FONTI E PRINCIPI DEL DIRITTO DEL LAVORO

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FONTI E PRINCIPI DEL DIRITTO DEL LAVORO Il concetto e le classificazioni del diritto del lavoro Il diritto del lavoro, inteso in senso lato, può essere definito come l'insieme delle norme che disciplinano il rapporto di lavoro, ossia la relazione giuridica intercorrente tra il prestatore ed il datore di lavoro. Tale relazione rappresenta un rapporto giuridico complesso, avente ad oggetto tanto l'obbligo del lavoratore di prestare la propria attività e l'obbligo del datore di corrispondere la retribuzione, quanto una molteplicità di situazioni giuridiche soggettive attive e passive, facenti capo alle due parti del rapporto. Il diritto del lavoro è una disciplina giuridica relativamente nuova, sviluppatasi essenzialmente a partire dai primi anni dell'Ottocento, quando emerse con tutta evidenza la necessità di mediare le esigenze della tutela dei lavoratori con quelle della produzione. Disciplina che ha subito un'evoluzione fortemente condizionata dalle varie fasi attraversate nella storia sociale, economica e politica del nostro Paese. Il diritto del lavoro presenta connotazioni peculiari rispetto alle altre branche del diritto, in quanto si sottrae alla partizione tradizionale - ma sempre più, oggi, contestata - del diritto nei due rami del diritto pubblico e del diritto privato. In esso, infatti, confluiscono: norme di diritto privato, poste a tutela immediata di interessi privati ed individuali; norme di diritto pubblico, impositive di obblighi legali a carico delle parti del rapporto; norme di diritto processuale, essendo stata prevista per la tutela dei diritti dei lavoratori una speciale procedura; norme di diritto sindacale, relative all'attività ed all'organizzazione delle associazioni sindacali. La dottrina tradizionale distingue nell'ambito del diritto del lavoro inteso in senso ampio: il diritto del lavoro in senso stretto, attinente alla regolamentazione dei rapporti individuali di lavoro subordinato, nonché di altri rapporti di lavoro, diversi dal lavoro subordinato, ma ritenuti parimenti meritevoli di tutela giuridica; il diritto sindacale, che disciplina l'azione e l'organizzazione delle associazioni sindacali contrapposte; il diritto della previdenza sociale, che tutela il lavoratore in presenza di specifiche situazioni di bisogno, riconoscendogli un reddito sostitutivo od integrativo di quello di lavoro. Per ciò che concerne tale ultimo complesso di norme, va segnalata, tuttavia, la sua tendenza ad inserirsi nel più ampio sistema della sicurezza sociale, volto alla liberazione di tutti i cittadini (e, dunque, non solo dei lavoratori) dai bisogni materiali e morali (MAZZIOTTI). 1

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FONTI E PRINCIPI DEL DIRITTO DEL LAVOROIl concetto e le classificazioni del diritto del lavoro

Il diritto del lavoro, inteso in senso lato, può essere definito comel'insieme delle norme che disciplinano il rapporto di lavoro, ossia larelazione giuridica intercorrente tra il prestatore ed il datore di lavoro.Tale relazione rappresenta un rapporto giuridico complesso, avente adoggetto tanto l'obbligo del lavoratore di prestare la propria attività el'obbligo del datore di corrispondere la retribuzione, quanto unamolteplicità di situazioni giuridiche soggettive attive e passive, facenticapo alle due parti del rapporto.

Il diritto del lavoro è una disciplina giuridica relativamente nuova,sviluppatasi essenzialmente a partire dai primi anni dell'Ottocento, quandoemerse con tutta evidenza la necessità di mediare le esigenze della tuteladei lavoratori con quelle della produzione. Disciplina che ha subitoun'evoluzione fortemente condizionata dalle varie fasi attraversate nellastoria sociale, economica e politica del nostro Paese.

Il diritto del lavoro presenta connotazioni peculiari rispetto alle altrebranche del diritto, in quanto si sottrae alla partizione tradizionale - masempre più, oggi, contestata - del diritto nei due rami del dirittopubblico e del diritto privato. In esso, infatti, confluiscono:

norme di diritto privato, poste a tutela immediata di interessi privati edindividuali;

norme di diritto pubblico, impositive di obblighi legali a carico delleparti del rapporto;

norme di diritto processuale, essendo stata prevista per la tutela deidiritti dei lavoratori una speciale procedura;

norme di diritto sindacale, relative all'attività ed all'organizzazionedelle associazioni sindacali.

La dottrina tradizionale distingue nell'ambito del diritto del lavorointeso in senso ampio:

il diritto del lavoro in senso stretto, attinente alla regolamentazione deirapporti individuali di lavoro subordinato, nonché di altri rapportidi lavoro, diversi dal lavoro subordinato, ma ritenuti parimentimeritevoli di tutela giuridica;

il diritto sindacale, che disciplina l'azione e l'organizzazione delleassociazioni sindacali contrapposte;

il diritto della previdenza sociale, che tutela il lavoratore in presenza dispecifiche situazioni di bisogno, riconoscendogli un redditosostitutivo od integrativo di quello di lavoro. Per ciò che concernetale ultimo complesso di norme, va segnalata, tuttavia, la suatendenza ad inserirsi nel più ampio sistema della sicurezza sociale,volto alla liberazione di tutti i cittadini (e, dunque, non solo deilavoratori) dai bisogni materiali e morali (MAZZIOTTI).

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Le fonti del diritto del lavoro

Il sistema delle fonti di produzione del diritto del lavoro in sensostretto presenta aspetti di particolare complessità e problematicità, inragione del concorso di una molteplicità di atti che, se pur dotati di undiverso grado di efficacia, hanno tutti la forza giuridica di incideresulla regolamentazione concreta del rapporto di lavoro e di determinarla.

In via di prima approssimazione, le fonti che concorrono alla produzionedel diritto del lavoro possono essere suddivise nel modo che segue:

fonti sovranazionali ; fonti legislative ; fonti contrattuali ; usi .

Le fonti sovranazionali

Ricordato che a termini dell'art. 35, co. III, Cost., la Repubblica"promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare idiritti del lavoro", occorre precisare che nel novero delle fonti sovranazionaliod internazionali si distinguono due livelli di produzione normativa:

il primo, relativo alla partecipazione dello Stato italiano allaComunità internazionale degli Stati;

il secondo, afferente invece alla partecipazione dello Stato italianoalle Comunità economiche europee.

Con riferimento al primo livello, oltre ai vari trattati internazionalistipulati anche dall'Italia, rivestono fondamentale importanza alcuni attiad efficacia esterna emanati dall'O.I.L. (Organizzazione internazionale dellavoro, istituzionalmente deputata a favorire il progresso delle classilavoratrici nel mondo), e cioè:

le convenzioni, strutturate in articoli, aventi natura di veri epropri atti normativi, che assumono valore di norme interne se sonorese esecutive con legge dello Stato;

le raccomandazioni, prive di valore impegnativo, con cui si auspicache gli Stati destinatari si attivino per la risoluzione di undeterminato problema.

Con riferimento al secondo livello, va ricordato che, a differenza dellenorme del diritto internazionale, quelle del diritto comunitario - chehanno assunto, specie nell'ultimo decennio, una sempre crescente importanza- possono esplicare efficacia immediata e diretta all'interno degliordinamenti giuridici degli Stati membri. Tali norme sono quelle contenute:

nei regolamenti comunitari, che, ai sensi dell'art. 189, co. II, delTrattato C.E.E., hanno portata generale applicandosi a tutto ilterritorio comunitario ed a tutti i soggetti giuridici comunitari;

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nelle direttive comunitarie, che, a norma del co. III dell'art. 189del Trattato istitutivo della C.E.E., vincolano lo Stato membro cuisono rivolte per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salvarestando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma edai mezzi.

Le fonti legislative

In materia di diritto del lavoro, le fonti legislative sono le seguenti:

la Costituzione, che si pone all'apice della gerarchia delle fonti; le leggi ordinarie e gli altri atti aventi forza di legge, collocati

in posizione subordinata rispetto alla Costituzione; i regolamenti di attuazione o di esecuzione degli atti summenzionati,

emanati nella forma del decreto del Presidente della Repubblica dalGoverno, ovvero dai ministri con proprio decreto, ovvero da altreautorità ove ciò sia previsto. Tali regolamenti non possonomodificare le leggi e gli altri atti aventi forza di legge, néderogare ad essi.

La Costituzione

La nostra Carta costituzionale, definita da taluno "lavoristica"(MAZZIOTTI), considera il rapporto di lavoro come il più importanterapporto interprivato. Prova ne è che nella grande area delle garanziecostituzionali attinenti ai rapporti tra privati, le garanzie relativeal rapporto di lavoro sono di gran lunga prevalenti (GHERA).

Il rilievo dato dalla Costituzione al lavoro si evince, innanzitutto,dall'art. 1, co. I, ai sensi del quale "L'Italia è una Repubblica democratica,fondata sul lavoro".Nonostante qualche autorevole opinione contraria, sembra doversiritenere che, nel contesto di tale disposizione, il termine lavoroassuma un significato ampio, tale da comprendere cioè non solo illavoro salariato, ma ogni altra attività, anche imprenditoriale.

Vengono, quindi, dettati in altre norme costituzionali, altri principifondamentali volti a rendere più concreta la disposizione di cuiall'art. 1, co. I.

In realtà, è necessario distinguere in proposito le norme dellaCostituzione sociale dalle norme della Costituzione economica. Infatti,come osserva Ghera, "la tutela del soggetto contraente debole rappresentaindubbiamente la finalità delle norme dettate dalla Costituzione in materia di lavoro, ma non sitratta più di una finalità esclusiva: si aggiunge, infatti, ad essa la finalità ulteriore e più ampiadella garanzia dei diritti sociali. Al tradizionale obiettivo della tutela della posizione contrattualedebole si affianca perciò l'obiettivo della tutela della libertà e dignità sociale del lavoratore".

Gli articoli della Costituzione sociale che vengono in rilievosono:

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o l'art. 2, che riconosce e garantisce i diritti inviolabilidell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove sisvolge la sua personalità: tale disposizione, da un lato, hacontribuito all'ampliamento della categoria dei diritti civilidei lavoratori e, dall'altro, ha conferito efficaciainterprivata alle libertà fondamentali (MAZZIOTTI);

o l'art. 3, che sancisce il principio dell'eguaglianzagiuridica e, dunque, implicitamente, il divieto, per illegislatore, di discriminazione fra lavoratori (essendo ilprincipio di eguaglianza non meramente formale, ma sostanziale,saranno chiaramente consentiti trattamenti differenziati inpresenza di situazioni diverse);

o l'art. 4, che al co. I statuisce che "La Repubblica riconosce atutti i cittadini il diritto al lavoro", tipico diritto sociale, ossiafinalizzato all'eliminazione delle disuguaglianze sostanziali; eal co. II sancisce il dovere di svolgere un'attività o unafunzione che contribuiscano al progresso materiale o spiritualedelle società, dovere non sanzionabile penalmente stantel'inammissibilità nel nostro ordinamento del lavoro coatto.

Gli articoli della Costituzione economica relativi alla materiadel lavoro sono:

o l'art. 35, che dispone che la Repubblica tutela il lavoro(in tutte le sue forme ed applicazioni), la formazione el'elevazione professionale dei lavoratori, promuove gli accordie le organizzazioni internazionali volti ad affermare i dirittidei lavoratori, riconosce la libertà di emigrazione;

o l'art. 36, che enuncia il diritto del lavoratore ad unaretribuzione proporzionata e sufficiente nonché il dirittoirrinunciabile al riposo settimanale ed alle ferie, ponendoaltresì il principio che la durata massima della giornatalavorativa deve essere stabilita con legge;

o l'art. 37, relativo al lavoro femminile ed al lavorominorile, che stabilisce, tra l'altro, che alla donnalavoratrice spetta, a parità di lavoro, parità di retribuzionerispetto ai lavoratori maschi;

o l'art. 38, in cui è prefigurato l'intervento assistenzialenonché quello previdenziale a favore dei lavoratori subordinati"in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia,disoccupazione involontaria";

o l'art. 39, che tratta della libertà sindacale, delsindacato riconosciuto e del contratto collettivo;

o l'art. 40, a norma del quale "Il diritto di sciopero siesercita nell'ambito delle leggi che lo regolano".

I codici

Nell'ambito delle leggi ordinarie, una posizione preminente,quale fonte del diritto del lavoro, spetta al Codice Civile ed inparticolare al suo libro V che reca l'intestazione "Del lavoro".

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Va, però, precisato, al riguardo, che non tutte le norme in essocontenute afferiscono alla materia del lavoro, così come, perconverso, molte norme appartenenti al diritto del lavoro sonocontenute in altri libri del codice.

Di più, alcune speciali figure di contratti di lavoro ed alcunecategorie di prestatori di lavoro rinvengono la loro disciplinanel codice della navigazione.Sempre con riguardo ai codici, va rammentato che il codice diprocedura civile conteneva le norme relative alle controversie inmateria di lavoro; ma tali norme sono state integralmenteriformate con la L. 11 agosto 1973, n. 533.

Gli altri atti aventi forza di legge

Per legge deve intendersi anche ogni altro atto avente forza dilegge, e quindi:

o i decreti legislativi, di cui agli artt. 76 e 77, co. I, Cost.,che hanno trovato ampia applicazione in materia di lavoro,soprattutto in virtù della legge delega 14 luglio 1959, n. 741,che autorizzò il Governo a recepire, appunto con decretolegislativo, in via transitoria, i contratti collettivi fino aquel momento stipulati per conferire ai medesimi efficaciagenerale;

o i decreti-legge, di cui all'art. 77, co. II e III, Cost, chehanno conosciuto una notevole diffusione negli ultimi tempi (sipensi, ad esempio ai decreti-legge sul costo della forzalavoro).

Le leggi speciali

Numerosissime sono le c.d. leggi speciali volte a tutelare illavoratore, non solo in quanto contraente debole, ma anche nellasua qualità di soggetto che impegna la propria persona nelrapporto di lavoro, ricavandone un reddito che costituisce, nellamaggior parte dei casi, la sua unica fonte di sostentamento.Nella più recente legislazione si registra la tendenza atutelare, oltre all'integrità fisica del lavoratore, anchel'integrità morale dello stesso.Si citano qui soltanto alcune delle più importanti leggispeciali, e cioè:

o la L. 15/7/1966, n. 604 (licenziamenti individuali), modificataed integrata dalla L. 11/5/1990, n. 108;

o la L. 20/5/1970, n. 300, universalmente nota come Statuto deilavoratori;

o la L. 11/8/1973, n. 533 (processo del lavoro); o la L. 23/7/1991, n. 223 (licenziamenti collettivi).

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Le fonti contrattuali

Non tutta la disciplina relativa alla materia del lavoro è contenuta nelcodice o nelle leggi integratrici - pure numerose - o, ancora, nei decreti-legge e nei decreti legislativi emanati dal Governo.

Altra regolamentazione, che si aggiunge a quella generale, può essererinvenuta:

o nel contratto collettivo, che la migliore dottrina definisce come ilcontratto stipulato tra il sindacato dei lavoratori e l'associazionesindacale degli imprenditori, a livello interconfederale, o dicategoria, o aziendale, al fine di stabilire il trattamento minimogarantito e le condizioni di lavoro a cui dovranno uniformarsi isingoli contratti individuali;

o e nel contratto individuale, consistente nell'accordo raggiuntodirettamente tra singolo lavoratore e singolo datore.

Il contratto collettivo viene stipulato a più livelli. Esso può essere:

o confederale: è tale il contratto che viene stipulato tra leconfederazioni nazionali che rappresentano interi rami delle attivitàeconomiche, e che è relativo ad istituti di generale applicazione;

o nazionale di categoria: si tratta del contratto stipulato tra leorganizzazioni sindacali di categoria, che detta la disciplinagenerale delle condizioni minime di trattamento della forza-lavoro;

o aziendale: stipulato anche direttamente da parte del datore e, per ilavoratori, anche dal solo organismo sindacale aziendale, che dettala disciplina delle condizioni di trattamento dei dipendentiall'interno dell'azienda.

Nelle ipotesi in cui i contratti di diverso livello predisponganodiscipline in contrasto fra loro, il criterio risolutore del conflitto deveessere individuato, per la dottrina e la giurisprudenza dominanti, nelcriterio della specialità, ossia nella preferenza accordata alla disciplinaspeciale rispetto a quella generale.

Per quanto concerne i rapporti tra contratto collettivo e contrattoindividuale va detto che essi sono strettamente regolati, nel nostroordinamento, dal meccanismo dell'inderogabilità in peius di natura reale; èinvece possibile che il contratto individuale si discosti dal contrattocollettivo derogandolo in melius.

Tuttavia, in tema di fonti del diritto del lavoro, l'argomento di maggiorinteresse è quello del rapporto tra la legge e contrattazione collettiva.Tra tali fonti possono stabilirsi tre forme di relazione funzionale:

o una funzione ordinaria del contratto collettivo di applicazione especificazione dei principi posti dalla legge;

o una funzione di disciplina del contratto collettivo, in virtù diespressa previsione legislativa;

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o una funzione derogatoria del contratto collettivo, abilitato daspecifica previsione legislativa a dettare una disciplina difforme daquella posta con legge.

Gli usi

L'uso è costituito da un comportamento costante ed uniforme, dal ripetersicioè di un dato comportamento nel tempo ("diuturnitas"), accompagnato dallaconvinzione della conformità al diritto e della necessità giuridica delcomportamento stesso ("opinio iuris ac necessitatis").

Nella loro qualità di fonti del diritto del lavoro, gli usi assumono unavalenza peculiare. Essi sono sempre dispositivi in quanto si applicano, diregola, solo in mancanza di disposizioni di legge o di contratto collettivoe non possono derogare la disciplina del contratto collettivo né prevaleresu quella del contratto individuale. Tuttavia, essi, se più favorevoli alprestatore, prevalgono - è questa la deroga, contenuta nell'art. 2078,c.c., alla regola generale sancita dall'art. 8, preleggi - sulle normedispositive di legge.

Da tale categoria di usi - i c.d. usi normativi - va tenuta distinta quelladegli usi aziendali, che esplicano la loro efficacia nell'ambito, non dellacomunità generale, ma di una singola unità produttiva. Gli usi aziendalinon hanno valore di norma inderogabile e, secondo la giurisprudenza,possono essere esclusi dalle parti, ancorché solo al momento dellastipulazione del contratto individuale.

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Il LAVORO SUBORDINATO

La dottrina tradizionale considerava il rapporto di lavoro subordinato nelsettore privato l'oggetto esclusivo del diritto del lavoro in sensostretto. Di tale branca del diritto si registra, invece, oggi una tendenzaespansiva; la tendenza cioè a regolamentare anche altri rapporti di lavoro,diversi da quello dipendente, ma ritenuti parimenti meritevoli di tutelagiuridica.

Ciò detto, si pone innanzitutto il problema dell'individuazione deicaratteri costitutivi del rapporto di lavoro subordinato (c.d. "locatiooperarum"), di quello autonomo (c.d. "locatio operis" o contratto d'opera) e diquello parasubordinato.

La distinzione tra questi diversi tipi di rapporto non è questione di pocomomento: basti pensare, a titolo esemplificativo, che la disciplinaparticolarmente favorevole dettata in tema di recesso del datore di lavoroovvero di previdenza ed assistenza si applica, in linea di principio, alsolo rapporto di lavoro subordinato.

Il rapporto di lavoro subordinato

L'art. 2094, c.c., riferendosi al rapporto di lavoro alle dipendenze diun'impresa, definisce il prestatore di lavoro subordinato come colui che "siobbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettualealle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore". Per i rapporti di lavoro condatori non imprenditori provvede l'art. 2239, c.c., che disponel'applicabilità anche a questi ultimi della normativa del lavoronell'impresa, in quanto compatibile con la specialità del rapporto.

Sulla base del dettato dell'art. 2094, c.c., gli elementi di qualificazionedel lavoro subordinato vengono individuati nella subordinazione e nellacollaborazione del prestatore.

La subordinazione

La subordinazione rappresenta l'elemento qualificante del rapporto dilavoro in oggetto, indipendentemente dal luogo in cui questo sisvolge, e ciò in quanto esso implica per definizione una prestazionenon autonoma, ma svolta alle dipendenze e sotto la direzione deldatore o di chi per lui.

Il grado di subordinazione effettiva varia, riducendosi via via che sipassa dal lavoro meno qualificato alle prestazioni di altaspecializzazione: questa, però, è solo un'implicazione di fatto, nonconferente sul piano giuridico-formale.

La subordinazione del lavoratore presenta i seguenti caratteri:

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è tecnica e funzionale, cioè determinata dalla prestazione ed a questacollegata;

è personale, in quanto investe la personalità stessa del prestatore,assoggettato perciò al potere direttivo e disciplinare del datore edei collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende;

è patrimoniale, avendo origine contrattuale e ricollegandosi allaretribuzione;

è costante, poiché variano solo, in relazione alle mansioni a ciascunoattribuite, i limiti della subordinazione.

Come osserva la dottrina prevalente (SANTORO, PASSARELLI, PERA), lasubordinazione è una notazione non meramente economica - da intenderecioè in termini di inferiorità socio-economica e, dunque, dicondizione sociale - ma propriamente giuridica - imposta cioè dallanormativa del codice. Essa comporta, infatti, che l'osservanza delledisposizioni a cui è tenuto il prestatore sia garantita dalle sanzioniche colpiscono le infrazioni del lavoratore, così come anche gli abusidel datore.

Proprio perché nel rapporto di lavoro di cui trattasi il prestatore simette a disposizione del datore per svolgere l'attività dedotta nelcontratto, i rischi connessi allo svolgimento dell'attività lavorativagravano sul datore. Più precisamente, su quest'ultimo gravano ilrischio economico e la responsabilità verso i terzi per i dannicausati dai dipendenti, mentre è coperto per legge da assicurazionisociali obbligatorie il rischio dell'inabilità al lavoro e ricadonosugli istituti di assistenza e previdenza obbligatori - e soloindirettamente sul datore - i rischi per gli incidenti sul lavoro e lemalattie professionali.

La collaborazione

Venendo all'altro carattere costitutivo del rapporto di lavorosubordinato, e cioè la collaborazione, va rilevato che autorevoledottrina ritiene che il riferimento ad essa, contenuto nell'art. 2094,c.c., sia da considerare quale "omaggio ideologico" alle tesi dominantiall'epoca dell'emanazione del codice. Secondo tali tesi, l'ordinamentodel rapporto di lavoro doveva essere proiettato al superamento delconflitto tra le classi sociali; conflitto inconciliabile con ilsistema corporativo di disciplina dei rapporti di produzione (GHERA).

Tuttavia, l'elemento della collaborazione può ritenersi ancora oggiattuale se inteso come descrittivo, per così dire, del fenomeno dellapartecipazione di un soggetto all'attività lavorativa di un altrosoggetto.

Più in dettaglio, si ritiene che la collaborazione si specifichi:

nella continuità ideale della disponibilità delle energielavorative, intellettuali o manuali, poste al servizio del datore;

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nell'inserimento del lavoratore all'interno dell'organizzazioneproduttiva.

Anche il grado di collaborazione effettiva, come quello disubordinazione, varia col variare dell'intensità del vincolo che legail prestatore al datore.

Gli indici della sussistenza della subordinazione

Se è vero che quelli di cui si è appena detto sono i carattericostitutivi del rapporto di lavoro subordinato, è anche vero che nonsempre nel caso concreto è facile stabilire se un determinato rapportodi lavoro partecipi oppure no di tali caratteri.

L'elemento della subordinazione, in particolare, non sempre puòagevolmente apprezzarsi. Tale difficoltà ha dato vita ad un nutritocontenzioso che ha portato la giurisprudenza ad individuaredeterminate circostanze di fatto, ricavate per massima d'esperienzadalla realtà sociale, da considerarsi come indici o spie dellasussistenza dell'elemento della subordinazione. Se ne menzionanoalcune, e cioè:

il luogo della prestazione, sempre che il lavoratore si rechi alavorare nei locali apprestati dal datore;

la predeterminazione dell'orario di lavoro; l'inserimento del prestatore nell'organizzazione produttiva; l'incidenza del rischio sul datore di lavoro.

Si sottolinea, però, che nessuno di tali criteri - e degli altri chepure sono stati individuati dalla giurisprudenza - è decisivo ai finidell'esatta qualificazione del rapporto di lavoro, essendo la stessasempre rimessa alla prudente valutazione del giudice.

Il rapporto di lavoro autonomo

Ai sensi dell'art. 2222, c.c., si ha lavoro autonomo o "locatio operis" ocontratto d'opera "quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un'operao un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti delcommittente".

Come si evince dalla lettura di tale norma, nel rapporto di lavoroautonomo, l'oggetto della prestazione è rappresentato dall'"opus perfectum",ossia dal risultato finale dell'attività organizzata dallo stessoprestatore; risultato che potrà essere ovviamente assai diverso a secondadella specifica natura dell'opera o del servizio il cui compimento èdedotto in obbligazione.

Dunque, il lavoratore autonomo si trova in una posizione di autonomia,essendo rimessa alla sua piena discrezionalità la scelta circa le modalità,il luogo ed il tempo di organizzazione della propria attività e ricadendo

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completamente su di lui il rischio inerente all'esercizio dell'attivitàlavorativa (salva l'ipotesi di cui all'art. 2228, c.c.).

Tale posizione di autonomia rappresenta l'elemento che differenzia illavoratore autonomo dal lavoratore dipendente, che si trova, al contrario,in una posizione di subordinazione, dovendo prestare il proprio lavorosecondo le direttive, la vigilanza ed il controllo del datore sul qualeincide il rischio connesso allo svolgimento dell'attività lavorativa.Ancora, nel rapporto di lavoro dipendente oggetto della prestazione non èil risultato, ma le "operae" (pertanto si parla di "locatio operarum"), ossiale energie lavorative che il datore impiega per conseguire un risultatoutile a proprio rischio.

La giurisprudenza ha anche chiarito che nel caso di contemporaneasussistenza di rapporto di lavoro subordinato e rapporto di lavoro autonomova applicata la disciplina del rapporto i cui caratteri assumono prevalenterilevanza qualitativa e quantitativa.

Il rapporto di lavoro parasubordinato

Il rapporto di lavoro parasubordinato può essere definito come quelrapporto che, a prescindere dalla sua formale ed incontestata autonomia, sicaratterizza, oltre che per la continuità, per il carattere strettamentepersonale della prestazione, integrata dall'impresa e da questa coordinata(PERA).

Quindi, tale rapporto di lavoro è caratterizzato dalla:

continuatività, nel senso che esso - se pure eventualmente fondato su piùcontratti - deve avere stabilità e durata nel tempo (restano esclusele prestazioni uniche ed occasionali);

coordinazione, che comporta l'inserimento del lavoratorenell'organizzazione predisposta dal datore, il collegamento con ifini da questo perseguiti e - compatibilmente con l'autonomiaprofessionale del lavoratore - la sottoposizione all'ingerenza edalle direttive del datore stesso;

personalità della prestazione, che deve prevalere sull'aspettoimprenditoriale, tenuto conto del numero dei collaboratori,dell'entità dei capitali impiegati e del giro d'affari del lavoratoreparasubordinato.

Del rapporto di lavoro in oggetto manca, allo stato attuale, unaregolamentazione sostanziale diretta e protettiva. Tuttavia, laconsiderazione della posizione di inferiorità socio-economica in cui versail lavoratore rispetto al committente, ha indotto il legislatore adestendere, con la L. 11-88-73, n. 533, la disciplina delle controversieindividuali di lavoro anche ai "rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale edaltri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione d'opera continuativa ecoordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato".

Le forme tipiche di rapporto parasubordinato sono dunque:11

l'agenzia, che, ai sensi dell'art. 1742, c.c., è il contratto con ilquale "una parte assume stabilmente l'incarico di promuovere, per conto dell'altra, versoretribuzione, la conclusione di contratti di una zona determinata";

la rappresentanza, che, in conformità con l'art. 1752, c.c., ricorrequando all'agente è conferita dal preponente la rappresentanza per laconclusione dei contratti.

La giurisprudenza ha, poi, ritenuto che rientrino, tra gli altri, nelloschema del rapporto di lavoro parasubordinato:

il contratto di scrittura artistica, purché avente ad oggetto l'effettuazioneperiodica di prestazioni;

l'attività del procacciatore di affari, svolta mediante prestazioni a caratterepersonale ripetute per un apprezzabile lasso di tempo e coordinatecon l'organizzazione ed i fini perseguiti dal preponente;

l'attività di consulenza, purché le parti ne concordino lo svolgimento per unperiodo apprezzabilmente lungo ed in relazione ad una serie diincarichi.

I soggetti del rapporto di lavoro subordinato: il datore di lavoro

Nozione e classificazione dei datori di lavoro

E’ datore di lavoro chi dà ad altri un lavoro alle proprie dipendenze in cambio di unaretribuzione. Per lo status giuridico di datore di lavoro non sono previstirequisiti particolari, applicandosi senza eccezioni le norme generalidettate per la capacità giuridica e di agire.

I datori di lavoro possono essere distinti in vari modi. La più usualeclassificazione è tra datori di lavoro non professionali eprofessionali [1].

[1] Questi ultimi sono a loro volta suddivisi in industriali,commerciali, agricoli, artigiani.

La Pubblica amministrazione come datore di lavoro

Prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 29/’93, la natura giuridicapubblica o privata del datore di lavoro rivestiva un’importanzafondamentale. Infatti, qualora il datore di lavoro fosse lo Stato odun Ente Pubblico non economico, non si applicava la disciplina dellavoro subordinato bensì la normativa relativa al pubblico impiego. Inseguito al citato D.Lgs. e ad una serie di successivi provvedimenti,si è giunti ad una quasi totale equiparazione del rapporto di impiegoalle dipendenze della P.A. al rapporto privato di lavoro subordinato.

Il prestatore di lavoro subordinato

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Ai sensi dell’art. 2094 c.c. è prestatore di lavoro subordinato colui che“si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettualeo manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”. Tale definizione,tuttavia, risulta incompleta in quanto esclude le forme di lavorosubordinato che non vengono prestate nell’ambito dell’impresa come illavoro domestico o il lavoro a domicilio. La dottrina è pertanto pervenutaa definire il lavoratore subordinato come “colui che si obbliga, dietro retribuzione, aprestare il proprio lavoro alle dipendenze e sotto la direzione di un altro soggetto”.

Il volontariato

L’art. 2 della L. 266/91 (legge quadro sul volontariato) definisce comeattività di volontariato quella prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramitel’organiz-zazione cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente perfini di solidarietà. Tale attività non può essere retribuita ed è incompatibilecon qualsiasi forma di rapporto di lavoro, autonomo o subordinato, conl’organiz-zazione di appartenenza. Al lavoro di volontariato non si applicala disciplina del lavoro, eccetto l’obbligo di assicurazione dei volontaricontro gli infortuni e le malattie connessi all’attività prestata e per laresponsabilità civile verso i terzi.

LA FONTE CONTRATTUALE DI REGOLAMENTAZIONE DEL RAPPORTO

Il problema della fonte del rapporto di lavoro: il prevalere delle tesicontrattualistiche e la configurazione del contratto di lavoro comecontratto di scambio.

Una delle questioni più dibattute dalla dottrina giuslavoristica è quellaconcernente l'origine contrattuale oppure no del rapporto di lavoro. Sipossono distinguere, al riguardo, due diversi orientamenti di pensiero, inquanto:

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da un lato, vengono sostenute tesi che possono essere definiteacontrattualistiche, perché, pur nella varietà delle ricostruzioni e delleargomentazioni addotte, negano che la disciplina del rapporto di lavorodebba essere costruita in chiave contrattuale;

dall'altro, si propugnano tesi cosiddette contrattualistiche perchémuovono dall'opposto rilievo che il rapporto di lavoro derivinecessariamente dal contratto, benché di quest'ultimo il Codice Civilenon dia alcuna definizione, limitandosi alla disciplina del rapporto.

Nell'ambito del primo orientamento, discorrendo in termini sintetici,possono ulteriormente distinguersi:

la teoria istituzionalistica, che - configurando l'azienda quale comunitànecessaria di cui, sia pure con ruoli diversi, fanno parte tanto ildatore che il lavoratore, legati dall'identico sentimento diappartenenza - esclude che il rapporto di lavoro abbia naturacontrattuale in quanto in esso è fortemente limitata l'autonomianegoziale del prestatore, autonomia di cui il contratto è invece lamassima espressione;

la teoria della prestazione di fatto, propugnata da quanti, facendo levasull'art. 2126, co. I, C.C. ("La nullità o l'annullamento del contratto non produceeffetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione..."), sostengono che ilrapporto di lavoro trae origine dalla materialità della prestazione difatto, svincolata cioè da una fonte contrattuale. In altri termini, sei normali effetti del rapporto di lavoro subordinato si producono comeconseguenza dell'esecuzione della prestazione, nonostante la nullità ol'annullamento del contratto, si deve ammettere che fonte del rapportoè non il contratto, ma la prestazione di fatto.

Le teorie suesposte sono però generalmente respinte dalla dottrinadominante che, seguita anche dalla giurisprudenza, si fa portatrice diconcezioni contrattualistiche, individuando la fonte del rapporto di lavoronel contratto ed osservando:

con riferimento alla tesi istituzionalistica, che i limitidell'autonomia negoziale nella disciplina del rapporto non escludono lalibertà di consenso al momento della sua costituzione. L'accordo delleparti resta pur sempre la fonte del rapporto, anche se esso non necostituisce la fonte esclusiva, bensì una fonte concorrente con lenorme legislative e le norme contrattuali;

con riferimento alla tesi della prestazione di fatto, che proprio dallalettura dell'art. 2126, co. I, c.c., si evince che l'ordinamentoricollega la costituzione del rapporto individuale di lavoroall'esistenza di un titolo contrattuale, anche se nullo o annullabile.Difatti, la norma sopraccitata, riconoscendo effetti al contratto nullood annullabile, implicitamente conferisce rilevanza al contratto comefattispecie produttiva degli effetti stessi.

Una volta accolta la tesi contrattualistica, sorge però il problema diindividuare la natura giuridica del contratto di lavoro. Questo viene divolta in volta configurato in vario modo, cioè a dire:

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ora come contratto associativo, nel senso che realizza una comunione discopo tra le parti (datore e prestatore) in vista del perseguimento diun interesse comune ad entrambe (in primo luogo, l'interesse comunealla prosperità dell'impresa);

ora come contratto di adesione, le cui clausole sono predisposteunilateralmente dal datore, essendo il lavoratore solo libero diaderire o meno;

ora, infine, come contratto di scambio, caratterizzato dalla sussistenza direciproche posizioni di supremazia e di soggezione delle parti.

Quest'ultima concezione è quella seguita dalla dottrina più accreditata,che, tuttavia, incontra il problema ulteriore dell'inquadramento delcontratto di lavoro negli altri contratti di scambio.

Un primo tentativo di risoluzione della questione si sviluppa nel senso diricondurre il contratto alla compravendita, attribuendo alle energielavorative la natura di beni immateriali che si staccano dalla persona delprestatore e che costituiscono, dunque, l'oggetto dello scambio. Tuttavia,in senso critico, è facile porre in evidenza l'impossibilità di scindere leenergie dalla persona del lavoratore; impossibilità da cui deriva, a voleraccogliere la concezione in discorso, la conseguenza di ritenere illavoratore oggetto del contratto, con un'inaccettabile lesione della suadignità.

Pertanto, è preferibile fare ricorso allo schema classico della "locatiooperarum", effettuando, però, un distacco di tale figura dalla categoriagenerale della locazione, il cui elemento essenziale consiste sempre in undare. La "locatio operarum" ha, invece, come contenuto un facere, cioèl'obbligo del lavoratore di prestare la propria opera al servizio deldatore.

Così, il contratto di lavoro può, finalmente, essere definito come uncontratto di scambio con il quale il prestatore si obbliga a mettere a disposizione dell'imprenditore, oaltro datore, la sua attività, e questi si obbliga a corrispondere al prestatore di lavoro unaretribuzione

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IL CONTRATTO COLLETTIVO DI LAVORO

Il contratto collettivo di lavoro è l’accordo tra un datore di lavoro (o ungruppo di datori di lavoro) ed un’organizzazione o più di lavoratori, alloscopo di stabilire il trattamento minimo garantito e le condizioni dilavoro alle quali dovranno conformarsi i singoli contratti individualistipulati sul territorio nazionale.

Fra le prerogative più evidenti occorre notare:

il contratto collettivo di lavoro viene sempre stipulato da soggettidiversi da quelli nei cui confronti il contratto deve sortire effetti(sindacati>lavoratori);

il suo contenuto è determinante solo nel minimo, in quanto ilcontratto collettivo è inderogabile in peius;

i suoi effetti non si ripercuotono direttamente ed immediatamentesulle parti stipulanti.

Quanto alla natura giuridica del contratto collettivo, la dottrina èpressoché unanime a inserirlo nelle categoria dei contratti normativi, diquei contratti cioè che invece di regolare immediatamente gli interessidelle parti, determinano i contenuti di una futura produzione contrattuale.

Tipologie, scopo e fondamento dei contratti collettivi16

Nella dinamica della contrattazione collettiva possiamo individuare duetipi di contratti collettivi:

contratti collettivi unilateralmente sindacali: quelli stipulati da un singolodatore di lavoro con un’organizzazione collettiva dei lavoratori;

contratti collettivi bilateralmente sindacali: quelli stipulati da contrapposteassociazioni sindacali di datori di lavoro da un lato e di prestatoridi lavoro dall’altro.

Scopo dei contratti collettivi è quello di stabilire le condizioni uniformie obbligatorie valide per tutti i prestatori di una determinata categoriaonde evitare una possibile e dannosa concorrenza sia fra i prestatori chefra i datori di lavoro.

Il fondamento giuridico del contratto collettivo sta da un latonell’autonomia che l’ordinamento giuridico concede alle organizzazionisindacali e, dall’altro, nel rapporto interno che unisce il sindacato aisuoi membri, per cui il primo rappresenta giuridicamente i secondi.

Soggetti e livelli della contrattazione collettiva

Soggetti del contratto collettivo possono definirsi quelle entità collettive cherisultano portatrici, per investitura dei singoli, del relativo potere negoziale di autonomia. Benchédette entità possano essere talvolta il risultato di una rappresentanzaoccasionale e limitata, solitamente si tratta invece di soggetti investitidella negoziazione collettiva in via permanente e cioè i sindacati.

Nel nostro paese si è instaurata una prassi di contratto a tre (CGIL, CISL,UIL) dalla parte dei lavoratori con la Confindustria dalla parte dei datoridi lavoro. I livelli principali della contrattazione sono:

il livello interconfederale, in cui contrattano le Confederazioni Cgil,Cisl, Uil e le associazioni negoziali delle imprese, come laConfindustria, la Confapi, le organizzazioni rappresentativedell’artigianato e della cooperazione. A questo livello si producono iprotocolli d’intesa sulle relazioni industriali;

il livello nazionale di categoria, in cui contrattano sindacati nazionalirappresentanti le varie categorie (es. metalmeccanici, chimici ecc.)e le relative associazioni imprenditoriali. Questo livello produce icontratti collettivi nazionali di lavoro;

il livello aziendale, che produce un accordo valido per i lavoratori di unadeterminata impresa, solitamente migliorativo rispetto ai CCNL.

Oggetto della contrattazione collettiva

L’oggetto della contrattazione collettiva è individuabile essenzialmente indue diversi contenuti:

il contenuto normativo, che attiene al complesso di clausole che sonodestinate ad avere efficacia nei singoli rapporti di lavoro: in altreparole, la disciplina dei rapporti individuali di lavoro subordinato;

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il contenuto obbligatorio, che vincola a determinati comportamenti leassociazioni (dei lavoratori e datori) tra loro.

Nella realtà aziendale, le clausole obbligatorie – cioè tutte quelleclausole che istituiscono direttamente fra le associazioni stipulantirapporti di obbligazione, il cui eventuale inadempimento determina lainsorgenza di una responsabilità delle stesse associazioni – possono esseremolteplici. Fra le più importanti:

le clausole istituzionali, sono quelle che pongono in essere organi oistituti particolari con il fine di assolvere a specifici compiti;

le clausole di amministrazione, sono quelle che istituiscono collegi diconciliazione o di arbitrato o particolari organi paritetici con ilcompito di accettare reclami e controversie, sia individuali checollettivi, insorgenti su determinate materie;

le clausole di tregua sindacale, consistono in un impegno da parte degliagenti contrattuali dei lavoratori di non far ricorso all’azionediretta e a non organizzare agitazioni per conseguire la modifica delcontratto prima della sua scadenza naturale e senza che si presentiun valido motivo di revisione dello stesso.

La procedura di stipula del contratto collettivo

Ogni contratto collettivo ha generalmente durata biennale o triennale. Allascadenza si procede alla rinnovazione del contratto stesso mediante unprocedimento che si articola nelle seguenti tre fasi:

1. preparazione ed elaborazione della proposta contrattuale; 2. negoziazione ed eventuale mediazione dei pubblici poteri; 3. accordo finale.

Già prima della scadenza (ed entro comunque tre mesi), le organizzazionisindacali solitamente presentano delle piattaforme rivendicative (c.d.“pacchetti”). Queste contengono specifiche richieste che rappresentano labase minima della futura contrattazione.

I rapporti tra le diverse fonti di disciplina del contratto di lavoro

Per il rapporto di lavoro la gerarchia delle fonti è la seguente:

1. principi generali del diritto; 2. Costituzione e norme di diritto internazionale generalmente

riconosciute; 3. regolamenti e direttive comunitarie immediatamente dispositive; 4. leggi nazionali ed atti aventi forza di legge; 5. contratti collettivi e contratti individuali di lavoro; 6. usi e consuetudine; 7. principi interpretativi.

L’applicazione rigida di tale schema presupporrebbe che nel contrattocollettivo contenente deroghe rispetto alle disposizioni di legge, queste

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ultime prevarrebbero comunque rispetto ai contratti collettivi stessi.Sennonché, il principio del favore verso il lavoratore fa prevalere, frapiù fonti regolatrici del rapporto di lavoro, quella più favorevole versoil lavoratore [2] (derogabilità in melius).

[2] Restano comunque escluse le norme assolutamente inderogabili.

Quanto ai rapporti fra contratto collettivo e contratto individuale, ilsecondo può derogare al primo solo in melius. Le eventuali clausole delcontratto individuale difformi da quelle del contratto collettivo sononulle.

Il contratto collettivo di diritto comune e la sua efficacia

L’unico tipo di contratto collettivo che possa realizzarsi nel nostroordinamento è il contratto collettivo di diritto comune (così chiamato perché regolatoda norme di diritto comune). Tale tipo di contratto – proprio per unprincipio di diritto comune –vincola esclusivamente gli associati alleorganizzazioni sindacali che lo hanno stipulato. Nei fatti, tuttavia, lagiurisprudenza ha esteso in taluni casi l’efficacia di tali contratti anchenei confronti di lavoratori non appartenenti alle associazioni stipulanti,in particolare:

in applicazione dell’art. 36 Cost. si è operata l’estensione delcontratto collettivo di diritto comune per garantire ai lavoratori lasufficienza della retribuzione;

il contratto collettivo può trovare una applicazione in via di fattoquando vi sia stata, da parte dei soggetti del rapporto individuale,una adesione ai contratti collettivi, ovvero una ricezione di essinei contratti individuali, desumibili da una pratica costante,consolidatesi attraverso l’uniforme e prolungata applicazione deicontratti stessi.

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IL CONTRATTO INDIVIDUALE DI LAVORO

Il contratto individuale di lavoro è il contratto mediante il quale il prestatore si obbligaa mettere a disposizione del datore di lavoro la sua attività di lavoro e questi si obbliga acorrispondere al prestatore una retribuzione. Trattasi di un contratto:

oneroso, essendo necessaria l’esistenza di una retribuzione che è lanaturale controprestazione dell’attività lavorativa;

sinallagmatico, trattandosi di un contratto a prestazioni corrispettive; cumulativo, nel senso che la legge e i contratti collettivi

stabiliscono esattamente l’entità delle prestazioni econtroprestazioni;

eterodeterminato, in quanto il contenuto del contratto di lavoro vienepredeterminato nei tempi e nei modi dal datore di lavoro in vista deifini che l’organizzazione aziendale si pone.

Presupposti soggettivi del contratto di lavoro

La capacità giuridica e di agire del datore

Al datore si applicano le norme dettate per la generalità dei soggetti intema di capacità giuridica e di agire. Una disciplina sotto alcuni aspettiparticolare vige, però, se il datore è un imprenditore, posto che in talcaso incombono su di lui alcuni obblighi e limiti, determinati

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dall'esigenza di tutela del lavoratore subordinato alle dipendenzedell'impresa, soprattutto media o grande. La qualità di imprenditore deldatore assume rilevanza anche sotto il profilo della c.d.spersonalizzazione dell'imprenditore agli effetti della formazione econclusione del contratto nonché della successione nello stesso. Sotto ilprimo aspetto, in omaggio al principio della continuità dell'impresa, siapplica al lavoro subordinato l'art. 1330, c.c., ai sensi del quale laproposta o l'accettazione provenienti da un imprenditore restano fermeanche in caso di morte o di sopravvenuta incapacità prima della conclusionedel contratto. Sotto il secondo aspetto, l'art. 2112, c.c., dispone che "incaso di trasferimento d'azienda, il rapporto di lavoro continua conl'acquirente ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano": datale norma si desume agevolmente il principio della normale irrilevanzadella persona dell'imprenditore ai fini della successione anche mortiscausa nel contratto di lavoro.

La capacità giuridica e di agire del lavoratore

Al lavoratore si applicano tutte le regole generalmente dettate per lacapacità giuridica e di agire delle persone fisiche, in quanto, in ragionedell'implicazione delle energie del lavoratore nella prestazione, solo lepersone fisiche sono capaci di prestare il proprio lavoro e di agire alriguardo ponendo in essere i relativi negozi. Una parte della dottrinaafferma l'esistenza, in materia di lavoro, di una capacità giuridicaspeciale, stante la vigenza di una disciplina particolare che - salve ledisposizioni di legge che stabiliscono età minime inferiori o superiori -fissa l'età minima di ammissione al lavoro a quindici anni. Il che, come sivede, costituisce una deroga al principio di cui all'art. 1, c.c., chesancisce che la capacità giuridica si acquista al momento della nascita.Con riguardo alla capacità di agire, va detto che l'art. 2, c.c., dopo averribadito, al co. I, che con il compimento della maggiore età (18 anni) siacquista la capacità di porre in essere tutti gli atti per i quali non siastabilita un'età diversa, fa salve, con il co. II, le leggi speciali chestabiliscono un'età inferiore in materia di capacità a prestare il propriolavoro, statuendo che "in tal caso il minore è abilitato all'esercizio deidiritti e delle azioni che dipendono dal contratto di lavoro". Dunque, vi ècoincidenza tra la capacità giuridica, i.e. l'idoneità ad essere parte diun rapporto di lavoro, e la capacità al lavoro, ossia l'attitudine aprestare il proprio lavoro. In virtù di tale coincidenza tra capacitàgiuridica e capacità di agire in anticipazione rispetto alla regolagenerale, non vi è più spazio - secondo la dottrina maggioritaria - perl'intervento del genitore ovvero di qualunque altro rappresentante legale(nemmeno a titolo di semplice assistenza) nella stipulazione del contratto.Restano salvi, comunque, i casi in cui questo intervento sia espressamenteprevisto da norme speciali. A parte l'illiceità e, dunque, la nullità deinegozi contrari alle norme imperative di cui si è fin qui discorso, èprevista l'irrogazione di sanzioni penali per i datori che vicontravvengono e per i soggetti rivestiti di autorità o incaricati dellavigilanza sui minori cui le violazioni si riferiscono.

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Le documentazioni relative al lavoratore: il libretto di lavoro

Sotto l'aspetto della capacità giuridica del lavoratore possono essereconsiderate anche alcune documentazioni relative alla sua persona, poichéesse condizionano la validità o quantomeno la regolarità della conclusionedel contratto. Rientrano nella categoria di cui trattasi le iscrizioni deiprestatori in albi, registri, liste, ecc., richieste ai fini delcollocamento e dell'assunzione. In tale contesto, qualche cenno variservato alla disciplina generale del libretto personale di lavoro,contenuta nella L. 112/1935. Il libretto è obbligatorio per quasi tutti iprestatori di lavoro. Esso contiene una serie di indicazioni relative alprestatore, alcune delle quali provenienti dal sindaco (contro le quali èsempre ammessa la prova contraria); altre provenienti da ogni singolodatore di lavoro (contro le quali è ammesso anche il ricorso del lavoratoreall'Ispettorato del lavoro per la rettifica). Il libretto rimane, per tuttoil periodo di occupazione, presso il datore di lavoro, che, ove commettaabusi, è passibile di sanzioni penali. Nei casi in cui è esclusal'obbligatorietà del libretto, è previsto il rilascio, da parte del datore,all'atto della cessazione del rapporto di lavoro o del tirocinio, di unattestato del lavoro o del tirocinio compiuto e della sua durata.

Gli elementi essenziali del contratto di lavoro

L’accordo delle parti

Il contratto di lavoro è un contratto consensuale, che si perfeziona conl'incontro delle volontà espresse dalle parti. Come è stato osservato(GHERA), nella formazione del contratto di lavoro, la disciplina generaledel contratto dettata dal Codice Civile si applica con alcuni rilevanticaratteri di specialità, a causa dei numerosi limiti imposti dalla legge edalla contrattazione collettiva, che restringono in misura notevole ilmargine dell'autonomia privata. L'efficacia di tali limiti èparticolarmente penetrante e si attua per mezzo del meccanismodell'inserzione automatica di clausole (art. 1339, c.c.), e dellasostituzione di diritto delle clausole difformi del contratto individuale(art. 1419, c.c.). Tuttavia, essa, incidendo solo sul piano della liberadeterminazione del contenuto del contratto, non esclude l'originecontrattuale del rapporto di lavoro e, in secondo luogo, non inficia lanatura del contratto di lavoro che è e resta, come si è detto, un contrattoconsensuale.

La causa

La causa del contratto di lavoro deve essere individuata nello scambio tralavoro e retribuzione, scambio vincolato alla reciprocità per cuil'obbligazione e la prestazione di una parte sono in funzionedell'obbligazione e della prestazione dell'altra (SANTORO PASSARELLI).Dalla causa vanno tenuti distinti i motivi, che sono i particolariinteressi o bisogni che rappresentano lo scopo concreto che, tramite glieffetti del negozio, le parti intendono raggiungere. Essi sono, di regola,giuridicamente irrilevanti, a meno che le parti si siano determinate a

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concludere il contratto esclusivamente per un motivo illecito comune adentrambe, nel qual caso il contratto è illecito (art. 1345, c.c.).

L'oggetto

Secondo la dottrina dominante, l'oggetto del contratto di lavoro èrappresentato sia dalla prestazione lavorativa sia dalla retribuzione. Irequisiti che esso deve possedere sono quelli richiesti dall'art. 1346,c.c., per il contratto in generale, ossia:

la liceità: l'oggetto non deve essere contrario a norme imperative,all'ordine pubblico ed al buon costume;

la possibilità: al riguardo si distingue tra impossibilità di fatto edimpossibilità giuridica (numerose norme mitigano, comunque, mediantela previsione della sospensione del rapporto, gli effetti di unasopravvenuta impossibilità temporanea del datore di lavoro a riceverela prestazione o del lavoratore ad eseguirla);

la determinatezza o la determinabilità, alla quale concorrono i contratticollettivi e gli usi (si ricorda che questi ultimi hanno naturanegoziale e prevalgono sulle norme dispositive di legge solo quandodettano regole in senso più favorevole al lavoratore).

La forma

Il contratto di lavoro è un contratto a forma libera. Al principio dellalibertà della forma, tuttavia, si deroga in tutte le ipotesi in cuiparticolari patti, ovvero gli elementi accidentali del contratto,costituiscano clausole negoziali sfavorevoli al prestatore. Così devonorisultare a pena di nullità da atto scritto:

il patto di non concorrenza, per il periodo successivo allacessazione del rapporto, con il quale il lavoratore si obbliga a nonsvolgere attività professionali in concorrenza con il precedentedatore;

l'apposizione del termine, che deve essere altresì giustificata dallaspecialità del rapporto;

la determinazione del periodo di prova.

Al principio della libertà della forma si deroga anche per determinati tipidi contratti di lavoro, tra cui si ricordano:

il contratto di arruolamento marittimo, (richiede l'atto pubblico); il contratto di formazione e lavoro; il contratto a tempo parziale.

Ipotesi a sé stante è, poi, quella rappresentata dal contratto di lavoro atempo determinato del personale di volo, per il quale è richiesta, sì, laforma scritta, ma non ad substantiam, bensì ad probationem, cioè ai soli finiprobatori.

Gli elementi accidentali del contratto di lavoro

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Gli elementi accidentali del contratto sono quegli elementi che le partisono libere di apporre o meno, ma che una volta apposti incidonosull'efficacia del contratto stesso. Essi possono essere inseriti anche nelcontratto di lavoro: nella pratica, ricorrente è soprattutto l'apposizionedella condizione e del termine.

La condizione ed il patto di prova

La condizione - che è un avvenimento futuro ed incerto dal quale le partifanno dipendere la produzione degli effetti del contratto, cui lacondizione è opposta, ovvero l'eliminazione degli effetti già prodotti dalcontratto - può inerire in maniera esplicita od implicita al contratto dilavoro, e può essere:

sospensiva, se da essa dipende la produzione degli effetti delcontratto di lavoro;

risolutiva, se da essa dipende l'eliminazione degli effetti giàprodotti; qualora essa tenda, però, all'elusione delle normelimitative del licenziamento, è da ritenersi illecita.

Si osservano i principi civilistici con una particolarità: la retroattivitàdella condizione sospensiva non può risalire oltre l'effettivo inizio dellaprestazione di lavoro; la retroattività della condizione risolutiva èsicuramente esclusa per l'impossibilità di restituzione delle prestazionidi lavoro già eseguite.

Una parte della dottrina (GHERA, MAZZIOTTI) configura, quale particolareforma di condizione, il patto di prova, cioè la clausola scritta inserita nel contrattodi lavoro, con la quale le parti subordinano la definitiva assunzione all'esperimento positivo di unperiodo di prova (art. 2096, c.c.). Si è detto che il patto di prova è unaclausola scritta: esso, infatti, deve risultare da atto scritto contenentel'indicazione della durata della prova: in mancanza, l'assunzione dellavoratore si considera definitiva.

Poiché la prova è evidentemente uno strumento predisposto piùnell'interesse del datore che del prestatore, la legge fissa il limitemassimo di sei mesi per la sua durata. L'art. 2096, co. III, c.c., regolail recesso dal periodo di prova, stabilendo che "ciascuna delle parti puòrecedere dal contratto, senza obbligo di preavviso o d'indennità. Se peròla prova è stabilita per un tempo minimo necessario, la facoltà di recessonon può esercitarsi prima della scadenza del termine". Con riguardo alrecesso, la Corte costituzionale, con la sent. 16/12/1980, n. 189, hachiarito che esso non può essere immotivato, ma deve trovare la sua ragionenell'esito negativo della prova: è, dunque, illegittimo il licenziamento inperiodo di prova se non è stato concretamente consentito al lavoratore didimostrare le sue qualità professionali.

Se poi l'esperimento dà esito positivo, il periodo di prova si trasformanel rapporto di lavoro subordinato vero e proprio. Se, invece,l'esperimento dà esito negativo, il datore è obbligato a corrispondere alprestatore il trattamento di fine rapporto e le ferie retribuite o la

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relativa indennità sostitutiva, nonché ogni altro emolumento previsto peril lavoratore che non sia incompatibile con la particolare natura delperiodo di prova.

Il termine ed il contratto a tempo determinato

Si è detto che il contratto di lavoro è un contratto di durata. Ad esso,tuttavia, può anche essere apposto un termine finale. Lo sfavore del nostroordinamento per il contratto di lavoro a tempo determinato risultava, inpassato, chiaramente dal dettato dell'art. 2097, c.c., che consentival'apposizione del termine - richiedendo per essa la forma scritta -soltanto in presenza di un rapporto di lavoro che presentasse il caratteredella specialità.L'art. 2097, c.c., è stato abrogato dalla L. 18 aprile 1962, n. 230,intitolata "Disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato", che èancora più drastica, in quanto non si limita a richiedere la specialità delrapporto e la forma scritta per l'apposizione del termine, ma elenca inmaniera tassativa le ipotesi nelle quali tale apposizione può aversi. Sitratta dei seguenti casi:

quando l'apposizione del termine sia richiesta dalla speciale naturadell'attività lavorativa, derivante dal carattere stagionale dellamedesima;

quando l'assunzione abbia luogo per la sostituzione di lavoratoriassenti che abbiano diritto alla conservazione del posto, il cuinominativo e la causa della sostituzione siano specificati nelcontratto a termine;

quando l'assunzione avvenga per l'esecuzione di un'opera o di unservizio definiti e predeterminati nel tempo, aventi caratterestraordinario od occasionale;

per le lavorazioni a fasi successive che richiedono maestranzediverse, per specializzazione, da quelle normalmente impiegate elimitatamente alle fasi complementari od integrative per le quali nonvi sia continuità di impiego nell'ambito dell'azienda;

nelle assunzioni di personale riferite a specifici spettacoli ovveroa specifici programmi radiofonici o televisivi.

A queste ipotesi, la L. 84/1986 ne ha aggiunto un'altra, che si verificaquando l'assunzione viene effettuata da aziende di trasporto aereo e daaziende esercitanti i servizi aeroportuali ed abbia luogo per losvolgimento dei servizi operativi di terra e di volo, di assistenza a bordoai passeggeri e merci. Ancora possono essere stipulati contratti di lavoroa termine:

con i dirigenti amministrativi e tecnici, purché di durata nonsuperiore a 5 anni;

nei casi previsti dai contratti collettivi stipulati con i sindacatinazionali o locali aderenti alle confederazioni maggiormenterappresentative sul piano nazionale;

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per i lavoratori in mobilità, che possono essere assunti concontratto di lavoro a termine di durata non superiore a dodici mesi(art. 8, co. II, L. 223/1991).

L'art. 2, L. 230/1962, stabilisce che "il termine del contratto a tempodeterminato può essere, con il consenso del lavoratore, eccezionalmenteprorogato, non più di una volta e per un tempo non superiore alla duratadel contratto iniziale, quando la proroga sia richiesta da esigenzecontingibili ed imprevedibili e si riferisca alla stessa attivitàlavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempodeterminato". Il contratto si considera a tempo indeterminato fin dalladata della prima assunzione del lavoratore qualora:

il rapporto di lavoro continui dopo la scadenza del termineinizialmente fissato o successivamente prorogato;

il lavoratore venga riassunto a termine entro un periodo di quindiciovvero trenta giorni dalla scadenza di un contratto di duratarispettivamente inferiore o superiore a sei mesi;

si tratti di assunzioni successive a termine intese ad eludere ledisposizioni della L. 230/1962.

Obbligo d’informazione sulle condizioni applicabili al rapporto di lavoro

Ai sensi del D.Lgs. n. 152/97, il datore di lavoro ha l’obbligo diinformare per iscritto il lavoratore circa le condizioni applicabili alcontratto o rapporto di lavoro. Tale obbligo, che deve essere adempiutoentro 30 giorni dall’avvenuta assunzione, si sostanzia in una serie didettagliate notizie che devono essere rese al prestatore, in particolare:

l’identità delle parti; il luogo di lavoro; la data di inizio del rapporto e la sua durata; la durata del rapporto di prova, se previsto; l’inquadramento, il livello e la qualifica del lavoratore; l’importo iniziale della retribuzione; la durata delle ferie retribuite cui ha diritto il lavoratore; l’orario di lavoro; i termini del preavviso in caso di recesso.

Quanto alle modalità per rendere al lavoratore le informazioni suddette, sihanno in sostanza due possibilità:

attraverso il contratto di lavoro scritto o nella lettera diassunzione o in altro documento da consegnare al lavoratore;

nella dichiarazione, da consegnarsi al lavoratore in caso diassunzione diretta ai sensi dell’art. 9bis L. 608/96.

Interpretazione ed integrazione del contratto di lavoro

Per quanto riguarda l’interpretazione del contratto di lavoro, non vi sonoparticolari differenze rispetto alla normativa civilistica generale.

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Assumono rilievo gli usi quando i datori di lavoro sono commercianti,artigiani, agricoltori.L’integrazione del contratto trova vasta applicazione: il contratto dilavoro si limita in generale alle indicazioni essenziali, rinviando poialla contrattazione collettiva e alle leggi.

La patologia negoziale: cause di nullità e di annullabilità del contratto di lavoro

Le vicende patologiche del contratto di lavoro sono regolate dai principicomuni di diritto privato. Perciò, tale contratto può essere:

nullo, per contrarietà a norme imperative [3], per la mancanza di unrequisito essenziale, per illiceità della causa o del motivo, perimpossibilità, illiceità o indeterminabilità dell'oggetto;

annullabile, per incapacità legale o naturale di agire, per i vizidel consenso (errore, violenza e dolo) di una delle parti e perstipulazione del contratto in violazione delle norme sulcollocamento.

[3] Trattasi di nullità parziale in quanto la clausola viziata è sostituitadi diritto con le norme imperative violate.

Ciò detto in generale, occorre segnalare due fattispecie proprie deldiritto del lavoro in cui il legislatore fa scaturire effetti giuridici dacontratti di lavoro radicalmente nulli, e cioè:

l'ipotesi della prestazione di fatto, contemplata dall'art. 2126, co.1, c.c., a termini del quale "La nullità o l'annullamento delcontratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui ilrapporto ha avuto esecuzione, salvo che la nullità derividall'illiceità dell'oggetto o della causa". L'art. 2126, co. 1, c.c.,non equipara il rapporto di lavoro invalido a quello valido e nondisciplina lo svolgimento di un rapporto di fatto: esso regolaunicamente gli effetti giuridici di un rapporto di lavoro in concretosvoltosi fra le parti, a cui riconosce efficacia per il tempo in cuiha avuto attuazione, al fine di evitare che la portata retroattivadella pronuncia di nullità del contratto incida sulla prestazionelavorativa già resa e, dunque, sul diritto del prestatore allaretribuzione ed al versamento dei contributi assicurativi;

l'ipotesi del subappalto di mano d'opera: stante il divieto diintermediazione di cui alla L. 1369/60, i prestatori sonoconsiderati, a tutti gli effetti, alle dipendenze dell’imprenditoreche abbia effettivamente utilizzato le loro prestazioni.

Effetti dell’invalidità contrattuale

L’invalidità del contratto di lavoro, come abbiamo visto, può derivare siada cause di nullità, sia da cause di annullabilità. Le differenze sonorilevanti:

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la nullità può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse edè imprescrittibile;

l’annullabilità può essere fatta valere solo dalla parte interessatae la relativa azione è soggetta a prescrizione quinquennale, salval’eccezione di cui all’art. 1442, comma 4.

In deroga alla disciplina di diritto comune, secondo la quale il contrattonullo è inefficace fin dall’origine e quello annullabile conserva la suaefficacia sino al momento della pronuncia di annullamento, in materia dilavoro entrambi i vizi fanno salvi gli effetti giuridici prodotti dal contratto invalido al fine dievitare che il prestatore di lavoro subisca le conseguenze sfavorevolidella dichiarazione di nullità o dell’annullamento del contratto stesso(art. 2126).

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LA COSTITUZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO: IL COLLOCAMENTO DELLA MANODOPERA

Sistemi di collocamento ordinario

Limiti all’autonomia negoziale nella formazione del contratto di lavoro

Il contratto di lavoro, considerata la sua rilevanza sociale, è sottopostoa numerosi limiti. Questi, per quanto attiene alla fase iniziale delprocedimento formativo, possono essere ricondotti a tre categorie:

divieti di assunzione, destinati ad operare in alcuni casi in cui sianecessario tutelare i minori e le donne, la cui inosservanza comportala nullità dei relativi contratti per contrarietà a norme imperativee la comminatoria di sanzioni penali nei confronti dei datori;

assunzioni obbligatorie, a favore di alcune categorie di lavoratori (lec.d. categorie protette: invalidi e soggetti che versano inparticolari situazioni sociali, come orfani, vedove dei caduti inguerra, per servizio e sul lavoro, ecc.), individuate dalla L. 2aprile 1968, n. 482, e da altre disposizioni complementari. In base atale normativa, tutti i datori di lavoro, privati e pubblici(compreso lo Stato), che abbiano un numero di dipendenti che superile 35 unità, sono obbligati ad assumere, per un'aliquota pari al 15%del personale in servizio, lavoratori appartenenti alle categorieprotette. Tali soggetti vantano un diritto soggettivo perfettoall'assunzione e, quindi, il diritto al risarcimento dei dannicommisurati alle retribuzioni perdute, in caso di inadempimento deldatore;

modalità obbligatorie di assunzione, essendo imposto al datore che intendeassumere il rispetto delle disposizioni dettate in tema dicollocamento obbligatorio della manodopera, contenute nella L. 29aprile 1949, n. 264, negli artt. 33 e 34 dello Statuto deilavoratori, nelle leggi 25 marzo 1983, n. 79, 28 febbraio 1987, n. 56e 23 luglio 1991, n. 223.

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Delle tre categorie di limiti di cui si è appena discorso l'ultima èsicuramente la più importante. Pertanto, di essa si tratterà piùdiffusamente nei paragrafi che seguono.

La funzione del collocamento

Come afferma MAZZIOTTI, "il collocamento si esplica attraverso l'esercizio non di un sempliceservizio, ma di una vera e propria funzione: infatti esso dà luogo non all'erogazione di prestazioniamministrative, come nel caso di un servizio pubblico, bensì all'esercizio di una serie di poteriautoritativi, sia nella fase del procedimento che si conclude con l'iscrizione del lavoratore nelle liste dicollocamento, sia nella fase successiva che si conclude con l'atto di avviamento". Si tratta diun istituto volto sia a proteggere il prestatore contro le sopraffazionieventualmente perpetrate a suo danno dal datore - il quale potrebbe anche,in ipotesi, condizionare l'assunzione al versamento di una somma di danaro-, sia a debellare il deprecabile fenomeno della mediazione privata.Il collocamento, inteso come sistema normativo predisposto per losvolgimento della mediazione fra domanda ed offerta di lavoro, in vistadell’assunzione di manodopera, costituisce una funzione pubblica. Talefunzione, esercitata dallo Stato in via esclusiva prima dell’entrata invigore del D.Lgs. 469/97, è ora esercitata dalle Regioni e da alcuneagenzie private dotate di particolari requisiti di professionalità epatrimonialità. A partire dalla L. 608/96 fino al D.Lgs. 469/97, si èavviata una progressiva deregolamentazione del sistema delle assunzioni,accompagnata dal passaggio del ruolo svolto dallo Stato da una funzionepreventiva obbligatoria ad una funzione prevalentemente di controllo aposteriori e di indirizzo, promozione e coordinamento.

Gli organi

La funzione del collocamento è svolta quasi esclusivamente dal Ministerodel lavoro e della previdenza sociale, per mezzo di un apparato che,secondo una concezione piramidale, si articola in:

direzione generale per l'impiego, i cui compiti sono connessi alladisciplina nazionale del collocamento dei lavoratori dei settoridell'agricoltura, dell'industria e del terziario;

uffici regionali e provinciali del lavoro e della massimaoccupazione, organi periferici del Ministero del lavoro;

sezioni circoscrizionali per l'impiego, che, istituite dalla L.56/1987, hanno sostituito i preesistenti uffici di collocamento,nella funzione di effettiva intermediazione tra le offerte e ledomande di lavoro;

agenzie per l'impiego, istituite in ogni regione, con funzioni ditipo esclusivamente programmatorio.

Alla concreta gestione del collocamento contribuiscono anche leorganizzazioni sindacali, attraverso la presenza dei rappresentanti delleparti sociali nelle diverse commissioni a composizione mista, istituitenell'ambito della struttura burocratica facente capo al Ministero dellavoro, e cioè:

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la commissione centrale per l'impiego, con rilevanti funzioni diprogrammazione;

le commissioni regionali per l'impiego, cui sono attribuiti piùconcreti compiti gestionali;

le commissioni provinciali per l'impiego, con funzioni decisorie deiricorsi presentati contro provvedimenti delle sezioni o commissionicircoscrizionali;

le commissioni circoscrizionali, operanti nell'ambito delle sezionicircoscrizionali, anche con compiti di direzione politica dellesezioni stesse.

Le fasi: l'iscrizione e l'avviamento

Il collocamento si esercita attraverso due fasi fondamentali, a ciascunadelle quali corrisponde un procedimento amministrativo:

il primo si conclude con l'iscrizione del lavoratore nelle liste dicollocamento;

il secondo è volto all'avviamento al lavoro, su richiesta del datore.

Il primo procedimento ha inizio con la domanda di iscrizione presentata dallavoratore; domanda che l'ufficio di collocamento è obbligato ad accettareessendo l'iscrizione un atto dovuto (GHERA la classifica tra leammissioni).

I requisiti per la domanda sono:

la residenza nel comune dove ha sede l'ufficio presso il quale sichiede l'iscrizione;

l'età lavorativa; il libretto di lavoro.

I lavoratori vengono iscritti nelle liste secondo i seguenti criteri:

la prima classe comprende i lavoratori disoccupati o inoccupati,nonché quelli occupati a tempo parziale con orario non superiore a 20ore settimanali che aspirino ad un diverso impiego; restano iscrittiin questa classe anche i lavoratori avviati con contratto a termine,la cui durata complessiva non sia superiore a 4 mesi nell'annosolare;

nella seconda classe sono iscritti i lavoratori occupati in cerca didiversa occupazione;

infine, la terza classe comprende i lavoratori titolari ditrattamenti pensionistici di anzianità o vecchiaia.

Esiste anche una lista speciale nella quale vengono iscritti i lavoratoriche si dichiarino disponibili a svolgere attività part-time. La L. 407/90 ela L. 223/91 hanno previsto inoltre particolari liste di mobilità ovedebbono essere iscritti i lavoratori da lungo tempo in cassa integrazionestraordinaria o iscritti nelle liste di collocamento da lungo periodo.

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Ulteriori classificazioni, nell'ambito di ciascuna classe, vengono operatecon riguardo ai settori di produzione, alle categorie professionali ed allequalifiche possedute dai lavoratori. In base a tali classificazioni, ilavoratori vengono inclusi nelle graduatorie di avviamento, per laformazione delle quali si tiene conto:

del carico familiare; dell'anzianità di iscrizione nelle liste di collocamento; della situazione economica e patrimoniale desunta anche dallo stato

di occupazione dei componenti del nucleo familiare; degli altri elementi concorrenti nella valutazione dello stato di

bisogno del lavoratore.

Il lavoratore iscritto ha l'obbligo di comunicare alla sezionecircoscrizionale competente ogni mese (ovvero nel diverso termineeventualmente fissato dalla commissione regionale per l'impiego) lapermanenza dello stato di disoccupazione, a pena di cancellazione dalleliste (analoga sanzione è comminata nel caso in cui il lavoratore nonrisponda alla convocazione o rifiuti un posto di lavoro a tempoindeterminato, corrispondente ai suoi requisiti professionali, per duevolte consecutive e senza giustificato motivo).

La seconda fase del procedimento di collocamento, ossia quelladell'avviamento al lavoro, ha inizio con la richiesta che il datore deveinoltrare, per iscritto, all'ufficio competente.L’art. 9bis, come si è detto, ha totalmente innovato il sistema delcollocamento dei lavoratori dando facoltà a tutti i datori di lavoro diassumere direttamente i prestatori. Precedentemente alla L. 608/96, ildatore di lavoro in cerca di manodopera doveva presentare una richiestaagli uffici di collocamento e in particolare:

una richiesta numerica, prima dell’entrata in vigore della L. 223/91, dovepoteva indicare soltanto il numero di persone di cui occorreva;

un richiesta nominativa, dopo la L. 223/91, che non sostituiva comunquequella numerica per quanto riguarda l’assunzione obbligatoria diprestatori facenti parte di categorie protette [4].

[4] A tutela dei lavoratori appartenenti alle c.d. fasce deboli, èpredisposto un istituto, chiamato in sostanza a sostituire il vincolodell'avviamento numerico: è previsto, cioè, che i datori che occupano piùdi 10 dipendenti devono riservare una percentuale del 12% delle nuoveassunzioni a particolari categorie di lavoratori (quelli iscritti da più di2 anni nella prima classe delle liste di collocamento; quelli iscrittinelle liste di mobilità; quelli appartenenti a speciali categoriedeterminate con delibera della Commissione regionale per l'impiego,approvata dal Ministro del lavoro).

Attualmente, tutte le assunzioni possono essere fatte direttamente, senza il preventivonulla-osta da parte degli organi del collocamento, necessario solo perl’assunzione di extracomunitari non residenti in Italia e di lavoratoriitaliani destinati a prestare la propria opera in paesi non appartenenti

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alla CE. Permane comunque per i lavoratori, l’obbligo di iscrizione nelleliste di collocamento.

Al momento dell’assunzione il datore di lavoro è tenuto a registrareimmediatamente il lavoratore nel libro matricola ed a consegnargli unadichiarazione sottoscritta dei dati relativi a tale registrazione. Deveinoltre comunicare agli uffici di collocamento, entro 5 giornidall’avvenuta assunzione, l’assunzione stessa.

Il collocamento obbligatorio

Il collocamento obbligatorio, regolato sino ad oggi dalla L. 482/68, èdestinato ad una significativa riforma per effetto della L. 68/99.Quest’ultima si pone come finalità “la promozione dell’inserimento e della integrazionelavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di collocamentomirato”, intendendosi, per collocamento mirato dei disabili, l’insieme distrumenti tecnici e di supporto che permettono di valutare adeguatamente lepersone con disabilità nelle loro capacità lavorative allo scopo diinserirli in idonei posti di lavoro.

La disciplina del 1968

In base alla L. 482/68, i soggetti da assumere obbligatoriamente sono:

gli orfani e le vedove di dipendenti pubblici vittime del dovere o diazioni terroristiche;

gli invalidi di guerra; gli invalidi per servizio; gli invalidi del lavoro; gli invalidi civili; gli orfani e le vedove dei caduti in guerra o per servizio o sul

lavoro; i ciechi; i sordomuti; gli ex tubercolotici; gli ex deportati nei campi di sterminio nazisti; i minorati psichici aventi una capacità lavorativa che ne consenta

l’impiego in mansioni compatibili.

Quanto alla disciplina possiamo così riassumere:

i datori di lavoro privati che abbiano più di 35 dipendenti devonoassumere lavoratori appartenenti alle categorie sopraindicate perun’aliquota complessiva del 15% del personale in servizio;

analogo obbligo incombe alle pubbliche amministrazioni, aziende edenti pubblici che abbiano più di 35 dipendenti: la percentuale delpersonale da assumere è del 15% per gli operai e personale dellecarriere esecutive, 40% per il personale ausiliario o equiparato.

La disciplina del 1999

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La L. 68/99 estende il suo ambito di operatività:

alle persone in età lavorativa affette da minoranze fisiche,psichiche o sensoriali e ai portatori di handicap intellettivo, checomportino una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45%,accertata dalle competenti commissioni per il riconoscimentodell’invalidità civile;

alle persone invalide del lavoro con un grado di invalidità superioreal 33%, accertata dall’INAIL;

alle persone non vedenti o sordomute; alle persone invalide di guerra, invalide civili di guerra e invalide

per servizio con minorazioni ascritte dalla prima all’ottavacategoria (secondo le tabelle annesse al Testo Unico delle norme inmateria di pensioni di guerra).

Tra le principali novità della L. 68/99 rileva la variazione delle quote diriserva a carico dei datori di lavoro pubblici e privati, distinte nelleseguenti:

7% dei lavoratori occupati per i datori con più di 50 dipendenti; 2 lavoratori per i datori che hanno tra i 36 e i 50 dipendenti; 1 lavoratore per i datori che hanno tra i 15 e i 35 dipendenti.

A differenza della precedente normativa basata esclusivamente sulmeccanismo della richiesta numerica, la L. 68/99 prevede la richiestanominativa per:

tutte le assunzioni cui sono tenuti i datori di lavoro privati cheoccupano da 15 a 35 dipendenti, nonché i partiti politici, leorganizzazioni sindacali e sociali e gli enti da essi promossi;

il 50% delle assunzioni cui sono tenuti i datori di lavoro, cheoccupano da 36 a 50 dipendenti;

il 60% delle assunzioni cui sono tenuti i datori di lavoro, cheoccupano più di 50 dipendenti.

Promozione dell’occupazione

Numerosi sono gli strumenti predisposti dal legislatore per favorirel’inserimento occupazionale dei giovani e, più in generale, degliinoccupati e disoccupati appartenenti alle aree geografiche piùsvantaggiate.

Anzitutto rileva il contratto di formazione e lavoro che, accantoall’apprendistato, ha l’obiettivo di mediare l’esigenza dell’immediatoinserimento del giovane nel mondo del lavoro con quella di una contestualeattività formativa. Entrambi gli strumenti negoziali sono stati da ultimooggetto di una significativa riforma apportata dalla L. 196/97 (c.d.“pacchetto Treu”). Quest’ultima legge, inoltre, ha stabilito:

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il riordino della formazione professionale, orientato allavalorizzazione della stessa per il miglioramento della qualitàdell’offerta di lavoro;

l’attuazione degli interventi formativi anche mediante il ricorsogeneralizzato a stage in grado di realizzare il raccordo traformazione e lavoro, valorizzando il momento dell’orientamento efornendo un primo contatto tra i giovani e le imprese;

lo svolgimento delle attività di formazione professionale da partedelle Regioni o Province, anche in convenzione con gli istituti diistruzione secondaria o soggetti privati.

La formazione professionale e la formazione continua

Al fine di potenziare la crescita culturale e professionale dei giovani,ferme restando le disposizioni vigenti per quanto riguarda l’adempimento el’assolvimento dell’obbligo dell’istruzione, l’art. 68 della L. 144/99 ha istituitol’obbligo di frequenza di attività formativa fino al compimento del diciottesimo anno di età. Taleobbligo può essere assolto in percorsi anche integrati di istruzione eformazione nel sistema di istruzione scolastica, della formazioneprofessionale di competenza regionale e nell’esercizio dell’apprendistato.Inoltre, allo scopo di riqualificare e ampliare l’offerta formativadestinata ai giovani e agli adulti, occupati e non occupati, è istituito ilsistema della istruzione e formazione tecnica superiore (IFTS) al quale siaccede di norma con il diploma di scuola secondaria superiore.In precedenza, l’art. 17 della L. 196/97 ha istituito alcuni principi attia favorire la c.d. formazione continua intesa come insieme di attivitàrivolte a soggetti adulti, occupati o disoccupati, generalmente predispostedalle imprese, cui il lavoratore può partecipare anche per autonoma scelta,al fine di adeguare o elevare la propria preparazione professionale.

Le assunzioni agevolate

Al fine di incentivare il ricorso delle imprese ad avvalersi di nuova forzalavoro, si è dato vita nel tempo al sistema delle assunzioni agevolate,ovvero di assunzioni di particolari categorie di lavoratori cui sonoconnessi sgravi contributivi e incentivi economici o fiscali chedeterminano una riduzione del costo del lavoro per l’impresa.

Misure straordinarie per l’occupazione giovanile

Particolari misure sono volte alla promozione dell’occupazione giovanile:

tirocini formativi e di orientamento, costituiscono lo strumentoattraverso il quale si consente al giovane, acquisendo un’esperienzapratica della realtà aziendale, di completare la formazionescolastica o professionale conseguita e di ottenere elementi idoneiad agevolare le sue scelte occupazionali;

piani di inserimento professionale, costituiscono una tipologia ditirocinio mirata ad agevolare le scelte professionali e a fornire una

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formazione professionale aggiuntiva mediante un’esperienza lavorativaeffettuata in un contesto aziendale;

lavori di pubblica utilità, analoghi ai lavori socialmente utili,possono essere attivati nei settori dei servizi alla persona, dellasalvaguardia e della cura dell’ambiente e del territorio, dellosviluppo rurale e dell’acquicoltura, del recupero e dellariqualificazione degli spazi urbani e dei beni culturali;

borse lavoro, mirano ad inserire i giovani inoccupati nelle realtàaziendali mediante l’incentivo dell’azzeramento dei costi retributivie contributivi dell’impresa

DAL DIVIETO DI INTERMEDIAZIONE, INTERPOSIZIONE E APPALTO DI MANODOPERA ALLAMEDIAZIONE PRIVATA E AL LAVORO INTERINALE

Il divieto di intermediazione nel rapporto di lavoro

Accanto al divieto di mediazione privata nel collocamento della manodopera,sancito dalla L. 264/49, il nostro ordinamento prevede anche il divieto diintermediazione e di interposizione nel rapporto di lavoro, posto dall'art.1, L. 23 ottobre 1960, n. 1369. Tale norma trova il suo immediatoprecedente legislativo nell'art. 2127, c.c., che vieta il cd. cottimocollettivo affidato ad un dipendente dell'imprenditore e dispone che, incaso di violazione di tale divieto, l'imprenditore risponde direttamente,nei confronti dei prestatori di lavoro assunti dal proprio dipendente,degli obblighi derivanti dai contratti di lavoro da essi stipulati.

L'art. 1, L. 1369/1960, ha, rispetto all'art. 2127, c.c., una portata piùampia. Esso, infatti, da un lato, estende il divieto di interposizione allavoro a cottimo organizzato - oltre che dal dipendente dell'imprenditore -da un terzo o da una società, anche cooperativa; d'altro, pone il piùgenerale divieto, per l'imprenditore, di affidare in appalto o in

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subappalto, od in qualsiasi altra forma, anche a società cooperative,l'esecuzione di mere prestazioni di lavoro mediante l'impiego di manodoperaassunta e retribuita dall'appaltatore o dall'intermediario, qualunque siala natura dell'opera o del servizio cui le prestazioni si riferiscono.

L'art. 1, co. III, L. 1369/1960, chiarisce che per appalto di mereprestazioni di lavoro deve intendersi ogni forma di appalto o subappalto,anche per l'esecuzione di opere o di servizi, ove l'appaltatore impieghicapitali, macchine ed attrezzature fornite dall'appaltante, quand'anche peril loro uso venga corrisposto un compenso all'appaltante.In caso di violazione dell'art. 1, L. 1369/1960, i lavoratori occupati sonoconsiderati a tutti gli effetti dipendenti dell'imprenditore cheeffettivamente abbia utilizzato le loro prestazioni. Come appare, si è inpresenza di un'ipotesi peculiare di invalidità del contratto di lavoro, dalquale scaturiscono egualmente effetti giuridici per i prestatori.Sia il divieto di mediazione privata che quello di intermediazione eappalto nelle prestazioni di lavoro, un tempo di carattere assoluto, hannooggi, a seguito della L. 196/97 e del D.Lgs. 469/97, determinati spazi diin operatività. L’ordinamento ammette infatti la mediazione privata svoltacon requisiti e alle condizioni di cui all’art. 10 D.Lgs. 469/97, così comeammette, ai sensi degli artt. 1-11 L. 196/97, il lavoro interinale, moltovicino ad un appalto di manodopera.

Il lavoro interinale

Nel lavoro interinale, un’agenzia di collocamento privata smista soggettiin cerca di occupazione indirizzandoli temporaneamente presso imprese chenecessitano di manodopera. L’introduzione nell’ordinamento della disciplinasul lavoro interinale, approvata con L. 196/97, consente di superare, entrocerti limiti, i vincoli previsti dal divieto di mediazione e interposizionedi manodopera ex. art. 2127 c.c., L. 264/49 e L. 1369/60.

Il rapporto di lavoro interinale consta di tre figure cardine:

l’impresa fornitrice che ha il compito di fornire all’impresarichiedente un proprio lavoratore per un certo periodo di tempo;

l’impresa utilizzatrice; il prestatore di lavoro temporaneo.

Il rapporto tra impresa fornitrice e impresa utilizzatrice è regolato dalcontratto di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo. Il rapporto tra impresafornitrice e lavoratore è regolato da un contratto per prestazioni di lavorotemporaneo. In entrambi i casi risulterà essere nulla qualsiasi clausola chetenda, anche indirettamente, a limitare l’impresa utilizzatrice o illavoratore nel continuare il rapporto di lavoro dopo la scadenza delcontratto di lavoro temporaneo.

Quanto all’ambito di applicazione, il contratto di lavoro interinale puòessere stipulato:

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nei casi in cui sia previsto dai contratti collettivi nazionali dicategoria;

nei casi di utilizzazione del tutto temporanea di personale daadibire a qualifiche non previste dai normali assetti produttiviaziendali;

nei casi in cui occorre sostituire lavoratori assenti, ferme restandole ipotesi di divieto previste.

Il prestatore di lavoro temporaneo ha diritto a ricevere la retribuzione eil pagamento dei contributi previdenziali esclusivamente dall’impresafornitrice. Quanto alla determinazione della retribuzione stessa, iltrattamento economico non deve essere inferiore a quello cui hanno dirittotutti i dipendenti inquadrati allo stesso livello nell’organico dellaimpresa utilizzatrice

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IL RAPPORTO DI LAVORO: STRUTTURA E CONTENUTO

Il rapporto di lavoro si configura come un rapporto complesso per lamolteplicità degli elementi che concorrono a definire la posizionegiuridica delle parti, e cioè i loro reciproci diritti e doveri chepossiamo così riassumere:

obblighi del lavoratore: o prestazione di lavoro; o diligenza; o obbedienza e collaborazione; o fedeltà;

diritti del lavoratore: o retribuzione; o diritto alle mansioni; o diritto ad eseguire la prestazione lavorativa; o diritto alla salubrità e sicurezza delle condizioni di lavoro;

poteri del datore di lavoro: o potere direttivo; o potere disciplinare.

L’OBBLIGAZIONE DI LAVORO

Il contenuto sostanziale della prestazione, e cioè l’attività dedotta nelrapporto, è desunta da una serie di elementi, e precisamente dallemansioni, dalle qualifiche e dalle categorie.

Mansioni

Le mansioni indicano l’insieme dei compiti e delle concrete operazioni cheil lavoratore è chiamato ad eseguire e che possono essere pretesi daldatore di lavoro: indicano, in sostanza, l’oggetto specificodell’obbligazione lavorativa.

Qualifiche

La qualifica designa lo status professionale del lavoratore, legalmente econtrattualmente identificato secondo il contenuto delle mansioni. Inparticolare essa esprime il tipo e il livello di una figura professionale e

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concorre con le mansioni a determinare la posizione del lavoratore nellastruttura organizzativa dell’impresa, da cui derivano una serie di dirittie doveri inerenti al rapporto di lavoro.

Categorie

Le categorie costituiscono delle entità classificatorie che raggruppano ivari profili professionali. Si tratta di un sistema di classificazioneprofessionale che, al pari delle qualifiche, delinea il particolare regimegiuridico cui il lavoratore e sottoposto ai fini del trattamento economico.L’individuazione delle categorie si desume dall’art. 2095 c.c. nonché dallacontrattazione collettiva. E’ possibile, in tal modo, distinguere lecategorie legali da quelle contrattuali.

Le categorie legali

L'art. 2095, co. I, c.c., come novellato dall'art. 1, L.190/1985, contempla quattro categorie di prestatori di lavoro,destinatarie di determinate regolamentazioni previste dallalegge: dirigenti, quadri, impiegati ed operai. Lo stessoarticolo, al co. II, rinvia alle leggi speciali ed allacontrattazione collettiva per la determinazione dei requisiti diappartenenza alle categorie legali di cui al co. I, sia perquanto attiene alla collocazione nelle singole imprese, sia perciò che concerne la collocazione nei vari settori.

I dirigenti: L'art. 1 del contratto collettivo nazionale dilavoro del 3 ottobre 1989, per i dirigenti industriali, definiscei dirigenti come quei lavoratori che "ricoprono nell'azienda un ruolocaratterizzato da un elevato grado di professionalità, autonomia e potere decisionale edesplicano la loro funzione al fine di promuovere, coordinare e gestire la realizzazionedegli obiettivi dell'impresa". La peculiarità degli interessi deidirigenti rispetto a quelli degli altri lavoratori comporta:

uno speciale inquadramento sindacale in associazioniseparate;

una contrattazione collettiva separata; un trattamento previdenziale diverso da quello riservato

agli altri prestatori di lavoro.

Ancora, ai dirigenti non si applicano alcune leggi di tutela,ossia quelle sull'orario di lavoro, sul contratto a termine, sullicenziamento.

I quadri: L'art. 2, L. 190/1985, definisce i quadri come i"prestatori di lavoro subordinato che, pur non appartenendo allacategoria dei dirigenti, svolgano funzioni con caratterecontinuativo di rilevante importanza ai fini dello sviluppo edell'attuazione degli obiettivi dell'impresa". Lo stesso articolorimanda alla contrattazione collettiva nazionale o aziendale perla determinazione dei requisiti di appartenenza alla categoria

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"in relazione a ciascun ramo di produzione e alla particolarestruttura organizzativa dell'impresa". Come per la definizionedei dirigenti, anche per quella dei quadri il legislatore fariferimento alle funzioni, e non alle mansioni svolte dalprestatore. Tuttavia, sul piano della disciplina, ladifferenziazione tra le due categorie è netta. Per i quadri èprevista, infatti, l'applicabilità delle norme che regolano ilrapporto individuale di lavoro degli impiegati, salvo diversadisposizione dei contratti collettivi; si esclude, inoltre, chepossano essere ricompresi nella categoria dei quadri i lavoratorigià classificati come dirigenti.

Gli impiegatiL'art. 1, R.D. 13 novembre 1924, n. 1825, definisce l'impiegato come colui che professionalmente presta la propria attività alle dipendenze di un imprenditore privato, con la funzione di collaborazione, tanto di concetto che di ordine, eccettuata ogni prestazione che sia semplicemente di mano d'opera.La prestazione di lavoro dell'impiegato si caratterizza, dunque, per:

la collaborazione all'impresa, che consiste in compiti diorganizzazione, propulsione, direzione e vigilanza;

la professionalità, intesa come abitualità dellaprestazione.

Con riferimento al primo elemento, l'art. 1, R.D. 1825/1924,distingue la collaborazione di concetto da quella d'ordine,senza però definirle. Per la Cassazione, il criterio discretivoconsiste non tanto nel carattere intellettivo della prestazione,quanto, piuttosto, nella parziale autonomia dell'impiegato diconcetto rispetto ai superiori, autonomia da valutare non inragione dell'incarico conferito, ma del lavoro effettivamentesvolto.

Gli operai: L'art. 1, R.D. 1825/1924, fornisce una definizionein negativo dell'operaio, essendo tale, per questa disposizione,il lavoratore che non può essere inquadrato in nessuna dellealtre categorie. Con riguardo alla distinzione tra impiegato edoperaio, la dottrina e la giurisprudenza prevalente ritengono,dopo molte incertezze, che sia determinante, non il carattereintellettuale o manuale del lavoro prestato, bensì il gradodella collaborazione fornita dal lavoratore al datore. Così,mentre la prestazione dell'impiegato, anche d'ordine, sicaratterizza per l'attività di "collaborazione all'impresa" - di cuisi è detto al paragrafo precedente -, quella dell'operaio sicaratterizza per la "collaborazione nell'impresa", consistente in ungenerico apporto al processo produttivo, realizzato mediante lamera attuazione delle direttive ricevute.

Categorie contrattuali41

Si tratti di categorie di origine contrattuale, introdotte cioèdalla contrattazione collettiva in aggiunta a quelle legali. Lefigure professionali che si individuano in tale ambito sono:

i funzionari: si tratta di personale con funzionidirettiva, previsto dalla contrattazione collettiva neisettori del credito e delle assicurazioni;

gli intermedi: si tratta di una categoria collocabile nelgrado superiore della categoria operaia. Figura tipica èil capo operaio, preposto alla guida ed al controllo di ungruppo di operai.

L’inquadramento unico

La distinzione tra impiegati ed operai è oggi parzialmente superatadall'introduzione, ad opera della contrattazione collettiva, di un nuovosistema di inquadramento professionale: il c.d. sistema di inquadramentounico. Esso si fonda su una classificazione unica dei lavoratori, chevengono ordinati in una pluralità di livelli professionali, e non più, comeavveniva in passato, per gruppi di qualifiche all'interno delle variecategorie.

L’appartenenza a tali categorie è determinata sulla base di:

declaratorie, cioè definizioni generali delle caratteristichedell’attività prestata;

esemplificazioni, cioè di un’elencazione delle mansioni pertinenti aidiversi profili professionali.

Le novità introdotte dal nuovo sistema possono, così, sintetizzarsi:

come già detto, superamento parziale della distinzione tra impiegati ed operai; riduzione del numero di livelli per gruppi omogenei in cui si raggruppano le

mansioni ai fini retributivi; promozione della professionalità dei lavoratori; tendenziale unificazione del trattamento economico e normativo.

Il mutamento delle mansioni

L'art. 2103, c.c., novellato dall'art. 13 dello Statuto dei lavoratori, alco. I, prima parte, testualmente recita: "Il prestatore di lavoro deve essere adibitoalle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbiasuccessivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senzaalcuna diminuzione della retribuzione". Tale disposizione limita il c.d. jus variandi,ossia il potere unilaterale del datore di modificare le mansioni dellavoratore, il quale, oltre che alle mansioni per le quali è stato assunto,può essere adibito soltanto:

a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, con pari retribuzione (c.d. mobilitàorizzontale): il concetto di equivalenza va inteso in sensoprofessionale, nel senso cioè che le nuove mansioni non devono

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modificare in peggio il corredo di esperienza, nozioni e perizia,acquisito dal prestatore nell'effettivo svolgimento delle precedentimansioni (PERA);

ovvero a mansioni superiori (c.d. mobilità verticale): in questo caso, il prestatoreha diritto al trattamento economico e normativo corrispondenteall'attività svolta, mentre l'assegnazione alle mansioni superioridiventa definitiva, ove non abbia avuto luogo per sostituzione dilavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo unperiodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore atre mesi.

L'art. 2103, ult. co., c.c., prevede espressamente che "ogni patto contrario ènullo". Si tratta di un'ipotesi di nullità testuale che determinal'inefficacia di ogni modificazione in peius delle mansioni del prestatore,con attribuzione a quest'ultimo del diritto alla restituzione dellemansioni originarie o equivalenti ovvero, in alternativa, al risarcimentodel danno causato alla sua professionalità.

Il trasferimento del lavoratore

L'art. 2103, co. 1, c.c., disciplina anche il potere di trasferimento,disponendo che il lavoratore "non può essere trasferito da una unità produttiva adun'altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive". Ciò in quanto iltrasferimento può comportare la lesione di interessi lavorativi edextralavorativi. L'onere della prova della legittimità del trasferimento èa carico del datore. Va notato che l'art. 2103, c.c., non si riferisce altrasferimento da una località all'altra, ma al trasferimento da un'unitàproduttiva all'altra: per unità produttiva deve intendersi ogniarticolazione autonoma dell'impresa o azienda, avente, sotto il profilofunzionale e finalistico, idoneità ad esplicare, in tutto o in parte,l'attività di produzione di beni o servizi dell'impresa della quale èelemento organizzativo.

OBBLIGHI E DIRITTI DEL LAVORATORE

La prestazione

La prestazione di lavoro subordinato consiste nella messa a disposizionedel proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto ladirezione dell’imprenditore (art. 2094). Trattasi di una obbligazione dimezzi che impegna il prestatore a tenere un determinato comportamento, maanche a raggiungere mediante tale attività, un risultato ulteriore.

La prestazione di lavoro deve essere:

lecita; possibile; determinata e determinabile; personale; patrimoniale.

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Obblighi integrativi

L'obbligo di diligenza

Il primo degli obblighi integrativi facenti capo al prestatore èl'obbligo di diligenza. L'art. 2104, c.c., sancisce che "Ilprestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dallanatura della prestazione dovuta, dall'interesse dell'impresa eda quello superiore della produzione nazionale". La norma inesame fa riferimento a tre criteri, alla cui stregua ladiligenza del prestatore deve essere valutata, e cioè quelli:

della natura della prestazione dovuta, che costituisce unaspecificazione dell'art. 1176, co. II, c.c., in virtù delquale "nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attivitàprofessionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attivitàesercitata";

dell'interesse dell'impresa, che per alcuni si identificacon l'interesse dell'impresa in sé considerato, per altricon l'interesse soggettivo dell'imprenditore; posizioneintermedia è quella di chi ritiene che l'interessedell'impresa sia da considerare quale interesse soggettivodell'imprenditore, inteso però non in senso stretto, macome specifico interesse a ricevere la prestazionenell'ambito di un certo contesto;

dell'interesse superiore della produzione nazionale,criterio organizzativo da considerarsi implicitamenteabrogato con la caduta del sistema corporativo e nonsostituibile con il criterio dell'utilità sociale di cuiall'art. 41, co. II, Cost., che costituisce un limite allalibera iniziativa economica privata, ma non anche unparametro di valutazione dell'adempimentodell'obbligazione lavorativa.

L'inosservanza del dovere di diligenza comporta per ilprestatore:

l'obbligo di risarcire, a titolo di responsabilitàcontrattuale, il danno che dalla sua condotta negligente oimprudente sia derivato al datore;

nonché l'eventuale sottoposizione a sanzioni disciplinari.

L'obbligo di obbedienza

Il co. II dell'art. 2104, c.c., pone a carico del prestatorel'obbligo di obbedienza, sancendo che egli deve osservare ledisposizioni per l'esecuzione e la disciplina del lavoro che glivengono impartite dall'imprenditore e dai collaboratori diquesto dai quali gerarchicamente dipende. Come la giurisprudenzaha ripetutamente precisato, la soggezione del prestatore aldatore ed ai suoi collaboratori non può superare i limiti

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imposti dalle norme di legge - in particolare, da quelle delloStatuto dei lavoratori - e dalle norme contrattuali, potendo, incaso contrario, il lavoratore, esercitare il c.d. jus resistentiae,cioè rifiutarsi di osservare le disposizioni impartite.L'inosservanza dell'obbligo di obbedienza può costituire, neicasi più gravi, giustificato motivo (soggettivo) dilicenziamento.

L'obbligo di fedeltà

L'art. 2105, c.c., rubricato "Obbligo di fedeltà" pone a caricodel prestatore un obbligo volto a tutelare l'interessedell'imprenditore alla capacità di concorrenza dell'impresa(GHERA). Esso trae origine dal principio generale per il qualeil contratto deve essere eseguito secondo buona fede (artt. 1175e 1375, c.c.).

Tre sono i divieti che costituiscono il contenuto dell'art.2105, c.c., e cioè:

1. il divieto per il prestatore di trattare affari, per contoproprio o di terzi, in concorrenza con l'imprenditore:esso va distinto dal divieto di concorrenza sleale, di cuiall'art. 2598, c.c., che rappresenta una forma di illecitoextracontrattuale e si verifica solo nei casiespressamente previsti dalla norma;

2. il divieto di divulgazione delle notizie attinenti allaorganizzazione ed ai metodi di produzione dell'impresa(c.d. segreti aziendali), con riferimento al quale vachiarito, da un lato, che si ha "divulgazione" quando lenotizie di cui si tratta non abbiano ancora raggiunto unalto grado di diffusione e, dall'altro, che ladivulgazione è vietata se ed in quanto finalizzata adarrecare pregiudizio all'impresa;

3. il divieto di uso dei c.d. segreti aziendali: taledivieto, al pari di quello di divulgazione, è penalmentesanzionato (si vedano, in proposito, gli artt. 621, 622 e623, c.p.).

Sul piano civilistico, la violazione dell'art. 2105, c.c., dàluogo sia alla responsabilità disciplinare sia al risarcimentodel danno eventualmente causato al datore.In conclusione, va anche ricordato che per alcuni autori(BUONCRISTIANO, MAZZIOTTI) e per la giurisprudenza (Cass.5257/87), l'art. 2105, c.c., è una norma dispositiva e nonimperativa, per cui l'autonomia delle parti - individuali ocollettive - può sia consentire lo svolgimento di attività inconcorrenza sia vietare al lavoratore l'espletamento di altreattività, autonome o subordinate, a favore di terzi,indipendentemente dalla rilevanza o meno di esse sotto ilprofilo della concorrenza.

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Il patto di non concorrenza

Il divieto di concorrenza, sancito dall'art. 2105, c.c., avendonatura contrattuale, si estingue al momento della cessazione delrapporto di lavoro. Tuttavia, l'art. 2125, c.c., consente alleparti di limitare lo svolgimento dell'attività del prestatoreanche successivamente alla cessazione del contratto, con lastipulazione del "patto di non concorrenza". Tale stipulazione ècircondata da particolari garanzie, essendo richiesti:

la forma scritta, a pena di nullità; la previsione di un corrispettivo a favore del lavoratore; il contenimento del vincolo entro determinati limiti di

oggetto, luogo e tempo;

La violazione del patto di non concorrenza può dar luogo ad unacondanna al risarcimento del danno, ma non ad un ordine dicessazione dell'attività svolta.

Diritti del lavoratore

I diritti del lavoratore costituiscono le situazioni giuridiche attive,riferibili alla prestazione lavorativa, che si esprimono nelle facoltà,libertà e prerogative riconosciute al lavoratore. Tali diritti possonoessere classificati nel modo seguente:

diritti patrimoniali, di cui fanno parte: o il diritto alla retribuzione; o il diritto al trattamento di fine rapporto; o le indennità speciali

diritti personali.

I diritti personali

I diritti personali sono i diritti inerenti alla personalità dellavoratore nel cui ambito assumono peculiare rilievo:

il diritto all'integrità fisica ed alla salute nei luoghi di lavoro: a tutela diesso, l'art. 2087, c.c., impone al datore l'adozione ditutte le misure necessarie "secondo la particolarità del lavoro,l'esperienza e la tecnica". Tale norma, però, benché ispirata aduna funzione prevenzionale, è stata per lo più utilizzatacon funzione risarcitoria di eventi dannosi già prodotti.Il legislatore ha tentato di ovviare ai suoi limiti conl'art. 9, St. lav., che ne ha modificato la stessa ratio.L'art. 9, St. lav., infatti, da un lato, impegna nellapolitica di prevenzione non il solo datore, ma anche ilavoratori, che vi partecipano mediante le lororappresentanze; dall'altro, prevede, sempre da parte dellerappresentanze dei lavoratori, non solo il controllosull'applicazione delle norme esistenti, ma anche la

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promozione di nuove misure protettive, idonee a modificarele condizioni dell'ambiente di lavoro. Le previsionidell'art. 9, St. lav., sono state poi razionalizzate daicontratti collettivi che hanno previsto sistemi diaccertamento, analisi e controllo delle condizioniambientali, nonché l'istituzione di registri dei datiambientali e biostatistici e dei c.d. libretti personalisanitari e di rischio per i lavoratori. Dei risultatiottenuti dalla contrattazione collettiva ha tenuto contoanche la L. 833/1978, istitutiva del Servizio sanitarionazionale;

la libertà e la dignità del lavoratore: l'art. 2087, c.c., pone acarico del datore l'obbligo di adottare misure idonee atutelare, oltre all'integrità fisica, anche la personalitàmorale dei lavoratori, ossia la sfera di libertà eriservatezza, che il contratto di lavoro può limitare solose richiesto, in senso stretto, dalle esigenze tecnico-produttive (MAZZIOTTI). Anche in quest'ultimo caso ènecessario, comunque, il rispetto delle norme delloStatuto dei lavoratori ed in particolare: dell'art. 1, chetutela la libertà di opinione dei prestatori e dell'art.8, che vieta al datore di effettuare indagini sulleopinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore(degli artt. 3, 4 e 6, St. lav. si parlerà in materia divigilanza e controllo dell'attività lavorativa);

la tutela dell'interesse dei lavoratori ad adempiere funzioni pubbliche, chedà diritto alla conservazione del posto di lavoro, alcomputo del periodo di sospensione della prestazionelavorativa ai fini pensionistici ed alla assistenzasanitaria;

il diritto allo studio per i lavoratori studenti; la tutela delle attività culturali, ricreative ed assistenziali.

I diritti sindacali

I diritti sindacali sono diritti che costituiscono espressionitipiche dell'attività sindacale, riconosciuta ai singoliprestatori di lavoro.

La dottrina più accreditata distingue:

i diritti sindacali generali, espressione dellalibertà di organizzazione ed attività sindacalee del diritto di sciopero;

ed i diritti sindacali speciali, concernentialcune forme di attuazione della libertàsindacale (si pensi, ad es., al diritto allosvolgimento di referendum, al diritto aipremessi retribuiti e non retribuiti, ecc.).È chiaro che ai diritti del lavoratore sono

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correlati altrettanti obblighi del datore, eviceversa.

Le invenzioni e le opere dell’ingegno del lavoratore

Il linea generale, la disciplina che riguarda tale ipotesi (artt. 2590 c.c.e 23 L.brev.) stabilisce che mentre il diritto morale alla paternitàdell’opera resta all’inventore, il diritto patrimoniale al rilascio delbrevetto e alla sua utilizzazione spetta al datore di lavoro. La logicasottesa a tale disciplina, infatti, è che l’invenzione spetti non a chil’ha realizzata ma a colui che ha promosso, organizzato e finanziatol’attività della ricerca. Tuttavia possono presentarsi tre diversefattispecie con altrettante diverse soluzioni (artt. 23 e 24 L.brev.):

invenzione di servizio, quando l’attività inventiva è l’oggetto della prestazionelavorativa per la quale è prevista una precisa remunerazione: in tal caso il dirittoal rilascio del brevetto spetta originariamente ed automaticamente aldatore di lavoro;

invenzione d’azienda, quando è realizzata nell’ambito di un rapporto di lavoro dovetuttavia non è prevista un compenso per l’attività inventiva né quest’ultima rientranell’oggetto della prestazione lavorativa: il brevetto spetta sempre al datore dilavoro ma l’inventore ha diritto ad un equo premio;

invenzione occasionale, quando l’invenzione, pur rientrando nel campo dell’attivitàdell’azienda, non ha alcun nesso oggettivo con le mansioni del dipendente: in questocaso il diritto al brevetto spetta al dipendente ma il datore dilavoro ha un diritto di prelazione per l’acquisto del brevetto.

OBBLIGHI E POTERI DEL DATORE DI LAVORO

Anche la posizione giuridica del datore di lavoro ha una strutturacomplessa dovuta alla sussistenza di diritti e doveri collegati con icorrispondenti diritti ed obblighi del lavoratore. Per quanto concerne laposizione attiva va rilevato che i relativi diritti possono essereconfigurati come poteri giuridici in senso proprio, esercitabili in mododiscrezionale per la tutela di un interesse proprio o dell’impresa. Laforma di manifestazione di tali poteri è del tutto libera potendo esseresia orale che scritta. Naturalmente i poteri dell’imprenditore incontranodei limiti legislativi, primo fra tutti il divieto di discriminazioneprevisto dall’art. 15 St. La.

Il potere direttivo

Il potere direttivo in senso stretto si configura come potere organizzativodiretto a conformare l’attività utile di ciascun lavoratore alle esigenzedell’impresa stessa. Esso si traduce sul piano generale nelle istruzioniche il datore ed i suoi collaboratori impartiscono per l’esecuzione e ladisciplina del lavoro.

In tale ambito si suole ricomprendere l’esercizio dei seguenti poteri:48

potere gerarchico, che designa la posizione di supremazia del datoredi lavoro quale capo dell’impresa dal quale dipendono gerarchicamentei suoi collaboratori;

potere conformativo, indica il potere di specificazione dell’attivitàlavorativa, consistente nella concreta determinazione della modalitàper l’esecu-zione del lavoro preordinando le singole prestazionilavorative, qualifica per qualifica, reparto per reparto;

potere direttivo in senso stretto, consiste nell’emanazione delledisposizioni concernenti l’organizzazione del lavoro, stabilendo unadeterminata disciplina tecnica del lavoro (es. orari, turni ecc.)

Il potere di vigilanza e di controllo

Il potere di vigilanza e di controllo è strettamente correlato al poteredirettivo ed è diretto a verificare che l’esecuzione dell’attivitàlavorativa venga effettuata secondo le modalità stabilite dal datore dilavoro. Tale potere incontra alcuni limiti:

divieto di avvalersi di guardie giurate; obbligo di comunicare ai lavoratori i nominativi e le specifiche

mansioni del personale di vigilanza sul lavoro; divieto di avvalersi di impianti audiovisivi (salvo esigenze di

sicurezza previo accordo con le rappresentanze sindacali); divieto di accertamenti da parte del datore sulla idoneità fisica e

sulla infermità per malattia o infortunio del lavoratore; divieto di effettuare perquisizioni sul lavoratore e immediate

pertinenze.

Il potere disciplinare

L'inosservanza delle disposizioni dettate dal legislatore in tema didiligenza e fedeltà del prestatore di lavoro (artt. 2104 e 2105, c.c.) puòdar luogo all'irrogazione da parte del datore di sanzioni disciplinari,proporzionate alla gravità dell'infrazione (art. 2106, c.c.). La tipologiadelle sanzioni previste dai contratti collettivi è divenuta, con il passaredel tempo, sempre più complessa. Le sanzioni disciplinari oggi irrogabilisono, in ordine crescente di gravità:

l'ammonizione, verbale o scritta; la multa (per un importo non superiore a 4 ore della retribuzione

base); la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione (per non più di 10

giorni); il licenziamento disciplinare.

Sono illecite, invece, quelle sanzioni che determinano un mutamentodefinitivo del rapporto di lavoro (ad esempio, la retrocessione, che però èammessa nel settore degli auto-ferrotranvieri). L'irrogazione dellesanzioni è espressione del potere disciplinare del datore, nel quale ladottrina dominante ravvisa un potere autoritativo, unilaterale e punitivo,previsto in via del tutto eccezionale nell'ambito dei rapporti tra privati

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e che trova la sua ratio nel vincolo di subordinazione tecnico-funzionaledel lavoratore; le sanzioni disciplinari vengono configurate quali specialipene private, che adempiono però ad una funzione non risarcitoria, mapreventiva. Il potere disciplinare trova oggi la sua principale fonte diregolamentazione, oltre che nel Codice Civile e nella sentenza della Cortecostituzionale n. 204 del 29 novembre 1982 - di cui si dirà al capitolo XIVquando si tratterà del licenziamento disciplinare -, nell'art. 7 delloStatuto dei lavoratori. Tale articolo, al fine di tutelare la libertà e ladignità dei prestatori, limita notevolmente l'esercizio del poteredisciplinare, depotenziando, in tal modo, l'autorità del datore come capodell'impresa. In particolare, esso afferma due principi fondamentali:

quello della predeterminazione e della pubblicità del codicedisciplinare, che comporta che le norme disciplinari, conformi aquanto stabilito dai contratti collettivi e relative alle sanzioni,alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può essereapplicata ed alle procedure di contestazione delle stesse, devonoessere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione inluogo accessibile a tutti;

quello del contraddittorio, che esclude la possibilità per il datoredi irrogare sanzioni disciplinari senza aver prima contestato periscritto l'addebito al lavoratore ed avergli consentito l'eventualediscolpa. Per la disciplina specifica della procedura dicontestazione e di discolpa si rinvia ai co. II, III e IV dell'art. 7dello Statuto, che sono da integrare con le norme contenute neicontratti collettivi e con la prassi aziendale.

La fase procedurale della contestazione e della discolpa si svolge davantial datore, che non è terzo, ma parte in causa e che è chiamato ad applicarela sanzione se reputa insufficiente la discolpa del lavoratore.L'imparzialità dell'organo è invece prevista per la fase eventuale esuccessiva dell'impugnativa della sanzione, che, ai sensi dell'art. 7, co.VI, St. lav., può avvenire mediante:

ricorso all'autorità giudiziaria; ricorso al collegio di conciliazione ed arbitrato, la cui

costituzione, tramite l'ufficio provinciale del lavoro e dellamassima occupazione, è promossa dallo stesso lavoratore al quale siastata applicata una sanzione disciplinare, nei venti giornisuccessivi;

procedure arbitrali analoghe previste dalla contrattazionecollettiva.

Gli obblighi del datore di lavoro

Gli obblighi del datore di lavoro, cui corrispondono altrettanti dirittidel lavoratore, possono così individuarsi:

obbligo di corrispondere la retribuzione nei modi e nei terministabiliti nel contratto;

obbligo di tutela delle condizioni di lavoro o di sicurezza; 50

obbligo di tutela assicurativa o previdenziale del lavoratore; obbligo di assicurare i dipendenti contro il rischio di

responsabilità civile verso terzi conseguente a colpa nellosvolgimento delle loro mansioni contrattuali;

obbligo di procedere a determinati accertamenti sanitari primadell’assun-zione o in costanza di rapporto nei casi in cui siaobbligatoria la sorveglianza sanitaria ai sensi della normativavigente;

obbligo di custodire e di tenere aggiornato il libretto individualedi lavoro di ciascun prestatore;

obbligo di informazione che si articola in due direzioni: neiconfronti del lavoratore, al quale devono essere comunicatiqualifica, mansioni, periodi di ferie, prospetto paga ecc.; neiconfronti del sindacato che deve essere informato non solo sullosvolgimento dei rapporti di lavoro ma anche sulla gestionecomplessiva dell’azienda

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LA RETRIBUZIONE

La retribuzione è l'obbligazione fondamentale a cui il datore di lavoro ètenuto nei confronti del prestatore. Essa "può essere considerata il corrispettivo dellamessa a disposizione delle energie lavorative, in quanto costituisce il prezzo di quest'ultima, prezzoche non risponde a criteri strettamente economici essendo troppi i fattori sociali e politico-sindacaliche si intrecciano nella determinazione del suo ammontare. Determinazione che trova la sua primafonte in una norma costituzionale, l'art. 36, co. I" (MAZZIOTTI). Questa normatestualmente recita "Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità equalità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera edignitosa". Nonostante la genericità dell'art. 36, co. I, Cost., è possibileindividuare il significato:

sia del criterio della proporzione, in virtù del quale laretribuzione deve essere determinata secondo un criterio oggettivo diequivalenza alla quantità ed alla qualità del lavoro prestato, percui la sua commisurazione dipende non soltanto dalla durata edall'intensità della prestazione, ma anche dal tipo di mansioniespletate e dalle loro caratteristiche intrinseche;

sia del criterio della sufficienza, che corregge o almeno tempera ilrigido criterio proporzionalistico, rispetto al quale assumeun'importanza maggiore; in base al criterio della sufficienza, lamisura della retribuzione deve oltrepassare il minimo vitale o disussistenza, al fine di assicurare un livello di vita sufficiente agarantire un'esistenza libera e dignitosa non soltanto al prestatorecome singolo, ma pure alla sua famiglia;

infine, correlativamente al disposto dell’art. 2099 c.c., delcriterio della determinatezza o determinabilità: in caso diriconosciuta incongruità del trattamento economico previsto per illavoratore subordinato da un contratto individuale di lavoro, ilgiudice ben può adeguare il trattamento stesso ricorrendo aiparametri stabiliti nella contrattazione collettiva di categoria,anche se essa non è direttamente applicabile al caso di specie.

Altri caratteri della retribuzione sono:

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l’obbligatorietà, in quanto trattasi di un diritto irrinunciabile dellavoratore;

la corrispettività, in quanto trova la sua causa nel rapporto di lavoro; la continuità, dal momento che la retribuzione spetta per tutta la durata

del rapporto di lavoro.

L'art. 36, Cost., ha innanzitutto natura programmatica, in quanto vincolail legislatore a stabilire, con provvedimenti del Governo o con appositimeccanismi procedurali di carattere amministrativo, il salario minimospettante al lavoratore. Tuttavia, nel nostro ordinamento giuridico, non èmai stata emanata una legislazione determinatrice dei minimi salariali, percui la giurisprudenza riconosce all'art. 36, Cost., oltre che la natura dinorma direttiva, anche una funzione precettiva, considerandola direttamentevincolante nei confronti dell'autonomia privata. In altri termini, igiudici affermano che, in assenza di determinazione convenzionale dellaretribuzione o nell'ipotesi in cui la retribuzione pattuita siainsufficiente, il datore deve corrispondere un emolumento equivalente allaretribuzione minima prevista nei contratti collettivi di categoria o delsettore produttivo di appartenenza del lavoratore, integrando i medesimi ilrequisito della sufficienza voluto dall'art. 36, Cost.. Per tale via, sirealizza l'estensione erga omnes delle norme dei contratti collettiviriguardanti le tariffe salariali, che si applicano, infatti, in tal modo,anche ai prestatori dipendenti da imprese non aderenti alle associazionisindacali.

Gli elementi della retribuzione

La retribuzione presenta una struttura composita perché "pur essendo ilcorrispettivo della prestazione di lavoro può essere utilizzata, a causa della sua intrinseca elasticità,per realizzare determinati scopi aziendali" (MAZZIOTTI). Dunque essa si compone divari elementi, quali:

la paga base, il cui ammontare è fissato dai contratti collettivi perl'orario normale di lavoro, corrispondentemente alle varie categoriee qualifiche. Ad essa si aggiungono i c.d. scatti di anzianità,aumenti percentuali della retribuzione, previsti dalla contrattazionecollettiva, con frequenza generalmente biennale;

le attribuzioni patrimoniali accessorie, previste dai contratticollettivi ed individuali, consistenti, nella maggior parte dei casi,in attribuzioni corrisposte, in aggiunta alla paga base, in manierasaltuaria o, più spesso, continuativa. Rientrano nella categoria:

o i superminimi, incrementi collettivi od individuali checorrispondono a quella parte di retribuzione che supera i minimitariffari;

o le maggiorazioni per il lavoro straordinario, notturno e festivo; o le gratifiche (si pensi, ad esempio, alla tredicesima mensilità); o i premi di produzione o di rendimento.

Un cenno a sé merita l'indennità di contingenza, istituto volto acorreggere, almeno in parte, la natura della retribuzione come credito divaluta e, quindi, ad adeguarne il valore nominale a quello reale. Il

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sistema si è basato, fin dall'origine, sulla c.d. scala mobile, meccanismoche comporta un adeguamento automatico del livello retributivo al costodella vita attraverso il riferimento alle variazioni dei prezzi diparticolari beni costituenti il c.d. paniere. Tuttavia, a partire dallametà degli anni Settanta, l'istituto della scala mobile è entrato in crisie, dopo vari interventi legislativi, è stato soppresso con il protocollotriangolare di intesa tra Governo e parti sociali del 31 luglio 1992.

Il principio di omnicomprensività della retribuzione

Problema particolarmente discusso in dottrina ed in giurisprudenza è quellodell'individuazione delle attribuzioni patrimoniali da far rientrare nelconcetto giuridico di retribuzione. Esso inerisce alla sussistenza o meno,nel nostro ordinamento, del principio di omnicomprensività dellaretribuzione, per il quale essa ricomprende non solo il compenso checostituisce il diretto corrispettivo della prestazione lavorativa, ma anchetutti gli emolumenti che presentano carattere continuativo, periodico ocostante nel tempo. Tale principio non è privo di risvolti sul pianopratico: primo fra tutti, quello dell'individuazione delle erogazioni chepossono essere prese in considerazione per il calcolo di istituti cheassumono la retribuzione come base di computo. La giurisprudenza era, inpassato, nel senso della omnicomprensività della retribuzione, sostenutasulla base di una congerie di argomentazioni, delle quali la più rilevanteera quella dell'applicazione estensiva dell'art. 2121, c.c.. Oggi, anche acausa della modifica di tale articolo ad opera della L. 297/1982, taleorientamento è mutato e prevale quello per cui non esiste nel nostroordinamento un concetto monolitico di retribuzione ed è da escludere chel'omnicomprensività valga oltre i casi richiamati espressamente dalla leggee dai contratti collettivi.

I sistemi retributivi

Alla stregua dell'art. 2099, c.c., la retribuzione può essere:

a tempo, se commisurata alla frazione di tempo di lavoro svolto (ora,giorno, mese). In tale sistema retributivo assume importanza ladistinzione tra:

o retribuzione oraria, o salario, tipica del lavoro operaio erapportata al numero di ore effettivamente lavorate, con laconseguenza che qualsiasi sospensione del lavoro comportal'automatica perdita della retribuzione;

o retribuzione mensile, o stipendio, propria del lavoroimpiegatizio e stabilita in misura fissa mensile, comprensivaanche dei giorni di riposo settimanale o infrasettimanale;

a cottimo, se commisurata alle unità di prodotto fornite dallavoratore, cioè al risultato produttivo. Nell'ambito di tale formaretributiva occorre distinguere:

o il cottimo pieno, che si ha quando la retribuzione vienedeterminata in base alla quantità di lavoro prestato;

o il cottimo misto, in cui la retribuzione è calcolata in parte atempo ed in parte in base al sistema del cottimo;

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o il cottimo collettivo, legato al rendimento, non del singololavoratore, ma di un gruppo organizzato di lavoratori;

o il concottimo, che designa un particolare trattamento retributivoriservato a lavoratori non cottimisti, il cui lavoro puòaumentare con l'intensificarsi del ritmo di lavoro di prestatoricottimisti.

Il cottimo può poi essere:

o obbligatorio, quando, in ragione dell'organizzazione del lavoro ilprestatore deve osservare un determinato ritmo produttivo equando la valutazione della sua prestazione è fatta in base alrisultato delle misurazioni dei tempi di lavorazione (art. 2100c.c.);

o vietato, per gli apprendisti.

A tutela dei prestatori, l'art. 2101, c.c., dispone che "L'imprenditore devecomunicare ai prestatori di lavoro i dati riguardanti gli elementi costitutivi della tariffa di cottimo, lelavorazioni da eseguirsi e il relativo compenso unitario".

Ancora, sempre a termini dell'art. 2099, c.c., la retribuzione può essere:

a provvigione, se è commisurata al numero degli affari conclusi; con partecipazione agli utili o ai prodotti, quando il lavoratore è retribuito, in

tutto o in parte, con una percentuale sugli utili conseguitidall'imprenditore nell'esercizio della sua attività;

in natura, ipotesi residuale, che si riscontra in alcune forme dilavoro domestico, agricolo e nel settore della pesca.

Le modalità di pagamento della retribuzione

La retribuzione è, di regola, corrisposta in danaro ed è, quindi, soggettaalla disciplina dettata dagli artt. 1277 e ss., c.c.. La contrattazione,collettiva ed individuale, fissa generalmente l'ammontare dellaretribuzione con riferimento ad un anno di lavoro; la corresponsioneavviene, tuttavia, in ratei periodici e, per il principio c.d. della post-numerazione, dopo l'espletamento della prestazione lavorativa. Le modalitàed i termini di corresponsione della retribuzione sono quelli in uso nelluogo in cui il lavoro viene svolto, che è anche il luogo in cui laretribuzione viene pagata. In ordine alle modalità, la L. 5 gennaio 1953,n. 4, sanzionata penalmente, fa obbligo al datore di accompagnare lacorresponsione della retribuzione con la consegna di un "prospetto paga",recante l'indicazione di tutti gli elementi costitutivi di essa.

Il trattamento di fine rapporto e l'indennità in caso di morte

La L. 29 maggio 1982, n. 297, ha sostituito all'indennità di anzianità -consistente nella retribuzione che maturava al momento della cessazione delrapporto di lavoro e che era pari al prodotto dell'importo dell'ultimaretribuzione per il numero di anni di servizio prestato - il diversoistituto del trattamento di fine rapporto. Quest'ultimo, secondo la

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dottrina e la giurisprudenza dominanti, ha natura retributiva eprevidenziale insieme, perché rappresenta quella parte di retribuzione cuiil lavoratore alle dipendenze di un privato o di un ente pubblico economicoha diritto in ogni caso di cessazione del rapporto, al fine di superare leeventuali difficoltà economiche connesse a tale cessazione.

L'art. 2120, c.c., nella nuova formulazione, dispone che il trattamento difine rapporto si calcola accantonando, anno per anno, una quota pari ecomunque non superiore all'importo della retribuzione dovuta per l'annostesso divisa per 13,5. Il totale delle quote accantonate - con esclusionedella quota maturata nell'anno - è incrementato, su base composta, al 31dicembre di ciascun anno, con l'applicazione di un tasso costituitodall'1,5% in misura fissa e dal 75% dell'aumento dell'indice dei prezzi alconsumo per le famiglie di operai ed impiegati, accertato dall'ISTAT,rispetto al mese di dicembre dell'anno precedente.

Nella retribuzione media da prendere a base del calcolo devono farsirientrare tutte le somme corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro atitolo non occasionale, e con esclusione di quanto corrisposto a titolo dirimborso spese. Previsioni diverse possono, però, essere contenute neicontratti collettivi a cui la L. 297/1982 concede ampio spazio, tanto chela Cassazione ritiene possibili anche deroghe in peius, purché ladisciplina pattizia assicuri al prestatore un trattamento complessivamentepiù favorevole.

L'art. 2120, co. VI, c.c., dispone che il lavoratore, con almeno otto annidi servizio presso lo stesso datore, può chiedere in costanza di rapportodi lavoro, un'anticipazione non superiore al 70% sul trattamento cuiavrebbe diritto nel caso di cessazione del rapporto alla data dellarichiesta. I commi dal VII all'XI dello stesso articolo contemplano unaserie di limiti per tale anticipazione, che deve essere giustificata dallanecessità di:

eventuali spese sanitarie per terapie ed interventi straordinaririconosciuti dalle competenti strutture pubbliche;

acquisto della prima casa di abitazione per sé o per i figli,documentato con atto notarile (si ricorda che la sent. n. 142/1991della Corte cost. ha dichiarato illegittimo l'art. 2120, co. VIII,lett. b), nella parte in cui non prevede la possibilità diconcessione in caso di acquisto in itinere comprovato con mezziidonei a dimostrarne l'effettività).

L'indicazione delle finalità per cui può essere chiesta l'anticipazione èevidentemente generica: ciò si spiega in considerazione dell'ampio margineche la legge lascia in materia alla contrattazione collettiva edindividuale, chiamata ad integrare e migliorare la disciplina legislativa.

Il trattamento di fine rapporto, unitamente all'indennità di preavviso,spetta nel caso di morte del prestatore, ai "superstiti", ossia al coniuge,ai figli e, se vivevano a carico del lavoratore, ai parenti entro il terzogrado ed agli affini entro il secondo grado. La ripartizione deve seguire i

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criteri stabiliti dall'accordo tra i superstiti; in difetto di accordo, ilcriterio del bisogno attuale di ciascuno.

Secondo l'orientamento dottrinale prevalente, il diritto spetta ai prossimicongiunti indicati dalla legge "iure proprio", ciò che implica importanticonseguenze sotto il profilo fiscale e sotto quello dei rapporti del de cuiuscon i creditori, che non possono rivalersi sull'indennità in questioneavente natura anche previdenziale ed assistenziale. Solo in mancanza di"superstiti" subentrano le norme della successione testamentaria olegittima e l'acquisto avviene "iure successionis

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L’ORARIO DI LAVORO

La durata massima della prestazione di lavoro

La disciplina che limita la durata massima della prestazione di lavoro,concernente l'orario di lavoro, le pause settimanali e le ferie annuali,svolge una rilevantissima funzione di tutela della persona del lavoratore.Essa, infatti, è volta a consentire a quest'ultimo non solo di reintegrarele energie spese nello svolgimento della propria attività, ma anche disoddisfare le proprie esigenze ricreative, familiari e sociali.

Le principali fonti normative in materia sono:

l'art. 36, co. II, Cost., che contempla una riserva di legge nelladeterminazione della durata della giornata lavorativa;

gli artt. 2107 - 2109, c.c., che disciplinano le pause dal lavoro eche sono integrati dalle leggi speciali e dai contratti collettivi;

il R.D.L. 15 marzo 1923, n. 692, che, dopo aver subito alternevicende nel periodo corporativo e bellico, rappresenta la leggespeciale tuttora vigente, e che fissa il limite massimo di 8 oregiornaliere o di 48 ore settimanali per tutti i lavoratori. Ècontroverso, però, se tali limiti siano concorrenti ovvero se illavoro prestato oltre le 8 ore giornaliere, ma entro le 48settimanali rientri egualmente nell'orario normale, senza dar luogo alavoro straordinario: la dottrina dominante e la giurisprudenza(PERA, MAZZIOTTI, Cass. 2729/83) sono orientate nel primo senso;

l’art. 13 della L. 196/97 che ha fissato in 40 ore settimanalil’orario normale di lavoro.

La durata massima concerne il solo lavoro effettivo, ossia quello cherichiede un'applicazione continua e senza soste. Per tale ragione, oltreche per le particolari mansioni svolte, sono escluse dalla disciplinagenerale alcune categorie di lavoratori, e cioè:

i lavoratori addetti a lavori discontinui o di semplice attesa ocustodia (indicati specificamente dal r.d. 6/12/1923, n. 2657);

gli impiegati di concetto con funzioni direttive (tra cui vannoricompresi i quadri ed i dirigenti);

i commessi viaggiatori ed i piazzisti; i lavoratori a domicilio; i lavoratori domestici (salvo che conviventi); il personale di sorveglianza; il personale navigante; alcune categorie di lavoratori agricoli.

Inoltre, poiché per il calcolo della giornata lavorativa deve, come si èdetto, farsi riferimento al solo lavoro effettivo, non possono prendersi inconsiderazione: i riposi intermedi (per la consumazione dei pasti); iltempo occorrente per recarsi al lavoro; quello necessario per indossare gliabiti di lavoro o per fornirsi degli attrezzi; le soste di lavoro noninferiori a 10 minuti dovute a forza maggiore oppure a necessità tecniche.

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Le parti possono protrarre l'orario di lavoro oltre il limite stabilitodalla legge nel caso di:

attività agricole o industriali, quando ricorrano necessità tecnicheo stagionali;

lavori complementari e preparatori che debbano essere effettuati aldi fuori dell'orario di lavoro.

In tali ipotesi, il prolungamento dell'orario di lavoro va comunicato alcompetente Ufficio provinciale del lavoro. In conclusione, va notato ancheche la durata massima della prestazione lavorativa, benché finalizzata allatutela del prestatore, si configura quale limite ai poteri datoriali, conla conseguenza che, in caso di violazione, penalmente sanzionato è il solocomportamento del datore.

Il lavoro straordinario

Il lavoro straordinario è quello che eccede l'orario massimo. Al riguardo,l'art. 2108, co. I, c.c., dispone che "in caso di prolungamento dell'orario normale, ilprestatore di lavoro deve essere compensato per le ore straordinarie con un aumento di retribuzionerispetto a quella dovuta per il lavoro ordinario". Il successivo co. III stabilisce,poi, che i limiti entro i quali il lavoro straordinario è consentito, ladurata di esso e la misura della maggiorazione sono stabiliti dalla legge edai contratti collettivi. La legge cui rinvia l'art. 2108, c.c., è ilR.D.L. 692/1923, che fissa limiti rigorosi per lo svolgimento del lavorostraordinario, stabilendo che esso può essere prestato sempreché:

ci sia l'accordo tra le parti; la prestazione lavorativa non superi le 2 ore giornaliere e le 12 ore

settimanali, o una durata media equivalente entro un periododeterminato;

venga computato a parte con un aumento retributivo, rispetto allavoro ordinario, non inferiore al 10%, o con un aumentocorrispondente sui cottimi.

Per le sole imprese industriali, è anche necessario che:

il lavoro straordinario abbia carattere di saltuarietà; sia richiesto da eccezionali esigenze tecnico-produttive che non sia

possibile fronteggiare con l'assunzione di altri lavoratori; si dia comunicazione dell'esecuzione del lavoro straordinario, entro

24 ore dall'inizio, all'Ispettorato del lavoro, che può ordinarne lacessazione o la limitazione;

l'imprenditore versi al Fondo per la disoccupazione una somma pari al15% della retribuzione relativa alle ore straordinarie compiute.

L'effettuazione del lavoro straordinario è esclusa per:

le lavoratrici che allattano la prole; gli apprendisti.

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Gli studenti lavoratori possono, invece, rifiutarsi di svolgere lavorostraordinario. Ai termini dell'art. 1, co. II, R.D.L. 692/1923, agliimpiegati con funzioni direttive per i quali non sia fissata la duratamassima dell'orario di lavoro non spetta il compenso per lavorostraordinario. Tale esclusione non ha, però, secondo la giurisprudenza,carattere assoluto, essendo comunque soggetta a limiti di ragionevolezza.

Il lavoro notturno

Si ha lavoro notturno quando la prestazione viene eseguita di notte, ecioè, secondo l'opinione generale, tra le ore ventidue e le ore sei. Illavoro notturno è soggetto ad una serie di divieti e di limitazioni, inquanto, alterando i ritmi biologici di vita del prestatore, risulta piùdannoso e faticoso non solo del lavoro diurno, ma anche del lavorostraordinario. Così esso è vietato dalla legge:

per le donne, che, anche se familiari del datore, non possono essereaddette al lavoro nelle aziende manifatturiere, anche artigianali,dalle ore 24 alle 6;

per i fanciulli e gli adolescenti, che hanno diritto ad un intervallotra una giornata di lavoro e l'altra, di dodici ore consecutive,comprese le ore notturne;

per gli apprendisti, che non possono effettuare prestazionilavorative, tra le ore 22 e le 6;

nelle industrie per la panificazione e le pasticcerie, dove è vietatoil lavoro tra le ore 21 e le ore 4, tranne il sabato, quandoeccezionalmente è consentito fino alle 23;

nei servizi pubblici di trasporto, dove è vietato il servizio dalleore 24 alle ore 5, per più di sei notti consecutive.

L'art. 2108, co. II, c.c., dispone che il lavoro notturno deve, al pari diquello straordinario, essere retribuito con una maggiorazione rispetto allavoro diurno. Tale regola non si applica al lavoro notturno compreso inregolari turni periodici, in quanto in tal caso viene meno il carattere distraordinarietà e la prestazione rientra nel normale lavoro dei turnisti(spesso, però, i contratti collettivi prevedono per tale ipotesi la stessamaggiorazione prevista per il lavoro notturno). Ai sensi del co. IIIdell'art. 2108, i limiti entro cui il lavoro notturno è consentito, la suadurata e la misura della maggiorazione sono stabiliti dalla legge e dallacontrattazione collettiva.

Il riposo settimanale

L'art. 36, co. III, Cost., riconosce il diritto irrinunciabile dellavoratore al riposo settimanale. Tale diritto è ribadito dall'art. 2109,c.c., che, al co. I, precisa che, di norma, il giorno di riposo devecoincidere con la domenica. La disciplina specifica è, essenzialmente

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contenuta nella L. 22 febbraio 1934, n. 370, che riconosce il diritto alriposo settimanale a tutti i prestatori e ne determina la durata in 24 oreconsecutive (dalla mezzanotte di un giorno fino alla mezzanotte del giornosuccessivo). Anche la L. 370/1934 stabilisce che il riposo settimanale devedi regola coincidere con la domenica. Ciò è tassativamente disposto per iminori e gli adolescenti, mentre deroghe sono previste in relazione adeterminati lavori o situazioni particolari, tra cui rientrano:

i processi lavorativi caratterizzati dalla continuità, cui iprestatori vengono adibiti secondo turni di lavoro;

le esigenze tecniche o di pubblica utilità; ragioni d'urgenza per il possibile deterioramento delle materie

prime.

Se, per cause eccezionali, la prestazione lavorativa viene effettuata nelgiorno di riposo, il prestatore ha diritto ad un giorno di riposocompensativo, e ad una maggiorazione della retribuzione. Nel caso in cui illavoro svolto durante la domenica non venga compensato dal riposo in altrogiorno della settimana, il lavoratore vanterà uno specifico diritto alrisarcimento per la penosità del lavoro festivo.

Le festività infrasettimanali

Accanto al riposo settimanale si pongono le festività infrasettimanali,nazionali e religiose, disciplinate dalla L. 27 maggio 1949, n. 260, dallaL. 5 marzo 1977, n. 54 e dal D.P.R. 28 dicembre 1985, n. 792. I giornifestivi oggi esistenti sono:

tutte le domeniche; il 1deg. giorno dell'anno; il 6 gennaio (Epifania); l'anniversario della Liberazione (25 aprile); il lunedì in albis; il 1deg. maggio (festa del lavoro); il giorno dell'Assunzione (15 agosto); il giorno di Ognissanti (1deg. novembre); l'Immacolata Concezione (8 dicembre); il giorno di Natale; Santo Stefano (26 dicembre).

Durante tali festività, i datori di lavoro devono corrispondere ai propridipendenti - compresi quelli retribuiti ad ore - la normale retribuzionegiornaliera. Nel caso in cui, in tali giorni, i dipendenti lavorino, è lorodovuta, oltre la normale retribuzione globale di fatto giornaliera,comprensiva di ogni elemento accessorio, anche la retribuzione perl'attività svolta con la maggiorazione per il lavoro festivo. Nel settoredel pubblico impiego, in luogo del trattamento economico, è previsto ilrecupero delle festività soppresse in altri giorni dell'anno come permessistraordinari o in aggiunta alle ferie, con il pagamento della retribuzione.

Le ferie annuali61

L'art. 36, co. III, Cost., sancisce che "Il lavoratore ha diritto a ferie annualiretribuite e non può rinunziarvi". Tale diritto è riconosciuto anche dall'art.2109, c.c., che, al co. II, dispone che il prestatore "ha anche diritto dopo unanno d'ininterrotto servizio ad un periodo annuale di ferie retribuito, possibilmente continuativo, neltempo che l'imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell'impresa e degli interessi delprestatore di lavoro". Va segnalato che il requisito dell'"anno di ininterrottoservizio" è stato ritenuto incostituzionale dalla Consulta con sentenza 7maggio 1963, n. 66, per cui oggi si ha diritto alle ferie proporzionalmentealla durata del periodo lavorativo. Sempre a commento del co. II dell'art.2109, c.c., va rilevato come spetti al datore il potere unilaterale distabilire il tempo in cui far ricadere il periodo di ferie, salvo l'oneredi darne comunicazione preventiva ai lavoratori. Per la fissazione delladurata delle ferie, il co. III dell'art. 2109, c.c., rinvia, invece, allalegge, ai contratti collettivi, agli usi o all'equità. Salve ledisposizioni di legge dettate per categorie speciali di lavoratori - come,ad esempio, gli apprendisti -, nella pratica la durata del periodo ferialeè di solito determinata dai contratti collettivi, con criteri basatisoprattutto sulla categoria di appartenenza e sulla anzianità di servizio(c.d. scaglioni periodici). Al riguardo, va registrata la tendenza dellacontrattazione collettiva ad unificare il trattamento feriale per tutti ilavoratori. Durante il periodo feriale, il prestatore ha diritto allaretribuzione globale di fatto corrispondente a quella che percepiscenormalmente (comprensiva anche delle voci più strettamente connesse allaprestazione lavorativa); in caso di retribuzione in natura ha dirittoall'equivalente in danaro. Il datore, che acconsenta a che il prestatorenon fruisca delle ferie, incorre in un comportamento illecito, ancorché nonpenalmente sanzionato; l'illiceità tuttavia non coinvolge il prestatore cheha diritto ad un equivalente trattamento economico: la c.d. indennitàsostitutiva di ferie non godute. L'azione diretta ad ottenere taleindennità è considerata dalla giurisprudenza prevalente di naturarisarcitoria, non contrattuale, con il conseguente onere per il lavoratoredi provare il mancato godimento delle ferie. Un'importante notazione intema di ferie: la sentenza della Corte costituzionale 30 dicembre 1987, n.6161, ha dichiarato che l'art. 2109, c.c., è costituzionalmente illegittimonella parte in cui non prevede che la malattia insorta durante il periodoferiale ne sospenda il decorso. Assimilati alle ferie sono poi alcuniperiodi di sosta nello svolgimento della prestazione, previsti dalla leggee volti a permettere al lavoratore di assolvere ad alcuni impegni dicarattere civile e personale. Essi possono essere retribuiti ovvero nonretribuiti. Si citano qui, a titolo di esempio: il congedo per le elezionipolitiche ed amministrative e per i referendum, previsto a favore deicomponenti il seggio elettorale e dei rappresentanti di lista; il congedomatrimoniale; i permessi (non retribuiti) spettanti ai dirigenti dellerappresentanze sindacali aziendali per la partecipazione a convegni,congressi ed iniziative sindacali in genere.

Il part-time ed i contratti di solidarietà

Il rapporto di lavoro a tempo parziale consiste nello svolgimento diattività lavorativa ad orario inferiore rispetto a quello ordinario

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previsto dai contratti collettivi di lavoro (part-time c.d. orizzontale) oper periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese o dell'anno(part-time c.d. verticale). Esso è stato disciplinato, per la prima volta,nel nostro ordinamento con il D.L. 30 ottobre 1984, n. 726, convertito, conmodificazioni, nella L. 19 dicembre 1984, n. 863, che:

istituisce presso gli uffici di collocamento una lista speciale deiprestatori disposti a lavorare a tempo parziale;

impone la forma scritta per la stipulazione del contratto e l'inviodi una copia dello stesso all'Ispettorato del lavoro;

attribuisce alla contrattazione collettiva il potere, efficace ergaomnes, di integrazione della disciplina legale a tuteladell'interesse collettivo dei lavoratori al controllo dellaoccupazione a tempo parziale (GHERA);

vieta lo svolgimento, da parte dei prestatori a part-time, di lavorosupplementare, cioè svolto oltre il limite orario concordatocontrattualmente, ma rientrante nei limiti legali fissati dal R.D.L.692/23.

Nel rapporto di lavoro a tempo parziale, la retribuzione prevista per ilrapporto a tempo pieno viene ridotta in proporzione all'orario di lavoro,per cui il principio della sufficienza della retribuzione sancito dall'art.36, co. I, Cost., si relativizza in quello della proporzionalità, previstodalla stessa norma.

I contratti di solidarietà possono, poi, essere considerati una formaparticolare di contratto a tempo parziale e, al pari di quest'ultimo,rinvengono la loro disciplina nella L. 19 dicembre 1984, n. 863. Sonopreviste due ipotesi di contratti di solidarietà:

la prima concerne la riduzione dell'orario di tutti i lavoratori diun'impresa in crisi: ciò allo scopo di evitare la riduzione delnumero degli occupati;

la seconda è prevista per favorire l'occupazione, soprattuttogiovanile, con la riduzione dell'orario complessivo e con ilconseguente aumento della disponibilità di posti di lavoro

SICUREZZA E IGIENE DELLE CONDIZIONI DI LAVORO

L’art 2087 c.c. fa obbligo al datore di lavoro di “adottare nell’eserciziodell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sononecessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del prestatore di lavoro”. Il

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legislatore ha predisposto, in tal senso, due gruppi di norme: l’unoconcernente la prevenzione degli infortuni, l’altro l’igiene del lavoro.

L’oggetto della prevenzione e le misure generali di tutela

La prevenzione nel campo della sicurezza del lavoro consiste nella “azione ola serie di azioni che mirano a cautelare dagli infortuni e ad evitarli”. Nell’art.3 del D.Lgs.626/94 vengono elencati, tra le misure generali di tutela, i seguentiprecetti tassativi in cui si sostanzia, in concreto, l’azione preventiva:

riduzione dei rischi alla fonte; sostituzione di ciò che è pericoloso con ciò che non lo è o lo è

meno; rispetto dei principi ergonomici nella concezione dei posti di

lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione deimetodi di lavoro e di produzione ;

priorità delle misure di protezione collettiva rispetto a quelleindividuali;

limitazione al minimo del numero di lavoratori esposti al rischio; utilizzo limitato di agenti chimici, fisici e biologici; regolare manutenzione di ambienti, attrezzature, macchine e impianti,

con particolare riguardo ai dispositivi di sicurezza in conformitàall’indicazione dei fabbricanti;

informazione, formazione e istruzioni ai lavoratori.

Accanto al principio della prevenzione troviamo quello dellaprogrammazione: la prevenzione deve svolgersi secondo modalità predefiniteche consistono nella valutazione dei rischi, nella redazione del documento disicurezza, nell’organizzazione di una specifica funzione aziendale denominataservizio di prevenzione e protezione, nella designazione di addetti alle proceduredi sicurezza, nella elaborazione dei programmi di informazione e formazione deilavoratori.

Il soggetto responsabile

L’obbligo giuridico di tutelare l’integrità psicofisica dei dipendentimediante l’adozione ed il mantenimento in efficienza dei presidiantinfortunistici ricade sull’imprenditore datore di lavoro.L’individuazione della persona fisica responsabile, qualificabile comedatore di lavoro, non è sempre agevole: tale identificazione è tuttavia difondamentale importanza attesa l’eventuale responsabilità penale che, inquanto tale, non è riferibile alle persone giuridiche. La giurisprudenza siè avvalsa in passato del principio dell’effettività riconoscendo il datoredi lavoro nel soggetto che – prescindendo dalle attribuzioni formali deicompiti nella gerarchia imprenditoriale – si occupa dell’assunzione delpersonale. L’art. 2 della “626” fornisce invece una definizione normativadi “datore di lavoro”: questi è il soggetto che, secondo il tipo el’organizzazione dell’impresa, ha la responsabilità dell’impresa stessaovvero dell’unità produttiva, in quanto titolare dei poteri decisionali edi spesa. Ed inoltre, nelle P.A. per datore di lavoro si intende ildirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non

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avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest’ultimo siapreposto ad un ufficio avente autonomia gestionale.

I beneficiari della tutela prevenzionale

La disciplina prevenzionale si applica ai lavoratori con rapporto di lavorosubordinato, anche speciale [5]. Conseguenza importante è l’assenza per illavoratore del rischio connesso agli incidenti sul lavoro e alle malattieprofessionali che, per legge, ricade sugli istituti di previdenza eassistenza obbligatoria e, indirettamente, sul datore di lavoro che ètenuto a versare a detti istituti i contribuiti assicurativi.Il datore di lavoro è tenuto a fornire ai dipendenti tutte le informazionirelative ai rischi per la salute e la sicurezza e le corrispondenti misuredi protezione adottate. Da ciò deriva anche l’obbligo per il datore dilavoro di corrispondere una adeguata formazione al lavoratore in materia disicurezza e salute.

[5] La normativa prevenzionistica si applica con certezza ai seguentirapporti speciali:

rapporto di apprendistato o tirocinio; lavoro a tempo parziale; contratto di formazione e lavoro; prestatori di lavoro temporaneo; telelavoratori.

Sono altresì tutelati, a parere della maggiore dottrina, i collaboratoridell’impresa familiare o dell’impresa artigiana individuale.

La “626” riconosce specifici diritti dei lavoratori in caso di pericolograve e immediato, in particolare:

diritto del lavoratore ad abbandonare le mansioni e allontanarsi dalposto di lavoro;

diritto a non subire pregiudizio nel caso di intervento diretto perevitare le conseguenze del pericolo, sempre che non vi sia stata, daparte del lavoratore, grave negligenza e non sia stato possibileavvertire il competente superiore gerarchico.

Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza

Tale soggetto è definito come la persona, ovvero le persone, eletta o designate perrappresentare i lavoratori per quanto concerne gli aspetti della salute e della sicurezza durante illavoro. Ai sensi dell’art. 19 della “626” sono attribuite al rappresentanteper la sicurezza le seguenti funzioni:

accede ai luoghi di lavoro in cui si svolgono le lavorazioni; è consultato preventivamente e tempestivamente in ordine alla

valutazione dei rischi, alla individuazione, programmazione,realizzazione e verifica della prevenzione nell’azienda o nella unitàproduttiva;

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è consultato in merito all’organizzazione della formazione deilavoratori;

riceve le informazioni e la documentazione aziendale inerente allavalutazione dei rischi e le relative misure preventive;

riceve le informazioni provenienti dai servizi di vigilanza; promuove l’elaborazione, l’individuazione e l’attuazione delle misure

di prevenzione; formula osservazioni in occasione di visite e verifiche effettuate

dalle autorità competenti; partecipa alle riunioni periodiche per discutere i problemi attinenti

alla prevenzione e protezione rischi; fa proposte in merito all’attività di prevenzione; avverte il responsabile dell’azienda dei rischi individuati nel corso

della sua attività; può fare ricorso alle autorità competenti qualora ritenga che le

misure di prevenzione e protezione dai rischi adottate dal datore dilavoro non siano idonee a garantire la sicurezza.

La sorveglianza sanitaria obbligatoria

La sorveglianza sanitaria obbligatoria, svolta per il tramite di unprofessionista, comprende accertamenti preventivi e periodici al fine divalutare l’idoneità dei lavoratori alla mansione specifica cui sonodestinati. Al termine degli accertamenti il medico competente potràdecidere sulla idoneità, idoneità parziale o non idoneità del lavoratore. Nel casodi idoneità parziale il lavoratore potrà svolgere l’attività cui è statodestinato solo nel rispetto di determinate condizioni di tutela. In caso dinon idoneità il medico dovrà fornire indicazioni sulle possibilità di impiegodel dipendente e dovrà darne comunicazione sia al datore che al lavoratoreinteressato

TUTELA DEL LAVORO MINORILE E DELLE LAVORATRICI MADRI.PARITÀ E PARI OPPORTUNITÀ

Il legislatore ha sempre inteso tutelare l’integrità psicofisica dellavoratore minore d’età attraverso una normativa protettiva speciale. Direcente, la L. 128/98 ha enunciato i criteri di delega per il recepimentodella Dir. 94/33/CE relativa alla protezione dei giovani sul lavoro. A taledirettiva è stata data attuazione con il D.Lgs. 345/99 che ha abrogato

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alcuni articoli della L. 977/67 e ne ha sostituito altri. Tale normativa siapplica ai minori di 18 anni con un contratto di lavoro anche speciale. Nontrova invece applicazione per gli adolescenti addetti a lavori occasionalio di breve durata concernenti servizi domestici prestati in ambitofamiliare o, comunque, prestazioni non nocive e non pericolose rese inimprese a conduzione familiare.

La disciplina del lavoro minorile e la riforma del D.Lgs. 345/99

Ai sensi dell’art. 3 della L. 97/67 modificato dal D.Lgs. 345/99, l’etàminima per l’ammissione al lavoro coincide con quella in cui il minore haconcluso il periodo di istruzione obbligatoria, comunque non inferiore a 15anni compiuti [6].

[6] Occorre anche premettere che la normativa della riforma riguarda tuttii minori di età ed in particolare i bambini - minori di 15 anni ancorasoggetti all’obbligo scolastico - e gli adolescenti - di età compresa fra i15 e i 18 anni non più soggetti all’obbligo scolastico.

L’art. 6 stabilisce il divieto di adibire gli adolescenti alle lavorazionie ai lavori potenzialmente pregiudizievoli per il pieno sviluppo fisico.Anche a tal fine sono previste visite mediche preassuntive e periodichetese ad accertare l’idoneità del minore al lavoro.Lo svolgimento dell’attività lavorativa avviene secondo la disciplinanormativa generale salvo deroghe ed eccezioni più favorevoli per i minori.L’orario di lavoro non può superare le 7 ore giornaliere e le 35settimanali nel caso di bambini, e le 8 ore giornaliere e le 40 settimanaliper gli adolescenti. Il minore ha diritto ad almeno 2 giorni di rispososettimanale e pause giornaliere 4 ore e mezzo. L’art. 15 della stessa leggevieta di adibire al lavoro notturno i minori. Infine, i minori di anni 16hanno diritto a 30 giorni di ferie annuali; i minori con più di 16 annihanno diritto a 20 giorni di ferie.

Tutela della maternità

La normativa sulle lavoratrici prevede speciali garanzie e diritti idoneiad assicurare l’essenziale funzione familiare della donna e rispondentiall’esigenza di tutela della maternità. In tal senso è fatto divieto diadibire la lavoratrice al lavoro nel periodo che va da due mesi prima dellapresunta data del parto a tre mesi dopo il parto o aborto: durante questoperiodo (astensione obbligatoria), la lavoratrice ha diritto ad unaindennità pari all’80% della retribuzione, a carico dell’INPS, el’anzianità di servizio decorre a tutti i fini. Dopo il periodo diastensione, le lavoratrici madri hanno facoltà di astenersi dal lavoro(astensione facoltativa) per un periodo di 6 mesi nel primo anno di vitadel bambino, nonché, nei suoi primi 3 anni vita, nel caso di malattia dellostesso. Per tali periodi, validi ai fini dell’anzianità, si ha diritto aduna indennità a carico dell’INPS pari al 30% della retribuzione. Diparticolare è l’art. 2 della L. 1204/71 che dispone un generale divieto dilicenziamento della lavoratrice dall’inizio del periodo di gestazione finoal compimento del primo anno di vita del bambino

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LA SOSPENSIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO.LE INTEGRAZIONI SALARIALI

Avviene di frequente che il rapporto di lavoro venga sospeso per le ragionipiù varie: sciopero, aspettativa, malattia, assistenza ai figli in teneraetà, serrata ecc. Naturalmente l’impossibilità sopravvenuta dellaprestazione di una delle due parti del contratto di lavoro deve esseretemporanea e non definitiva: in quest’ultimo caso, infatti, sideterminerebbe la fine del rapporto stesso.

Cause di sospensione per fatto del lavoratore

Le cause di sospensione della prestazione per impossibilità del lavoratoresono le seguenti:

infortunio e malattia comune: in tali ipotesi, il prestatore ha diritto allaconservazione del posto di lavoro per il periodo di tempo stabilitodalla legge, dai contratti collettivi, dagli usi o secondo equità(c.d. periodo di comporto); tale periodo è computato ai finidell'anzianità di servizio; al lavoratore spetta un trattamentoeconomico che, per i primi tre giorni di assenza, è pari all'interaretribuzione ed è a carico del datore, mentre per i periodisuccessivi, con le modalità ed i limiti stabiliti dalla legge, è acarico degli enti previdenziali;

gravidanza e puerperio: in tali casi, la lavoratrice ha diritto adun'indennità posta a carico dell'INPS, pari all'80% dellaretribuzione per il periodo di astensione obbligatoria e ad unaindennità pari al 30% della retribuzione per il periodo semestrale diastensione facoltativa (si ricordi che quest'ultima è stata estesa,con l'art. 7, L. 903/1977, al padre lavoratore che si avvalga deldiritto all'astensione dal lavoro in alternativa alla madrelavoratrice);

servizio militare di leva e servizio sostitutivo civile: in questi casi, il rapportoresta sospeso con la conservazione del posto e dell'anzianitàmaturata, ma senza diritto alla retribuzione;

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richiamo alle armi: sospende il rapporto con diritto alla conservazionedel posto e ad un'indennità il cui ammontare varia a seconda dellaqualifica, del settore produttivo e della durata del richiamo;

aspettativa per funzioni pubbliche elettive e per cariche sindacali: in queste ipotesi èprevista la conservazione del posto senza conservazione dellaretribuzione;

sciopero: il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto, ma nonalla retribuzione.

Sospensione del lavoro per fatto del datore di lavoro

Possiamo distinguere essenzialmente i seguenti casi:

la sospensione dell'attività produttiva, che ricomprende i casi di interruzione dellavoro o sospensione dell'attività aziendale, dipendenti da fatti riconducibili,direttamente od indirettamente, all'organizzazione produttivadell'impresa e tali da determinare la oggettiva impossibilitàtemporanea della prestazione lavorativa (GHERA). Le sospensioni dibreve durata sono poste a carico del datore dalla contrattazionecollettiva. Per quelle di maggiore durata il legislatore contempla, afavore dei prestatori, interventi di carattere ordinario, volti afronteggiare situazioni temporanee di difficoltà aziendale, edinterventi di carattere straordinario, a copertura di situazioni didifficoltà non sempre temporanee, motivate da ristrutturazione,riorganizzazione o riconversione industriale ovvero da crisieconomiche settoriali o locali. In entrambi i casi, appositiorganismi previdenziali istituiti presso l'INPS garantiscono ailavoratori un'integrazione salariale pari all'80% della retribuzioneglobale che sarebbe spettata per le ore di lavoro non prestate,comprese fra le ore 0 ed il limite contrattuale, ma comunque nonoltre le 40 ore settimanali. Con riguardo all'interventostraordinario, si ricorda anche che esso trova oggi una nuova edorganica regolamentazione nella L. 23 luglio 1991, n. 223 integrata emodificata dal D.L. 299/94;

la sospensione disciplinare, che rientra nella categoria delle sanzionidisciplinari, non può avere durata superiore a 10 giorni e non è, dinorma, computabile ai fini dell'anzianità;

la sospensione cautelare, che può essere disposta nelle more delprocedimento per il licenziamento disciplinare, se prevista daicontratti collettivi.

Le integrazioni salariali

Il principio della continuità del salario trova la sua ratio nella esigenzadi tutelare la posizione contrattuale del prestatore di lavoro di frontealle situazioni variabili dell’impresa, svincolando per quanto possibile ildiritto alla retribuzione dalle vicende del rapporto di lavoro. Taleprincipio trova la sua espressione nel sistema degli interventi ordinari estraordinari di integrazione salariale. Il rapporto di lavoro permane:tuttavia, in costanza di intervento di integrazione salariale, vengonosospese le obbligazioni principali connesse al rapporto medesimo, cioè la

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prestazione di lavoro e la retribuzione. Cessata la causa che halegittimato la sospensione, il rapporto riprenderà regolarmente.

L’integrazione salariale è gestita dall’INPS tramite l’apposita “Gestioneprestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti”, in cui confluiscono le tre Casse(agricoltura, edilizia, industria), autonome tra loro.

La L. 144/99, nel dettare i criteri direttivi per una più generale riformadegli incentivi all’occupazione e degli ammortizzatori sociali, annunciafuturi interventi di modifica e razionalizzazione della disciplina delleintegrazioni salariali.

Obiettivo dichiarato della riforma è il rafforzamento delle misure attivedi gestione degli esuberi strutturali, tramite il ricorso a istituti estrumenti, anche collegati ad iniziative di formazione professionale,intesi ad assicurare la continuità ovvero nuove occasioni d’impiego.

L’intervento ordinario

La CIG (Cassa integrazione ordinaria) è prevista in caso di contrazione osospensione dell’attività produttiva dipendente da situazioni aziendali,siano esse dovute ad eventi transitori e non imputabili all’imprenditore oai dipendenti ovvero siano determinate da situazioni temporanee di mercatoche non pongano in dubbio la ripresa della normale attività produttiva.

In tale eventualità l’INPS assicura una indennità agli aventi diritto nellamisura dell’80% della retribuzione globale di fatto che ad essi sarebbespettata per le ore di lavoro non prestate fra le 0 ore e il limitedell’orario contrattuale ma comunque non oltre le 40 ore settimanali. Ladurata massima di tale forma di integrazione è di tre mesi continuativi,eccezionalmente prorogabili trimestralmente fino ad un massimo complessivodi un anno ovvero, per periodi non continuativi, fino ad un massimo di 12mesi in un biennio.

L’intervento straordinario

La Cassa integrazione straordinaria (CIGS) opera invece in caso disospensione o riduzione di attività motivata da:

ristrutturazione, riorganizzazione o riconversione aziendale; crisi aziendale; procedure concorsuali.

La CIGS è finalizzata a fronteggiare gravi situazioni di eccedenzaoccupazionale ed a garantire la continuità del reddito ai lavoratorisospesi dal processo produttivo. Presupposto necessario per l’erogazione del trattamentoè la presentazione di un programma mirato al rilancio dell’attività ed alla salvaguardia dei livellioccupazionali. In questo caso l’INPS assicura ai dipendenti, in possesso diun’anzianità di servizio di almeno 90 giorni alla data della richiesta, unaindennità nella misura dell’80% della retribuzione globale di fatto che ad

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essi sarebbe spettata per le ore di lavoro non prestate fra le 0 ore e illimite dell’orario contrattuale ma comunque non oltre le 40 ore settimanali

VICENDE DEL RAPPORTO DI LAVORO VICENDE SOGGETTIVE

Il principio generale è che deve escludersi il trasferimento del contrattodi lavoro in capo ad altro lavoratore a causa dei caratteri di personalitàe di infungibilità della prestazione lavorativa. E’ invece ammissibile lasuccessione della posizione del datore di lavoro che può verificarsi siaper atti inter vivos, sia per atti mortis causa.

Il trasferimento d’azienda

Il comma 1 dell’art. 47 della L. 428/90 ha stabilito che quando si intendeeffettuare un trasferimento d’azienda in cui siano occupati più di 15lavoratori, l’alienante e l’acquirente devono darne comunicazione scritta,almeno 25 giorni prima, alle rappresentanze sindacali, costituite ex. art.19 St. Lav., e alle rispettive associazioni di categoria. Ove lerappresentanze sindacali lo richiedano per iscritto, l’alienante el’acquirente sono tenuti ad avviare un esame congiunto della situazione conle forze sindacali richiedenti.

L’art. 2112 c.c. dispone che “in caso di trasferimento d’azienda il rapporto di lavorocontinua con l’acquirente e il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano”. Una deroga atale norma è introdotta dall’art. 47 co.5 della L. 428/90 in riferimento adaziende o unità produttive di cui sia stato accertato lo stato di crisiaziendale o imprese sottoposte a procedure concorsuali. Nell’ipotesi ditrasferimento di dette imprese, qualora via sia un accordo sindacale per ilmantenimento dei posti di lavoro, si consente in relazione ai lavoratori ilcui rapporto continua con l’acquirente, la disapplicazione dei principi dicontinuità e di responsabilità solidale dell’art. 2112 c.c. e ciò per nongravare di ulteriori oneri l’acquirente di un’impresa già economicamentesofferente.

Il fallimento del datore di lavoro

Il forza dell’art. 2119 ultimo comma, il fallimento dell’imprenditore e laliquidazione coatta amministrativa dell’azienda in crisi non costituisconogiusta causa di licenziamento. I rapporti di lavoro continuano con il

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curatore del fallimento il quale può effettuare licenziamenti solo qualoraricorrano giustificati motivi oggettivi.

Morte o estinzione del datore di lavoro

Nel caso in cui il datore di lavoro sia una persona fisica, il rapporto dilavoro continua con i suoi eredi o legatari. Nel caso di estinzione dellapersona giuridica, il rapporto di lavoro continua con i liquidatori ma indeterminati casi (es. società costretta a chiudere per un consistente calonelle vendite) la messa in liquidazione della società potrà accompagnarsial licenziamento collettivo dei lavoratori.

VICENDE OGGETTIVE: Nel corso del rapporto di lavoro, si verificanofrequentemente delle modificazioni dell’oggetto e del contenuto delcontratto.

Modificazioni dell’oggetto

I casi più frequenti sono:

variazioni delle mansioni o della qualifica professionale dellavoratore;

mutamento del sistema di retribuzione; mutamento del luogo di svolgimento dell’attività lavorativa.

Modificazioni del contenuto

Possiamo ricordare i seguenti casi:

trasformazione dei vari rapporti di stage in rapporti di lavoro; trasformazione del rapporto di lavoro in prova in definitivo; trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in quello a

tempo indeterminato; trasformazione del rapporto di lavoro con contratto di formazione e

lavoro in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato

CESSAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO

Casi di estinzione del rapporto di lavoro

Le fattispecie estintive del rapporto di lavoro possono essere individuate:

nel recesso unilaterale del datore di lavoro (licenziamento), cherappresenta l'ipotesi più rilevante: di esso si dirà nei paragrafiseguenti;

nel recesso unilaterale del lavoratore (dimissioni), che si concretain una dichiarazione di volontà, unilaterale, recettizia e a formalibera (salvo che sull'ultimo punto i contratti collettivi disponganodiversamente);

nel mutuo consenso, che ricorre quando le parti del rapporto sianoconcordi nel voler porre fine allo stesso;

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nella scadenza del termine, che costituisce fattispecie estintiva peri soli rapporti a tempo determinato;

nella morte del lavoratore, che conduce all'estinzione del rapportoin ragione del carattere personale ed infungibile della prestazionelavorativa;

nelle altre ipotesi legislativamente previste.

Non costituiscono, al contrario, causa di estinzione del rapporto ilfallimento e la liquidazione coatta amministrativa dell'impresa (art. 2119,ult. co., c.c.).

Il potere del datore di licenziare ed i suoi limiti sostanziali

Il potere del datore di licenziare il lavoratore trova la suaregolamentazione in una serie di fonti succedutesi nel tempo - CodiceCivile, L. 604/1966, Statuto dei lavoratori, L. 108/1990, altre leggispeciali che lo assoggettano:

sia al limite sostanziale della sussistenza di una giusta causa o diun giustificato motivo;

sia a limiti procedurali afferenti alla forma del negozio con cuidetto potere deve essere esercitato.

Con riguardo al limite sostanziale, il primo problema che si pone è quellodel significato da attribuire al concetto di giusta causa ed a quello digiustificato motivo, tenuto conto anche del fatto che, in relazione aquest'ultimo, dottrina e giurisprudenza distinguono il giustificato motivosoggettivo da quello oggettivo.

La giusta causa

La nozione di giusta causa si ricava anzitutto dall'art. 2119, c.c., checontempla la possibilità per ciascuna delle parti di recedere dal contrattoprima della scadenza del termine se il contratto è a tempo determinato,ovvero senza preavviso se il contratto è a tempo indeterminato, qualora siverifichi una causa che non consenta la prosecuzione, neanche provvisoria,del rapporto. Anteriormente all'emanazione della L. 15 luglio 1966, n. 604,recante "Norme sui licenziamenti individuali", la dottrina e la giurisprudenzaritenevano giusta causa di licenziamento, oltre all'inadempimento dellavoratore, anche ogni altro fatto idoneo a menomare il rapporto di fiduciapersonale, considerato connotato essenziale del rapporto di lavoro. Taleorientamento muta dopo l'entrata in vigore della L. 604/1966, alla lucedella quale si attribuisce alla giusta causa un significato più ristretto,riportando il concetto di fiducia entro i limiti oggettivi dell'affidamentodel creditore nell'esattezza dei successivi adempimenti, generalmenterilevante in tutti i rapporti di durata. In tal modo, il concetto di giustacausa trova "una puntuale definizione nella stessa nozione di giustificato motivo soggettivo, dalquale si differenzierebbe solo per la particolare gravità dell'inadempimento" (GHERA), e cioèsolo da un punto di vista quantitativo, non anche qualitativo. Ilcomportamento del lavoratore deve essere valutato caso per caso dalgiudice, anche quando - come di solito accade - esso sia espressamente

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previsto dai contratti collettivi come giusta causa di licenziamento. Inaltri termini, il giudice è chiamato a verificare la conformità delledisposizioni contrattuali alla nozione legale di giusta causa, e, dunque,in concreto, a verificare se le mancanze addebitate al prestatore sianocosì gravi da imporre la risoluzione del rapporto anziché l'irrogazione disanzioni disciplinari.

Il giustificato motivo soggettivo

Il giustificato motivo soggettivo è analogo alla giusta causa, dalla qualesi distingue, come si è detto, solo da un punto di vista quantitativo, perla minore gravità dell'inadempimento. Ai sensi dell'art. 3, L. 604/1966,l'ipotesi si verifica quando il lavoratore incorre in un "notevoleinadempimento degli obblighi contrattuali"; l'inadempimento è notevole, perl'art. 1455, c.c., quando è di non scarsa importanza, avuto riguardoall'interesse delle parti. Così come nell'ipotesi del licenziamento pergiusta causa, la dottrina e la giurisprudenza ritengono non vincolanti peril giudice le tipizzazioni delle condotte legittimanti il licenziamento pergiustificato motivo soggettivo contenute nei contratti collettivi.

Il giustificato motivo oggettivo

L'art. 3, L. 604/1966, contempla anche l'ipotesi di giustificato motivooggettivo che si realizza in presenza di ragioni inerenti "all'attività produttiva,alla organizzazione del lavoro ed al regolare funzionamento di essa". Tali ragioni - daintendersi come esigenze "effettivamente rispondenti a criteri obiettivi di ordinatosvolgimento dell'attività produttiva, desumibili da regole di comune esperienza" (GHERA) -prevalgono sull'interesse del lavoratore alla conservazione del posto dilavoro. Non esiste uniformità di vedute in dottrina ed in giurisprudenza inordine alla sindacabilità o meno delle scelte imprenditoriali che conduconoal licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Da un lato, infatti, viè chi, richiamandosi all'art. 41, Cost., sostiene l'insindacabilità nelmerito da parte del giudice di tali scelte, dal lato opposto vi è chiafferma la necessità di un controllo di merito circa la loro razionalità.In ogni caso, la giurisprudenza prevalente ritiene legittimo solo illicenziamento che costituisce per il datore l'extrema ratio: quello cheinterviene, cioè, in mancanza di ogni reale possibilità di recupero dellavoratore nell'organizzazione produttiva. Ancora la giurisprudenza,infine, riconduce nell'ambito del giustificato motivo oggettivo alcuni casidi licenziamento che, benché collegati alla persona del lavoratore, nonpossono rientrare nell'ipotesi del licenziamento per giustificato motivosoggettivo perché non integrano un inadempimento: così è a dire, adesempio, per il licenziamento per superamento del periodo di comporto,giustificato dal perdurare dell'impossibilità temporanea del lavoratore dieseguire la prestazione lavorativa.

I limiti procedurali posti al potere di licenziamento: la forma dellicenziamento

Oltre ai limiti sostanziali di cui si è appena detto, il potere dilicenziamento del datore incontra anche limiti procedurali, attinenti alla

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forma del licenziamento, che deve essere, infatti, comunicato al lavoratoreper iscritto. Sempre per iscritto, contestualmente ovvero entro 8 giornidalla richiesta del prestatore, deve essere comunicata la motivazione, che,una volta enunciata, è immodificabile. La giurisprudenza richiede anchel'immediatezza e la tempestività dell'adozione e, quindi, dellacomunicazione del licenziamento intimato per giusta causa; sembra logicoritenere che tale requisito, in ossequio ai princìpi generali in tema dirisoluzione per inadempimento, per i quali la gravità di quest'ultimo vavalutata alla stregua dell'interesse del creditore, debba valere anche inpresenza di un giustificato motivo soggettivo di licenziamento. L'oneredella prova della sussistenza del giustificato motivo o della giusta causagrava sul datore.

L'impugnazione del licenziamento

L'impugnazione del licenziamento, da parte del lavoratore, deve avvenire, apena di decadenza, entro 60 giorni dalla sua comunicazione o da quella deimotivi, se non contestuale. La previsione di un termine di decadenza inducea ritenere che il legislatore non si riferisca alle ipotesi in cui illicenziamento è espressamente dichiarato dalla legge nullo od inefficace.L'impugnazione può anche essere stragiudiziale, ossia effettuata per mezzodi qualsiasi atto scritto idoneo a rendere nota, anche attraversol'organizzazione sindacale, la volontà del lavoratore di impugnare illicenziamento. In tal caso, il prestatore può ricorrere al pretore dopoaver esperito la procedura di conciliazione prevista dagli accordisindacali o dai contratti collettivi ovvero quella disciplinata dall'art.7, L. 108/1990 e dagli artt. 410 - 412, c.p.c.. In proposito, va rilevatoche una delle principali innovazioni introdotte dalla L. 108/1990 consistenell'obbligo, imposto ad entrambe le parti del rapporto, di esperire iltentativo di conciliazione stragiudiziale se il licenziamento è intimato indifetto di giusta causa o giustificato motivo da datore soggetto alleregole della tutela obbligatoria; la comunicazione della richiesta diconciliazione equivale ad impugnazione del licenziamento ed impedisce ladecadenza. In caso di esito positivo, tanto della conciliazioneobbligatoria quanto di quella facoltativa, il verbale è reso esecutivo condecreto del pretore; in caso di esito negativo, le parti possono definirela controversia mediante arbitrato irrituale.

Il D.Lgs. 387/98, disciplinante la riforma del pubblico impiego, haintrodotto anche norme di modifica al processo del lavoro: attualmentel’art. 410 c.p.c. prevede il tentativo obbligatorio di conciliazione chedeve essere promosso, anche tramite associazione sindacale, da chi intendaimpugnare giudizialmente l’atto di licenziamento. L’esperimento deltentativo di conciliazione costituisce condizione di procedibilità delladomanda volta all’impugnazione giudiziale del licenziamento.

Le sanzioni contro il licenziamento illegittimo

Il licenziamento illegittimo perché non sorretto da giusta causa o dagiustificato motivo è annullabile; quello illegittimo per ragioni formali(cioè intimato senza il rispetto della forma scritta, senza l'indicazione

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dei motivi ovvero senza il rispetto delle formalità previste dall'art. 2,L. 604/1966) è inefficace; infine, quello "discriminatorio", quello dellelavoratrici madri e quello intimato per causa di matrimonio sono nulli. Aifini dell'individuazione delle conseguenze della declaratoria diillegittimità del licenziamento, occorre distinguere:

la c.d. tutela reale, consistente nella condanna del datore allareintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro ed al risarcimentodel danno da questi subito, pari ad un'indennità commisurata allaretribuzione globale di fatto e comunque non inferiore a 5 mensilità;il lavoratore ha, comunque, facoltà di risolvere il rapporto epretendere, in alternativa alla reintegrazione effettiva, lacorresponsione di un'indennità pari a 15 mensilità da sommarsiall'indennità risarcitoria;

la c.d. tutela obbligatoria, che consiste nella condanna del datorealla riassunzione del lavoratore entro 3 giorni ovvero al pagamentodi una indennità determinata dal giudice tra un minimo ed un massimolegislativamente previsti; la scelta tra le due soluzioni spetta allostesso datore.

Ora per stabilire se la tutela accordata al prestatore sia quella realeoppure quella obbligatoria occorre far riferimento alle dimensionidell'impresa, sotto il profilo del numero dei dipendenti, tenendo presenteche nel computo vanno compresi anche i lavoratori a tempo indeterminatoparziale in proporzione all'orario effettivamente svolto ed i lavoratoriassunti con contratto di formazione e lavoro, mentre non vanno computati ilconiuge ed i parenti entro il 2deg. grado del datore. Dunque, l'art. 18,St. lav., modificato dall'art. 1, L. 108/1990, che disciplina la c.d.tutela reale, stabilisce che essa si applica nei confronti dei datori,imprenditori e non imprenditori, che occupano più di 15 dipendenti inciascuna unità produttiva o ufficio in cui svolge la propria attività illavoratore licenziato o più di 5 se si tratta di impresa agricola o più di15 (o 5 se impresa agricola) nello stesso comune sebbene in più unitàproduttive od uffici, ovvero nei confronti dei datori che abbianocomplessivamente alle proprie dipendenze più di 60 prestatori di lavoro.Come osserva GHERA, l'innovazione più importante introdotta dalla L.108/1990 è costituita dal riferimento alla complessiva dimensioneorganizzativa del datore: pertanto, risultano oggi garantiti dalla tutelareale i lavoratori dipendenti da datori che comunque abbiano alle propriedipendenze più di 60 prestatori, indipendentemente dal frazionamentoorganizzativo in unità produttive. La tutela obbligatoria, invece, spettaai sensi dell'art. 8, L. 604/1966, come modificato dall'art. 2, L.108/1990, nei confronti dei datori che occupano fino a 15 dipendenti perogni unità produttiva (fino a 5 se impresa agricola) o fino a 60 dipendentiovunque essi si trovino. In conclusione, un chiarimento merita il concettodi "unità produttiva" che la giurisprudenza, anche anteriore alla L.108/1990, definisce come quella porzione della più vasta organizzazioneimprenditoriale dotata di autonomia in senso tecnico-produttivo. Dallainterpretazione giurisprudenziale non si discosta la dottrina dominante,che valorizza l'aspetto funzionale dell'unità produttiva caratterizzata dal

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fatto di realizzare un risultato autonomo, che tuttavia si inserisce inquelli perseguiti dalla più ampia organizzazione anche non imprenditoriale(DE LUCA TAMAJO, D'ANTONA, PISANI).

Il recesso ad nutum

La disciplina limitativa del potere di licenziamento, finora esaminata, nonsi applica nelle ipotesi in cui è ammesso il recesso ad nutum, cioè lapossibilità per il datore di licenziare senza alcun vincolo digiustificazione. Essa ricorre solo in alcune ipotesi espressamentepreviste, e cioè nei confronti:

dei dirigenti, salvo che i contratti collettivi od individualicontengano clausole limitative al riguardo;

dei lavoratori a tempo determinato; dei lavoratori domestici; degli atleti professionisti; dei lavoratori ultrasessantenni, in possesso dei requisiti

pensionistici; dei lavoratori in prova (ma sul punto cfr. cap. III, par. VI.1); dei lavoratori licenziati per riduzione di personale; dei lavoratori dipendenti da organizzazioni di tendenza; del coniuge e dei parenti entro il 2deg. grado del datore.

Divieto di licenziamento

Sussiste, invece, un vero e proprio divieto di licenziamento nei casi di:

sospensione del rapporto di lavoro dipendente da fatto del lavoratore(malattia, infortunio, gravidanza e puerperio, servizio militare);

matrimonio della lavoratrice;

e nei confronti dei:

dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali e dei candidati emembri della commissione interna, per un anno dalla cessazionedell'incarico;

lavoratori che partecipano ad azioni di sciopero; lavoratori chiamati a svolgere funzioni pubbliche.

Il licenziamento discriminatorio

L'art. 3, L. 108/1990, sancisce esplicitamente la nullità del licenziamentointimato per ragioni discriminatorie (politiche, sindacali, religiose,razziali, di lingua e di sesso), a prescindere dall'applicabilità o menodella normativa limitativa dei licenziamenti e, quindi, anche nelle aree incui è ammesso il recesso "ad nutum". Il licenziamento discriminatorio dà inogni caso diritto, al lavoratore che ne sia vittima alla tutela reale,quali che siano le dimensioni dell'impresa.

Il licenziamento disciplinare

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Il licenziamento disciplinare, intimato come misura sanzionatoria, ha datoluogo in passato a contrasti giurisprudenziali sia in ordine alla sualegittimità sia in ordine alla sua riconducibilità nell'area diapplicazione dell'art. 7, St. lav.. I dubbi interpretativi sono sortiperché l'art. 7, co. 4, St. lav., statuisce che "fermo restando quanto dispostodalla L. 15 luglio 1966, n. 604, non possono essere disposte sanzioni disciplinari che comportinomutamenti definitivi del rapporto di lavoro". Secondo un orientamentogiurisprudenziale ormai superato (Cass. S.U., 20 marzo 1981, n. 1781), allicenziamento doveva riconoscersi natura disciplinare quando il contrattocollettivo lo contemplava tra le sanzioni disciplinari e rinviavaesplicitamente alla procedura di contestazione di cui all'art. 7, St. lav..Oggi, in seguito alla sentenza n. 204/82 della Corte costituzionale, icommi 1, 2 e 3 dell'art. 7, St. lav., si applicano anche "alla sanzionedisciplinare del licenziamento, per la quale la normativa si limiti ad includere il licenziamentomedesimo tra le sanzioni disciplinari e non richiami espressamente il regime per questo previstodall'art. 7, L. 300/1970". Anche il licenziamento disciplinare è dunque sottopostoai vincoli di carattere procedurale contemplati dall'art. 7, St. lav.:così, il datore ha l'obbligo di portare il codice disciplinare a conoscenzadel lavoratore, di contestare preventivamente l'addebito a quest'ultimo edi sentirlo a sua difesa. La mancata osservanza della proceduradisciplinare determina la nullità del licenziamento, con conseguenteapplicazione dell'art. 18, St. lav..

I licenziamenti collettivi

La L. 23 luglio 1991, n. 223, recante "Norme in materia di cassa integrazione,mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamentoal lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro", disciplina anche ilicenziamenti collettivi per riduzione di personale. Essa dispone chequando un'impresa che occupa più di 15 dipendenti decide di effettuarealmeno 5 licenziamenti nell'arco di 120 giorni, in conseguenza di unariduzione o trasformazione dell'attività o del lavoro, nell'ambito diciascuna unità produttiva o di più unità produttive presenti sul territoriodella stessa provincia, è tenuta a darne comunicazione preventiva periscritto alle rappresentanze sindacali aziendali nonché alle rispettiveassociazioni di categoria. In mancanza di tali rappresentanze, lacomunicazione deve essere effettuata alle associazioni di categoriaaderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul pianonazionale. In ogni caso, la comunicazione deve contenere l'indicazione:

dei motivi che determinano la situazione di eccedenza; dei motivi tecnici, organizzativi, produttivi, per i quali si ritiene

di non poter adottare misure idonee a porre rimedio alla predettasituazione;

del numero, della collocazione aziendale e dei profili professionalidel personale eccedente.

Entro 7 giorni dalla data di ricevimento della comunicazione, a richiestadelle rappresentanze sindacali aziendali e delle rispettive associazioni,si procede ad un esame congiunto tra le parti, che ha il fine di esaminarele cause che determinano l'eccedenza del personale e di evitare i

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licenziamenti. Qualora la consultazione abbia esito negativo, il direttoredell'Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione convoca leparti al fine di un ulteriore esame della situazione, anche formulandoproposte per la realizzazione di un accordo. Esaurita questa fase senza cheun accordo sia raggiunto, l'impresa ha facoltà di licenziare i lavoratorieccedenti, individuati secondo i criteri di scelta indicati dai contratticollettivi o, in difetto, nel rispetto dei seguenti criteri, in concorsotra loro: carichi di famiglia; anzianità; esigenze tecnico-produttive edorganizzative. Il licenziamento collettivo per riduzione di personale è:

annullabile, se non vengono rispettati i criteri di cui si è appenadetto;

inefficace, se la sua intimazione o le comunicazioni sindacali nonsiano effettuate per iscritto ovvero se non venga rispettata laprocedura di cui alla L. 223/1991.

L'impugnazione deve avvenire nel termine di 60 giorni dalla comunicazionedel licenziamento, con qualsiasi atto scritto idoneo a rendere nota lavolontà del lavoratore di impugnazione. Se l'illegittimità dellicenziamento è riconosciuta dal giudice, si applica l'art. 18, St. lav..

La mobilità

La L. 223/1991 prevede anche che i prestatori di lavoro, in caso dilicenziamenti collettivi per riduzione o trasformazione di attività olavoro, siano posti in mobilità, mediante l'iscrizione in una lista dicollocamento preferenziale, che dovrebbe consentire di accedere con piùfacilità a nuove occasioni di lavoro; ad essi spetta anche la c.d.indennità di mobilità, ossia un trattamento economico variabile in baseall'età del lavoratore. La mobilità è prevista anche per l'ipotesi in cuil'impresa ammessa al trattamento straordinario d'integrazione guadagni nonsia in grado di garantire il reimpiego a tutti i lavoratori sospesi né diricorrere a misure alternative.

Il preavviso

Nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato, il lavoratore che si dimetteè tenuto a dare al datore preavviso del recesso stesso nel termine e neimodi stabiliti dai contratti collettivi, dagli usi o secondo equità; lostesso deve fare il datore che intende avvalersi del potere di licenziaread nutum o per giustificato motivo (art. 2118, co. 1, c.c.). L'obbligo delpreavviso è volto ad evitare che l'interruzione ex abrupto del rapportopossa comportare conseguenze dannose per la controparte. In mancanza dipreavviso, il recedente è tenuto a corrispondere all'altra parteun'indennità (la c.d. indennità di mancato preavviso) equivalenteall'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo dipreavviso. Tale indennità ha natura risarcitoria, sicché essa è dovutaanche in caso di dimissioni per giusta causa, essendo l'interruzioneimmediata del rapporto - la giusta causa non ne consente la prosecuzioneneanche provvisoria - conseguenza di un fatto dipendente dal datore

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RAPPORTI DI LAVORO SPECIALI

Rapporti di lavoro speciali sono tanto i rapporti la cui fattispecie sidiscosta notevolmente da quella dell'art. 2094 c.c., quanto quelli in cuiassume particolare rilevanza la tutela dell'interesse pubblico.Quest'ultima categoria ricomprende rapporti di lavoro - quelli di lavoronautico, marittimo ed aereo e quelli nel settore del trasporto ferroviarioed autoferrotranviario - che non pongono particolari problemi diqualificazione perché la loro natura subordinata è ben definita.

Rapporti particolari inerenti l’esercizio dell’impresa

Alcuni rapporti di lavoro subordinato presentano caratteristicheparticolari che li differenziano dal modello tipico tradizionale delrapporto subordinato a tempo pieno e indeterminato, e, pertanto, sonodefiniti rapporti di lavoro speciali.

L’apprendistato o contratto di tirocinio

Il datore di lavoro ha l’obbligo di impartire all’apprendistal’insegnamento necessario per il conseguimento della qualificazione. Ilavoratori devono essere iscritti in appositi elenchi presso gli uffici dellavoro territorialmente competenti e l’instaurazione del rapporto èsubordinata all’autorizzazione del servizio ispettivo della Direzioneprovinciale del lavoro. L’età richiesta va dai 16 ai 24 anni. La durata delrapporto non può essere inferiore a 18 mesi e superiore a 4 anni.

Il lavoro a tempo parziale (part-time)

Consiste nello svolgimento di una attività lavorativa ad orario inferiorerispetto a quello ordinario. I lavoratori che siano disponibili a prestarelavoro part-time debbono essere iscritti in una apposita lista dicollocamento. Il contratto deve stipularsi per iscritto.

Il lavoro ripartito (job-sharing)

Trattasi di un contratto di lavoro subordinato con il quale due o piùlavoratori si assumono in solido l’adempimento di un’unica obbligazionelavorativa. Essendo i due lavoratori tenuti ad eseguire un’unicaprestazione lavorativa ripartita tra essi, ciascuno la eseguirà

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parzialmente, sia con riferimento all’oggetto di essa sia con riferimentoal tempo di lavoro, secondo le modalità convenute.

Il contratto di formazione e lavoro

Può essere definito come quel contratto con cui si istaura un rapporto dilavoro subordinato a termine, con lavoratori di età giovane (di regola trai 16 e i 32 anni), svolto secondo tempi e modalità previste da appositiprogetti predisposti dal datore di lavoro o da associazioni di categoria,con lo scopo di avviamento al lavoro dei giovani e della loro formazioneprofessionale.

Dirigenti d’azienda

Il lavoro dirigenziale presenta caratteri di specialità rispettoall’ordinario rapporto di lavoro, soprattutto per:

la particolare intensità dei poteri conferiti al dirigente dal datoredi lavoro;

l’esclusione dei dirigenti dal campo di applicazione di numerosenorme in materia di legislazione sociale.

Il lavoro societario

Si discute se rientrino nei rapporti di lavoro (anche se speciali) quelliintercorrenti tra società, soci ed amministratori. In particolare:

socio lavoratore: conferisce alla società lavoro personale; lagiurisprudenza ha però distinto tra il lavoro del socio (autonomo) equello del socio che svolge per la società un lavoro di tipodeterminato;

esponenti degli organi sociali: se non sono soci, sono legati allasocietà da un rapporto di immedesimazione (si esclude quindi lasubordinazione: es. l’amministratore unico). Può aversi lavorosubordinato per organi quali l’amministratore delegato.

Il lavoro familiare e l’impresa familiare

Datore e prestatore di lavoro sono parenti o affini e sono conviventi. Siha quindi presunzione di gratuità, che può essere vinta dalla provacontraria. Nell’impresa familiare il lavoratore ha diritto:

al mantenimento; alla partecipazione agli utili; ai beni e agli incrementi dell’impresa.

Non è comunque esclusa la possibilità di lavoro subordinato.

Il lavoro a domicilio

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L'art. 1 della L. 18 dicembre 1973, n. 877, modificato dalla L. 16 dicembre1980, n. 858, definisce lavoratore a domicilio "chiunque, con vincolo disubordinazione, esegue nel proprio domicilio o in locale di cui abbia disponibilità, anche con l'aiutoaccessorio di membri della sua famiglia conviventi a carico, ma con esclusione di manodoperasalariata e di apprendisti, lavoro retribuito per conto di uno o più imprenditori, utilizzando materieprime o accessorie e attrezzature proprie o dello stesso imprenditore, anche se fornite per il tramitedi terzi". Prima dell'emanazione della L. 858/1980, si discuteva, in dottrinaed in giurisprudenza, della natura autonoma o subordinata del rapporto dilavoro a domicilio. Oggi il problema è superato nel senso che deve farsiricorso ad una valutazione caso per caso, essendo prevista sia l'ipotesidi:

lavoro a domicilio autonomo, quando l'oggetto della prestazione è ilrisultato dell'attività che il lavoratore fornisce, avvalendosi diun'organizzazione propria ed assumendosi in proprio il rischio dellastessa;

sia quella di lavoro a domicilio subordinato, quando l'oggetto dellaprestazione è costituito dalle energie lavorative che il dipendentemette a disposizione del datore ed esplica sotto la vigilanza e ledirettive di questi.

Con riferimento alla disciplina del rapporto, si segnalano:

l'istituzione di un apposito registro dei committenti, nel qualedevono essere iscritti i datori che intendono assumere lavoratori adomicilio;

la previsione di un libretto personale di controllo, di cui iprestatori devono essere muniti;

l'obbligo di retribuire il lavoratore sulla base delle tariffe dicottimo pieno, risultanti dai contratti collettivi della categoria;

l'applicazione delle norme vigenti in materia di tutela previdenzialee di assegni familiari, con l'esclusione dell'integrazione salariale.

Il telelavoro

È il lavoro svolto a distanza ovvero fuori dell’azienda o dagli altriluoghi in cui tradizionalmente si presta l’attività lavorativa. Lanormativa sul telelavoro è, ad oggi, ancora contenuta per lo più in accordiquadro tra le parti sindacali e datoriali. Solo nel pubblico impiego si èavvenuta un’apposita normativa.

Rapporti inerenti l’esercizio di particolari attività

Il lavoro marittimo ed aereo

I principi generali della loro regolamentazione sono contenuti nel Codicedella navigazione, e molte norme sono di carattere inderogabile, data laconnessione con l’interesse pubblico. Il contratto è disciplinato dallalegge nazionale del veicolo.

Il lavoro in agricoltura82

Possiamo distinguere fra:

salariati fissi: minimo di durata due anni, applicabile anche ai contrattia tempo determinato;

braccianti agricoli: assunti a giornata, per lavori determinati. Sonoiscritti in appositi elenchi comunali, dove sono suddivisi inpermanenti, abituali, eccezionali e occasionali.

Il lavoro sportivo

La L. 23 marzo 1981, n. 91, disciplina il lavoro sportivo, qualificando,all'art. 2, come sportivi professionisti "gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi ed i preparatori atletici, che esercitano l'attività sportiva a titolo oneroso, con carattere dicontinuità nell'ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazionedalle federazioni sportive nazionali secondo le norme emanate dalle federazioni stesse, conl'osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell'attività dilettantistica da quellaprofessionistica". L'attività svolta dall'atleta a titolo oneroso e concarattere di continuità costituisce l'oggetto di un rapporto di lavorodipendente. Lo sportivo professionista assume, invece, la veste dilavoratore autonomo quando ricorre anche uno solo dei seguenti requisiti:

l'attività è svolta per una manifestazione sportiva singola o per piùmanifestazioni collegate tra di loro in un breve periodo di tempo;

non è previsto alcun obbligo di frequenza a sedute di preparazione odi allenamento;

la prestazione non supera le 8 ore settimanali o 5 giorni in un meseo 30 giorni in un anno.

Ora, se è vero che di regola il lavoro sportivo si configura come lavorosubordinato, è anche vero che la sua disciplina si differenzia notevolmenteda quella di quest'ultimo. Le principali particolarità riguardano:

la costituzione del rapporto, che può avvenire senza il tramite degliuffici di collocamento, con assunzione diretta;

il contratto individuale di lavoro, che: deve essere stipulato periscritto ad substantiam; deve essere depositato presso la federazionesportiva nazionale per l'approvazione; può contenere una clausolacompromissoria, con conseguente definizione arbitrale, ancheobbligatoria, delle controversie; non può avere durata superiore a 5anni (con esclusione dell'applicazione della L. 230/1962 sulcontratto a termine);

il patto di non concorrenza per il periodo successivo allarisoluzione del contratto, che è vietato;

la cessione del contratto, che è ammessa sempreché vi sia il consensodell'atleta;

la disciplina limitativa dei licenziamenti, che non si applica allavoro sportivo.

Il lavoro artistico

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Presenta delle affinità con il lavoro sportivo il lavoro artistico, checonsiste nell'attività di spettacolo e nelle prove svolte dal personale artistico e tecnico - orchestrali,corali, ballerini, artisti e tecnici della produzione televisiva, cinematografica, radiofonica, teatrale, elavoratori ad essi equiparati. Come afferma MAZZIOTTI, "la valutazione comeautonomo o dipendente del lavoro artistico svolto con una certa continuitàdeve essere operata tenendo conto della particolarità delle prestazioniartistiche e dell'alto grado della loro autonomia". Il lavoro artistico èsoggetto ad uno speciale collocamento.

Il lavoro giornalistico

Il lavoro giornalistico, di norma, è un rapporto di lavoro dipendente chesi instaura tra il giornalistica professionista, da un lato, e gli editoridi quotidiani o riviste o agenzie di informazione per la stampa,dall'altro. Da tale definizione si evince che l'attività giornalistica puòessere svolta solo dagli appartenenti all'ordine professionale: giornalistie pubblicisti.

La particolarità del rapporto - derivante sia dalla natura intellettualedella prestazione lavorativa sia dalla natura dell'attività imprenditoriale(che è quella di un'impresa di tendenza) - consiste in un affievolimentodel vincolo di subordinazione. Tale affievolimento comporta che igiornalisti, in caso di cambiamento dell'indirizzo politico del giornale,possono dimettersi senza perdere né i benefici economici né la c.d.indennità fissa, cioè quella particolare indennità cui hanno dirittonell'ipotesi di licenziamento dovuto a colpa dell'editore.

Rapporti non inerenti l’esercizio dell’impresa

Il lavoro domestico

Il rapporto di lavoro domestico può essere definito come quel rapportoavente ad oggetto la prestazione dei servizi necessari al governo dellacasa ed ai bisogni personali e familiari del datore di lavoro da parte diterzi estranei, che assumono la posizione tipica di lavoratori subordinati.E ciò sia che si tratti di personale con qualifica specifica (istitutori,maggiordomi, bambinaie diplomate, ecc.), sia che si tratti di personaleadibito a mansioni generiche (cameriere, cuochi, bambinaie comuni, ecc.).Al fine dello svolgimento della prestazione di lavoro domestico, non sempreè necessaria la coabitazione; tuttavia, essendo il lavoro prestato nellastessa sfera in cui si svolge la vita privata del datore, esso implicasempre l'elemento della convivenza, inteso in senso lato. Ciò spiega perchénon è considerato lavoro domestico:

quello svolto a favore, non della comunità familiare, madell'attività professionale di uno dei suoi membri;

quello svolto fuori del luogo in cui si svolge la vita privata deldatore: ad es., in alberghi, pensioni, ecc. (così, MAZZIOTTI).

La disciplina del lavoro domestico è contenuta:

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negli artt. 2240-2246, c.c.; nella L. 27 dicembre 1953, n. 940, per la tredicesima mensilità; nella L. 2 aprile 1958, n. 339; nel D.P.R. 31 dicembre 1971, n. 1403, che estende anche ai lavoratori

domestici l'assicurazione infortuni, contro la disoccupazione e peril carico di famiglia (assegni familiari);

nei contratti collettivi, che a seguito della dichiarazione diincostituzionalità del divieto contenuto nell'art. 2068, co. II, C.C.(Corte Cost. 9 aprile 1969, n. 68), possono essere stipulati anche inmateria di lavoro domestico.

In particolare, la L. 339/1958 dispone che:

l'assunzione del personale domestico avviene direttamente, conl'obbligo per il datore di denunciare, entro 30 giorni dal compimentodel periodo di prova, l'avvenuta assunzione al competente ufficio dicollocamento;

il periodo di prova, regolarmente retribuito, non può esseresuperiore ad un mese per la categoria impiegatizia e ad 8 giorniconsecutivi per la categoria operaia;

il lavoratore ha diritto ad un riposo settimanale di una giornataintera, di regola coincidente con la domenica (o di due mezzegiornate, una delle quali coincidente con la domenica), ad unconveniente riposo durante il giorno ed a non meno di 8 oreconsecutive di riposo notturno.

Ai lavoratori domestici sono poi stati estesi i diritti relativi:

alle ferie annuali, che in ogni caso non possono essere inferiori a15 giorni;

al congedo matrimoniale; alla tredicesima mensilità; al preavviso; al trattamento di fine rapporto.

La L. 339/1958 istituisce anche una commissione centrale per la disciplinadel lavoro domestico con compiti consultivi e commissioni provinciali concompiti di rilevazione e regolamentari.

Infine, va detto che deve essere considerato rapporto di lavoro domesticosubordinato anche il rapporto c.d. di "ospitalità alla pari", se presenta icaratteri della collaborazione domestica.

Il lavoro alla pari

I datori di lavoro sono tenuti a corrispondere la remunerazione; se siobbligano al vitto e all’alloggio, vi sono particolari precisazioni (es.nutrizione sufficiente). Per gli stranieri si applica l’accordo europeo diStrasburgo del 24.11.69, ratificato dalla L. 304/73.

Il rapporto di portierato85

Si ha rapporto di portierato quando il lavoratore (portiere) è adibito allacustodia di uno stabile condominiale, abitato cioè da più proprietari odaffittuari. Tale rapporto è disciplinato da alcune leggi speciali e dallacontrattazione collettiva. Presenta le seguenti particolarità:

si costituisce senza il tramite degli uffici di collocamento; il prestatore deve essere munito di apposita licenza rilasciata

dall'autorità comunale, in difetto della quale il rapporto è tuttaviaqualificato egualmente come di portierato se tali sono state lemansioni di fatto svolte;

il prestatore deve essere iscritto nel registro dei portieri; è prevista la possibilità per il portiere di farsi sostituire da un

familiare per periodi brevi nell'arco della giornata: come si vede,si tratta di una particolarità rispetto agli altri rapporti di lavorosubordinato che si caratterizza per l'infungibilità dellaprestazione.

Al portiere, come corrispettivo del lavoro svolto, deve essere garantito:

il salario; la tredicesima mensilità; l'alloggio gratuito, con luce, acqua e riscaldamento.

Il rapporto di pubblico impiego

Gli elementi caratteristici del rapporto di pubblico impiego

Il rapporto di pubblico impiego è un rapporto di lavoro dipendente che sidistingue dal rapporto di impiego privato in ragione di alcuni caratteripeculiari che la dottrina dominante (VIRGA) individua:

nella natura pubblica dell'ente datore di lavoro; nella continuità; nella professionalità nell'inserimento del lavoratore nell'organizzazione dell'ente; nella predeterminazione della retribuzione.

Ora, sembra lecito ritenere che questi criteri siano idonei a differenziareil rapporto di pubblico impiego dal rapporto di lavoro privato anche aseguito dell'emanazione del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 - successivamentemodificato ed integrato dai decreti legislativi n. 470 e n. 546 del 1993 -con il quale sono state realizzate la c.d. privatizzazione del pubblicoimpiego e la riforma della dirigenza pubblica, che si esaminano qui diseguito nelle loro linee fondamentali.

La c.d. privatizzazione del pubblico impiego: l'applicazione dellanormativa di diritto comune e la contrattualizzazione

L'art. 2, co. II, D.Lgs. 29/1993, nel testo sostituito dall'art. 2, D.Lgs.546/1993, dispone che "I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubblichesono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II del libro V del Codice Civile e dalle leggi sui

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rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, salvi i limiti stabiliti dal presente decreto per ilperseguimento degli interessi generali cui l'organizzazione e l'azione amministrativa sonoindirizzate". Con tale disposizione viene realizzata una ridefinizione delsistema delle fonti della disciplina del rapporto di pubblico impiego.Ridefinizione che può sintetizzarsi nella sottrazione di tale rapporto allospecifico corpus normativo vigente con la correlativa graduale suariconduzione sotto la disciplina del diritto comune e con la suacontrattualizzazione. Si fa eccezione, tuttavia, per alcune categorie cherestano escluse dalla privatizzazione: magistrati ordinari edamministrativi, avvocati e procuratori dello Stato, personale militare edelle forze di polizia, dirigenti generali ed equiparati, personale dellecarriere diplomatica e prefettizia. L'art. 2, D.Lgs. 29/1993, va posto inrelazione con l'art. 55, co. II, D.Lgs. 29/1993, ai sensi del quale "La L.20 maggio 1970, n. 300, si applica alle pubbliche amministrazioni, aprescindere dal numero dei dipendenti". Questa disposizione pone fine alleantiche dispute, sorte soprattutto in sede giudiziaria, circa i limiti diapplicabilità dello Statuto dei lavoratori al settore del pubblico impiego;dispute che, difatti, vengono oggi risolte nel senso dell'estensione delloStatuto alle pubbliche amministrazioni, senza limitazioni né sotto ilprofilo dei soggetti destinatari, né sotto quello delle modalità diapplicazione. Unica eccezione è quella relativa all'attribuzione dellemansioni proprie della qualifica superiore di cui si tratterà al paragrafoIV.

L'assoggettamento del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici alladisciplina di cui si è detto comporta necessariamente lacontrattualizzazione dello stesso (art. 2, co. III, D.Lgs. 29/1993).Infatti, con la riforma del 1993, si attribuisce il ruolo di fonte direttae primaria di regolamentazione del rapporto ai contratti collettivi,eliminando la necessità della loro recezione in atti a carattere normativoe realizzando, al tempo stesso, una notevole semplificazione delprocedimento per la loro stipula.

Si stabilisce, infatti, che la contrattazione collettiva è nazionale edecentrata e si svolge su tutte le materie relative al rapporto di lavoro,eccezion fatta per quelle riservate alla legge ed agli atti normativi edamministrativi, previste dall'art. 2, co. I, lett. c), L. 421/1992. IlD.Lgs. 29/1993 prevede quattro livelli di contrattazione collettiva, percui si hanno:

contratti collettivi quadro; contratti collettivi nazionali di comparto; contratti collettivi nazionali delle aree separate; contratti collettivi decentrati.

In sede di contrattazione collettiva, la P.A. è rappresentata dall'Agenziaper la rappresentanza negoziale, organismo tecnico dotato di personalitàgiuridica e sottoposto alla vigilanza della Presidenza del Consiglio deiministri - Dipartimento della funzione pubblica, che si sostituisce allepreesistenti delegazioni pubbliche differenziate per i singoli comparti efacilmente permeabili alle influenze politico-clientelari.

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L'accesso al pubblico impiego

Differenze notevoli fra la disciplina del pubblico impiego e quella dellavoro privato permangono, anche a seguito della c.d. privatizzazione, inmateria di assunzione, che nel settore pubblico avviene, di regola,mediante concorso (art. 97, co. III, Cost.). Più precisamente, l'art. 36,D.Lgs. 29/1993, nel testo sostituito dall'art. 17, D.Lgs. 546/1993, disponeche l'assunzione avviene:

per concorso pubblico, che può essere per esami, per titoli, pertitoli ed esami, per corso-concorso o per selezione, e deve svolgersicon modalità che ne garantiscano l'imparzialità, la tempestività,l'economicità e la celerità di espletamento, ricorrendo, ovenecessario, all'ausilio di sistemi automatizzati, diretti anche arealizzare forme di preselezione;

mediante avviamento degli iscritti nelle liste di collocamentopresenti negli uffici circoscrizionali del lavoro, per le qualificheed i profili per i quali è richiesto il solo requisito della scuoladell'obbligo (si tratta, in pratica, dei posti dalla prima allaquarta qualifica funzionale), fatti salvi gli ulteriori requisitiprescritti per specifiche professionalità;

mediante chiamata numerica degli iscritti nelle apposite liste dicollocamento formate dagli appartenenti alle categorie protette dicui al titolo I della L. 2 aprile 1968, n. 482.

Le mansioni del dipendente pubblico

L'art. 56, co. I, D.Lgs. 29/1993, dopo aver ribadito il principio generaleper cui il pubblico dipendente deve essere adibito alle mansioni dellaqualifica di appartenenza, introduce una novità rispetto alla normativaprevigente precisando che nella suddetta qualifica "rientra comunque losvolgimento di compiti complementari e strumentali al perseguimento degli obiettivi di lavoro".Ancora più innovative sono, però, le disposizioni contenute nel co. IIdell'art. 56 e quelle dettate dall'art. 57, D.Lgs. 29/1993, così comesostituito dall'art. 25, D.Lgs. 546/1993; disposizioni che rappresentanouna deroga al principio della generale applicabilità dello Statuto deilavoratori alle P.A. Le ipotesi previste da tali articoli sono tre, e cioè:

quella dell'adibizione occasionale, attuata ove possibile conl'osservanza di criteri di rotazione, a compiti o mansioniimmediatamente inferiori, che non comporta alcuna variazione deltrattamento economico (si noti che nel sistema privatisticol'adibizione a mansioni inferiori non è consentita);

quella dell'attribuzione di compiti specifici non prevalenti dellaqualifica superiore, che non viene considerata esercizio di mansionisuperiori e non dà, quindi, diritto al lavoratore ad una retribuzionemaggiore;

quella dell'assegnazione temporanea a mansioni superiori, che dàdiritto al trattamento economico corrispondente all'attività svoltaper il periodo di espletamento delle mansioni superiori, ma che nonattribuisce il diritto all'assegnazione definitiva delle stesse (nel

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settore privato, invece, l'assegnazione a mansioni superiori, inpresenza di alcune circostanze, previste dall'art. 13, st. lav.,diventa definitiva). L'assegnazione a mansioni superiori può esseredisposta solo ove ricorrano le circostanze contemplate dall'art. 57,D.Lgs. 29/1993.

La riforma della dirigenza pubblica

Con il D.Lgs. 29/1993, e successive modificazioni ed integrazioni, vienerealizzata, oltre che la privatizzazione del pubblico impiego, anche lariforma della dirigenza pubblica. Punti qualificanti di essa sono iseguenti:

la creazione di un'effettiva élite di managers, attuata con lariduzione del numero delle qualifiche dirigenziali da tre ("dirigentegenerale", "dirigente superiore", primo dirigente") a due ("dirigentegenerale" e "dirigente");

l'affermazione del fondamentale principio della separazione trapolitica ed amministrazione, in virtù del quale agli organi didirezione politica spetta il compito di definire gli obiettivi, iprogrammi e gli indirizzi per l'attività dell'amministrazione, mentrela gestione amministrativa è affidata ai dirigenti. A questi ultimi èrimessa, dunque, l'adozione di atti che impegnano l'amministrazioneverso l'esterno e l'esercizio di autonomi poteri di gestione tecnicae finanziaria con l'unico limite degli stanziamenti di bilancio;

l'imputazione ai dirigenti di una responsabilità maggiore che nelpassato, afferente ai risultati dell'azione amministrativa e,specificamente, all'attuazione o meno dei programmi di matricepolitica;

la modifica dei criteri di reclutamento e di formazione dirigenziale,attuata per mezzo dell'assegnazione di un ruolo fondamentale allaScuola superiore della pubblica amministrazione.

Lineamenti della nuova disciplina della giurisdizione

Il naturale corollario della sottoposizione dei pubblici dipendenti alladisciplina civilistica del rapporto di lavoro subordinato è la devoluzioneal giudice ordinario individuato nella persona del "Pretore del lavoro" - enon più dunque al giudice amministrativo - di tutte le controversieafferenti al pubblico impiego (art. 68, D.Lgs. 29/1993, nel testosostituito dall'art. 33, D.Lgs. 546/1993). Si fa eccezione solo per quelleconcernenti le materie rimaste assoggettate alla normazione unilateralepubblicistica di cui ai numeri da 1 a 7 dell'art. 2, co. I, lett. c), L.421/1992 e per quelle riguardanti le categorie di personale di cui all'art.2, co. IV e V, D.Lgs. 29/1993, nel testo sostituito dall'art. 2, D.Lgs.546/1993.In considerazione dei rilevanti problemi organizzativi a cui la nuovanormativa dà luogo, il legislatore delegato, opportunamente, ne differiscel'applicazione ad un momento successivo all'entrata in vigore del D.Lgs.29/1993, e cioè a partire dal febbraio 1996.Infine, l'art. 69, D.Lgs. 29/1993, come sostituito dall'art. 34, D.Lgs.

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546/1993, nell'intento di realizzare una deflazione del contenzioso inmateria di pubblico impiego, obbliga, a pena di improcedibilità delladomanda, al tentativo di conciliazione stragiudiziale delle controversieindividuali devolute al giudice ordinario

TUTELA DEI DIRITTI DEL PRESTATORE DI LAVORO

Parte del diritto del lavoro tende a tutelare la libertà e la personalitàdel lavoratore per la sua particolare condizione di inferiorità economicanei confronti del datore di lavoro; tale tutela ha carattere inderogabile,in quanto basata su norme imperative e, spesso, coercitive. La sua concretaattuazione si realizza sia attraverso l’attività diretta dello Stato (es.collocamento della manodopera), sia attraverso una attività di vigilanzaaffidata in genere ad organi della P.A., sia infine attraverso un’attivitàrepressiva e di tutela giuridica.

L’attività di vigilanza

I poteri e l’esercizio dell’attività di vigilanza sull’applicazione dellenorme in materia di lavoro sono affidati anzitutto alle Direzioni regionalie provinciali del lavoro. Le prime svolgono funzioni di indirizzo,coordinamento e vigilanza sulle attività delle Direzioni provinciali;quest’ultime svolgono attività di vigilanza tecnica e ordinariasull’osservanza della disciplina di legge.

Gli enti ausiliari dello Stato nel campo previdenziale (fra cui INPS eINAIL) sono anch’essi investiti di un potere di vigilanza in materia dinorme di legislazione sociale. Tuttavia il loro potere è limitato allavigilanza sull’assolvimento degli obblighi contributivi e l’erogazionedelle prestazioni previdenziali.Altri organi di vigilanza sono:

il Corpo nazionale delle miniere;

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gli ispettorati della motorizzazione civile; le Aziende Sanitarie Locali; l’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza di lavoro; gli Uffici di sanità aerea e marittima; le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano; il Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco.

Infine, alle associazioni sindacali la legge riconosce spesso il diritto diassistere il lavoratore per la tutela dei diritti derivategli dal rapportodi lavoro; gli istituti di patronato e di assistenza sociale assolvonoun’importante funzione per garantire il conseguimento, in viaamministrativa, delle prestazioni previdenziali di fine rapporto.

Garanzie e disposizione dei diritti del prestatore

Varie norme speciali, di carattere imperativo, prevedono molteplicigaranzie per la tutela dei diritti del prestatore di lavoro. Ciò nellaconsiderazione che il lavoratore, nella sua posizione di contraente piùdebole, possa essere indotto a non esercitare propriamente i propri dirittinel timore di ritorsioni da parte del datore.

Privilegi e garanzie

I crediti del lavoratore per retribuzioni, per indennità legate allacessazione del rapporto di lavoro e per risarcimento danni in conseguenzadi un licenziamento illegittimo sono assistiti in via principale dalprivilegio generale sui beni mobili del datore; in via sussidiaria da privilegio, rispettoai creditori chirografari, sul prezzo degli immobili. Solo in particolari rapporti valgonogaranzie speciali.

Relativa indisponibilità dei diritti del prestatore

La retribuzione, per espressa previsione costituzionale, è destinata asoddisfare le esigenze vitali del lavoratore e della sua famiglia. Per talemotivo il legislatore ha posto alcuni limiti alla disponibilità dei dirittidel prestatore. In particolare:

gli assegni familiari sono in sequestrabili, impignorabili eincedibili;

sono pignorabili i salari, gli stipendi e le indennità soltanto percrediti alimentari; nella misura di 1/5 per altri crediti;

i fondi speciali di previdenza e assistenza sono vincolati; i crediti previdenziali e assistenziali sono impignorabili.

Rinunce, transazioni e quietanze liberatorie

Nel concludere l'esame dei principali istituti che formano il rapporto dilavoro, dalla sua costituzione fino alla sua cessazione, voltiessenzialmente a tutelare il prestatore nella sua posizione di contraentedebole, è necessario trattare degli atti di disposizione dei diritti deilavoratori. L'art. 2113, co. I, c.c., nel testo modificato dall'art. 6, L.

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11 agosto 1973, n. 533, dispone che "Le rinunce e le transazioni, che hanno per oggettodiritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti oaccordi collettivi concernenti i rapporti di cui all'art. 409 del codice di procedura civile, non sonovalide". I negozi giuridici con cui può realizzarsi la disposizione deidiritti dei lavoratori ai quali si riferisce l'art. 2113, co. I, c.c., sonodunque:

la rinuncia, negozio unilaterale recettizio, che tende alla dismissionecon efficacia abdicativa o traslativa, di un diritto soggettivo daparte del titolare e che nell'ambito del rapporto di lavoro assume lanatura di remissione del debito, poiché ha ad oggetto dirittipatrimoniali;

la transazione, che, ai sensi dell'art. 1965, c.c., è il contratto con ilquale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine ad unalite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro:essa viene assimilata, nell'art. 2113, c.c., alla rinuncia perché diquesta può costituire un mascheramento e perché il corrispettivoofferto dal datore nel caso di transazione può non essere commisuratoal sacrificio del lavoratore, stante la posizione di debolezzacontrattuale di quest'ultimo (SANTORO PASSARELLI).

Dalle rinunce e dalle transazioni bisogna tenere distinte le c.d. quietanzea saldo o quietanze liberatorie, con le quali il prestatore dichiara diaver ricevuto una certa somma attestando di essere soddisfatto di ognispettanza e di non avere nulla a pretendere. In un primo momento, lagiurisprudenza era incline a ravvisare nella quietanza a saldo l'animusrinunciandi; oggi è giunta all'opposta conclusione che la quietanza è unamera dichiarazione di scienza che non contiene alcuna volontà di rinunciaad ogni altro eventuale credito del prestatore nei confronti del datore. Larilevanza di tale atto come rinuncia può, dunque, aversi solo nei casi incui precisi elementi testuali e circostanze di fatto denotino lasussistenza dell'animus rinunciandi. L'impugnazione delle rinunce etransazioni di cui all'art. 2113, co. 1, c.c., con qualsiasi atto scritto,anche stragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore, deveessere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla cessazione delrapporto o dalla data della rinuncia o della transazione, se queste sonointervenute dopo la cessazione medesima. L'invalidità prevista dall'art.2113, c.c., è della specie dell'annullabilità, come si desume dallaprevisione di un regime di impugnazione - il diritto di impugnazione exart. 2113 è un diritto potestativo concesso solo al prestatore,intrasmissibile agli eredi - e dalla fissazione di un termine di decadenza.Il mancato esercizio del potere di impugnazione sana le rinunce e letransazioni altrimenti invalide.

Prescrizione e decadenza

Come si sa, la prescrizione estintiva produce l'estinzione del dirittosoggettivo per effetto dell'inerzia del titolare che non lo esercita o nonne usa per il tempo determinato dalla legge. Ora, il tema dellaprescrizione dei diritti del prestatore di lavoro è strettamente connesso aquello della disposizione degli stessi, in quanto "l'effetto estintivo

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della prescrizione può essere considerato sostanzialmente equivalenteall'effetto dismissivo proprio della rinuncia e della transazione, previstedall'art. 2113 c.c., a vantaggio del datore di lavoro" (GHERA). In materiadi lavoro si distingue:

la prescrizione ordinaria decennale, che opera in presenza disituazioni eccezionali;

la prescrizione ordinaria quinquennale, che opera nella generalitàdei casi perché riguarda ciò che deve essere corrispostoperiodicamente ad anno o in termini più brevi e le indennitàspettanti per la cessazione del rapporto di lavoro.

Alla prescrizione estintiva si affianca la prescrizione presuntiva, didiversa natura, fondamento e disciplina; essa si sostanzia in unapresunzione di pagamento perché fa presumere che, decorso un determinatoperiodo di tempo, il credito si sia estinto. Tale prescrizione, in materiadi lavoro, è:

di un anno, per il diritto dei lavoratori alle retribuzionicorrisposte a periodi non superiori ad un mese;

di tre anni, per il diritto alle retribuzioni corrisposte a periodidi oltre un mese.

La prescrizione presuntiva ammette come prova contraria soltanto laconfessione giudiziale ed il giuramento decisorio. I termini diprescrizione dei crediti retributivi decorrono:

nel corso del rapporto, se esso è stabile; dal momento della cessazione del rapporto se ad esso difetta il

carattere della stabilità.

Quelli relativi a diritti non retributivi decorrono secondo il normaleregime di diritto civile (Corte cost. n. 66/63, n. 174/72). Anche ladecadenza come la prescrizione è un istituto collegato al decorso deltempo: essa si concreta, infatti, nella perdita, per il titolare di undiritto, della possibilità di esercitarlo a causa del mancato compimento diuna certa attività o di un certo atto entro un termine perentorio. Ladecadenza è:

legale, quando il termine perentorio è stabilito dalla legge:nell'ambito del diritto del lavoro, si pensi al termine di sei mesiprevisto dall'art. 2113, c.c., per impugnare rinunce e transazioni,di cui si è detto poc'anzi;

convenzionale, quando il termine è fissato dal contratto: in materiadi lavoro

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IL PROCESSO DEL LAVORO

La L. 533/73 ha delineato un procedimento ispirato a criteri di snellezza esemplicità. Costituiscono caratteristiche salienti del diritto del lavoro:

l’oralità; l’immediatezza; la massima concentrazione; l’ampliamento dei poteri istruttori del giudice.

Il campo di applicazione della normativa in esame, oltre che ai rapporti dilavoro subordinato, si estende:

al lavoro subordinato privato; al lavoro agricolo; ai rapporti di agenzia, rappresentanza e parasubordinazione;

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ai rapporti dei dipendenti da enti pubblici economici; ai rapporti di pubblico impiego, per i quali le leggi speciali non

prevedano la giurisdizione di un altro giudice.

Il giudice unico

A partire dal 2-6-99 è operativa la riforma del giudice unico di primo gradointrodotta con il D.Lgs. 51/98. Tale riforma concentra in un unico ufficiodi primo grado, il Tribunale, le competenze giudiziarie tradizionalmentedivise tra Tribunale e Pretura allo scopo di superare la eccessivapolverizzazione della rete giudiziaria al fine di accrescerne efficienza efunzionalità. Dal 2-6-99 è stato dunque soppresso l’ufficio del pretore con la conseguenzache le controversie previste dall’art. 409 c.p.c. sono decise in primogrado dal Tribunale in funzione di giudice del lavoro. Il Tribunale del lavoro ègiudice monocratico. La competenza per territorio, inderogabile, è determinatadal luogo in cui è sorto il rapporto di lavoro.

Il tentativo obbligatorio di conciliazione extragiudiziale

L’art. 410 c.p.c. (riformato dall’art. 36 del D.Lgs. 80/98) prevede che iltentativo di conciliazione extragiudiziale sia obbligatorio: esso ècondizione di procedibilità della domanda giudiziale e, in suo difetto, ilgiudice deve sospendere il giudizio, fissando alle parti un termineperentorio per proporre il tentativo. La comunicazione della richiesta diconciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata deltentativo e per i 20 giorni successivi alla sua conclusione, il decorso diogni termine di decadenza. Il tentativo di conciliazione deve essereespletato entro 60 giorni dalla presentazione della richiesta. In difetto,si considererà comunque espletato. Se il tentativo riesce si redigeprocesso verbale che il giudice dichiarerà esecutivo con decreto; se nonriesce si redige processo verbale con l’indicazione delle ragioni delmancato accordo.

Il giudizio

La domanda si propone con ricorso, che viene depositato presso lacancelleria del pretore competente il quale fissa l'udienza di discussionecon decreto. Questo è notificato con il ricorso al convenuto.

Nell'udienza di discussione il giudice interroga liberamente le parti etenta la conciliazione della lite. Se questa non riesce, egli procedeall'istruzione probatoria, alla quale seguono la discussione orale, leconclusioni delle parti e la pronuncia della sentenza il cui dispositivoviene immediatamente letto in aula. La sentenza è provvisoriamenteesecutiva: se pronunciata a favore del lavoratore può essere sospesa daltribunale se all'altra parte può derivare un gravissimo danno; sepronunciata a favore del datore di lavoro può essere sospesa quandoricorrono gravi motivi. Quanto alla fase di impugnazione, per effetto dellariforma introdotta dal D.Lgs. 51/98, a far data dal 2-6-99, l’appellocontro le sentenze dei processi di lavoro deve essere proposta con ricorso

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davanti alla Corte di Appello territorialmente competente in funzione digiudice del lavoro. La procedura ricalca quella di primo grado.

Occorre infine ricordare che il giudice del lavoro è anche competente per igiudizi relativi ad assicurazioni sociali, infortuni sul lavoro e malattieprofessionali, assegni familiari, ogni altra forma di previdenza eassistenza obbligatoria.

La conciliazione e l'arbitrato

Il co. IV dell'art. 2113, c.c., statuisce che le disposizioni dello stessoarticolo non si applicano alla conciliazione intervenuta ai sensi degliartt..185, 410 e 411 del codice di procedura civile, che può esseregiudiziale o stragiudiziale. La prima, prevista in generale dall'art. 185,c.p.c., non presenta particolarità di sorta e può avvenire in ogni momentodel processo su iniziativa del giudice, che la tenta già nell'udienzafissata per la discussione della causa. Se la conciliazione è raggiunta,viene redatto il relativo processo verbale, che ha efficacia di titoloesecutivo. La conciliazione stragiudiziale, invece, trova il suo fondamentonell'autonomia privata, ha carattere facoltativo e può avvenire sia in sedeamministrativa - dinanzi ad apposite commissioni intersindacali istituitepresso l'ufficio provinciale del lavoro o presso le relative sezioni zonali-, sia in sede sindacale - quando è prevista dai contratti collettivi perla risoluzione di controversie concernenti la loro applicazione. Ilrelativo processo verbale acquista efficacia di titolo esecutivo in virtùdi un apposito decreto del Pretore del lavoro, emesso su istanza di parte,che ne accerta esclusivamente la regolarità formale. Diverso dallaconciliazione è l'arbitrato, sia rituale sia irrituale, di cui si tratta inquesta sede perché esso si inserisce nel sistema di garanzie predispostedal legislatore per rafforzare la tutela dei diritti del lavoratore. Ingenerale, l'arbitrato trova la sua fonte nella clausola compromissoria, conla quale si stabilisce che le controversie relative all'applicazione di uncontratto siano risolte da un arbitro già designato o da designare almomento della controversia, con un ulteriore atto di autonomia definitocompromesso - che può essere anche l'unica fonte dell'arbitrato nel caso incui manchi la clausola compromissoria (MAZZIOTTI). L'arbitrato è:

rituale, quando si svolge come un vero e proprio giudizio e siconclude con il decreto pretorile che attribuisce alla decisionearbitrale (lodo) il valore di una sentenza;

irrituale, quando si svolge senza il rispetto di norme proceduraliimposte dalla legge e si conclude con un atto (anch'esso denominatolodo) che ha natura soltanto di atto di autonomia privata.

Nel secondo caso il lodo arbitrale è parificato alle rinunce e transazionied è quindi invalido se viola disposizioni inderogabili di legge oppure dicontratti o accordi collettivi; ad esso sono applicabili i co. II e IIIdell'art. 2113, c.c., con la conseguente possibilità di impugnazione dellodo, per il lavoratore, nel termine di decadenza di sei mesi

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DIRITTO COMUNITARIO DEL LAVORO

Il diritto comunitario del lavoro è costituito dall’insieme delle norme cheregolano l’organizzazione e lo sviluppo delle Comunità Europee e i rapportitra queste e gli Stati membri. Il diritto comunitario si distingue in:

diritto comunitario originario, costituito dai trattati istitutivi delleComunità Europee e relative successive modifiche;

diritto comunitario derivato, costituito da tutte le norme emanate dalleistituzioni comunitarie per la realizzazione degli obiettivi posti inessere dai Trattati.

Il diritto comunitario del lavoro, in particolare, si propone comeobiettivo il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro ed inparticolare:

libera circolazione, i cui principali aspetti possono cosìriassumersi:

o i contributi garantiscono l’assistenza in tutti i paesi membri; o i periodi di lavoro, in ciascun paese, si cumulano ai fini

pensionistici; o abolizione di ogni discriminazione nazionale relativa ad

assunzioni e condizioni economiche e normative di lavoro; o carta di libera circolazione: rinnovabile, a richiesta, ogni 5

anni; o libertà sindacale: iscrizione, diritti sindacali, accesso ai

posti amministrativi e direttivi delle organizzazioni sindacali. occupazione e mobilità dei lavoratori; azione per uniformare la normativa;

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unificazione del sistema previdenziale

ORGANIZZAZIONE E ATTIVITÀ SINDACALE

Il diritto sindacale può definirsi come il complesso normativo disciplinante leassociazioni di carattere economico-professionale, istituite a tutela degli interessi collettivi dellecategorie dei prestatori e dei datori di lavoro. La normazione, oggetto del dirittosindacale, può distinguersi essenzialmente in due parti:

diritto sindacale statuale o esterno, attuato direttamente dallostato;

diritto sindacale spontaneo o interno, riconosciuto ai sindacati.

Il sindacato

Il sindacato professionale può definirsi l’associazione libera e spontanea di singoliindividui nel particolare status di prestatori di lavoro subordinato o in quello di datori di lavoro; èun’associazione che rappresenta, attraverso i suoi organi elettivi interni, tutti gli individui che lo

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compongono nella loro qualità di soci; è un’associazione che agisce collettivamente al fine di tutelarei comuni interessi professionali nei confronti degli stessi soci, delle altre associazioni, degli altrisoggetti giuridici. La giurisprudenza ha successivamente precisato che perché adun’associazione possa riconoscersi natura sindacale occorre che la sua attività di assistenza e ditutela sia svolta non soltanto a vantaggio degli associati, ma anche a vantaggio di tutti gliappartenenti alla categoria, anche se rimangono al di fuori dell’organizzazione. La mancataattuazione dell’art. 39 Cost. (che richiederebbe la registrazione delsindacato con conseguente riconoscimento della personalità giuridica) fa sìche le organizzazioni sindacali siano oggi delle mere associazioni nonriconosciute. I soci, detti comunemente iscritti al sindacato, sono coloro chefondano l’associazione (cd. promotori) oppure che vi aderisconosuccessivamente mediante l’iscrizione. Il sindacato è un’associazioneaperta: per iscriversi occorrono essenzialmente due requisiti:

il limite minimo di età, necessario allo svolgimento dell’attivitàlavorativa;

l’appartenenza alla categoria professionale o aziendalerappresentata.

Una volta ottenuta l’iscrizione, l’associato acquista posizioni giuridichesoggettive attive e passive così sintetizzabili:

situazioni attive: o elettorato attivo e passivo; o diritto di giovarsi di tutte le iniziative del sindacato; o diritto ad essere tutelato nei rapporti esterni;

situazioni passive: o obbligo di rispettare le norme statutarie e regolamentari; o pagamento dei contributi; o nei rapporti esterni, obbligo di conformarsi alle disposizioni

ed agli impegni assunti dall’organizzazione sindacale.

L’organizzazione dei sindacati

L’organizzazione sindacale dei lavoratori è strutturata sia su baseverticale (in base cioè all’attività svolta dal lavoratore nell’impresa),sia su base orizzontale (ovvero su base professionale). Su base verticaleabbiamo i sindacati, organizzati per categoria economica i quali, a lorovolta, confluiscono nel sindacato provinciale di categoria; dalquest’ultimo si passa alle federazioni nazionali che, a loro volta, dannovita alla Confederazione. Le confederazioni di maggior rilievo, anche pernumero di iscritti, sono tre:

la Confederazione Generale Italiana del Lavoro (CGIL), di prevalenteispirazione comunista e socialista;

la Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori (CISL), di prevalenteispirazione cattolica;

la Unione Italiana del Lavoro (UIL), di prevalente ispirazionesocialdemocratica.

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Alle tre confederazioni storiche si è recentemente aggiunta l’Unione Generaledel Lavoro (UGL), di ispirazione corporativa.

L’art. 39, comma 1, della Costituzione, sancisce la libertàdell’organizzazione sindacale che costituisce una autonoma e specificamanifestazione del generalissimo principio di libertà di associazione, dicui all’art. 18 Cost.

La libertà sindacale e lo Statuto dei Lavoratori

L’art. 39, comma 1, della Costituzione, sancisce la libertàdell’organizzazione sindacale che costituisce una autonoma e specificamanifestazione del generalissimo principio di libertà di associazione, dicui all’art. 18 Cost. La fonte normativa più importante dopo laCostituzione, in materia di libertà sindacale, è oggi la L. 300/70 meglionota come Statuto dei Lavoratori. Essa ha recepito i principi fondamentalifissati dalla Costituzione stessa tendendo non a disciplinare la libertàsindacale, bensì a garantire l’esercizio delle medesima all’interno delleunità produttive, predisponendo, al riguardo, anche un efficiente apparatosanzionatorio.

La rappresentanza dei lavoratori a livello aziendale

Ai sensi dell’art. 19 St. Lav. si può definire la rappresentanza sindacaleaziendale come qualunque tipo di organizzazione attraverso cui il sindacato è presentenell’azienda, purché derivi dall’iniziativa dei lavoratori ed abbia qualificazione sindacale, cioè siariferibile alla struttura sindacale. Inoltre, in seguito al referendum ex D.P.R.312/95 che ha portato alla riformulazione dello stesso art. 19,“rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogniunità produttiva nell’ambito delle associazioni sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi dilavoro applicati nell’unità produttiva. Nell’ambito di aziende con più unità produttive lerappresentanze sindacali possono istituire organi di coordinamento”.

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IL DIRITTO DI SCIOPERO

Lo sciopero, da sempre mezzo tipico di lotta sindacale, può considerarsi laprincipale forma di autotutela dei lavoratori. Esso si configura come unaastensione totale e concertata dal lavoro da parte di più lavoratorisubordinati per la tutela dei loro interessi collettivi. La titolarità deldiritto di sciopero è attribuita al singolo prestatore di lavoro, il qualelo può esercitare senza il bisogno di alcun benestare sindacale. Tuttavia,se è vero che il diritto di sciopero si configura come individuale quantoalla sua titolarità, è anche vero che si configura come collettivo quantoal suo esercizio.

Limiti al diritto di sciopero

Il diritto di sciopero incontra limiti esterni (relativi cioè ad eventualicontrasti tra l’interesse garantito dal diritto di sciopero con altriinteressi costituzionalmente tutelati) ed interni (derivanti cioè dallastessa nozione di sciopero).

Quanto ai primi, la necessità di assicurare il godimento di diritticostituzionalmente garantiti ha comportato l’esclusione della titolaritàdel diritto di sciopero per tutti quei lavoratori occupati in attivitàconnesse o strumentali alla tutela di tali diritti. In specie si discutecirca l’ammissibilità dello sciopero per le seguenti categorie dilavoratori:

pubblici dipendenti: qualche dubbio rimane soltanto per i magistrati,ferma restando l’ammissibilità dello sciopero per i dipendentipubblici in seguito alla “privatizzazione” del pubblico impiego(D.Lgs. 29/93);

militari e forze di polizia: si ritiene inammissibile; marittimi: occorre valutare la possibile configurabilità del reato di

ammutinamento di cui all’art. 1105 del codice della navigazione;

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avvocati: essendo liberi professionisti, si discute se le astensionicollettive degli avvocati possano essere legittimamente chiamate“scioperi”.

Per quanto riguarda i possibili limiti oggettivi al diritto di sciopero, laCorte Costituzionale ha stabilito la legittimità dello sciopero politico(inteso quale modo di partecipazione dei lavoratori alle decisionipolitiche) purché esso non sia inteso a sovvertire l’ordinamentocostituzionale ed impedire od ostacolare il libero esercizio dei legittimipoteri nei quali si esprime la sovranità popolare.

Lo sciopero nei servizi pubblici essenziali

Al fine di “contemperare l’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali con ilgodimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà e allasicurezza, alla libertà di circolazione, all’assistenza e previdenza sociale, all’istruzione ed alla libertàdi comunicazione” è stata emanata la L. 146/90.

Il diritto di sciopero, nei servizi pubblici essenziali, è consentito nelrispetto di tre condizioni:

adozione di misure dirette a consentire l’erogazione delle prestazioni indispensabili; preavviso minimo non inferiore a 10 giorni e comunicazione al pubblico almeno 5 gg. prima

attraverso i media; indicazione preventiva della durata delle astensioni dal lavoro.

I soggetti che promuovono lo sciopero devono garantire un minimo eserciziodel servizio, nonché le prestazioni indispensabili. Inoltre, una appositaCommissione permanente nominata dal Presidente della Repubblica, deveprocedere ad un tentativo di conciliazione fra le parti. Nel caso in cui losciopero possa recare gravi pregiudizi ai diritti della personacostituzionalmente garantiti, la pubblica autorità può precettare leorganizzazioni sindacali ed i singoli lavoratori, affinché il servizio nonsia sospeso. Infine, sono previste sanzioni in caso di inosservanza delleprescrizioni legislative per i prestatori di lavoro (è escluso tuttavia illicenziamento), le organizzazioni sindacali e di datori di lavoro.

Mezzi di lotta del datore di lavoro: la serrata

La serrata è la chiusura, da parte del datore di lavoro, dei normali luoghidi lavoro, tale da rendere impossibili le prestazioni lavorative. Lefinalità della serrata possono identificarsi nell’impedire eventuali azioniillegittime da parte dei lavoratori o per indurre gli stessi a recedere daun determinato comportamento (serrata di ritorsione). L’art. 502 c.p., chepunisce la serrata, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo consentenza n. 29/60 della C. Cost. La Costituzione, mentre riconosce ildiritto di sciopero, nulla dice per quanto riguarda la serrata. Parte delladottrina ritiene ammissibile, in caso di serrata (considerata come illecitocivile), l’azione di risarcimento danni da parte del dipendente per “moraaccipiendi” ex art. 1206 c.c. e segg

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DIRITTO PENALE DEL LAVORO

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Il diritto penale del lavoro è quel complesso di norme che puniscono, consanzioni tipiche del diritto penale, i comportamenti diretti a violare ildiritto all’integrità fisica, alla salute dei lavoratori ed altri dirittiprevidenziali.

In relazione alle finalità di tutela dell’interesse pubblico, le normeriguardano:

il libero e ordinato svolgimento dell’attività lavorativa eproduttiva;

l’osservanza della disciplina collettiva dei rapporti di lavoro; l’igiene e la sicurezza del lavoro e l’assistenza e la previdenza

sociale; la disciplina sul collocamento.

Fra le fattispecie più notevoli costituenti delitti ricordiamo:

la rimozione od omissione dolosa di cautele; l’omissione colposa di cautele contro disastri e infortuni sul

lavoro; la falsità e le omissioni fraudolente di denunce contributive; l’omissione del versamento delle ritenute previdenziali e

assistenziali; l’indebita riscossione dell’indennità di disoccupazione; l’indebita riscossione degli assegni familiari a seguito di false

dichiarazioni o atti fraudolenti; l’omesso versamento di contributi assicurativi.

Le contravvenzioni rappresentano la quasi totalità delle fattispecie panaliin materia di lavoro. E’ consentita l’oblazione che estingue il reato, anorma dell’art. 162 c.p., se è prevista la sola ammenda, e a normadell’art. 162bis c.p. se è prevista, in alternativa, la pena dell’arresto.Una speciale causa di estinzione del reato è prevista dal D.Lgs. 758/94subordinata alla rimozione della violazione accertata dagli organi divigilanza.

Norme particolari sono dettate anche in campo penale dallo Statuto deilavoratori. L’art. 38 punisce, con l’ammenda o con l’arresto, la violazionedelle norme di cui agli artt. 2,4,5,6,8,15 e 33 della medesima L. 300/70.Il sindacato è ammesso alla costituzione di parte civile. L’art. 28punisce, ai sensi dell’art. 650 c.p. l’inottemperanza da parte del datoredi lavoro all’ordine del giudice di cessazione o rimozione degli effettidella condotta antisindacale. Sono previste anche le seguenti sanzioniatipiche:

pagamento di somme al Fondo pensioni lavoratori dipendenti a caricodel datore di lavoro nei casi previsti dagli artt. 16 e 18 delloStatuto;

revoca di agevolazioni o esclusione da successive agevolazioni perl’imprenditore che non abbia ottemperato al trattamento deilavoratori, previsto dall’art. 36 dello Statuto

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