VINCERE! Passione, potere egemonico e censura della memoria.

16
VINCERE! Passione, potere egemonico e censura della memoria. Erminia Passannanti Saggio incluso in Un nuovo cinema politico italiano? a cura di William Hope Vol. 2, 2013 Vale citare in apertura il monito di George Orwell, nel saggio All Art is Propaganda (1941), con cui metteva in guardia artisti e scrittori contro il rischio di immolare la propria integrità artistica, etica ed intellettuale all’altare di un credo politico. Orwell indicava la necessità di riflettere sulle circostanze esterne all’opera, ai fatti, alle mentalità, alle realtà politico-culturali e sociali in cui una data creazione artistica è prodotta al fine di ricavarne, ma solo per allontanarsene, il reticolato di influenze che l’hanno ispirata, condizionata e contaminata. La priorità, però, va all’autonomia dell’arte da ogni influenza condizionante: Just as many writers about 1930 had discovered that you cannot really be detached from contemporary events, so many writers about 1939 were discovering that you cannot really sacrifice your intellectual integrity for the sake of a political creed — or at least you cannot do so and remain a writer. Aesthetic scrupulousness is not enough, but political rectitude is not enough either. (George Orwell, The Frontiers of Art and Propaganda, Listener, BBC Overseas Service 30 April 1941) Proprio come molti scrittori intorno al 1930 avevano capito che non si può davvero essere disgiunti dagli eventi contemporanei, altrettanti scrittori capirono intorno al 1939 che non si può sacrificare la propria integrità intellettuale per un qualsiasi credo politico - o almeno non è possibile farlo e rimanere, al contempo, scrittore. L’estetica non è sufficiente, ma nemmeno lo è la correttezza politica. (G. Orwell, 30 aprile 1941) Il suggerimento poneva la questione sempre scottante dell’arte messa al servizio delle lobbies del potere costituito, che chiedono all’arte di contribuire a costruire il consenso, partecipando così alla realizzazione del dominio.. E in tale direzione procederemo nella nostra analisi di Vincere!, il film che Marco Bellocchio ha girato nel 2009. In Teorie dei film Robert Stam, ha fatto notare come “un difetto” dei teorici del cinema sia quello di rimanere legati ad osservazioni che attengono ai caratteri nazionali di un dato filone, o autore, producendo analisi di film spesso ristrette a determinati ambiti culturali ed ideologici. (Stam 2005) Questo aspetto è innegabile, anche in relazione al fatto che un prodotto cinematografico è filtrato dall’azione sinergica dei media di un dato paese, per cui un film viene a collocarsi in simmetria con altre opere e realtà, come parte di una totalità nazionale. Premesso il rischio mai riducibile dei media di diventare veicolo di propaganda politica per la loro capacità di raggiungere un numero enorme di persone in tempo minimo, va ricordato che l’industria cinematografica italiana incorse in questa sorte già alle sue origini, quando il ruolo del cinema nazionale di intrattenere ed informare il popolo fu asservito agli imperativi del regime fascista che lo autorizzava e finanziava a livello statale. Un’analogia viene spontanea con i media di oggi asserviti agli imperativi delle lobbies capitalistiche che li detengono e controllano.

Transcript of VINCERE! Passione, potere egemonico e censura della memoria.

VINCERE!

Passione, potere egemonico e censura della memoria.

Erminia Passannanti

Saggio incluso in Un nuovo cinema politico italiano?

a cura di William Hope Vol. 2, 2013

Vale citare in apertura il monito di George Orwell, nel saggio All Art is Propaganda (1941), con cui metteva in guardia artisti e scrittori contro il rischio di immolare la propria integrità artistica, etica ed intellettuale all’altare di un credo politico. Orwell indicava la necessità di riflettere sulle circostanze esterne all’opera, ai fatti, alle mentalità, alle realtà politico-culturali e sociali in cui una data creazione artistica è prodotta al fine di ricavarne, ma solo per allontanarsene, il reticolato di influenze che l’hanno ispirata, condizionata e contaminata. La priorità, però, va all’autonomia dell’arte da ogni influenza condizionante:

Just as many writers about 1930 had discovered that you cannot really be detached from contemporary events, so many writers about 1939 were discovering that you cannot really sacrifice your intellectual integrity for the sake of a political creed — or at least you cannot do so and remain a writer. Aesthetic scrupulousness is not enough, but political rectitude is not enough either. (George Orwell, The Frontiers of Art and Propaganda, Listener, BBC Overseas Service 30 April 1941)

Proprio come molti scrittori intorno al 1930 avevano capito che non si può davvero essere disgiunti dagli eventi contemporanei, altrettanti scrittori capirono intorno al 1939 che non si può sacrificare la propria integrità intellettuale per un qualsiasi credo politico - o almeno non è possibile farlo e rimanere, al contempo, scrittore. L’estetica non è sufficiente, ma nemmeno lo è la correttezza politica. (G. Orwell, 30 aprile 1941)

Il suggerimento poneva la questione sempre scottante dell’arte messa al servizio delle lobbies del

potere costituito, che chiedono all’arte di contribuire a costruire il consenso, partecipando così alla realizzazione del dominio.. E in tale direzione procederemo nella nostra analisi di Vincere!, il film che Marco Bellocchio ha girato nel 2009.

In Teorie dei film Robert Stam, ha fatto notare come “un difetto” dei teorici del cinema sia quello di rimanere legati ad osservazioni che attengono ai caratteri nazionali di un dato filone, o autore, producendo analisi di film spesso ristrette a determinati ambiti culturali ed ideologici. (Stam 2005) Questo aspetto è innegabile, anche in relazione al fatto che un prodotto cinematografico è filtrato dall’azione sinergica dei media di un dato paese, per cui un film viene a collocarsi in simmetria con altre opere e realtà, come parte di una totalità nazionale.

Premesso il rischio mai riducibile dei media di diventare veicolo di propaganda politica per la loro capacità di raggiungere un numero enorme di persone in tempo minimo, va ricordato che l’industria cinematografica italiana incorse in questa sorte già alle sue origini, quando il ruolo del cinema nazionale di intrattenere ed informare il popolo fu asservito agli imperativi del regime fascista che lo autorizzava e finanziava a livello statale. Un’analogia viene spontanea con i media di oggi asserviti agli imperativi delle lobbies capitalistiche che li detengono e controllano.

L’industria cinematografica, dunque, reagisce a tali costanti minacce di soggezione, demandando a registi impegnati il compito di difendere l’autonomia dell’arte. A questa categoria di intellettuali del cinema appartiene Belloccio, costantemente attento ai problemi politici e sociali del Paese, come dimostrano i suoi film Buongiorno notte (2003) sulle Brigate Rosse, Vincere! (2009) sulla dittatura fascista, La monaca di Bobbio (2011) sulla discriminazione contro le donne, e Bella Addormentata (2012) sull'eutanasia, che portano alla luce le verità occultate dal potere.1

Vanno ora individuate le ragioni della scelta del titolo del film di Bellocchio del 2009, che da solo testimonia, come segno verbale, la impresa di Mussolini, dalle origini del movimento fino alla caduta del regime. Questo titolo iconico traduce la parabola delle vicende storiche epocali che si succedettero negli anni, e che, nel film, certe tecniche della composizione narrativa seguono. “Vincere!…(e vinceremo)!” era appunto il motto della dichiarazione di guerra del 10 giugno 1940, con cui Mussolini motivò l’intervento dell’esercito italiano come alleato del Terzo Reich nel secondo conflitto mondiale. In linea con l’arrogante slogan, il film realizza una caratterizzazione del leader fascista come un megalomane, che, muovendo da una sponda ideologica socialista, passa ad un programma di azione politica reazionaria ed assolutista, incentrato sulla propria ascesa al potere, perdendo così gradualmente di vista l’interesse della nazione e la sua sicurezza.

Dall’inizio del film fino alla scene conclusive, simboli del potere dittatoriale – bandiere, statue, loggiati, cannoni – esplicitano la prospettiva monumentale della costruzione del mito fascista, e indicano il modo in cui la sua avanzata fu favorita dallo spirito vitalistico di Mussolini, capace di mobilitare le masse verso l’orizzonte eroico di ispirazione nietzschiana del “vivere pericolosamente”. Il motto “Vincere!” inneggiava infatti a valori di forza dittatoriale, invece che alla sicurezza borghese, all’energia volitiva atea anziché all’umanesimo cattolico.

Come dicevo, gli sviluppi della trama filmica, collegati al soggetto storico, presentano la biografia di Mussolini contro lo sfondo di una vita nazionale che, ieri come oggi, consente alla corsa al potere di un singolo uomo, politicamente e moralmente spregiudicato, di avere la meglio sugli interessi della nazione. Gli eventi coprono un arco temporale compreso tra il 1914 e il 1945, che va della militanza antimonarchica di Mussolini come membro di rilievo del Partito Socialista e direttore dell’Avanti!, fino allo scoppio del secondo conflitto mondiale. Tra intreccio storico e fabula, la storia crea una cassa di una risonanza tra passato e presente, mentre sottintende gli esiti negativi del patto di reciproco vantaggio tra Stato e Chiesa, sigillato nel 1929 senza considerazione per il destino del popolo, schiacciato infine dai suoi esiti egemonici.

Il plot

Vincere – biografia semi-romanzata di Ida Dalser (Giovanna Mezzogiorno), delegittimata prima moglie del duce e di Benito Mussolini (Filippo Timi), fondatore del fascismo italiano – mentre traccia la storia del duce nella sua sfrenata scalata al potere, mostra l’incontro-scontro tra l’istinto femminile di Ida, che persegue un’unione e un pubblico riconoscimento “a tutti i costi”, e quello maschile di Benito, fatto di egoismo, opportunismo e volontà di dominio.

I due personaggi fortemente stereotipati suggeriscono un parallelo con la coppia Berlusconi-Lario e rimandano alla scelta di denuncia della Lario, che nel 2007, con una lettera a Repubblica, staccò il filo ad ogni complicità con il famigerato coniuge.2

1 Bellocchio è autore inoltre dei film In Nome del Padre (1971) e L'Ora di Religione (2002) in cui presenta da una prospettiva fortemente critica l’alleanza tra Chiesa cattolica romana e borghesia italiana conservatrice.

2 Veronica Berlusconi, "Mio marito mi deve pubbliche scuse", in Repubblica.it, 31 gennaio

In modo parallelo, il film evidenzia le tecniche istituzionali di soppressione della dissidenza civile e, attraverso la persecuzione di Ida, mostra come, in ogni epoca, chi sfida l’ira dei potenti sia braccato e ridotto al silenzio. Tali metodi, in Vincere! sono ricondotti, in più di una sequenza, alle pratiche dello squadrismo, impiegato da Mussolini per tenere sotto torchio i dissidenti con misure repressive di radicale censura.

La narrazione mette in scena in modo altamente problematico la relazione tra Benito e la giovane compagna di partito. Sequenze iniziali informano che la donna, disposta a tutto per legare a sé l’amante, gli offre una ingente somma di denaro, che ricava dalla vendita dei suoi beni, per finanziare l’iniziativa editoriale del Popolo d’Italia, fondato da Mussolini il 15 novembre 1914, all'indomani delle sue dimissioni dalla direzione de l’Avanti!. Mussolini assicura Ida che le restituirà il denaro preso in prestito e, come garanzia delle sue intenzioni, le fa intendere che è disposto a stabilire con lei un rapporto a lungo termine. Ida, rendendosi conto di essere incinta, chiede a Benito che la sposi. Il matrimonio è celebrato con un rito privato. La cerimonia del matrimonio contratto in chiesa dalla coppia è rappresentata come flashback, dunque non è dato sapere se si tratti di una verità storica o di una “ricostruzione” fantastica di Ida. Allo scoppio della prima guerra mondiale, Mussolini è chiamato a combattere al fronte e Ida perde ogni traccia dell’amato. Quando suo figlio nasce, Ida sceglie per lui il nome di Benito Albino. Nel frattempo, i giornali annunciano che Mussolini, tornato ferito, si è distinto per il suo eroismo. Ida si affretta a raggiungerlo, ma Benito, assistito da Rachele, la respinge, anche perché ha intanto sposato la giovane conterranea con rito civile nella cappella dell’ospedale di campo.

Nella prima e seconda parte del film, Mussolini è fisicamente partecipe allo svolgimento del racconto. Gradualmente quindi scompare per riemergere come presenza dittatoriale ed iconica, rievocativa del “Big Brother”, di Orwell. Ferita nella dignità, e folle di gelosia, Ida inizia a lottare per ottenere un riconoscimento sia come legittima moglie di Mussolini sia come madre di suo figlio. Mentre la trama decostruisce le condizioni storiche che videro la persecuzione dei dissidenti politici sotto il regime fascista, Ida diventa espressione della rivolta infeconda di una cittadina, privata man mano di tutti i suoi diritti.

Dichiaratasi nemica giurata di Mussolini pubblicamente, la libertà di Ida viene fatalmente compromessa: la donna è sorvegliata, catturata, e confinata a vita in un ospedale psichiatrico dove le è imposto di rinunciare alle sue rimostranze. La parabola stessa del destino della Delser come donna in carriera che perde il suo capitale per una passione insana, sintetizza l’astuzia, la corruzione e il trasformismo del duce. Alla disonestà di Mussolini come uomo, marito spergiuro, padre sciagurato, e debitore fraudolento, si allaccia il motivo del voltafaccia politico dello statista. Il film mette, in tal modo, in risalto l’elemento di ignobile doppio gioco che indusse il militante progressista Mussolini a muovere da una totale fiducia nel socialismo laico alle manovre di un autocrate interessato solo al mantenimento del potere. Coerentemente, Timi interpreta in modo magistrale come il giovane neo-liberale avanguardista, votato alla trasformazione rivoluzionaria della società italiana dalla sua tradizionale identificazione acritica con i codici morali imposti dalla monarchia e dalla Chiesa, passi ad assumere la posizione ventennale di dittatore senza scrupoli.

Anche Ida incarna, in qualche senso tragico, una serie di voltafaccia e cambiamenti: da imprenditrice borghese di idee progressiste, ella passa dall’essere una fervente sostenitrice del socialismo di Mussolini ad una sua avversaria, per una combinazione di risentimenti civili e privati. Sul piano iconico, Ida, tuttavia, si presenta con integrità eroica contro lo sfondo di una società patriarcale esaltata, ma succube, disposta, per apatia politica, ad assicurare il consenso acritico al regime.3 La successione degli avvenimenti che ne drammatizzano la statura si focalizza in 2007. “Questa linea di condotta incontra un unico limite, la mia dignità di donna che deve costituire anche un esempio per i propri figli, diverso in ragione della loro età e del loro sesso. “

3 Un’apatia quasi genetica, sottolineata da Piero Gobetti, in “Fascismo è stato”. (Rivoluzione

particolare sui metodi spietati dei servizi segreti del regime, adottati per occultare le richieste di legittimazione avanzate da Ida per se stessa e per suo figlio. Anche il piccolo Benito Albino è neutralizzato civilmente. Oltre a negargli la paternità, Mussolini lo fa rinchiudere in un collegio, dunque, appena è fuori nella società, come studente, lo fa arrestare e sottoporre a trattamento psichiatrico forzato. Qui ritorna l’argomento consueto nella cinematografia di Bellocchio che tratta i conflitti psicoanalitici e le tensioni tra padre e figlio, laddove, in Vincere!, diversamente che nel film In nome del padre, è il padre-padrone ad essere simbolicamente infanticida.

Nelle sequenze in cui la donna è tenuta sotto controllo dalla polizia di stato, dai medici psichiatrici e dalle suore collaborazioniste, Bellocchio mette in scena le tecniche coercitive inflitte ai civili dissidenti nelle strutture correttive dello stato – strutture che Bellocchio aveva messo all’indice nel film documentario Matti da slegare (1975-76). Notevole, all’interno del processo di iconizzazione della figura pubblica del duce, la rivolta di Benito Albino nella scena in cui il bambino rovescia con odio il busto di pietra dell’empio padre, sistemato nel corridoio del collegio religioso che lo sorveglia.

L’esposizione dei fatti storici in tre macro-fasi demarca il consolidarsi dell’iconografia fascista come la facciata nazionalpopolare con cui Mussolini pretendeva di rinnovare lo spirito del popolo italiano. Lo sviluppo della cronistoria è organico e lineare. La prima parte inizia a svolgersi partendo dal periodo prebellico dell'attivismo socialista di Mussolini, e si conclude con l’entrata in guerra dell’Italia nel primo conflitto mondiale; la seconda parte rappresenta l’escalation al potere governativo di Mussolini come primo ministro dello stato appena quarantenne e, quindi, duce, dopo la Marcia su Roma; la terza parte, che segna il dissolvimento dello stato monarchico liberale e il dominio del regime di Mussolini, presenta la persecuzione di Ida con scene che rimandano a soprusi e violenze, tra cui il rapimento e l’assassinio dell’antifascista Matteotti, il 10 giugno 1924.

Il tema della persecuzione della dissidenza civile, sistematicamente messa a tacere sotto il regime di Mussolini, suggerisce nessi con i conflitti attuali tra i cittadini dissidenti, ideologicamente progressisti, e le forze di violenza istituzionale, messe a punto dalla polizia di stato contro, ad esempio, i manifestanti del G8, o tradotte nelle torture dei detenuti del Bolzaneto. Attraverso la storia della sconfitta civile ed esistenziale di Ida, il film inoltre rimanda alla lotta disperatamente sterile della madre di Federico Aldrovandi, che ha visto la propria verità schiacciata sotto il peso delle forze di polizia serrate in un’ottusa reazione autodifensiva corporativista.

Circa a metà strada delle tre macrosequenze, la trama si focalizza sulla soppressione fascista della realtà sostenute da Ida. La sua personale memoria dei fatti viene mostrata come un errore da rimuovere con metodi coercitivi. Come in altri film, quali Nessuno o tutti e Matti da legare, il campo ideologico in cui si muove Ida è quello della ribelle da censurare. La donna vede le sue parole trasformarsi in menzogne ad opera dell’interpretazione che ne danno i garanti istituzionali della verità: psichiatri, poliziotti e membri del clero. Lo psichiatra, soprattutto, che la tiene sotto cura, volendo evitare che Ida subisca la museruola politica, cerca di convincerla ad un abiura delle sue “fabbricazioni mentali” per salvare se stessa e suo figlio. Bastano queste scene a sottolineare l’attacco antiautoritario di Vincere! al potere costituito, che rimanda al suo altro film, Marcia trionfale (1976).

Liberale, 1925) Combattere il fascismo doveva significare per l’Italia antifascista mettere in discussione la formazione culturale e religiosa della propria nazione: “Mussolini non è dunque nulla di nuovo: ma con Mussolini ci si offre la prova sperimentale dell’umanità, ci si attesta l’inesistenza di minoranze eroiche, la fine provvisoria delle eresie. Abbiamo astuzie sufficienti per prevedere che tra sei mesi molti si saranno stancati del duce: ma certe ore di ebbrezza valgono per confessione, e la palingenesi fascista ci ha attestato inesorabilmente l’impudenza della nostra impotenza. […] Né Mussolini né Vittorio Emanuele di Savoia hanno virtù di padroni, ma gli italiani hanno bene animo da schiavi.” (Godetti, in Pertugi, 1988: 145).

L’impianto retorico di Vincere!, insomma, sottolinea il conflitto tra storia ufficiale e memoria individuale, laddove il presunto disconoscimento di Mussolini del matrimonio con Ida, il suo forzato ricovero in una struttura psichiatrica e l’affidamento del bambino ad un collegio sotto nome alterato, rappresentano la rimozione del vero che il potere può comodamente compiere, aggredendo, falsificando e distruggendo la realtà, per rifabbricarla ex-novo sulle macerie della verità. In questa parte centrale – mentre scorrono i motivi classici della cinematografia di Bellocchio dal 1965 in poi: la famiglia, la follia, il potere coercitivo, l’impeto ideologico, il dogmatismo religioso e l’opportunismo politico – lo spettatore vede la parabola epica di Ida consumarsi in una condanna a vita in manicomio. Bellocchio sembra qui focalizzare l’attenzione sull’analisi dell’“ostinazione”, che, pur apparendo “genuina”, in Ida, e altresì incomprensibile in quanto tanto radicale da risultare masochistica.

L’azzeramento del diritto alla memoria personale di chi vive la condizione di totale subalternità al potere costituito è reso dal piano sequenza che accompagna Ida, mentre urla disperatamente la sua verità da dietro le alte grate della sua prigione, su cui si arrampica per lanciare ogni giorno lettere di denuncia contro il suo amore e persecutore. La macchina da presa segue in modo quasi surreale, visionario, il tragitto simbolico delle sue missive, mentre volteggiamo insieme alla neve e cadono al di là del recinto, ignorate dai passanti. Bellocchio, antifascista militante ritornato ai temi dell’impegno politico della cinematografia degli anni di piombo, con le sue acute indagini sembra suggerire, dunque, che la realtà storica va perseguita tenendo presente che essa è ricostruzione, ma che può anche essere riscrittura, rimozione, immaginazione. La tecnica narrativa

Alternando il livello storico con quello iconografico, il plot tematizza le tensioni tra storia ufficiale e memoria personale, e mette in luce la sinergia tra potere istituzionale e asservimento dei media, per riproporre agli spettatori la problematica sempre attuale dell'uso propagandistico di cinegiornali, film a soggetto, e documentari a scopo egemonico. La problematica della propaganda di regime, che compre le verità storiche, consegna allo spettatore di oggi i sistemi da cui originano la falsificazione delle notizie di Mediaset e della Rai di Stato, la cui libertà di informazione è soggetta alle palesi priorità delle mire dei partiti e delle lobbies al potere. L’intrigo di amore, conflitto politico, tradimento e persecuzione, nel suo tumultuoso svolgersi, riassume, da una prospettiva ideologica ostile al regime, i modi coercitivi e persecutori della negazione dei diritti fondamentali dei cittadini durante ventennio fascista.4 L’analogia con il presente dell’era berlusconiana è chiara e mostra come un palese conflitto di interessi venga ignorato per il mantenimento dello status quo.

Il filtro personale – alquanto debole politicamente in Buongiorno notte a causa della sua enfasi eccessivamente intimistica, che non spiega e non contestualizza la circostanza storica narrata delle Brigate Rosse, dando per scontato che il pubblico la conosca – qui si dispiega in modo storicistico e riattualizzante. Questa tecnica stabilisce legami tra le intenzioni del regista di realizzare un film impegnato ed usarlo come spia d’allarme dei problemi del presente, e la fiction, che avvince per la narrazione di elementi biografici, attinenti alla storia passionale tra Ida e Mussolini, come avviene appunto nella politica gossip, in voga oggi, non solo in Italia. La destrutturazione storica dei personaggi del duce e di Ida procede infatti di pari passo con la ricostruzione psicologica delle loro passioni e dei loro deliri. Il focus registico si sposta, appunto, dalla riproposta di fatti desunti da biografie e documenti, ad una caratterizzazione meno realistica, che metta in rilievo gli elementi di

4 Vincere! ha rappresentato, come molti altri film di Bellocchio, un caso di censura che ha

comportato la necessità di tagli e revisioni. Atto n. 102627 del 13-05-2009 Archivio del Cinema Italiano

(www.archiviodelcinemaitaliano.it/index.php/scheda.html?codice=OPEWNV50442)

ingegno e follia, colpevoli di avere consentito a Mussolini di costruire il proprio mito e a Ida di decidere della propria sconfitta.

L’analisi di Max Weber in The Protestant Ethic and The Spirit of Capitalism, sul culto della personalità è rilevante a capire come Mussolini avesse strutturato il suo carisma per raggiungere il potere politico anche mediante l’uso del cinema, sponsorizzandone l’industria a livello di fondi dello stato affinché mostrasse un’immagine edificante del Duce come eroe nazionale. (Weber, 1905). Sul piano metafilmico, un’enfasi tragicomica è posta sui deliri megalomani del futuro dittatore mentre prepara la forma e i simboli della sua dottrina laica e si prefigura al potere mediante l’uso spregiudicato e propagandistico del mezzo cinematografico.

Nei titoli di apertura, vecchie foto e immagini di repertorio, insieme a spezzoni di pellicole di cinegiornali, indicano il carattere grandioso della edificazione fascista, come suggerisce la sequenza dei cannoni imponenti, puntati verso il cielo plumbeo.

Stralci di filmati di repertorio si accavallano ad elementi tipici della fiction per mostrare l’asservimento dei media alla propaganda politica. Le immagini delle armi belliche, mentre suggeriscono il mito nietzschiano della “guerra eterna”, anticipano la rovina della nazione sotto i bombardamenti nemici nei fotogrammi tetri delle scene conclusive, dove i mortai si trasformano in simboli di un progetto autodistruttivo. Le schegge documentaristiche dei bombardamenti contraddicono la campagna bellica di Mussolini, iniziata con il motto Vincere!, e la conseguente reductio ad absurdum del piano militare di una vanagloriosa epopea.

Dal trionfale ritorno di Mussolini dal fronte in poi, Bellocchio sposta il fuoco sul caso di interdizione civile (o meglio censura), che investì la protagonista, come a permettere al pubblico contemporaneo di penetrare più agevolmente all’interno di eventi che sono abitualmente raccontati da una prospettiva maschile dominante. La fabula rispecchia la prospettiva di Ida sui fatti, in modo che il pubblico la segua fino al punto in cui questi fatti diventano anche per noi sospetti così come la realtà, non accertabile: Ida si batte per affermare la validità di un matrimonio presunto, che però è privo di evidenze, e in questa lotta progressivamente sprofonda. (M. Zeni, La moglie di Mussolini, 2005) In ragione della sua ospedalizzazione presso un istituto per malattie mentali, Ida diventa, perciò, la interprete inaffidabile, per il regime, di chi sia veramente il Duce. La sua personalità intraprendente e ribelle è ridotta all’impotenza e schiacciata dal potere che la sovrasta, intessuto di menzogne.

Piano storico e piano iconografico

Bellocchio realizza l’evoluzione storica e psicologica dei personaggi principali tramite lo slittamento da una costruzione realistica, desunta dai fatti di cronaca e dalle varie biografie esistenti del duce, ad una caratterizzazione iconografica, capace di mettere in rilievo l’elemento di ingegno e follia, che definisce la costruzione del mito personale da parte di Mussolini.5 Ponendo enfasi sul carattere egocentrico e narcisistico del futuro dittatore, Bellocchio mostra Benito mentre progetta i simboli della sua dottrina laica, prefigurandosi il potere eccellente che raggiungerà, anche mediante l’uso propagandistico del mezzo cinematografico. Ogni rivoluzione crea nuove forme politiche, nuovi miti e nuovi riti. (G L. Mosse, Nazionalizzazione delle masse, 1974: 32) A questo fine, Mussolini adottò le vecchie tradizioni per adattarle ai suoi nuovi scopi. L’ammirazione incondizionata del popolo per il Duce negli anni susseguenti il 1926 provava l’efficacia della macchina propagandistica del regime fascista, tanto che oggi si parla di “ducismo”, il culto (o religione laica) della personalità, incoraggiato direttamente da Mussolini come effetto non tanto di vanità, ma come “strumento di potere”. (D. Mack Smith 1985: 203) Impiegando una terminologia quasi sacerdotale, Smith ricorda che il Duce, infatti, chiamava “gregge” il popolo, volendo definire non solo la sua obbedienza alle regole del regime, ma anzi la sua tendenza a seguire i dettati giunti dall’alto, per lo più, incondizionatamente. (206)

Bellocchio traduce la costruzione del mito personale da parte del futuro duce in una sequenza erotica in cui l’impeto sessuale diventa forza visionaria: Benito, mentre copula impetuosamente con Ida, si immagina leader di un proprio movimento rivoluzionario capace di trascinare le masse popolari. La sequenza prefigura il balcone di Palazzo Venezia da cui il duce teneva i suoi discorsi nella fase di massimo ascesa del fascismo, negli anni ’30 quando affascinò i capi delle potenze straniere e strinse nuove alleanze. (G. Vercellini, 1982: 11)

Già nei titoli di apertura, vecchie foto e immagini di repertorio, insieme a spezzoni di pellicole di cinegiornali, indicano il carattere grandioso della edificazione fascista, come suggerisce il cannone puntato verso il cielo plumbeo. L’obiettivo, quindi, assume una funzione quasi psicoanalitica, penetrando nella mente manipolativa del personaggio: disteso sul corpo di Ida, Mussolini figura se stesso come l’incarnazione del dominio, conia slogan anti-monarchici e anti-cattolici, combatte quasi un corpo a copro contro i suoi diretti antagonisti, il Re e il Papa.

In una lettera di Mussolini a Giacinto Menotti Serrati (3 marzo 1908), il futuro tiranno, già combattendo l’interferenza del clero sul primato laico della cultura nazionale, scriveva con enfasi a proposito della sua assunzione come docente di francese presso un istituto tecnico, gestito da cattolici:

Questo collegio che s’intitola pomposamente civico è in realtà clericale. Sopra ogni letto c’è una Madonna, e s’iniziano e si chiudono i pasti con il segno della croce. Si dicono le orazioni mattina e sera, si va a messa ed altre simili amenità. Stupito mi sono presentato al censore e gli ho dichiarato che le mie convinzioni mi vietano non solo di partecipare, ma semplicemente di assistere a pratiche religiose qualsiasi, e di essere pronto a rinunciare al posto piuttosto che scendere a prostituire le mie idee.6

5 L’analisi di Max Weber in The Protestant Ethic and The Spirit of Capitalism, sul culto della personalità

è rilevante a capire come Mussolini avesse strutturato il suo carisma per raggiungere il potere politico anche mediante l’uso del cinema, sponsorizzandone l’industria a livello di fondi dello stato affinché mostrasse un’immagine edificante del Duce come eroe nazionale. (M. Weber, 1905).

6 http://www.larchivio.org/xoom/serrati.htm

Questo ragionamento si connette coerentemente con la scena in cui Mussolini sfida la chiesa, misurando il tempo in virtù della sua convinzione atea riguardo all’inesistenza di Dio e, dunque, all’irrilevanza del clero.

In altre scene e sequenze, Mussolini sostiene entusiasticamente la partecipazione dell’esercito italiano nella guerra di Spagna, guida una marcia di protesta sventolando la bandiera italiana, diffonde gli slogan antimonarchici e anticattolici che ha coniato, distribuisce volantini, fa comizi, e da spettacolo di continuo attivismo per conquistare adesioni al suo programma. In sostanza, il futuro duce celebra se stesso, presentandosi come unica alternativa alla monarchia, al papato e al capitalismo liberale rampante.

Il film inizia con un rimando ai cannoni, che ritorneranno impressi nei fotogrammi più tetri delle scene conclusive come simboli di un potere che ha falciato milioni di vittime. Come sostiene Patrizia Pigiatesi nelle pellicole di Bellocchio “scorrono inevitabili, obbligati, i volti di persone uccise dalle pallottole, dalla prigione, dalla droga, dal fallimento di una possibilità eroica.” (A. Aprà 2005: 22) e ciò è quanto porta sullo schermo anche Vincere! La caratterizzazione del personaggio storico si apre con sequenza in cui l’ateo anti-monarchico Mussolini partecipa a una riunione politica presieduta da un vecchio sacerdote, rappresentante del Vaticano, don Moretti. Al fine di dimostrare le ragioni delle sue convinzioni, reggendo in mano l’orologio del tempo a simboleggiare il suo futuro potere, Mussolini professa, alla maniera di Nietzsche in Così parlò Zaratustra, l’impotenza della religione a dare risposte valide alle urgenze epocali. Ida, in un angolo tra la folla che si accalca, tiene gli occhi fissi sul giovane ed aitante sfidante che arditamente recita il suo ruolo. La disputa è di natura teologica:

“Sarò breve. Posso prendere in prestito un orologio? Si trova a cinque minuti dopo le 10. Sfido Dio e gli do 5 minuti per colpire me morto... Se non mi ucciderà, è la prova che Dio non esiste.”

Trascorrono 5 minuti dopo di cui, Mussolini afferma con spavalderia:

“Il tempo è finito, Dio non esiste, e io ho ragione”.

La forza con cui Mussolini, in questa scena, tenta di attribuire al proprio intuito un potere progressista e modernista, in contrapposizione alla visione conservatrice della Chiesa, mette in risalto al contempo la componente autoriflessiva del cinema che sottolinea il proprio ruolo nello sviluppo del fascismo. L’enunciazione autoesaltata di Mussolini in questa scena espone una intentio auctoris, che sottintende e configura la costruzione di un progetto autocrate, creatore di una nuova cultura e affossatore dei valori di quella precedente.

Il film è, al contempo, un ritratto di Ida Dalser, sedicente prima moglie del dittatore Mussolini e certamente eroina dichiaratamente antifascista, da questi abbandonata per sposare Rachele. L’intrigo di amore, conflitto politico, tradimento e persecuzione, svolgendosi riassume, da una prospettiva ideologica assolutamente ostile al regime, i modi coercitivi e persecutori della negazione dei diritti fondamentali dei cittadini durante ventennio fascista.7

Pochi anni prima che Bellocchio realizzasse la sua biografia filmica di Ida, due registi italo-americani, Fabrizio Laurenti e Gianfranco Norelli, avevano prodotto un documentario, intitolato Il Segreto di Mussolini, per la serie La grande storia, che RAI 3 mandò in onda il 14 gennaio 2005. A

7 Vincere! ha rappresentato, come molti altri film di Bellocchio, un caso di censura che ha comportato la

necessità di tagli e revisioni. Atto n. 102627 del 13-05-2009 Archivio del Cinema Italiano (www.archiviodelcinemaitaliano.it/index.php/scheda.html?codice=OPEWNV50442)

distanza di quattro anni, dunque, Vincere! riproponeva la storia della prima moglie del dittatore fascista, ma in modo diverso ed eclettico, ponendola contro uno sfondo romanzato e in un contesto culturalmente denso di rimandi all’attualità.

La storia esposta soprattutto tramite lo sguardo di Ida riflette gli umori della sua personalità intraprendente, ribelle, vitalistica, tanto ostinata da apparire, nella seconda parte del film, quasi patetica e inattendibile. Questo sostrato ambiguo e insondabile mette insieme le tematiche della cinematografia di Bellocchio nel suo coniugare prospettive immaginarie a accadimenti reali, psicologia e storia. Il sottofondo storico che la sua versione dei fatti presenta è, infatti, relativamente documentabile in quanto si basa su un matrimonio presumibilmente contratto da Benito e Ida, rimasto fuori dalla cronaca dell’epoca, e solo di recente tornato alla ribalta grazie alla ricerca di Marco Zeni per la biografia La moglie di Mussolini (2000).

I punti salienti della sceneggiatura sono desunti sia dalle affermazioni di Zeni sia dalle ipotesi di Alfredo Pieroni nel volume Il figlio segreto del Duce: La storia di Benito Albino Mussolini e di sua madre Ida Dalser (2006), un volume in cui si ricostruiscono gli urti tra Ida, suo figlio Benito Albino e Mussolini. Le biografie di Zeni e Pieroni, insieme al film di Bellocchio, si attengono alla ricostruzione dei fatti di Maria Antonietta Serena, nel volume L’altra moglie del Duce (1969), in cui l’autrice sostiene la tesi secondo cui Mussolini avesse sposato la Dalser con un rito cattolico e che l’avesse successivamente rinnegata, tornato dal fronte della prima guerra mondiale, per sposare in seconde nozze Rachele. Le differenze sociali e caratteriali tra l’emancipata Ida, borghese, economicamente indipendente e sessualmente libera, e Rachele, donna di umili estrazioni, “timorata di dio”, che indussero il duce a prendere in moglie la seconda, credendola più idonea a diventare la compagna di un eroe dinanzi all’opinione pubblica, sono la copertura del raggiro di cui tratta il film.

Ieri come oggi

Sul piano storico-politico, si è visto come la trama di Vincere! rivisiti i nodi problematici e le manovre diplomatiche della relazione tra lo Stato fascista di Mussolini, la chiesa vaticana di Pio XI e la monarchia dell’ultimo Savoia, tre forze preoccupate di assicurare il consenso popolare ai propri ambiti di potere, sfruttando la retorica dei principi congiunti agli ideali di nazione, patria, eroismo, fede, appartenenza. Sono queste le sfere di ingerenza politica nel sociale che Antonio Gramsci criticò in Quaderni del Carcere (1929), discutendo le traversie prodotte dal patto tra mondo cattolico e establishment fascista, il quale era riuscito a trasformare l’obbligo del patriottismo in “religione del padre”.

Non è trascurabile, in Vincere!, un riferimento alle relazioni tra società, realtà ed arte, di cui, secondo l’estetica marxista, un’opera, così organizzata ed intesa, è rispecchiamento e infrastruttura, nel suo costruire, dentro e sopra tali dinamiche, i linguaggi specifici nella sua dimensione sovrastrutturale. Come nei film L’ora di religione e Buongiorno notte, anche in Vincere!, i risvolti drammatici della vicenda portata sullo schermo alludono al persistere di circostanze di corruzione interne al Paese, e per questo veicolano una certa critica alle dinamiche tra potere e popolazione civile in una nazione come quella italiana che occulta il suo malcostume sotto instabili modelli di progresso e democrazia. Così è detta l’Italia, che rimane fedele al suo carattere, proprio come accadeva anche sotto il regime fascista, quando nessun intervento governativo poteva davvero arginare i vizi endemici della penisola, quali la corruzione pubblica, gli affari loschi, la criminalità malavitosa regionale, gli intrighi di palazzo, gli abusi della privacy del cittadino da parte dei servizi segreti, la tendenza borghese alla massoneria, le frodi lucrative delle banche, difficili da portare alla ribalta. E vale qui un dovuto riferimento al riverbero dei temi di Pirandello nei film di Bellocchio, in quanto dalle sue trame emergono spunti di denuncia che vogliono evidenziare come il marcio

familiare, sociale, e politico rivelino sfumature essenziali della mentalità nazionale. Va notato, nuovamente, come attraverso la persecuzione di Ida, Bellocchio rievochino le tecniche messe a punto dal potere fascista come da quello berlusconiano per mettere a tacere chi si erga contro questo marcio. 8

I conflitti tra sfera pubblica e sfera privata sono, c’è da aggiungere, organizzati in un’alternanza ideologicamente riconducibile a Nietzsche. La contraddizione più vistosa evidenziata in Vincere!, tuttavia, non concerne la privacy del duce ma la sua opposizione iniziale alle richieste pressanti della diplomazia vaticana affinché il regime riconoscesse la fede cattolica come religione di Stato, resistenza vinta dalla successiva intesa dei Patti Lateranensi. Più di una sequenza nel film è, infatti, popolata di figure del clero e simboli sacri a sottolineare come durante la sua “rivoluzione”, e malgrado la speranza di volgere a suo profitto le dinamiche del rapporto tra masse popolari e leader carismatici, Mussolini non fosse stato in grado di esercitare restrizioni sul seggio pontificio per limitare l’ingerenza della chiesa e degli attivisti del partito cattolico (Azione Cattolica) nelle questioni politiche del paese.

Il tema dell’intesa tra stato e chiesa avanza di pari passo alla problematizzazione della ipocrisia politica del dittatore. Sul piano della organizzazione scenica entrambi i soggetti si alternano, informando lo spettatore del rapporto insincero di Mussolini con i valori predicati sia dalla dottrina dello Stato, sia da quella del Papato. Non è difficile cogliere un’allusione ai continui tentativi dei partiti al potere di ricreare il centro sinistra e ripristinare il potere egemonico della democrazia cristiana.

Conclusioni

La pertinenza che Bellocchio realizza con le problematiche italiane del 21° secolo fanno, dunque, di Vincere! un film politico incisivo, che stabilisce un ponte con il passato per fare luce sui compromessi istituzionali attuali, mantenuti tra le forze al potere per il reciproco vantaggio. Ne sono esempio il sostegno di Berlusconi alla politica del mondo cattolico durante il Pontificato di Ratzinger, che rimase poco esplicito in materia di scandali finanziari e violazioni della legge morale: il primo ottenne dalla chiesa un sostegno elettorale alla costruzione del consenso (oltre al silenzio sugli scandali della sua vita privata fino a quando gli organi di stampa cattolica, come Famiglia Cristiana, ruppero la complicità, iniziando a criticare Berlusconi apertamente), e il secondo tutelò gli interessi del Vaticano, ricevendo in cambio garanzie e fondi per la sussistenza delle scuole parificate gestite dalla Chiesa.9

Ho mostrato come religione e politica si allettino a vicenda in Vincere!, per quanto allusivamente. Il film, infatti, palesa il suo anticlericalismo come critica alla istituzionalizzazione del cattolicesimo quale “religione di stato,” e al Vaticano come “stato nello stato” (già presente ne L’ora di religione). Mette in rilievo, inoltre, il ruolo non del tutto benevolo di suore e preti nelle agenzie parificate come scuole, collegi e manicomi. Il potere clericale, come soggetto fondativo, che genera una proliferazione di correlazioni anche irregolari, segrega sempre i suoi oppositori dietro una porta chiusa.

8 L’indicata analogia tra Ida e Veronica Lario, rimanda a come quest’ultima, dopo lo scandalo

che coinvolse Berlusconi e la minorenne Noemi Letizia, si fece autrice di una pubblica denuncia, attraverso cui si dissociava dalle condotte sessuali ed anomalie istituzionali dell’allora Primo Ministro. A seguito di tale dissidenza, la signora Lario fu attaccata dai media politicamente allineanti con il loro proprietario, e coinvolta nella cosiddetta macchina del fango.

9http://images.wikia.com/nonciclopedia/images/5/5b/Silvio_Berlusconi_e_Papa_Ratzinger.jpg

Passione, tradimento e pazzia sono inseriti nella cornice del fascismo storico, per cogliere il modo in cui, congiuntamente, il regime di Mussolini e il papato, entrambi preoccupati di controllare contrasti e scismi, ebbero spazio e tempo d’azione per assoggettare la società e i singoli individui, alterando e facendo svanire la memoria storica sotto il torchio della macchina di un potere, che procedeva su due binari, quello politico e quello pastorale. Certamente tenendo in dovuta considerazione, come Pasolini, la critica di Gaetano Salvemini verso i criteri con cui la Chiesa ha sempre volto a suo vantaggio il sentimento religioso del popolo italiano (Salvemini, 1957: 37), Bellocchio allude al rapporto tra Stato a Chiesa, responsabile della firma del Concordato del 1929 e del consolidarsi, sul piano istituzionale, delle diplomazie di reciproca convenienza tra l'alto clero e la dittatura fascista.

Vincere!, allora, può essere interpretato come un discorso organico, che non solo innesta il passato del regime fascista sull’attualità politica attraverso il diaframma biografico, ma stabilisce un’estensione lineare con il presente, che passa attraverso questioni complesse di egemonia culturale. In tal modo, Bellocchio mostra come tale continuità sia garantita da antichi modelli e tipiche mentalità politicamente opportunistiche che si sono ingranate nell’identità nazionale, e appaiono molto lontane dall’essere sradicate.

Ho inteso mostrare come marker riconoscibili di eventi e personaggi narrati siano individuabili dappertutto nelle tre le parti (o fasi storiche) che costruiscono lo schema narrativo di Vincere! La terza ed ultima epoca documentata propone la progressiva decadenza del ventennio fascista, che coincide con lo scoppio del secondo conflitto mondiale. Ho sottolineato come, nel mostrare la lotta intergenerazionale tra i programmi e i valori delle forze egemoniche in conflitto, tra monarchia e fascismo, mondo cattolico e mondo laico, autorità e forze dissidenti, Bellocchio abbia utilizzato diversi piani intertestuali interagenti con una sinergia che lascia trapelare l’intenzione metafilmica. Questa tendenza si rivela nei modi del montaggio, che realizzano la sovrapposizione di lacerti di realtà storica a sequenze di intensità e colore teatrale, nello stile del melodramma.

Secondo quanto ho inteso dimostrare, nel film di Bellocchio, al fine di stabilire un’analogia con l’attualità socio-politica italiana, una critica acre è mossa ai metodi della propaganda fascista, condotta esattamente con le tecniche odierne dei partiti al potere. La partecipazione del ceto medio liberale all’intrigo politico è fissata all’interno di un universo fortemente teatralizzato, fatto dei rituali e dei simboli che, nel fascismo, estorcevano il consenso al popolo, proprio come accade oggi nell’odierno regime di Berlusconi. La ricostruzione storica sottolinea, infatti, con gusto postmodernista, lo scarto tra un passato irrevocabile, desunto da sbiaditi documenti testuali, foto e newsreels, e il suo preoccupante revival nel presente, appoggiato ai mass media, impegnati nell’ermeneutica di quell’articolato e quanto mai difficile fenomeno storico che fu il regime fascista, fatto di alleanze e clientele tra borghesia liberale cattolica e nazionalsocialismo.

Vincere!, nella fase storica della sua ideazione e produzione, ha posto l'accento sulle somiglianze non solo caratteriali tra Mussolini e Berlusconi, nel loro spregiudicato uso dei media, ma sulle affinità dei climi istituzionali che, ieri come oggi, consentono a degli spregiudicati politicanti di conquistare il potere e mantenerlo con il supporto degli istituti di controllo secondo la logica della biopolitica, discussa da Foucault in Nascita della biopolitica (1978) quale terreno di applicazione di tecniche di controllo delle libertà fondamentali e sottomissione delle verità individuali a norme progettate da stato, chiesa e magistratura, volte a sopprimere ogni tentativo di resistenza al potere.10

10 I confronti tra Berlusconi e Mussolini sono diventati ancora più legittimi quando il 28

Settembre 2013, in attesa di subire l’espulsione dal Senato, come conseguenza della condanna impostagli per frode fiscale, il leader del PDL ha comandato ai suoi ministri di dimettersi in blocco per fare cadere il governo.

Si potrebbe concludere che, sebbene, per una precisa strategia narrativa, Bellocchio presenti i contenuti politici attraverso i filtri del melodramma e della biografia romanzata certo per rendere più comprensibili le problematiche trattate ad un pubblico del 21° secolo, post-ideologico e post-politico, Vincere! rimane un esempio di film impegnato. Infatti, indipendentemente dalla veridicità della questione riguardante il presunto matrimonio tra Ida e Benito, che la protagonista rivendica, la trama sovverte le profondità storiche, generalmente fissate dalla letteratura apologetica sul fascismo, proponendo una solidarietà con i perseguitati e gli sconfitti, a cui conferisce una voce, rendendo possibile una diversa interpretazione dei rapporti tra politica e società, la quale, pur articolata attraverso il privato, evita di cadere nel revisionismo storico e nella depoliticizzazione del soggetto per ragioni di priorità commerciali.

Intervista con Marco Belloccio, di Nikola Roumeliotis

Vincere, il nuovo film di Marco Bellocchio, presentato all’ultimo festival di Cannes, dove ha raccolto molti consensi, ma nessun premio, ha convinto critica e pubblico in Italia dove è uscito da qualche settimana: è interessante andare a capire che cosa ha creato la fortuna di questa pellicola sicuramente non alla portata di tutti e sopratutto come lega questo film, atipico per il suo regista, all’interno della sua filmografia. E da questi punti abbiamo cominciato la nostra chiacchierata con il regista Marco Bellocchio. 11

Bellocchio, come inquadra Vincere all’interno del suo cinema? A questo non avevo pensato, ma sicuramente Vincere è un film diverso da tutti gli altri che ho

realizzato. Non nasce da esigenze autobiografiche ma da un articolo che ho letto su un giornale su questa donna che si era innamorata di Mussolini solo per essere abbandonata dopo aver avuto un figlio da lui. Se devo scegliere un film a cui assomiglia Vincere quello è Buongiorno notte. Non tanto per le tematiche anche politiche quanto per il fatto che sono tutti e due film in cui affluiscono stili e linguaggi diversi. Un film in cui irrompono, e questo mi è naturale, immagini anche televisive oppure cinematografiche provenienti da altri tempi. E tutto questo per trovare un’unità certamente passionale ma con uno sfondo anche storico.

Perché ha scelto Benito Mussolini per parlare del rapporto con il potere? Per la verità la spinta me l’ha data il personaggio di Ida Dalser e il suo rapporto con Benito

Mussolini. Ovviamente si tratta di un Mussolini attraverso il tempo. È abbastanza decisivo nel film vedere un Benito Mussolini rivoluzionario, anarchico, mangiapreti, socialista, antiborghese repubblicano ma che poco dopo diventerà interventista, fascista, nazionalista insomma il Duce, ecco questo percorso così lungo e spazioso mi interessava molto. Naturalmente il film ha una sua protagonista, Ida Dalser appunto, che è la sua forza trainante….

Perciò lei è partito dalla figura femminile… Si, da questa donna indomabile, insopportabile anche. Una donna con una passione e con una

capacità di annullarsi nell’uomo che ama che l’ha portata alla rovina. Ecco questo è un tipo di eccesso che da sempre mi ha affascinato, forse perché io non sono così, oppure perché gli uomini raramente lo sono. Le donne hanno una specie di radicalismo innato, che le porta ad essere incomprensibili, e a stupire molto spesso gli uomini.

Vincere contiene anche elementi melodrammatici ma non è un melodramma. Come ha fatto

a evitare il melodramma? Più che un melodramma, Vincere! è un film tragico. Il melodramma fa parte della mia

formazione e non solo quella musicale. Anche se poi io appartengo ad una generazione in cui questa forma era ormai in piena decadenza e comunque era rinchiusa in un periodo ormai lontano. È vero, abbiamo utilizzato il melodramma anche attraverso dei frammenti, abbiamo usato l’Aida, la Tosca, il Rigoletto…. Devo dire che il film è uno strano miscuglio perché sì, c’è il melodramma, ma anche il suo opposto, ossia l’avanguardia futurista che nella prima parte del film curiosamente coesistono. Poi guardando soprattutto il personaggio di lei ci rendiamo conto di essere davanti ad una eroina tragica. Ecco, Ida può essere Antigone, ma anche Medea. Medea, perché danneggia il figlio e non

11 A questo proposito, cfr. Cinema e letteratura. Incontro con Marco Bellocchio (Video: 29 ottobre 2003)

per fare un dispetto al padre, ma esponendolo nel disperato tentativo di far tornare a se Benito Mussolini. E il povero Benito Albino rimane sconvolto mentre cerca di imitare la madre contro il padre, senza ovviamente riuscirci.

La famiglia è un tema centrale di tutto il suo cinema. Anche in Vincere abbiamo una

famiglia “scoppiata”. Come è cambiata la famiglia dai tempi de I pugni in tasca ad oggi? Certe costanti rimangono. La famiglia è cambiata nei suoi comportamenti… quella de I pugni in

tasca era una famiglia molto radicata in alcuni valori ed aveva una autorità indiscutibile. Vi faccio un esempio: oggi c’è la tendenza al piccolo insulto all’interno del nucleo familiare. Ma se io allora chiamavo mio padre “coglione” o “stronzo” era una cosa inconcepibile. Non tanto per la severità delle abitudini oppure per la punizione quanto per l’assurdità della situazione. Mi avrebbero rinchiuso in manicomio! Ecco, in questo senso, la famiglia è cambiata. Ma per quel che riguarda i cosiddetti legami di sangue, il proteggere i figli, il dare ai figli, questo non è affatto cambiato.

Come mai ha scelto Filippo Timi? Credo che sia un grande attore e ha dimostrato una somiglianza eccezionale con il giovane

Mussolini e una naturale autorevolezza e durezza. Ha interpretato bene la violenza di un uomo che, per diventare il duce, si serve in modo spietato delle donne: Ida, Rachele, la Sarfatti. All’inizio Mussolini è futurista poi diventa fascista. E, quando è padrone dell’Italia, torna allo stile del melodramma.

E Giovanna Mezzogiorno?

Ho sentito che Giovanna aveva conosciuto personalmente la dimensione dell’ossessione, e che

poteva dare corpo alla idea fissa di Ida, al non saper calcolare le proprie forze rispetto a un’ Italia che le era tutta contro.

Il suo cinema viene considerato un cinema psicoanalitico, profondamente interiore. Il

cinema di oggi è particolarmente esteriorizzato. Come si pone davanti a un cinema così diverso dal suo?

Un artista deve andare avanti seguendo il suo istinto e soprattutto essere un po’ nemico della

soddisfazione. Adagiarsi non fa molto bene. D’altro canto molti artisti tendono a rifarsi in una maniera spaventosa. Delle volte un riconoscimento serve ad incoraggiarti ad andare avanti. Nella storia dell’arte ci sono dei geni che non hanno venduto nemmeno un’opera ma sono morti a trenta nove anni.

©CultFrame 06/2009 Foto di scena

Foto di Scena

Ida Dalser (Giovanna Mezzogiorno)

Ida e Benito (Filippo Timi) nel giorno del matrimonio

Ida e Benito ai tempi del loro amore.

Ida ospedalizzata nella casa di cura per malati di mente

Si ringraziano gli aventi diritto per l’utilizzo di questa selezione delle foto di scena del film, pubblicate su Internet.