L'Edinburgh International Festival o della celebrazione dell'arte performativa

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TRIMESTRALE DI STUDI STRATAGEMMI PROSPETTIVE TEATRALI PONTREMOLI EDITORE UNDICI 2009 - SETTEMBRE

Transcript of L'Edinburgh International Festival o della celebrazione dell'arte performativa

TRIMESTRALE DI STUDI

STRATAGEMMI

P R O S P E T T I V E T E A T R A L I

PONTREMOLI EDITORE

UNDICI 2009 - SETTEMBRE

Direttore:Maddalena Giovannelli

Direttore responsabile:Francesca Gambarini

Redazione:Francesca Gambarini, Maddalena Giovannelli,

Francesca Serrazanetti, Gioia Zenoni

Progetto grafico:Jolieadv.com

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Revisore editoriale:Giacomo Coronelli

Comitato scientifico:Giuseppe Cavajoni, Maria Teresa Grassi,

Giuseppe Lozza, Gianfranco Nieddu, Ra�aele Pugliese, Giovanna Rosa,Maria Assunta Vinchesi, Giuseppe Zanetto

SOMMARIO

5 EDITORIALE

PARTE PRIMA STUDI

11 Dinamiche comunicative di genere in Eschilo

di Maria Daniela Miceli

33 “Il buon naturale e l’inganno”: primi scandagli sui

molteplici volti di Don Giovanni nell’Ottocento francese di Flavia Crisanti

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La Grecia del passato, l’Irlanda del presente: i “Plays for women” di Brendan Kennelly

di Simona Martini

109 L’Edinburgh International Festival

o della celebrazione dell’arte performativa di Armando Rotondi

PARTE SECONDA TACCUINO

133 Teatro e crisi: sguardi oltre l’emergenza a cura della Redazione

139 Alle periferie del mondo Teatro, conflitto ed emergenze: intervista a Guglielmo Schininà di Francesca Serrazanetti Il sorriso di un clown : intervista a Miloud Oukili di Marcello Zagaria

171 Libertà di evadere Esperienze di teatro in carcere: intervista ad Armando Punzo di Francesca Gambarini

185 Diversamente attori? Esperienze di teatro e disabilità Gli spazi del teatro: intervista a Nadia Fulco di Maddalena Giovannelli

197 Ripensare il teatro ragazzi: appunti per un nuovo operatore teatrale Educazione ai sentimenti: testimonianza di Claudio Facchinelli La società sotto assedio: intervista a Marco Pernich Promuovere il benessere: intervista a Enzo Biscardi di Maddalena Giovannelli L’esperienza americana: l’Arts integration di Daniel Barash di Valentina Provera

225 Verso il teatro a impatto zero Fare teatro in un villaggio ecologico: intervista a Francesca Veltre Rassegne a ecosostenibilità certificata: il Napoli Teatro Festival Italia di Gioia Zenoni

243 Teatro e crisi economica L’appello del mondo dello spettacolo: intervista a Moni Ovadia di Francesca Gambarini

L’Edinburgh International Festival

o della celebrazione dell’arte performativa

di Armando Rotondi

Nel discutere dell’Edinburgh International Festival (EIF), è d’obbli-go una premessa: la kermesse non può intendersi come vero e pro-prio festival teatrale, poiché tale definizione sarebbe alquanto ridut-tiva, né la manifestazione può essere estrapolata e analizzata indi-pendentemente dal variegato contesto culturale che la circonda. Il Festival di Edimburgo, nel cui nome non ricorre la dicitura “te-atrale”, non può essere inteso infatti come una manifestazione te-atrale in senso stretto, così come noi in genere la consideriamo ri-ferendoci per la maggior parte a spettacoli di prosa – che pure sono ben presenti all’EIF – ma piuttosto come un festival di arti performative intese in senso lato. A Edimburgo si alternano infat-ti, a partire dalla terza settimana di agosto di ogni anno, spettacoli che vanno dalla prosa, all’opera lirica, al balletto, fino alla musica sinfonica e da camera: in buona sostanza, qualsiasi performance dal vivo, che sia comunque ai più alti livelli. Né la manifestazione rappresenta un caso isolato nella realtà e-dimburghese. Il festival è infatti inserito in un ben preciso circuito culturale noto come “Edinburgh Festivals”, che raccoglie una de-cina di manifestazioni che si svolgono parallelamente, più o meno nello stesso periodo, dall’inizio dell’estate fino a settembre.1 Così 1 Le principali manifestazioni facenti parte degli “Edinburgh Festivals” sono: E-

dinburgh International Festival; Edinburgh Fringe; Edinburgh International Film Festival; Edinburgh International Book Festival; Edinburgh Military Tat-too; Edinburgh Jazz and Blues Festival; Edinburgh International Television Fe-

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l’ultima edizione 2009 si è trovata, come di consueto, in contem-poranea con un’altra rassegna teatrale, l’Edinburgh Fringe Festi-val, dedicata al teatro d’avanguardia, e all’importante Fiera inter-nazionale del libro, presso i Charlotte Square Gardens. A questi si aggiungono l’Edinburgh Film Festival, una tra le più antiche com-petizioni cinematografiche del mondo,2 tenutosi a giugno, e l’E-dinburgh Art Festival, che copre il periodo da luglio a ottobre. Una serie di appuntamenti quindi, di cui quello che in Italia è semplicisticamente noto come il Festival di Edimburgo rappre-senta solo uno degli elementi, seppure il più rinomato e di mag-giore richiamo. La rassegna nasce nel 1947, come rilancio culturale all’indomani della conclusione del secondo conflitto mondiale, per impulso di Henry Harvey Wood, rappresentante del British Council, e di una serie di operatori del mondo dello spettacolo e del teatro. Essenziale per la comprensione della storia del Festival – anche se un po’ datato – è il volume di George Bruce Festival in the North:

stival; Edinburgh Interactive Entertainment Festival; Edinburgh Mela. 2 L’Edinburgh International Film Festival nasce nell’agosto del 1947, in contem-

poranea con l’Edinburgh International Festival, cui sarà legato fino al 2008, an-no in cui la kermesse cinematografica acquista anche una piena autonomia orga-nizzativa e subisce uno spostamento da agosto a giugno. Il festival rappresenta una delle più antiche e prestigiose manifestazioni cinematografiche del mondo, pur non essendo inserito dalla FIAPF (Fédération internationale des associations de producteurs des films) nella lista di festival competitivi generalisti (questa li-sta accredita le manifestazioni che per capacità organizzative e prestigio interna-zionale si distinguono dalle altre).

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The Story of the Edinburgh Festival,3 che ne ricostruisce le vicende dalla fondazione fino al 1975. Un contributo da cui non si può prescindere poiché Bruce, attraverso un’accurata ricostruzione cronologica, passa in rassegna i principali protagonisti delle arti performative ospitati a Edimburgo durante i decenni; il suo lavo-ro, che tiene presente le molteplici sfaccettature del Festival, è di-viso in aree tematiche ben delineate, che abbracciano, nell’ordine: la musica sinfonica presso l’Usher Hall, la musica da camera, i grandi solisti, l’opera lirica e infine il teatro; tre capitoli sono poi dedicati a manifestazioni in fin dei conti esterne al Festival vero e proprio, come le mostre artistiche, il già citato Film Festival e l’Edinburgh Military Tattoo, ovvero la parata militare che si svol-ge tra agosto e settembre sulla spianata davanti al castello. Nell’impossibilità di ricostruire per esteso le vicende dell’EIF –come del resto ha già fatto in maniera più che esaustiva Bruce – in questo contributo ci si propone di attingere suggestioni e fare nostre alcune considerazioni. Origini del Festival La prima idea di costituire un nuovo festival di arte performative, come ricorda Harvey Wood e riporta accuratamente Bruce, av- 3 G. Bruce, Festival in the North: The Story of the Edinburgh Festival, London, Hale,

1975. Si veda anche I. Crawford, A brief history of the Edinburgh Festival, Edin-burgh, EIFS, 1980, che tuttavia poco aggiunge al già accurato volume di Bruce.

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venne nel 1944 presso un ristorante di Hanover Square, Londra. Qui il rappresentante del British Council incontra Rudolf Bing, General Manager del Glyndebourne Opera 4 e futuro primo diret-tore della manifestazione scozzese:

The Edinburgh International Festival of Music and Drama was first discussed over a lunch table in a restaurant in Hanover Square, Lon-don, towards the end of 1944. Rudolf Bing, convinced that musical and operatic festivals on anything like pre-war scale were unlikely to be held in any of shattered and impoverished centres for many years to come, was anxious to consider and investigate the possibility of staging such a Festival somewhere in the United Kingdom in the summer of 1946. He was convinced and he convinced my colleagues and myself that such an enterprise, successfully conducted, might at this moment of European time, be of more the temporary signifi-cance and might establish in Britain a centre of world resort for lov-ers of music, drama, opera, ballet and the graphic arts.5

4 Il Glyndebourne Opera è un festival di opera lirica che si tiene annualmente dal

1934 a Lewes nel East Sussex, presso il palazzo di Glyndebourne. 5 H. Harvey Wood, in Bruce, Festival in the North cit., p. 18: “L’Edinburgh Inter-

national Festival of Music and Drama fu discusso per la prima volta attorno un tavolo di un ristorante a Hanover Square, Londra, verso la fine del 1944. Rudolf Bing, convinto che festival musicali o operistici tenutisi su larga scala nel perio-do pre-bellico non fossero adatti a essere riproposti in un qualsiasi centro scon-volto o impoverito per molti anni a seguire, era ansioso di prendere in conside-razione e investigare la possibilità di mettere in piedi un Festival da qualche par-te nel Regno Unito per l’estate del 1946. Era convinto e convinse i miei colleghi e me che un’impresa tale, condotta con successo, avrebbe, in quel momento della storia europea, avuto più che un significato temporaneo e stabilito in Gran Bretagna un centro per gli amanti di musica, teatro, opera, balletto e arti grafi-che”. Le traduzioni sono a cura di chi scrive.

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Le parole di Wood e Bing appaiono in tutta la loro programmati-cità: si rende necessario trovare un riferimento già esistente, una manifestazione spettacolare che funga da modello alle intenzioni dei due; viene prontamente individuata Salisburgo e il suo festival operistico. Si leggano le parole di Wood:

Certain preconditions were obviously required of such a centre. It should be a town of reasonable size, capable of absorbing and enter-taining anything between 50,000 and 150,000 visitors over a three weeks to a month. It should, like Salzburg, have considerable scenic and picturesque appeal and it should be set in a space of adequate staging of a programme of an ambitious and varied character. Above all it should be a city likely to embrace the opportunity and willing to make the festival a major preoccupation not only in the City Cham-bers but in the heart and home of every citizen, however modest. Greatly daring but not without confidence I recommended Edin-burgh as the centre and promised to make preliminary investigations.6

Come sede della nuova manifestazione viene scelta la capitale scozzese, nonostante il non poco scetticismo da parte di alcuni 6 Ibidem : “Certe condizioni preliminari erano ovviamente richieste a un tale cen-

tro. Avrebbe dovuto essere una città di una grandezza ragionevole, capace di entusiasmare e divertire qualcosa tra i 50.000 e i 150.000 visitatori per oltre tre settimane fino a un mese. Avrebbe dovuto avere, come Salisburgo, un conside-revole fascino scenografico e pittoresco e messo in piedi su un palcoscenico a-deguato a un programma di carattere ambizioso e variegato. Soprattutto avreb-be dovuto essere una città capace di cogliere l’opportunità e con la volontà di fare del Festival una preoccupazione maggiore non solo in seno al Consiglio Comunale, ma anche nel cuore e nella casa di ogni cittadino, seppure modesto. Con grande audacia ma non senza fiducia proposi Edimburgo come centro e promisi di fare delle indagini preliminari”.

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membri della stampa a causa del carattere proprio dei cittadini di Edimburgo, visti come dour, niggardly e suspicious riguardo la mora-lità degli artisti, nonché estranei a ogni forma di impresa culturale. Rischi, questi, di cui sono ben consapevoli i promotori, i quali tuttavia non se ne dichiarano spaventati, anche ammettendo di essere ben consci delle difficoltà più prettamente economiche. Il 7 agosto 1947 Wood, poco prima dell’inaugurazione del Festival, pubblica un articolo su “The Scotsman”:

The promoters of the Festival idea have never been blind to the eco-nomic implications of the scheme. If the first Festival fails, it will mean not only the failure of an artistic venture, but the loss of con-siderable sums invested in it and the prosperity which such an enter-prise successfully conducted might have brought to Edinburgh. Is, as now seem certain, the Festival succeeds, Edinburgh will not only have scored an artistic triumph but laid the foundations of what may well become a major industry, a new and exciting source of income. At time when we need as never before to attract visitors ad foreign capital to this country it would be as senseless to disguise this aspect of the Festival as it childish to attack it.7

7 H. Harvey Wood, in “The Scotsman”, 7 Aug. 1947, via Bruce, Festival in the

North cit., p. 17: “I promotori dell’idea del Festival non sono mai stati ciechi verso le implicazioni economiche del progetto. Se il Festival fallisce, significa non solo il fallimento di un’impresa artistica, ma la perdita di considerevoli somme investite in essa e la prosperità che un impresa di tal genere, condotta con successo, avrebbe potuto dare a Edimburgo. Se il Festival, come ora sem-bra certo, ha successo, Edimburgo non solo conseguirà un trionfo artistico ma preparerebbe le basi di qualcosa che diverrebbe un’attività primaria, una nuova e eccitante fonte di guadagno. Nel momento in cui, mai come allora, avevamo

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Contrariamente alle attese tuttavia la scelta di Edimburgo si rivela quanto mai felice, come ricorda Denis Calandra che considera la città un luogo affascinante e perfetto per realizzare un festival, con il castello del XVI secolo, la collina rocciosa e il Royal Mile:

One of the reasons Edinburgh was chosen as the site of the original festival, aside from its natural beauty and the fact that it had not been severely damaged in the war, was the availability of theatres, halls, and galleries. The festival uses an average of ten main perform-ance spaces, mostly traditional in form, and three or four of which are usually dedicated to theatrical performances: the Lyceum Thea-tre, the smaller Lyceum Studio, and the Church of Scotland Assem-bly Hall. Occasionally, when the Official Festival’s careful policy of “guaranteeing artistic excellence” hasn’t interfered, performance groups using less orthodox spaces have occupied converted ware-houses (Grotowski and Gregory), Ice Rinks (Teatro Libero and Theatre Vicinal), and in the Vicinal’s case even the streets, though that was not on the official program.8

bisogno di attrarre visitatori e capitale straniero in questo paese, sarebbe sia in-sensato mascherare questo aspetto del Festival che infantile attaccarlo”.

8 D. Calandra, Experimental Performance at the Edinburgh Festival, in “The Drama Review” vol. 17 nr. 4 (International Festival Issue, Dec. 1973), p. 54: “Una delle ragioni per cui Edimburgo fu scelta come sede del festival originale, oltre alla sua naturale bellezza e al fatto che non fosse stata danneggiata in modo grave dalla guerra, fu la disponibilità di teatri, halls e gallerie. Il festival usa una media di dieci spazi principali per le rappresentazioni, per la maggior parte tradizionali nella forma, e tre o quattro tra questi sono normalmente dedicati agli spettacoli teatrali: il Lyceum Theatre, il più piccolo Lyceum Studio, la Church of Scotland Assembly Hall. Occasionalmente, quando non v’è stata interefernza da parte dell’Official Festival e della sua cauta politica di garantire l’eccellenza artistica, gruppi di artisti che usano luoghi meno ortodossi hanno occupato magazzini

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Il Festival si rivela un successo, come testimoniano i resoconti di Desmond Shawe-Tylor sul “New Statement” e Richard Capell sul “Daily Telegraph”, entrambi riportati da Bruce,9 e soprattutto la recensione del noto romanziere Edward M. Forster, il quale scris-se: “The atmosphere is perfect. One has the sense of a great and ancient city which cares about the arts”.10 Ha inizio così l’affermazione della manifestazione nel corso del tempo: puntan-do sempre a offrire spettacoli di eccellenza, l’EIF vedrà sui propri palchi i migliori esponenti delle arti performative provenienti da tutto il mondo. Il Festival si sviluppa prevalentemente nelle seguenti locations: U-sher Hall, Edinburgh Festival Theatre, The Edinburgh Playhouse, Royal Lyceum Theatre, The Queen’s Hall e The Hub, che dal 1999 svolge anche il ruolo di sede organizzativa permanente.

coperti (Grotowski e Gregory), gli Ice Rinks (Teatro Libero e Teatro Vicinal), e, nel caso del Vicinal, anche le strade, sebbene non previsto nel programma uffi-ciale”.

9 Bruce, Festival in the North cit., pp. 20-21. Si vedano anche, relativamente alle pri-me due edizioni, le recensioni di C. Stuart, The Edinburgh Festival, in “The Musical Times” vol. 88 nr. 1256 (Oct. 1947), p. 327; W.R. Anderson, The Edin-burgh Festival, ivi vol. 89 nr. 1267 (Sep. 1948), pp. 282-283.

10 Bruce, Festival in the North cit., p. 23: “L’atmosfera è perfetta. Si ha la sensazione di una grande e antica città che si preoccupa delle arti”.

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Gli italiani al Festival Nei primi decenni di attività il Festival ha dato prova di grande sagacia produttiva, realizzando messe in scena da Thomas S. Eliot con The Cocktail Party, 1949, The Confidential Clerk, 1953, e The El-der Statesman, 1958; Tyrone Guthrie, per conto dell’EIF, è respon-sabile di Sixteenth Century Satire of the Three Estates di David Lin-dsay, presentato alla Church of Scotland Assembly Hall in tre di-verse occasioni (1948, 1959 e 1973); nel 1951 l’EIF ha prodotto The Winter’s Tale di Peter Brook.11 Senza soffermarci su ogni sin-golo anno della manifestazione e nell’impossibilità di poter forni-re un resoconto esaustivo sulle migliaia di artisti che hanno parte-cipato all’EIF nel corso di più di sessant’anni di attività, conviene concentrarci esclusivamente sui più importanti spettacoli italiani presentati alla manifestazione. Dai resoconti di Bruce, apprendiamo che nell’edizione 1950 il co-ro e l’orchestra del Teatro La Scala di Milano – diretti da Victor de Sabata – presentano il Requiem di Verdi, presso l’Usher Hall. Scrive Bruce riguardo il successo dell’esecuzione:

Perhaps I am guilty of a rationalization when at the end of the sec-ond performance given on the last evening of the Festival, dazed by the dramatic splendours of the work, interpreted with astonishing power, resilience and sensitiveness by that great chorus, this listener

11 Cfr. Calandra, Experimental Performance at the Edinburgh Festival cit., pp. 54-55.

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concluded that the native Italian only could give the full measure of the greatness of Verdi.12

Nel 1969 è la volta del Teatro Comunale di Firenze con un reper-torio trionfale che prevede, fra l’altro, la Maria Stuarda di Donizetti e Gianni Schicci di Puccini. Nel 1971, in coproduzione con l’Edinburgh Festival Opera, Claudio Abbado dirige La Cenerentola rossiniana con la London Symphony Orchestra e i solisti del Mag-gio Musicale Fiorentino: Renato Capecchi nella parte di Dandini, Teresa Berganza come Angelina, Luigi Alva nei panni di Don Ra-miro e, infine, Paolo Montarsolo in quelli di Don Magnifico. Per quanto riguarda il teatro di prosa, partecipano al Festival una serei di produzioni italiane di assoluto rilievo. La prima in ordine di tempo è la doppia performance del Piccolo Teatro di Milano, nel 1956, sotto la direzione di Giorgio Strehler, che presenta l’Arlec-chino servitore di due padroni di Carlo Goldoni e Questa sera si recita a soggetto. Scrive Bruce a proposito del primo spettacolo:

Just how important a great theatrical tradition can be was demon-strated at the Lyceum in the two production of The Piccolo Teatro, Milan. The brilliant display of commedia dell’arte by the company in

12 Bruce, Festival in the North cit., p. 40: “Forse sono colpevole di una razionalizza-

zione, quando, alla fine della seconda rappresentazione data l’ultima sera del Fe-stival, stordito dai drammatici splendori dell’opera, interpretata con straordina-ria potenza, resistenza e sensibilità da quel grande coro, questo ascoltatore ha concluso che solo chi è italiano di nascita può dare piena misura della grandezza di Verdi”.

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Goldoni’s Arlecchino: The Servant of Two Masters gave a sense of happy improvisation, within the context of expertly calculated moves, ges-tures and characterisation. When clowning becomes poetry and the poetry runs to fun, then the spirit of Ariel and Puck have mingled. Such was the performance of Marcello Moretti as Arlecchino; Gior-gio Strehler directed the play, so that it ran and floated.13

E ancora, su Questa sera si recita a soggetto:

His direction was equally true in the other Italian contribution, Pi-randello’s Questa sera si recita a soggetto. “Tonight We Improvise”, stated Pirandello, and his implication was there, and not only on the stage. He was concerned with the question – Where lay reality? He invited the audience to enter into this question with him, seriously and with concern. The play was as introvert as Arlecchino extrovert.14

Un giudizio, questo di Bruce, che è anche un riconoscimento al teatro italiano in genere, capace di esempi di virtuosismo nell’ope-ra come anche nel teatro di prosa. 13 Ivi, p. 143: “Quanto può essere importante una grande tradizione teatrale fu di-

mostrato al Lyceum nelle due produzioni del Piccolo Teatro di Milano. La bril-lante dimostrazione di commedia dell’arte da parte della compagnia in Arlecchino servi-tore di due padroni di Goldoni diede un senso di felice improvvisazione, in un con-testo di mosse, gesti e caratterizzazione abilmente calcolati. Quando buffoneria diventa poesia e la poesia passa al divertimento, allora lo spirito di Ariel e Puck si sono mescolati. Tale fu l’interpretazione di Marcello Moretti come Arlecchino; Giorgio Strehler diresse lo spettacolo così che esso correva e fluttuava”.

14 Ibidem : “La sua regia fu egualmente vera nell’altro contributo italiano, Questa sera si recita a soggetto di Pirandello. ‘Stasera improvvisiamo’, dichiarava Pirandello, e la sua implicazione era lì, e non solo sul palcoscenico. Era preoccupato dalla domanda: ‘Dove si trova la realtà?’. Invitava dunque il pubblico a entrare in questo dilemma con lui, seriamente e con preoccupazione. Il testo fu tanto in-troverso quanto Arlecchino estroverso”.

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Altra produzione di rilievo è, nel 1970, l’Orlando furioso nella ridu-zione di Edoardo Sanguineti, regia di Luca Ronconi, già presenta-to l’anno prima al Festival dei Due Mondi di Spoleto. Uno spet-tacolo che, a detta di Bruce, è un’esperienza del tutto nuova nel mondo del teatro, come si evince dall’entusiasmo del resoconto:

Confusion seemed to abound as the story was told from several platforms, and though caught up in the adventures, bullied and pleaded with by heroines and witches, and chivvied by friars and magicians, yet as the show proceeded one became aware of a scheme of things that sustained the glittering, imaginative display. It was Festivalia, Fiesta, Festa – all in one. I doubted if we would ever see the like again.15

In tempi più recenti, al di là del resoconto di Bruce, risulta inte-ressante la presenza nel programma del Festival di un testo della tradizione napoletana come Miseria e nobiltà di Eduardo Scarpetta nella versione prodotta dalla compagnia del nipote Mario, presen-tata al Royal Lyceum Theatre nel 1988. Come ci dice il program-ma di sala, Miseria e nobiltà (ribattezzata in inglese Rich man, poor man…) rappresenta la commedia per eccellenza della classe bor-ghese e il punto di maturità artistica di Eduardo Scarpetta auto- 15 Ivi, p. 159: “La confusione sembrava abbondare per come la storia veniva rac-

contata da diverse piattaforme, e sebbene coinvolti in avventure, prepotenze e suppliche di eroine e streghe, e litanie di frati e maghi, eppure come lo spettaco-lo andava avanti, si diventava consapevoli di una serie di cose che sostenevano la brillante e immaginifica rappresentazione. Fu Festivalia, Fiesta, Festa – tutto in uno. Dubitavo avremmo potuto vedere ancora qualcosa di simile”.

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re.16 Un arrivo, questo di Scarpetta sui palcoscenici britannici, al-quanto tardivo rispetto a quanto accaduto ai suoi figli Eduardo e Peppino De Filippo. Quest’ultimo, ancora prima del fratello, fa il suo debutto in Gran Bretagna sul palcoscenico londinese dell’Al-dwych Theatre, in occasione dell’edizione 1964 della World Thea-tre Season 17 curata da Peter Daubeny. Peppino, reduce dal successo parigino di Metamorfosi di un suonatore ambulante al Festival internazionale di teatro, viene invitato da Daubeny a ripetere la sua performance – ribattezzata Metamorphoses of a Wandering Minstrel – a Londra. Una messa in scena che divide la critica tra perplessi ed entusiasti: tra i secondi il critico del “Ti-mes” Irving Wardle, che vede nella commedia – se non un esem-pio di grandezza drammaturgica – quanto meno un eccezionale virtuosismo attoriale e una impressionante prova di tempistica, di timing tra i vari membri della compagnia.18

16 V. Yulten, Scarpetta in the Teatro Neapolitano, in Miseria e Nobiltà (programma di

sala), Edinburgh International Festival, Royal Lyceum Theatre, 25-28 Aug. 1988, pp. 16-17.

17 La World Theatre Season era una manifestazione curata da Peter Daubeny che prevedeva la messa in scena di opere straniere, prodotte in lingua originale da compagnie estere. La manifestazione ha visto la sua prima edizione nel 1964 e l’ultima nel 1975. Cfr. P. Daubeny, My World of Theatre, London, Cape, 1971.

18 I. Wardle, The Metamorphoses of a Wandering Minstrel, in “Times”, 2 May 1973, p. 12 (articolo in occasione della seconda edizione dello spettacolo di e con Peppi-no De Filippo alla World Theatre Season). Giudizio analogamente positivo, in occasione della messa in scena del 1963, si può trovare in Daubeny, My World of Theatre cit., p. 212.

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Eduardo De Filippo, se si eccettua un Questi fantasmi! andato in scena con poca risonanza a Oxford nel 1958, fa il suo debutto uf-ficiale sui palchi britannici nel 1970-71 con Napoli Milionaria, sem-pre in occasione della World Theatre Season all’Aldwych. Con Grand Magic, versione in inglese de La Grande Magia tradotta da Carlo Ardito,19 sarà protagonista in Scozia, nello stesso 1988, di due rappresentazioni, prodotte dalla Royal Scottish Academy for Music and Drama: la prima al Mayfest di Glasgow;20 la seconda, quasi ad affiancare Scarpetta, all’Edinburgh International Festival.

Alcuni dati economici sul Festival in tempi recenti Dalla lettura delle Annual Reviews che l’organizzazione del Festival pubblica sistematicamente alla fine di ogni anno dal 1999, pos-siamo ricavare alcuni dati interessanti.21 In primo luogo emerge quale sia la mission che l’EIF si prefigge. Nell’Annual Review del 2003 si legge come gli obiettivi dell’Edin- 19 Carlo Ardito è tra i maggiori traduttori inglesi di opera eduardiane. Ha adattato

le seguenti opere: Saturday, Sunday, Monday ; The Local Authorithy ; Grand Magic ; Filumena Marturano ; Sik Sik ; The Living Dangerously.

20 Il Glasgow Mayfest è nato nel 1983: simile all’Edinburgh International Festival, nell’ottica degli organizzatori il Mayfest doveva essere il nucleo dei “Glasgow Festivals”, serie di manifestazioni, la maggior parte delle quali ancora in attività, che coprono l’arco dell’intero anno e che competono con quelli edimburghesi. L’ultima edizione del Mayfest, tuttavia, si è avuta nel 1997.

21 Si sono analizzati gli Annual Reviews dal 1999 al 2008, d’ora in poi citati come AR. seguito dall’anno.

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burgh International Festival siano identificabili in cinque punti chiave:

1) promuovere e incoraggiare le arti al più alto livello possibile; 2) presentare la cultura internazionale al pubblico scozzese e la cultura

scozzese al pubblico internazionale; 3) organizzare un programma di eventi in maniera innovativa, differen-

ziandosi dalle altre organizzazioni; 4) offrire opportunità a qualsiasi tipo di pubblico di godere dell’evento

artistico anno dopo anno; 5) promuovere la città di Edimburgo e la Scozia da un punto di vista

culturale, educativo ed economico.22

Questi punti vengono ampliati nell’Annual Review del 2006 ag-giungendovi la collaborazione con altre manifestazioni dello stes-so settore e un’adeguata copertura delle spese. L’organizzazione fornisce tale definizione della propria mission: “To be the most ex-citing, innovative and accessible Festival of the performing arts in the world, and thus the cultural, educational an economic well-being of Edinburgh and Scotland”.23 Un obiettivo quindi che rende indivisibile il rapporto tra business ed eccellenza artistico-culturale della programmazione, come notava già Calandra.24 Il Festival per poter agire necessita annualmente di un budget di 22 AR. 2003, p. I. 23 AR. 2006, p. 1: “Essere il più eccitante, innovativo e accessibile Festival di arti

performative nel mondo, e anche un fattore di benessere culturale, educativo e economico di Edimburgo e della Scozia”.

24 Cfr. Calandra, Experimental Performance at the Edinburgh Festival cit., p. 54.

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circa sette milioni di sterline: in linea di massima circa il 65% pro-viene dalla vendita dei biglietti (27-28%), da sponsorizzazioni e donazioni (34-35%) e da altre forme di partecipazione privata (4%); il 35% dei fondi è invece di provenienza pubblica, da divi-dere tra il City of Edinburgh Council (20%) e lo Scottish Arts Council (15%). Di questi fondi la maggior parte – circa il 77 % – viene speso nei costi di presentazione e di pagamento degli artisti; il 20% suddivi-so in parti uguali tra marketing e amministrazione; solo il 3%, infi-ne, destinato alle campagne di fundraising. Negli ultimi dieci anni il Festival ha ospitato 160-180 rappresenta-zioni con 2.000 artisti, richiamando un pubblico che varia dalle 380.000 alle 400.000 unità, con entrate per vendite dei biglietti at-torno ai 2 milioni e mezzo di sterline. Il pubblico proviene per la maggior parte dalla zona di Edimburgo e del Lothian (43%), con presenza di altri spettatori provenienti dal resto della Scozia, della Gran Bretagna o dall’estero (20%). Lo spettatore-tipo è di età superiore alla cinquantina. Secondo i dati raccolti di anno in anno dall’organizzazione del Festival, risul-ta che si tratta prevalentemente di un pubblico fidelizzato: almeno il 50% degli spettatori ha già assistito alla manifestazione per più di nove volte.

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L’altro festival teatrale: l’Edinburgh Fringe. Nello stesso anno di nascita dell’“ufficiale” Edinburgh Interna-tional Festival of Music and Drama, fa il suo esordio anche l’E-dinburgh Fringe, pensato come manifestazione alternativa al pro-gramma regolare. Come il gemello EIF, l’Edinburgh Fringe è cre-sciuto in maniera esponenziale nel corso dei decenni, fino a dive-nire la più grande kermesse mondiale della sua tipologia, con il re-cord – stabilito nel 2007 – di circa 35.000 artisti per 2.000 spetta-coli in più di duecento locations, con un totale di biglietti venuti per un milione e mezzo di sterline. Come notano David Graver e Loren Kruger, “the official Festival and the Fringe offered two quite different methods of drawing together the diverse local colours of the individual productions”.25 A differenza dell’EIF, l’Edinburgh Fringe – come gli altri festival della stessa tipologia – è solo un festival di ospitalità, un prestigio-so palcoscenico internazionale, o, come lo definiscono gli stessi organizzatori, un “open arts festival” in cui ognuno può fare la propria performance. Nessuno degli spettacoli presentati è produ-zione dell’Edinburgh Fringe, che non è neanche direttamente re-sponsabile del fitto del luogo di rappresentazione. Non prevede 25 D. Graver - L. Kruger, Locating Theatre: Regionalism and Interculturalism at Edin-

burgh, in “Performing Arts Journal” vol. 15 nr. 2 (May 1993), p. 71: “Il Festival ufficiale e il Fringe offrivano due metodi abbastanza differenti di dipingere in-sieme i diversi colori locali delle produzioni individuali”.

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compagnie direttamente chiamate in qualità di ospiti, ma sono gli stessi artisti a richiedere al Fringe Office di essere inseriti nella kermesse, dovendo provvedere a tutti gli aspetti organizzativi.

Un possibile parallelo italiano: il Ravello Festival Difficilmente un festival come quello di Edimburgo può trovare paralleli, sia dal punto di vista del prestigio ormai raggiunto negli anni, sia per quanto riguarda la specificità dell’essere un festival di arti performative in senso lato. Nel panorama italiano, viene immediatamente da pensare al nuo-vo Teatro Festival Italia, che – dopo un bando pubblico di con-corso – ha sede a Napoli,26 in particolar modo dopo l’edizione 2009, quando alla programmazione ufficiale è stato affiancato un festival fringe, l’E45. In realtà tra EIF e Teatro Festival Italia non so-no molti i punti di contatto, essendo la manifestazione parteno-pea indirizzata prevalentemente al teatro in prosa e non aperto al-la musica classica e all’opera lirica. Inoltre il parallelo diventa in-sostenibile se si prende in considerazione l’anzianità, la popolarità e l’autorevolezza. In questo senso si dovrebbe guardare piuttosto all’altro festival 26 Sulle vicende che hanno portato alla fondazione del Teatro Festival Italia Italia

si legga l’informato resoconto di F. Gambarini, Il teatro e le sue sfide. A Napoli il primo Teatro Festival Italia, in “Stratagemmi” 2 (giu. 2007), pp. 183-189.

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europeo per eccellenza nell’ambito del teatro e delle arti perfor-mative, ovvero Avignone: nato nel 1947, per storia e prestigio può ben competere con l’EIF.27 Guardando nuovamente all’Italia, un possibile parallelo può rin-tracciarsi piuttosto nel Ravello Festival, anch’esso appuntamento tra i più prestigiosi d’Europa, che si tiene nella cittadina omonima sulla costiera amalfitana, a pochi chilometri da Salerno. Il Ravello Festival è a tutti gli effetti il più antico festival italiano

in attività, secondo solo al Maggio Musicale Fiorentino nato nel

1933 e più anziano della manifestazione campana di venti anni

esatti. La kermesse di Ravello nasce da un’intuizione di Girolamo

Bottiglieri e Paolo Caruso, che attuarono un progetto di valoriz-

zazione del territorio come “Città della Musica”, progetto che si

faceva forte del soggiorno di Richard Wagner a Villa Rufolo nel

1880. Le prime esibizioni musicali dell’orchestra del Teatro San

Carlo, con repertorio prevalentemente wagneriano, si hanno negli

anni ’30, ma solo nel 1953 Paolo Caruso, supportato dall’Ente 27 Sul Festival di Avignone si vedano: E. Ethis, Avignon, le public réinventé. Le Festival

sous le regard des sciences sociales, Paris, La documentation française, 2002; Le cas Avignon 2005, coordonné par G. Banu et B. Tackels, Montpellier, L’Entretemps, 2006; E. Loyer - A. de Baecque, Histoire du festival d’Avignon, Paris, Gallimard, 2007; E. Ethis - J.L. Fabiani - D. Malinas, Avignon ou le public participant. Une socio-logie du spectateur réinventé, Montpellier, L’Entretemps, 2008 ; J.L. Fabiani, L’Éducation populaire et le théâtre - Le public d’Avignon en action, Grenoble, Presses universitaires de Grenoble, 2008; D. Malinas, Portrait des festivaliers d’Avignon: transmettre une fois pour toujours, ivi, 2008

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provinciale del turismo di Salerno – di cui Bottiglieri era respon-

sabile, – riuscì a creare un festival vero e proprio, in occasione del

settantesimo anniversario della morte di Wagner. Nacquero in tal

modo i “Concerti wagneriani nel giardino di Klingsor”: due esibi-

zioni dell’orchestra del Teatro San Carlo diretta da Hermann

Scherchen e William Steinberg, nel palcoscenico del giardino di

Klingsor, a strapiombo sul mare. L’evoluzione che porta la manifestazione di Ravello ad avvicinarsi per intenti a quella di Edimburgo avviene con la sua trasforma-zione nell’odierno Ravello Festival: la Fondazione Ravello, che presiede la kermesse dal 2003, sceglie ogni anno un tema che si svi-luppa non solo in musica, ma attraverso un programma che ab-braccia differenti espressioni artistiche. Anche la definizione del tema è un riferimento wagneriano, essendo esso chiamato con il termine di Leitmotiv.28 La tematica scelta si sviluppa, così, in un percorso che comprende diverse “sezioni”, così come chiamate dagli stessi organizzatori: la prima e principale sezione è quella di musica sinfonica, che prende il nome di “Richard Wagner”; poi una sezione riguardante il design e le tendenze letterarie, dedicata a David H. Lawrence. Da Greta Garbo, che a Ravello passò l’estate del 1938, prende il nome la se- 28 Questi i temi nel corso degli anni: Il Potere, 2003; Il Sogno, 2004; Il Contrasto,

2005; Il Gioco, 2006; La Passione, 2007; La Diversità, 2008; Il Coraggio, 2009.

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zione “Cinemusic”, mentre le sezioni “Edvard Grieg” e “Maurits Cornelis Escher” sono rispettivamente dedicate alla musica da ca-mera e alle arti visive. André Gide fa da nume tutelare alla forma-zione, Edward Morgan Foster – già incontrato tra i primi entusia-sti recensori a Edimburgo – alle “passeggiate musicali”, e infine a Boccaccio è nominata la sezione dei progetti speciali. Un diversificazione ben precisa, quindi, per un festival che si svi-luppa da fine aprile a fine settembre. Nonostante non ci sia una sezione dedicata specificatamente al teatro, che è pure presente, ci sembra tuttavia che il Ravello Festival rappresenti la manifesta-zione italiana che maggiormente si avvicina – come concezione – all’Edinburgh International Festival. Ovviamente, teniamo a ripe-terlo, è un parallelo solo ‘concettuale’ e non numerico, essendo impensabile un confronto per budget a disposizione 29 e per nume-ro di visitatori, che a Ravello si attestano intorno alle 80.000 pre-senze per l’anno 2008.30

29 In questo caso le cifre accomunano piuttosto l’Edinburgh Film Festival e il Tea-

tro Festival Italia. 30 Per una panoramica economica del Festival fino al 1999 si rimanda a P. Atella -

S. Carbone, Stima dei benefici economici di un evento culturale: il festival di Ravello, Sa-lerno, Sichelgaita - Istituto di studi economici e sociali, 1999.