Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro OSSERVATORIO SOCIO-ECONOMICO SULLA CRIMINALITA'...

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Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro OSSERVATORIO SOCIO-ECONOMICO SULLA CRIMINALITA' RAPPORTO LE BUONE PRATICHE DELLE POLITICHE LOCALI DI SICUREZZA NELLE AREE METROPOLITANE DI BARI, NAPOLI E PALERMO Analisi degli interventi attuati attraverso un focus su tre quartieri critici 14 luglio 2010 INDICE

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Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro

OSSERVATORIO SOCIO-ECONOMICO SULLA CRIMINALITA'

RAPPORTO

LE BUONE PRATICHE DELLE POLITICHE LOCALI DI SICUREZZA NELLE AREE METROPOLITANE DI BARI, NAPOLI E PALERMO

Analisi degli interventi attuati attraverso un focus su tre quartieri critici

14 luglio 2010

INDICE

Alcune note introduttive

Parte prima

Le politiche di sicurezza in Italia

1.1 Alcuni cenni sui caratteri delle politiche di sicurezza e prevenzione nelle città italiane

1.2 L’evoluzione delle politiche della sicurezza

1.3 I patti per la sicurezza 1.3.1 I Patti per la sicurezza di ultima generazione

1.4 I Patti per la sicurezza nelle tre aree metropolitane del Mezzogiorno 1.4.1 Il Patto per la sicurezza di Napoli e delle città della provincia

1.4.2 Il Patto per Bari sicura. Patto per la sicurezza in terra di Bari

1.4.3 Alcune prime osservazioni sulla realizzazione dei patti per la sicurezza di Bari e Napoli

Parte seconda

Le grandi aree metropolitane del Mezzogiorno e la sfida della sicurezza urbana

1.1 Le grandi aree metropolitane del Mezzogiorno

1.2 Un sommario raffronto dei principali indicatori socio-economici delle tre aree metropolitane

1.3 Sicurezza e legalità nelle aree metropolitane del Mezzogiorno 1.3.1 Le camorra nell’area metropolitana di Napoli

1.3.2 Cosa Nostra Palermitana

1.3.3 Le organizzazioni criminali nell’area barese

1.4 Le statistiche sulla delittuosità nelle tra aree metropolitane del Mezzogiorno Parte Terza

Le buone pratiche delle politiche locali di sicurezza nelle aree di maggiore criticità delle grandi metropoli del Mezzogiorno

1.1 I quartieri con maggiori criticità nelle grandi aree metropolitane del Mezzogiorno 1.1.1 Scampia

1.1.2 ZEN (ridenominato San Filippo Neri)

1.1.3 Enziteto (oggi ridenominato San Pio)

1.2 Le politiche locali per la sicurezza nei quartieri di Scampia, ZEN ed Enziteto

1.2.1 Le politiche per la sicurezza a Scampia

1.2.2 Le politiche per sicurezza allo ZEN (oggi San Filippo Neri)

1.2.3 Le politiche per sicurezza ad Enzitero (oggi San Pio)

1.3 Le buone pratiche delle politiche locali di sicurezza nei quartieri di Scampia, ZEN ed Enziteto

1.3.1 Le buone pratiche per la sicurezza a Scampia

■ Il progetto Casa della Socialità – Incubatore di Imprese Femminili; Servizi Sperimentali ed Innovativi per la Legalità e la Sicurezza dei cittadini” Arrevuoto. Scampia/Napoli Progetto SOS Scampia - SO.lidarietà e S.viluppo a Scampia 1.2.2 Le buone pratiche per la sicurezza allo ZEN (oggi San Filippo Neri)

Istituto Comprensivo Statale “Giovanni Falcone” G.Zen.Net 1.2.3 Le buone pratiche per la sicurezza ad Enzitero (oggi San Pio)

Progetto Equal "Sistema territoriale per le Pari Opportunità - Enziteto" Accademia del Cinema dei Ragazzi – Enziteto

Alcune osservazioni conclusive Alcune note introduttive

Quando abbiamo intrapreso questa ricerca non vi sono state incertezze nel considerare l’indagine sulle

buone pratiche nelle politiche locali per la sicurezza, come un ambito di ricerca proprio dell’Osservatorio

socio-economico sulla criminalità, per il legame imprescindibile tra sicurezza e sviluppo che orienta le

riflessioni del CNEL. Nello svolgersi delle attività questa acquisizione si è arricchita di suggestioni, fino ad

evidenziare come alla radice delle criticità che si incontrano nei quartieri più disagiati delle grandi aree

metropolitane del Mezzogiorno, oggetto della ricerca sul campo, vi siano, prima e più di altre

considerazioni, problematiche di carattere socio-economico. I casi di studio affrontati, rimandano a

quartieri nati per rispondere ad un’emergenza abitativa, in cui agli effetti di dubbie scelte urbanistiche si

sono associati i disastri di una strutturale mancanza di intervento di infrastrutturazione e la totale

assenza di ogni tentativo di costruzione di una comunità, ove la popolazione veniva sostanzialmente

lasciata a sé, in un contesto di illegalità, di degrado e di disperazione sociale. Nelle note che seguono si

è cercato di andare oltre la descrizione della realtà, condizione necessaria ma non sufficiente per

alimentare una riflessione interessata a modificare le condizioni attuali di degrado e di insicurezza,

selezionando una serie di buone pratiche nelle politiche di sicurezza locali. Per arrivare a questo approdo

si è seguito un percorso piuttosto articolato che muove da un definizione del termine sicurezza che

richiama un concetto assai più ampio che il rischio di essere vittima di un reato e allude ad un insieme di

paure, preoccupazioni e ansietà. L’insicurezza è, nella stessa misura, insicurezza sociale e insicurezza

civile e, come emerge da numerose ricerche, l’insicurezza sociale supera quella civile. Le paure

prevalenti riguardano innanzitutto l’insicurezza derivante da problemi economici e lavorativi (la

precarietà lavorativa e timore per la perdita del proprio attuale tenore di vita) e se oggi si può parlare di

un riemergere dell’insicurezza è, in larga misura, perché esistono frange di popolazione ormai convinte di

essere state lasciate ai margini del percorso, incapaci di controllare il loro futuro in un mondo sempre più

segnato del cambiamento. Il bene pubblico della sicurezza corrisponde al bisogno di essere e di sentirsi

sicuri e garantiti nell'esercizio di tutti i propri diritti, rendendo possibile il libero sviluppo della personalità

e delle proprie capacità e concreta la possibilità di influenzare le condizioni da cui dipende l'esistenza di

ognuno. Ciò si riverbera, ovviamente, nel giudizio dei cittadini sulla sicurezza nella propria città, con una

drammatizzazione nel giudizio espresso dai residenti nelle tre aree metropolitane del Mezzogiorno, dove

coloro che giudicano il proprio comune come un luogo poco o per niente sicuro risultano il 62% a Bari, il

70% a Palermo e il 91% a Napoli, a fronte di una media per le 11 aree metropolitane, nell’ordine del

50%. Ciò, con tutta evidenza, segnala una criticità che ha orientato verso le grandi aree metropolitane

del Sud questa ricerca. Un capitolo della prima parte ha sinteticamente affrontato il tema delle politiche

di sicurezza locali, osservandone i caratteri, nella loro evoluzione avvenuta in Italia con un certo ritardo

rispetto ad altri paesi europei. Il processo di spostamento del bene pubblico sicurezza al livello del

governo locale viene ricondotto a due fattori correlati: da un lato, la trasformazione nei meccanismi di

rappresentanza, avvenuta con l’elezione diretta dei sindaci; dall’altro, l’evoluzione della domanda stessa

di sicurezza da parte dei cittadini, indirizzata sempre più direttamente verso gli amministratori locali. Il

dibattito che si è aperto nel Paese sul ruolo delle politiche locali della sicurezza, grazie al contributo

rilevate del Forum Italiano della Sicurezza Urbana (FISU) e alle interessanti esperienze di policy avviate

da molte amministrazioni, ha posto l’accento sul ruolo, tutt’altro che marginale, che tali interventi

possono assumere nel più generale impegno dello Stato a garantire il diritto alla sicurezza nella direzione

indicata nel Manifesto di Saragozza1 in cui, al primo punto, si afferma che: “La sicurezza è un bene

comune essenziale, indissociabile da altri beni comuni, quali l’inclusione sociale, il diritto al lavoro, alla

salute, all’educazione e alla cultura. Occorre rifiutare qualsiasi strategia che punti ad utilizzare la paura,

ricorrendo invece ad interventi atti a favorire una cittadinanza attiva, la consapevolezza

dell’appartenenza al territorio urbano e lo sviluppo della vita collettiva. L’accesso ai diritti contribuisce a

facilitare il diritto alla sicurezza.” L’evoluzione delle politiche locali di sicurezza è stata sinteticamente

rappresentata in tre fasi: la fase della sensibilizzazione, durante la prima metà degli anni ’90; la fase

dello sviluppo, nella seconda metà degli anni ‘90, e la fase del consolidamento, in questi primi anni del

nuovo millennio. L’analisi dei pochi studi disponibili, che hanno tentato di indagare empiricamente le

politiche locali di sicurezza e il loro sviluppo in questi anni recenti, ha consentito la definizione di una

sintetica tassonomia che distingue, sostanzialmente, tra policy che si fondano su forme di prevenzione

situazionale e politiche che si imperniano su forme di prevenzione sociale. Successivamente, in

conclusione della parte dedicata alle politiche per la sicurezza, si è considerato, in particolare, il processo

che si è aperto con la nuova stagione dei Patti per la sicurezza , che ha origine nel 2006, a seguito della

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richiesta da parte di alcuni sindaci di un intervento del governo centrale, che ha portato l’allora Ministro

dell’Interno Amato, ad impegnarsi a firmare accordi con tutte le città metropolitane. Nella seconda parte

della ricerca sono state definite le tre grandi aree metropolitane del Mezzogiorno (Napoli, Bari e

Palermo), anche attraverso una sintetico raffronto tra i principali indicatori socio-economici e le

condizioni di sicurezza e legalità, definite sulla scorta delle note contenute nella Relazione annuale della

Direzione Nazionale Antimafia e delle statistiche sulla delittuosità diffuse dal Ministero dell’Interno. Nella

terza parte, il tema della individuazione delle buone pratiche nelle politiche locali di sicurezza nelle aree

di maggiore criticità nelle grandi metropoli del Mezzogiorno viene sviluppato attraverso un’analisi sul

campo, che prende le mosse da un individuazione di tre

Il Manifesto di Saragozza è stato sottoscritto dalle 200 amministrazioni locali di altrettante città europee in occasione della riunione del Forum Europeo per la sicurezza urbana tenutasi nel novembre 2006 a Saragozza

casi di studio, uno per ogni grande area metropolitana. Da un esame con una serie di testimoni

privilegiati, nelle tre aree metropolitane, è maturato l’orientamento di svolgere l’indagine, destinata a

verificare gli interventi delle politiche di sicurezza locali, nei quartieri di Scampia (Napoli), ZEN (Palermo)

ed Enziteto (Bari). La scelta, per alcuni versi quasi unanime, di Scampia e dello ZEN ha determinato la

selezione, tra i quartieri baresi, di Enziteto, che presenta caratteristiche di collocazione urbana similari,

ovvero di quartieri periferici di relativamente recente urbanizzazione. Il lavoro di indagine sul campo si è

fondato su una nutrita serie di interviste con gli amministratori locali e con una pluralità di associazioni e

organizzazioni, del partenariato economico e sociale e del volontariato. Il dialogo diretto con l’insieme

degli attori locali, cui va un ringraziamento sincero, per la passione con cui si sono resi disponibili a

rappresentare la loro esperienza, si è rivelato assai ricco di suggestioni. Per chi scrive, che ha

attraversato i tre quartieri in oggetto, si è trattato di una esperienza di ricerca sociale straordinaria.

Scampia, lo ZEN ed Enziteto sono quartieri assai diversi, per il livello di criticità che si incontra, ma, a

ben vedere, la loro vicenda presenta numerosi tratti comuni, che richiamano l’esigenza di interventi assai

più incisivi per tutelare i cittadini che li abitano. Le condizioni di questi quartieri, come altri nel nostro

paese, restano segnate, nel complesso, pur con diversa criticità, da una intollerabile assenza di

sicurezza, o meglio dell’insieme delle sicurezze che rendono piena la fruizione dei diritti di cittadinanza.

Non si può sfuggire al dato, ineludibile, che nei quartieri con maggiori criticità non siamo oggi di fronte

ad un livello di iniziative adeguato ad affrontare la sfida del ripristino di condizioni di normalità. Tuttavia,

pur se l’insieme delle politiche locali per la sicurezza appare ancora insufficiente, non mancano sforzi e

iniziative che vanno nella direzione giusta, sia da parte delle amministrazioni locali che nell’azione, assai

preziosa, di associazioni ed organizzazioni del volontariato. Esperienze diverse che rappresentano

nitidamente la volontà di ricucire quello strappo che, nel tempo, si è consumato tra questi quartieri e le

città cui appartengono, ma da cui, spesso, sono stati lasciati ai margini, fino a diventare zone franche di

illegalità. Tra le diverse iniziative realizzate negli ultimi anni sono state selezionate alcune esperienze

che, per i risultati ottenuti, ma, ancor più per il valore segnaletico che esprimono, rappresentano delle

buone pratiche. Questo lavoro si conclude con una sintetica rassegna di queste esperienze di politiche

locali per la sicurezza, tra cui si collocano progetti e azioni di natura assai diversa, aspetto questo che

allude alla necessità di un complesso plurale di interventi per aggredire il tema del degrado urbanistico,

sociale, economico e culturale. Dal lavoro di indagine sul campo (l’osservazione del contesto dei

quartieri, l’analisi degli interventi attuati e la selezione delle buone pratiche) sono emerse alcune

indicazioni che richiamano, in primo luogo, la necessità di affiancare azioni immateriali, prevalentemente

a carattere sociale, alla riqualificazione fisica degli spazi. Gli interventi sulle politiche abitative e

sull’assetto urbano dei quartieri con maggiori criticità, non possono essere disgiunte da un insieme di

azioni tese a rafforzare la coesione sociale, contrastare aspetti di disagio e accrescere il senso di

appartenenza alla comunità locale. Determinante per il successo di ogni intervento di riqualificazione

urbana è, quindi, il ruolo delle politiche sociali, educative e culturali, che non possono essere

considerate degli optional nella definizione dell’insieme delle policy. Il coinvolgimento diretto degli

abitanti negli aspetti decisionali, rappresenta un aspetto fondamentale per il successo di azioni che

superino la logica dell’episodicità, dell’emergenza e della contingenza, che spesso caratterizzano gli

interventi di riqualificazione nel Mezzogiorno. Il rischio che va scongiurato è quello di ragionare sugli

interventi individuati senza tenere conto del rapporto che il quartiere ha con il resto della città; la

creazione di nuove centralità nei quartieri periferici, è fondamentale per contrastare quella separazione

dalla città e quel distacco nelle condizioni di sicurezza, che connota tutte le aree degradate. Ciò

corrisponde, in larga misura, all’affermazione di condizioni di normalità nei quartieri più critici, laddove

ciò è significativamente minato dal degrado urbano, economico e sociale.

Parte prima Le politiche di sicurezza in Italia

Il dibattito sulle politiche per la sicurezza urbana, nel nostro Paese, è piuttosto recente, poiché si è

sviluppato, a partire dai primi anni ’90, con un forte ritardo rispetto ad altri paesi europei2

. Tuttavia, nel

caso italiano, si è rapidamente passati dalla enunciazione del tema alla sua drammatizzazione, in termini

di emergenzialità, con uno sviluppo che è stato riassunto sostanzialmente in tre fasi: la fase della

sensibilizzazione, durante la prima metà degli anni ’90; la fase dello sviluppo, nella seconda metà degli

anni ‘90, e la fase del consolidamento, in questi primi anni del millennio3.

Il processo di spostamento del bene pubblico sicurezza al livello del governo locale viene ricondotto a

due fattori correlati: da un lato, la trasformazione nei meccanismi di rappresentanza, avvenuta con

l’elezione diretta dei sindaci4; dall’altro, l’evoluzione della domanda stessa di sicurezza da parte dei

cittadini, indirizzata sempre più direttamente verso gli amministratori locali. Una richiesta di sicurezza, in

realtà assai articolata e complessa, che si estende, in un ventaglio di temi, dalla tutela dai fenomeni

criminali (microcriminalità), a tutta una serie di problematiche concernenti la vivibilità delle città e,

principalmente agli aspetti di precarietà, di incertezza, di degrado sociale, strettamente connessi, come

abbiamo visto, con la percezione di insicurezza dei cittadini. Tuttavia, in Italia, si incontra una certa

difficoltà nel dare conto di alcune importanti distinzioni, assai presenti nel dibattito scientifico, come

quella proposta da Bauman, che distingue tra la mancanza di sicurezza cognitiva legata alla crescente

perdita di intelligibilità e prevedibilità del sistema sociale (certainty), la mancanza di sicurezza personale

che riguarda noi, i nostri cari e le proprietà (safety) e la mancanza di sicurezza esistenziale che ci rende

più fragili e precari nel mercato del lavoro (security). Pertanto, nel nostro Paese, si è affermata una sorta

di associazione semantica tra sicurezza e fenomeni criminali, ovvero la declinazione del temine sicurezza

con una sola parte dell’insieme delle insicurezze: il rischio di essere vittima di un reato. Come, tra gli

altri, documenta ampiamente nelle sue ricerche il sociologo Diamanti, il sentimento di insicurezza allude

ad una molteplicità di fattori, tra cui certamente quelli criminologici ma anche, e soprattutto, quelli

economici, sociali, demografici e culturali. La sicurezza si afferma come nuovo diritto sociale, associato ai

nuovi problemi della qualità urbana e della convivenza civile nelle città, manifestando la sua relativa

indipendenza dai tassi di criminalità e viceversa la sua dipendenza, crescente, da

2

decennale nel caso della Francia e ventennale rispetto all’Inghilterra 3

Periodizzazione proposta da R. Selmini, Le politiche di sicurezza: origini, sviluppo e prospettive, in M. Barbagli (a cura di), Rapporto sulla criminalità inItalia, Istituto Cattaneo, Bologna, Il Mulino, 2003.

4

Legge 25 marzo 1993 n. 81, Elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale.

fattori economici, sociali, ambientali, e culturali.

1.1 Alcuni cenni sui caratteri delle politiche di sicurezza e prevenzione nelle città italiane

I pochi studi disponibili che hanno tentato di indagare empiricamente le politiche locali di sicurezza e il

loro sviluppo in questi anni recenti permettono la definizione di una sintetica tassonomia che distingue,

sostanzialmente, tra policy che si fondano su forme di prevenzione situazionale e politiche che si

imperniano su forme di prevenzione sociale. In realtà, benché i rispettivi obiettivi siano a volte

conflittuali tra loro, non di rado, le due strategie si sovrappongono nei piani operativi delle

amministrazioni. Nelle note che seguono, saranno brevemente presentate le diverse caratteristiche che

contrassegnano questi approcci di policy.

La prevenzione situazionale La prevenzione situazionale si attua attraverso misure preventive rivolte al

contesto fisico, al fine di ottenere una riduzione dei fenomeni criminosi, senza intervenire sulle cause

strutturali del fenomeno. Questo modello si basa sull’idea che la criminalità sia il frutto di diversi fattori

che favoriscono le attività criminose (assenza di controlli, caratteristiche fisiche dell’ambiente, abitudini e

stili di vita delle potenziali vittime) compiute da autori razionalmente motivati. Queste tipologie di

intervento comprendono azioni molto varie che possono distinguersi in:

・・ interventi che aumentano i rischi per il potenziale autore (tutte le misure di sorveglianza

orientate ai soggetti, ma anche agli oggetti);

・・ interventi che aumentano le difficoltà per il potenziale autore ed includono, ad esempio, l’utilizzo

di barriere fisiche, il controllo degli accessi, il controllo degli strumenti utilizzati per il reato, come

le armi o le carte di credito;

・・ interventi che riducono i vantaggi dell’attività criminosa o vandalica, come, ad esempio, i

meccanismi di identificazione dei beni (la registrazione dei motoveicoli) o le varie misure di

dissuasione del vandalismo (la riparazione rapida dei beni pubblici danneggiati);

・・ l’introduzione di norme e procedure che chiariscono i confini tra comportamenti accettabili

o no (le ordinanze sindacali). Le azioni di prevenzione situazionale sono molto diffuse nei

programmi di sicurezza delle città italiane. Le amministrazioni locali, in questi ultimi anni, hanno adottato

in modo crescente tali misure utilizzando, in particolar modo, due strumenti: la polizia municipale e le

ordinanze sindacali5. Negli ultimi anni, tra le tradizionali misure di prevenzione situazionale, si è

manifestata

L’Anci e la Fondazione Cittalia hanno promosso la realizzazione e l’implementazione di una Banca dati nazionale delle ordinanze

una rapida espansione della prevenzione tecnologica, o video-sorveglianza, che dalle grandi città tende a

diffondersi a macchia d’olio anche nei centri minori. Anche le misure di sorveglianza informale sono

presenti tra le attività implementate localmente, finalizzate soprattutto al controllo di zone particolari, o

di scuole, o del patrimonio pubblico e spesso, in questi casi, la sorveglianza è affidata a soggetti

particolari, come le associazioni di volontariato e agli istituti di vigilanza privata. La cosiddetta

sorveglianza naturale, che coincide con il miglioramento dell’illuminazione pubblica a fini preventivi,

viene segnalata come una delle tipologie più utilizzate. Tra le altre tipologie di intervento più affermate,

ci sono quelle mirate alla modificazione dell’ambiente fisico, in cui hanno un posto di rilievo il recupero

urbanistico e architettonico di aree urbane degradate e, in misura minore, invece, l’arredo urbano a fini

dissuasivi, come la chiusura di strade, le recinzioni.

La prevenzione sociale Le azioni di prevenzione sociale, fanno riferimento a quella tipologia di misure

preventive volte a eliminare o ridurre i fattori criminogeni. Questa strategia si fonda su una teoria

eziologica e si propone di intervenire sulle cause della devianza e della criminalità, ovvero sulla presenza

di disagio e sofferenza sociale. Molti autori enfatizzano come l’aspetto di sviluppo sociale sia a

fondamento di queste politiche, che hanno l’obiettivo di intervenire, agendo su una complessità dei

fattori, nelle situazioni di forte disuguaglianza, maggiormente responsabili della produzione di contesti e

di soggetti svantaggiati o vulnerabili. La prevenzione sociale non è spesso distinguibile come azione

specifica, ma indica una politica globale finalizzata al benessere sociale e che attraversa tutti i settori

delle politiche amministrative. E’ intesa come la combinazione di un’azione individuale rivolta ai soggetti

e un’azione sociale rivolta all’ambiente e alla comunità. Le tipologie di intervento rivolte ai soggetti,

comprendono da un lato le attività di inclusione sociale, dall’assistenza alla facilitazione della relazione

tra il deviante e la realtà sociale; le misure che rientrano in questa categoria sono, ad esempio, quelle

dirette ai gruppi potenzialmente più a rischio e, le azioni a sostegno delle vittime dei reati. Le tipologie

di intervento rivolte verso l’ambiente e la comunità, comprendono le politiche urbanistiche partecipate, la

promozione dell’accesso e la gestione dello spazio pubblico, le attività di rivitalizzazione degli spazi

pubblici e la mediazione dei conflitti. Tra gli interventi rivolti all’ambiente fisico e alla comunità vi sono

quelli relativi alla rivitalizzazione dello spazio pubblico e alla gestione e mediazione dei conflitti, finalizzati

a interrompere le dinamiche di abbandono dello spazio pubblico e ad incentivare la coesione e i legami

sociali in realtà urbane sempre più differenziate in pluralità di individui e gruppi, spesso con interessi in

conflitto tra loro, attivando

emesse dai Sindaci sul tema della sicurezza urbana in applicazione della legge 125/2008 e del Decreto del Ministro dell’Interno del 5 agosto 2009, attraverso la quale è possibile raccogliere indicazioni preziose sui problemi in materia

funzioni di mediazione per le relazioni personali e sociali nel territorio. Il modello italiano si caratterizza

quindi come un modello misto, anche se con una prevalenza della prevenzione situazionale,

generalmente il più adottato dagli enti locali, anche se non mancano, in particolare in talune regioni del

Centro-nord, esperienze assai avanzate di prevenzione sociale. In un numero crescente di casi, i

programmi sulla sicurezza delle città presentano un carattere complesso, con l’integrazione di interventi

di diversa natura, ma sono ancora molto frequenti gli interventi su problemi o luoghi particolari della

città, scarsamente integrati tra loro e mancanti di una cornice complessiva. Ma, come si diceva all’inizio

di questa nota, l’assenza di studi, ricerche sistematiche ed analisi focalizzate sulle azioni volte alla

prevenzione e sicurezza nelle città, limita fortemente la possibilità di rappresentare gli orientamenti delle

politiche fin qui realizzate e le stesse dinamiche di trasformazione.

1.2 L’evoluzione delle politiche della sicurezza

Il tema della definizione di politiche di sicurezza locale si manifesta attorno alla metà degli anni ’90,

allorquando la questione sicurezza diventa oggetto della competizione istituzionale, nel processo di

allargamento delle competenze e delle responsabilità del sistema delle autonomie locali. Con

dell’elezione diretta del sindaco prende forma una nuova figura di referente prioritario6 che attrae su di

sé domande e tensioni sociali che si coagulano attorno al tema della sicurezza della città. Ciò ha

indubbiamente determinato l’avvio di interventi, in materia di sicurezza urbana, destinati ad affiancare gli

strumenti tradizionali di garanzia della sicurezza pubblica, che sono prerogativa delle le forze di polizia.

In pochissimi anni si è verificata una forte espansione della programmazione locale di politiche di

sicurezza, soprattutto nelle regioni del Centro-nord, ed in particolare in Emilia Romagna, con l’esperienza

illuminate del progetto Città sicure, fortemente orientato all’ integrazione degli obiettivi di sicurezza nelle

politiche pubbliche locali. Il processo di definizione delle politiche locali di sicurezza si può distinguere,

sostanzialmente, in quattro7

fasi. La prima fase, che va dal 1994 al 1998, si caratterizza per un

protagonismo crescente delle città e la rivendicazione, da parte dei sindaci, di un ruolo più diretto ed

incisivo nel governo della sicurezza delle città. Alla richiesta dei sindaci di poter indicare priorità di

intervento alle autorità di pubblica sicurezza, indirizzando l’impiego delle polizie locali nell’attività di

contrasto e repressione della microcriminalità, il Ministero dell’Interno ha risposto, sostanzialmente,

riaffermando il proprio monopolio sul governo della sicurezza. Alla fine degli anni ’90 si apre una

seconda fase, caratterizzata dalla negoziazione tra i due livelli di governo della sicurezza, che vede

sindaci e

6

la definizione è di Monia Giovanetti, autrice del Cap 4 della ricerca di Cittalia-Fondazione anci ricerche a titolo “Oltre le ordinanze i sindaci e la sicurezza urbana. (Roma marzo 2009) cui è ampiamente riferita questa parte.

7

la partizione proposta da Monia Giovanetti

prefetti confrontarsi e consultarsi sui problemi legati a questo tema e sulle misure da adottare. Ha così

inizio la stagione dei protocolli d’intesa e dei contratti di sicurezza8

, stipulati tra comuni e prefetture, il cui

obiettivo è la “sperimentazione di nuove modalità di relazione finalizzate alla realizzazione di iniziative

coordinate per un governo complessivo della sicurezza delle città”9

. In questi contratti, nonostante si sia

cercato di migliorarne l’operatività e di definire meglio gli impegni dei diversi attori istituzionali, permane

tuttavia un’impostazione essenzialmente volta a regolamentare le forme della collaborazione, piuttosto

che ad avviare attività congiunte e progetti operativi. Tra il 2000 e il 2005, si avvia una terza fase delle

politiche locali di sicurezza, quella dell’incontro mancato10

tra governo centrale ed esperienze locali, in

cui non si è raggiunto l’obiettivo, atteso dai Sindaci, di definire una normativa nazionale, volta a

promuovere una politica di governo della sicurezza a livello locale, attraverso una vera e propria riforma

delle polizie nazionali e locali. Il modello di sicurezza nazionale rimane centralistico, fondato sugli

apparati di sicurezza nazionali e sul carattere deterrente delle norme di diritto penale11

. A fronte di un

quadro normativo nazionale, in cui non trova idoneo riconoscimento il ruolo istituzionale degli enti locali

nel governo della sicurezza, le Regioni, che assolvendo a quel ruolo che nel resto d’Europa viene assunto

dai governi, intervengono a sostenere i governi locali nella promozione di nuove politiche di sicurezza

urbana, con proprie disposizioni normative assegnano risorse finanziarie, programmatiche ed

organizzative12

. A partire dalle nuove ed esclusive prerogative del governo regionale e dei comuni sulla

polizia amministrativa locale, e dal principio della sussidiarietà sia verticale che orizzontale, si avvia una

fase di integrazione istituzionale. Nel testo di riforma viene confermata in capo allo Stato la competenza

esclusiva in materia di ordine e sicurezza pubblica, ma trasferita la stessa competenza esclusiva alle

Regioni in materia di polizia locale. Dopo un quinquennio segnato da una situazione di mancato incontro

nei rapporti tra governo centrale e autonomie locali, negli ultimi anni, di pari passo con il ciclico

riemergere dell’attenzione pubblica nei confronti della criminalità, gli enti locali assumono un nuovo ruolo

segnando una nuova fase di forte attivazione, in un clima connotato dall’emergenzialità. Di grande

rilievo, nel processo che porta, dopo le iniziali difficoltà, a definire un ruolo attivo dei sindaci nella

definizione di politiche della sicurezza, è l’intesa tra il Ministero dell’Interno ed i sindaci delle città

metropolitane,

8

Il riferimento è all’esperienza francese dei Contrats Locaux de Sécurité (CLS) 9

Si veda il Protocollo d’intesa tra la Prefettura di Modena ed il comune di Modena, sottoscritto il 9 febbraio 1998. Dopo un boom che ha seguito la stesura del primo protocollo (risalgono infatti al 1998 48 protocolli), negli anni seguenti la tendenza è stata alla stabilità, con una ventina di protocolli stipulati per anno; tutto questo fino al 2002, quando vi è stata una nuova esplosione del fenomeno (con ben 65 protocolli siglati in quello stesso anno), cui è però seguito un netto calo, confermato anche dalle tendenze del 2004. I protocolli firmati dal 1998 fino al 2004, raccolti dal Dipartimento per la Pubblica Sicurezza, sono stati 194. Mentre da una relazione del Servizio studi della Camera, apprendiamo che gli strumenti pattizi, con varia denominazione, attivati dal 97 al 2006 risultavano essere circa 400

10

Braccesi C., 2005. 11

Dalla legge di riforma dell’Arma dei Carabinieri, alla campagna incentrata sulla certezza e sull’inasprimento delle pene detentive per i reati predatori, formalizzata, nel 2000, dal varo del primissimo pacchetto sicurezza, alle operazioni volte alla repressione di fenomeni di degrado dello spazio pubblico legati ai mercati illegali o con il ripristino del pattugliamento a piedi di aree cittadine.

12

Ciò è reso possibile dalla Riforma del Titolo V della Costituzione, dalla quale si avvia una nuova interpretazione del ruolo delle autonomie locali sulla sicurezza.

finalizzata a definire un Patto per la sicurezza in ciascuna città nella quale vengano previste risorse

organizzative e finanziarie e la costituzione di un gruppo di lavoro congiunto Governo-città

metropolitane, per definire le innovazioni legislative finalizzate a sostenere queste intese. Nella legge

finanziaria per il 2007 viene inserita13

la base normativa per la stipula di strumenti di collaborazione tra

Stato ed Enti territoriali nel campo della sicurezza, autorizzando i prefetti a stipulare convenzioni con le

regioni e gli enti locali per realizzare programmi straordinari per incrementare i servizi di polizia per la

tutela della sicurezza dei cittadini, accedendo alle risorse logistiche, strumentali o finanziarie che le

Regioni e gli enti locali intendono destinare. Sono emblematici di questa nuova fase, la sigla dell’Accordo

Quadro Patto per la sicurezza, del 20 marzo 2007, tra il Ministero dell’Interno e l’Anci, che coinvolge tutti

i comuni italiani, invitati a realizzare progetti a favore della sicurezza, cui seguirà, seguirà il 13 settembre

2008, la sottoscrizione di un analogo accordo per la sicurezza nei piccoli comuni. Queste iniziative

apriranno la strada alla definizione ed alla sottoscrizione di una serie di patti per la sicurezza di nuova

generazione. Questa nuova fase si contraddistingue, soprattutto, per l’approvazione di una serie di

normative, variamente ridefinite come pacchetto sicurezza ed, in particolare, con la Legge 24 luglio

2008, n. 125, a seguito di un travagliato iter legislativo. Le innovazioni introdotte sono numerose ed

incidono, in modo significativo, non solo su aspetti settoriali legati a situazioni specifiche, ma sul ruolo

stesso delle amministrazioni locali, fornendo loro nuovi poteri in materia di sicurezza urbana ed una

maggiore cooperazione tra le Polizie locali e le Forze dell’ordine. Nel testo è contemplata la parte relativa

ai nuovi poteri di ordinanza14

, riconosciuti ai sindaci sui temi che riguardano l’incolumità pubblica

secondo i quali il sindaco “potrà adottare provvedimenti contingibili e urgenti nei casi in cui si renda

necessario prevenire ed eliminare gravi pericoli non solo per l'incolumità pubblica ma anche per la

sicurezza urbana.” Tali ambiti tematici sono stati successivamente definiti nel decreto del Ministero

dell'Interno del 5 agosto 2008 (Incolumità pubblica e sicurezza urbana: definizione e ambiti di

applicazione), con il quale si è ulteriormente specificato l’ambito oggettivo dell’intervento sindacale,

chiarendo come per incolumità pubblica si debba intendere “l’integrità fisica della popolazione e per

sicurezza urbana un bene pubblico da tutelare attraverso attività poste a difesa, nell’ambito delle

comunità locali, del rispetto delle norme che regolano la vita civile, per migliorare le condizioni di

vivibilità nei centri urbani, la convivenza civile e la coesione sociale”. Nell’art. 2 dello stesso decreto

ministeriale, vengono inoltre elencati i campi di intervento del sindaco che interviene per prevenire e

contrastare le situazioni urbane di degrado o di isolamento, che favoriscono l’insorgere di fenomeni

criminosi, quali lo spaccio di stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione, l’accattonaggio con

impiego di minori e disabili e i fenomeni di violenza legati anche all'abuso di alcool; le situazioni in cui si

verificano comportamenti quali il danneggiamento al

13

Nel comma 439 dell’art. 1 14

L. 125/2008 art 6

patrimonio pubblico e privato o che ne impediscono la fruibilità e determinano lo scadimento della

qualità urbana. Il sindaco interviene altresì in situazioni di incuria, degrado e di occupazione abusiva di

immobili, tali da favorire le situazioni indicate ai punti precedenti, nonché in tutte quelle situazioni che

costituiscano intralcio alla pubblica viabilità o che alterino il decoro urbano, in particolare quelle di

abusivismo commerciale e di illecita occupazione di suolo pubblico. Infine, il potere di intervento dei

sindaci, si estende a tutti quei comportamenti che, come la prostituzione su strada o l'accattonaggio

molesto, possano offendere la pubblica decenza anche per le modalità con cui si manifestino, ovvero

siano in grado di turbare gravemente il libero utilizzo degli spazi pubblici o la fruizione cui sono destinati

o che rendano difficoltoso o pericoloso l'accesso ad essi. Il potere di ordinanza dei sindaci risulta,

pertanto, particolarmente incisivo, consentendo loro di disporre, anche in deroga a norme di legge, con

il solo limite rappresentato dal rispetto dei precetti costituzionali e dei principi generali dell’ordinamento,

con il rischio di un incontrollato proliferare di ordinanze, normative, divieti e provvedimenti locali a

contenuto variegato ed eterogeneo. Nello stesso articolo 6 della Legge 125/2008, al sindaco è attribuita

la prerogativa di segnalare alle autorità competenti la condizione di irregolarità dei cittadini stranieri per

l’eventuale adozione di provvedimenti di espulsione. Tra le altre materie, previste nel pacchetto

sicurezza, rientra il Piano per l’impiego del personale delle Forze Armate nel controllo del territorio, che

definisce l’impiego dei militari con poteri di polizia nelle città.15

Il personale delle Forze armate agisce con

le funzioni di agente di pubblica sicurezza e può procedere alla identificazione ed all’ immediata

perquisizione sul posto di persone e mezzi di trasporto, anche al fine di impedire comportamenti che

possono mettere in pericolo l’incolumità di persone o la sicurezza dei luoghi vigilati. Tra gli altri

provvedimenti definiti nell’ultimo biennio rientra, inoltre, la definizione di una più ampia collaborazione

tra Polizia Municipale e Polizia di Stato: viene infatti prevista la partecipazione della polizia locale ai piani

coordinati di controllo del territorio16

, anche per i servizi di prevenzione e repressione dei reati nelle

situazioni di flagranza e l’estensione alla polizia municipale della facoltà di accesso diretto alle banche

dati del CED interforze del Dipartimento della Pubblica sicurezza, per i veicoli rubati e rinvenuti e per i

documenti di identità rubati o smarriti17

. Da ultimo, giova ricordare come i comuni possono utilizzare

sistemi di video-sorveglianza in luoghi pubblici o aperti al pubblico per tutelare la sicurezza urbana18

e

come effetto della Legge 94/2009 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica) il sindaco può avvalersi,

per il presidio del territorio, di associazioni di cittadini non armati19

, le cosiddette ronde, iscritti in un

apposito elenco prefettizio20

.

15

l’impiego dei militari è stato successivamente prorogato dal decreto firmato il 3 agosto 2009 dal Ministro dell’Interno 16

Legge 125/2008 art. 7 17

Legge 125/2008 art. 8 18

Legge 38/2009 art. 6 19

Legge 94/2009 art. 3 co. 40 20

Il Decreto del Ministro dell’Interno 8 agosto 2009 ha definito gli ambiti operativi di dette associazioni

1.3 I patti per la sicurezza

L’introduzione di una specifica disciplina degli strumenti pattizi per il governo della sicurezza locale, risale

ai primi anni ’9021

con la possibilità di realizzare, a livello provinciale, secondo le direttive emanate dal

Ministro dell'Interno, piani coordinati di controllo del territorio da attuarsi a cura dei competenti uffici

della Polizia di Stato e dei comandi provinciali dell'Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, ai

quali possono partecipare, previa richiesta al sindaco, contingenti dei corpi o servizi di polizia municipale.

Tale orientamento si ritrova successivamente22

nell’esperienza della sottoscrizione di specifici protocolli di

intesa, i Protocolli di legalità, stipulati nella seconda metà degli anni ’90, nell’ambito dei Patti Territoriali

e dei Contratti d’Area, con il coinvolgimento degli organi istituzionalmente preposti alla tutela dell'ordine

e della sicurezza pubblica, al fine di conseguire gli obiettivi di rafforzamento delle condizioni di sicurezza

a sostegno dello sviluppo locale.23

La necessità di garantire un coordinamento delle iniziative che si sono

susseguite nel tempo, ha spinto il legislatore ad estendere l’utilizzo dei piani coordinati di controllo del

territorio anche ai maggiori centri urbani, prevedendone l’attivazione nell’ambito di specifiche intese con

i sindaci24

. Tale prerogativa è stata successivamente25

estesa, per specifiche esigenze, anche ai comuni

di minori dimensioni, determinando rapporti di reciproca collaborazione fra i contingenti di personale

della polizia municipale e provinciale e gli organi di Polizia dello Stato. Nel tempo si è quindi manifestato

un crescente utilizzo, a livello locale, degli strumenti pattizi tanto che, complessivamente, alla fine del

2009, risultavano essere state attivate circa 400 intese, sia pure con varia denominazione e in molti casi

non riconducibili ad un modello unitario. Considerando i soli accordi centrati sulle problematiche della

sicurezza urbana, la primogenitura spetta al protocollo d’intesa, relativo alla città di Modena, del 1998.

Da allora molti patti sono stati sottoscritti, fino ad arrivare ai testi che connotano l’ultima fase, apertasi,

nel 2006, con la sottoscrizione del Patto per la Sicurezza di Napoli e provincia.

1.3.1 I Patti per la sicurezza di ultima generazione

La nuova stagione dei Patti per la sicurezza ha origine nel 2006, a seguito della richiesta da parte di

alcuni sindaci di un intervento del governo centrale che ha portato l’allora Ministro dell’Interno Amato,

ad impegnarsi a firmare accordi con tutte le città metropolitane. I soggetti delegati a definire i singoli

patti, sono i sindaci e i prefetti di queste realtà, mentre le Regioni e le Province,

21

L’art. 12, comma 8, del d.l. n. 152 del 1991 convertito in legge n. 203 del 1991 22

Deliberazione CIPE del 21 marzo 1997 23

Oltre 60 protocolli di legalità, strumenti di sicurezza partecipata utilizzati soprattutto nel Mezzogiorno, prevalentemente finalizzati a prevenire le ingerenza della criminalità organizzata nelle attività produttive.

24

Art. 17, comma 1, l. n. 128 del 2001 25

Legge n. 125 del 2008

sono chiamate unicamente a mettere a disposizione risorse, da utilizzarsi prioritariamente per rinnovare

le obsolete dotazioni strumentali delle forze di polizia nazionali. Successivamente, nel marzo 2007, viene

stipulata un’intesa tra il Ministero dell’Interno e l’Anci, che costituirà l’accordo quadro di riferimento per

sviluppare accordi locali, nel quadro di un rapporto di sussidiarietà tra gli organismi statali e gli enti locali

e territoriali. Il Patto per la sicurezza tra ANCI e Ministero dell’Interno pone preliminarmente alcuni

principi di carattere generale: la sicurezza è un diritto primario dei cittadini da garantire e vi è l’esigenza

che tale diritto sia assicurato nel modo migliore e più pieno non soltanto in relazione ai fenomeni di

criminalità organizzata, ma anche in rapporto a quelli di criminalità diffusa incidenti sul territorio e, più in

generale, a quelli dell’illegalità. Il patto, inoltre, fissa alcune linee di indirizzo per sviluppare gli accordi e

le iniziative congiunte, da realizzarsi in collaborazione tra gli enti locali e il Ministero dell’Interno, tra le

quali si rilevano: ・・la promozione di un rapporto di collaborazione tra i prefetti ed i sindaci per un più intenso ed

integrato processo conoscitivo delle problematiche emergenti sul territorio; ・・l’attivazione di

iniziative di prevenzione sociale mirate alla riqualificazione del tessuto urbano, al recupero del

degrado ambientale e delle situazioni di disagio sociale;

・・ iniziative per il reclutamento, la formazione e l’aggiornamento professionale del personale dei corpi di polizia

municipale e di altri operatori della sicurezza, nell’ottica di un innalzamento dei livelli di professionalità, creando così le

condizioni per un’integrazione tra gli operatori nel quadro delle iniziative in tema di “sicurezza diffusa”, con possibile

organizzazione di “pattuglie miste”;

・・la realizzazione di forme di inter-operabilità tra le sale operative delle forze di polizia e quelle delle

polizie municipali e promozione della collaborazione dei rispettivi sistemi informativi; ・・la

promozione e il potenziamento degli apparati di videosorveglianza.

L’analisi dei numerosi patti per la sicurezza, sottoscritti nell’anno successivo all’entrata in vigore della

finanziaria per il 2007, ha spinto il Ministro dell’Interno, all’inizio del 2008, a definire una messa a punto

del sistema pattizio sotto il profilo contenutistico, individuando una sorta di piattaforma comune a tutti

gli accordi, sulla quale innestare le specifiche esigenze locali. La direttiva ministeriale si pone l’obiettivo

soprattutto di far fronte ad alcune debolezze che hanno caratterizzato i patti sottoscritti con regioni ed

enti locali: un’impostazione più di intenti che operativa, la problematica attuabilità degli impegni assunti

e l’insufficienza del sistema di monitoraggio dell’attuazione degli accordi. Le soluzioni a questi aspetti

problematici sono individuate in delle linee guida che prevedono:

・・la costituzione di una “cabina di regia” sul territorio, coordinata dalla Prefettura – UTG; ・・la promozione di iniziative di

formazione e aggiornamento professionale congiunto del personale delle forze di

polizia e del personale di polizia locale; ・・un più intenso scambio informativo tra prefetture ed amministrazioni

territoriali; ・・una “collaborazione tecnologica”; ・・l’utilizzo di aliquote della Forza di Intervento Rapido; ・・l’aggiornamento e

lo sviluppo dei sistemi di video-sorveglianza; ・・ l’accelerazione delle procedure di acquisizione delle risorse finanziarie concordate nei patti;

・・ interventi progettuali a favore delle amministrazioni pubbliche ricadenti nelle Regioni Convergenza;

・・ l’adozione dello strumento della “Stazione Unica Appaltante”;

・・ la promozione di politiche e di interventi sul piano della prevenzione sociale;

・・ la promozione di intese locali per la riqualificazione dello spazio urbano;

・・ la previsione di una verifica semestrale dell’attuazione dei patti a cura di un “Osservatorio Nazionale delle

Politiche di Sicurezza Integrate”.

Nell’analisi delle attività previste nei patti per la sicurezza, è possibile individuare tre aree di attività che

corrispondono, rispettivamente, ad interventi che rientrano nella competenza dello Stato, ovvero gli

interventi che interessano le forze di polizia statale; ad attività che possono essere realizzate

congiuntamente tra stato ed enti locali, come le attività di contrasto dei fenomeni di illegalità diffusa; a

progetti di competenza delle autonomie locali riguardanti le azioni per la riqualificazione dell’ambiente

urbano e le politiche di intervento sociale. Gli interventi riferiti alle forze di polizia statale riguardano

principalmente l’incremento di uomini e mezzi, l’analisi e la mappatura dei presidi presenti sul territorio

ed un eventuale loro riordino, l’impiego della Forza di Intervento Rapido, e i compiti del

poliziotto/carabiniere di quartiere. Nella maggior parte dei patti, è previsto un ampliamento degli

organici delle forze dell’ordine (polizia di stato e dei carabinieri) esteso, in alcuni casi, anche alla guardia

di finanza per il contrasto e la repressione dei reati di contraffazione e commercio abusivo26

. Nei patti, la

previsione della possibilità di impiego della forza di intervento rapido, sembra costituire una forma di

protezione che gli enti territoriali vogliono garantirsi qualora non riescano a far fronte ad un aggravarsi

dei problemi concernenti la sicurezza locale. La sottoscrizione dei patti ha offerto l’occasione per

ridefinire il ruolo del poliziotto e del carabiniere di quartiere, figura inizialmente introdotta con funzioni di

relazione e di collaborazione con i cittadini, cui vengono attribuiti compiti più operativi, prevedendo il

coordinamento con le unità mobili e l’utilizzo di strumenti tecnologici. Nei patti per la sicurezza sono

previsti una molteplicità di interventi, perlopiù di pertinenza delle amministrazioni locali, che possono

schematicamente essere suddivisi tra attività di contrasto dei fenomeni di illegalità diffusa, interventi

finalizzati alla riqualificazione dell’ambiente urbano e all’attuazione di politiche sociali. Alle attività di

contrasto dei fenomeni di illegalità diffusa, possono essere ricondotti gli interventi repressivi contro il

commercio abusivo e la contraffazione, i controlli sulla prostituzione, gli sgomberi di immobili occupati

abusivamente, le azioni per la sicurezza sul lavoro e di contrasto al lavoro nero; attività che sono

destinate ad essere svolte dalla polizia municipale in collaborazione con le forze di polizia statale. Pur se

gli interventi di riqualificazione urbana non producono lo

26

Vicenza, Modena e Siena costituiscono casi anomali. Non viene pattuito alcun incremento delle forze di polizia, né alcuna modifica dei compiti del poliziotto/carabiniere di quartiere. Queste città hanno, infatti, rivolto l’attenzione soprattutto agli interventi a carattere sociale, trascurando gli aspetti riguardanti le forze di polizia statale.

stesso impatto emotivo nella cittadinanza, prodotto dall’aumento delle forze di polizia o dall’utilizzo delle

telecamere per la videosorveglianza, sono numerosi i patti che individuano progetti ed interventi

finalizzati alla riqualificazione dell’ambiente urbano che permettono di migliorare la vivibilità del territorio

e la qualità della vita delle comunità con interventi per il recupero di aree urbane degradate, parchi ed

aree verdi, e per l’illuminazione pubblica. Va osservato che, ad un primo esame dei testi, i patti per la

sicurezza di più recente sottoscrizione, si caratterizzano per un affievolimento dell’approccio sociale a

favore di strumenti tipici della prevenzione situazionale, qual è, in primo luogo, il massiccio ricorso alle

video-sorveglianza degli spazi pubblici”27

. Di tutt’altro segno, rispetto alla genericità degli interventi sul

contesto sociale e ambientale, l’attenzione rivolta all’incremento dei sistemi di video-sorveglianza nelle

zone urbane più a rischio o ad alta frequentazione pubblica (parchi, scuole, mezzi pubblici), evidenziato

in tutti i documenti pattizi. L’ampio risalto attribuito a tali interventi, anche in termini finanziari, sembra

rispondere, in primo luogo, alla necessità delle istituzioni locali di dare una risposta immediata, ed

evidente, alla richiesta di sicurezza da parte della cittadinanza. Nei testi recentemente sottoscritti,

emerge una marcata accentuazione dell’orientamento delle attività di controllo verso i fenomeni visibili,

ma non criminali, generatori del sentimento di insicurezza: le inciviltà, le scritte sui muri, gli interventi

sulle problematiche dei campi nomadi, ma anche il contrasto dell’abusivismo commerciale (ambulante);

tutto ciò, ovviamente, supportato dall’aumento delle forze di polizia: una risposta immediata e subito

evidente alle richieste di sicurezza. Purtroppo la mancanza di dati sull’attuazione dei patti non consente

di valutare, al di là degli intendimenti, quanto è stato fatto e, soprattutto gli effetti di tali interventi. A

marzo 2010 sono stati siglati 38 patti per la sicurezza e, tranne Palermo, tutti i sindaci delle aree

metropolitane, che avevano sottoscritto l’accordo del 2007 con il Ministro dell’Interno, hanno concluso

uno specifico patto locale per la sicurezza28

. In alcuni casi il patto è stato sottoscritto solo dal comune

capoluogo di provincia, in altri casi il comune capoluogo è stato affiancato dalla Provincia e da altri

comuni dell’area mentre in altri casi il patto è stato concluso da comune, provincia e regione. Non sono,

tuttavia, mancati casi in cui il patto è stato stipulato da un comune non capoluogo di provincia o da

un’unione di comuni o, ancora, dai comuni di un’area omogenea e la provincia o tra enti appartenenti a

più regioni. Il ricorso allo strumento consensuale sembra prevalere soprattutto nelle aree ad intensa

urbanizzazione, con una maggiore partecipazione delle realtà territoriali del centro e nord Italia, mentre

non appare legato alla presenza sul territorio di organizzazioni criminali.

27

L’espressione è contenuta nel Patto per Milano sicura, mentre la Forza di intervento rapido è prevista anche dal Patto per Roma sicurae dal Patto per Torino sicura.

28

il primo 18 maggio 2007 e il secondo il 29 luglio 2008.

Tabella 1

I Patti per la sicurezza di ultima generazione

Patto per la sicurezza della provincia di Venezia 15 marzo 2010

Patto per la sicurezza di San Benedetto del Tronto (AP) 2 marzo 2010

Patto per Monza sicura 3 febbraio 2010

Patto per Prato sicura 26 gennaio 2010

Patto per Asti sicura 6 novembre 2009

Patto per Latina sicura 16 luglio 2009

Patto per la Provincia di Pordenone sicura 2 luglio 2009

Patto di sicurezza per la provincia di Trapani 25 giugno 2009

Patto per la sicurezza del comune e della provincia di Padova 15 aprile 2009

Patto per la sicurezza dell'Area del Lago di Garda 20 marzo 2009

Sicurezza urbana e territoriale nella Regione del Veneto 16 marzo 2009

Patto territoriale per la sicurezza della Spezia 26 gennaio 2009

Patto per la sicurezza di Varese 1° dicembre 2008

Patto per la sicurezza di Busto Arsizio 1° dicembre 2008

Patto per la sicurezza di Gallarate 1° dicembre 2008

Patto locale di sicurezza urbana Area “Bassa Comasca” 12 novembre 2008

Protocollo per la sicurezza della città di Foggia 6 novembre 2008 Protocollo sicurezza urbana, Prefettura di Ancona - Unione dei Comuni Media Vallesina 14 ottobre 2008

Patto per la sicurezza per Fara in Sabina 16 settembre 2008

Patti per la sicurezza nei Piccoli Comuni. 13 settembre 2008

Patto per la sicurezza area Mariano Comense 5 agosto 2008

Secondo Patto per Roma sicura 29 luglio 2008

Patto per Brescia sicura 28 luglio 2008

Patto per la sicurezza di Siena 17 giugno 2008

Patto per Como sicura 10 giugno 2008

Patto per Perugia sicura 10 marzo 2008

Patto per Asti sicura 17 dicembre 2007

Patto per la sicurezza di Vicenza 13 novembre 2007

Patto per Prato sicura 31 luglio 2007

Patto per Firenze sicura 19 luglio 2007

Patto per Modena sicura 18 luglio 2007

Patto per Venezia sicura 18 luglio 2007

Intesa per la sicurezza nell'area metropolitana di Bologna 19 giugno 2007

Patto per Bologna sicura 19 giugno 2007

Bari, protocollo sull'utilizzo dei beni immobili confiscati alla criminalità 18 giugno 2007

Patto per Bari sicura 18 giugno 2007

Patto per Genova sicura 14 giugno 2007

Patto per Catania sicura 11 giugno 2007

Patto per Cagliari sicura 11 giugno 2007

Patto per Torino sicura 22 maggio 2007

Patto per Milano sicura 18 maggio 2007 Patto per Roma sicura 18 maggio 2007

Protocollo tra Ministero dell'Interno e Friuli Venezia Giulia 27 marzo 2007 Patto Calabria sicura 16 febbraio 2007

Il Patto per la sicurezza di Napoli e provincia 3 novembre 2006

Fonte: Ministero dell’Interno 1.4 I Patti per la sicurezza nelle tre aree metropolitane del Mezzogiorno

Diverso il destino delle tra aree metropolitane nella nuova stagione dei patti per la sicurezza che si è

inaugurata a Napoli, con la firma, il 3 novembre 2006, del “Patto per la sicurezza di Napoli e della

provincia”. Bari è stata tra le prima aree metropolitane a sviluppare un patto, denominato “Patto per Bari

sicura”, siglato il 18 giugno 2007, unitamente alla definizione di un protocollo sull'utilizzo dei beni

immobili confiscati alla criminalità, mentre, fino ad oggi, Palermo rimane l’unica area metropolitana a

non aver definito un patto di sicurezza. Ciò premesso, giova, in breve, richiamare i contenuti delle intese

sottoscritte a Napoli e Bari, due testi assai diversi tra loro, con una declinazione assai più ampia ed

articolata di interventi di diversa natura nell’intesa barese, a fronte di una prevalente focalizzazione sul

rafforzamento e la riorganizzazione dell’attività di controllo del territorio, che connota il Patto per la

sicurezza di Napoli.

1.4.1. Il Patto per la sicurezza di Napoli e delle città della provincia

Il Patto per la sicurezza di Napoli e delle città della provincia, è stato sottoscritto il 3 novembre 2006 dal

Ministero dell’Interno, dal Comune di Napoli, dalla Provincia di Napoli e dalla Regione Campania. Gli

obiettivi del Patto per la sicurezza di Napoli e delle città della provincia per sono sintetizzabili nell’intento

di garantire la sicurezza dei cittadini, sostanzialmente, attraverso: il rafforzamento e la riorganizzazione

permanente dell’attività di controllo del territorio e di quella investigativa; una maggiore collaborazione

tra tutte le istituzioni interessate, anche a livello finanziario; progetti di qualificazione urbana,

dall’illuminazione alla video-sorveglianza. Il Patto prevede, pertanto, una serie di interventi organizzativi

di pertinenza della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, cui si associano

alcuni progetti di pertinenza della Regione Campania, della Provincia e del Comune di Napoli. In primo

luogo, come elemento caratterizzante, il patto di Napoli prevede un aumento considerevole degli

organici delle Forze di Polizia, nell’ordine del migliaio di unità. In particolare viene previsto un

incremento di 250 uomini della Polizia di Stato, destinati soprattutto al controllo del territorio; ad essi, si

aggiungono 274 Carabinieri, di cui 125 per il controllo del territorio e 149 per l'attività investigativa, 70

uomini della Guardia di Finanza con compiti investigativi e 30 del Corpo Forestale. Nel testo è, inoltre,

istituita una forza di intervento rapida per operazioni straordinarie, composta da 200 poliziotti e

altrettanti carabinieri che, in caso di necessità, saranno inviati da fuori città per operazioni mirate.

Complementare all’incremento degli organici delle Forze di Polizia, l’intesa prevede una sostanziale

riorganizzazione dei servizi, destinata a produrre un aumento dell’attività diretta di controllo del

territorio. In città il patto prevede l’aumento di 79 pattuglie della Polizia di Stato, che prevede un

rafforzamento del dispiegamento in Provincia con altre 39 unità; ad esse si aggiungono 18 pattuglie

motociclistiche. In altri termini, le pattuglie della Polizia di Stato impegnate nel controllo del territorio

passeranno da 92 a 142, con un aumento di oltre il 50% delle unità. L’Arma dei Carabinieri, prevede un

incremento di 29 pattuglie in città e 39 in provincia. Il sistema dei presidi sarà ristrutturato per garantire

un controllo integrato del territorio, liberando nello stesso tempo uomini per compiti operativi. In

particolare, il sistema dei commissariati della Polizia di Stato, sarà modificato prevedendo l'istituzione di

10 distretti di Polizia e la trasformazione dei vecchi commissariati in presidi più agili; sarà quindi possibile

spostare 100 uomini dalle scrivanie al controllo del territorio e mettere in strada 50 pattuglie in più.

Saranno potenziati gli attuali presidi dei Carabinieri su tutta l'area e sarà istituito un nuovo reparto

territoriale nell'area sud-est del territorio provinciale, con sede, probabilmente a Torre Annunziata. Il

Patto per la sicurezza di Napoli prevede lo sblocco del progetto della Cittadella della Polizia, il centro

polifunzionale della Polizia di Stato, che dovrebbe sorgere nell'area dell'ex manifattura Tabacchi.

Conseguentemente all’aumento di uomini e servizi, il Patto prevede un adeguamento dei mezzi a

disposizione delle Forze dell’ordine. In particolare, per la Polizia di Stato, sono previsti 34 veicoli destinati

al Reparto di intervento stradale, e 70 motoveicoli destinati alla Squadra di controllo degli itinerari

turistici. I Carabinieri avranno invece 100 nuovi mezzi di varia tipologia con dotazioni informatiche. Il

relativo finanziamento di 1 milione 575 mila euro, avverrà con fondi delle istituzioni locali. Per la Guardia

di Finanza, infine, sono previste 35 nuove autovetture, ai cui costi concorrerà la Regione con un milione

di euro. Il Patto prevede due attività innovative con l’istituzione del Reparto di Intervento della Polizia

Stradale di Napoli (RIPS) e della SCIT, acronimo di Squadra di controllo degli itinerari turistici. Il RIPS è

stato formato con lo specifico compito di pattugliare la tangenziale, la Napoli-Castellammare, il tratto

finale della Roma-Napoli ed i raccordi autostradali, con un organico di 52 uomini e disporrà di 34 veicoli,

in modo da consentire l'impiego giornaliero di 12 pattuglie. La SCIT risponde alla necessità di

contrastare i fenomeni criminali nelle aree cittadine a forte vocazione turistica e in quelle più soggette a

scippi. L'organico sarà di 150 unità, garantendo dalle sette all'una di notte, 20 pattuglie per turno. La

Squadra sarà dotata di 70 motoveicoli, che si aggiungono a quelli della sezione Nibbio. Tra gli interventi

di pertinenza delle Forze dell’ordine, vi è il potenziamento dell'attività investigativa dei carabinieri contro

i reati ambientali, in particolare per il ciclo dei rifiuti, anche attraverso il potenziamento degli organici (50

unità) impegnati nell’azione di contrasto. Settanta uomini verranno ulteriormente impiegati dalla Guardia

di Finanza contro l'infiltrazione delle gang malavitose nell'economia legale; con la previsione di un Piano

Speciale per aggredire i patrimoni di membri di organizzazioni criminali arricchitisi illecitamente ed una

task force contro la contraffazione, con particolare attenzione all'area del porto. I beni confiscati

verranno riutilizzati, attraverso il rilancio del progetto "Nuovi percorsi Polis", in base ad un programma

alimentato da fondi del Ministero dell'Interno e della Regione Campania; verrà altresì rinforzato il

progetto "Sole" della provincia e dei relativi comuni. Una seconda direttrice di attività, che ha centralità

assoluta nelle linee di azione previste dal Patto per Napoli sicura, è lo sviluppo della video-sorveglianza.

Napoli, con la sua provincia, dovrebbe diventare, la prima area italiana interamente video-sorvegliata.

Un sistema di telecamere collegate alle sale operative delle forze dell'ordine monitorerà, 24 ore su 24, le

strade della città e dei comuni limitrofi, la tangenziale, i raccordi autostradali e le scuole. Cinque progetti

già finanziati dalla Provincia per 4,5 mln di euro, porteranno le telecamere nelle zone più a rischio, da

Poggioreale a Forcella, da Ponticelli a Piazza Garibaldi; nei comuni vesuviani, da San Giorgio a Cremano

a Sant'Anastasia, in quelli dell'area del Nord-est e nord-ovest, da Casoria ad Arzano; ed in quelli dell'area

est, da Portici a Torre del Greco. La video-sorveglianza riguarderà anche le scuole, con un programma

che inizialmente si finanzierà con 440 mila euro, trasferiti dalla Regione alla Provincia, che poi utilizzerà

risorse proprie per altri 500 mila euro. Nel disegno del Patto saranno videosorvegliati la tangenziale ed i

tratti autostradali, con un progetto per 925 mila euro, a carico della Gesac (Società autostrade

Meridionali e Provincia): il sistema, per le nuove installazioni, sarà ulteriormente finanziato dal Ministero

dell'Interno con 3 mln di euro. Il Comune di Napoli, nel Patto si è impegnato ad attuare piano di

interventi strutturali per potenziare, ripristinare e completare la rete di illuminazione pubblica urbana, da

attuarsi entro marzo 2007, con risorse regionali (2 mln di euro) e comunali (2,8 mld), mentre per

l’illuminazione del cosiddetto “Asse mediano” la Provincia ha stanziato 1,6 milioni di euro. Un intervento

del Comune, con un contributo regionale di 400 mila euro, è destinato alla costruzione di un deposito

per i motorini sequestrati attraverso la ristrutturazione di 4000 mq dell’area dismessa dell’ Arsenale

dell'esercito, con una previsione di attivare il servizio nel gennaio 2007. Al Prefetto di Napoli è affidata la

responsabilità di un monitoraggio costante e della verifica degli impegni assunti dai contraenti il patto e

la titolarità dei poteri di stimolo e di intervento.

1.4.2 Il Patto per Bari sicura. Patto per la sicurezza in terra di Bari

Il Patto per Bari sicura. Patto per la sicurezza in terra di Bari è stato sottoscritto il 18 giugno 2007 dalla

Prefettura di Bari, dal Comune di Bari, dalla Provincia di Bari e dalla Regione Puglia. Il testo si apre con

una premessa in cui si afferma la necessità dello sviluppo di politiche integrate e partecipate di

sicurezza, che chiamino in causa i diversi livelli di governo presenti sul territorio, nel rispetto dei diversi

ambiti di competenza, puntualizzando come le competenze dello Stato in materia di sicurezza e di ordine

pubblico e di contrasto alla criminalità fanno capo, nella provincia, al Prefetto, quale Autorità Provinciale

di Pubblica Sicurezza, mentre è compito delle Istituzioni Territoriali ed in particolare del Sindaco

assumere tutte le iniziative di sicurezza e prevenzione sociale, atte al miglioramento della vivibilità ed

alla qualificazione dei luoghi di vita ed al contrasto dei fenomeni di disagio sociale e di degrado urbano.

L’articolato del patto si apre con la presa d’atto delle iniziative già assunte dal Comune di Bari, finalizzate

ad elevare la percezione di sicurezza, ed in particolare:

・・ l’installazione di 102 telecamere a circuito chiuso per un importo di € 1.718.240;

・・ l’installazione di 12 garitte per la Polizia Municipale per un importo di € 390.499;

・・ l’acquisto di 26 auto per la Polizia Municipale per un importo di €374.865;

・・ la realizzazione di attrezzature nel campo Nomadi per un importo di € 156.000;

・・ le iniziative del progetto “educazione alla legalità” per un importo di € 270.000;

・・ le iniziative di sensibilizzazione rivolte alle scuole per un importo di€ 190.000.

Nell’Art. 1 viene stabilito che per la realizzazione degli interventi previsti nel documento, viene costituito

un “Fondo speciale” alimentato con risorse messe a disposizione dalle Amministrazioni Regionali e Locali

da allocare presso la Prefettura di Bari, per la concertazione e la realizzazione di progetti e programmi

speciali e straordinari che investano sia le Forze di polizia che le polizie locali, impegnati in un più incisivo

controllo integrato del territorio e contrasto dell’illegalità.

“Nel suddetto Fondo confluiranno, per l’anno 2007, risorse per un importo pari a € 300.000 da parte del Comune di Bari; per un

importo pari a € 200.000 da parte della Provincia di Bari e per un importo non inferiore a € 1.000.000,00 da parte della Regione

Puglia. La Provincia di Bari destinerà, altresì, € 300.000 per l’acquisizione delle dotazioni strumentali e degli autoveicoli per la

Polizia Provinciale. La Regione Puglia, infine, pone a disposizione risorse del Fondo Sociale Europeo, pari ad € 1.000.000,00 a

valere sulla programmazione in corso, da destinare al miglioramento delle capacità professionali ed operative degli operatori di

Polizia Municipale coinvolti nel progetto.”

Nell’ Articolo 2 (Risorse del Ministero dell’Interno) si definisce che:

“Per sostenere le politiche sociali e di sicurezza del Comune di Bari, il Ministero dell’Interno si impegna ad assegnare al Comune

un contributo di € 120.000,00 da destinare ai servizi di accoglienza in favore di richiedenti asilo, rifugiati e titolari del permesso

di soggiorno per motivi umanitari, nonché un’ulteriore somma pari a € 65.000 per contributi da erogare a coloro che hanno

ottenuto lo status di rifugiato o il permesso di soggiorno umanitario”.

L’Articolo 3 (Interventi di ottimizzazione dell’impiego degli organici), prevede la costituzione della Forza

di Intervento rapido, a carico del Ministero dell’Interno che, per rispondere a particolari emergenze non

fronteggiabili con le risorse disponibili localmente, indirizza sulla città di Bari aliquote di personale tratte

dalla Forza di intervento rapido, costituita a livello centrale con proiezione nazionale. Nell’articolo in

oggetto è prevista anche la revisione delle aree a rischio, la verifica dell’attualità della distribuzione dei

presidi, l’attivazione di “Sessioni propedeutiche” del Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza

Pubblica e l’ampliamento, a cura del Comune di Bari, del servizio del Vigile di Quartiere, integrando il

dispositivo del Poliziotto e Carabiniere di Quartiere. Con l’Articolo 4 (Condivisione di flussi informativi) il

Comune di Bari, nell’ambito delle attività dell’Agenzia per la lotta non repressiva alla criminalità

organizzata: “…. si impegna a creare un sistema informativo per la raccolta dei dati territoriali relativi a fenomeni di

criminalità

diffusa, disagio sociale, vandalismo e disordine urbano. La Prefettura s’impegna a rielaborare tali dati in combinazione con quelli

SDI provenienti dal Centro Elaborazione Dati Interforze del Ministero dell’Interno. Le risultanze della banca dati, che potranno

costituire un utile strumento di analisi e di indirizzo per le decisioni in materia di sicurezza, verranno messe a disposizione, per

gli aspetti di interesse, anche delle altre Amministrazioni del territorio”.

Con l’Articolo 5 (Installazione di apparati di videosorveglianza), il Comune di Bari s’impegna ad

implementare il sistema attualmente operativo, a mezzo di telecamere di tecnologia avanzata da

posizionare nelle aree più a rischio della città a supporto delle attività attuate dalle Forze di Polizia: “ …Il

sistema attuale di 28 telecamere verrà integrato con la progressiva installazione di altre 102 telecamere da

posizionare anche lungo i tratti viari di accesso e uscita al centro abitato, in collegamento con le sale operative delle Forze

dell’Ordine e della Polizia Municipale. In aggiunta verranno installati nelle piazze e nei giardini della città 18 totem interattivi,

dotati di telecamere rotanti e annesso video citofono, collegati 24h/24 con la sala operativa della polizia municipale.”.

L’Attivazione di moduli operativi d’intervento congiunto è previste dall’Articolo 6 che, in un quadro di

collaborazione tra Forze dell’Ordine e Polizia Municipale, prevede lo sviluppo di iniziative orientate

all’effettuazione: ・・ di verifiche di polizia amministrativa con particolare riferimento agli esercizi pubblici…;

・・ di servizi straordinari di controllo sulla viabilità…;

・・ di interventi di contrasto all’abusivismo commerciale ed ambulante;

・・ di servizi di controllo sull’uso del casco e dei dispositivi di sicurezza e sui parcheggiatori abusivi;

・・ di servizi di vigilanza e controllo degli itinerari turistici all’esterno del porto e nel borgo antico…;

・・ di servizi integrati di controllo ambientale …per il contrasto del fenomeno dell’abbandono di rifiuti …”.

Gli Interventi mirati di controllo del territorio, sono oggetto dell’Articolo 7, con cui il Prefetto impartirà le

direttive di coordinamento necessarie, affinché siano sviluppate mirate operazioni congiunte denominate

Notte Sicura, con il coinvolgimento delle Forze di Polizia e delle Polizie Municipali interessate, che

secondo le rispettive competenze operative, svolgeranno, nei fine settimana nelle ore serali e notturne,

in attività di controllo e vigilanza del territorio. L’Articolo 8 (Servizi alla cittadinanza), prevede una serie

di iniziative tendenti ad innalzare il livello di sicurezza dei cittadini, da realizzare con il contributo

programmatico e finanziario della Regione

Puglia e dell’Amministrazione Provinciale di Bari, che riguarderanno l’ambito territoriale dell’area

metropolitana di Bari. In particolare: a) Educazione alla legalità Il Comune e la Provincia di Bari s’impegnano a

realizzare:

-campagne di comunicazione e moralizzazione civica con messaggi, anche educativi e cartellonistica stradale, display

elettronici nell’abitato, specie negli spazi pubblici, tesa a informare i cittadini e a stimolare “comportamenti virtuosi”. -Sportello per le vittime dei reati con la previsione di protocolli operativi per gli interventi di assistenza e per fronteggiare le prime necessità; -Sportello di consulenza legale e di sostegno in favore delle vittime di estorsione ed usura e promozione di campagne informative per la diffusione dei benefici previsti dalla normativa nazionale e regionale; b) Devianza minorile e bullismo.Il Comune e la Provincia di Bari s’impegnano a realizzare:

-promozione di progetti d’inserimento sociale, scolastico, lavorativo per minori svantaggiati e sostegno alle agenzie

educative;

-rafforzamento di misure di difesa passiva negli istituti scolastici interessati da fenomeni di vandalismo;

-convenzioni con le Associazioni di militari in congedo per la vigilanzadavanti alle scuole elementari e medie per liberarerisorse

da destinare al controllo del territorio;

-linea informativa dedicata fra i dirigenti scolastici le forze di polizia e i servizi sociali del comune con l’individuazione di referenti

d’istituto. c) Sicurezza dei trasporti pubblici.Il Comune provvederà alla progressiva installazione all’interno degli automezzi di

telecamere collegate anche con la salaoperativa del Comando di Polizia Municipale. … Il Comando di Polizia Municipale metterà

a disposizione degli autisti un numero telefonico dedicato per il pronto intervento in caso di necessità…..Il Prefetto impartirà

direttive affinché siano realizzati servizi di vigilanza dedicati negli orari serali e presso le fermate ove si sono registrati con più

frequenza episodi d’intolleranza”.

Attraverso l’Articolo 9 (Progetto di integrazione multietnica), le parti si impegnano a promuovere iniziative idonee a favorire l’integrazione tra le varie etnie: “Il Comune, con l’ausilio della Consulta per

l’Immigrazione promuoverà progetti, in sinergia con gli altri Enti Locali, a favore degli stranieri muniti di regolare permesso di

soggiorno. Il Comune di Bari s’impegna, altresì, ad attrezzare il campo nomadi con idonei servizi anche al fine di evitare

insediamenti abusivi e situazioni di degrado e incompatibilità con i residenti. Al Consiglio Territoriale per l’Immigrazione, istituito

in Prefettura, allargato alla partecipazione degli Enti Locali è attribuito il compito di effettuare l’attività di monitoraggio sul

fenomeno del nomadismo e dell’immigrazione nell’area metropolitana nonché di sviluppare iniziative di sostegno nei settori

dell’istruzione, socio-sanitario, assistenziale

e abitativo”. Con l’Articolo 10 (Interventi di recupero degli alloggi occupati abusivamente) il Prefetto ed

ilSindaco si impegnano, mediante un’azione congiunta, a contrastare, con la necessaria gradualità, le

occupazioni abusive. Le parti:“ ….istituiranno un tavolo cui parteciperà anche un rappresentante dello IACP allo scopo di

pianificare un’ efficace e

organica azione di sgombero e di recupero degli alloggi abusivamente occupati. La Polizia Municipale provvederà all’esecuzione

delle ordinanze sindacali e di quegli altri interventi a tutela del patrimonio comunale, che comportino l’allontanamento forzoso di

persone e/o la vigilanza a beni dismessi o in fase di ristrutturazione o di recupero. Il Prefetto, su richiesta del Sindaco, previa

valutazione dei risvolti di ordine pubblico, autorizzerà l’impiego della forza pubblica, ove disponibile, per l’esecuzione dei

provvedimenti di sgombero “.

Gli interventi di contrasto al fenomeno della prostituzione, sono oggetto di considerazione nell’Articolo

11, che prevede che le parti si impegnano a svolgere un’azione di monitoraggio del fenomeno della

prostituzione al fine di porre in essere idonei interventi di prevenzione e di contrasto. Con l’Articolo 12

(Semplificazione della procedura di destinazione dei beni confiscati), le parti s’impegnano a ricercare

ogni idonea soluzione per accelerare procedure di destinazione dei beni confiscati alla criminalità

organizzata presenti sul territorio di Bari, da utilizzare per finalità di ordine pubblico, sociale e

istituzionale. L’aspetto innovativo della formazione è oggetto dell’Articolo 13 (Piani di qualificazione,

formazione ed aggiornamento professionale del personale delle Forze di polizia e del corpo di Polizia

Municipale), che prevede l’incremento di interventi formativi congiunti per il personale delle Forze di

polizia e della Polizia municipale su temi specifici connessi con l’attuazione del presente Patto. Gli ultimi

due articoli sono riferiti alla funzionalità del patto stesso e in particolare l’Articolo 14 (Organismi di

supporto per l’attuazione degli obiettivi del Patto), prevede la costituzione, presso la Prefettura, di alcuni

organismi di supporto quali il “Gruppo di Lavoro Sicurezza”il “Tavolo Tecnico Interforze” e il “Gruppo di

Lavoro Sicurezza”, mentre l’Articolo 15 (Verifiche) definisce una verifica generale trimestrale congiunta

dello stato di attuazione del presente Patto, per cui è definita la durata di 1 anno

1.4.3 Alcune prime osservazioni sulla realizzazione dei patti per la sicurezza di Bari e Napoli

Pur non essendo disponibile un quadro, ancorché indicativo, delle iniziative realizzate in osservanza dei

patti per la sicurezza, anche in ragione del breve arco di tempo fin qui intercorso dalla loro stipula, è

tuttavia possibile avanzare alcune osservazioni sui due patti che interessano le aree metropolitane di Bari

e Napoli. Si tratta, va osservato, di indicazioni di massima, raccolte nel corso delle interviste con gli attori

locali, che presentano luci ed ombre e che richiamano la necessità di un’analisi specifica destinata a

valutare l’effettiva realizzazione delle intese sottoscritte.

Ad un primo esame appare soddisfacente il caso del “Patto per Bari sicura. Patto per la sicurezza in terra

di Bari” poiché la gran parte degli impegni sottoscritti sono stati sostanzialmente realizzati. Va osservato

che la gran parte degli impegni, nell’intesa barese, sono stati assunti dagli Enti Locali e dalla Regione

Puglia, che hanno operato correttamente e nei tempi previsti per realizzare quanto previsto dal patto. Il

responsabile dell’Agenzia per la lotta non repressiva alla criminalità organizzata, lo strumento operativo

con cui il Comune di Bari ha impostato le politiche per la sicurezza, ha confermato come tutti gli

interventi di pertinenza del Comune di Bari, contenuti nell’articolato, siano stati realizzati e come, grazie

al patto, si sia sviluppato un rapporto proficuo con la Prefettura. Per altro verso, la Prefettura di Bari

conferma il pieno stato di attuazione dell’intesa del 2007, la cui efficacia è stata alla base della iniziativa

del Ministero dell’Interno di prorogarla e di estenderne il raggio di azione alle altre aree urbane limitrofe

che presentano criticità in tema di sicurezza: la nuova provincia di Barletta-Andria-Trani e Bitonto.

Ben diverso è quanto emerge con riferimento alle attività previste dal Patto per la sicurezza di Napoli e

provincia, in cui, va osservato, una parte rilevante degli interventi era di pertinenza dello Stato, con il

potenziamento degli organici e delle attrezzature delle Forze di Polizia e con una riorganizzazione dei

servizi sul territorio finalizzata ad aumentare il numero delle pattuglie effettivamente operative. La

prefettura di Napoli sostiene che gli obiettivi contenuti nel patto, relativamente all’aumento di uomini e

mezzi, sono stati quasi totalmente realizzati ma, su questo aspetto, secondo i rappresentanti sindacali

della Polizia di Stato, il preannunciato incremento degli organici non si è sostanzialmente realizzato.

Certamente la programmata riorganizzazione dei servizi, con l’accorpamento di alcuni distretti, non ha

avuto luogo, in ragione, sostiene la prefettura, di un ripensamento sulla validità di tale intervento che,

pertanto è stato limitato a tre commissariati di polizia. Tra le attività innovative previste nel patto, solo il

RISP (Reparto di Intervento della Polizia Stradale) è stato effettivamente istituito mentre non è stato

attivata la SCIT (Squadra di controllo degli itinerari turistici) sostituita da altri interventi a tutela degli

itinerari turistici. Gli Enti locali firmatari e la Regione Campania, per parte loro, hanno dato prontamente

copertura finanziaria agli ingenti interventi per migliorare la sicurezza, grazie ai quali Napoli sarebbe

dovuta diventare la prima città interamente video-sorvegliata con un significativo potenziamento della

rete di illuminazione pubblica. Mentre l’Assessore alla Trasparenza conferma che gli interventi per

allargare e potenziare il sistema della illuminazione pubblica, peraltro parte di un più vasto piano di

recupero della città, sono attualmente in via di esecuzione, si è accumulato un certo ritardo nella messa

in opera degli interventi di video-sorveglianza. L’attuale dotazione di 70 telecamere, di cui alcune

obsolete, è destinata ad un significativo potenziamento, con 200 nuove installazioni, a disposizione delle

indagini di polizia giudiziaria, ma anche fruibili per il controllo del traffico. La Prefettura ipotizza una

messa a regime del sistema, che certamente non fa di Napoli la città più video-controllata, ma che

tuttavia rappresenta un deciso passo in avanti entro la fine del 2011. Attualmente, il Comune di Napoli e

la Prefettura stanno condividendo le diverse ipotesi di posizionamento delle videocamere, finanziate e

curate per tre anni dal Ministero dell’Interno e successivamente in carico, per le spese di gestione, al

Comune di Napoli. Se per la video-sorveglianza sembra si sia, finalmente, trovato un percorso condiviso,

resta ancora assai incerta la vicenda della Cittadella della Polizia, infrastruttura per cui nel patto era

previsto lo sblocco del progetto. La cittadella, che avrebbe dovuto sorgere su un’area di 180 mila metri

quadrati, destinata a ospitare reparto mobile, polizia stradale, polizia postale, area comunicazione,

logistica, informatica, ufficio passaporti, alloggi, mense, depositi, strutture sportive e finanche un asilo

nido, ad oggi, sembra destinata a rimanere, dopo anni di attesa,29

l’ennesima opera di carta. Infatti, mentre nel patto per la

sicurezza, siglato nel 2006, si legge che “sarà sbloccato il progetto della cosiddetta Cittadella della polizia”, nel 2009, dopo l´annuncio che Fintecna, proprietaria

dell’area, si starebbe orientando verso un diverso progetto (decisione cui non sarebbe estraneo il mancato sblocco dei fondi necessari30

), il sindaco di Napoli è

intervenuto sottolineando che il nuovo polo della sicurezza è «assolutamente essenziale» per la città, ottenendo dal Viminale rassicurazioni sulla ferma intenzione di

procedere «per l’importante e strategica opera». Ma, nonostante questi pronunciamenti, restano assai radicate le perplessità sulla effettiva realizzazione della

infrastruttura.

La Cittadella è un’idea che risale al 2000, quando il sindaco di Napoli avviò le procedure per realizzare l’opera nell’area delle ex Manifatture tabacchi, con un tempo previsto di sei o sette anni. Il Comune di Napoli deliberò il cambio di destinazione d’uso dell’area, da industriale a direzionale, in accordo con l’Eti, ente proprietario dell’area, i cui beni nel 2003 passano alla Fintecna, società interamente del Ministero dell’Economia.

30

Sin dal piano finanziario 2006-2008, l´Inail ha stanziato i 300 milioni di euro necessari per realizzare l’opera ma con la Finanziaria del 2008 il Ministero del Tesoro ha però bloccato la somma, con una norma che impedisce gli investimenti diretti degli enti previdenziali.

Parte seconda

Le grandi aree metropolitane del Mezzogiorno e la sfida della sicurezza urbana

Nelle aree urbane delle grandi città del Mezzogiorno, gli effetti della pervasiva presenza della criminalità

organizzata si manifestano con particolare evidenza, originando, nei contesti abitativi più degradati,

condizioni di conclamato allarme sociale, di illegalità diffusa e di insicurezza, che determinano

un’erosione sostanziale dei diritti di cittadinanza per ampi strati della popolazione. Se il clamore

mediatico porta periodicamente alla ribalta tali condizioni di estremo disagio, perlopiù in concomitanza

con fatti di cronaca di particolare rilievo, la realtà della vita quotidiana in queste aree urbane rimane un

problema aperto, che si sostanzia nella distorsione delle regole della convivenza civile, nella privazione

dei diritti per chi intraprende attività economiche, per chi lavora e, più in generale per una sottrazione di

opportunità per quanti crescono e vivono in tali contesti. Le grandi città del Sud sono cambiate

rapidamente e radicalmente, ridefinendo il rapporto tra centro e periferie, mutando la popolazione degli

uni e delle altre. La trasformazione delle aree metropolitane è un tema generale che, come osservato in

precedenza, ha una diretta correlazione con l’insorgere della questione sicurezza, poiché i processi di

trasformazione, connessi alla modernità, generano uno stato di continua e profonda insicurezza

ontologica, che si determina nella discontinuità dell'ambiente sociale e materiale e nella dissoluzione di

identità - e di certezze - che ne consegue. Il dibattito che, da tempo, si è aperto nel Paese sul ruolo delle

politiche locali della sicurezza, grazie al contributo rilevante del Forum Italiano della Sicurezza Urbana

(FISU), ed alle interessanti esperienze di policy avviate da molte amministrazioni, ha posto l’accento sul

ruolo, tutt’altro che marginale, che gli interventi di prevenzione possono assumere nel più generale

impegno dello Stato, a garantire il diritto alla sicurezza nella direzione indicata nel Manifesto di

Saragozza. Se in letteratura si incontrano numerose testimonianze sugli interventi di policy locale, attuati

perlopiù da amministrazioni locali del Centro-nord, assai più debole, invece, appare il contributo di studi

e di ricerche locali, con riferimento alle aree di maggiore criticità nelle grandi città del Mezzogiorno. Si

tratta, indubbiamente, di un limite che allude ad un sostanziale ritardo nella definizione di politiche di

sicurezza locali, che interessa, sia pure in misura diversa, le grandi aree metropolitane del Mezzogiorno

che sono il banco di prova della possibilità di insediare politiche locali capaci di innestare un’efficace

azione di prevenzione, complementare alla necessaria

-ma non sufficiente - azione di controllo e repressione. Un’azione di prevenzione che, come risulta dai

dati della preziosa ricerca promossa da Cittalia-SWG, i cittadini attribuiscono in misura rilevante ai

Comuni, ai quali auspicano che siano attribuiti più poteri e da cui si attendono maggiori investimenti per

interventi a tutela della sicurezza urbana. Molto interessante, nell’ambito di questa ricerca, la risposta

che i cittadini delle 11 aree metropolitane interessate hanno dato alla domanda che li interrogava su che

cosa è necessario fare per una città sicura: prima ancora che interventi coercitivi e repressivi, i residenti

delle grandi città considerano fondamentale promuovere il senso civico e il rispetto delle regole tra i

cittadini . Tra i provvedimenti ritenuti necessari vi sono poi l’intervento repressivo sullo spaccio di

stupefacenti, il potenziamento dell’illuminazione delle strade e dei parcheggi. Vi è una forte

consapevolezza anche della necessità di intervenire sul disagio giovanile e sull’emarginazione sociale. E’

interessante, per altro verso, osservare come l’aumento della presenza delle forze dell’ordine sul

territorio non sia considerato tra gli interventi

fondamentali31

.

Tabella 2 Cosa fare per una città sicura. Gli interventi rilevanti

Valore medio ( sulla scala da 1 a 10) 11 aree metropolitane

Promuovere il senso civico e il rispetto delle regole tra i cittadini 8,38

Intervenire duramente sullo spaccio di stupefacenti 8,26

Avere una buona illuminazione delle vie 8,13

Controllare le bande giovanili 8,07

Intervenire sull’emarginazione sociale 8,05

Fonte: Elaborazione su dati Cittalia-SWG

La maggior parte dei cittadini ritiene che la responsabilità prioritaria sulla microcriminalità (furti e scippi,

ecc.), vada esercitata dallo Stato centrale, attraverso i Prefetti e l’azione delle Forze dell’Ordine. Il

giudizio che emerge dall’analisi dei dati della ricerca SWG-Cittalia, appare assai netto nella

considerazione delle valutazioni dei cittadini di Palermo (69%) e Napoli (66%), mentre più equilibrato fra

le due opzioni appare il giudizio dei baresi, in cui prevale comunque l’attribuzione di priorità all’intervento

statuale (54%), pur con un differenziale decisamente inferiore a quello delle altre due metropoli

meridionali. Giova osservare che su questo punto, ovvero l’attribuzione della principale competenza nel

contrasto dei reati della microcriminalità, il giudizio non è del tutto univoco poiché, soprattutto in alcune

città, è significativa la percentuale di cittadini che invece ritiene che tale responsabilità debba essere in

primo luogo dei sindaci e della polizia municipale32

.

31

Solo a Venezia, sulla scala da 1 a 10, raggiunge il punteggio 8 32

Questo avviene soprattutto a Bologna, dove è il 55% dei cittadini ad attribuire questa competenza al comune, ma anche, in misura minore, a Firenze, Torino e Cagliari (46-45%). Tabella 3In generale, ritiene che le azioni di contrasto alla microcriminalità (furti, scippi, ecc) debbano essere di

competenza soprattutto: (valori percentuali)

Valore medio 11 aree metropolitane

Bari Napoli Palermo

Dello Stato centrale (prefetti, polizia, carabinieri) 57 56 66 69

Del Comune (sindaci e polizia municipale) 40 44 34 31

Non risponde 3 1 17 1

Fonte: elaborazione Cittalia su dati SWG

Dalla ricerca emerge come vi siano alcune aree di intervento, nelle quali i cittadini ritengono sia più

efficace l’intervento dello Stato centrale (controllo dell’immigrazione clandestina, contrasto allo spaccio di

stupefacenti, politiche per l’integrazione degli immigrati e controllo del fenomeno delle bande giovanili),

mentre vi sono aree di competenza che i cittadini attribuiscono prevalentemente ai Comuni (contrasto al

vandalismo, sicurezza sui mezzi pubblici, sicurezza nei parchi e nei giardini, abusivismo commerciale ed

illecita occupazione di suolo pubblico, sporcizia, incuria e degrado nelle vie) . Vi sono, infine, altri ambiti

di intervento rispetto ai quali l’attribuzione delle competenze diviene più sfumata e si diversifica nelle

risposte tra le diverse città, come nel caso della prostituzione in strada, del contrasto ai fenomeni di

povertà e di emarginazione sociale. E’ comunque opinione diffusa che i comuni debbano avere più poteri

in materia di sicurezza.

Tabella 4Secondo lei, in tema di sicurezza, i comuni dovrebbero avere? (valori percentuali)

Valore medio 11 aree metropolitane

Bari Napoli Palermo

Più poteri 65 75 58 71

Meno poteri 7 5 11 8

Va bene così 24 20 31 21

Non risponde 4 3 8 3

Fonte: elaborazione Cittalia su dati SWG

Coerentemente con questa valutazione, la gran parte dei cittadini delle aree metropolitane considerate

nella ricerca di SWG-Cittalia, ritiene che sia importante che i comuni investano su progetti in materia di

sicurezza urbana. Tabella 5

Secondo lei, quanto è importante che i comuni investano su progetti in materia di sicurezza urbana?

Valore medio 11 aree metropolitane

Bari Napoli Palermo

Molto importante 53 55 57 52

Abbastanza importante

39 37 33 42

Poco importante 7 7 7 5

Per niente importante

1 1 3 1

Fonte: elaborazione Cittalia su dati SWG

Decisamente più articolato il giudizio sul tema delle ordinanze dei sindaci sulla sicurezza urbana, poiché

la maggior parte dei cittadini se da un lato attribuisce alle ordinanze il merito di aver colto un problema

reale, dall’altro è scettica sulla loro reale efficacia (37%) o comunque ritiene che da sole non possano

bastare (29%). Decisamente inferiore (17% nella media delle 11 aree metropolitane), la quota di coloro

che, invece, ritengono che le ordinanze, oltre a cogliere un problema reale siano anche, e di per sé,

efficaci. Ancor minore, per altro verso, la quota di coloro che considerano le ordinanze uno strumento

sbagliato che non coglie un problema reale (la media si attesta sul 10%).

Tabella 6Come saprà negli ultimi tempi molti sindaci stanno emettendo delle ordinanze speciali su temi relativi alla sicurezza urbana. Secondo Lei questo genere di iniziative…..? (valori percentuali)

Valore medio 11 aree

metropolitane Bari Napoli Palermo

Colgono un problema reale ma sono poco efficaci 37 40 44 40

Colgono un problema reale ma da sole non bastano 29 30 33 23

Colgono un problema reale e sono efficaci 17 23 13 23

Non colgono un problema reale e sono uno strumento sbagliato 10 7 10 14

Non risponde 7 7 19 8

Fonte: elaborazione Cittalia su dati SWG

Le grandi aree metropolitane del Mezzogiorno

Una sommaria perimetrazione delle aree metropolitane del Paese, evidenzia come nel Mezzogiorno siano

presenti tre grandi aree metropolitane: Napoli, Bari e Palermo. Le aree metropolitane sono

individuate e descritte dai geografi urbani, tenendo conto dei flussi in entrata verso una località centrale

(aree pendolari), oppure considerando le relazioni economiche e funzionali di un territorio,

indipendentemente dalla presenza di una grande città (aree economico-funzionali). Secondo il Censis33

,

nel nostro Paese si identificano 14 diverse aree metropolitane e, con riferimento alle regioni del

Mezzogiorno, si evidenziano, per un’inequivocabile centratura su una grande città, quella Napoletana

(4.996.084 ab.), il Sistema lineare basso-adriatico (2.603.831 ab.) e l’ Area palermitana (1.033.315 ab.)

Tabella 7 Le aree metropolitane italiane

Area metropolitana Popolazione

(abitanti) Superficie

(km²) Densità

(ab/km²)

Mega regione lombarda 8.047.125 8.362,1 965,6

Area napoletana 4.996.084 3.841,7 1.300,5

Area romana 4.339.112 4.766,3 910,4

Mega regione veneta 3.267.420 6.679,6 489,2

Sistema lineare basso-adriatico 2.603.831 6.127,7 424,9

Sistema lineare alto-adriatico 2.359.068 5.404,8 436,5

Area torinese 1.997.975 1.976,8 1.010,7

Area emiliana 1.944.401 3.923,6 495,6

Area toscana 1.760.737 2.795,9 629,8

Sistema lineare della Sicilia orientale 1.693.173 2.411,7 702,1

Sistema lineare ligure 1.231.881 1.294,3 951,8

Area palermitana 1.033.315 967,8 1.067,7

Area veronese 714.275 1.426,0 500,9

Area cagliaritana 389.713 568,0 686,1

Fonte: Censis, Convivere nelle mega cities, in Rapporto annuale 2008

Per altro verso, un eguale esito nella perimetrazione delle aree metropolitane, fondata su criteri

scientifici, si ottiene considerando semplicemente gli hinterland provinciali: dalla lettura della tabella

sotto esposta, emerge come le tre aree metropolitane presenti nel Mezzogiorno siano quella di Napoli,

Bari e Palermo che, pertanto, saranno oggetto di considerazione nell’analisi di campo.

Censis, Convivere nelle mega cities, in Rapporto annuale 2008, pp.19-20-21-22-23 Tabella 8

Gli hinterland provinciali italiani

Città Popolazione

Comune capoluogo Altri comuni della provincia

(hinterland provinciale) Totale provincia

Milano 1.256.211 2.450.999 3.707.210

Roma 2.546.804 1.153.620 3.700.424

Napoli 1.004.500 2.054.696 3.059.196

Torino 865.263 1.300.356 2.165.619

Bari 316.532 1.243.130 1.559.662

Palermo 686.722 549.201 1.235.923

Firenze 356.118 577.742 933.860

Bologna 371.217 544.008 915.225

Genova 610.307 267.775 878.082

Fonte: Elaborazione su dati Istat

Va osservato che, dal punto di vista più squisitamente politico-amministrativo, sulla scia d'un voto in

commissione34

, viene fatto rientrare tra i maggiori sistemi urbani italiani anche quello di Reggio Calabria

che, tuttavia, non rientra in nessuna delle classifiche dei maggiori sistemi urbani italiani. Non c'è nel

cartogramma dell'Istat sulla densità di popolazione residente, dove si trovano Napoli, Bari e Palermo;

non c'è nella graduatoria delle città più popolose, dove la città di Reggio Calabria è al 19° posto; non c'è

nella mappa Istat dei grandi comuni, dove piuttosto c'è la dirimpettaia Messina; non c'è, infine, nella

tabella dei primi 13 Sistemi Locali del Lavoro dei Grandi Comuni, elaborata ancora dall'Istat e usata da

chi governa per decidere come e cosa fare, dato che questi Sistemi sono «unità territoriali costituite da

più comuni contigui fra loro, geograficamente e statisticamente comparabili».35

1.2 Un sommario raffronto dei principali indicatori socio- economici delle tre aree metropolitane

Dal punto di vista demografico, le tre grandi città metropolitane presentano alcuni tratti comuni nella

composizione della popolazione residente che le connotano sia rispetto al contesto territoriale del

Mezzogiorno che al dato medio nazionale: si tratta di aree urbane assai densamente popolate, con una

quota percentuale di giovani nettamente superiore e con un elevato numero medio di componenti per

famiglia. Vi è poi, nella considerazione degli aspetti demografici, un ulteriore

34

Può aiutare alla comprensione considerare che a presentare l’emendamento, auspicando un futuro arrivo di finanziamenti ad hoc,sono stati sei deputati reggini.

35

Peraltro giova osservare che la provincia di Reggio Calabria, con 564.223 abitanti, è molto più piccola di quelle di Varese, Treviso oCaserta e, anche nella considerazione del numero degli abitanti del circondario, si arriva, complessivamente, a meno di 40.000 persone, il che fa della Grande Reggio una città assai meno popolosa della sola Verona senza i suoi popolosi sobborghi.

elemento comune tra le tre metropoli, costituito dalla relativamente modesta presenza di cittadini

stranieri residenti, con valori pressoché identici tra loro, decisamente più bassi rispetto alla media del

Mezzogiorno e praticamente pari ad un terzo della media Italia.

Tabella 9 Popolazione e territorio. Anno 2008

Bari Napoli Palermo Mezzogiorno Italia

Densità abitativa (ab/kmq) 311,66 2.625,14 249,32 169,53 199,26

n°componenti per famiglia 2,73 2,87 2,60 2,64 2,42

% Popolazione da 0 a 14 anni 15,72 17,99 16,16 15,35 14,03

Stranieri residenti/ab. x 100.000 1.716,35 1.742,59 1.708,40 2.054,08 5.716,79

Fonte: Elaborazione su dati Istat

Piuttosto eccentrica appare, invece, la considerazione dei principali indicatori del mercato del lavoro

come, ad esempio, nella considerazione del tasso di attività36

per le persone da 15 a 64 anni, ove si

osserva una sostanziale distinzione tra le tre aree urbane: mentre Bari vanta un indice superiore a quello

medio del Mezzogiorno, Palermo si mantiene sulla media del meridione, mentre Napoli ha un tasso di

attività decisamente inferiore. Un tratto comune tre le metropoli del Sud, tuttavia, si riscontra nell’

evidente, e drammatico, distacco rispetto alla media nazionale. Le osservazioni avanzate per il tasso di

attività valgono parimenti nella considerazione del tasso di occupazione,37

per cui le distanze si

ampliano ulteriormente e con esse il distacco dalla media nazionale, fino al punto limite di Napoli, ove il

tasso di occupazione femminile è quasi la metà di quello medio nazionale. Ovviamente, nella

considerazione del tasso di disoccupazione38

, il quadro non cambia, se si esclude un’estrema

accentuazione del dato di Palermo, quasi triplo rispetto alla media nazionale, nella considerazione della

disoccupazione maschile.

Tabella 10Il mercato del lavoro. Anno 2008 (valori percentuali riferiti alla popolazione con da 15 a 64 anni)

Bari Napoli Palermo Mezzogiorno Italia

Tasso di attività 55,50 46,40 52,10 52,40 63,00

Tasso di occupazione maschile 66,70 56,00 57,60 61,10 70,30

Il tasso di attività è dato dal rapporto percentuale fra forze di lavoro e popolazione in età di lavoro, ovvero fra forze di lavoro e popolazione

residente. 37

Il tasso di occupazione è un indicatore statistico del mercato del lavoro che quantifica l'incidenza della popolazione che ha un'occupazione sul totale della popolazione e si calcola come rapporto percentuale tra il

numero di persone occupate e la popolazione. 38 Il tasso di disoccupazione misura il livello della disoccupazione e consente di operare confronti in proposito fra differenti aree territoriali o fra diversi "segmenti" di popolazione. E'

dato dal rapporto percentuale fra persone in cerca di occupazione e forze di lavoro Fonte: Elaborazione su dati Istat 2008

Tasso di occupazione femminile 33,00 24,20 29,30 31,30 47,20

Tasso di occupazione totale 49,70 39,80 43,10 46,10 58,70

Tasso di disoccupazione maschile 8,40 12,00 15,60 10,01 5,51

Tasso di disoccupazione femminile 13,90 18,20 19,80 15,68 8,53

Tasso di disoccupazione totale 10,30 14,00 17,10 12,03 6,74

Altrettanto accentuate, nella considerazione del tessuto imprenditoriale, che le distanze tra le tre aree

metropolitane: l’area barese ha una densità imprenditoriale assai maggiore, più elevata della media del

Mezzogiorno e non troppo distante dal dato medio nazionale, mentre Palermo e Napoli presentano valori

decisamente inferiori rispetto alle due aree di riferimento. Nell’analisi della densità delle imprese

artigiane e delle ditte individuali, emerge nettamente un gap negativo per Napoli, che segna valori indice

che sono meno della metà, rispetto alla media nazionale e assai lontani dal dato barese e palermitano.

Gli indici di dotazione strutturale a Napoli, Bari e Palermo, sono decisamente superiori sia a quelli del

Mezzogiorno che a quelli della media-Italia, riflettendone la dimensione metropolitana.

Tabella 11 Il tessuto imprenditoriale. Anno 2008 - (valori percentuali)

Bari Napoli Palermo Mezzogiorno Italia

Densità imprenditoriale * Imprese attive per 100 abitanti 8,55 7,41 6,38 8,34 8,85

Densità imprese artigiane (Imprese artigiane attive su totale imprese) 24,17 12,96 22,16 21,68 27,96

Densità delle ditte individuali ( Ditte individuali attive su totale imprese) 75,07 52,54 74,81 73,40 63,79

Fonte: Istat 2008

Tabella 12 La dotazione infrastrutturale

Bari Napoli Palermo Mezzogiorno Italia

Indice generale infrastrutture economiche (Italia=100) 96,03 134,9 98 80,7 100,0

Indice di dotazione di strutture per l'istruzione (Italia=100) 140,8 211,4 123,4 99,1 100,0

Indice di dotazione di strutture sanitarie (Italia=100) 126,6 149,9 131,6 83,5 100,0

Indice di dotazione di infrastrutture sociali (Italia=100) 115,2 175,4 104,1 79,9 100,0

Fonte: Atlante della competitività delle province- Unioncamere 2009

La competitività del territorio presenta tuttavia aspetti evidenti di criticità nella considerazione di due

indici, quali la propensione all’esportazione ed il tasso di apertura dei mercati. La propensione

all’esportazione espressa dalle tre aree in esame, come del resto il tasso di apertura dei mercati, è

inferiore a quella media del Mezzogiorno, che è la metà di quella media nazionale, con un dato

drammaticamente basso per Palermo. Un ulteriore aspetto di criticità si osserva, invece, nella

considerazione di due indicatori che esprimono l’affidabilità del sistema economico locale, quali le

sofferenze bancarie e l’incidenza dei protesti. Sia pure con valori diversi, tutte e tre le aree metropolitane

presentano rischi decisamente superiori rispetto al dato medio nazionale, ad indicare una maggiore

fragilità del contesto economico locale.

Tabella 13 La competitività del territorio

Bari Napoli Palermo Mezzogiorno Italia

Propensione all'esportazione 12,3 11,1 1,7 12,9 25,8

Tasso di apertura dei mercati 23,7 23,2 5,00 28,4 51,4

n° protesti/ pop*100000 ab. 2.897,0 4.077,5 3.008,7 3.141,2 2.475,9

Sofferenze bancarie / Impieghi clientela ordinaria *100 5.592,0 3.747,6 3.264,2 5.084,9 2.547,5

Fonte: Atlante della competitività delle province- Unioncamere 2009

L’insieme delle considerazioni fin qui avanzate, che presentano un’economia fragile, con un tessuto

imprenditoriale debole ed un mercato del lavoro contrassegnato da modesti tassi di attività e da elevati

tassi di disoccupazione, si ripercuote, ovviamente, sul tenore di vita e più in generale sulla qualità della

vita nelle tre grandi aree metropolitane del Mezzogiorno. Uno scarto che per quanto riguarda redditi e

consumi, è evidente al confronto con la media nazionale, mentre le tre grandi città sono grosso modo

allineate con il resto del Mezzogiorno. Drastico, invece, il giudizio complessivo espresso in merito alla

qualità della vita nelle tre aree metropolitane, che occupano gli ultimi posti nella graduatoria stilata da Il

Sole 24 ore per le 103 province italiane, con il risultato “migliore” per Bari (93° posto) ed una

valutazione pesante per Napoli (97°) e Palermo (102°). Nell’analoga stima espressa da Italia Oggi, se si

esclude un miglior credito assegnato a Bari, che in questa classifica occupa il 48° posto, mentre non

cambia il giudizio assolutamente negativo per Palermo (93° posto) e Napoli (101° posto). Tabella 14

La qualità e il tenore di vita

Bari Napoli Palermo Mezzogiorno Italia

Reddito disponibile pro-capite 2007) 13.417 12.323 12.884 12.952 17.623

Quota percentuale di consumi alimentari (2007) 21,28 22,78 19,83 21,19 17,28

Quota percentuale di consumi non alimentari (2007) 78,72 77,22 80,17 78,81 82,72

Piazzamento nella graduatoria dell'Indice di qualità della vita del Il Sole 24 Ore (2008)

93 97 102

Piazzamento nella graduatoria dell'Indice di

101 93

Fonte: Atlante della competitività delle province- Unioncamere 2009

1.3 Sicurezza e legalità nelle aree metropolitane del Mezzogiorno

Napoli, Palermo e, in misura certamente diversa Bari, rappresentano dei casi emblematici di città

metropolitane, in cui gli aspetti di crisi sociale ed economica sono amplificati e acutizzati dalla pervasiva

presenza della criminalità organizzata. Le tre capitali del Mezzogiorno sono, insieme, luoghi centrali

dell’azione delle mafie sempre più indirizzate all’interazione con l’economia legale. Giova pertanto,

nell’ambito di questo lavoro, soffermarsi sui caratteri della presenza del crimine organizzato nelle tre

aree metropolitane, considerando, sia pure in sintesi, le autorevoli osservazioni prodotte dai magistrati

dei singoli distretti di corte d’appello e proposti nell’ambito dell’ultima relazione annuale della Direzione

Nazionale Antimafia39

. Il quadro che emerge dalle riflessioni dei magistrati, peraltro ampiamente

condivise dagli opinion leader locali, è allarmato e allarmante. Non vi è dubbio che la presenza della

criminalità organizzata esercita un condizionamento pesante sulla vita e sull’economia delle aree

metropolitane, con intensità e caratteri certamente diversi, minando le basi della convivenza civile e

talvolta la stessa possibilità di accesso ai diritti di cittadinanza. In altri termini, non è solo il diritto alla

sicurezza ad essere minato ma, prima e ancor più, appare compromessa la sicurezza dei diritti, ovvero la

possibilità per un cittadino che nasce, vive, studia e lavora, di vedere riconosciuti pienamente i propri

diritti elementari, da quello di avere un lavoro sicuro al vivere in un ambiente non inquinato; dalla

39

Direzione Nazionale Antimafia, Relazione annuale relativa al periodo 1.7.2007- 30.6.2008. Dicembre 2008.

possibilità di essere assistito e se necessario curato adeguatamente, al vedere tutelata la propria

incolumità e i propri beni.

1.3.1 La camorra nell’area metropolitana di Napoli

Nell’analisi presentata della Direzione Nazionale Antimafia40

, risulta confermata l’impossibilità di

ricondurre ad un modello unitario le linee di evoluzione e trasformazione dei fenomeni di criminalità

organizzata nel distretto di Napoli. Sempre meno capacità di definizione viene attribuita alla distinzione,

solitamente adottata, tra le organizzazioni cresciute negli agglomerati urbani, al fine del controllo dei

mercati illegali, che hanno progressivamente caratterizzato l’economia della cintura metropolitana, e le

organizzazioni camorristiche sviluppatesi nelle aree agricole, proiettate verso il controllo dei cicli

produttivi e dei processi decisionali pubblici, correlati alla trasformazione urbanistica ed industriale delle

aree più periferiche41

. Tale demarcazione permette, tuttavia, di distinguere tra le connotazioni di

maggiore frammentazione ed estrema fluidità, proprie dei gruppi camorristici operanti nell’area

metropolitana, e le strutture mafiose relativamente più stabili delle aree casertane e nolano-vesuviane.

Le bande di camorra sono connotazioni strutturali dell’organizzazione sociale ed economica di gran parte

del territorio regionale, ove non svolgono semplicemente una funzione vessatoria e parassitaria

sull’impresa e l’economia legale42

ma: “complessivamente considerate, le organizzazioni camorristiche

sono innanzitutto enti deputati all’erogazione di servizi: alla prestazione dei servizi richiesti dai mercati

illegali (quello degli stupefacenti, soprattutto) ovvero di servizi legali, ma richiesti a condizioni illegali (e

qui il campo di osservazione si amplia a dismisura, in corrispondenza a qualsivoglia esigenza dei mercati

legali che si voglia soddisfatta con metodologie illecite in grado di ridurne i costi: dal trasporto e

smaltimento dei rifiuti alla fornitura di inerti, dalla distribuzione di idrocarburi da autotrazione alla

fornitura di prodotti industriali contraffatti, dalla fatturazione di operazioni inesistenti alla

“semplificazione” delle procedure amministrative).”43

Le stesse caratteristiche di frammentazione e

fluidità44

di un fenomeno criminale lontano dai modelli di organizzazione piramidale propri della mafia

siciliana, ne spiegano la straordinaria capacità di infiltrazione ed espansione affaristica. Per ciascuno dei

segmenti, attraverso i quali si traccia il perimetro delle relazioni economiche, le organizzazioni

camorristiche sono in grado di agevolare la ricerca di servizi illegali: siano essi il reclutamento di

manodopera sottocosto o comunque con minore tutela sindacale e previdenziale,

40

D.N.A. – Relazione annuale – Dicembre 2008. Le attività di collegamento investigativo con riferimento ai Distretti delle Corti di Appello: PALERMO. Relazione del Cons. Giovanni Melillo

Tale distinzione può essere adottata soltanto a condizione di tenere conto della necessità di continua verifica del confine, astrattamente tracciabile, tra condizionamento mafioso dell’economia legale ed attività di gestione dei mercati prettamente criminali, in contesti sociali e territoriali segnati dalla sovrapposizione di elementi propri dell’uno e dell’altro tipo

42

Certamente non mancano a Napoli le estorsioni e l’ usura, fenomeni presenti oltre ogni soglia di tollerabilità

43

D.N.A. – Relazione annuale – Dicembre 2008. Le attività di collegamento investigativo con riferimento ai Distretti delle Corti di Appello: PALERMO. Relazione del Cons. Giovanni Melillo

44

il tipo di organizzazione prescelto proprio dei gruppi camorristico è quanto di più simile possa esserci al modello di organizzazione dell’impresa prevalente nei processi economici contemporanei: il network.

l’addomesticamento delle funzioni di controllo, la dissuasione della concorrenza, il finanziamento

attraverso i proventi dei traffici criminali, l’agevolazione della penetrazione commerciale in un

determinato settore o ambito territoriale. “In questo sistema di relazione – multiforme, talvolta caotico,

sovente opaco, comunque illegale – operano logiche e figure che abbattono alcuni dei tradizionali

ostacoli all’incontro tra impresa legale e ceto delle professioni che ne assiste l’esercizio e le

organizzazioni mafiose. La ricerca del contenimento dei costi e dei profitti secondo gli standards del

mercato locale ipocritamente occulta l’abbandono di principi responsabilità, trasparenza e legalità”.45

Nell’area metropolitana perdura l’allarme sociale correlato alle potenti aggregazioni camorristiche

protagoniste della faida di Secondigliano, che in pochi anni ha causato decine di omicidi. Restano

tuttavia estremamente precari - secondo i magistrati della DNA - gli accordi criminali, faticosamente

raggiunti, sotto la pressione dell’azione investigativa immediatamente concentratasi sulle contrapposte

organizzazioni criminali dei Di Lauro e dei cosiddetti Scissionisti, al fine della ripartizione territoriale delle

rispettive aree di influenza nella distribuzione degli stupefacenti. I peculiari processi organizzativi

adottati al fine della distribuzione della droga e della protezione della complessiva rete di interessi illeciti

di questo tipo di organizzazioni, sono caratterizzati dal coinvolgimento operativo e comunque dalla

tolleranza, quando non dal consenso, di interi insediamenti urbani.

1.3.2 Cosa Nostra Palermitana

Nella relazione della Direzione Nazionale Antimafia46

, viene sottolineata la peculiarità della presenza della

criminalità organizzata di tipo mafioso nel distretto di Palermo, di fatto il centro delle più diverse attività

criminali organizzate, spesso con estensione nazionale e internazionale. Per altro verso, si evidenzia

un’altra caratteristica specifica, poiché a Palermo non è praticamente possibile distinguere le

manifestazioni criminali di Cosa Nostra dalle attività delittuose comuni, poiché la presenza ed il potere di

controllo di Cosa Nostra sono stati - e sono tutt’oggi, nonostante alcuni successi dell’azione di contrasto,

“storicamente talmente penetranti e capillari, da interferire, sia pure in modi diversi, in quasi tutte le

attività lecite ed illecite produttive di reddito.”47

Nel rapporto tra mafia e società è dunque rinvenibile un

blocco sociale mafioso che è di volta in volta complice, connivente, o caratterizzato da una neutralità

indifferente.“Tale blocco comprende una “borghesia mafiosa” fatta di tecnici, di esponenti della

burocrazia, di professionisti, imprenditori e politici che o sono strumentali o interagiscono con la mafia in

una forma di scambio permanente

45 45

D.N.A. – Relazione annuale – Dicembre 2008. Le attività di collegamento investigativo con riferimento ai Distretti delle Corti di Appello: PALERMO. Relazione del Cons. Giovanni Melillo

D.N.A. – Relazione annuale – Dicembre 2008. Le attività di collegamento investigativo con riferimento ai Distretti delle Corti di Appello: PALERMO. Relazione del Cons. Gianfranco Donadio

47

ibidem

fondato sulla difesa di sempre nuovi interessi comuni. La cosiddetta zona grigia rappresenta a ben

vedere la vera forza della mafia: essa è costituita da individui e/o gruppi che vivono nella legalità e

forniscono un fondamentale supporto di consulenza per le questioni legali, gli investimenti,

l’occultamento di fondi, la capacità di manovrare il rilevante potenziale economico dell’organizzazione

criminale.”48

Questa interconnessione, peraltro, si registra anche nelle indagini riguardanti i reati contro la

Pubblica Amministrazione, “atteso lo storico rapporto di infiltrazione per decenni attuato da Cosa Nostra

nel tessuto della società civile, delle professioni e delle Istituzioni.”49

Tuttavia, nell’ultimo biennio, si

confermano le linee di tendenza, già manifestatesi in precedenza, caratterizzate dall’efficace azione

repressiva che ha colpito molti membri dell’ala militare di Cosa Nostra ed ha consentito di raggiungere

risultati di notevole importanza, culminati nella cattura di alcuni dei più importanti capi mafiosi ancora

latitanti. Accanto a tali successi investigativi, si è ulteriormente rafforzata l’altra tendenza già emersa,

costituita dalla reazione all’oppressione mafiosa proveniente da alcuni settori della società civile, che si è

manifestata attraverso esperienze, come quella promossa dai giovani di Addiopizzo e le iniziative

adottate da Confindustria, che ha denunciato come incompatibile con l’appartenenza all’associazione, il

comportamento di quei propri aderenti che si rifiutano di denunciare le estorsioni subite, talvolta anche

in casi in cui è evidente la prova a carico dei loro estortori. Le più recenti indagini sulla criminalità

mafiosa confermano che Cosa Nostra palermitana, nonostante i successi dell’attività repressiva:

“continua comunque ad esercitare un esteso controllo sulle attività economiche, sociali e politiche nel

territorio.”50

Inoltre, proprio le indagini dirette alla cattura dei più importanti latitanti di Cosa Nostra

palermitana, continuano a svelare l’esistenza di una vasta rete di fiancheggiatori nei più svariati settori

della società e dell’economia, evidenziando la perdurante ed estrema pericolosità dell’organizzazione

mafiosa, nonché la sua straordinaria capacità di infiltrare il tessuto economico e sociale. Cosa Nostra ha

in corso un complesso progetto di ricostruzione del suo assetto organizzativo, che giustifica l’apparente

dicotomia tra gli arresti eccellenti ed il permanere di un’intatta capacità di condizionamento della vita

economica e sociale. Le principali attività criminose nelle quali si realizza l’accumulazione di ricchezza

illecita da parte di Cosa Nostra nella fase dell’accumulazione primaria sono costituite dalle estorsioni,

dalla gestione illecita degli appalti pubblici, nonché dal traffico di sostanze stupefacenti. Le indagini

compiute negli ultimi anni dalla Procura della Repubblica di Palermo, sui vari versanti delle attività di

accumulazione illegali di risorse da parte dell’associazione mafiosa, hanno consentito di acquisire

maggiori elementi di conoscenza del fenomeno, ancora in gran parte inesplorato, del reinvestimento in

attività produttive ed economiche degli illeciti capitali accumulati dagli appartenenti a Cosa Nostra. E’

48

Ibidem 49

ibidem

50

ibidem

emersa un’insospettabile categoria di operatori economici che, dall’appoggio di importanti esponenti

collocati ai vertici di Cosa Nostra, hanno tratto grandi vantaggi, inserendosi nel sistema illecito degli

appalti pubblici e distraendo il credito loro fornito da aziende bancarie e sono state riscontrate collusioni

tra esponenti di Cosa Nostra e soggetti terzi professionalmente specializzati, anche inseriti in apposite

strutture finanziarie.

1.3.3 Le organizzazioni criminali nell’area metropolitana barese

Come si legge nelle note della Relazione annuale della DNA dedicate al distretto della Corte di Appello di

Bari51

, la realtà criminale è tuttora dominata dall’esistenza di numerosi gruppi strutturati, tra i quali

alcuni presenti da tempo e capaci di estendere la propria influenza anche in ambito extra-regionale, ed

altri, sorti dalla continua mutazione genetica delle matrici preesistenti che concentrano il proprio agire

sul territorio di rispettiva competenza. La criminalità organizzata barese, analogamente a quanto

avvenuto nella regione Puglia, si è rafforzata dall’inizio degli anni ottanta, favorita dalla posizione

geografica al centro delle principali rotte del Mediterraneo, sfruttando l'esperienza acquisita come

gregaria delle più potenti organizzazioni criminali insediate in Campania e Calabria, sino a ricoprire il

ruolo di quarta mafia. I gruppi criminali baresi hanno potuto così da un lato intensificare le proiezioni

internazionali nel settore tradizionale del contrabbando di tabacchi, e dall’altro estendere il proprio

campo d’azione ai traffici illeciti di stupefacenti, armi, prostituzione e clandestini, senza ovviamente

tralasciare i settori tradizionali quali furti, estorsioni, rapine, ricettazione ed usura. Secondo i magistrati

della DNA, la criminalità organizzata barese continua ad essere caratterizzata da una struttura

sostanzialmente orizzontale, diversa quindi da quella verticale che connota la mafia siciliana,

disomogenea e non caratterizzata da stabilità di programmi criminali. Ciò determina un secondo aspetto

caratteristico della criminalità barese che è l’elevata conflittualità interna, riconducibile all’incapacità

d’instaurare durature alleanze per l’endemica litigiosità dei criminali baresi con gravi fatti di sangue,

maturati per il controllo del mercato degli stupefacenti. Un terzo aspetto che connota la criminalità

barese è la notevole capacità di proselitismo, con la capacità di influenzare molti giovani, che aderiscono

ai modelli proposti dell’associazionismo criminale, aspetto che appare evidente nell’utilizzo dei minori

nelle attività delittuose al quale si assiste con sempre maggiore intensità nella città di Bari e nel suo

hinterland. Le indagini di polizia hanno infatti accertato che i gruppi criminali hanno non solo beneficiato

del contributo di minori inseriti nelle proprie fila, ma hanno anche favorito e sfruttato l’apporto

delinquenziale degli stessi, meno soggetti a controlli, così da rappresentare il profilo

51

D.N.A. – Relazione annuale – Dicembre 2008. Le attività di collegamento investigativo con riferimento aiDistretti delle Corti di Appello: BARI. Relazione del Cons. Fausto Zuccarelli

ideale per la proficua conduzione di specifiche azioni delittuose e soggetti ad un trattamento penale e

processuale più favorevole. Nella città di Bari sono attive numerose famiglie, che costituiscono la base

aggregante di consolidati e rilevanti interessi illeciti, spesso partendo dal radicamento in un singolo

quartiere della città. La presenza di una pluralità di famiglie, la loro capacità di intessere relazioni con

criminali stranieri e le logiche di espansione degli affari illeciti dal tessuto metropolitano alla provincia,

specie per il mercato degli stupefacenti ed il settore dell’usura, dimostrano che la situazione criminogena

è caratterizzata da una fluidità strutturale in costante evoluzione. Tuttavia, nell’ultimo biennio, Bari ha

vissuto una situazione di apparente calma52

, contrassegnata dalla rilevante espansione del clan

Strisciuglio, già dominante nei quartieri Borgo Antico, Libertà, Carbonara, San Girolamo, Palese, S.

Spirito-Enziteto), che ha esteso la propria influenza criminale nel quartiere San Paolo e nei comuni di

Noicattaro, Giovinazzo e Bitonto. Dall’analisi dello stato della criminalità organizzata insediata nella città

di Bari, appare evidente la politica di colonizzazione perseguita dai maggiori sodalizi criminali del

capoluogo, protesa a consolidare e allargare la propria influenza sul territorio, conquistando nuove

piazze per i mercati illeciti e nuovi adepti. Sulla base delle indagini condotte e delle analisi effettuate

dagli organi investigativi, può affermarsi che le principali fonti di sostentamento per le associazioni

criminali operanti nell’area metropolitana barese, sono il traffico e lo spaccio di sostanze stupefacenti, i

reati contro il patrimonio e le infiltrazioni nell’economia legale.

1.4 Le statistiche sulla delittuosità nelle tre aree metropolitane del Mezzogiorno

Un riflesso immediato delle considerazioni dei magistrati, che consegnano un quadro in cui la presenza

del crimine organizzato rimane un dato ineludibile nel contesto delle aree metropolitane del

Mezzogiorno, si ha nell’osservazione delle statistiche sulla delittuosità che, sia pure in modo non sempre

adeguato, offrono nel complesso un quadro delle problematiche di un territorio. Certamente si tratta di

una fonte statistica non priva di criticità, poiché si basa sulle denunce raccolte dalle Forze di Polizia e

non considera quindi i reati per cui non viene presentata una denuncia che, proprio nei contesti in cui

maggiore è la presenza criminale, per taluni reati sono assai rilevanti.53

Tuttavia, l’osservazione

dell’andamento della delittuosità, nell’ultimo biennio, a Napoli, Palermo e Bari, offre un ulteriore spunto

di riflessione, poiché sottolinea il permanere di criticità strutturali che mantengono le tre grandi aree

metropolitane del Mezzogiorno lontane dagli standard che si rilevano nelle metropoli del Centro-nord.

Ma vediamo, in estrema sintesi, i numeri. Secondo le statistiche diffuse dal Ministero dell’Interno, tra il

2008 e il 2007 vi è una riduzione generalizzata della delittuosità, che si sostanzia in una diminuzione del

numero dei reati denunciati,

52

Fatta eccezione per gli episodi delittuosi avvenuti nell’estate 2007 e nell’inverno 2008 nell’area Valenzano-Adelfia per il riacutizzarsi di contrasti tra i clan Di Cosola e Stramaglia..

53

Si pensi alle denunce per estorsione ed usura che rappresentano una piccolissima parte dell’insieme dei reati consumati

su base nazionale, dell’8,1%. I delitti, almeno quelli riscontrati, si riducono in tutte le aree metropolitane

ma, come si osserva nitidamente nella tabella che segue, le tre aree metropolitane del Sud sono quelle

che segnano riduzioni più contenute, mediamente nell’ordine del 3%, a fronte di valori a due cifre per

tutte le altre grandi città. E’ questo un dato inequivocabile che, con tutta probabilità, in ragione del

numero oscuro dei reati non denunciati, nella realtà, profila un divario ancora più ampio, posto che la

propensione a denunciare i reati conosce una certa declinazione territoriale ed è maggiore nelle regioni

del Mezzogiorno.54

Tabella 15 Andamento delittuosità 2007-2008 nelle grandi città

Fonte:Ministero dell’Interno, dati SDI/SSD consolidati per anno 2007, provvisori per anno 2008

Quanto osservato in merito alla tendenza alla sottodenuncia di alcuni reati, appare immediatamente

evidente nella considerazione delle statistiche relative alle tre province in cui ricadono, di fatto

sovrapponendosi ampiamente, le aree metropolitane di Napoli, Bari e Palermo. Tuttavia, pur con la

necessaria prudenza55

, l’osservazione dell’insieme delle denunce, in un dato arco di tempo, assume

comunque un valore segnaletico non trascurabile. Ciò è del tutto evidente, ad esempio, nel caso di

Palermo e Bari, ove aumentano i principali reati sintomatici delle attività estortive,56

segnalando

un’emergenza per quella tipologia di reato. Giova pertanto, nello sforzo di fornire un quadro sintetico ma

efficace della realtà delle tre aree metropolitane considerarne, nelle tre tabelle che seguono, la dinamica

della delittuosità.

54

si vedano le considerazioni avanzate dall’Istat a corredo delle indagini di vittimizzazione 55

Non può infatti non creare imbarazzo, ad esempio, il dato relativo alle denunce di estorsione che, tra il 2006 e il 2008, a Palermo sono un

centinaio55

a fronte di una stima, diffusa nel rapporto annuale di SOS Impresa-Confesercenti55

, che afferma come l’ 80% i negozianti siano vittime del racket 56

incendi, danneggiamenti, danneggiamenti seguiti da incendio Fonte: Elaborazione su dati Ministero dell’Interno-Servizio di Analisi Criminale

Tabella 16 Provincia di Bari -Delitti denunciati- Anni 2006-2007-2008

Tabella 17 Provincia di Napoli -Delitti denunciati- Anni 2006-2007-2008

45

Tabella 18 Provincia di Palermo -Delitti denunciati- Anni 2006-2007-2008 Fonte: Elaborazione su dati Ministero dell’Interno- Servizio di Analisi Criminale

Fonte: Elaborazione su dati Ministero dell’Interno- Servizio di Analisi Criminale

46

Terza parte

Le buone pratiche delle politiche locali di sicurezza nelle aree di maggiore

criticità delle grandi metropoli del Mezzogiorno

I quartieri degradati delle città metropolitane sono ambiti in cui si sedimenta disagio sociale; luoghi, o

meglio, per dirla con Augè, non luoghi, dove sofferenza e insofferenza si mischiano e si scontrano, tra le

pieghe di una socialità sfilacciata, che non riesce a costruirsi o che collassa. Sono spesso periferie ma,

talvolta, anche porzioni delle zone centrali, che riassumono e condensano le problematiche economiche

e sociali del presente: disoccupazione, marginalizzazione, povertà - non solo materiali - disagi e

disillusioni. Frammenti di città oggetto di attenzioni, ciclicamente ravvivate da episodi di cronaca che li

pongono al centro della ribalta mediatica e, insieme, territori di oblio, cronicamente decentrati rispetto

all’agenda della politica. Ogni grande città ha aree urbane con forti criticità; nomi noti che, nel circuito

mediatico, sono finiti per diventare le metafore delle contraddizioni che si nascondono nella trama del

tessuto urbano delle città, facendole diventare il centro di una nuova questione sociale. Sono luoghi

certamente molto diversi tra loro, che ritrovano, tuttavia, un fattore comune nell’essere altri rispetto alla

città; siano essi il risultato del fallimento dell’utopia razionalista (come le Vele di Scampia, lo Zen di

Palermo o il Librino di Catania) o dell’incrocio dei mutamenti culturali – e strutturali – globali (l’Esquilino

a Roma, il quartiere Barriera di Milano o il Navile di Bologna). Quartieri molto diversi tra loro, anche

laddove elementi ricorrenti si richiamano e si rincorrono, connotandoli come luoghi di confine, anche

quando si trovano nei pressi dei centri delle città, immersi nell’area metropolitana, ma, comunque da

essa, distinti e distanti. Da Nord a Sud si delinea una geografia dei nuovi luoghi del conflitto sociale che

è anche, immediatamente, una cartina di tornasole dei fallimentari risultati di politiche scarse e

scarsamente efficaci. In alcuni casi, l’assenza o la latitanza dell’intervento pubblico e della stessa

presenza dello Stato ha determinano le condizioni ideali per il rafforzamento di vere e proprie contro-

istituzioni e l’insediarsi di un sistema di regolazione sociale informale ed illegale. Quartieri dove la

disoccupazione è cronicamente a due cifre, dove debole e spesso del tutto carenti sono i servizi di base

e, più in generale, ogni genere di attività di servizio, commerciale o produttiva. Discariche sociali ove, nel

tempo, si sono sedimentate, tra le altre, categorie sociali svantaggiate che condividono, se non nei modi

almeno negli effetti, i danni della marginalità. Gli autori delle ricerca promossa da Caritas e Università

Cattolica di Milano57

individuano quattro tipologie: i respinti, ovvero coloro che vivono situazioni di povertà estrema, che assommano alla deprivazione

economica quella sociale e culturale; i viaggiatori di seconda classe, persone che pur potendo accedere ai consumi, non avendo altre risorse culturali e sociali,

finiscono per rimanere in essi confinati; gli eredi del welfare (anziani, invalidi, adulti disoccupati), cittadini con limitate risorse dal punto di vista economico, sociale

ed una calante protezione istituzionale, ma non per questo non alla ricerca di percorsi esistenziali sensati; e gli alloggiati, soggetti relativamente deboli dal punto di

vista socio-economico e culturale, ma che cercano di sfruttare la deprivazione del territorio per seguire strategie individuali di benessere economico e mobilità

sociale. Per i curatori della ricerca promossa da Caritas e Università Cattolica di Milano: “… a inquietare è il vuoto umano che spesso si radica in queste aree, dove i

rapporti interpersonali si restringono fino a rimanere confinati nelle mura domestiche, che segnano un confine netto con l’esterno; il vuoto sociale che le tradizionali

agenzie di socializzazione (la famiglia, la scuola, la Chiesa) riescono a colmare solo in parte; il vuoto fisico lasciato tra le pile di cemento di costruzioni che di

razionale hanno avuto solo i calcoli matematici alla base del loro equilibrio; il vuoto istituzionale in cui i poteri criminali trovano un naturale brodo di coltura,

costituendo un mondo istituzionalizzato parallelo e sostitutivo rispetto a quello ufficiale, capace di fornire anche garanzie di sicurezza, opportunità di 'carriera’ e di

miglioramento delle condizioni esistenziali”. I quartieri critici, come si è osservato, sono presenti in tutte le grandi aree metropolitane del Paese, con tratti comuni

che assimilano realtà territoriali assai diverse. Tuttavia non può essere sottovalutato l’effetto moltiplicatore dei fattori di disagio economico e sociale che investe

quelli che si trovano collocati nel bacino delle grandi aree metropolitane del Mezzogiorno. Il gap che separa, nella considerazione degli indicatori socioeconomici, le

grandi aree metropolitane del Mezzogiorno da quelle del Centro-nord, determina un’immediata lievitazione delle criticità che si moltiplicano all’ennesima potenza ove

la criminalità organizzata definisce spesso una sorta di zona franca, per lo spaccio di droga e per il reclutamento di nuovi adepti. A conferma di quanto osservato in

precedenza sul maggior carico di criticità che si incontra nei quartieri sensibili delle aree metropolitane del Mezzogiorno, vi sono alcune osservazioni proposte nella

ricerca di Cittalia, già considerata in precedenza. In particolare appare evidente come la valutazione delle condizioni di sicurezza, di norma, migliora quando

dall’esame del contesto cittadino, si chiede di valutare ai residenti la sicurezza nel proprio quartiere. Ciò non vale, o almeno non vale nella stessa misura, se si

considerano le risposte dei cittadini residenti nelle aree urbane del Mezzogiorno. Inoltre, nella valutazione della sicurezza rispetto a qualche anno fa, per i residenti

nelle aree metropolitane del Sud, prevale, nettamente, anche nella propria specifica dimensione abitativa, un giudizio negativo. Il differenziale tra coloro

57

Caritas Italiana e Università Cattolica di Milano, La città abbandonata: dove sono e come cambiano le periferie italiane, Roma, 2009, Il Mulino

che ritengono il proprio quartiere più sicuro e quelli che, invece, pensano che sia divenuto meno sicuro è

massima nel caso di Napoli (58 punti), elevata a Palermo (23 punti) e decisamente più bassa a Bari (9

punti).

Tabella 19Rispetto a qualche anno il suo quartiere è: (valori percentuali)

Fonte: elaborazione Cittalia su dati SWG

La valutazione negativa rispetto all’evoluzione della problematica della sicurezza si riflette, ovviamente,

nella considerazione della diffusione, nel territorio urbano, dell’insicurezza. Anche in questo caso il

giudizio più preoccupato è quello espresso dai cittadini napoletani, per il 60% dei quali la città non è

sicura in nessun luogo, percentuale che scende al 26% per i palermitani e si ferma al 18% per i baresi.

Tabella 20Complessivamente direbbe che la sua città è: (valori percentuali)

Fonte: elaborazione Cittalia su dati SWG

Va inoltre osservato che, nell’esame della distribuzione delle principali cause di insicurezza nelle aree

metropolitane, Napoli, Palermo e Bari staccano nettamente tutte le altre città per il peso attribuito alla

criminalità organizzata che, quindi, rappresenta uno specifico fattore che mina la condizioni di sicurezza

e la stessa sicurezza dei diritti.

Figura 1

La distribuzione delle principali cause di insicurezza nelle città metropolitane

Fonte: Tratta da Cittalia, Oltre le ordinanze i sindaci e la sicurezza urbana

1.1 I quartieri con maggiori criticità nelle grandi aree metropolitane del Mezzogiorno

Coerentemente con la scelta di approfondire la riflessione sulle politiche di sicurezza attuate nelle grandi

aree metropolitane del Mezzogiorno (Napoli, Bari e Palermo), l’analisi di campo, tesa a rilevare gli

interventi attuati e ad individuare eventuali buone pratiche, deve essere necessariamente perimetrata

nelle tre capitali del Sud, attraverso l’individuazione di altrettanti quartieri con particolari criticità. Da una

verifica con alcuni esperti conoscitori dei tre contesti urbani è emerso che in ogni città, in realtà, vi sono

più quartieri sensibili, con un’accentuazione periodica delle criticità che sposta il baricentro

dell’attenzione mediatica e, meno, quello delle politiche di sicurezza. Nell’esigenza di guadagnare una

selezione dei tre casi, ci siamo avvalsi anche delle evidenze emerse nella ricerca dell’ANCI – Cittalia58

,

nell’ambito della quale è stato chiesto agli intervistati di indicare se, nella propria città, vi sono quartieri

off limits, in cui sia pericoloso avventurarsi.

Tabella 21 Le zone “off limits” più citate dagli intervistati di ciascuna città

Fonte: Tratta da Cittalia, Oltre le ordinanze i sindaci e la sicurezza urbana

Da un successivo esame, con una serie di testimoni privilegiati nelle tre aree metropolitane, è maturato

l’orientamento di svolgere l’indagine di campo, destinata a verificare l’efficacia delle politiche di

sicurezza, locali e nazionali, nei quartieri di Scampia (Napoli), Zen (Palermo), ridenominato San Filippo

Neri ed Enziteto (Bari), anche questo recentemente ridenominato San

CITTALIA Fondazione ANCI ricerche, Oltre le ordinanze i sindaci e la sicurezza urbana, CITTALIA marzo 2009

Pio. La scelta, per alcuni versi quasi unanime, di Scampia e dello Zen, ha determinato la selezione, tra i

quartieri baresi, di Enziteto, che presenta caratteristiche di collocazione urbana similari a quelle dei due

ambiti precedentemente selezionati: entrambi quartieri periferici di relativamente recente

urbanizzazione. L’unico elemento che differenzia nettamente i tre quartieri oggetto dell’approfondimento

è la loro dimensione demografica: Scampia, con oltre 45.000 abitanti è un grande quartiere; lo ZEN ,

con circa 20.000 residenti, è un quartiere di medie dimensioni e Enziteto, con circa 3.000 abitanti, è

decisamente un piccolo quartiere. Nelle note che seguono sono riportate, dapprima, tre schede

sintetiche che presentano i quartieri in oggetto, da cui emergono alcuni tratti comuni, che vanno dalla

collocazione periferica rispetto al centro delle città, all’assetto urbanistico - e alle criticità da esso indotte

– ad uno scenario sociale connotato da povertà economica, disoccupazione di tipo strutturale,

soprattutto per alcuni gruppi sociali (quelli a basso capitale sociale, formazione scadente e

demotivazione) e dal basso livello d’istruzione e formazione. Questi aspetti hanno un grande rilievo per

le condizioni di vita delle persone che vivono a Scampia, come allo ZEN o ad Enziteto, quartieri che

associano al disagio territoriale l’estremo deficit di opportunità prodotto dalla sostanziale assenza di

funzioni di servizio (soprattutto piccolo commercio e artigianato), spazi (piazze, luoghi di ritrovo, simboli

aggreganti) e presenze (attrattori di flussi diversi di popolazione che rendano variegate le possibili

interazioni, gli interessi, la vitalità). Sono quartieri giovani ma non sono quartieri per giovani. Dalle

ricerche sociali emerge uno spaccato drammatico che accomuna storie di vita di giovani che vivono in

quartieri diversi. Giovani che con molte difficoltà arrivano ad avere il titolo di studio obbligatorio e, non

continuando gli studi nelle scuole superiori e non avendo una reale opportunità di frequentare corsi

qualificati di formazione professionale, sono praticamente abbandonati a se stessi. Nel migliore dei casi

sono sollecitati e sostenuti dalle famiglie ad accedere nel mercato del lavoro nero mentre le ragazze

spesso vengono impegnate per i lavori di cura della casa e dei fratelli minori, avendo poi solo in un

precoce matrimonio (generalmente non duraturo) la prospettiva di un’emancipazione. Così dopo la

scuola dell’obbligo i giovani restano, almeno per qualche anno, senza far niente, in balia delle

disopportunità che il quartiere offre. Molti di questi ragazzi59

rischiano pertanto di entrare in un circolo

vizioso di incollocabilità socio professionale, fra demotivazione, disistima, inutilizzabilità, esclusione, che

in età adulta sarà ben difficile recuperare. Eppure, nonostante l’evidenza della realtà e la percezione

diffusa che il recupero delle aree urbane con forti criticità richieda un impegno straordinario,

particolarmente rivolto ai giovani, gli interventi delle politiche nazionali che interessano questi contesti,

sono state e sono decisamente insufficienti. A tale proposito giova considerare che non vi sono segnali

confortanti neppure

59

La presenza dei Rom ha creato spesso tensioni con la popolazione locale, particolarmente violente nel 1999 e, recentemente, nel 2008. S

Secondo stime credibili in un quartiere come Scampia circa il 30% della popolazione in età fra i 14 e i 16 anni rischia di entrare in un circolo vizioso di incollocabilità socio professionale

nell’utilizzo dei fondi comunitari del Programma Operativo Nazionale “Sicurezza per lo Sviluppo del

Mezzogiorno” 2000-2006 e nel successivo ciclo di programmazione 2007-2013. Il PON Sicurezza, definito

con l’obiettivo di realizzare nelle regioni del Mezzogiorno condizioni di sicurezza paragonabili alle altre

aree del paese, pur a fronte di ingenti risorse60

, non ha fin qui realizzato significative iniziative dedicate ai

quartieri critici nelle aree metropolitane del Sud. Infatti, nell’ambito della programmazione 2000-2006, si

conta un solo progetto che incide sulle periferie dell’area metropolitana napoletana e che, tra gli altri61

,

investe anche il quartiere di Scampia. Si tratta del Progetto Pilota “Napoli Sicurezza per lo Sviluppo”,

finalizzato a realizzare migliori condizioni di sicurezza attraverso l'educazione alla legalità, rafforzando nei

giovani il senso di identità e di appartenenza alla comunità cittadina ed offrendo un sostegno nel

processo di riconoscimento di strade alternative all'illegalità. Le scuole, selezionate dalla Direzione

Scolastica Regionale in base a criteri di collaudata esperienza nell'elaborazione di progetti formativi per

minori a rischio, hanno segnalato i ragazzi, tra i 14 e i 17 anni, successivamente coinvolti nell’iniziativa.

Nel quartiere di Scampia l’intervento ha interessato l’ ITIS Ferrarsi ove è stato sviluppato uno specifico

Progetto Formativo per le attività di Addetto alla Produzione Grafica e Sonora PC, con un corso,

finalizzato al reinserimento scolastico e all’accesso ad uno stage lavorativo, con 450 ore di formazione,

150 ore di laboratori ludico ricreativi e 150 ore di stage in azienda. Alle attività, che hanno avuto inizio

nel giugno 2006 e si sono concluse nel luglio 2007, hanno partecipato 17 ragazzi e, di questi, 10 hanno

portato a termine il percorso formativo, sono stati reinseriti nel circuito curricolare istituzionale e hanno

frequentato lo stage. Con tutta evidenza si tratta di un interessante Progetto Pilota che, tuttavia, pare

ben poca cosa rispetto alle necessità. Per altro verso, il nuovo PON Sicurezza, avviato alla metà del ciclo

di programmazione 2007-2013, non ha fin qui prodotto un solo progetto significativo che vada ad

incidere, specificatamente, ovvero con interventi ad hoc, sulle condizioni di sicurezza dei quartieri con

maggiori criticità del Mezzogiorno.

1.1.1 Scampia

Scampia è un grande quartiere della periferia nord di Napoli, situato nella piana di uno degli antichi

casali agricoli (il termine Scampia significa spianata) annessi alla città, fra il 1925 e il 1927. E’ un

quartiere di recente costituzione, se si considera che oltre l'80% degli edifici è stato edificato tra il 1970

e il 1990, con alcune realizzazioni edilizie assai discusse, le cosiddette Zone 167, diventate

60

Circa 1.150 milioni di euro per ogni ciclo di programmazione

61

Stella San Carlo all'Arena, San Lorenzo Vicaria, Avvocata Montecalvario, Miano, Secondigliano.

famose col nome di Vele, edificate in momenti di piena emergenza post-terremoto. Il terremoto del

1980, del resto, rappresenta un passaggio chiave nella definizione dell’assetto attuale di Scampia. In

quel periodo, infatti, con i lavori di costruzione di molti edifici quasi ultimati, vi fu un massiccio ciclo di

occupazioni degli immobili destinati agli uffici (e quindi allo sviluppo dell'area Nord di Napoli) da parte

dei senza tetto. Non tutte le persone in emergenza abitativa lo erano per le cause sismiche; le

occupazioni raccoglievano il malcontento causato dall'esplosione di abusivismo edilizio avutosi a Napoli a

partire dagli anni '60. Scampia è così divenuto uno dei quartieri più popolosi della città, con oltre 45.000

abitanti, un dato che va aggiornato al rialzo per via delle occupazioni abusive, ovviamente non registrate

all'anagrafe del Comune di Napoli, che secondo alcune stime elevano di parecchie migliaia il numero dei

residenti.

Nelle intenzioni di chi progettò le Vele c’era l’idea di plasmare le forme della convivenza civile tramite le

forme dell’architettura; le Vele, infatti, erano concepite come veri e propri edifici-rione, palazzoni lunghi

cento metri e alti quattordici piani, che dovevano favorire l’integrazione tra le migliaia di persone che

erano in grado di ospitare. Per rendere il tutto più funzionale e creare una città modello, furono ideati

attorno alle Vele grandi viali di scorrimento rapido, che consentissero collegamenti veloci e agevoli; le

grandi torri abitative risultavano inoltre attorniate da parchi e giardini e da tutto quanto potesse servire

per una buona urbanistica, tipica del funzionalismo urbano. Ma le cose non sono andate così; sin dagli

inizi il rione è stato etichettato con il semplice numero 167 e si è rapidamente compiuta la metamorfosi,

da ipotesi di città modello a ghetto di periferia e il nome Vele è diventato tristemente famoso come

l'emblema di uno dei quartieri più degradati e problematici della città. Tra le concause del disastro

sociale che si è determinato a Scampia, c’è sicuramente l’incapacità, da parte dei governi locali, di

gestire in modo efficiente e corretto la realizzazione di un progetto tanto vasto e ambizioso. Negli anni

Settanta si è pensato solo alla costruzione degli alloggi, trascurando il sistema di servizi, realizzato,

peraltro non senza lacune, con un ritardo quasi ventennale. L’incapacità gestionale è continuata poi nel

1980: il terremoto dell’Irpinia produsse un esercito di senza tetto e la risposta delle amministrazioni fu

alloggiare i nuclei familiari, provenienti da edifici lesionati, nelle gigantesche Vele, sconvolgendo tutte le

graduatorie di assegnazione delle case popolari. A questo episodio si sono aggiunte le ripetute

occupazioni di alloggi e la pratica di adibire ad abitazioni spazi che originariamente erano destinati a

diventare scantinati e ballatoi con evidenti conseguenze, in termini di degrado urbano e accumulo di

elementi di disagio socio-economico. Gli stessi sottopassi, destinati a collegare le unità abitative, sono

stati chiusi per problemi di sicurezza e, ad oggi, ancora murati e quindi non agibili. Il quartiere - rispetto

ai dati della città -ha una popolazione mediamente più giovane, con maggiore presenza di famiglie

numerose con indicatori di disagio sociale ed economico che sono molto più alti. Scampia è un quartiere

dormitorio che presenta un’articolata composizione sociale che riflette la compresenza di diverse

tipologie di abitanti: i proprietari degli alloggi degli edifici delle cooperative, gli assegnatari di alloggi

pubblici, gli occupanti abusivi degli edifici di edilizia pubblica non completati, gli scantinatisti, i Rom del

campo nomadi ai margini dell’abitato. Gli abitanti di Scampia, solitamente rappresentati come un blocco

sociale unitario e indifferenziato, sono quindi espressione di diversi gruppi sociali, evidenti peraltro anche

nell’analisi della condizione abitativa del quartiere, diviso tra i ceti medi, per lo più dipendenti pubblici

che risiedono nelle case costruite dalle cooperative, ed i ceti popolari, se non marginali, nelle Vele. A

Scampia le dinamiche sociali sono condizionate negativamente da vari fattori: l’assetto degli assi viari

(che dividono con grandi interruzioni il tessuto urbanistico), le caratteristiche architettoniche delle unità

abitative (ognuna con il suo piccolo spazio verde chiuso in se stesso, che spezza lo spazio urbano in

tante isole di cemento), l’assenza di spazi comuni come piazze, giardini e parchi (il parco di quartiere è

ritornato fruibili solo negli ultimi anni), mancanza di luoghi di socializzazione (bar, circoli, cinema, ecc.).

Il degrado ambientale si accompagna anche ad una marcata povertà materiale e sociale le cui cause,

ancorché recenti, sono profondamente diffuse nella periferia nord di Napoli. Scampia è il primo quartiere

di Napoli per disoccupazione – al secondo posto peraltro vi è il quartiere limitrofo di Secondigliano - con

uno dei tassi di disoccupazione più alti d'Italia, pari al 50%-75% della popolazione attiva, con elevate

quote di disoccupati, sia tra i giovani che tra i capi famiglia. Una tale densità di persone in precarie

condizioni socio-economiche in un complesso così grande, ha determinato le condizioni oggettive per

l’insediamento della criminalità organizzata. Le Vele costituiscono una sorta di zona franca per la

criminalità, ben protetta ed isolata in ragione dei discutibili criteri urbanistici, nella quale si sviluppano, a

livelli senza eguali nel Paese, le attività di spaccio di stupefacenti62

, tanto che oggi Scampia viene identificata come la più

grande piazza in Europa per lo spaccio di droghe al dettaglio. Per quanto riguarda le attività produttive, l’esile e scarsamente articolata struttura produttiva del

quartiere è prevalentemente basata sul settore del commercio e delle riparazioni. All’interno dell’area più densamente popolata, non ci sono negozi e tutta la

dotazione di servizi pubblici, per un quartiere con decine di migliaia di abitanti, si risolve in un distretto sanitario, due uffici postali, una sede Inps e la piscina

comunale. Un mercato rionale e qualche negozio si trovano nelle vicinanze, tuttavia separati dai grandi vialoni che circondano Scampia, una sorta di arcipelago, sia

dal punto di vista della struttura urbanistica (una serie di lotti separati da strade larghe, inusuali per il contesto cittadino meridionale) sia, come osservato in

precedenza, da quello sociale, con la presenza di alcuni gruppi sociali sostanzialmente separati, in cui i caratteri della struttura fisica del territorio sembrano avere

dei riflessi in quella sociale e nell’assetto delle reti umane.

62

La causa principale dell'esplosione dei traffici di viene fatta risalire alla decisione di aprire la nuova struttura ASL Napoli 1, proprio accanto alle Vele, e ancora, di ospitare un centro di somministrazione del metadone che richiamò frotte di tossicodipendenti da tutta la città, dalla provincia e dalla Regione.

1.1.2 ZEN (ridenominato San Filippo Neri)

Lo ZEN, acronimo di Zona Espansione Nord, successivamente ridenominato “San Filippo Neri”, è un

quartiere degradato e densamente popolato di Palermo, che conta circa 20.000 abitanti, anche se a

causa dell’occupazione abusiva delle abitazioni è difficile stabilirne l’effettivo numero. Il quartiere, nato

come area destinata a residenza, nelle previsioni del Piano regolatore generale del 1956, interamente

costituito da fabbricati di edilizia popolare, si suddivide in due aree, con diverse caratteristiche

costruttive, comunemente definite come "ZEN 1" e "ZEN 2", edificate a partire dal 1969, per opera

dell'IACP palermitano, su progetto dell'architetto Vittorio Gregotti63

. In realtà il quartiere comprende

anche un primo nucleo di 316 alloggi, denominato Borgo Pallavicino, realizzato nel 1958 con

finanziamento regionale, disabitato sino all’occupazione abusiva, avvenuta nel 1968. Lo ZEN 1, che ha

preso forma nel 1966, è costituito da edifici alti dieci piani, per complessivi 1.203 appartamenti; la

costruzione segue motivo a greca, al centro un grande spazio da destinare a verde pubblico e a servizi

collettivi. Lo ZEN 2, in cui si concentrano le maggiori criticità, fu originato dal concorso nazionale,

bandito dall’Istituto case popolari della provincia alla fine del 1969 per completare il quartiere ed il

progetto vincitore, nella sua forma iniziale era costituito da tre file parallele di sei insulae64

ciascuna e da

attrezzature collettive. Purtroppo la totale assenza di opere di urbanizzazione secondaria, ad eccezione

delle due scuole e della chiesa, hanno aggravato gli effetti della mancanza, fino alla fine degli anni ’90,

di opere di urbanizzazione primaria: le insule, almeno ufficialmente, non avevano allacciamento alla

fognatura né alla rete elettrica, idrica e del gas; gli abitanti si approvvigionavano in forma quasi sempre

illegale. Oggi, dopo oltre venti anni dal primo appalto, le opere di urbanizzazione primaria sono arrivate,

ma il viaggio verso la normalità del vivere allo ZEN rimane un’avventura: per fare una carta d'identità

bisogna prendere tre autobus: l'ufficio postale ha due sportelli per oltre 20 mila abitanti. Il quartiere,

spesso ricordato come uno dei peggiori esempi italiani di degrado urbano è un dormitorio, discarica per

popolazioni espulse dal centro, dove convivono l’assenza di servizi e disagio sociale, con alti tassi di

dispersione scolastica, elevata marginalità occupazionale, drammatica precarietà economica. I minori a

rischio, secondo la Camera del lavoro, che ha una sede nel quartiere, sono il 65% del totale mentre il

40% è stato denunciato almeno una volta e, allargando il campo agli adulti, circa il 30% ha avuto o ha

noie con la giustizia. Il grado di istruzione risulta un evidente indicatore del disagio sociale proprio del

quartiere: a fronte di una quota di analfabetismo attestata all’interno dell’intero Comune di Palermo, sul

2,2% della

63

L’architetto Gregotti (creatore e pensatore dello Zen 2) gira l’Italia in lungo e in largo spiegando che la sua intenzione era quella diricreare le dinamiche e gli agglomerati sociali dei vecchi borghi storici della città, ma alla domanda: “lei abiterebbe mai allo Zen 2?”, harisposto fiero: “No, che c’entra, io mica sono un operaio!”.

64

Ogni insula è costituita da quattro corpi separati da tre strade interne di cui due pedonali e quella centrale per le auto.

popolazione, nel quartiere tale dato si attesta su un valore pari al 5,4%. La situazione si aggrava sul

versante del possesso di un titolo di studio superiore: se a livello comunale la percentuale di diplomati o

laureati arriva a quasi il 22% sul totale dei residenti, nel quartiere si riduce al 2,64%, ed in alcune zone

del quartiere (Zen 2) all’1%65

. I nuclei familiari risultano, al loro interno, generalmente numerosi; una

buona percentuale di essi può, infatti, definirsi famiglia allargata. Spesso al loro interno dominano

atteggiamenti e modelli diseducativi, stereotipi culturali negativi che rendono difficile la comunicazione,

sia in senso socio-affettivo, che educativo-cognitivo con gli operatori scolastici. Non si registrano attività

prevalenti, la maggior parte della popolazione occupata trova impiego nel settore delle costruzioni, ma è

molto alto il livello di disoccupazione (63,7% contro il 34,8% del resto della città). La caratteristica

comune degli abitanti delle due aree abitative (ZEN 1 e ZEN2) è la marginalità, che si caratterizza per

l’isolamento fisico ed anche per la concentrazione di ceti sociali che, pur nella loro articolata

stratificazione, sono fondamentalmente subalterni, esclusi dalla vita sociale e produttiva della città. Il

quartiere, sorto oltre la cerchia della periferia urbana allora in piena espansione, risulta un'entità

separata rispetto alle aree circostanti, separato e chiuso in sé stesso, prossimo eppure lontanissimo

rispetto alla città di cui, tuttavia, è il naturale completamento verso nord, lungo un asse di poco più di

dieci chilometri che dal centro attraversa tutto il capoluogo siciliano. Lo ZEN risulta chiuso da un anello

stradale, che ha tagliato ancora di più i legami con le borgate vicine e il resto della città, facendone, a

dispetto della geografia, il paradigma della periferia, della lontananza dal centro; un altro mondo rispetto

alla Palermo dal cui centro storico provengono la gran parte degli abitanti dello Zen e che della città

avvertono una sensazione di lontananza, che si sintetizza in espressioni come: Vado a Palermo a

lavorare, o Scendo a Palermo per andare a scuola, quasi ad evocare un viaggio verso un’altra città. La

logica della separazione, per cui l’80% dei palermitani non è mai stata allo ZEN, peraltro, si riflette

anche all’interno del quartiere, diviso in due parti, attraversato da un confine simbolico che lo separa in

ZEN 1 e ZEN 2; differenza a cui gli stessi abitanti tengono perché frutto di due insediamenti sociali

diversi. Mentre lo ZEN 1 nasce come agglomerato popolare, raccogliendo tutti gli sfollati del centro

storico dopo il terremoto del ’68, gente che si ritrova ad occupare le case spinta dal bisogno di avere un

tetto sopra la testa, i casermoni arancioni di carton gesso dello ZEN 2, le Insulae, raccolgono invece,

ampie sacche di disperazione sociale della città di Palermo. La condizione di particolare isolamento,

l’aggravarsi della crisi economica ed occupazionale hanno incrementato attività illegali che alimentano

precoci forme di devianze minorili e di microcriminalità. Allo ZEN, quartiere collocato nel cuore del

mandamento che un tempo faceva capo a Totò Lo Piccolo66

, i bisogni primari della gente (acqua, luce,

lavoro), sono stati e sono ancora gestiti da una rete di malaffare che si è suddivisa un territorio ove il

pizzo è

65

Fonte dei dati : Piano di Riqualificazione Urbana presentato dal Comune di Palermo 66

Boss di San Lorenzo arrestato con suo figlio Sandro a novembre del 2007.

pagato a tappeto con un livello di estorsione che, secondo le più recenti inchieste,67

è nell’ordine di 20 –

30 euro mensili per ogni nucleo familiare. Assai esile, per non dire inesistente, il tessuto delle attività

economiche nel quartiere, pochi piccoli esercizi commerciali in cui si recano solo persone del luogo ed un

mercato settimanale all’aperto, all’ingresso dello ZEN 1, che, pochi mesi fa, ha visto chiudere tutti i

banchi per un giorno come segno di rispetto al lutto di un uomo di Cosa nostra.

1.1.3 Enziteto (ridenominato San Pio)

La frazione di Enziteto, recentemente ridenominata come San Pio, è un piccolo quartiere nel comune di

Bari, dal cui centro dista solo 13 chilometri, inserito nella Circoscrizione I (Palese-Santo Spirito)68

che

compone parte della grande periferia ingranditasi progressivamente nel secondo dopoguerra. Nato come

parte di un ambizioso progetto urbanistico, per cui doveva essere una sosta di quartiere pilota, Enziteto

è rimasto un’opera incompiuta, isolato dal resto della città, con un reticolo di strade che lo separa dai

rioni limitrofi accentuandone la separazione. Un quartiere dormitorio la cui prima edificazione risale alla

fine degli anni 70, con la costruzione di edifici che si stagliano nella pianura come enormi scatoloni a

forma di parallelepipedo. Nei grandi contenitori vivono circa 3.000 abitanti ma la sensazione,

attraversando i larghi viali e i parcheggi tra i palazzi, è quella di un luogo disabitato, abbandonato dalla

vita associata. Nel caso di Enziteto la composizione sociale dei residenti è omogenea poichè coloro che

abitano le case di edilizia popolare sono, in larga misura, persone che provengono dalle aree degradate

di Bari Vecchia, con frequenti situazioni di disoccupazione, disagio sociale e povertà. Benchè nel

comprensorio vi sia una contiguità con gruppi sociali diversi che popolano le case di Catino (abitazioni a

riscatto) e la limitrofa area di edilizia residenziale, Enziteto rimane sostanzialmente come un mondo a

sé, distinto e distante dal resto della città. La dimensione del disagio sociale che connota Enziteto entrò

nelle cronache nazionali con la tragedia della piccola Eleonora, morta di stenti nel gennaio 2005; una

tragedia che l’indifferenza e/o l’impotenza delle strutture pubbliche, praticamente inesistenti, non

riuscirono ad evitare. Enziteto è spesso definito come deserto sociale dove manca il lavoro e non solo.

Nel quartiere barese per anni non c’è stato alcun presidio pubblico, né un ambulatorio medico, né

servizio postale, e, ancora oggi l’apertura di un bar o di una pizzeria rappresenta un evento.

L’inefficienza della pubblica amministrazione, che in questi non luoghi è stata a lungo assente, pre-

costituisce le fondamenta di un sistema di relazioni su cui poggiano i pilastri di un potere che sostituisce

i diritti con i favori ed esercita un forte

67

“Addio pizzo 3” 68

La Circoscrizione I ( Palese Macchie, Santo Spirito, Catino, San Pio) conta 28.757 abitanti (2001) con una densità di 1.544 ab X kmq

condizionamento sulla vita associata.69

Enziteto è stato ed è ancora, sia pure in misura minore, un luogo

di spaccio di droghe, un quartiere che nella mappatura dell’influenza delle cosche locali viene attributo

agli Striusciuglio, la più potente consorteria criminale barese.

1.2 Le politiche locali per la sicurezza nei quartieri di Scampia, ZEN ed Enziteto

I tre quartieri oggetto dell’approfondimento, pur diversi tra loro per dimensione e per il livello di criticità

che si incontra, presentano molteplici analogie e, tra questa, in primo luogo l’essere periferia nell’area

metropolitana in cui si collocano, distinti e distanti dalla città. La varietà del carattere delle periferie è

una diretta conseguenza della diversità della loro origine che, nel caso di Scampia, dello ZEN e di

Enziteto, deriva da una precisa volontà politica, che si sostanzia nella preventiva acquisizione pubblica di

aree e nella redazione di un progetto urbanistico completo, che, nel corso degli anni, ha prodotto esiti

discutibili. All’inizio degli anni ’90, la necessità di affrontare la complessità dei meccanismi di sviluppo

urbano, ha determinato l’inizio di una ricerca finalizzata ad individuare strumenti in grado di governare le

trasformazioni urbane, innalzando la qualità degli interventi proposti. In questo panorama, fortemente

eterogeneo, sembra possibile individuare tre tipologie di approccio al tema generale della riqualificazione

urbana, ed a quello più specifico della riqualificazione delle periferie. La prima tipologia, quella dei

programmi complessi, si caratterizza per il tentativo di integrazione tra aspetti urbanistici, ambientali,

economici, sociali, e culturali. In particolare, l’innovazione principale é costituita dalla presenza di

finanziamenti privati ad integrazione di specifici finanziamenti pubblici. I programmi complessi possono

essere suddivisi in tre diverse forme di intervento che, benché non espressamente riferite alle periferie,

hanno comunque avuto ricadute sulle aree periferiche urbane, In particolare si possono distinguere:

・・ i Programmi Integrati di Intervento, destinati alla riqualificazione urbanistica, edilizia e

ambientale degli ambiti di edilizia residenziale pubblica;

・・ i Programmi di Recupero Urbano, finalizzati alla riqualificazione dell’edilizia residenziale pubblica

mediante la manutenzione e l'ammodernamento delle urbanizzazioni primarie e secondarie,

l'inserimento di elementi di arredo urbano, nonché il completamento, l’integrazione ed il recupero

dei complessi urbanistici esistenti;

・・ i Programmi di Riqualificazione Urbana, che intervengono nelle grandi aree urbane ed in

particolare nei centri storici, nelle aree industriali dismesse, nelle periferie e nei quartieri di

edilizia economica e popolare.

Il secondo tipo di approccio è quello proposto dai programmi di iniziativa comunitaria, tra i quali, si

69

Il giornalista Gianluigi De Vito è stato vittima di un'ignobile aggressione fisica per aver denunciato come la malavita tenga sotto scacco il quartiere di Enziteto

distingue il Programma Urban. L’aspetto che caratterizza queste iniziative si sostanzia nella volontà di

affiancare alla riqualificazione fisica dello spazio urbano, una serie di azioni, anche immateriali, volte al

miglioramento generale delle condizioni di vita, mediante la creazione di posti di lavoro, l’integrazione

delle classi sociali deboli, l’incentivo all’utilizzo delle tecnologie rinnovabili e allo sviluppo delle tecnologie

dell’informazione. Anche in questo caso, programmi come Urban II, non sono destinati alle periferie in

termini specifici, ma essendo finalizzati a favorire lo sviluppo sostenibile di città e quartieri in crisi,

spesso le assumono come campo principale d’intervento. La terza tipologia di approccio è quella che si

può identificare con i Contratti di quartiere, che introducono nei processi di recupero urbano, almeno

nelle intenzioni, la partecipazione dei cittadini alla definizione degli obiettivi, non come semplice

acquisizione di un consenso generalizzato su scelte già definite, ma come tappa fondamentale e

costitutiva del processo generale di riqualificazione. Il tema dei Contratti di quartiere, promosso da

CGIL,CISL,UIL e Legambiente e sostenuto dal CNEL che, fin dal 1997, lo individuò come strumento per il

recupero delle periferie degradate, costituisce una modalità di intervento innovativa, in particolare, nel

sistema urbano del Mezzogiorno dove il riordino, il risanamento e la riqualificazione urbana assumono il

carattere di un diritto civile che è presupposto a qualsiasi forma di sviluppo. In tal senso i contratti di

quartiere si configurano come un progetto che si propone di sperimentare procedure di approccio

integrato tra questioni ambientali, urbanistico- edilizie e del lavoro, attraverso azioni organiche ed

intersettoriali. Il campo d’applicazione specifico dei contratti di quartiere è rappresentato dai quartieri

degradati, con particolare attenzione alle realizzazioni di edilizia residenziale pubblica. E’ quindi in corso

una sostanziale revisione critica delle modalità di intervento, a lungo indirizzate esclusivamente alla scala

edilizia, nella crescente consapevolezza della necessità di superare un approccio limitato alla condizione

abitativa. L’esito più evidente di tali cambiamenti è da ricercarsi nelle innovazioni apportate ai tradizionali

modelli di intervento pubblico e nell’ampliamento delle categorie e delle tipologie di intervento.

Attraverso la mobilitazione di risorse finanziarie, pubbliche e private, si prefigura la possibilità di agire

contemporaneamente sulla complessità delle problematiche fisiche e su quella delle dinamiche sociali,

attraverso un complesso di politiche integrate, supportate dalla partecipazione dei soggetti locali

interessati al processo di trasformazione. Le politiche per le periferie hanno trovato in questi strumenti,

una nuova strategia di azione attenta, almeno nelle intenzioni, sia ai modelli di pianificazione urbanistica

che agli aspetti socio-economici. Le periferie rappresentano, allo stato attuale, la sfida su cui si misura il

futuro della città. L’obiettivo delle politiche più ambiziose è quello del superamento della nozione stessa

di periferia, che da semplice connotazione di uno spazio in funzione della sua relazione con la città, è

divenuta un vero e proprio giudizio di merito. Appena una zona è nominata periferia ha già assunto una

condizione negativa: è un'area che è a fianco di qualcosa, è fuori da qualcosa. Nel passato c'erano le

mura, si era dentro o fuori, oggi c'è un muro ideale costruito dalla mancanza di servizi che è il tratto

comune di tutte le periferie. Oggi l’idea guida, che ricorre negli slogan e nelle buone intenzioni della

maggior parte delle iniziative finalizzate alla rigenerazione delle periferie si può riassumere nell’assunto

che bisogna trasformare in centro la periferia. Per realizzare tale intento è necessario che quelle che

erano le parole chiave delle città (piazza, viale, giardino, passeggiata, incontro, comunità) invadano le

periferie, per cui le parole chiave sono, nella migliore delle ipotesi, tipologie abitative uniformi e

anonime, dormitorio, automobile, parcheggio, centro commerciale. Nella realtà, soprattutto nel

Mezzogiorno e con tutta evidenza nei quartieri periferici con maggiori criticità, queste proposizioni

restano, perlopiù nel campo delle buone intenzioni. Si tratta di trasformare i quartieri degradati in luoghi,

ma per fare questo non basta, come molteplici e tristemente note esperienze hanno dimostrato, un

progetto urbanistico, per quanto eccellente esso possa essere. Un buon progetto rappresenta

semplicemente un punto di partenza, che senza un adeguato accompagnamento economico, sociale e

gestionale, capace di creare quella normalità che connota la vita della gran parte delle persone nelle

nostre città, non ha nessuna possibilità di successo. Gli interventi per migliorare la sicurezza, o meglio

l’insieme delle sicurezze, che determinano la qualità della vita nei tre quartieri oggetto

dell’approfondimento, sono riportati nelle note che seguono, con riferimento, sostanzialmente, agli ultimi

anni. Si tratta di una rassegna dei principali interventi attuati, che, ovviamente, non può essere

esaustiva, proprio in considerazione dei diversi livelli di intervento che compongono l’insieme delle

politiche per la sicurezza. Tuttavia, grazie alla preziosa collaborazione delle tre amministrazioni comunali

in cui si localizzano i quartieri in oggetto, degli assessori competenti, dei presidenti del tre circoscrizioni e

di tanti altri soggetti attivi nei territori, è stato possibile ricostruire un quadro abbastanza articolato degli

interventi realizzati e dei progetti in corso d’opera. Progetti e interventi assai diversi tra loro che

investono, a tutto campo, l’azione delle amministrazioni locali e le competenze di vari assessorati, con

una pluralità di approcci al tema di garantire più sicurezza, ovvero allargare il diritto all’esercizio dei

diritti. Non si tratta, tuttavia, di un quadro, nel complesso, soddisfacente. Ancora troppo ampia è la

forbice tra quello che è necessario - e possibile - fare e quello che è stato realizzato. Ed è la ragione per

la quale, ancora oggi, questi tre quartieri, simboli del fallimento di politiche urbanistiche che li hanno, di

fatto, considerati come delle discariche sociali, restano, pur con un diverso livello di problematicità, aree

di forte criticità sociale nei contesti metropolitani. Ancora troppo poco si è fatto per correggere gli errori

del passato e le distorsioni dello sviluppo, che si sono sedimentate nel corso del tempo, ed avviare quel

processo necessario di ricostruzione di una normalità abitativa, sociale, culturale ed economica. Eppure

non mancano segnali incoraggianti di un più concreto approccio al tema delle periferie urbane, più

strutturato nel caso del Comune di Bari, che esprime, oggi, un livello più elevato di determinazione e di

integrazione fra i diversi interventi, rispetto alle altre due amministrazioni che, tuttavia, si trovano ad

affrontare criticità di dimensioni e caratteri ben diverse.

1.2.1 Le politiche per la sicurezza a Scampia

Molteplici interventi hanno interessato il quartiere di Scampia, in ragione dell’estremo allarme sociale che

segna questo territorio, con un’ampia gamma di azioni, da quelle finalizzate ad una trasformazione

urbanistica ed edilizia a quelle che privilegiano un intervento diretto sulla qualità della vita degli abitanti.

Tuttavia, da un esame oggettivo dell’insieme degli interventi realizzati nell’ultimo decennio appare del

tutto evidente una prevalenza di quelli destinati a modificare la struttura urbana del quartiere, con

un’ampia gamma di azioni di trasformazione architettonica e urbanistica. L’iniziativa principale per la

riqualificazione del quartiere, in cui si inseriscono buona parte degli interventi, è il Programma di

Riqualificazione Urbana del quartiere Scampia, approvato nel 1995, finalizzato alla sistemazione

abitativa dei residenti nelle Vele70

. alla ri-vitalizzazione socio economica e alla ri-funzionalizzazione del

territorio. La scelta fatta dal Consiglio Comunale di Napoli prevedeva l’abbattimento di alcune Vele, da

sostituire con nuovi edifici residenziali pubblici, diversi per tipologia edile, taglia, altezza e composizione;

interventi di razionalizzazione e rifunzionalizzazione della viabilità e dei sottopassi; la riutilizzazione (con

eventuale abbattimento) di altre Vele, anche con interventi di investitori privati, che avrebbero dovuto

rivitalizzare la zona, realizzando azioni atte a consentire l’insediamento di attività terziarie e servizi di

scala urbana. Per variegare gli usi e le presenze nella zona è stato, inoltre, previsto l’inserimento di una

piccola quota di case private. Oggi, conferma l’Assessore al patrimonio, tre delle sette Vele sono state

demolite, una Vela è in via di dismissione e tre unità restano occupate. L’Assessore ha recentemente

attivato la procedura per la demolizione delle Case dei Puffi, un luogo tristemente noto per le attività di

spaccio di stupefacenti. Rimane, invece, aperta la questione dei sottopassi, ovvero la possibilità di

riattivare, mettendoli in sicurezza, gli originari collegamenti tra i diversi edifici, ormai chiusi da anni per

ragioni di sicurezza71

. Un altro filone di interventi di riqualificazione ha interessato la parte centrale del

quartiere, ridisegnata per creare una strada ed alcune piazze come risposta all’anomia dell’attuale

assetto urbanistico, che ha visto, tra gli altri interventi, la trasformazione della parte centrale del parco,

oggi reso finalmente pienamente fruibile. Nell’ambito della riqualificazione

71

Il mancato ripristino dei sottopassi di collegamento tra gli edifici di Scampia, chiusi perché divenuti luogo di incontro per tossicodipendenti,

urbana, il Comune ha assegnato dei terreni incolti all’ARCI-Scampia72

, associazione molto attiva nel

quartiere, per insediare un complesso sportivo in cui, tra le altre, opera la Fondazione Cannavaro Ferrara

Onlus, nata nel 2005 per offrire ai minori che vivono situazioni di disagio e marginalità, concrete

opportunità di riscatto e benessere sociale sul territorio campano.73

Accanto al programma di

riqualificazione delle Vele sono stati costruiti alcuni accordi di programma e intese interistituzionali, con

obiettivi anche ambiziosi, che non sempre sono sfociate nelle realizzazioni attese, sia nei tempi che nei

contenuti. Il Comune di Napoli ha siglato un accordo con il Ministero dell’Interno che contemplava la

realizzazione, all’interno di una Vela, di un Centro di scala interregionale per la protezione civile, opera

che, ad ora, non ha trovato concretizzazione come pure il progettato riutilizzo della aree delle ex

caserme ai margini del quartiere. Si sta, invece, avviando a realizzazione l’insediamento di strutture

universitarie nella zona centrale di Scampia in attuazione di un protocollo di intesa stipulato, nel 2006,

fra il Comune, la Regione e l’Università di Napoli Federico II. Tra gli interventi che insistono sulla

struttura urbanistica si può, inoltre, includere quello relativo alla costruzione di un campo attrezzato

destinato ad accogliere la popolazione rom, non lontano, ma sostanzialmente esterno al quartiere, per

evitare il ripetersi delle proteste degli abitanti esplose in forma violenta nel 1999 e, più recentemente –

nonostante la costruzione del campo – nel 2008. Agli interventi centrati sulla riutilizzazione degli spazi e

dei contenitori fisici del quartiere, sono state affiancate una serie di altre iniziative destinate alla

dinamizzazione dello spazio sociale e alla crescita, qualitativa e quantitativa delle politiche sociali. Dagli

interventi promossi dalla Legge 216/91, che finanziava progetti per minori di zone a rischio, ai progetti

interni al Piano Comunale per l’Infanzia e l’Adolescenza, numerose sono state le azioni che hanno

interessato Scampia, sostenuti, tra gli altri, dall’iniziativa di alcune organizzazioni non profit, aggregate

ad uno dei centri propulsori per i diritti di cittadinanza del quartiere: la parrocchia della Resurrezione74

.

Nel quartiere si è insediato e radicato un insieme assai effervescente di una quarantina di associazioni di

volontariato, laico e religioso, che rappresentano una risorsa straordinaria e il fulcro per ogni azioni di

conquista della normalità dei diritti a Scampia. Tra queste vi sono realtà ormai quasi trentennali, come il

GRIDAS75

che anima il quartiere con attività culturali76

e associazioni di più

72

L’intento educativo dell’Arci Uisp Scampia, che vanta una ventennale attività, è quello di contribuire al superamento del degrado socio-ambientale del territorio attraverso un’azione educativa incentranta sullo sport.

L’attività istituzionale della fondazione consiste nel promuovere, selezionare e sostenere la realizzazione di progetti sociali con caratteristiche formative, ludiche e socio-sanitarie, attraverso la sollecitazione di risorse sia economiche che sociali, pubbliche e private, che si affiancano a quelle messe in campo dai fondatori, Fabio Cannavaro e Ciro Ferrara.La Fondazione, si propone come luogo di riferimento, di relazione, di attività e di sostegno per tutti i soggetti sociali che lavorano nella città e nella provincia di Napoli, a favore

dell’infanzia e dell’adolescenza per lo sviluppo. 74

Il parroco Vittorio Siciliano è insediato a Scampia fin dagli anni ‘70 75

Il GRIDAS (gruppo risveglio dal sonno) è un'associazione culturale senza scopo di lucro fondata da un gruppo di artisti, nel 1981, con da'intento comune di mettere le proprie capacità artistiche, culturali, al servizio della gente comune per stimolare un risveglio delle coscienze e una partecipazione attiva alla crescita della società. 76

I murales a sfondo sociale di Felice Pignataro e il carnevale di quartiere dal 1983, oltre ad altre attività culturali

recente origine, come VODISCA77

e ULTEN Auser78

, associazioni ecologiste, come La Gru, e associazioni di

promozione sociale come Chi rom e…chi no. Nell’ambito delle attività tese a

favorire la crescita del capitale sociale del territorio, un ruolo rilevante ha il Centro Alberto Hurtado, un

centro di formazione per i giovani del quartiere, pensato per la loro crescita culturale e l’avviamento al

lavoro. Tra queste iniziative rientra, a pieno titolo, l’esperienza di Arrevuoto79

, il progetto di laboratorio

teatrale, nato nel 2006 ed imperniato sull’Auditorium di Scampia, capace di coinvolgere centinaia di

studenti, e, tra questi, molti ragazzi del quartiere, nella messa in scena di rappresentazioni; un progetto

che l’ Assessore alla Cultura ha definito come “rivoluzionario” e che ha fatto incontrare i giovani del

quartiere con la città. Negli ultimi anni si è manifestata una crescente presenza di interventi a carattere

sociale che, tuttavia, soffrono ancora di nanismo, parzialità e discontinuità e, come osserva l’Assessore

alle Politiche Sociali , “restano le cenerentole nell’insieme delle politiche pubbliche”. Tra le attività

promosse nel passato recente dal Comune di Napoli, va ricordata la sperimentazione del Reddito Minimo

di Inserimento, una sorta di sussidio di integrazione per le famiglie povere, collegato ad un programma

di inserimento sociale che ha interessato una quota consistente, attorno al 30%, di famiglie residenti

nelle Vele. Scampia è stata quindi teatro di iniziative di inclusione sociale, che hanno realizzato almeno il

contenimento e la riduzione dei danni delle cause di esclusione che condizionavano gran parte degli

abitanti. Il Comune ha oggi in progetto interessanti iniziative di welfare to work, tese ad intervenire

attivamente nel raccordo tra la fine della fase della scuola dell’obbligo e la vita, per quei giovani che

escono dal sistema educativo e restano nella terra di nessuno in cui cresce il rischio devianza. Molte di

queste iniziative hanno dato vita a diverse forme di confronto e coordinamento fra attori ed

organizzazioni pubbliche e private che sono state occasioni di reale crescita del capitale sociale locale.

Non ha fin qui prodotto interventi a valere sul territorio di Scampia l’attivismo dell’Assessorato allo

Sviluppo del Comune di Napoli, che, tra gli altri, ha presentato nel luglio 2008 un progetto per

l’istituzione della Zona Franca Urbana80

di Napoli Est, ha partecipato ai bandi per la concessione di

contributi alle imprese (Legge Bersani 266/97) ed ha sviluppato numerose attività mirate allo sviluppo

dei quartieri della città. L’assenza di interventi direttamente insediati nel quartiere viene correlata

dall’Assessore, agli effetti di un quarantennale processo di deindustrializzazione della città cui si associa,

nella periferia Nord, l’handicap di un tessuto sociale particolarmente fragile. Al rafforzamento del tessuto

sociale, con riferimento alle problematiche di genere, concorrono le attività svolte dall’Assessorato alle

Pari Opportunità ed, in particolare, il progetto Casa della

77

Un gruppo di giovani ragazzi di Scampia riunitisi in nome di una vittima innocente durante la faida del 2004 78

ULTEN Auser animaun Caffè letterario nel quartiere

79

Arrevuoto in napoletano significa sconvolgimento 80

La ZFU ( Zona Franca Urbana) prevede agevolazioni fiscali e contributive a favore delle aziende insediate a Napoli Est dal gennaio 2008 al dicembre 2012

Socialità (incubatore del lavoro per le donne) che ha consentito, a Scampia, la produzione di 36 progetti

di impresa al femminile, di cui le prime 5 sono nate e sono state incubate nel luglio 2009 mentre altre 14

nasceranno nel corso del 2010. L’Assessore alle Pari Opportunità, che ha fortemente voluto questo

progetto, parla della Casa della Socialità come di “uno spazio per le donne che vogliono mettersi in

gioco, per quelle che vogliono realizzare i loro progetti, che vogliono scommettere su se stesse”. Una

scommessa che secondo Confindustria va giocata soprattutto sui giovani e sulle possibilità di

occupazione nelle nuove attività, a partire dalla considerazione che, se è apprezzabile il bilancio degli

interventi di riqualificazione fisica e sociale del quartiere, quello che è mancato è proprio l’intervento dal

punto di vista economico, ovvero la capacità di costruire un tessuto produttivo nel territorio. Un analogo

richiamo alla necessità di partire dai ragazzi è espresso da un rappresentante della UIL che richiama il

valore di esperienze con il progetto “Chance”81

destinato alla prevenzione della dispersione scolastica e

del disagio giovanile e al successivo avviamento al lavoro nelle botteghe artigiane. Il sindacalista

sottolinea la necessità di contrastare la sotto cultura che è presente nel contesto con un richiamo ai

valori propri della legalità e del lavoro. Tuttavia, affinché tali valori si affermino, come sottolinea un

rappresentante della CISL, serve una maggiore continuità negli interventi e, in particolare, servono

risposte sul tema del lavoro. Secondo il responsabile dell’unica sede sindacale oggi aperta, sia pure part

time, nel territorio di Scampia82

: “Bisogna operare per far nascere attività di qualunque genere,

valorizzando il capitale sociale del territorio, con la possibilità di coprire modeste aree occupazionali nei

servizi di prossimità, è un primo passo, non privo di difficoltà, ma tuttavia ineludibile.”. L’esigenza di

metter in campo politiche attive del lavoro, accanto agli interventi positivi di recupero urbano che, pur

tra tante difficoltà, lungaggini e ritardi, l’amministrazione locale ha sviluppato, viene richiamata dai

rappresentanti della CGIL che, inoltre, pongono l’esigenza di un continuo impegno dello Stato

nell’effettivo controllo del territorio, che non può essere solo limitato ad operazioni eclatanti ma deve

concretizzarsi in azioni ordinarie di contrasto e repressione della criminalità organizzata. Gli operatori del

volontariato attivi nel territorio di Scampia osservano che se da un lato il quartiere ha attratto molto

interesse e altrettante iniziative, non di rado, queste sono state occasionali e spesso prive anche di un

minimo di ancoraggio al contesto locale, tali da produrre una sorta di smagnetizzazione della fiducia

degli abitanti, che si sono sentiti cavie di esperimenti. L'azione degli enti locali, diretta essenzialmente

alla riqualificazione urbana (con l'abbattimento di alcune Vele), ad oggi non ha inciso in misura

significativa per la riduzione degli annosi problemi del quartiere e Scampia è ancora ed è chiaramente

percepito come il prodotto delle scelte sbagliate del passato. Con gli interventi fin qui attuati,

caratterizzati dalla forte connotazione edilizia del

81

Il progetto “ Chance” ha interessato Soccavo, S.Giovanni, Barra e i Quartieri Spagnoli 82

Si tratta di una sede della CGIL aperta solo nella mattinata

programma di riqualificazione, secondo un approccio che vede nella messa a norma della città fisica la

chiave del recupero e dello sviluppo urbano, la governance locale non ha raggiunto i risultati che si era

posta alla fine degli anni Ottanta. A Scampia è evidente il limite dell’approccio fisicista, tipico di gran

parte degli urbanisti, secondo cui la buona qualità della vita e la riqualificazione delle opportunità, viene

direttamente e deterministicamente associata all’esistenza di infrastrutture ed attrezzature. Per quanto

riguarda l’impatto delle politiche urbanistiche, si può dire che la trasformazione più evidente è prodotta

dall’abbattimento delle tre Vele mentre, sullo sfondo, ormai da alcuni anni, vi sono poi le vicende

urbanistiche di scala più ampia: l’effettiva localizzazione di attività dell’Università Federico II, la

vagheggiata struttura della protezione civile e la dismissione delle due caserme. Per quanto riguarda

l’impatto delle politiche sociali (assistenziali, educative, sanitarie), scontando innanzitutto la pochezza

della loro dimensione quantitativa rispetto al fabbisogno, si possono evidenziare due tipi di effetti

positivi. Con anni di lavoro da parte di pattuglie di animatori locali di sviluppo, sono stati offerti con

continuità servizi alla popolazione, che prima era effettivamente abbandonata. Anche se, a detta di

alcuni operatori, prevale ancora un trattamento amministrativo dei bisogni, vi è stata tuttavia un’azione

di contenimento e prevenzione del disagio sociale e un qualche potenziamento del capitale sociale

locale. Un risultato certamente positivo, pur se non privo di qualche elemento di criticità83

, è la

costituzione di un piccolo mercato sociale dei servizi, che ha favorito un primo consolidamento di

organizzazioni non profit che danno lavoro ad un centinaio di operatori e costituiscono una minima

infrastruttura sociale per lo sviluppo, che dovrà certamente essere coinvolta in qualsiasi strategia più

variegata e socialmente orientata per la riqualificazione locale. Secondo il senso comune, raccolto in

diverse interviste, il mutamento prodotto dall’insieme delle politiche per la sicurezza a Scampia, non è

stato molto profondo e sembra che la estrema durezza delle condizioni di vita perduri ed abbia

depotenziato gli sforzi, che pure sono stati realizzati. Per altro verso, l’intervento attuato attraverso le

politiche immateriali (sociali, formative), appare comunque decisamente sottodimensionato, rispetto

all’entità quantitativa e qualitativa dei problemi. E’ opinione diffusa che Scampia è un quartiere trattato

dall’Amministrazione comunale alla stregua degli altri della città mentre, come pochi altri, ha una

dimensione dei problemi che, almeno dal punto di vista quantitativo, è ben superiore a quella di ogni

altra zona della città. Certamente il quartiere necessita di un intervento di riqualificazione urbanistica,

con lavori che riorganizzino gli spazi pubblici e non può essere trascurata la necessità della localizzazione

di nuove funzioni pubbliche, intese anche come attrattori di flussi di persone non domiciliate a Scampia,

per contenere l’effetto segregazione e favorire la migliore apertura e contaminazione fra gli abitanti e

altri possibili utilizzatori dello spazio locale. Scampia è una prova

83

alcuni operatori fanno riferimento a elementi di conflittualità e concorrenzialità sleale recentemente emersi.

che l’adeguamento agli standard per le infrastrutture e le attrezzature, senza una complementare

politica minuta di consolidamento delle condizioni socio-economiche, risulta comunque inefficace. Ma ciò

implica anche un’azione decisa in materia di sicurezza urbana, senza la quale qualsiasi riqualificazione

urbanistica del quartiere resterebbe sterile e la stessa rivitalizzazione sociale sarebbe depotenziata. La

speranza di un riscatto, in un quartiere come Scampia, non può che fondarsi sulla valorizzazione del

patrimonio umano, del rafforzamento dell’identità sociale mediante iniziative culturali e di irrobustimento

dei soggetti sociali. Su questi filoni si deve operare, puntando al nascere una progettualità, dal e nel

quartiere, filo conduttore di possibili interventi di integrazione sociale, formazione e orientamento al

lavoro. E il tema del lavoro è, ovviamente, il fulcro su cui si possono imperniare azioni innovative,

destinate ad attivare risorse del territorio per attività nel territorio: demandare ad una rete di

cooperative la gestione di servizi come il verde pubblico, i parcheggi, gli impianti sportivi, la raccolta

differenziata, ma anche l’assistenza alle persone; favorire lo sviluppo di attività artigianali e commerciali

all’insediarsi di attività di servizio.

1.2.2 Le politiche di sicurezza allo ZEN (oggi San Filippo Neri)

A partire dagli anni ’90 la periferia della città di Palermo è stata oggetto di interventi promossi

nell’ambito della programmazione complessa, nel tentativo di superare i limiti di un piano regolatore in

itinere incapace di dare risposte, nel breve periodo, alle richieste di riqualificazione di aree connotate da

marginalità, degrado sociale e fisico, e nel contempo, reperire risorse finanziarie attraverso la sinergia

con gli operatori privati. L’avvio di politiche di intervento che hanno come oggetto il quartiere ZEN è

riconducibile alla metà degli anni ’90, con la definizione, nel 1995, del Programma Integrato di

Intervento, approvato dalla Ripartizione Urbanistica del Comune di Palermo nel 1999 e, finanziato dalla

Giunta Regionale Siciliana, con delibera n. 176/200084

, come Programma Integrato del quartiere San

Filippo Neri (ex Z.E.N.). Con tali interventi il Comune di Palermo intende promuovere il completamento

della dotazione di servizi e, al contempo, innescare processi di riqualificazione e di recupero socio-

economico che consentano di uscire dalle condizioni di degrado. Per le modalità di attivazione, per le

strategie generali di intervento e, non da meno, per i relativi contenuti specifici, l’insieme delle azioni

previste all’interno di questi programmi costituisce un sistema organico di interventi, in quanto parte del

medesimo procedimento amministrativo (Accordo di Programma) con il quale il comune di Palermo ha

proposto, e la Regione Siciliana ha approvato, l’iniziativa85

. Gli obiettivi specifici da raggiungere, secondo

le strategie del Comune, vanno rintracciati nella volontà di promuovere la riqualificazione del

84

Intervento (ex art. 16 L. n. 179/92) Alla suddetta Delibera della Giunta regionale segue, infatti, cronologicamente l'Accordo di Programma, sottoscritto in data 13 dicembre 2005

dal Presidente della Regione Siciliana e dal sindaco del Comune di Palermo e ratificato dal Consiglio Comunale con Delibera n. 8 dell'11 gennaio 20067, ed infine, il Decreto del Presidente della Regione Siciliana del 14 dicembre 2006 con il quale si approva definitivamente il programma di intervento.

quartiere, anche attraverso interventi di superamento della mono-funzionalità propria di queste periferie,

caratterizzate prevalentemente da edilizia residenziale pubblica e scarsamente dotate di servizi di base86

.

In particolare, all’interno del Programma Integrato di Intervento del quartiere, sono state previste

risorse pubbliche per 24,7 milioni di euro, cui si dovrebbero aggiungere interventi privati per un importo

pari a 28,3 milioni, destinati alla costruzione: di un centro medico sportivo; del centro servizi per anziani;

di un insediamento turistico alberghiero; di attività commerciali all’aperto; di un complesso sportivo e di

un programma di edilizia sanitaria e residenziale. Più controverso, nel dibattito sugli interventi nell’area

dello ZEN, risulta essere il Piano Particolareggiato relativo al Progetto di utilizzo del Centro di Municipalità

Fondo Raffo87

, comunemente noto come Zamparini City, dal nome dell’imprenditore cui fa capo l’intera

operazione88

. Nell’ambito delle attività di recupero urbanistico, il Comune di Palermo ha realizzato un

progetto di ristrutturazione della insulae 3/E, per la realizzazione di 122 alloggi, un asilo nido, una

biblioteca, un poliambulatorio, una delegazione comunale, una delegazione municipale, uffici e negozi.

L’Assessore all’Urbanistica, che è il coordinatore per l’amministrazione comunale degli interventi nell’area

dello ZEN, prevede che nei prossimi mesi saranno completate tutte le opere, finanziate per un importo di

13,5 Meuro. L’Assessore sottolinea il valore simbolico di questa realizzazione, che rappresenta la volontà

di non abbandonare il quartiere ma, invece, di intervenire per migliorarne le condizioni di vita; anche se

non si nasconde le difficoltà e, dei 122 alloggi da assegnare, teme realisticamente di doverne cedere una

parte al ricatto delle occupazioni abusive. Gli interventi infrastruttturali in corso d’opera insistono sulla

viabilità e sui parcheggi (con 1,2 Meuro per realizzare una rotatoria all’ingresso del quartiere) e quasi

400.000 euro per la realizzazione di aree destinate a parcheggio. Il Comune di Palermo, con 357.000

euro, interviene anche per il miglioramento della rete idrica. Un sicuro rilievo nel quadro degli interventi

programmati dal Comune di Palermo è riservato alla realizzazione di impianti sportivi ed al recupero e

alla manutenzione delle aree a verde pubblico, attività per cui sono complessivamente previsti importi di

spesa per quasi 19 Meuro. Va indubbiamente ascritta fra gli interventi attuati per accrescere la sicurezza

del quartiere, la costruzione di una caserma dell’Arma dei Carabinieri, in cui, dai prossimi mesi, vivranno

16-18 agenti, di cui alcuni con le rispettive famiglie. Per altro verso, al di là dell’impegno sul terreno

urbanistico e sul recupero del degrado ambientale, l’impegno del Comune di Palermo non sembra

conoscere altre declinazioni, con, ad esempio, interventi di politica sociale, interventi di natura culturale,

politiche di sviluppo locale o politiche

Le previsioni relative al quartiere San Filippo Neri definiscono un quadro globale particolarmente complesso in quanto ci si trova ancora in presenza di aree libere (classificate dal PRG come verde agricolo o verde storico),“potenzialmente” edificabili (data la prassi consolidata delle varianti urbanistiche) che costituiscono un particolare stimolo per gli interessi economici privati, assecondati e/o promossi dalle scelte dell’Amministrazione comunale.

87

Interventi in variante al P.R.G. vigente, proposto dalla Società Immobiliare Mare Monti S.P.A. di Gallarate (VA), adottato dal Consiglio Comunale con delibera n. 365 del 6/12/2006

88

Il progetto, per cui sono stati aperti i cantieri, sostanzialmente, comprende un centro commerciale di notevoli dimensioni ed alcune strutture e servizi annessi, e si relaziona alla previsione di un nuovo stadio per il calcio, in sostituzione dell’esistente velodromo.

attive del lavoro. Tant’ è che il Comune di Palermo non ha, ad oggi, presentato progetti per l’istituzione

di Zone Franche Urbane e, unico tra i grandi centri metropolitani, non ha presentato programmi di

interventi per lo sviluppo imprenditoriale in aree di degrado urbano (Legge 266/97 Art. 14)89

. Quasi a

supplire all’assenza di un soggetto pubblico che si attiva per contrastare il degrado sociale e culturale

dello ZEN si è attivato un vivace tessuto di associazioni sociali, culturali, ambientali che ha via via preso

forma nel tempo, dando origine, nel 2005, al vivo del dibattito sulla rielaborazione del Programma

Integrato di Intervento, alla Rete di associazioni che operano nel territorio. Assai interessante è l’attività

che coinvolge le associazioni e le istituzioni che compongono la Rete Interistituzionale, strumento

riconosciuto dal Comune di Palermo e vero e proprio interfaccia dello ZEN con le istituzioni. La rete,

formata da operatori che da anni lavorano nel quartiere, è uno strumento fondamentale che raccoglie ed

elabora i bisogni del territorio; una risorsa per il quartiere ove modesta rimane la presenza delle

istituzioni pubbliche, che non va oltre le due scuole ed il centro vaccinazione. Si deve, invece,

all’attivismo ed alla passione sociale di molte associazioni presenti nel territorio l’attivazione di interventi,

spesso modesti, destinati a sopperire alla debolezza delle policy pubbliche nel contesto dello ZEN.

Emblematica e capostipite di questa effervescenza del volontariato sociale è l’esperienza

dell’associazione Laboratorio Zen Insieme, avviatasi nel 1988, per combattere il disagio e la marginalità

dei giovani e delle donne, creando luoghi dove trovare strumenti per migliorare la propria vita, riscattarsi

da un destino di criminalità ed emarginazione, attraverso anche i modelli positivi costituiti dagli

educatori.90

Nello stesso solco si colloca, ad esempio, l’esperienza recente dei Ragazzi di strada,

un’associazione di giovani dello ZEN, che conta una ventina di volontari che operano con i bambini, i

ragazzi e le famiglie della zona, che da sei anni lavora sul fronte culturale, e, nel 2009 ha organizzato un

concorso canoro Sogni e riscatto che, anche nel titolo, rappresenta la voglia di testimoniare la possibilità

di cambiare la condizione di marginalità del quartiere. Nello stesso anno, a testimonianza di una positiva

vivacità dell’associazionismo, laico e religioso, parafrasando l’acronimo ZEN (Zona di Espansione Nord) si

è costituito il movimento Zona Energie Nuove che, nell’Istituto Comprensivo Statale “G. Falcone",

organizza una serie di attività quali: incontri settimanali sulla legalità, corsi pomeridiani di teatro,

sartoria, cucina, attività di dopo scuola per i bambini e un centro ascolto medico-ginecologico per i più

grandi. All’ associazione, nata da una discussione virtuale su facebook all'indomani dei primi atti vandalici

che hanno distrutto alcune aree della scuola, aderiscono diversi rappresentanti della società civile91

e

professionisti, che offriranno la loro consulenza e assistenza medica gratuita ai ragazzi della scuola. Ed è

proprio

89

Come si evince dal Report di monitoraggio e valutazione al 31 dicembre 2008. per altro va considerato che una proposta in tal senso è stata avanzata dalla VII Circoscrizione ( Intervista al presidente Gottuso)

90

L’associazione ha aperto due centri sociali in cui i ragazzi sono impegnati in giochi, attività sportive e laboratori, mentre, per le donne, si è pensato a corsi di cucina e formazione professionale, ma anche ad attività da fare coi figli, come le gite

91

Tra questi: "Cerchi di vita", Legambiente, Cgil, Palermo in movimento e Libera

intorno alla scuola, su cui si è concentrato e perpetuato nel tempo l’attacco vandalico funzionale agli

interessi dei mafiosi dello ZEN, che si è andato delineando il cuore pulsante dell’azione di contrasto delle

illegalità e dell’affermazione della sicurezza e dei diritti. L’esperienza dell’ Istituto Comprensivo “G.

Falcone”, di seguito trattata nella rassegna delle buone pratiche, merita una citazione particolare, poiché

questo sito scolastico rappresenta il più solido presidio della presenza dello Stato e della società civile

allo ZEN. E non è un caso se la gran parte delle attività, promosse dai più diversi soggetti, trovano un

punto di incontro attorno alla scuola. E’ il caso di Legambiente che, attraverso la campagna SalvaItalia,

ha realizzato uno spazio attrezzato per i ragazzi delle scuole da utilizzare anche nell'orario pomeridiano:

nel cortile dell'Istituto "Falcone" sono stati realizzati un campo da calcetto attrezzato, un campetto per

giocare a pallavolo, un giardino con piante tipiche della vegetazione mediterranea. Aspetto fondamentale

del progetto SalvaItalia, con la realizzazione del progetto Il giardino delle idee, è il concetto che la scuola

debba essere un luogo aperto al quartiere, che con esso dialoga e crea uno scambio. Le diverse

esperienze di aggregazione dimostrano, come osserva il vicepresidente della VII Circoscrizione, che:

“aggregare giovani è difficile, ma non è impossibile”. E la stessa giovane amministratrice, cresciuta nel

quartiere e responsabile dell’unica sede sindacale allo ZEN92

ad affermare che la scuola è: “l’unico

servizio, in senso lato, presente nel quartiere, un presidio territoriale ed un punto di riferimento per

piccole, grandi, battaglie con un solo filo conduttore: trasformare i favori in diritti. “. Rientrano in questo

filone di attività di ripristino della legalità e della normale e civile convivenza iniziative come quelle che

hanno liberato un’intera fetta di quartiere dal pizzo sull’acqua93

, le denunce alle truffe sui falsi moduli del

collocamento e la creazione di un punto di riferimento per disoccupati e precari. Piccole cose ma dal

grande valore simbolico, come il lavoro a fianco delle scuole o l’intervento, con la parrocchia e il privato

sociale, capace di restituire l’unico centro sportivo del quartiere, chiuso da anni, in cui si è attivata la

presenza del servizio sociale territoriale. Per ciò che attiene gli interventi pubblici del Programma

Integrato di Intervento, il parere diffuso tra la gran parte degli attori locali è segnato dalla lentezza,

marcata da reiterati protocolli di intesa tra Comune di Palermo e Regione Siciliana, l’ultimo dei quali

risale al febbraio del 2007, e, per alcuni versi dalla inefficacia degli interventi. Non vi è dubbio che negli

ultimi anni vi sono stati alcuni interventi di recupero di porzioni dello ZEN 2 e di prima infrastrutturazione

ma ciò appare ancora, come opinione diffusa, ampiamente insufficiente. Del resto, osserva un

consigliere comunale: “… il Comune di Palermo, fortemente indebitato, ha tagliato i fondi per gli

interventi sociali e per i servizi pubblici e ha ridotto le linee del trasporto urbano per le periferie. Allo

Zen, come del resto in città, non vi sono politiche attive del lavoro poiché le uniche azioni per

l’occupabilità sono stati gli inserimenti delle migliaia di Lavoratori Socialmente Utili nella Pubblica

92

una sede della CGIL aperta da alcuni anni 93

Per anni l’allaccio alla rete idrica è stato gestito illegalmente

Amministrazione”. A dispetto dell’obiettivo enunciato, che assume come compito prioritario il

superamento delle condizioni di degrado fisico, urbanistico e sociale dell’insediamento di edilizia

residenziale pubblica e nonostante la dichiarazione di principio di un prioritario ruolo dell’intervento

pubblico, il Programma Integrato di Intervento ha sostanzialmente favorito, nella pratica della sua lenta

e parziale attuazione, alcuni interventi privati a confine del quartiere, senza intaccarne le condizioni di

marginalità, degrado ed invivibilità. Emblematico il caso del progetto del centro commerciale di oltre 122

mila metri quadrati. Sulla costruzione dell’ipermercato, previsto in una zona che è carente di tutti i

principali servizi, da più parti si avanzano critiche e chiedono garanzie anche in relazione alle ricadute

negative sulle piccole attività commerciali della zona. Tuttavia, facendo riferimento alla esperienza di un

analogo grande centro commerciale localizzato nel quartiere Brancaccio, Confindustria sostiene con

convinzione come tale iniziativa abbia rivitalizzato quel rione, riunificandolo alla città. In altri termini

sostengono i rappresentanti degli industriali, la costruzione di una grande infrastruttura commerciale è

un “catalizzatore di processi: da un alto innesca una serie di problemi che tuttavia, proprio per l’effetto

domino che tale iniziativa determina, sono destinati a trovare rapida soluzione.”. Peraltro, nell’area

limitrofa al centro commerciale sono previste anche due strutture socio-sanitarie, come una casa di

riposo per anziani e un centro per non vedenti, aree a verde pubblico, un centro sportivo con una

grande piscina olimpica e quattro campi di calcetto. Ma è proprio su questi servizi collaterali che,

concordano i rappresentanti della CISL e della CGIL, sono necessarie maggiori garanzie poiché questi

servizi, una volta aperti al pubblico, possano essere effettivamente accessibili agli abitanti dello ZEN. Sul

piano del recupero della legalità del territorio, vi sono stati alcuni progressi, con interventi che segnano i

primi successi, come quelli ottenuti, dopo anni di tentativi falliti, per ripristinare la legalità nella gestione

delle risorse idriche nel quartiere, da sempre appannaggio degli uomini delle cosche. Ma, anche qui, il

ripristino di una condizione di normalità appare ancora lontano se solo si considera il permanere di ampi

margini di controllo mafioso del quartiere e l’attacco cui sono sottoposte le strutture che contrastano il

modello culturale che esso esprime: la scuola e la parrocchia. Non è un caso se, cosa mai accaduta nel

paese, in una scuola del quartiere, l' Istituto Comprensivo Scolastico "Sciascia", Il 6 novembre 2006,,

presieduta dal Prefetto di Palermo, si è tenuta una riunione del Comitato Provinciale Ordine e Sicurezza

Pubblica, allo scopo di svolgere una disamina complessiva delle problematiche inerenti il quartiere San

Filippo Neri, e le scuole che insistono sul territorio, oggetto di ripetuti atti vandalici. Un atto simbolico

che certamente chiede azioni conseguenti ma che, tuttavia, rappresenta un punto di partenza, come

pure, per altro verso, la visita del nuovo Assessore all’Istruzione e alla Formazione della Regione

Siciliana, che ha voluto aprire il suo mandato con una visita allo ZEN. In altri termini, ci sono segnali che

sembrano riportare la speranza allo ZEN, per ricostruire attorno alle problematiche del quartiere

quell’attenzione da parte delle istituzioni e della stessa opinione pubblica che, osserva il rappresentante

della CISL: “non è stata sufficiente negli ultimi anni lasciando sostanzialmente immutati i problemi sul

tappeto che rischiano, tra vent’anni, di essere ancora insoluti.”. Un giudizio piuttosto critico verso

l’operato del Comune di Palermo che, secondo il segretario della UIL: “ ha dimenticato questo rione

come ha dimenticato le altre periferie, con un atteggiamento di rinuncia e abbandono che le ha lasciato

queste zone fuori dal consorzio civile della città”.

1.2.3 Le politiche per la sicurezza ad Enziteto (oggi San Pio)

Dal 2005, con l’insediamento della nuova amministrazione comunale, ha preso corpo un insieme plurale

di interventi sul quartiere di Enziteto, dopo alcuni anni di sostanziale assenza di politiche di intervento

sulle periferie. Va peraltro osservato che il quartiere non è stato interessato né dagli interventi previsti

dai diversi strumenti di sviluppo locale (POR, contratti di quartiere, ecc), né dalle scelte di localizzazione

per le grandi opere nell’interland barese (Cittadella della Giustizia e centro commerciale dell’arredamento

IKEA). L’insieme delle attività promosse dal Comune di Bari, in parte gia realizzate ed in parte in corso di

realizzazione, con risorse per un ammontare di circa 11 Meuro94

, prevede numerosi interventi

infrastrutturali, abbinati ad azioni di rafforzamento del tessuto sociale del quartiere e di attivazione della

comunità. Gli interventi infrastrutturali, in gran parte ultimati, si riferiscono alla ristrutturazione di tutti gli

edifici ricadenti nel quartiere, con interventi di riqualificazione e recupero del verde pubblico e la

realizzazione della strada di collegamento tra Enziteto e il limitrofo quartiere di Catino. L’operato

dell’Amministrazione, con importanti riqualificazioni ambientali e ristrutturazioni degli edifici e degli

alloggi, per l’Assessore al bilancio e all’edilizia residenziale pubblica, il regista del recupero del quartiere,

rappresenta un ottimo punto di partenza: “Dopo 10 anni di assenza di interventi noi abbiamo posto il

tema delle periferie al centro della nostra agenda, intervenendo sulla grave emergenza abitativa che si

associava alla strapotere della criminalità organizzata per recuperare la fiducia dei cittadini. Ad Enziteto

abbiamo fatto una rivoluzione che è consistita, in sostanza, nel portare elementi di normalità nel

quartiere e oggi il quartiere è altro rispetto al passato”. Il recupero del patrimonio abitativo che, tra

l’altro, ha comportato come conseguenza consistenti recuperi delle morosità per canoni di locazione e

servizi accumulati in precedenza dagli assegnatari, è andato di pari passo con uno sforzo per affermare

la legalità, contrastando il traffico di droga che, a Enziteto aveva raggiunto livelli assai elevati. Sempre

nel campo degli interventi infrastrutturali, ma con

Interventi della stessa natura finalizzati al miglioramento della qualità della vita dei residenti ed al riconoscimento del diritto all’abitazione garantito dalla Costituzione sono stati realizzati in altre periferie della Città, attraverso l’Edilizia Residenziale Pubblica, in particolare nei quartieri di Catino, dove sono stati investiti € 1.795.000, Santa Rita (circ. Carbonara), dove sono stati investiti € 5.800.000 e San Paolo (ex CEP), dove sono stati investiti circa € 8.000.000

un’evidente finalizzazione alla rivitalizzazione del quartiere, sono previsti la ristrutturazione e riapertura

della scuola media, chiusa da anni, la ristrutturazione ed apertura dell'asilo che, una volta recuperati,

oltre a fornire i servizi necessari alla popolazione, offriranno anche opportunità di lavoro. Nello stesso

ambito di interventi si collocano l’apertura della Guardia Medica e del Consultorio Familiare e l’apertura

dell'ambulatorio pediatrico in convenzione con la ASL. L’ Assessore conferma come sia in corso una

trattativa per ristrutturare la parte residua del rudere dell’ex mercato coperto, al fine di adibirla a

supermercato con annesso presidio di polizia, intervento a suo tempo deliberato dal Comitato provinciale

per l’ordine e la sicurezza pubblica, alla presenza del sindaco di Bari. In un complesso di interventi

ragionevolmente articolato, come quello in corso d’opera a Enziteto, non poteva mancare un’attenzione

al recupero ed alla ristrutturazione del campo sportivo che va a inserirsi in un programma di

riqualificazione degli impianti sportivi in periferia. Osserva l’Assessore allo sport e urbanistica: «Dopo la

tragedia di Eleonora, la bambina morta di stenti a Enziteto, il sindaco ci ha chiesto di agire sul quartiere

secondo le nostre competenze. Per questo abbiamo deciso di aumentare la fruibilità dell' impianto. Dove

c' è pure una bellissima pista di pattinaggio ad alta velocità, poco o mai usata perché manca l'

illuminazione. E poi con la Circoscrizione abbiamo firmato un protocollo per l' utilizzo del campo due ore

ogni pomeriggio gratis per i residenti del quartiere, sotto la guida di istruttori federali. Cercheremo così

di cominciare a ovviare al problema dei costi di accesso, che possono essere un ostacolo in certe realtà.

Il Comune, per i lavori di sistemazione e ripristino delle strutture locali, auspica che le imprese prescelte

dovrebbero essere obbligate ad impiegare manodopera locale, senza pregiudizi, in modo che parte dei

fondi stanziati abbiano una ricaduta, anche se limitata nel tempo, nelle famiglie del posto.” Enziteto,

tuttavia, continua ad essere un'area che necessita di interventi e l'amministrazione comunale sta

lavorando per far sentire agli abitanti la propria presenza nel quartiere, che soffre l'isolamento dalla

città. La continua presenza del sindaco e degli assessori sul territorio ha contribuito a far uscire

dall’isolamento molte persone che finalmente hanno cominciato a sentirsi cittadini. I primi segnali di

cambiamento, innescati dal progetto, sono stati l’arrivo dei vigili urbani, la presenza delle assistenti

sociali due volte la settimana, l’apertura garantita dell’ufficio anagrafe, la presenza di un pediatra e di un

dispensario farmaceutico, il potenziamento delle corse dell’autobus. Il quadro degli interventi sociali e

socio-educativi, presentato dall’Assessore ai servizi sociali si impernia sul Progetto Cittadella, finanziato

con fondi comunitari, che ha consentito la ristrutturazione e l’arredo degli ambienti per l'attivazione del

Centro di ascolto per donne, famiglie e di centri diurni per anziani e minori. Nell’ambito degli interventi

dei servizi sociali, rientrano a pieno titolo la costituzione del Consultorio familiare San Pio, ma anche di

strutture e servizi come il Centro aperto Polivalente e la Ludoteca ed attività a sostegno di interventi

socio educativi nel quartiere, quale il sostegno all’Accademia del Cinema, che ha preso il via ad Enziteto

fin dal 2005. L’ Amministrazione Comunale, nell’ottica di rivitalizzazione del quartiere dal punto di vista

culturale, ha co-finanziato l’Accademia del Cinema, aprendo spazi per un’attività che costituisce

certamente una buona pratica nel contesto locale. Se il nocciolo delle problematiche di Enziteto sta nella

disgregazione del tessuto sociale e nel distacco dal contesto della città, uno dei meriti dell’ L’Accademia

del Cinema è quello di essere un percorso di incontro, che ha condotto molti forestieri dentro il

quartiere e molti autoctoni al suo esterno, abbattendo il senso di emarginazione. Rientrano in questo

orientamento di promozione di luoghi e momenti di aggregazione e di attività culturali, le iniziative

sostenute dall’Assessorato alle Culture del Comune di Bari, che ha promosso una serie di concerti e un

progetto musicale (inCANTI DI PACE). Non sono mancati atti apparentemente solo simbolici ma, di fatto,

assai significanti come, ad esempio, l’aver modificato il nome al quartiere (da Enziteto a San Pio) quasi a

rimuovere l’immagine del passato di degrado, per insediare l’idea di una nuova comunità o intitolazione

delle strade del quartiere, secondo i toponimi proposti dai bambini della scuola elementare “Iqbal

Masih”. Un’azione voluta dall’Amministrazione comunale, nella convinzione che la strada rappresenta il

luogo in cui si esprime la comunicazione sociale e culturale, finalizzata a coinvolgere i residenti nel

progetto di riqualificazione urbana, sociale e culturale del quartiere. Così le strade anonime di accesso

alle palazzine, contraddistinte da semplici lettere dell’alfabeto, hanno assunto nomi che richiamano i

valori fondanti della convivenza civile (via del rispetto, via della solidarietà, via della tolleranza …). Ma è

proprio l’insieme composito degli interventi, per un ammontare di circa 11 milioni di euro di investimenti,

schematizzato nel riquadro, che, più di ogni altro commento esprime lo sforzo, davvero notevole, che il

Comune di Bari ha fatto, nell’ultimo quinquennio per intervenire sul Enziteto.

Il piano di interventi varato dal Comune di Bari, al fine di rivitalizzare il quartiere sottraendolo al controllo

della criminalità, prevede interessanti forme d'incentivazione per l'apertura di esercizi commerciali e/o

attività di altro genere, quali l’ abbattimento dell'80% dei canoni di locazione dei locali commerciali (il

che ha consentito l’apertura di attività commerciali come quelle su indicate oltre all’apertura di un

fruttivendolo). L’Amministrazione Comunale ha agevolato e promosso la costituzione di un comitato di

quartiere, nell’intento di guadagnare un interlocutore che rappresenti la comunità locale. Nel quartiere

di Enziteto, un ruolo attivo nella promozione di iniziative di attivazione della comunità locale è stato

svolto dall’Associazione Europa95

, un’associazione senza fini di lucro, nata nel 1989, con l’obiettivo di

diffondere le pari opportunità per i cittadini del quartiere Enziteto. Nel promuovere il miglioramento della

qualità della vita, l’associazione ha attivato un lavoro di rete con le istituzioni e i servizi sul territorio

(scuole, circoscrizioni, consultori familiari, parrocchie, associazioni di volontariato), sviluppando, nel

tempo, una serie di interventi coordinati che hanno permesso di far emergere le potenzialità latenti nelle

persone e di renderle protagoniste nella vita culturale, sociale e lavorativa del quartiere. Ad esempio tra

l’Associazione, il Csa (l’ex Provveditorato agli studi) e l’ Assessorato ai servizi sociali e Pubblica

Istruzione, si è definito un protocollo per attivare, a Enziteto, dei corsi di Educazione degli adulti (Eda)

mentre nell’ambito del progetto Io…Figlio…Studente…Cittadino è stato attivato un percorso d’educazione

alla legalità, rivolto ai ragazzi della Scuola Media di Enziteto, finalizzato a sviluppare la conoscenza delle

risorse del quartiere, nonché delle istituzioni e degli organi preposti alla tutela dei diritti dei cittadini.

L’associazione è riuscita a coinvolgere attivamente le donne del quartiere di Enziteto, dando loro,

organizzate nel Comitato donne per Enziteto, il ruolo di promotrici di attività, capaci, superate le

diffidenze iniziali, di coinvolgere altre donne e famiglie,

95

l’ A.S.C. EUROPA lavora da sette anni a fianco dei Servizi Sociali di Bari, collaborando anche nel recupero dei minori soggetti a provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria.

riconoscendone i bisogni sociali e lavorativi, e dimostrandosi quindi uno strumento fondamentale per

sviluppare azioni mirate per gli abitanti di Enziteto. Il percorso che è scaturito nell’ambito del Progetto

Equal "Sistema territoriale per le Pari Opportunità - Enziteto" si è articolato in attività di formazione e

autoformazione per le donne del quartiere, finalizzate a coniugare capacità tecniche con competenze di

genere. Sono stati realizzati servizi di accompagnamento al lavoro con operatori pubblici e privati, sono

stati firmati accordi con le aziende e per agevolare la partecipazione delle donne ai corsi, sono stai

creati, accanto alle aule di formazione, degli “spazi di socialità”, con un servizio di baby-sitteraggio, un

angolo del caffé96

, e una ludoteca ai bambini di tutte le famiglie coinvolte nel progetto. Si è così

instaurato un clima di complicità tra le donne partecipanti, che ha permesso di superare i naturali

contrasti e gli attriti che si generano in un ambiente chiuso e diffidente, come era Enziteto all’inizio

dell’intervento. Allo sportello di orientamento si sono rivolte molto più delle trecento persone inizialmente

previste, e chi è riuscito a svolgere l’intero percorso formativo è di fatto diventato un punto di

riferimento stabile nel territorio di tutte le azioni proposte dal progetto. La costituzione di una

cooperativa di gestione e produzione di “tipo b” rappresenta la migliore eredità “operativa” del progetto

sul territorio. Un progetto che, accanto alle attività di orientamento e formazione per il lavoro, alla

promozione delle pari opportunità ha creato le condizioni per la realizzazione di uno spettacolo teatrale,

intitolato Che dire della mia vita, in cui le donne di Enziteto hanno raccontato e messo in scena le

proprie storie di vita. Ad Enziteto si è quindi innescato un circolo virtuoso di azioni, pubbliche e private,

promosse e sostenute dall’Amministrazione comunale di Bari, che hanno inciso sui diversi aspetti

dell’intervento per creare maggiori condizioni di sicurezza nel quartiere. L’affermazione, sostenuta dal

rappresentante di Confindustria, che “qualcosa si sta indubbiamente facendo per recuperare il ritardo

accumulato in anni di abbandono del quartiere” è sostanzialmente in linea il giudizio dei rappresentanti

di UIL e CGIL, che sottolineano l’indubbio miglioramento prodotto dall’insieme delle azioni attuate, dal

2005 ad oggi, a Enziteto. La valutazione positiva dell’azione dell’amministrazione comunale non è

condivisa dal rappresentante della CISL che lamenta come si sia svolto solo un lavoro di facciata

(“pittata la parete”) che non ha prodotto i cambiamenti reali attesi poiché: “si è solo rifatto il trucco

mentre ancora manca un presidio istituzionale nel quartiere e mancano tutti i servizi”. Condivisa è,

invece, la convinzione che serva uno sforzo maggiore per la rivitalizzazione economica del quartiere, che

vive all’ennesima potenza il dramma – comune alla gran parte del Mezzogiorno - della difficoltà di

accesso al lavoro. Il rappresentante della CGIL, in particolare, sostiene la necessità di forzare la realtà

mettendo in campo iniziative ad hoc quali, ad esempio, attività di servizio, per la cura delle persone e

dell’ambiente urbano, gestite da persone del

La presenza dell’angolo del caffé, in particolare, ha creato un’atmosfera di familiarità nella quale è stato più facile scambiare informazioni e conoscenze sui diritti del lavoro e delle donne, favorendo la presa di coscienza della propria condizione e innescando un processo a cascata che è proseguito anche dopo le attività di formazione.

quartiere o la promozione di una scuola di arti e mestieri che tenga viva e sviluppi la tradizione

dell’artigianato locale. Va tuttavia osservato che la pluralità delle dimensioni su cui si articolano gli

interventi, rappresenta un modello di approccio virtuoso che, già oggi, sembra segnare dei risultati

positivi che, auspicabilmente, potranno portare ad un miglioramento delle condizioni di vita. Certamente

la riduzione di alcune condizioni di particolare disagio non corrisponde immediatamente all’auspicata

conquista di una condizione di normalità, ovvero a condizioni comparabili con le altre aree della città. Del

resto, osserva il rappresentante di Confindustria, non può essere trascurato che gli interventi interessano

aree sociali assai deboli su cui spesso si innescano circuiti viziosi che rendono difficile la soluzione alla

sommatoria di problemi che si incontrano. Molto lavoro rimane da fare ma i segnali che si colgono,

alludono ad un modello positivo di approccio che se sostenuto adeguatamente potrà portare risultati

positivi, tanto più evidenti nella misura in cui questo approccio plurale saprà aggredire aspetti di

debolezza strutturali, come la carenza di lavoro, promuovendo, con maggiori risorse e determinazione,

politiche attive per l’occupabilità.

1.3 Le buone pratiche delle politiche locali di sicurezza nei quartieri di Scampia, ZEN ed Enziteto

La definizione più semplice e convincente di una buona prassi, trattando di problematiche di carattere

socio-economico, e’ quella che identifica come tale un’azione positiva che promuove la parità in

situazioni di discriminazione. Le caratteristiche delle buone prassi sono solitamente riferite al fatto che:

・・ hanno successo, ovvero sono in grado di dare risultati positivi attraverso un’azione mirata a un

obiettivo specifico;

・・ sono innovative, ovvero perché è stato realizzato qualcosa di diverso. Innovativo significa fornire

nuove o diverse soluzioni a quelle già esistenti o a quelle che esistono sul territorio, settore o

collettività. Le soluzioni possono essere completamente nuove o incorporate attraverso il

trasferimento da altri contesti. L’innovazione si può trovare nel processo (misure, contenuti,

metodologie, approcci, strumenti), nell’oggetto (nuove aree d’interesse, nuovi gruppi sociali) o

nel contesto adeguamento o miglioramento delle condizioni attuali, avvio di reti);

・・ deve avere un possibile effetto moltiplicatore o di trasferimento ad altre aree o realtà significa

essere orizzontale (diffusione) e/o verticale (inserimento nei sistemi e regolamentazioni);

・・ deve essere sostenibile.

Nella sintetica rassegna delle buone pratiche emerse nell’ambito di questa ricerca non sempre tutti

questi elementi sono compresenti in tutte le esperienze di cui sarà dato cenno. Si è voluto tuttavia

attribuire alle esperienze un valore segnaletico, ovvero caratterizzarle come buone pratiche non solo per

quello che hanno realizzato, ma anche per quanto queste esperienze rappresentano nel campo delle

azioni per creare migliori condizioni di sicurezza e vivibilità nei quartieri con maggiori criticità all’interno

delle aree metropolitane del Mezzogiorno. Ovviamente la rassegna che segue non ha la pretesa di

essere esaustiva, ma rappresenta solo il tentativo di fornire degli indirizzi di lavoro, delle suggestioni,

delle potenziali buone pratiche, appunto, che possano costituire un modello trasferibile anche in contesti

diversi. Tra le esperienze rilevate nell’ambito della ricerca, si è scelto di selezionare buone pratiche che

vanno nella direzione di introdurre, in contesti che vivono condizioni di estraneità rispetto alla città, di

marginalità e di disagio, elementi di normalità. Non ci sono, pertanto, tra le esperienze selezionate,

progetti di natura assistenziale, ma solo progetti che fanno, in contesti difficili, azioni analoghe a quelle

che si incontrano in realtà meno disagiate, favorendo l’occupabilità, la crescita del capitale sociale della

comunità, lo svilupparsi di una coscienza civile tra i giovani.

1.3.1 Le buone pratiche per la sicurezza nel quartiere di Scampia

Il progetto “Casa della Socialità”

Il progetto “Casa della Socialità – Incubatore di Imprese Femminili; Servizi Sperimentali ed Innovativi

per la Legalità e la Sicurezza dei cittadini”97

, fortemente voluto dall’Assessorato alle Pari Opportunità del

Comune di Napoli, lontano da politiche assistenziali, ha come obiettivo la rivitalizzazione del quartiere

Scampia attraverso la creazione di un’imprenditoria femminile basata sulla valorizzazione delle risorse e

delle competenze presenti sul territorio. Il progetto è focalizzato sulla creazione e la gestione di

incubatori di impresa, predisposti ad accogliere imprese femminili del territorio, in un percorso di

supporto all’imprenditorialità e all’auto-impiego. La creazione degli incubatori98

, è stata inserita dal

Comune di Napoli fin dal 2001, nel programma d’interventi per lo sviluppo imprenditoriale in aree di

degrado urbano, e si associa, nel caso del progetto Casa della Socialità, con le azioni di promozione della

partecipazione femminile al mercato del lavoro e di supporto alla creazione di lavoro autonomo e

d’impresa femminile e con gli interventi di sensibilizzazione per la diffusione della legalità e della

sicurezza. Il progetto, nello specifico, rientra nell’ambito delle azioni dirette a promuovere l’uguaglianza

sostanziale e le pari opportunità tra uomini e donne nell’attività economica ed imprenditoriale e, in

particolare, a:

97

Approvato con D.G.R. n. 146 dell’11.02.05 98

La realizzazione degli incubatori rientra tra le azioni di sostegno allo sviluppo ex art. 3 del D.M. 267/2004, Legge 266/97 art. 14, finalizzate alla crescita economico-imprenditoriale dell’area individuata, nell’ottica di una politica integrata di sviluppo locale.

・・ favorire la creazione e lo sviluppo dell’imprenditoria femminile;

・・ promuovere la formazione imprenditoriale e qualificare la professionalità delle donne

imprenditrici;

・・ valorizzare e supportare la capacità delle donne di “fare impresa”;

・・ promuovere la presenza delle imprese a conduzione o a prevalente partecipazione

femminile nei comparti più innovativi dei diversi settori produttivi. Il Progetto,

che si è svolto nella Piazza Telematica di Scampia, ha come attività prevalenti:

・・accoglienza ed informazioni su tutte le opportunità e gli strumenti per la creazione di

impresa e per il lavoro autonomo;

・・ orientamento imprenditoriale;

・・ supporto per l’accesso ai finanziamenti comunali, regionali e nazionali sulla creazione e

sviluppo di impresa. Destinatarie del progetto sono donne in età lavorativa, disoccupate ed

occupate, imprenditrici dedite ad attività nel sommerso o che abbiano interesse a creare o ad avviare

un'impresa, costituita ma non ancora operativa, e residenti nell'area nord di Napoli, nei quartieri di

Scampia, Miano, Secondigliano, San Pietro a Paterno, Piscinola, Marianella, Chiaiano. Una quarantina di

compagini femminili hanno seguito un percorso di formazione imprenditoriale e, successivamente, di

accompagnamento ed assistenza nella redazione del piano d’impresa, sulla base del quale, dopo una

selezione, sono state individuate le prime 19 imprese che, nel mese di settembre 2008, si sono insediate

nei locali della Piazza Telematica. Le micro-imprese femminili vengono accudite e ospitate in strutture

offerte dal Comune, dapprima in un solo sito cui, nel tempo si sono aggiunte due altre unità immobiliari,

ristrutturate con le risorse del progetto (un ex mercato rionale e una scuola) e destinate ad aumentare

la capacità di accoglienza. I progetti di impresa selezionati, per attività artigianali e di servizio, sono di

vario genere, distinti tra artigianato leggero e pesante, in relazione al rilievo delle attrezzature impiegate.

Si tratta, nello specifico di aziende con progetti per attività di servizio alla persona e alle imprese ma

anche per piccole e meno piccole attività artigianali (produzione di calze e sandali ecologici, ma anche

ceramica e falegnameria). Nella logica dei progetti di incubazione d’impresa, al termine dei 24 mesi

previsti per l’incubazione, le imprese saranno pronte per essere autonome. La gestione delle attività è

affidata ad un Raggruppamento Temporaneo di Scopo (RTS) formato da Città della Scienza S.c.p.a.

Onlus (soggetto capofila), Sviluppo Italia Campania S.p.A e Napoli Marketing S.r.l. Il progetto, è stato

finanziato, perlopiù da fondi comunitari, per un importo di circa 3 milioni di euro, cui si aggiungono

700.000 euro per il kit a sostegno delle imprese mentre una eguale dotazione, è prevista dall’Assessore

alle Pari Opportunità Valeria Valente per una seconda fase, un ulteriore triennio di attività, fino al 2012,

destinata ad allargare il numero delle aziende incubate.

Arrevuoto. Scampia/Napoli

Arrevuoto è un termine dialettale che significa rivoltare, mettere sotto sopra ed è da questa espressione

viva della lingua napoletana che, nel 2005, prende il nome il progetto Arrevuoto. Scampia/Napoli

promosso dal Teatro Stabile di Napoli Mercadante in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura del

Comune di Napoli, la Presidenza della Regione Campania, l’Assessorato provinciale alle Politiche

Formative e l’Associazione Gridas. L’iniziativa, curata da Maurizio Braucci e Roberta Carlotto, costituisce

un tentativo di riunire l’arte e quella parte della società continuamente negata e tenuta separata dal

resto della città, ovvero il quartiere di Scampia, devastato, in quegli anni, da una feroce guerra di

camorra. Lo scopo del progetto è anche quello di far crescere i giovani del quartiere dal punto di vista

artistico e pedagogico, realizzando laboratori teatrali. Nato come progetto triennale, ispirato alla

esperienza della non-scuola, condotta dal Teatro delle Albe a Ravenna, Arrevuoto, che è risultato

esserne un adattamento alle tematiche del disagio delle periferie e della disabitudine all’empatia con gli

altri, ha fin qui coinvolto, in cinque edizioni annuali, oltre cinquecento adolescenti, ampliando, nelle

ultime due annualità, la rete delle scuole e dei gruppi coinvolti. Il progetto è nato dal lavoro sinergico di

associazioni e scuole del territorio e, come afferma in un’intervista Maurizio Braucci99

“…questo teatro,

questo pezzo di istituzione, ha fatto una cosa anomala: partire da un libro e dai gruppi attivi in questa

zona e costruire un progetto per legarla al resto della città”. In campo a far da guide ai ragazzi sono

scese associazioni di Scampia (Chi rom e chi no e Gridas) e due scuole del quartiere (Scuola Media Carlo

Levi, Liceo Elsa Morante) con il coinvolgimento, secondo una felice intuizione dell’allora Assessore alla

Cultura del Comune di Napoli, Rachele Furfaro, dei ragazzi di un liceo del centro (Liceo Antonio

Genovesi). La sede di questa scuola di teatro è l’Auditoriun di Scampia, uno stabile costruito dalla Cassa

del Mezzogiorno da 30 anni e abbandonato, posto all’interno di una piazzetta chiusa, quasi introvabile,

diventato il luogo del riscatto grazie ai finanziamenti della Regione Campania e all’azione dell’Assessore

Rachele Furfaro. I 70 ragazzi del primo gruppo, in gran parte di Scampia, hanno messo in scena nel

2006 il primo movimento (Pace! ,riscrittura da Aristofane), alla presenza, tra gli altri del Presidente della

Repubblica Giorgio Napolitano, e, con la stessa compagine e un numero crescente di attori, sono stati

successivamente realizzati, nel 2007, il secondo movimento (Ubu sotto tiro, riscrittura da Alfred Jarry) e

l’anno successivo il terzo movimento (L’immaginario malato, affresco da Molière). Partito

99

Il Mattino, sabato 14 marzo 2009

da due scuole di Scampia, il liceo “Elsa Morante” e la scuola media “Carlo Levi”, unite con un’intuizione

dell’ Assessore alla cultura, ad una scuola del centro, il liceo “Antonio Genovesi” per evitare la

ghettizzazione alla periferia, il progetto ha via via allargato la rete delle scuole coinvolte. Dalla stagione

2008-2009, Arrevuoto si è dato un nuovo ed ambizioso obiettivo: allargare il numero dei ragazzi e dei

quartieri coinvolti, estendendosi sempre più, sia nel centro della città che nelle periferie. I gruppi che

hanno partecipato ai laboratori, hanno coinvolto circa duecento ragazzi100

. Le regie si sono moltiplicate

con l’obiettivo di mettere in scena non più un solo spettacolo, ma cinque, diretti da altrettante coppie di

artisti napoletani. La quinta edizione di Arrevuoto si è conclusa il 16 marzo 2010, con una maratona al

Teatro San Ferdinando dei 5 spettacoli, cui hanno partecipato 160 giovani tra i 12 e i 19 anni e un

pubblico che, nella serata, ha superato le 2.000 presenze. Ognuno degli allestimenti è il frutto del lavoro

di due gruppi di ragazzi provenienti da due differenti aree della città. Il criterio che aveva fatto

incontrare scuole e associazioni della periferia di Scampia con quelle del centro cittadino, è rimasto un

punto centrale del progetto, ma ha dilatato notevolmente le aree di interesse, collegando in una rete

sempre più ricca persone che lavorano in luoghi e territori differenti ma con obiettivi comuni. Così, nel

corso di tutto l’anno scolastico, oltre allo storico nucleo di Scampia e del liceo Genovesi, hanno

partecipato ai laboratori gli adolescenti di Ponticelli, di Barra - S. Giovanni, dei quartieri Vomero,

Montesanto e Foria. Un passo in avanti importante e soprattutto coerente con l’idea iniziale del progetto:

i primi tre anni – infatti -sono serviti a sperimentare un metodo, quello della non-scuola del Teatro delle

Albe di Ravenna, adattato alla realtà napoletana. Successivamente il teatro di Arrevuoto ha contagiato

altre zone, altre scuole e altri immaginari. I teatranti napoletani che hanno assistito Marco Martinelli

come guide nelle precedenti edizioni, organizzati per coppie, sono diventati i registi degli spettacoli di

quest’anno; i laboratori che hanno condotto, su testi classici e moderni, come gli anni precedenti, hanno

portato a delle vere e proprie riscritture sul campo, costruite assieme ai ragazzi di ogni gruppo.

All’insegna della continuità anche la collaborazione con Punta Corsara, il progetto formativo sviluppatosi

proprio dall’esperienza di Arrevuoto, che ora cura anche la programmazione dell’Auditorium di Scampia.

Alcuni degli attori/allievi protagonisti dei precedenti movimenti e oggi corsari sono entrati a far parte di

questa nuova fase, affiancando i registi nel lavoro di costruzione dei cinque spettacoli e preparandosi ad

essere, in futuro, essi stessi parte attiva delle successive rassegne arrevuotesche. Iniziato nel 2005, in

sordina e senza prospettive certe, Arrevuoto, annuncia attuale Assessore alla Cultura del Comune di

Napoli, a ottobre 2010 andrà in Cile per partecipare alla terza edizione del Forum delle Culture e sarà “il

nostro fiore all’occhiello”. Un fiore,

100

In particolare sono stati coinvolti nelle ultime due annualità: Associazione Chi rom e…chi no, Associazione culturale Damm, Istituto Comprensivo Amedeo Maturi, Istituto Tecnico Commerciale e per Geometri Archimede, Istituto Tecnico Industriale Marie Curie, Liceo Antonio Genovesi Liceo Artistico di Napoli, Liceo Elsa Morante, Scuola Media Carlo Levi, Centro Hurtado, Associazione Arci Movie.

la cui storia è raccontata in un libro101

spuntato dal cemento malato di Scampia, costato attorno ai

200.000 euro per ogni edizione e capace di portare alla ribalta l’energia e l’espressione di una speranza

giovane, capace di spazzare via qualunque forma di rassegnazione. Un progetto ove non c’è spazio per

la retorica del recupero sociale ma, invece, la voglia di arrevuotare la realtà di un luogo ove tutto

sembra deciso con una scelta di essere attori, artefici del proprio destino.

Progetto SOS Scampia - SO.lidarietà e S.viluppo a Scampia"

SOS Scampia - SO.lidarietà e S.viluppo a Scampia è un progetto di sviluppo locale, attualmente in corso,

co-finanziato dalla Fondazione per il Sud, con l’intento di rafforzare le esperienze portate avanti sul

territorio da anni dalle organizzazioni no-profit, che sono il nucleo promotore dell’iniziativa. L'intento è

quello di ampliare l'offerta di azioni educative, formative e di inserimento lavorativo, per i giovani di

Scampia, grazie alla sinergia della rete di enti coinvolti. Il progetto So.S Scampia (So.lidarietà e S.viluppo

a Scampia) coinvolge complessivamente 26 soggetti differenti, ed è promosso da Obiettivo Uomo

Società Cooperativa Sociale e da un nucleo di enti e associazioni radicati nel territorio. L’iniziativa, che si

caratterizza per l’integrazione di un’ampia serie di servizi territoriali, intende rispondere all’obiettivo di

promuovere il benessere e il senso di apparenza alla comunità, attraverso la costruzione di una rete di

servizi socio assistenziali e di opportunità educative e formative, per i giovani e per le fasce di

popolazione più disagiate del quartiere. L’integrazione tra i sistemi di accesso ai diversi servizi territoriali,

la presa in carico globale e personalizzata degli utenti più problematici, il coinvolgimento diretto dei

beneficiari, del volontariato e delle istituzioni, costituiscono i principali strumenti che il progetto intende

mettere in pratica per valorizzare le buone prassi e migliorare l’efficacia e l’efficienza del complesso dei

servizi territoriali locali. So.S Scampia, nell’arco di due anni di attività, propone l’avviamento e le messa

in rete di interventi formativi, educativi e di aggregazione giovanile che si concretizzeranno -all’interno di

due centri servizi, i Poli della Socialità - in corsi professionali, laboratori artistici, di danza e di recupero

scolastico, azioni di sostegno alla biblioteca locale, eventi sportivi e visite guidate. Con il progetto

s’intende, inoltre, supportare le famiglie in stato di bisogno e i giovani più a rischio, attraverso il

consolidamento e l’integrazione di uno Sportello famiglia e di un Centro di ascolto sulle dipendenze che,

sebbene già presenti sul territorio, sono ancora attuati in forma sperimentale e frammentata. Il progetto

prevede, infine, la promozione di tirocini e borse di studio per i giovani maggiormente qualificati ed un

intervento formativo diretto agli operatori dei servizi territoriali pubblici e del privato sociale, presenti sul

territorio. Attraverso le molteplici azioni programmate, l’iniziativa prevede il coinvolgimento diretto di

circa 1.000 giovani e 100 famiglie

101

Maurizio Braucci e Roberta Carlotto (a cura di), Arrevuoto. Scampia/ Napoli. Teatro Stabile di Napoli Mercadante, L’Ancora s.r.l. , Napoli-Roma 2009

multiproblematiche con un contributo, erogato dalla Fondazione per il Sud, di euro 782.116,00. L’ampia

compagine dei partner del progetto, promosso da Obiettivo Uomo Società Cooperativa Sociale,

comprende :

・・Associazione Animazione Quartiere Scampia ・・Associazione di volontariato Albatros ・・Azienda Sanitaria Locale – ASL 1 di Napoli -distretto 48 - Unità operativa salute mentale ・・Centro diagnostico Bios srl ・・Circolo Legambiente La Gru ・・Comune di Napoli - Assessorato alle Politiche Sociali ・・Comunità Emmanuel Onlus ・・Consorzio del Bo scarl ・・Consorzio per lo sviluppo di nuove professioni - Consvip ・・Consorzio nazionale della cooperazione di solidarietà sociale Gino Mattarella – C.G.M. (TUTOR) ・・Elettronica Santerno spa ・・Fondazione Elisa Fernandes -Opera don Guanella ・・Getea Italia srl ・・Istituto di studi politici S. Pio V ・・Istituto Pontano delle arti e mestieri scarl ・・Istituto professionale di Stato per i Servizi Commerciali e Turistici Miano ・・Istituto superiore Elsa Morante ・・Jesuit social network Italia ・・La roccia giovani di Scampia Società cooperativa sociale ・・Occhi Aperti Società cooperativa sociale Onlus ・・Promozione e sviluppo training e consulting srl ・・Sciara srl ・・Società consortile per la formazione e lo sviluppo – Fosvi ・・Soluzioni srl ・・Università di Napoli Federico II - Dipartimento di sociologia Gino Germani

1.2.2 Le buone pratiche rilevate al quartiere ZEN (oggi San Filippo Neri)

Istituto Comprensivo “Giovanni Falcone”

Il caso dell’ Istituto Comprensivo Statale “Giovanni Falcone” rappresenta un’esperienza eccentrica nella

rassegna delle buone pratiche rilevate nei tre quartieri critici delle grandi aree metropolitane del

Mezzogiorno. Infatti, a differenza di tutte le altre buone pratiche, qui non si fa riferimento ad un

progetto attuato da soggetti pubblici o privati ma bensì al ruolo che l’istituzione scolastica in oggetto ha

rappresentato e rappresenta nel contesto dello ZEN. La scuola, un istituto comprensivo situato nel

quartiere, ha, di fatto, costituito un presidio dello Stato: il fulcro delle diverse iniziative che si sono

prodotte allo ZEN, surrogando, come sottolinea il Dirigente Scolastico Domenico Di Fatta, l’assenza di

interventi degli enti locali e diventando il luogo di aggregazione per l’azione delle associazioni e delle

organizzazioni del territorio. In un quartiere dove non ci sono luoghi di ritrovo l’Istituto Comprensivo

“Giovanni Falcone” è diventato luogo di incontro e di socialità, per i ragazzi, strappati alla strada, e non

solo. La scuola è un punto di incontro per tutti coloro che si impegnano per contrastare il degrado e

l’abbandono dello ZEN, un vero e proprio “centro sociale naturale” in cui al lavoro pedagogico, rivolto

agli studenti, si associa un proliferare di iniziative rivolte al territorio. Da tre anni alla guida dell’ Istituto

Comprensivo “Giovanni Falcone”, oggetto di atti di vandalismo e devastazioni, il Dirigente Scolastico è

protagonista, con i suoi collaboratori, di un impegno straordinario nel fare cose ordinarie, in un contesto

che ordinario non è. Il carattere di buona pratica risiede proprio in questa normalità dell’agire, facendo

bene il proprio dovere, che diventa un fatto eccezionale, che ha meritato l’onore della cronaca,

interrogazioni parlamentari, il sostegno attivo del Ministero dell’Istruzione e di associazioni e

organizzazioni economiche e sociali. L’Istituto Comprensivo statale “G. Falcone”, costituito il 1°

settembre 2000, riconosciuto dal

M.I.U.R. come “scuola collocata in area ad alto rischio” a causa dell’alto indice di dispersione scolastica,

comprende tre ordini di scuola: dell’infanzia, primaria e secondaria di 1° grado. L’Osservatorio

provinciale sul fenomeno della Dispersione Scolastica del Centro servizi amministrativi di Palermo -

U.R.S. Sicilia, offre un supporto alla scuola, attraverso il Servizio psicopedagogico Territoriale. Inoltre, le

Associazioni, i servizi sociali e le scuole del territorio lavorano in equipe all’interno della Rete

Interistituzionale “San Filippo Neri” secondo un accordo finalizzato alla promozione e al sostegno di

iniziative orientate a prevenire il disagio adolescenziale e giovanile. In tale tessuto sociale, la scuola

svolge un’azione mediatrice, fornendo pari opportunità educative e formative. Nel Piano dell’Offerta

Formativa102

della scuola, si evidenzia il ruolo che l’istituzione scolastica si attribuisce: “La Scuola si

propone di svolgere un ruolo aggregante e di stimolazione continua di risorse educative e culturali del

proprio ambiente, favorendo un corretto rapporto scuola-famiglia che dovrà costituire l’asse portante dei

processi formativi. Pertanto, sarà agevolata e incentivata la dimensione collaborativa - tra scuola e

famiglia

- che incide positivamente sull’apprendimento degli alunni e qualifica il “clima” educativo. Si cercherà

quindi il coinvolgimento e la partecipazione di tutti i soggetti — insegnanti, famiglie ed istituzioni — che

dovranno attenersi a significati e a procedure di una educazione autenticamente “democratica” dove la

comunità locale viene intesa come contesto di vita, come ambiente in cui la scuola è presente e opera,

come punto di riferimento positivo della socialità e della relazione comunitaria. Si cercherà con forza il

consolidamento e ampliamento delle relazioni tra scuola e territorio nel campo dell’educazione alla

cittadinanza, alla salute, all’ambiente, alla legalità e alla sicurezza“. Una concretizzazione di questo

assunto si trova, ad esempio, nell’ anno scolastico 2009-2010, nella

102

Il documento di indirizzo dell’offerta formativa della scuola

scelta di inserire tra le attività extra-curricolari rivolte agli studenti, il Progetto Scuola di Calcio, poichè il

collegio dei docenti ha individuato nella pratica sportiva, lo strumento che meglio facilita l’acquisizione

delle regole, il rispetto degli altri, il lavoro individuale e di gruppo, crea occasioni di confronto e rinuncia

o di accettazione, porta a condividere situazioni di successo o di insuccesso. Tale attività è resa possibile

da un’iniziativa di Legambiente103

che, nell’aprile 2008, ha promosso la donazione all’istituto di un campo

di calcio ed uno di pallavolo. Il progetto didattico si articolerà, con una programmazione di 24 ore

mensili, per 9 mesi con un costo nell’ordine dei 14 mila euro, in parte coperto da un contributo di

Confindustria. Questa iniziativa segue altre azioni diverse nelle finalità ma unite nello stesso disegno

generale come, ad esempio, il Centro Sperimentale di Educazione Ambientale avviato dalla Provincia

Regionale di Palermo, da Legambiente e dall’Istituto Comprensivo “Giovanni Falcone” di Palermo, allo

scopo di incentivare iniziative dirette alla conoscenza dei valori naturalistici ed al rispetto dell'ambiente,

per favorire l’acquisizione di una cultura ambientale; promuovere lo sviluppo sostenibile attraverso

attività di educazione, informazione, socializzazione e sensibilizzazione; utilizzare uno spazio come luogo

di integrazione e socializzazione dei ragazzi all'interno del quartiere; promuovere un processo di

cambiamento cultuale che modifiche gli stili di vita. Le attività, che si svolgeranno per due giorni a

settimana, nell’anno scolastico 2009-2010, con un programma assai articolato prevedono: due laboratori

(laboratorio “foto di riserva” e laboratorio: il giardino al microscopio), un cineforum sul ciclo dell’acqua,

il laboratorio di riciclaggio, incontri con autori di libri per ragazzi sui temi della legalità e dell’ambiente ed

altre iniziative al fine di realizzare un polo di educazione ambientale aperto al territorio. Nell’intesa

sottoscritta tra i tre soggetti, la Provincia Regionale di Palermo rende disponibili gli arredi e le

attrezzature per la funzionalità del Centro e si impegna a sostenere l'onere economico per la copertura

dei costi di realizzazione delle attività programmate, fino ad un massimo di 5.000 euro; l'Istituto

Comprensivo “Giovanni Falcone” mette a disposizione i locali, rendendoli disponibili per tutte le attività

pertinenti, mentre L'Associazione Legambiente cura l'organizzazione e la realizzazione di attività ed

iniziative di educazione ambientale. Ma, tra le iniziative in corso d’opera, quella che più di ogni altra

rappresenta il ruolo dell’I.C “ G. Falcone” è il Progetto Spazio Agorà- Incontriamoci a scuola , che ha

iniziato le attività il 15 marzo 2010, con l’obiettivo di far diventare la scuola uno spazio aperto al

quartiere e da esso fruibile: progetto attivato anche grazie ad un finanziamento del MIUR nell’ambito

delle Iniziative per l’educazione alla legalità. Il progetto Incontriamoci a scuola, prevede una serie di

iniziative per i ragazzi (corso di balli, di ginnastica, laboratorio di multipercussioni e cineforum) e per i

genitori (corso di reiki e corso di danza). Accanto alle attività ludiche, completamente gratuite, nello

stesso spazio è prevista l’attivazione di uno sportello di consulenza civica, con informazioni in ambito

103

Con il coinvolgimento di Telecom Italia e con il patrocinio del Ministero dell’Ambiente

previdenziale, sociale, sanitario, lavorativo ( per la salvaguardia dei diritti dei lavoratori, pensionati,

cittadini, immigrati), orientamento scolastico e professionale, consulenza sulle opportunità di inserimento

nel mercato del lavoro. Il progetto Agorà è realizzato con un partenariato che comprende:

・・Istituto Comprensivo “ Giovanni Falcone” ・・CGIL Palermo ・・La bottega delle percussioni ・・Unione Italiana Sport per Tutti・・Circolo Legambiente “L’erbavoglio” ・・Palermo in Movimento

G.Zen.Net

Il progetto G.Zen.Net, attualmente in corso, presentato dal Centro Padre Nostro Onlus, fondato da don

Giuseppe Puglisi, è il risultato di un processo di progettazione partecipata realizzato da una compagine

partenariale molto ampia e diversificata che coinvolge ben 34 soggetti, espressione delle diverse realtà,

pubbliche, private, economiche ed ecclesiastiche del quartiere ex Zen e del territorio di Palermo.

L’obiettivo è quello di promuovere il miglioramento delle condizioni di vita degli abitanti del quartiere,

attraverso una strategia basata su tre aree principali d’intervento che prevedono: l’erogazione di servizi

di prossimità; la riqualificazione strutturale di servizi e luoghi di aggregazione; l’implementazione di una

campagna locale di comunicazione sociale. Durante i 18 mesi di attività, grazie alla creazione di un

Centro polivalente di prossimità, saranno realizzate azioni di rafforzamento e potenziamento di servizi di

ascolto e sostegno alla genitorialità, interventi di orientamento scolastico formativo e professionale,

consulenze per la creazione d’impresa e l’emersione dal lavoro nero, laboratori ludico-ricreativi e di

promozione della cultura, della salute e dello sport, interventi di recupero scolastico e di promozione dell’

interculturalità e della legalità. Gli interventi di riqualificazione strutturale (un campo di atletica, una

palestra, una piazza del quartiere ZEN 2 e il Giardino delle Civiltà) promuoveranno la libera fruizione

delle aree comuni del quartiere, mentre una campagna di comunicazione sociale, di cui si prevede una

realizzazione trasversale a tutto il progetto, garantirà una sistematica diffusione delle attività progettuali

tra la popolazione. Il progetto, da realizzarsi con un contributo della Fondazione per il Sud di 865.304,00

euro, intende incidere su tutto il quartiere, con una stima il coinvolgimento diretto di almeno 2.000

persone, individua come principali destinatari i bambini, gli adolescenti e le famiglie del territorio. I

partner del progetto G.Zen.Net costituiscono una compagine assai vasta, che rappresenta un valore

aggiunto per questa iniziativa. In particolare essi sono:

・・ Asl 6 Palermo Distretto 13- Unità Operativa Educazione Alla Salute ・・ Associazione “Centro Sociale Giuseppe Dusmet” Onlus ・・ Associazione “Lievito Onlus” ・・ Associazione Apriti Cuore Onlus ・・ Associazione Culturale “Gioconda” ・・ Associazione Di Volontariato “Centro Sociale ・・ Associazione Handala ・・ Associazione Lega Contro La Droga - Onlus ・・ Associazione Punto E A Capo - Onlus

・・ Associazione Shalom ・・ Caritas Diocesana Di Palermo ・・ Ce.Fo.P. Centro Di Formazione Professionale ・・ Centro Assistenza Legale – C.A.L ・・ Centro Di Solidarietà Della “Compagnia Delle Opere Don Giosuè Bonfardino” ・・ Centro Socio Culturale Emanuele Piazza Onlus ・・ Centro Studi – Opera Don Calabria ・・ Circolo Acli Padre Pino Puglisi ・・ Circolo Culturale “Nuova Società” ・・ Comune Di Palermo ・・ Confraternita S. Giuseppe Dei Falegnami-Caritas Diocesana ・・ Consorzio Comunità Nuova Società Cooperativa Sociale ・・ Endo-Fap (Ente Don Orione Formazione Aggiornamento Professionale Formativo ・・ I.C.S. G. Falcone ・・ Inas (Istituto Nazionale Assistenza Sociale) ・・ Istituto Comprensivo Statale -“L. Sciascia” - Palermo ・・ Istituto Don Calabria ・・ Istituto Professionale Di Stato G. Salvemini ・・ La Panormitana Soc.Coop.Sociale Onlus ・・ Laboratorio Zen Insieme” ・・ M.I.U.R. – U.S.R. Sicilia – U.S.P. – Palermo Osservatorio ・・ Osservatorio Di Area “Monte Gallo” Per La Prevenzione Della Dispersione Scolastica E La Promozione Del

Successo Formativo- Servizio Psicopedagogico Territoriale ・・ Parrocchia San Filippo Neri ・・ Servizi Sociali Territoriali VII Circoscrizione ・・ Società Cooperativa Sociale “La Lucerna” ・・ Ufficio Servizio Sociale Per Minorenni Di Palermo Ussm

Sostengono l’ iniziativa come partner esterni: - la Camera Di Commercio, attraverso lo sportello legalità, che offrirà la sua competenza in termini di promozione di

giornate studio e di sensibilizzazione del territorio San Filippo Neri; - l’Assessorato Alla Cultura Del Comune Di Palermo, che contribuirà consentendo ai giovani del quartiere di visitare i beni culturali della città, musei e palazzi; - l’Assessorato Alle Politiche Giovanili Del Comune Di Palermo, che offrirà la sua competenza in termini di partecipazione a giornate studio; oltre che spazi ove necessario;

- L’Assessorato Regionale della famiglia, delle politiche sociali e delle autonomie locali, che offrirà la sua competenza in

termini di partecipazione a giornate studio; oltre che spazi ove necessario; - il Consorzio Nazionale Idee In Rete metterà a disposizione la sua competenza, in ambito nazionale, riguardo i rapporti interistituzionali e lo scambio di buone prassi; - il Consorzio Nazionale Idea Lavoro metterà a disposizione la sua competenza in ambito di inserimento lavorativo e gestione delle risorse umane;

- la Cisl provinciale offrirà la sua competenza a supporto della promozione delle politiche di Pari Opportunità nell'ambito

del lavoro,della conciliazione lavoro/famiglia, della tutela alla maternità e dell’Area Giovani in particolare Scuola e

Formazione;

- il Consiglio comunale che offrirà la sua competenza in termini di promozione di giornate di incontro, anche

attraverso la realizzazione di Sedute Comunali a San Filippo Neri aperta al Territorio, per una partecipazione attiva e

solidale dei cittadini alla politica.

1.2.3. Le buone pratiche nel quartiere di Enziteto (oggi San Pio)

Progetto Equal "Sistema territoriale per le Pari Opportunità - Enziteto" Il progetto ”Sistema territoriale

per le pari opportunità -Enziteto” nasce nell’ambito dell’Iniziativa Comunitaria EQUAL ed è collocato

nell’area urbana della città di Bari: ha come obiettivo quello di promuovere nuovi strumenti atti a

combattere forme di discriminazione e di disuguaglianza nel contesto del mercato del lavoro, anche

attraverso la collaborazione transnazionale. In particolare, il progetto ha lo scopo di favorire il

superamento delle discriminazione sociali, culturali e lavorative delle donne di Enziteto, mettendo a

punto un sistema di intervento di recupero del territorio in grado di aiutare le donne a recuperare un

ruolo sociale e culturale per contribuire alla rinascita del quartiere. La tematica affrontata dal progetto

riguarda le difficoltà delle donne di un quartiere periferico come Enziteto, confrontate con la realtà

sociale, culturale e soprattutto lavorativa, dell’area metropolitana di Bari. La realtà del mercato del

lavoro di quest’area è caratterizzata da: un elevato livello di disoccupazione, dato da un tasso di attività

prossimo alla metà di quello maschile; da una scarsa trasparenza dei meccanismi allocativi, dovuta

anche all’assenza di servizi per le persone in cerca di occupazione; da diffusi fenomeni di marginalità e

sottoutilizzazione di risorse umane, la cui specializzazione è scarsamente allineata con i fabbisogni

professionali delle imprese e da un’ancora significativo dislivello salariale; una bassa presenza delle

donne nei livelli di carriera più elevati; una preponderanza femminile nel lavoro sommerso. Tale

situazione esiste non solo rispetto alle fasce di popolazione femminile meno qualificate, ma anche per

quelle con un elevato tasso di scolarizzazione. Se a ciò si aggiungono difficoltà di tipo familiare e

personale, risulta molto difficile conciliare la vita sociale e lavorativa con quella domestica, quindi ci si

trova a percorrere un circuito che, di fatto, conduce all’esclusione dal mercato del lavoro. La popolazione

femminile del quartiere di Enziteto, per la sua peculiare condizione di emarginazione socio culturale, non

è generalmente messa in grado di accedere ad un lavoro regolare. Gran parte di loro non riescono a

promuovere un’azione sociale sulla base (auspicabile) di un progetto, con cui trasformare l’esistente in

uno stato di cose ritenute più desiderabili. Esse non dispongono peraltro di alternative, poiché si trovano

alla presenza di una situazione (altri soggetti agenti e reagenti, norme, valori, riferimenti operativi) che

le porta a vivere quotidianamente nella marginalità. Ancor più preoccupante risulta la scarsa conoscenza

di quelle notizie e informazioni che permetterebbero loro di vivere una condizione sociale più consona,

promotrice anche di possibilità lavorative. La finalità del progetto consiste nel superare le discriminazioni

sociali, culturali e lavorative delle donne di Enziteto, mettendo a punto un sistema di recupero ed

intervento sul territorio in grado di aiutare le donne a recuperare un ruolo sociale e culturale e, nel

frattempo, fornire loro tutta una serie di strumenti tecnici per affrontare con successo il mercato del

lavoro. In base a tale finalità il progetto ha individuato tre indirizzi di lavoro:

I principali risultati attesi sono:

・・ recupero degli spazi sociali comuni di Enziteto, destinandoli a ridiventare luoghi di aggregazione, sviluppo di eventi socio

culturali e se possibile anche di lavoro; tale impresa prevede l’intervento attivo delle donne, per le quali vi è certamente

una maggiore necessità di intraprendere un percorso di riappropriazione dell’identità e di radicamento nel territorio e poi di

essere le beneficiarie delle possibilità che tali interventi offriranno;

・・ ricostruzione di un’identità socio-culturale attraverso un lavoro di orientamento, self empowerment e bilancio di

competenze per un significativo numero di donne del quartiere, in modo da realizzare un nuovo modo di essere presenti in

Enziteto;

・・ messa a punto di una serie di strumenti socio-professionali finalizzati all’acquisizione di competenze di base e trasversali,

che possano facilitare un nuovo e diverso approccio al mercato; le conoscenze apprese potranno essere utilizzate sia per

gestire gli spazi recuperati che per poter eventualmente inserirsi in altre realtà lavorative;

・・ riappropriazione della loro identità di genere per le donne di Enziteto, anche confrontandosi con situazioni diverse e altre da

quelle locali e per alcune anche nazionali;

・・ realizzazione di una ricerca con rilevazione fabbisogni, mappatura delle competenze di genere e organizzazione di una

banca dati;

・・ messa a punto di un osservatorio per il monitoraggio sull'andamento delle tre variabili: genere, competenze,

ruoli nell'ambito del percorso professionale;

・・ realizzazione di uno sportello permanente per l’orientamento e la valutazione delle competenze di genere;

・・ sperimentazione di un modello formativo, anche con percorsi di autoformazione, finalizzato a coniugare

competenze tecniche con competenze di genere;

・・ nascita di due cooperative per le donne di Enziteto: una cooperativa socio culturale che risponda ai bisogni del quartiere e

una cooperativa di produzione e consumo;

・・realizzazione di un sistema di rete per la comunicazione, promozione e verifica

dell’intero progetto; ・・realizzazione del progetto di cooperazione

transnazionale, con azioni di confronto, produzione e valutazione in comune.

Le attività, ad oggi, realizzate sono:

・・ SPORTELLO DI ORIENTAMENTO: Allo sportello di orientamento si sono rivolte 123 donne e 11 uomini. Sono

stati cominciati compilate 85 schede di accoglienza.

・・ BILANCIO COMPETENZE: Sono partiti 4 gruppi di bilancio competenze, 12 donne a gruppo. 2 Gruppi hanno terminato la programmazione.

・・ JOB CLUB: Il percorso di Job Club prevede la realizzazione di 8 incontri. Sono partiti 3 gruppi di gruppi di Job Club da 6 donne ciascuno, durante i primi 2 incontri di Job Club è prevista la stesura dei Life Planning di ogni singola donna, successivamente, durante i successivi incontri viene insegnata la modalità di realizzazione e stesura di un curriculum vitae, la creazione e pubblicazione di annunci, la ricerca attiva di lavoro con il supporto degli strumenti informatici e con l'ausilio di inserzioni su giornali o, eventualmente, delle agenzie di lavoro interinale.

・・ ATTIVITA' DI FORMAZIONE: è stata realizzata la progettazione esecutiva di ogni singolo percorso di formazione, sono stati inoltre già predisposti la programmazione e gli orari della formazione alle competenze di base e trasversali. Il numero delle donne che desiderano fare formazione supera di gran lunga quello previsto e per

questo alcune donne sono state dirottate a corsi di formazione esterni, promossi dalla regione o dal comune.

Il progetto è stato presentato da una partnership di sviluppo che si è costituita in ATI104

mediante un atto

pubblico, in una forma associativa senza finalità di lucro.

L’ATI, denominata Enziteto, si compone dei seguenti soci: Associazione NET-Networking Education and

training, Associazione Sportiva Culturale Europa, Auser Puglia Ente nazionale di Assistenza,

A.U.S.L. Ba/4. Distretto Sociosanitario n. 1 u.o., C.N.I.P.A. Puglia, C.O.S.I.M. Soc. Coop. a.r.l. O.N.L.U.S.,

Direzione Didattica Statale-12° Circolo Didattico, Distretto di Bari-S. Spirito,

U.N.I.T.R.A.T. S.r.l., Università Popolare per la III età O.N.L.U.S. in Bari, “Zip. H” Soc. Coop. a.r.l.

O.N.L.U.S. L’A.T.I. “Enziteto” ha, inoltre, partner locali che collaborano al raggiungimento degli obiettivi

pur non facendo parte di essa, come il Comune di Bari, la Facoltà di “Scienze dell’Educazione”

dell’Università di Bari. L’A.T.I. Enziteto si avvale anche di una significativa partnership di Enti

transnazionali105

, con cui si è stabilita una fattiva collaborazione e steso un programma di lavoro con

diversi obiettivi ed attività in comune, approvate e finanziate dall'Unione Europea.

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha recentemente comunicato che il progetto Sistema

territoriale per le Pari Opportunità - Enziteto è stato segnalato dall' Autorità di Gestione al fine di essere

inserito nel repertorio delle Promising Practice che sarà curato dalla Commissione Europea e pubblicato

sul sito della stessa.

Accademia del Cinema dei Ragazzi – Enziteto

Il progetto originario coinvolge ragazzi, dai 16 ai 23 anni, provenienti sia dal quartiere di Enziteto che

dall’hinterland barese e fornisce ai ragazzi competenze spendibili nel mercato del lavoro, nel settore della

piccola produzione audiovisiva e in quello culturale-video-informatico. E’ un’esperienza che ha origine nel

2005, nell’ambito della ripresa di attività nel quartiere, e che si è sviluppata dal 2007, con il contributo

della Fondazione per il Sud e del Comune di Bari ed è tuttora in corso. L’Accademia è una vera e propria

scuola di cinema ma è innanzitutto una scuola di vita e un punto di riferimento per molti giovani del

quartiere e della città. Infatti, la localizzazione della scuola di cinema nel quartiere, all’interno della

scuola elementare “Iqbal Masih”, è stata accompagnata dalla scelta di coinvolgere nel progetto anche i

ragazzi di altri quartieri, per innescare un processo di integrazione e non ghettizzare tale esperienza ma,

al contrario, portare la città a Enziteto. Un modo nuovo per far si che da Bari arrivasse qualcuno, magari

giovane e ingenuo, per provare a fare cinema con i ragazzi del quartiere, per aggregare intorno a

qualcosa di magico come il

104

Associazione Temporanea d’Impresa I partner europei sono quattro e sono : Wienner Sozialdienste di Vienna (organizzazione no profit), IBB Gmbh di Dresda (Ist. di formazione),

Aiuntamiento de San Andréas del Rabanedo (Comune) e Waterside Development di Londonderry (Organizzazione no profit).

cinema, un interesse della città per Enziteto. In questi anni in Accademia, nei tre anni di corso, si sono

formati decine di ragazzi: hanno fatto lezioni di storia del cinema, appreso i primi rudimenti dell’essere

attore, incontrato coloro che con i mestieri del cinema oggi riescono a vivere, collaborato

all’organizzazione di festival e soprattutto prodotto film: cortometraggi e documentari che hanno girato

l’Italia facendo incetta di premi ma anche giovani attori, come Andrea Ferrante106

, che dall’Accademia di

Enziteto è partito per intraprendere questo mestiere. Ma la finalità del progetto è anche quella di creare

uno spazio d’incontro stabile e permanente, cosa che ha già iniziato a fare coinvolgendo nelle diverse

annualità oltre un centinaio di giovani, con l’intento di offrire un’alternativa alla strada, al disagio

dell’isolamento, della solitudine e del senso di abbandono. Accanto alle attività didattiche proprie della

scuola di cinema, il progetto prevede, attraverso tre educatori e la supervisione di uno psicologo, anche

dei momenti di accompagnamento al supporto scolastico, intervenendo direttamente, in collegamento

con la scuola, per eventuali problemi di profitto e di rendimento dei ragazzi. Sono previsti anche percorsi

di tutoraggio personalizzato ai ragazzi con maggiore difficoltà, sia all’interno delle scuole che all’interno

della famiglia, e la presenza di un sociologo per i percorsi di accompagnamento all’orientamento e alla

formazione lavorativa. Il progetto, in particolare, prevede attività di supporto ai ragazzi per l’acquisizione

di competenze cinematografiche; supporto attraverso attività scolastiche, formative e di orientamento al

lavoro; supporto alle famiglie; supporto alla cittadinanza attiva attraverso l'organizzazione di iniziative di

quartiere ed eventi culturali.

Superata una fase di difficoltà per il ri-finaziamento delle iniziative107

da parte del Comune di Bari, il 25

marzo 2010, presso l’Auditorium della Scuola elementare “Iqbal Masih”, si è tenuta la cerimonia ufficiale

di riapertura del nuovo anno accademico di tutti i corsi dell’Accademia del Cinema Ragazzi Enziteto.

Durante la serata è stato proiettato il cortometraggio La sigaretta, realizzato a conclusione del progetto

Accademia Junior che ha coinvolto 15 ragazzi di età compresa tra gli 11 e i 14 anni, tutti provenienti dal

quartiere San Pio; il progetto è stato condotto da Renzo Menolascina che ha seguito i ragazzi nell’arco di

otto mesi dando loro la possibilità di ideare, scrivere e realizzare una storia di vita scolastica di quartiere.

Ma la ripresa delle attività segna un ulteriore aspetto che identifica l’Accademia come un’isola in

quartiere dormitorio, che si spopola la domenica e dove la gente sta in casa durante la settimana. Nella

stessa serata di apertura dell’anno accademico ha trovato spazio l’esperienza formativa di un gruppo di

donne di Enziteto108

e le stesse partecipanti hanno presentato la loro iniziativa per la costituzione di un

Comitato Di

106

Interprete de Il grande sogno, con Riccardo Scamarcio e Luca Argentero. 107

I costi per gli stipendi degli operatori e degli educatori ( una decina in tutto)

108

Progetto Equal "Sistema territoriale per le Pari Opportunità - Enziteto"

Quartiere di S.Pio, a cui aderirà anche l’Accademia. Peraltro, nella scuola del cinema ha preso forma

anche un laboratorio teatrale per le donne del quartiere, attribuendo così all’Accademia il ruolo di punto

di riferimento per la costruzione di una socialità ad Enziteto. Un ruolo che, per la realizzazione delle

prime tre annualità, ha richiesto un contributo nell’ordine dei 230.000 euro. Il progetto, coordinato dalla

Cooperativa GET - Centro per la ricerca e la didattica dell'immagine cooperativa sociale onlus è realizzato

in collaborazione con tre istituti scolastici del quartiere (una scuola elementare, una scuola media ed un

istituto superiore), diverse associazioni e cooperative locali. Partner del progetto sono, in particolare:

・・XII Circolo didattico S. Spirito - Bonghi di Bari ・・Scuola Media Aldo Moro - S. Spirito/Plesso Enziteto ・・Istituto

Professionale Statale per l'industria e l'artigianato E. Majorana di Bari Palese ・・Progetto Mondialità Organismo di

Volontariato Internazionale ・・Anthropos Società Cooperativa Sociale ・・Cnipa Puglia ・・Associazione Irseo ・・Irsem

Società Cooperativa

Alcune osservazioni conclusive

Dalla ricerca emergono, con tutta evidenza, alcune indicazioni che possono orientare le politiche locali

per contrastare il degrado delle aree urbane con maggiori criticità e garantire ai residenti la possibilità di

essere e di sentirsi sicuri, nella tutela della propria incolumità fisica e nell'esercizio di tutti i propri diritti

di cittadinanza. Abbiamo visto come i necessari interventi sulle politiche abitative e sull’assetto urbano

debbano essere sostenuti da un insieme di azioni tese a rafforzare la coesione sociale, contrastando

aspetti di disagio socio-economico ed accrescendo il senso di appartenenza alla comunità locale.

Determinante per il successo di ogni intervento di riqualificazione urbana è, quindi, il ruolo delle politiche

sociali, educative e culturali, che non possono essere considerate degli optional nella definizione

dell’insieme delle policy. Il coinvolgimento diretto degli abitanti negli aspetti decisionali rappresenta un

aspetto fondamentale per il successo di azioni complesse che devono puntare ad aumentare il capitale

sociale del territorio, con una particolare attenzione alla condizione giovanile. In tale prospettiva la

scuola rappresenta una risorsa decisiva, per il ruolo insostituibile nello sviluppo di senso civico e per la

responsabilità che ricopre nella fase assai critica del passaggio dalla adolescenza al mondo del lavoro.

Gli interventi individuati devono tener conto del rapporto che il quartiere ha con il resto della città; la

creazione di nuove centralità nei quartieri periferici, è fondamentale per contrastare quella separazione

dalla città e quel distacco nelle condizioni di sicurezza, che connota tutte le aree degradate. Laddove più

profondo è il disagio, la richiesta che affiora, in quasi tutte le conversazione i numerosi interlocutori

ascoltati nella realizzazione della ricerca, è quella di operare, con la necessaria continuità, per affermare

condizioni di normalità. L’immagine più efficace di questa acquisizione è straordinariamente sintetizzata

nei disegni selezionati per il calendario prodotto dai ragazzi dell’Istituto Comprensivo Statale “Giovanni

Falcone”, allo ZEN di Palermo, chiamati a rappresentare il loro quartiere ideale, quello dei loro sogni,

quello dove vorrebbero vivere quotidianamente, quello che non viene regalato loro dalla realtà.

L’immagine più eloquente è quella tracciata da una bambina che disegna un quartiere normale, con vari

negozi e un hotel (attività sconosciuta in quell’area disagiata), con una didascalia in cui una ragazzina

afferma, con soddisfazione: “Abbiamo tutto: la scuola, negozi ed è anche pulito”. Nei diversi interventi

attuati nei tre quartieri si incontrano aspetti che rimandano alla conquista di una condizione di normalità,

che significa un ambiente urbano gradevole, abitazioni decenti, condizioni di sicurezza apprezzabili, che

consentono la fruizione di spazi pubblici adeguati. Un contesto abitativo ove sono presenti una serie di

servizi fondamentali, dai collegamenti pubblici con il resto della città, alle strutture di base: sanitarie,

sociali, scolastiche e culturali. Un quartiere ove siano garantiti i servizi minimi, come la farmacia, l’

ufficio postale o un’edicola, ma anche una serie di esercizi commerciali di vicinato e di attività

dell’accoglienza e della ristorazione. Un quartiere dove la disoccupazione e la sottoccupazione interessino

una porzione fisiologica e non maggioritaria della popolazione. Quello del lavoro è un passaggio

ineludibile. Bisogna avviare politiche attive del lavoro, con maggiore determinazione e consapevolezza

della centralità che questo aspetto ricopre nell’azione di contrasto della illegalità e della insicurezza. In

tale prospettiva, l’attivazione di funzioni di servizio alle persone e all’ambiente e l’insediamento di

piccole attività artigianali e commerciali, possono costituire il punto di partenza per creare, nel quartiere

stesso, opportunità di occupazione. Se, come si è osservato, gli interventi sulle politiche abitative e

sull’assetto urbano non possono essere disgiunti da un insieme di politiche sociali e culturali, la conquista

della normalità deve necessariamente intrecciarsi la costruzione di un tessuto economico e di possibilità

di occupazione nei quartieri staessi. Servono politiche attive del lavoro, servono incubatori d’impresa,

serve orientamento professionale, serve formazione. Ma serve, soprattutto, la consapevolezza che senza

un approccio al tema del lavoro, il contrasto al degrado, alla marginalità, alle illegalità, all’insicurezza si

riduce ad una lodevole – ma assai debole – manifestazione di principio. A tal fine possono essere

immaginate forme transitorie di sostegno che, senza alterare le condizioni di mercato e di eguali

opportunità, rendano possibile lo svilupparsi della rete di servizi e delle funzioni che, oggi non esiste nei

quartieri presi in esame, e che senza tale sostegno non ci sarebbe comunque, come dimostra l’evidenza

dei fatti. Bisogna operare per far nascere attività produttive, valorizzando il capitale sociale del territorio,

con la possibilità di coprire modeste aree occupazionali, nei servizi di prossimità. Si tratta, certamente, di

un passaggio non privo di difficoltà in contesti in cui la criminalità organizzata offre incentivi che

deprimono la ricerca di un lavoro regolare ma ineludibile poichè, come scrive Lorenzo Stabile, ispettore

al commissariato della Polizia di Stato di Scampia: «Parlare di legalità senza creare lavoro è soltanto

propaganda. Immaginate che abbia una ricaduta fare un appello alla legalità ad un padre di famiglia di

Scampia che da anni ha due figli che non sanno come vivere». E, tuttavia, il tema della legalità e della

sicurezza rimane centrale, condizione necessaria per supportare l’insieme articolato degli interventi che

possono produrre condizioni di normalità per coloro che vivono in ambiti in cui la tolleranza alla illegalità

va di pari passo alla sostanziale riduzione dei diritti di cittadinanza. Sono pertanto necessarie azioni

ordinarie e continuative di prevenzione, di controllo e di repressione da parte delle Forze dell’Ordine, la

cui presenza, nelle aree con maggiori criticità, deve essere irrobustita con un rafforzamento dei servizi di

pattugliamento mobile. La presenza dello Stato non può ridursi ad episodiche operazioni delle Forze di

Polizia, tanto spettacolari quanto inconcludenti sul piano della affermazione di reali condizioni di

sicurezza. L’azione delle Forze dell’Ordine non deve essere vissuta dai cittadini come un’occupazione

militare, ma come un sostanziale presidio di legalità, capace di tutelare i loro diritti contrastando

l’arroganza e le prevaricazioni di chi esercita un controllo oppressivo sul territorio e sulla vita delle

persone. Questa acquisizione può essere favorita da un effettivo esercizio della polizia di prossimità

esercitata in modo coordinato dalle Forze di polizia dello Stato e dalla Polizia Locale. E’ necessario un

forte impegno culturale per affermare il valore delle regole, che sono garanzie che tutelano i cittadini e

per sconfiggere la logica del favore che troppo spesso surroga la piena fruizione dei diritti. La

costruzione della sicurezza richiede una maggiore capacità di presidio del territorio da parte delle

Istituzioni dello Stato e degli Enti Locali, capace di contrastare quel diffuso senso di abbandono che

aleggia nei quartieri con maggiore disagio delle grandi aree urbane del Mezzogiorno. Ripristinare una

condizione di rispetto delle regole è certamente azione complessa ma vi sono esperienze, come, ad

esempio, quella passata alla cronaca come la teoria delle "finestre rotte" (Fixing Broken Windows), che

possono segnare dei progressi nel processo di conquista della normalità. Di fronte alla condizione di

disordine che connota i quartieri con maggiori criticità l’idea di intervenire, puntualmente, per rimuovere

gli aspetti materiali del degrado può rappresentare un punto di partenza, poiché l’abbandono crea

abbandono e rafforza l'impressione di assenza di regole. Giova ricordare che la cosiddetta “teoria delle

inciviltà” interpreta l’aggravarsi del disordine urbano attraverso il propagarsi di fenomeni emulativi e

identifica l’aumento della insicurezza delle persone a causa del senso di fallimento della comunità. E

proprio il rafforzamento del senso di comunità rappresenta il passaggio fondamentale per determinare

migliori condizioni di sicurezza, di vivibilità e di accesso ai diritti nei quartieri con maggiori criticità, ove la

disgregazione sociale è una costante che pesa drammaticamente sulle possibilità di sviluppo. Insieme al

rafforzarsi dei legami sociali si deve operare per accrescere il senso di identità comunitario, sviluppando

condizioni simili a quello dei piccoli paesi, dove tutti si conoscono e sono pronti a darsi una mano. E

laddove è più forte l’identità comunitaria, come è noto, maggiore capacità di controllo sociale, poiché

nessun apparecchio di video-sorveglianza ha la capacità di dare sicurezza quanto il controllo esercitato

dagli occhi del vicinato. Ma per sviluppare quello che in letteratura viene, appunto, indicato come il

“controllo di vicinato” (Neighbourhood Watch), rivelatosi capace di prevenire gli episodi di

microcriminalità, servono interventi a 360°, servono politiche locali a sostegno della coesione sociale.

Ecco, allora, che se la tutela della legalità e della sicurezza individuale sono condizioni necessarie,

l’insieme delle politiche sociali e culturali si manifesta come condizione sufficiente per recuperare le

sacche di disagio nei quartieri con maggiori criticità, unitamente ad ineludibili ed adeguate politiche

attive del lavoro. L’insieme articolato degli interventi deve superare la logica emergenziale, che spesso

caratterizza gli interventi di riqualificazione nel Mezzogiorno, dando luogo a una sosta di piano di azione

con l’impegno coordinato delle Istituzioni dello Stato, degli Enti Locali e del Partenariato economico e

sociale. “Così sogno il mio quartiere”

disegno di una bambina che frequenta l’Istituto Comprensivo Statale “Giovanni Falcone” , allo ZEN di

Palermo, pubblicato nel calendario 2010, prodotto dalla scuola e stampato con il contributo del Lions

Club Vespri.