La Torre di Verezzi non é un Mulino, ma un Faro antichissimo

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Il Faro Mediterraneo diventa un Mulino Fenicio a Sua Insaputa. Prima parte, la torre di Verezzi reinterpretata Mulino Fenicio? Sopra il borgo medievale di Verezzi, su una costa carsica appena sovrastante due Chiese, una torre tozza di fattura molto antica é stata oggetto di alcune controversie. Il cosiddetto “mulino Fenicio” di Verezzi, Savona Facendo ricerche in rete, solo in Italiano, i termini ”Mulino Fenico” conducono sempre e solo ad uno scarno numero di pagine che definiscono la struttura come “il solo mulino ad asse verticale di origine arabo fenicia esistente in Europa”. Tentando ricerche con gli stessi lemmi, e con parole simili in Tedesco, Inglese, Spagnolo, Arabo e Francese non si trova esistere nella letteratura online nulla, assolutamente nulla di simile. O riferimenti di alcun tipo che non siano in Italiano e portino a Verezzi. Un cartello dietro la struttura a torre indica lo schema del funzionamento supposto del “mulino Fenicio”: le finestre, aperte o chiuse a seconda della direzione dei venti, permetterebbero a vele o pannelli verticali non solo di ruotare ai venti, ma di muovere le macine di un sottostante mulino in pietra.

Transcript of La Torre di Verezzi non é un Mulino, ma un Faro antichissimo

Il Faro Mediterraneo diventa un Mulino Fenicioa Sua Insaputa.

Prima parte, la torre di Verezzi reinterpretata

Mulino Fenicio?

Sopra il borgo medievale di Verezzi, su una costa carsica appena sovrastante due Chiese, una torre

tozza di fattura molto antica é stata oggetto di alcune controversie.

Il cosiddetto “mulino Fenicio” di Verezzi, Savona

Facendo ricerche in rete, solo in Italiano, i termini ”Mulino Fenico” conducono sempre e solo ad

uno scarno numero di pagine che definiscono la struttura come “il solo mulino ad asse verticale di

origine arabo fenicia esistente in Europa”. Tentando ricerche con gli stessi lemmi, e con parole

simili in Tedesco, Inglese, Spagnolo, Arabo e Francese non si trova esistere nella letteratura online

nulla, assolutamente nulla di simile. O riferimenti di alcun tipo che non siano in Italiano e portino a

Verezzi.

Un cartello dietro la struttura a torre indica lo schema del funzionamento supposto del “mulino

Fenicio”: le finestre, aperte o chiuse a seconda della direzione dei venti, permetterebbero a vele o

pannelli verticali non solo di ruotare ai venti, ma di muovere le macine di un sottostante mulino in

pietra.

La località, frazione Crosa, é isolata. A parte le due chiese in un punto panoramico vi sono più in

basso una decina di case antiche. Sotto, ad alcune centinaia di metri di distanza, tre frazioni

costituiscono il borgo di Verezzi. Immediato domandarsi perché mai il mulino si trovi dove

trasportare grano e farina è scomodo, mentre si incontrano ancora oggi in Liguria un numero

considerevole di mulini azionati da traino animale, in funzione fino ad epoca contemporanea, non in

cima a ripide salite.

Occorrono circa due metri al secondo di vento regolare per muovere con una minima efficienza le

ben disegnate pale dei moderni generatori eolici sulle cime del vicino passo del Melogno, a mille

metri di altezza. Sono site in zone di comprovati venti regolari, eppure non si muovono sempre.

La torre di Verezzi ha raramente venti così forti. Non è sita sul punto più alto, con tutti i venti da

ovest e nord chiaramente frenati se non del tutto occlusi dalle colline circostanti.

La presenza di finestre, pur credute azionate a creare una supposta corrente interna alla torre, non

giustifica la chiusura delle superfici atte a raccogliere la pressione dei venti.

Nulla a che fare con i mulini Persiani, con tutta probabilità i primi mulini a vento, ancora in qualche

caso in uso. Sono siti in zone di forti venti dominanti unidirezionali di natura continentale.

In quel caso la presenza di muri convoglia palesemente l'energia eolica, cosa qui assai più incerta.

Antico mulino Cinese usato come pompa

I soli altri mulini verticali storici, quelli Cinesi, hanno logicamente, infatti, vele orientabili ma

nessuna struttura circostante, che sarebbe solo in grado di limitare la forza motrice del vento.

L'altezza delle finestre a Verezzi, superiore al metro, comunque riduce fortemente le energie in

gioco. Pur ben orientate, le supposte pale verticali eserciterebbero forze dell'ordine di diversi

Newton, del tutto insufficienti a muovere non solo le macine del peso di molti quintali ma anche a

muovere in modo efficiente dei perni dei riduttori o altre strutture che possano farlo. Adducendo

inoltre complicazioni meccaniche e perdite che renderebbero il tutto completamente inutile,

ulteriormente meno efficiente di un semplice traino a due buoi.

La parte rivolta a nord e verso la montagna della torre andrebbe studiata con attenzione.

Per quanto modifiche successive siano state operate ed io abbia solo potuto fare delle foto esterne di

non buona qualità, parrebbe differente da quella rivolta al mare. La parte che dà verso la collina

potrebbe non aver avuto finestre, o essere stata diversamente strutturata rispetto a quella volta al

mediterraneo.

Le ultime modifiche interne, non esterne, non sono verificabili. La torre é stata attaccata da un

imprenditore locale, già noto calciatore di certo livello di formazioni Liguri e no, per costituirne si

presume una piccola abitazione o una torre di piacere. La vicenda si é chiusa il sei Maggio del 1983

con il sequestro cautelativo del bene dopo ordinanze disattese di Comune e Soprintendenza ai beni

culturali.

Il proprietario, un avvocato del posto, nonostante i lavori fossero proceduti per mesi, ha denunciato

l'ex calciatore per lavori abusivi. Essendo evidentemente il tutto successo a sua insaputa.

Ogni riferimento a recenti straordinari e vergognose situazioni di corruttela o concussione di un

noto politico Ligure sono... casuali: fatti e persone sono totalmente slegati. Semmai sono uniti da un

vizio di chi può a crearsi giri clientelari irrispettosi di leggi e beni naturali e storici, vizio diffuso tra

chi popola le coste e l'interno della penisola, intera.

Le polemiche derivate, l'osservazione che la torre é giudicata molto antica e pare essere la prima

struttura esistente nel Comune di Borgio Verezzi, le sue buone condizioni di conservazione ed il

fatto ulteriore che per anni si sia concesso un premio che porta il nome del “Mulino” consistente in

una sua replica non hanno aiutato a rivalutare scientificamente la struttura.

Un ingegnere avrebbe potuto rapidamente dimostrare l'improbabilità se non l'impossibilità tecnico

pratica di pale che entrino nel primo piano della torre a muovere macine se non di dimensioni molto

ridotte, incapaci del tutto di giustificare la struttura stessa a fronte di più efficienti e del tutto

economici mulini a traino animale. A parte le osservazioni fatte sulla collocazione della torre, non

adatta ad un mulino a vento, che sarebbe invece da mettere sul pianoro sopra!

Il concetto, direi io, il mito, si è comunque propagato.

Ad un significativo convegno a La Spezia (2008) per la presentazione del restaurato Mulino di

Campiglia, ad asse orizzontale, del tutto analogo ad altri recentemente in funzione in Sicilia e

indubbiamente un mulino, queste due torri vennero indicate come possibili mulini ad asse verticale:

Vernazza, Parco Cinque Terre La Serra, Spezia

Ciò nonostante il primo abbia feritoie strette e evidentemente inadatte a raccogliere energia eolica e

il secondo, forse dopo ristrutturazioni, sia del tutto privo di finestre dal lato di venti molto

importanti, la tramontana e il libeccio.

Il mulino, vero, di Campiglia e uno di quelli del tutto simili, qui funzionante delle saline di Trapani.

Ad onor del vero, le polemiche si erano aperte in passato, e intorno al periodo in cui il fatto

giudiziario aveva portato al suo sequestro, l'allora Direttore del Museo Archeologico del Finale

aveva chiaramente indicato che il “Mulino Fenicio” era solo un'ipotesi per la torre di Verezzi.

E, come tale, da verificare1.

I Fari e la Navigazione Cartaginese.

La mia ipotesi a riguardo é molto diversa. Ho pubblicato di recente sulle tecniche di navigazione

degli Axumiti o Etiopi e di quella koinè Arabo-Africana che ha dominato per oltre un millennio le

vie oceaniche di oro, avorio, mirra e seta tra sponde opposte dell'Oceano Indiano, tra il terzo e il

quindicesimo secolo della nostra era.

Mi fu necessario rivedere per lo studio le basi della navigazione Fenicia e Cartaginese, verificando,

per esempio che per quanto attraverso la 'stella Fenicia' o la Polare, traversate dirette fossero

praticate, la navigazione sotto costa fosse quella prevalente.

Tanto da aver imposto, da fonte storica Romana, ai Cartaginesi di stabilire una colonia ogni trenta

chilometri circa lungo gran parte delle coste del mediterraneo. E' del tutto probabile che queste

comunità fossero indicate alle loro navi da fari. Stranamente, pur trattandosi -facile presumere- di

costruzioni semplici, in pietra locale e dunque ben solide, nessuna sarebbe rimasta.

Faro o altare in un affresco Fenicio, IV sec. BC Il faro di Alessandria, ricostruzione del 2005

La navigazione sotto costa fa correre rischi gravissimi legati alla deriva e alla possibile scarsa

conoscenza dei fondali, nonostante Fenici e Cartaginesi avessero regolarmente il piombo a bordo,

con del sego posto in una struttura a campana nel fondo per poter sondare. Solo a chiosa noto che la

parola sondare da tali sonde di fondali deriva e che la parola anglosassone “leader”, oramai

acquisita da diverse altre lingue significa colui che guida, sondando e prelevando appunto con il

sego campioni di fondale col peso di piombo, “lead”.

E' ragionevole pensare che la navigazione notturna, oltre a rendere assai meno predabili le ricche

navi da carico Cartaginesi, sfruttasse la caratteristica delle brezze di terra di allontanare, spirando a

mare, da tratti difficili di costa, non di spingere su scogli avvistati tardivamente.

Tra la punta di Capo Mele, presso Andora ed il Finalese, l'alta e scogliosa isola Gallinara presenta

uno dei maggiori pericoli alla navigazione sotto costa in qualunque epoca di tutta la Liguria. E' la

sola grande isola della regione. Non tanto alta, però, da nascondere le stelle basse durante

l'avvicinamento, o così massiccia da non poter sfuggire anche in una notte senza luna.

Per la sua collocazione é immediato escludere che la torre di Verezzi sia una torre di avvistamento.

Le torri di avvistamento, dette in zona 'Saracene', in realtà atte piuttosto a verificare l'arrivo degli

Arabi dominatori del mediterraneo molto dopo, sono su punte a mare, non su costoni collinari.

La torre di avvistamento della Caprazoppa, in una foto di Carlo Lovisolo, Finale Ligure.

I fari iniziarono ad essere collocati su scogli a mare solo alla fine del XVII secolo. Il primo ebbe

corta vita, é il noto faro di Eddystone rocks in Inghilterra, più volte rieretto, demolito dai frangenti.

Eddystone rocks. I primi due fari, in legno, il primo resse meno di 5 anni. Il faro attuale con la base del terzo.

I fari dell'antichità sorgevano di preferenza in posizioni elevate, per aumentare la distanza di

visibilità e per non dover sfidare i flutti. Non occorreva fossero strutture alte.

Spesso dunque erano nell'immediato entroterra. Indicavano località di approdo, solo se non vi era

alcun rilievo prossimo necessitavano di alte torri, come il Faro di Alessandria o il Colosso di Rodi,

forse un faro, ma sulla cui natura resta un dibattito storico non risolto.

Un primo faro Cartaginese o nordafricano ritrovato? Ne esistono altri?

La perfetta collocazione della torre di Verezzi ad allineare Capo Mele e l'isola Gallinara e la sua

struttura, per quanto l'interno non sia ora visitabile portano a pensare indicasse il pericolo e la

presenza dell'abitato antichissimo delle Arene Candide, spiaggia finissima, solo di recente oggetto

del disastro ambientale provocato da una cava che ha distrutto le numerose grotte già abitate della

zona e asportato del tutto le sabbie bianchissime. Così posta indicava anche la Caprazoppa,

promontorio significativo e i buoni approdi del Finale.

La Gallinara é sulla retta congiungente Capo Mele e la Torre di Verezzi

Ipotizzo dunque fosse un faro, così costituito:

1. Un cilindro bruciatore alto oltre due metri, alimentato dal piano inferiore. Ritengo potesse

funzionare caricando di legna o carbone la parte inferiore e dirigendo la fiamma libera in

alto o con una serie di stoppini di dimensioni piuttosto grandi pescanti olio dal cilindro.

2. La fiamma libera, protetta dai venti dalla torre, aperta su finestre il cui numero poteva

indicare la località, come la tempistica dei lampi delle moderne luci rotanti dietro le lenti di

Fresnel. Era raggiungibile da una delle finestre laterali, a mezzo di una scala credo esterna.

O eventualmente salendo su pioli sul bruciatore spento.

3. La parete a nord e verso la collina poteva avere una lastra di metallo riflettente, come al

limite un palo da dietro poteva sostenere un'altra lastra riflettente più leggera posta sopra

alla fiamma.

Due storici dei fari riportano note o miti che riferiscono di specchi convergenti sopra dei fari

antichi: sarebbero serviti a vedere distanti navi ostili in avvicinamento. Non credo, ma é possibile

che l'idea sia nata da tempo, osservando lastre a specchio dentro o meglio sopra fari primordiali.

Ricordo che lastre riflettenti erano usate a specchio per confondere le galee nemiche proiettando il

sole sui naviganti nelle fasi di speronamento. E a chi avesse dubbi sulla capacità dei Cartaginesi di

produrre lastre riflettenti o un semplice bruciatore cilindrico rammento la complessa perfezione dei

quarantatrè ingranaggi del meccanismo di Antichitera, in grado di prevedere eclissi nei secoli a

venire e indicante le posizioni astronomiche di tutti i pianeti allora noti.

Fino alla metà del secolo scorso una luce della potenza di una lampada al sodio da via sarebbe stata

percepita da lontano come assai potente nel buio della notte. Ancora oggi le singole fotoelettriche

stradali presso Capo Mele sono visibili dalla torre di Verezzi. Reciprocamente una luce della

potenza di circa mille watt, inferiore a quella prodotta da una fiamma libera alta meno di un metro e

di circonferenza indicativa di trenta centimetri sarebbe ben visibile dal largo di Capo Mele.

Per oscurarsi regolarmente all'avvicinamento, inopportuno, di galee all'Isola Gallinara.

Un urto anche alla velocità di uno o due nodi delle navi Cartaginesi contro le sue scogliere avrebbe

significato, per le navi cucite, dunque più elastiche di quelle ad incastri e chiodate -ma senza

compartimenti- la perdita del carico prezioso di molte decine di tonnellate di vino, olio, spezie e

derrate non alimentari, e di quattrocento tonnellate per le navi maggiori.

Oltre a quella di numerose vite di marinai.

Ecco il motivo economico per avere due persone almeno che curavano la fiamma nelle notti senza

luna in particolare e per aver costruito li, lontano dalle attività locali e in ripida salita, una torre da

faro, non credo affatto un mulino.

Le foto del convegno di La Spezia che ho citato, la scritta in situ e il testo dei siti in rete che

ripetono l'osservazione che la torre “mulino” di Verezzi sarebbe analoga ad altre due ora diroccate,

una in Spagna ed una in Sardegna, per quanto vaghe e tutte da verificare, mi spingono ad affermare

che simili strutture esistenti, quando non siano palesemente torri di osservazione o costruzioni più

recenti, vadano accuratamente studiate e fatte oggetto di scavi archeologici.

Per quanto diverse indicazioni da Omero e da miti mediterranei fanno supporre che i primi fari al

mondo -quasi certamente legati alle culture mediterranee- fossero più antichi, il primo faro storico é

quello dell'isola omonima presso il porto di Alessandria.

Esiste una concreta possibilità che i Troiani o le straordinarie culture Anatoliche precedenti ne

avessero di imponenti all'ingresso dell'Ellesponto in particolare a capo Sigeo, avanti la caduta di

Troia VI, ca 1250 B.C. Lì una struttura esisteva storicamente. Alcuni farologi ipotizzano un faro a

Cartagine di epoca poco posteriore e che i Cartaginesi ne avessero eretto uno circolare a Cadice.

I primi fari di cui abbiamo prove storiche, intesi come strutture portanti luci ed abitabili o ben

accessibili all'uomo dal suo interno (acquisisco la distinzione degli storici Inglesi fra light

structures, fari non accessibili e lighthouses, fari veri e propri) furono dei Tolomei d'Egitto e dei

Greci, e dettarono i canoni delle torri di segnalazione dei naviganti Romani. I numerosi fari di

Roma replicavano nella sostanza le caratteristiche costruttive del faro di Alessandria, una base

rettangolare a volte colonnata e pilastri superiori di diverse forme di dimensioni calanti.

La torre di Verezzi, fosse un faro, rappresenterebbe dunque una struttura di diversa origine.

Intendo non Romana né Ellenistica, ma Cartaginese o nordafricana.

Ricerche anche da Googleearth o da immagini da satellite o aeree potrebbero concentrarsi sul

concetto della antica presenza di un insediamento Cartaginese ogni trenta chilometri. Distanza tra

villaggi che potrebbe essere stata dettata dalla necessità di segnalare con fari, oltre che controllare,

le coste. Le case di Crosa andrebbero investigate, gli scavi estesi al “villaggio del faro”, insomma.

La distanza tra insediamenti e pure tra antichi fari sarebbe in funzione più della potenza della

fiamma ritengo che della formula trigonometrica della visibilità dei fari. Per una torre sita a 281

metri come quella di Verezzi la formula dà distanze di visibilità teorica superiore a quella dei

migliori fari attuali, perché locati su torri a mare e dunque mai così alti.

Il Faro di Alessandria é stato valutato con precisione nel 1160 da un attento visitatore Arabo essere

alto oltre 140 metri, dalla base rettangolare di 72 già elevata dal mare di sette metri. Mai una torre

da segnalazione ha alzato luci così in alto.

Non ho visitato la più alta e apparentemente ben più recente torre di Vernazza. Non ho alcuna

indicazione a suo riguardo. Escluso per le strette finestre sia mai stato un mulino ad asse verticale,

noto che le stesse potrebbero forse aver aerato e protetto una fiamma che avrebbe illuminato il

costone immediatamente alle spalle, oltre a proiettare luci al mare.

La torre di Verezzi da Bing. Ora pare avere coperture modificate, dopo i lavori interni

Seconda parte, proposta di parco archeologico

Dalla Torre al Parco. La speculazione di una ditta famigliare o lo sviluppo del turismo per tutti?

Una proposta di ricerca-azione partecipativa.

E' necessario valutare bene la natura dei muri della torre. Scavi in zona, non solo sul pochissimo

suolo ove presente sui calcari molto erosi della base della torre e nel suo interno, andrebbero

accoppiati ad esperimenti pratici sul supposto faro, e ad una ricostruzione dello stesso.

La torre risulta intatta a parte le finestre occluse da muretti in pietra a secco, prima dei lavori interni

che ora una porta impedisce di vedere.

L'archeologia difetta ovunque, ora in Italia in particolare, di mezzi.

La significatività della presente ricostruzione, dovesse essere confermata, apre a collaborazioni

lungo tutto il mediterraneo e di tipo internazionale.

Da tempo viene richiesta l'istituzione di un parco, osteggiato per un meccanismo noto e semplice:

come la ricchezza delle navi da carico Cartaginesi poteva giustificare la presenza del faro in quel

punto e le spese di erezione e mantenimento dello stesso, i cavatori hanno un temporaneo enorme

beneficio dal cavato, dell'ordine di dieci volte lo speso od investito.

Dalla loro attività consegue dunque, comprovatamente, un grande potere economico e politico.

Invece del parco le amministrazioni potrebbero consentire, al posto della rinaturalizzazione delle

cave dismesse imposte dalla legislazione alla ditta Ghigliazza, responsabile della disastrosa e

praticamente irrecuperabile situazione attuale, di costruire una serie di residenze turistiche nella

cava, al posto del parco. Scavando quasi un altro milione di metri cubi di carso.

Il fronte cava, foto ivg.it Il Giovane Principe, Arene Candide Scavi da estendere?

A mio giudizio la presenza prossima di una struttura unica come la torre di questo studio e il valore

delle residue cavità imporrebbe un immediato cambiamento della destinazione d'uso della cava da

privata e soggetta ad investimento prima distruttivo, per quanto autorizzato e molto poco

controllato, poi speculativo, a pubblica di godimento turistico.

Verezzi, una delle frazioni, Le grotte di Borgio La piazza, una perfetta cartolina

Il parco che, insisto, andrebbe realizzato a breve unirebbe la zona carsica, con la stupenda grotta

mai abitata di Borgio, i residui del carsismo lungamente abitato della cava Ghigliazza, le cave

antichissime in Verezzi, l'abitato già molto turistico e francamente stupendo di Verezzi comprensivo

della panoramica frazione Crosa, con le sue case originali di impianto arabo o arabeggiante, le due

chiese, il cimitero e la torre di cui dibatto, probabilmente un antichissimo faro, forse il più antico del

mondo in ottima condizione di conservazione, riattabile per un uso chiaramente storico e turistico.

A far luce non solo sulla baia tra la Caprazoppa e capo Mele, ma su una Liguria diversa da quella

dell'incuria, delle varie cose insapute. A volte forse solo ben celate.

Illuminata al contrario dalla luce della ricerca sul passato, che stimola un futuro migliore.

Condiviso tra le sponde del mare nostro.

Il Parco Archeologico delle Arene Candide e della torre di Verezzi.

A questo scopo condivido in Inglese queste prime pagine con colleghi studiosi Mediterranei,

Africani ed Arabi, per programmare una visita di esperti del periodo Cartaginese.

La ricerca-azione per definizione è più compartecipata che accademica e tende a rispondere a

precise domande del territorio. Diventa attivismo quando, purtroppo di frequente, gli interessi di

pochissimi e l'inerzia e l'inconsapevolezza di molti danneggiano il territorio, l'ambiente e la Storia.

Un parco nasce spesso dalla forza di volontà di pochi consapevoli, ma si realizza solo se si compie

come un processo educativo partecipato.

Nel quale gli interessi dei molti e la preservazione di un futuro migliore prevalgono, non senza

conflitto, su quelli di pochi insuciatori ben difesi.

Munib Wober, Harvard Univ. e Marco Masetti, Univ. di Milano a Crosa durante il convegno Anno Domini 1000

Marco Viganò. Jeddah, 23 Settembre 2013-1434 Egirah

1 Comunicazione personale raccolta presso il Museo Archeologico del Finale

Il faro di Patara, porta una scritta col nome di Nerone, scavato nel 2005. Finora creduto il più antico esistente.

Bibliografia

1) www.pharology.eu , sito dedicato agli studi dei fari, in particolare la sezione dedicata ai fari Fenici e

Cartaginesi. Del Dr. Ken Trethewey.

2) http://www.svdonline.it/13502/mulino-fenicio/ Uno dei siti che citano il “mulino fenicio” di Verezzi.

3) http://www.lycianturkey.com/lycian_sites/patara-lighthouse.htm Il faro di Patara, probabilmente il

più antico esistente. Romano, epoca di Nerone, 65 AD.

4) The Ultimate Book of Lighthouses, Crompton & Rhein, 2002

5) The Story of Lighthouses, Chase, Mary Ellen, Norton & Co, New York, 1965

6) Ships and Fleets of the Ancient Mediterranean, Rogue, Jean, Wesleyan Univ. Press, 1981 (originale

in Francese).

7) The World's Lighthouses before 1820, Stevenson D. Alan, Oxford U.P., 1959

8) Leuchtürme Der Welt - Britische Insein, Norden, Ostsee, Kattegat, Zemke, Freiderich-Karl, 1992,

ISBN: 3-7822-0537-5, 184 pp.

9) The Lighthouse Encyclopaedia, Ken Trethewey, Lighthouse Society of Great Britain, 2003, ISBN

1.903586.10.5

10) A history of lighthouses, Patrick Beaver, P. Davies, 1971, 158 pp.