"L’ammissione alla celebrazione del matrimonio canonico: la licenza dell’Ordinario del luogo per...

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RIVISTA DEL CONSIGLIO BOLLETTINO DEL CONSIGLIO Anno X N. 2/3-2005 Direttore responsabile Giovanni GRECO Comitato di redazione ORDINE DEGLI AVVOCATI PRESSO LA CORTE D'APPELLO DI LECCE PALAZZO DI GIUSTIZIA Viale M. De Pietro - Lecce * Antonio DE GIORGI - Raffaele FATANO Luigi RELLA - Antonio SERGI - Nicola STEFANIZZO Autorizzazione del Tribunale di Lecce n. 160 del 11.01.1975 Spedizione in abbonamento postale 70% Filiale Poste Lecce

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RIVISTA DEL CONSIGLIO

BOLLETTINO DEL CONSIGLIO

Anno X N. 2/3-2005

Direttore responsabile

Giovanni GRECO

Comitato di redazione

ORDINE DEGLI AVVOCATI PRESSO LA CORTE D'APPELLO DI LECCE

PALAZZO DI GIUSTIZIA

Viale M. De Pietro - Lecce

*

Antonio DE GIORGI - Raffaele FATANO

Luigi RELLA - Antonio SERGI - Nicola STEFANIZZO

Autorizzazione del Tribunale di Lecce n. 160 del 11.01.1975

Spedizione in abbonamento postale 70%

Filiale Poste Lecce

Editoriale: La riforma dei fallimenti

di Antonio De Giorgi . . . . . . . . . . . . . p. 4

Aggiornamento professionale. Una scommessa da vincere

di Raffaele Fatano . . . . . . . . . . . . . . . " 9

Principali iniziative in tema di formazione e aggiornamento

svolte nel biennio 2004/2005

di Raffaele Fatano . . . . . . . . . . . . . . . " 15

Liberalismo agnostico e diritto nei rapporti

tra etica e genetica, tra vita e morte

di Giandomenico Casalino . . . . . . . . . . . . " 26

Quel pasticciaccio del lavoro part-time

di Rosa Patrizia Sinisi . . . . . . . . . . . . . . " 30

L’ammissione alla celebrazione del matrimonio canonico:

la licenza dell’Ordinario del luogo per alcuni casi

di matrimonio (can. 1071 C.I.C.)

di Vincenzo Fasano . . . . . . . . . . . . . . . " 58

Le operazioni di leveraged buy out nella riforma

del diritto societario - brevi note

a cura di Gianfabio Cantobelli . . . . . . . . . . . " 90

Legge Finanziaria 2005 e art. 25

(ri)novellato del d.p.r. n. 602/73:

finalmente termini certi per la notifica della cartella

di pagamento al contribuente

di Armando Mancuso . . . . . . . . . . . . . . " 100

Incontro di Studi sulla Riforma del Processo Civile

di Giovanni Romano . . . . . . . . . . . . . . " 112

Sommario

Sommario

In copertina: Lecce, Basilica di Santa Croce, interno (foto di Pierluigi Bolognini).

Direzione - redazione - pubblicità

EDIZIONI DEL GRIFO - via V. Monti, 18 - Lecce

tel. 0832/394346 - fax 0832/394982

Stampa: Tiemme (industria grafica - Manduria)

Tutti gli iscritti all'Ordine possono collaborare alla rivista

del Consiglio con articoli su problemi di interesse generale:

la Direzione si riserva la facoltà di non pubblicare gli articoli

che pervengono. I dattiloscritti non vengono restituiti.

Tiratura n. 3.600 copie

Il tentativo di conciliazione

Aspetti sostanziali e processuali in comparazione

tra il diritto civile e quello canonico

(l’art. 708 c.p.c. ed i canoni 1676 e 1695 CJC a confronto)

La nuova Instructio Dignitas Connubii

di Stefano Sinisi . . . . . . . . . . . . . . . . " 133

Note in tema di agire antecedente

della vittima nel danno esistenziale

di Fernanda Vaglio . . . . . . . . . . . . . . . " 151

Il fondo patrimoniale su beni futuri

di Luigi Viola . . . . . . . . . . . . . . . . . " 163

Incontro con la medicina legale

di Luigi Viola . . . . . . . . . . . . . . . . . " 178

Lucio Cesare Vanini

“Università Popolare di Milano” il 15 novembre 1908

di Francesco Rubichi . . . . . . . . . . . . . . " 184

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef

delle somme percepite a titolo di risarcimento del danno

di Maurizio Villani . . . . . . . . . . . . . . . " 204

Dati Statistici dell’attività del Consiglio . . . . . . " 252

Editoriale

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Editoriale

di Antonio De Giorgi

La riforma dei Fallimenti

Nel corso dell’anno appena chiuso si sono tenuti diversi in-

contri di studio, inseriti nel programma di “accesso, formazio-

ne ed aggiornamento professionale”.

In uno degli incontri si è discusso della riforma del diritto

fallimentare.

Da tempo, da molto tempo, si attendeva una legge di riordi-

no delle procedure concorsuali e finalmente il legislatore vi ha

provveduto con il d.l. 14 marzo 2005, convertito in Legge 14

maggio 2005 n. 80, e, da ultimo, con d.lgs. 22 dicembre 2005.

Per la verità un po’ tutti speravamo in una riforma organica

e strutturale della crisi d’impresa, capace di dare precisi punti

di riferimento per l’intera economia, evitando, alle volte, stri-

denti orientamenti giurisprudenziali e discutibili scelte di orga-

ni giudiziari.

Di contro il legislatore, accontentandosi di un più modesto

compromesso, sta dando una risposta alle annose aspettative

(verificheremo, allorché la legge opererà a pieno regime, se

condivisibile o meno), istituendo sostanzialmente una sorta di

privatizzazione tra creditore e debitore.

Sappiamo, per le copiose riflessioni manifestate in merito,

che la riforma di che trattasi, a fronte di un approccio favore-

vole da parte del ceto bancario, di quello economico ed indu-

striale e di quello dei liberi professionisti, ha visto un contrap-

posto atteggiamento sfavorevole da parte della magistratura

associata, che critica – tra l’altro – la mancanza di previsione

di meccanismi di allerta e vigilanza sull’attività economica e,

principalmente, il riconoscimento di notevoli competenze al co-

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Editoriale

mitato dei creditori ed al curatore a scapito di quelle del giudi-

ce, nei confronti del quale registra una “marginalizzazione di

intervento, ridotto a semplice funzione di vigilanza”.

Non condivido tale drastico giudizio, sia perché apparente-

mente funzionale ad un arroccamento corporativo, sia perché

– contrariamente a quanto sostenuto – ritengo che la legge

esalti la funzione del giudice, chiamandolo ad essere garante

della regolarità della procedura e limitandone l’intervento a

compiti dirimenti su contrasti – in linea con le prerogative pro-

prie della funzione giurisdizionale –, piuttosto che renderlo

(come per il passato) compartecipe delle scelte di gestione

dell’azienda in crisi.

L’Avvocatura, pur assumendo posizione parzialmente critica

rispetto alla riforma, censurandone la scarsa coerenza ed il

difetto di sistematicità, ritiene comunque che per una proficua

applicazione della novella, andrebbe incentivata la cultura del-

la emersione tempestiva della crisi dell’impresa, crisi che non

deve necessariamente scaturire da condotte fraudolente o

dissipatorie, ma deve essere considerata evento normale del

rischio d’impresa.

Su questa linea, viene considerata favorevolmente la scelta

di far salire la soglia di esenzione dal fallimento.

Viene, ancor più, considerata favorevolmente la contraria

impostazione che la nuova legge ha voluto dare, rispetto alla

vecchia legge del lontano anno 1942: quella, riconoscendo al

solo giudice delegato l’improprio potere di gestire la crisi del-

l’impresa, pur di realizzare l’assioma della par condicio, si è

disinteressata del probabile smembramento dell’azienda, pur-

ché i creditori potessero dividersi i miseri resti; quella, inoltre,

è sembrato preoccuparsi principalmente di punire il fallito;

questa, per contro, considera il fallito (purché non abbia tenu-

to una condotta fraudolenta) un imprenditore che non è riusci-

to a superare la crisi di mercato, perciò ha abolito la sua deca-

Editoriale

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denza da alcuni diritti civili e gli ha consentito perfino di libe-

rarsi dai debiti mediante l’esdebitazione, permettendogli una

più agevole ripresa della attività imprenditoriale; questa poi,

riconosce – giustamente – veri protagonisti delle procedure

fallimentari i creditori ed il curatore.

Siamo, quindi, ben consapevoli che la riforma delle procedure

concorsuali potrà avere successo grazie anche alla capacità di

adattamento al ruolo (assegnato dalle nuove regole) che avran-

no i protagonisti: e cioè al nuovo modo di svolgere l’ufficio di

curatore ed ai nuovi compiti che si assegnano al comitato dei

creditori. Vanno rivisitati, quindi, in tale ottica, i criteri di for-

mazione e professionalità.

Il nuovo modo di svolgere le funzioni di curatore, che gesti-

sce la procedura insieme al comitato dei creditori ed in un

certo senso ne è il loro rappresentante, comporta notevole

competenza, alto senso di responsabilità, costante consape-

volezza del ruolo e forte personalità, finalizzate al compiuto,

autonomo, imparziale ed indipendente espletamento del com-

pito che, per legge, è chiamato a svolgere.

Il nuovo ruolo del comitato dei creditori, di controllo sul-

l’operato del curatore e di autorizzazione dei suoi atti, compor-

terà nuovi percorsi formativi per chi vorrà gestire e rappresen-

tare gli interessi dei componenti.

Particolare attenzione merita, poi, la nuova ipotesi normati-

va del piano di concordato attestato da un professionista, e

cioè il piano sulla ristrutturazione dell’azienda e progetto di

soddisfacimento dei creditori nella pluralità di forme previste,

compresa l’attribuzione di azioni. Il piano, per la sua funzione

di concreta previsione di fattibilità, attestata appunto dal pro-

fessionista unitamente alla veridicità dei dati aziendali, va pre-

disposto da soggetto dotato di profonda conoscenza della ma-

teria e che abbia costante consapevolezza dell’impegno che

assume, anche in chiave deontologica.

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Editoriale

La riforma ha, inoltre, favorevolmente potenziato l’istituto

del concordato, consentendone il ricorso all’imprenditore in

condizioni di insolvenza, prevedendo classi omogenee di cre-

ditori ed ipotizzando una soddisfazione anche parziale per i

creditori privilegiati.

Sempre a proposito della riforma, qualche commentatore

ha rilevato come la stessa risulti completamente “assente su

un aspetto cruciale per la crisi d’impresa”, e cioè l’amministra-

zione straordinaria.

In effetti in tempi assai recenti abbiamo registrato che la

crisi delle grandi imprese (il fenomeno comincia ad interessare

anche imprese di medie dimensioni) viene affrontata median-

te l’utilizzo della procedura speciale dell’amministrazione straor–

dinaria, che concretizza una penetrante ingerenza della pub-

blica amministrazione e, spesso, del potere politico. In conse-

guenza si realizza una sostanziale sostituzione del potere poli-

tico alle funzioni tipiche dell’autorità giudiziaria, che va dalla

nomina dei commissari straordinari (pochi eletti vicini a “chi

conta”) alla valutazione dei piani di risanamento.

Il legislatore sicuramente ne terrà conto. Il sottosegretario

all’Economia, Michele Vietti, ha parlato recentemente di “una

riforma vera, ampia e innovativa, ma che potrebbe aver biso-

gno di nuovi interventi”.

Attendiamo nuovi interventi, che dovranno comunque inte-

ressare i reati fallimentari in genere e la bancarotta nelle sue

diverse articolazioni.

In conclusione va preso atto del ruolo attivo che è stato

riconosciuto all’Avvocatura, in quanto parte sociale, nella ela-

borazione dei decreti di attuazione della legge delega, ed è

preciso compito del ceto forense garantire il massimo impe-

gno, per realizzare l’aspettative di cui innanzi.

L’Avvocatura, per quel che riguarda i propri iscritti, ha il com-

pito di occupare i nuovi spazi professionali che la riforma sta

Editoriale

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creando, disponendo indubbiamente di adeguate capacità e

risorse.

Vanno, pertanto, attivati nuovi percorsi formativi ed è per

questo che è necessario continuare a tracciare il solco della

formazione e dell’aggiornamento.

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Aggiornamento professionale. Una scommessa da vincere

Aggiornamento professionale

Una scommessa da vincere

di Raffaele Fatano

Il problema della formazione forense è stato affrontato fino

a qualche tempo fa con esclusivo riferimento ai praticanti, al

precipuo scopo di fornire un supporto alle conoscenze che,

nell’intenzione del legislatore, dovevano essere acquisite con

l’espletamento della pratica presso lo studio di un professioni-

sta. Il sistema, originariamente lasciato alla buona volontà dei

singoli, è stato inquadrato organicamente con la istituzione di

scuole, sempre più articolate sul territorio, sul cui funziona-

mento, per vero, è lecito ancora nutrire qualche dubbio.

Il Consiglio Nazionale Forense, quando ha compreso che era

necessario istituire scuole forensi alternative a quelle previste

dalla Legge Bassanini ed ha creato appositamente un “centro

per la formazione”, ha imboccato un difficile sentiero adottan-

do iniziative che, pur da affinare e migliorare, miravano prima

di tutto alla “formazione dei formatori”. Da più parti, tuttavia,

si cominciava ad avvertire l’insufficienza di un siffatto approc-

cio, sol che si pensi che, superato l’esame, il sistema disegna-

to dal legislatore non prevedeva e non prevede alcun altro

obbligo per i professionisti già iscritti nell’albo. Con ciò, ovvia-

mente, non si intende dire che mancassero o che manchino

valide iniziative di aggiornamento, ma che quelle offerte sul

mercato rimanevano e rimangono sostanzialmente lasciate al-

l’iniziativa di quei pochi che, per formazione culturale, ambi-

zione ed interessi, decidono di aggiornarsi.

L’esperienza nel nostro circondario ha confermato questo

indirizzo. Si rifletta come la partecipazione a convegni, incon-

tri di studio, tavole rotonde è sempre stata limitata ad un nu-

Aggiornamento professionale. Una scommessa da vincere

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mero ridotto di professionisti quantomeno se rapportata al

complessivo numero di iscritti. Anche le iniziative di più ampia

portata quali quelle adottate in coincidenza con l’entrata in

vigore del nuovo codice di procedura penale ovvero della

“miniriforma” del processo civile del 1995, anche se numerica-

mente ben partecipate, hanno evidenziato un limitato interes-

se di gran parte degli iscritti. Ciò, ovviamente, non significa

necessariamente impreparazione perché, spesso, l’avvocato

preferisce l’autoaggiornamento con i limiti ed i vantaggi insiti

in una scelta del genere.

La crescita smisurata degli iscritti negli albi, la proliferazione

dei provvedimenti legislativi spesso al di fuori di un sistema

organico di tipo codicistico con modifiche a singhiozzo su testi

di legge già approvati ma non ancora entrati in vigore, l’inte-

grazione europea del nostro paese, la scarsa preparazione teo–

rico-pratica che si riesce a conseguire in due anni di tirocinio in

uno all’incapacità del sistema di selezione, oggi adottato, di

riconoscere l’effettiva preparazione del candidato, l’eccessiva

mutabilità della giurisprudenza, non sempre consapevole e frut-

to di accurata preparazione, hanno reso il problema dell’ag-

giornamento professionale degli avvocati urgente e, comun-

que, non più differibile.

La scelta adottata dal Consiglio dell’Ordine di Lecce di costi-

tuire una commissione per l’aggiornamento professionale de-

gli avvocati si inserisce in un solco tracciato dal Consiglio Na-

zionale Forense che si mostra sempre più preoccupato del-

l’inarrestabile crescita del numero degli avvocati. Sulla scorta

di queste premesse la formazione dei praticanti e l’aggiorna-

mento dei professionisti sono state individuate come priorità

assolute.

È di qualche anno addietro la prima iniziativa – adottata dal

Centro per la formazione e l’aggiornamento professionale de-

gli avvocati, d’intesa con una nota casa editrice, che distribui-

sce un periodico di facile consultazione (Guida al Diritto) – che

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Aggiornamento professionale. Una scommessa da vincere

ha portato alla diffusione di un fascicolo dal titolo “Le tecniche

difensive dell’Avvocato”.

Il codice deontologico forense, per vero, già sancisce il prin-

cipio secondo il quale “è dovere dell’avvocato curare constan-

temente la propria preparazione professionale, conservando

ed accrescendo le conoscenze con particolare riferimento ai

settori nei quali svolga l’attività” (cfr. art. 13).

Ci si è tuttavia resi conto dell’insufficienza di un dovere di

aggiornamento professionale lasciato esclusivamente alla li-

bera determinazione del singolo professionista e, per giunta,

sostanzialmente sprovvisto di qualsiasi “sanzione” stante an-

che l’indeterminatezza del precetto. Le difficoltà, tuttavia, non

sono poche sol che si pensi al numero dei professionisti da

aggiornare e la difficoltà di imporre un obbligo il cui onere

economico ricada sull’interessato.

Il Consiglio Superiore della Magistratura, già da molti anni,

ha avviato un capillare programma di aggiornamento dei ma-

gistrati organizzando, periodicamente, corsi sulle materie più

varie e di particolare interesse. La partecipazione agli incontri,

organizzati a livello centrale pur non risultando obbligatoria, è

tuttavia incentivata in vario modo. Né appare significativa, com’è

evidente, la meritoria ma tardiva iniziativa di aprire i corsi alla

partecipazione degli avvocati. Di maggiore interesse, appare

l’organizzazione di incontri di studio a livello distrettuale. An-

che in questo caso la frequenza consentita a non più di cinque

avvocati per ciascun ordine del distretto è apparsa troppo limi-

tata, talché di fatto v’è sempre una maggiore partecipazione

spontanea che fa comprendere come il terreno sia diventato

più fertile.

Le difficoltà, tuttavia, sono ben diverse quando si tratta di

affrontare il problema di come aggiornare oltre 160.000 avvo-

cati. Stante l’indiscutibile impossibilità di promuovere un serio

aggiornamento professionale degli avvocati a livello centrale,

l’unica soluzione possibile è apparsa quella di valorizzare le

Aggiornamento professionale. Una scommessa da vincere

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capacità organizzative di ciascun ordine circondariale a condi-

zione che il Consiglio Nazionale Forense promuova, anche e

soprattutto per il tramite del Centro di Formazione, un signifi-

cativo coordinamento che indirizzi tutti gli sforzi verso un obiet-

tivo comune. Se, infatti, occorre uscire dall’occasionalità, è al-

trettanto vero che non è possibile gestire un aggiornamento

professionale toccando tutte le materie e tutti gli argomenti

che meritano un approfondimento. Programmare significa of-

frire un prodotto qualificato che tenga conto, organicamente,

delle necessità e delle difficoltà dei singoli. Ed ecco che occor-

rerebbe informare, compiutamente e per tempo, su tutte le

iniziative adottate adoperandosi per evitare che su un deter-

minato argomento ed in un certo momento si sovrappongano

una pluralità di iniziative adottate, magari, nell’ambito dello

stesso distretto della Magistratura, dal Consiglio dell’Ordine,

dall’Università e da qualche libera associazione. A tal fine sa-

rebbe utile istituire un protocollo di preventivo coordinamento

delle attività formative e di reciproca collaborazione per l’or-

ganizzazione di incontri di livello culturale superiore con ap-

porti dottrinali nazionali e comunitari.

Nel tentativo di mettere ordine nella materia e di uscire dal-

le teorizzazioni verbali si è proposto, per fissare alcuni principi

e articolare i modi per attuarli, di adottare “un regolamento,

che indichi esattamente l’oggetto della formazione, e il tempo

e le modalità di attuazione, e gli obblighi relativi di accerta-

mento e di controllo, per fondare sulla permanenza delle qua-

lità professionali non solo il contenuto della prestazione ma la

stessa sopravvivenza della classe forense” (cfr. Danovi, “Per

un progetto di formazione permanente”). In quest’ottica la par-

tecipazione ai corsi di aggiornamento ed il conseguimento di

una specifica professionalità, opportunamente certificata, po-

trebbe essere valorizzata per il conferimento di incarichi pro-

fessionali ovvero per l’inserimento in elenchi come ad esempio

quello dei difensori d’ufficio in materia penale ed in materia

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Aggiornamento professionale. Una scommessa da vincere

minorile ovvero, più recentemente, in materia di espropriazione

immobiliare, peraltro già previsto dal sistema positivo.

Indipendentemente, comunque, dall’adozione di un regola-

mento e dalla sanzionabilità dei precetti in esso contenuti che

rappresenta, a mio avviso, il punto di arrivo di un percorso

lungo e difficile è necessario parlare di aggiornamento profes-

sionale, di confrontarsi sulle problematiche che comporta al

fine di formare, prima di tutto, una mentalità ed una sensibili-

tà che consentano al professionista di vincere quelle resisten-

ze che sono insite in chi esercita una professione liberale e che

vuol sentirsi svincolato da lacci e lacciuoli e di avvicinarsi al

problema con la convinzione che si deve vincere una sfida con

il tempo e con il rapido cambiamento della professione e delle

modalità con le quali viene svolta.

In questa prospettiva è necessaria la collaborazione e l’aiu-

to di tutti – singoli, libere associazioni e istituzioni – senza

individualismi ma con la convinzione che un professionista più

preparato ed al passo con i tempi è garanzia di libertà ed indi-

pendenza che gli consentiranno di confrontarsi ad armi pari

con gli altri operatori riaffermando quei valori di cui l’Avvocato

è, da sempre, portatore e garante.

In questo contesto non si può fare a meno di ricordare le

numerose iniziative di ampio respiro che da qualche anno il

Consiglio dell’Ordine ha direttamente organizzato per la for-

mazione degli avvocati in materia minorile (primo e secondo

corso di aggiornamento in diritto minorile) e di famiglia, in

tema di risarcimento dei danni con riferimento ai profili pro-

cessuali ed assicurativi del riconoscimento delle lesioni

micropermanenti, in tema di “privacy” e così via dicendo.

In particolare non può farsi a meno di menzionare le ultime

iniziative quali il corso sul mobbing, organizzato d’intesa con

l’Amministrazione Provinciale, o il corso in materia di arbitrato,

gestito dal Centro Studi Giuridici Michele De Pietro, che si sono

articolati in numerosi incontri di studio che hanno visto l’inter-

Aggiornamento professionale. Una scommessa da vincere

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vento di prestigiosi esperti della materia e la partecipazione di

numerosi avvocati o, ancor più recentemente, le iniziative sul-

la riforma della legge fallimentare, sulle recenti modifiche al

codice di procedura civile ed il corso per la formazione di quei

professionisti che saranno chiamati ad operare in materia di

procedure esecutive immobiliari.

In questo contesto la costruzione di un sito web con il quale

tutti gli iscritti possano dialogare ed attingere informazioni è

stata, in ordine di tempo, l’ultima iniziativa adottata dal Consi-

glio che, con la collaborazione di tutti, potrà diventare uno

strumento quotidiano di grande utilità.

Iniziative mai sufficienti che tuttavia, ne sono sicuro, rap-

presentano un piccolo aiuto per affrontare le mille difficoltà

che l’avvocato incontra nel cammino quotidiano e che, anche

per il futuro, dovranno costituire una priorità alla quale riser-

vare energie ed impegno.

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Principali iniziative in tema di formazione e aggiornamento...

Principali iniziative in tema

di formazione e aggiornamento

svolte nel biennio 2004/2005

di Raffaele Fatano

Si riportano di seguito solo alcune delle iniziative che il Consi-

glio dell’Ordine ha assunto e/o patrocinato nel biennio 2004/2005

in materia di formazione professionale ed aggiornamento.

Scuola di formazione forense primo Tondo

(anno 2004 e 2005)

L’attività di formazione è stata svolta continuativamente nel

biennio ed è stata indirizzata, principalmente, in favore dei

giovani laureati iscritti nel registro dei praticanti.

Il numero elevato degli iscritti ha comportato la divisione

dei frequentanti in tre gruppi affidati a docenti – avvocati, ma-

gistrati e professori universitari – e tutors.

Le lezioni sono state svolte con frequenza bisettimanale ed

hanno avuto indirizzo prevalentemente pratico con lo scopo di

preparare i giovani a sostenere gli esami di abilitazione e, nel

contempo, di integrare le conoscenze professionali acquisite

con lo svolgimento della pratica.

La scuola è stata inaugurata, per l’anno 2004, in data 18/6/

2004 con l’intervento dell’avv. A. De Giorgi, Presidente del

Consiglio, l’avv. Francesco Morgese, Componente del Consi-

glio Nazionale Forense, e il professore Ernesto Sticchi Damiani,

Presidente del Corso di Laurea in Giurisprudenza.

Ha diretto la Scuola l’avv. Lucio Caprioli che si è avvalso

della collaborazione dei coordinatori di ciascuno dei corsi (avv.ti

R. Altavilla, G. Bonsegna, A. Sergi, L. Piccinni, M. R. Romano,

Principali iniziative in tema di formazione e aggiornamento...

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N. Stefanizzo, R. Fatano, G. G. Caiaffa, R. De Matteis, G.

Caracuta, G. Caprioli, De Francesco, V. Napoletano, A. L.

Spedicato).

Hanno svolto la funzione di tutor gli avv.ti C. Vaglio, A. Delli

Noci, S. Alberani, V. Laterza, A. Lisi, S. Paladini, C. Solinas,

Maraschio, O. Valletta, S. Muscogiuri, F. Porcari, G. Russo, A.

Tarantino, G. Tortorelli, S. Verri, L. Messa, S. Chiriatti, G.

Capodacqua, V. Caprioli, C. Ruppi.

Hanno svolto relazioni e interventi, tra gli altri, gli avv.ti V.

Messa, A. De Mauro, R. Fatano, A. Vantaggiato, D. De Giorgi,

B. Sanasi D’Arpe, G. Rossi, F. Perrone, P. Nicolardi, R. Altavilla,

L. Covella, i magistrati A. Del Coco, V. Scardia, C. Mainolfi, R.

Tanisi.

Inaugurazione Scuola Forense anno 2004/2005. Presidente De Giorgi, Avv.

Aymone, Avv. Morgese, Avv. Caprioli e Prof. Sticchi Damiani.

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Principali iniziative in tema di formazione e aggiornamento...

Corso di perfezionamento in diritto societario

(10/12/2003-28/2/2004)

Il corso è stato organizzato dal Centro Studi Giuridici “Mi-

chele De Pietro” con il patrocinio dell’Ordine degli Avvocati,

della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Lecce, della

Facoltà di Economia e Commercio “A. De Viti DE Marco”,

dell’Assindustria Lecce, della Banca Popolare Pugliese e della

Fondazione Rico Semeraro ed è stato coordinato e diretto

dall’avv. Marcello Marcuccio. Il corso è stato inaugurato dall’avv.

Vittorio Aymone, Presidente del Centro, e con l’intervento del

prof. Guido Rossi ed il saluto dell’avv. Giuseppe Bonsegna, com-

ponente del Consiglio.

Hanno svolto relazioni ed interventi, tra gli altri, i professori

Sabino Fortunato, Renzo Costi, Nicola Rocco di Torrepadula,

Giulio De Simone, F. P. Luiso, S. Adamo, i Magistrati dottori S.

Silvestrini, F. Greco.

Al termine del corso i partecipanti hanno discusso una tesina

ed hanno ricevuto un attestato.

La legge n. 57/2001 e le sue ricadute

nell’applicazione giudiziale (30/4/2004)

L’incontro di studi, organizzato dal Consiglio dell’Ordine de-

gli Avvocati nell’ambito del Corso di aggiornamento professio-

nale e dal Referente per la Formazione dei Magistrati del di-

stretto di Lecce, è stato presieduto, coordinato e concluso dal

Presidente del Consiglio, avv. Antonio De Giorgi.

Ha introdotto i lavori il magistrato dott. G. Positano ed hanno

svolto relazioni l’avv. G. Fiorentino, Giudice di Pace ed il dott. S.

Paglia, coordinatore dell’Ufficio Liquidazione Sinistri CGL di Lecce.

Principali iniziative in tema di formazione e aggiornamento...

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Le tecniche difensive e le questioni di riparto

della giurisdizione (7/6/2004)

Il seminario, organizzato dal Consiglio dell’Ordine degli Av-

vocati nell’ambito del Corso di aggiornamento professionale

con la collaborazione del CNF e della rivista “Guida al Diritto” è

stato presieduto ed introdotto dal Presidente del Consiglio, avv.

Antonio De Giorgi.

Hanno svolto relazioni gli avv.ti A. Bernardo, C. Bovio, L. De

Cataldo, T. Madia, G. Orsoni, M. Sanino e A. Rossomando.

Privacy e sicurezza per lo studio legale

(11 giugno 2004)

Il seminario, organizzato dal Consiglio dell’Ordine degli Av-

vocati nell’ambito del Corso di aggiornamento professionale, è

stato presieduto ed introdotto dal Presidente del Consiglio, avv.

Antonio De Giorgi.

Hanno svolto relazioni gli avv.ti Andrea Lisi e Fabio Tommasi

sui nuovi adempimenti imposti al professionista forense dalla

società dell’informazione.

Prima conferenza provinciale sulla giustizia

(10-11 dicembre 2004)

L’iniziativa del Consiglio, resa necessaria dalle crescenti di-

sfunzioni nell’Amministrazione della Giustizia in provincia di

Lecce, che causano sempre maggiori problemi ai cittadini, aveva

come scopo principale quello di individuare le cause dei disagi

e di darne informazione coinvolgendo tutte le componenti,

politiche istituzionali e giudiziarie.

Sono intervenuti oltre che personalità politiche, i rappre-

sentanti delle istituzioni ed i responsabili degli uffici giudiziari

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Principali iniziative in tema di formazione e aggiornamento...

e delle associazioni forensi e della magistratura associata, che

hanno individuato e discusso sullo stato della giustizia nella

provincia di Lecce e delle relative cause.

Corso di aggiornamento in diritto minorile

e problematiche dell’età evolutiva

(24/6/2004-8/7/2005)

Il corso, coordinato dall’avv. Raffaele Fatano, tesoriere del

Consiglio dell’Ordine, è stato organizzato, d’intesa con il Tribu-

nale per i Minorenni e la Procura della Repubblica Minorenni e

con la collaborazione della Camera Minorile di Lecce.

L’inaugurazione è avvenuta il 24/6/2004 con l’intervento del

Presidente del Consiglio dell’Ordine, avv. Antonio De Giorgi,

dell’avv. Fabrizio Bagnati, Presidente dell’Unione delle Camere

Minorili, del dott. Franco Gustapane, Procuratore della Repub-

blica presso il Tribunale per i Minorenni.

Hanno svolto relazioni ed interventi, tra gli altri, i magistrati

dott. Ercole Aprile, dott. Pietro Silvestri, dott.ssa Carolina Elia,

dott. Pasquale Andria, dott. Elio Romano, dott. Saverio Abruz-

zese, gli psichiatri dott. Antonucci e dott.ssa Biancardi, il prof.

Eligio Resta e gli avvocati Giuseppe Vuono, Antonella Liuzzi,

Tiziana Petrachi, Luca Monticchio, Rita Perchiazzi.

Il corso è stato concluso, in data 8/7/2005, con l’intervento

dell’avv. Giovanna Ruo – Presidente della Camera Minorile di

Roma – in occasione del quale gli avv.ti Raffaele Fatano ed

Antonio Sergi, componenti del Consiglio dell’Ordine, hanno con-

segnato gli attestati di partecipazione.

Corso di formazione per aspiranti arbitri

(4/12/2004 – 16/4/2005)

Il corso è stato organizzato dal Centro Studi Giuridici “Mi-

chele De Pietro” con il patrocinio dell’Ordine degli Avvocati e

Principali iniziative in tema di formazione e aggiornamento...

20

della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Lecce ed è

stato coordinato e diretto dall’avv. Marcello Marcuccio.

Il Corso è stato inaugurato dall’avv. Vittorio Aymone, Presi-

dente del Centro.

Hanno svolto relazioni ed inteventi, tra gli altri, i professori

G. Balena, M. Bove, A. Ghizzini, F. Cipriani, G. Costantino, D.

Dalfino, A. De Mauro, F. P. Luiso, E. Merlin, G. Miccolis, C. Perago,

B. Sassoni, G. Trisorio Liuzzi, G. Verde ed E. Vullo.

Al termine del corso i partecipanti hanno discusso una tesina

ed hanno ricevuto un attestato.

Giornata conclusiva del Corso di Aggiornamento in Diritto Minorile (8 luglio

2005). Avv. Perchiazzi, Avv. Rua, Avv. Fatano.

21

Principali iniziative in tema di formazione e aggiornamento...

Corso di formazione per avvocate/i sul mobbing

e la tutela antidiscriminatoria delle lavoratrici

e dei lavoratori (28/1/2005-27/5/2005)

Il corso, coordinato dall’avv. Roberta Altavilla, componente

del Consiglio dell’Ordine, è stato organizzato d’intesa con l’Uf-

ficio della Consigliera di Parità.

L’inaugurazione è avvenuta il 28/1/2005 con l’intervento del

Presidente dell’Ordine, del Dr. Vittorio Delli Noci, Presidente

della Sezione Lavoro della Corte d’Appello di Lecce, dell’Avv.

Ugo Operamolla, componente del Centro di Formazione pro-

fessionale presso il CNF, Avv. Giovanni Pellegrino, Presidente

della Provincia, Dr.ssa Serenella Molendini, Consigliera di Pari-

tà e Avv. Roberta Altavilla.

Hanno svolto relazioni ed interventi, tra gli altri, i magistrati

dott.ri G. Positano, C. Mainolfi, R. Sinisi, A. Coccioli, M. Fiorella

ed i professori G. Veneto, C. Balducci, A. Vallebona, O. Greco,

Barrucci.

Il corso è stato concluso, in data 27/5/2005, con l’interven-

to dell’avv. Antonio De Giorgi, Presidente del Consiglio, della

dott.ssa Molendini e dell’avv. Roberta Altavilla che ha conse-

gnato gli attestati di partecipazione.

Rappresentanza collettiva dei lavoratori e diritti

di partecipazione alla gestione delle imprese

(27-28 maggio 2005)

Le due “giornate di studio” sono state organizzate dall’Asso-

ciazione Italiana di Diritto del Lavoro e della Sicurezza Sociale

con il patrocinio, tra gli altri, del Consiglio dell’Ordine degli

Avvocati.

Hanno svolto relazioni ed interventi, tra gli altri, i professori

Renato Scognamiglio, Paola Olivelli, Lorenzo Zoppoli, Edoardo

Ghera, Mario Grandi.

Principali iniziative in tema di formazione e aggiornamento...

22

Risarcimento danni da R.C.A.: ruolo della consulenza

tecnica nell’accertamento dei fatti (9/6/2005)

L’incontro di studi, organizzato dal Consiglio dell’Ordine de-

gli Avvocati nell’ambito del Corso di aggiornamento professio-

nale, è stato introdotto e coordinato dal Presidente, avv. Anto-

nio De Giorgi.

Hanno svolto relazioni ed interventi, tra gli altri, l’ing. S.

Carati, il dott. A. Tortorella ed il dott. M. Dell’Anna.

Azzerare le distanze con gli accessi telematici

alle banche dati (14/6/2005)

L’incontro di carattere teorico pratico, organizzato dal Con-

siglio dell’Ordine degli Avvocati nell’ambito del Corso di ag-

giornamento professionale, è stato introdotto e coordinato dal

Consigliere segretario, avv. Luigi Rella.

Ha svolto una relazione il dott. Gianni Sicilia che ha illustra-

to l’utilizzo dei nuovi strumenti nell’ambito della informatizza-

zione della giustizia.

Giustizia Amministrativa e sviluppo economico

(30/9-1/10/2005)

Il convegno, organizzato dall’Associazione Italiana Giovani

Avvocati – Sezione di Lecce e con il patrocinio, tra gli altri, del

Consiglio dell’Ordine degli Avvocati è stato inaugurato dall’avv.

Daniele Montinaro, Presidente dell’Aiga.

Hanno svolto relazioni ed interventi, tra gli altri, i magistrati

dott.ri M. E. Schinaia, L. Viola, A. Paino, S. Santoro, M. Atseni, A.

Cavallari, F. Caringella, V. Carbone, G. Montedoro, A. Ravalli, gli

avvocati G. Pellegrino, P. Quinto ed i professori Mario Sanino,

Michele Carducci, E. Sticchi Damiani, G. Abbamonte e N. De Liso.

23

Principali iniziative in tema di formazione e aggiornamento...

La riforma delle procedure concorsuali alla luce

dei recenti interventi normativi (28/10/2005)

L’incontro dibattito, organizzato dal Consiglio dell’Ordine degli

Avvocati nell’ambito del Corso di aggiornamento professiona-

le, è stato presieduto dal Presidente del Consiglio, avv. Anto-

nio De Giorgi.

Ha introdotto i lavori l’avv. Raffaele Fatano, componente del

Consiglio, ed ha svolto la relazione il magistrato dott. D. Plen-

teda, consigliere della Corte di Cassazione.

La riforma del processo di cognizione e cautelare

(19/11/2005)

L’incontro dibattito, organizzato dal Consiglio dell’Ordine degli

Avvocati nell’ambito del Corso di aggiornamento professiona-

le, è stato presieduto dal Presidente del Consiglio, avv. Anto-

nio De Giorgi.

Ha introdotto i lavori il magistrato dott. G. Romano, consi-

gliere della Corte d’Appello di Lecce, ed ha svolto la relazione il

professore F. Luiso, ordinario di diritto processuale civile pres-

so l’Università di Pisa.

Sono intervenuti nel dibattito, tra gli altri, gli avv.ti L. Ca-

prioli e R. Fatano.

Assemblea Ordine degli Avvocati di Lecce

del 22/12/2005

Per la prima volta il Consiglio ha convocato l’assemblea de-

gli iscritti per festeggiare gli avvocati, prestigiosi decani del

Foro di Lecce che hanno onorato, con la loro attività e per oltre

cinquant’anni, l’Ordine e la funzione difensiva.

Nella stessa cerimonia, nella quale è intervenuto l’avv. E. N.

Buccico – componente del Consiglio Superiore della Magistra-

Principali iniziative in tema di formazione e aggiornamento...

24

Cerimonia di premiazione (22/12/2005). Autorità e parenti premiati.

Cerimonia di premiazione (22/12/2005). Decani premiati.

tura e già Presidente del Consiglio Nazionale Forense – sono

stati premiati i giovani colleghi che hanno superato gli esami di

abilitazione nella sessione 2003/2004 distinguendosi per la

particolare preparazione che hanno dimostrato.

Al termine dell’assemblea è stato consegnato agli iscritti che

ne hanno fatto richiesta una guida su supporto informatico a

cura dell’avv. Lisi e commissionata dal Consiglio dell’Ordine

nella quale sono illustrati tutti gli adempimenti richiesti dall’at-

tuale normativa sulla privacy.

25

Principali iniziative in tema di formazione e aggiornamento...

Toghe d’Onore. Premiati: G. Marsella, A. Morello, Caterina Luperto e G. Morelli.

Cerimonia di premiazione (22/12/2005). Avv. Vergine (premiato), Avv. E.

Nicola Buccico, Avv.ti De Giorgi, Rella e Fatano.

Liberalismo agnostico e diritto nei rapporti tra etica e genetica…

26

Liberalismo agnostico e diritto

nei rapporti tra etica e genetica,

tra vita e morte

di Giandomenico Casalino

Una civiltà non è tale se non ha presente a se stessa, come

fondamento proprio, una concezione, una definizione univoca

della vita ed una conseguenziale concezione della morte.

La presente epoca, caratterizzata da una travolgente avan-

zata del potere tecnologico, figlio della ragione calcolante, pone

dei tremendi dilemmi … che noi, puntualmente, eludiamo, a

cui sfuggiamo, delegando alla filosofia tautologica della tecni-

ca, le risposte che non vogliamo o non possiamo più dare.

Che cos’è la vita? E che cos’è la morte? Le due realtà

esperienziali sono, com’è noto, correlate.

L’uomo moderno ha paura dell’una e dell’altra!

Noi possediamo, però, la convinzione che se non si affronta

il tema dall’origine e cioè dall’affermazione cartesiana dell’uo-

mo-macchina, dalla teoria dualistica della “res cogitans” da

una parte e della “res extensa” dall’altra, dalla effettuale con-

cezione meccanicistica della vita stessa, non si comprende

quello che sta avvenendo, per la semplice ragione che le vi-

cende del mondo umano sono comprensibili solo se sono po-

ste in termini filosofici e cioè, come considerazione pensante

dei fatti (Hegel). E tali “fatti” sono le teorie del meccanicismo

dei corpi pesanti e degli spazi vuoti della vecchia fisica

newtoniana e cartesiana che, per altro, la ultima fisica dei quan-

ti, con la intuizione dei campi gravitazionali, che richiamano la

“chóra” platonica, quale matrice da cui provengono le forme,

smentisce, dimostrando, invece, paradossalmente, che la

materia non esiste! (J. Guitton, Dio e la scienza, Milano 2001).

27

Liberalismo agnostico e diritto nei rapporti tra etica e genetica…

Secondo la visione tradizionale e religiosa di tutte le culture,

il macrocosmo ed il microcosmo sono simili e l’uno e l’altro si

strutturano, come confermano la fisica delle particelle nonché

la biochimica, in livelli o insiemi di conoscibilità differenti, ognuno

con il proprio linguaggio e sistema, correlati però in un com-

plesso insiemistico organico, che per noi resta un “quid est”. Il

microcosmo, quindi, anche e soprattutto, quello umano, è un

Tutto, non una somma di parti, non una “Úlh” cioè, come la

definisce Aristotele, un “impensabile accatastamento di legna-

me senza forma”. Sono realtà, per l’appunto, organiche, olistiche

ed unitarie, tendono all’Uno, vengono da Esso e tornano, ten-

dendovi, ad Esso.

In tale contesto culturale la vita, quindi, deve essere ricon-

siderata e riconosciuta come fenomeno complesso, formale,

ideale, sacro, “noi siamo immersi nell’Anima come la rete

nel mare” dice Plotino, per cui non vi è solo una definizione

“cerebrale”, o solo “cardiaca”, o solo “simpatetico-vegetativa”

della vita (come della morte) che è tutto ciò insieme ed Altro,

cioè Pensiero, Progetto, Intelligenza, Emozioni, Passioni, Ap-

petiti, come confermano la micro-biologia e la genetica com-

parata, la memoria della cellula, la funzione del DNA e la sua

forma a spirale come le galassie o … il labirinto! Unitariamen-

te, in guisa funzionale all’entelècheia, dice Aristotele, alla fina-

lità, alla virtualità di un soggetto, di un ente, il quale diviene

ciò che è. Esempio di tale verità possono essere tanto il seme

dell’albero quanto l’embrione umano, i quali in potenza sono

ciò che sono già in atto!

Allora la morte è la scomposizione del composto, la disar-

monica rottura dell’armonico, cioè è la mia morte, la fine del

mio organismo e quindi … si entra in un’altra dimensione al-

trettanto santa, cioè “sancita”, difesa, sanzionata; come ci in-

segna, per l’appunto, il Diritto Romano: “Proprie dicimus sanctae

quae neque sacrae neque profanae sunt, sed quadam sanctione

confirmatae” (Ulpiano, Digesto).

Liberalismo agnostico e diritto nei rapporti tra etica e genetica…

28

Se noi, oggi, dimentichiamo ciò che ha differenziato sempre

l’uomo dalla bestia, cioè il culto religioso del morto, effettuale

testimonianza antropologica della consapevolezza della Soglia,

in conseguenza per tale cultura diviene “normale” considera-

re, guardare il morto come semplice carcassa, quasi autovei-

colo in disuso dal quale prelevare i pezzi occorrenti al ricambio

di cui necessitano gli altri uomini-macchina non ancora in di-

suso, cioè in movimento.

Dietro il falso umanitarismo della cultura dell’espianto e del

criterio a dire poco spaventoso del cosiddetto silenzio-assenso

su cui è fondata la normativa vigente in subiecta materia, è

inutile nascondercelo, vi è questa concezione, questa convin-

zione che ora, in virtù della prassi tecnologica, trova la possibi-

lità di attuarsi nel modo più mostruoso, anche se con la faccia

dolce e pelosa del cosiddetto progresso …

Che fare? Noi osiamo dire che non dobbiamo fare, bensì è

necessario tentare di ritornare a pensare!

Pensare al fatto storico che il meccanicismo filosofico si è

coniugato perfettamente con il razionalismo efficientista del

cosiddetto mercato, ed allora ecco la legittimazione della mo-

struosa realtà del traffico degli organi, ecco che se l’essere

vivente è una “macchina” ed il profitto (valore assoluto, anzi

l’unico assoluto in un mondo di relativi …) reclama i suoi diritti,

definiti metafisicamente “prioritari”, allora perché non deve

essere lecito “fermare” questa “macchina” onde prelevare ciò

che occorre al fine di lucro, senza attendere la sua “fermata”

naturale …?

E se non esiste una definizione clinica univoca della

morte, dato il relativismo gnoseologico imperante, allora ogni

operatore del settore, ogni medico deciderà ed agirà secondo

la propria convinzione e/o cognizione culturale; deciderà che

anche e soprattutto “a cuore battente”, a temperatura corpo-

rea normale (ma ad elettroencefalogramma piatto …) e cioè

sulla persona vivente è “lecito” prelevare organi utili, ucci-

29

Liberalismo agnostico e diritto nei rapporti tra etica e genetica…

dendo di fatto e ciò nella totale e paurosa agnostica indiffe-

renza della comunità e dell’ordinamento giuridico. In una pa-

rola, si deve prendere coscienza che tale problematica, insie-

me a quella della cosiddetta ingegneria genetica (e già il ter-

mine “ingegneria” la dice lunga sulla cultura retrostante), è

figlia della forma mentale dell’epoca presente, definibile, in

una parola, la reificazione del soggetto umano a cui corrispon-

de sostanzialmente la personificazione dell’oggetto, della “res”,

cioè della tecnica che, quasi come se fosse la metafisica dei

tempi ultimi, da mezzo quale appariva essere diviene fine e

come tale viene riconosciuta e “venerata” … Davanti a tale

consolidata e tirannica “razionalità”, congetturare in termini

solo giuridico-politici senza tematizzare la convinzione fondata

sulla necessità dell’attuazione di una autentica rivoluzione cul-

turale, cioè una radicale inversione (che sarebbe rettificazione)

della forma mentis dell’uomo della presente età; appare stupi-

do e impotente proprio in termini di filosofia della prassi.

Sono sempre gli uomini, finché sono tali, che “costruiscono”

le civiltà: e su gli stessi, anzi nelle loro anime è necessario

scrivere, nello stesso politico modo in cui ce l’ha insegnato

Platone.

Quel pasticciaccio del lavoro part-time

30

Quel pasticciaccio

del lavoro part-time

di Rosa Patrizia Sinisi

In Italia la prima regolamentazione legislativa del lavoro a

tempo parziale è stata approvata in ritardo rispetto alla mag-

gior parte dei paesi europei.

La legge 19 dicembre 1984 n. 863 di conversione con

modifiche del D.L. 30 ottobre 1984 n. 726 racchiude nell’art. 5

la disciplina applicabile al solo rapporto di lavoro privato, en-

trata in vigore il 5.1.1985 e rimasta per 15 anni sostanzial-

mente invariata, se non per aspetti previdenziali, fino a quan-

do la direttiva 97/81/CE del 15 dicembre 1997 ha recepi-

to l’accordo quadro europeo dello stesso anno sul lavoro part-

time - allegato alla direttiva la quale è volta a contemperare

l’esigenza di maggiore flessibilità dell’organizzazione aziendale

e del mercato del lavoro con la migliore qualità dei rapporti di

lavoro, imponendo il rispetto di tre principi:

- effettiva volontarietà del part-time per il lavoratore;

- non discriminazione tra lavoratori;

- non regresso rispetto alla disciplina previgente in modo da

contribuire all’organizzazione flessibile dell’orario di lavoro te-

nendo conto dei bisogni degli imprenditori e dei lavoratori.

Forte è stata la spinta verso la riduzione del livello delle

tutele per rimuovere gli ostacoli alla diffusione del part–time

nonostante la clausola 6.2. dell’accordo quadro

1

, talché è sta-

* Giudice del Lavoro - Tribunale di Brindisi.

1

Accordo quadro sul lavoro a tempo parziale allegato alla direttiva 97/

81/CE del 15.12.1997.

31

Quel pasticciaccio del lavoro part-time

to promosso un referendum abrogativo dell’art. 5 d.l. 30

ottobre 1984 n. 726, convertito con modificazioni in l. 19 di-

cembre 1984 n. 863, come modificato, quanto al comma 7,

dall’art. 1 d.l. 9 ottobre 1989 n. 338, convertito con modifica-

zioni in l. 7 dicembre 1989 n. 389 ed integrato, quanto ai commi

9 bis e ter, dall’art. 2 d.l. 1 ottobre 1996 n. 510, conv., con

modificazioni, in l. 28 novembre 1996 n. 608, contenente la

disciplina vincolistica del rapporto di lavoro a tempo parziale,

che la Corte Costituzionale (07/02/2000, n.45 in Foro It.,

2000, I, 699) ha dichiarato inammissibile in riferimento all’art.

75 Cost., perché avente ad oggetto disposizioni la cui abroga-

zione avrebbe esposto lo Stato italiano a responsabilità nei

confronti della Comunità europea per inadempimento di uno

specifico obbligo comunitario (sent. n. 26 del 1993 e n. 64 del

1990) in violazione dell’art. 75 comma 2 cost.

La disciplina dell’art. 5 l. n. 863 del 1984 secondo la Corte

Costituzionale rientrava già nel campo di applicazione della

direttiva comunitaria 97/1981/CE, non ancora recepita nel

nostro ordinamento e diretta ad attuare l’accordo quadro sul

lavoro a tempo parziale concluso il 6 giugno 1997 tra le orga-

nizzazioni intercategoriali a carattere generale, accordo che,

dopo aver stabilito il principio di non discriminazione nei con-

fronti dei lavoratori a tempo parziale e il principio di agevola-

zione dello sviluppo del lavoro a tempo parziale, in particolare

aveva previsto l’opzione di fondo per il principio “pro rata

temporis” (clausola 4.2), nonché la tendenziale eliminazione

degli “ostacoli di natura giuridica o amministrativa che poteva-

no limitare le possibilità di lavoro a tempo parziale” (clausola

“6.2. L’attuazione delle disposizioni del presente accordo non costituisce

giustificazione valida per ridurre il livello generale di protezione dei lavoratori

nell’ambito copera dal presente accordo e ciò senza pregiudizio per il diritto

all’evoluzione della situazione, disposizioni legislative, normative o contrat-

tuali differenti e senza pregiudizio per l’applicazione della causola 5.1 purchè il

principio di non disciriminazione contemplato alla clausola 4.1.sia rispettato.

Quel pasticciaccio del lavoro part-time

32

5.1, lett. a). In forza dell’art. 11 Cost. di fronte alla normativa

comunitaria “l’ordinamento interno si ritrae e non è più ope-

rante” (sent. n. 285 del 1990), tali obiettivi comunitari trovano

una sia pure parziale ed anticipata conformazione nel vigente

ordinamento interno, appunto, nella disciplina recata dall’art.

5 l. n. 863 del 1984, per cui gli Stati membri devono astenersi

dall’adottare, nel periodo intercorrente tra l’entrata in vigore

della direttiva ed il termine assegnato per il suo recepimento –

già scaduto il 20 gennaio 2000 rendendo così formalmente

inadempiente lo Stato italiano – qualsiasi misura che possa

compromettere il conseguimento del risultato prescritto. In

ragione della direttiva non poteva essere giustificato alcun

“regresso” rispetto alla situazione vigente in ciascuno Stato

membro per quanto riguardava il livello generale di protezione

dei lavoratori nell’ambito coperto dall’accordo stesso, mentre

l’abrogazione in via referendaria del citato art. 5, determinan-

do l’eliminazione pura e semplice della tutela contenuta nella

vigente disciplina specifica del rapporto di lavoro a tempo par-

ziale, che avrebbe posto in essere una situazione tale da far

sorgere la responsabilità dello Stato italiano per inadempimento

di uno specifico obbligo comunitario (sent. n. 26 del 1993 e n.

64 del 1990), con conseguente violazione dell’art. 75 comma

2 cost..

Figlia di stimoli comunitari, quindi, viene varata la riforma

organica del lavoro a tempo parziale attuata con il D.Lgs. 25

febbraio 2000 n. 61, emanato nella cornice della legge de-

lega n. 25/1999 ed entrato il vigore il 4.4.2000, che abroga

l’art. 5 della L. 19.12.1984 n. 863 (art. 11 D. Lgs 63/2000) ed

è applicabile anche ai rapporti di lavoro privatizzati alle dipen-

denze delle pubbliche amministrazioni (art. 10).

Il decreto legislativo 61/2000 non è stato sottoposto nean-

che ad un adeguato rodaggio che è stato modificato in prossi-

mità della scadenza della legge delega n. 25/1999 con il D.

Lgs 26 febbraio 2001 n. 100 a seguito del mutamento del

33

Quel pasticciaccio del lavoro part-time

contesto politico che sostiene l’idea del sostanziale tradimento

dello spirito della direttiva comunitaria e della mancata rimo-

zione gli ostacoli alla possibilità di lavoro a tempo parziale, per

cui è stata varata una vera e propria contro riforma di stampo

neo-liberista, informata all’idea che l’incremento dell’occupa-

zione in generale e del part-time in particolare sia agevolata

dall’aumento della flessibilità che rende più appetibile per gli

imprenditori tale contratto.

Trattasi di una flessibilità a senso unico in favore del datore

di lavoro, perché privilegia l’autonomia individuale, dimenti-

cando che il lavoratore è la parte contrattualmente debole e

limitando la contrattazione collettiva.

Figlio di stimoli interni, il D. Lgs 100/2001 viene invece pre-

sentato come esempio di europeismo, perché ha anticipato

misure di deregolamentazione e flessibilizzazione del mercato

del lavoro.

Invero, il disegno riformatore è ben più ampio, comprende

altre tipologie di contratti e la riforma dell’orario di lavoro, pren-

dendo le mosse sul finire del 2001 dalla pubblicazione del c.d

Libro bianco che delinea il cambiamento di rotta nella politica

del lavoro con alleggerimento dei vincoli legali e sindacali.

Viene così approvato l’art. 3 della L. 14 febbraio 2003 n.

30 che contiene la delega al governo in materia di riforma

della disciplina del lavoro a tempo parziale che sposta il

baricentro della disciplina verso la valorizzazione dell’autono-

mia individuale in tema di organizzazione della quantità/quali-

tà del tempo di lavoro e di non-lavoro nell’intento di creare

rapporti di lavoro non standard (rectius precari) per chi ha

difficoltà a trovare un posto di lavoro, sebbene l’art. 3 della

legge delega si ponga come finalità quella di “favorire l’incre-

mento del tasso di occupazione e, in particolare, il tasso di

partecipazione delle donne, dei giovani e dei lavoratori con età

superiore ai 55 anni, al mercato del lavoro”.

È noto che nel nostro paese il part-time rappresenta un tipo

Quel pasticciaccio del lavoro part-time

34

di occupazione indotta dalla scarsità di occasioni di impiego,

più che una scelta volontaria determinata da vicende personali

del lavoratore ed il giudice del lavoro, che per mestiere analiz-

za la fase patologica del rapporto di lavoro che sfocia in con-

troversia, spesso accerta che è strumento per evasioni contri-

butive.

La tecnica legislativa è quella del “pasticcio”: un solo lun-

ghissimo articolo rubricato “norme di modifica al decreto legi-

slativo 25.2.2003 n. 61 e successive modifiche e integrazioni”

entrato in vigore il 24 ottobre 2003.

L’art. 46 D. Lgs. 10 settembre 2003 n. 276 con un unico

lungo comma esaurisce il capo III dedicato al lavoro parziale e

da solo modifica ben otto articoli del D. Lgs. 61/2000 (artt.

1,2,3,5,6,7,8,12 bis).

La norma sembra scritta al computer con il “taglia ed incol-

la” per cui il D. lgs. 61/2000, non abrogato, ma solo modificato

in parti essenziali, sopravvive alla riforma.

La “ricetta” del part-time è modificata per assolvere l’impe-

gno di dare attuazione alla direttiva 97/81/CE relativa all’ac-

cordo–quadro sul lavoro a tempo parziale che impone il

contemperamento delle esigenze della impresa con le aspira-

zioni dei lavoratori, la non discriminazione e la formazione pro-

fessionale, ma in realtà nel chiaro intento di rendere più “leg-

gero e digeribile” il part-time con la riduzione dei vincoli legali

e sindacali relativi alle condizioni e modalità di gestione del

contratto, aumentando l’autonomia individuale senza sotto-

missione al filtro sindacale, con conseguente ridimensionamento

del ruolo dell’autonomia collettiva.

La finalità del legislatore è ribadita nella circolare 18.3.2004

n. 9 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali che

“nel presupposto che la promozione del lavoro a tempo parzia-

le passi necessariamente attraverso una notevole semplifica-

zione normativa, la riforma Biagi agli incentivi normativi già

previsti, ne aggiunge di nuovi – eliminando inutili appesanti-

35

Quel pasticciaccio del lavoro part-time

menti burocratici e restituendo alla contrattazione collettiva e

individuale piena operatività – al fine di valorizzare pienamen-

te tutte le potenzialità dell’istituto e consentire allo stesso di

contemperare impegni dei lavoratori e responsabilità familiari

oltre a rappresentare un canale di accesso al mercato del lavo-

ro regolare”.

Anche sul piano lessicale v’è un importante novità, l’art. 46

lett. b) che riscrive il comma 3 dell’ art. 1 D. Lgs. 61/2000 fa

riferimento non più ai sindacati o alle organizzazione sindacali,

ma alle “associazioni dei datori e prestatori di lavoro” il cui

ambito di rappresentatività va comparato “sul piano naziona-

le” al fine di individuarli come soggetti qualificati per la stipula

a vari livelli dei contratti collettivi ai quali è rimessa la facoltà

di prevedere specifiche figure o livelli professionali, modalità

particolari di attuazione della disciplina rimessa alla contratta-

zione collettiva ed in particolare il lavoro supplementare, le

clausole flessibili ed elastiche ecc.

I contratti collettivi aziendali restano di competenza delle

R.S.A. ovvero delle R.S.U., ma senza necessità di assistenza

dei sindacati firmatari del contratto nazionale, perché si vuole

evitare il c.d. centralismo negoziale, facendo venire meno nel

contempo una garanzia di legame tra i vari livelli di contratta-

zione collettiva.

Invero, vi è un mutamento di ruolo dei sindacati.

In generale i contratti collettivi “possono” determinare con-

dizioni e modalità della prestazione lavorativa a tempo parzia-

le e prevedere modalità particolari di attuazione per specifiche

figure o livelli professionali ed hanno facoltà di individuare pro-

cedure di conciliazione ed arbitrato da esperire in luogo del

ricorso all’ autorità giudiziaria.

È vero che i contratti collettivi nel contempo sono tenuti a

stabilire per il part-time orizzontale le causali ed i tetti del

lavoro supplementare e le conseguenze del loro superamento,

così come stabiliscono condizioni, modalità e compensazioni

Quel pasticciaccio del lavoro part-time

36

delle clausole flessibili, ma la mancata disciplina collettiva non

osta al lavoro supplementare ed alle clausole flessibili.

Parimenti, i contratti collettivi per il part-time verticale e

misto sono tenuti a stabilire condizioni, modalità, compensazioni

e limiti massimi di variabilità delle clausole elastiche, ma la

modifica in aumento della durata della prestazione è consenti-

ta anche in mancanza di contrattazione collettiva.

Lo spazio ed il ruolo concesso ai sindacati è quindi eventua-

le e non necessario; essi di fatto possono perdere la funzione

di “dosare” la flessibilità aggiuntiva e ciò costituisce una signi-

ficativa novità rispetto al passato recente in ragione del muta-

to orientamento di politica del lavoro e sociale.

Va sottolineato, comunque, che l’autonomia individuale è

residuale nel senso che è ammissibile solo in assenza di speci-

fica regolamentazione dei contratti collettivi, ma tale possibili-

tà di utilizzazione del lavoro supplementare e delle clausole

elastiche e flessibili nella regolamentazione del rapporto indi-

viduale di lavoro costituisce di fatto un disincentivo per le as-

sociazioni datoriali a stipulare accordi collettivi in materia.

Non si può nascondere che la individualizzazione della fles-

sibilità, in concreto e nelle generalità dei casi, più che uno

strumento di vantaggio per il lavoratore che può gestirsi i tem-

pi di non lavoro, è una forma di precaritetà e di insicurezza per

il prestatore.

Pertanto, per non tradire la direttiva comunitaria 97/81/CE

che si pone la finalità di “facilitare lo sviluppo del lavoro a

tempo parziale su base volontaria” bisogna accertare la genui-

nità del consenso del lavoratore rispetto a clausole che accen-

tuano gli elementi di subordinazione, tanto più che può essere

assistito solo in via eventuale dal rappresentante aziendale

sindacale.

Altri “ingredienti” della riforma non sono amalgamati nell’art.

46, ma sono “spalmati” nel D. Lgs. 276/2003: finalità nell’art.

1 co. 1;

37

Quel pasticciaccio del lavoro part-time

campo di applicazione nell’art. 1 co. 2-3

2

e nell’art. 86 co. 8

3

;

abrogazione nell’art. 85 co.2;

messa a regime delle nuove regole nell’art. 86 co.13

4

;

Il “contorno” è costituito dalla disciplina previdenziale

che non è stata novellata nè dal D. Lgs. 61/2000 nè dall’art.

46 D. Lgs. 276/2003, sebbene l’art. 45 assimili i lavoratori

contitolari del lavoro ripartito ai lavoratori a tempo parziale

per quanto concerne gli aspetti previdenziali.

2

Art. 1 co.1-2-3 D.Lgs 276/2003.

“Le disposizioni di cui al presente decreto legislativo , nel dare attuazione

ai principi e criteri direttivi contenuti nella legge 14 febbraio 2003 n. 30, si

collocano nell’ ambito degli orientamenti comunitari in materia di occupazione

e di apprendimento permanente e sono finalizzate ad aumentare, nel rispetto

delle disposizioni relative alla libertà e dignità del lavoratori di cui alla legge

20 maggio 1970 n. 300 e successive modificazioni e integrazioni, alla parità

tra uomini e donne di cui alla legge 9 dicembre 1977 n. 903 e successive

modificazioni ed integrazioni ed alle pari opportunità tra i sessi di cui alla

legge 10 aprile 1991 n.125 e successive modificazioni ed integrazioni, i tassi

di occupazione e a promuovere la qualità e stabilità del lavoro, anche

attraverso contratti a contenuto formativo e contratti a orario modulato

compatibili con le esigenze della aziende e le aspirazioni dei lavoratori”.

2. Il presente decreto non trova applicazione per le pubbliche

amministrazioni e per il loro personale.

3. Sono fatte salve le competenze riconosciute alle regioni a statuto

speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano dallo statuto e

dalle relative norme di attuazione, anche con riferimento alle disposizioni

del titolo V parte seconda della costituzione per le parti in cui sono previste

forme di autonomie più ampie rispetto a quelle già attribuite”.

3

ART 86 co. 8 D. Lgs 276/2003.

“Il Ministero per la funzione pubblica convoca le organizzazioni sindacali

maggiormente rappresentative dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche

per esaminare i profili di armonizzazione conseguenti alla entrata in vigore

del presente decreto legislativo entro sei mesi anche ai fini della eventuale

predisposizione di provvedimenti legislativi in materia”.

4

Art. 86 co.13 D. Lgs 267/2993.

“Entro i cinque giorni successivi alla entrata in vigore del presente decreto

il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali convoca le associazioni dei

datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresenta-

tive sul piano nazionale al fine di verificare la possibilità di affidare a uno o

più accordi interconfederali la gestione della messa a regime del presente

decreto anche con riferimento al regime transitorio e alla attuazione. dei

rinvii contenuti alla contrattazione collettiva”).

Quel pasticciaccio del lavoro part-time

38

L’art. 3 co.1 lett. d) della legge delega 30/2003 nel

prevedere la possibilità di incentivi per favorire il ricorso a questa

tipologia di rapporto da parte dei lavoratori anziani prevede

che gli stessi possano essere anche di natura previdenziale,

ma il D.lgs. 276/2003 ha rinviato ad altro provvedimento suc-

cessivo la determinazione in generale degli incentivi economici

per favorire il ricorso al lavoro part-time.

Pertanto, l’art. 9 D. Lgs 61/2000 dispone che “la retribu-

zione minima oraria da assumere quale base per il calcolo dei

contributi previdenziali dovuti per il lavoratore a tempo par-

ziale si determina rapportando alle giornate di lavoro settima-

nale ad orario normale il minimale giornaliero (...) e dividendo

l’importo così ottenuto per il numero delle ore di orario norma-

le settimanale previsto dal contratto collettiva nazionale di

categoria rer i lavorati a tempo pieno.

Gli assegni per il nucleo familiare spettano ai lavoratori a

tempo parziale per l’intera misura settimanale in presenza di

una prestazione lavorativa settimanale di durata non inferiore

al minimo di ventiquattro ore. A tal fine sono cumulate le ore

prestate in diversi rapporti di lavoro, in caso contrario spetta-

no tanti assegni giornalieri quante sono le giornate di lavoro

effettivamente prestate, qualunque sia il numero delle ore la-

vorate nella giornata. Qualora non si possa individuare l’attivi-

tà principale (...) gli assegni per il nucleo familiare sono corri-

sposti direttamente dall’INPS.(...)

3.La retribuzione da valere ai fini dell’assicurazione contro

gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dei lavoratori

a tempo parziale è uguale alla retribuzione tabellare prevista

dalla contrattazione collettiva per il corrispondente rapporto di

lavoro a tempo pieno. La retribuzione tabellare è determinata

su base oraria in relazione alla durata normale annua della

prestazione di lavoro espressa in ore. (...)

4. Nel caso di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo

pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale e viceversa, ai fini

39

Quel pasticciaccio del lavoro part-time

della determinazione dell’ammontare del trattamento di pensio-

ne si computa per intero l’anzianità relativa ai periodi di la-voro a

tempo pieno e proporzionalmente all’orario effettivamente svol-

to l’anzianità inerente ai periodi di lavoro a tempo parziale”.

Per quanto attiene le prestazioni assicurative la circolare

INAIL 24.8.2004 n. 57 dispone che sono applicabili i criteri già

vigenti, per cui per la rendita restano fermi il minimale ed il

massimale di legge, per l’indennità d’inabilità temporanea as-

soluta la retribuzione convenzionale oraria deve essere mol-

tiplicata per il “numero delle ore di lavoro settimanale com-

plessive da retribuire in base al contratto di lavoro a parziale

orario (ricomprendendo ovviamente nel computo anche le ore

di lavoro supplementare o straordinario) e dividendo poi il pro-

dotto per sei”.

Nel caso di più rapporti di lavoro part-time il calcolo delle

prestazioni deve essere effettuato in base al computo delle

retribuzione percepite dai diversi datori di lavoro.

Per quanto attiene le prestazioni previdenziali si deve pre-

cisare che ai fini del diritto alla pensione vengono calcolati i

periodi di lavoro part-time in misura piena, semprechè la retri-

buzione media settimanale non sia inferiore ai minimali di re-

tribuzione stabiliti. Mentre ai fini dell’importo della pensione il

periodo a tempo parziale viene contatto in proporzione all’ orario

effettivamente lavorato. Per quanto attiene gli assegni per il

nucleo familiare spettano in misura intera (6 assegni giorna-

lieri alla settimana compreso il sabato) se la prestazione lavo-

rativa parziale ha durata non inferiore a 24 ore settimanali,

invece se inferiore a 24 ore settimanali spetta l’assegno per il

nucleo familiare sono per le giornate di effettiva prestazione

lavorativa.

Quel pasticciaccio del lavoro part-time

40

Prova assaggio della novella:

gli ingredienti eliminati

L’art. 46 lettera a) riscrive la definizione di tempo pie-

no, che è necessario parametro di riferimento per il tempo

parziale e per l’individuazione del tetto del lavoro supplemen-

tare in relazione al necessario aggiornamento normativo al

recente D. Lgs. 66/2003 di riforma dell’orario di lavoro en-

trato in vigore il 29 aprile 2003 ed emanato in virtù dell’art. 22

L. 39/2002 per l’attuazione della direttiva n. 93/104/CE e suc-

cessive modifiche.

L’orario di lavoro normale è attualmente di 40 ore setti-

manali o “l’eventuale minore orario previsto dai contratti col-

lettivi applicati” con riferimento alla durata media delle presta-

zioni lavorative per un periodo non superiore all’anno.

Manca, invece, un’adeguamento normativo del part-time alla

mancante determinazione legislativa di un orario normale

giornaliero e tale lacuna rende difficile la distinzione tra part-

time orizzontale e prolungamento di orario.

È quindi auspicabile che la contrattazione collettiva ai sensi

dell’art. 1 co. 2 lett. c) D. Lgs 66/2003 individui l’orario norma-

le giornaliero e nei casi in cui il datore di lavoro non applichi un

ccnl si ricorra alla certificazione.

Restano invece invariate le altre definizioni contenute nel

comma 2 dell’art. 1 D. Lgs. 61/2000.

Il rapporto a tempo parziale può essere:

orizzontale, quando la riduzione d’orario è riferita al nor-

male orario giornaliero;

verticale, quando la prestazione è svolta a tempo pieno

ma per periodi predeterminati nella settimana, nel mese nel-

l’anno;

misto, quando il rapporto di lavoro a tempo parziale è arti-

colato combinando le modalità orizzontale e verticale

L’art. 46 lett c) riscrive il comma 4 dell’ art. 1 del D. Lgs.

41

Quel pasticciaccio del lavoro part-time

61/2000 ribadendo che il rapporto di lavoro a tempo parziale

può essere anche a tempo determinato.

Anche il contratto di lavoro a termine è stato modificato con

D.lgs. 368/2001 e successive modificazioni in attuazione della

direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro

a tempo determinato.

Viene creata, così, una flessibilità multipla, in quanto nella

versione del d. lgs 61/2000 al contratto part-time a termine si

poteva sommare solo il lavoro supplementare e straordinario

con esclusione delle clausole elastiche che erano affidate alla

negoziazione sindacale, mentre ora sono previste clausole ela-

stiche o flessibili senza necessità di mediazione sindacale.

La circolare del Ministero del Lavoro 18.3.2004 n.9

nell’intento di estendere il più possibile il raggio di azione del

part-time ritiene possibile stipulare un contratto di apprendi-

stato o di inserimento a tempo parziale, purché l’articolazione

dell’orario non sia di ostacolo alle finalità formative.

L’art. 46 lett. q) ha abrogato l’art. 7 D. Lgs 61/2000 per cui

la disciplina del rapporto di lavoro a tempo parziale è ora inte-

gralmente applicabile al settore agricolo senza il necessario

intervento del contratto collettivo dei sindacati comparativa-

mente più rappresentativi per adattare il quadro normativo

alle peculiarità del settore .

In origine l’art. 3 co. 15 D.L. 30.10.1984 n. 726 conv. L.

863/1984 sanciva l’esclusione dalla disciplina del part-time degli

operai agricoli.

L’art. 13 co. 7 L. 196/1977 demanda ai contratti collettivi

nazionali siglati dai sindacati maggiormente rappresentativi la

possibilità di estendere al settore agricolo le disposizioni in

materia di lavoro a tempo parziale.

Il D. Lgs 61/2000 con l’art. 11 ha abrogato le norme del

1984 e 1997 e nell’art. 7 ha sancito l’applicabilità nel settore

agricolo - anche con riguardo alla possibilità di effettuare lavo-

ro supplementare e di stipulare clausole elastiche di colloca-

Quel pasticciaccio del lavoro part-time

42

zione della prestazione lavorativa nei rapporto a tempo deter-

minato parziale - secondo modalità determinate di contratti

collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati comparati-

vamente più rappresentativi.

Nel 2003 la riforma della riforma per facilitare la diffusione

del part-time ha dichiarato immediatamente applicabile la nuova

disciplina nel settore agricolo senza la necessità di mediazione

sindacale.

Resta fermo il divieto di applicazione ai rapporti di lavoro

alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni in at-

tuazione dell’art. 3 co. 1 della legge delega n.30/2003, in quanto

l’eventuale armonizzazione tra settore pubblico e privato,

ipotizzata dall’art. 86 d.lgs. 276/2003 è subordinata ad un

confronto tra Ministero della Funzione Pubblica ed organizza-

zioni sindacali maggiormente rappresentative dei dipendenti

delle amministrazioni pubbliche.

Invero, la legge delega n. 30 del 2003 prevede l’esclusione

delle modifiche al personale delle pubbliche amministrazioni e

tale deroga creerà non poche difficoltà interpretative poiché,

per quanto non disciplinato dal D. L.gs 165/2001 c.d. T.U. del

pubblico impiego, si dovrà fare riferimento dal D.Lgs. 61/2000

anche se abrogato o modificato per l’ impiego privato.

L’art. 85 co.2 D. Lgs.276/2003 ha modificato la disposi-

zione relativa all’obbligo di comunicare l’assunzione a tempo

parziale alla direzione provinciale del lavoro territorialmente

competente mediante invio di copia del contratto entro 30 giorni

previsto dall’art. 2 co.1 secondo periodo D. Lgs. 61/2001. A

partire dal 23.10.2003 il datore non è tenuto a comunicare le

assunzioni part-time o le trasformazioni da full-time a part-

time entro trenta giorni dalla stipula alla direzione provinciale

del lavoro e conseguentemente è implicitamente abrogata la

sanzione per la mancata comunicazione prevista dall’art. 8 co.

4 D. Lgs 61/2000 pari a ! 15 per ogni lavoratore e per ogni

giorno di ritardo da versare all’ INPS-gestione disoccupazione.

43

Quel pasticciaccio del lavoro part-time

Per la trasformazione da tempo parziale a tempo pieno, in-

vece, permane l’obbligo di comunicazione entro 5 giorni ai centri

per l’impiego nel cui ambito territoriale è ubicata la sede di

lavoro.

Permane l’obbligo del datore di informare annualmente, salva

più favorevole previsione inserita nei contratti collettivi, le rap-

presentante sindacali aziendali sull’andamento delle assunzioni

a tempo parziale, la relativa tipologia ed il ricorso al lavoro

supplementare.

Il lavoro supplementare

L’art. 46 lett. d) in attuazione dell’art. 3 lett. a) e b) della

legge delega n. 30/2003 prevede modalità di flessibilizzazione

della durata dell’orario di lavoro distinte a seconda della diver-

sa configurazione del rapporto di lavoro a tempo parziale: oriz-

zontale, verticale, misto.

Nel part-time orizzontale è riconosciuta al datore di lavo-

ro la facoltà di richiedere lo svolgimento di lavoro supple-

mentare definito dall’art. 1 co.2 lett. e) D.Lgs. 61/2000 come

prestazioni lavorative eccedenti l’orario concordato dalle parti

da svolgersi entro il limite del tempo pieno.

Il lavoro supplementare è ammesso anche nelle ipotesi di

part-time orizzontale in contratti di lavoro a tempo determina-

to, così come nulla osta all’ipotizzabilità del lavoro supplemen-

tare nei contratti a tempo parziale di tipo verticale o misto,

tutte le volte che la prestazione pattuita sia inferiore all’orario

normale settimanale (40 ore).

La deregolamentazione legislativa è accentuata.

I contratti collettivi di qualunque livello possono stabilire il

numero massimo di ore supplementari effettuabili, senza il li-

mite ex lege del 10% rispetto all’orario concordato imposto

dalla previgente normativa, per cui in assenza di regolamen-

Quel pasticciaccio del lavoro part-time

44

tazione collettiva il lavoro supplementare è ammissibile senza

limiti, fermo restando quello del tempo pieno.

Il D. Lgs. 267/2003 non predetermina il periodo di riferi-

mento entro cui i limiti massimi del lavoro supplementare de-

vono essere stabiliti dalla contrattazione collettiva (tetto gior-

naliero, settimanale) e non vincola le parti sociali ad individua-

re causali di tipo oggettivo, talchè sarebbero ammissibili cau-

sali di tipo soggettivo, e tanto meno prevede il tipo di “conse-

guenze” in ipotesi di superamento dei limiti consentiti al lavoro

supplementare che, pertanto, non necessariamente devono

essere di natura economica – come per il passato un sovrap-

prezzo del 50% della retribuzione oraria globale di fatto previ-

sto dal D.Lgs. 61/2000 in via sussidiaria in mancanza di previ-

sioni collettive –, ma ad esempio potrebbero essere in alterna-

tiva dei riposi compensativi, come suggerisce la circolare mini-

steriale 18.3.2004 n.9.

L’art. 46 lett. i), infatti, ha abolito l’art. 3 co. 6 d.lgs. 61/

2000 portante la disciplina legale sussidiaria che prevedeva in

caso di superamento dei limiti consentiti ed in assenza di spe-

cifica previsione del contratto collettivo una maggiorazione del

50% sulla retribuzione ed orario globale di fatto.

La nuova disciplina legale non prevede una maggiorazione

per il lavoro supplementare ed è stata anche soppressa dall’art.

46 lett. g) la franchigia concessa ai datori dalla maggiorazio-

ne delle ore di lavoro supplementare che vanno retribuite come

ore ordinarie entro il tetto del 10% della durata dell’orario di

lavoro in attesa delle nuove discipline contrattuali, tuttavia

permane ai contratti collettivi la facoltà di introdurre una mag-

giorazione sulla retribuzione oraria globale di fatto e di

stabilire l’incidenza di detta maggiorazione sugli istituti retri-

butivi indiretti e differiti per le ore di lavoro supplementare,

così come di forfettizzare la maggiorazione.

Parimenti la novella ha abolito la facoltà di riconoscere su

richiesta del lavoratore un diritto al consolidamento del lavoro

45

Quel pasticciaccio del lavoro part-time

aggiuntivo strutturale, cioè svolto in via non occasionale che

costituiva un deterrente

5

.

Viene meno con l’art. 46 lett. f) anche il consenso del

lavoratore interessato in caso di regolamentazione collettiva

del lavoro supplementare, sebbene l’eventuale rifiuto non può

in ogni caso integrare un giustificato motivo di licenziamento

anche in assenza di una valida ragione o difficoltà del datore

ad organizzare efficientemente l’attività aziendale, ma il veni-

re meno del riferimento legislativo dell’ illecito disciplinato nel-

la normativa previgente secondo la circolare ministeriale 9/

2004 “deve essere interpretato nel senso che l’illegittimo rifiu-

to a rendere la prestazione supplementare può acquisire rile-

vanza disciplinare”.

Non va sottaciuto, però, che l’omissione dell’inciso “in ogni

caso” nella novella non può essere interpretato in senso difforme

allo spirito della direttiva comunitaria di valorizzazione della

volontarietà del part-time, tanto più se il rifiuto del lavoratore

a prestare lavoro supplementare è giustificato.

L’art. 3 co 3 D. Lgs 61/2000, infatti, prevedeva il consenso

del lavoratore alla prestazione supplementare “in ogni caso”

invece l’art. 46 lett. f) così dispone: “L’effettuazione di presta-

zione di lavoro supplementare richiede il consenso del lavora-

tore interessato ove non prevista e regolamentata dal contat-

to collettivo. Il rifiuto da parte del lavoratore non può integra-

re in nessun caso gli estremi del giustificato motivo di licenzia-

mento”.

Tale formulazione fa ritenere che in presenza di contratto

collettivo il consenso del lavoratore al prolungamento dell’ orario

non debba essere richiesto ed il lavoro supplementare diven-

5

Art. 3 co.6 ultima parte D. Lgs 61/2002.

“I medesimi contratti collettivi possono altresì stabilire criteri e modalità

per assicurare al lavoratore a tempo parziale, su richiesta del medesimo, il

consolidamento nel proprio orario di lavoro, in tutto o in parte, del lavoro

supplementare svolto in via non meramente occasionale”.

Quel pasticciaccio del lavoro part-time

46

ta, quindi, obbligatorio nei limiti della contrattazione colletti-

va, fermo restando che il lavoratore non iscritto al sindacato

stipulante debba sempre prestare il consenso in forza dall’art.

39 Cost.

A tal proposito va segnalato il contrario avviso della circola-

re del Ministero del Lavoro 30 aprile 2001 n.46 nel senso che il

singolo lavoratore non può sottrarsi al vincolo contrattuale col-

lettivo.

In difetto di disciplina collettiva è necessario il consenso del

lavoratore al lavoro supplementare (sempre nei limiti del tem-

po pieno) che, a differenza delle ipotesi di lavoro flessibile ed

elastico, può essere prestato con libertà di forme, anche per

fatti concludenti può essere acquisito ad inizio turno, settima-

na o mese.

L’ eventuale rifiuto del lavoratore a prestare lavoro supple-

mentare non può integrare giustificato motivo di licenziamen-

to, ma il venire meno del riferimento all’illecito disciplinare

contemplato nella disciplina previgente non dovrebbe fare ac-

quisire rilevanza sotto il profilo disciplinare al rifiuto, quanto

meno in difetto di disciplina contrattuale.

La nuova disciplina del lavoro supplementare è immedia-

tamente applicabile in considerazione dell’espressa abrogazione

della disciplina transitoria introdotta dall’art. 3 co. 15 d.lgs 61/

2000 per cui decadono tutte le clausole dei contratti collettivi

ed individuali incompatibili, mentre il d.lgs. 61/2002 aveva

mantenuto in vigore le vecchie clausole collettive sul lavoro

supplementare fino alla solo scadenza o in difetto fino al

20.9.2003.

Riassumendo: il datore di lavoro ha diritto alla prestazione

svolta dal lavoratore in misura supplementare nel part-time

orizzontale, verticale o misto ove l’orario normale settimanale

non sia stato raggiunto, qualora il lavoro supplementare sia

regolamentato dal contratto collettivo ed in mancanza è ne-

cessario il suo consenso.

47

Quel pasticciaccio del lavoro part-time

Il lavoro straordinario

L’art. 46 lett. h) consente lo svolgimento di lavoro straor-

dinario nel rapporto di lavoro a tempo parziale verticale o mi-

sto anche se a tempo determinato, senza necessità di auto-

rizzazione del contratto collettivo nel caso di rapporto di lavoro a

termine, così modificando l’art. 3 co.5 D.Lgs. 61/2000

6

.

Sebbene come in passato alle prestazioni straordinarie si

applichi la disciplina legale e contrattuale vigente nei rapporti

a tempo pieno, la disciplina del lavoro straordinario è cambiata

in attuazione della direttiva comunitaria 93/104/CE a se-

guito del D.lgs. 66/2003 che all’art. 5 co.3 stabilisce che, in

difetto di disciplina collettiva applicabile, il ricorso al lavoro

straordinario è ammesso soltanto previo accordo tra datore di

lavoro e lavoratore per un periodo che non superi le 250 ore

annuali.

Ovviamente il ricorso al lavoro straordinario è possibile in

ipotesi in cui sia stato raggiunto il tempo pieno settimanale,

altrimenti si deve qualificare come lavoro supplementare.

Come per il rapporto full-time non è richiesto alcun obbligo

di forma per il consenso del lavoratore a prestare lavoro stra-

ordinario e sussiste un divieto del datore di lavoro di imporre

in via unilaterale il lavoro straordinario, salvo casi eccezionali

o diversa disposizione dei contratti collettivi (art. 5 co.4 D.Lgs

66/2003).

6

Art. 12 co.5 D. Lgs 61/2000 così come sostituito dall’art. 1, comma 1,

del d.lgs. 26 febbraio 2001, n. 100.

“ Nel rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale è consentito lo

svolgimento di prestazioni lavorative straordinarie in relazione alle giornate

di attività lavorativa. A tali prestazioni si applica la disciplina legale e

contrattuale vigente, ed eventuali successive modiche ed integrazioni, in

materia di lavoro straordinario nei rapporti a tempo pieno. (Salva diversa

previsione dei contratti collettivi di cui all’art. 1, comma 3, i limiti trimestrale

ed annuale stabiliti da L. 27 novembre 1998 n. 409, si intendono

riproporzionati in relazione alla data della prestazione lavorativa a tempo

parziale).

Quel pasticciaccio del lavoro part-time

48

Clausole flessibili ed elastiche

Nel contratto di lavoro a tempo parziale, avente forma scrit-

ta ad probationem,deve essere inserita una puntuale regola-

mentazione della collocazione oraria della prestazione con ri-

ferimento al giorno, alla settimana, al mese o all’anno a norma

dell’art. 2 D.Lgs. 61/2000

7

.

Il datore di lavoro non può modificare unilateralmente la

collocazione della prestazione lavorativa rispetto a quella con-

trattualmente stabilita.

Le parti del contratto individuale, però, hanno facoltà di sti-

pulare un patto in forma scritta avente ad oggetto una clau-

sola flessibile o elastica che può essere stipulata anche quan-

do il part-time è a tempo determinato.

Il potere di modificare la sola collocazione temporale (e non

la durata) della prestazione lavorativa a tempo parziale non è

una novità, mentre si riteneva sostanzialmente vietata la pos-

sibilità di ampliare il numero delle ore lavorative originaria-

mente contenuto.

Sul punto si è espressa la Corte Costituzionale dichiarando

infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5,

7

Art. 2 D. Lgs. 61/2000 (Forma e contenuti del contratto di lavoro a

tempo parziale).

“1. Il contratto di lavoro a tempo parziale è stipulato in forma scritta ai

fini e per gli effetti di cui all’art. 8, comma 1.[Il datore di lavoro è tenuto a

dare comunicazione dell’assunzione a tempo parziale alla Direzione provinciale

del lavoro competente per territorio mediante invio di copia del contratto

entro trenta giorni dalla stipulazione dello stesso]. Fatte salve eventuali più

favorevoli previsioni dei contratti collettivi di cui all’art. 1, comma 3, il datore

di lavoro è altresì tenuto ad informare le rappresentanze sindacali aziendali,

ove esistenti, con cadenza annuale, sull’andamento delle assunzioni a tempo

parziale, la relativa tipologia ed il ricorso al lavoro supplementare.

2. Nel contratto di lavoro a tempo parziale è contenuta puntuale indicazione

della durata della prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell’orario

con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno. Clausole difformi

sono ammissibili solo nei termini di cui all’art. 3, comma 7”.

49

Quel pasticciaccio del lavoro part-time

2° comma, d. l. 30 ottobre 1984, n. 726, convertito, con mo-

dificazioni, nella l. 19 dicembre 1984, n. 863, nella parte in cui

non prevedeva che nel contratto di lavoro a tempo parziale

dovesse essere indicata, oltre alla quantità unitaria, la disloca-

zione temporale della prestazione lavorativa, e non disciplina-

va gli effetti della mancanza di forma scritta del contratto di

lavoro a tempo parziale o della clausola di distribuzione del-

l’orario, in riferimento agli art. 3, 36 e 38 Cost., posto che il 2°comma dell’art. 5 imponeva di specificare nel contratto, non

solo la durata complessiva della prestazione di lavoro, ma an-

che la sua dislocazione nell’arco della giornata, delle settima-

ne, del mese o dell’anno, cosicché non era ammesso il c. d.

lavoro «a comando» perché la collocazione temporale della

prestazione lavorativa non era determinabile in base a criteri

oggettivi, bensì rimessa allo ius variandi del datore di lavoro.

(Corte cost., 11/05/1992, n.210, in Foro It., 1992, I, 3232,

nota di ALAIMO).

Sebbene la direttiva 97/81/CE non si occupi di clausole di

variabilità il D. lgs 61/2000 ha disciplinato in modo articolato

le clausole flessibili ammettendo un patto di variabilità in pre-

senza di una doppia condizione: il contratto collettivo ed il con-

senso scritto del lavoratore

8

.

È evidente che tale ius variandi temporale del datore di la-

voro aggrava la subordinazione del lavoratore obbligato a ri-

spondere alla chiamata, per cui il patto di variabilità era origi-

nariamente ispirato al modello della flessibilità contrattata ov-

vero una clausola oggetto di normativa collettiva e di consen-

so scritto del lavoratore senza alcuna apertura all’autonomia

individuale.

8

Art. 3 co. 7 co. 9 D.Lgs. 61/2000.

“7. Ferma restando l’indicazione nel contratto di lavoro della distribuzione

dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese ed all’anno, i

contratti collettivi, di cui all’art. 1, comma 3, applicati dal datore di lavoro

interessato, hanno la facoltà di prevedere clausole elastiche in ordine alla

Quel pasticciaccio del lavoro part-time

50

Il D.lgs. 276/2003 art. 46 lett. j) distingue tra clausole

flessibili ovvero quelle che attribuiscono al datore di lavoro il

potere di modificare unilateralmente la sola collocazione tem-

porale della prestazione lavorativa a tempo parziale di qualun-

que tipo (orizzontale, verticale, misto) dalle clausole elasti-

che interenti il part-time verticale e misto che attribuiscono al

datore il potere di modificare unilateralmente la durata in au-

mento della prestazione lavorativa a tempo parziale.

La novella ha il pregio di uscire all’equivocità della previgente

normativa ed ammettere esplicitamente la variazione dell’esten-

sione temporale della prestazione lavorativa dedotta in con-

tratto e nel dare loro la medesima regolamentazione con l’uni-

ca differenza in ordine all’estensione all’autonomia contrattua-

le sui limiti massimi di variabilità in aumento delle clausole

elastiche.

La regola resta quella della previsione scritta nel contratto

part-time della durata e collocazione della prestazione e la for-

ma scritta della clausola derogatoria è tutt’ora richiesta ad

substantiam, per cui le clausole flessibili ed elastiche in forma

orale devono considerarsi come non apposte, a differenza del

lavoro supplementare in cui il consenso del lavoratore, in as-

senza di vincoli della contrattazione collettiva, deve essere ri-

chiesto di volta in volta e può essere espresso dal lavoratore

anche per fatti concludenti.

Le clausole flessibili ed elastiche restano delle eccezioni per-

sola collocazione temporale della prestazione lavorativa, determinando le

condizioni e le modalità a fronte delle quali il datore di lavoro può variare

detta collocazione, rispetto a quella inizialmente concordata col lavoratore

ai sensi dell’art. 2, comma 2. (...)

9. La disponibilità allo svolgimento del rapporto di lavoro a tempo parziale

ai sensi del comma 7 richiede il consenso del lavoratore formalizzato attraverso

uno specifico patto scritto, anche contestuale al contratto di lavoro. Nel patto

è fatta espressa menzione della data di stipulazione, della possibilità di

denuncia di cui al comma 10, delle modalità di esercizio della stessa, nonchè

di quanto previsto dal comma 11”.

51

Quel pasticciaccio del lavoro part-time

ché per obbligare il lavoratore alla variabilità qualitativa e

quantitiva dell’orario di lavoro occorre un patto ad hoc tra datore

e lavoratore che può essere contestuale all’ inizio del rapporto

o successivo all’assunzione e può fare riferimento per relationem

al contratto collettivo che ha la funzione di stabilire le condi-

zioni e modalità delle clausole flessibili ed elastiche, nonché i

tetti delle clausole elastiche e dal quale devono desumersi chia-

ramente i turni e le fasce orarie della prestazione di lavoro

9

.

L’art. 46 lett. s), a differenza della pregressa normativa,

prevede che in assenza di contratti collettivi il datore ed il

prestatore possano concordare direttamente l’ adozione di clau-

sole elastiche o flessibili.

La novella, quindi, in assenza di contratti collettivi, attribu-

isce all’autonomia individuale un’inedita facoltà di deroga in

peius rispetto alla legge che all’art. 2 co. 2 D.Lgs. 61/2000

richiede la “puntuale indicazione” nel contratto scritto della

durata della prestazione, della collocazione temporale dell’orario

con riferimento ai giorni, alla settimana, al mese all’anno, sen-

za che sia stato accolto il suggerimento del Libro Bianco di

richiedere quale contrappeso alla negoziazione individuale delle

clausole di flessibilità/elasticità la specificazione delle ragioni

di natura tecnica, organizzativa e produttiva che rendano ne-

cessaria la variabilità della prestazione.

Comunque si deve ritenere cha anche nel contratto individua-

le debbano essere indicati condizioni e modalità delle clausole

flessibili, nonché i tetti della clausole elastiche o debba fare

9

art. 46 lett j) ultima parte.

“ I contratti collettivi, stipulati dai soggetti indicati nell’art 1 co.3,

stabiliscono:

1) condizione e modalità in relazione alle quali il datore di lavoro può

modificare la collocazione temporale della prestazione lavorativa;

2) condizioni e modalità in relazione alle quali il datore di lavoro può

variare in aumento la durata della prestazione lavorativa;

3) i limiti massimi di variabilità in aumento della durata della prestazione

lavorativa”).

Quel pasticciaccio del lavoro part-time

52

espressa indicazione del contratto collettivo che si applica.

Si deve escludere che il contratto individuale possa fare ri-

ferimento genericamente alle esigenze di organizzazione

aziendale, in quanto già note al lavoratore.

Mentre il lavoratore può legittimamente rifiutarsi di stipula-

re una clausola flessibile od elastica senza che ciò costituisca

un giustificato motivo di licenziamento, una volta inserito nel

contratto individuale una clausola di variabilità il lavoratore

non può rifiutarsi di eseguire le conformi richieste del datore,

in quanto egli è obbligato ad adempire il patto stipulato pena

sanzioni disciplinari, incluso il licenziamento nei casi più gravi.

L’art. 46 lett. m) sopprime il diritto di ripensamento previ-

sto dall’ art. 3 co. 10 D.lgs. 61/2000 e subordinato a precise

condizioni (durata minima di sperimentazione di 6 mesi, docu-

mentate e precise ragioni obiettive), in quanto ritenuto un

disincentivo al part-time, per cui il lavoratore non può più re-

cedere unilateralmente dal patto di variabilità ed il contratto

resta permanentemente flessibile o elastico. In base alla nor-

mativa vigente occorre un apposito accordo bilaterale di segno

contrario (art. 1328 c.c.), essendo stato abrogato il diritto di

recesso del lavoratore.

Conseguentemente si può ritenere che la novella del 2003

abbia abbandonato il modello della flessibilità bilaterale, per

adottare quello della flessibilità unilaterale, perché di fatto il

lavoratore consente al datore di esercitare un potere unilate-

rale di variare l’orario di lavoro.

A tutela del prestatore l’art. 46 lett. l) dispone che al mo-

mento del patto individuale, stipulabile contestualmente o suc-

cessivamente all’assunzione, il lavoratore può chiedere di farsi

assistere da un rappresentante sindacale in azienda da lui in-

dicato al fine garantire la genuinità del consenso del prestatore,

ma l’intervento del r.s.a. o r.s.u. è del tutto eventuale, a richie-

sta anche orale del lavoratore.

Una volta data la disponibilità dal lavoratore alla variabilità

53

Quel pasticciaccio del lavoro part-time

della prestazione part-time è per tutta la durata del rapporto e

senza diritto di rifiutare il cambiamento.

L’art. 46 lett. k) prevede in favore del lavoratore un preav-

viso di due giorni lavorativi; le parti nel contratto individuale

possono stabilire una diversa misura del preavviso, ma non

possono ridurlo pur senza eliminarlo completamente, come

sostiene la Circolare 9/2004, stante il tenore letterale della

norma che indica “almeno” due giorni lavorativi.

L’art. 46 lett. k) oltre il preavviso a protezione del lavorato-

re prevede il compenso, la cui forma e misura è rinviata all’au-

tonomia collettiva che potrà prevedere “specifiche compensa-

zioni” sia in caso di effettiva prestazione sia di tempi di attesa

e di potenziale utilizzabilità del lavoratore.

Inoltre, dato che le clausole di variabilità possono essere

inserite nel contratto individuale anche in difetto di specifica

disciplina collettiva è evidente che nel contratto individuale

devono essere indicati anche forma e misura del compenso in

ragione della più estesa disponibilità del lavoratore alla

utilizzabilità in azienda.

Le clausole elastiche, come già esposto attengono alla

variazione in aumento della prestazione lavorativa e si diffe-

renziano dalle clausole flessibili perché non concernono sem-

plicemente la collocazione del monte ore concordato, ma at-

tengono alla possibilità di ampliare il numero di ore concorda-

to, vietata dalla normativa previgente.

Le clausole elastiche determinato un aumento della quantità

di prestazione in via definitiva, anche se per un tempo delimitato

o in via solo eventuale, e ciò le differenzia dal lavoro supple-

mentare e straordinario in cui l’aumento è temporaneo, riferito

ad ogni singola giornata nella quale viene richiesta la

prestazione aggiuntiva.

Le clausole elastiche sono regolamentate come quelle fles-

sibili ed alla contrattazione collettiva sono demandate oltre che

la regolamentazione delle condizioni e modalità di esercizio del

Quel pasticciaccio del lavoro part-time

54

potere datoriale di variare in aumento la prestazione lavorativa

anche l’individuazione dei limiti entro cui è legittimo il ricorso al

lavoro elastico. In assenza di disciplina collettiva tali limiti devo-

no essere previsti dalle parti del contratto individuale.

Per quanto esposto si deve ritenere che il lavoratore non

possa accettare una clausola elastica difforme dalla previsione

del contratto collettivo, salvo che non sia migliorativa, stante

l’inderogabilità della fonte contrattuale integratrice della nor-

mativa legale da parte dell’autonomia individuale.

Sanzioni

L’art. 46 lett. s) per l’ abuso di clausole elastiche o flessibili

in quanto vi siano delle variazioni senza il rispetto delle regole

(art. 3 c. 7 condizioni – modalità – limiti fissati dal contratto

collettivo o individuale; art. 3 co.8 preavviso-compensazioni;

art. 3 co. 9 consenso scritto lavoratore) è prevista una sanzio-

ne monetaria in aggiunta alla retribuzione, ma la quantificazione

dell’ulteriore “emolumento a titolo di risarcimento del danno”

è implicitamente rinviata a criteri equitativi.

È rimasto invariato, invece, l’art. 8 co. 1 D.Lgs. 61/2000 che

prevede la forma scritta a fini probatori e l’ammissibilità della

prova testimoniale dell’esistenza del rapporto part-time solo

se il contratto scritto sia stato smarrito senza colpa a norma

dell’art. 2725 c.c.

Il difetto di prova relativamente alla stipulazione del con-

tratto a tempo parziale non comporta nullità del rapporto di

lavoro, ma il lavoratore può chiedere che il rapporto di lavoro

sia dichiarato a tempo pieno dalla data in cui la mancanza

della forma scritta sia giudizialmente accertata, fermo restan-

do il diritto alla retribuzione per la prestazione effettivamente

resa nel periodo anteriore.

L’art. 46 lett. r) ha modificato il secondo comma dell’art. 8

55

Quel pasticciaccio del lavoro part-time

e la nuova formulazione ribadisce che l’assenza di indicazioni

puntuali relativamente alla collocazione ed alla durata della

prestazione lavorativa nel contratto a tempo parziale non com-

porta nullità dello stesso.

Nell’ipotesi di mancata o imprecisa indicazione della durata

della prestazione il lavoratore può agire per far dichiarare che

il rapporto di lavoro è a tempo pieno dalla data della sentenza

di accertamento, fermo restando il diritto alla retribuzione per

la prestazione effettivamente eseguita ed il diritto ad un equo

risarcimento per il periodo anteriore alla sentenza.

Nell’ipotesi in cui manchi o sia indeterminata la collocazione

oraria potrà essere definita in giudizio avendo come parame-

tro le determinazioni dei contratti collettivi in materia di clau-

sole elastiche o flessibili o in mancanza si terrà conto delle

responsabilità familiari del lavoratore, delle necessità d’inte-

grare il reddito mediante svolgimento di altra attività lavorati-

va, delle esigenze organizzative del datore di lavoro, oltre la

retribuzione ed un ulteriore emolumento a titolo di risarcimen-

to del danno da liquidarsi in via equitativa per il periodo ante-

riore alla sentenza.

In luogo del ricorso all’autorità giudiziaria le controversie pos-

sono essere risolte mediante procedure di conciliazione ed even-

tualmente arbitrato previsti dai contratti collettivi nazionali.

Trasformazioni del rapporto part-time

L’art. 46 lett. o) ha riscritto integralmente i quattro commi

dell’art. 5 D.lgs. 61/2000 dedicati alla tutela ed incentivazione

del lavoro a tempo parziale.

Per quanto concerne in genere il passaggio tra le diverse

tipologie negoziali è confermata la tutela del rifiuto del lavora-

tore di trasformare il rapporto, in attuazione del principio co-

munitario di volontarietà delle scelte del lavoratore circa il re-

Quel pasticciaccio del lavoro part-time

56

gime orario più adatto alle sue esigenze personali, talchè il

rifiuto del lavoratore di trasformare il rapporto non integra in

nessun caso un giustificato motivo di licenziamento.

L’innovazione riguarda il passaggio da rapporto a tempo

pieno a part-time che deve essere fatto con accordo scritto e

convalidato davanti alla Direzione Provinciale del Lavoro com-

petente per territorio, non essendo più prevista la facoltà per il

lavoratore di richiedere l’assistenza di un rappresentante sin-

dacale in azienda. L’atto di convalida può intervenire successi-

vamente alla stipula dell’ accordo e non presuppone la neces-

saria presenza del lavoratore.

Con la riforma della riforma, l’unica via obbligata per la tra-

sformazione da full-time a tempo parziale è la convalida in

sede amministrativa, mentre non è più percorribile la soluzio-

ne alternativa dell’assistenza sindacale nella fase di formazio-

ne dell’accordo modificativo, che trovava giustificazione nel

carattere tendenzialmente svantaggioso per il lavoratore della

trasformazione diminuisce la prestazione e con essa la retribu-

zione.

Al meccanismo speciale di volontarietà assistita si contrap-

pone il nuovo sistema della certificazione volontaria dei rap-

porti di lavoro, che attribuisce a tali sedi anche funzioni di as-

sistenza effettiva alle parti contrattuali con particolare riferi-

mento alla disponibilità dei diritti.

È rimasta invariata la precedente regolamentazione del di-

ritto di precedenza nel passaggio da tempo pieno a tempo par-

ziale, eccezione fatta per il venire meno dell’ obbligo legale, da

parte del datore di lavoro, di motivare adeguatamente l’even-

tuale rifiuto a fronte di specifica richiesta del lavoratore.

L’ abolizione del previdente obbligo di esplicitazione dei motivi

previsto soltanto nei confronti dei lavoratori richiedenti tende

a salvaguardare al massimo le prerogative datoriali dai con-

trolli giudiziali sulle scelte imprenditoriali ed è in contrasto con

il dichiarato obiettivo di favorire il lavoro part-time.

57

Quel pasticciaccio del lavoro part-time

Il datore di lavoro in caso di assunzione di personale a tem-

po parziale deve darne “tempestiva informazione al personale

già dipendente con rapporto a tempo pieno occupato in unità

produttive site nello stesso ambito comunale anche mediante

comunicazione scritta in luogo accessibile a tutti nei locali del-

l’impresa ed a prendere in considerazione le eventuali doman-

de di trasformazione a tempo parziale del rapporto dei dipen-

denti a tempo pieno”.

Nell’ipotesi di trasformazione a tempo pieno di un rap-

porto a tempo parziale non sono previsti obblighi di forma, nè

di convalida in sede amministrativa, fermo restando l’obbligo di

comunicare entro 5 giorni ai servizi per l’impiego competenti la

trasformazione del rapporto da tempo parziale a tempo pieno.

L’art. 46 lett. o) ha abolito il diritto legale di precedenza per

la trasformazione del rapporto da tempo parziale a tempo pieno

nell’ ipotesi di nuove assunzioni a tempo pieno per mansioni uguali

o equivalenti in unità produttive site nello stesso ambito comu-

nale. Il diritto di precedenza, però, può essere inserito nel con-

tratto collettivo o dalle parti nel contratto individuale.

Lavoratori affetti da patologie oncologiche

L’art. 46 lett. t) tipizza un’ipotesi speciale di trasformazio-

ne del rapporto in favore di lavoratori affetti da patologie

oncologiche per il quali residui una capacità lavorativa, anche

causa degli effetti invalidanti delle terapie salvavita, accertata

da una commissione medica presso l’azienda sanitaria locale

territorialmente competente, si prevede il diritto alla trasfor-

mazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tem-

po parziale verticale o orizzontale.

Inoltre, a fronte di una richiesta del lavoratore il rapporto a

tempo parziale deve nuovamente essere trasformato in rap-

porto a tempo pieno.

L’ammissione alla celebrazione del matrimonio canonico…

58

L’ammissione alla celebrazione

del matrimonio canonico:

la licenza dell’Ordinario del luogo

per alcuni casi di matrimonio

(can. 1071 C.I.C.)

di Vincenzo Fasano*

I. Introduzione

Le presenti annotazioni hanno lo scopo di richiamare la nor-

mativa del canone 1071 dell’attuale Codice di diritto canonico,

con l’intento di precisare le indicazioni della legge canonica in

riferimento ad alcune particolari domande di matrimonio. Si

farà riferimento sia alla legislazione civile sia ad alcuni docu-

menti attuativi della legislazione della Chiesa

1

. Nella sua ver-

sione ufficiale, così si presenta il testo del can. 1071:

Can. 1071. - § 1. Excepto casu necessitatis, sine licentia

Ordinarii loci ne quis assistat:

1° matrimonio vagorum;

2° matrimonio quod ad normam legis civilis agnosci vel

celebrari nequeat;

3° matrimonio eius qui obligationibus teneatur naturalibus

erga aliam partem filiosve ex praecedenti unione ortis;

* Avvocato della Rota Romana.

1

Come, ad esempio, il Decreto Generale della C.E.I. sul matrimonio del

1990. Cfr. C.E.I., Decreto Generale sul Matrimonio Canonico, 5 novembre 1990,

in Enchiridion della Conferenza Episcopale Italiana, vol. 4, Dehoniane, Bolo-

gna, pp. 2613-2648. Sulla formazione del documento della C.E.I. cfr. C. Gullo,

Il decreto generale della C.E.I. sul matrimonio ed il principio di sussidiarietà, in

Monitor Ecclesiasticus 119 (1994), pp. 95-102; M. Marchesi, Il decreto gene-

rale sul matrimonio canonico, in Ius Ecclesiae 3 (1991), pp. 802-814.

59

L’ammissione alla celebrazione del matrimonio canonico…

4° matrimonio eius qui notorie catholicam fidem abiecerit;

5° matrimonio eius qui censura innodatus sit;

6° matrimonio filii familias minoris, insciis aut rationabiliter

invitis parentibus;

7° matrimonio per procuratorem ineundo, de quo in can.

1105.

§ 2. Ordinarius loci licentiam assistendi matrimonio eius qui

notorie catholicam fidem abiecerit ne concedat, nisi servatis

normis de quibus in Can. 1125, congrua congruis referendo

2

.

2

Le principali versioni in lingua italiana presentano testi fra loro non

sempre coincidenti. P.V. Pinto (a cura di), Commento al Codice di Diritto

Canonico, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2001

2

, pp. 635-636:

“§ 1. Eccettuato il caso di necessità, senza licenza dell’Ordinario nessuno

assista: 1° al matrimonio dei girovaghi; 2° al matrimonio che a norma delle

leggi civili non possa essere riconosciuto o celebrato; 3° al matrimonio di

colui che sia tenuto da obblighi naturali verso un’altra parte o verso figli nati

da una precedente unione; 4° al matrimonio di colui che notoriamente ha

rigettato la fede cattolica; 5° al matrimonio di colui che sia irretito da censura;

6° al matrimonio di un figlio minorenne, qualora i genitori siano ignari o

ragionevolmente contrari; 7° al matrimonio da contrarre per procura, di cui

al can. 1105. § 2. L’Ordinario del luogo non conceda la licenza di assistere al

matrimonio di colui che notoriamente abbia rigettato la fede cattolica, se

non osservate ragionevolmente le norme di cui nel can. 1125”. L. Chiappetta,

Il codice di diritto canonico. Commento giuridico-pastorale, Dehoniane, Roma,

1996

2

, p. : “§ 1. Eccettuato il caso di necessità, nessuno assista senza la

licenza dell’Ordinario del luogo: 1° al matrimonio dei girovaghi; 2° al

matrimonio che non possa essere riconosciuto o celebrato a norma della

legge civile; 3° al matrimonio di chi sia legato da obblighi naturali, sorti da

una unione precedente, verso l’altra parte o i figli; 4° al matrimonio di chi

abbia abbandonato notoriamente la fede cattolica; 5° al matrimonio di chi

sia incorso in una censura; 6° al matrimonio di un figlio di famiglia minorenne,

se dovesse avvenire all’insaputa dei genitori o contro la loro ragionevole

volontà; 7° al matrimonio da contrarre per procura, di cui al con. 1105. § 2.

L’ordinario del luogo non conceda la licenza di assistere al matrimonio di chi

abbia abbandonato notoriamente la fede cattolica, se non dopo che siano

state osservate, con gli opportuni adattamenti, le norme di cui al can. 1125”.

Codice di diritto canonico (Testo ufficiale e versione italiana sotto il patrocinio

della Pontificia Università Lateranense e della Pontificia Università Salesiana),

U.E.C.I., Roma, 1982

2

, p. 641: “§ 1. Tranne che in caso di necessità, nessuno

assista senza la licenza dell’Ordinario del luogo: 1° al matrimonio dei

girovaghi; 2° al matrimonio che non può essere riconosciuto o celebrato a

norma della legge civile; 3° al matrimonio di chi è vincolato da obblighi

L’ammissione alla celebrazione del matrimonio canonico…

60

Il primo paragrafo elenca i casi di matrimonio cui non si può

lecitamente assistere senza la licenza dell’ordinario del luogo.

Tale licenza è necessaria per la liceità della assistenza, non per

la validità del matrimonio. Si tratta, quindi, di proibizioni, non

di impedimenti

3

. Nel precedente codice queste proibizioni era-

no sparse in diversi canoni

4

. Nell’attuale legislazione sono sta-

te riunite e integrate con l’aggiunta di due nuovi casi, indicati

nei nn. 2 e 3 del primo paragrafo. La ragione ultima che, in

questi casi particolari, giustifica l’obbligo giuridico di far ricor-

so all’Ordinario del luogo consiste nella duplice necessità di

assicurare un controllo circa i requisiti del matrimonio cristia-

no e di promuovere una certa uniformità dell’azione pastorale

in proposito. Per questi motivi il pastore d’anime, anche quan-

do non è tenuto a ricorrere all’Ordinario, deve approfondire il

caso con una propria diligente indagine e risolverlo ispirandosi

alla prassi comune della sua chiesa particolare. L’enumerazione,

infatti, ha solo carattere indicativo, non tassativo. È pertanto

dovere prudenziale del parroco, anche se non stretto obbligo

giuridico, consultare l’Ordinario ogni volta che il matrimonio

da celebrarsi presenti delle difficoltà e dei pericoli.

naturali derivati da una precedente unione verso l’altra parte o i figli; 4° al

matrimonio di chi ha notoriamente abbandonato la fede cattolica; 5° al

matrimonio di chi è irretito da censura; 6° al matrimonio di un figlio minorenne,

se ne sono ignari o ragionevolmente contrarti i genitori; 7° al matrimonio da

celebrarsi mediante procuratore, di cui al con. 1105. § 2. L’Ordinario del

luogo non conceda la licenza di assistere al matrimonio di chi ha notoriamente

abbandonato la fede cattolica, se non dopo che siano state osservate, con

opportuno riferimento, le norme di cui al can. 1125”.

3

T. Rincón-Pérez, C. 1071, in A. Marzoa - J. Miras - R. Rodríguez-Ocaña,

Comentario exegético al Código de Derecho Canónico, vol. III/2, Ediciones

Universidad de Navarra, Pamplona, 1997

2

, p. 1125: “Dicha prohibición no se

configura, en ningún caso, como impedimento matrimonial, ni dirimente ni

impediente, según la terminología clásica. El matrimonio en cuanto tal,

eventualmente celebrado sin la prescrita licencia, sería válido y lícito. Tan

sólo sería ilícita la asistencia al mismo”.

4

Si tratta dei cann. 1032, 1034, 1065, 1066 e 1091 C.I.C. 1917 che

appartengono a capitoli distinti del Titolo VII De matrimonii. Cf. infra.

61

L’ammissione alla celebrazione del matrimonio canonico…

Il ricorso all’Ordinario a norma del can. 1071 è sempre dovuto

tranne in caso di necessità, ossia quando vi è urgenza di

procedere al matrimonio e non è possibile differirlo senza

probabile pericolo di grave danno

5

. Sebbene durante i lavori di

codificazione sia stata esplicitamente avanzata la proposta di

rendere lecita l’assistenza senza licenza dell’Ordinario solo in

pericolo di morte

6

, oggi non possiamo ritenere che il caso di

necessità sia limitato solo al pericolo di morte o solo alla

necessità urgente

7

. Nel nostro canone matrimoniale, il caso di

necessità

8

è quello che impedisce di svolgere le regolari

investigazioni per mancanza di tempo, non potendosi procrastinare

la celebrazione, per es. per mancanza di comunicazione come

potrebbe accadere in tempo di guerra. Qualora ricorra il caso

di necessità, il parroco o il legittimo assistente non celebrerà il

matrimonio, se prima non consti almeno per affermazione,

giurata possibilmente, del battesimo e dello stato libero dei

contraenti

9

.

5

Si veda, per analogia, il can. 1080 sulla facoltà di dispensa dagli

impedimenti matrimoniali in caso urgente.

6

Communicationes 9 (1977), p. 143.

7

T. Rincón-Pérez, C. 1071, op. cit., p. 1126: “[Si dovrà] tomar en

consideración un concepto de necesidad proporcionado, por un lado, al valor

que se trata de salvaguardar mediante el recurso a la istancia diocesana, y

por otro, al derecho fundamental cuyo ejercicio se limita. A este respecto,

conviene precisar que, de verificarse el caso de necesidad, el párroco puede

asistir al matrimonio sin la preceptuada licencia, pero eso no lo exime de

intentar resolver por sí mismo los problemas que el caso plantea”.

8

Il codice parla di casi di necessità anche nei cann. 230, § 3 (caso di

necessità i laici possono predicare, distribuire la Comunione, ecc.); 844, § 4

(quando urge grave necessità i ministri cattolici possono amministrare i

sacramenti anche agli altri cristiani, non cattolici); 1324, n. 5 (è circostanza

che attenua la pena).

9

Secondo V. Fagiolo, La preparazione al matrimonio: normativa canonica

per una pastorale matrimoniale comunitaria, in Monitor Ecclesiasticus 119

(1994), p. 47, quanto prescritto nel can. 1068 per il caso di morte dovrebbe

essere osservato anche per i casi di necessità di cui al can. 1071 § 1.

L’ammissione alla celebrazione del matrimonio canonico…

62

II. La normativa del can. 1071

Già dalla semplice elencazione di questi sette casi emerge

con chiarezza quanto sia almeno pastoralmente opportuna la

consultazione dell’Ordinario del luogo. Ma i casi per quanto acco-

munati sotto lo stesso vincolo giuridico, sono per vari aspetti tra

loro molto diversi e distinti. Così, sono vietati senza la licenza

dell’Ordinario, ossia, a termine del can. 1034, § 2, del Vescovo

diocesano e dei Presuli che sono equiparati, del Vicario generale

e del Vicario episcopale competente - i seguenti matrimoni.

1. Matrimonio dei girovaghi (can. 1071, § 1, n. 1).

È un’antica figura del diritto canonico. Se ne parla nel de-

creto tridentino

10

ed era contemplato nel rituale romano

11

. Nel

Codice del 1917 l’obbligo di chiedere la licenza dell’Ordinario

del luogo per il matrimonio dei girovaghi fu sancito nel can.

1032. Con l’istruzione Iterum conquesti sunt della S. Congre-

gazione per la Disciplina dei Sacramenti emanata il 4 luglio

1921 si estese l’obbligo anche al matrimonio di coloro che,

emigrati dopo la pubertà dal luogo di origine in regioni lonta-

ne, volevano contrarre matrimonio nelle terre di accoglienza

12

.

La norma fu confermata nell’istruzione De normis a parocho

servandis in peragendis canonicis investigationibus antequam

nupturientes ad matrimonium ineundum admittat emanata dalla

S. Congregazione per la Disciplina dei Sacramenti il 29 giugno

1941

13

.

10

Conc. Trident., sess. XXIV, de ref. matrim., c. 7.

11

Rituale Rom., tit. VII, c. 1, de sacramento.

12

Al matrimonio degli immigrati è assimilato anche quello dei profughi,

degli esuli e dei turisti. S.C.D.S., Iterum conquesti sunt, 4 iul. 1921, n. 4, in

X. Ochoa, Leges Ecclesiae post Codicem iuris canonici aditae, vol. 1,

Commentarium pro religiosis, Romae, 1966, n. 365, col. 400.

13

S.C.D.S., De normis a parocho servandis in peragendis canonicis

investigationibus antequam nupturientes ad matrimonium ineundum admittat,

29 iun. 1941, n. 7, in X. Ochoa, Leges Ecclesiae post Codicem iuris canonici

aditae, vol. 1, op. cit., n. 1626, col. 2068.

63

L’ammissione alla celebrazione del matrimonio canonico…

L’attuale codice definisce girovago colui che non ha in alcun

luogo né il domicilio né il quasi-domicilio

14

, per acquistare i

quali si richiede o l’intenzione di rimanere in perpetuo nel ter-

ritorio ove si ha la dimora o che questa di fatto sia protratta

per cinque anni completi (domicilio)

15

. In mancanza di uno dei

due elementi, si richiede almeno l’intenzione di restare nel luogo

per tre mesi o, senza intenzione, vi si stia di fatto per tre mesi

(quasi-domicilio)

16

. I girovaghi nulla hanno di tutto questo,

mancando sia del domicilio che del quasi-domicilio. Per essi è

quindi quasi impossibile fare le investigazioni di cui al can. 1066.

D’altra parte, non essendo pensabile poter negare loro il diritto

al matrimonio al quale hanno diritto ex ipsa lege naturali e do-

vendo evitare ad ogni costo di celebrare matrimoni nulli per im-

pedimento di precedente vincolo, la consultazione con l’Ordina-

rio del luogo e la licenza ottenuta dallo stesso saranno per il

parroco o per l’assistente garanzia di una maggiore sicurezza.

I girovaghi hanno diritto a celebrare il matrimonio nella

parrocchia in cui attualmente si trovano

17

, ed il parroco deve

necessariamente richiedere la licenza all’Ordinario del luogo

14

Can. 100: “Persona dicitur: incola, in loco ubi est eius domicilium;

advena, in loco ubi quasi-domicilium habet; peregrinus, si versetur extra

domicilium et quasi-domicilium quod adhuc retinet; vagus, si nullibi domicilium

habeat vel quasi-domicilium”.

15

Can. 102 § 1: “Domicilium acquiritur ea in territorio alicuius paroeciae

aut saltem dioecesis commoratione, quae aut coniuncta sit cum animo ibi

perpetuo manendi si nihil inde avocet, aut ad quinquennium completum sit

protracta”.

16

Can. 102 § 2: “Quasi-domicilium acquiritur ea commoratione in territorio

alicuius paroeciae aut saltem dioecesis, quae aut coniuncta sit cum animo

ibi manendi saltem per tres menses si nihil inde avocet, aut ad tres menses

reapse sit protracta”.

17

Can. 107 § 2: “Proprius vagi parochus vel Ordinarius est parochus vel

Ordinarius loci in quo vagus actu commoratur”; can. 1115: “Matrimonia

celebrentur in paroecia ubi alterutra pars contrahentium habet domicilium

vel quasi-domicilium vel menstruam commorationem, aut, si de vagis agitur,

in paroecia ubi actu commorantur; cum licentia proprii Ordinarii aut parochi

proprii, alibi celebrari possunt”.

L’ammissione alla celebrazione del matrimonio canonico…

64

anche quando uno solo dei nubendi è girovago. Al contrario,

non si deve considerare girovago chi lo è solo al momento di

celebrare il matrimonio, mentre non lo è stato precedente-

mente. Il fatto di dimorare in parrocchia da un mese non è

motivo sufficiente che esonera dall’obbligo della licenza perché

la ragione del ricorso all’autorità diocesana deriva proprio dalla

particolare difficoltà che si incontra nell’accertare lo stato libero

delle persone che non hanno fissa dimora. Peraltro, il pastore

d’anime ha comunque il dovere di accertarsi con cura dello

stato libero dei nubendi che provengono da regioni lontane o

che hanno dimorato per lungo tempo all’estero. Nel dubbio

sarà sempre prudente esporre il caso all’Ordinario del luogo.

Attualmente, l’applicazione di questa disposizione non do-

vrebbe concernere solo i fedeli sprovvisti di domicilio o quasi-

domicilio canonico, ma si dovrebbe estendere ad altre catego-

rie di fedeli: nomadi, rifugiati, commercianti, turisti, artisti,

diplomatici e funzionari dell’Unione Europea o di organismi in-

ternazionali dislocati all’estero, ecc. La crescente internazio-

nalizzazione dei centri urbani dovrebbe portare ad una mag-

giore applicazione di questa norma.

2. Matrimonio che non può essere riconosciuto o celebrato a

norma della legge civile (can. 1071, § 1, n. 2)

Questo caso, benché non espressamente previsto e regola-

mentato dal codice pio-benedettino, non era una realtà scono-

sciuta alla disciplina ed alla prassi canonica. Fu preso in espli-

cita considerazione da due Responsi

18

e da due Istruzioni

19

18

S.C.D.S., Amissio pensionis civilis non est causa sufficiens ad

celebrationem matrimonii canonici absque ritu civili, 2 iul. 1917, in X. Ochoa,

Leges Ecclesiae post Codicem iuris canonici aditae, vol. I, op. cit., c. 78;

S.C.D.S., Resolutio circa celebrationem matrimonii viduarum militum absque

solemnitatibus iuris civilis, 25 ian. 1927, in X. Ochoa, Leges Ecclesiae post

Codicem iuris canonici aditae, vol. I, op. cit., c. 858.

19

S.C.D.S., Instructio circa celebrationem matrimonii viduarum militum

absque solemnitatibus iuris civilis, 20 giugno 1919, in X. Ochoa, Leges

65

L’ammissione alla celebrazione del matrimonio canonico…

emanati dalla S. Congregazione della disciplina dei Sacramen-

ti fra il 1917 ed il 1927; dagli artt. 28 e 38-42 compilati dalla

stessa Congregazione ed indirizzati agli Ordinari d’Italia il 1°luglio 1929 circa l’esecuzione dell’art. 34 del Concordato Late-

ranense

20

; ed era supposto dagli artt. 14 e 21 della Legge ita-

liana 27.05.1929, n. 847.

In particolare, l’Instructio circa celebrationem matrimonii

viduarum militum absque solemnitatibus iuris civilis del 20 giu-

gno 1919

21

affronta il grave problema delle vedove di guerra che

intendevano contrarre nuove nozze senza espletare le formalità

civili per non perdere o per non vedere diminuita la pensione loro

assegnata. Il comportamento consigliato ai parroci, per un caso

allora tutt’altro che remoto, è così sintetizzabile:

- essere al corrente delle disposizioni civili relative alle pensio-

ni delle vedove di guerra, e servirsene per illuminare e rassicura-

re i propri parrocchiani al fine di dissiparne le difficoltà. Gli Em.mi

Padri ritenevano che la perdita economica fosse più immaginaria

che reale, o almeno non tale da preferirsi ad un bene tanto mag-

giore quale era quello di assicurare anche civilmente la fermezza

del vincolo e la legittimità della prole. A tal proposito ricordavano

ai parroci gli istituti del compenso alla vedova e della reversibilità

della pensione ai figli del primo matrimonio quando essa passas-

se a nuove nozze;

- vigilare le proprie parrocchie ed esortare vivamente le vedo-

ve di guerra a mantenere illibato il loro costume ed a non esporsi

ai pericoli di perdere la grazia di Dio ed il proprio decoro dinanzi

Ecclesiae post Codicem iuris canonici aditae, vol. I, op. cit., c. 213; S.C.D.S.,

Circa celebrationem matrimonii viduarum militum ob belli causam, absque

ritibus iuris civilis, 10 giugno 1922, in X. Ochoa, Leges Ecclesiae post Codicem

iuris canonici aditae, vol. I, op. cit., c. 473.

20

S.C.D.S., Istruzione ai Rev.mi Ordinari d’Italia, e per essi ai Parroci,

circa l’esecuzione dell’art. 34 del Concordato stipulato l’11 febbraio 1929 tra

la S. Sede ed il Regno d’Italia, relativo alla celebrazione del matrimonio agli

effetti civili, secondo pure il disposto della legge 27 maggio 1929, n. 847, sul

matrimonio, 1° luglio 1929, in X. Ochoa, Leges Ecclesiae post Codicem iuris

canonici aditae, vol. I, op. cit., c. 1094.

21

S.C.D.S., Instructio circa celebrationem matrimonii viduarum militum

absque solemnitatibus iuris civilis, op. cit., cc. 213-214.

L’ammissione alla celebrazione del matrimonio canonico…

66

alla società. Qualora intendessero passare a nuove nozze, avreb-

bero sì dovuto celebrare il vero matrimonio dinanzi alla Chiesa,

ma senza trascurare l’atto civile la cui omissione le avrebbe po-

ste in uno status civilmente irregolare, forse inutile allo scopo di

conservare la pensione, certamente pericolosissimo per i gravi

ed irrimediabili danni che ne potevano derivare.

Di conseguenza, alle vedove di guerra non si permetteva la

celebrazione solo religiosa del matrimonio, a danno della legisla-

zione civile, per non esporle a danni irreparabili. A tutto ciò biso-

gna anche aggiungere la preoccupazione della Chiesa a non espor-

si alle critiche dei propri nemici, se avesse tenuto un comporta-

mento che privava lo Stato di autorità in campo matrimoniale

22

.

L’autorizzazione dell’Ordinario del luogo era ritenuta neces-

saria anche per la celebrazione di matrimoni religiosi di cui,

per particolari motivi, non s’intendesse chiedere la trascrizio-

ne agli effetti civili. Il caso più frequente che si pose ai parroci

del XX° secolo, allora come oggi, era quello di una persona

sposata nella sola forma civile che desiderava contrarre matri-

monio religioso con un’altra persona. Al n. 20 del documento

Instructio exemis ordinariis Reipublicae Dominiciane data, quod

celebrationem sacramenti matrimonii iuxta conventiones inter

Sanctam Sedem et Rempublicam Dominicianam die 16 iunii

mensis A. 1954, emanato dalla S. Congregazione della disci-

plina dei Sacramenti il 25 marzo 1955

23

si illustra proprio il

caso del coniuge che ha contratto unione civile, pur essendo

22

S.C.D.S., Circa celebrationem matrimonii viduarum militum ob belli

causam, absque ritibus iuris civilis, op. cit., c. 474; cfr. anche l’art. 28, 4°comma, del documento S.C.D.S., Istruzione ai Rev.mi Ordinari d’Italia, e

per essi ai Parroci, circa l’esecuzione dell’art. 34 del Concordato stipulato

l’11 febbraio 1929 tra la S. Sede ed il Regno d’Italia, relativo alla celebrazione

del matrimonio agli effetti civili, secondo pure il disposto della legge 27

maggio 1929, n. 847, sul matrimonio, op. cit., c. 1098.

23

S.C.D.S., Instructio exemis ordinariis Reipublicae Dominiciane data,

quod celebrationem sacramenti matrimonii iuxta conventiones inter Sanctam

Sedem et Rempublicam Dominicianam die 16 iunii mensis A. 1954, 25 mar.

1955, n. 20, in X. Ochoa, Leges Ecclesiae post Codicem iuris canonici aditae,

vol. II, op. cit., n. 2493, c. 3381.

67

L’ammissione alla celebrazione del matrimonio canonico…

tenuto alla forma canonica e che chiede di celebrare canonica-

mente con altra comparte, vivente la prima. Anche in questo

caso, si consiglia al parroco di non procedere alla celebrazio-

ne, ma di riferire all’Ordinario il quale insisterà perché il matri-

monio sia piuttosto celebrato fra le due parti unite civilmente.

Solo qualora questa soluzione non appaia possibile o conve-

niente, l’Ordinario potrà permettere il matrimonio con altra

persona, a condizione tuttavia che sia stata prima pronunciata

sentenza esecutiva di divorzio della esistente unione civile, e

previa penitenza ed eliminato ogni pericolo di scandalo.

L’attuale rilevanza dei matrimoni che non possono essere

riconosciuti o celebrati a norma della legge civile nel codice

dell’83 dimostra che la Chiesa riconosce la grande opportunità

che il matrimonio cristiano sia riconosciuto in campo civile.

L’insegnamento del Concilio sulla dignità del matrimonio e del-

la famiglia

24

si traduce nell’ordinamento canonico attraverso

prescrizioni come quella in esame, che implicitamente com-

portano il coordinamento con le norme civili in campo matri-

moniale nell’interesse legittimo degli stessi coniugi e dei loro

figli e l’osservanza delle esigenze del bene comune della socie-

tà, di cui la famiglia è cellula primordiale. D’altra parte la Chie-

sa non intende con questo coordinamento riconoscere la supe-

riorità del diritto civile nei confronti del suo proprio diritto e di

quello naturale. Infatti essa non mette in discussione la possi-

bilità di celebrare il matrimonio solo canonico

25

.

L’art. 39 del documento pastorale Evangelizzazione e sacra-

menti del matrimonio dell’Episcopato italiano chiarisce che:

Per i cristiani non vi sono diverse possibilità di contrarre

validamente matrimonio, ma una sola: la celebrazione, cioè,

24

Gaudium et Spes, nn. 47-52.

25

J.L. Acebal Luján, Casamiento de aquellos cuyo matrimonio no puede

ser reconicido o celebrado según la ley civil, in El matrimonio. Cuestiones de

Derecho administrativo-canónico (IX Jornadas de la Asociación Española de

canonistas), Universidad Pontificia de Salamanca, Salamanca, 1990, p. 112.

L’ammissione alla celebrazione del matrimonio canonico…

68

del matrimonio secondo la forma stabilita dalla Chiesa. Per i

battezzati, infatti, non vi può essere valido matrimonio che

non sia nello stesso tempo sacramento, e come tale sottopo-

sto alla legittima competenza della Chiesa. Il matrimonio così

contratto deve avere anche in campo civile, a tutti gli effetti, le

rilevanza che spetta ad un valido matrimonio

26

.

Come è stato ricordato, il caso più frequente è quello di una

persona sposata nella forma civile che desidera contrarre ma-

trimonio religioso con un’altra persona. In tali casi si consiglia

di applicare un grande rigore, perché in materia matrimoniale

non sempre la pastorale più illuminata è di far che la gente

contragga matrimonio e sani in tal modo la sua situazione irre-

golare. Potrebbe essere pastoralmente più prudente permet-

tere una situazione irregolare, anche se dovesse protrarsi a

lungo, piuttosto che creare delle situazioni difficili e/o irrever-

sibili. Un matrimonio celebrato solo dinanzi alla Chiesa, che

non sia possibile registrare civilmente, è privo di protezione

giuridica, e uno dei due coniugi può abbandonare l’altro senza

difficoltà legali. L’unica protezione resterebbe la coscienza, la

quale non sempre protegge sufficientemente il vincolo matri-

moniale

27

.

La necessità che in questo caso particolarmente delicato si

ricerchi la giusta composizione tra le varie esigenze, ossia tra

il diritto al matrimonio e l’importanza del suo riconoscimento

civile, fonda la normativa che impone al parroco di avere la

licenza dell’Ordinario del luogo quando assiste a un matrimo-

nio che non può essere riconosciuto o celebrato a norma della

legge civile. In questi casi, gli Ordinari dovrebbero applicare

26

C.E.I., Evangelizzazione e sacramenti del matrimonio, art. 39, 20 giugno

1975, in Enchiridion C.E.I., vol. 2, Devoniane, Bologna, pp. 759-760, nn.

2196-2197.

27

U. Navarrete - F.J. Urrutia, Nuevo Derecho Canonico, ITER, Caracas,

1987, p. 226.

69

L’ammissione alla celebrazione del matrimonio canonico…

un criterio possibilmente uniforme nell’ambito della Conferen-

za Episcopale

28

.

Il Decreto Generale della C.E.I. sul matrimonio canonico non

spiega cosa si intenda per matrimonio solo canonico, di cui

tratta ai nn. 40, 41, 42, 44/2 e 44/4, ma appare dal testo che

con tale locuzione bisogna intendere un matrimonio regolar-

mente celebrato secondo la forma canonica, che però non ri-

sulta nell’ordinamento civile

29

. In Italia il riconoscimento civile

del matrimonio canonico è garantito dal Concordato. L’Accordo

di modificazione del Concordato lateranense firmato a Roma il

18 febbraio 1984 e ratificato con legge 25 marzo 1985, n. 121

prevede che la trascrizione del matrimonio canonico non pos-

sa aver luogo:

a) quando gli sposi non rispondono ai requisiti della legge

civile circa l’età richiesta per la celebrazione;

b) quando sussiste fra gli sposi un impedimento che la leg-

ge considera inderogabile.

Il Protocollo addizionale precisa quali siano gli impedimenti

inderogabili della legge civile: a) l’essere uno dei contraenti

interdetto per infermità di mente; b) la sussistenza tra gli spo-

si di altro matrimonio valido agli effetti civili; c) gli impedimen-

ti derivanti da delitto o da affinità in linea retta

30

.

L’Accordo di modificazione del Concordato lateranense sta-

bilisce che la richiesta di trascrizione deve essere fatta, per

iscritto, dal parroco del luogo dove il matrimonio è stato cele-

28

U. Navarrete - F.J. Urrutia, Nuevo Derecho Canonico, op. cit., p. 226.

29

V. Zoboli, L’ammissione al matrimonio solo canonico, in Monitor

Ecclesiasticus 119 (1994), p. 159: “Si tratta [...] di una realtà che va distinta

dal “matrimonio di coscienza” disciplinato dal Codice pio-benedettino ai cann.

1104-1107, e che il nuovo C.I.C. chiama “matrimonio da celebrarsi

segretamente”, disciplinandolo in maniera sostanzialmente identica ai cann.

1130-1133, in quanto il matrimonio solo canonico non comporta l’obbligo

del segreto, ma solo l’omissione delle procedure necessarie perché i coniugi

risultino tali anche nell’ordinamento civile”.

30

P. Moneta, Gli impedimenti alla trascrizione del matrimonio nel nuovo

concordato, in Il diritto ecclesiastico 98 (1987), pp. 875-891.

L’ammissione alla celebrazione del matrimonio canonico…

70

brato, non oltre i cinque giorni dalla celebrazione, all’ufficiale

di stato civile che, verificata tra gli sposi l’inesistenza di impe-

dimenti inderogabili per la legge dello Stato, e accertato il rag-

giungimento dell’età minima richiesta, procede nelle ventiquat-

tro ore successive. La trascrizione potrà essere effettuata an-

che posteriormente su richiesta dei due contraenti, o anche di

uno solo di essi, con la conoscenza e senza l’opposizione del-

l’altro. La trascrizione tardiva, che nel precedente diritto con-

cordatario poteva essere richiesta in ogni tempo da chiunque

vi avesse avuto interesse

31

, è ora riservata all’iniziativa dei soli

31

Nel precedente diritto concordatario la intrascrivibilità del matrimonio

canonico era regolata dall’articolo 12 della legge 27 maggio 1929, n. 847

limitatamente a tre casi: l’esistenza di un altro matrimonio valido agli effetti

civili tra i nubendi, il vincolo di un matrimonio valido agli effetti civili anche di

uno solo dei contraenti, l’interdizione per infermità di mente anche di un solo

contraente. In virtù dell’enunciazione del principio che conferiva alla religione

cattolica il valore di “religione di Stato”, la legge 27 maggio 1929 n. 847 di

esecuzione del Concordato lateranense tra la Santa Sede e l’Italia,

predisponeva un meccanismo di trascrizione, per così dire automatica, nei

registri dello stato civile, dell’atto di matrimonio celebrato secondo le norme

del diritto canonico, davanti a un ministro del culto cattolico. Coerentemente,

con riguardo al diverso aspetto della patologia dell’atto, era da un lato

affermata la giurisdizione esclusiva dei tribunali ecclesiastici circa la

dichiarazione di nullità del matrimonio (articolo 1, che richiamava l’articolo

34 del Concordato), e dall’altro la competenza della Corte di appello italiana

unicamente ai fini di una pronuncia, con ordinanza in camera di consiglio, di

esecutività della sentenza definitiva secondo l’ordinamento canonico, nonché

per disporre l’annotazione della stessa a margine dell’atto di matrimonio

trascritto nei registri di stato civile (articolo 17); si tratta del cosiddetto

principio dell’exequatur, secondo cui gli effetti civili delle sentenze

ecclesiastiche si producono a prescindere dalla volontà delle parti. Chiamata

a giudicare circa la legittimità costituzionale della riserva di giurisdizione, in

relazione al diritto alla tutela giurisdizionale, la Corte costituzionale, con la

sentenza 2 febbraio 1982 n. 18, respinse la questione sul presupposto che il

nucleo più ristretto ed essenziale del diritto alla tutela giurisdizionale fosse

da ricercarsi nella esigenza di assicurare, per tutte le controversie, un giudice

e un giudizio, e che tale nucleo non appariva intaccato dal principio della

riserva di giurisdizione, essendo, il tribunale ecclesiastico, pur sempre un

organo giurisdizionale non privo delle necessarie garanzie di rispetto dei

valori cardine del processo; oltre a ciò ribadiva, la Corte, la permanente

appartenenza allo Stato della disciplina del rapporto matrimoniale, mai messa

71

L’ammissione alla celebrazione del matrimonio canonico…

contraenti. Non può essere fatta d’ufficio, né dall’Ordinario

diocesano, né dal parroco o da chi per esso.

Dall’esame del Decreto Generale sul matrimonio della C.E.I.

è ribadito per i cattolici che intendono contrarre matrimonio in

Italia secondo la forma canonica l’obbligo di avvalersi del rico-

noscimento agli effetti civili assicurato dal concordato.

La trascrizione del matrimonio celebrato secondo la forma

canonica, e di conseguenza la produzione degli effetti civili,

non sembrano quindi, secondo il Decreto, lasciati alla volontà

dei nubendi e ad una loro libera scelta, bensì visti come fatto

che consegue – quasi necessariamente – alla celebrazione e

che può essere evitato solo in presenza di gravi motivi pasto-

rali e per effetto di dispensa dell’Ordinario.

Dispensa che in quanto tale presuppone una richiesta degli

sposi in tal senso e quindi una manifestazione di volontà espres-

sa in senso contrario alla produzione degli effetti civili; volontà

che non avrà però valore determinante ma soltanto indicativo

per l’Ordinario che deciderà discrezionalmente se concederla

sulla base di gravi motivi pastorali

32

.

in discussione dal difetto di giurisdizione, solamente relativo all’atto. La

revisione del Concordato, a opera dell’Accordo di Villa Madama del 18 febbraio

1984, ratificato con legge 25 marzo 1985 n. 121, comma 2, rovescia l’assunto

su cui poggiavano le norme del trattato lateranense, ponendo il diverso

principio della laicità dello Stato e abolendo il carattere di automaticità del

procedimento di trascrizione dell’atto matrimoniale, da un lato, e, dall’altro,

delle sentenze di nullità dello stesso. Con il nuovo concordato si è aperto un

contrasto sulla riserva di giurisdizione ecclesiastica, in Guida al diritto -

monografico n. 11 del 23/12/95, pp. 15-21; G. Lo Castro, Il matrimonio fra

giurisdizione civile e giurisdizione canonica, in Il diritto ecclesiastico 105

(1994), pp. 130-150; S. Berlingò, Matrimonio concordatario e giurisdizione

ecclesiastica: tra cooperazione e concorso, in Quaderni di diritto e politica

ecclesiastica 1 (1994), pp. 107-119.

32

E. Camassa Aurea, La trascrizione del matrimonio, in Monitor

Ecclesiasticus 119 (1994), p. 130: “Mi pare quindi si possa sostenere che se

più chiaramente emerge dalla normativa statale l’abbandono del c.d.

automatismo degli effetti civili a favore, anche se con qualche eccezione,

dalla c.d. volontarietà, il Decreto Generale della CEI sia rimasto invece

maggiormente condizionato dalla precedente normativa ed abbia conservato

L’ammissione alla celebrazione del matrimonio canonico…

72

Il Decreto della C.E.I. distingue diverse situazioni nelle quali

può essere avanzata la richiesta di celebrare un matrimonio

solo canonico; e se per alcune di esse esige la presenza di

cause gravi o addirittura eccezionali, per altre ritiene sufficien-

te la presenza di cause giuste, o addirittura il semplice verifi-

carsi della situazione considerata. Tale diverso atteggiamento

giuridico-pastorale è motivato dalla mutata situazione sociale,

economica e giuridica degli ultimi anni. In questa nuova situa-

zione giuridica i casi di matrimonio, che non possono essere

riconosciuti o celebrati a norma della legge civile, sono diversi

e complessi.

3. Matrimonio di chi è vincolato da obblighi naturali derivati

da una precedente unione verso l’altra parte o i figli (can. 1071,

§ 1, n. 3).

Anche questo caso non era previsto nel Codice pio-benedet-

tino. Nel corso della discussione sulla prima redazione dell’at-

tuale can. 1071 a proposito della richiesta di matrimonio da

parte di chi ha notoriamente abbandonato la fede cattolica, fu

la proposta di prendere in esame la casistica delle situazioni

matrimoniali irregolari. Fu deciso di introdurre una normativa

che fosse attenta alle conseguenze delle “unioni irregolari” in

ordine alla domanda di matrimonio

33

. Le ipotesi possono esse-

re diverse:

alla volontà dei nubendi un ruolo marginale relativamente alla determinazione

della produzione degli effetti civili. Tali diversi orientamenti sono però da

considerare come una conseguenza diretta del diverso modo di intendere il

matrimonio all’interno dei due orientamenti”. S. Ardito, La Normativa sul

Matrimonio: spirito conciliare e precipue novità, in E. Cappellini (a cura di),

La normativa del nuovo codice, Queriniana, Brescia, 1983, p. 235; N. Punzi,

Due modelli di matrimonio, in L. Spinelli - G. Dalla Torre (a cura di), Matrimonio

concordatario e giurisdizione dello Stato, Bologna, 1987, pp. 11ss; G. Dalla

Torre, Introduzione al matrimonio celebrato davanti ai Ministri di culto, Patron,

Bologna, 1986, pp. 29ss.

33

Communicationes 9 (1977), pp. 144-145, lett. c.

73

L’ammissione alla celebrazione del matrimonio canonico…

- matrimonio valido, cessato per la morte di uno dei coniugi;

- matrimonio dichiarato nullo dalle competenti autorità ec-

clesiastiche;

- matrimonio sciolto per dispensa del Romano Pontefice super

rato;

- matrimonio civile sciolto per divorzio;

- semplice unione di fatto, ecc.

In verità, la disposizione di questo canone non fa esplicito

riferimento a chi ha avuto una precedente “unione irregolare”.

Di per sé, anche chi si sposa in seconde nozze o dopo sentenza

di nullità del precedente matrimonio ha il dovere di provvede-

re al sostentamento ed alla educazione dei figli. Tutto questo

per un principio di giustizia e di carità cristiana perché sarebbe

contrario alla giustizia ammettere indiscriminatamente al ma-

trimonio religioso persone che hanno contratto obblighi da una

unione, la quale, pur senza vincolo giuridico, ha dato vita a

una famiglia

34

. Perciò, quando ci sono pendenze circa i doveri

derivanti dal primo matrimonio, il parroco non può assistere

alle seconde nozze senza la licenza dell’Ordinario. Qualora la

parte interessata non intenda adempiere i propri obblighi, l’Or-

dinario del luogo può vietargli il matrimonio religioso, ai sensi

del can. 1077, § 1, finché la situazione perduri.

Di conseguenza, il parroco non è tenuto a ricorrere all’auto-

rità diocesana quando procede al matrimonio di chi non ha

obblighi derivanti dalla sua precedente “unione irregolare”.

34

Si veda, per analogia, quanto è stabilito nei cann. 1136 (Diritto e dovere

dei genitori circa l’educazione della prole), 1154 (Dovere di provvedere al

sostentamento e alla educazione dei figli in caso di separazione), 1148, § 3

(Dovere di provvedere alle necessità della prima moglie o delle altre in caso

di scioglimento del vincolo). Cfr. anche M. Calvo Tojo, Matrimonio de quien

esté sujeto a obligaciones naturales nacidas de una unión precedente, in El

matrimonio. Cuestiones de Derecho administrativo-canónico (IX Jornadas

de la Asociación Española de canonistas), op. cit., p. 137-140; I. Pérez de

Heredia y Valle, Cuidado pastoral y requisitos previos a la celebración del

matrimonio según el proyecto de nuevo Código, in Anales Valentinos 24

(1981), p. 214.

L’ammissione alla celebrazione del matrimonio canonico…

74

Comunque la rilevanza della presente disposizione canonica si

misura in concreto con la diffusione delle situazioni matrimo-

niali irregolari. È noto che parecchi cattolici, nel contesto so-

cio-culturale del nostro tempo, subiscono l’influsso di un modo

di vivere contrario alle esigenze della fede e della morale. La

pratica del matrimonio civile, del matrimonio di prova, della

libera convivenza pone continuamente all’azione pastorale com-

plessi interrogativi cui il magistero della Chiesa non ha manca-

to di dare risposte adeguate

35

. Questa situazione e gli interro-

gativi che essa pone sono tenuti implicitamente presenti nella

legislazione canonica: con l’obbligo giuridico di chiedere la li-

cenza dell’ordinario del luogo per assistere al matrimonio di

chi è vincolato da doveri naturali derivati da una precedente

unione, si è voluto dare risalto, in conformità agli insegnamen-

ti del Concilio, alle istanze naturali, sociali e interpersonali del

matrimonio stesso

36

.

4. Matrimonio di chi ha notoriamente abbandonato la fede

cattolica (can. 1071, § 1, n. 4 e § 2).

Il caso fra tutti più complesso è il quarto, frequente e diffici-

le sotto il profilo giuridico e pastorale. I primi lavori della com-

missione di riforma del codice misero in luce le difficoltà da

risolvere e, nella seduta del 26 gennaio 1973, si partì dai pro-

35

Familiaris consortio, nn. 79-84.

36

Anche in questo caso ci troviamo in una situazione in piena evoluzione.

Si pensi ad esempio alle creazioni di recenti istituti come il patto civile di

solidarietà (PACS) in Francia o il contratto di coabitazione legale in Belgio,

nonché ai cosiddetti “matrimoni” annunciati fra omosessuali. Quest’ultimo

caso soprattutto, potrebbe comportare obbligazioni naturali che parados-

salmente deriverebbero da un’unione non solamente irregolare ma – in se

stessa – necessariamente contra naturam. Cf. Le Pacte civil de solidarité

(PACS): ‘une loi inutile et dangeureuse’, in La documentation catholique 4

octobre 1998, n. 2189, pp. 845-846; Ph. Toxé, Pacs et bonum coniugum, in

L’année canonique 41 (1999), p. 288; L.-L. Christians, Les nouvelles tensions

du concept de mariage. Enjeux du pluralisme pour une théologie des droits

civil et canonique, in Nouvelle revue de théologie 120 (1998), p. 564-589.

75

L’ammissione alla celebrazione del matrimonio canonico…

blemi giuridico-pastorali del codice del 1917. Il can. 1065 del

codice pio-benedettino

37

, infatti, disciplinava il matrimonio tra

due fedeli di cui uno avesse notoriamente rigettato la fede

cattolica senza necessariamente essere passato ad una “setta

non cattolica” oppure senza essersi iscritto ad una associazio-

ne condannata dalla Chiesa. Bisogna precisare, che non si trat-

tava di un impedimento, anche se un simile matrimonio pote-

va comportare degli inconvenienti alcune volte più gravi di un

matrimonio misto. Il problema d’ordine pastorale diveniva più

difficile se entrambi i contraenti avessero notoriamente rifiuta-

to la fede cattolica e, spinti da motivazioni non religiose come

la volontà di uniformarsi ai costumi familiari o regionali, desi-

derassero contrarre matrimonio canonico. I Padri della com-

missione ritennero che non fosse consono celebrare un matri-

monio religioso quando le parti non ne riconoscevano né il

valore né il senso; d’altra parte, coloro che rifiutavano la fede

cattolica, non perdevano il diritto a contrarre un valido matri-

monio, diritto che, finché fossero rimasti obbligati alla forma

canonica della celebrazione del matrimonio, non poteva esse-

re esercitato se non dopo l’ammissione al matrimonio canoni-

co. Si giunse, allora, a ritenere che il matrimonio canonico non

dovesse essere impedito, purché i nubendi rispettassero alcu-

ni adempimenti giuridici: il parroco non avrebbe potuto assi-

stere al matrimonio senza l’autorizzazione dell’Ordinario del

luogo che comprovava il rispetto delle norme stabilite per la

condizione di dispensa dall’impedimento di religione mista,

adattate al caso concreto

38

.

37

Fonti del can. 1065 del codice del 1917:

- § 1: S.C.S. Off. (Portus Aloisii), 1 aug. 1855; (Marysville), 21 aug.

1861; (Leodien), 30 ian. 1867; instr. (ad Ordinarios Imperii Brasil.), 2 iul.

1878; 25 maii 1897; S.C. de Prop. Fide (C.G. - Scodren.), 28 nov. 1796;

- § 2: S.C.S. Off. (Marysville), 21 aug. 1861; (Leodien.), 30 ian. 1867, ad

2; (S. Bonifacii), 23 apr. 1873; instr. (ad Ordinarios Imperii Brasil.), 2 iul.

1878; 25 maii 1897; 11 ian. 1899.

38

Communicationes 5 (1973), p. 71.

L’ammissione alla celebrazione del matrimonio canonico…

76

La discussione riprese nel 1975, quando alcuni consultori

proposero che si istituisse a tal proposito un impedimento

matrimoniale. Si scartò subito l’ipotesi di un impedimento

dirimente perché coloro che rigettano la fede cattolica non

perdono il proprio diritto al matrimonio, il quale, attesa l’inse-

parabilità del contratto dal matrimonio, non potrà che essere

un matrimonio canonico. La maggioranza dei consultori, co-

munque, rifiutò anche l’idea di costituire un impedimento

impediente. I consultori si domandarono anche se non biso-

gnasse ricomprendere nel can. 1071 coloro che non siano stati

educati nella fede cattolica; ma, poiché ritennero che in tale

situazione si trovasse un ampio numero di fedeli, decisero di

non includerli perché sarebbe stato troppo gravoso rivolgersi

all’Ordinario del luogo ogni volta che si presentasse un caso

simile. Si eliminarono dalla previsione del canone anche coloro

che fossero iscritti ad un’associazione vietata dalla Chiesa per-

ché non sarebbe stato semplice comprendere quali associazio-

ni fossero realmente contrarie alla Chiesa

39

.

Così operando, il testo consegnato alla Commissione nel 1980

menzionava coloro che avessero notoriamente abbandonato

la fede cattolica, anche se di fatto non passati ad un’altra co-

munità ecclesiale non cattolica. Seguirono allora alcune

rettificazioni, nelle quali si eliminò come superfluo l’inciso che

faceva riferimento al passaggio ad altre comunità ecclesiali, e

si precisò che il canone non avrebbe fatto esclusivo riferimen-

to al parroco, ma a qualunque assistente al matrimonio

40

.

Il problema affrontato dalla commissione di revisione del

codice era stato oggetto anche di alcuni interventi della Con-

gregazione del S. Ufficio emanati del decennio 1930-1940, mi-

ranti a risolvere i problemi giuridici e pastorali che poneva il

matrimonio dei comunisti. Il S. Ufficio stabilì che questi matri-

39

Communicationes 9 (1977), pp. 143-146.

40

Communicationes 15 (1983), p. 226.

77

L’ammissione alla celebrazione del matrimonio canonico…

moni potessero celebrarsi a norma dei cann. 1065-1066 del

codice del 1917, purché non si trattasse di comunisti atei. Si

ritenne che l’adesione ad un partito comunista, anche median-

te formale iscrizione, non comportasse l’abbandono della fede

cattolica, ed il parroco avrebbe potuto procedere alla celebra-

zione del matrimonio senza la licenza dell’Ordinario del luogo.

Trattandosi invece di comunisti, iscritti e non iscritti, che se-

guissero notoriamente l’ideologia comunista atea e materiali-

stica, sussisterebbe un vero abbandono della fede cattolica e

forse anche una defezione formale, ed il parroco avrebbe l’ob-

bligo di deferire il caso al proprio Ordinario, attenendosi alle

sue decisioni

41

.

È da notare, dunque, che con il can. 1071, § 1, n. 4, il

legislatore ha voluto escludere un nuovo impedimento (ex

defectu fidei) per coloro che notoriamente hanno abbandona-

to la fede

42

. Non bisogna sottovalutare, infatti, l’efficacia del

sacramento ex opere operato, che – come per tutti i sacra-

menti – ha il potere di dare sollievo spirituale e dispone i fedeli

a ricevere la grazia, quindi anche a risvegliare in loro i senti-

menti di fede

43

. Il parroco, con alto senso pastorale, deve pren-

dere occasione dalla richiesta di matrimonio, basata sulla retta

intenzione di contrarre le nozze senza condizionamenti sostan-

ziali (per semplicità diremo impropriamente senza esclusione

41

S.C.S.O., Decr. Solvuntur dubia de nomen dantibus partibus

communistarum vel ipsorum actioni patrocinantibus, 1° luglio 1949, in X.

Ochoa, Leges Ecclesiae post Codicem iuris canonici aditae, vol. II, op. cit., n.

2055, cc. 2603-2604; S.C.S.O., Decl. de communistarum matrimonii

celebratione, 11 agosto 1949, in X. Ochoa, Leges Ecclesiae post Codicem

iuris canonici aditae, vol. II, op. cit., n. 2073, cc. 2623-2624; P.C.I.C.,

Responsa ad proposita dubia. De sectae atheisticae adscriptis, 30 luglio 1934,

in X. Ochoa, Leges Ecclesiae post Codicem iuris canonici aditae, vol. I, op.

cit., n. 1238, c. 1573.

42

V. Fagiolo, La preparazione al matrimonio: normativa canonica per una

pastorale matrimoniale comunitaria, art. cit., p. 48.

43

SC, Ordo celebrandi matrimonium; Giovanni Paolo II, Esort. Apostol.

Familiaris consortio, n. 68; cfr. Decr., n. 22. Communicationes n. 8, 1977,

114.

L’ammissione alla celebrazione del matrimonio canonico…

78

dell’indissolubilità, fedeltà e prole), e cercare di instaurare con

il fedele un rapporto di rieducazione alla fede

44

. In ogni caso il

parroco non può negare il matrimonio o l’assistenza, senza

prima averne riferito all’Ordinario del luogo, il quale – come

prescrive il § 2 del can. 1071 – non concederà la licenza se non

dopo che siano state osservate, con opportuno riferimento, le

norme di cui al can. 1125, che tratta i casi di matrimoni misti.

Le condizioni che vanno osservate sono anzitutto che: a) sus-

sista una giusta e ragionevole causa; b) non ci siano pericoli

per la fede della comparte, la quale si dovrà impegnare ad

aiutare il coniuge a superare le difficoltà per un ritorno alla

fede ed a far il possibile per dare ai figli il battesimo e l’educa-

zione cattolica; c) entrambe le parti siano istruite sui fini e le

proprietà essenziali del matrimonio, da non escludere nell’atto

celebrativo

45

.

Secondo il concetto enunciato nel can. 2197 del Codice pio-

benedettino relativamente ai delitti, notorio è ciò che risulta

legalmente, ad esempio da una sentenza giudiziaria, da una

dichiarazione ufficiale dell’autorità ecclesiastica, dalla confes-

sione giuridica dello stesso soggetto (notorietà di diritto), op-

pure ciò che è talmente conosciuto, divulgato, che non sia più

possibile negarlo o dubitarne (notorietà di fatto). Si oppone ad

occulto, e si distingue da ciò che è conosciuto da una ristretta

cerchia di persone.

44

In questo verso vanno indirizzati con maggior impegno i doveri di cui al

can. 1063.

45

T. Rincón-Pérez, C. 1071, op. cit., p. 1132: “[L]a profunda

descristianizatión de la sociedad hace que el supuesto que comentamos

adquiera hoy un relieve especial, no lo es menos que la finalidad de la norma

vigente es idéntica a la antigua. No se prejuzga la validez ni la sacramentalidad

del matrimonio de quien ha abandonado notoriamente la fe. La norma cautelar

de exigir la licencia del Ordinario no busca, por tanto, proteger o garantizar

esa validez, sino asegurar en la medida de lo posible, como en el caso de los

matrimonios mixtos, que la fe de la parte creyente y de los hijos no sufrirá

especiales riesgos. De ahí el deber del Ordinario [...] de no conceder la

licencia si no es observando, con las debidas adaptaciones, lo establecido en

el c. 1125 a propósito de los matrimonios mixtos”.

79

L’ammissione alla celebrazione del matrimonio canonico…

Circa l’abbandono della fede cattolica, di cui tratta il can.

1071, § 1, n. 4, è per altro da notare:

- l’abbandono notorio della fede non coincide con la defezio-

ne formale dalla Chiesa cattolica. Chi, infatti, si distacchi for-

malmente dalla Chiesa cattolica, non è più soggetto alla forma

canonica del matrimonio (can. 1117), tranne che sposi una

persona battezzata rimasta fedele alla Chiesa (can. 1059),

mentre, come appare dal can. 1071, chi abbandoni notoria-

mente la fede cattolica, rimane soggetto alla legge del matri-

monio canonico;

- l’abbandono notorio della fede cattolica non deve unirsi

all’ascrizione ad una comunità ecclesiale non cattolica, poiché

in tal caso si avrebbe il matrimonio misto, regolato dai cann.

1124-1129;

- la normativa in esame non dovrebbe riguardare chi si è

semplicemente allontanato dalla pratica religiosa o chi mostra

di avere una fede molto scarsa oppure di averla persa. Anche

chi dichiarasse di non riconoscersi come credente o di essere

ateo, senza tuttavia giungere di fatto a darne notizia inequivo-

cabile e pubblica, non sarebbe da considerare alla stregua di

chi ha notoriamente abbandonato la fede cattolica;

- l’abbandono notorio della fede, considerato nel can. 1071,

probabilmente non deve intendersi in senso stretto, ma nel

senso di un abbandono notorio della pratica religiosa o anche

della situazione dei cosiddetti “non credenti”, cui accenna Gio-

vanni Paolo II nella Esortazione Apostolica Familiaris consortio,

n. 68, ossia di quei cattolici che, senza un formale atto di

apostasia né una notoria adesione ad una religione non catto-

lica, vivono tuttavia in una situazione di agnosticismo o di atei-

smo pratico.

È certo che la richiesta di matrimonio da parte di queste

persone “lontane” dalla fede o mal credenti è uno tra i proble-

mi più gravi e più dibattuti in campo teologico-pastorale

46

. Il §

2 del can. 1071, infatti, riprende il caso del matrimonio di chi

46

F. Morlot, Abandon de l’Église, rejet de la foi et mariage (Note sur les

canons 1117 et 1071, § 1-4° ), in Revue de Droit Canonique 44 (1994), pp.

57-92.

L’ammissione alla celebrazione del matrimonio canonico…

80

abbia abbandonato notoriamente la fede cattolica, ed a tutela

della fede del coniuge credente e dell’educazione cattolica del-

la futura prole, prescrive che si osservino con gli opportuni

adattamenti le norme stabilite nel can. 1125, relativamente ai

matrimoni misti.

5. Matrimonio di chi è irretito da censura (can. 1071, § 1, n. 5)

Il can. 1066 del codice pio-benedettino

47

ricomprendeva sia

chi fosse notoriamente incorso in una censura e rifiutasse la

confessione e la riconciliazione con la Chiesa, sia il pubblico

peccatore. Nell’attuale redazione del can. 1071 non si accenna

più alla situazione del pubblico peccatore che rifiuta di confes-

sarsi prima del matrimonio (“si prius ad sacramentalem con-

fessionem accedere recusaverit”), e che determinava per il

parroco l’obbligo di consultare l’Ordinario. Sebbene la norma

non sia stata confermata, vi è chi la ritiene applicabile perché

anche in questo caso è riscontrabile un aperto contrasto tra la

situazione del pubblico peccatore e la sua ammissione al sa-

cramento del matrimonio, tranne che egli si penta e ripari

debitamente lo scandalo

48

.

47

Can. 1066 C.I.C. 1917: “Si publicus peccator aut censura notorie

innodatus prius ad sacramentalem confessionem accedere aut cum ecclesia

reconciliari recusaverit, parochus eius matrimonio ne assistat, nisi gravis

urgeat causa, de qua, si fieri possit, consulat Ordinarium”. Le fonti del citato

can. 1066 del codice del 1917 sono le seguenti: S.C.S. Off. (Portus Aloisii), 1

aug. 1855; (Hong-Kong), 14 mart. 1860; (Marysville), 21 aug. 1861; (S.

Bonifacii), 23 apr. 1873; (Bombay), 21 febr. 1883; S.C. de Prop. Fide (C.G.

- Quebec), 17 apr. 1820; S. Poenit., 10 dec. 1860, ad 18.

48

L. Chiappetta, Il matrimonio nella nuova legislazione canonica e

concordataria, Roma, 1990, p. 79 parte dalla considerazione che il contrasto

tra la situazione del pubblico peccatore sussiste relativamente a tutti i

sacramenti in genere, di conseguenza ritiene che il divieto, implicito o esplicito,

risulterebbe innegabile: battesimo, can. 865, § 1; confermazione, can. 889,

§ 2; Eucaristia, can. 915; Confessione, cann. 980 e 987; Ordine sacro, cann.

1029-1030 e 1040-1044; Unzione degli infermi, can. 1007. I pubblici peccatori

sono anche esclusi dalle esequie ecclesiastiche, can. 1184, § 1, n. 3.

81

L’ammissione alla celebrazione del matrimonio canonico…

L’obbligo di chiedere la licenza all’Ordinario del luogo per

assistere al matrimonio di chi è colpito da censura si fonda sul

principio dell’esclusione dai sacramenti che la censura stessa

comporta.

Si tratta, infatti, della scomunica e dell’interdetto persona-

le, che, com’è disposto nei cann. 1331, § 1, n. 2, e 1332,

vietano ad liceitatem la recezione di qualsiasi sacramento

49

.

Tale divieto di massima è giustificato, poiché la scomunica im-

porta la rottura della comunione ecclesiale

50

, e l’interdetto, pur

non escludendo la detta comunione, ne pregiudica gravemen-

te l’efficacia.

Questa norma non si applica a coloro che sono colpiti da

sospensione perché tale censura può colpire solo i chierici che,

pertanto, non possono rientrare in questa fattispecie. Invece,

tra la situazione dello scomunicato e dell’interdetto e l’ammis-

sione ai sacramenti c’è un aperto contrasto, che perdura fin-

ché non sia cessata la contumacia, ossia finché la persona

incorsa nella censura non si sia riconciliata con la Chiesa

51

.

Trattandosi, però, di matrimonio, il divieto non può essere

assoluto, in quanto bisogna anche tener conto di un diritto

fondamentale della persona, il ius connubii, ovvero di un dirit-

to naturale che per i battezzati non può essere esercitato se

49

Can. 1331, § 1: “Excommunicatus vetatur: 1° ullam habere

participationem ministerialem in celebrandis Eucharistiae Sacrificio vel

quibuslibet aliis cultus caerimoniis; 2° sacramenta vel sacramentalia celebrare

et sacramenta recipere; 3° ecclesiasticis officiis vel ministeriis vel muneribus

quibuslibet fungi vel actus regiminis ponere”; can. 1332: “Interdictus tenetur

vetitis, de quibus in Can. 1331, § 1, nn. 1 et 2; quod si interdictum irrogatum

vel declaratum sit, praescriptum Can. 1331, § 2, n. 1 servandum est”.

50

Can. 2257, § 1, C.I.C. 1917: “§ 1. Excommunicatio est censura qua

quis excluditur a communione fidelium cum effectibus qui in canonibus, qui

sequuntur, enumerantur, quique separari nequeunt”.

51

Can. 1347: Ҥ 1. Censura irrogari valide nequit, nisi antea reus semel

saltem monitus sit ut a contumacia recedat, dato congruo ad resipiscentiam

tempore. § 2. A contumacia recessisse dicendus est reus, quem delicti vere

paenituerit, quique praeterea congruam damnorum et scandali reparationem

dederit vel saltem serio promiserit”.

L’ammissione alla celebrazione del matrimonio canonico…

82

non con la celebrazione del sacramento

52

.

Conseguentemente, si può anche procedere alla celebrazio-

ne del matrimonio di uno scomunicato o di un interdetto, ma

ciò richiede la licenza dell’Ordinario del luogo, che, insieme

con il parroco, farà di tutto per indurre la persona interessata

a riconciliarsi con la Chiesa

53

. Il parroco è tenuto a chiedere la

licenza dell’Ordinario del luogo solo se gli consta in foro ester-

no che una persona è incorsa nella censura e se non gli è

possibile ottenere riconciliazione del censurato.

6. Matrimonio di un figlio minorenne, se ne sono ignari o

ragionevolmente contrari i genitori (can. 1071, § 1, n. 6)

Quanto al caso del matrimonio dei minorenni, ignari o con-

trari i genitori, è da notare che già il codice del 1917 esigeva la

consultazione dell’Ordinario del luogo

54

, conformemente alla

tradizione canonista, già fissata con la precettistica medioeva-

le e poi ripresa dal Concilio di Trento

55

.

52

Cf. can. 1055, § 2. A tal proposito, si legge in T. Rincón-Pérez, C. 1071,

op. cit., p. 1135 “Es ésta una manifestación más de la peculiaridad del

sacramento del matrimonio en relación con los otros sacramentos de la Iglesia.

Uno de los efectos de la censura, en cuanto pena medicinal, es la prohibición

de celebrar y recibir sacramentos; limita, por tanto, el ejercicio del derecho del

fiel a los sacramentos. Pero el ius connubii hunde sus raíces en la propia

naturaleza de la persona humana, es anterior a la condición de fiel, aunque

esté modalizado por ella, razón por la cual la limitación del ejercicio del derecho

a los sacramentos que implica una censura, una excomunión, no sea aplicable

en la misma medida cuando se trata del derecho al matrimonio o al sacramento

del matrimonio, el único posible en un bautizado aunque esté excomulgado”.

53

In tal senso, infatti, si esprimeva il can. 1066 C.I.C. 1917 che esortava

il parroco a non assistere al matrimonio di una persona notoriamente colpita

da censura e non intenzionata a riconciliarsi con la Chiesa, se non per un

motivo grave e urgente e dopo avere possibilmente consultato l’Ordinario.

54

Can. 1034 C.I.C. 1017: “Parochus graviter filiosfamilias minores hortetur

ne nuptias ineant, insciis aut rationabiliter invitis parentibus; quod si abnuerint,

eorum matrimonio ne assistat, nisi consulto prius loci Ordinario”.

55

C. II, C. XXXVI, q. 2; C. 23, X, de sponsalibus et matrimoniis, IV, I;

Conc. Trident., sess. XXIV, de ref. matrim., c. 1; Benedictus XIV, ep. encycl.

“Nimiam licentiam”, 18 maii 1743, § 10.

83

L’ammissione alla celebrazione del matrimonio canonico…

Posto che è ormai scomparsa da secoli l’idea che faceva del

consenso paterno una condizione di validità del matrimonio

56

,

questa disposizione non tutela il matrimonio in se stesso, ben-

sì l’istituzione familiare o, più precisamente, la relazione tra

genitori e figli. Il pastore d’anime deve essere diligente nel

favorire la comunione ecclesiale anzitutto all’interno delle fa-

miglie e deve essere sollecito nel curare che i matrimoni na-

scano nella piena e pacifica comunione dei contraenti con i

loro familiari.

La Chiesa afferma da sempre che è compito dei genitori

accompagnare i figli nel discernimento della propria vocazione

e, perciò, nella scelta del proprio stato di vita. Essi hanno il

diritto-dovere di guidare i più giovani nella formazione della

famiglia con opportuni consigli, senza tuttavia obbligarli al

matrimonio o all’unione con una determinata persona

57

. In

coerenza con questi insegnamenti la Chiesa non vuole che i

minori si sposino all’insaputa dei genitori o contro il loro ragio-

nevole parere. D’altra parte, essa difende il loro diritto al ma-

trimonio, anche in mancanza del consenso dei genitori.

L’obbligo di chiedere la licenza dell’Ordinario del luogo per

assistere al matrimonio di un minorenne quando i suoi genitori

non ne sono a conoscenza o sono ragionevolmente contrari, si

fonda sulla necessità che il caso venga approfondito al fine di

trovare la giusta soluzione nel contrasto tra i diritti dei genitori

sul minore e quelli del minore, che si suppone idoneo al matri-

monio. Spetta al parroco valutare le ragioni dell’eventuale op-

posizione dei genitori. Se queste, a suo giudizio, sono arbitra-

rie, egli può procedere liberamente alla celebrazione del ma-

trimonio, poiché i genitori non possono abusare della loro au-

torità e i figli hanno diritto alla loro legittima libertà di scelta.

56

M. López Alarcón, El matrimonio de los menores (cc. 1071.1, 6° , 1072

y 1083.2), in El matrimonio. Cuestiones de Derecho administrativo-canónico

(IX Jornadas de la Asociación Española de canonistas), op. cit., pp. 153-181.

57

Gaudium et Spes, n. 52, 1.

L’ammissione alla celebrazione del matrimonio canonico…

84

Se, invece, l’opposizione è giustificata, il parroco deve consul-

tare il proprio Ordinario e attenersi alla sua decisione.

Per la verità, l’età minorile comporta il rischio della incapa-

cità a contrarre matrimonio valido per mancanza di maturità

psicologica o libertà del consenso. Di solito il parere dei geni-

tori in proposito è illuminante. Per questo è necessario tenerne

conto. Il ricorso all’Ordinario del luogo deve essere inteso come

un necessario supplemento di indagine. È risaputo che il ma-

trimonio dei minorenni pone seri problemi all’azione pastorale.

Sotto questo aspetto il codice di diritto canonico dispone espres-

samente che i pastori d’anime si adoperino a distogliere i gio-

vani dal celebrare il matrimonio prima dell’età in cui si è soliti

farlo secondo le usanze della regione

58

. Inoltre il canone che

fissa l’impedimento di età a 16 anni compiuti per l’uomo e 14

per la donna sancisce anche il diritto della Conferenza episcopale

a fissare un’età maggiore per la lecita celebrazione del matri-

monio

59

.

La C.E.I. ha stabilito che per la lecita celebrazione del matri-

monio l’età minima dei nubendi è di diciotto anni, riservando

ad apposita istruzione pastorale l’indicazione di criteri comuni

di valutazione di età inferiore, secondo le varie situazioni. A

una di queste situazioni fa riferimento il can. 1072 che esorta

i pastori (Ordinari dei luoghi e parroci) a dissuadere i giovani

dalle nozze prima dell’età che secondo le usanze della regione

viene indicata come adatta a contrarre matrimonio. Questa

norma, eminentemente pastorale, tiene conto della cultura,

del costume e delle usanze dei vari luoghi ed è saggezza dei

pastori rispettarla, evitando indiscriminatamente prescrizioni,

generalizzate o astratte, e ricordando sempre che l’ossequio

58

Can. 1072: “Curent animarum pastores a matrimonii celebratione

avertere iuvenes ante aetatem, qua secundum regionis receptos mores

matrimonium iniri solet”.

59

Can. 1083, § 2: “Integrum est Episcoporum conferentiae aetatem

superiorem ad licitam matrimonii celebrationem statuere”.

85

L’ammissione alla celebrazione del matrimonio canonico…

alla legge civile non deve mai far disattendere le ragioni pasto-

rali e la norma canonica

60

.

7. Matrimonio da celebrarsi mediante procuratore, di cui al

can. 1105 (can. 1071, § 1, n. 7)

L’obbligo di ottenere la licenza dell’Ordinario del luogo per

questo caso è fondato sulla necessità di assicurare l’osservan-

za delle norme relative al matrimonio da celebrare tramite pro-

curatore. La S. Congregazione della disciplina dei Sacramenti

intervenne il 1° maggio 1932 con la lettera circolare Circa

celebrationem matrimoniorum per procuratorem, per chiarire

il senso di questo istituto che, nel codice pio-benedettino, era

60

Il problema pastorale del matrimonio dei minorenni affrontato dalla

Conferenza Episcopale Italiana deve essere letto insieme alle norme stabilite

nell’Accordo di revisione del Concordato lateranense e ad alcune disposizioni

del Codice civile italiano. La legge italiana vieta ai minori di età di contrarre

matrimonio (art. 180 c.c. novellato dall’art. 4 legge 19 maggio 1975, n. 151

sulla riforma del sistema di famiglia). E’ tuttavia possibile, in alcuni casi,

l’autorizzazione del Tribunale. Il Tribunale, su istanza dell’interessato, accertata

la sua maturità psico-fisica e la fondatezza delle ragioni addotte, sentiti il

pubblico ministero, i genitori o il tutore, può con decreto emesso in camera

di consiglio ammettere per gravi motivi al matrimonio chi abbia compiuto i

sedici anni di età (2° comma). Ne consegue che senza l’autorizzazione, il

matrimonio canonico di un minorenne non può essere riconosciuto dallo

Stato agli effetti civili. E’ così disposto formalmente nell’art. 8, n. 1, comma

2, dei nuovi Accordi stipulati tra la Santa Sede e la Repubblica Italiana.

Bisogna pertanto che l’Ordinario del luogo tenga conto di tali norme

nell’autorizzare il matrimonio canonico dei detti minorenni. Se questi poi

non abbiano compiuto i 16 anni, la trascrizione civile del matrimonio religioso

non può avere luogo in nessun caso.

Art. 8, n. 1, comma 2, lett. a, dei nuovi Accordi: la Santa Sede prende

atto che la trascrizione non potrà avere luogo: a) quando gli sposi non

rispondano ai requisiti della legge civile circa l’età richiesta per la celebrazione.

Tale disposizione ha tenuto conto della sentenza del 2 febbraio 1982, n. 16,

emanata dalla Corte Costituzionale, che ha dichiarato la illegittimità

costituzionale dell’art. 12 della legge 27 maggio 1929, n. 847 (Disposizioni

per l’applicazione del Concordato dell’11 febbraio 1929 tra la Santa Sede e

l’Italia, nella parte relativa al matrimonio), sentenziando che non si può far

luogo alla trascrizione del matrimonio canonico contratto da minore

infrasedicenne o da un minore che abbia compiuto gli anni sedici, ma non sia

stato ammesso al matrimonio ai sensi dell’art. 84 c.c.

L’ammissione alla celebrazione del matrimonio canonico…

86

disciplinato al can. 1089

61

. I Rev.mi Padri, consci della necessi-

tà morale e materiale di celebrare il matrimonio per procura,

invitarono gli Ordinari del luogo a venire incontro alle necessi-

tà di coloro che, trovandosi nell’impossibilità di abbandonare il

centro dei loro affari a causa di un grave disagio economico o

per paura di perdere il lavoro, non potevano celebrare il matri-

monio in madre patria nella forma ordinaria. Il principale peri-

colo da scongiurare risiedeva nell’eventualità che la donna in

tal guisa sposata non potesse raggiungere il proprio marito

all’estero, o perché impedita dalle leggi sull’emigrazione, o

perché impossibilitata a munirsi del necessario passaporto. Di

conseguenza si prescrisse agli Ordinari:

- di indagare sulla possibilità pratica che la donna una volta

sposata per procura potesse raggiungere il marito all’estero;

- di esigere che il mandato di procura, redatto nella forma

prescritta al can. 1089 del codice del 1917, fosse vidimato

dall’Ordinario del luogo dove trovavasi il mandante, a garanzia

di autenticità;

- di richiedere una dichiarazione scritta, giurata dal man-

dante e firmata da lui e da due testi, anch’essa vistata dall’Or-

dinario, con la quale lo sposo si impegnava dopo contratto il

matrimonio per procura a presentare all’autorità competente

regolare atto di chiamata della moglie.

Nonostante il problema dei matrimoni per procura fosse molto

sentito, anche e soprattutto in tempo di guerra, riteniamo in-

teressante far notare che la S. Congregazione della disciplina

dei Sacramenti, nella lettera circolare Circa transmissionem

radiophonicam celebrationis matrimoniorum militum per

procuratorem in Italia, durante bello, del 10 settembre 1941

62

,

61

S.C.D.S., Circa celebrationem matrimoniorum per procuratorem, 1°maggio 1932, in X. Ochoa, Leges Ecclesiae post Codicem iuris canonici aditae,

vol. I, op. cit., n. 1088, cc. 1386-1388.

62

S.C.D.S., Circa transmissionem radiophonicam celebrationis

matrimoniorum militum per procuratorem in Italia, durante bello, n. 9, 10

settembre 1941, in X. Ochoa, Leges Ecclesiae post Codicem iuris canonici

aditae, vol. I, op. cit., n. 1642, c. 2093.

87

L’ammissione alla celebrazione del matrimonio canonico…

63

Can. 1105: Ҥ 1. Ad matrimonium per procuratorem valide ineundum

requiritur: 1° ut adsit mandatum speciale ad contrahendum cum certa

persona; 2° ut procurator ab ipso mandante designetur, et munere suo per

se ipse fungatur. § 2. Mandatum, ut valeat, subscribendum est a mandante

et praeterea a parocho vel Ordinario loci in quo mandatum datur, aut a

sacerdote ab alterutro delegato, aut a duobus saltem testibus; aut confici

debet per documentum ad normam iuris civilis authenticum. § 3. Si mandans

scribere nequeat, id in ipso mandato adnotetur et alius testis addatur qui

scripturam ipse quoque subsignet; secus mandatum irritum est. § 4. Si

mandans, antequam procurator eius nomine contrahat, mandatum revocaverit

aut in amentiam inciderit, invalidum est matrimonium, licet sive procurator

sive altera pars contrahens haec ignoraverit”.

64

I. Pérez de Heredia y Valle, Cuidado pastoral y requisitos previos a la celebración

del matrimonio según el proyecto de nuevo Código, art. cit., p. 222.

al n. 9 tenne a precisare che questi matrimoni dovevano costi-

tuire, per loro stessa natura e nell’interesse dei medesimi con-

traenti nonché del vincolo matrimoniale, una eccezione da es-

sere autorizzata soltanto in base a giusta causa.

L’attuale legislazione fissa le norme sul matrimonio per pro-

cura nel canone 1105. Si richiede che vi sia un mandato spe-

ciale per contrarre matrimonio, il mandatario deve adempiere

di persona l’incarico. Perché sia valido il mandato deve essere

sottoscritto dal mandante e dal parroco, o dall’Ordinario del

luogo in cui il mandato è dato, o da un sacerdote delegato da

uno di essi, o da almeno due testimoni, oppure deve essere

fatto con documento autentico a norma del diritto civile

63

.

Solitamente, la celebrazione del matrimonio tramite procura-

tore è chiesta a motivo della distanza del luogo di residenza dei

contraenti e per l’impossibilità di intraprendere il viaggio. Capita,

nel caso dell’istruttoria matrimoniale, di incontrare difficoltà ad

accertare lo stato libero dell’una o dell’altra parte e la rispettiva

volontà coniugale. Tutto questo conferma la necessità di un esame

più approfondito tramite il ricorso all’Ordinario. Se oggi, a diffe-

renza del codice pio-benedettino, non si menziona espressamente

la giusta causa per assistere al matrimonio per procura, non bi-

sogna ritenere che questa non sia più richiesta, bensì che il con-

cetto di giusta causa non sia stato menzionato perché ovvio

64

.

L’ammissione alla celebrazione del matrimonio canonico…

88

III. Conclusione

Il Codice è proteso ad ottenere il massimo della preparazio-

ne da una cura pastorale attenta e sollecita ad impegnare tut-

te le componenti ecclesiali nell’assistenza ai nubendi perché

accedano e vivano lo stato matrimoniale con spirito cristiano.

Mentre si assicura e tutela il diritto di tutti i fedeli a contrarre

matrimonio, una serie di norme sollecitano gli Ordinari a pro-

grammare una ben chiara ed efficace azione pastorale che pon-

ga l’intera comunità ecclesiale nella condizione di soggetto dina-

mico nel prestare ai fidanzati prima, ed ai coniugi e genitori poi,

l’opportuna ed idonea assistenza. Se a salvaguardia del matri-

monio possiamo addurre come prova le riserve che il legislatore

ha fatte all’Ordinario del luogo nel can. 1071, si devono anche

sottolineare tutte quelle altre norme che vanno dal can. 1065 ai

cann. 1070 e 1072 sugli atti preliminari, richieste anch’esse

nel supremo interesse di una celebrazione valida e lecita

65

.

65

V. Fagiolo, La preparazione al matrimonio: normativa canonica per una

pastorale matrimoniale comunitaria, art. cit., p. 51: “Si ha però l’impressione,

esaminando il Decreto Generale della CEI, che l’equilibrio del Codice del

postconcilio si vada attenuando con un’accentuazione, sia pur appena

percettibile, verso una più rigorosa ammissione alla celebrazione delle nozze.

Se ciò si accentuasse maggiormente sotto il profilo strettamente giuridico,

non penso che sarebbe proficuo moralmente e religiosamente. L’attenzione

all’opus operantis sempre pastoralmente molto saggia, non deve mai prevalere

sulla considerazione dell’efficacia del sacramento ex opere operato. E se la

prima spinge il pastore ad esigere un’idonea preparazione alla celebrazione,

la seconda dovrà nutrire la fede e la fiducia nei mezzi soprannaturali e nella

forza della grazia sacramentale che dà vigore, consistenza e perseveranza ai

propositi di santa vita matrimoniale che un’adeguata cura pastorale ha saputo

ben suggerire ed alimentare nel cuore dei nubendi. Pertanto mi sembra che

dovrebbero essere ritenute prudenziali ed altamente rispettose del cristiano

le linee del Codice miranti a non fare del matrimonio un istituto per una

categoria di privilegiati, perché perfettamente preparati, e quindi di non far

ritardare, oltre misura, o, peggio, allontanare dalla celebrazione quei nubendi

che appena fossero entrati nella logica e nello spirito dei valori della comunità

parrocchiale e che poco o niente comprendessero dell’importanza della

celebrazione, ad esempio, nella chiesa parrocchiale”.

89

L’ammissione alla celebrazione del matrimonio canonico…

L’efficacia del can. 1071 è legata non soltanto al diligente e

competente lavoro dei sacerdoti, ma anche ad un maggiore

impegno di tutta la comunità ecclesiale. Con questo canone,

infatti, il legislatore è riuscito a considerare, in forma coerente

ed equilibrata, problemi diversi, aventi sfumature talvolta con-

correnti e delicate, senza mai perdere di vista il fondamentale

diritto al matrimonio. Egli ha affrontato con lungimiranza fe-

nomeni in espansione, fornendo così una norma giuridica su-

scettibile di regolare situazioni in forte evoluzione.

Le operazioni di leveraged buy out nella riforma del diritto societario

90

Le operazioni di leveraged buy out

nella riforma del diritto societario

brevi note

a cura di Gianfabio Cantobelli

Premessa

Colmando un vuoto normativo protrattosi colpevolmente nel

tempo, il legislatore della riforma ha (meritoriamente) inteso

disciplinare istituti e strumenti operativi consolidati nella mo-

derna prassi commerciale e societaria, sinora rimasti, in as-

senza di adeguata copertura legislativa, al centro della disputa

giurisprudenziale e dottrinale, confinati nel limbo di una non

più ammissibile incertezza riguardo la loro legittimità.

Il D. Lgs 17 gennaio 2003, n. 6, emanato in attuazione della

legge di delega per la riforma del diritto societario (L. 3 otto-

bre 2001, n. 366) ha introdotto l’art. 2501 bis cod. civ. con il

quale viene riconosciuto diritto di cittadinanza nell’ordinamen-

to domestico alle operazioni di (merger) leveraged buy-out.

Descrizione e tipologie di LBO

Con la denominazione di leveraged buy-out” (da qui in avanti

LBO) la prassi commerciale identifica un’operazione di acquisi-

zione di società (usualmente definita target) nella quale il sog-

getto acquirente dispone solo in parte i mezzi propri necessari

a coprire il pagamento del prezzo e pertanto ricorre all’indebi-

tamento per reperire le risorse finanziarie necessarie all’acqui-

sizione per poi procedere, una volta perfezionata quest’ultima,

91

Le operazioni di leveraged buy out nella riforma del diritto societario

alla fusione per incorporazione con la target

1

nella prospettiva

del consolidamento, in capo al soggetto giuridico risultante dalla

fusione, sia del debito acceso che del patrimonio della società

target.

Lo schema tipico di un LBO si struttura in 4 fasi:

1. costituzione, da parte dei promotori o della società pro-

motrice, di una società appositamente costituita (shell company

o Newco) deputata all’operazione di LBO;

2. accensione di prestiti garantiti e non garantiti per finan-

ziare l’acquisizione della società bersaglio (leverage);

3. acquisto del patrimonio (asset based transaction) o delle

azioni (stock based transaction) della società target;

4. fusione per incorporazione di Newco e Target; normal-

mente la società acquisita è incorporata nella società acqui-

rente (c.d. forward merger) ma può, in taluni casi, aversi il

processo inverso (c.d. reverse merger)

2

.

Pur essendo quello testé delineato lo schema caratteristico

dell’operazione in questione, pure in LBO tende, per sua natu-

ra, a sfuggire ad una tipizzazione rigida di realizzazione, delle

finalità perseguite e dei soggetti coinvolti.

In tali rispetti si possono sommariamente distinguere i se-

guenti tipi di LBO:

a) management buy-out, dove i manager della società

bersaglio assumono l’iniziativa per diventare proprietari del-

l’impresa gestita;

b) management buy-in, quando il soggetto promotore

l’operazione è costituito, in tutto o in parte, da un gruppo ma-

nageriale esterno alla società target;

c) employee buy-out, quando l’operazione è promossa

dai dipendenti della società target;

1

P. MONTALENTI, Il Leveraged buy out, Milano 1991.

2

Si consideri il caso in cui la società target detenga un consistente patri-

monio immobiliare.

Le operazioni di leveraged buy out nella riforma del diritto societario

92

d) family buy-out, quando le azioni della società bersaglio

sono, totalmente o parzialmente detenute dai componenti di

un nucleo familiare, i quali intendono conservare in ambito

familiare la proprietà della società pur non possedendo inte-

gralmente i mezzi finanziari necessari ad una ricapitalizzazione;

e) corporate buy-out, caso che si verifica quando l’opera-

zione investe società dello stesso gruppo, allo scopo di ristrut-

turare gli assetti patrimoniali del gruppo stesso;

f) fiscal buy-out, dettato da finalità di risparmio di impo-

sta (in taluni casi sostanziati di vera e propria elusione

3

.

Gli orientamenti ante riforma

Sin dalla sua comparsa sullo scenario economico - societa-

rio italiano (all’incirca nella seconda metà degli anni 80) il LBO

ha suscitato, specie in ambito dottrinario, un intenso dibattito

in ordine alla sua liceità

4

oltre ad aver costituito oggetto di

varie pronunzie giurisprudenziali spesso in contraddizione tra

loro, numericamente insufficienti per poter individuare un orien-

tamento consolidato in subjecta materia

5

pur registrandosi,

nei limiti evidenziati, un certo sfavore nei confronti di siffatta

prassi operativa

6

.

3

Minimo comun denominatore di tutti i tipi di LBO descritti è costituito

dall’effetto leva finanziaria trattandosi di ipotesi nelle quali la relativa limita-

tezza dei mezzi propri dell’acquirente gioca un ruolo fondamentale.

4

Le posizioni della dottrina si sono divaricate in due correnti: la prima,

più sensibile agli aspetti sostanziali, propendente per l’illiceità dell’operazio-

ne in quanto contraria a norme imperative o in frode alla legge tout-court (in

questo senso Montalenti; Grande Stevens); la seconda, favorevole alla liceità

della prassi in forza della correttezza in senso formale delle singole fasi in cui

si struttura un LBO (in questo senso Campobasso, Frignani, Pardolesi).

5

In senso favorevole alla liceità del LBO cfr. Trib. Milano 14.5.1992 (caso

Farmitalia).

6

cfr. Trib. Milano 13.5.1999 (caso Trenno).

93

Le operazioni di leveraged buy out nella riforma del diritto societario

I principali profili di criticità rispetto ai vigenti principi giu-

scommercialistici possono sintetizzarsi come segue:

- incompatibilità dell’operazione di LBO con il disposto dell’art.

2358 cod. civ. in quanto, con la messa in atto di negozi sepa-

rati ma funzionalmente collegati verrebbe eluso il divieto (po-

sto dalla citata norma) della c.d. financial assistance, in altri

termini l’inibizione per le società di accordare prestiti e fornire

garanzie per l’acquisto o la sottoscrizione di proprie azioni (in

questi rispetti il LBO sostanzierebbe un’ipotesi di negozio in

frode alla legge);

- negozio in violazione degli interessi degli azionisti di mino-

ranza e dei creditori della società bersaglio il cui patrimonio

risulta depauperato per effetto del trasferimento su di esso (in

esito alla fusione) del debito contratto dalla newco al fine di

consentire l’acquisizione;

- negozio posto in essere attraverso la manifestazione di

voto in conflitto di interessi, da parte della newco, nell’assem-

blea di target deliberante la fusione e, pertanto, passibile di

annullamento ex art. 2373 cod. civ.

A dispetto delle menzionate notazioni critiche e di un asset-

to giurisprudenziale dubbioso circa la legittimità del LBO, que-

st’ultimo si è affermato come strumento di uso comune all’in-

terno della business community al punto che il legislatore del-

la riforma ha ritenuto di dover intervenire sulla materia onde

evitare il perdurare di una rischiosa scopertura normativa e

ricucire la divaricazione sempre più ampia tra la prassi degli

affari e principi di diritto.

La legge delega e la riforma, portata e limiti

Il D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 6, emanato in attuazione della

Legge delega per la riforma del diritto societario (L. 3 ottobre

2001 n. 366) ha introdotto nel sistema giuridico art. 2501 bis

Le operazioni di leveraged buy out nella riforma del diritto societario

94

del codice civile

7

il quale ha consacrato la perfetta legittimità

delle operazioni di LBO realizzate attraverso fusione.

Sul piano sistematico si deve rilevare che la norma in esa-

me non incide sulla validità e l’efficacia dell’art. 2358 cod. civ.

di talché permane il divieto di financial assistance

8

posto dal-

l’ordinamento a tutela della “neutralità” della società rispetto

alle operazioni di mercato coinvolgenti le azioni sociali. In estre-

ma sintesi, il nuovo art. 2501-bis cod. civ. più che riconoscere

meritevole di tutela il negozio de quo cristallizzandone le ca-

ratteristiche tipiche, si atteggia quale norma “procedimentale”

limitandosi a fissare le modalità di effettuazione dell’operazio-

ne. Ad una conclusione di siffatto tenore si perviene sulla base

del dettato dell’art. 7.1, lett. d) della legge delega n. 366/

2001 ai sensi della quale “La riforma della disciplina della tra-

sformazione, fusione e scissione è ispirata ai seguenti principi

e criteri direttivi: «d) prevedere che le fusioni tra società, una

7

«Art. 2501 - bis - Fusione a seguito di acquisizione con indebitamento.

Nel caso di fusione tra società, una della quali abbia contratto debiti per

acquisire il controllo dell’altra, quando per effetto della fusione il patrimonio

di quest’ultima viene a costituire garanzia generica o fonte di rimborso di

detti debiti, si applica la disciplina del presente articolo.

Il progetto di fusione di cui all’art. 2501 ter deve indicare le risorse finan-

ziarie previste per il soddisfacimento delle obbligazioni della società risultan-

te dalla fusione.

La relazione di cui all’art. 2501 quinquies deve indicare le ragioni che

giustificano l’operazione e contenere un piano economico e finanziario con

indicazione della fonte delle risorse finanziarie e la descrizione degli obiettivi

che si intendono raggiungere.

La relazione degli esperti di cui all’art. 2501 sexies, attesta la ragionevo-

lezza delle indicazioni contenute nel progetto di fusione ai sensi del prece-

dente comma.

Al progetto deve essere allegata una relazione della società di revisione

incaricata della revisione contabile obbligatoria della società obiettivo o della

società acquirente.

Alle fusioni di cui al primo comma non si applicano le disposizioni degli

artt. 2505 e 2505 bis.».

8

Il legislatore nazionale non avrebbe potuto intervenire su una norma

(l’art. 2358) emanata in attuazione di una direttiva comunitaria (n. 77/91

del 13.12.1976).

95

Le operazioni di leveraged buy out nella riforma del diritto societario

delle quali abbia contratto debiti per acquisire il controllo del-

l’altra, non comportano violazione del divieto di acquisto e di

sottoscrizione di azioni proprie di cui agli artt. 2357 e 2357

quater cod. civ. e del divieto di accordare prestiti e di fornire

garanzie per l’acquisto o la sottoscrizione di azioni proprie, di

cui all’art. 2358 cod. civ. In questi rispetti la lettera d dell’art.

7 della legge di delega più che una norma di delega (volta ad

innovare o modificare il contenuto dell’art. 2358 c.c.) si atteg-

gia quale norma di interpretazione autentica dell’art. 2358 cod.

civ. finalizzata a definire i confini del divieto ivi posto senza

con ciò intaccarne la cogenza rispetto a tutte quelle ipotesi –

tutt’ora illegittime – di concessione di finanziamenti o garanzie

da parte di una società per l’acquisto di azioni proprie. In defi-

nitiva, il D. lgs. n. 6/2003 non ha inciso in alcuna misura (di-

retta o mediata) sull’ambito di applicazione dell’art. 2358 cod.

civ.; il rapporto intercorrente tra detta norma codicistica ed il

nuovo art. 2501-bis non è di regola ad eccezione, ma di reci-

proca autonomia. Mentre l’art. 7.1 lett. d), L. 366/2001, con-

serva un’efficacia di interpretazione autentica dell’art. 2358,

del tutto disgiunta del nuovo art. 2501-bis introdotto dalla ri-

forma della società per azioni”

9

.

Alla stregua di quanto sopra, allo stato attuale della legisla-

zione vigente, lo schema tipico del LBO non integra il caso di

negozio in frode alla legge - in relazione all’art. 2358 cod. civ.

- se posto in essere (si torna ed evidenziare la natura di dispo-

sizione procedimentale o di compliance dell’art. 2501-bis, vedi

sopra) nel rispetto delle formalità e degli obblighi informativi

posti dalla nuova disciplina la quale stabilisce che:

a) nel progetto di fusione siano indicate le risorse finanzia-

rie previste per il soddisfacimento delle obbligazioni della so-

cietà risultante dalla fusione;

9

In questo senso P. Schlesinger: “Merger Leveraged buy-out e riforma

societaria, Corr. Giur., N. 7/2003, pag. 705.

Le operazioni di leveraged buy out nella riforma del diritto societario

96

b) la relazione dell’organo amministrativo della società par-

tecipante alle fusione indichi ‘le ragioni che giustificano l’ope-

razione” e preveda un piano economico e finanziario con l’indi-

cazione della fonte delle risorse finanziarie e la descrizione degli

obiettivi che si intendono raggiungere”;

c) la relazione degli esperti di cui all’art. 2501 sexies attesti

la ragionevolezza delle indicazioni contenute nel progetto di

fusione.

La norma scolpisce un procedimento di fusione speciale che

impone un dovere di informazione rafforzato rispetto all’ordi-

nario procedimento nell’intento di tutelare i soci di minoranza

ed i creditori della società obiettivo. Tale informazione riguar-

da i mezzi finanziari ed il piano industriale, il progetto deve

avere una ragionevolezza economica asseverata dagli esperti i

quali dovranno essere messi in grado di valutare compiutamente

sia gli aspetti di carattere economico che quelli di natura

organizzativa del progetto.

È opportuno, a questo punto, esaminare partitamente le varie

fasi dell’operazione alla luce delle novità normative introdotte

dalla riforma.

Il progetto di fusione

Come si è detto il progetto di fusione di cui all’art. 2501-

ter

10

deve indicare le risorse finanziarie previste per il soddi-

sfacimento delle obbligazioni della società risultante dalla fu-

sione. La formulazione della disposizione pone due problemi:

10

Detto documento, fino alla riforma del D. Lgs 22/1991, era sprovvisto

di una formale regolamentazione di talché la proposta di fusione era elabo-

rata dagli amministratori e sottoposta alle assemblee delle società interes-

sate da cui era valutato sotto l’aspetto meramente tecnico dato che, in dirit-

to, il piano di fusione non costituiva elemento essenziale del negozio tale da

condizionare la validità, tanto è vero che l’assemblea poteva apportare mo-

difiche.

97

Le operazioni di leveraged buy out nella riforma del diritto societario

a) quali siano le risorse finanziarie cui il legislatore si riferisce

e, b) in che misura debba intendersi il grado di (prevedibile)

soddisfacimento delle obbligazioni che la norma pone quale

contenuto imprescindibile del progetto di fusione. Per ciò che

riguarda il primo aspetto, è lecito attribuire alla locuzione “ri-

sorse finanziarie” una valenza piuttosto ampia tale da ricom-

prendervi i flussi di cassa generabili dalla società bersaglio at-

traverso la propria attività, che le risorse rivenienti dalla ces-

sione di cespiti non strategici (c.d. asset stripping). Per ciò che

attiene al secondo dei profili sopra evidenziati, la determina-

zione delle obbligazioni soddisfacibili attraverso l’impiego delle

risorse finanziarie summenzionate andrà ragguagliata – plau-

sibilmente – sia sull’indebitamento corrente

11

, sia sulle passi-

vità a medio/lungo termine; In ultima istanza può ragionevol-

mente concludersi che l’indicazione delle risorse finanziarie da

indicarsi nel progetto di fusione coincida con il business plan

finanziario che risulterà redatto dagli amministratori ai fini della

propria relazione ex art. 2501 quinquies cod. civ.

La relazione degli amministratori

Il comma 3 dell’art. 2501-bis richiede che la relazione degli

amministratori delle società partecipanti alla fusione (da redi-

gersi ai sensi dell’art. 2501-quinquies cod. civ.) indichi le ra-

gioni che giustificano l’operazione, del piano economico e fi-

nanziario e la descrizione degli obbiettivi che si intendono rag-

giungere. Deve ritenersi che il legislatore, pur non indicando

analiticamente (operazione per altro di dubbia praticabilità) il

11

Relativo alle ordinarie esigenze dell’attività propria della società risul-

tante dalla fusione sia che essa attività consti della somma delle attività già

esercitate dalla target e dalla società acquirente, ovvero solo dalla target

ove il LMBO sia stato promosso da una newco generalmente priva di propria

attività trattandosi di uno special purpose veichle.

Le operazioni di leveraged buy out nella riforma del diritto societario

98

contenuto della relazione, abbia inteso porre parametri piutto-

sto stringenti con particolare riguardo alla plausibilità ed esat-

tezza dei dati relativi a flussi finanziari, risorse da destinarsi al

servizio del debito accesso per l’acquisizione, economie di sca-

la ottenibili etc.

La relazione degli esperti e della società di revisione

I commi 4 e 5 del nuovo art. 2501-bis prevedono, infine che

la relazione degli esperti di cui all’art; 2501 sexies attesti la

ragionevolezza delle indicazioni contenute nel progetto di fu-

sione ed inoltre che tale progetto porti in allegato relazione

della società di revisione incaricata della revisione contabile

obbligatoria della società target o della società acquirente. Per

quanto riguarda dette relazioni, in assenza di puntualizzazioni

normative, si deve ritenere che lo screening del progetto di

fusione verrà effettuato dalla società di revisione alla stregua

dei principi contabili, limitandosi ad una valutazione di corret-

tezza intrinseca sulla base dei dati forniti dagli amministratori

e posti a base del businnes plan incluso nel progetto di fusio-

ne. In ogni caso non compete agli auditors la valutazione della

“ragionevolezza” di detto piano che invece è demandata alla

relazione degli esperti da stilarsi ai sensi dell’art. 2501-sexies.

La attestazione di ragionevolezza degli esperti nominati dal

Tribunale dovrà plausibilmente informarsi ad una valutazione

dei criteri di prudenzialità ai quali gli amministratori si siano o

meno attenuti, con la facoltà di censurarne la palese inattendi-

bilità tecnica con la conseguenza inevitabile di rendere illegit-

tima l’operazione la quale potrebbe essere aggredita in sede di

opposizione da parte di azionisti di minoranza o, caso più gra-

ve, dare luogo a responsabilità civili e penali nel caso si mani-

festasse l’incapacità della società risultante dalla fusione di fare

fronte alle obbligazioni assunte.

99

Le operazioni di leveraged buy out nella riforma del diritto societario

Note conclusive

Nel contesto dall’art. 2501-bis, si atteggia quale discrimi-

nante, ai fini della legittimazione del LBO, tra un’operazione

dalle finalità legittime e riconosciute ed altre realizzate secon-

do scopi illeciti (e cioè con finalità diverse da quelle dell’acqui-

sizione del controllo di una società a mezzo della leva finanzia-

ria) o ispirate da riprovevole avventurismo nel caso in cui, con-

trariamente alle previsioni, la società (derivante dalla fusione)

dovesse dimostrarsi “inefficiente” rispetto le obbligazioni as-

sunte.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

1) MONTALENTI, Il leveraged buy-out nella nuova legislazione penale

commerciale e nella prospettiva della riforma del diritto societa-

rio, in “La riforma del diritto societario”, Torino 2002.

2) G. F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, vol. II, Torino 2002.

3) R. PARDOLESI, Leveraged buy-out: una novità a tinte forti, in “Giur.

Comm.” 1989, I, p. 402.

4) P. Schlesinger, Merger leveraged buy out e riforma societaria”, in

“Corr. Giur.”, 2003, n. 7.

5) A. FRIGNANI, Il leveraged buy out nel diritto italiano, in “Giur. Comm.”,

1989, I, p. 419.

6) Le Società 2000, p. 75.

7) A. DOLMETTA, Il merger LBO nella legge delega n. 366/2001, in

“Corr. Giur.” 2002, p. 239.

Legge Finanziaria 2005 e art. 25 (ri)novellato del d.p.r. n. 602/73

100

Legge Finanziaria 2005 e art. 25

(ri)novellato del d.p.r. n. 602/73:

finalmente termini certi

per la notifica della cartella

di pagamento al contribuente

di Armando Mancuso

L’art. 25 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 e le sue

reiterate modifiche nel tempo

Capitatomi sott’occhio, per caso, Montesquieu e il suo “Spi-

rito delle Leggi”, subito mi è balenato il motto illuminista delle

leggi poche, chiare e semplici, riassunto nella bella immagine

del giudice “bouche de la loi”

1

.

Ancor più a ritroso, una flebile eco della meravigliosa utopia

della legge scaturente dal “diritto naturale”

2

.

Poi, mi sono imbattuto nel testo della Legge n. 311 del 30

dicembre 2004 (L. Finanziaria per il 2005), che consta di arti-

coli 1 e commi 572, ma non ho dubitato neanche per un attimo

che fosse stata scritta da qualche “tardo illuminista”...

Oggetto del presente modesto commento doveva inizialmen-

te essere il solo comma 417, di modifica del D.P.R. n. 602/73

(Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), il quale

alla lettera c) così statuisce:

“all’art. 25, comma 1

3

, sono aggiunte, in fine, le seguenti

parole: «a pena di decadenza, entro l’ultimo giorno del dodi-

1

Si perdoni il francesismo, che rende però ancor di più l’immagine del

giudice semplice “bocca di legge”.

2

Inteso come il diritto che esisteva ancor prima degli uomini e che essi si

son solo limitati a codificare.

3

Leggi, art. 25 comma 1 D.P.R. n. 602/73.

101

Legge Finanziaria 2005 e art. 25 (ri)novellato del d.p.r. n. 602/73

cesimo mese successivo a quello di consegna del ruolo, ovvero

entro l’ultimo giorno del sesto mese successivo alla consegna

se la cartella è relativa ad un ruolo straordinario»”.

In realtà, a seguito della sentenza n. 280 del 7 luglio 2005

della Corte Costituzionale

4

il legislatore si è improvvisamente tro-

vato di fronte all’urgenza di intervenire nuovamente sull’art. 25

citato, dichiarato dalla Consulta parzialmente incostituzionale.

Seguiremo, comunque, un criterio di ordine cronologico nel

cercare di ricostruire la complessa e delicata vicenda dei ter-

mini di notifica della cartella di pagamento, così come inter-

pretata dalla dottrina e dalla giurisprudenza, fino a giungere

alla risolutiva sentenza n. 280/05 della Corte Costituzionale.

Il punto di partenza sarà, come detto, il comma 417 della L.

Finanziaria 2005.

La novella dal detto comma (re)introdotta, in tema di termi-

ni di notifica, non è affatto di poco conto, se solo si considera

la spaventosa diatriba, verrebbe da dire “esoterica”, accesasi

in dottrina e in giurisprudenza

5

circa la esistenza o meno – al di

fuori dell’ordinaria prescrizione decennale – di termini deca-

denziali per la consegna da parte del Concessionario della Ri-

scossione della cartella di pagamento al contribuente.

Come noto, la cartella di pagamento è l’atto con cui l’Ente

Impositore, per il tramite del Concessionario della Riscossio-

ne, porta a conoscenza del destinatario-contribuente la prete-

sa fiscale vantata nei suoi confronti, intimandolo a pagare nel

termine di 60 giorni dalla notifica della stessa, con l’avverti-

mento che, in caso di mancato pagamento entro le scadenze

indicate, si procederà ad esecuzione forzata

6

.

4

Commentata nella seconda parte di questo stesso articolo.

5

Con annesso corposo contenzioso tributario che ha visto scontrarsi, su

fronti contrapposti, i contribuenti, da una parte, e i Concessionari della Ri-

scossione, unitamente agli Enti impositori, dall’altra.

6

Vale, in sostanza, come titolo esecutivo e come precetto, avendo la

nuova cartella di pagamento, introdotta con la riforma della riscossione,

inglobato il precedente avviso di mora.

Legge Finanziaria 2005 e art. 25 (ri)novellato del d.p.r. n. 602/73

102

L’art. 25 comma 1 D.P.R. n. 602/73 è stato, tuttavia, ogget-

to di una plurima riscrittura nel tempo da parte del nostro

talora “bizzarro e mutevole” legislatore fiscale, al punto da

rendere ancor più oscura ed intricata una disciplina (quella

della riscossione) che sicuramente non brilla per semplicità e

chiarezza.

Questi i periodi storici “cristallizzati” dai successivi interven-

ti del legislatore:

1) fino al 30 giugno 1999.

Vigenza dell’originario art. 25 cit., in base al quale: “L’esat-

tore, non oltre il giorno cinque del mese successivo a quello

nel corso del quale il ruolo gli è stato consegnato, deve notifi-

care al contribuente la cartella di pagamento (...)”.

2) dal 01 luglio 1999 al 08 giugno 2001.

Vigenza dell’art. 25, così come sostituito dall’art. 11 D.Lgs.

26 febbraio 1999 n. 46: “Il concessionario notifica la cartella di

pagamento entro l’ultimo giorno del quarto mese successivo a

quello di consegna del ruolo (...)”.

3) dal 09 giugno 2001 al 01 luglio 2005.

Vigenza dell’art. 25, novellato dall’art. 1 comma 1 lettera b)

D.Lgs. 27 aprile 2001 n. 193: “Il concessionario notifica la car-

tella di pagamento al debitore iscritto a ruolo o al coobbligato

nei confronti dei quali procede”.

In sostanza, il legislatore del 2001, con abile gioco di presti-

gio, aveva fatto scomparire ogni e qualunque termine per la

consegna della cartella di pagamento dal Concessionario al

contribuente.

Le ragioni sottese ad un così drastico cambiamento di fron-

te, passando nel giro di appena due anni da un termine assai

breve (“non oltre il giorno cinque del mese successivo a quello

nel corso del quale il ruolo gli è stato consegnato”), ad uno

“medio” (“entro l’ultimo giorno del quarto mese successivo a

quello di consegna del ruolo”), a nessun termine, infine, per la

consegna della cartella, rimanendo il contribuente esposto alla

103

Legge Finanziaria 2005 e art. 25 (ri)novellato del d.p.r. n. 602/73

potenziale azione – anche esecutiva – del Fisco per tutto il

periodo necessario a far maturare l’ordinaria prescrizione

decennale, possono evidentemente ravvisarsi nella solita, im-

mancabile “Ragion fiscale”.

Ci vollero parecchi lustri per scardinare il principio augusto

del “Solve et repete”

7

, ma pare proprio che il legislatore non

perda il vizio di far passare anche una qualunque “stortura o

abominio giuridico” per ragion fiscale.

Del resto, la nostra Costituzione sul punto è chiara, ove pre-

vede una riserva legale in materia tributaria

8

con l’art. 23: “Nes-

suna prestazione personale o patrimoniale puo’ essere impo-

sta se non in base alla legge”.

Pertanto, è il legislatore che decide. Ma davvero deve esse-

re sempre e comunque così? Il legislatore decide, il cittadino-

contribuente esegue?

Ovviamente no. Esiste una legge di rango superiore, la Co-

stituzione, a conformarlo ed indirizzarlo; esiste un Giudice

Supremo, la Corte Costituzionale, delegato a controllare che le

leggi siano rispettose della nostra Costituzione e non in con-

trasto con essa.

Ancora e soprattutto, un argine all’arbitrio del legislatore è

rappresentato dall’art. 53 Cost., secondo cui: “Tutti sono te-

nuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro

capacità contributiva.

Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.

Sul punto, autorevolissima dottrina

9

ritiene che l’art. 53, “nel

dirigersi al legislatore, svolge prima di tutto una funzione

garantista, nel limitare il concorso alle pubbliche spese a quanti

pongano in essere fatti che siano indici di «capacità contributi-

va», cioè economicamente valutabili”.

7

“Paga e chiedi il rimborso”, discendente originariamente dall’art. 6 della

legge 26 marzo 1865 n. 2246 all. E, sul contenzioso amministrativo.

8

Latu sensu.

9

R. LUPI, Diritto tributario, Parte generale, Giuffrè, 2000, p. 24.

Legge Finanziaria 2005 e art. 25 (ri)novellato del d.p.r. n. 602/73

104

Gli indici possono essere i più vari, dal patrimonio al reddito

al consumo, ma debbono essere pur sempre suscettibili di va-

lutazione economica.

Oltre a tale funzione garantista, “l’art. 53 ribadisce anche i

doveri di solidarietà economica e sociale sanciti dall’art. 2 del-

la costituzione”, nel senso che “i doveri politici di solidarietà

sociale includono anche quello di contribuire alle spese pubbli-

che in base alla capacità economica(...)”

10

.

Il fattore temporale riveste notevole rilevanza in proposito,

poiché spostare troppo in là nel tempo il momento della impo-

sizione potrebbe significare andare a colpire un fenomeno eco-

nomico oramai completamente esauritosi; ed inoltre perché

non puo’ legittimamente pretendersi dal contribuente un com-

portamento eccessivamente zelante, nel senso che, come di

recente ha stabilito la stessa Suprema Corte

11

, “il diritto alla

difesa del contribuente sarebbe leso dalla necessità di con-

traddire in ordine a questioni risalenti nel tempo oltre ogni

ragionevole limite dell’onere di conservazione di documenti e

«pezze d’appoggio»”.

Si trasformerebbe, in tal modo, una imposizione legittima e

solidale ex lege, in una imposizione odiosa ed iniqua.

L’esperienza, tuttavia, ci ha spesso mostrato che dietro lo

schermo della «esigenza di garantire la riscossione dei tributi»

si sono non di rado celate soluzioni assai discutibili dal punto di

vista della capacità contributiva; e autorevole dottrina, da sem-

pre attenta a questioni costituzional-tributarie

12

, ha posto in

luce una certa “condiscendenza” della Consulta nel valutare le

ragioni erariali e al contempo una certa “cautela” della stessa

nello sposare le ragioni del cittadino-contribuente.

In realtà, la giurisprudenza, chiamata a pronunciarsi innu-

10

LUPI, cit., p. 25.

11

Cfr. Cass., sent. 05 ottobre 2004, n. 19865.

12

E. DE MITA: cfr., ad esempio, il suo Guida alla giurisprudenza costituzio-

nale tributaria, Giuffrè, 2004.

105

Legge Finanziaria 2005 e art. 25 (ri)novellato del d.p.r. n. 602/73

merevoli volte in subiecta materia, in ordine in particolare alla

natura “perentoria” o “ordinatoria” del termine di cui al detto

art. 25

13

, applicabile ratione temporis

14

, ha nel tempo consoli-

dato il proprio orientamento, ben esposto nella sent. n. 10 del

23.04.2003 della Cass. sez. trib., nel senso di sancire la nullità

della cartella di pagamento notificata al contribuente dal Con-

cessionario oltre il termine fissato – a pena di decadenza, se-

condo tale interpretazione prevalente – dal legislatore.

In particolare, si legge in detta ultima sentenza: “la peren-

torietà di tale termine è imposta sia dalla interpretazione let-

terale e logica della disposizione che dalla necessità di non

lasciare il contribuente esposto indefinitamente all’azione ese-

cutiva del fisco”.

Tale interpretazione, oltretutto, ritenendosi come l’unica

costituzionalmente legittima in relazione agli artt. 3 e 24 della

Costituzione.

La stessa Corte Costituzionale, con ordinanza n. 107 del 26

marzo 2003, aveva avallato tale lettura, sancendo che “il ca-

rattere perentorio di un termine non deve necessariamente

risultare esplicitamente dalla norma, potendosi desumere dal-

la funzione, ricavabile con chiarezza dal testo della legge, che

il termine è chiamato a svolgere (...)”, ed aggiungendo inoltre

che “l’interpretazione dell’art. 25 appena enunciata vale, al-

tresì, a fugare ogni dubbio di legittimità costituzionale (...)”.

Nella successiva ordinanza n. 352 del 19.11.2004 la Con-

sulta non mutava orientamento, aggiungendo che sta all’inter-

prete ricercare “soltanto una ricostruzione del sistema che non

lasci il contribuente esposto, senza limiti temporali, all’azione

esecutiva del Fisco”.

13

Tale norma non chiariva, difatti, la natura del termine.

14

Con riferimento, in particolare, alle cartelle di pagamento notificate

successivamente alla data di entrata in vigore della nuova formulazione

dell’art. 25 cit., così come modificato dall’art.1 comma 1 lett. b) D.Lgs. n.

193/01, ossia dal 09 giugno 2001, ma con ruolo reso esecutivo prima di tale

data.

Legge Finanziaria 2005 e art. 25 (ri)novellato del d.p.r. n. 602/73

106

Confermative di tale impostazione, Cass. sentenze nn. 6 e

10 del 07 luglio 2004

15

, nonché la pressoché univoca giuri-

sprudenza di merito

16

.

A colmare il vuoto normativo creatosi con la soppressione,

da parte del legislatore del 2001, dei termini decadenziali di

cui all’art. 25 cit. aveva, pertanto, pensato la giurisprudenza,

tanto di legittimità che di merito, avallata come detto dalla

Corte Costituzionale, fino all’intervento del legislatore della fi-

nanziaria 2005, il quale al comma 417 ha alfine (re)introdotto

un termine, espressamente questa volta definito di natura

decadenziale, per la consegna della cartella di pagamento dal

Concessionario al debitore iscritto a ruolo, e precisamente: “a

pena di decadenza” il concessionario notifica la cartella di pa-

gamento “entro l’ultimo giorno del dodicesimo mese successi-

vo a quello di consegna del ruolo, ovvero entro l’ultimo giorno

del sesto mese successivo alla consegna se la cartella è relati-

va ad un ruolo straordinario”.

“Possiamo allora tirare un sospiro di sollievo?”

17

.

Il comma 420 della L. 311/04 fa decorrere l’applicazione

della novella di cui al comma 417 solo con riferimento ai ruoli

resi esecutivi successivamente al 01 luglio 2005. Cosa succe-

de, allora, per le cartelle emesse e notificate prima di tale data?

“Già dimenticate le pronunce della Sezione tributaria e delle

Sezioni Unite della Cassazione che hanno evidenziato la ne-

cessità di termini perentori per la trasmissione dei ruoli e per

15

Con commento in dottrina di E. De Mita, Termini ben definiti per garan-

tire la difesa, in Il Sole 24ore del 28.03.2004; Aut. Cit., Cartelle, difesa con

tempi certi, in Il Sole 24ore del 28.11.2004.

16

Ex multis, CTP Pordenone, sent. n. 2 del 14.02.2001 ; CTP Roma, sent.

N. 16 del 07.02.2002 e n. 705 del 18.11.2002; CTP Torino, sent. n. 32 del

17.06.2002; CTP Cosenza n. 657/03; CTP Agrigento, sent. n. 35 del

21.04.2004.

17

Si domandavano C. BUCCICO e D. CASALE, I tempi per la notifica della

cartella di pagamento tra Cassazione e corte Costituzionale, in il fisco n. 3/

2005, pp. 1-666.

107

Legge Finanziaria 2005 e art. 25 (ri)novellato del d.p.r. n. 602/73

la notificazione della cartella? O forse, alla luce dell’ordinanza

della Corte Costituzionale

18

sarà l’interprete a ricercare una ri-

costruzione del sistema che non lasci il contribuente esposto,

senza limiti temporali, all’azione esecutiva del Fisco per le car-

telle emesse sino al 01 gennaio 2005?”

19

.

Da ultimo, l’intervento della Corte Costituzionale, la quale,

con sentenza n. 280/05 ha costretto il legislatore ad operare una

nuova, e si spera definitiva, riscrittura della materia

20

, suggellan-

do una interpretazione più “garantista” nei confronti del contri-

buente, in modo da arginare possibili situazioni di abuso da parte

del Fisco; interpretazione che già il legislatore della Finanziaria

2005 aveva deciso, se pur non compiutamente, di far propria.

La sentenza della Corte Costituzionale n. 280 del 7

luglio 2005 e l’art. 1 commi 5-bis e 5-ter della L. n. 156

del 31 luglio 2005

Con tale pronuncia la Consulta ha dichiarato l’illegittimità

costituzionale dell’art. 25 del D.P.R. n. 602/73, nella parte in

cui non prevedeva un termine, fissato a pena di decadenza,

entro il quale il concessionario dovesse notificare al contri-

buente la cartella di pagamento delle imposte liquidate ai sen-

si dell’art. 36-bis del D.P.R. n. 600/73 (Disposizioni comuni in

materia di accertamento delle imposte sui redditi).

La pronuncia ha affermato anche la necessità di un inter-

vento legislativo “con il quale si colmi ragionevolmente la la-

cuna che si va a creare” (oltretutto occorre considerare che in

tutta la disciplina della riscossione non v’era alcuna norma che

prevedesse un termine prestabilito per la consegna “a monte”

dei ruoli al concessionario).

18

La succit. ord. n. 352 del 19.11.2004.

19

Autori cit. in nota 17 di questo scritto.

20

Anche con riguardo alla disciplina transitoria: vd. infra.

Legge Finanziaria 2005 e art. 25 (ri)novellato del d.p.r. n. 602/73

108

Difatti, in precedenza le norme in materia hanno “dato im-

portanza determinante alla iscrizione a ruolo del credito, che è

un’attività interna dell’Amministrazione, e non invece alla atti-

vità esterna, consistente nella notifica al debitore del provve-

dimento contenente la pretesa. La decadenza è stata così pre-

vista solo nel caso in cui questa attività interna fosse stata

posta in essere in ritardo rispetto a certe scadenze (art. 17

D.P.R. n. 602/73: termini di decadenza per l’iscrizione a ruo-

lo), ma non è stata prevista in relazione al momento nel quale

la pretesa veniva portata a conoscenza del debitore. (...) Que-

sta anomalia tributaria ha consentito che l’Amministrazione,

una volta evitata la decadenza per avere iscritto a ruolo il suo

credito entro un certo termine, vedeva consolidata la sua posi-

zione creditoria che restava esposta solo ad una eventuale

prescrizione decennale decorrente dalla iscrizione a ruolo

21

”.

Poteva così accadere che una pretesa creditoria venisse por-

tata a conoscenza del debitore (con la notifica della cartella)

anche a distanza di oltre dieci anni rispetto alla data di presen-

tazione della dichiarazione dei redditi da parte del contribuen-

te.

Il che, a giudizio della Consulta nella sentenza 280/05 cit.,

appare tanto più assurdo ove solo si consideri il carattere estre-

mamente elementare dell’attività di liquidazione (c.d. proce-

dura automatizzata) ex art. 36bis D.P.R. n. 600/73

22

.

Con la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art.

25, operata dalla sentenza n. 280/05, viene pertanto a mutare

l’intera prospettiva fino ad oggi adottata dall’Amministrazione

Finanziaria nel far valere le proprie pretese creditorie.

21

Cfr. Francesco Falcone, La notifica della cartella di pagamento, una

svolta normativa importante, in Il fisco n. 32/05 del 5 settembre 2005, pg.

4996 ss..

22

Proprio da tale fattispecie di liquidazione, c.d. automatizzata, la Con-

sulta è partita, nella sentenza citata, per poi ricostruire l’intero sistema della

liquidazione e riscossione dei tributi.

109

Legge Finanziaria 2005 e art. 25 (ri)novellato del d.p.r. n. 602/73

Ma soprattutto si è obbligato il legislatore a ricomporre il

complessivo procedimento della riscossione dei tributi, rispet-

to alla eccessiva frammentazione delle sue varie fasi (liquida-

zione; iscrizione a ruolo; consegna del ruolo al concessionario;

notifica della cartella di pagamento al contribuente), che pare-

va andare a tutto e solo discapito del pur zelante contribuente.

Ecco, dunque, che il legislatore è intervenuto in gran fretta,

con l’art. 1 commi 5-bis e 5-ter del D.L. 17 giugno 2005 n.

106, convertito nella L. n. 156 del 31 luglio 2005, per colmare

il vuoto creato nell’ordinamento e per modificare radicalmente

il sistema fin qui in vigore, capace solo di creare dubbi e (co-

spicuo) contenzioso tributario.

È stata in tal modo fissata una disciplina transitoria (comma

5-bis) ed una a regime (comma 5-ter).

Così il comma 5-bis: “Al fine di garantire l’interesse del con-

tribuente alla conoscenza, in termini certi, della pretesa tribu-

taria derivante dalla liquidazione delle dichiarazioni e di assi-

curare l’interesse pubblico alla riscossione dei crediti tributari,

la notifica delle relative cartelle di pagamento è effettuata, a

pena di decadenza:

a) entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello di

presentazione della dichiarazione, con riferimento alle dichia-

razioni presentate a decorrere dal 1° gennaio 2004

23

;

b) entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello

di presentazione della dichiarazione, con riferimento alle di-

chiarazioni presentate negli anni 2002 e 2003

24

;

c) entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello

di presentazione della dichiarazione, con riferimento alle di-

chiarazioni presentate fino al 31 dicembre 2001

25

.

23

Es., per Unico 2004, relativo ai redditi 2003, la notifica della cartella

per le somme non pagate dovrà avvenire entro il 31.12.2007.

24

Es., per Unico 2002, relativo ai redditi 2001, il termine ultimo di notifica

sarà il 31.12.2006.

25

Es., per Unico 2000, relativo ai redditi 1999, il termine ultimo sarà il

31.12.2005.

Legge Finanziaria 2005 e art. 25 (ri)novellato del d.p.r. n. 602/73

110

Circa la disciplina a regime, il comma 5-ter ha apportato

delle modifiche al D.P.R. n. 602/73, e ciò “al fine di conseguire,

altresì, la necessaria uniformità del sistema di riscossione

mediante ruolo delle imposte sui redditi e dell’imposta sul va-

lore aggiunto”.

In particolare, le novità hanno interessato gli artt. 25 e 43,

ed è stato abrogato l’art. 17, che si occupava di termini di

decadenza per l’iscrizione a ruolo.

Il nuovo art. 25 stabilisce che il concessionario della riscos-

sione deve notificare la cartella di pagamento, a pena di deca-

denza, entro il 31 dicembre:

“ a) del terzo anno successivo a quello di presentazione del-

la dichiarazione, per le somme che risultano dovute a seguito

dell’attività di liquidazione prevista dall’art. 36 bis del D.P.R.

n. 600/73;

b) del quarto anno successivo a quello di presentazione del-

la dichiarazione, per le somme che risultano dovute a seguito

dell’attività di controllo formale prevista dall’art. 36 ter del

D.P.R. n. 600/73;

c) del secondo anno successivo a quello in cui l’accertamen-

to è divenuto definitivo, per le somme dovute in base agli ac-

certamenti dell’ufficio”.

Tale normativa è applicabile tanto alle imposte sui redditi

quanto all’IVA.

Si discute, tuttavia, se possa applicarsi al di là di questo

ambito, dato che il sistema della riscossione a mezzo ruolo

viene utilizzato anche per altri tributi (si pensi ai tributi locali,

quali TARSU, ICI, Imposta Comunale sulla Pubblicità, etc.) o

addirittura altri crediti di natura pubblicistica (si pensi alle or-

dinanze-ingiunzioni emesse per contravvenzioni stradali, ai

contributi assicurativi o previdenziali, ad esempio).

Qui si propende per una interpretazione “estensiva” della

nuova normativa, anche e soprattutto in considerazione del

fatto che da ciò deriverebbero maggiori garanzie a favore del

111

Legge Finanziaria 2005 e art. 25 (ri)novellato del d.p.r. n. 602/73

cittadino-contribuente, troppo spesso, a nostro avviso, vessato

da richieste patrimoniali assai risalenti nel tempo.

Ma non ci si nasconde la difficoltà di non incappare in quella

interpretazione analogica della norma tributaria che il legisla-

tore vieta.

A quanto pare si profilano nuove diatribe dottrinali e strasci-

chi giurisprudenziali, salvo, nell’immediato futuro, l’auspicabile

intervento di un legislatore una volta tanto un po’ più illuminista,

o magari anche solo illuminato.

Incontro di studi sulla riforma del processo civile

112

Incontro di Studi sulla riforma

del processo civile

Lecce – Hotel Tiziano, 19 novembre 2005

di Giovanni Romano

Introduzione del Presidente avv. Antonio De Giorgi

Porgo a tutti i presenti il saluto del Consiglio dell’Ordine e

mio personale.

La sala, seppur considerevole per capienza, gremita in ogni

genere di posti dà la dimensione di quanto il Foro Salentino

abbia a cuore l’aggiornamento professionale.

Accesso e formazione, coniugati all’aggiornamento, costitui-

scono il presupposto indispensabile per creare le condizioni

ottimali, che consentano di esercitare la professione forense

con competenza, dignità e prestigio.

Il tema che tratteremo oggi riveste particolare importanza,

perché riguarda la riforma del processo civile, voluta dal legi-

slatore con la Legge n. 80/2005.

Abbiamo scelto due Relatori eccezionali, che ringrazio per la

disponibilità dimostrata.

Il dott. Giovanni Romano, magistrato di notevole esperien-

za e profondo conoscitore del processo civile, la cui caratura

scientifica è nota a noi tutti, che ha sempre dato ampia dimo-

strazione di grande equilibrio nell’espletamento delle sue fun-

zioni.

Il prof. Francesco Luiso, luminoso esempio per la cultura

giuridica europea, che con il suo impegno didattico, professio-

nale e scientifico ha dato notevoli contributi alla riforma, og-

getto dell’odierno incontro; per lui ogni appellativo sarebbe

113

Incontro di studi sulla riforma del processo civile

riduttivo delle sue impareggiabili qualità di maestro del diritto

processuale civile.

Sono certo che il loro contributo di scienza ed esperienza

fornirà a tutti i presenti validi elementi di stimolo e proficua

riflessione.

Alla fine dei lavori verrà rilasciato a tutti i presenti un atte-

stato di partecipazione.

Non sottraggo altro tempo alle attese relazioni ed invito il

dott. Gianni Romano a prendere la parola.

Relazione introduttiva del cons. Giovanni Romano

Ringrazio il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Lecce per

l’alto onore concessomi di tenere la relazione introduttiva sulla

riforma del processo civile; ringrazio, in particolare, l’illustre

Presidente del Consiglio dell’Ordine per le benevole e genero-

se attestazioni nei miei confronti e rivolgo a tutti i presenti un

affettuoso saluto, con l’impegno di non abusare della loro cor-

tesia.

La scelta del legislatore di inserire la riforma del processo

civile nella legge di conversione del c.d. “decreto competitività”

ha destato notevoli perplessità e forti censure.

In effetti, quanto alla tecnica di “legificazione” non v’è dub-

bio che il legislatore ha rasentato livelli difficilmente eguagliabili.

Al contrario il nesso strutturale tra processo civile e compe-

titività di sistema è incontestabile.

Nell’attuale sistema delle relazioni trasnazionali, la capacità

di competere sul mercato non è data soltanto dal possesso di

tecniche di produzione ma essenzialmente dal sistema dei ser-

vizi e, tra questi, il sistema giudiziario non è certamente se-

condario.

Si è, infatti, osservato che “la globalizzazione dei mercati

produce… un effetto sconvolgente sugli assetti politici e giuri-

dici degli stessi Stati, ne frusta la politica economica, ne esautora

Incontro di studi sulla riforma del processo civile

114

le leggi… Il nuovo che avanza al principio del terzo millennio è

una società senza Stato, la si chiami villaggio globale o business

community, che ha dimensioni planetarie e che è retta da un

proprio diritto, che è un diritto sovranazionale e formazione

spontanea, detto Nuova lex mercatoria, cui anche la Cassazio-

ne Italiana, già in una sentenza del 1982, riconosce il caratte-

re di ordinamento giuridico originario, proprio della business

community e regolante il commercio internazionale. Ne è sta-

ta fatta da UNIDROIT una organica compilazione che va sotto

il nome di “Principi dei contratti commerciali internazionali”…

Volge così al tramonto il principio di statualità del diritto ma

declina anche, all’interno dei singoli Stati, il principio di nazio-

nalità. La convenzione di Roma del 1980 ammette all’art. 3 lo

shopping del diritto, e i cittadini di uno Stato possono, per

contratto, adottare il diritto di uno Stato terzo, salvo solo il

limite delle norme imperative interne. Ma anche questo limite

può essere superato quando apposite convenzioni internazio-

nali lo consentono, come è accaduto con la Convenzione dell’Aja

del 1985, che ha permesso ai cittadini di paesi di civil law di

fruire del trust anglo-americano…” (così Galgano, Shopping del

diritto, trust interno, gruppi di società, in Trusts e attività

fiduciarie, 2002, 333).

Va ancora sottolineato che l’art. 4, comma secondo, della L.

n. 218/1995, che ha sostituito l’art. 2 c.p.c., ha abbandonato il

principio generale dell’inderogabilità convenzionale ed ha in-

trodotto quello della deroga convenzionale, che consente alle

parti di escludere la giurisdizione italiana, a favore del giudice

straniero o di arbitrato estero a condizione che la deroga sia

provata per iscritto e che la deroga verta su diritti disponibili

(v. Montesano-Arieta, Diritto Processuale Civile, I, Torino, 1999,

p. 44).

Evidentemente, le possibilità di deroga convenzionale alla

giurisdizione fanno preferire, rispetto al Nostro, gli Ordinamenti

che offrono un servizio “Giustizia” di maggiore qualità.

115

Incontro di studi sulla riforma del processo civile

Ciò impone di riconsiderare l’inefficienza del processo civile

non già come un semplice costo per le parti litiganti ma per

l’intero sistema.

Infatti, le lungaggini processuali (si pensi al contenzioso

commerciale, ai contratti standardizzati, al costo dell’esecu-

zione forzata, alle procedure fallimentari) deprimono l’interes-

se degli investitori, costituendo di fatto una componente di

costo aggiuntiva, una ulteriore esternalità negativa e, perciò,

un freno alla competitività del sistema.

Il Legislatore ha, dunque, approfittato dell’occasione per dar

corpo ad una sostanziosa riforma del processo di cognizione,

del processo esecutivo, del processo cautelare e, addirittura,

con un percorso inusuale ma che i costituzionalisti reputano

tuttavia ammissibile, ad una legge delega per la riforma del

processo in cassazione e del procedimento arbitrale.

I punti salienti della Riforma possono essere, a mio giudizio,

individuati nella riaffermazione del principio di concentra-

zione, anche quale applicazione del principio ormai costituzio-

nalizzato del giusto processo, e al contempo del principio di-

spositivo, che giunge ad investire per la prima volta la stessa

scelta del rito.

Qui il Legislatore compie una rivoluzione copernicana, in

quanto affida alle parti la scelta di surrogare il rito “ordinario”

con quello c.d. societario.

Forse il legislatore ha voluto riaffermare, in contrasto con la

cultura processuale un tempo assolutamente egemone, un

modello processuale “liberale”, rimesso appunto alla scelta delle

parti contendenti, ma probabilmente, l’operazione si conclu-

derà in perdita, in quanto contribuisce a moltiplicare i proble-

mi di rito, e, quindi, il contenzioso sul processo anziché sulla

“res iudicanda”.

Altro punto qualificante della riforma è la razionalizzazio-

ne del processo esecutivo (titolo esecutivo stragiudiziale

idoneo anche per l’esecuzione per consegna o rilascio; pigno-

Incontro di studi sulla riforma del processo civile

116

ramento; nuova disciplina dell’intervento dei creditori; possi-

bilità di sospendere l’esecuzione non ancora iniziata; ecc.),

strumento essenziale per assicurare il bene della vita. Come è

stato detto “ubi executio silet, ibi et iuris paecepta generalia

silent…”.

Notevole è stato, inoltre, l’intervento di razionalizzazione

del processo cautelare, su cui vorrei soffermarmi per qual-

che semplice rilievo “a prima lettura”.

1. Opportunamente il Legislatore ha recepito l’insegnamento

di autorevole, ancorché forse minoritaria, dottrina (v. per

tutti, Sassani, La garanzia dell’accesso alla tutela cautela-

re nell’arbitrato irrituale, in Riv. arb., 2002, p. 508 s.;

Chiarloni S., Davvero incompatibili tutela cautelare e clau-

sola compromissoria per arbitrato libero? In Giur. It., 1997,

I, 2, 555) estendendo la tutela cautelare alle “controversie

oggetto di clausola compromissoria o rimessa in arbitri

anche non rituali” (art. 669 quinques).

Detta soluzione era stata recepita da alcuni giudici di me-

rito (v. Trib. Milano, 9 aprile 2002 in Giur. It. 2002, 1657;

Trib. Firenze, 18 marzo 2002 in Foro Toscano 2002, 155

con nota di Feri; Trib. Lanciano, 29 novembre 2001, in

Giur. Merito 2002, 340; Trib. Catania, 16 ottobre 2001 in

Società 2002, 63 con nota di Collia; Trib. Roma, 7 agosto

1997 in Giur. It. 1998, 2070) e sostanzialmente avallata

dalla Corte Costituzionale, che con ordinanza del 5/7/2002

n. 320 (in Riv. arbitrato 2002, 503 con nota di Sassani)

aveva dichiarato manifestamente inammissibile la questio-

ne di legittimità costituzionale degli articoli 669-quinquies

e 669-octies c.p.c., puntualizzando che “la preclusione, la-

mentata dal remittente, all’ammissione della tutela caute-

lare in presenza di clausola di arbitrato irrituale non di-

scende dalla portata delle norme denunciate – che, nel

loro tenore testuale, si limitano a prevedere, sulla pre-

117

Incontro di studi sulla riforma del processo civile

messa della insussistenza in capo agli arbitri del potere di

concedere provvedimenti cautelari (art. 818 cod. proc. civ.),

il raccordo fra i provvedimenti cautelari adottati dal giudi-

ce ordinario e il giudizio e la decisione arbitrali sul merito

della controversia – ma discende, nella stessa impostazione

del remittente, come conseguenza della configurazione che

egli prospetta – in antitesi ad altre pure avanzate, specie

in dottrina – dell’arbitrato irrituale quale strumento, radi-

calmente diverso dall’arbitrato rituale, di composizione

negoziale delle controversie, non estricantesi in un giudizio,

al quale la tutela cautelare possa collegarsi; che, in defini-

tiva, la questione sollevata non coinvolge problemi di le-

gittimità costituzionale, ma problemi di interpretazione del

sistema normativo e della volontà contrattuale delle parti,

la cui soluzione spetta alla giurisprudenza comune, alla

luce dei principi di inviolabilità del diritto costituzionale alla

tutela giudiziaria e di disponibilità, entro i limiti delle nor-

me imperative, dei diritti spettanti alle parti in relazione a

vicende in cui si estrinseca la loro autonomia” ma era sta-

ta decisamente avversata dalla S.C. (ex pl. Cass. 7/12/

2000 n. 15524, in Giur. It., 2001, 1107 con nota di Canale).

Peraltro, sul piano normativo, l’ammissibilità della tutela

cautelare era stata già praticata per il processo societario

(v. art. 35, comma 5° , d. Lgs. 17/1/2003 n. 5).

1.1 D’altro canto, il discrimen tra arbitrato rituale e arbitrato

irrituale è stato da tempo posto in discussione non solo da

quella parte della dottrina, che privilegia la natura nego-

ziale di entrambi tali istituti (v. Punzi, Disegno sistematico

dell’arbitrato rituale, II, Milano, 2000, p. 81 ss.; contra, v.

in particolare, Ricci, Il nuovo arbitrato societario, Riv. Trim.

Dir. Proc. Civ., 2003, 2, 517) ma, quel che più conta, dalla

giurisprudenza dominante (v. Cass., sez. un., 3 agosto

2000, n. 527; Cass. sez. I, 27 novembre 2001, n. 15023;

Cass. sez. un., 15 giugno 2002, n. 9281; Cass. sez. I, 30

Incontro di studi sulla riforma del processo civile

118

agosto 2002, n. 12714). Peraltro, con riferimento all’arbi-

trato societario, si è autorevolmente osservato che “…la

nuova norma ci dice che nell’àmbito dell’arbitrato societa-

rio originato da clausole compromissorie inserite in atti

costituitivi il problema deve essere risolto in senso positi-

vo. Questa soluzione, mentre risolve un quesito, altri ne

crea: giacché l’applicazione all’arbitrato irrituale delle nor-

me del c.p.c., che coordinano la tutela cautelare con l’ar-

bitrato rituale, è operazione tutt’altro che agevole; e resta

ancora da vedere quale sorte abbia il provvedimento cau-

telare pronunciato in funzione di un arbitrato irrituale, quan-

do dopo la pronuncia del lodo le parti si trovano con una

composizione negoziale della lite anziché con una decisio-

ne. Ma il problema di sapere, come la tutela cautelare possa

coordinarsi con l’arbitrato irrituale, appartiene anche al

diritto comune, per coloro che affermano l’ammissibilità di

quella tutela come regola generale; e qui può essere sol-

tanto ricordato come oggetto di future meditazioni.” (così

Ricci, Il nuovo arbitrato societario, op. cit.).

2. Viene fortemente attenuato il nesso di strumentalità

necessaria tra provvedimenti cautelari anticipatori e giu-

dizio di merito (art. 669-octies). Il legislatore ha, infatti,

ripreso e normativizzato la distinzione a suo tempo elabo-

rata dal Calamandrei tra provvedimenti conservativi

della fruttuosità dell’esecuzione forzata e provvedimenti

anticipatori di provvedimenti decisori (Calamandrei, In-

troduzione allo studio sistematico dei provvedimenti

cautelari, Padova 1936, p. 31 e ss.) ed ha, conseguente-

mente, eliminato l’onere di riassumere o coltivare il giudi-

zio di merito per i provvedimenti anticipatori. Secondo tale

prospettiva, nella categoria dei provvedimenti conservati-

vi vanno ricondotti “i provvedimenti cautelari che servono

esclusivamente a conservare la situazione di fatto e di di-

119

Incontro di studi sulla riforma del processo civile

ritto in vista di una esecuzione forzata” (v. Caponi, La tu-

tela sommaria nel processo societario in prospettiva euro-

pea, Riv. Trim. Dir. Proc. Civ. 2004, 1385), mentre “tutti

gli altri provvedimenti ricadono nella categoria dei prov-

vedimenti anticipatori o di regolamentazione provvisoria,

e così nella regola della strumentalità attenuata” (così

Caponi, op. cit.). In definitiva, avuto riguardo ai procedi-

menti cautelari che trovano la loro regolamentazione nel

codice di procedura civile, tra i provvedimenti conservativi

vanno annoverati i sequestri, mentre i provvedimenti ex

art. 700, la denunzia di nuova opera o di danno temuto

hanno natura anticipatoria. La categoria dei provvedimen-

ti anticipatori risulta, dunque, molto ampia. Quanto alle

misure cautelari cc. dd. “extravaganti” (v. per tale termi-

nologia, Montesano-Arieta, Diritto Processuale Civile, III,

Torino, 1999, pag. 363) quali i sequestri ex art. 146, ult.

Co., e 156 c.c.; la rettifica ex art. 8 L. 8/2/1947 n. 48 e i

numerosi provvedimenti cautelari rivenibile nel codice ci-

vile e nelle leggi speciali, sarà, presumibilmente, la prassi

giurisprudenziale a fornire le indicazioni quanto alla loro

classificazione. Certa è, invece, la natura cautelare antici-

patoria della sospensione delle delibere assembleari

(Caponi, La tutela sommaria, cit., p. 1385).

2.1 La recisione del nesso di strumentalità necessaria

comporta che i provvedimenti cautelari anticipatori si av-

vicinino alla categoria dei provvedimenti sommari sempli-

ficati esecutivi, privi dell’efficacia preclusiva del giudicato

e dotati di una efficacia unicamente esecutiva (Caponi,

Provvedimenti cautelari e azioni possessorie, Foro It. 2005,

V, 136). Va, però evidenziato che “le misure cautelari –

pur quando anticipano gli effetti materiali della decisione

di merito – non ne anticipano mai gli effetti giuridici” (così

Amendola-Ambrosio, Nuovi procedimenti societari, Milano

2004, p. 187).

Incontro di studi sulla riforma del processo civile

120

2.2 L’estinzione del giudizio non travolge il provvedi-

mento cautelare anticipatorio (art. 669-octies) e, se-

condo un’opinione largamente diffusa tra i primi commen-

tatori (Caponi, Asprella, Nela) anche il rigetto della do-

manda “per motivi di rito” non colpisce il provvedimento

cautelare se il vizio non tocca il procedimento cautelare:

l’esempio di scuola è la nullità della citazione per vizio del-

la vocatio in ius. Naturalmente l’incompetenza, il difetto di

giurisdizione, il difetto di legitimatio ad processum non

possono che travolgere anche il provvedimento cautelare.

2.3 L’art. 23, 2° comma, D. Lgs. 17/1/2003 n. 5 (processo

societario) dispone che “il magistrato designato provvede,

in ogni caso, sulle spese del procedimento a norma degli

art. 91 e segg. c.p.c.”. Nel procedimento cautelare unifor-

me, l’art. 669-septies stabilisce, invece, che “se l’ordinan-

za di incopetenza o di rigetto è pronunciata prima dell’ini-

zio della causa di merito, con essa il giudice provvede

definitivamente sulle spese del procedimento cautelare”.

La ratio è agevole: in caso di rigetto, il procedimento si

chiude definitivamente e non occorre iniziare il giudizio di

merito; al contrario, se il provvedimento è accolto, occor-

reva – prima della riforma – iniziare ( a pena di inefficacia)

il giudizio di merito. L’allentamento del nesso di strumen-

talità necessaria con i provvedimenti cautelari-anticipatori

impone, adesso, di stabilire se la disposizione di cui all’art.

23 del processo societario possa trovare applicazione ana-

logica. Ragioni di economia processuale portano a ritenere

che, almeno per i provvedimenti emessi ante causam, possa

farsi applicazione analogica della suindicata disposizione

(Olivieri, Brevi considerazioni sulle nuove norme del pro-

cedimento cautelare uniforme, in www.judicium.it; Ghirga,

Le nuove norme sui procedimenti cautelari, p. 97 in Le

nuove norme processuali e fallimentari a cura di Punzi e

Ricci, Padova 2005).

121

Incontro di studi sulla riforma del processo civile

2.4 Il sistema introdotto sposta, dunque, dall’attore al conve-

nuto l’interesse ad iniziare il processo a cognizione piena:

si è perciò posto il problema se anche l’onere della pro-

va passi a quest’ultimo (Proto Pisani, Foro It. 2005, V,

93). Credo di poter escludere che l’onere della prova pos-

sa essere condizionato dal fatto che sia il convenuto anzi-

ché l’attore ad attivarsi processualmente. L’onere della

prova, disciplinato dall’art. 2697 c.c., com’è noto, costitui-

sce la regola legale di giudizio, con riferimento ai fatti

costitutivi, estintivi, impeditivi della pretesa fatta valere. È

evidente che il convenuto, iniziando il giudizio di merito,

non muta la sua posizione sostanziale in relazione alla ori-

ginaria domanda cautelare, sicché non è tenuto a provare

il fatto negativo dell’insussistenza del diritto cautelando,

posto che l’azione non diviene, in forza dell’atto di impulso

processuale, per una sorta di mutazione genetica, di “ac-

certamento negativo”.

3. L’art. 669-decies consente di meglio limitare l’incerto con-

fine tra reclamo cautelare e modifica-revoca del provvedi-

mento cautelare (art. 669-decies). Detta disposizione va,

peraltro, coordinata con l’art. 669-terdecies che stabilisce

la prevalenza del reclamo, rimedio generale esperibile

contro l’ordinanza con la quale è stato concesso o negato

il provvedimento cautelare.

3.1 Il termine per proporre reclamo è stato esteso da 10 a 15

giorni. Il dies a quo decorre dalla pronuncia in udienza

ovvero dalla comunicazione o dalla notificazione se ante-

riore.

3.2 La fase di reclamo si connota per la sua struttura impu-

gnatoria a devoluzione generale, tipica dell’appello, con

valenza meramente sostitutiva (procedimento volto ad

emanare un provvedimento che tenga luogo del provvedi-

mento reclamato). In sede di reclamo l’intera vicenda può

Incontro di studi sulla riforma del processo civile

122

essere presa in esame, tenendo conto degli sviluppi even-

tualmente verificatisi. Inoltre, il Giudice del reclamo può

sempre “assumere informazioni ed acquisire nuovi

documenti”. La terminologia adoperata (“assunzione di

informazioni” e “acquisizione di documenti”) tradizional-

mente si riferisce a poteri ufficiosi. Non va, però, trascura-

to che il giudizio di merito è caratterizzato dalla disponibi-

lità dei mezzi di prova. Sembra quindi preferibile l’inter-

pretazione restrittiva, essendo evidente che il giudice del

reclamo non può disporre di maggiori poteri inquisitori ri-

spetto al giudice del procedimento cautelare o del giudizio

di merito, sì da non porre in discussione il principio dispo-

sitivo (Ghirga, Le nuove norme, op. cit. p. 113). Ad ogni

modo, la norma innova solo quanto alla possibilità di ac-

quisizione dei documenti, posto che l’art. 738, al quale già

rinvia il 3° comma dell’art. 669-terdecies, dispone in ef-

fetti che “il giudice può assumere informazioni”. Infine,

normativizzando soluzioni già consolidate nell’elaborazio-

ne giurisprudenziale, l’art. 669-terdecies sancisce il divie-

to di rimessione della causa al primo giudice.

3.3 Esaurita l’eventuale fase di reclamo, l’art. 669 decies di-

spone che competente a provvedere per la revoca-modi-

fica – anche se il provvedimento è stato emesso sul

reclamo – sia il G.I. della causa di merito; se il giudizio di

merito non sia, invece, iniziato o sia stato dichiarato estin-

to, la revoca-modifica può essere chiesta allo stesso giudi-

ce che ha provveduto sull’istanza cautelare “quand’anche

si tratti del giudice del reclamo” (Ghirga, Le nuove norme,

p. 103). Tale soluzione si imporrebbe, secondo un’opinio-

ne, anche nel caso che il giudizio versi in una fase di

quiescienza tipica delle cc.dd. “vicende anomale” del pro-

cesso, quali l’interruzione o la sospensione (Ghirga, op.

cit.), ma tale equiparazione delle vicende anomale all’estin-

zione del giudizio sembra piuttosto arbitraria, militando in

123

Incontro di studi sulla riforma del processo civile

senso contrario l’impianto normativo, quale si desume –

tra l’altro- dalle disposizioni di cui all’art. 699 (“l’istanza di

istruzione preventiva può anche essere proposta in corso

di causa e durante l’interruzione o la sospensione del giu-

dizio”) e 48 c.p.c. -.

3.4 La revoca-modifica può essere chiesta non solo per il so-

pravvenuto mutamento oggettivo delle circostanze ma an-

che qualora la parte istante, dopo la pronuncia del provve-

dimento cautelare e decorso il termine per il reclamo, sia

venuta a conoscenza di fatti rilevanti, ancorché anteriori

al provvedimento cautelare stesso, a condizione che la stes-

sa provi che ne abbia acquistato conoscenza “successi-

vamente”. In precedenza, detta possibilità sussisteva solo

se si verificavano “mutamenti nelle circostanze”. Con rife-

rimento al cautelare societario, si è osservato che “il prov-

vedimento avrà efficacia rebus sic stantibus, al pari dei

provvedimenti ex art. 708 c.p.c.” (Amendola-Ambrosio, op.

cit., p. 191).

4. In tema di istruzione preventiva, l’art. 696, nel testo

novellato, ammette la possibilità di un accertamento tec-

nico e/o di un’ispezione giudiziale sia sulla persona della

parte istante sia della parte nei cui confronti l’istanza è

proposta, a condizione che questa vi consenta.

4.1 Non si tratta di una novità assoluta. La questione è stata

in passato ampiamente dibattuta e la Corte Cost., con la

sentenza del 30/1/1986 n. 18 dichiarò inammissibile la

questione di legittimità costituzionale dell’art. 696 comma

1 c.p.c., nella parte in cui, limitando l’ammissibilità del-

l’accertamento tecnico preventivo alla verifica dello stato

dei luoghi e della qualità o condizione di cose, esclude

l’ammissibilità del mezzo istruttorio per la verifica dello

stato o della condizione o qualità della persona umana, in

quanto la persona umana “non può formare oggetto di

Incontro di studi sulla riforma del processo civile

124

provvedimenti cautelari, né il corpo umano può essere

considerato avulso dalla persona” (Corte Cost. 30/1/1986

n. 18). Successivamente, con sentenza n. 471 del 22/10/

90 la Corte Cost. cambiò registro: “Il diniego di accerta-

mento preventivo sul proprio corpo, ai fini di domande

risarcitorie, comporta una limitazione all’esercizio dell’onus

probandi” tale da ledere il diritto di azione tutelato dall’art.

24 comma 1 cost.; pertanto, l’art. 696 comma 2 c.p.c. è

incostituzionale, nella parte in cui non consente di dispor-

re accertamento tecnico o ispezione giudiziale preventiva

sul corpo della persona istante”.

Quindi, con successiva pronuncia del 19/7/1996 n. 257,

ha dichiarato costituzionalmente illegittimo – per contra-

sto con l’art. 24 cost. – l’art. 696 comma 1 c.p.c., nella

parte in cui non prevede che il giudice possa disporre ac-

certamento tecnico o ispezione giudiziale anche sulla per-

sona nei cui confronti l’istanza è proposta, dopo aver-

ne acquisito il consenso (Corte Cost. 19/7/1996 n. 257,

Giust. civ. 1996, I, 2807 con nota di Luiso).

Secondo l’opinione che sembra dominante, anche nell’at-

tuale assetto normativo, la mancanza di consenso non ac-

quista alcuna efficacia di tipo probatorio né “può compor-

tare conseguenze sfavorevoli alla persona nei cui confron-

ti l’istanza è proposta” (Asprella, in Codice Procedura Civi-

le a cura di Nicola Picardi, Commenti al nuovo rito riforma-

to, Milano 2005, sub art. 696, p. 95).

4.2 Inoltre, l’ambito dell’indagine è stato esteso fino a

ricomprendere anche “valutazioni in ordine alle cause e ai

danni relativi all’oggetto della verifica”.

La giurisprudenza dominante delimitava in termini angusti

l’ambito del procedimento, dando corpo all’insegnamento,

piuttosto restrittivo, secondo cui “in sede di accertamento

tecnico preventivo l’individuazione delle cause e dell’enti-

tà del danno lamentato, disposta “contra legem” dal giudi-

125

Incontro di studi sulla riforma del processo civile

ce o effettuata d’iniziativa del consulente, deve conside-

rarsi “tamquam non esset”, poiché, pure in mancanza di

specifiche norme sanzionatorie, siffatto sconfinamento in-

tegra una violazione del principio del contraddittorio, sic-

ché una sanatoria di tale trasgressione è configurabile sol-

tanto quando l’estensione delle indagini sia avvenuta nel

rispetto di quel principio, (per il che non è sufficiente la

sola notifica di cui all’art. 627 c.p.c., ma è necessaria l’ef-

fettiva partecipazione delle parti per un reale e concreto

contraddittorio), ovvero allorché la relazione del consu-

lente sia stata ritualmente acquisita agli atti senza opposi-

zione delle parti: è ritualmente acquisita la relazione ri-

spetto alla quale la parte interessata non abbia immedia-

tamente eccepito la nullità, ai sensi dell’art. 157 c.p.c.,

nella prima istanza successiva al provvedimento dell’istrut-

tore che ha dichiarato ammissibile il mezzo istruttorio, con

la conseguenza che detta nullità non può essere fatta va-

lere in sede di impugnazione, neppure da parte contumace

nel precedente giudizio, atteso che il contumace non è

ammesso a compiere attività precluse, tra le quali rientra

l’estinzione per decorso del termine del potere di deduzio-

ne della nullità” (cfr. Cass. 1/4/2004 n. 6390). Va, però

registrato anche un orientamento più liberale della S.C.:

“Alla luce dei principi costituzionali che garantiscono la tu-

tela in giudizio del proprio diritto e la ragionevole durata

del processo, l’ambito dell’accertamento tecnico preventi-

vo comprende ed include tutti gli elementi conoscitivi con-

siderati necessari per le valutazioni che dovranno essere

effettuate nel giudizio di merito; deve, pertanto, ritenersi

consentito al giudice, in sede di accertamento tecnico pre-

ventivo, demandare al consulente indagini anche concer-

nenti cause ed entità del danno lamentato, purché dette

indagini risultino compatibili con le finalità cautelari del

provvedimento (cfr. Corte cost. n. 388 del 1999 e n. 46 del

Incontro di studi sulla riforma del processo civile

126

1997)” (Cass. 8/8/2002 n. 12007). In effetti, con la citata

pronuncia n. 388 del 1999 la Corte Cost. ha ribadito che

“questa disposizione (art. 696) può essere interpretata, in

coerenza con il sistema ed alla luce dei principi costituzio-

nali che garantiscono la tutela del giudizio del proprio di-

ritto, nel senso che l’accertamento tecnico preventivo “com-

prenda tutti gli elementi conoscitivi considerati necessari

per le valutazioni che dovranno essere effettuate nel

giudizio di merito ed includa, quindi, ogni acquisizione

preordinata alla successiva valutazione, anche tecnica, che

in quel giudizio si dovrà esprimere per determinare la cau-

sa del danno o l’entità di esso” (sentenza n. 46 del 1997).

Ciò che consente l’anticipata e tempestiva raccolta di ogni

elemento di fatto necessario per il giudizio, anche in vista

della quantificazione del danno”.

5. Del tutto diversa, avendo finalità dichiaratamente deflattive,

è la “consulenza tecnica preventiva ai fini della com-

posizione della lite” (art. 696 bis). Il nuovo istituto sem-

bra riconducibile ai metodi di risoluzione alternativa della

controversia, c.d. ADR (acronimo di “alternative dispute

resolution”) nell’ambito di procedimenti giudiziari, in quanto

il consulente è nominato dal giudice (v. Asprella, op. cit.,

p. 97). Secondo la bella espressione del Luiso, “il

conciliatore … svolge lo stesso ruolo che, nelle reazioni

chimiche, svolge il catalizzatore” (Luiso, La conciliazione

nel quadro della tutela dei diritti, in Riv. Trim. Dir. Proc.

Civ. 2004, 4, 1204).

5.1 In particolare, quanto ai rapporti tra giurisdizione e stru-

menti “alternativi” di composizione delle controversie, si è

opportunamente evidenziato che “se appare essenziale al

nascere e allo svilupparsi dello Stato la rivendicazione a

suo favore del diritto esclusivo, del monopolio della forza,

non è altrettanto essenziale il monopolio del diritto. Per-

127

Incontro di studi sulla riforma del processo civile

tanto, anche quando vengono creati sistemi giudiziari con

Tribunali permanenti, deve essere sempre lasciato uno

spazio sociale, nell’ambito del quale possa aversi una pie-

na esplicazione dell’autonomia dei privati … In questo spa-

zio lasciato all’autonomia delle parti, vengono a collocarsi

i mezzi di composizione delle controversie, che sono stati

qualificati “sostitutivi” ovvero “equivalenti” della giurisdi-

zione dello Stato e che, quindi, si attuano al di fuori del-

l’organizzazione giudiziaria dello Stato. … Questi strumen-

ti, che preferisco definire “alternativi” allo jus dicere dello

Stato sono idealmente collocati su di un arco, che da un

lato è delimitato dallo strumento tipico di autocomposizione

– composizione diretta – della controversia, che è la tran-

sazione, e dall’altro da quello tipico di eterocomposizione,

che è l’arbitrato. In una posizione intermedia tra questi

due poli si colloca la conciliazione, che è diversa dall’arbi-

trato, perché è uno strumento di composizione diretta del-

la controversia ad opera delle stesse parti litiganti e quindi

la soluzione della controversia non è rimessa al giudizio di

un terzo – arbitro. Ma è diversa anche dalla transazione,

perché questa si perfeziona con il mero incontro di volontà

delle parti, al coperto anche dei soli occhi, più o meno

discreti, dei terzi, laddove la conciliazione richiede ancora

l’incontro delle volontà delle parti, ma questa volta con la

presenza e con l’intervento attivo di un terzo, che offre

alle parti il suo consilium e cerca di conseguire il concilium,

cioè l’incontro delle volontà delle parti, che a quel consilium

manifestano adesione … “ (così Punzi, L’arbitrato: fecondità

e attualità dell’insegnamento di Salvatore Satta, in Riv.

Trim. dir. Proc. Civ. 2003, 3, 749 e ss.). Si è, inoltre, auto-

revolmente osservato che “la superiorità della risoluzione

consensuale vada individuata nei diversi contenuti che essa

può avere rispetto alla risoluzione eteronoma. La risolu-

zione consensuale della controversia, infatti, proviene da

Incontro di studi sulla riforma del processo civile

128

soggetti che hanno il potere di disporre delle proprie situa-

zioni sostanziali … Dunque, il contenuto dell’atto risolutivo

della controversia, ove esso abbia natura autonoma, è es-

senzialmente atipico.

Al contrario, l’atto risolutivo della controversia, ove esso

abbia natura eteronoma, è essenzialmente tipico, in quan-

to non può avere un contenuto diverso da quello previsto

dalla legge sostanziale, che regola il rapporto (così Luiso,

La conciliazione nel quadro della tutela dei diritti, in Riv.

Trim, Dir. Proc. Civ. 2004, 4, 1203).

5.2 Lo strumento della “consulenza tecnica preventiva” è del

tutto sganciato dai presupposti richiesti per l’accertamen-

to tecnico preventivo e prescinde, in particolare, dall’ur-

genza di acquisire la prova prima del giudizio. Il consulen-

te deve tentare, ove possibile, la conciliazione e, se le par-

ti si conciliano, si forma processo verbale, al quale (art.

696 bis, 3° comma) il giudice attribuisce con decreto effi-

cacia di titolo esecutivo, ai fini dell’espropriazione e

dell’esecuzione in forma specifica e per l’iscrizione

di ipoteca giudiziale. L’incentivo alla conciliazione è dato,

tra l’altro, dalla esenzione dell’imposta di registro. La

finalità è, dunque, quella di evitare giudizi di merito quan-

do la controversia riguardi la quaestio facti e la quantifica-

zione del dovuto: “accertamento” e “relativa determinazio-

ne dei crediti”. Il termine “accertamento” non deve, però,

indurre in equivoco: il CTU può compiere, evidentemente,

indagini e valutazioni di ordine tecnico in ordine alle cause e

ai danni, ma la sua valutazione sarà comunque inidonea a

“fare stato”, ex art. 2909 c.c. -. L’ambito di operatività è sia

la sfera dell’inadempimento contrattuale (ad es. vendita,

appalto, locazione) sia della responsabilità extracontrattuale

(ad es. infortunistica stradale).

5.3 Il procedimento è regolato dalle disposizioni dettate per

l’accertamento tecnico preventivo e dagli artt. 191-197

129

Incontro di studi sulla riforma del processo civile

c.p.c. (v. 5° comma). Anche se non è espressamente ri-

chiamato l’art. 201 c.p.c., deve ritenersi che le parti ab-

biano facoltà di nominare propri consulenti, non essendo

giustificata – in caso contrario- una così incisiva compren-

sione del loro diritto di difesa.

6. L’art. 703 c.p.c., nuovo testo, nel rinviare alle norme del

procedimento cautelare uniforme, precisa che “il Giudice

provvede ai sensi degli art. art. 669-bis e seguenti in quanto

compatibili”.

6.1. Inoltre, l’art. 703, 4°comma, c.p.c. condiziona la fissazio-

ne dell’udienza per la prosecuzione del giudizio di merito

alla richiesta di parte: “se richiesto da una delle parti, en-

tro il termine perentorio di 60 giorni … il giudice fissa di-

nanzi a sé l’udienza … “. In tal modo, il Legislatore contri-

buisce, per un verso, a consolidare l’interpretazione cor-

rente della necessità del merito possessorio e, dall’altro,

pone le condizioni per superare tale interpretazione, ri-

mettendo alle parti la scelta di coltivare o meno tale fase

processuale. Inoltre, stabilendosi che il provvedimento di

fissazione dell’udienza è dovuto a condizione che una delle

parti ne faccia richiesta, giunge a soluzione la querelle cir-

ca il rimedio (impugnazione o reclamo) avverso il provve-

dimento reso dal Giudice senza indicazione in ordine alla

riassunzione del giudizio di merito possessorio.

6.2 Coerente è, peraltro, il richiamo che l’art. 703, 4° comma

opera al terzo comma dell’art. 669-novies, 3° comma: il

provvedimento cautelare perde efficacia se non è stata

versata la cauzione o se, con sentenza, anche non passata

in giudicato, viene dichiarato inesistente il diritto a cautela

del quale è stato concesso il provvedimento provvisorio.

6.3 Altro punctum dolens è l’efficacia del provvedimento

possessorio: come si è già evidenziato, l’art. 669 octies

esclude che l’autorità del provvedimento cautelare possa

Incontro di studi sulla riforma del processo civile

130

invocarsi in un diverso processo. A tal proposito, il Nela

sostiene che è “inaccettabile che il provvedimento

possessorio emesso sia superato da un provvedimento

successivo, reso fra le stesse parti e per una lesione

possessoria identica o assimilabile a quella già sanzionata.

Se un soggetto ha eretto un muro che io ho fatto abbatte-

re, non deve essergli consentito di erigerlo nuovamente,

quantomeno nel senso che – se lo fa – subisce il preceden-

te, e non impone al vincente in sede cautelare gli oneri di

un nuovo accertamento. Quel soggetto – a differenza di

una qualunque parte che ha subito un cautelare non ese-

guito da giudizio di merito – ha lasciato trascorrere il ter-

mine perentorio per agire nel merito, prestando acquie-

scenza alla intangibilità del provvedimento interinale. Ed

infine sono certo esservi almeno un caso nel quale l’auto-

rità di un provvedimento possessorio è sicuramente

invocabile in un diverso processo. In un processo fra le

stesse parti, avente ad oggetto l’accertamento del matu-

rare dell’usucapione, il soggetto che vanti l’usucapione non

potrebbe non fondare la propria domanda anche sulla con-

cessione a suo tempo ed a suo favore di un interdetto

possessorio, a cui le parti non hanno ritenuto di far segui-

to con la fase di merito. Ai sensi dell’art. 1167, 2° comma,

c.c., infatti, “l’interruzione (della usucapione) si ha come

non avvenuta se è stata proposta l’azione diretta a recu-

perare il possesso e questo è stato recuperato”. La manife-

stazione di possesso, data dall’ottenimento di un interdetto

a ledere quel possesso, è insomma troppo forte per poter

esser pretermessa allorché in futuro si discuta della

usucapione che su quel possesso si fonda.” (Nela, Procedi-

menti cautelari, possessori, di istruzione preventiva di sepa-

razione nel decreto sulla competitività, www.judicium.it).

Va, però osservato che la disposizione di cui all’art. 1167,

2° comma, si limita ad escludere rilievo alla interruzione

131

Incontro di studi sulla riforma del processo civile

del possesso “se è stata proposta l’azione … e questo è

stato recuperato”, sicché non occorre porre mente all’au-

torità del provvedimento interdettale possessorio, ma al

fatto oggettivo che il possesso sia stato recuperato a se-

guito dell’azione proposta dal possessore spogliato.

6.4 L’art. 704, 2° comma, in relazione alla domanda proposta

nella pendenza del giudizio petitorio, dispone coerente-

mente che ciascuna parte possa proseguire il giudizio, così

eliminando l’automatica prosecuzione dinanzi al giudice del

petitorio (v. Caponi, Provvedimenti cautelari e azioni

possessorie, Foro It., V, 2005, 140).

Ma è tempo di concludere!

La riforma presenta aspetti certamente apprezzabili, in par-

ticolare laddove persegue l’intento di deflazione il ricorso al

giudizio, rimuovendo – come si è visto – le esigenze esterne,

“imposte” dal rito.

Sono però convinto che ogni rito presenti un costo da paga-

re, costo che soltanto con il passare del tempo e il consolidarsi

degli orientamenti giurisprudenziali, tende a diminuire.

Osservo, in particolare, che la molteplicità dei riti crea gran-

di incertezze e forti disagi anche nella concreta gestione delle

udienze. Avrei, perciò privilegiato interventi sull’organizzazio-

ne giudiziaria (cancelliere e segreterie giudiziarie, ufficio noti-

fiche, attrezzature di supporto, edilizia giudiziaria, ecc.).

E riconosco di essere scetticamente persuaso che nessun

rito, per quanto pregevole nella sua astratta articolazione, po-

trà sopperire alla diligente e leale capacità del difensore di

saper cogliere gli aspetti essenziali della res iudicanda, si da

offrire al giudice gli “allegata ac probata” su cui costruire una

giusta decisione.

Sono, però, parimenti e forse ancor più convinto che nessu-

na riforma potrà aver buon esito se il magistrato chiamato a

giudicare non saprà cogliere con la diligenza e l’intelligenza

Incontro di studi sulla riforma del processo civile

132

necessarie l’essenza delle questioni dibattute dalle parti.

Mi auguro, perciò, che fin da subito, superata l’«orgia

riformistica», che nell’ultimo decennio si è abbattuta sul pro-

cesso civile, un’Avvocatura, consapevole della sua forza e del-

la dignità del suo ruolo professionale, sappia lealmente con-

frontarsi dialetticamente con una Magistratura, altrettanto con-

sapevole ed orgogliosa delle sue prerogative istituzionali e

della sua nobile funzione, sicché il processo possa avere per

esito non una decisione purchessia, ma una decisione giusta e

persuasiva.

La Relazione del Prof. Francesco Luiso

sarà pubblicata su altro numero della Rivista

133

Il tentativo di conciliazione

Il tentativo di conciliazione

Aspetti sostanziali e processuali

in comparazione tra il diritto civile

e quello canonico (l’art. 708 c.p.c. ed i

canoni 1676 e 1695 CJC a confronto)

La nuova Instructio Dignitas Connubii

di Stefano Sinisi

In questo momento storico in cui la crisi della famiglia sem-

bra acuirsi e dilatarsi al di là di confini spazio-temporali ben de-

finiti ed in cui il tradizionale ruolo da essa ricoperto vacilla e si

disgrega sempre più progressivamente, occorrerebbe che l’ope-

ratore del diritto si interrogasse con grande attenzione sui rimedi

che la normativa appronta per far fronte a tale urgenza.

Ecco allora che al di là delle indagini socio-culturali (che

lasciamo ad altri) sulla genesi e lo sviluppo della disgregazione

del nucleo familiare, questo, pur rimanendo la base del tessu-

to sociale evidenzia sempre di più il suo triste declino. Ci si può

però utilmente interrogare sui quei mezzi che il diritto, pur con

tutti i suoi limiti, pone a disposizione del tecnico specializzato.

È interessante quindi affrontare un’analisi comparativa su

un istituto che sembra essere ormai demodé, quello del tenta-

tivo di conciliazione, attraverso la lettura diversa ma sicura-

mente interconnessa che dello stesso istituto danno due nor-

me di due apparti giuridici diversi: il tentativo da esperirsi da

parte del Presidente del Tribunale Civile nei casi di separazione

e cessazione degli effetti civili del matrimonio e lo stesso ten-

tativo che durante il processo canonico deve essere effettuato

nel suo svolgimento.

Come vedremo al di là di tempi e modi, in parte diversi e in

parte affini, rimane un unico grande, forse ambizioso tentati-

vo, quello di salvare la coppia in crisi. Forse però con un istitu-

to che è da ripensare.

Il tentativo di conciliazione

134

L’articolo 708 c.p.cD”

L’ordinamento civile italiano riconosce la possibilità di una

riconciliazione tra i coniugi, anche se su basi e presupposti

diversi rispetto all’ordinamento canonico.

Civilmente la riconciliazione tra i separandi è affidata for-

malmente soltanto all’obbligatorio tentativo di conciliazione

previsto ai sensi dell’articolo 708 c.p.c.

1

.

Infatti, l’intervento di istituti ausiliari, quali i consultori o

altri servizi sociali, è del tutto insufficiente ad affrontare seria-

mente un tentativo per la riconciliazione dei coniugi, tanto da

auspicare nuove ed alternative forme di composizione dei con-

flitti.

Più concretamente la riconciliazione si viene a realizzare, ed

in casi comunque sporadici, spontaneamente, grazie all’inizia-

tiva personale dei coniugi o alla mediazione degli avvocati de-

gli stessi, dato che lo stato di separazione non dovrebbe ipote-

ticamente evolvere per forza di cose verso lo scioglimento del

matrimonio e la conseguente disgregazione della famiglia. I

coniugi potrebbero di comune accordo far cessare lo spatium

separandi ripristinando la convivenza coniugale nella sua to-

talità, anche senza l’intervento del giudice.

Aspetto formale

Da un punto di vista formale e processuale “la lite giudiziaria

nella quale prendono forma le cause di separazione tra coniu-

gi, ha inizio con ricorso a seguito del quale viene fissata

un’udienza preliminare davanti al Presidente. Questa udienza

ha due scopi fondamentali: far esperire il tentativo di bonario

1

In materia di divorzio rileva anche l’art.4, comma 7 della L.1.12.1970

n.898.

135

Il tentativo di conciliazione

accomodamento per indurre i coniugi a riconciliarsi o quanto

meno di effettuare una separazione consensuale che eviti la

lite giudiziaria; far assumere i provvedimenti provvisori ed ur-

genti se il tentativo di bonario accomodamento fallisce ed il

Presidente debba rimettere le parti davanti al giudice istrutto-

re per l’inizio della causa vera e propria”

2

.

È comunque controverso in dottrina il concetto di conciliazio-

ne. Una parte, che fa capo al CARNELUTTI

3

, ritiene che l’attività del

Presidente del Tribunale debba essere interpretata come tentati-

vo di far riprendere ai coniugi la convivenza; un’altra parte ritie-

ne invece che il tentativo del Presidente debba essere finaliz-

zato ad ottenere dall’attore una rinuncia all’azione

4

.

Lo scopo di questa udienza, così come pensato e voluto dal

Legislatore, era pertanto assolutamente legittimo, visto che in

dottrina era considerato un valido aiuto per il magistrato nel

cercare di ricomporre le insorgende liti tra i coniugi

5

e la cui

ratio doveva “essere ancora una volta ritrovata nel principio

del favor matrimonii e nell’intento del legislatore di ostacolare

il più possibile l’azione di separazione”

6

.

Il DALL’ONGARO, per esempio, riteneva non più tardi del 1987

che, attesa la particolare natura delle cause di separazione,

nelle quali “prende ampia parte il sentimento, queste possono

esplodere all’improvviso con manifestazioni di rilevante entità

o con mene persecutorie che … esigono il sollecito intervento

2

F. DALL’ONGARO, Significato e valore dell’udienza preliminare davanti al

Presidente nelle cause di separazione tra coniugi e la L. 6 marzo 1987, n.74,

in Dir. Fam., Milano, 1987, p.805.

3

F. CARNELUTTI, Forma e prova della riconciliazione fra coniugi, in Riv. dir.

proc., Padova, 1937, II, p.160 e ss.

4

Cfr. per tutti C. MANDRIOLI, Il procedimento di separazione consensuale,

Torino, 1962, p.59.

5

Cfr. per tutti il pensiero di REDENTI E., Diritto processuale civile, III,

Milano, 1957, p.363 e ss.

6

Cfr. R. BARCHI, voce Separazione personale dei coniugi, in Enciclopedia

Giuridica Treccani, XXVIII, Roma, p.6 e F. CIPRIANI, I provvedimenti presiden-

ziali «nell’interesse dei coniugi e della prole», Napoli, 1970, p.135 e ss.

Il tentativo di conciliazione

136

del magistrato nell’interesse dei coniugi e della prole. È per

questo opportuno che la parte possa essere ascoltata in tempi

brevi dal Presidente”

7

.

Lo stesso Autore si soffermava anche a considerare che i

compiti svolti dal Presidente, potrebbero sì essere svolti dal-

l’istruttore della causa ma era preferibile che rimanessero nel-

la competenza presidenziale sia a motivo della maggiore espe-

rienza del Presidente rispetto al giudice istruttore, sia a motivo

del tempo che dovrebbe intercorrere tra le due fasi e che in

teoria potrebbe consentire “fruttuose mediazioni” e “nuovi sug-

gerimenti conciliativi”

8

.

Purtroppo la realtà odierna, punto di arrivo di una lenta ed

inesorabile deriva processuale e sostanziale nel diritto di fami-

glia, è ben diversa e il tentativo di conciliazione ha ormai perso

la sua originaria funzione, tanto che, di fatto, oggi viene utiliz-

zato solo per l’eventuale conversione della separazione da

giudiziale a consensuale e del divorzio da litigioso a congiun-

to

9

.

Il tentativo che dovrebbe essere esperito dal Presidente si è

ormai reso del tutto superfluo e “la possibilità che all’udienza

presidenziale si raggiunga un accordo tra i separandi tale da

modificare il titolo della separazione è rimessa attualmente

alla sensibilità e all’attenzione di alcuni magistrati. Nella mag-

gioranza dei casi, infatti, il giudice non è in grado di svolgere

un ruolo mediativo, incapace perché privo delle necessarie

conoscenze interdisciplinari e privo del tempo necessario per

poter approfondire gli aspetti del singolo caso, da ciò la inevi-

tabile emanazione di provvedimenti temporanei ed urgenti che

7

F. DALL’ONGARO, Significato e valore dell’udienza preliminare davanti al

Presidente nelle cause di separazione tra coniugi e la L.6 marzo 1987, N.74,

cit., p. 806.

8

Ibidem.

9

Cfr. per es. Relazione del Procuratore Generale della Corte d’Appello di

Firenze per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2000, Firenze, 15.1.2000, s.p.

137

Il tentativo di conciliazione

si ripetono pedissequamente… senza tener conto della pecu-

liarità dei casi singoli”

10

.

Il tentativo di conciliazione si è ormai quindi esaurito nella

tipica verbalizzazione che ha per oggetto la frase “fallito il ten-

tativo di conciliazione” e questo perché “la conciliazione coin-

volgendo unicamente o preponderatamente aspetti emotivi è

vicenda intima antitetica all’intervento di un terzo ed in specie

del Presidente del Tribunale”

11

.

Anche la riconciliazione nella fase istruttoria ha poche pro-

babilità di riuscita e se riesce, ciò è dovuto solo al fatto che le

parti preferiscono arrivare ad un accordo che, da una parte

eviti il prolungarsi per anni della causa e dall’altra eviti loro

l’umiliazione del contesto in cui il conflitto dovrebbe svolgersi

(udienze fin troppo pubbliche, scarsa attenzione dei magistrati,

scarso tempo a disposizione dei coniugi e dei loro difensori)

12

.

10

F. CAIA, Mediazione e conciliazione nel processo matrimoniale, in Una

giustizia senza processo, Atti del congresso dell’AIGA. Palermo 28-29 mag-

gio 1999, Palermo, 1999, s.p.; cfr. anche F. TOMMASEO, Divorzio, in Commentario

al diritto italiano della famiglia, a cura di Cian, Oppo, Trabucchi, VI, 1, sub,

art. 4 legge 898/1970, Padova, 1993, 274-275, laddove si insiste: “Il tenta-

tivo di conciliazione, espressione d’un favor matrimonii in cui si manifesta

l’interesse dello Stato alla conservazione del nucleo familiare, è diventato nel-

l’esperienza applicativa, data l’estrema rarità delle conciliazioni effettivamente

raggiunte, occasione per effettuare una sorta d’interrogatorio libero delle

parti: in altre parole, esso adempie a una funzione istruttoria, poiché per-

mette al presidente d’assumere le informazioni che gli consentono di pro-

nunciare i provvedimenti interinali nell’interesse dei coniugi e della prole”.

11

F. CAIA, Mediazione e conciliazione nel processo matrimoniale, cit., s.p.

E’ di stridente evidenza come la tesi del DALL’ONGARO, temporalmente non

così lontana, sia ormai divenuta superata dalle molteplici e complesse realtà

quotidiane che devono affrontare i magistrati deputati al diritto di famiglia

(n.d.a.).

12

Cfr. F. CAIA, Mediazione e conciliazione nel processo matrimoniale, cit.,

s.p. D’altra parte “il giudice istruttore, indipendentemente dalla buona vo-

lontà del singolo magistrato, si trova in vario modo prigioniero della logica

del processo ordinario, fatta di lungaggini, formalismi, rinvii per esame, udien-

ze apposite per la precisazione delle conclusioni e l’assegnazione a senten-

za”. In tal senso M. DOGLIOTTI, Il giudice della separazione e del divorzio ed i

servizi sociali, in Dir. Fam., Milano, 1985, p.351.

Il tentativo di conciliazione

138

La complessità delle relazioni familiari, il contemporaneo

coinvolgimento di interessi patrimoniali e morali, “necessita di

interventi specializzati e specialistici”

13

, nonché la ricerca di

nuove forme di composizione dei conflitti. Ecco perché, forse,

occorrerebbe ripensare interamente le norme che regolano il

diritto di famiglia, il suo processo e l’autorità giudiziaria com-

petente ad occuparsene.

Ciò che appare evidente è che il procedimento presidenziale

è stato ormai trasformato nel tentativo di tutelare le posizioni

patrimoniali dei coniugi e la soluzione di questioni delicate come

quelle legate alla prole, tralasciando la funzione conciliativa.

Anche l’intervento conciliativo dell’avvocato delle parti è

assolutamente insufficiente; infatti, all’avvocato non può es-

sere demandato un compito di conciliazione, se non nell’ambi-

to di una buona volontà o predisposizione del singolo, senza

considerare che in assenza di una specifica preparazione in

materia, nessun fruttuoso risultato potrà essere raggiunto.

Aspetto sostanziale

Ben più importanti, secondo l’ordinamento civile e da un

punto di vista strettamente sostanziale, sono le norme che il

codice prevede per definire e disciplinare la riconciliazione e

precisamente gli articoli 154 e 157 c.c., il primo titolato pro-

prio Riconciliazione, mentre il secondo Cessazione degli effetti

della separazione.

Il codice del 1942, “coerente con il sistema fondato su ipo-

tesi tipiche di colpa, per violazione di specifici doveri derivanti

dal matrimonio… qualificava la riconciliazione come fattispecie

estintiva del diritto di chiedere la separazione; tanto che sul

piano processuale la sua alligazione seguiva il regime delle

eccezioni in senso stretto. Essa importava l’abbandono della

13

F. CAIA, Mediazione e conciliazione nel processo matrimoniale, cit., s.p.

139

Il tentativo di conciliazione

domanda già proposta e, se intervenuta dopo la sentenza, ne

faceva cessare gli effetti”

14

.

La dottrina e la giurisprudenza desunsero pertanto l’impos-

sibilità di utilizzare i fatti antecedenti alla riconciliazione quale

causa petendi di una nuova domanda di separazione (cfr. a tal

proposito Cass. Civ. 20.1.1975 n.227 in Giur. It., 1976, I, 1,

p.804)

15

; per la quale erano invece necessari ed “essenziali

anche il perdono delle colpe e la cancellazione dello stesso

ricordo del passato. E sebbene l’uno e l’altra avessero un sen-

so solamente in funzione del ripristino del consorzio familiare,

l’art.157 ipotizzava che la riconciliazione potesse aver luogo

sia per espressa dichiarazione dei coniugi, sia per il fatto della

coabitazione; e la giurisprudenza aveva avvertito per entram-

be le ipotesi l’esigenza di un particolare intento conciliativo (il

cosiddetto animus conciliandi)”

16

.

Addirittura si poteva affer-

mare che la mera coabitazione dei coniugi sotto lo stesso tetto

fosse inidonea ad integrare la fattispecie dell’estinzione della

separazione, se la compresenza dei coniugi fosse da ricondur-

re a cause diverse dalla volontà di riconciliazione e non impor-

tasse la ripresa della vita in comune

17

.

Con la riforma del 1975 però il panorama legislativo si è

completamente modificato e la “riconciliazione non rileva più sotto

il profilo di specifici addebiti; ma conserva il suo significato di

piena ricostituzione del consorzio coniugale e di superamento

della situazione di intollerabilità della prosecuzione della convi-

venza, che sola giustificherebbe la separazione dei coniugi”

18

.

14

F. MOROZZO DELLA ROCCA, in Enciclopedia del Diritto, voce Separazione

personale (dir. priv.), XLI, Milano, 1989, p. 1401.

15

A favore di tali tesi cfr. in dottrina A. FINOCCHIARO - M. FINOCCHIARO, Diritto

di famiglia, Milano, 1988, p.546.

16

F. MOROZZO DELLA ROCCA, in Enciclopedia del Diritto, cit., p.1401. Cfr.

anche Cass. Civ. 14.12.1949 n.2594, in Foro Pad., 1951, I, p.243 e Cass.

Civ. 3.4.1979 n.1883, in Giust. Civ., 1979, I, p. 1193.

17

Cfr. al riguardo Cass. Civ. 6.2.1976 n.414, in Foro It., 1976, I, p.272.

18

F. MOROZZO DELLA ROCCA, in Enciclopedia del Diritto, cit., p. 1401.

Il tentativo di conciliazione

140

Pertanto l’art.154 del codice civile attualmente vigente non

qualifica la riconciliazione come fattispecie estintiva della se-

parazione, bensì come un abbandono della domanda presen-

tata perché non più sorretta da un interesse attuale. Il FINOC-

CHIARO precisa che “i coniugi… in qualsiasi momento possono,

di comune accordo, fare cessare gli effetti della sentenza di

separazione, senza che sia necessario l’intervento del giudice,

con una espressa dichiarazione o con un comportamento non

equivoco che sia incompatibile con lo stato di separazione”

19

.

La nuova norma ha introdotto il concetto del comportamen-

to non equivoco ed incompatibile con lo stato di separazione,

adeguandosi all’elaborazione giurisprudenziale più recente, ma

così facendo si è posto in dottrina il problema della natura

della riconciliazione, risolto comunque dalla stessa nel senso

di considerarla un atto avente natura negoziale

20

.

Anche il secondo comma dell’art.157 va letto nell’ottica del-

la riforma del 1975, per cui potendo la separazione essere

pronunciata solo in relazione a fatti e comportamenti soprav-

venuti, si esclude che i comportamenti anteriori alla ricostitu-

zione della comunione coniugale possano costituire il fonda-

mento per una pronuncia di addebito

21

.

Pertanto per riconciliazione fra i coniugi deve intendersi “una

situazione di completo ed effettivo ripristino della convivenza, me-

diante ripresa dei rapporti materiali e spirituali tali da dimostrare

una seria e comune volontà di conservazione del rapporto”

22

.

19

M. FINOCCHIARO, Con il provvedimento di omologazione del tribunale scio-

glimento automatico della comunione legale, in Dossier mensile di Guida al

diritto, n. 11, Milano, 1995, p. 57.

20

Cfr. Cass. Civ. 28.1.1982 n.559, in Giust. Civ., 1982, I, p.907 e Cass.

Civ. 29.4.1983 n.2948, in Giur. It., 1983, I, 1, p. 1233. Sul punto la dottrina

appare divisa ma propende maggiormente per la tesi negoziale; v. per tutti

A. FALZEA, La separazione personale dei coniugi, Milano, p. 197.

21

F. MOROZZO DELLA ROCCA, in Enciclopedia del Diritto, cit., p.1402

22

Ex multis Cass. Civ. sez. I, 29.11.1990 n.11523, in Giur. It., 1991, I, 1,

p. 1022; Cass. Civ. Sez. I, 28.02.2000 n. 2217; Cass. Civ. Sez. I, 15.03.2001

n. 3744; Cass. Civ. Sez. I, 07.07.2004 n. 12427.

141

Il tentativo di conciliazione

Anche la giurisprudenza successiva alla riforma ritiene che

“non possa ravvisarsi riconciliazione nella ripresa della convi-

venza avvenuta solo ai fini di sperimentare per un tempo de-

terminato se il consorte si è ravveduto o nell’ipotesi in cui sia-

no intercorsi tra i coniugi rapporti sessuali, senza essere ac-

compagnati da altre manifestazioni di affetto”

23

.

Da questa breve disamina della riconciliazione per il diritto

civile, si può notare che essa va ad incidere su piani totalmen-

te diversi da quelli canonistici e sia la dottrina che la giurispru-

denza affrontano questo tema in relazione ad un unico proble-

ma: quello della relazione tra riconciliazione, regime patrimo-

niale della famiglia e tutela dell’eventuale prole, rifuggendo

naturalmente qualsiasi aspetto di tipo pastorale ma tralascian-

do, al contempo, un realistico tentativo di recupero della fami-

glia in crisi.

I canoni 1676 e 1695 CJC. Nuova Instructio Dignitas

Connubii

Di tutt’altra natura, ma con lo stesso dichiarato obiettivo di

evitare la disgregazione della famiglia, sono le norma del Co-

dice di Diritto Canonico che affrontano il problema del tentati-

vo di conciliazione processuale.

Pur essendo vero che il matrimonio è sempre lo stesso con

gli stessi immutabili problemi, ciò che è venuto forse a manca-

re è proprio quell’impegno di fondo degli aspiranti al matrimo-

nio a curare il possesso delle qualità fondamentali ed idonee

ad impostare e mantenere salda e progressiva la comunità

coniugale.

23

M. MANTOVANI, voce “Separazione personale dei coniugi”: I, in Enciclope-

dia Giuridica Treccani, XXVIII, Roma, 1992, pp.31-32. Inoltre cfr. Cass. Civ.

6.2.1976 n. 414, in Foro It., 1976, I, p. 272 e Cass. Civ. 17.11.1983 n. 6860,

in Dir. Fam., 1984, p. 62.

Il tentativo di conciliazione

142

La crisi coniugale, che scoppia a volte improvvisa come un

temporale estivo, ma a volte cresce lentamente come una

metastasi invasiva che avvelena l’esistenza di chi ha scelto

uno stato di vita non scontato ma concordato nei reciproci

intenti e non retto da norme fisse ed inamovibili, va prevenuta

e/o curata con mezzi adeguati ed impegno costante.

Pertanto, al di là di un’auspicabile conversione di mentalità

e stili di vita, che prescindono la vita ‘insieme’, questa crisi

deve essere affrontata da lontano con un’educazione familiare

e scolastica improntata nuovamente al rispetto dei principi cri-

stiani ed aiutata da una migliore e più efficace preparazione

degli sposi al matrimonio

24

.

Ciò premesso, va ricordato innanzitutto che il principio teo-

logico-pastorale enunciato dal canone 1446 del CJC

25

(ossia

quello di cercare una equa composizione delle liti insorgenti) e

centralizzato nel canone 1155, pervade tutto il codice di diritto

canonico del 1983. D’altra parte il concetto per cui “la concor-

dia, la pace e l’amore dovrebbero sempre regnare fra gli uomi-

ni, soprattutto fra i cristiani e… le liti dovrebbero scomparire”

26

risale direttamente all’insegnamento di Cristo

27

.

24

Il primo passo sarebbe proprio quello di superare la desacralizzazione

del matrimonio che noi operatori dei tribunali civili ed ecclesiastici riscontria-

mo nei giovani di oggi abituati a ridurre il matrimonio alla celebrazione di

una semplice routine sociale, ad una cerimonia tesa all’ostentazione del ‘più

bello’ ma non più incline all’approfondimento della radice della scelta del

vivere insieme per sempre con una seria progettualità futura (n.d.a.).

25

Can. 1446 CJC: Ҥ 1. Christifideles omnes, in primis autem Episcopi,

sedulo annitantur ut, salva iustitia, lites in populo Dei, quantum fieri possit,

vitentur et pacifice quam primum componantur. § 2. Iudex in limine litis, et

etiam quolibet alio momento, quotiescumque spem aliquam boni exitus

perspicit, partes hortari et adiuvare ne omittat, ut de aequa controversiae

solutione quaerenda communi consilio curent, viasque ad hoc propositum

idoneas ipsis indicet, gravibus quoque hominibus ad mediationem adhibitis.

§ 3. Quod si circa privatum partium bonum lis versetur, dispiciat iudex num

transactione vel arbitrorum iudicio, ad normam cann. 1713-1716, contro-

versia finem habere utiliter possit”.

26

L. CHIAPPETTA, Il codice di diritto canonico, Roma, 1996, III, p. 52.

27

Cfr. Mt. 5, 25.39-41.

143

Il tentativo di conciliazione

Ecco perché il canone 1446 ammonisce tutti i cristiani a far

il possibile e l’impossibile affinché si evitino le liti o le stesse si

compongano quanto prima, fermo restando il rispetto della

giustizia

28

. Questo invito, indirizzato molto opportunamente a

tutti i christifideles, riguarda più specificatamente i “Vescovi,

cui è confidata la promozione e la tutela della comunione e vi

officii, i giudici, i quali devono cercare occasioni di riconcilia-

zione, non solo «in limine litis, et etiam quolibet alio momen-

to» (can.1446 §2)”

29

. In altre parole la ricerca di una soluzio-

ne è finalizzata non solo alla pacifica soluzione della controver-

sia, ma si propone anche come tentativo di riconciliazione per

riavvicinare e riportare alla comunione interpersonale le parti

in lite.

Questa raccomandazione di comporre i conflitti, attraverso la

conciliazione extragiudiziaria viene richiamata anche dai canoni

1676 e 1695

30

visto che “Il dovere del giudice di tentare una

riconciliazione tra le parti incombe… su di lui anche nel proces-

so di nullità matrimoniale e di separazione dei coniugi”

31

.

E al riguardo il compianto Avv. PIOMELLI, raffinato studioso e

valente avvocato rotale, ricordava che già l’art. 65 dell’Istru-

zione Provvida Mater del 15.08.1936 si occupava del tentativo

di riconciliazione

32

, mentre con la nuova codificazione canonica

“l’obbligo di tentare la riconciliazione tra i coniugi in tutti i casi

dell’accusata nullità del matrimonio, e non solo per il caso si

consensus coniugis sufficiat ad illud impedimentum removen-

dum, si è cercato di affidarlo direttamente al giudice … in que-

28

Cfr. L. CHIAPPETTA, Il codice di diritto canonico, cit., III, p. 52.

29

P. V. PINTO, I processi nel codice di diritto canonico, Roma, 1993, p. 465.

30

Cfr. P. V. PINTO, I processi nel codice di diritto canonico, cit., p. 13.

31

R. BERTOLINO, La tutela dei diritti nella Chiesa. Dal vecchio al nuovo

Codice di Diritto Canonico, Torino, 1983, p. 121.

32

G. PIOMELLI, La riconciliazione: officium iudicis nel precontenzioso matri-

moniale e ratio essendi et agendi nel processo di nullità di matrimonio, in

Crisi coniugale: riconciliazione e contenzioso giudiziario, Città del Vaticano,

2001, p.59.

Il tentativo di conciliazione

144

sto modo… il nuovo canone 1676 sancisce come primo dovere

nell’officium iudicum nel processo matrimoniale, e precisamente

ancor prima dell’ammissione del libello, ed inoltre ogni qualvolta

che si intravede la speranza di buon esito, di mettere in opera

tutti i mezzi pastorali per indurre i coniugi a convalidare il

matrimonio e a restaurare la vita comune. Lo stesso obbligo

spetta al giudice anche nelle cause di separazione, cioè affin-

ché si adoperi ad indurre i coniugi a ripristinare la convivenza

coniugale”

33

.

Il canone 1676, in accordo con tutta la tradizione canonica,

“recuerda al juez el deber de realizar el principio de comunión

eclesial a través de la reconciliación y la composición pacífica

de los litigios entre los fieles”

34

.

Il testo del canone è il seguente: “Iudex, antequam

causam acceptet et quotiescumque spem boni exitus

perspicit, pastoralia media adhibeat, ut coniuges, si fie-

ri potest, ad matrimonium forte convalidandum et ad

coniugalem convictum restaurandum inducantur”

35

.

La norma esprime chiaramente “l’interesse del legislatore

canonico di evitare il più possibile le cause … imponendo ai

giudici l’obbligo di avvalersi di tutti quei mezzi pastorali che

ritenga più opportuni onde venga raggiunto un accordo tra le

parti”

36

.

È quindi la legge ecclesiale ad imporre “al giudice il

dovere canonico-pastorale di realizzare il principio di comunio-

33

A. STANKIEWICZ, I doveri del giudice, in AA. VV., Il processo matrimoniale

canonico, Città del Vaticano, 1994, p. 306-307.

34

A. STANKIEWICZ, in Comentario exegético al código de derecho canónico,

a cura di MARZOA A. - MIRAS J. - RODRIGUEZ-OCANA R., V/2, Pamplona, 1997, p.

1882 ed anche A. STANKIEWICZ, I doveri del giudice nel processo matrimoniale

canonico, in Apollinaris, 60, Roma, 1987, p. 210 e ss.

35

“Il giudice, prima di accettare la causa ed ogniqualvolta intraveda una

speranza di buon esito, faccia ricorso a mezzi pastorali, per indurre i coniugi,

se è possibile, a convalidare eventualmente il matrimonio e a ristabilire la

convivenza coniugale”.

36

L. MADERO, in Codice di diritto canonico, a cura di LOMBARDIA P. e J. I.

ARRIETA, edizione italiana a cura di L. CASTIGLIONE, II, Roma, 1987, p. 1210.

145

Il tentativo di conciliazione

ne ecclesiale tramite la riconciliazione e la composizione paci-

fica delle liti tra fedeli”

37

.

Pertanto l’obbligo solenne “sancito dal prescritto generale

del can. 1446, vale ancor più per un sacramento così impor-

tante. Potrà sembrare una norma un po’ superflua, se si pensa

che al momento dell’introduzione del libello, le parti sono spesso

irrimediabilmente in crisi.

Tuttavia la sacralità del matrimonio e l’ansia della Chiesa

per la stabilità dell’istituto familiare, impongono al giudice di

tentare ogni possibile mezzo pastorale per la riconciliazione

degli sposi… alla riconciliazione si giunge con la convalida se la

nullità è certa o dubbia; con il ristabilimento della vita coniu-

gale, se il matrimonio risulta valido”

38

.

Il giudice assolve questo dovere “tanto antes de la aceptación

de la demanda, como durante el curso del proceso, por ejemplo

en la sesión para la concordancia del «dubium», o durante el

interrogatorio de las partes, o en otro momento que considere

adecuado para ese fin”

39

.

Questa funzione pastorale così rilevante il giudice deve eser-

citarla personalmente oppure individuando quelle persone

(come ad es. i parroci) che possono aiutare i coniugi in crisi

40

;

aiutando la parte in difficoltà a “descubrir de nuevo y a revivir

37

A. STANKIEWICZ, I doveri del giudice, cit., pp. 304-305.

38

P. V. PINTO, I processi nel codice di diritto canonico, cit., pp. 502-503.

L’Autore in nota a pag. 502 rileva anche come sul compito di tentare la

riconciliazione, si sia storicamente passati da una competenza propria del-

l’Ordinario prima della riforma del codice dell’83, ad una più propriamente

affidata al giudice del processo.

39

A. STANKIEWICZ, in Comentario exegético al código de derecho canónico,

cit., p. 1883.

40

“Normally, when a petition reaches a tribunal, there is little or no

reasonable hope of reconciliation. When such a hope exists, however, the

judge should use pastoral means such as referral to counselors and spiritual

directors to assist the parties to explore the possibility of saving their

marriage”; così C. A. COX, in New Commentary on the Code of Canon Law, a

cura di J. P. BEAL - J. A. CORIDEN - T. J. GREEN, New York, 2000, p. 1769.

Il tentativo di conciliazione

146

su vocación y misión matrimonial y familiar en el ámbito de la

comunidad eclesial (cfr. FC, 69)”

41

.

Per altro anche il Decreto Generale sul matrimonio canonico

della Conferenza Episcopale Italiana del 1990 al n. 56 affida

prima di tutto al Parroco il compito di aiutare le coppie in crisi,

suggerendo di avvalersi anche della collaborazione dei consultori

di ispirazione cristiana, nonché di persone esperte in diritto

canonico (nominati per tale ufficio in ogni diocesi) e che do-

vrebbero preferibilmente coincidere con la figura dei Patroni

Stabili

42

.

Ciò non toglie che questo compito mediativo dovrebbe es-

sere una prerogativa del Patrono Ecclesiastico il quale “in con-

formità al ruolo che svolge, particolarmente nell’ambito matri-

moniale che assorbe in massima parte l’attività processualistica

della Chiesa, ha da essere anzitutto un «esperto in umanità»,

profondo conoscitore della persona umana, alla luce dei prin-

cipi fondamentali della antropologia cristiana”

43

.

41

A. STANKIEWICZ, in Comentario exegético al código de derecho canónico,

cit., p. 1883.

42

Il Patrono Stabile svolge attività di consulenza previa all’introduzione

delle cause e assume il patrocinio delle cause introdotte. Ad essi i fedeli

possono rivolgersi per ottenere consulenza canonica circa la loro situazione

matrimoniale e per avvalersi del loro patrocinio avanti il Tribunale regionale

presso il quale prestano servizio (cfr. art. 6 delle Norme circa il regime am-

ministrativo dei Tribunali Ecclesiastici Regionali italiani e l’attività di patroci-

nio svolta presso gli stessi, CEI, Roma, 18.03.1997).

43

V. ANDRIANO, Ruolo e compito dei Patroni nelle crisi coniugali, in Crisi

coniugali: riconciliazione e contenzioso giudiziario, Città del Vaticano, 2001,

p. 40. Va poi rilevato che recentemente, in parallelo alla nuova esperienza

della mediazione familiare civile, l’Istituto Mistyci Corporis di Loppiano, strut-

tura religiosa del Movimento dei Focolari, ha avviato una scuola per media-

tori familiari, con il patrocinio e l’approvazione della Provincia di Firenze che

mira a formare persone capaci di affrontare professionalmente situazioni di

carenze relazionali familiari rilevate da Tribunali, Enti Pubblici e Servizi socio-

assistenziali che, a nostro sommesso avviso, potrebbero trovare un’eventua-

le e fruttuoso utilizzo anche nella fase precontenziosa o addirittura contenziosa

del processo canonico (cfr. in merito C. FUSCO, La scuola per mediatori fami-

liari dell’istituto Mistyici Corporis di Loppiano, in Crisi coniugali: riconciliazio-

ne e contenzioso giudiziario, Città del Vaticano, 2001, pp. 95-99).

147

Il tentativo di conciliazione

Ovviamente in questo genere di cause non è possibile ricor-

rere alla transazione o al compromesso “pues estas causas

afectan también al bien público”

44

.

In ogni caso è da escludere che il compito di natura pastora-

le a cui è chiamato il giudice prima di iniziare il processo per la

dichiarazione di nullità possa condurlo a “compiere un’indagi-

ne preliminare come spesso accade, poiché si tratterebbe di

agire in via amministrativa e non giudiziale”

45

.

Tuttavia, anche se dovrebbe evitarsi un’indagine prelimina-

re, il giudice deve attuare il proprio compito mediativo proprio

quando incontra le parti nella presentazione del libello, atteso

che “la valutazione del libello, oltre all’accertamento dei pre-

supposti processuali… richiede anche un sommario accertamen-

to sul merito della controversia, così che il rigetto del libello non

solo può prevenire le parti da pericolose illusioni, da spese inu-

tili e da reali danni, precludendo loro più eque soluzioni, ma

può realmente favorire la riconciliazione tra i coniugi”

46

.

La norma canonica che affronta il tentativo di riconciliazione

nell’ipotesi della separazione è data dal canone 1695 che enun-

cia: “Iudex, antequam causam acceptet et quotiescumque spem

boni exitus perspicit, pastoralia media adhibeat, ut coniuges

concilientur et ad coniugalem convictum restaurandum

inducantur”

47

.

Orbene, pur non riconducendosi la separazione “ad un fatto

meramente privato ma che modifica lo stato di vita di due

coniugi sospendendo quei reciproci diritti e doveri che sintetiz-

44

J. MARTINEZ VALLS, in Código de derecho Canónico, a cura di A. Bennloch

Poveda, Valencia, 1993, p. 722.

45

M. J. ARROBA CONDE, Diritto processuale canonico, Roma, 1996, p. 309.

Contra A. STANKIEWICZ, I doveri del giudice, cit., p. 299 e ss.

46

PAOLO VI, Allocuzione alla S. Romana Rota, 11.01.1965, in AAS 57 1965,

p. 235.

47

“Il giudice, prima di accettare la causa ed ogniqualvolta intraveda una

speranza di buon esito, faccia uso di mezzi pastorali, affinché i coniugi si

riconcilino e siano indotti a ristabilire la convivenza coniugale”.

Il tentativo di conciliazione

148

zano la convivenza coniugale, intesa come segno della

‘communitas vitae et amoris’, nella quale si sostanzia il vincolo

coniugale”

48

, la norma stabilita dal Codice di Diritto canonico è

indubbiamente meno applicata del precedente canone 1676.

Ciò perché sono oggettivamente più rare le cause canoniche

di separazione dei coniugi, atteso il non riconoscimento civile

delle decisioni ecclesiastiche nello stato italiano ed attesa an-

che la generale tendenza dei fedeli a rivolgersi immediata-

mente ai giudici civili per la regolamentazione degli aspetti

inerenti la prole e gli interessi economici. Infatti, al riguardo,

“il diritto civile è reputato indubbiamente più idoneo a dare

adeguata regolamentazione ai rapporti economici e agli speci-

fici doveri che si pongono tra i coniugi e nei confronti dei figli in

caso di separazione”

49

.

Ciò non togli che i fedeli possano in qualsiasi momento per

motivi di coscienza rivolgersi al Vescovo diocesano o al com-

petente Tribunale diocesano per chiedere la separazione ma-

trimoniale

50

. Con ciò “la Chiesa non rinuncia – né lo potrebbe

– in via definitiva all’esercizio del potere giurisdizionale sopra

le suddette cause che – seppur non ‘esclusivo’ – si dispiega in

piena e totale autonomia”

51

.

Ovviamente in questi casi il giudice deve porre in essere

tutti gli sforzi opportuni per esortare alla riconciliazione perché

in definitiva ciò “davvero riassume ed esalta tutto lo spirito

della legislazione canonica in argomento, conformemente del

resto all’idea di matrimonio non come luogo solo della rivendi-

cazione dell’appagamento dei propri bisogni, ma come

48

F. SALERNO, Gli effetti del matrimonio canonico: stato coniugale e sue

vicende, in Matrimonio canonico fra tradizione e rinnovamento, Bologna,

1991, p. 279.

49

P. MONETA, Il matrimonio nel nuovo diritto canonico, Genova, 1991, p.

201.

50

Cfr. anche Decreto Generale della CEI, Roma, 1992, n. 55.

51

G. BONI, La rilevanza del diritto secolare nella disciplina del matrimonio

canonico, Milano, 2000, pp. 447-448.

149

Il tentativo di conciliazione

sublimazione della donazione reciproca, della logica dell’obla-

tività, in contrapposizione con il diritto statuale, ove la separa-

zione… è ormai nel diritto vivente totalmente piegata all’inte-

resse individuale del coniuge a liberarsi di una convivenza di-

venuta insopportabile. La separazione pare ridursi unicamen-

te… a costituire la base giuridica per proporre la causa del

divorzio”

52

, perdendo l’originario carattere sospensivo per tra-

mutarsi in un “elemento propedeutico o preliminare di una

fattispecie a formazione successiva che porta alla definitiva

dissoluzione del matrimonio”

53

.

L’art. 65 della Instructio Dignitas Connubii

Una grande novità riscontriamo poi nella nuova Instructio

Dignitas Connubii, promulgata il 25.01.2005 dal Pontificio Con-

siglio per i Testi Legislativi.

In essa, infatti, l’art. 65, dopo aver ribadito il tentativo di

conciliazione da parte del giudice, introduce anche un interes-

sante invito ai coniugi di collaborare all’accertamento della verità

e un forte monito all’astensione da parte dei coniugi ad ogni

rancore e scorrettezza durante il processo matrimoniale.

L’art. 65 infatti recita: “§1. Iudex, antequam causam acceptet

et quotiescumque spem boni exitus perspicit, pastoralia media

adhibeat, ut coniuges, si fieri potest, ad matrimonium forte

convalidandum et ad coniugalem convictum restaurandum

inducantur. §2. Quod si hoc fieri nequit, iudex coniuges hortetur

ut, omni optato personali postposito, veritatem facientes in

caritate, sincere conspirent ad veritatem obiectivam detegen-

dam, prout exigit ipsa natura causae matrimonialis. §3. Si vero

iudex animadvertit coniuges animo averso in alterutrum affici,

enixe eos hortetur ut inter processum, quavis simultate vitata,

52

Cfr. G. BONI, La rilevanza del diritto secolare nella disciplina del matri-

monio canonico, cit., pp. 453 e ss.

53

V. CARBONE, La mutata funzione della separazione personale, in Famiglia

e Diritto, I, 1994, p. 268.

Il tentativo di conciliazione

150

comitatem, humanitatem et caritatem ad invicem servent”

54

.

L’esortazione alla reciproca collaborazione per l’accertamento

della verità è molto importante in quanto viene ribadita la na-

tura stessa del processo matrimoniale che non può comunque

ridursi ad una battaglia legale da vincere ad ogni costo visto

che ha come obiettivo primario la salus animarum. Così come è

davvero opportuno l’ammonimento alla correttezza processuale

che spesso le parti in causa ‘perdono di vista’ o per precedenti

rancori interpersonali o per l’anelito di vittoria che le contraddi-

stingue. Può quindi concludersi che “la riconciliazione appare…

vera res giuridica nell’ordinamento canonico nel cui ambito assu-

me un ruolo preminente nei confronti dello stesso contenzioso

giudiziario e, in specie, di quello matrimoniale… [dove] il fine

primario della salvaguardia del vincolo coniugale esigono sen-

sibilità teologica e competenza professionale”

55

.

Ecco perché il compianto Giovanni Paolo II, aveva da ultimo

riaffermato che, il dovere dei giudici di cercare operosamente

una riconciliazione, non deve costituire soltanto una mera for-

malità o un semplice tentativo, quanto piuttosto una vera man-

sione pastorale da onorare con il massimo impegno

56

.

54

PONTIFICIO CONSIGLIO PER I TESTI LEGISLATIVI, Dignitas Connubii, Instructio,

Città del Vaticano, 2005, p. 68. Art. 65 §1. “Il giudice, prima di accettare la

causa ed ogniqualvolta intraveda una speranza di buon esito, faccia ricorso

a mezzi pastorali , per indurre i coniugi, se è possibile, a convalidare even-

tualmente il matrimonio e a ristabilire la convivenza coniugale.§2. Se ciò

non è possibile, il giudice esorti i coniugi perché posposto ogni personale

desiderio, collaborino sinceramente, adoperandosi per la verità ed in spirito

di carità, all’accertamento della verità oggettiva, così come è richiesto dalla

natura stessa della causa matrimoniale. §3. Se poi il giudice avverte che i

coniugi nutrono reciproca ostilità, li esorti caldamente perché nel corso del

processo mettano da parte ogni rancore e si ispirino vicendevolmente alla

disponibilità, alla correttezza ed alla carità”.

55

G. PIOMELLI, La riconciliazione, cit., p. 79.

56

Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Allocuzione alla Rota, 18.01.1990, Roma, in AAS

82 (1990), p. 876 laddove il S. Padre testualmente affermava: “Per di più,

quale rilevantissima manifestazione della cura pastorale rivolta ai coniugi in

difficoltà, va fedelmente applicato il canone 1676, che non è disposizione di

valore puramente formale”.

151

Note in tema di agire antecedente della vittima nel danno esistenziale

Note in tema di agire antecedente

della vittima nel danno esistenziale*

di Fernanda Vaglio

Il danno esistenziale

1

comprende tutti i casi in cui sia lesa la

sfera essenzialmente personale della vittima, avendo l’evento

lesivo causato una compromissione delle esplicazioni esisten-

ziali inerenti alle attività realizzatrici della persona

2

.

Il danno esistenziale è un non poter più fare, un dovere

agire altrimenti, un rinunciare forzatamente ad attività quoti-

diane di qualsiasi genere

3

.

È importante stabilire concretamente cosa indichi il termine

fare.

Il fare antecedente della vittima consiste in due tipi di atti-

* Intervento programmato, tenuto a Lecce, il 24 settembre2004 all’in-

contro di studi sul tema: Le nuove frontiere del danno risarcibile alla perso-

na .

1

n materia di danno esistenziale la produzione dottrinaria ormai è copiosa:

per tutti CENDON-ZIVIZ, Il danno esistenziale - Una nuova categoria della re-

sponsabilità civile, Giuffrè, Milano, 2000. In giurisprudenza è opportuno ri-

cordare le ormai note sentenze della Cassazione: Cass. civ. 7-31 maggio

2003 n. 8827 e Cass. civ. 7-31 maggio 2003 n. 8828, in Guida al diritto, n.

25/2003, 38 ss. con nota di PISELLI, Necessaria la ricerca di un giusto equili-

brio per evitare duplicazioni del danno alla persona; ed altresì Corte cost. 30

giugno-11 luglio 2003, n. 233, in Guida al diritto, 9 agosto 2003, 32 con

nota di RODOLFI, In attesa di una disciplina legislativa organica la corte costi-

tuzionale si adegua alla cassazione.

2

CENDON, Non di sola salute vive l’uomo, in Studi Rescigno, V, Milano,

1999, 138-139 definisce il danno esistenziale come “la forzosa rinuncia allo

svolgimento di attività non remunerative fonte di compiacimento o benesse-

re per il danneggiato, perdita non causata da una compromissione dell’inte-

grità psicofisica.”

3

Suscita perplessità la costruzione, sostenuta da CASSANO, La prima giuri-

sprudenza del danno esistenziale, La Tribuna, Piacenza, 2002, 31 ss., che

considera il danno biologico uno dei possibili profili del danno esistenziale,

elevato a categoria generale ed onnicomprensiva di danno alla persona.

Note in tema di agire antecedente della vittima nel danno esistenziale

152

vità: quelle svolte normalmente dall’uomo medio e che, quin-

di, rientrano nell’id quod plerumque accidit e quelle che l’uomo

medio non pratica per la loro singolarità: le c.d. attività idio-

sincratiche.

In realtà una stessa attività può essere ritenuta normale o

idiosincratica in base al modello di uomo medio considerato.

Le conseguenze sono rilevanti perché solo per le attività

comprese nell’id quod plerumque accidit è possibile ricorrere

alla prova presuntiva mentre per quelle idiosincratiche il ricor-

so alle presunzioni è da escludersi. A questo punto sono evi-

denti le difficoltà.

Non si può incasellare, a parere della scrivente, una data

attività in astratto in una delle due aree senza considerare nel

caso concreto il soggetto leso.

Si consideri, infatti, come esempio, una singola attività:

navigare in internet.

Navigare in internet presuppone la disponibilità di un com-

puter collegato alla rete telematica nonché la capacità di usar-

lo ovverosia un certo grado di cultura e di benessere economi-

co.

Tale attività, di conseguenza, può rientrare nell’area dell’id

quod plerumque accidit, ad es., di un magistrato, di un libero

professionista.

Certamente non naviga in internet, di solito, chi è sotto la

soglia di povertà, oppure è privo delle elementari conoscenze

informatiche.

In conclusione, per accertare se una determinata attività

rientri nel caso concreto nella sfera idiosincratica dell’individuo

leso oppure nell’id quod plerumque accidit, occorre considera-

re la categoria di uomo medio a cui appartiene il soggetto leso:

studente, disoccupato, impiegato, ricco, povero, acculturato,

ignorante e così via.

La categoria del danno esistenziale si basa sulla natura og-

gettivamente accertabile del pregiudizio esistenziale: non meri

153

Note in tema di agire antecedente della vittima nel danno esistenziale

dolori e sofferenze, ma scelte di vita diverse da quella che si

sarebbero adottate se non si fosse verificato l’evento dannoso.

È fondamentale aver presente che il danno esistenziale va

provato

4

.

L’attore in giudizio deve provare come il danno esistenziale

si sia ripercosso su una concreta attività, pur non reddituale.

In questo caso è esclusa ogni rilevanza per il mero patema

d’animo interiore.

Il convenuto, invece, ha l’onere di provare che il pregiudizio

per quei mancati svolgimenti, al di là delle apparenze, in realtà

non vi è stato.

Il Giudice non può desumere le conseguenze negative pro-

dottesi nella “dimensione idiosincratica” dell’individuo (vale a

dire i “turbamenti” cui si è fatto riferimento) sulla base della

mera constatazione dell’illecito. Il mancato uso di criteri og-

gettivi di accertamento di tale danno, infatti, potrebbe non

solo favorire l’accoglimento di domande risarcitorie pretestuose

od esagerate, ma anche il riconoscimento di risarcimenti irri-

sori o addirittura meramente simbolici a domande inerenti gravi

danni esistenziali.

A tale scopo è necessario che le partite, riguardanti la sfera

personale peculiare del danneggiato, siano, in tutti i casi, ade-

guatamente dimostrate

5

. Il richiamo al danno esistenziale per

4

Cass. civ. 7 giugno 2000, n. 7713, in Resp. Civ. prev., 2000, 923, con

nota di ZIVIZ, Continua il cammino del danno esistenziale, ibidem, 930; in

Foro it., 2001, I, c. 187 ss., con nota di D’ADDA, Il cosiddetto danno esistenzia-

le e la prova del pregiudizio, ibidem, c. 188ss; in Giur.it, con nota di PIZZETTI, Il

danno esistenziale approda in cassazione; in Corr. Giur., 2000, 873 con nota

di DE MARZO, La cassazione e il danno esistenziale, ibidem, 874; in Danno e

resp., 2000, 835 con nota di MONATERI, “Alle soglie”: la prima vittoria in cassa-

zione del danno esistenziale, ibidem, 836 e di PONZANELLI, Attenzione: non è

danno esistenziale ma vera e propria pena privata , ibidem, 841; in Fam. e

dir., 2001, 159 ss. con nota di DOGLIOTTI, La famiglia e l’“altro” diritto: re-

sponsabilità civile, danno biologico, danno esistenziale, ibidem, 164 ss.

5

Sul punto, in senso conforme, ZIVIZ, Alla scoperta del danno esistenzia-

le, in Scritti in onore di Rodolfo Sacco, a cura di CENDON, Milano, 1994, 1326.

Note in tema di agire antecedente della vittima nel danno esistenziale

154

evitare la dimostrazione di un effettivo pregiudizio, appare

censurabile.

Un medico legale non può “valutare l’esistenzialità della per-

sona”

6

. Un’Autorevole dottrina ritiene che il consulente tecnico

dovrebbe determinare “l’aliquota di felicità che il preteso leso

era in grado di avvertire, in relazione alle attività realizzatrici

precluse, di cui sia stata provata in concreto, l’insostituibilità

soggettiva”

7

.

Solo il danno biologico, infatti, è suscettibile di accertamen-

to medico legale

8

.

Per questo la prova della compromissione della sfera esi-

stenziale appare difficoltosa e desumibile solo ricorrendo a pre-

sunzioni

9

.

Il danno esistenziale è tendenzialmente omnicomprensivo.

L’indeterminatezza che presenterebbe tale figura di danno,

potrebbe apparentemente porlo a difesa di un’astratta quanto

generica aspirazione alla felicità

10

. In realtà la protezione aquiliana

è attivata per le conseguenze dannose di carattere esistenziale

derivanti da comportamenti qualificati come illeciti.

Non ogni ripercussione negativa di ordine esistenziale raffi-

gura in quanto tale un pregiudizio da risarcire.

6

Così MONATERI, Verso una teoria del danno esistenziale, CENDON-ZIVIZ (a

cura di), Il danno esistenziale, cit., 724.

7

Così GAZZONI, Dall’economia del dolore all’economia dell’infelicità, http:/

/www.judicium.it, 13 marzo 2003, 17.

8

Sull’importanza del medico legale per la valutazione del danno psichico

per la morte del congiunto: Trib. Lecce, 19 febbraio 2001 n. 311, in questa

Rivista, 2001, 450 ss con nota di VAGLIO, Danno psichico per la morte del

congiunto: ruolo e limiti della CTU.

9

Nello stesso senso due autrici che pure circa il danno esistenziale so-

stengono posizioni diverse ZIVIZ, Alla scoperta del danno esistenziale, cit.,

1326 e NAVARETTA, Diritti inviolabili e risarcimento del danno, cit., 331 che

parla di indici presuntivi, diversi, però dalla mera offesa”.

10

In proposito CENDON, Caso Barillà: perché sì al danno esistenziale, se-

condo la Cassazione penale, www.filodiritto.com, 2004, 17 preferisce parla-

re di diritto alla “realizzazione della persona” più che di diritto alla “felicità”.

155

Note in tema di agire antecedente della vittima nel danno esistenziale

A tal fine è indispensabile che all’origine della stessa vi sia la

lesione di un interesse tutelato dall’ordinamento, suscettibile

di prevalere sull’interesse del danneggiante nel bilanciamento

attraverso il quale si risolve il giudizio di ingiustizia.

Solo ove la vittima sia titolare di una situazione soggettiva

meritevole di tutela, la cui violazione appaia suscettibile di ri-

flettersi negativamente sulla sua sfera di realizzazione perso-

nale, sarà possibile dar corso al risarcimento.

Una volta accertata la violazione di una situazione soggetti-

va giuridicamente rilevante, – dopo l’introduzione del danno

esistenziale – occorre interrogarsi non solo circa le ripercus-

sioni economiche e morali patite dalla vittima; ma anche sulle

compromissioni che si manifestano a livello di esplicazione della

personalità del soggetto leso

11

.

Inoltre, a proposito di tali sviluppi negativi, attraverso il ri-

sarcimento dei pregiudizi di carattere esistenziale non viene

risarcita una generica situazione di disagio manifestatasi a ca-

rico del danneggiato; ma è fornito riscontro alle modificazioni

negative prodottesi a carico delle singole attività attraverso le

quali il soggetto leso realizza la propria personalità.

Occorre individuare il criterio in base al quale discernere le

perdite esistenziali meritevoli di tutela risarcitoria da quelle

non risarcibili.

Rispetto al danno esistenziale occorre considerare il males-

sere esistenziale e psicologico con cui la vittima deve convive-

re in conseguenza dell’evento lesivo, (la peggiore qualità della

vita che non può ridursi al semplice non poter più fare).

Tale malessere sarà certamente dimostrabile, in via presun-

tiva, riguardo al tipo di lesione.

L’agire antecedente della vittima si configura come elemen-

to aggiuntivo del pregiudizio esistenziale.

11

ZIVIZ, cit., 819.

Note in tema di agire antecedente della vittima nel danno esistenziale

156

Considerando, altrimenti, unicamente l’agire pregresso del-

la vittima, si corre il pericolo di discriminare le vittime in fun-

zione degli impegni che riempiono la loro agenda.

In definitiva, poiché la tutela costituzionale dell’uomo sul

piano risarcitorio non può limitarsi all’identificazione dell’uomo

nel contenuto della sua agenda

12

, è necessario accertare quanto

lo sconvolgimento dell’agire pregresso incida sulla vittima uti-

lizzando un metro di giudizio qualitativo e non quantitativo.

Sennonché i Giudici di merito ammettono il risarcimento sen-

za preoccuparsi di motivare i criteri utilizzati

13

.

Per questo la migliore dottrina

14

incita i Giudici a redigere sen-

tenze analitiche, rigorose, attente nell’enunciare i criteri seguiti

nel decidere sia sull’an che sul quantum della domanda.

Il danno esistenziale finisce per ottenere, rispetto al danno

biologico, una tutela più agevole e una maggiore copertura

risarcitoria

15

. Mentre, infatti, per conseguire il danno biologico

è necessario ottenere il riconoscimento di tale pregiudizio dal

medico-legale, salvo dover provare la sua incidenza sull’agire,

nel caso, invece, del danno esistenziale sarebbe sufficiente

provare il relativo pregiudizio

16

.

Tra le molte sentenze emanate in tema di danno esistenzia-

12

Diversamente cfr. ZIVIZ, Danno biologico e danno esistenziale: parallelismi

e sovrapposizioni, in Resp. Civ. prev., 2001, 419.

13

Così ZIVIZ, La valutazione del danno esistenziale, cit., 2787 ss.

14

CENDON, Anche se gli amanti si perdono l’amore non si perderà. Impres-

sioni di lettura su Cass. 8828/2003, cit., 7.

15

Sottolinea VAGLIO, Spunti in tema di accertamento medico-legale del

danno biologico da morte iure proprio, in Riv. It. Med. Legale, 2002, 4-5,

117 ss., che occorre fissare chiaramente i limiti, i contenuti ed i metodi di

accertamento del danno esistenziale per impedire che lo stesso danno di-

venga solo un comodo espediente per evitare le sabbie mobili dell’accerta-

mento medico-legale.

16

Emerge un problema di micro danni esistenziali. Presumibilmente una

delle prime vittime delle micro-esistenziali sarà la P.A.; in proposito, da ulti-

mo, Giud. pace Bologna, 8 febbraio 2001, in Danno e resp., 2001, 981 ss.

con nota di BONA e CASTELNUOVO, P. A. pretese del cittadino e danno esistenzia-

le, ibidem, 982 ss.

157

Note in tema di agire antecedente della vittima nel danno esistenziale

le

17

è opportuno ricordare la sentenza del Tribunale di Lecce, 5

ottobre 2001, n. 3043

18

la quale esamina, alla luce della nuova

categoria del danno esistenziale, la problematica della risarci-

bilità del danno sessuale patito dal coniuge di un soggetto

macroleso per fatto illecito altrui

19

.

La controversia sub judice riguarda la risarcibilità del danno

sessuale, patito da una donna, per le gravissime lesioni ripor-

tate dal coniuge. Nel caso di specie, una sera d’estate, nel

garage sotterraneo di un condominio, si sviluppa un incendio.

I vigili del fuoco, giunti sul luogo, rimuovono dal marciapiede

alcune grate metalliche di aerazione e copertura di detto garage.

Proprio attraverso l’apertura causata dalla rimozione delle grate,

l’attore precipita nel vano sotteraneo.

Nella fattispecie, la CTU medico legale riconosce alla vitti-

ma primaria un’invalidità permanente pari al 90% successiva

ad un periodo di inabilità temporanea totale pari a 180 giorni,

nonché un danno alla capacità di produrre reddito pari alla

percentuale invalidante a titolo di danno biologico.

Il Tribunale di Lecce dichiara responsabili del sinistro, con-

dannandoli a risarcire i danni: i Vigili del Fuoco per aver creato

l’insidia

20

, non segnalando il pericolo occulto e non prevedibile,

17

Tra le tante: Trib. Milano 20 ottobre 1997, in Danno e resp., 199, 82;

Cass. 24 marzo 1999, n. 2793, in Foro it., 1999, I, 1804; Giud. pace Siracusa

26 marzo 1999, in Giust. Civ., 2000, I, 1205; Giud. pace Venezia 1 giugno

2000, in Danno e Resp., 2000, 1226.

18

Trib. Lecce, 5 ottobre 2001, n. 3043, con nota di VAGLIO, Danno sessuale

del congiunto e danno esistenziale, in Riv. Giur. Girc. Trasp., 2002, 1, 103

ss. e in Resp. Civ. prev., 2002, 1146 ss. con nota di PEDRAZZI, Dei danni

riflessi ai congiunti in caso di lesioni colpose non mortali e dell’ingiustizia del

danno esistenziale.

19

In tema di lesione del diritto all’attività sessuale e relativo risarcimento

del danno: BUSNELLI-PATTI, Danno e responsabilità civile, G. Giappichelli Edito-

re, Torino, 2003; PELLECCHIA, La lesione della sfera sessuale del coniuge, CENDON-

ZIVIZ (a cura di), Il danno esistenziale, Giuffré, 2000, 59 ss.; Arrigo, La

lesione della salute del congiunto, CENDON-ZIVIZ (a cura di), Il danno esisten-

ziale, cit., 73.

20

DE BONIS, Insidie e trabocchetti nella giurisprudenza del giudice di pace,

Riv. Giur. Circ. trasp., 1998, 6, 1027.

Note in tema di agire antecedente della vittima nel danno esistenziale

158

causato dalla rimozione delle grate dal marciapiede, in una zona

con scarsa visibilità per il fumo ed il buio; i Carabinieri, ai quali

spettava la gestione del traffico ed il contenimento delle persone

al di fuori della zona di intervento, per non aver impedito ai civili

di avvicinarsi; infine il Ministero dell’Interno che, ricorrendo l’ipo-

tesi di occasionalità necessaria, risponde dei danni arrecati a ter-

zi, dai propri dipendenti in virtù del rapporto organico.

Inoltre, il giudicante attribuisce all’attore un concorso di colpa

del 50% nella determinazione delle proprie lesioni perché si è

spontaneamente ed imprudentemente avvicinato alla zona

pericolosa per aiutare le Forze dell’ordine.

La moglie dell’attore, vittima primaria dell’illecito, reputan-

dosi anch’ella danneggiata dal fatto illecito del terzo, chiede,

tra l’altro, il risarcimento del danno sessuale iure proprio per

l’impossibilità di ristabilire rapporti sessuali con il coniuge.

Il fatto del terzo, che rende impossibile l’attività sessuale ad

un soggetto coniugato, di fatto, impedisce contemporaneamen-

te e direttamente l’attività sessuale dell’altro coniuge. Irrile-

vante è, ai nostri fini, infatti, che quest’ultimo sia ancora fisi-

camente in grado di avere rapporti sessuali con altri individui,

perché il desiderio dei rapporti coniugali col proprio coniuge è

condannato a restare inappagato per sempre

21

.

La rilevanza giuridica della dimensione sessuale nella vita di

coppia, come manifestazione della personalità degli individui e

come momento di estrinsecazione del rapporto personale tra

coniugi e la qualificazione del relativo interesse, emergono da

diversi indici normativi

22

. La famiglia, come società naturale,

ai sensi dell’art. 29 cost., rientra tra le formazioni sociali di cui

21

Cass. 11 novembre 1986, n. 6607, Foro it., 1987, I, 883; Cass. 21

maggio 1996, n. 4671, Resp. Civ. prev., 1997, 123; Trib. Ravenna 22 feb-

braio 1994, Gius., 1994, 10, 153.

22

Trib. Napoli, 23 febbraio 1987, Giust. Civ., 1987, I, 1549, e Stato Civ.

It. 1987, 566: ”La cessazione degli effetti civili del matrimonio, per

inconsumazione, non può importare il diritto al risarcimento del danno per

avere l’altro coniuge dato causa al divorzio con il suo comportamento, con-

sistente nel tenere celata la propria incapacità sessuale”.

159

Note in tema di agire antecedente della vittima nel danno esistenziale

all’art. 2 cost. nella quale si svolge la personalità di ciascuno dei

coniugi, i cui “diritti inviolabili” sono costituzionalmente ricono-

sciuti e garantiti non soltanto nei rapporti fra gli stessi, ma anche

rispetto ai terzi. Inoltre i terzi sono tenuti a rispettare i reciproci

diritti di ciascun coniuge nell’ambito familiare in virtù dell’art. 8,

comma 1, Convenzione Europea per la difesa dei diritti dell’uomo

e delle libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva anche in

Italia con la l. 4 agosto 1955, n. 848, secondo cui “toute

personne a droit au respect de sa vie privée et familiale”.

Gli artt. 1 e 2, l. 1 dicembre 1970, n. 898 prevedono, ri-

spettivamente, lo scioglimento del matrimonio civile e la ces-

sazione degli effetti civili del matrimonio religioso quando sia

accertato dal giudice che la “comunione materiale e spirituale

fra coniugi” non esiste più. Elemento di tale comunione è pro-

prio la reciproca attività sessuale. Diverse sono poi le norme

codicistiche che prendono in considerazione l’attività sessuale.

Per tutte valga l’art. 122 cc che considera una malattia fisi-

ca o psichica, o un’anomalia o deviazione della vita sessuale,

tali da impedire lo svolgimento della vita coniugale, causa di

annullamento del matrimonio nella misura in cui si traduca in

ignoranza su una qualità essenziale dell’altro coniuge.

Le conseguenze delle gravi lesioni del coniuge possono con-

dizionare pesantemente la vita della vittima secondaria dell’il-

lecito: i rapporti con il coniuge, le relazioni interpersonali, la

gestione dell’affettività, la realizzazione personale. Come ef-

fetto delle gravi lesioni del coniuge, oltre al danno morale, può

derivare un danno alla salute psichica dell’altro coniuge

23

. La

Cassazione, in una nota pronuncia

24

, qualifica il danno in que-

23

Sulla differenza tra danno psichico e danno morale v. MONATERI - BONA,

OLIVA, Il nuovo danno alla persona, Milano, 1999, 7.

24

Cass. 11 novembre 1986, n .6607, Foro it., 1987, I, 833. Critica verso

la soluzione proposta da Cass. 6607/86 PELLECCHIA, La lesione della sfera

sessuale del coniuge, CENDON-ZIVIZ, Il danno esistenziale, cit., 67 secondo la

quale, in questo modo, la cassazione muta il danno alla salute in un conte-

nitore idoneo ad accogliere qualsiasi pretesa risarcitoria.

Note in tema di agire antecedente della vittima nel danno esistenziale

160

stione come danno biologico, risarcibile ex art. 2043 cc

25

, di-

chiarando che “anche il diritto di ciascun coniuge ai rapporti

sessuali è un diritto inerente alla persona” e in quanto tale va

equiparato al diritto alla salute, come diritto della persona al-

l’integrità psicofisica.

Dieci anni dopo la Cassazione

26

ammette nuovamente il ri-

sarcimento, ex art. 2043 cc, del danno ingiusto rappresentato

dall’impossibilità di ristabilire rapporti sessuali con il coniuge,

vittima primaria dell’illecito, negando, però, ristoro al danno

morale vantato dallo stesso coniuge in qualità di vittima se-

condaria dell’illecito.

La giurisprudenza di merito dichiara che:

“Il danno biologico, avente natura patrimoniale e costituito

dalla menomazione dell’integrità fisiopsichica in sé considera-

ta, a prescindere dalla sua incidenza sul reddito, assorbe in sé

il danno psichico ed alla vita sessuale”

27

.

Distinguere in concreto, le conseguenze esistenziali dell’im-

possibilità del soggetto di avere rapporti sessuali a causa delle

lesioni riportate dal coniuge per fatto illecito altrui dalla pato-

logia psichica vera e propria è il banco di prova su cui sono

chiamati a confrontarsi tutti gli operatori giuridici i quali devo-

no valutare se l’impossibilità di rapporti sessuali coniugali pos-

sa prospettare un danno esistenziale della vittima secondaria

autonomo dal danno psichico e dal danno morale.

La sentenza leccese prospetta uno schema risarcitorio

tripartito, costituito da tre categorie di danno: patrimoniale,

morale ed esistenziale

28

. In quest’ottica il danno biologico di

25

BADALASSI - NANNIPIERI, Questioni operative, BARGAGNA - BUSNELLI, La valuta-

zione del danno alla salute - Profili giuridici, medico-legali ed assicurativi,

Cedam, Padova, 2001, 145 intravedono una “forzatura logica”.

26

Cass. 21 maggio 1996, n. 4671, Resp. Civ. prev, 1997, 123; nello stes-

so senso Trib. Ravenna 22 febbraio 1994, Gius, 1994, 10, 153.

27

Così Trib. Ravenna, 13 marzo 1990, Riv. Giur. Circ. trasp , 1991, 853

28

ZIVIZ, Verso un altro paradigma risarcitorio, CENDON-ZIVIZ (a cura di), Il

danno esistenziale, cit, 46.

161

Note in tema di agire antecedente della vittima nel danno esistenziale

natura fisica e quello di natura psichica sono sottocategorie

del danno esistenziale. In base a tale suggestiva costruzione,

dato che il danno biologico di tipo psichico assorbe il danno

sessuale, in definitiva il danno sessuale risulta collocato

dogmaticamente all’interno del danno esistenziale. Il Tribuna-

le salentino, quindi, ammette il risarcimento del danno ses-

suale, passando per il danno psichico, come danno esistenzia-

le facente capo al coniuge della vittima primaria. Tale danno è

riconosciuto a prescindere da quello morale, non richiesto dal-

la parte attorea.

Non condivisibile è la decisione leccese nella parte in cui

riconosce il danno psichico in re ipsa basandosi su un accerta-

mento presuntivo.

A parere di chi scrive, ove si configuri il danno sessuale

patito dal coniuge come danno psichico, occorre necessariamente

effettuare una CTU medico-legale per accertare la sussistenza e

la gravità della lesione psichica lamentata dal soggetto per

l’impossibilità di avere rapporti sessuali coniugali.

Il Tribunale leccese, inoltre, riconduce il danno biologico di

natura psichica all’interno della categoria generale del danno

esistenziale non considerando che soltanto il danno biologico è

suscettibile di accertamento medico legale.

Il danno esistenziale, poiché non è suscettibile di accerta-

mento medico-legale può affiancare, non comprendere il dan-

no psichico.

Più condivisibile è la tesi

29

secondo cui, in una situazione di

lesione ingiusta della salute, possono concorrere il danno bio-

logico, quello esistenziale e quello morale. Se il danno esisten-

ziale, infatti, è la rinuncia forzata a fare qualcosa, ed il danno

sessuale coniugale è la rinuncia forzata a avere rapporti ses-

suali col proprio coniuge per impossibilità di quest’ultimo, di

29

MONATERI, Verso una teoria del danno esistenziale, CENDON-ZIVIZ (a cura

di), Il danno esistenziale, cit., 720 ss.; MONATERI, Alle soglie di una nuova cate-

goria risarcitoria: il danno esistenziale, Danno e resp., 1999, 5 ss.

Note in tema di agire antecedente della vittima nel danno esistenziale

162

conseguenza il danno sessuale del coniuge è configurabile an-

che come danno esistenziale.

In ultima analisi, riconosciuta la lesione al diritto ai rapporti

sessuali coniugali della vittima secondaria, si dovrebbe risarci-

re il danno esistenziale in via autonoma ed aggiuntiva rispetto

agli altri danni (psichico e morale). Altrimenti, facendo conflu-

ire nel danno psichico anche le conseguenze peggiorative sot-

to il profilo esistenziale, si concederebbe un risarcimento par-

ziale per il danno effettivamente patito.

In conclusione la decisione del Tribunale di Lecce ha certa-

mente il merito di riconoscere il danno sessuale del congiunto

del macroleso, alla luce degli orientamenti provenienti dalla

dottrina e dalla giurisprudenza in materia di danno esistenzia-

le. Nell’apprezzabile, ma non condivisibile, inoltre, tentativo di

risolvere il problema della collocazione sistematica del danno

esistenziale evidenzia la necessità di una normativa generale

in tema di danno alla persona, che definisca i rapporti tra dan-

no esistenziale e quello biologico senza dimenticare le peculia-

rità di quest’ultimo.

163

Il fondo patrimoniale su beni futuri

Il fondo patrimoniale su beni futuri

di Luigi Viola

Introduzione

Il legislatore civile, ex art. 167 c.c. e ssgg., individua la

figura giuridica del fondo patrimoniale stabilendo come sia

possibile destinare determinati beni a “far fronte ai bisogni

della famiglia”, vincolandoli, quindi, in un’ottica strumentale,

alla realizzazione di fini specifici.

Così, il fatto che “determinati beni” siano teleologicamente

legati tra loro imprime agli stessi una unitarietà particolare,

nel senso che, in virtù di atto pubblico o testamento, i beni del

fondo patrimoniale vengono a costituire (nel loro complesso)

un vero e proprio patrimonio di destinazione, come desumibile

non solo dall’inciso “…destinando determinati beni…” (ex art.

167 c.c.), ma anche dalla lettura dell’art. 168

1

II comma c.c.,

laddove si dice che “i frutti dei beni costituenti il fondo patri-

moniale sono impiegati per i bisogni della famiglia”.

Difatti, in un’ottica ampia di soddisfacimento di obblighi re-

ciproci di assistenza materiale (ex art. 143 c.c.), con particola-

re riferimento alla collaborazione nell’interesse della famiglia,

ovvero con riguardo all’obbligo di mantenere, istruire ed edu-

care la prole (ex art. 147 c.c.), il legislatore sembra legittima-

re una pluralità di istituti giuridici volti al pieno rispetto delle

norme civili e costituzionali (ex artt. 29-30-31- e ssgg. Cost.);

1

Anche con riguardo all’art. 169 c.c., laddove si dice che se non è stato

espressamente consentito nell’atto di costituzione, non si possono alienare,

ipotecare, dare in pegno o comunque vincolare beni del fondo patrimoniale

se non con il consenso di entrambi i coniugi e, se vi sono figli minori, con

l’autorizzazione concessa dal giudice, nei soli casi di necessità o di utilità

evidente.

Il fondo patrimoniale su beni futuri

164

id est proprio al fine di realizzare, in concreto, i principi gene-

rali della tutela della famiglia e della prole, il legislatore sem-

bra suggerire ai coniugi delle modalità tipiche per il raggiungi-

mento di tale scopo.

In questa prospettiva, la ratio ispiratrice del fondo patrimo-

niale, ex art.167 c.c. e ssgg., è proprio quella di costituire

(anche da parte di un terzo) un patrimonio separato

2

, in senso

tecnico-giuridico, perché i beni sfuggono alla regola generale,

ex art. 2740 c.c., in virtù della quale il debitore “risponde del-

l’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti

e futuri”, tanto più che la stessa esecuzione sarebbe limitata,

ex art. 170 c.c., ai debiti che il creditore “conosceva essere

stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia”; in

altri termini, la natura giuridica del fondo patrimoniale come

patrimonio separato è desumibile anche da una lettura, per

così dire, combinata dell’art. 2740 c.c. con l’art. 170 c.c. (ma

pure con riferimento all’art. 168 c.c. “impiego ed amministra-

zione del fondo”), perché da un lato il legislatore individua una

responsabilità ampia del debitore imponendogli di rispondere

con i beni presenti e futuri, mentre dall’altro lato, nell’ipotesi

in cui il creditore sia stato a conoscenza del fatto che i debiti

venivano contratti per scopi estranei ai bisogni familiari, il le-

gislatore sembra ridurne la responsabilità.

In questa prospettiva, allora, appare evidente che il fatto

stesso che il creditore non possa aggredire, sic et simpliciter, il

fondo patrimoniale del debitore (perché l’art. 170 c.c. impor-

rebbe determinati limiti) sembra deporre nel senso del patri-

monio separato; diversamente, infatti, lo stesso art. 170

3

c.c.

2

GRASSO, Il regime patrimoniale della famiglia, in “Tratt. Dir. priv.”, a cura

di Rescigno, vol. III, Torino, 1982; sullo stesso tema vd. anche CARRESI, Del

fondo patrimoniale, in “Comm. al Dir. it. della fam.”, vol. III, sub art. 167

c.c., Padova, 1992.

3

Precisa Cass. 8991/2003 che dal tenore dell’art. 170 c.c. si ricava che la

possibilità di aggressione di detti beni e frutti da parte dei creditori è segnata

165

Il fondo patrimoniale su beni futuri

verrebbe vulnerato e perderebbe di portata applicativa, op-

tando per un’interpretatio abrogans vietata dalla tecniche

ermeneutiche suggerite da dottrina e giurisprudenza, nonché

dalle stesse Disposizioni sulla legge in generale.

Tuttavia, sebbene gli aspetti relativi alla costituzione ovvero

alla amministrazione del fondo patrimoniale

4

sembrano suffi-

cientemente determinati, particolari problemi interpretativi si

pongono con riferimento all’oggetto

5

e, più in particolare, al-

dalla oggettiva destinazione dei debiti assunti alle esigenze familiari; per-

tanto, il criterio identificativo dei crediti il cui soddisfacimento può essere

realizzato in via esecutiva sui beni conferiti nel fondo va ricercato non già

nella natura delle obbligazioni, ma nella relazione esistente tra il fatto gene-

ratore di esse ed i bisogni della famiglia, per cui anche le obbligazioni

risarcitorie da illecito devono ritenersi comprese nella previsione normativa,

con conseguente applicabilità della regola della piena responsabilità del fon-

do ove la fonte e la ragione del rapporto obbligatorio abbiano inerenza diret-

ta ed immediata con le esigenze familiari.

Viene precisato, altresì, che l’art. 170 c.c. non limita il divieto di esecu-

zione forzata ai soli crediti sorti successivamente alla costituzione del fondo;

ne consegue, de plano, che detto divieto estende la sua efficacia anche ai

crediti sorti prima di tale data, ferma restando in questo caso la possibilità

per il creditore di agire in revocatoria ordinaria, qualora ne ricorrano i pre-

supposti, al fine di far dichiarare l’inefficacia nei propri confronti dell’atto

costitutivo del fondo patrimoniale (Cass. 3251/1996).

Secondo GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2001, “i creditori pos-

sono esperire, se del caso, l’azione revocatoria ex art. 2901 c.c. contro l’atto

costituivo”. Nello stesso senso Cass. 591/1999 e Cass. 8379/2000.

4

È dibattuto il problema relativo alla possibilità di costituire un fondo

patrimoniale da parte di conviventi more uxorio; tuttavia sembra preferibile

la tesi negativa perché l’istituto del fondo patrimoniale, nel consentire la

costituzione di un vincolo di indisponibilità reale su determinati beni, deroga

ai principi generali di cui all’art. 2740 c.c., per cui costituisce un istituto

eccezionale non suscettibile di applicazione analogica a casi non espressa-

mente previsti, quale la convivenza more uxorio. In questa prospettiva,

un’eventuale pattuizione tra conviventi, ispirata alla disciplina giuridica del

fondo patrimoniale, potrebbe produrre esclusivamente effetti inter partes,

non presentando l’elemento caratteristico dell’istituto de quo, quale l’effica-

cia reale del vincolo. In questo senso vd. Lenzi,Struttura e funzione del fon-

do patrimoniale, in Rivista del notariato, 1991.

5

L’art. 168 c.c., tra l’altro, disponendo che “la proprietà dei beni costi-

tuenti il fondo patrimoniale spetta ad entrambi i coniugi, salvo che sia diver-

samente stabilito nell’atto di costituzione”, non chiarisce se la proprietà pos-

Il fondo patrimoniale su beni futuri

166

l’oggetto futuro; così, attestato che il legislatore non ne parla

espressamente, ci si chiede se possa validamente costituirsi

un fondo patrimoniale su beni futuri.

Il problema interpretativo, invero, è di notevole rilievo giu-

ridico perché se si opta per la tesi positiva, allora, l’atto costi-

tuivo del fondo patrimoniale su beni futuri sarà pienamente

valido

6

, con tutti i corollari applicativi e non da ultimo il fatto

che i coniugi potranno opporre agli eventuali creditori la tutela

fornitagli dall’art. 170 c.c.; viceversa, se si opta per la tesi

negativa l’atto costitutivo del fondo sarà sostanzialmente nullo

e, non solo, i coniugi perderanno la possibilità di eccepire la

disciplina dell’art. 170 c.c. ai creditori, ma altresì il notaio

rogante potrebbe essere chiamato a risponderne, sotto il pro-

filo di violazione della legge notarile, di per sé, idonea ad im-

porre il risarcimento del danno causato in modo colpevole

7

.

Tra l’altro, il problema posto, appare davvero di difficile so-

luzione, perché da un lato il principio generale della libertà

negoziale, ex art. 1322 c.c., anche con riguardo a cose future,

ex art. 1348 c.c., sembrerebbe suggerire all’interprete di op-

tare per la tesi positiva, mentre, dall’altro lato, il rischio di

incorrere nella sanzione di nullità, a causa dell’analogia con lo

schema giuridico della donazione di beni futuri, ex art. 771

c.c., sembrerebbe consigliare la tesi negativa.

In questa prospettiva, quindi, il problema ermeneutico vie-

ne sostanzialmente lasciato all’interprete, chiamato a decodi-

ficare la normativa presa in esame.

sa essere attribuita anche ad uno solo dei coniugi, né se oggetto del fondo

possa essere anche un diritto reale diverso dalla proprietà e, se, ad esem-

pio, è possibile che il fondo patrimoniale possa avere ad oggetto un’azienda.

6

Sollevando, eventualmente, il notaio rogante da ogni responsabilità.

7

Nel caso di specie, tra l’altro, ben potrebbe trattarsi di colpa grave, tale

da ridurre di portata applicativa l’efficacia scriminante dell’art. 2236 c.c.,

che spiega come “se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di

speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponderà dei danni, se non in

caso di dolo o colpa grave”.

167

Il fondo patrimoniale su beni futuri

Tesi positiva

Secondo una certa ricostruzione

8

il problema posto dovreb-

be trovare una soluzione positiva.

Innanzitutto, secondo i fautori di tale tesi, sarebbe opportu-

no partire dai principi generali: esisterebbe nell’ordinamento

giuridico un principio generale di libertà di autodeterminazione.

Più precisamente, da una lettura della Costituzione (soprat-

tutto con riferimento all’art. 13 e segg.), sembra emergere

una presunzione giuridica del “poter fare”, e cioè, la possibilità

di porre in essere qualsiasi condotta, nella misura in cui non si

ponga in contrasto con la legge; così che diviene lecito tutto

ciò che non è vietato dall’ordinamento.

Diretto corollario legislativo di tale principio costituzionale è

l’art. 1322 c.c., che stabilisce la libertà di determinare il conte-

nuto del contratto

9

“nei limiti imposti dalla legge”

10

, che vuol

dire, sostanzialmente, che i limiti negoziali devono essere

espressamente enunciati dal legislatore, inibendo all’interpre-

te di optare per l’applicazione analogica

11

di norme che limita-

no la libertà negoziale (perché norme eccezionali).

8

Vd. sul tema del fondo patrimoniale su beni futuri PERLINGIERI, Manuale di

diritto civile, Napoli, 1997.

9

Tale libertà, ex art. 1322 c.c., si riferisce al profilo soggettivo ed ogget-

tivo, nel senso di libertà a scegliere la parte contraente (di massima, salvo

alcune limitazioni come ad esempio in materia di diritto di prelazione, ex

artt. 230-bis-732 –1566- 2157 c.c., ovvero, per taluni aspetti, in materia di

promessa al pubblico, ex art. 1989 c.c.), nonché libertà di scegliere il con-

tenuto del contratto.

10

Un limite imposto dalla legge è rinvenibile, ad esempio, nell’art. 2249

c.c.; tale disposizione, infatti, nel prevedere che le società aventi ad oggetto

l’esercizio di attività commerciali devono costituirsi secondo i tipi di legge,

deroga in materia societaria al principio di cui all’art. 1322 c.c., vietando al-

l’autonomia privata, che è libera di esplicarsi limitatamente alla disciplina con-

tenuta in norme di natura dispositiva o suppletiva, pattuizioni statutarie che,

modificando l’assetto organizzativo o il regime della responsabilità, siano

incompatibili con il tipo di società prescelto (in tal senso Cass. 2481/2003).

11

Secondo i principi delle Disposizioni sulla legge in generale (l. 262/

1942).

Il fondo patrimoniale su beni futuri

168

In questa prospettiva, allora, appare evidente che eventuali

limitazioni alla possibilità di costituire un fondo patrimoniale

su beni futuri dovrebbero essere previste dallo stesso legisla-

tore, poiché in assenza di una norma che espressamente vieti

un determinato negozio giuridico, quest’ultimo potrà essere

realizzato; id est poiché i limiti alla libertà negoziale devono

essere indicati dal legislatore, e poiché non è previsto espres-

samente alcun divieto alla possibilità di costituire un fondo

patrimoniale su beni futuri, allora, ne consegue, de plano, che

sarebbe pienamente valido un atto costitutivo di fondo patri-

moniale su beni futuri.

Nello stesso senso, poi, deporrebbe anche l’art. 1348 c.c.,

che spiega come la prestazione di cose future

12

possa essere

dedotta in contratto “salvo i particolari divieti di legge”, riba-

dendo, evidentemente, che anche in tema di prestazione di

cose future possa trovare applicazione il principio generale della

libertà negoziale; anzi, si precisa, proprio con tale disposizione

lo stesso legislatore avrebbe voluto fugare ogni dubbio, al fine

di evitare equivoci che potevano nascere sul punto, smenten-

do le tesi volte a sostenere che il principio generale della liber-

tà negoziale fosse riferibile solo a beni presenti.

In questa prospettiva, allora, laddove il legislatore avesse

voluto negare validità al negozio giuridico costitutivo di fondo

patrimoniale su beni futuri avrebbe dovuto farlo espressamente,

per cui, in difetto di tale previsione, appunto, bisognerebbe

optare per la tesi positiva in materia; diversamente argomen-

tando, si dice, si correrebbe il rischio di entrare in contrasto

con gli artt. 1322 e 1348 c.c., nonché con la ratio legis della

normativa presa in esame.

Proprio sotto tali profili interpretativi, poi, non sarebbe ne-

anche condivisibile la tesi volta a sostenere che, in concreto, il

12

Cass. 11599/1995 ha ritenuto ammissibile il contratto di edizione di

opera da crearsi.

169

Il fondo patrimoniale su beni futuri

negozio giuridico costitutivo di fondo patrimoniale

13

su beni futuri

sarebbe nullo in quanto donazione di bene futuro

14

, ex art. 771

c.c.

Più precisamente, si dice

15

, non è per nulla pacifico che la

costituzione di un fondo patrimoniale sia una donazione, anzi,

al contrario, la collocazione sistematica del legislatore sem-

brerebbe deporre in senso contrario.

Infatti, secondo tale ricostruzione, il fatto stesso che il legi-

slatore abbia inserito la disciplina giuridica del fondo patrimo-

niale nel libro I del Codice Civile, mentre quella relativa alle

donazione nel libro II, deporrebbe nel senso che l’atto costitutivo

del fondo patrimoniale non possa essere qualificato, sic et

simpliciter, come donazione; laddove il legislatore avesse vo-

luto qualificare l’atto costitutivo di fondo patrimoniale come

donazione, non solo avrebbe dovuto farlo espressamente (come

già spiegato), ma almeno avrebbe dovuto scegliere una collo-

cazione sistematica ben diversa e, cioè, inserire l’istituto del

fondo patrimoniale e della donazione nello stesso libro del Co-

dice Civile. Al più, si precisa, lo stesso legislatore avrebbe do-

vuto inserire un richiamo espresso tra i due istituti; al contra-

rio, invece, il legislatore ha taciuto su questo collegamento

interpretativo, imponendo, pertanto, di tenere in debita consi-

derazione il suo silenzio sul punto che, vuol dire, sostanzial-

mente, riferirsi ai principi generali.

13

Sul tema generale del fondo patrimoniale vd. AULETTA, Il fondo patrimo-

niale, in “Trattato Schlesingher”, Milano, 1992; vd anche GABRIELLI, voce «Pa-

trimonio familiare e fondo patrimoniale», in “Enc. Dir.”, vol. XXXII, Milano,

1982, pag. 293; vd. altresì FINOCCHIARO-FINOCCHIARO, Diritto di famiglia, vol. I,

Milano, 1984.

14

Si precisa che, invece, la donazione di cosa altrui non è pacificamente

nulla. Sul punto sia consentito il rinvio a VIOLA, La donazione di cosa altrui, in

www.altalex.com, 2004, nonché a VIOLA-MARSEGLIA, La donazione soggettiva-

mente futura, in www.filodiritto.com, 2004.

15

Sul punto vd. anche PERLINGIERI, Sulla costituzione di fondo patrimoniale

su «beni futuri», in “Diritto della Famiglia”, 1977, pag. 275.

Il fondo patrimoniale su beni futuri

170

Se, allora, si parte dall’idea che la limitazione di cui all’art.

771 c.c. è una norma eccezionale, e che il legislatore non se-

gnala all’interprete alcun collegamento tra donazione e fondo

patrimoniale (neanche dal punto di vista della collocazione si-

stematica), evidentemente, bisognerebbe ritenere tale colle-

gamento una forzatura del sistema, con la conseguenza logi-

co-giuridica di non poter considerare la costituzione del fondo

patrimoniale una donazione in senso tecnico-giuridico; cioè,

sotto questo angolo visuale, la costituzione di un fondo patri-

moniale su bene futuro sarebbe un negozio giuridico ben di-

verso dalla donazione, per cui il divieto ex art. 771 c.c. non

potrebbe trovare applicazione (neanche analogica).

Altresì, viene precisato

16

, anche laddove, ad ogni costo, si

volesse qualificare l’istituto de quo come donazione, tale argo-

mentazione non potrebbe essere addotta qualora si trattasse

di attribuzione mortis causa

17

, potendo il testatore disporre

validamente del proprio diritto all’acquisto di un bene futuro

ed anche imporre a titolo di onere l’obbligo di costituire un

fondo patrimoniale a favore di terzi con beni non ancora esi-

stenti al momento dell’apertura della successione

18

.

Sotto quest’ottica, quindi, non solo la collocazione sistema-

tica scelta dal legislatore ed il fatto che i limiti all’autonomia

negoziale debbano essere espressamente previsti dalla legge,

suggeriscono di non considerare la costituzione di fondo patri-

moniale su bene futuro come donazione, ma altresì pure il

rilievo in base al quale il fondo patrimoniale può essere costi-

tuito anche attraverso testamento; è chiaro, infatti, che la pos-

sibilità che il fondo patrimoniale possa essere costituito per

16

Vd. PERLINGIERI, Manuale di diritto civile, cit.

17

Sul problema dell’individuazione del dies a quo in tema di termine

(indubbiamente quello decennale, ex art. 2946 c.c.) per esperire l’azione di

riduzione in materia testamentaria, sia permesso il rinvio a VIOLA-TESTINI,

Eredità e decorso dei termini, in www.diritto.it, 2004.

18

Vd. PERLINGIERI, Manuale di diritto civile, cit.

171

Il fondo patrimoniale su beni futuri

testamento, prevista dal legislatore in modo espresso ex art.

167 c.c., difficilmente legittima l’interprete a qualificare l’isti-

tuto de quo come donazione

19

, e comunque rende impossibile

tale qualificazione nell’ipotesi di testamento istitutivo di fondo

patrimoniale su bene futuro

20

.

Inoltre, la figura della donazione, ex art. 769 c.c., impone di

verificare la sussistenza dello “spirito di liberalità”

21

, che non si

potrebbe attribuire aprioristicamente al soggetto che costitui-

sce un fondo patrimoniale su bene futuro.

Sotto tali profili, pertanto, si dice, bisognerebbe optare per la

tesi positiva in materia di fondo patrimoniale su bene futuro.

Tesi negativa

Secondo altra impostazione

22

non sarebbe per nulla valido

19

La donazione è atto inter vivos, mentre il testamento è un negozio

giuridico mortis causa la cui funzione consiste nella determinazione della

sorte dei rapporti patrimoniali in dipendenza della morte dell’autore. Vd.

GAZZONI, Manuale di diritto privato, cit., nonché l’autorevole CAPOZZI, Succes-

sione e donazioni, Milano, 2002.

20

Precisa PERLINGIERI, Sulla costituzione del fondo patrimoniale su «beni

futuri», cit., che l’oggetto del fondo patrimoniale non sarebbe il bene mate-

riale, quanto piuttosto il bene giuridico, da intendersi come situazione giuri-

dica esistente al momento della costituzione del fondo patrimoniale.

21

Secondo Cass. 12325/1998 l’assenza di corrispettivo, se è sufficiente a

caratterizzare i negozi a titolo gratuito, non basta invece ad individuare i

caratteri della donazione, per la cui sussistenza sono necessari, oltre all’in-

cremento del patrimonio altrui, la concorrenza di un elemento soggettivo (lo

spirito di liberalità, ex art. 769 c.c.) consistente nella consapevolezza di

attribuire ad altri un vantaggio patrimoniale senza esservi in alcun modo

costretti, ed un elemento di carattere obiettivo, dato dal depauperamento di

chi ha disposto del diritto o ha assunto l’obbligazione. Precisa, poi, Cass.

2912/1998 che se un diritto reale immobiliare è attribuito senza corrispettivo

e non costituisce adempimento di un’obbligazione, neppure morale o etica,

l’animus donandi si presume e l’atto deve avere la forma pubblica, a pena di

nullità, perché si tratterebbe di una donazione, in senso tecnico-giuridico.

22

Vd. FINOCCHIARO-FINOCCHIARO, cit.

Il fondo patrimoniale su beni futuri

172

l’atto costitutivo di fondo patrimoniale

23

su beni futuri.

A sostegno di tale assunto, si evidenzia, sostanzialmente,

sia la lettera della legge, ex art. 167 c.c., e sia la natura giuri-

dica di donazione dell’istituto de quo.

L’art. 167 c.c. legittimando “ciascuno o ambedue i coniugi…”

a destinare “determinati beni… a far fronte ai bisogni della

famiglia”, lascia ipotizzare come i beni oggetto di fondo patri-

moniale debbano essere in concreto esistenti al momento del-

la sua costituzione.

Più in particolare, si dice, quest’ultimo rilievo sarebbe

desumibile dall’inciso “determinati beni”, imponendo sia l’esi-

stenza dei beni al momento della costituzione del fondo patri-

moniale, sia il fatto che siano già individuati sotto il profilo

delle singole qualità

24

; così che beni non determinati, seppure

determinabili

25

, ex art. 1346 c.c., non potrebbero divenire og-

getto di fondo patrimoniale.

23

Cass. 12864/1999 ha avuto modo di precisare che la costituzione del

fondo patrimoniale, ex art. 167 c.c., deve essere ricompressa tra le conven-

zioni matrimoniali e, pertanto, è soggetta alle disposizioni dell’art. 162 c.c.,

circa le forme delle convenzioni medesime, ivi inclusa quella del III comma,

che ne condiziona l’opponibilità ai terzi all’annotazione del relativo contratto

a margine dell’atto di matrimonio, mentre la trascrizione del vincolo stesso, ai

sensi dell’art. 2647 c.c., con riferimento agli immobili che ne siano oggetto,

resta degradata a mera pubblicità-notizia, inidonea ad assicurare detta

opponibilità. Ne consegue, come in ogni caso in cui la legge dispone che per

l’opponibilità di determinati atti è necessaria una certa forma di pubblicità, che

la forma di pubblicità costituita dalla suddetta annotazione non ammette deroghe

o equipollenti e che resta anche irrilevante l’effettiva conoscenza della costitu-

zione del fondo che il terzo abbia altrimenti potuto conseguire, pur dovendosi

escludere che l’annotazione predetta assuma in tal modo una funzione

costitutiva, giacchè l’unico effetto che condiziona è l’opponibilità ai terzi, men-

tre non incide a qualunque altro effetto sulla validità ed efficacia dell’atto.

24

Si pensi alla dubbia figura del fondo patrimoniale avente ad oggetto

un’azienda.

25

In tema di determinabilità dell’oggetto negoziale, Cass. 12743/1999

ha sostenuto che la fideiussione prestata in favore di un istituto di credito

per tutti i debiti che insorgano a carico di un terzo da operazioni bancarie in

corso o anche future (c.d. fideiussione omnibus) non comporta indetermina-

173

Il fondo patrimoniale su beni futuri

In altri termini, poiché il legislatore in deroga ai principi ge-

nerali in materia di oggetto contrattuale, ex art. 1346 c.c. (che

prevedono la possibilità di costituire validamente negozi giuri-

dici ad oggetto determinabile, quali ad esempio quello futuro),

impone la determinatezza dell’oggetto, questo negherebbe al-

l’interprete di considerare determinato un bene futuro; id est

l’oggetto del fondo patrimoniale deve essere determinato per

espressa previsione legislativa, ex art. 167 c.c., e non sarebbe

determinato l’oggetto futuro (al più potrebbe ritenersi deter-

minabile).

D’altronde, non sarebbe di certo un caso che il legislatore

abbia fatto riferimento a “beni determinati”, usando lo stesso

linguaggio dell’art. 1346 c.c.; infatti, secondo tale ricostruzio-

ne, lo avrebbe fatto proprio al fine di limitare la vis expansiva

del principio generale di determinabilità

26

dell’oggetto

27

.

tezza dell’oggetto, che resta identificabile per relationem, alla stregua di

parametri oggettivi offerti dal contratto. Precisa, poi, Cass. 6201/1995 che

l’oggetto del contratto per il quale è necessaria la forma scritta può conside-

rarsi determinabile, benché non indicato specificamente, solo se sia con cer-

tezza individuabile in base agli elementi prestabiliti dalle parti nello stesso

atto scritto (ovvero, secondo Cass. 2665/1987, anche con riferimento ad

altri atti e documenti collegati a quello oggetto di valutazione), senza neces-

sità di fare ricorso al comportamento successivo delle parti, dovendosi esclu-

dere la possibilità di applicazione, per la determinazione dell’oggetto del

contratto, della regola ermeneutica dell’art. 1362, II comma, c.c.

26

In tema generale di determinabilità dell’oggetto, BIANCA, Il contratto,

Milano, 2000, precisa che “la determinabilità del rapporto rimessa ad ele-

menti esterni all’accordo non può tuttavia essere totale, in quanto il nucleo

essenziale del rapporto contrattuale deve essere direttamente stabilito dalle

parti. Al riguardo occorre rilevare che il requisito della determinatezza o

determinabilità dell’oggetto esprime un’elementare esigenza di concretezza

dell’atto contrattuale, e cioè l’esigenza che le parti sappiano fondamental-

mente quel è l’impegno che assumono. Non basta, quindi, che il contratto

indichi i criteri per la determinazione del rapporto, ma occorre che risulti già

la causa e che risulti anche la natura delle prestazioni principali. Con riguar-

do ai diritti futuri è inoltre necessario che vi sia una determinazione attuale

risultante dalla specificazione della loro entità o del loro titolo ovvero delle

operazioni cui essi ineriscono”.

27

DIENER, Il contratto in generale - Manuale e applicazioni pratiche delle

lezioni di Guido Capozzi, Milano, 2002, spiega che “può affermarsi che og-

Il fondo patrimoniale su beni futuri

174

Diversamente argomentando, pertanto, si rischierebbe di

interpretare il concetto di “beni determinati” come beni

determinabili, in contrasto sia con la lettera della legge, e sia

con la sua stessa ratio, evidentemente volta ad imporre all’in-

terprete il suddetto distinguo.

Ad ulteriore sostegno della tesi negativa, si evidenzia che la

costituzione del fondo patrimoniale di beni futuri sarebbe una

vera e propria donazione di cosa futura e, per ciò solo, nulla ex

art. 771 c.c.

Infatti, lo schema giuridico della costituzione di fondo patri-

moniale su beni futuri ricalcherebbe la struttura tipica della

donazione, poiché sussisterebbe un depauperamento – arric-

chimento, a titolo gratuito; più in particolare, un coniuge ri-

nuncerebbe ad alcuni suoi beni (ovvero diritti su beni) in favo-

re di questo patrimonio separato, quale, appunto, il fondo pa-

trimoniale, senza ottenere alcun tipo di corrispettivo.

Così, vi sarebbe un vero e proprio contratto a titolo gratuito,

consensuale

28

(nel senso che si perfeziona con la semplice

manifestazione di volontà delle parti senza che occorra la con-

segna della cosa), normalmente traslativo e formale (si richie-

de l’atto pubblico o testamento, ex art.167 c.c.), al pari della

donazione, ex art. 769 c.c.

In questa visuale prospettica, pertanto, la costituzione di

fondo patrimoniale su beni futuri presenterebbe la stessa strut-

tura giuridica della donazione, suggerendo all’interprete di

operare una qualificazione della fattispecie ai sensi dell’art.

getto diretto del contratto è la prestazione di dare, di fare o di non fare,

mentre oggetto indiretto è l’oggetto della prestazione, vale a dire il bene, la

cosa. Una chiara distinzione tra questi due tipi di oggetto si trova nell’art.

1348 c.c. dove si distingue la prestazione dal suo oggetto, nel caso specifico

della cosa futura”.

28

La donazione è un contratto consensuale, tranne che nell’ipotesi in cui

si tratti di donazione di modico valore che può essere realizzata anche sen-

za atto pubblico, purchè sussista la traditio (ex art. 783 c.c.).

175

Il fondo patrimoniale su beni futuri

771 c.c.; id est la costituzione di fondo patrimoniale

29

su beni

futuri sarebbe una donazione di cosa futura, per cui sarebbe

assoggettata alla medesima disciplina giuridica, con la conse-

guenza logico-giuridica di optare per la tesi negativa, e di con-

siderare nullo il suddetto negozio giuridico.

Da ulteriore angolo prospettico, poi, anche l’art. 168 c.c., II

comma, sembrerebbe deporre nel senso della tesi negativa.

Infatti, dall’inciso “i frutti dei beni costituenti il fondo…”, ex

art. 168 c.c. II comma, sembra potersi desumere che i frutti

del fondo patrimoniale, da impiegare “per i bisogni della fami-

glia”, sorgono su beni che già costituiscono il fondo patrimoniale,

e non che lo costituiranno in futuro; in altri termini, secondo

questa ricostruzione, dalla lettera della legge emergerebbe che

lo stesso legislatore presuppone ab origine beni costituenti il fon-

do, negando, implicitamente, che possano sussistere frutti su

beni futuri da impiegare per “i bisogni della famiglia”.

Sotto quest’ottica, infatti, la sussistenza di beni presenti

costituirebbe un prius logico ineludibile per poter impiegare i

frutti, con la conseguenza logico-giuridica, tra le altre, che la

costituzione di un fondo patrimoniale su bene futuro sarebbe

privo di frutti e, per ciò solo, idoneo a svuotare di significato la

sua stessa funzione giuridica; si tratterebbe, cioè, di un fondo

patrimoniale senza frutti inidoneo per la sua struttura a salva-

guardare “i bisogni della famiglia”.

29

In tema di legittimazione ad impugnare, Cass. 15297/2000 ha avuto

modo di spiegare che la costituzione del fondo patrimoniale determina sol-

tanto un vincolo di destinazione sui beni confluiti nel fondo stesso, affinché

con i loro frutti assicurino il soddisfacimento dei bisogni della famiglia, ma

non incide sulla titolarità della proprietà dei beni stessi, né implica l’insorge-

re di una posizione di diritto soggettivo in favore dei singoli componenti del

nucleo familiare, neppure con riguardo all’inalienabilità dei beni. Ne conse-

gue che è inammissibile, per difetto di legittimazione sostanziale, il ricorso

per Cassazione proposto ex art. 111 Cost., dalla madre, nella qualità di

legale rappresentante del figlio minorenne, avverso il decreto con il quale il

giudice delegato abbia dichiarato, ex art. 64 l. fall., inefficace l’atto costitutivo

del fondo patrimoniale al quale era stato destinato un immobile di proprietà

del padre, poi fallito.

Il fondo patrimoniale su beni futuri

176

Pertanto, secondo questa ricostruzione, neanche da una

prospettiva teleologica sembrerebbe convincente la tesi posi-

tiva, mentre la lettera della legge, nonché la struttura dell’isti-

tuto giuridico de quo, sembrerebbero deporre in favore della

tesi negativa.

Riflessioni conclusive

Il problema posto, invero, appare di difficile soluzione, al-

meno nella misura in cui si voglia cercare una soluzione valida

per tutti i casi.

Se, invece, si opta per un’interpretazione volta ad evitare

generalizzazioni, la soluzione diviene più agevole; così, il pro-

blema si traduce nel verificare in concreto, di volta in volta, la

natura giuridica, stricto sensu, dell’atto costitutivo di fondo

patrimoniale su beni futuri, perché solo in determinate ipotesi

può dirsi di natura donativa (e, perciò, nullo ex art. 771 c.c.).

In questa prospettiva, e fermo restando che potrebbe trat-

tarsi anche di liberalità non donative ex art. 809 c.c., la dona-

zione diverrebbe uno dei diversi strumenti con cui realizzare il

suddetto patrimonio separato, soprattutto nell’ipotesi in cui il

fondo patrimoniale sia stato costituito da un solo coniuge; in

questo caso, infatti, è chiaro che ben potrebbe sussistere lo

schema della donazione ovvero della liberalità non donativa.

Tuttavia, è pur vero che può accadere che siano titolari en-

trambi i coniugi, in regime di comunione legale, del bene futu-

ro, rendendo inapplicabile i limiti dell’art. 771 c.c.; id est in

questa ipotesi non verrebbe in rilievo un depauperamento-ar-

ricchimento per spirito di liberalità, quanto un negozio tipico

con causa propria, volta a costituire un patrimonio separato

per “i bisogni della famiglia”.

Sotto tali profili, allora, non sussisterebbe né una liberalità

e nè un depauperamento-arricchimento in senso tecnico-giu-

177

Il fondo patrimoniale su beni futuri

ridico, anzi, da questa angolazione prospettica, l’atto costitutivo

di fondo patrimoniale sarebbe similare (di certo non dal punto

di vista teleologico) a quello costitutivo di società; così che

almeno nell’ipotesi in cui siano titolari entrambi i coniugi in

regime di comunione legale di beni, la costituzione di un fondo

patrimoniale su beni futuri dovrebbe ritenersi lecita.

Il concetto stesso di beni determinati, poi, in questa pro-

spettiva, viene a ridursi di portata; se, infatti, viene meno il

collegamento interpretativo con l’art. 771 c.c., allora, i beni

dovranno essere determinati non necessariamente nel senso

di presenti: sarebbe possibile, ad esempio, costituire un fondo

patrimoniale su un edificio da costruire su proprietà acquistata

in regime di comunione legale (laddove i progetti di costruzio-

ne siano stati approvati in via definitiva, ovvero i lavori siano

già incominciati, o, meglio ancora, siano in procinto di essere

terminati).

In altri termini, secondo quest’ultima impostazione, anche i

beni futuri potrebbero essere, in taluni casi, sufficientemente

determinati.

In definitiva, pertanto, in questa sede si opta per una tesi

volta a segnalare all’interprete un distinguo in rapporto alla

titolarità dei beni (presenti o futuri), in un’ottica di equilibrio

tra gli artt. 167-771-1322 c.c.

Incontro con la medicina legale

178

Incontro con la medicina legale

di Luigi Viola

La brillante relazione del prof. Vimercati (docente di medici-

na legale presso l’Università degli Studi di Bari, nonché diret-

tore della relativa scuola di specializzazione) ha evidenziato in

modo approfondito il ruolo che oggi investe il medico legale,

per cui non è fuori luogo chiedersi quale ruolo possa, oggi,

rivestire l’avvocato, nell’ambito dei danni alla persona. Invero,

alla luce dei più recenti orientamenti della dottrina e giurispru-

denza maggioritaria, l’avvocato oggi affianca il medico legale

nella valutazione dei danni alla persona; più in particolare,

sembra potersi dire che il primo si occupa prevalentemente

dello studio del nesso eziologico causa-evento e della quantifi-

cazione nell’ipotesi di lesioni fisio-psichiche, mentre il secondo

si occupa degli effetti della lesione sulla vita di relazione del-

l’individuo.

Infatti, ai fini dell’individuazione della responsabilità civile

(ovvero, per taluni aspetti, anche quella penale) il legislatore

richiede la sussistenza di un nesso eziologico causa-evento, di

un aspetto psicologico (colpa o dolo) e dell’ingiustizia del dan-

no; è proprio su quest’ultimo aspetto, pertanto, che si incentra

l’attenzione dell’avvocato.

Cosa si intende per danno ingiusto?

Di massima, secondo le più recenti ricostruzioni giuridiche,

si intende la lesione di diritti costituzionalmente garantiti, che

vuol dire imporre all’interprete di verificare quali siano i diritti

con valore costituzionale.

In quest’ambito, allora, si intravede la figura dell’avvocato

che è tenuto a verificare che diritti in concreto siano stati vio-

179

Incontro con la medicina legale

lati; così che spetta all’avvocato la difficile opera di decodifica-

zione del sistema giuridico, andando ad affiancare il lavoro

svolto dal medico legale.

Il ruolo dell’avvocato, di recente, ha subito una forte espan-

sione a causa della indagine sulla nuova frontiera dei danni

risarcibili alla persona, basati sullo studio della persona non

più uti singuli, quanto piuttosto come soggetti inseriti in un

sistema di relazioni sociali con valore giuridico. Se, allora, si

tiene presente che il singolo a seguito di lesioni fisiche e/o

psichiche subisce sia danni diretti, che danni indiretti relativi ai

rapporti sociali, evidentemente ne deriva la piena risarcibilità

anche di queste posizioni giuridiche. Così che, a seguito di una

lesione (ferita) cagionata ad un soggetto, si dovrà ritenere

risarcibile sia la posizione giuridica del singolo che quella delle

persone a lui vicine.

In questa prospettiva, allora, si coglie a pieno sia il nuovo

ruolo dell’avvocato che il successo del danno esistenziale: se,

infatti, si considera che il soggetto danneggiato si trova in una

famiglia, ovvero, più in generale, in una formazione sociale,

allora ne deriva come corollario logico-giuridico la esperibilità

di un’azione risarcitoria anche da parte delle cc.dd. vittime

secondarie dell’illecito.

Applicando tale tesi prevalente, pertanto, i genitori che (ad

esempio) abbiano perso il figlio a seguito di un incidente d’au-

to mortale, potranno agire (in via extracontrattuale) soste-

nendo di aver subito un danno ingiusto, derivante da una let-

tura combinata dell’art. 2043 c.c. con i valori costituzionali

relativi alla famiglia, ovvero potranno far valere il diritto all’in-

tegrità della famiglia sia in quanto società naturale fondata sul

matrimonio e sia in quanto formazione sociale dove si sviluppa

la personalità dell’individuo, ex art. 2 Cost.

Altresì, nel caso di specie, potrebbe anche ipotizzarsi la sus-

sistenza di un danno futuro, determinato dal fatto che i genito-

ri, di massima e secondo un ragionamento statistico-probabi-

Incontro con la medicina legale

180

listico, dovranno rinunciare all’aiuto economico che verosimil-

mente il figlio avrebbe dato alla famiglia.

In altri termini, si dice, se esistono diritti di rango costitu-

zionale protetti dall’ordinamento, dovranno pur sempre trova-

re uno sbocco risarcitorio e, poiché la famiglia è un bene inte-

resse tutelato dalla Costituzione, allora, ne deriva de plano la

risarcibilità di tale posizione giuridica illegittimamente lesa.

D’altronde, il fatto che esistano lesioni plurisoggettive deter-

minate da un unico evento antigiuridico, secondo alcuni, de-

termina anche la possibilità di estendere tale ragionamento

alle famiglie di fatto ovvero, secondo altra tesi minoritaria,

anche in altri tipi di formazioni sociali come comitati, partiti

politici, società di capitali, ecc.

D’altronde, è pur vero che la massima lesione dei diritti del-

la persona, quale appunto la morte, può portare non solo alla

risarcibilità degli aspetti esistenziali illegittimamente lesi (qua-

li il diritto alla famiglia, alla serenità, all’educazione, all’imma-

gine, alla buona reputazione, al gioco per i bambini, ecc.), con

riferimento a posizioni orizzontali, ma anche alla risarcibilità

con riguardo a posizioni giuridiche verticali.

Più in particolare, se un soggetto muore a causa di un illeci-

to altrui causativo di morte, potrebbe anche maturare un dirit-

to al risarcimento del danno biologico (derivante dalla lesione

del diritto alla salute), trasferibile agli eredi iure successionis;

cioè laddove un soggetto venga a subire una lesione nella pro-

pria sfera giuridica e trascorra un apprezzabile lasso di tempo

tra la lesione e la morte, maturerà una posizione giuridica di

diritto soggettivo al risarcimento del danno biologico, passibile

di successione.

Accogliendo tale tesi, pertanto, le vittime secondarie dell’il-

lecito causativo di morte potranno vantare non solo il danno

morale, ma anche il danno esistenziale iure proprio e il danno

biologico ed esistenziale iure succesionis; id est, in questa pro-

spettiva, si ammette sia la risarcibilità di posizioni giuridiche,

181

Incontro con la medicina legale

per così dire orizzontali, relative al diritto di godere della pre-

senza di soggetti appartenenti alla famiglia, ma anche le posi-

zioni giuridiche verticali, relative agli aventi causa dell’eredità.

In altri termini, si precisa, in seguito alla morte di un determi-

nato soggetto (de cuius) si potrà tener conto (ai fini risarcitori)

anche delle posizioni giuridiche successorie, laddove sia tra-

scorso un apprezzabile lasso di tempo tra lesione e morte.

Tale meccanismo risarcitorio, poi, si ritiene valido anche nel-

l’ipotesi di coma precedente la morte del de cuius. Particolari

problemi interpretativi si sono posti con riferimento al concet-

to di apprezzabile lasso di tempo idoneo a far maturare un

diritto al risarcimento del danno biologico trasmissibile mortis

causa.

A tale quesito la giurisprudenza più recente ha avuto modo

di rispondere in termini di apprezzabilità del danno, precisan-

do che non conterebbe tanto il tempo intercorrente tra lesione

e morte, quanto la concreta apprezzabilità del danno, per cui,

si dice, nell’ipotesi di coma non potrebbe trovare applicazione

il meccanismo risarcitorio mortis causa perché, in concreto, il

de cuius non sarebbe in grado di percepire il danno subito.

Tuttavia, tali profili interpretativi prestano il fianco a talune

critiche, di non poco momento.

Se, infatti, si ammette la risarcibilità del meccanismo

risarcitorio mortis causa, si rischierebbe di arrivare all’assurdo

per cui uccidere sarebbe più conveniente che ferire, in contra-

sto sia con il senso comune della giustizia, sia con il sistema

penale che tende a sanzionare maggiormente chi cagiona la

morte rispetto ai soggetti che abbiano cagionato una lesione

mortale.

Più precisamente, si dice, se si ammette il meccanismo

risarcitorio iure successionis, il soggetto che abbia cagionato

una lesione sfociata, poi, nella morte della vittima, verrà ad

essere punito più gravemente che se avesse cagionato diret-

tamente la morte, per cui (sul piano risarcitorio) si punirebbe

Incontro con la medicina legale

182

più gravemente colui che commette un omicidio preterinten-

zionale rispetto a colui che commette un omicidio diretto.

Tra l’altro si creerebbe una disparità di trattamento sanziona-

torio del tutto ingiustificato, inducendo implicitamente i sog-

getti attivi del reato a commettere delitti gravi, proprio perché

uccidere sarebbe più conveniente che ferire.

Se, al contrario, allora, si pone l’accento sull’evento letale

più grave, quale appunto la morte e si spiega che l’evento più

grave deve assorbire le conseguenze minori, allora, si potreb-

be ritenere risarcibile direttamente il danno tanatologico, sen-

za tener conto del concetto di apprezzabile lasso di tempo ido-

neo a far ereditare un risarcimento al danno biologico. Acco-

gliendo tale ultima impostazione (minoritaria), allora, colui che

cagiona direttamente la morte sarà punito più gravemente di

colui che cagiona una ferita sfociata poi nella morte, in coeren-

za con il sentimento comune della giustizia e con i principi

costituzionali.

In questa prospettiva, inoltre, verrebbe salvaguardata a pieno

la ratio della responsabilità civile, tesa evidentemente ad im-

porre un meccanismo sanzionatorio proporzionato alla lesione

cagionata, al fine rieducativo; l’accoglimento della tesi contra-

ria, in quest’ottica, risulterebbe diseducativo.

Dal punto di vista della quantificazione, poi, si dovrebbe

ritenere la massima lesione del diritto alla salute (con riguardo

alle tabelle sul danno biologico) come minimo insuperabile.

D’altronde, è bene non dimenticare che il sentimento della giu-

stizia deve sempre ispirare l’interprete, nella convinzione che

le norme giuridiche tendono ad essere rispettate nella misura

in cui incontrano il sentimento comune e non in proporzione

della loro capacità general-preventiva, ovvero di deterrente

psicologico; non è condivisibile l’impostazione che mira ad im-

porre le norme giuridiche anche ingiuste, perché destinate a

non essere rispettate, indipendentemente dalla capacità affittiva

di esse.

183

Incontro con la medicina legale

È nella giustizia del diritto, come parto ben riuscito dei rap-

presentati del popolo, che si può rinvenire la stella polare del-

l’interprete; è il sentimento di giustizia che porta al rispetto

delle regole e degli altri, e non la visione del diritto come un’im-

posizione volta alla limitazione della propria libertà; al contra-

rio è il diritto giusto ovvero le norme giuridiche nate da un

confronto sereno e costruttivo a garantire la libertà.

Lucio Cesare Vanini

184

Lucio Cesare Vanini

“Università Popolare di Milano”

il 15 novembre 1908

di Francesco Rubichi

Presentiamo al giudizio dei lettori della “Rivista del Consi-

glio” la conferenza tenuta da Francesco Rubichi all’Università

popolare di Milano il 15 novembre 1908 su Lucio Cesare Vanini,

nato a Taurisano (Le), in cui la possanza storico-culturale del

Rubichi si ingigantisce e si nobilita proprio nel momento in cui

parla della libertà politica e di pensiero, repressa dalla violen-

za della reazione cattolica; momento storico questo (1600) in

cui il “Concilio di Trento” spegneva ogni anelito di liberazione

dai dogmi religiosi.

Francesco Rubichi, nato nel 1851 e deceduto nel gennaio

1918, resta nel firmamento della cultura e dell’Avvocatura Ita-

liana la stella polare la cui luce, irraggiungibile, non può non

illuminare, ancora, di sé le generazioni che si cimentano e do-

vranno cimentarsi nel campo forense e culturale.

Scrisse di lui l’Avv. Antonio Russo, tarantino, prestigioso

Direttore della Rivista Nazionale “L’Eloquenza”, dove venivano

pubblicate arringhe meravigliose e irripetibili del Nostro, che

Rubichi “ai superficiali parve uno scettico. Era, invece, un cre-

dente che non andava in chiesa per non vedere la profanazio-

ne di Dio. Qualche volta l’ironia si accentuava fino al sarca-

smo: il sarcasmo dava posto all’ira, all’ira generosa, che si

accendeva, esplodeva in una di quelle sue apostrofi terribili, in

cui pareva che abbattessero idoli e altari, percotesse con un

flagello implacabile rigattieri e sacerdoti, penetrasse con quel-

la sua voce divenuta fiume e fulmine, nelle sue più riposte

coscenze, a incenerire e a detergere. Spettacolo magnifico del

185

Lucio Cesare Vanini

quale rare volte mi è accaduto di vedere l’uguale. Come solle-

vato sopra un tripode, sopra una cima d’anime, non era più un

uomo: era una fiamma. La sua parola non più alitava:

avvampava. Immobile, la fronte alzata al cielo, gli occhi per-

duti, pareva come se ascoltasse la voce di un dio misterioso,

che gli dettasse dentro”.

Ecco il ritratto, incandescente e incomparabile, del “genio

della parola”. In Lui, arte e vita si compenetravano, si fonde-

vano e si esaltavano in una simbiosi, fascinosa e affascinante,

che si materializzava maestosamente durante le pugne consu-

mate e rinnovate nell’arengo nazionale forense.

Cesare Taurino

* * *

Signori!

Quando ebbi l’onore di essere invitato a tenere qui una con-

ferenza, e mi si suggerì il tema: Lucio Cesare Vanini, o Giulio

Cesare Vanini, come egli preferiva di essere chiamato, io esitai

perché non mi erano ignote le difficoltà presentate dall’argo-

mento: il quale, più che di conferenza, è oggetto di studio, e

richiede perciò un uditorio omogeneo di studiosi e di cultori

delle scienze e della filosofia, mentre può non interessare il

pubblico vario che accorre ad una conferenza e che in fondo

dice al conferenziere: cercate di farci passare un’ora quanto

meno noiosamente è possibile.

Ma considerai che l’invito mi veniva da un centro di studi e

di coltura, considerai che ormai il mio paese è prossimo a rea-

lizzare il sogno di erigere un monumento al filosofo nostro, e

allora accettai. Accettai perché a questo scopo era naturale

che si cominciasse a ricordare il suo nome che è la più alta

manifestazione del pensiero in Terra d’Otranto, ed era natura-

le che si cominciasse a ricordarlo in un centro di coltura impor-

tante come quello nel quale ho l’onore di parlare, è da questi

centri di coltura che si diffonde la luce vivificatrice degli animi,

Lucio Cesare Vanini

186

dissipatrice dei pregiudizii di cui noi, purtroppo, non andiamo

immuni.

1585 - 1619! Due date che racchiudono una breve vita:

breve vita sepolta in un’epoca la più buia d’Italia.

Nuove ed invincibili tenebre si erano addensate sul bel cielo

d’Italia dopo gli splendori del Rinascimento ed al magnifico

tumulto di vita ed al superbo turbine di pensiero filosofico e

scientifico era succeduto un tetro silenzio. Era l’epoca della

lotta atroce, brutale contro il libero pensiero, la libertà politica

era allora,... un ricordo, la libertà del pensiero, sopravvissuta

a consolare, quasi, di tanta sventura, era allora soffocata, se-

polta dalla violenza. Il delitto era compiuto dagli eroi della re-

azione cattolica, complice il Concilio di Trento, periodo nel quale

ogni voce si tace. Un gran silenzio è intorno intorno: solo qua

e là gemiti fiochi soffocati dalla terra o spenti dalle fiamme,

qualche voce di protesta sperduta nel vuoto, qualche crepitio

sinistro come di fiamme brucianti intorno ad un rogo, brevi e

sordi rumori come di ossa umane spezzate, infrante dalla tor-

tura, danno la sensazione della lotta penosa, paurosa della

repressione occulta e violenta.

A tanta vita pareva che fosse seguito un sonno da cui l’uma-

nità non doveva più svegliarsi. Ammoniva il ricordo spavento-

so delle persecuzioni feroci contro Tommaso Campanella, stra-

ziato dal carcere lunghissimo e dalle torture; non ancora forse

s’erano del tutto spenti i bagliori delle fiamme che avevano

arso in Campo de’ Fiori il divino Bruno; monaci ed inquisitori in

agguato pronti a soffocare ogni soffio.

Follia di repressione, illusione abituale delle reazioni che non

riusciranno mai a spegnere un solo germe vitale.

E ben ne fa fede il pensiero dei novatori filosofi che si riper-

cosse in tutta Europa appunto in quel secolo. Si videro, spetta-

colo nuovo, sorgere come all’improvviso pensatori straordina-

ri, genii che sembravano isolati, perché divisi, perché fatti se-

gno di persecuzione più dura, ma tutti rivelanti nel loro pen-

187

Lucio Cesare Vanini

siero una intima parentela spirituale. Pomponazzi, mantovano,

che lotta col dubbio; Cardano che intravede l’unità delle forze

cosmiche; Galileo che segna il crollo della Genesi.

Ed all’appello di questi rispondono dal mezzogiorno, dove

più cupa è la teocrazia, figure di genii e pensatori affatto diver-

si dagli altri, quasi strani, filosofi e poeti, scienziati e profeti:

Telesio, calabrese, che distorna le menti dai problemi metafisici;

Campanella, asceta e scienziato, monaco e cospiratore.

Ed ecco L. C. Vanini che interroga la natura e scopre la leg-

ge della trasformazione delle spècie che procedono l’una dal-

l’altra verso una forma migliore di vita e che contro i nemici

adopera un’arma nuova e tremenda: il sarcasmo.

E chiude la schiera Gian Battista Vico, genio straordinario,

devoto ai riti antichi e pensatore rivoluzionario, filosofo e psi-

cologo.

Questa è la parentela spirituale di L. C. Vanini: parentela di

tutti coloro che si lanciano col pensiero contro il tiranno di

questo. Ed il nemico risponde non discutendo, ma squarcian-

do, abbruciando, massacrando.

Sorto quasi all’improvviso, come da una misteriosa eruzio-

ne delle forze recondite del popolo, L. C. Vanini si rivela d’un

tratto senza che alla mente si svelino i primi passi per i quali si

diresse alla mèta che poscia toccò. E perciò confuse sono le

sue origini e la biografia si rivela impotente allo studio della

evoluzione del suo pensiero. E lo è, pare, perché l’ira di parte

ha fatto velo al giudizio dello storico.

Fa dolore vedere p. es. il Cantù, questo apostolo della storia

partigiana, farsi eco delle più calunniose dicerie con cui dopo

aver sacrificato il pensatore, si voleva disonorarne la memo-

ria.

Noi elimineremo ogni punto controverso, e ci atterremo a

quanto non è controverso. Si sa di lui che nacque a Taurisano

nel 1585, che studiò in Roma filosofia e teologia con due frati

Carmelitani Averroisti che da Roma passò a Napoli dove studiò

Lucio Cesare Vanini

188

fisica, astronomia, medicina e giurisprudenza, che a 21 anni

ebbe la laurea di dottore e che poscia andò a Pavia dove studiò

matematica e lingue straniere, combattendo, come egli stesso

dice, con le più dure necessità della vita. Egli aveva avuto cura

in questo modo di fare tutto ciò a cui la civiltà di quei tempi era

giunta, per potere con volo più ampio tentare i cieli dell’avve-

nire.

Come Bruno, come Telesio, come Campanella, egli vestì l’abi-

to del frate, e prese quello del carmelitano, perché era l’unico

che permettesse in quell’epoca una relativa libertà di studio,

ed assicurasse qualche protezione a chi si muoveva per il mon-

do. Ma poi che importano il saio e la cocolla, se devono servire

ad agevolare il cammino al contrabbandiere dell’Ideale? E con

l’abito di carmelitano si mise in giro per il mondo, trattovi dalla

febbre di studiare, di predicare, di disputare. E in queste sue

escursioni il suo pensiero si rivela bello e formato. Pellegrino di

un’idea, egli combatte la teologia papale dovunque, per la Sviz-

zera, per l’Olanda, per la Germania, per la Francia. A Lione egli

produce nel filosofo Scheffer una di quelle impressioni che non

si dimenticano.

Così Vanini pote’ andare viaggiando in Europa, diffondendo

le sue idee e scrivendo i suoi libri, della maggior parte dei quali

a noi, purtroppo, non è giunto che il titolo.

Due soli di essi poterono arrivare fino a noi: “L’Amphithea-

trum Aeternae Providentiae” che apparentemente è la dimo-

strazione della provvidenza divina mentre in sostanza ne è la

demolizione più completa e il “De Admirandis naturae Arcanis”

libro meraviglioso di scienza e profezia, che pareggia Vanini ai

filosofi moderni e che raccomanda la sua memoria all’eternità,

e lo dobbiamo alla stupidità dei censori d’Italia, perché - come

vedremo in un rapido esame di quei due libri dai quali non

furono gli altri diversi - il filosofo seppe così abilmente nascon-

dere il suo pensiero, che i censori furono tratti in inganno dal-

l’apparenza di ingenua fede che vi si professava, e imprimen-

189

Lucio Cesare Vanini

dovi il nulla osta, li raccomandarono anzi alla pietà dei creden-

ti. Fu l’Inquisizione che, leggendo con mente più acuta le ope-

re del filosofo, comprese quello che si nascondeva sotto la

maschera della fede, diede l’allarme e denunziò i libri che in-

sieme all’autore furono dannati alle fiamme. Vanini potè sal-

varsi fuggendo da Parigi. I suoi libri furono arsi, ma quei due si

salvarono grazie all’imbecillità dei censori, che, laici od eccle-

siastici, erano bestie allora, come sono bestie oggi, come sa-

ranno sempre, finché vegeterà in questo mondo una testa di

censore. Ma bastano quei libri soli per intendere tutto quanto il

pensiero di Vanini e per comprendere quale originalità lo di-

stingue dai filosofi del suo tempo di cui egli fu scolaro e segua-

ce. Già il Pomponazzi, investigando i limiti dell’intelletto uma-

no, espone arditamente la opposizione tra l’autorità filosofica

e la religiosa, tra la conoscenza naturale e la soprannaturale, e

nega che questa abbia un privilegio su quella. Il Telesio - men-

tre i gesuiti si sforzano di rinnovare la scolastica - abbandona

la metafisica, e dando al naturalismo forma più schietta e de-

terminata, professa di voler seguire il senso e la natura, ed

enunciando il nuovo principio delle scienze naturali “iw†solo

senso ci fa conoscere la natura” separa la fisica dalla teologia,

dalla morale, dalla religione e dalla metafisica stessa, e pur

ammettendo una scienza superiore alla fisica, vuole che quelle

non abbiano alcuna influenza su questa. Infine Giordano Bru-

no, vero eroe del pensiero, martire della nuova libera filosofia,

proclama la grande legge della naturalità dei fatti umani, e

trova il suo Dio nella stessa vita, infinita attività e infinita rive-

lazione di sé stesso.

Intanto Galileo Galilei viene divulgando e popolarizzando le

dottrine di Copernico; e se i tormenti della tortura gli strappa-

rono un’abiura, la profonda convinzione dello scienziato si

mantiene salda. “E pur si muove”, ed abbatte la secolare teo-

ria geocentrica che vuol la terra centro del mondo il quale sol-

tanto per la terra esiste e si muove.

Lucio Cesare Vanini

190

Così si preparava il campo sul quale si sarebbero combattu-

te e vinte le future battaglie, e si sarebbero compiute le future

grandi rivoluzioni del pensiero.

Vanini raccoglie l’eredità, ma va oltre, dotato di una forza

straordinaria di osservazione e di intuizione divina e precorre il

pensiero scientifico moderno.

Bruno, dopo aver vagato per tutta l’Europa, come spinto dal

suo fato ritorna in Italia, e quasi presago della fine sua il filo-

sofo scrive come nessun poeta ha mai scritto:

Ch’io cadrò morto a terra, ben mi accorgo;

Ma qual vita pareggia il morir mio?

La voce del mio cor per l’aria sento:

“Ove mi porti temerario? China,

Chè raro è senza duol troppo ardimento.”

“Non temer, rispondo io, l’alta ruina,

Fendi sicur le nubi, e muor contento

Se il Ciel sì illustre morte ne destina”.

Bruno è imprigionato dalla Inquisizione di Venezia, conse-

gnato a quella di Roma, esaminato, torturato, arso.

Uguale destino quello di Vanini.

Vanini, costretto a fuggire da Parigi, quando la Sorbona,

accortasi dell’eresia che si celava nei suoi libri lo denunziò al

tribunale della Santa Inquisizione di Tolosa, muta il suo nome

in quello di Pomponio Usilio, butta via l’abito del carmelitano, e

sotto le vesti di un leggiadro cavaliere torna alle sue peregri-

nazioni a traverso la Spagna. Bellissimo, di spirito inesauribile,

dotato di quel fascino dell’intelligenza che avvinceva a lui ogni

persona che lo avvicinava e di sorriso che gli fioriva sempre

sulle labbra, egli conquista e la vita gli sorride alfine con tutte

le sue lusinghe.

Ma il filosofo non sfugge al suo destino. Quello stesso fato

che aveva sospinto Bruno in Italia, trae L. C. Vanini a Tolosa

191

Lucio Cesare Vanini

che era proprio il centro della reazione cattolica. Ivi, entrato

con gli infingimenti astuti, sotto le nuove vesti e il nuovo nome,

riesce per qualche tempo a sottrarsi alle persecuzioni, e anzi,

conquista la benevolenza di tutti al segno che le migliori fami-

glie della città lo vogliono istitutore e precettore dei loro fi-

gliuoli. Ma lo spirito del pensatore non è spento e Vanini in

Tolosa, sotto l’impulso di far la guerra al nemico nella sua stes-

sa fortezza, ricomincia l’opera di diffusione del pensiero suo.

Oggi è un’abile insinuazione; domani una parola lieve come un

soffio; poi un’idea lanciata: raccoglie i giovani intorno a sé, e li

convince alle proprie dottrine. L’audacia dell’uomo andava ol-

tre il segno. Bayle diceva che era chiaro che Vanini anelasse al

martirio, e infatti il destino segnò l’ora anche per lui.

Il nemico si accorse dell’inganno e domandò la vittima tanto

più cupidamente quanto più amaramente era stato giuocato.

Accusato dalla voce pubblica di ateismo, fu tratto davanti al

Parlamento e dopo un processo che durò sei mesi fu condan-

nato ad avere strappata la lingua e ad essere arso sul rogo.

Pruova che egli non si sia mai ritrattato. Imperocchè l’inquisi-

zione non bruciava coloro che si ritrattavano.

E non li bruciava perché la ritrattazione li uccideva moral-

mente, e vivi erano meno pericolosi di quello che potevano

essere morti circondati dall’aureola del martirio. Ed egli si av-

viò serenamente al supplizio estremo. E qui i testimoni non

mancano. Mai un tremito scosse il suo corpo, né quel sorriso

pieno di fascino che gli illuminava il volto morì mai sul suo

labbro. E la condanna fu eseguita. Orribile condanna! Dopo

avergli rasi i lunghi capelli come ebano, lo trascinarono in piaz-

za in presenza del rogo innalzato per lui. Non una vibrazione

del suo corpo. Al frate che gli mostrava il Cristo egli disse:

“Guardalo! Egli per l’angoscia sudò sangue, ed io - vedi? - non

sudo!” Gli fu strappata la lingua e fu legato sul rogo. E fra i

crudeli spasimi della lenta agonia, non un gemito, non un ge-

sto di terrore potettero allietare i carnefici suoi. Latin sangue

Lucio Cesare Vanini

192

gentile! La folla che assistè al supplizio, atterrita vide che quando

già le fiamme lambivano il corpo, quel volto bellissimo sorride-

va ancora, e non dimenticò più quel sorriso. Egli è ch’egli sen-

tiva che non moriva intero; vedeva lo spirito suo sottile e cau-

stico che andava a posarsi sulle labbra degli enciclopedisti del

secolo XVIII e ad alimentare il progresso della materia e dello

spirito. Giovanni Bovio ben disse incidendo una lapide: “Su

questa pietra il popolo ne raccoglie il nome e lo consacra al

secolo vendicatore”. Bayle, venuto pochi anni dopo di lui e

vissuto in Tolosa fra coloro che avevano assistito al supplizio,

ha scritto che nessun uomo ha mai guardato in viso la morte

come Vanini! Le ceneri del filosofo furono al vento, e ancora

vagolano per l’aere attendendo il momento di cadere come

rugiada fecondatrice di una nuova stirpe di eroi!…

Questo l’uomo.

Delle sue opere due sole, abbiamo detto, si salvarono dal-

l’auto da fè: “L’Amphitheatrum Aeternae Providentiae” e il “De

admirandis naturae” dalle quali si può rilevare il suo pensiero

nelle sue linee fondamentali. Però se vi è dubbio se egli abbia

professata fede piuttosto ad Aristotele e ad Averroe che a Pla-

tone, cosa che non importa molto di sapere, non vi è dubbio

che il suo indirizzo era quello di tutti i filosofi del Risorgimento

e che in lui palpitavano le anime grandi di Pomponazzi, di Telesio

e di Bruno.

Egli non si professò ateo giammai e non lo era, ma la divini-

tà per lui non era divisa dall’universo, accampata in un al di là

incomprensibile: era invece l’anima del mondo, il motivo e la

ragione sufficiente di tutto quanto esiste:

causa efficiente e non la causa finale. E l’uomo non ha altri

mezzi per assurgere alla conoscenza dell’Infinito che la ragio-

ne, la quale non può essere costretta ad abdicare nelle mani

della teologia.

Finito il tempo delle leggende, comincia quello della critica

che tutte quante le sfata, e la storia dei numi diventa storia

193

Lucio Cesare Vanini

umana. La legge morale non ci è imposta, ma vive in noi,

coscienza della propria dignità e del proprio scopo. Tutto quanto

è, è necessario. Il Regno della Natura è infinito, eterno ed ob-

bediente a leggi proprie, le quali segnano un cammino ascen-

dente dalla forma più vile alla più alta: teoria questa che prean-

nunzia le moderne scoverte della legge di evoluzione. Sono i

primi lampi della teoria dell’evoluzione e della legge di eredità

fisiologica che rompono la notte e ci fanno intravedere il futuro.

Lo stile poi adoperato dal Vanini nelle sue opere rivela un

lato del suo carattere ed una delle principali differenze tra lui e

Giordano Bruno. Mentre il filosofo di Nola si abbandona since-

ramente all’aspirazione ed è franco e rude come un apostolo,

lirico come un profeta, il filosofo di Taurisano è arguto, sarca-

stico, erede di quel risolino schernitore che è caratteristica tut-

ta affatto italiana e che noi non abbiamo perduta nemmeno

nei momenti in cui i flagelli che ci piombavano sulle spalle

avrebbero fatto piangere a lagrime di sangue qualunque altra

nazione! Egli cerca di velare il suo pensiero facendolo balenare

indirettamente. Ed aveva ragione perché egli scrisse le sue

opere quando già Bruno aveva dimostrato morendo sul rogo:

“Che raro è senza duol troppo ardimento”.

I suoi libri sono scritti in forma di dialogo i cui interlocutori

sono ordinariamente un ateo che argomenta contro la fede e

un cristiano (L. C. Vanini) che risponde fingendosi inorridito

all’udire. Ma le risposte - ecco l’originalità di Vanini - sono fatte

apposta per mettere in evidenza gli argomenti dell’ateo: sono

così balorde e ridicole, lo spavento dimostrato dal dabben uomo

cristiano è così grottesco, che le critiche dell’ateo ne restano

rinvigorite. E il più delle volte colui che confuta si impapera e

conchiude che non rimane di meglio a fare che rimettersene

all’autorità della Chiesa. P. es; l’uno dei due dice che la vittoria

di Dio sul demonio è evidente quando si pensi ai mezzi

tenuissimi mercè i quali la religione cattolica si è diffusa pel

mondo. Ma l’altro risponde che in sostanza i cattolici sono una

Lucio Cesare Vanini

194

minoranza fra protestanti idolatri, mussulmani etc. E l’altro

rimane colpito dall’osservazione e conclude: “Ma bisogna ri-

mettersene alla sapienza della Chiesa”. Uno dei due solleva un

dubbio sulla creazione dal Nulla e l’altro tenta di confutarlo,

ma vedendo che non vi riesce conchiude che in queste materie

bisogna rimettersene alla Chiesa. E questa conclusione ritorna

tante e tante volte che alla fine suona come un ritornello sar-

castico, e come un sarcasmo suona la chiusa del libro con la

quale il lavoro è sottoposto al giudizio di papa Paolo V.

L’astuzia però non valse. La Sorbona composta di filosofi e

teologi bevve grosso e appose al libro il nihil obstat; l’odio

della Inquisizione vide più giustamente e dannò alle fiamme lo

scrittore e gli scritti.

E quanto non sono ammirevoli gli scritti di Vanini come

precorritori del moderno pensiero, come rivelatori di quella

luce con cui la scienza oggi ha potuto dissipare le tenebre che

nascondevano agli spiriti sofferenti la verità?

A proposito di miracoli, in quel tempo si mandavano al rogo

a centinaia dei poveri malati che si credevano posseduti dal

demonio: streghe ed ossessi.

Le convulsioni epilettiche, non trovando alcuna spiegazione

nella scienza di quel tempo, erano credute manifestazioni in-

fernali. I malati pronunziavano parole sconnesse in lingue igno-

te, dimostravano cognizioni mai apprese? Erano suggerimenti

del demonio la cui potenza solo dal fuoco poteva essere fru-

strata. Vanini dubitò che si trattasse di indemoniati ed intuì la

malattia.

Quelle parole pronunziate, quelle cognizioni di cui si cono-

sceva l’origine, potevano essere pervenute alla persona senza

che ne avesse coscienza, ed erano rimaste allo stato subco-

sciente; sotto l’azione del male, nel momento dell’accesso,

avveniva una rivoluzione della coscienza per cui quelle impres-

sioni e quelle sensazioni tornavano per così dire a galla, e il

malato le manifestava. Oggi la scienza dà ragione all’intuizio-

195

Lucio Cesare Vanini

ne del filosofo e all’intuizione si sostituisce l’esperimento nei

gabinetti degli scienziati.

Da Ribot, da Charcot nella Salpetrière a Parigi, sono stati

compiuti innumerevoli esperimenti. Una donna epilettica pro-

nunziava durante l’accesso parole di una lingua ignota. Sotto-

posta all’esame degli scienziati, si osservò che erano parole di

lingua ebraica che certo quella disgraziata non aveva mai stu-

diato né si poteva comprendere come avesse appreso. Ma in-

vestigando si venne a sapere che era stata al servizio di un

prete che insegnava l’ebraico. Durante quelle lezioni alcune

parole erano arrivate fino all’orecchio della domestica ed ave-

vano lasciata la loro impressione senza che la coscienza della

donna se ne avvertisse, ma conservandole nel suo fondo. Nel

rivolgimento prodotto dall’accesso erano pronunziate, natu-

ralmente senza coscienza, e dimenticate subito dopo passato

il male.

A parte il metodo, il linguaggio e la dimostrazione scientifi-

ca, nelle opere di Vanini si trova il germe della grande scoper-

ta. Ma a quei tempi era il diavolo e doveva intervenire il mira-

colo: “e come volete negare il miracolo - risponde all’ateo Vanini

- se è proprio l’acqua santa buttata sulla testa che scaccia il

demonio?” E l’ateo - ecco l’ironia ed ecco l’intuizione insieme:

- “non bisogna dimenticare che l’acqua è fredda, e che in que-

sti casi il freddo fa bene.”

Sono gli stati anormali dell’organismo dei quali allora non si

trovava spiegazione alcuna: stati di eccitazione che divengono

malattia quando sono gravi.

G. Bruno scrisse un libro dal titolo: “Gli Eroici Furori” e con

quel titolo intende precisamente quello stato di esaltazione

dell’organismo che ne accentua le facoltà e le eccita: “eroici”

perché lo spirito si eleva allora alle concezioni più alte; “furori”

perché sono prodotto di esaltazione. Vanini intuiva dunque la

origine naturale di quei fenomeni che si chiamavano miracoli;

la scienza ne dà oggi la spiegazione e la dimostrazione. Charcot

Lucio Cesare Vanini

196

ha fatto nel suo laboratorio, sui suoi ammalati, innumerevoli

esperimenti ed ha scritto un libro piccolo per quanto prezioso

che nessun cultore di scienza dovrebbe ignorare: “La fede che

guarisce”. Zola ne ha fatto un grande romanzo: “Lourdes”.

Ma non è qui che si ferma la divinazione del filosofo di

Taurisano. Se trattando di miracoli e di divina provvidenza in-

tuì le verità naturali dei fatti umani, precorrendo quello che fu

poi assicurato indiscutibile scoperta al pensiero scientifico, si

può affermare che nelle opere di Vanini è pure il germe della

più alta concezione moderna: la teoria di Darwin. Come il Galilei,

volgarizzando e dimostrando le dottrine di Copernico contro il

sistema tolemaico, aveva dato il colpo mortale alla teoria

geocentrica, così il Vanini, portato oltre i suoi tempi dalla forza

meravigliosa di intuizione della mente sua, prevede la scienza

futura; e coi modesti mezzi che potevano fornigli il linguaggio

e le cognizioni dell’epoca, lancia il germe delle nuove idee che

dovevano abbattere il pregiudizio antropocentrico, il quale,

attribuendo all’uomo origine soprannaturale, chiamandolo

emanazione diretta di Dio, diversa e superiore alle altre crea-

ture, lo faceva centro dell’Universo, e di questo gli dava la

signoria e il dominio assoluto. Nei “Dialoghi sulla Natura” l’ateo

lancia le sue bestemmie e nega all’uomo l’origine divina e il

dominio dell’universo. Il cristiano dabbene gli ribatte: “Come

potete voi negare che l’uomo sia un essere superiore, creato

da Dio perché abbia il dominio del mondo? Non vedete che egli

si serve della terra, che tutto gli obbedisce, che doma gli ani-

mali e li sottomette al suo servizio?”. “È vero, ribatte l’ateo,

l’uomo doma il cavallo, ma doma forse una tigre o un leone e

li lega al suo carro? Se l’uomo è sopravvanzato talora in forza

agli animali, come può dirsi che è a quelli superiore in destina-

zione?”. Il cristiano inorridisce: “Ma non sapete che la Chiesa

Romana la pensa diversamente?”. E la critica dell’ateo trionfa.

L. C. Vanini dunque fisicamente cerca nelle forze naturali l’ori-

gine dell’uomo, e precorrendo Darwin intravede la teoria della

197

Lucio Cesare Vanini

trasformazione e del successivo perfezionarsi della specie.

Osservava il Vanini come l’agricoltore, nella coltivazione delle

piante, portando l’ambiente in determinate speciali condizioni,

ora aumentando, ora scemando il calore del suolo e la nutri-

zione, otteneva in un certo volger di tempo delle specie miglio-

ri di quelle che spontaneamente crescevano, fino a raggiunge-

re, a traverso successive trasformazioni, delle specie affatto

diverse. Da una pianta selvatica ed inservibile, il coltivatore

ricavava una pianta che dava dei frutti buoni. E rivolgendo

l’osservazione sul mondo animale, il filosofo intravide che l’uo-

mo non era già una indipendente occasione di creazione divi-

na, ma il prodotto di trasformazioni e di sempre maggiori per-

fezionamenti succedutisi nella millenaria vita della terra. In-

travide che dalle più semplici forme di vita si era sviluppata

questa forma altissima che è l’uomo, non solo, ma intuì che

l’ultimo anello della infinita catena era la scimmia.

Insinua l’ateo: “Non avete voi notato quanta somiglianza vi

sia tra gli Etiopi neri e la scimmia?”. Il cristiano risponde: “Come

potete voi pensare a simile eresia? Come fareste voi a spiega-

re la posizione eretta che ha l’uomo, mentre tutti gli animali

sono condannati ad andar carponi, colla fronte rivolta a terra?

La stessa posizione eretta dell’uomo, che ha sempre la fronte

e lo sguardo rivolti al cielo, basta da sé a convincerci della sua

origine divina e della sua destinazione che lo richiama a Dio”.

Ma l’ateo ribatte: “Non può essere che questa posizione eretta

sia il prodotto di uno sforzo lungo e lento, ma continuo, com-

piuto dal progenitore, che trasmette il prodotto dei suoi sforzi

come facoltà al figlio il quale, ancora più perfezionato dagli

sforzi proprii trasmette tale facoltà ai suoi discendenti finché,

dopo lunga serie di sforzi e perfezionamenti successivi, la po-

sizione eretta è stabilmente conquistata?”.

Non è forse questa l’intuizione delle moderne teorie sulla

ereditarietà, di cui, del resto, non poche tracce e non poche

osservazioni sono sparse qua e là nei libri del Vanini? E non è

Lucio Cesare Vanini

198

insieme l’intuizione delle moderne dottrine sul genio? Lombroso,

Sergi, Ferri, a parte il metodo ed il sistema scientifico, dimo-

strando essere il genio il prodotto di una degenerazione, seb-

bene raggiunga una forma superiore a quella da cui deriva,

hanno forse pensato diversamente da quello che intuiva Vanini?

Questo fu il pensiero divinatore di L. C. Vanini, questa la

originalità che lo distingue dai filosofi del suo tempo, questi i

libri che di lui ci sono rimasti raccomandati dalla censura alla

religione dei fedeli!

Così il filosofo riuscì a vivere i suoi trentaquattro anni di vita

e a salvare per la posterità il pensiero suo, affidato a quei libri,

nascosto dall’ironia e dal sarcasmo.

Ma non pote’ salvare oltre la vita. Se il genio lo affratellava

al divino Giordano Bruno, più ancora lo affratellava a lui il tra-

gico destino.

Ed ora dando uno sguardo complessivo e di raffronto al Ri-

sorgimento italiano e a quello tedesco della Riforma, io non

posso celare un pensiero che ho sempre avuto da quando su

queste cose ho rivolta la mia attenzione. Messi in confronto i

due movimenti, nessuno può negare il primato del pensiero e

del carattere italiano.

Che il pensiero dei nostri filosofi sia stato più vasto di quello

della Riforma tedesca, non ho bisogno di dirlo a Voi. Voglio

solo far notare come a questa altezza estetica del carattere

non giunse Lutero. Se egli bruciò in pubblico la bolla di scomu-

nica di Papa Leone X insieme alle Decretali pontificie e ai libri

di diritto canonico, egli aveva, come suol dirsi, le spalle guar-

date dai più influenti cavalieri dell’Impero e dallo stesso elet-

tore Federico che lo protegevano. Se Carlo V eletto recente-

mente Imperatore di Alemagna, costretto ad entrare nella lot-

ta religiosa, assunse un contegno ostile contro di lui, pure i

suoi partigiani erano già tanti che egli non osò fare eseguire

subito la bolla di scomunica, ma lo fece prima citare innanzi

alla dieta di Worms ove quando giunse, il popolo lo accolse

199

Lucio Cesare Vanini

come un trionfatore. E quando ne partì, prima che fosse pro-

nunziato contro di lui il bando dall’Impero, fu ospitato dal-

l’Elettore Federico il Savio e tenuto nascosto nel castello di

Wartburg per dieci mesi, e quivi trattato come un principe fino

a quando Carlo V ripassò in Ispagna. E il momentaneo esilio fu

compensato largamente dappoiché egli assiste’ vegeto ancora

al trionfo delle sue idee, perché a Norimberga nel 1524 e alla

dieta di Spira nel 1525 i principi e gli stati di Alemagna che

avevano accolto le sue idee, protestarono contro l’Editto di

Worms e ricusarono di sottomettervisi. Egli morì tranquillo ed

onorato, ed i suoi funerali furono splendidi come quelli di un

Re, fatti a spese dell’elettore di Sassonia, e il suo corpo fu

adagiato in un solenne mausoleo nella chiesa di Vittemberga.

Quale immensa distanza dai martiri nostri, quale diversità

di destino da Tommaso Campanella che geme inascoltato per

27 anni nel fondo di una prigione, da Giordano Bruno che dopo

aver peregrinato per tutta l’Europa ritorna in patria per sacrifi-

care alle sue dottrine la vita col martirio e muore quasi sorri-

dente come se assistesse alla sua apoteosi, da Lucio Cesare

Vanini il quale dopo un’accanita persecuzione si fa strappare la

lingua con le tenaglie roventi e poscia ardere vivo senza dare

ai suoi carnefici la consolazione di un solo gemito di dolore! E

la differenza si accentua maggiormente quando il sempre cre-

scente plauso popolare che creava un’apoteosi intorno a Lutero

aveva presso di noi riscontro nella tragica solitudine in mezzo

a cui emergevano come palme nel deserto gli apostoli e i mar-

tiri del pensiero italiano, ai quali non consolò la tribolata esi-

stenza né favore di principi, né plauso di popolo.

Chè anzi può dirsi che il popolo si interessò di loro solo nel

momento in cui ascesero il rogo! Morto Lutero il suo corpo fu

conservato alla venerazione dei posteri in un monumento eterno

come il marmo del quale era composto: le ceneri dei nostri

martiri furono sparse al vento, e i posteri hanno sanzionato il

crudele giudizio con la più completa indifferenza!

Lucio Cesare Vanini

200

Che se mi si domanda il perché di questa diversità di desti-

no, risponderò che era fatale come tutto è fatale quaggiù. La

Rivoluzione Luterana era il portato di una lunga serie di aspira-

zioni e di tradizioni storiche del popolo tedesco; la protesta

della filosofia italiana scoppiò come l’eruzione di un vulcano in

mezzo ad un popolo che non ancora era stato preparato ad

accoglierla. Per i tedeschi quella di Lutero venne quasi in ritar-

do; per l’Italia quella di Telesio, di Campanella, di Bruno e di

Vanini venne troppo presto, tanto che appena oggi le opere di

quei sommi vengono studiate e ravvisate come piene di

divinazioni di ciò che i secoli futuri dovevano riconoscere come

dogma! Le due tradizioni ostili fra loro siano pruova di quanto

io asserisco…

Quello che Roma antica fece con le armi, la conquista del

mondo, Roma papale fece con i dogmi. L’unità, la centralizza-

zione della forza si perpetuò nella centralizzazione teocratica,

e l’una volta e l’altra trionfava il demiurgo italiano sotto la for-

ma sua propria che era quella dell’accentramento delle forze

vitali dei popoli in Roma. Roma caput mundi, regit orbis froena

rotundi, come diceva uno scrittore Longobardo. Ma l’una volta

e l’altra fu fatale che il dominio di Roma venisse scosso dalle

ribellioni dei popoli, e come prima furono rappresentanti di que-

ste ribellioni Viriato, Sacrovino, Arminio, furono dopo Calvino e

Lutero: la forza della insurrezione armata contro la prepoten-za

delle legioni, la forza del libero esame contro quella del dogma.

I combattenti erano gli stessi rinati nel ricorso storico, i nomi

soli e le armi erano cambiate: la stessa fu la fortuna della

guerra. Ciò posto è chiara la verità della mia asserzione. Le

razze germaniche insorgono contro il dominio di Roma la se-

conda volta combattendo non più contro le legioni di Varo nel-

la foresta Ercinia, ma contro le invisibili legioni del mondo de-

gli spiriti che il gran mago di Roma dirigeva contro di loro, e

innanzi alle quali si sentivano sfibrati quei forti da un senso

arcano di timore e vinti prima di aver tentata la lotta. E insor-

201

Lucio Cesare Vanini

gono la prima volta, e si apre la lunga storia delle guerre per la

Investitura fra Papato ed Impero, e si hanno le discese terribili

dei Cesari in Italia, ed il fragor della battaglia vien portato fin

sotto le mura del Santuario.

Ma le armi erano disuguali perché con la forza non si com-

batte il pensiero e i Cesari furono vinti ed umiliati. Il Pontefice

scioglieva i popoli dal giuramento di fedeltà e il Cesare vedeva

come per incanto le armi delle sue legioni infrangersi come

deboli canne, e la solitudine farsi intorno al suo trono, e allora

doveva affrettarsi a mutar l’abito di conquistatore in quello di

penitente e chiedere perdono del suo ardimento. E nemmeno

quando i Re vinti venivano carichi di ceppi a prostrarsi innanzi

al Senato Romano la nostra storia ha un momento che ci fac-

cia palpitare di più forte orgoglio nella nostra coscienza d’ita-

liani del momento in cui il più grande italiano dei tempi di

mezzo, Papa Ildebrando, costringe la superbia di un Imperato-

re tedesco a prostrarsi innanzi a lui nel fango a Canossa; in-

nanzi a lui e a quella fiera amazzone cattolica che fu la Contes-

sa Matilde! Bisognava dunque far la rivoluzione contro Roma

con armi diverse togliendo ai popoli i terrori che nelle coscien-

ze sapeva infondere Roma, rescindendo la sudditanza morale

col proprio avversario. E quando Lutero annunciò le sue 95

proposizioni, l’Impero comprese che mercé la riforma, la via di

Canossa si sarebbe chiusa, e favorì il movimento.

Un Arminio novello era sorto vendicatore della libertà dei

popoli, fiero delle stesse armi che Roma impugnava. Ecco per-

ché Lutero assiste’ alla propria apoteosi!

Il contrario avvenne in Italia. Qui i liberi pensatori in odio al

Papato, assumevano l’aspetto di gente che faceva la causa

degli avversari. Essi concorrevano a sfatare il trionfo di Roma

sul mondo, e in un momento in cui Roma sfolgorava di una

luce così potente che nel tempo dei Cesari non ebbe giammai.

La potenza di Roma tramontava, e come il sole che muore,

mandava più fulgidi i suoi sprazzi.

Lucio Cesare Vanini

202

Moriva da artista, e la sua morte somigliava all’alba di una

nuova vita. Nel momento in cui le arti italiane venivano protet-

te dai Pontefici, in cui la letteratura italiana risorgeva come al

secolo di Augusto, in cui la munificenza ed il lusso abbarba-

gliavano le menti, come poteva il popolo comprendere questi

asceti del libero pensiero che preoccupati di un’idea al volgo

incomprensibile, estranei alle gioie della vita, fieri delle loro

tribolazioni, gittavano una nota lugubre in mezzo al tripudio

del trionfo? La Chiesa li condannava e il popolo li isolava, salvo

a circondarli tripudianti nel momento in cui emettevano sul

rogo l’anima invitta! E se i tempi avvenire dovevano rendere

feconde le ceneri degli apostoli disperse al vento, le generazio-

ni di allora erano giustificate dalla necessità della storia la for-

za della quale giustifica gli oppressori, gli apostoli e i Giuda.

Ecco perché son passati dei secoli prima che l’attenzione del

popolo sia ritornata a coloro per i quali la scienza non fu una

ginnastica della mente, ma un apostolato dell’anima, e la li-

bertà del pensiero non una vana ostentazione, ma legge della

coscienza, “come sa chi per lei vita rifiuta”. Ed ora che l’incanto

è rotto, questi grandi attendono una solenne riparazione dai

posteri.

A Vanini innalzeremo un monumento al quale, quando tristi

tempi volgeranno sul nostro bel mezzogiorno, noi possiamo

indirizzare i nostri giovani a trarre gli auspicii. Ma la riparazio-

ne che questi pensatori attendono non è soltanto quella che si

fa con i monumenti e con i discorsi, non quella che con gli

epifonemi più o meno rettorici, ma soprattutto quella che si fa

con lo studio assiduo delle pagine nelle quali essi hanno versa-

ta l’anima loro!

Oggi l’umanità onora il filosofo martire; la superba epigrafe

di Giovanni Bovio ne affida il nome e il pensiero al secolo ven-

dicatore che non è ancor giunto. Anco lungo cammino rimane

da fare perché la vendetta nostra possa dirsi compiuta. Ma

verrà vendicatore un secolo venturo: quello in cui sulle mace-

203

Lucio Cesare Vanini

rie di tutti i templi vecchi abbattuti e di tutti i rovinati edifici del

passato, sorgerà un solo altare intorno al quale accorrerà tutta

l’umanità nuova per venerare una divinità sola: la Scienza,

ultima Dea!…

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

204

La Giurisprudenza in tema

di tassazione ai fini Irpef

delle somme percepite a titolo

di risarcimento del danno

di Maurizio Villani

1. Approccio problematico all’esame della normativa

tributaria

La problematica della assoggettabilità a tassazione delle som-

me percepite a titolo di risarcimento del danno non può pre-

scindere dalla fondamentale analisi della disciplina legislativa

in materia. A riguardo, il D.P.R. 1986, N. 917

1

(Testo Unico

delle Imposte sui Redditi), all’articolo 6

2

, dopo una prima clas-

sificazione dei redditi imponibili, attrae nella tassazione IRPEF

talune fattispecie, quali i proventi e le indennità, che di per sé

non hanno una identità reddituale idonea a ricomprenderle in

una delle categorie generali di cui al primo comma.

1

Decreto del Presidente della Repubblica del 22 dicembre 1986, n. 917

(in S.O. n. 1 Gazzetta Ufficiale n. 302 del 31 dicembre 1986), dopo le modi-

fiche del D.Lgs. n. 344 del 12/12/2003.

2

Art. 6 – Classificazione dei redditi

“1. I singoli redditi sono classificati nelle seguenti categorie: a) redditi

fondiari; b) redditi di capitale; c) redditi di lavoro dipendente; d) redditi di

lavoro autonomo; e) redditi d’impresa; f) redditi diversi.

2. I proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto di

cessione dei relativi crediti, e le indennità conseguite, anche in forma assi-

curativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi,

esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono

redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti. Gli interessi moratori

e gli interessi per dilazione di pagamento costituiscono redditi della stessa

categoria di quelli da cui derivano i crediti su cui tali interessi sono maturati.

3. I redditi delle società in nome collettivo e in accomandita semplice, da

qualsiasi fonte provengano e quale che sia l’oggetto sociale, sono considera-

ti redditi d’impresa e sono determinati unitariamente secondo le norme rela-

tive a tali redditi”.

205

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

Dall’esame del testo è possibile evincere una fondamentale

distinzione, operata dal legislatore, tra le indennità percepite a

titolo di risarcimento dei danni consistenti nella perdita di red-

diti e le indennità percepite a titolo di risarcimento dei danni

dipendenti da invalidità permanente o morte.

Le prime, in quanto equiparate ai redditi imponibili, vengo-

no incluse nel novero delle fattispecie sottoposte a tassazione;

le seconde ne vengono, invece, escluse.

Peraltro, la disposizione di cui all’art. 6 necessita di un con-

fronto e di un esame comparativo con l’art. 17 del medesimo

Testo Unico

3

(ex art. 16 vecchio TUIR), che, invece, sottopone

a tassazione separata (considerandole, pertanto, imponibili)

“le indennità spettanti a titolo di risarcimento, anche in forma

assicurativa, dei danni consistenti nella perdita di redditi rela-

tivi a più anni”.

In realtà la ratio di tale discrasia è facilmente individuabile,

laddove si consideri che una disposizione normativa suscetti-

bile di vastissima applicazione, quale è un Testo Unico, neces-

sita di continue integrazioni e modifiche, spesso apportate da

mani diverse e rispondenti a differenti esigenze nel tempo. Ed

in quest’ottica va inquadrato il dettato di cui all’art. 17, intro-

dotto in epoca posteriore a quella di approvazione dell’origina-

rio decreto 917/86, dal D.L. 23.02.1995, n. 41 (c.d. “manovra

Dini”). Esso è, infatti, concepito in funzione dissuasiva dei nu-

merosi tentativi di elusione fiscale diffusisi nel tempo e consi-

stenti nell’uso di transazioni che qualificavano come risarci-

menti somme corrisposte, in realtà, a tutt’altro titolo. Si trat-

ta, tuttavia, di una particolare modalità impositiva, quella del-

la tassazione separata, che costituisce una specificazione della

disciplina generale e che, pertanto, non incide sui più generali

presupposti del tributo, i quali restano disciplinati dall’art. 6

del Testo Unico.

3

Cfr art. 17, comma 1, lettera i) nuovo TUIR, così come introdotta dal

D.L. 23.02.1995, n. 41.

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

206

2. Il concetto di danno nella normativa e nella giuri-

sprudenza

Un’approfondita analisi della materia del risarcimento nel

diritto tributario non può prescindere da un breve riesame del

concetto di danno, nella sua duplice accezione di danno emer-

gente, ovvero di perdita economica subìta dal creditore e che

si concretizza in una diminuzione del suo patrimonio, e di lu-

cro cessante, ovvero di mancato guadagno che il creditore

avrebbe potuto realizzare se non si fosse verificato il fatto dan-

noso (inadempimento o fatto illecito).

Una duplicità di aspetti di matrice civilistica, che trova, tut-

tavia, ampio riscontro nell’evoluzione sia normativa che giuri-

sprudenziale del diritto tributario.

- Sotto il profilo normativo è sufficiente riconsiderare la

stessa previsione di cui all’art. 6 TUIR: essa, a ben vedere,

effettuando la distinzione tra indennità percepite a titolo di

risarcimento dei danni dipendenti da invalidità permanente o

morte e indennità percepite a titolo di risarcimento dei danni

consistenti nella perdita di redditi, ripercorre la falsariga della

civilistica distinzione tra danno emergente e lucro cessan-

te.

Il tema, peraltro, trova spazio già nei più generali principi

costituzionali dell’obbligo di concorrere alle spese pubbliche in

ragione della capacità contributiva e dei criteri di progressività

cui il sistema tributario è improntato (art. 53 della Costituzio-

ne). Dall’osservanza di tali principi deriva, infatti, una genera-

le assoggettabilità a tassazione del solo risarcimento dei danni

derivante da capacità contributiva, concepito, cioè, come lucro

cessante, e non come danno emergente.

- Più interessante è osservare come, nel diritto tribu-

tario, si sia realizzata un’evoluzione giurisprudenziale,

che corrisponde pienamente all’affinarsi delle elaborazioni

civilistiche di danno risarcibile. Si tratta di una giurisprudenza

207

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

relativamente recente, che risponde all’esigenza di trovare

uniformi risposte alla molteplicità delle evoluzioni della nor-

mativa tributaria nel tempo.

L’analisi della fattispecie della tassabilità del danno, che ci

accingiamo a compiere, non si ferma ai soli aspetti del danno

emergente e del lucro cessante, ma investe anche la distinzio-

ne tra danno patrimoniale, danno morale (complesso delle

perdite non materiali subite da un individuo) e il c.d. tertium

genus del danno biologico.

La figura del danno biologico, in particolare, assume rilievo

in quanto assai evocata nelle controversie attinenti i rapporti

di lavoro, di cui la giurisprudenza tributaria sulla tassabilità del

risarcimento del danno è notevolmente intrisa.

3. Aspetti problematici in relazione alle controversie

di lavoro

Un filone giurisprudenziale particolarmente ricco si osserva

nella trattazione dei risvolti che il risarcimento del danno in

generale assume in relazione ai risvolti fiscali della materia dei

rapporti di lavoro.

I problemi nascono dalla difficoltà di coordinamento del ci-

tato articolo 6 del TUIR con il successivo art. 51, comma 1, (ex

art. 48 vecchio TUIR) che stabilisce che il reddito di lavoro dipen-

dente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qua-

lunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto for-

ma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro.

Come è evidente, la formulazione della norma offre spazio a

numerosi dubbi. Si pone, infatti, il problema di definire la na-

tura delle indennità percepite in relazione più o meno stretta

con il rapporto di lavoro. Si tratta di stabilire, cioè, se le mede-

sime siano da considerare risarcimenti esenti da imposta, ai

sensi dell’art. 6 TUIR, ovvero risarcimenti dei danni consistenti

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

208

nella perdita di redditi relativi a più anni, sottoposti a tassazio-

ne separata ex art. 17 TUIR, o, ancora, somme percepite in

dipendenza del rapporto di lavoro, sottoposte a tassazione or-

dinaria dall’art. 51 TUIR. Si tratta, inoltre, di chiarire l’inqua-

drabilità o meno delle differenti tipologie di indennità percepi-

te in occasione del rapporto di lavoro nella fattispecie del dan-

no emergente o del lucro cessante.

Al termine di un fervido dibattito giurisprudenziale e di un

processo elaborativo tutt’altro che semplice, si è giunti alla

conclusione che sono considerabili lucro cessante e, per-

tanto, assoggettabili ad imposizione IRPEF, tutte le in-

dennità percepite in sostituzione di una perdita di red-

dito. Non sono, invece, tassabili le indennità percepite a

titolo di risarcimento del danno emergente, ovvero quelle

indennità il cui ammontare viene svincolato dalla dura-

ta del rapporto di lavoro.

Tale conclusione trova il suo più prestigioso consenso nella

giurisprudenza della Suprema Corte, che, con sentenza n.

11687 del 05/08/2002

4

, assoggetta a tassazione (in base

all’art. 6, comma 2, TUIR, da intendersi integrato dalle pre-

scrizioni di cui all’art. 48

5

, comma primo, del TUIR) l’indennità

supplementare per licenziamento ingiustificato, corrisposta sulla

base della contrattazione collettiva ai dirigenti di azienda in-

corsi in licenziamento illegittimo. La Corte, tuttavia, subordina

tale tassazione alla condizione “che risulti accertata la relativa

fattuale destinazione a coprire un danno consistito nella perdi-

ta di redditi (delle retribuzioni che sarebbero state percepite

nell’ipotesi di prosecuzione del rapporto di lavoro), e non un

pregiudizio diverso”.

Indicativa della necessità di uno sforzo interpretativo del

caso pratico è, pure, la sentenza della Corte di Cassazione -

4

In Bollettino Tributario, anno 2003, pag. 219.

5

Oggi art. 51 nuovo TUIR.

209

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

Sezione V, n. 16014 del 17/08/2004

6

, che ricorda: “La

stessa interpretazione del Ministero delle Finanze data, come

risulta dalla Relazione al TUIR, all’art. 46

7

(…) e all’art. 16

8

, (…)

muove dal principio che l’indennizzo dei danni costituisce red-

dito quando si tratta di lucro cessante (cioè di perdita di reddi-

ti) e non di danno emergente: principio di cui viene data op-

portuna conferma”.

Un intendimento analogo ispira la sentenza del 02/02/

2001, n. 1467

9

, con cui la Corte di Cassazione - Sezione

V, ribadisce che “l’art. 6, secondo comma, del D.P.R. 22 di-

cembre 1986, n. 917, nella parte in cui dispone che ‘le inden-

nità conseguite... a titolo di risarcimento di danni consistenti

nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità

permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa ca-

tegoria di quelli ... perduti’, ha natura interpretativa e, perciò,

efficacia retroattiva, come tale applicabile ad ogni situazione

controversa sorta nella vigenza della pregressa disciplina e non

ancora definita, sempreché le somme percepite, anche a titolo

transattivo, siano destinate a compensare, comunque, un lu-

cro cessante del lavoratore, e non soltanto un danno emer-

gente

10

”.

Pertanto, le somme percepite, anche in via transattiva, dal

contribuente a titolo di risarcimento costituiscono reddito im-

ponibile solo se – e nei limiti in cui – siano destinate a reinte-

grare il danno subìto dalla mancata percezione di redditi

11

.

6

In Corriere Tributario, 2004, rass. N. 46, pag. 3647.

7

Oggi art. 49 nuovo TUIR, così rinumerato in virtù dell’art. 1, D.Lgs.

12.12.2003, n. 344, con decorrenza dal 01.01.2004.

8

Oggi art. 17 nuovo TUIR, così rinumerato in virtù dell’art. 1, D.Lgs.

12.12.2003, n. 344, con decorrenza dal 01.01.2004.

9

In http://dt.finanze.it/doctrib/SilverStream/Pages/DOCTRIBFrameset.html

10

Sentenza del 19/03/2002 n. 3956 Corte di Cassazione - Sezione

V, in http://dt.finanze.it/doctrib/SilverStream/Pages/DOCTRIBFrameset.html

11

Conformemente Cass. Sez. I civ., sent. n. 9893 dell’11.10.1997,

in http://dt.finanze.it/doctrib/SilverStream/Pages/DOCTRIBFrameset.html.

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

210

Il medesimo princìpio trova ampio spazio anche nella giuri-

sprudenza di merito. Si consideri, a titolo esemplificativo, la

sentenza della Commissione tributaria regionale della Lom-

bardia, n. 65 del 09/04/2002

12

, che offre chiarimenti sulla

materia. La Commissione afferma che, secondo il disposto

dell’articolo 48, comma 1, D.P.R. 597/1973, il reddito di lavoro

dipendente è costituito da tutti i compensi ed emolumenti,

comunque denominati, percepiti nel periodo di imposta in di-

pendenza del lavoro prestato, con la sola esclusione delle som-

me aventi natura di mera reintegrazione patrimoniale. Dal con-

cetto di retribuzione devono, quindi, essere esclusi i rimborsi

spese veri e propri, così come le altre indennità aventi funzio-

ne meramente risarcitoria, tenendo, peraltro, a mente che, sul

piano fiscale, deve ritenersi avente natura risarcitoria solo il

rimborso della diminuzione patrimoniale effettivamente subìta,

equivalente, cioè, al danno emergente di stampo civilistico,

con esclusione del cosiddetto lucro cessante

13

.

L’argomento è oggetto di attenzione anche da parte del-

l’Agenzia delle Entrate che, con Risoluzione n. 155/E del 24/

05/2002, afferma: “In tema di risarcimento danni o di inden-

nizzi percepiti da un soggetto, è principio generale quello per

cui, laddove l’indennizzo vada a compensare in via integrativa

o sostitutiva la mancata percezione di redditi di lavoro, ovvero

il mancato guadagno, le somme corrisposte, in quanto sostitu-

tive di reddito, vanno assoggettate a tassazione e, così,

ricomprese nel reddito complessivo del soggetto percipiente.

Viceversa, laddove il risarcimento erogato voglia indennizzare

12

In http://dt.finanze.it/doctrib/SilverStream/Pages/DOCTRIBFrameset.html.

13

Conformemente, la Comm.Trib. Reg. Lombardia - Sezione XXIV, con

sentenza n. 37 del 01/07/2003, in http://dt.finanze.it/doctrib/SilverStream/

Pages/DOCTRIBFrameset.html, dichiara che, in virtù del disposto di cui all’art.

6, comma 2, del DPR 917/86, le somme percepite dal lavoratore a titolo di

risarcimento del danno vanno considerate reddito assoggettabile ad IRPEF

se risultano destinate a reintegrare un danno concretatosi nella mancata

percezione di redditi.

211

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

il soggetto delle perdite effettivamente subite (il cd. danno

emergente), ed abbia, quindi, la precipua funzione di reinte-

grazione patrimoniale, tale somma non sarà assoggettata a

tassazione. Infatti, in quest’ultimo caso, assume rilevanza as-

soluta il carattere risarcitorio del danno alla persona del sog-

getto leso e manca una qualsiasi funzione sostitutiva o inte-

grativa di eventuali trattamenti retributivi: pertanto, gli inden-

nizzi non concorreranno alla formazione del reddito delle per-

sone fisiche per mancanza del presupposto impositivo”.

Una volta che sia stata chiarita la non tassabilità del c.d.

danno emergente, si rende opportuno esaminare, caso per caso,

le circostanze specifiche in cui la giurisprudenza ritiene che

ricorra il danno emergente o il lucro cessante.

3.1. Risarcimento per licenziamento illegittimo: necessità di

un corretto approccio interpretativo delle singole circostanze

di fatto

L’art. 17 D.P.R. 917/86 recita testualmente: “L’imposta si

applica separatamente sui seguenti redditi: a) trattamento di

fine rapporto di cui all’art. 2120 c. c. e indennità equipollenti,

comunque denominate, commisurate alla durata dei rapporti

di lavoro dipendente, compresi quelli contemplati alle lett. a),

d) e g) del 1 comma dell’art. 50, anche nelle ipotesi di cui

all’art. 2122 c. c.; altre indennità e somme percepite una volta

tanto in dipendenza della cessazione dei predetti rapporti, com-

prese l’indennità di preavviso, le somme risultanti dalla capi-

talizzazione di pensioni e quelle attribuite a fronte dell’obbligo

di non concorrenza ai sensi dell’art. 2125 c. c., nonché le som-

me e i valori comunque percepiti, al netto delle spese legali

sostenute, anche se a titolo risarcitorio o nel contesto di

procedure esecutive, a seguito di provvedimenti dell’autorità

giudiziaria o di transazioni relativi alla risoluzione del rapporto

di lavoro”. Il dettato della norma sembrerebbe non lasciare

spazio a dubbi in merito alla tassabilità del risarcimento del

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

212

danno derivante da licenziamento illegittimo. Il panorama giu-

ridico non è, tuttavia, così limpido. Anche in questo caso, in-

fatti, il confronto con l’art. 51, secondo cui “Il reddito di lavoro

dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere,

a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto

forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro”

crea non pochi imbarazzi. In realtà, essendo i detti articoli vol-

ti a disciplinare fattispecie specifiche come i redditi da lavoro

dipendente e le somme assoggettate a tassazione separata, la

soluzione è rinvenibile nel riferimento al dettato generale

dell’art. 6 TUIR

14

. E tale metodo viene adottato dalla giurispru-

denza che tende, piuttosto, a distinguere, nell’ambito della

vastissima casistica delle vertenze per licenziamento ingiusti-

ficato, se la natura delle somme erogate dal datore di lavoro al

lavoratore possa essere ricondotta ad un risarcimento del dan-

no, ovvero ad una integrazione di perdita di redditi. È evidente

che, vertendosi nel primo caso in una ipotesi di lucro cessante,

si è orientati ad ammettere la tassabilità della somma corri-

sposta. Ricorrendo, invece, nel secondo caso, il danno emer-

gente, la tassabilità viene esclusa. In presenza di erogazioni a

titolo risarcitorio occorrerà, quindi, accertare quale spe-

cie di danno l’erogazione miri a riparare e determinare

in quale misura i proventi erogati non siano destinati a

riparare il danno derivante da mancata percezione del

reddito di lavoro

15

. In questa operazione ermeneutica, non

irrilevante può essere il ruolo del contribuente stesso che ab-

bia, ad esempio, avanzato istanza di rimborso. Infatti, come

dichiara in taluni casi la stessa Corte di Cassazione

16

, alla

14

Cfr, ADDA, “Trattamento fiscale delle somme percepite dal lavoratore

in via transattivi”, in www.fiscooggi.it.

15

Corte di Cassazione Sezione Tributaria civile - Sentenza 04.10.

2004, n. 19754, in Il Sole24Ore Codice Tributario (banca dati in CD-ROM).

16

Corte di Cassazione Sezione Tributaria civile, con sentenza

24.09.2003, n. 14167, in http://dt.finanze.it/doctrib/SilverStream/Pages/

DOCTRIBFrameset.html.

213

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

somma versata al lavoratore, in base ad una definizione

transattiva della controversia che tenga ferma la cessazione

del rapporto, deve essere presuntivamente attribuita, al di là

delle qualificazioni formalmente adottate dalle parti, la natura

di ristoro della perdita delle retribuzioni che la prosecuzione

del rapporto avrebbe implicato, e, quindi, di risarcimento di un

danno qualificabile come lucro cessante, con conseguente

applicabilità dell’art. 6 citato D.P.R. n. 917/1986 (Cfr. Cass. n.

4099/2000, in motivazione), di guisa che alla deduzione di

una distinta causale del relativo esborso deve corrispon-

dere un’adeguata prova, il cui onere spetta al contri-

buente. A conferma di quanto detto, il Ministero delle Finan-

ze, con Circolare del 23.12.1997, n. 326/E, è intervenuto a

chiarire che: “È opportuno ricordare che l’articolo 6, comma 2,

del TUIR, stabilisce che i proventi conseguiti in sostituzione di

redditi, anche per effetto di cessione dei relativi crediti, e le

indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di

risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclu-

si quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costi-

tuiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o per-

duti. In forza di questa disposizione tutte le indennità e le som-

me o i valori percepiti in sostituzione di redditi di lavoro dipen-

dente o equiparati a questi (ad esempio, la cassa integrazione,

l’indennità di disoccupazione, la mobilità, la indennità di ma-

ternità, etc.), comprese quelle che derivano da transazioni di

qualunque tipo e l’assegno alimentare corrisposto in via prov-

visoria a dipendenti per i quali pende il giudizio innanzi all’au-

torità giudiziaria, sono assoggettabili a tassazione come reddi-

ti di lavoro dipendente. Conseguentemente a dette somme si

applicherà l’articolo 48

17

del TUIR, per la determinazione del

reddito e, se corrisposte da un sostituto d’imposta, questi do-

vrà operare le ritenute di acconto. Naturalmente, qualora le

17

Oggi art. 51 nuovo TUIR.

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

214

indennità o le somme sostitutive di reddito di lavoro dipenden-

te si riferiscano a redditi che avrebbero dovuto essere percepi-

ti in un determinato periodo d’imposta e, in loro sostituzione,

vengono percepite in un periodo d’imposta successivo, si ren-

derà applicabile anche la tassazione separata, se ricorrono le

condizioni previste dall’articolo 16

18

, comma 1, lettera b), del

TUIR, altrimenti saranno tassabili secondo i criteri ordinari. Ad

esempio, le somme e i valori percepiti a seguito di transazioni,

diverse da quelle relative alla cessazione del rapporto di lavo-

ro, allorquando non è rinvenibile alcuna delle condizioni richie-

ste dall’articolo 16

19

, comma 1, lettere b), saranno soggetti a

tassazione ordinaria. Si ricorda, invece, che le somme e i valo-

ri comunque percepiti, al netto delle spese legali sostenute,

anche se a titolo risarcitorio o nel contesto di procedure esecu-

tive, a seguito di provvedimenti dell’autorità giudiziaria o di

transazioni relative alla risoluzione del rapporto di lavoro, sono

sempre assoggettati a tassazione separata ai sensi dell’artico-

lo 16

20

, comma 1, lettera a), ultima parte”.

Ci limitiamo, in questa sede, a riportare esempi dei diffe-

renti indirizzi giurisprudenziali, limitandoci a constatare la re-

lativa incertezza che permane sull’argomento, unitamente al-

l’ampio margine di discrezionalità interpretativa di cui gode il

giudice. Tale situazione viene descritta con chiarezza dalla

Commissione tributaria regionale di Lombardia, Sezione 48,

nella sentenza 04.03.2002, n. 18

21

, nella quale si afferma che,

con riferimento alle somme percepite dal lavoratore dipenden-

te a seguito di transazione intervenuta nell’ambito di una con-

troversia individuale di lavoro, occorre stabilire la natura

ed il contenuto del danno che tale erogazione era con-

cretamente diretta a riparare. Risultano tassabili le som-

18

Oggi art. 17 nuovo TUIR.

19

Cfr. nota 18.

20

Cfr. nota 18.

21

In Il Sole24Ore Codice Tributario (banca dati in CD-ROM).

215

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

me percepite a titolo di risarcimento del danno da man-

cata percezione di redditi, mentre non sono imponibili

quelle corrisposte allo scopo di risarcire un danno di

natura diversa. Tale preoccupazione interpretativa trova spa-

zio nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, Sezione

V, che, con sentenza n. 16014 del 17/08/2004, ha sanci-

to che, in tema di imposte sui redditi di lavoro dipendente,

dalla lettura coordinata degli artt. 6, comma secondo, e 46

22

del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (sul primo dei quali nes-

suna innovazione deve ritenersi abbia apportato l’art. 32 del

D.L. 23 febbraio 1995, n. 41 - convertito nella legge 22 marzo

1995, n. 85), si ricava che, al fine di poter negare l’assogget-

tabilità ad IRPEF di una erogazione economica effettuata a fa-

vore del prestatore di lavoro da parte del datore di lavoro, è

necessario accertare che l’erogazione stessa non trovi la sua

causa nel rapporto di lavoro, e, se ciò non viene positivamente

escluso, che l’erogazione stessa, in base all’interpretazione della

concreta volontà manifestata dalle parti, non trovi la fonte della

sua obbligatorietà né in redditi sostituiti, né nel risarcimento di

danni consistenti nella perdita di redditi futuri, cioè successivi

alla cessazione od all’interruzione del rapporto di lavoro

23

. A

22

Oggi art. 49 nuovo TUIR.

23

Sentenza del 17/08/2004 n. 16014 - Corte di Cassazione - Se-

zione V, in Corriere Tributario, anno 2004, Rass. 46, pag. 3647.

Conformemente, Cassazione Sezione V n. 14241 del 28/10/2000,

in http://dt.finanze.it/doctrib/SilverStream/Pages/DOCTRIBFrameset.html:

“In tema di imposte sui redditi, le somme percepite dal contribuente a

titolo risarcitorio costituiscono reddito imponibile solo e nei limiti in cui ab-

biano la funzione di reintegrare un danno concretatosi nella mancata perce-

zione di redditi”.

Si consideri, ancora, la sentenza della Corte di Cassazione - Sezione

V, n. 1467 del 02/02/2001, in http://dt.finanze.it/doctrib/SilverStream/

Pages/DOCTRIBFrameset.html. Si tratta di un ricorso avverso il silenzio-

rifiuto opposto dall’Amministrazione Finanziaria all’istanza di rimborso del-

l’IRPEF indebitamente ritenuta sull’indennità supplementare per ingiustifi-

cato licenziamento. La Corte stabilisce che l’indennità, in tanto può essere

riscontrata tassabile, in quanto risulti accertata la relativa fattuale destina-

zione a coprire un danno consistito nella perdita di redditi (delle retribuzioni

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

216

testimonianza della problematicità del dibattito giurispruden-

ziale sull’argomento, giova sottolineare la recente questione di

legittimità di cui è stato oggetto l’art. 32, comma 1, lettera a),

del decreto-legge 23 febbraio 1995, n. 41, con il quale il regi-

me della tassazione separata previsto dall’articolo 16

24

, comma

1, lettera a), del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, viene este-

so ai redditi riguardanti le somme e i valori comunque percepi-

ti, al netto delle spese legali sostenute, anche se a titolo

risarcitorio o nel contesto di procedure esecutive, a seguito di

provvedimenti dell’autorità giudiziaria o di transazioni relative

alla risoluzione del rapporto di lavoro. Si è sostenuto che tale

norma, nell’assoggettare ad imposta le somme percepite qua-

le ristoro per un licenziamento illegittimo, si porrebbe in con-

trasto: a) con le norme della Costituzione che tutelano il lavo-

ro (artt. 1, 2, 3, 4, 35, 36, 37, 38); b) con le norme di legge

che esentano il processo del lavoro da imposte e tasse; c) con

il principio di capacità contributiva, di cui all’art. 53 Cost., data

la natura risarcitoria di tali somme, versate quale ristoro di

una perdita (del posto di lavoro, della relativa retribuzione, ecc.).

La Corte Costituzionale, tuttavia, con ordinanza n. 292 del

19/07/2005, ha ritenuto manifestamente inammissibile la que-

stione di legittimità costituzionale sollevata, in quanto l’assog-

gettamento all’IRPEF delle somme percepite a titolo di risarci-

mento del danno consegue non dalla norma censurata, bensì

dall’articolo 6, comma 2, primo periodo, del D.P.R. n. 917 del

1986 integrato, secondo la prevalente giurisprudenza di legitti-

mità, dall’art. 48

25

, comma 1, primo periodo, dello stesso D.P.R.

26

.

che sarebbero state percepite nell’ipotesi di prosecuzione del rapporto di

lavoro), e non un pregiudizio diverso. Inoltre, ravvisandosi in tale indennità

il fine di risarcire un danno.

24

Oggi art. 17 nuovo TUIR.

25

Oggi art. 51 nuovo TUIR.

26

Cfr. BUSCEMA, Legittime le ritenute sulle somme risarcitorie. Per la

Consulta la questione di incostituzionalità è manifestamente inammissibile

per difetto di rilevanza in http://www.fiscooggi.it/reader/

?MIval=cw_usr_view_articoloN&articolo=16105&giornale=16373.

217

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

3.1.1. Giurisprudenza orientata alla non tassabilità

Numerose sono le pronunce orientate a riconoscere nelle

somme erogate dal datore di lavoro a seguito di licenziamento

ingiustificato un risarcimento del danno emergente.

Ad esempio, la recentissima sentenza della Commissione

tributaria regionale del Lazio, Sezione XXXVIII, n. 59 del 27/

01/2005

27

, chiosa un consolidato indirizzo giurisprudenziale di

merito, sancendo che l’indennità supplementare costituisce un

risarcimento del danno che il lavoratore subisce a causa del

licenziamento ingiustificato, non costituisce reddito imponibile

e, pertanto, non è assoggettabile ad IRPEF.

Analogamente, la Commissione tributaria regionale del Lazio

- Sezione XXXIV, sentenza del 20/04/2005, n. 48

28

, secondo

cui la somma corrisposta a titolo di corrispettivo della rinuncia

al giudizio, che definisce una vertenza sul comportamento scor-

retto del datore di lavoro, rileva una natura risarcitoria e non

retributiva e, pertanto, non è soggetta a tassazione

29

.

In tal senso sussiste anche giurisprudenza della Suprema

Corte, a parere della quale, nel caso in cui non trattasi di

somme dovute dal datore di lavoro, quale corrispettivo della

prestazione svolta, ma di somme dovute a titolo risarcitorio di

danno emergente in seguito ad una causa di lavoro promossa

dal dipendente, che ha ritenuto ingiusto e illegittimo il licen-

ziamento da parte del datore di lavoro, le somme erogate non

sono oggetto di IRPEF

30

.

27

In Il Sole24Ore Codice Tributario (banca dati in CD-ROM).

28

In Il Sole24Ore Codice Tributario (banca dati in CD-ROM).

29

L’indennità corrisposta dal datore di lavoro, in via transattiva, di una

somma ulteriore, in data anteriore dall’entrata in vigore della L. 84/1995(24/

02/1995), ha natura risarcitoria non riconducibile direttamente ad alcun isti-

tuto contrattuale e tanto meno in uno dei casi di credito tassabile previsto

dall’art. 17 (ex 16) TUIR vigente e, pertanto, non tassabile.

30

Corte di Cassazione Sezione Tributaria civile - Sentenza

29.12.2004, n. 24158, in Il Sole24Ore Codice Tributario (banca dati in CD-

ROM).

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

218

Tra i precedenti, particolare interesse desta la sentenza del-

la Commissione Tributaria regionale di UMBRIA Sezione 6, n.

456 del 04.07.2000

31

.

In una vertenza di lavoro insorta a seguito dell’adozione di

un provvedimento di licenziamento illegittimo, nel verbale di

conciliazione giudiziale, la Società datrice di lavoro offriva al

lavoratore una somma a titolo di indennità supplementare ex

art. 19 del C.C.N.L. per i dirigenti di Aziende industriali, non-

ché di risarcimento di danno biologico e non patrimoniale, con-

seguente al disposto licenziamento, al lordo delle ritenute di

legge. Sennonché la Società, liquidando quanto concordato,

provvedeva a ritenere alla fonte la ritenuta di acconto sulla

somma pattuita, costringendo il lavoratore ad avanzare istan-

za di rimborso di quanto trattenuto a titolo di IRPEF. Il ricor-

rente sosteneva che tale indennità gli era stata corrisposta a

titolo di risarcimento danni, non commisurato all’esistenza e

alla durata del rapporto di lavoro, per il pregiudizio che gli era

derivato dall’anticipato ed ingiustificato licenziamento e che,

pertanto, non doveva, ai sensi dell’art. 23 del DPR 600/73,

essere assoggettata ad imposizione erariale. L’Ufficio finanzia-

rio eccepiva che, in relazione alla fattispecie, la cessazione del

rapporto di lavoro era avvenuta in via transattiva, sulla base di

un accordo reciproco, con la rinuncia ad ogni ulteriore ragione

ed azione riguardante il rapporto stesso. Pertanto, l’indennità

in questione non andava considerata licenziamento illegittimo,

31

Conformemente Commissione Tributaria regionale di UMBRIA Sezione

6, sentenza 04.07.2000, n. 465, in Il Sole24Ore Codice Tributario (banca

dati in CD-ROM).

In senso opposto, invece, Decisione del 27/01/1995 n. 351 Comm. Trib.

Centrale - Sezione III, in http://dt.finanze.it/doctrib/SilverStream/Pages/

DOCTRIBFrameset.html: “Dall’entrata in vigore del DPR n. 917 del 1986,

che ha approvato il T.U. sulle imposte sui redditi, le somme corrisposte al

dipendente quale risarcimento danni per un licenziamento illegittimo, nono-

stante abbiano carattere risarcitorio, vanno assoggettate all’IRPEF (cfr. artt.

6, secondo comma e 48 del menzionato T.U. n. 917 del 1986)”.

219

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

ma un emolumento aggiuntivo alla normale liquidazione e, come

tale, andava assoggettata allo speciale regime della tassazio-

ne separata. I primi giudici avevano ritenuto che il danno così

risarcito, sulla base della esplicita formulazione della norma

contrattuale, dovesse essere considerato alla stregua di quello

derivante dalla cessazione dei rapporto di lavoro e, cioè, alla

stregua dell’indennità di preavviso, che, così come previsto

dall’art. 16

32

, comma 1, lettera a, del D.P.R. 917/86, va assog-

gettata al regime della tassazione separata. La Corte ha, infi-

ne, osservato che, nel caso in questione, non trattavasi di som-

me dovute dal datore di lavoro, quale corrispettivo della pre-

stazione svolta, ma di somme dovute a titolo risarcitorio di

danno emergente in seguito ad una causa di lavoro promossa

dal dipendente che ha ritenuto ingiusto e illegittimo il licenzia-

mento da parte del datore di lavoro. La somma percepita non

integrava la retribuzione, tant’è che non è stata commisurata

alla durata ed esistenza del rapporto di lavoro. Essa, pertanto,

mancava dei presupposti normativi per la tassazione, come pre-

visto dagli artt. 46

33

e 16

34

del T.U.I.R., non raffigurandosi reddito

da lavoro dipendente ma somma risarcitoria, atta a riequilibrare

la menomata capacità lavorativa del dipendente. Né vale ad esclu-

dere tale natura il fatto che la vertenza legale e giudiziale, che ha

fornito il titolo al dipendente per riscuotere la somma, sia scatu-

rita e si sia conclusa con una conciliazione giudiziale.

3.1.2. Giurisprudenza orientata alla tassabilità

Alla ricca giurisprudenza che ritiene sussistere l’ipotesi di

danno emergente, nel caso di licenziamento ingiustificato, si

contrappone un diverso filone che propende, piuttosto, per il

riconoscimento, nelle medesime ipotesi, di un lucro cessante.

32

Oggi art. 17 nuovo TUIR.

33

Oggi art. 49 nuovo TUIR.

34

Oggi art. 17 nuovo TUIR.

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

220

Ad esempio, con sentenza del 05/08/2002, n. 11687

35

,

la Corte di Cassazione, Sezione V, ha rigettato il ricorso del

contribuente, che chiedeva la riforma della sentenza per la

mancata esclusione dalla tassazione delle somme percepite a

titolo indennitario, alle quali, invece, il giudice di merito aveva

attribuito natura sostitutiva della retribuzione.

Analogamente, la sentenza della Commissione tributaria

provinciale di Savona, Sezione IV, n. 219 del 02/05/2000

36

,

enuncia: “L’art. 6, D.P.R. n. 917/86 distingue tra risarcimento

di danno (emergente) riguardante una perdita patrimoniale,

non costituente reddito tassabile, e quello riguardante il man-

cato guadagno (lucro cessante), invece tassabile ai fini IRPEF.

L’emolumento corrisposto a lavoratore dipendente alla fine del

rapporto di lavoro è volto a risarcire il mancato guadagno con-

seguente a licenziamento ed è, dunque, assoggettabile ad IR-

PEF, a norma del citato art. 6 D.P.R. n 917/86”.

Con sentenza n. 11501 del 24/07/2003

37

, la Corte di

Cassazione, Sezione V, afferma che “le modifiche apportate

all’art. 16

38

del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, dall’art. 32

del D.L. 23 febbraio 1995, n. 41, convertito in Legge 22 marzo

1995, n. 85, non presentano alcun carattere innovativo sul-

l’imponibilità delle indennità per ingiustificato licenziamento,

risarcitoria di un danno da lucro cessante, sia perchè esse non

investono l’an della prestazione patrimoniale coattiva, ma solo

la quantità del contenuto dell’imposta, cioè l’aliquota specifica

prevista per l’imposizione separata, sia perchè esse indicano

in seno alla lettera a) dell’art. 16

39

del D.P.R. 22 dicembre 1986,

n. 917, come oggetto di tassazione separata, fenomeni di spe-

cie del genere di proventi, indicati anch’essi come oggetto di

35

Cfr. nota 4.

36

In http://dt.finanze.it/doctrib/SilverStream/Pages/DOCTRIBFrameset.

html.

37

In Bollettino Tributario, anno 2003, pag. 155.

38

Oggi art. 17 nuovo TUIR.

39

Cfr. nota 38.

221

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

tassazione separata alla lettera i) dello stesso articolo”.

Dello stesso avviso è la sentenza del 11/03/2003, n.

3582

40

della Corte di Cassazione, Sezione V. Si chiarisce

che l’indennità prevista dal contratto collettivo dei dirigenti di

aziende industriali, per l’ipotesi di licenziamento ingiustificato

o di recesso per giusta causa, è assoggettata a tassazione se-

parata e a ritenuta d’acconto, atteso che, secondo la disciplina

dettata dagli artt. 6 e 16

41

del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917

(che ha profondamente innovato rispetto a quanto stabilito, in

proposito, dall’art. 12 del previgente D.P.R. 29 settembre 1973,

n. 597) costituiscono redditi da lavoro dipendente tutte le in-

dennità conseguite dal lavoratore a titolo di risarcimento di

danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipen-

denti da invalidità permanente o da morte, e, quindi, tutte le

indennità aventi causa o che traggano, comunque, origine dal

rapporto di lavoro, comprese le indennità per la risoluzione del

rapporto per illegittimo comportamento del datore di lavoro.

3.2. Incentivo alle dimissioni e indennità di prepensio-

namento

Nessun dubbio permane in merito alla tassabilità delle som-

me erogate come incentivo alle dimissioni. Come è noto, la

disciplina fiscale in materia di “esodo” risulta dal combinato

disposto dell’art. 19, comma 4-bis), del TUIR

42

(ex art. 17 vec-

chio TUIR), con l’art. 17 TUIR, per il quale l’imposta sui redditi

si applica separatamente, tra gli altri, per il “trattamento di

40

In http://dt.finanze.it/doctrib/SilverStream/Pages/DOCTRIBFrameset.

html.

41

Oggi art. 17 nuovo TUIR.

42

Articolo 19 - Indennità di fine rapporto.

“Per le somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto al

fine di incentivare l’esodo dei lavoratori che abbiano superato l’età di 50 anni

se donne e di 55 anni se uomini, di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a),

l’imposta si applica con l’aliquota pari alla metà di quella applicata per la

tassazione del trattamento di fine rapporto e delle altre indennità e somme

indicate alla richiamata lettera a) del comma 1 dell’articolo 17”.

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

222

fine rapporto di cui all’art. 2120 del codice civile”, per le “in-

dennità equipollenti, comunque denominate” nonché per “al-

tre indennità e somme percepite una volta tanto in dipenden-

za della cessazione dei predetti rapporti, comprese l’indennità

di preavviso

43

. Da queste disposizioni emerge che le somme

corrisposte al personale in questione sono soggette a tassa-

zione separata con “aliquota pari alla metà di quella applicata

per la tassazione del trattamento di fine rapporto”.

Secondo la giurisprudenza, le somme erogate a titolo di in-

centivo all’esodo sono direttamente legate al rapporto di lavo-

ro, soggette al relativo regime fiscale e non, invece, erogazioni

liberali in rapporto di occasionalità con il rapporto di lavoro

stesso

44

. L’indennità “per esodo volontario” ha, infatti, causa

nell’attività negoziale delle parti, giacché l’incentivo economi-

co è offerto dal datore di lavoro per indurre il lavoratore alle

dimissioni volontarie e rappresenta, in fin dei conti, il corri-

spettivo del beneficio che il datore di lavoro ottiene evitando

possibili vertenze giudiziarie conseguenti a una conclusione

“non consensuale” del rapporto di lavoro. Non può individuarsi

nell’indennità di esodo volontario un carattere di liberalità, rap-

presentando essa, anzitutto, una prestazione costituente adem-

43

Cfr.Corte di Cassazione Sezione Tributaria civile - Sentenza 23.

12.2004, n. 23954, in Il Sole24Ore Codice Tributario (banca dati in CD-ROM).

44

\o “Visualizza il testo.” \t “sx_frame” Sentenza del 11/02/2004 n. 23 -

Comm.Trib. Reg. Lazio - Sezione XIX, in http://dt.finanze.it/doctrib/

SilverStream/Pages/DOCTRIBFrameset.html. Cfr. anche Corte di Cassazione

- Sezione I Sentenza del 21/01/2000 n. 669, in http://dt.finanze.it/

doctrib/SilverStream/Pages/DOCTRIBFrameset.html: “Le somme corrispo-

ste al lavoratore ad integrazione del trattamento di fine rapporto, come le

indennità di prepensionamento, sono assoggettate all’imposta sul reddito

delle persone fisiche, sia pure con il favore della tassazione separata (ex art.

17 - ex 16, comma primo, lett. a), e 51 - ex. 48 del D.P.R. n. 917 del 1986).

Esse, infatti, in quanto convenzionalmente stabilite tra le parti, trovano giu-

stificazione nell’ambito del rapporto stesso e della sua risoluzione consen-

suale. Difetta, in tale situazione, il presupposto per qualificare il versamento

come erogazione liberale, di carattere eccezionale e non ricorrente a favore

della generalità dei dipendenti.

223

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

pimento di un obbligo quanto meno extragiuridico. In secondo

luogo, è evidente che l’azienda ha un diretto interesse econo-

mico all’esodo del lavoratore e il premio incentivante viene

corrisposto proprio per la realizzazione di tale interesse. L’ini-

ziativa della risoluzione del rapporto muove dal datore di lavo-

ro. Questi, anziché procedere alla difficile e traumatica opera-

zione del licenziamento, offre un incentivo economico ai di-

pendenti che, interessati a questa forma di compenso o, se si

vuole, costretti a accettarlo in mancanza di concrete alternati-

ve, si inducono a risolvere il rapporto di lavoro. Rientrando

concettualmente, quale integrazione del trattamento di fine

rapporto, tra le molteplici erogazioni possibili in dipendenza

del rapporto di lavoro, la discussa erogazione deve ritenersi

imponibile ai sensi dell’art. 48

45

, 1° comma, D.P.R. n. 917 del

1986

46

. Si noti che, a mente degli artt. 6 e 41 lett. h) (oggi art.

44 nuovo TUIR) DPR. n. 917/1986, quali novellati dall’art. 1,

comma 1, lett. a) e c), D.L. n. 557/1993, convertito in L. n.

133/1994, anche gli interessi percepiti sull’indennità di

buonuscita, successivamente al 30.12.1993 (giorno di entrata

in vigore del rammentato D.L.), non rientrando nella nozione

atecnica di “interessi aventi natura compensativa”, formulata

nell’attuale testo dell’art. 41, lett. h), DPR. n. 917/1986, sono

soggetti ad IRPEF, quali redditi di lavoro dipendente

47

.

La sola eccezione a quanto finora detto è costituita dalla

sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, n.

68, del 07/07/2003, che nega la tassabilità del solo incentivo

45

oggi art. 51 nuovo TUIR.

46

Corte di Cassazione Sezione Tributaria civile - Sentenza

11.10.2004, n. 20104, in Il Sole24Ore Codice Tributario (banca dati in CD-

ROM). Analogamente vedi Cass. nn. 670/2000, 5774/2000, 864/2001,

2817/2002, 5865/2003, 5482/2004. Cfr. anche Comm.Trib. Reg.

Campania - Sezione XLVII

- Sentenza del 03/05/2002 n. 88 e Cassazione -

Sezione V - Sentenza del 05/05/2000 n. 5719, tutte in http://

dt.finanze.it/doctrib/SilverStream/Pages/DOCTRIBFrameset.html.

47

Sentenza del 18/03/2002 n. 14 Comm.Trib. Prov. Macerata - Sezione I,

in http://dt.finanze.it/doctrib/SilverStream/Pages/DOCTRIBFrameset.html.

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

224

all’esodo erogato ai dipendenti in esubero da parte di una so-

cietà in difficoltà economiche, sussistendo i requisiti di ecce-

zionalità e di non ricorrenza, che lo escludono dal reddito da

lavoro dipendente

48

.

3.3. Indennità per ferie non godute

Il diritto del lavoratore alle ferie ed il divieto della loro rinun-

cia sono costituzionalmente garantiti. L’art 36, comma 3, della

Costituzione, infatti, fissa il principio della irrinunciabilità delle

ferie e deve, quindi, presumersi che il mancato godimento delle

stesse comporti un danno alla vita di relazione, all’equilibrio

psico-fisico e, comunque, alla salute del lavoratore. La fruizione

delle ferie è sottratta, in via di principio, alla disponibilità dei

singoli e può essere eccezionalmente limitata solo quando lo

richieda un altro interesse costituzionalmente garantito, quale

quello di assicurare il miglior funzionamento possibile del si-

stema produttivo. E, invero, in questo contesto il suddetto com-

penso assume la funzione specifica di ristorare il lavoratore

dipendente della perdita della possibilità di dedicarsi ad altre

attività, quali l’educazione di figli, l’esercizio della professione

48

Comm.Trib. Reg. Lazio - Sezione XXXV Sentenza del 07/07/2003 n.

68. Contra, v. Corte di Cassazione - Sezione V Sentenza del 18/08/

2004 n. 16125: “Le somme corrisposte dal datore di lavoro a titolo di

incentivo all’esodo dei dipendenti in relazione alla chiusura di uno stabili-

mento industriale (nella specie: il centro siderurgico di Bagnoli), finalizzato

alla risoluzione consensuale anticipata del rapporto lavorativo sono soggette

a IRPEF. Essa non puo’ essere ricondotta all’ipotesi di cui all’art. 48, comma

secondo, lett. f), d.P.R. n. 917 del 1986 (nel testo vigente anteriormente al

1 gennaio 1998, cioè prima della sostituzione apportata dall’art. 3 D.Lgs. n.

314 del 1997), riguardante le erogazioni liberali eccezionali e non ricorrenti

a favore della generalità dei dipendenti atteso che, da un lato, la somma

risulta corrisposta nell’interesse del datore di lavoro alla cessazione antici-

pata del rapporto; e, da un altro, la chiusura di uno stabilimento industriale

non è evento in se’ eccezionale, ma rientra nella normale vicenda della dislo-

cazione e sviluppo delle attività produttive. Ne’ rileva, al riguardo, l’assenza

dell’obbligo giuridico di corrisponderla; ne’ la sua esatta denominazione”, in

http://dt.finanze.it/doctrib/SilverStream/Pages/DOCTRIBFrameset.html.

225

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

religiosa, la cura della propria persona dal punto di vista sani-

tario e di igiene psichica, l’assicurazione di altri obblighi deri-

vanti dall’appartenenza ad un nucleo familiare, la manifesta-

zione del pensiero, ecc., che sono ritenute fondamentali per lo

sviluppo della personalità di ogni cittadino e per assicurare il

rispetto della sua dignità umana

49

. Il danno derivante da ferie

non godute non può qualificarsi se non come emergente e mai

come lucro cessante

50

. Invero, in tema di indennità assogget-

tabili ad imposta sui redditi, in base agli artt. 6 e 49 nuovo

TUIR, deve ritenersi che il campo delle indennità risarcitorie

imponibili è stato circoscritto alle indennità che reintegrano

redditi perduti, e non comprende le ipotesi di somme corrispo-

ste a titolo di risarcimento del danno, fra cui rientra l’ipotesi

dell’indennità per ferie non godute

51

. Né tale erogazione può

rientrare nell’elencazione di cui all’art. 8 TUIR. Le somme cor-

risposte al lavoratore per questo titolo non integrano, infatti,

gli estremi di un atto risarcitorio di lucro cessante ma sono

invece riferibili a compensazione per danno emergente; danno

individuabile nell’attentato alla integrità psico-fisica della per-

sona, costituzionalmente garantita; come tali, non sono as-

soggettabili a tassazione IRPEF

52

.

49

Comm.Trib. Reg. Lazio - Sezione XXXVIII - Sentenza del 05/10/2004

n. 20, in http://dt.finanze.it/doctrib/SilverStream/Pages/DOCTRIBFrameset.

html.

50

Sentenza del 22/07/1998 n. 70 Comm.Trib. Reg. Toscana - Sezione IX,

in http://dt.finanze.it/doctrib/SilverStream/Pages/DOCTRIBFrameset.html

51

Decisione del 24/05/1996 n. 2770 Comm. Trib. Centrale - Sezione IV.

52

Sentenza del 28/05/1998 n. 136 Comm.Trib. Prov. Genova - Sezione X,

in Il Sole24Ore Codice Tributario (banca dati in CD-ROM). Cfr. Sentenza del

24/02/1997 n. 23 Comm.Trib. Reg. Liguria - Sezione XII, in http://

dt.finanze.it/doctrib/SilverStream/Pages/DOCTRIBFrameset.html.

Cfr. anche Sentenza del 28/02/1998 n. 105 Comm.Trib. Reg. Toscana -

Sezione XXXVII, in http://dt.finanze.it/doctrib/SilverStream/Pages/

DOCTRIBFrameset.html, secondo cui: “Il riposo feriale rappresenta un dirit-

to indisponibile, costituzionalmente garantito, la cui rinuncia comporta la

lesione di un diritto personale e precisamente del diritto all’integrità psico -

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

226

Non manca, tuttavia, chi afferma

53

che l’indennità sostituti-

va delle ferie non godute abbia natura retributiva e, perciò,

assoggettabile all’IRPEF. Secondo tale orientamento, in sostan-

za, la tesi della intassabilità dell’indennità, in quanto corrispo-

sta a titolo di ristoro del danno causato al dipendente, consi-

stente nella privazione del diritto di fruire il riposo per ferie

(cosiddetto danno biologico emergente), si basa sul concetto

che il mancato godimento del riposo annuale dà luogo ad una

situazione di illiceità, in cui vi è una parte danneggiata (il

prestatore di lavoro), alla quale, appunto, spetta un’indennità

di carattere esclusivamente risarcitorio. Ma a tale tesi, tutta-

via, si oppone la disposizione dell’art. 2126 del Codice civile

che, al secondo comma, stabilisce che “se il lavoro è stato

prestato con violazione di norme poste a tutela del prestatore

di lavoro, questi ha in ogni caso diritto alla retribuzione”. E

poiché, in tutte le ipotesi stabilite dall’ordinamento, l’indennità

sostitutiva delle ferie non godute è dovuta al lavoratore in quan-

to prestatore di attività definita nell’ambito del contratto di

lavoro, ad essa va dunque applicato l’art. 51 del T.U.I.R., as-

soggettando ad IRPEF i cespiti percepiti.

Analogamente, la Corte di Cassazione, Sezione I civile,

con sentenza 09.07.1999, n. 7188

54

, dichiara che in tema

di imposte dirette, l’indennità sostitutiva delle ferie costituisce

reddito imponibile da lavoro dipendente, trattandosi di com-

penso percepito in dipendenza del rapporto di lavoro e commi-

fisica compromessa per l’impossibilità di fruire del riposo medesimo. Ne de-

riva che l’indennità in questione si concretizza in una forma di risarcimento

con funzione di riparazione di un danno emergente diverso dalla perdita di

reddito da parte del percipiente dal momento che lo stesso per il lavoro

prestato nel periodo di ferie non godute percepisce una regolare retribuzio-

ne. Causa dell’indennità è la lesione del diritto alla persona e pertanto un

fatto diverso dalla perdita di un reddito”.

53

Decisione del 01/03/1996 n. 925 Comm. Trib. Centrale - Sezione XII,

in http://dt.finanze.it/doctrib/SilverStream/Pages/DOCTRIBFrameset.html

54

In http://dt.finanze.it/doctrib/SilverStream/Pages/DOCTRIBFrameset.

html.

227

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

surato ad una certa quantità di lavoro svolto, anche se non in

via regolare e continuativa, poiché costituisce sicuro indice di

capacità contributiva anche la retribuzione corrisposta per il

lavoro prestato in violazione di norme poste a tutela del

prestatore di lavoro

55

.

Si osservi, ancora, la decisione n. 3783 del 28-4-2004, con

cui la Commissione tributaria centrale, Sezione 4, ha recente-

mente stabilito che contribuiscono a comporre il reddito impo-

nibile ai fini IRPEF del lavoratore dipendente tutti i compensi e

gli emolumenti percepiti, comunque denominati, fatta ecce-

zione delle somme corrisposte a titolo di contribuzioni previ-

denziali, rimborsi spese e risarcimento del danno a seguito di

illegittimo comportamento del datore di lavoro. Pertanto, nel

caso in cui siano corrisposte dal datore di lavoro al lavoratore

delle indennità per ferie non godute, deve ritenersi sussistere

la loro piena tassabilità e, conseguentemente, devono essere

effettuate le relative ritenute d’acconto, considerato che dette

somme non assumono natura risarcitoria (giacché, se fossero

attribuite a titolo risarcitorio, dovrebbero essere necessaria-

mente collegate a fatto illecito), ma sono dovute al lavoratore

in quanto prestatore di attività definita nell’ambito del contrat-

to di lavoro. Ad esse vanno, quindi, applicate le apposite di-

sposizioni del TUIR, assoggettando ad imposizione fiscale i

cespiti percepiti a tale titolo

56

.

55

Conformemente, Cass. sent. n. 7868/94 e sent. n. 4134/99, in

http://dt.finanze.it/doctrib/SilverStream/Pages/DOCTRIBFrameset.html.

56

Cfr. sentenza 18 ottobre 2002 n. 14793, in http://dt.finanze.it/

doctrib/SilverStream/Pages/DOCTRIBFrameset.html, con cui la Corte di

Cassazione si era pronunciata in merito alla tassabilità dell’indennità sosti-

tutiva delle ferie non godute, deducendo, dalla sua natura di retribuzione

sostitutiva, l’assoggettabilità alla ritenuta d’acconto IRPEF. A giudizio della

Corte, quindi, la tassabilità dell’indennità sostitutiva delle ferie non godute

deriva dal suo carattere suppletivo alla retribuzione normalmente dovuta nel

periodo di ferie, a nulla rilevando il fatto che, agli effetti civili, possa essere

considerata come un risarcimento del danno conseguente alla mancata

fruizione del diritto costituzionale in parola.

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

228

3.4. Infortunio sul lavoro

Ai fini della definizione della questione, è decisivo accertare

la natura dell’indennità corrisposta dall’INAIL per invalidità tem-

poranea, differenziandola da quella per invalidità permanente

ed accertando se è intesa a risarcire un danno fisico alla salu-

te, riportato con l’infortunio, o se è intesa a integrare e ricosti-

tuire, per un certo periodo, il reddito da lavoro dell’interessa-

to, decurtato a motivo della sua impossibilità o diminuzione

della capacità di lavorare per tale periodo di tempo a causa

dell’infortunio subìto. Nel primo caso (risarcimento del danno

alla salute), non può parlarsi di “reddito”, mentre, nel secondo

caso (integrazione o sostituzione del reddito venuto a manca-

re o a diminuire), si tratta, proprio per definizione, di reddito,

in quanto tale assoggettato a IRPEF. È giurisprudenza, affer-

mata più volte dalla Corte di Cassazione, che l’indennità corri-

sposta dall’INAIL per invalidità temporanea ha la funzione di

integrare la capacità di guadagno del lavoratore, diminuita o

venuta meno per la temporanea perdita dell’attitudine al lavo-

ro. La fattispecie è, infatti, disciplinata da norme tendenti a

realizzare la massima corrispondenza possibile dell’indennità

stessa e la retribuzione che il lavoratore avrebbe percepito,

qualora non fosse stato vittima dell’infortunio e invalidato al

lavoro. In tale considerazione, l’indennità per invalidità tem-

poranea costituendo reddito assimilabile a quella da lavoro -

che integra o sostituisce - è soggetta a IRPEF

57

.

Con sentenza n. 948 del 05/02/1996

58

, la Corte di Cas-

sazione, Sezione I, chiarisce che si può escludere la sussi-

stenza della dipendenza dell’indennità dal rapporto di lavoro

solo ove il rapporto di lavoro costituisca una mera occasione

per la corresponsione di somme che trovano il loro titolo in

una causa diversa e del tutto autonoma (quale, ad esempio, il

57

Comm. Trib. Centrale - Sezione XIII Decisione del 03/06/1996 n. 2948.

58

In http://dt.finanze.it/doctrib/SilverStream/Pages/DOCTRIBFrameset.

html.

229

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

risarcimento dei danni da infortunio imputabile al datore di

lavoro)

59

.

3.5. Lesione della reputazione, dell’immagine professionale

e della vita di relazione del dipendente

La violazione dell’art. 2103 c.c., attraverso dequalificazione

o forzata inattività del lavoratore, costituisce un atto illecito

del datore di lavoro, ovvero un inadempimento contrattuale e

determina, oltre all’obbligo di corrispondere le retribuzioni do-

vute, l’obbligo del risarcimento del danno professionale. Ciò

avviene anche quando si continui a corrispondere la retribuzio-

ne, giacché sussiste un diritto del lavoratore all’effettivo svolgi-

mento della propria prestazione di lavoro. Questo danno può

assumere aspetti diversi. Dal danno patrimoniale derivante dalla

mancata acquisizione di una maggiore capacità lavorativa, alla

perdita di un maggior guadagno per privazione della possibili-

tà per il lavoratore di sfruttare particolari occasioni di lavoro o,

ancora, alla lesione dell’integrità fisica causata, ad esempio,

da uno stato ansioso o una sindrome da esaurimento.

Sotto il profilo tributario, le indennità conseguite dal lavora-

tore dipendente, a titolo di risarcimento danni da demansiona-

mento, consistenti nella perdita di reddito, costituiscono red-

dito tassabile ai sensi dell’art. 6, comma 2, D.P.R. 917/86,

essendo incontrovertibile che, in questo caso, il risarcimento

del danno sia strettamente collegato alla perdita di opportuni-

tà derivanti da detto demansionamento

60

.

Parimenti, le somme corrisposte dal datore di lavoro ad un

dipendente a seguito di conciliazione hanno natura risarcitoria,

e quindi non sono tassabili, se sono erogate a fronte di un

59

Sentenza del 05/02/1996 n. 948 - Corte di Cassazione - Sezione

I, in http://dt.finanze.it/doctrib/SilverStream/Pages/DOCTRIBFrameset. html.

60

Comm.Trib. Reg. Lombardia - Sezione X Sentenza del 12/02/2004 n. 60,

in http://dt.finanze.it/doctrib/SilverStream/Pages/DOCTRIBFrameset. html.

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

230

danno all’immagine professionale del dipendente, causato da

dequalificazione, con relativa perdita di prestigio. In tale caso,

infatti, la somma corrisposta ha la funzione di risarcire un dan-

no emergente

61

.

Di notevole rilevanza è la sentenza n. 12798 del 03/09/

2002

62

, emessa dalla Corte di Cassazione, Sezione V. La

Corte riconosce adeguamente motivata e insindacabile in sede

di legittimità la valutazione del giudice di merito con cui è sta-

ta attribuita natura risarcitoria alla somma corrisposta al di-

pendente per il pregiudizio, costituente danno emergente, al-

l’immagine professionale in conseguenza dell’anticipata riso-

luzione del rapporto di lavoro, escludendone, pertanto, l’assog-

gettabilità ad IRPEF. Infatti, le indennità aggiuntive corrisposte a

seguito di ingiusto licenziamento sono intassabili quando non

trovano il loro fondamento nel venir meno del sinallagma con-

trattuale, ma ad esso sono occasionalmente collegate e dipendo-

no da un titolo diverso, quale, nella specie, il danno cagionato

all’immagine del dipendente. Esse, invero, anche se erogate a

seguito di transazione tra le parti, assumono natura sanzionatoria

per il datore di lavoro e risarcitoria per il lavoratore. L’evidente

distinzione fatta tra il danno da lucro cessante, derivante dal

mancato guadagno direttamente correlato al licenziamento, ed il

danno emergente, rappresentato dall’ingiusta diminuzione del

valore professionale del lavoratore, conseguita allo scioglimento

del rapporto lavorativo senza causa ad esso adeguata, ed il cor-

retto riferimento dell’intassabilità della somma alla sua percezio-

ne per quest’ultimo danno, escludono, dunque, la violazione e la

falsa applicazione della norma tributaria

63

.

61

Comm.Trib. Reg. Emilia Romagna - Sezione XXXV - Sentenza del 24/

01/2002 n. 53, in http://dt.finanze.it/doctrib/SilverStream/Pages/

DOCTRIBFrameset.html.

62

In Bollettino Tributario, anno 2003, pag. 946.

63

Cfr. sentenza n. 53 del 28.02.2001, in Il Sole24Ore Codice Tributario.,

la Commissione Tributaria provinciale di Milano Sezione 31 che stabilisce che

le somme corrisposte al dipendente quale ristoro del danno derivante dalla

231

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

3.6. Trattamenti pensionistici privilegiati

Dall’equo indennizzo alla pensione privilegiata, sorgono so-

vente dubbi sulla tassabilità di tutte quelle somme corrisposte

dal datore di lavoro al dipendente che abbia subìto menomazioni

dell’integrità fisica e/o psichica più o meno permanenti, pur-

ché derivanti da lesione o infermità dipendenti da causa di

servizio.

Un filone giurisprudenziale relativamente ampio si è creato

in ordine ai suddetti trattamenti pensionistici che, dal settore

pubblico e privato, sono stati estesi alle carriere militari.

La giurisprudenza, in tema di agevolazioni tributarie, rico-

nosce natura esclusivamente risarcitoria (assimilabile alle pen-

sioni di guerra) alle pensioni privilegiate ordinarie militari con-

cesse per fatti invalidanti connessi alla prestazione del servizio

di leva. Di conseguenza, le esenta dalla imposta sul reddito

delle persone fisiche, ai sensi dell’art. 34, primo comma, del

D.P.R. 29 settembre 1973 n. 601

64

.

D’altro canto, già nel 1989 la Corte Costituzionale aveva

dichiarato costituzionalmente illegittimo il primo comma dell’art.

34 del D.P.R. 601/73, nella parte in cui non estende l’esenzio-

lesione della propria immagine professionale non sono imponibili in quanto

riferibili ad un “danno emergente” e non ad un “lucro cessante”, cui, vicever-

sa fa riferimento l’ipotesi prevista dall’art. 6, comma 2, D.P.R. 22 dicembre

1986, n. 917, relativa appunto al risarcimento corrisposto a titolo di reinte-

grazione del reddito perduto.

Nello stesso senso si era espressa la Commissione Tributaria provinciale

di Milano Sezione 1, che, con sentenza n. 407 del 20.01.1999, in Il Sole24Ore

Codice Tributario (banca dati in CD-ROM), aveva affermato: “Non è imponibile

la somma erogata al dipendente (nell’ambito di una conciliazione giudiziale)

quale ristoro del danno emergente (nella specie, lesione della reputazione,

dell’immagine professionale e della vita di relazione del dipendente). L’ipote-

si di imponibilità prevista dall’art. 6, c. 2, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917,

infatti, riguarda una fattispecie diversa: quella del risarcimento corrisposto

a titolo di reintegrazione del reddito perduto, cd. lucro cessante”.

64

Corte di Cassazione - Sezione I, con sentenza del 05/04/1996

n. 3204, in http://dt.finanze.it/doctrib/SilverStream/Pages/DOCTRIB

Frameset.html.

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

232

ne dall’IRPEF alle pensioni privilegiate ordinarie spettanti ai

militari di leva. Ciò in virtù del fatto che la natura non reddituale

dell’erogazione pensionistica di cui in parola, la obbligatorietà

del servizio di leva e la commisurazione della stessa non ad un

pregresso trattamento retributivo, ma all’entità della meno-

mazione subita, fanno chiaramente emergere la sua natura

risarcitoria

65

.

Di recente, la Commissione tributaria regionale della Puglia,

Sezione XXII, con sentenza del 23/09/2003, n. 194

66

ha riba-

dito che non è assoggettato ad IRPEF il cd. “decimo” connesso

alla pensione privilegiata ordinaria, erogato al militare che ha

riportato danni psichici nel corso di addestramenti o esercita-

zioni per la guerra, avendo detto emolumendo natura risarcitoria

e non reddituale

67

. Per il medesimo principio è esclusa dalla

tassazione IRPEF la somma corrisposta al militare a titolo di

equo indennizzo.

3.7. Danno biologico

La figura del danno biologico è venuta creandosi nel corso

degli anni ad opera della giurisprudenza e si è affiancata alle

figure del danno patrimoniale e del danno morale previste dal-

la legge. Per “danno biologico” si intende

68

il danno alla salute

65

Corte Costituzionale - Sentenza del 11/07/1989 n. 387, in http:/

/dt.finanze.it/doctrib/SilverStream/Pages/DOCTRIBFrameset.html.

66

In http://dt.finanze.it/doctrib/SilverStream/Pages/DOCTRIBFrameset.

html.

67

Sulla stessa falsariga, la Comm.Trib. Prov. Di Caserta - Sezione XIII,

con sentenza del 01/12/1997 n. 201, in http://dt.finanze.it/doctrib/Silver

Stream/Pages/DOCTRIBFrameset.html, enunciava che l’aumento del decimo

operato nella pensione ex artt. 65 e 67 TU n. 1092 del 1973 non è assoggettabile

alle imposte sul reddito delle persone fisiche perche’ costituisce un’integrazio-

ne patrimoniale e non un reddito di cui all’art. 1 DPR n. 597 del 1973. L’asse-

gno privilegiato spettante per malattie contratte durante il servizio militare,

ha natura prevalentemente risarcitoria, e quindi, esente da imposte.

68

Pubblico impiego: il diritto al risarcimento del danno biologico, in “Il

Sole 24 Ore”, 9.12.2001, pag. 216.

233

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

che abbia alterato l’equilibrio psicofisico della persona, in gra-

do di provocare ripercussioni negative in ogni ambito, anche

personale e familiare, in cui si svolge la personalità dell’indivi-

duo. La Corte Costituzionale, con sentenza 14.7.1986, n.

184, ha espresso il principio secondo cui il bene salute è tute-

lato dall’art. 32, comma 1, della Costituzione, non solo come

interesse della collettività, ma anche, e soprattutto, come di-

ritto fondamentale dell’individuo

69

. Secondo la Corte, la sem-

plice lesione inferta alla salute implica di per sé il prodursi del

danno biologico, che viene ritenuto risarcibile anche al di là del

limite della riserva di legge disposto dell’art. 2059 c.c. alla

risarcibilità dei danni non patrimoniali. Pertanto, in virtù di tale

assunto, il danno biologico viene ascritto in una categoria a sé

stante, distinta sia dalle conseguenze squisitamente economiche

(derivanti dalla effettiva riduzione dei redditi o dalla ridotta capa-

cità di guadagno), sia dalle sofferenze di ordine puramente mo-

rale cui è rivolta la tutela prevista dall’art. 2059 Cod. Civ.

70

.

La giurisprudenza ha individuato i caratteri essenziali della

figura del danno biologico “nella menomazione dell’integrità

psicofisica della persona in sé e per sé considerata, in quanto

incidente sul valore uomo in tutta la sua concreta dimensione,

che non si esaurisce nella sola attitudine a produrre ricchezza,

ma si collega alla somma delle funzioni naturali afferenti al

soggetto, nell’ambiente in cui la vita si esplica, ed aventi rile-

vanza non solo economica, ma anche biologica, sociale, cultu-

rale ed estetica”.

Sotto il profilo del trattamento fiscale applicabile alle som-

me percepite a seguito di risarcimento del danno biologico,

l’articolo 6, comma II, TUIR, stabilisce che, laddove tali som-

69

Corte Costituzionale sentenza n. 184 del 1986. MAGNANI, Redditi

da lavoro dipendente - Danno biologico: incerto il trattamento fiscale, in “Il

Sole 24 Ore”, 19.12.1998, pag. 106.

70

GIUA, “Danno biologico: disciplina fiscale delle somme corrisposte a

titolo risarcitorio ad un dipendente”, in www.filodiritto.it.

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

234

me siano qualificabili come lucro cessante, sono sottoposte

allo stesso regime di tassazione dei redditi sostituiti o perduti,

mentre, se sono rivolte a ristorare il cosiddetto danno emer-

gente, ovvero la perdita patrimoniale subita dal soggetto, non

sono assoggettate a tassazione.

Alla dottrina appare assai evidente che il danno biologico

vada esente da ritenuta IRPEF, in quanto riconducibile ad un

“impoverimento patrimoniale immediato del danneggiato e non

prospettico, come nel caso di lucro cessante, la determinazio-

ne del quale è effettuata secondo un ragionevole criterio di

attendibilità dei guadagni”

71

.

Nella specifica ipotesi di risarcimento di un danno biologico

in caso di transazione relativa a crediti di lavoro, va accertato

se sussista una sottoposizione a tassazione separata degli

emolumenti corrisposti, ex art. 17, I comma, lettera a), TUIR,

ovvero se tali somme possano qualificarsi come risarcimento

del danno emergente, restando sottratte a imposizione.

A tale interrogativo la giurisprudenza risponde mantenendo

saldo il riferimento all’art. 6 del TUIR, secondo cui risultano

imponibili i proventi e le indennità che “costituiscono redditi

della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti”, e che siano,

pertanto, qualificabili come lucro cessante; mentre, come rile-

vato, sono escluse da tassazione le somme erogate le quali

siano collegate a una perdita patrimoniale (danno emergen-

te).

Orbene, in relazione ai risvolti fiscali del danno biologico è

interessante il pensiero dei giudici tributari della Commissione

tributaria regionale dell’Umbria, sez. VI, nella sentenza n. 465

del 4.7.2000

72

.

La vicenda processuale affrontata e risolta dai giudici regio-

71

Betti, Le indennità risarcitorie nella determinazione del reddito di lavo-

ro dipendente, Il Sole 24ORE, 1994, 12, pag. 911.

72

In Il Sole24Ore Codice Tributario (banca dati in CD-ROM).

235

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

nali dell’Umbria riguardava la tassabilità IRPEF di somme ero-

gate, nel corso dell’annualità 1993, ad alcuni dirigenti aziendali

a titolo di risarcimento di danno biologico, conseguente a ille-

gittimo comportamento del datore di lavoro (licenziamento).

Il collegio giudicante, accogliendo le tesi dei contribuenti, ha

riconosciuto non trattarsi di somme dovute dal datore di lavo-

ro, quale corrispettivo della prestazione svolta, ma di somme

dovute a titolo risarcitorio di danno emergente in seguito ad

una causa di lavoro promossa dal dipendente, che ha ritenuto

ingiusto e illegittimo il licenziamento da parte del datore di

lavoro. Pertanto, si è affermato che la somma percepita, in

quanto atta a riequilibrare la menomata capacità lavorativa

del dipendente, non integra alcuna retribuzione (tant’è che non

è stata commisurata alla durata ed esistenza del rapporto di

lavoro) e manca dei presupposti normativi per la tassazione,

come previsto dagli artt. 46

73

e 16

74

del TUIR.

Tale interpretazione, era stata già avvalorata dalla Supre-

ma Corte, che aveva statuito, con propria sentenza del 14/

12/1999, n. 14089, l’esclusione del carattere reddituale del-

l’indennità corrisposta a titolo di risarcimento del danno con-

seguente a illegittimo comportamento del datore di lavoro,

prima della data con cui il legislatore ha posto fine alla dubbia

interpretazione.

Della questione si è occupata anche l’Agenzia delle Entrate

che, con R.M. 27.5.2002, n. 155/E

75

, ha affermato che, laddove

l’indennizzo vada a compensare in via integrativa o sostitutiva

la mancata percezione di redditi di lavoro, ovvero il mancato

guadagno, le somme corrisposte, in quanto sostitutive di red-

dito, vanno assoggettate a tassazione e, così, ricomprese nel

reddito complessivo del soggetto percipiente. Viceversa, qua-

lora il risarcimento erogato si proponga di indennizzare il sog-

73

Oggi art 49 nuovo TUIR.

74

Oggi art. 27 nuovo TUIR.

75

In Corriere Tributario online.

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

236

getto delle perdite effettivamente subite (cd. danno emergen-

te) ed abbia, quindi, la precisa funzione di reintegrazione pa-

trimoniale, tale somma non va assoggettata a tassazione.

Decisiva, sull’argomento, è la sentenza della Corte di Cassa-

zione, Sezione Tributaria civile, n. 11186 dell’11.06.2004

76

.

Un lavoratore presenta istanza di rimborso per l’IRPEF, tratte-

nuta dal datore di lavoro, su una somma erogata in base a

sentenza del Giudice del lavoro, per danno biologico derivante

da una dequalificazione da lui subìta e da un atteggiamento

persecutorio e mortificante. Successivamente, impugna il si-

lenzio rifiuto. Sia la Commissione di primo grado sia la Com-

missione Regionale accolgono la domanda in quanto ricono-

scono la natura risarcitoria della somma, che non va a ripianare

una perdita di reddito e, quindi, non rientra tra le indennità

classificate come redditi dall’art. 6 TUIR. Il Ministero delle Fi-

nanze contesta che, ai sensi degli articoli 6, 46

77

e 48

78

D.P.R.

n. 917/86 e 2696 c.c., il legislatore ha fissato per la tassabilità

un criterio molto ampio fondato sull’oggettiva connessione

dell’emolumento con lo svolgimento del rapporto di lavoro.

Aggiunge che l’art. 6 citato esclude, espressamente, dalla tas-

sazione le indennità percepite per invalidità permanente o

morte, per cui solo queste costituiscono danno emergente,

mentre le altre costituiscono lucro cessante. La Suprema Corte

ritiene che la somma in questione, inquadrabile tra il danno

emergente subìto dal lavoratore in relazione al rapporto di la-

voro, non è sicuramente tassabile.

3.8. Indennità di trasferimento

Come chiarito dall’Amministrazione finanziaria (cfr. C.M. 15

dicembre 1973, n. 1/RT e C.M. 20 novembre 1974, n. 13/RT),

per trasferta deve intendersi un’attività svolta dal dipendente

76

In Corriere Tributario, anno 2004, n. 38, pag. 3013.

77

Oggi art. 49 nuovo TUIR.

78

Oggi art. 51 nuovo TUIR.

237

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

al di fuori della sede di lavoro. In altri termini, la disciplina tribu-

taria applicabile ai redditi di lavoro dipendente individua la tra-

sferta in un allontanamento del lavoratore, nell’interesse del datore

di lavoro, dalla sede di lavoro individuabile dal contratto o dalla

lettera d’assunzione. La trasferta non deve essere confusa con il

trasferimento. L’elemento distintivo sta nel fatto che la trasferta,

al contrario del trasferimento, è caratterizzata dalla temporanei-

tà dello svolgimento del servizio fuori dalla normale sede di lavo-

ro. È, dunque, necessario che vi sia una sede fissa di lavoro, cui

il dipendente debba tornare al termine della trasferta, e che il

mutamento del luogo di lavoro sia temporaneo, a prescindere

della frequenza con la quale il dipendente si sposta

79

. Occorre,

ora, chiarire se ai due tipi di indennità è possibile attribuire natu-

ra risarcitoria. La giurisprudenza è orientata nel distinguere tra

indennità di trasferta e indennità di trasferimento.

- In relazione alla prima nessun dubbio sorge, dato che l’art.

51, comma 5, TUIR prevede il seguente trattamento agevola-

to: “Le indennità percepite per le trasferte o le missioni fuori

del territorio comunale concorrono a formare il reddito per la

parte eccedente lire 90.000 (46,48 euro) al giorno, elevate a

lire 150.000 (77,47 euro) per le trasferte all’estero, al netto

delle spese di viaggio e di trasporto; in caso di rimborso delle

spese di alloggio, ovvero di quelle di vitto, o di alloggio o vitto

fornito gratuitamente il limite è ridotto di un terzo. Il limite è

ridotto di due terzi in caso di rimborso sia delle spese di allog-

gio che di quelle di vitto. In caso di rimborso analitico delle

spese per trasferte o missioni fuori del territorio comunale non

concorrono a formare il reddito i rimborsi di spese documenta-

te relative al vitto, all’alloggio, al viaggio e al trasporto, non-

ché i rimborsi di altre spese, anche non documentabili, even-

tualmente sostenute dal dipendente, sempre in occasione di

dette trasferte o missioni, fino all’importo massimo giornaliero

79

Cfr. www.delfederico.it/ita/ita2002/circolare42.htm.

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

238

di lire 30.000 (15,49 euro), elevate a lire 50.000 (25,82 euro)

per le trasferte all’estero. Le indennità o i rimborsi di spese per

le trasferte nell’ambito del territorio comunale, tranne i rim-

borsi di spese di trasporto comprovate da documenti prove-

nienti dal vettore, concorrono a formare il reddito”.

- L’indennità di trasferimento è, invece, disciplinata dal

comma 7 dell’art. 51 TUIR, a norma del quale. “Le indennità di

trasferimento, quelle di prima sistemazione e quelle equipollenti,

non concorrono a formare il reddito nella misura del 50 per

cento del loro ammontare per un importo complessivo annuo

non superiore a lire 3 milioni (1.549,37 euro) per i trasferimenti

all’interno del territorio nazionale e 9 milioni (4.648,11 euro) per

quelli fuori dal territorio nazionale o a destinazione in quest’ulti-

mo. Se le indennità in questione, con riferimento allo stesso tra-

sferimento, sono corrisposte per più anni, la presente disposizio-

ne si applica solo per le indennità corrisposte per il primo anno.

Le spese di viaggio, ivi comprese quelle dei familiari fiscalmente

a carico ai sensi dell’articolo 13, e di trasporto delle cose, nonché

le spese e gli oneri sostenuti dal dipendente in qualità di con-

duttore, per recesso dal contratto di locazione in dipendenza

dell’avvenuto trasferimento della sede di lavoro, se rimborsate

dal datore di lavoro e analiticamente documentate, non con-

corrono a formare il reddito anche se in caso di contempora-

nea erogazione delle suddette indennità”.

L’indennità di trasferimento, a dispetto della pur chiara nor-

ma appena citata, è stata oggetto di un tormentato dibattito

giurisprudenziale, al termine del quale si è inteso includerla

nel reddito imponibile ai fini dell’IRPEF, in quanto, pur difettan-

do un rapporto di sinallagmaticità con la prestazione di lavoro,

essa rientra tra gli emolumenti, comunque denominati, perce-

piti “in dipendenza” del lavoro prestato

80

.

80

Corte di Cassazione - Sezione I - Sentenza del 05/02/1996 n.

948, in Il Sole24Ore Codice Tributario (banca dati in CD-ROM) e in http://

dt.finanze.it/doctrib/SilverStream/Pages/DOCTRIBFrameset.html. Parimenti,

239

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

3.8.1. Orientamento giurisprudenziale che ravvisa natura

reddituale nell’indennità di trasferimento

Alla luce di dette considerazioni, la Suprema Corte, con

sentenza n. 6152 del 17/04/2003

81

, ha ritenuto che non

hanno, neppure parzialmente, natura risarcitoria, ma esclusi-

vamente retributiva, le diarie corrisposte dal datore di lavoro

per le prestazioni svolte dal lavoratore nella sua sede stabile di

lavoro effettiva, compresa quella di nuova, recente, destina-

zione, nella quale questi sia stato trasferito e sia stabilmente

inserito.

A nulla rileva che continui a dipendere amministrativamen-

te dalla vecchia sede.

Tali diarie, infatti, vanno qualificate come indennità di tra-

sferimento, reddito a tutti gli effetti soggetto al trattamento

tributario ordinario.

Parimenti, si è riconosciuto che il contributo “differenza ca-

none d’affitto” corrisposto ad un lavoratore dipendente dal suo

datore di lavoro in relazione ad un trasferimento di sede nel-

l’ambito del lavoro aziendale è ritenuto assoggettabile a tassa-

zione. Non si tratterebbe, nella specie, di indennità di natura

risarcitoria a fronte di un fatto illecito del datore di lavoro, dato

Corte di Cassazione - Sezione V - Sentenza del 09/12/2002 n. 17515:

“E’ manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 53 e 3 Cost., la que-

stione di legittimità costituzionale dell’art. 48 del D.P.R. 22 dicembre 1986,

n. 917 (nel testo anteriore alle modifiche apportate dall’art. 3 del D.Lgs. 2

settembre 1997, n. 314), interpretato nel senso della integrale tassabilità ai

fini IRPEF del contributo per differenza canone di locazione corrisposto dalle

aziende di credito ai propri dipendenti in occasione del trasferimento ad altra

sede, giacche’, pur difettando un rapporto di sinallagmaticità con la presta-

zione di lavoro, detta indennità rientra tra gli emolumenti, comunque deno-

minati, percepiti in dipendenza (e non meramente in occasione) del lavoro

prestato ed ha percio’ carattere reddituale, ne’ sussistendo la lamentata

disparità di trattamento con i lavoratori autonomi, e cio’ in ragione sia della

natura dell’emolumento in questione sia della non consentita deducibilità,

per il lavoratore autonomo, del canone di locazione dall’imponibile IRPEF”.

In termini v. Cassazione, sentenza n. 13482 del 30/10/2001, in http:/

/dt.finanze.it/doctrib/SilverStream/Pages/DOCTRIBFrameset.html.

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

240

che il trasferimento della sede di lavoro da una località ad un’al-

tra costituisce una normale circostanza nel corso di un lavoro

dipendente presso un’azienda. Va, tuttavia, dichiarata inappli-

cabile la sanzione pecuniaria irrogata dall’Ufficio per l’omessa

dichiarazione del contributo in discorso, in considerazione del-

le obiettive condizioni d’incertezza sulla portata e sull’ambito

di applicazione della normativa disciplinante il caso di specie

82

.

La Corte di Cassazione, Sezione Tributaria civile, già

con sentenza 09.02.2001, n. 1817

83

aveva ritenuto che, in

relazione agli emolumenti percepiti per indennità di alloggio, a

titolo di rimborso del maggior canone di locazione che il dipen-

dente trasferito debba pagare per acquisire il godimento di

una confacente abitazione, non sono conferenti i richiami alla

nozione di risarcimento del danno emergente, perché trattasi

di spese propedeutiche alla prestazione lavorativa, indispen-

sabili per porsi in condizione di svolgerla, non effetto patrimo-

niale negativo della prestazione stessa, e tantomeno pregiudi-

zio arrecato dal datore di lavoro

84

.

La medesima Corte ha, parimenti, ritenuto la “diaria” di

prima sistemazione nella nuova residenza, corrisposta da un

istituto di credito ad un proprio dipendente in occasione di

trasferimento in altra sede, non assimilabile all’indennità di

trasferta di cui all’art. 48, comma terzo, D.P.R. n. 597 del 1973,

in quanto costituente componente del reddito tassabile e, per-

tanto, assoggettata per l’intero ammontare ad IRPEF, senza

81

In http://dt.finanze.it/doctrib/SilverStream/Pages/DOCTRIB

Frameset.html.

82

Comm.Trib. Prov. Catania - Sezione VII Sentenza del 05/05/2000 n.

305, in http://dt.finanze.it/doctrib/SilverStream/Pages/DOCTRIB

Frameset.html.

83

In Il Sole24Ore Codice Tributario (banca dati in CD-ROM).

84

La Corte ha aderito e confermato un indirizzo ormai consolidato (Sen-

tenze: n. 2212 del 28.02.2000, in Corriere Tributario, anno 2000, banca dati

n. 8, pag. 877; n. 2604 dell’08.03.2000; n. 2611 dell’08.03.2000; n. 3330

del 21.03.2000, tutte in http://dt.finanze.it/doctrib/SilverStream/Pages/

DOCTRIBFrameset.html).

241

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

che tale disciplina si possa ritenere in contrasto con gli artt. 3

e 53 della Costituzione

85

.

Occorre, tuttavia, distinguere il trattamento fiscale delle in-

dennità di trasferimento in relazione alla disciplina vigente al

momento della percezione delle relative somme. La tassabilità

di esse, infatti, era totale fino alla riforma introdotta dal De-

creto Legislativo 2 settembre 1997, n. 314, che, all’art. 3, ha

stabilito che le indennità di trasferimento, quelle di prima si-

stemazione e quelle equipollenti, non concorrono a formare il

reddito nella misura del 50 per cento del loro ammontare per

un importo complessivo annuo non superiore a lire 3 milioni

per i trasferimenti all’interno del territorio nazionale e 9 milioni

per quelli fuori dal territorio nazionale o a destinazione in que-

st’ultimo. Se le indennità in questione, con riferimento allo

stesso trasferimento, sono corrisposte per più anni, la disposi-

zione si applica solo per le indennità corrisposte per il primo

anno.

Dalla nuova disciplina è scaturito un filone giurisprudenziale

assai ricco, tendente a dare chiarezza alle diverse controversie

alla luce della nuova normativa.

Si osservi, a titolo esemplificativo, la sentenza n. 1842 del

18/02/2000

86

della Corte di Cassazione, Sezione V, se-

condo cui il “contributo-affitto” e le diarie, corrisposti da un

istituto di credito ad un proprio dipendente in occasione di

trasferimento in altra sede, nella normativa anteriore al D.Lgs.

2 settembre 1997, n. 314, costituiscono componenti del reddi-

to tassabile e, pertanto, devono essere assoggettati per l’inte-

ro ammontare ad IRPEF.

85

Corte di Cassazione - Sezione V - Sentenza del 09/12/2002 n.

17515, in Bollettino Tributario, 2003, pag. 556. In termini v. Cassazione,

sentenza n. 1842 del 18/02/2000, in http://dt.finanze.it/doctrib/

SilverStream/Pages/DOCTRIBFrameset.html.

86

In http://dt.finanze.it/doctrib/SilverStream/Pages/DOCTRIB

Frameset.html.

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

242

O, ancora, la sentenza della Corte di Cassazione, Sezio-

ne V, n. 17515 del 09/12/2002

87

, che stabilisce che le som-

me corrisposte dal datore di lavoro al proprio dipendente in

occasione del trasferimento ad altra sede a titolo di differenza

per il maggior canone di locazione non hanno natura risarcitoria,

né funzione di rimborso spese, ma costituiscono l’adempimen-

to di un obbligo contrattuale ed hanno funzione incentivante e

riequilibratrice del vantaggio che il datore di lavoro riceve dalla

prestazione. Sono, pertanto, assoggettabili ad IRPEF nella mi-

sura intera se percepiti in periodi di imposta anteriori al 1998

88

.

Ed, infine, la sentenza della Corte di Cassazione, Sezione

V, n. 13482 del 30/10/2001

89

, laddove si asserisce: “In

tema di imposte sui redditi, il rimborso, ad opera del datore di

lavoro, di parte del più consistente canone di locazione che il

87

In Bollettino Tributario, 2003, pag. 556.

88

In termini v. Cassazione, sentenza n. 6292 del 16/05/2002. Cfr.

anche Corte di Cassazione Sezione Tributaria civile - Sentenza

14.02.2001, n. 2172, in Il Sole24Ore Codice Tributario (banca dati in CD-

ROM): “Sulla riproposta questione dell’assoggettamento ad i.r.p.e.f. delle

indennità di alloggio, corrisposte a titolo di rimborso del maggior canone di

locazione, che il dipendente trasferito debba pagare per acquisire il godi-

mento di una confacente abitazione – e di similari indennità o diarie di tra-

sferimento che non integrino mero recupero di spese di viaggio e trasporto,

si presta adesione all’ormai consolidato indirizzo di questa Corte (Cass. 2604,

2611, 3330, 7703, 10149, 12578/2000), con affermazioni di tassabilità

degli emolumenti, per l’intero ammontare, se ricadano in periodi d’imposta

anteriori al 1998”.

Conformemente, Corte di Cassazione Sezione Tributaria civile - Sen-

tenza 08.03.2000, n. 2604, in http://dt.finanze.it/doctrib/SilverStream/

Pages/DOCTRIBFrameset.html: “Le indennità di trasferimento e le indennità

similari, quale il rimborso, da parte del datore di lavoro, di parte del piu’

consistente canone di locazione che il dipendente debba pagare per acquisi-

re il godimento di un confacente alloggio (cosiddetto “contributo - affitto”),

ossia le somme che il datore di lavoro eroghi al dipendente per alleviare la

maggiore entità degli oneri generali connessi allo stabile spostamento terri-

toriale dell’attività lavorativa, sono componenti del reddito tassabile, ai fini

Irpef, per l’intero ammontare, se ricadono nei periodi d’imposta anteriori al

1998”.

89

In http://dt.finanze.it/doctrib/SilverStream/Pages/DOCTRIB

Frameset.html.

243

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

dipendente debba pagare per acquisire il godimento di un con-

facente alloggio – rimborso contrattualmente previsto per il

personale delle aziende di credito in occasione del trasferi-

mento ad altra sede – costituisce, a differenza dell’indennità di

trasferta, componente del reddito tassabile, ai fini dell’IRPEF,

per l’intero ammontare, se ricadente in periodi di imposta an-

teriori al 1998

90

”.

3.8.2. Orientamento giurisprudenziale che ravvisa natura

risarcitoria nell’indennità di trasferimento

Su questo, come sui precedenti argomenti, sussiste, tutta-

via, una parte della giurisprudenza che ravvisa natura

risarcitoria nell’indennità corrisposta quale differenza del ca-

none di affitto da corrispondersi al dipendente in seguito ad un

suo trasferimento in altra sede. Ne riportiamo alcuni esempi.

Si riporta qui si seguito la sentenza 30.05.2000, n. 147

91

, della

Commissione tributaria provinciale di Milano, Sezione 38, che

stabilisce che “il contributo erogato da una banca quale diffe-

renza del canone di affitto da corrispondersi al dipendente in

seguito ad un suo trasferimento in altra sede, disposto dalla

Banca stessa, ha natura risarcitoria, e, quindi, da escludersi

da imposizione, e non natura reddituale, e quindi tassabile”. A

conforto della tesi, lo stesso Ministero delle Finanze, nella re-

lazione a commento dell’art. 17, lettera i), TUIR, precisa che

90

In termini, Corte di Cassazione - Sezione V - Sentenza del 08/

03/2000 n. 2611, in http://dt.finanze.it/doctrib/SilverStream/Pages/

DOCTRIBFrameset.html: “A differenza dell’indennità di trasferta, le indenni-

tà di trasferimento e le indennità similari – quale il rimborso di parte del più

consistente canone di locazione che il dipendente debba pagare per acquisi-

re il godimento di un confacente alloggio (cioè le somme che il datore di

lavoro eroghi al dipendente per alleviare la maggiore entità degli oneri ge-

nerali connessi allo stabile spostamento territoriale dell’attività lavorativa) –

sono componenti del reddito tassabile, ai fini dell’IRPEF, per l’intero ammon-

tare, se ricadono in periodi d’imposta anteriori al 1998.

91

In Il Sole24Ore Codice Tributario (banca dati in CD-ROM).

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

244

“il principio dell’indennizzo dei danni costituisce reddito quan-

do si tratta di lucro cessante (cioè perdita dei redditi) e non di

danno emergente”. Infatti occorre dimostrare di aver subìto,

per effetto del trasferimento disposto dalla banca, un maggior

onere e, quindi, una diminuzione patrimoniale e l’effettività

della diminuzione patrimoniale, ossia che il nuovo alloggio ab-

bia le stesse caratteristiche del precedente con, tuttavia, un

canone superiore. Detto contributo, inoltre, viene a mancare

qualora il dipendente usufruisca di un alloggio di sua proprie-

92

.

Conforme a tale indirizzo è la Commissione tributaria regio-

nale della Puglia, Sezione XXIX, che, con sentenza del 30/10/

2002 n. 19

93

, afferma che l’indennità corrisposta al lavoratore

dipendente, a titolo di diaria per le spese sopportate in conse-

guenza del suo trasferimento ad altra sede aziendale, non è

tassabile. A detta indennità non può riconoscersi natura

reddituale e, quindi, d’incremento patrimoniale, bensì natura

risarcitoria, essendo destinata a rivalere il lavoratore dei costi

conseguenti ad un provvedimento datoriale. Si può, cioè, indi-

viduare nell’emolumento in parola la stessa funzione pratica

svolta, dalla “diaria per trasferte temporanee”, e, cioè, quella

di risarcire il dipendente delle spese inevitabilmente sopporta-

te in seguito ad un provvedimento aziendale, estraneo, quindi,

alla propria volontà. “Poiché per la ‘diaria per trasferta’ l’art.

48, IV comma, del D.P.R. 917/1986

94

esplicitamente esclude la

tassazione, ritiene la Commissione, che la suddetta norma

debba valere anche per la ‘diaria per trasferimento’, attesa la

identità di funzione svolta da entrambe

95

”.

92

Cfr. anche Cassazione - Sezione V 03/04/2003 n. 5201, in http:/

/dt.finanze.it/doctrib/SilverStream/Pages/DOCTRIBFrameset.html.

93

In http://dt.finanze.it/doctrib/SilverStream/Pages/DOCTRIB

Frameset.html.

94

Oggi art. 51 del nuovo TUIR.

95

Vedi, tra le ultime, Cass. 21 giugno 2002, n. 9107, in http://

dt.finanze.it/doctrib/SilverStream/Pages/DOCTRIBFrameset.html.

245

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

4. Attività professionale prestata a favore di ente pub-

blico in assenza di regolare contratto

Interessante è il caso descritto nella sentenza n. 21301

del 09/11/2004 della Corte di Cassazione - Sezione V.

La Corte stabilisce che, in tema di IRPEF, la somma percepita a

titolo di indennizzo, a seguito di azione di arricchimento senza

causa ex art. 2041 cod. civ., per l’attività professionale presta-

ta in favore di ente pubblico.

Un ingegnere viene chiamato a svolgere le funzione di diri-

gente presso il servizio “segnaletica” di un ente locale in as-

senza di regolare contratto. Non ricevendo alcun compenso,

propone azione di arricchimento senza causa ex art. 2041 cod.

civ. e gli viene riconosciuto un indennizzo per le prestazioni

svolte, sul quale viene operata una ritenuta Irpef. Secondo il

ricorrente, il comma 2 dell’art. 6 e la lettera i) dell’art. 16

D.P.R. 917 del 1986

96

fanno riferimento ad indennità percepite

per la perdita o in sostituzione di redditi. Nel caso in esame,

invece, le somme percepite non sostituirebbero la perdita di

un reddito, ma semplicemente reintegrerebbero un danno pa-

trimoniale e la normativa citata sarebbe pertanto inapplicabi-

le. La Corte riconosce la assoggettabilità della somma al regi-

me della tassazione separata.

5. Materie non attinenti il rapporto di lavoro: com-

pensi indennitari riscossi a titolo di interessi e rivaluta-

zione monetaria

La Cassazione, in conformità ad un indirizzo già ampiamen-

te consolidato, ritiene che la rivalutazione monetaria, rappre-

sentando una componente essenziale del credito cui accede,

96

oggi art. 17 TUIR.

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

246

ha la sua medesima natura ed è, quindi, soggetta a identica

imposizione, alla luce dell’articolo 6, secondo comma, del D.P.R.

22 dicembre 1986, n. 917.

Pertanto, secondo la Suprema corte, l’importo corrisposto

per svalutazione monetaria sull’indennità sostitutiva di ferie

non godute, trovando come questa, quale sua componente

essenziale, titolo immediato e diretto nel rapporto di lavoro, è

soggetta alla ritenuta d’acconto di cui all’articolo 23 del D.P.R.

29 settembre 1973, n. 600.

In riferimento alla rivalutazione monetaria per crediti di la-

voro, l’articolo 429, ultimo comma, del codice di procedura

civile, dispone che “il giudice, quando pronuncia la sentenza di

condanna al pagamento di somme di denaro per crediti di la-

voro, deve determinare, oltre gli interessi nella misura legale,

il maggior danno eventualmente subito dal lavoratore per la

diminuzione di valore del suo credito, condannando al paga-

mento della somma relativa con decorrenza dal giorno della

maturazione del diritto”. In campo tributario, tale norma ha

creato problemi interpretativi in ordine alla qualificazione del

reddito derivante dalla erogazione al lavoratore delle somme

per interessi e rivalutazione monetaria

97

. La giurisprudenza è

stata, in un primo momento, orientata verso la non tassabilità

delle predette somme e, in particolare, degli interessi. La Com-

missione tributaria centrale, nel 1995

98

, asseriva che il mag-

gior credito da svalutazione monetaria dell’importo di crediti di

lavoro (nella specie, di pubblico dipendente), rappresentando

una forma risarcitoria per il danno derivante dall’inadempimento

da parte del datore di lavoro dell’obbligo della retribuzione, e

non già una componente essenziale di questa, non andasse

97

Saverio CINIERI, “Confermata la tassazione della rivalutazione moneta-

ria dei crediti di lavoro”, in www.Fiscooggi.it.

98

Dec. Comm. trib. centr. 19 ottobre 1995, n. 3373. Cfr. Sent. Cass.,

Sez. lav., 27 gennaio 1989, n. 498, in http://dt.finanze.it/doctrib/

SilverStream/Pages/DOCTRIBFrameset.html.

247

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

assoggettato alla stessa disciplina propria di tale crediti di la-

voro, per quanto concerne il regime tributario, con la conse-

guenza che la somma liquidata a titolo di rivalutazione mone-

taria non rientrava – a differenza della retribuzione nominale -

nella nozione di reddito da lavoro dipendente prevista dall’art.

46, primo comma del DPR 29/9/1973 n. 597 ai fini dell’impo-

sta sul reddito delle persone fisiche. Su di essa, quindi, il datore

di lavoro non era tenuto ad operare la ritenuta d’acconto a

norma dell’art. 23, comma 2, del DPR 29/971973 n. 600.

Anche la Circolare Ministeriale 30 luglio 1988, n. 20, dichia-

rava che le somme corrisposte ai dipendenti per rivalutazione

monetaria erano soggette ad imposizione allo stesso modo della

retribuzione o indennità cui accedevano, ed erano, pertanto,

soggette a ritenuta alla fonte, mentre i relativi interessi, non

essendo soggetti allo stesso regime fiscale del credito cui ac-

cedevano, non erano soggetti alla suddetta ritenuta.

Per far fronte a tale incertezza normativa, con le disposizioni

del D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 314, il legislatore è intervenuto,

chiarendo, definitivamente, la natura fiscale della fattispecie in

oggetto. In particolare, l’articolo 1 del decreto citato, modifican-

do il comma 2 dell’articolo 49, ha individuato tra i redditi di lavo-

ro dipendente “le somme di cui all’art. 429, ultimo comma, del

codice di procedura civile”. In questo modo, la norma ha inqua-

drato tra i redditi di lavoro dipendente sia gli interessi su crediti

di lavoro dipendente sia la relativa rivalutazione e, di conse-

guenza, li ha sottoposti allo stesso regime fiscale.

Coerentemente, la Circolare del Ministero delle Finanze del

23 dicembre 1997, n. 326/E, ha chiarito: “Va, peraltro, preci-

sato che, ai fini dell’assoggettamento a tassazione, quali red-

diti di lavoro dipendente, non è necessario che gli interessi e la

rivalutazione conseguano ad una sentenza di condanna del giu-

dice, essendo sufficiente il fatto oggettivo della loro correspon-

sione e, quindi, anche se gli stessi derivano da un adempimen-

to spontaneo del datore di lavoro o da una transazione”.

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

248

99

Cass. sent. 24 aprile 2003, n. 6543, in Bollettino Tributario, anno

2003, pag. 1275.

100

Cassazione, sentenza n. 6246 del 29 marzo 2004, in Bollettino

Tributario, anno 2004, pag. 875.

Nell’ambito della giurisprudenza, dopo iniziali incertezze, si

è giunti, negli ultimi anni, a riconoscere che, ai sensi dell’art.

17 TUIR, tutte le somme o valori percepiti, anche a titolo

risarcitorio, devono essere sottoposti a tassazione separata

con ritenuta effettuata dall’Ente erogatore. Infatti, i compensi

indennitari, riscossi a titolo di interessi e rivalutazione mone-

taria per ritardato pagamento degli emolumenti di pensione,

sono stati equiparati al reddito da lavoro dipendente, ai sensi

dell’art. 1 del D.Lgs. n. 314/1997, e, di conseguenza, assog-

gettabili a ritenute fiscali.

In particolare, riguardo gli interessi su somme per crediti di

lavoro, ex art. 429 c.p.c., essi costituiscono componente del

credito originario e sono dovuti per il solo fatto del ritardo -

rispetto alla maturazione del diritto - nel pagamento dei com-

pensi per prestazioni lavorative, imputabile o meno che sia a

colpa del datore di lavoro. In quanto di natura risarcitoria, e

comunque estranei all’ipotesi di cui all’art. 1499 c.c., detti in-

teressi non sono compensativi e non possono rientrare nella

previsione del secondo comma dell’art. 6 TUIR, la cui ampia

formula (“interessi moratori e per dilazione di pagamento”)

deve essere intesa, con specifico riferimento all’art. 429 c.p.c.,

nel senso che costituiscono crediti di lavoro, come tali tassabili,

gli interessi dovuti per il ritardo nell’adempimento, senza pos-

sibilità di distinguere tra le cause del ritardo nell’adempimen-

to

99

.

Riguardo alla rivalutazione monetaria, infine, la Cassazio-

ne

100

ha statuito che, in tema di imposte sui redditi, la rivaluta-

zione monetaria, rappresentando una componente essenziale

del credito cui accede, ha la sua medesima natura ed è, per-

tanto, soggetta ad identica imposizione, alla luce dell’art. 6,

249

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

secondo comma, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, come

modificato dall’art. 1, comma 1, del D.L. 30 dicembre 1993, n.

557, convertito con modificazioni nella legge 26 febbraio 1994,

n. 133. Ne consegue che l’importo corrisposto per svalutazione

monetaria sull’indennità sostitutiva di ferie non godute, trovando

come questa, quale sua componente essenziale, titolo immedia-

to e diretto nel rapporto di lavoro, è soggetta alla ritenuta d’ac-

conto di cui all’art. 23 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600

101

.

5.1. Indennizzi assicurativi

La relazione ministeriale al D.Lgs. 18 febbraio 2000, n. 47

fornisce un’importante precisazione con riguardo alle rendite

erogate a seguito di invalidità permanente o di morte. Il Mini-

stero, infatti, prende posizione a favore della non tassabilità di

tali prestazioni in forma di rendita, sempreché detta modalità

di erogazione sia prevista nelle clausole contrattuali. Ciò in

considerazione del fatto che esse non costituiscono reddito ai

sensi dell’art. 6, comma 2, TUIR, a motivo della loro funzione

risarcitoria. In passato, non era mai emersa chiaramente una

posizione dell’Amministrazione finanziaria sull’argomento e, in

via prudenziale, si era ritenuto che, stante anche la formula-

zione dell’art. 34 del D.P.R. n. 601 del 1973, l’esclusione dal-

l’IRPEF delle indennità in forma assicurativa, conseguite a tito-

lo di risarcimento di danni dipendenti da invalidità permanente

o da morte, riguardasse soltanto i capitali

102

.

5.2. Risarcimento del danno da accessione invertita

L’art. 11, commi da 5 a 9, della legge 30 dicembre 1991, n.

413, ha disposto la tassazione delle somme percepite a titolo

101

Corte di Cassazione - Sezione V Sentenza del 26/01/2005 n.

1574, in http://dt.finanze.it/doctrib/SilverStream/Pages/DOCTRIB

Frameset.html.

102

Cfr. www.ania.it/documents/circolari2000/PROT0144CIRC72.pdf.

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

250

di indennità di esproprio o di cessione volontaria nel corso del

procedimento espropriativo, nonché a seguito di occupazione

acquisitiva. Ai sensi del comma 5 del citato articolo 11, sono

assoggettate a tassazione le plusvalenze conseguenti alla per-

cezione, da parte di soggetti che non esercitano imprese com-

merciali, di somme a titolo di indennità di esproprio o di ces-

sione volontaria nel corso del procedimento espropriativo, non-

ché di somme comunque dovute per effetto di acquisizione

coattiva conseguente ad occupazioni di urgenza divenute ille-

gittime. Il comma 6 stabilisce, altresì, che costituiscono reddi-

to imponibile e concorrono alla formazione dei redditi diversi,

di cui all’art. 67 TUIR (ex art. 81 vecchio TUIR), le somme

percepite a titolo di indennità di occupazione, diverse da quel-

le sopra considerate e gli interessi comunque dovuti su tutte le

somme in questione. Per quanto riguarda, in particolare, i pro-

cedimenti di natura analoga all’esproprio, che si è inteso at-

trarre nella fattispecie impositiva, si ritiene che il richiamo alla

“acquisizione coattiva conseguente ad occupazioni di urgenza

divenute illegittime”, attesa la volontà del legislatore ed il te-

nore del successivo comma 7 dell’art. 11 citato, si riferisce sia

alle occupazioni avvenute sulla base di un titolo divenuto in

seguito illegittimo sia a quelle effettuate senza alcun titolo giu-

ridico e per le quali si è verificata l’accessione invertita. Per

quanto riguarda, invece, la nozione di occupazione acquisitiva

deve farsi riferimento all’espropriazione di fatto che si verifica

quando la pubblica autorità, occupando illegittimamente un

suolo privato per destinarlo irreversibilmente a realizzazione

di interesse pubblico, crea i presupposti per la emanazione di

un provvedimento giudiziario, che riconosce al privato una som-

ma a titolo di risarcimento per la privazione del suolo stes-

so

103

.

103

Circolare del Ministero delle Finanze n. 194 del 24/07/1998, in http:/

/dt.finanze.it/doctrib/SilverStream/Pages/DOCTRIBFrameset.html.

251

La Giurisprudenza in tema di tassazione ai fini Irpef…

Nella giurisprudenza si osservi la sentenza n. 12882 del

30/12/1998

104

della Corte di Cassazione, Sezione I. La

Corte conferma che, in tema di imposte dirette sui redditi, la

plusvalenza conseguita a seguito di risarcimento del danno da

accessione invertita, corrisposto in epoca successiva all’entra-

ta in vigore della legge 31 dicembre 1991 n. 413, è soggetta

all’imposizione prevista dall’art. 11, commi quinto, sesto e set-

timo, della citata legge, ancorché il trasferimento del bene in

virtù dell’occupazione acquisitiva sia avvenuto in epoca prece-

dente al 31 dicembre 1988. E’ indifferente, ai fini della imposi-

zione, la data della cessione volontaria o della emissione dei

provvedimenti espropriativi o che accertino la accessione in-

vertita, rilevando soltanto il momento della riscossione, che

costituisce il presupposto impositivo.

104

In Il Sole24Ore Codice Tributario (banca dati in CD-ROM).

Dati Statistici dell’attività del Consiglio aggiornati al 31 dicembre 2005

252

Dati Statistici dell’attività

del Consiglio aggiornati

al 31 dicembre 2005

Sedute del Consiglio da Marzo 2005 al 31 dicembre 2005: 31

Sedute disciplinari: 10

Disciplinari celebrati: 18

Decisioni: 3 avvertimenti - 1 radiazioni - 6 censure - 7

proscioglimenti - 3 sospensioni

Ricorsi archiviati: 71

Richieste di pareri: 230

Pareri liquidati: 134

Cancellazioni da Albo e da Registro:

Dott. BAIOTTO Marta

Dott. LECCI Lucia

Avv. RICCHIUTI Laura

Avv. MASSA Fabio

Dott. RINALDI Colomba

Dott. STRAFELLA Monica

Dott. ALEMANNO Michele

Avv. CHIRONI Rosanna

Dott. LABELLA Eleonora

Dott. SCHIRIZZI Arcangela

Dott. TARANTINO Sonia

Avv. TONDO Cosimo

Avv. MICELI Maria

Avv. PRIMORDIO Rita

Avv. PISANELLO Fiore

Dott. FERSINI Luigi

Dott. ALESSANDRIN Annalisa

Dott. SALANDRA Domenico

Dott. GIANNUZZO Stefania

Dott. BARBARA Giovanni Antonio

Avv. DELLO PREITE Nino

Avv. BRAY Ileana

Dott. CICCARESE Maria Azzurra

Avv. METRANGOLO Mariacristina

Dott. ARESTA Giovanni

Avv. SENSALES Monica

Dott. BALESTRA Barbara

Dott. BOSCHETTI Giovanna

Avv. CASSANO Gabriella

Avv. NATALI Giovanni

Dott. CAGNAZZO Alessandra

Dott. COSTADURA Giuseppe

Avv. FAGGIANO Ombretta

Dott. MARIANO Luigi

253

Dati Statistici dell’attività del Consiglio aggiornati al 31 dicembre 2005

Avv. PERRONE Rossana

Dott. BENVENUTO Giulio

Avv. CORVAGLIA Maria Immacolata

Dott. LICCI Ottorino

Dott. MAURO Simona

Avv. TOMMASI Maria

Dott. PELLEGRINO PELLEGRINO

Stefano

Avv. BELLANTE Maria Teresa

Avv. CONGEDO Dario

Dott. RAPINESE Raffaello

Dott. ADINOLFI Maria

Dott. DE SANTIS Luca

Avv. ORLANDO Anna Ilaria

Dott. RUSSO Gabriella

Dott. STEFANELLI Eliana

Dott. DE TOMMASI Adriana

Dott. TRAVERSI Monica

Dott. ZANOTTI Rossana

Dott. BIANCA Alessandra

Dott. CAPASA Cinzia

Dott. CONGEDO Alessandra

Avv. GABALLO Rosella

Dott. MONTINARO Lucio

Dott. NAPOLITANO Stefano

Dott. PICCINNI Antonella

Avv. SAMMATI Monica

Avv. TUNDO Paola

Avv. BRUNO Eduado Achille

Dott. CANNONE Laura

Dott. CARLINO Angela

Dott. DE GIOVANNI Maria R.

Avv. DE SIMONE Franco

Dott. FORTE Anna

Avv. LEGARI Giovanna

Dott. EPIFANI Annarita

Dott. MANGIA Paola

Avv. STEFANELLI Anita

Dott. TOMA Oronzo

Avv. LUPO Antonio

Avv. MORIGINE Umberto

Dott. VANTAGGIATO Giorgio

Cancellazioni per decesso:

Avv. CRASTOLLA Fernando

Avv. RUGGERI Fazzi Mario

Avv. GIORDANO Gustavo

Avv. PELLEGRINO Francesco

Avv. SANASI Tito

Avv. VALENTINI INDRACCOLO Giovanni

Avv. COLACI Maria

Dati Statistici dell’attività del Consiglio aggiornati al 31 dicembre 2005

254

Dott. CACCIATORE Ugo

Dott. CARDUCCI Fabrizio

Dott. DE SANTIS Luca

Avv. FALSANISI Massimo

Dott. PISANÒ Maria

Dott. BIANCHI Lorenzo

Dott. TARANTINO Angelo

Dott. LEONE Sonia

Dott. SELAM Alessandro

Avv. SANTORO Giovanni

Dott. LONGO Anna

Avv. MORLACCHINI Filippo

Avv. VETRUGNO Patrizia

Dott. ANTONAZZO Riccardo

Avv. GALEONE Rita

Dott. CHIARELLI Carmen

Avv. MACI Osvaldo

Dott. LACIRIGNOLA Roberta

Dott. MINERVA Loris

Dott. DI PIETRO Francesca

Avv. PAGANO Carmela

Dott. MARZO Monica

Dott. GIANNOTTE Concetta

Dott. CALASSO Raffaella Carla

Dott. CIULLO Maria

Avv. PREITE Filippo

Avv. SPADA Marco

Avv. ANCORA Maria

Rilascio certificati nulla osta trasferimento

presso altri ordini:

Iscrizioni nell’Albo degli Avvocati:

ABATI Marianna

Collepasso - Via del Bosco 56

ALBERTONE Vincenzo

Lecce - Via Zanardelli 7

ANASTASIA Maria Grazia

Lecce - Via Madonna degli Studenti 9

BENE Cinzia

Lecce - Via S. Trinchese 8

BOCCARDO Alessandra

Lecce - Via Imbriani 37

BOCCARDO Paola

Lecce - P.zza Mazzini 72

BONANNO Francesco

Lecce - Via F. Bacile 3

BORELLI Antonella

Campi S. - Via Amedeo di Savoia 88

BRAY Luciano

Lecce - Via F. Lubello 11

BRUNETTA Andrea

Lecce - Via di Casanello 19

CAGGIULA Giuliana

Lecce - Via Vecchia Frigole 24

CALABRO Salvatore

Carpignano Sal.no - Vico Pozze 2

255

Dati Statistici dell’attività del Consiglio aggiornati al 31 dicembre 2005

CALÌ Giuseppe

Copertino - Via N. Bixio 11

CALOGIURI Maria Concetta

Lecce - Via C. Battisti 112

CAMPA Marco

Maglie - Via Einaudi 1

CAMPASENA Francesco

Lecce - Piazza Verdi 16

CANCELLI Alessandra

Lecce - Via B. Martello 2

CANNAZZA Maria

Milano - Via Spartaco 4

CANNOLETTA Antonio

Lecce - Via N. Bixio 21

CAPUTO Francesca

Matino - Via IV novembre 48

CARACCIOLO Maria Teresa

Lecce - Piazza Ariosto 30

CARAMIA Antonio

Mesagne - Via Tenente Ugo

Granafei 97

CARICATO Francesca

Lecce - Via P. Gobetti 42

CARLÀ Domenico

Lecce - P.tta Montale 1

CARLINO Samuele

Vernole- Acaya - Via G. Carducci 17

CASALUCI Cosimo

Lecce - Via Amleto Poso, 7

CASARANO Milena

Casarano - Via Francia 25

CATALDI Grazia

Tuglie - Via Termiti 1

CAZZATO Marcello

Lecce - Via Mad. degli Studenti 9

CELESTINI Mina

Copertino - Via Calabria 31

CENTONZE Luca

Monteroni - Via Rubichi 6

CENTONZE Michele

Lecce - Via Idomeneo 23

CEZZA Francesco

Lecce - Via Zanardelli 7

CEZZI Cristianmatteo

Lecce - Via G. Argento 37

CHETTA Marcello

Taviano - Via Immacolata 41

CHIFFI Angela

Nardò - Via Pietro Nenni 40

CICCARESE Andrea

Nardò - Via Q. Ennio 4 - S. Caterina

CITO Maria Luce

Galatina - Via O. Scalfo 62

COLAGIORGIO Angelo

Montesano Sal.no - Via Chiusa 2

COLAZZO Carla

Galatone - Via Giravolta 1

CONGEDO Francesca

Galatina - Via S. Vincenzo De Paoli 16

CONTE Serena

San Donato di Lecce - Via G.

Brodolini 1

CORREALE Cristina

Lecce - Via S. D’Acquisto 14

COSTA Giuseppe

Guagnano - Via Vespucci 19

Dati Statistici dell’attività del Consiglio aggiornati al 31 dicembre 2005

256

CRISTOFALO Flaviana

San Donato di Lecce -

Via Galugnano 63

DE CARLO Anna Maria

Calimera - Via G.da Verrazzano 21

DE FABRIZIO Maria Immacolata

Montesano Salentino -

Via Case Sparse c.da Pigno

DE GIORGI Simona

Lecce - V.le De Pietro, 23

DE GIUSEPPE Silvia Rita

Poggiardo - Via V. Veneto 115

DELL’ANNA Valentina

Melendugno - Via G. D’Annunzio 27

DELL’ANTOGLIETTA Gaetano

Lecce - Via R. Imbriani 36

DELLI NOCI Antonio

Lecce - V.le Japigia 18

DE LUCA Mirko

Novoli - Via G. Leopardi 22

DE MAGLIO Silvia

Porto Cesareo - Via P. Gobetti 51

DE MITRI Emanuela

Gallipoli - Via Trento 26

DE PASCALI Angelo

Lecce - Via A. Imperatore 16

DE PASCALIS Paola Anna

Lecce - Via D. Birago 81

DE PASCALIS Stella

Lecce - Via D’Annunzio 58/A

DE PASCALIS Vito

Lecce - Via Redipuglia 42

DE PASQUALE Paolo

Galatina - Via C. G. Viola 6

DE PASQUALE Raffaella

Galatina - Via C. G. Viola 6

DE RAZZA Cristina

Roma - Largo Messico 7

DE SALVE Stefania

Lecce - Via G. M. Moricino 2

DE SIMONE Rita

Lecce - Via Taranto 92

DIMITRI Alessandra

Lecce - V.le De Pietro 23

DISTANTE Giuseppe

LECCE - Via M. R. Imbriani 30

DURANTE Alberto Maria

Melendugno - P.zza Risorgimento 28

ERRICO Elisabetta

Lecce - Via F. Milizia 64

EVANGELISTA Caterina

Lecce - Via Oberdan 63

FANIZZI Rosa

Lecce - Via Paladini 50

FASANO Renato

Racale - Via Domenico Gnoli 2

FASIELLO Cristiano

Vernole - Via Lecce 7 - Sturdà

FAZZI Alessandra

Lecce - Via Principi di Savoia 67

FIORENTINO Paola

Lecce - Via Campania 14

FREZZA Benedetta

Lecce - Via SS. Giacomo e Filippo 7

FRISULLI Roberta

Lecce - Via Conte Roberto 3/a

GAETANI Nicola

Lecce - Via Zanardelli 115

257

Dati Statistici dell’attività del Consiglio aggiornati al 31 dicembre 2005

GALANTE Eleonora

Lecce - Via R. Sanzio 22

GALEONE Giuseppe

Grottaglie - Via delle Medaglie d’oro 4/b

GALLO Linda

Melendugno - Via A. Manzoni 4

GIAFFREDA Maria Cristina

Parabita - Via Anita Garibaldi 50

GIGANTE Sergio

Lecce - Via XXV Luglio 2 - scala B

GJERGJI Isida

Lecce - Via O. Cosi 14

GRASSO Antonio

Lecce - Via Sidoti 19

GRECO Maria Elena

Lecce - Via Imbriani 30

GRECO Salvatore

Lecce - Via B. Martello 19

GRECO de PASCALIS Gianluca

Lecce - Piazza Mazzini 56

GUADALUPI Chiara

Lecce - Via S. Trinchese 63

GUGLIELMO Alessandra

Lecce - Via P. Micheli 38

GUGLIELMO Anna Rita

Lecce - Via Templari 10/A

GUIDO Maria Giovanna Federica

Squinzano - Via Botteghe Nuove 45

INDINO Tony

Tricase - Via Terragni 10

INGUSCIO Giuliana

Ruffano - Via G. Marconi 22

ISCERI Lucia

Trepuzzi - Via Sacri Cuori 11

LAZZARO Maria Elena

Casarano - Via Dogliotti 1

LEUZZI Stefano Michele

Lecce - Via G. Matteotti 33

LEZZI Daniela

Nardò - Via Grassi 24

LEZZI Sabrina

Veglie - Piazza Umberto I

LIA Maria Grazia

Lecce - Via Lamarmora 13

LIBETTA Marzia Francesca

Lecce - Via N. Foscarini 7

LIGORI Francesca

Lecce - Via Zanardelli 7

LONGO Rita

Sogliano Cavour - Via C. Battisti 35

MACI Giorgio

Lecce - Via Luigi Scarambone 56

MAGLIARI Alessandro

Lecce - Via O. De Donno 13

MALORGIO Marco

Lecce - Via F. Lubello 2

MANCA Giuliana

Lecce - V.le Otranto 75

MANELLI Gianluigi

Lecce - Via G. Garibaldi 43

MANNARINI Beatrice

Lecce - P.tta Montale 2

MANNO Annalaura

Lecce - Via Merine 21 D

MASSA Fabio

Lecce - Via Marconi 7

MASTROLEO Maria Cristina

Lecce - V.le F. Lo Re 46

Dati Statistici dell’attività del Consiglio aggiornati al 31 dicembre 2005

258

MATRANGA Alfredo

Lecce - Via Augusto Imperatore 16

MAURO Elisa

Lecce - Via XXV Luglio 2/B

MEMMI Alberto

Lecce - Via Gentile 41

MICELI Paola

Lecce - Via G. Di Brienne 5

MILANESE Francesco

Lecce - Via Cavour 45

MINERVA Claudia

Lecce - Via B. Croce 24

MOSCATELLO Luana

Sannicola - Via Roma 279

MUCI Leonardo Massimo

Copertino - Via Corsica 66

NAPOLITANO Guglielmo

Galatina - Via Liguria 27 bis

NEGRO Francesco

Lecce - Via Giammatteo 92

PAOLILLO Monica

Lecce - P.zza Mazzini 72

PAPPADÀ Maria Lucrezia

Andrano - Via Pro.le ang.

Via Michelangelo 58

PATI Antonio

Veglie - Via B. Croce 55

PEDACI Angelo Maria

Lecce - Piazza Mazzini 64

PELLEGRINO Fabio

Trepuzzi - Via O. Quarta 45

PELLEGRINO Federico

Lecce - Via Augusto Imperatore 16

PELLEGRINO Maria Lucia

Lecce - Via G. Argento 12

PENSA Luigi

Lecce - Via Zanardelli 60

PEPE Alberto

Lecce - Via Augusto Imperatore 16

PEPE Mariangela Vanessa

Lecce - Via 95 Rgt. Fanteria 102 -

int. 9

PERLANGELI Simone Luigi

Lecce - Via 95 Rgt. Fanteria 19

PERRONE Oronzo

Guagnano - Via Provinciale 161

PERRONE Vincenzo

Lecce - V.le De Pietro 23

PETITO Giuliana

Lecce - Via Oberdan 112

PICCINNI Riccardo

Lecce - V.le U. Fuscolo 39

PICCINNO Oronzo

Maglie - Via Adigrat 43

PIRI Angela

Poggiardo - Via Capreoli 237

PLENTEDA Raffaele

Melpignano - Via Dante 28

PRATO Valentina

Lecce - Via B. Martello 36

PRINARI Davide

Lecce - V.le Lo Re 75

PRIORE Valeria

Lecce - V.le De Pietro 23

PUZZOVIO Carlo

Maglie - Via V. Emanuele II 160

259

Dati Statistici dell’attività del Consiglio aggiornati al 31 dicembre 2005

QUARTA Cristina

Lecce - V.le De Pietro 11

RAELI Giovanni

Ugento - Via G. Mazzini 53

REGIONE Carmela Rita

Tricase - Piazza V. Ciardo s. n.

RELLA Roberto

Lecce - Via L. Corvaglia 23

RENZO Ombretta

Lecce - V.le Leopardi 52

RIZZO Alessandra

Squinzano - Via Gianfilippe 16

RIZZO Antonella

Lecce - Via Idomeneo 22

RIZZO Caterina

Lecce - Via Lupiae 33

RIZZO Tania

Leverano - Via Greci 14

ROLLO Sergio

Lecce - Via Lupiae 44/f

ROLLO Tatiana

Nardò - Via Grassi 24

ROMANELLO Marco

Lecce - Via IV Novembre 41

RUGGERI Eva

Lecce - Via Monte S. Michele 10

RUSSO Ivan

Lecce - Viale della Libertà 60

SALOMONE Fredy

Gallipoli - Via Bergamo 4

SANNINO Ethel

Lecce - Via Rovereto 3

SANTO Andrea Ettore

Lecce - Via G. Garibaldi 3

SAPONARO Milena

Lecce - P.tta Ariosto 23

SCARASCIA Paolo Antonio

Lecce - Via Fiesole 14

SCHIROSI Angela

Nardò - Via A. Secchi 36

SCHITO Simona

Lecce - Via L. Sturzo 13

SERAFINI Francesca

Lecce - Piazza Mazzini 72

SERAFINO Enza Donatella

Lecce - Via Palmieri 9/11

SILVESTRI Massimiliano

Lecce - Via Oberdan 14

SIMEONE Elisa

Lecce - Via G. Leopardi 66

SPAGNOLO Chiara

Veglie - Via Mad. dei Greci 205

SPEDICATO Andreina

Lecce - P.zza Ariosto 23

SPEDICATO Barbara

Lecce - Via Campania 44

SPEDICATO Germana

Lecce - Via Oberdan 34

SPOTI Caterina

Lecce - Via Carlo Russi 30/B

STANCA Paolo

Lecce - Via F. S. Casavola 7

STEA Egle

Casarano - Via Roma 48

STEFANÒ Maria Ines

Andrano - Via Michelangelo 58

STIFANI Pasquale Antonio

Aradeo - Largo Annunziata 20

Dati Statistici dell’attività del Consiglio aggiornati al 31 dicembre 2005

260

SUPPA Maria

S. Donato di L. - Via XX Settembre 5

TINELLI Cristina

Lecce - Via Pitagora 25

TOMA Esterina

Casarano - Via V. Cuoco 9

TOMA Silvia

Lecce - Viale G. Leopardi 66

TOMA Stefania

Lecce - Via Papatodero 27

TOTARO Angelo

Guagnano - Via Kennedy 54

TOTARO Ilaria

Lecce - V.le De Pietro 11

TRAZZA Giovanni

Lecce - Via Parini 2/B

TUNDO Rosaria

Lecce - Via Mart. d’Otranto 4

VADRUCCI Debora

Nociglia - Via Oberdan 5

VALENTINI Claudia

Alezio - Via Montegrappa 13

VALIANI Salvatore

Morciano di Leuca - Via A. De

Gasperi 139

VANTAGGIATO Vincenzo

Lecce - Via Augusto Imperatore 16

VENNERI Marcella

Lecce - Via C. De Giorgi 7

VERDESCA Alessandra

Lecce - Via Domenico Cantatore 5

VERGINE Carla

Lecce - Corte Conte Accardo 2

ZAGÀ Stefano

Leverano - Via P. Cazzella 107

ZECCA Massimo Maria

Lecce - Via 95 RGT. Fanteria 9

ZILLI Nadia

Lecce - Via Marco Aurelio 22

ZIZZA Viviana

Lecce - Via Lupiae 34

ZUCCARO Alessandra

Nardò - Via M. Tafuri 8

261

Dati Statistici dell’attività del Consiglio aggiornati al 31 dicembre 2005

ORDINE DEGLI AVVOCATILECCE

Il Consiglio dell’Ordine, nella tornata del 15 dicembre 2005, ha fis-sato la data per la convocazione dell’Assemblea Ordinaria Annuale eper la convocazione dell’Assemblea in sede elettorale.

L’ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIAè fissata per il giorno 30 gennaio 2006 alle ore 10.00 in prima convocazioneed alle ore 11.00 in seconda convocazione, nell’Aula “Primo Tondo” delPalazzo De Pietro, per discutere il seguente

ORDINE DEL GIORNO

1) Relazione morale (rel. Il Presidente);2) Conto Consuntivo 2005 (rel. il Consigliere Tesoriere);3) Conto Preventivo 2006 (rel. il Consigliere Tesoriere);4) Varie ed evenuali.

L’ASSEMBLEA IN SEDE ELETTORALEè fissata in prima convocazione per il giorno 21 gennaio 2006, alle ore 09.00,presso la sede dell’Ordine degli Avvocati – sesto piano – Palazzo di Giustiziadi viale De Pietro ed in seconda convocazione per i giorni 2 e 3 febbraio, alleore 8.30, nell’Aula Magna del Palazzo di Giustizia.

Qualora si rendesse necessaria una ulteriore convocazione della Assemblea insede elettorale, per l’espletamento del ballottaggio, essa è fissata, fin da ora, peri giorni 16 e 17 febbraio 2006 nella Aula Magna, sempre alle ore 8.30.

Si raccomanda agli iscritti di prendere visione presso la Segreteria del-l’Ordine del Regolamento per lo svolgimento delle operazioni elettorali.

Lecce, 16 dicembre 2005

IL CONSIGLIERE SEGRETARIO IL PRESIDENTE Avv. Luigi Rella Avv. Antonio De Giorgi

Dati Statistici dell’attività del Consiglio aggiornati al 31 dicembre 2005

262

ORDINE DEGLI AVVOCATI DI LECCECORSO DI FORMAZIONE ED AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE

Incontro di studi sul tema:

“Occupazione acquisitiva,occupazione espropriativa:

quale giudice per l’espropriazione?”LUNEDÌ 16 GENNAIO 2006 – ORE 16,00

LECCE, PALAZZO DI GIUSTIZIA – AULA MAGNA

PRESIEDE E COORDINA I LAVORI:Avv. Antonio DE GIORGI

Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Lecce

INTRODUCE IL DIBATTITO:Avv. Angelo VANTAGGIATO

Componente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Lecce

RELATORI:Dott. Antonio ESPOSITO

Magistrato presso il Tribunale di Lecce

Avv. Pietro QUINTOAvvocato Amministrativista

INTERVENTI

Lecce, 27 dicembre 2005

263

Dati Statistici dell’attività del Consiglio aggiornati al 31 dicembre 2005

ORDINE DEGLI AVVOCATIDI LECCE

SCUOLA FORENSE “PRIMO TONDO”Venerdì 20 gennaio 2006 – ore 16,00

Lecce, Hotel Tiziano

si terrà la cerimonia d’inaugurazioneCorso di formazione per l’accesso alla professione forense

per il biennio 2005/2006 (D.P.R. 101/1990)

Aprirà i lavori e porgerà il salutoL’AVV. ANTONIO DE GIORGI

Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Lecce

InterverràL’AVV. LUCIO CAPRIOLI

Direttore della Scuola Forense

Seguirà la prima lezione su “L’Ordinamento Forense”Tenuta da

L’AVV. CARLO MARTUCCELLIComponente del Consiglio Nazionale Forense

Lecce, 13 gennaio 2006

IL DIRETTORE IL PRESIDENTEDELLA SCUOLA DEL CONSIGLIO DELL’ORDINE

Finito di stampare

nel mese di gennaio 2006

dalla Tiemme (Industria Grafica) Manduria

per conto delle Edizioni del Grifo - Lecce