Solidarietà: storia e articolazione di un principio rivoluzionario. Un commento critico a “From...

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L’avvenire della solidarietà tra globalizzazione e ordinamento costituzionale mondiale di Andrea Baldazzini email: [email protected] Anno Accademico 14\15

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L’avvenire della solidarietà tra globalizzazione e ordinamento

costituzionale mondiale !

di

Andrea Baldazzini

!email: [email protected]

Anno Accademico

14\15

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Indice

!1. Introduzione p. 4

2. Origini, tendenze e costanti negli approcci contemporanei alla solidarietà p. 9

3. Esclusione e globalizzazione nelle democrazie contemporanee p. 13

3.1 Habermas e la solidarietà democratica p. 20

4. Costituzione rivoluzionaria e persona p. 24

5. Conclusione p. 32

6. Bibliografia p. 35

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«Una società non può crearsi né ricrearsi senza creare allo stesso tempo qualcosa di ideale. Questa creazione […] è l’atto con cui essa si fa e si rifà periodicamente. La società ideale non è al di fuori di quella reale; essa ne fa parte. Infatti una società non è costituita semplicemente dall’insieme degli individui che la compongono, dalle cose di cui si servono […], ma è costituita in primo luogo dall’idea che essa si forma di sé.» !

Durkheim, 1912, p. 462 !1. Introduzione

Una delle scommesse più grandi lanciate dalla modernità, è stata quella di fare dell’uomo un

soggetto libero da qualunque vincolo di subordinazione, di schiavitù, di reificazione; un soggetto

cioè capace di rendersi autonomo, ‘maggiorenne’ direbbe Kant, soltanto grazie all’uso della propria

ragione. É innegabile che il progetto moderno è fin dai suoi albori un progetto di emancipazione.

Ciò nonostante, nel corso del secondo Novecento, molti pensatori hanno assunto un atteggiamento

critico, per non dire di rifiuto, verso quelli che sono stati i cardini del pensiero moderno: dalla fede

nella scienza, all’invincibile razionalità umana, alla costruzione di un progetto politico (come la

democrazia) ritenuto in assoluto il migliore. Ora, senza entrare in un dibattito che richiederebbe un

lavoro a parte, è qui interessante sottolineare come vi sono stati però altrettanti pensatori che in certi

ideali moderni credono ancora. Un esempio su tutti, Jünger Habermas, il quale non ha mai smesso

di difendere il progetto della modernità, da lui considerato sempre nei termini di un progetto

incompiuto  ; comunque l’unico, in potenza, capace di controbilanciare quelle patologie sociali 1

provocate dal dispiegamento delle istanze sistemiche tipiche delle società contemporanee. Sorge a

questo punto spontaneo chiedersi cosa c’entri la solidarietà con tutto ciò, ebbene, c’entra eccome

poiché essa rappresenta una delle travi portanti del progetto moderno di emancipazione, una sorta di

progetto radicale che testimonia la consapevolezza di trovarsi a vivere non tanto in una

postmodernità, quanto in quella che Giddens ha chiamato modernità estrema  . 2

La solidarietà non è solo uno strumento di integrazione, ma è anche un vettore di ideali,

valori e progettualità. Proprio per questo essa è caratterizzata in primo luogo da una tensione

costante, conflittuale, tra quelle che sono le sue aspettative e il resto delle forze sociali che operano

in direzione opposta. Sia in una sua definizione ristretta, ad esempio quella proposta da Luciano

Gallino nel Dizionario di sociologia, che in una più ampia, si legga per esempio quella di Massimo

�4

! Cfr. Benhabib [21] p. 8.1

! Cfr. Giddens [40] p. 17. 2

Rosati  , essa designa la capacità dei membri di una collettività, di agire verso gli altri come un 3

soggetto unitario, mantenendo sempre un preciso profilo normativo che garantisce unità e una

posizione di uguaglianza ad ogni partecipante. É allora facile comprendere come per realizzare ciò

siano necessari numerosi confronti-scontri, nonché atti di grande diplomazia, che hanno portato alla

creazione di espressioni ormai diventate comuni quali: lotta per il riconoscimento  , lotta per 4

l’integrazione, lotta per l’inclusione e la coesione sociale. La solidarietà si può quindi dire che è

azione, mediazione, obbligazione, cooperazione con il fine di giungere ad un’intesa  . 5

Il secondo carattere peculiare della solidarietà è stato ben espresso da Pierre Musso in una

sua lezione al College de France, dove ha usato un’immagine molto bella per descrivere questa

molteplicità di movimenti e direzioni in cui essa prende vita. La solidarietà, egli ha detto, è un

«concetto nomade», cioè un elemento ideale, e insieme pratico, capace di scivolare da una

disciplina all’altra, dalla filosofia alla sociologia, dal diritto all’economia, dalla politica alla

psicologia, acquisendo una pluralità semantica in grado di unire insieme il senso giuridico di

obbligazione, quello sociologico di interdipendenza e quello morale di dovere. Solo con uno

sguardo così ricco la si può quindi guardare senza paura di sminuirla o di cadere in fraintendimenti,

e di ciò testimone ne è la sua storia, altrettanto ricca e travagliata, in certi casi persino politicamente

scomoda  . 6

Se infatti è vero che il primo riscontro del termine solidarietà lo si ha nel diritto romano  , è 7

altresì importante aver ben presente come il suo significato abbia subito almeno tre grandi

rivoluzioni copernicane, corrispondenti si può dire al momento della sua preistoria, della sua

modernità e infine della sua modernità estrema. La prima rivoluzione ha coinciso con l’affermarsi

dell’ideale cristiano di fratellanza universale, secondo il quale gli uomini condividevano oltre ad un

medesimo stato di uguaglianza agli occhi di Dio, anche un destino comune che li vedeva impegnati

durante la vita nella missione della redenzione. La seconda coincide con l’avvento della

Rivoluzione Francese che ha laicizzato la triade fratellanza - libertà - uguaglianza, trasponendo

l’ideale di fratellanza nella concezione moderna di potere politico e dando vita a quella che è la

radice dell’idea moderna di solidarietà. La terza rivoluzione si lega all’emergere del fenomeno della

globalizzazione, che obbliga alla creazione di un meccanismo di riconoscimento e integrazione

�5

! Petrucciani [26], p. 1633

! Su tale questione il riferimento obbligatorio è ad Axel Honneth. 4

! Sull’importanza dell’intesa si veda il primo intermezzo di Teoria dell’agire comunicativo.5

! Si pensi all’idea di fratellanza universale introdotta con il cristianesimo che ha fatto andare in pezzi il sistema di 6

credenze romane o all’ideale di fratellanza della rivoluzione francese.! Brunkhorst [1], p. 10.7

molto più ampio e insieme particolaristico. In questa sede non è ovviamente possibile fornire

un’accurata ricostruzione di un’itinerario così complesso, l’intento è piuttosto quello di concentrarsi

sull’ultimo dei tre momenti appena descritti, facendo particolare attenzione al rapporto che

intercorre tra solidarietà, diritto (diritti dell’uomo - principi costituzionali) e democrazia.

Si potrebbe quasi affermare che il problema della solidarietà è il problema che unisce tutta la

tradizione sociologica in quanto pone la domande delle domande: cosa permette alla società di

restare unita ? Quali elementi compongono la chimica del legame sociale ? Oggi come oggi è molto

difficile dare una risposta onnicomprensiva a tali domande, sicuramente bisogna tenere in

considerazione i tentativi di costruzione di nuove forme di regolamentazione a carattere, come

direbbe Habermas, post-metafisico cioè che non ricorrono ad elementi orami secolarizzati come la

religione o la tradizione. Non è un caso che proprio nel Seicento nasca il cosiddetto contrattualismo

moderno, il quale attraverso l’idea di diritto naturale fa del contratto sociale il modello che

regolamenta l’unione tra individui: «gli uomini si uniscono per evitare i peggiori mali e

contemporaneamente per ottenere i migliori beni»  . L’elemento normativo qui semplicemente 8

accennato giocherà invece un ruolo di primo piano nel corso di tutto questo breve saggio, ma prima

di entrare nel vivo dell’argomentazione, sono necessarie alcune ulteriori precisazioni in merito alla

prospettiva che si intenderà utilizzare per guardare alla solidarietà.

A questo punto è quindi obbligatorio esplicare la propria scelta di campo. Vi sono infatti

principalmente due atteggiamenti (o disposizioni) verso il tema qui in questione: il primo, secondo

la denominazione di Max Pensky  , è di ordine descrittivo o fenomenologico (la solidarietà si crea 9

spontaneamente per un qualche sentimento di appartenenza ad uno stesso gruppo, ad esempio

quello degli immigrati o dei lavoratori, ed è sentito come un senso di fratellanza in quanto poggia su

di un legame originario di carattere pre-legislativo), mentre il secondo è di ordine normativo (il

riferimento qui è ovviamente a Durkheim, a Weber e più in generale al normativismo francese di cui

si parlerà in seguito)  . In questo lavoro verrà prediletto quest’ultimo per motivi che si spera presto 10

diventeranno chiari.

Pur rimanendo ad un livello ancora introduttivo si può così proporre un’ulteriore, e più

specifica, definizione di solidarietà: «essa è quella trama di valori e\o regole condivisi almeno dalla

�6

! Rodotà [61], p. 57.8

! Pensky, [53], p. 172.9

! Cfr., ivi, l’autore scrive: «the tension between normative and descriptive accounts of solidarity— “between fact and 10

norm”—is not a problem to be solved or reduced, but is constitutive for contemporary theory as such.» p.10. Interessante poi sarebbe condurre uno studio anche sul primo tipo di approccio che chiama in causa un concetto basilare per gran parte della sociologia classica come quello di sacro (si veda il volume Solidarietà e sacro di Massimo Rosati) e un autore di primo livello come Paul Ricoeur (si veda il suo Percorsi del riconoscimento o Sé come un altro).

maggior parte dei membri di una data società, istituzionalizzati e resi disponibili all’apprendimento

all’interno di spazi pubblici, che conferiscono all’ordine sociale non solo stabilità dal punto di vista

cognitivo, ma anche dal punto di vista morale»  . In queste pochissime righe, seppur ad uno stato 11

embrionale, si trovano già condensati tutti gli elementi di base che andranno a comporre l’armatura

della riflessione che seguirà: 1) la solidarietà va sempre pensata in condizioni di assenza di piena

integrazione 2) essa ha un ruolo simile a quello che in filosofia svolge il concetto di transcendentale

3) infine la solidarietà è il pensare una forma di legame sociale non spiegabile totalmente in termini

contrattualistici o utilitaristici pur mantenendo un legame stretto con l’elemento normativo  . Come 12

sottolineato all’inizio, la solidarietà è una commistione perenne di valori e norme, di ideali e

materialità, che mai abbandona la discussione e che sempre rischia di far propendere per posizioni

estremamente forti o estremamente deboli.

Detto ciò, è ora possibile iniziare a prendere in considerazione il libro “Solidarity. From

Civic Friendship to a Global Legal Community” di Hauke Brunkhorst, il cui interesse è giustificato

dal fatto che esso inaugura un percorso originale di riflessione sul tema della solidarietà, muovendo

da una proposta dal sapore alquanto illuminista  che fa venire in mente un’idea di progettualità 13

spesso tacciata di utopia, quando invece rappresenta un tentativo radicale di messa in tensione di

uno dei concetti, come la solidarietà, che molto presto risulteranno cruciali per il proseguimento

della convivenza umana a livello mondiale. Obiettivo di questo breve saggio sarà quindi doppio: da

una parte si cercherà di evidenziare quali sono le radici e i retroscena, in particolare la forte

influenza habermasiana, a partire dai quali Brunkhorst prende le mosse; dall’altra ci si soffermerà

su quelli che sono i due elementi di maggiore originalità dell’opera, ovvero il tentativo di fornire

un’analisi adeguata dei processi di esclusione non più limitati alla dimensione nazionale, ma

proiettati su scala globale a causa della globalizzazione, e la conseguente proposta di una

costitituzionalizzazione  mondiale: 14

!«Constitutions are not just a filing system, they are also the “record of our own will” (Rousseau). Their normative content cannot be reduced to possessive individualism, “illusions of powerfulness,” “songs,” and “ceremonial declarations”. […] Only through constitutional law is power legally

�7

! Petrucciani [55], p. 163.11

! Cfr., ivi, p. 164. Qui si dovrebbe aprire tutto il discorso che lega il problema dell’integrazione a quello del 12

riconoscimento e quindi a Honneth. ! É impossibile non pensare al cosmopolitismo kantiano e all’opera Per la pace perpetua.13

! É importante fin da subito cercare di usare un lessico adeguato, in quanto Brunkhorst parla della costituzione sempre 14

in termini processuali, la considera sempre come un progetto incompiuto che va di giorno in giorno curato e portato avanti.

codifiable—Luhmann speaks of a “second-coding of power through law”—and law politically legitimated—Habermas speaks of “legitimacy through legality”.

Brunkhorts, 2009, p. 27

Come dovrebbe ormai risultare chiaro, il nodo dialettico attorno al quale si gioca tutto il discorso è

dato dal rapporto che intercorre tra solidarietà e normatività. Introdurre poi la variabile della

globalizzazione (nonostante oggi ci appaia un qualcosa di scontato), comporta la necessità di

ripensare in modo radicale il problema. Secondo molti degli studiosi contemporanei  è stata 15

proprio la globalizzazione a riportare al centro dell’attenzione il tema della solidarietà, fino ad

allora, per tutto il secondo Novecento, rimasto irretito nella logica statalista del welfare system. Il

merito di Brunkhorst è stato proprio quello di adottare una prospettiva planetaria, superando in

questo anche riflessioni di importanza assoluta come Fatti e norme di Habermas, in cui la

dimensione-mondo risultava ancora soltanto stilizzata.

Vi è poi un altro motivo per cui il ‘fattore globalizzazione’ va messo in rilievo. Volendo

infatti identificare il concetto cardine attorno al quale Brunkhorst costruisce tutta la sua riflessione,

esso sarebbe senza dubbio l’equazione tra solidarietà e democrazia: «I would like to defend the

thesis that, in modern societies, solidarity coincides with the concept of democracy».  Ciò significa 16

che se si vuole discutere di solidarietà si deve per forza discutere di democrazia, ma quest’ultima

non può essere presa in considerazione se non introducendo l’elemento della globalizzazione che ne

ha profondamente trasformato i tratti somatici, esportando l’ideale democratico al di fuori dei

confini dello stato-nazione fino a far parlare di ‘costellazione post-nazionale’  . Nell’opera di 17

Brunkhorst si può comunque trovare una validissima ricostruzione storica di quella che è stata

l’origine e i primi passi dell’idea di solidarietà, ma in questo lavoro l’attenzione si concentrerà

piuttosto sulla seconda e terza parte del libro nelle quali vengono sollevati i problemi, già accennati

in precedenza, rispettivamente: dell’esclusione sociale e della creazione di un sistema normativo

costituzionale capace di implementare concretamente l’ideale di una solidarietà democratica

globale.

In conclusione, nel primo paragrafo sarà affrontato il discorso sui processi di esclusione,

presentando innanzitutto alcune posizioni dell’autore a proposito del rapporto tra democrazia e

globalizzazione, per poi chiudere con un breve riferimento ad Habermas, le cui idee sono

�8

! Da Brunkhorst stesso, a Enric Zoll o Rüdiger Wolfrum e Chie Kojima.15

! Brunkhorst, [1], p. XXIII. 16

! Si veda l’omonimo libro di Habermas La costellazione postnazionale.17

imprescindibili ai fini di una corretta comprensione del lavoro di Brunkhorst. L’ultimo paragrafo

verrà invece dedicato specificatamente al progetto costituzionale mondiale. Volendo essere

essenziali, il nucleo della tesi brunkhorstiana potrebbe riassumersi nel riconoscimento della

democrazia come il vero elemento di mediazione e traduzione tra la solidarietà (normativamente

concepita) da una parte, e la globalizzazione (costituzionalmente regolata) dall’altra, il che

spiegherebbe in modo chiaro perché l’unica possibile risposta risolutiva ai processi di esclusione sia

la realizzazione di un processo costituzionale partecipativo e permanente. Solo così il

riconoscimento e l’integrazione, oggi all’origine dei fenomeni di estremismo religioso che

minacciano tanto l’Occidente quanto l’Oriente, potranno venire finalmente affrontati; realizzando,

forse, un altro pezzo di quel progetto incompiuto di emancipazione che è la modernità.

!2. Origini, tendenze e costanti negli approcci contemporanei alla solidarietà A fronte di quanto detto nell’introduzione, è ora il momento di mettere in ordine le questioni fino a

qui solamente accennate, e di affrontarle cercando innanzitutto di chiarire qual’è il retroscena a

partire dal quale Brunkhorst prende le mosse. A questo proposito imprescindibile è un riferimento

alle origini concettuali della concezione contemporanea di solidarietà, nata in Francia nei primi

decenni del Novecento e poi diventata il modello di riferimento durante tutto il resto del secolo. Nel

corso del 1800, grazie anche alla diffusione del pensiero socialista, il concetto di solidarietà si è

affermato come uno degli elementi essenziali per qualsiasi riforma della società. Non è un caso che

il primo ad aver utilizzato questo concetto, riprendendolo dal diritto, fu Pierre Leroux, il quale

proprio sulla solidarietà costruì un modello di costituzione democratica e sociale. Se una

sistematizzazione più completa e raffinata di tale proposta si avrà solo con Durkheim (solidarietà

organica come solidarietà contrattuale), è comunque possibile affermare che fu proprio il

solidarismo francese a pensare la solidarietà nei termini di un fenomeno normativo  . Già secondo 18

Leroux infatti, essa rappresentava una valida risposta tanto al dilagante individualismo capitalista,

quanto al collettivismo comunista.

Da qui trasse poi ispirazione Léon Bourgeois, capo del primo Consiglio dei ministri francesi

di sinistra, che nel 1895 pose finalmente in modo serio la questione del superamento teorico e

politico della carità, a favore di una riformata e più moderna idea di cittadinanza sociale. Come

spiega molto bene Sabina Licurzi «per Bourgeois la solidarietà universale è un bisogno indotto

dallo sviluppo dei singoli individui che necessita sia di una teoria morale, alla Durkheim, sia di uno

�9! Cfr., Licursi [48], p. 36.18

strumento politico come il ‘quasi contratto d’associazione’»  . In questo modo essa diventa un 19

diritto legalmente esibito, cioè una vera e propria obbligazione giuridica. Addirittura Rainer Zoll

legge nel pensiero di Bourgeois un’embrionale idea di governance secondo la quale sarebbe

necessario assegnare ai cittadini un diritto maggiore di partecipazione alle politiche istituzionali  . 20

Comunque sia, sono queste le radici che predispongono la solidarietà ad essere declinata:

per un verso in termini welfaristici a partire dal secondo dopoguerra, e per l’altro seguendo una sua

precisa riconsiderazione democratico-normativa a partire dalla fine della Guerra Fredda. É infatti

importante sottolineare ciò, in quanto dagli anni cinquanta in poi il discorso sulla solidarietà si

intreccerà costantemente con quello dello Stato sociale, venendo addirittura assorbito all’interno

delle cosiddette politiche assistenziali, fino a riemergere solo verso la fine degli anni ottanta a causa

(o grazie) della messa in crisi della democrazia ad opera delle forze sistemiche mondiali che ne

hanno fatto saltare i confini e messo in crisi le consuete procedure di amministrazione. Prima però

di entrare nel particolare di tali questioni, utile è una brevissima panoramica su quelle che sono state

le tendenze più influenti degli ultimi cinquant’anni in tema di solidarietà  . 21

Nell’attuale dibattito sociofilosofico si possono distinguere almeno due grandi poli: il primo

che si riunisce attorno alla teoria della giustizia e il secondo attorno al cosiddetto approccio

postmodernista. Uno dei più illustri esponenti di quest’ultima corrente è per esempio Richard Rorty,

il quale sviluppa la sua posizione a partire dal rifiuto totale dell’idea di fondamenti ultimi o di

principi morali nella filosofia, affermando che non esiste opposizione tra la ragione (intesa quale

facoltà riconciliante, unificante e curativa) e il suo Altro (ad esempio le passioni, l’Essere

heideggeriano o la volontà di potenza nietzschiana)  . Egli vuole prendere distanza da tutte le 22

posizioni più tradizionali che vedevano proprio nella ragione la fonte, sia di un qualcosa che

accomuna tutti gli uomini, sia della solidarietà stessa. Il postmodernismo nega completamente

qualunque riferimento a entità come l’umanità o la natura umana che vanno sempre al di là della

storia e delle istituzioni.  Il bersaglio polemico qui è infatti la concezione dell’universalismo etico 23

secolare mutuato dal cristianesimo, un universalismo incompatibile con la posizione di Rorty, il

quale definisce la solidarietà ancora come «un qualcosa dentro ognuno di noi che risuona in

presenza di questa stessa cosa in altri esseri umani»  . 24

�10

! Ivi, p. 36.19

! Cfr., Zoll [67], p. 66.20

! Cfr., ivi, p. 80.21

! Cfr., ivi, p. 81.22

! Rorty [62], p. 218.23

! Ivi, p. 221.24

In opposizione a simili concezioni postmoderniste viene innestandosi l’approccio basato

sulla teoria della giustizia, da alcuni fatta risalire addirittura a Durkheim per la sua affermazione

secondo cui il compito delle società avanzate consisterebbe proprio nel creare un ordine giuridico

equo ed universalmente garante.  La giustizia venne poi messa al centro di quella che fu una delle 25

intuizioni più felici dell’autore, ovverosia, il riconoscimento di essa come presupposto per

l’affermarsi della solidarietà organica, tipica delle società industriali complesse funzionalmente

differenziate. Tali argomentazioni hanno successivamente avuto vita molto lunga, fino ad essere

state riprese da John Rawls, considerato l’autore di una delle più influenti teorie politiche del

Novecento. Il suo saggio Teoria della giustizia, non a caso, inizia assumendo quali figure di

riferimento Kant e lo stesso Durkheim, per poi muovere una dura critica alla posizione utilitarista,

portando avanti l’idea in base alla quale la risposta alla tendenza classica della società di produrre

disuguaglianze può essere risolta attraverso l’affermazione di due semplici principi: «1) ogni

persona ha uguale diritto alla più estesa libertà compatibile con una simile libertà per tutti gli altri 2)

le disuguaglianze sono arbitrarie, almeno che non si risolvano a vantaggio di ciascuno»  . Sulla base 26

di essi, la giustizia può allora venire intesa come un complesso di tre idee: libertà, eguaglianza e

retribuzione per i servizi che promuovono il bene comune. L’etica procedurale rawlsiana tenta così

di superare i dilemmi presenti nella posizione durkheiminana, facendo dell’equità il concetto

cardine attorno a cui costruire anche tutto il discorso del riconoscimento reciproco tra persone

diverse ma accomunate da interessi e capacità simili.

Axel Honneth si può dire che continui il programma rawlsiano, sviluppando ulteriormente la

questione del riconoscimento attraverso una rievocazione della tradizione francofortese, e in

particolare di Hegel, dal quale riprende l'idea di ‘visione reciproca’ che successivamente assocerà al

concetto di "trasformazione naturalistica" di Mead. Honneth perviene poi a tre modelli di

riconoscimento intersoggettivo: amore, diritto e solidarietà. Secondo l’autore essi coincidono a loro

volta con i tre livelli dell’autoconsiderazione: fiducia in se stessi, rispetto di sé e coscienza del

proprio valore  . In questo modo egli spiega come, se l’amore (espresso nella dedizione e 27

nell’assistenza) implica il riconoscimento dell'altro quale individuo, e se il diritto implica

l'attribuzione a tutti gli individui della stessa affidabilità morale (che viene presupposta), allora le

comunità basate sui valori implicano il riconoscimento reciproco tra persone ritenute dotate di

capacità utili per sé e per gli altri. Tale riconoscimento del valore altrui trova espressione

�11

! Crf., Durkhiem [32], p.148. 25

! Rawls [57], p. 312.26

! Honneth [44], p. 226.27

precisamente nella solidarietà, proprietà questa che sorge innanzitutto dalla realizzazione del

‘principio del tu’, cioè dalla presa di consapevolezza che l’altro (alter) riveste un ruolo decisivo

nella formazione dell’io (ego); qui i concetti di autocoscienza e ‘lotta per il riconoscimento’ di

hegeliana memoria fanno sentire tutto il peso della loro eredità   . 28

A questo punto è impossibile non ricordare Habermas, anche se gli verranno dedicate alcune

pagine verso la fine del paragrafo, poichè rappresenta una sorta di grande catalizzatore di tutte le

posizioni viste fino ad ora. Con lui, per esempio, la solidarietà diventa parte integrante di una

morale universalistica perdendo del tutto il carattere particolaristico che costituiva uno dei difetti

più gravi della concezione solidaristica di stampo operaio. La tesi forte di Habermas è che «la

giustizia concepita in senso post-convenzionale può convergere con il suo altro, la solidarietà, solo

quando sia stata trasformata alla luce dell'idea di una formazione discorsiva e universale della

volontà»  . Solo attraverso il superamento di un determinato mondo vitale, gli interessi individuali 29

possono farsi valere senza far venir meno l’aspetto dell’aggregazione in gruppo; il che oltretutto

porta alla scoperta del potenziale autentico di universalizzazione del discorso. Habermas ritiene che

«ogni esigenza di universalizzazione resterebbe lettera morta, se dall'appartenenza a una comunità

comunicativa ideale non scaturisse anche la coscienza di una solidarietà permanente, la certezza

della fratellanza in un contesto di vita comune»  . 30

Prendendo poi spunto da Habermas, J. Cohen e A. Arato concentrano l'attenzione sulla sfida

che la ‘differenza’ rappresenta per la solidarietà, e sottolineano come l'etica del discorso si proponga

proprio di affrontare tale confronto-scontro. Il vantaggio di formulare il concetto di solidarietà nei

termini della teoria del discorso, consiste principalmente nel poter tematizzare in modo esplicito la

‘differenza’, ormai diventata il problema principale delle società pluralistiche: «Il moderno concetto

di solidarietà che abbiamo in mente non richiede empatia né identità con l'altro con il quale siamo

solidali. La solidarietà complementare all'etica del discorso, tuttavia, comporta la capacità di

identificarsi con il non identico»  . In altre parole, comporta l'accettazione dell'altro come altro, cioè 31

‘l’Altro in quanto tale’ senza alcun pregiudizio riduzionistico nei confronti della sua identità.

Sulla diversità dell’altro come elemento essenziale per la solidarietà concreta, molto

importanti sono stati poi i lavori di Seyla Benhabib la quale a ragione si chiede se, alla fine di tutto,

sia realmente possibile formulare teorie morali prescindendo da un costrutto dell'Altro

�12

! Cfr., ivi, p. 247. 28

! Habermas [5], p. 331. 29

! Ivi, p. 276. 30

! Cohen, Arato [28], p. 16.31

generalizzato. Ciò non vuol dire mettere da parte quanto fino ad ora è stato costruito, bensì

riconoscere «che ogni Altro generalizzato è anche un Altro concreto»  . La questione della 32

concretezza di colui che è Alter richiama l’aspetto della solidarietà nella sua accezione più

quotidiana, una solidarietà che prescinde da qualunque struttura e che porta ad aprirsi totalmente

all’altro secondo un sentire pre-riflessivo. Sarebbero qui da prendere in considerazione gli

importantissimi studi di Paul Ricoeur quali Percorsi del riconoscimento e Sé come un altro, ma per

ovvi motivi di spazio e tempo saranno lasciati a spunti interessanti per prossimi lavori.

!!3. Esclusione e globalizzazione nelle democrazie contemporanee

Presentati i principali approcci contemporanei in tema di solidarietà, non resta che iniziare a

considerare quanto dice l’autore a proposito delle dinamiche concernenti il processo di

trasformazione delle democrazie occidentali; non dobbiamo dimenticare che il punto di partenza qui

è l’equazione tra democrazia e solidarietà. Tutte le teorie sopra accennate hanno come sfondo la

cosiddetta nascita della democrazia di massa, l’affermarsi del welfare state e la sua entrata in crisi a

causa dell’incremento del fenomeno della globalizzazione e sotto la pressione delle politiche

neoliberali. L’autore mostra fin da subito un atteggiamento critico verso il bilancio tra costi e

conquiste del lento processo di modernizzazione riguardante le condizioni sociali moderne: «the

expansion of social inclusion was acquired at the price of new exclusion, or of new forms of latent

or manifest oppression. The history of Western civilization and Western democracy is not only a

Rawlsian success story of expansion through the inclusion of the other»  . Considerazione questa 33

molto significativa perchè rivela in Brunkhorst una tensione di fondo che lo porta a considerare

l’elemento normativo, per un verso (negativo) come medium di repressione e stabilizzazione delle

aspettative, per l’altro (positivo) quale strumento in grado di incrementare le forme di autogoverno

e di responsabilizzazione del mondo civile:

!«However, the nation state, once it became democratic, possessed, not only the administrative power of oppression and control, but at the same time the administrative power to exclude inequality with respect to individual rights, political participation and equal access to social welfare and opportunities. Only the modern nation state possessed, not only the normative idea, but also the administrative power to achieve that».

BRUNKHORST, 2009, p. 3

�13

! Benhabib [20], p 64.32

! Brunkhorst, [1], p. 1. 33

!Se da una parte il problema che viene posto fin da subito riguarda proprio la questione della legge

come reale mezzo di emancipazione, dall’altra ad essere presi in esame sono anche i meriti che ha

avuto lo Stato-nazione nel superamento (presunto) delle tre principali forme di conflitto tipiche

delle società moderne. Il primo riguarda la risoluzione delle crisi provocate dalle guerre di religione,

il secondo la risoluzione delle crisi costituzionali della sfera pubblica e il terzo la risoluzione dei

conflitti di classe. Ciò è stato possibile, dice Brunkhorst, grazie all’emergere di uno Stato sociale

che ha trasformato l’élite parlamentare borghese del XIX secolo nell’egualitaria democrazia di

massa; la lotta delle classi sociali subordinate è stata istituzionalizzata allargando le forme di

rappresentanza o concedendo maggiori diritti, e la rivoluzione violenta è diventata una «legally

organized educational revolution»  . Ciò dovrebbe chiarire il perchè la crisi dello stato assistenziale 34

ha fatto riemergere il tema della solidarietà: nonostante gli sforzi messi nella costruzione di una

democrazia il più possibile egualitaria, giusta, universale, alla fine del XX secolo le violazioni dei

diritti umani, l’esclusione sociale, l’egemonia e l’imperialismo non solo non sono scomparsi, ma

anzi, cercano ogni giorno di riaffermarsi assumendo forme sempre più subdole e minacciose.

L’unico vero passo in avanti che Brunkhorst è disposto a riconoscere consiste nel fatto che oggi, tali

questioni considerate di ingiustizia sociale, vengono percepite come proprie da collettività sempre

più estese, il che lo porta a rilevare una sorta di ampliamento del grado di empatia individuale  . Le 35

ingiustizie subite da un gruppo o da una comunità, tendono ad essere affrontate in termini di diritti

universali, cioè in termini di problemi che potenzialmente possono coinvolgere ogni cittadino del

mondo  . 36

A questo punto però Brunkhorst decide di complicare il quadro della sua analisi,

introducendo tre osservazioni che segnano le coordinate generali di tutta la sua analisi critica. La

prima concerne il fatto che secondo lui il capitalismo moderno non esclude di per sé la solidarietà,

piuttosto, la relazione tra questi due elementi è caratterizzata da una forte ambivalenza. Nonostante

gli innumerevoli effetti negativi prodotti da una crescita incontrollata del sistema capitalista, esso

predispone e attiva nuovi strumenti di solidarietà umana: «Globalizing capitalism therefore is a

necessary condition of a cosmopolitan expansion of solidarity, but not sufficient at all»  . Il 37

capitalismo, che fa affidamento sulla competizione individuale e la distruzione di tutte le forme

�14

! Brunkhorst, [2], p. 7 34

! Cfr., ivi, p. 8.35

! Il tema di una nascente cosmo-politica è sempre di più al centro dell’attenzione anche dei politologi e degli studiosi di 36

relazioni internazionali. Inoltre in questa direzione spingono molto le teorie dell’ecologismo politico.! Brunkhorst, [3], p. 8 37

classiche di solidarietà, è un carattere necessario (ma non sufficiente) per la nascita di processi

solidaristici in grado di oltrepassare i confini nazionali. La seconda osservazione cade sul sistema

politico democratico, considerato quale rappresentante del progetto moderno di secolarizzazione.

Nonostante tutto, secondo l’autore, gli ideali democratico-costituzionali, da una parte mantengono

un legame interno con le origini più religiose della solidarietà, dall’altra combinano idee provenienti

da due fonti altrettanto antiche quali il repubblicanesimo e il monoteismo. Da quest’ultimo le

democrazie moderne prendono il concetto di equità universale (si pensi al motto della Dichiarazione

di Indipendenza «that all men are created equal  »), dal primo invece prendono l’intuizione secondo 38

cui equità e libertà hanno bisogno tanto di una struttura legale, quanto di una rappresentazione

istituzionale che le permetta un’effettiva realizzazione.   39

La terza osservazione introduce la questione del multiculturalismo, il quale rivela il volto

nascosto del processo di globalizzazione capitalista, in nulla meccanico o strumentale, ma piuttosto

valoriale e culturale. Gli anni Novanta, anche grazie alla caduta del muro di Berlino, alla fine della

Guerra Fredda e a tutta una serie di innovazioni tecnologiche (basti pensare a Internet), sono gli

anni in cui il tema ‘dell’estraneo’ diventa il centro attorno a cui si gioca la sfida della coesione

sociale (Nel 1992 esce la versione italiana del famoso libro di Honneth Lotta per il riconoscimento),

il fenomeno dell’immigrazione comincia a interessare l’Europa e si riaccendono forme più o meno

intense di nazionalismo. Non è quindi un caso che proprio in questo periodo, come già accennato in

precedenza, il tema della solidarietà venga ripreso e affrontato in termini, per esempio, di

‘inclusione delle differenze’ o di ’unione nonostante la differenza’  . Come giustamente sintetizza 40

Zoll, «il mutamento socioculturale delle forme classiche di solidarismo deve essere ricondotto ai

processi di modernizzazione e in particolare a quelli di stampo economico, tecnico e politico»  . 41

Capitalismo, religione secolarizzata e multiculturalismo sono allora i tre fattori principalmente

coinvolti nel processo di esclusione tipico delle società funzionalmente differenziate a cui

Brunkhorst dedica interamente il secondo capitolo.

É poi interessante notare come parallelamente all’analisi sistemica, l’autore venga

componendo una sorta di modello antropologico che manterrà invariato nel corso dell’intera sua

riflessione. Ad essere difeso è infatti sempre un ideale normativo di peoplehood quale «inclusive

�15

! Brunkhorst, [1], p. 84.38

! Cfr., Ivi, p. 85 39

! Cfr., Benhabib [20], p. 190.40

! Zoll [67], p.10 41

community of the affected»  i cui membri sono legati gli uni agli altri attraverso tre istanze di base: 42

linguaggio, desideri e azioni. Secondo Brunkhorst bisogna far prescindere la nozione di persona da

qualunque determinazione di tipo naturale, storica, razziale, etnica, linguistica ecc. e concentrarsi

sugli aspetti puramente formali di coloro che alla legge sono soggetti. Solo una concezione legale,

così astratta, di peoplehood può rispecchiare il bisogno di flessibilità concettuale richiesto per

concepire la persona secondo una ‘ontologia a geometria variabile’, invece che in termini

meramente gerarchi e consequenzialistici. In altre parole, qui ad essere a tema è il come trattare un

individuo che risulta essere contemporaneamente cittadino del proprio stato, della Comunità

Europea e del mondo  . 43

La necessità è allora quella di una normazione flessibile in grado di operare

simultaneamente a più livelli, ed è proprio per rispondere a una simile esigenza che l’autore compie

un’importante distinzione, la quale andrà a sancire una precisa presa di posizione in rapporto al

modo in cui va inteso il processo di costituzionalizzazione e, più in generale, a come si può

contrastare la logica escludente della modernizzazione. A questo punto Brunkhorst distingue una

prospettiva ‘evolutiva’ da una ‘rivoluzionaria’: «The former refers to the “evolutionary emergence”

of new social forms, a process that is by and large unplanned and unconscious, and that is visible

from the “external” perspective of the sociological observer. Revolution, on the other hand, refers to

the “revolutionary implementation” of new ideas, which is visible from the “internal” perspective of

participants in social change».  44

Come Durkheim e Parsons hanno mostrato, l’implementazione politica ed istituzionale di

forme specificatamente moderne di solidarietà organica, è fortemente connessa all’emergenza

evolutiva di società funzionalmente differenziate. Il problema è che tali forme di solidarietà non

sono co-originarie all’invenzione di questi sistemi sociali, ma piuttosto risultano da lunghe e

violente lotte tra le principali forze in campo. Brunkhorst sottolinea con forza l’importanza di

distinguere il processo evolutivo di una nuova ‘forma sociale’ (Marx) con mercati differenziati,

valori scientifici neutrali, leggi positive, coscienze individualizzate ecc. dall’emergere in modo

rivoluzionario di nuove idee come i diritti umani e la democrazia  . Secondo l’autore è proprio il 45

processo di differenziazione funzionale nelle società moderne (evolution), a far sorgere quei

problemi strutturali di inclusione che necessitano dell’introduzione di ampie forme di solidarietà

�16

! Brunkhorst, [1], p. 8942

! Cfr., Brunkhorst, [2], p. 5.43

! Brunkhorst, [1], p.79.44

! Cfr., ivi, p. 80.45

democratico-normative  . L’idea di base qui è quella di vedere la società né come un’aggregazione 46

di individui, né come un tutto organico, ma piuttosto in termini di sottosistemi specializzati ognuno

secondo la propria funzione. Ogni sistema crea ordine a partire dal caos, formando una realtà ben

circoscritta che si evolve seguendo una propria logica interna, il che se da un lato elimina qualunque

forma di solidarietà tradizionale, dall’altro la combinazione di istanze sistemiche quali il mercato e

lo Stato generano nuove forme sociali di integrazione senza solidarietà. La differenziazione

funzionale risulta quindi essere sempre accompagnata da un processo di de-solidarizzazione che

riduce la sussistenza dei legami sociali al mero interesse reciproco  . 47

É comunque chiaro che all’interno di tutta la ricostruzione concettuale che Brunkhorst

svolge a proposito del ruolo giocato dai processi di differenziazione nei confronti dei rapporti di

inclusione ed esclusione, permane un elemento conflittuale, un tentativo di far emergere

chiaramente la non linearità di tali meccanismi che solitamente si tende a concepire come univoci:

Under the “regime of functional differentiation,” according to Luhmann, the difference between stabilization and variation collapses. Functional systems constantly transform stability into variability, past into future, tradition into contingency. […] This disregard for solidarity, which is responsible for the integrative weakness of the social bond within functionally specialized systems such as the market, positive law, power politics, value-free science, and so forth, is nevertheless also the foundation of its revolutionary ability to unleash the forces of production, to “sweep away all “fixed, fast-frozen relations,” and to let all new-formed ones become antiquated before they can ossify. BRUNKHORST, 2005, p. 103

Inoltre, questo non è solo il principio evolutivo del sistema economico capitalista, ma di tutti i

sistemi funzionali: «The bourgeoisie does not produce differentiation; rather, differentiation

produces the bourgeoisie»  . Di conseguenza è quasi banale osservare che la rapida crescita di 48

sistemi così complessi comporti la nascita di seri problemi nella stabilità della struttura sociale.

L’aspetto però più interessante di ciò, e se si vuole anche il più paradossale, è che quando grandi

segmenti di popolazione rimangono perennemente esclusi, il meccanismo di differenziazione

funzionale salta: «The insufficient integration of a large portion of the population in the

communication of the functional systems, or rather, an overly sharp difference between inclusion

and exclusion, which is produced by functional differentiation, is incompatible with it in its

outcome and undermines the normal functioning of functional systems»  . A tal proposito 49

�17

! Cfr., ivi, p. 81.46

! Cfr., ivi, p. 93.47

! Brunkhorst, [3], p. 11.48

! Ivi, p. 13.49

Brunkhorst osserva come ci sono principalmente due macro problemi di inclusione che le società

funzionalmente differenziate non riescono a risolvere autonomamente. Il primo è una conseguenza

del processo di individualizzazione e si manifesta attraverso fenomeni di de-socializzazione degli

individui. Il secondo deriva dalla formazione di classi di persone totalmente dipendenti dal mercato

ed è definito dall’autore come proletarizzazione della società. Tra i due vi è ovviamente un rapporto

di stretta consequenzialità, poichè il bisogno per un sistema funzionalmente differenziato di

incrementare continuamente il fenomeno dell’individualizzazione, ha come effetto diretto

l’esclusione di interi segmenti di popolazione dalla partecipazione alla vita sociale per come è

organizzata nelle società complesse, provoca cioè una sua proletarizzazione appunto  . 50

Volendo entrare un po’ più nel dettaglio, è necessario chiarire che tipo di analisi e che

soluzione dà Brunkhorst di queste due disfunzioni sistemiche. Per quanto riguarda la prima va

sottolineato il fatto che essa ha radici profonde, risalenti almeno al XVII secolo, momento in cui

stava nascendo la questione di come creare un ordine sociale il più indipendente possibile dal potere

della chiesa e da qualunque fondazione metafisica. Qui l’autore compie un vero e proprio scavo

archeologico andando a riprendere tutta la tradizione giusnaturalista del contratto sociale, fino ad

identificarne l’interrogativo di partenza nella domanda: in quale modo individui naturalmente liberi

possono entrare in società, cioè in un ordine che limita il loro agire, mantenendo comunque un certo

grado di libertà ?  Le risposte sono state ovviamente innumerevoli ed anche molto diverse tra loro. 51

Sicuramente quelle di Hobbes, Kant e Rousseau hanno in comune la convinzione di poter trovare

una soluzione affidandosi completamente allo strumento normativo: il primo attraverso una forma

assolutistica, i secondi attraverso una sorta di autolegislazione democratica; idea che avrà tra i suoi

momenti più alti la stesura di un’opera come Per la pace perpetua che anticipa in modo visionario

il progetto di una costituzione globale (oggetto tra l’altro del terzo capitolo del libro qui in analisi e

di cui ci si occuperà in seguito)  . 52

Venendo a tempi più recenti invece, si può menzionare la risposta data dalla Rivoluzione

Francese che propose la creazione di uno stato costituzionale democratico, avente come punto di

partenza, per la realizzazione di una piena inclusione, il riconoscimento di tutti gli esseri umani

attraverso lo status di cittadini: «individualism became institutionalized through private and public

liberties»  . Facendo un salto ancora in avanti, è interessante osservare come per Durkheim la 53

�18

! Cfr., Brunkhorst, [1], p. 100.50

! Cfr., ivi, p. 95. 51

! A questo proposito si veda il libro di Alberto Burgio Per un lessico del contrattualismo moderno.52

! Ivi., p. 89.53

questione riguardante il modo di integrare simultaneamente libertà e ordine, ha una soluzione di

carattere normativo ma anche funzionale. Affinché si possano dare soggetti politici (cittadini o

legislatori), cioè soggetti capaci e legittimati a prendere decisioni vincolanti per il corpo collettivo,

un’unità sociale deve già esistere: «non tutto, nel contratto è contrattuale»  . Secondo Durkheim 54

occorre dunque cercare una risposta alternativa a quelle tradizionali, ed è così che introduce la

famosa divisione tra solidarietà meccanica e quella organica. L’intuizione qui è quella di identificare

nel lavoro, o meglio, nella sua differenziazione la chiave di volta che permette il passaggio da

società semplici a società complesse, ed è proprio in queste dinamiche che si annida l’origine di

tutti i problemi presi in considerazione da Brunkhorst.

Questo riassunto del lavoro genealogico compiuto dall’autore è quindi fondamentale per

comprendere a pieno quella che è la sua risposta al primo problema dell’inclusione, poichè egli si

colloca in una posizione intermedia tra l’impostazione kantiana (che ritornerà fuori anche quando si

parlerà di Habermas) e quella durkheimiana. Andando immediatamente al cuore della proposta si

può affermare che l’autore concepisca quale unico vero mezzo risolutivo la costruzione di una

democrazia costituzionale, solo essa è in grado di ordinare legittimamente la libertà individuale fino

a istituzionalizzare il fenomeno dell’individualismo facendone un elemento produttivo  . Ora però 55

bisogna chiedersi se questa risposta può valere anche per il secondo problema riguardante la

proletarizzazione della società, e se si in che termini. Esso ha infatti una dimensione più specifica,

in quanto sorge a causa dell’esclusione di grandi fette di popolazione dalle dinamiche societarie di

differenziazione funzionale. Per Brunkhorst l’inclusione politica attraverso diritti civili ha verso

questi individui esclusi un valore soltanto minimo: «For those who are denied access to the

achievements of the economic system, inclusion through political and human rights is practically

worthless»  . Per ottenere una soluzione duratura c’è bisogno che il processo di inclusione politica 56

coinvolga anche i diritti sociali (non è un caso che le rivoluzioni del 1848 in Europa, si sono

ovunque intrecciate con le lotte delle classi sociali del proletariato). Brunkhorst anche in questo

caso sostiene che la soluzione possa venire solo dalla costruzione di uno stato democratico

costituzionale, l’unico in grado di includere l’intera popolazione: «Democracy replaces the

communicative solidarity of premodern class society that was destroyed in the process of functional

differentiation»  . In questo modo si chiarisce meglio il perchè, come già detto più volte, la 57

�19

! Durkheim, [32], p. 218.54

! Cfr., Brunkhorst, [2], p. 20. 55

! Ivi, p. 22.56

! Ivi, p. 22.57

solidarietà, ma più in generale il problema dell’inclusione, hanno trovato una risposta concreta nella

forma dello stato assistenziale nato nel secondo dopoguerra. Il punto qui sta nel trovare la formula

più efficace in grado di coniugare libertà e diritti rispetto ad una società sempre più differenziata e

cosmopolita, il tutto in una cornice costituzionale:

The constitution within the democratic constitutional state is simultaneously the evolutionary solution of functional problems—coordinating the achievements of heterarchical functional systems with one another and with their human environment—and the revolutionary solution of normative problems—renewing through political self-determination the solidarities consumed in the course of functional differentiation. Certainly all evolution is also revolution, but revolution—bringing political power under a constitution, putting human rights into positive law, and transforming state sovereignty into popular sovereignty—is, in contrast to the natural evolution of functional systems, an achievement dependent upon the enlightenment of socialized subjects; BRUNKHORST, 2005, p. 90

In questo modo l’attenzione si sposta sul processo di costituzionalizzazione, vero cuore dell’opera

brunkhorstiana, a cui è dedicato l’intero terzo capitolo e tutto il paragrafo seguente: solo attraverso

la legge costituzionale il potere è legalmente codificato (Luhmann parla di ‘doppia codifica del

potere attraverso la legge’ ) e la legge politicamente legittimata (Habermas parla di legittimità

attraverso la legalità). Perciò «Only through the well-ordered exchange of reciprocal achievements,

can the borders between systems be stabilized and the border violations (which were characteristic

of preconstitutional conditions and were perceived, depending on one’s perspective, as either a

dominating despotism or political rebellion) be avoided»  . 58

!3.1 Habermas e la solidarietà democratica

A questo punto, prima di poter entrare nel merito del tema della solidarietà in rapporto al progetto di

una comunità legale mondiale, è necessario dedicare alcune parole al personaggio che

probabilmente più degli altri ha influenzato la riflessione di Brunkhorst, ovvero Jünger Habermas,

in quanto, come osserva Jeffrey Flynn: «Brunkhorst relies not only on a conception of freedom that

goes beyond the liberal ideal of non-interference, but also on a conception of democracy that goes

beyond the liberal model of aggregation of preferences and majority rule. This puts him in line with

a recent trend in democratic theory toward deliberative democracy»  . Il progetto politico 59

�20

! Brunkhorst [1], p. 91.58

! Ivi, p. XII.59

habermasiano si presenta infatti come una sorta di terza via, da lui chiamata ‘repubblicanesimo

kantiano’, che intende oltrepassare la dicotomia tra il liberalismo classico e il repubblicanesimo

civico, attraverso la connessione interna tra autonomia privata (libertà negativa) e autonomia

pubblica (libertà positiva, cioè sovranità popolare). Come ha messo bene in evidenza Edoardo

Greblo, il punto per Habermas sta nel riuscire ad opporre alle strutture formali di una democrazia

plasmata sugli automatismi della relazione di scambio, i contenuti di una democrazia sostanziale

basata sulla reale autodeterminazione degli uomini  . 60

La novità probabilmente più rilevante di questo aspetto della teoria habermasiana sta

nell’aver superato l’individualismo moderno, introducendo un soggetto linguistico che in quanto

tale è ‘naturalmente’ intersoggettivo. L’affermazione da cui infatti bisogna partire è che la

democrazia è possibile solo se pensata in termini di teoria comunicativa. Ora però bisogna spiegare

cosa si intende con tutto ciò, poichè solo attraverso la comprensione del preciso modello

antropologico delineato da Habermas si potrà parlare di solidarietà, e di essa in relazione al progetto

di una democrazia deliberativa. Per poter chiarire al meglio questa fitta trama di rapporti tra temi

apparentemente così lontani, il miglior punto di inizio risulta essere l’opera Etica del discorso

poichè è qui che l’autore formalizza il suo principio di universalizzazione che sarà alla base anche

della solidarietà: «Ogni norma valida deve soddisfare la condizione che le le conseguenze e gli

effetti secondari derivanti di volta in volta dalla sua universale osservanza per quel che riguarda la

soddisfazione di ciascun singolo, possano venir accettate da tutti gli interessati»  . 61

La mossa di Habermas risulta essere una sorta di reinterpretazione dell’imperativo

categorico kantiano, in quanto sposta il peso da ciò che ogni singolo può volere in modo universale,

a ciò che si vuole di comune accordo riconoscere come norma universale. Questo principio (U) ha

una rilevanza notevole anche per il diritto, poiché se la validità diventa una prerogativa soltanto di

quelle norme che trovano il consenso di tutti i soggetti coinvolti nel discorso, allora sarà necessaria

un’istituzionalizzazione giuridica, unico strumento capace di tutelare la totalità dei partecipanti e

delle norme stesse che in quanto universali sono per Habermas anche moralmente valide  . Dal 62

punto di vista funzionale si può insomma dire che egli concepisca il diritto quale insostituibile

meccanismo si regolazione delle azioni degli individui nelle società moderne differenziate, e ciò

acquista una fondatezza teorica solo se tanto le norme morali, quanto quelle giuridiche, trovano

un’origine comune nei processi discorsivi. Sarà allora l’intreccio tra principio del discorso e forma

�21

! Cfr., Greblo [41], p. 162. 60

! Habermas, [4], p. 74.61

! Cfr., Petrucciani [55] p. 143. 62

giuridica a far scaturire quello che Habermas chiama principio democratico  . Esso suona così: 63

«possono pretendere validità legittima solo le leggi approvabili da tutti i consociati in un processo

discorsivo di statuizione a suo volta giuridicamente costituito»  . É questo l’unico principio in 64

grado di generare un diritto legittimo in quanto discorsivamente fondato.

In questo modo Habermas ottiene una solida base antropologico-discorsiva a partire dalla

quale può confrontarsi con le principali tradizioni del pensiero, affermando come autonomia privata

e pubblica (sovranità popolare) non sono tra loro concorrenti, ma piuttosto risultano complementari

e reciprocamente fondanti. Tale risultato non può poi essere concepito se non all’interno di una

democrazia discorsivamente costruita, perchè è proprio dal Discorso che discende l’ideale

normativo democratico, cioè l’idea di una sovranità popolare come procedura basata sui processi

comunicativi della volontà politica  . La razionalizzazione sociale appare così la manifestazione 65

non soltanto di un’agire strategico, ma anche un’esplicitazione delle logiche di riconoscimento

fondative dell’agire comunicativo.

La teoria della democrazia deliberativa, ampliamente esplicata in Fatti e norme, deve essere

allora intesa come una vera e propria teoria generale del processo democratico nelle società

complesse, dove la legittimità dello Stato dipende dal processo di formazione dibattimentale della

volontà popolare che è totalmente condizionato dai contesti di un mondo della vita filtrati in senso

discorsivo  . In un tale sistema democratico il diritto non può così che essere il medium attraverso 66

cui il potere comunicativo viene formalizzato e istituzionalizzato diventando potere amministrativo;

ciò rispecchia la profonda convinzione habermasiana secondo cui sono i mezzi attraverso i quali

una maggioranza riesce a costituirsi come tale ad essere realmente importanti.

Sorge però spontaneo chiedersi in che modo quello che è stato detto fino ad ora interessi il

tema della solidarietà. Ebbene, a rispondere è lo stesso Habermas, quando già nell’introduzione di

Fatti e norme afferma come le caratteristiche costitutive del regime democratico così inteso siano:

«la socializzazione orizzontale delle persone giuridiche, l’organizzazione gerarchica delle

competenze statali, che autorizza all’agire collettivo i cittadini associati e la cultura politica

istituente solidarietà, l’unica in grado di permettere la formazione comunicativa di una volontà

collettiva»  . É poi interessante notare come l’autore, riprendendo l’analisi funzionalista di stampo 67

�22

! Cfr., ivi, p. 144.63

! Habermas [5] p. 262.64

! Cfr., Privitera [56], p. 72.65

! Cfr., Greblo [41], p. 164.66

! Habermas [5], p. 17.67

parsonsiano, identifichi in tre forze principali l’integrazione sociale: il denaro, il potere

amministrativo e la solidarietà  . Questa suddivisione deve infatti richiamare alla mente il sesto 68

capitolo di Teoria dell’agire comunicativo in cui viene tematizzato il concetto di ‘mondo-della-

vita’, molto importante perchè serve a identificare le dimensioni sociali non codificate attraverso le

istanze sistemiche quali il denaro (mercato) e la burocrazia (stato). A questo punto è possibile

affermare che nella logica habermasiana la solidarietà vada a identificare quel preciso potere di

integrazione caratteristico del mondo-della-vita. Verso la fine di Fatti e norme l’autore si spinge in

una dichiarazione ancora più radicale:

«Anzi, questa formazione politica della volontà, che mira orizzontalmente all’intesa e al consenso comunicativamente perseguito, dev’essere considerata prioritaria sia sul piano della genesi che sul piano normativo. La prassi dell’autodeterminazione civica ha per base una società civile autonoma (indipendente dall’amministrazione pubblica e dal commercio privato mercantile), che salvaguarda la comunicazione politica sia dall’essere risucchiata dall’apparato statale sia dall’essere assimilata alle strutture del mercato». HABERMAS, 1996, p. 469

Se tenuto conto di quanto detto fin qui le implicazioni normative diventano evidenti: la solidarietà,

per realizzare il suo obiettivo di integrazione, deve potersi sviluppare attraverso una sfera pubblica

autonoma, tanto da potersi affermare anche contro le varie istanze sistemiche fino a provocare una

modificazione nella comprensione della legittimità e della sovranità popolare. In conclusione si può

allora dire che la formula della ‘solidarietà tra estranei’, come la chiama Habermas, permetta

all’autore di spiazzare tanto i liberali quanto i comunitaristi e i più ferventi repubblicani,

mantenendo comunque il particolarismo dell’identità e l’universalismo della legge, senza quindi

mai subordinare a priori l’interesse del singolo a quello della repubblica e viceversa  . Già nei 69

presupposti pragmatici del linguaggio, abbiamo visto, si trova quell’universalità che permette di

tenere insieme identità culturali diverse, anche se tutto questo per trovare una reale manifestazione

ha bisogno di una sua istituzionalizzazione nella forma della democrazia deliberativa, l’unica che

procede attraverso un meccanismo formale legittimamente costituito.

!!!!

�23

! Cfr., ivi, p. 396. 68

! Cfr., Habermas [11], p. 28.69

4. Costituzione rivoluzionaria e persona All’interno del dibattito politico, filosofico e sociologico internazionale, sta maturando sempre di

più l’interesse verso la questione del, come lo chiamano Dardot e Laval, ‘Commun’.  In 70

precedenza si è parlato molto della globalizzazione, ebbene, essa non è altro che quel processo di

messa in comune della totalità del mondo. Fare della Terra uno spazio unico, significa renderlo

comune a tutti gli uomini che lo abitano e questo lo sapeva già molto bene Kant, quando nel 1795

pubblicò Per la pace perpetua, un’opera che per certi versi ricalca da vicino l’intento progettuale di

Brunkhorst. Tra i tanti meriti del filosofo prussiano vi fu certamente anche quello di aver introdotto

una terza dimensione nella teoria del diritto: oltre a quello statale e a quello delle genti

[Völkerrecht], arrivò a proporre il diritto cosmopolitico  . Egli aveva già compreso più di duecento 71

anni fa come ad un ordinamento politico pienamente moderno, democratico, costituzionale, basato

sui diritti umani, non potesse bastare la debole normatività in vigore a livello nazionale.

Il problema della creazione di un ordine globale ha quindi origini antiche; si può dire però

che tra tutti gli attori coinvolti in questo discorso, lo Stato ha da sempre costituito il punto di

intersezione tanto delle soluzioni, quanto dei conflitti in tema di configurazione geopolitica

internazionale. Come detto nel paragrafo precedente, la globalizzazione è stata la forza che più di

tutte ha messo in discussione l’identità dello stato-nazione tanto che, per dirla con le parole di

Rosanvallon: « Il y a une crise de l’Etat-providence. […] Il y a dix ans, l’Etat était très largement

considéré comme un instrument destiné à résoudre les problèmes; aujourd’hui, pour de très

nombreuses personnes, le problème c’est l’Etat »  . É questo allora il vero punto di partenza da cui 72

prendere le mosse se si vuole affrontare la questione della costruzione di un ordinamento mondiale

unitario.

Mettendosi per un momento da un punto di vista storico, sarà facile rendersi conto come

solo a partire dalla metà del XX secolo si possa iniziare a parlare dell’emergere effettivo di un

sistema funzionale mondiale, e ciò nonostante la permanenza di una divisione degli stati in macro

aree, dettata in gran parte dall'appartenenza ai blocchi ideologici di forze venutisi a creare in seguito

allo scoppio della Guerra Fredda. Brunkhosrt compie poi due osservazioni di non poco conto: la

prima rileva che durante gli ultimi decenni si è venuto a creare una rete di rapporti le cui

conseguenze sono empiricamente rilevabili «in the dependency of the life of all human individuals

on: socialization within rationalized value-spheres, belonging to post-conventional communities,

�24

! Cfr., Dardot, Laval [29], p. 3.70

! Cfr Habermas [6], p. 177.71

! Rosanvallon, Schultze, [63], p. 59.72

participation within expert-cultures, access to functional systems»  . La seconda afferma come 73

l’effetto sicuramente più drammatico causato dal sorgere di una società globale, è la perdita

dell’abilità da parte di una nazione di arginare il fenomeno della disuguaglianza. Questo, specifica

l’autore, è accaduto principalmente per quattro motivi:

!« 1)The state-embedded markets of regional late capitalism have been transformed into the market-embedded states of global Turbo-capitalism 2) the state-embedded religions of the western regional society have been replaced by the religion embedded states of the global society 3) the rapidly emerging global public also has emancipated itself from the bonds of the nation state, and therefore also has been deconstitutionalized 4) the executive bodies of the state decoupled themselves from the state based separation, coordination and unification of powers under the democratic rule of law and went global».

BRUNKHORST, 2005, p. 117 !Se con tali ragioni si spiega il perchè in una società globalizzata come quella attuale le

disuguaglianze vadano aumentando, è altresì importante vedere che la crisi di legittimità del mondo

della vita razionalizzato, diventa la crisi anche dei vari sistemi funzionali, il che sottolinea un forte

bisogno di trovare un attore in grado di sostituire lo stato-nazione tradizionalmente inteso.  74

Secondo Brunkhorst già a questo livello del discorso si può affermare che i problemi delle strutture

funzionali si intrecciano sempre con quelli di una nozione di solidarietà a carattere normativo: tutte

le soluzioni che in un qualche modo toccano il cuore di entrambi gli elementi sono legate, in

generale, al processo di costituzionalizzazione, ed in particolare a quello della società mondiale  . Il 75

primo punto che l’autore intende mettere bene in chiaro riguarda proprio il fatto che i problemi di

inclusione discussi nel capitolo precedente, in seguito all’incremento del processo di

globalizzazione, tornano a riproporsi potenziati e amplificati a livello globale. L’inizio del terzo

capitolo si preoccupa infatti di mostrare quanto tali problematiche non siano più una prerogativa

esclusiva delle società occidentali più sviluppate: «the inclusion problems similar to those that

marked Western modernization have now reappeared at the global level: the de-socialization of the

�25

! Brunkhorst [1], p. 121.73

! Si tenga presente fin da subito questo fatto chiarito molto bene da Brunkhorst in un paper dal titolo Constitutionalism 74

and Crisis. The World Society between Democratic and Hegemonial Cosmopolitanism: «States, multinational corporations, and globally interlinked professions have produced large parts of the law that they need in order to manage complex societies: more and more frequently this (hard or soft) law has not only emanated from supra- and international organizations like the WTO, EU, WHO, OECD, etc. but also from international courts of arbitration, transnational bureaucratic networks and semi-private, semi-public and often purely informal organizations; examples are shipping law as provided by the IMO in London, air safety law by the ICAO in Montreal, food standards by the FAO in Rome, intellectual property law by the WTO/ WIPO in Geneva, banking law by the G-10 in Basle (Basle Bank Committee), nuclear safety standards by the IAEA in Vienna, telecommunications law by the ITU in Geneva or the European administrative network IRG, university law by the Bologna-Process, motor vehicle standards by the ECE in Geneva, and standards for spanners, containers, etc. are available from the ISO in Geneva but only as a package with consumption, environmental and labor norms for the production, transport and sale of standardized products, etc».! Cfr., Brunkhorst [1], p. 129.75

individual is now well-advanced throughout the world and has resulted in various forms of

fundamentalism. Only combining functional and normative perspectives we will find the solution to

both problems in the extension of constitutional democracy»  . 76

Il secondo assunto teorico che va fissato si esplica invece nella convinzione secondo cui

l’unico modello insieme normativo e funzionale, realmente efficiente, nel quale le ‘scarse risorse di

solidarietà’ (Brunkhorst) non sono solo consumate, ma anche riprodotte ed estese oltre i confini dei

singoli stati, è quello del regime costituzionale democratico  . A questo punto il discorso non può 77

che affrontare in modo diretto la proposta risolutiva brunkhorstiana in quanto, come risulterà tra

breve, essa mostrerà aspetti alquanto sorprendenti, e rivelerà la convinzione che solo un progetto

concretamente radicale possa affrontare quell’infinità di problematiche elencate fin qui, figlie di un

processo di modernizzazione estrema. Volendo gettarsi subito nel cuore del discorso basti citare

questa frase «A democratic solidarity among strangers (Habermas) can exist only if […] the people

—no different than those who declared themselves citizens in 1789—creates itself in the process of

permanent constitution making»  . 78

I processi di integrazione e la lotta alle disuguaglianze seguono sempre un doppio binario di

riforme: da una parte, mantenendosi ad un lessico habermasiano, quelle concernenti l’aspetto

sistemico, dall’altra quelle riguardanti la dimensione vitale; il che mostra quanto la proposta

risolutiva costituzionale debba sapersi muovere sempre su due livelli, senza far prevalere l’uno o

l’altro piano. Per comprendere al meglio questa proposta è però necessario sapere cosa intende

precisamente Brunkhorst con ‘costituzione’, poichè è lui stesso ad affermare come questo termine

abbia assunto fin dall’antichità una pluralità di significati. Per ovvi motivi di tempo e spazio non si

potrà ripercorrere tutta la ricostruzione storico-politica fattane dall’autore, ci si limiterà soltanto a

trattare l’ideale costituzionale da lui proposto come base per la costruzione di una società globale.

Secondo Brunkhorst :

!«The new meaning of constitution goes back to the 18s century, and it means that she is referring to legal norms that regulate the relations between law and politics. Constitutions in the modern meaning are systems of higher level legal norms used to make legal rules. Contrary the power founding revolutionary constitutions: They imply a moment of political rupture that erases the old and creates the new power. Central to this concept is the subject of this act, the pouvoir constituant».

BRUNKHORST, 2007, p. 14 !

�26

! Ivi, p. 133.76

! Cfr., Ivi, p. 139.77

! Ivi, p. 118.78

Esempi paradigmatici di quest’ultima accezione di processo costituzional-costituente, sono senza

ombra di dubbio la Rivoluzione Francese e quella Americana, ed è qui che l’autore mette in

evidenza come secondo lui la costituzione vada intesa nei termini di: un processo (qualcosa che non

è mai dato in assoluto ed eternamente), auto-istituito (creates itself) e democratico, la cui legittimità

viene completamente costruita attraverso procedure legali frutto di un percorso di legittimazione

egualitario e inclusivo  . Il punto importante è l’enfasi data all’idea di ‘public autonomy’, cioè una 79

società non diventerà mai veramente democratica se il potere amministrativo non sarà legato a un

forte potere comunicativo espressione del discorso pubblico. Il modello che torna a riemerge è

dunque ancora una volta quello della democrazia deliberativa di stampo habermasiano, anche se

esso verrà contagiato con altre suggestioni, forse leggermente meno moderate:

!Therefore a revolutionary constitution must be defined as the two-stage structural coupling of: 1) the normative coupling of the communicative power (see below) of an autonomous public sphere with the systems of law and politics and 2)the normative coupling of public communication, collective and individual self- determination with the systemic complex of law and politics can be stabilized only if the democratic constitutional law can ensure the functional coupling of the legal and the political system.

BRUNKHORST, 2007, p. 19 !La domanda allora da porsi è: come può un modello costituzionale rivoluzionario garantire, usando

un espressione di Hanna Arendt, ‘il vivido potere delle persone’, il potere cioè autenticamente

costituente ? L’autrice non è stata citata a caso, anzi, essa rappresenta un’altra figura di riferimento

molto importante per lo stesso Brunkhorst, il quale nel rispondere chiama in causa proprio il

concetto di ‘rivoluzione permanente’ da lei sviluppato  . Il cuore normativo della teoria arendtiana 80

«is the idea of empowerment of the people by acting in concert and conflict»  e ciò rappresenta una 81

forte presa di distanza da tutte le comuni concezioni di costituzione come semplice strumento di

limitazione del potere. Nella sua celebre opera On Revolution del 1963, Arendt descrive una forma

di potere strutturale e costitutivo diverso da quello meramente comunicativo (già elaborato nel

precedente saggio Human Condition), un potere che definisce con l’espressione latina Constitutio

Libertatis. É quest’ultimo ad avere l’effettivo ruolo di generare e stabilizzare il potere comunicativo

delle persone. Essa distingue così tra costituzionalismo e costituzione rivoluzionaria

(constitutionalism end revolutionary constitution)  : mentre un regime costituzionale limita il potere 82

�27

! Cfr., Brunkhorst [1], p. 128.79

! Cfr., Arendt [13], p. 70. 80

! Ivi, p. 72. 81

! Cfr., ivi, p. 81. 82

di colui che governa, attraverso la legge e il ricorso a diritti individuali, una costituzione

rivoluzionaria ha come obiettivo l’allargamento, la stabilizzazione e l’incremento del potere delle

persone. L’idea di costituzione come processo mai concluso applicabile alla dimensione globale,

trova la sua origine in questa precisa distinzione, ed è proprio tale concezione normativo-

processuale a rappresentare per Brunkhorst la base del suo progetto di democrazia deliberativa:

«Arendt’s idea of a permanent revolution that is constitutional, is nothing else than an explication of

the very idea of a socially inclusive constitution of egalitarian mass-democracy»  . 83

Ecco così spiegata la radice dell’idea costituzionale brunkhorstiana, ma ciò non è ancora

sufficiente a dare conto della complessità del suo discorso. L’autore non manca infatti di osservare

come il punto di innesto della crisi di legittimità della società globale, è dato proprio dalla

coesistenza in tutti i regimi costituzionali post-nazionali dell’opposizione tra norme d’uguaglianza e

dichiarazioni democratiche da un lato, e le norme d’esclusione sociale (constitutional law of check

and balances, come le chiama lui) dall’altra. Ciò costituisce una chiara forma di conflitto tra

l’aspetto della predicazione e quello dell’implementazione dei principi democratici. Non stupisce

allora come tra i cosiddetti ‘avvocati’ del nazionalismo liberale (Yael Tamir), della solidarietà

repubblicana (Charles Taylor) o del patriottismo costituzionale (Jürgen Habermas), la posizione di

Brunkhorst si collochi in una quarta dimensione, caratterizzata da una concezione di libertà che va

oltre l’ideale liberale di non interferenza, in quanto propone un progetto di democrazia che guarda

al di là del modello liberale dato dalla somma delle preferenze e dal principio di maggioranza  . 84

Può risultare alquanto strano, ma è così che si arriva a parlare di solidarietà, in quanto non

ne esisterà mai una capace di porsi come attrice a livello globale senza che non vi sia stato prima lo

sviluppo di forme concrete di auto-governo democratico oltre i confini dello stato nazione  . Qui 85

l’anello si chiude e riemerge il tema della costituzione come rivoluzione permanente. Gran parte del

terzo capitolo del libro di Brunkhorst è proprio dedicato a queste forme di ‘self-governance’, poichè

ciò rappresenta il vero punto di passaggio da principi costituzionali normativi scritti solo su carta a

politiche reali di inclusione e solidarietà.

A tal proposito sono sostanzialmente due i temi più rilevanti sollevati dall’autore: il

significato di una sfera pubblica globale e il ruolo giocato dai diritti umani nella costruzione di

forme embrionali di solidarietà democratica post-nazionale. Di seguito si prenderanno in esame

questi due concetti per mostrare il modo effettivo in cui Brunkhorst concepisce la democrazia

�28

! Brunkhorst, [2], p. 11.83

! Cfr., ivi, p. 14.84

! Cfr., ivi, p. 22.85

deliberativa, nonostante si dovrà per forza di cose tralasciare l’analisi della parte dell’opera dedicata

specificatamente all’Europa. Bisogna allora fin da subito ricordare che la sfera pubblica rappresenta

(o dovrebbe rappresentare), nell’ottica dell’autore, il luogo della deliberazione:

« Following Nancy Fraser and Jürgen Habermas, he distinguishes between strong and weak publics. A public sphere is weak insofar as its deliberations shape opinion formation but have no power to make binding political decisions. This includes communication and deliberation that take place through various mass media, that are developed by non- governmental organizations (NGOs) in civil society, and so forth. A strong public sphere, on the other hand, is authorized to make binding decisions— for example, parliaments and legislatures whose deliberations result in deci- sions enforced by state administrations. Brunkhorst attempts to render this model more flexible and less closely attached to the particular institutions of the nation-state by not defining strong public spheres strictly in terms of their authority to make binding decisions. Rather, “where there is a normatively effective constitution, any autonomous public sphere is a strong public, as long as it excludes no one from discourse and contributes to binding decisions in a legally secured way ». BRUNKHORST, 2005, p. VIII !

In quest’ultimo caso si può allora parlare di ‘structural coupling’ tra il potere comunicativo della

dimensione pubblica, il potere amministrativo del sistema politico, e la forza giuridicamente

vincolante della legge. Come esempi paradigmatici di ‘pubblico forte’, l’autore cita i movimenti per

i diritti civili e quelli contro la Guerra del Vietnam negli Stati Uniti, in quanto attraverso la

combinazione di opinioni, atti provocatori, disobbedienza civile e dimostrazioni pubbliche, sono

stati in grado di rendere concreti i diritti civili e la legge internazionale, anche in contesti come

tribunali e corti penali di vario tipo  . Le persone si possono dire allora sovrane solo quando sono 86

disposte a imparare ad esserlo, cioè quando si mettono in discussione attraverso pratiche politiche

sperimentali che possono avere successo o fallire, ma dove l’importante rimane comunque il cercare

di coinvolgere quanta più gente possibile. É nella natura dello stesso processo di auto-governo

democratico l’includere e il dar voce a chi solitamente voce non ce l’ha. Una sfera pubblica

democratica deve poter risolvere i proprio problemi attraverso una comunicazione aperta e libera,

come diceva J. Dewey: «democracy is an inclusive, expanding network of communicatively

structured problem-solving communities»  . 87

Concludendo questo primo punto si può dire che la sfera pubblica non è mai qualcosa di

statico, il potere comunicativo che ne costituisce il cuore politico è qualcosa di altamente flessibile

che non può venire formalizzato una volte per tutte e trasformato in potere amministrativo. Questo

perchè il suo ruolo è proprio quello di modellarsi in base alla tipologia dei problemi che sorgono di

volta in volta, stabilendo quale punto di forza la capacità di adattamento, piuttosto che un nucleo

�29

! Cfr., Brunkhorst [1], p. 121. 86

! Dewey [30], p. 224.87

immutabile con pretese nomologiche: «Communicative power is basically, with Marx and Arendt,

the power to change the world through political action»  . In virtù di ciò, la sfera pubblica mondiale 88

sarà non solo una comunità discorsiva ideale composta da gruppi di istituzioni accademiche, né una

comunità legalmente costituita per rispondere a interessi locali, in essa piuttosto verrà costruendosi

un preciso modello antropologico capace di ridefinire completamente l’immagine che l’uomo ha di

se stesso  . 89

Ecco il motivo per cui Brunkhorst introduce la questione dei diritti umani, da lui pensati nei

termini di elementi-base proprio della costituzione. Nel momento in cui colui che ha il dovere di

prendere decisioni non tiene conto di chi rappresenta, essi si trasformano in variabili decisive per la

legittimazione democratica di una qualsiasi scelta politica: « The principle of democratic inclusion

is in one of the most important constitutional documents of international law, the UN-Charter,

pushed away into the declaration of “We the peoples...” of the Preamble which clearly claims for a

second civic track of legitimization “by” and “through” the peoples. […] In their function as a

placeholder for democratic legitimation, global human rights constitute a strong public-sphere-in-

the-making»  . É poi interessante osservare come Brunkhorst dedichi attenzione ai movimenti di 90

protesta e agli scontri violenti avvenuti a Seattle, sostenendo che essi hanno rappresentato non solo

degli atti di guerriglia fine a se stessa, ma una vera e propria mobilitazione di migliaia di persone

spinte da intenti seriamente democratici.

Prima di concludere però ancora due battute: la prima chiama nuovamente in causa

Habermas, alcune sue idee possono chiarire ulteriormente la prospettiva costituzionale

brunkhorstiana; la seconda invece cercherà di chiudere il paragrafo lasciando alla conclusione il

vero spazio in cui tirare le somme. Andando con ordine, in una conversazione con Mikael

Carleheden e René Gabriels  , Habermas afferma l’esistenza di un nesso interno tra i diritti 91

dell’uomo e quelli del cittadino. A unirli è l’elemento normativo implicito in una determinata

modalità di esercizio dell’autonomia politica, risultante dalla struttura comunicativa d’una

formazione discorsiva dell’opinione e della volontà pubblica; vi è sempre infatti una

presupposizione reciproca tra autonomia privata e pubblica. Volendo essere ancora più precisi: «la

cooriginarietà di sovranità popolare e diritti dell’uomo si spiega col fatto che la prassi civica

dell’autolegislazione ha bisogno di una costante istituzionalizzazione sotto forma di diritti politici di

�30

! Brunkhorst [1], p. 106. 88

! Cfr., Brunkhorst [2], p. 13.89

! Ivi, p. 14. 90

! Cfr., Habermas [11], p. 132.91

partecipazione attiva».  Insomma, il potere comunicativo della società civile deve essere convertito 92

in una qualche forma di legame normativo e potere amministrativo, in quanto l’aspetto procedurale

(nonostante rimanga la base) viene affiancato da una prassi che proprio grazie ad esso può diventare

forza legittimante.

Oltre allo stretto legame, già ribadito più volte, tra i due autori qui è importante evidenziare

quella che è la vera chiave di volta che regge l’intero arco della riflessione brunkhorstiana, ovvero il

fatto che la reciprocità tra dimensione pubblica e privata trova un’effettiva realizzazione proprio

nell’atto dell’autolegislazione, quell’atto originario che fonda il progetto di costituzionalizzazione

permanente. Volendo termine, è comunque obbligatorio rimarcare come l’opera analizzata possieda

ancora innumerevoli spunti che andrebbero sviluppati e temi che meriterebbero un

approfondimento, magari in un prossimo lavoro. Per questa ragione non resta che riassumere

l’aspetto realmente innovativo della proposta di Brunkhorst, ovvero l’intendere la realizzazione di

un’emancipazione democratica attraverso l’istituzionalizzazione del processo di auto-governo (self-

government) in forma costituzionale  . La costituzione, secondo l’autore, è un elemento dinamico 93

che si forma grazie ad una partecipazione popolare la quale implementa con essa le proprie

aspettative, desideri, valori, diritti, doveri, insomma, il proprio potere. Solo in questi termini si può

parlare di democratizzazione della società e, se si ricorda quanto detto all’inizio, per Brunkhorst la

solidarietà coincide proprio con la democrazia. Di conseguenza, il passaggio da forme di solidarietà

a dimensione nazionale funzionalmente intese, a forme di solidarietà post-nazionali, potrà

realizzarsi solo grazie al dispiegamento di una costituzione intesa nell’accezione dell’Arendt, cioè

un processo permanente di costituzionalizzazione radicale e rivoluzionario: «If there is any answer to the question of democratic legitimisation on post-national levels then it can be found only there where already the enlightened philosophers and radical republicans of the 18 Century have searched for it». BRUNKHORST, 2005 p. 107

«The results of this struggle cannot be predicted, but its goal is the completion of the constitutional project of 1789, which consists in the revolutionary correction of a blind constitutional evolution through the self-constitutionalization of democratic solidarity». BRUNKHORST, 2008, p. 20

�31

! Habermas [11], p. 134. 92

! Habermas, in una conversazione con Mikael Carleheden e René Gabriels, tradotta in italiano e raccolta nel volume 93

Solidarietà tra estranei. Interventi su fatti e norme, a cura di Leonardo Ceppa, edito da Guerini e Associati nel 1997 scrive: «vale la pena di ricostruire le ramificate implicazioni di un sistema giuridico che soltanto dall’idea di autolegislazione può ancora derivare la sua legittimità. […] Considero le costituzioni democratiche come altrettanti progetti su cui ogni giorno lavorano i poteri legislativo, giudiziario e amministrativo. […] Certo bisogna prendere congedo da interpretazioni venerande. Per esempio dall’idea che democrazia radicale significhi semplicemente socialismo dell’autogestione. Solo se pensata in termini comunicativi la democrazia è ancora possibile nelle condizioni delle società complesse. Occorre capovolgere il rapporto centro-periferia. Nel mio modello, ad accollarsi il peso delle aspettative normative sono soprattutto le forme comunicative di una società civile poggiante su sfere private mantenute intatte, ovvero i flussi comunicativi di una sfera pubblica vitale che s’inserisce dentro una cultura politica liberale».

!5. Conclusione

É arrivato il momento di tirare le somme, compito non facile data la ricchezza e la trasversalità del

tema; non bisogna dimenticare quanto la solidarietà sia un ‘concetto nomade’. Volendo però non

rinunciare e facendosi carico di tale carattere, l’intento di queste ultime pagine sarà non tanto quello

di fornire un quadro riassuntivo dei temi presentati, quanto piuttosto inserire l’intero discorso

brunkhorstiano in un orizzonte più ampio e allo stesso specifico, così da non ridurne la progettualità

ad uno spazio argomentativo astratto, ma innestandola nella realtà quotidiana del singolo che dovrà

sempre più responsabilizzarsi e diventare attore della propria legislazione.

Per fare ciò è utile partire ancora un’ultima volta da Durkheim, il quale fin da subito cercò di

trovare una ‘terza via’ tra la soluzione organicistica della comunità e quella individualistica della

società, affermando il principio cardine secondo cui «la nascita dell’individuo moderno non entra

necessariamente in contraddizione con l’integrazione sociale  ». L’aspetto del suo pensiero che qui 94

più interessa è senza dubbio il fatto che egli, più di altri autori, ha attribuito un enorme importanza

al diritto, elemento questo che da lì in poi è risultato essere il cardine attorno a cui si è giocata tutta

la questione della solidarietà. Esso, con l’età moderna, è diventato il medium per eccellenza che più

di altri influisce sulla struttura e sulla dinamica del legame sociale  . É addirittura possibile 95

affermare (e qui non si sta prendendo alcuna posizione in merito) che il diritto oggigiorno viene

considerato l’unica spiegazione plausibile della sussistenza di relazioni stabili e pacifiche  . Bisogna 96

dunque prendere atto del fatto che se una simile impostazione sembra, apparentemente, essere

quella egemone nel dibattito teorico contemporaneo, è necessario altresì almeno ricordare che non

sono mancati coloro i quali hanno assunto un atteggiamento fortemente critico verso una simile

‘normativizzazione’ dei rapporti sociali. Stefano Rodotà, per esempio, sostiene che «viviamo ormai

in una law-satured society, in una società strapiena di diritto, di regole giuridiche dalle provenienze

più diverse, imposte dai poteri pubblici o da potenze private, con un’intensità che fa pensare, più

che ad una necessità, ad un’inarrestabile deriva»  . 97

�32

! Protti [68], p. 31.94

! A questo proposito si veda il libro di Tommaso Greco, Diritto e legame sociale, Torino: Giappichelli Editore, 2012, 95

dove l’autore nella prima pagina scrive: «Lo spunto iniziale per realizzare questo lavoro è stato fornito da una sensazione precisa: in una fase storica nella quali il diritto sembra fare un passo indietro in ambiti caratterizzati dalla dissimmetria dei rapporti di forza, e che perciò richiederebbero un suo deciso intervento, ci si sta invece sempre più abituando ad un’idea che, se pure non rappresenta qualcosa di profondamente nuovo nel modo di concepire il ruolo che le norme giuridiche devono svolgere all’interno della società, rappresenta certamente il modello di riferimento nel pensare oggi le relazioni sociali»! Cfr., Greco [42], p. 2. 96

! Rodotà [60], p. 14.97

A questo punto viene però spontaneo chiedersi: che posizione occupa Brunkhorts nello

scenario appena tratteggiato ? In che modo concepisce il rapporto tra diritto e legame sociale ? Ad

un primo sguardo può sembrare che egli sia schierato dalla parte di coloro che pensano al mezzo

giuridico come all’unico strumento possibile per garantire una relazione sociale collettiva stabile e

sicura. Se però si guarda con più attenzione, seguendo anche quegli alcuni passaggi messi in

evidenza nelle pagine precedenti, si noterà che l’autore è schierato invece dalla parte di coloro che

vedono certamente il diritto come uno strumento importantissimo ed essenziale, ma che ritengono

altrettanto necessario recuperare «la dimensione sociale in polemica con quella statuale, collegando

esplicitamente alla prima una giuridicità più originaria (e forse per questo più legittima)»  . 98

Volendo attribuire un’etichetta alla posizione ricoperta da Brunkhorst si potrebbe parlare di

‘antiformalismo’, cioè quell’atteggiamento che combatte per il rinnovamento del diritto cercando di

costruire ponti di collegamento con la società nel suo darsi originario, presupponendo in essa

un’autonoma capacità organizzativa, una capacità di produrre regole e ordine indipendentemente

dall’azione statale o dai grandi organismi comunitari  . Su questa linea i nomi da poter citare sono 99

innumerevoli, basti ricordare almeno Hermann Kantorowicz, Léon Duguit, o Eugen Ehrlich il quale

scrisse che:

«Non è vero che le istituzioni giuridiche si fondino esclusivamente sulle norme del diritto. Morale, religione, costume, correttezza, persino etichetta e moda non regolano soltanto i rapporto extra-giuridici, ma entrano di continuo nel campo proprio del diritto. Il gruppo giuridico non potrebbe mai sussitere in virtù delle sole norme giuridiche, ma ha continuamente bisogno del sostegno di norme extra-giuridiche, le quali raddoppiano e integrano la sua forza. Solo tenendo conto della cooperazione tra le varie norme sociali si può avere un quadro completo del meccanismo della società» EHRLICH, 1976, p. 57

É innegabile come al disotto dello strato puramente argomentativo, a fare davvero la differenza, a

schierare cioè gli autori da una parte o dall’altra della scacchiera, vi sia una precisa concezione

antropologica e ciò, come già accennato in precedenza, emerge più di una volta all’interno

dell’opera. Concludendo, quello che preme maggiormente venga ricordato è l’idea seguente: in

Brunkhorst ad essere affermata è la convinzione del bisogno di una politica capace di realizzarsi

come ‘riformismo radicale’ (Habermas), come ‘speriementalismo democratico’ (Dewey e C. Sabel),

come ‘rivoluzione permanente’ (Arendt), come ‘self-government’ di coloro che sono cittadini tanto

del locale quanto del globale. Solo questi, in ultima istanza, possono essere dei principi

sufficientemente forti e concreti, a partire dai quali è possibile stendere un programma di

�33

! Greco, [42], p. 117.98

! Cfr., ivi,118.99

costituzionalizzazione globale.

Una politica tanto audace non troverà però mai una condivisione senza una corrispettiva

forma di solidarietà in grado di reggere un simile progetto di autonomia radicale. A questo proposito

allora si suggerisce di provare a pensare ad una solidarietà dell’impersonale, cioè ad una solidarietà

che lavori sul piano dell’immanenza (nel senso deleuziano del termine), dove la parola

‘impersonale’ «non rimanda all’omogeneità dell’indifferenziato ma alla mobilità eterogenea della

differenza. Esso non è la negazione della persona, ma la sua liberazione affermativa; non è detto che

al fondo dell’Uno vi sia per forza un Due in lotta con se stesso. Tra l’uno e l’altro vi sono i molti,

uniti in una combinazione plurale di singolarità»  . É così che il potenziale emancipativo del 100

progetto moderno, l’unione di immanenza, filosofia, diritto e politica della vita, troverà una piena

liberazione  . 101

!!!!!!!!!!!!!!

�34

! Esposito [36], p. 223.100

! Per una bella lettura su questo tema si veda R. Ciccarelli, Immanenza. Filosofia, diritto e politica della vita dal XIX 101

al XX secolo, Bologna 2009.

Bibliografia

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Milano: Feltrinelli, 2008. !7. Habermas Jünger, La costellazione postnazionale : mercato globale, nazioni e democrazia, a

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trad. ita. di Paola Rinaudo, Bologna: Il Mulino, 1986, vol. II. !10. Habermas Jünger, Teoria dell’agire comunicativo: razionalità nell’azione e razionalizzazione

sociale, 2 voll., trad. ita. di Paola Rinaudo, Bologna: Il Mulino, 1986, vol. I. !11. Habermas Jürgen, Solidarietà tra estranei : interventi su Fatti e norme, a cura di Leonardo

Ceppa, Milano: Guerini, 1997. !!!!

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Meltemi, 2002. !48. Licursi Sabina, Sociologia della solidarietà, Roma: Carocci, 2010. !49. Luhmann Niklas, La fiducia, trad. ita. di Luca Burgazzoli, Bologna: Il Mulino, 2002. !50. Margalit Avishai, La società decente, a cura di Andrea Villani, Milano: Guerini, 1998. !51. Panico Antonio, Coesione, integrazione, inclusione: la solidarietà nel pensiero sociologico,

Roma: Carocci, 2007. !52. Paugam Serge, sous la direction de, Repenser la solidarité: l'apport des sciences sociales,

Paris: Presses universitaires de France, 2007. !53. Pensky Max, The end of solidarity: discurse theory in ethics and politics, State University of

New York Press, 2008. !54. Petrella Riccardo, Il bene comune: elogio della solidarietà, prefazione di Luciano Gallino,

Reggio Emilia: Diabasis, 2003. !55. Petrucciani Stefano, Introduzione a Habermas, Roma; Bari: GLF editori Laterza, 2000. !56. Privitera Walter, Il luogo della critica: per leggere Habermas, presentazione di Franco Crespi,

Soveria Mannelli: Rubbettino, 1996. !

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57. Rawls Jhon, Una teoria della giustizia, trad. ita. di Ugo Santini; revisione e cura di Sebastiano Maffettone, Milano: Feltrinelli, 2004. !

58. Ricoeur Paul, La persona, a cura di Ilario Bertoletti, Brescia: Morcelliana, 1997. !59. Ricoeur Paul, Sé come un altro, a cura di Daniella Iannotta, Milano: Jaca Book, 2011. !60. Rodotà Stefano, La vita e le regole. Tra diritto e non diritto, Feltrinelli, Milano, 2006. !61. Rodotà Stefano, Solidarietà: un'utopia necessaria, Roma; Bari: GLF editori Laterza, 2014. !62. Rorty Richard, La filosofia dopo la filosofia : contingenza, ironia e solidarietà, prefazione di

Aldo G. Gargani, trad. ita. di Giulia Boringhieri, Roma; Bari: GLF editori Laterza, 2001. !63. Rosanvallon Pierre, Schultze Charles, La crise de l’Etat-Providence, Paris: Éditions du Seuil,

1981. !64. Rosati Massimo, Solidarietà e sacro: secolarizzazione e persistenza della religione nel discorso

sociologico della modernità, Roma; Bari: GLF editori Laterza, 2002. !65. Thelen Kathleen, Varieties of liberalization and the new politics of social solidarityeen, New

York: Cambridge University press, 2014. !66. Wolfrum Rudiger, Kojima Chie, Solidarity: a structural principle of international law,

Heidelberg: Springer, 2010. !67. Zoll Rainer, La solidarietà: eguaglianza e differenza, trad. ita. Anna Patrucco Becchi, Bologna:

Il mulino, 2003. !3. Strumentario

3.1 Manuali

68. Protti Mauro, Franzese Sergio, Percorsi sociologici. Per una storia della sociologia contemporanea, Milano: Mondadori, 2010. !

3.2 Repertori bibliografici

69. L’Anné Philologique: Bibliographie critique de l’antiquité gréco-latine. Publiée par la Societé Internationale de Bibliographie Classique, Paris: Les Belles Lettres, 1927 ss.

70. The Philosopher’s Index, Bowling Green: Philosopher’s Information Center, 1940 ss.

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