilità dello Stato nellamisura in cui non ha predisposto i mezzi idonei per evitare laviolazione.Secondo l’art.7 del Progetto, azioni del genere, sarebberoattribuibili allo Stato, così come testimonia la Commissione e laCorte europea dei Diritti dell’Uomo in tema di azioni illecitedegli organi di polizia.Se l’illecito internazionale è opera degli organi statali, restaesclusa la possibilità allo Stato sia addossata una responsabilitàper atti dei privati che danneggiano individui, organi o Statistranieri. Lo Stato risponderà solo quando non abbia disposto lemisure per prevenire l'illecito o per punire l’autore.

44. L’elemento oggettivo

Il secondo elemento del fatto illecito è l’illiceità(l'antigiuridicità) del comportamento dell’organo statale, cioèl'elemento oggettivo. Altri articoli stabiliscono quando,e a quali condizioni, vi èeffettivamente un illecito, in particolare :L’art.12 del Progetto lo definisce come la violazione di unobbligo internazionale quando un fatto di tale Stato non èconforme a ciò che è imposto dal predetto obbligo.L’art.13 contiene la regola tempus regit actum, ossia prevede chel’obbligazione debba esistere al momento in cui il comportamentodello Stato è tenuto.Gli art.14 - 15 stabiliscono quando deve ritenersi che siverifichi l’illecito (tempus commissi delicti) negli illecitiistantanei, in quelli di carattere continuo e in quelli composti.Le cause escludenti l’illiceità sono:

- consenso dello Stato leso : -art.20- il consenso validamente dato dauno Stato alla commissione da parte di un altro Stato di unfatto determinato esclude l’illiceità di tale fatto neiconfronti del primo Stato sempre che il fatto medesimo restinei limiti del consenso. Ha natura consuetudinaria;

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- l’autotutela : -art.21(legittima difesa)- -art.22(contromisure)-le azioni dirette a reprimere l’illecito altrui e che, pertale loro funzione, non possono essere considerate comeantigiuridiche anche quando consistono in violazioni di normeinternazionali;

- Forza maggiore : -art.23- il verificarsi di una forzairresistibile o di un evento improvviso, al di là delcontrollo dello Stato, che rende materialmente impossibileadempiere l’obbligo;

- Stato di necessità : consiste nell'aver commesso il fatto perevitare un pericolo grave, imminente e non volontariamentecausato. La dottrina non ha molto da discutere quando lostato viene invocato nel caso in cui il pericolo riguardi lavita dell'individuo-organo. Si ha invece qualche incertezzaquando la necessità si riferisce allo Stato nel suo complessoe quando c'è di mezzo un interesse statale. La dottrina peròè concorde nel ripudiare la tesi che prevede l'invocabilitàdi questa scusante per un diritto di conservazione delloStato. -art.25- Lo stato di necessità è invocabile solo quando: a)costituisca l’unico mezzo proteggere un interesse essenzialecontro un pericolo grave e imminente; b) non leda gravementeun interesse essenziale dello Stato nei confronti del qualeesisteva l'obbligo.In ogni caso non può essere invocato: a) se l'obbligo nonderiva da una norma imperativa del diritto internazionalegenerale; b) se lo Stato ha contribuito a creare lo stato dinecessità;

- Raccomandazioni : producono il c.d. effetto liceità e fanno sìche lo Stato che le segue (ovviamente non viziate) noncommette illecito;

- Principi fondamentali : quando una norma internazionale è incontrasto con una norma costituzionale (es. pena di morte).Questo non solo non trova regole nel Progetto, ma urta controun art. del Progetto stesso, -art.32- , e l’art.27 dellaConv. Di Vienna, secondo i quali il diritto interno non puòavere influenza sulle conseguenze dell’illecitointernazionale.

45. Gli elementi controversi: colpa e dolo

Un altro elemento perché il fatto illecito internazionale siverifichi è la colpa.

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Sono tre i tipi di responsabilità che si possono configurare.Anzitutto vi è la responsabilità per colpa che si ha quando si richiedeche l’autore dell’illecito abbia commesso quest’ultimointenzionalmente ( dolo) o almeno con negligenza, trascurando diadottare le misure necessarie per prevenire il danno (colpa in sensostretto).Vi è poi la responsabilità oggettiva che può essere di due tipi:

- Relativa (strict liability) : sorge per effetto del solocompimento dell'atto illecito, ma l'autore può invocare unacausa di giustificazione consistente in un evento esterno chegli ha impedito il rispetto della norma. La responsabilità èaggravata e produce uno spostamento dell'onere della provadalla vittima dell'illecito al suo autore.

- Assoluta : oltre a sorgere automaticamente dal comportamentocontrario ad una norma giuridica, non ammette cause digiustificazione. E' prevista per attività particolari osocialmente dannose e possono essere collegati a sistemi diassicurazione obbligatoria.

Il dibattito sulla responsabilità è sempre stato molto vario:Grozio considerava la responsabilità dello Stato (violazione dellenorme sul trattamento degli stranieri e più in particolare sulleoffese arrecate da privati a individui, organi e Stati stranieri)per colpa, ritenendosi indispensabile ai fini del sorgere dellaresponsabilità che il comportamento dello Stato fosse intenzionaleo frutto di negligenza. Nel XX secolo, Anzilotti sostiene lanatura oggettiva della responsabilità internazionale. Oggi ilregime di responsabilità deve essere previsto in relazione allaviolazione di una determinata norma. Per quanto riguarda il regimec.d. "residuale", ossia per il regime valido per tutti gli altri casi :lo Stato risponde di qualsiasi violazione del dirittointernazionale da parte dei suoi organi, purché non dimostril'impossibilità assoluta (cioè non da lui provocata) di rispettarel'obbligo. Se esaminiamo la giurisprudenza delle Corti internazionali (Cortecomunitaria e Corte europea dei diritti umani) ci si rende contoche un'indagine sul dolo o la colpa non è mai stata condotta.Altra questione è se elemento illecito sia il danno sia materialeche morale, e dunque la lesione di un interesse diretto e concretodello Stato nei cui confronti l’illecito è perpetrato. LaCommissione di diritto internazionale ha preso posizione negativaal riguardo, in vista del fatto che vi sono oggi norme di dirittointernazionale - le norme che obbligano lo Stato a tutelare idiritti umani dei propri cittadini- la cui inosservanza da parte

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di uno dei loro destinatari e certamente sentita come un illecitonei confronti di tutti gli altri quando un interesse diretto econcreto di quest’ultimi non sia lesa.

46. Le conseguenze dell'illecito: l'autotutela

Oggi si ritiene che le conseguenze dell'illecito consistono in unanuove relazione giuridica tra lo Stato offeso e lo Statooffensore, discendente da una norma secondaria (diversa da quellaprimaria, cioè quella violata). Vi sono pareri discordi indottrina: ANZILOTTI ritiene che le conseguenze dell'illecito sianoil diritto dello Stato offeso a pretendere e l'obbligo dello Statooffensore a fornire un'adeguata riparazione che dovrebberipristinare la situazione quo ante e risarcire il danno subito,oppure nel caso immateriale, la soddisfazione ( presentazione discuse ufficiali).AGO sostiene che nella norma secondaria rientrano le conseguenzegiuridiche autonome dell'illecito e quindi anche i mezzi diautotutela (rappresaglie e contromisure). Dal fatto illecitonascerebbe per lo Stato offeso il diritto di chiedere lariparazione e il diritto di ricorrere a contromisure coercitive(non necessariamente implicanti l’uso della forza) aventi lo scopodi infliggere una punizione allo Stato offensore.Secondo KELSEN l’illecito avrebbe, invece, come unica ed immediataconseguenza il ricorso alle misure di autotutela (rappresaglia),mentre la riparazione sarebbe soltanto eventuale e dipenderebbedalla volontà dello Stato offeso e offensore di evitare l'usodella coercizione, mediante un accordo o all'arbitrato. Le misuredi autotutela non costituirebbero oggetto di un rapporto giuridicotra Stato offeso e Stato offensore.Infatti, noi crediamo che l'illecito non produca rapportigiuridici. La fase patologica del diritto internazionale è poconormativa, ed a caratterizzarla sono per l’appunto le reazionicontro l’illecito. Le misure di autotutela sono fondamentalmentedirette a reintegrare l'ordine giuridico, cioè a far cessarel'illecito e a cancellarne, ove possibile, gli effetti. Se loStato offensore ha l'obbligo di porre fine all'illecito ecancellarne gli effetti, non lo deve fare in base ad un nuovorapporto o una nuova norma: l’obbligo di cui si sta parlando non èaltro che l’obbligo previsto dalla stessa norma violata e ildiritto di esercitare l’autotutela non è altro che la sanzione chesi accompagna alla norma stessa.

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L'altra forma di riparazione (risarcimento del danno) è previstada un'autonoma norma di diritto internazionale generale, ma ladeterminazione dell’entità del risarcimento dovuto dipendedall’accordo tra le parti o, eventualmente, dalla discrezionalitàdi un giudice chiamato a decidere in loro vece.La normale reazione all'illecito è l'autotutela: farsi giustiziada sé. Ne consegue una scarsa efficienza e credibilità dei mezziinternazionali di attuazione del diritto. Il moderno dirittointernazionale impone che l'autotutela non consista nella minacciao nell'uso della forza (art. 2 Carta delle Nazioni Unite eprevisto anche dal diritto consuetudinario). L'unica eccezione èla legittima difesa, intesa come risposta ad un attacco armato giàsferrato (art. 51 della Carta).Altre eccezioni, oltre quella prevista dall’art.51 della Cartadelle Nazioni Unite , sono da ricondursi a due filoni: quelloumanitario, ovvero che gli interventi armati siano ammissibili perproteggere la vita dei propri cittadini all’estero o anche perridurre alla ragione Stati che compiano violazioni gravi deidiritti umani nei confronti dei loro stessi cittadini (interventodella NATO contro la Jugoslavia per i massacri compiuti in Kosovo)o contro Stati antidemocratici che praticano il contrabbando didroga (l’invasione di Panama ad opera degli USA).L’altro filone è quello per legittimare l’uso della forza in viapreventiva o per giustificare le reazioni contro Stati chealimentano il terrorismo (bombardamenti della Libia, Iraq,Afganistan ad opera degli USA). Questa è ora contenuta neldocumento “La strategia per la sicurezza nazionale degli StatiUniti” (c.d dottrina Bush), secondo il quale la legittima difesapreventiva verrà esercitata dagli Stati Uniti ogni qualvolta ciòsi rendesse necessario per prevenire un’imminente minaccia oattacco con armi di distruzioni di massa.diritto naturale di legittima difesa individuale e collettiva nelcaso che abbia luogo un attacco armato contro un membro delleNazioni Unite, rispettando il principio di proporzionalità. Ildivieto di uso della forza armata non ha altre eccezioni: né perproteggere la vita dei propri cittadini all'estero, né per grosseviolazioni dei diritti umani nei confronti dei propri cittadini.Quando si parla di uso della forza, non rientra la forza internanella sovranità territoriale e nella normale potestà di governo diuno Stato sovrano.Le critiche che la legalità dell’uso della forza sono statesuscitate per la maggior parte dai Paesi più deboli. Per quantoriguarda il filone umanitario, l’uso della forza, a parte la

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legittima difesa, non può che essere autorizzata dal Consiglio diSicurezza dell’ONU, come prevede la Carta delle Nazioni Unite, ein particolare, quella preventiva, è apparsa solo un espedienteper giustificare un illegittimo uso della forza.La fattispecie più importante di autotutela è la rappresaglia ocontromisura. Secondo l’art.49 del Progetto, la contromisura consiste in uncomportamento dello Stato leso, che in sé sarebbe illecito, ma chediventa lecito in quanto costituisce reazione ad un illecitoaltrui. Ovvero, lo Stato leso può violare, a sua volta, ovviamentenei confronti di quest’ultimo, gli obblighi che gli derivano danorme consuetudinarie. Ovviamente esistono dei limiti allecontromisure:

- Proporzionalità : -art.51 Progetto- tra violazione subita ereazione. Non si deve trattare di perfetta coincidenza tra ledue violazioni, ma mancanza di sproporzione. Se c’esproporzione la contromisura diviene illecita per la parteeccedente;

- Rispetto del diritto cogente : -art.50 Progetto- non si può violareil diritto cogente, neanche quando si tratti di reazione perviolazione dello stesso tipo. L'unica eccezione è l'uso dellaforza per respingere un attacco armato.

- Rispetto dei principi umanitari : -art. 50 Progetto- dispone anche chea titolo di contromisura non possa essere compromessa inalcun caso l'inviolabilità degli agenti, locali, archivi edocumenti consolari e diplomatici (gross violations).

- Previo esaurimento dei mezzi di soluzione delle controversie : -art.52Progetto- alla contromisura non si può fare ricorso se non sisia prima tentato di giungere ad una soluzione concordatadelle controversie(arbitrato, conciliazione, negoziato).Inoltre nulla può impedire ad uno Stato che si trovi a doverfronteggiare una situazione di emergenza a prendere lenecessarie contromisure.

La contromisura tende a reintegrare l'ordine giuridico violato. Loscopo afflittivo è secondario.La ritorsione si distingue dalla rappresaglia perché non consistein una violazione di norma internazionale, ma in un comportamentoinamichevole (come l'attenzione o la rottura dei rapportidiplomatici o della collaborazione economica). Non è una forma diautotutela perché uno Stato potrebbe tenere questo comportamentoanche senza aver subito un illecito. Tuttavia, nella prassi deirapporti tra gli Stati, la ritorsione reagisce ad azioni dirilievo puramente politico e a violazioni di diritto

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internazionale o ad entrambe contemporaneamente, perché in generegli Stati collaborano tra loro. E' difficile, nella ritorsione,distinguere tra motivazioni politiche e giuridiche, ma non si puònon considerarla una forma di autotutela quando le secondi sonopresenti.L'autotutela collettiva consiste in un intervento degli Stati chenon hanno subito nessuna lesione in risposta ad una violazione deidiritti umani, obblighi erga omnes, ovvero crimini internazionali(genocidio, apartheid, schiavitù,..) per i quali tutti gli Statipossono considerarsi lesi.Non si può dire che ciascuno Stato abbia diritto di reagire conmisure di autotutela in caso di violazione in nome dell'interessecomune. Nulla esclude però che, pur sussistendo l’illecitointernazionale, non ne consegua una responsabilità, o ne conseguauna forma attenuata di responsabilità. Ciò premesso, è innegabileche la possibilità per Stati terzi di intervenire sia prevista,con specifiche modalità ed in ordine a specifici obblighiinternazionali, come ad es. il caso della legittima difesacollettiva in caso di attacchi armati, riconosciuta dall’art.51della Carta delle Nazioni Unite e dalla Corte Internazionale diGiustizia che ha stabilito che le misure, anche militari, che loStato terzo può prendere devono rispondere ai criteri dellanecessità e della proporzionalità e comunque presuppongono unaprecisa richiesta dallo Stato aggredito.E poi possibile, che una convenzione multilaterale preveda essastessa, in caso di violazione di una delle sue norme, il dirittodi ciascun Stato contraente di intervenire con sanzioni, anche senon direttamente leso, anche se si preferisce limitare anziché adestendere l’esercizio dell’autotutela come ad es. con la creazionedi meccanismi istituzionali di controllo, che possono essere messiin moto da ciascun Stato contraente.Il discorso è diverso per quanto riguarda le ritorsioni, ovverocomportamenti soltanto in amichevoli, trattandosi da un lato, dicomportamenti leciti e quindi sempre adottabili, e dall’altro dimezzi di pressione che possono essere efficaci per far cessarel’illecito.Non esistono principi generali che consentano ad uno Stato diintervenire a tutela di un interesse fondamentale della comunitàinternazionale o di un interesse collettivo (solo singole normeconsuetudinarie). E' auspicabile che si consolidi una tendenzaverso l'autotutela collettiva come iniziativa dei singoli Statiche agiscono in nome della comunità internazionale nel suocomplesso, ma che non sono esenti da atteggiamenti arbitrari.

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Uno Stato può obbligarsi con trattato a non ricorrere a misure diautotutela o a ricorrervi solo a certe condizioni. Anzitutto, è daritenere implicito nel vincolo di solidarietà e di collaborazionetra gli Stati membri di qualsiasi organizzazione l’obbligo di nonricorrere all’autotutela, ed in particolare di non reagire con lapropria inadempienza a quella altrui, se non come estrema ratio solodopo aver cercato di ottenere in tutti gli altri modi possibiligiustizia (es. -art.228 Trattato CE- che demanda esclusivamentealla Corte comunitaria, dopo aver accertato che lo Stato membroabbia commesso un illecito internazionale, il compito di imporgliuna sanzione).Il giudice interno, prima di concludere che una determinata leggeo un certo atto siano contrari a norme di diritto internazionale,dovrà chiedersi se essi non si giustificano in base allo stessodiritto internazionale come contromisure.L’ordinamento interno, per rendere automaticamente praticabile laviolazione di norme internazionali da parte degli organi statali,può predisporre il meccanismo della reciprocità, secondo la quale undeterminato trattamento viene accordato agli Stati, agli organi eai cittadini stranieri a condizione che il medesimo trattamentosia accordato allo Stato nazionale, ai suoi organi e ai suoicittadini. Questa dovrebbe essere sempre accertata dal giudice erisulta estremamente utile soprattutto in rapporto a normeinternazionali consuetudinarie di cui il contenuto è incerto o inevoluzione. 47. La riparazione

La riparazione integra innanzitutto l'obbligo della restituzionein forma specifica (restituito in integrum): far cessare l'illecito ecancellarne, ove possibile, gli effetti. Anche la soddisfazione è una forma di riparazione dei dannimorali, dovuta per il solo fatto che l'illecito sia stato commessoe a prescindere dalla richiesta di risarcimento dei dannipatrimoniali. Tra le diverse forme troviamo la presentazione discuse, l'omaggio della bandiera o altri simboli dello Stato leso,versamento di una somma simbolica. Se questi vengono accettatidallo Stato leso, viene meno qualsiasi ulteriore conseguenza delfatto illecito e il ricorso a misure di autotutela. L'unica forma di riparazione vera e propria è il risarcimento deldanno prodotto dall'illecito internazionale. Questo nonscaturisce da qualsiasi violazione delle norme internazionali: peril danno agli stranieri, l'azione è automatica per il solo fatto

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di produzione dell'illecito; per il danno agli Stati, si fariferimento ai danneggiamenti dovuti ad un'azione violenta (trannela guerra) contro beni, mezzi e organi dello Stato (distruzione disedi diplomatiche, aeree...); per i danni alla funzione, sirisarciscono i danni prodotti con la lesione degli individui chericoprono la qualifica di organo: bisogna però distinguere tradanni subiti dall'individuo e danni subiti dall'organizzazionestatale (danni alla funzione). In ogni caso sono risarcibili idanni materiali.

48.La responsabilità per fatti leciti

Si discute se può esistere un obbligo del risarcimento dei danniper fatti leciti. Esiste nelle attività altamente pericolose ed inquinanti, comequelle delle centrali nucleari, ci si chiede pertanto se lo Stato,pur essendo libero di svolgere o far svolgere nel suo territorio,qualsiasi attività, anche la più pericolosa, non debba poirispondere ai danni causati al territorio di altri Stati.È difficile dal punto di vista del diritto internazionale,distinguere la responsabilità senza illecito dalla responsabilitàsenza colpa (responsabilità oggettiva). Ovvero, è difficilestabilire se tale dovere nasca da un fatto lecito oppure da unanorma che impone di non causare danni al territorio altrui conattività pericolose.L’art.2 della Conv. Del 1972 sulla responsabilità internazionaleper i danni causati da oggetti spaziali, stabilisce che lo Statodi lancio risponde dei danni causati dai suoi oggetti spazialialla superficie terrestre, quindi lo Stato risponde anche se ildanno si verifica senza sua colpa o per cause estranee. A partequesta convenzione, che si riferisce alla responsabilitàinternazionale dello Stato, le altre si limitano ad imporre agliStati contraenti l’obbligo di predisporre al loro interno sistemidi responsabilità civile e penale.La commissione di diritto internazionale ha adottato due progetti,uno sulla prevenzione dei danni oltre frontiera derivanti da attività pericolose,cheprevede una serie di obblighi che lo Stato deve attuare perprevenire e minimizzare i rischi derivanti dalle attivitàpericolose; l’altro sulla ripartizione di tali danni una volta prodotti, cheprevede l’obbligo degli Stati da cui il danno è derivato, di avereadeguate leggi e ricorsi nel diritto interno, per far valere laresponsabilità di coloro che hanno svolto la relativa attivitàpericolosa.

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49. La sicurezza collettiva prevista dalle Nazioni Unite

L’art.2 della Carta delle Nazioni Unite sancisce il divietodell'uso della forza nei rapporti internazionali. Gli artt. 39 ss.Accentrano in un organo delle Nazioni Unite, il Consiglio diSicurezza,la competenza a compiere azioni necessarie per mantenerela pace e l'ordine tra gli Stati e può utilizzare la forza ai finidi polizia internazionale. La maggior parte degli interventiriguardano crisi interne agli Stati, come guerre civili,violazioni gravi dei diritti umani o situazioni post-conflittualiche richiedono il mantenimento dell’ordine e l’assistenza alle, oaddirittura la temporanea sostituzione delle, autorità locali. L’art.39 stabilisce che il Consiglio, accerta anzituttol’esistenza di una minaccia alla pace, di una violazione dellapace o di un’aggressione e stabilisce poi, all’art.41, qualimisure sanzionatorie ma non implicanti l’uso della forza, comel’interruzione parziale o totale delle comunicazioni e dellerelazioni economiche da parte degli Stati, sia implicanti l’usodella forza (art.42), debbano essere prese nei confronti, oall’interno di uno Stato.Secondo l’art.40 , prima di ricorrere alle une o alle altre, puòinvitare le aprti interessate a prendere le misure provvisorienecessarie a non aggravare la situazione. Il Consiglio gode di un larghissimo potere discrezionalenell'accertare una minaccia o una violazione della pace, ancheperché non è necessario l'uso della violenza bellica per violarela pace, e quindi in questo comportamento si possono inquadrare ipiù vari comportamenti di uno Stato. Questa discrezionalità di cuigode il Consiglio fa sì che il sistema di sicurezza collettivaabbia caratteri abbastanza sui generis. Nel diritto internazionaleesiste una dichiarazione che elenca le diverse ipotesi diaggressione, ma non incide sulle competenze del Consiglio. Dopo lacaduta del muro di Berlino, sono stati istituiti altri organi dicarattere giurisdizionale ed è aumentata la discrezionalità delConsiglio.Vi sono 3 fasi attraverso le quali può passare l’azione delConsiglio:

- Misure provvisorie : -art.40- prevede che il Consiglio puòinvitare le parti interessate ad ottemperare alle misureprovvisorie necessarie, ma esse non devono pregiudicare idiritti o la posizione delle parti interessate. Le misure

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hanno natura preventiva (per non aggravare la situazione) enon vincolante (si tratta pur sempre di un invito);

- Misure non implicanti l'uso della forza : -art.41- prevedeche il Consiglio può vincolare gli Stati membri dell'ONU aprendere tutta una serie di misure (l'embargo,bloccoeconomico totale) contro uno Stato che abbia, secondo ilgiudizio insindacabile dell'organo, violato o minacciato lapace, oppure nelle crisi interne contro gruppi armati, oancora contro gruppi terroristici;

- Misure implicanti l'uso della forza : -art.42- prevede leipotesi del ricorso alla forza contro uno Stato colpevole diaggressione, minaccia o violazione della pace internazionaleoppure anche all'interno di uno Stato (guerra civile). Larisoluzione con cui l’organo decide di agire appartiene algenere delle risoluzioni operative attraverso le qualil’Organizzazione non ordina o raccomanda qualcosa agli Stati,ma direttamente agisce, utilizzando pur sempre contingentiarmati nazionali, ma posti sotto il comando internazionalefacente capo allo stesso Consiglio di Sicurezza. Questo pergarantire l’obiettività e l’imparzialità dell’azione nonchédi controllare che questa sia contenuta entro i limitistrettamente indispensabili al mantenimento della pace e pertogliere qualsiasi iniziativa di carattere militare alsingolo Stato. Le modalità dell'azione, secondo gli art. 43-44-45, delConsiglio si formano sulla base di accordi con gli Statimembri che sono obbligatori, che stabiliscono il numero, ilgrado di preparazione, la dislocazione delle forze armateutilizzabili poi dall’Organo.Gli art.46-47 prevedono che l’utilizzazione dei varicontingenti nazionali deve far capo ad un comitato di Statomaggiore, composto dai capi di Stato maggiore dei cinquemembri permanenti e posto sotto l’autorità del Consiglio.Gli artt. 43 ss. non hanno mai ricevuto applicazione dal1945. Il Consiglio è di solito intervenuto in crisiinternazionali o interne con misure militari. Ha creato leForze delle Nazioni Uniti (caschi blu), ma con compiti assailimitati per il mantenimento della pace (peacekeepingoperations), ha autorizzato l'uso della forza degli Statimembri, sia singolarmente, sia nell'ambito delleorganizzazioni regionali.La caratteristica principale delle peace-keeping operations,è costituita dalla delega del Consiglio al Segretario

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generale in ordine sia al reperimento, attraverso accordi congli Stati, sia al comando delle Forze internazionali, chehanno compiti molto limitati.

Talvolta il Consiglio, dichiarando di agire per mantenere la pacee la sicurezza, ha organizzato il governo di territori. Trattasidi territori oggetto di contrastanti rivendicazioni di sovranità onei quali si è verificata un’aspra guerra civile, nei quali sonostati decisi anche singoli atti di governo.Come misura relativa al governo di territori può essereconsiderata l’istituzione di tribunali internazionali per lapunizione di crimini commessi da individui.Questa prassi del Consiglio, deviando le norme contenute agliartt.39 ss., ovvero non partecipando direttamente ad atti diGoverno di territori in situazioni post-conflittuali, pare abbiadato vita ad una norma consuetudinaria ah hoc.Del sistema di sicurezza collettiva facente capo al Consiglio diSicurezza fanno parte anche le Organizzazioni regionali che comesostiene l’art.53, sono create sia per sviluppare la cooperazionetra gli Stati membri e provvedere alla soluzione dellecontroversie tra i medesimi, sia per promuovere la difesa comuneverso l’esterno.Quest’articolo va poi combinato con l’art.51, che ammette lalegittima difesa sia individuale che collettiva, intendendo perquest’ultima la possibilità che la reazione ad un attacco armatoprovenga non solo dallo Stato attaccato ma anche da terzi Stati.Ne consegue che le organizzazioni regionali possono agirecoercitivamente contro uno Stato con l’autorizzazione delConsiglio (art.53) e senza l’autorizzazione solo nel caso dirisposta ad un attacco armato già sferrato (art.51).

PARTE QUINTAL’ACCERTAMENTO DELLE NORME INTERNAZIONALI E LA SOLUZIONE DELLE CONTROVERSETRA STATI

50. L’arbitrato. La Corte internazionale di Giustizia

La funzione giurisdizionale internazionale ha ancora oggi naturaarbitrale, essendo ancorata al principio per cui un giudiceinternazionale, comunque costituito, non può mai giudicare se lasua giurisdizione non è stata preventivamente accettata da tuttigli Stati parti di una controversia.Gli Stati sono liberi di deferire ad un Tribunale internazionaleuna qualsiasi controversia che riguardi i loro rapporti: ciò che

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importa è che siano d'accordo sulla scelta accettandone comevincolante la sua decisione.Ai fini dell’esercizio della funzione giurisdizionale infatti valela nozione di controversia data dalla Corte Permanente diGiustizia Internazionale, secondo la quale, la controversia è undisaccordo su un punto di diritto o di fatto, un contrasto,un’opposizione di tesi giuridiche o di interessi tra due soggetti.Non esistono controversie giustiziabili e non giustiziabili.Il processo internazionale ha quindi sostanzialmente caratterearbitrale, poiché riposa sulla volontà, e quindi sull’accordodegli Stati parti di una controversia, se tale accordo manca, nonè possibile costringerlo a sottoporsi a giudizio.L’istituto dell’arbitrato internazionale si è notevolmente evolutocon l’introduzione di meccanismi per favorire la formazionedell’accordo e con l’istituzionalizzazione della funzionearbitrale, anche se il principio secondo cui occorre l’accordo ditutte le parti è ancora vitale.Il punto di partenza dell'evoluzione dell'istituto è l'arbitratoisolato. Esso si svolgeva solitamente in questo modo: sorta unacontroversia tra due o più Stati, si stipulava un accordo (il c.d.compromesso arbitrale) con il quale si nominava un arbitro (adesempio, un Capo di Stato) o un collegio arbitrale, si stabilivaeventualmente qualche regola procedurale, e ci si obbligava arispettarne la sentenza così emessa. L'istituto si è evoluto e si possono distinguere due fasi disviluppo :

- I fase : per facilitare l'accordo, alla fine del secoloscorso, si è cominciato a ricorrere a degli accorgimenti perl'instaurazione del processo: sono comparsi i c.d. trattatigenerali di arbitrato (chiamati anche "non completi" perdistinguerli da quelli successivi "completi") e le clausolecompromissorie. Queste obbligavano gli Stati a ricorrereall'arbitrato per tutte le controversie che sarebbero sortein futuro in ordine all'applicazione e all'interpretazionedella convenzione tra gli Stati stessi; analoga è la funzionedel trattato generale di arbitrato che egualmente crea unobbligo generico di ricorrere ad arbitrato per tutte lecontroversie che possano sorgere in futuro tra le Particontraenti (eccetto alcune controversie, detta c.d. clausolaeccettuativa dei trattati di arbitrato).Questi, quindi, creano soltanto un obbligo de contrahendo, cioèl'obbligo di stipulare il compromesso arbitrale, se peròquesto non interviene, non può comunque pervenirsi

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all’emanazione di una sentenza. Si iniziano a creare organiarbitrali permanenti (Corte Permanente di Arbitrato) e apredisporre regole di procedura (contradditorio, regime delleprove,..) applicabili in ogni procedimento.

- II fase : con la fine della prima guerra mondiale, è stata creatala Corte Permanente di Giustizia Internazionale all'epocadelle Società delle Nazioni, e poi, nel 1945, la CorteInternazionale di Giustizia, che è un organo delle NazioniUnite. Si tratta di un corpo permanente di giudici, elettidall'Assemblea generale e dal Consiglio di Sicurezza. Restacomunque un tribunale arbitrale. Compare la figura della clausola compromissoria "completa" e del "trattatogenerale di arbitrato" completo. Questi non si limitano a crearel'obbligo di stipulare il compromesso, ma prevedonodirettamente l'obbligo di sottoporsi al giudizio di untribunale internazionale (di solito la Corte Internazionaledi Giustizia) già predisposto e funzionante.Quindi permettono ad uno Stato di citare unilateralmente unaltro Stato contraente di fronte al tribunale internazionaleinvestito della controversia. Analogo al trattato generale completo è il procedimentoprevisto dall’art.36 dello Statuto della Corte Internazionaledi Giustizia, secondo cui gli Stati aderenti al presentestatuto possono in ogni momento dichiarare di riconoscerecome obbligatoria ipso facto, nei rapporti con qualsiasi altroStato che accetti la medesima obbligazione, la giurisdizionedella Corte.

L’osservanza di una sentenza internazionale deve ritenersiassicurata dalle stesse norme che provvedono all’adattamento diregole internazionali di cui la sentenza abbia accertato ilcontenuto: ad es. la legge italiana di esecuzione di un trattatocomporta l’obbligo di osservare non soltanto il trattato ma anchel’eventuale internazionale emessa, sentenza in ordine al tratttatomedesimo, nei confronti dell’Italia e delle persone che operanoall’interno di essa.Bisogna comunque sottolineare che la funzione giurisdizionaleinternazionale va sempre cedendo il passo ai mezzi diplomatici.

51. I Tribunali Internazionali settoriali e regionali

Inoltre è necessario distinguere i tribunali internazionali(destinati a risolvere le controversie tra Stati) dai tribunaliistituiti all'interno delle organizzazioni internazionali (che

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risolvono le controversie di lavoro tra funzionari el'organizzazione).Un cenno meritano anche alcuni organi giurisdizionali settorialiche presentano caratteristiche proprie: spicca, tra essi, la Cortedi Giustizia delle Comunità Europee (con sede a Lussemburgo), chein base al Trattato CE ha le seguenti competenze :

- ricorsi per violazione del Trattato da parte di uno Stato membro : -art.226/228-sono proponibili dalla Commissione o da ciascun Stato membroprevia consultazione della Commissione. Lo Stato accussatonon può sottrarsi al giudizio della Corte;

- controllo di legittimità sugli atti degli organi comunitari : -art.230/233- èlimitato agli atti vincolanti (regolamenti, direttive,decisioni) del Consiglio e della Commissione. I vizi degliatti che, se riconosciuti dalla Corte, comportanol’annullamento ex tunc dei medesimi, sono datidall’incompetenza dell’organo, dalla violazione di normesostanziali, dalla violazione del trattato; essi sonodenunciabili da ciascun Stato membro, dal Consiglio o dallaCommissione,ed anche,quando si tratta di decisioni, daqualunque persona fisica o giuridica;

- questioni c.d. pregiudiziali : -art.234- quando, innanzi ad un giudicedi uno Stato membro, sollevata una questione relativaall’interpretazione del Trattato CE o alla validità ointerpretazione di atti comunitari, tale giudice ha il potereo, se in ultima istanza, il dovere di sospendere il processoe di chiedere una pronuncia della Corte al riguardo che haeffetto immediato nel giudizio nazionale a quo.

Nel 1988, con l’art.225 Trattato CE è stato inoltre istituito ilTribunale di primo grado delle Comunità europee, la cui principalecompetenza ha per oggetto i ricorsi promossi dalle persone fisichee giuridiche.Secondo l’art.244 le sentenze che esse emettono, comportano unobbligo pecuniario.La Corte europea dei diritti dell'uomo, con sede a Strasburgo, èl’organo che controlla il rispetto della Convenzione europea deidiritti dell'uomo e delle libertà fondamentali da parte degliStati contraenti. La composizione e le funzioni della Corte sonodisciplinate dagli artt.19 ss. della Convenzione e dalle normedel regolamento interno. Questa giudica sia attraverso comitaticomposti da 3 giudici, sia attraverso camere di 7 giudici. L’art. 33 Convenzione (ricorso interstatale) : il ricorso può essereproposto da un altro Stato contraente nell’interesse obbiettivo el’art.34 (ricorso individuale) da qualsiasi persona fisica o giuridica,

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ma in questo caso occorre che il ricorrente si pretenda vittima diuna violazione della Convenzione. Art.41 : accertata la violazionela Corte può concedere alla parte lesa un equa soddisfazione, disolito una somma in denaro.

52. I mezzi diplomatici di soluzione delle controversie internazionali

I mezzi diplomatici si distinguono dai mezzi giurisdizionale disoluzione delle controversie in quanto tendono soltanto afacilitare l'accordo delle parti: di conseguenza non hannocarattere vincolante per le parti ed è sempre il compromesso trale opposte pretese, a costituirne l’oggetto principale.L'accordo può essere innanzitutto facilitato da negoziati direttitra le parti medesime, e in genere sono il mezzo più utilizzato.Si parla poi di buoni uffici o mediazione, quando si verifical'intervento di uno Stato terzo, o di un organo supremo di unoStato o di un'organizzazione internazionale a titolo personale. Ladifferenza tra buoni uffici e mediazione è più teorica chepratica: di solito con i primi ci si limita a indurre le partidella controversia a negoziare; nella mediazione c'è invece unapartecipazione più attiva del terzo alle trattative.Molto importante è anche la conciliazione, che si avvicina di piùall'arbitrato. Le commissioni di conciliazione sono di solitocomposte da individui e non da Stati ed hanno il compito diesaminare tutti gli aspetti della controversia e formulare unaproposta di soluzione che le parti sono libere di accettare omeno. Le Commissioni di inchiesta, invece, hanno il compito diaccertare il fatto.Il ricorso alla conciliazione è sempre succedaneo del ricorsoall'arbitrato, soprattutto nei trattati multilaterali. Sempre piùspesso è previsto come obbligatorio il ricorso alla conciliazione,con la conseguente possibilità per uno degli Stati contraenti didare unilateralmente avvio alla procedura conciliativa (es. -artt.65/68 Conv.Vienna sul diritto dei Trattati, le quali, inriferimento alle controversie in tema di invalidità ed estinzionedei trattati, disciplinano una complessa procedura diconciliazione, cui le parti sono obbligate a sottostare se nonscelgono un altro mezzo di soluzione).Ai mezzi diplomatici vanno riportate anche le procedure disoluzione non vincolanti che si svolgono in seno alleorganizzazioni internazionali. Si tratta della c.d funzione conciliativadelle organizzazioni internazionali che comprende le stesseprocedure (buoni uffici, inchiesta, mediazione, conciliazione) ma

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ha come caratteristica particolare il fatto di svolgersi in unquadro istituzionale producendo delle raccomandazioni, che nonsono vincolanti ma producono un effetto di liceità.L’art.2 della Carta delle Nazioni Unite stabilisce che gli Statimembri hanno l'obbligo di risolvere le loro controversie con mezzipacifici. E l’art.33 ribadisce l’obbligo delle parti di unacontroversia, la cui continuazione sia suscettibile di mettere inpericolo il mantenimento della pace e della sicurezzainternazionale, di perseguire una soluzione mediante mezzipacifici.Una funzione importante è svolta anche dal Consiglio diSicurezza,che in base all’art.34 della Carta delle Nazioni Unitedispone di un potere di inchiesta, da esercitare sia personalmente, siaper mezzo di un organo ad hoc, come ad esempio un'appositaCommissione. Secondo l’art.33 e 36 il Consiglio può anchesollecitare le parti di una controversia a ricorrere ai mezzi eprocedimenti pacifici.Il Consiglio, come dice l’art.37, ha il potere di raccomandaretermini di regolamento, ossia di suggerire alle parti comerisolvere, nel merito, la loro controversia.L’assemblea generale svolge anch’essa una funzione conciliativa.Infatti, secondo l’art.14 della Carta, l’Assemblea puòraccomandare misure per il regolamento pacifico di qualsiasisituazione che essa ritenga suscettibile di pregiudicare ilbenessere generale. Non è vincolata da norme proceduralidettagliate, l’unico limite lo incontra nell’art.12 in base alquale l’Assemblea deve astenersi dall’intervenire su questioni chesi sta occupando il Consiglio.

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