sabino fortunato Le valutazioni per il bilancio

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PROF. AVV. SABINO FORTUNATO ORDINARIO DI DIRITTO COMMERCIALE PRESSO L’UNIVERSITÀ DI ROMA TRE Sabino FORTUNATO Le valutazioni per il bilancio 1. Prima di affrontare più direttamente l’argomento vorrei compiere alcune osservazioni preliminari sul concetto di “valutazione” e quindi di valutazione “per il bilancio d’esercizio”. Non par dubbio che il termine “valutazione” è ambivalente. Può designare da un canto il processo valutativo, l’iter procedimentale del valutare; ma può, d’altro canto, indicare anche il valore attribuito ad un bene, il risultato finale del processo valutativo. A ciò si aggiunga che ogni valutazione, sia come valore che come procedimento, ha sempre un duplice profilo: quello qualitativo che coinvolge la finalità, lo scopo della valutazione; quello quantitativo che evoca la misurazione del valore e le relative tecniche di misurazione. Le valutazioni di bilancio o per il bilancio non sfuggono all’esigenza di chiarificazione degli aspetti sin qui rapidamente delineati. Innanzitutto

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P R O F . A V V . S A B I N O F O R T U N A T OORDINARIO DI DIRITTO COMMERCIALE PRESSO L’UNIVERSITÀ DI ROMA TRE

Sabino FORTUNATO

Le valutazioni per il bilancio

1. Prima di affrontare più direttamente l’argomento

vorrei compiere alcune osservazioni preliminari sul

concetto di “valutazione” e quindi di valutazione

“per il bilancio d’esercizio”.

Non par dubbio che il termine “valutazione” è

ambivalente. Può designare da un canto il processo

valutativo, l’iter procedimentale del valutare; ma può,

d’altro canto, indicare anche il valore attribuito ad

un bene, il risultato finale del processo valutativo.

A ciò si aggiunga che ogni valutazione, sia come

valore che come procedimento, ha sempre un duplice

profilo: quello qualitativo che coinvolge la

finalità, lo scopo della valutazione; quello

quantitativo che evoca la misurazione del valore e le

relative tecniche di misurazione.

Le valutazioni di bilancio o per il bilancio non

sfuggono all’esigenza di chiarificazione degli

aspetti sin qui rapidamente delineati. Innanzitutto

– 2 –

precisiamo che ci occupiamo di bilancio d’esercizio,

di valutazioni dunque che hanno ad oggetto un

complesso aziendale in funzionamento, cioè un

complesso di beni organizzati per produrre nuova

ricchezza, caratterizzato dal going concern. E analoga

osservazione riguarda il bilancio consolidato, salva

la precisazione che qui il complesso di beni

interessa un gruppo di imprese in esercizio.

Il rilievo segnala che le valutazioni di bilancio

hanno per un verso un oggetto i cui beni si integrano

in un complesso produttivo e che per altro verso

perseguono uno scopo diverso da quello in cui

l’attribuzione di valore si inquadra in una vicenda

in senso ampio di scambio, come appaiono le ipotesi

riassumibili nella espressione “operazioni

straordinarie”, dalla valutazione dei conferimenti in

natura agli aumenti di capitale sino al recesso e

alle fusioni, operazioni in cui si tratta di misurare

un trasferimento di ricchezza e spesso su basi negoziali. Le

valutazioni di bilancio sono diverse dalle

valutazioni per lo scambio, perché mirano a misurare

l’incremento o decremento di ricchezza in sé, prodotto

dall’esercizio dell’attività nel medesimo complesso

aziendale e tramite il complesso aziendale.

– 3 –

E allora cosa rileva giuridicamente in tema di

bilancio d’esercizio? Il processo valutativo o il

valore-risultato? Ovviamente dipende… Se si tratta di

giudicare il comportamento diligente del valutatore,

certo la correttezza del procedimento valutativo ha

il suo peso, benchè la correttezza/attendibilità del

valore-risultato può fungere da esimente, per la

semplice ragione che fa venir meno l’evento lesivo.

E’ chiaro, però, che la sanzione potrebbe operare su

un altro piano, sul piano personale della revoca

dell’incarico. Se si tratta di giudicare il dato

informativo in sé, allora il processo valutativo

potrebbe passare in secondo piano, e ciò che rileva è

il valore-risultato veicolato dall’atto/documento

informativo. Si passa così dal profilo soggettivo del

comportamento al profilo oggettivo dell’atto e della

sua validità. Nella misura in cui il valore-risultato

contrasta con un modello imperativo, posto a tutela

di interessi generali e indisponibili, l’atto è

affetto da nullità. E nel bilancio d’esercizio non

emerge un momento negoziale, ma una mera

dichiarazione di scienza/verità, un atto giuridico in senso

stretto che può essere a sua volta presupposto di

effetti legali vincolanti, facendo così emergere la

– 4 –

cd. funzione organizzativa del bilancio all’interno e

all’esterno dell’operazione societaria.

Questa dimensione più strettamente giuridica non

può, tuttavia, prescindere dalla selezione dei

criteri o del criterio valutativo congruo allo scopo.

E qui il tema si confonde con le opzioni tecniche,

meglio ancora si apre un possibile versante di

“discrezionalità tecnica” che deve confrontarsi con

le regole dell’arte, nel nostro caso le regole

aziendalistiche e ragioneristiche, spesso tendenti

alla standardizzazione. Può qui valere il richiamo

alla disciplina dell’arbitratore ex art. 1349 c.c.

che ha peraltro una caratterizzazione decisamente

negoziale? La valutazione di bilancio, in altre

parole, è da considerare nulla e revocabile solo

quando appaia “manifestamente iniqua od erronea” o

questo criterio-limite di validità è inidoneo per la

sua natura sostanzialmente negoziale ove applicato in

sede di redazione del bilancio? E’ vero che in alcune

decisioni relative alla regola fissata dall’art. 1349

c.c. la “manifesta” iniquità od erroneità non è

riferita al quivis de populo ma all’esperto del settore;

ma è altresì vero che in materia di valutazioni di

bilancio il criterio è perlopiù riferito alla

– 5 –

“ragionevolezza” della stima e soprattutto agli

“standard” valutativi generalmente accettati, ormai

tradotti nei cd. principi contabili nazionali o

internazionali. Tutto ciò non significa che le

valutazioni di bilancio non offrano margini di

discrezionalità, ma quel margine probabilmente si

colloca entro limiti più ristretti della “manifesta

iniquità o erroneità” che trova la sua radice

nell’origine negoziale della stima demandata al

terzo. Più che di manifesta iniquità.

2. Compiute queste osservazioni preliminari, vorrei

ora soffermarmi sulle novità più significative, a

vari livelli e a stadi di maturazione differenziati,

presenti in materia di valutazioni per il bilancio

d’esercizio e consolidato nel quadro normativo e nei

principi contabili nazionali e internazionali.

A livello di UE assistiamo alla recente adozione

di una nuova direttiva contabile (la direttiva n.

2013/34/UE del 26 giugno 2013) destinata ad essere

recepita negli ordinamenti nazionali entro il 20

luglio 2015 e che dovrà interessare la redazione dei

bilanci individuali e consolidati a partire

– 6 –

dall’esercizio 2016 per tutte le società non-IAS

compliance.

Questa direttiva sostituirà integralmente la IV e

la VII direttiva societaria e non è priva di novità

in materia di valutazioni, soprattutto di

immobilizzazioni e di strumenti finanziari.

In tale ambito va segnalata comunque la sentenza

ultima della Corte di Giustizia Europea, secondo cui

la clausola generale della true and fair vue (o della

“rappresentazione veritiera e corretta”) non

giustifica di per sé la rivalutazione in bilancio di

cespiti rispetto al loro costo di acquisto (o di

produzione) anche se il loro valore effettivo,

comprovato da una successiva rivendita, è di gran

lunga superiore, fermi ovviamente gli obblighi

informativi.

A livello di principi contabili internazionali da

un canto lo IASB ha pubblicato sin dal 12 maggio 2011

l’IFRS 13 “Fair Value Measurement”, che è stato

omologato con Reg. UE n. 1255/2012 della Commissione

l’11 dicembre 2012 (in GUCE L 360/78 del 29 dicembre

2012) e che trova applicazione alle società IAS

compliance dagli esercizi a far data dal 1° gennaio

2013; d’altro canto lo IASB ha ripreso da solo la

– 7 –

rielaborazione del Conceptual Framework, dapprima

avviata sin dal 2004 congiuntamente al FASB

statunitense, di poi interrotta in concomitanza dello

scoppio della grande crisi. La ripresa ha portato

alla pubblicazione di un Discussion Paper nel luglio 2013

sottoposto a “Comment letters” sino al 14 gennaio

2014. Si tratta di un corposo documento di 239

pagine, che contiene una “Section 6” dedicata alla

tematica del “Measurement”.

Dunque, l’informazione di bilancio continua a

procedere su due binari diversi, ma non senza

reciproche interferenze: da un canto il mondo non-IAS

compliance e dall’altro lato il mondo IAS compliance.

Il che solleva problemi di “confine”, ma

soprattutto problemi di “senso”: che accade quando

una società IAS compliance si trovi ad essere per così

dire declassata a società non–IAS compliance? Ma

soprattutto i tentativi di ibridazione fra i due

sistemi, cui spesso si assiste, sono idonei ad

offrire un quadro coerente di informazione per i

molteplici utilizzatori del bilancio? E che senso ha

una informazione contabile così disomogenea a livello

comparativo per le esigenze del mercato e più in

generale per le esigenze macroeconomiche?

– 8 –

Ma procediamo per gradi.

3. La nuova direttiva contabile si preoccupa

soprattutto di armonizzare due possibili interventi

in materia da parte degli Stati membri:

a) un intervento di semplificazione degli obblighi

informativi, che tenga conto del profilo dimensionale

della singola impresa obbligata alla redazione del

bilancio d’esercizio o del gruppo la cui impresa

madre sia obbligata alla redazione del bilancio

consolidato;

b) un intervento derogatorio rispetto al ribadito

“principio generale” di rilevazione e valutazione

delle voci di bilancio secondo il “prezzo di acquisto

o del costo di produzione”, intervento derogatorio

che può avere ad oggetto le immobilizzazioni con il

metodo della “rideterminazione dei valori” ovvero gli

strumenti finanziari o anche “determinate categorie di

attività” ulteriori secondo il criterio del “valore netto”,

diciamo pure del fair value.

In questa sede non importa tanto soffermarsi sul

primo possibile intervento, se non per segnalare il

marcato interesse dei Paesi membri – sostenuto dalle

istituzioni comunitarie – a “Pensare anzitutto in

– 9 –

piccolo” (è il titolo di una Comunicazione della

Commissione UE di giugno 2008 e rivista nel febbraio

2011), ad adeguare - nel nostro caso - le

informazioni contabili obbligatorie alle esigenze

proprie delle PMI, tenendo conto altresì dei costi-

benefici che ne possono derivare, anche in

considerazione della circostanza che tale tipologia

dimensionale supera il 90% del tessuto

imprenditoriale dell’economia europea. Di qui la

distinzione fra quattro categorie di imprese ai fini

delle semplificazioni nella redazione e pubblicità

del bilancio d’esercizio (microimprese, piccole,

medie e grandi imprese) e fra tre categorie di gruppi

per la redazione e pubblicità del bilancio

consolidato (piccoli, medi e grandi gruppi).

E’ probabilmente prematuro stabilire se il nostro

legislatore si orienterà verso il recepimento di

tutte queste categorie; mi preme segnalare che sino

ad oggi esso si è mostrato restio ad introdurre

eccessive semplificazioni che avrebbero ridotto

notevolmente la portata informativa dei conti

annuali.

Di maggior interesse per il tema che ci occupa è

l’eventuale adozione dei sistemi di “valutazione

– 10 –

alternativa”, rispetto al tradizionale principio del

costo storico, per talune voci dell’attivo, fra cui

le “immobilizzazioni” - alle quali potrebbe

applicarsi il “metodo della rideterminazione dei

valori” - e gli “strumenti finanziari”, ma anche

“altre categorie di attività” non meglio precisate,

ma che potrebbero riguardare pur sempre immobilizzazioni

materiali (“Immobili impianti e macchinari” come nello

IAS 16) o anche immobilizzazioni immateriali (gli

“intangible assets” come nello IAS 38) - e alle quali

potrebbe applicarsi il criterio del fair value -.

E’ importante precisare che la direttiva ribadisce

la centralità del principio valutativo del “costo

storico” in termini di “prezzo di acquisto o del

costo di produzione”, collocandolo non più

separatamente, alla stregua di un criterio base delle

valutazioni specificate nelle regole dedicate alle

singole voci1, ma come “principio generale di

bilancio” nella elencazione (cfr. art. 6 nuova

direttiva) che ricomprende i postulati della

1 L’art. 32 IV direttiva recita: “La valutazionedelle voci dei conti annuali è effettuata secondogli articoli da 34 a 42 che sono basati sulprincipio del prezzo di acquisizione o del costo diproduzione”.

– 11 –

“continuità aziendale”, della “continuità dei

principi contabili e criteri valutativi applicati”,

della “prudenza” (nelle sue varie declinazioni),

della “competenza”, della “coincidenza fra stato

patrimoniale di apertura e stato patrimoniale di

chiusura del precedente esercizio”, della “separata

valutazione degli elementi delle voci di attivo e

passivo”, del “divieto di compensazione” di partite,

della “prevalenza della sostanza sulla forma”, della

“rilevanza” o materiality.

Preme comunque evidenziare che la iniziale

rilevazione a “costo storico” deve poi adeguarsi alle

“rettifiche di valore”, sia per le immobilizzazioni

sia per l’attivo circolante, specificate nelle

disposizioni relative alle singole voci dello stato

patrimoniale (cfr. art. 12 nuova direttiva), ciò che

qualifica il principio valutativo generale, piuttosto

che come “costo storico” tout court, come “costo storico

recuperabile” (Recoverable Historical Cost)2.

Il principio del costo storico – come è noto – si

2 Vedi già questo rilievo in altro mio lavoro (Dalcosto storico al “fair value”: al di là della rivoluzione contabile, inA.V., IAS/IFRS. La modernizzazione del diritto contabile in Italia,Milano 2077, p. 365 nota 39), poi ripreso anche daMatteo Caratozzolo.

– 12 –

sposa con il principio di prudenza (o conservatism

principle), che nei considerando della nuova direttiva

viene letteralmente accostato alla clausola generale

della “rappresentazione veritiera e corretta”3. La

prudenza si esprime nell’asimmetria valutativa di

attività e passività, di rilevazione degli utili e

delle perdite (cfr. art. 6, par. 1 lett. c nuova

direttiva); ed il costo storico tende ad impedire la

rilevazione di plusvalenze da valutazione consentendo

solo la rilevazione di plusvalenze da realizzo,

mentre esige – come si è già evidenziato – la

rilevazione di rettifiche di valore verso il basso.

L’incidenza di questo sistema sulla true and fair view

è ribadito dalla recente sentenza della Corte di Giustizia

Europea del 3 ottobre 2013, in una controversia che vedeva

contrapposti lo Stato belga e una SA, in merito al

trattamento contabile dell’acquisto di quote sociali

avvenuto a fine novembre 1998 che, un mese dopo nel

gennaio 1999, venivano rivendute ad un prezzo 3.400

volte superiore a quello di acquisto. Nella specie lo3 Il Considerando n. 9 si apre in questi termini:“I bilanci d’esercizio dovrebbero essere preparatiin maniera prudente e fornire una rappresentazioneveritiera e corretta della situazione patrimonialee finanziaria dell’impresa nonché del risultatoeconomico dell’esercizio”.

– 13 –

Stato belga, per ragioni fiscali, sosteneva che

nell’esercizio 1998 le quote andavano iscritte non al

costo di acquisto ma al valore effettivo rivelatosi

tale in forza della sostanzialmente immediata

successiva rivendita, pur collocata nell’esercizio

successivo. E tanto in applicazione del principio del

“quadro fedele”, che in casi eccezionali, come quello

in cui il prezzo di acquisto di un elemento

dell’attivo sia “manifestamente inferiore al suo

valore effettivo”, impone di derogare al criterio del

costo onde non dare “un quadro falsato della

situazione finanziaria dell’impresa”.

La Corte di Giustizia Europea riconosce che il

rispetto del principio del “quadro fedele”

costituisce “obiettivo primordiale” della IV

direttiva (richiamando due precedenti sentenze del 27

giugno 1996 e del 14 settembre 19994), ma ribadisce

che “l’applicazione del principio del quadro fedele

deve ispirarsi, per quanto possibile, ai principi

generali contenuti nell’art. 31 della quarta

direttiva, fra i quali riveste una particolare

4 CGE, V sez., 27 giugno 1996, Tomberger, C-234/94,Racc. pag. I-3145 ss.; CGE, V sez., 14 settembre1999, DE+ES Bauunternehmung, C-275/97, Racc. pag.I-5347 ss.

– 14 –

importanza il principio della prudenza…”. Non solo,

ma “il principio del quadro fedele deve inoltre

essere interpretato alla luce del principio sancito

dall’articolo 32 della quarta direttiva, ai sensi del

quale la valutazione delle voci dei conti annuali si

basa sul prezzo di acquisto o sul costo di produzione

degli elementi dell’attivo”. Ne consegue che “la

sottostima di elementi dell’attivo nei conti della

società non può, di per sé, costituire un ‘caso

eccezionale’ ai sensi dell’art. 2, paragrafo 5, della

quarta direttiva”, poiché essa costituisce il “mero

corollario” della scelta legislativa a favore del

costo storico ed “è conforme al principio della

prudenza”.

4. Ciononostante, le spinte derogatorie – e non solo

fondate sui rari “casi eccezionali” che si riducono

perlopiù, secondo l’interpretazione più accreditata,

alle ipotesi di mutamento oggettivo della natura

economica del cespite da valutare – premono e il

legislatore comunitario tende a riconsiderarle nella

nuova direttiva.

L’art. 7 consente di autorizzare o prescrivere che

tutte o alcune categorie di imprese adottino il

– 15 –

“metodo di rideterminazione dei valori” delle

immobilizzazioni, evidentemente di ogni tipo di

immobilizzazione, e nei Considerando (n. 18) si

spiega che il costo storico, certo, garantisce

“l’affidabilità delle informazioni contenute nei

bilanci”, ma che bisognerebbe permettere o

prescrivere alle imprese di “rivalutare le

immobilizzazioni, al fine di consentire l’indicazione

di informazioni più rilevanti agli utilizzatori dei

bilanci”.

In verità la possibilità di legittimare

“rivalutazioni” delle immobilizzazioni in deroga al

costo storico è già previsto nella IV direttiva (cfr.

art. 33, par. 1, lett. c), mentre non sono più

riprese le disposizioni che legittimano la

valutazione delle immobilizzazioni materiali al

valore di sostituzione e di tutte le voci secondo

criteri che tengano conto dell’inflazione. Semmai si

ribadisce che la rivalutazione delle immobilizzazioni

deve accompagnarsi alla iscrizione di una “riserva di

rivalutazione” a patrimonio netto, convertibile in

capitale, e comunque indistribuibile “a meno che non

corrisponda ad una plusvalenza realizzata”. La

riserva non potrà essere ridotta se non per il

– 16 –

passaggio a capitale, o per successive eventuali

svalutazioni o ancora per le rettifiche di valore.

Bisogna, peraltro, ricordare che il nostro

legislatore non ha mai ritenuto di poter introdurre

nel sistema tradizionale un meccanismo generalizzato

di rivalutazione, sia pure limitato alle

immobilizzazioni, e non si vede perchè questa volta

ci si dovrebbe orientare diversamente.

Diversa è la deroga prevista soprattutto per gli

“strumenti finanziari”, compresi i “derivati”, che

secondo l’art. 8 possono o devono essere valutati al

“valore netto”, espressione con cui in un primo

momento si era inteso tradurre la corrispondente

espressione inglese fair value e che nella successiva

correzione pubblicata in GUCE L 215 10.08.2013 è

stata rettificata con l’ormai più nota espressione

“valore equo”. Nel Considerando n. 19 la deroga viene

giustificata da un canto per la maggior

“rilevanza” dell’informazione che ne consegue a

vantaggio degli “utilizzatori dei bilanci” e d’altro

canto – e stranamente - per favorire la

“comparabilità dell’informativa di bilancio

nell’Unione”. Dico stranamente, perché la deroga non

dà luogo necessariamente ad un regime valutativo

– 17 –

vincolante e generalizzato, posto che sono possibili

molteplici opzioni: gli Stati membri possono decidere

di “consentire” o meno l’adozione di tale criterio

valutativo; in caso positivo estenderlo a tutte o

solo ad alcune categorie di imprese; renderlo

applicabile per la redazione tanto dei bilanci

d’esercizio quanto dei bilanci consolidati ma anche

solo dei bilanci consolidati; estenderlo al di là

della valutazione degli strumenti finanziari, anche a

non meglio precisate “attività diverse”. Tutto ciò,

ovviamente, con buona pace della pretesa esigenza di

“comparabilità” dell’informativa di bilancio

nell’Unione.

Peraltro la valutazione a fair value è esclusa per

molte categorie di strumenti finanziari: quelli non

derivati detenuti fino a scadenza; i prestiti e

crediti originati dall’impresa e non detenuti a scopo

di negoziazione; le partecipazioni in imprese

controllate, collegate e in joint venture; gli strumenti

di capitale emessi dall’impresa; i contratti che

prevedono un corrispettivo potenziale in operazioni

di aggregazione aziendale; altri strumenti finanziari

che abbiano caratteristiche tali da esigere una

contabilizzazione secondo criteri differenti.

– 18 –

La nozione di fair value rilevante è ovviamente del

tutto vicina a quella che si è andata affermando

nell’ambito IAS-IFRS e secondo la gerarchia delineata

nell’IFRS 13: (i) essa coincide innanzitutto con il

valore di mercato dello strumento laddove esista un

suo “mercato attendibile” e facilmente individuabile;

(ii) in mancanza con il valore di mercato

“derivabile” da quello individuabile per i suoi

componenti o per uno strumento analogo; (iii) in

mancanza di qualsiasi mercato attendibile, con il

valore risultante da “modelli e tecniche di

valutazione generalmente accettati”, purchè

assicurino una “ragionevole approssimazione al valore

di mercato”.

Ove neppure tali modelli e tecniche sussistano, il

criterio di valutazione torna ad essere il “costo

storico” (prezzo di acquisto o costo di produzione),

nella misura in cui sia possibile effettuare tale

valutazione.

Peraltro, anziché dettare una specifica

regolamentazione secondo le linee sopra indicate, gli

Stati membri possono limitarsi ad effettuare un

rinvio ricettizio agli IAS-IFRS omologati dall’UE in

merito a rilevazione, valutazione e informativa degli

– 19 –

strumenti finanziari.

E’ importante attirare l’attenzione sul

trattamento contabile delle “variazioni” di valore,

successive alla prima iscrizione a fair value dello

strumento finanziario o anche dell’attività diversa.

In via di principio tali variazioni sono registrate a

Conto economico, e dunque incidono sul risultato di

esercizio. Le possibili eccezioni, che invece

legittimano l’iscrizione delle variazioni in una

“riserva di fair value” a patrimonio netto, sono

costituite da variazioni concernenti: (i) strumenti

di copertura che per loro natura consentono di non

iscrivere a conto economico tutta o parte della

variazione; (ii) differenze di cambio di un elemento

monetario parte di un investimento netto dell’impresa

ina una entità estera; (iii) attività finanziarie

disponibili per la vendita (AFS) diverse da derivati.

Attualmente il nostro ordinamento relega le

“informazioni relative al fair value degli strumenti

finanziari” in nota integrativa secondo il dettato

dell’art. 2427-bis c.c., con dati più o meno

equivalenti a quelli desumibili dall’art. 8 della

nuova direttiva contabile, se non fosse per il

riferimento a più dettagliate casistiche presenti

– 20 –

nella direttiva e al riferimento al “mercato attivo”

nella norma civilistica piuttosto che al “mercato

attendibile”. Ovviamente, la valutazione a fair value

riportata in nota integrativa non incide sulla

rappresentazione veritiera e corretta di stato

patrimoniale e conto economico; e se la direttiva

contabile dovesse trovare attuazione nel nostro

ordinamento, ciò si rifletterebbe in termini

significativi su quella rappresentazione. Lo

stravolgimento del principio del costo storico,

specie se l’estensione del fair value andasse oltre la

valutazione degli strumenti finanziari e investisse

anche altre attività (come immobilizzazioni materiali

costituite da immobili, impianti e macchinari; o

anche le immobilizzazioni immateriali per le quali

sussista un mercato attivo; o ancora gli investimenti

immobiliari e le attività biologiche e prodotti

agricoli, come accade negli IAS-IFRS), diverrebbe

pervasivo, riproponendo in buona parte le

problematiche che già furono in qualche modo agitate

a proposito del recepimentodella cd. direttiva di

modernizzazione delle direttive contabili, la n. 51

del 2003 (su cui cfr. il mio contributo in….), che

faceva un tentativo di avvicinamento del mondo non-

– 21 –

IAS compliance al mondo IAS compliance. Quel

tentativo, com’è noto, che pure si era tradotto in un

progetto dell’OIC, non trovò sbocco definitivo in un

mutamento legislativo, in forza di molteplici

obiezioni che furono allora mosse e che non si vede

come oggi dovrebbero considerarsi superate. Ricordo

che quella direttiva si divideva in due parti: una di

carattere vincolante e l’altra di carattere opzionale

per gli Stati membri; e che la parte non recepita fu

appunto questa seconda opzionale. Oggi la situazione

non è mutata, considerata l’ampia facoltà rimessa

dalla nuova direttiva contabile agli Stati membri.

Riassumo le obiezioni verso un recepimento di tale

disciplina nell’ambito degli schemi contabili di

bilancio: (i) lo sforzo di avvicinamento appare

sostanzialmente inutile sia perché il d.lgs. n.

38/2005, con cui si è provveduto a definire l’ambito

soggettivo di applicazione diretta degli IAS-IFRS,

prevede l’estensione dei principi contabili

internazionali a quasi tutte le società, ad alcune in

via obbligatoria e ad altre – molte delle quali

riconducibili al cd. “mondo non-IAS” – in via

facoltativa, restandone escluse solo le società che

redigono il bilancio in forma abbreviata; sia perché

– 22 –

lo stesso IASB, rendendosi conto della non integrale

adeguatezza e spesso eccessiva dispendiosità per le

piccole e medie imprese (PMI) della integrale

applicazione degli IAS-IFRS a tale tipologia di

imprese, ha adottato un set specifico di standard per le

PMI, allo stato peraltro senza molto successo; (ii)

ma soprattutto, oltre che inutile, la cd.

modernizzazione del diritto contabile locale appare

anche teoricamente inaccettabile, poiché finisce per dar

vita ad una sorta di “monstrum”, che non risponde né

alla logica tradizionale del costo storico, né alla

logica innovativa del “fair value”, traducendosi in

una soluzione ibrida che non sa né di carne né di pesce.

5. Si è detto all’inizio di queste note che sul

versante dei Principi contabili internazionali il

tema delle valutazioni per il bilancio si è

arricchito di un nuovo Standard, l’IFRS 13, ma anche

di una ripresa del dibattito sulla rielaborazione del

“Quadro Concettuale” (Conceptual Framework) per la

revisione o redazione degli stessi IFRS, e in questo

ambito anche per le questioni di “Measurement” (cfr.

Section 6 del Discussion Paper di luglio 2013).

L’IFRS 13 è una sorta di superstandard, nel senso

– 23 –

che esso offre una definizione univoca del fair value ed

un unico quadro di riferimento per la relativa

valutazione, da applicare in tutti gli standard

specifici ove il criterio è richiamato, a meno che

non sussista una espressa esclusione. Ne è conseguita

la modifica di numerosi standard (IAS 39 e IFRS 9,

IAS 16, IAS 40, IAS 41 e IAS 19) per adeguarli alle

linee guida recepite nell’IFRS 13.

Il principio contabile sottolinea che il fair value è

un “criterio di valutazione di mercato, non specifico

dell’entità”, e ciò al fine di sottolinearne la portata

oggettiva. In questo senso devono essere massimizzati –

anche nelle tecniche valutative che non utilizzano

dati disponibili di mercato – input osservabili rilevanti,

riducendo al minimo l’utilizzo di input non osservabili.

Anche ove non dovessero essere disponibili

transazioni o informazioni di mercato “osservabili”

per una data attività o passività, la finalità è

sempre quella di “stimare il prezzo al quale una

regolare operazione per la vendita dell’attività o il

trasferimento della passività avrebbe luogo tra gli

operatori di mercato alla data di valutazione alle

condizioni di mercato correnti (ossia un prezzo di

chiusura alla data di valutazione dal punto di vista

– 24 –

dell’operatore di mercato che detiene l’attività o la

passività)”.

A fronte della consueta normale definizione di fair

value utilizzata in precedenza dagli standard (pur con

qualche oscillazione), che si esprimeva in termini di

“importo al quale una attività potrebbe essere

scambiata o una passività estinta fra parti

consapevoli e motivate in una normale transazione”,

l’IFRS 13 pone l’accento su alcuni elementi che

evidenziano il carattere utile dell’informazione per

le decisioni di una specifica categoria di

utilizzatori: gli investitori. Esso infatti si fonda

sull’exit price (piuttosto che sull’entry price), di cui è

aspetto particolare il trasferimento (piuttosto che la

generica estinzione) della passività; valorizza la

nozione di “operatori di mercato” e di “mercato

principale” o – in seconda battuta – di “mercato più

vantaggioso” accessibile, volendo con ciò da un lato

rinviare alle “assunzioni che gli operatori di

mercato utilizzerebbero nella determinazione del

prezzo dell’attività o passività, presumendo che gli

operatori di mercato agiscano per soddisfare nel modo

migliore il proprio interesse economico” (ivi

comprese le assunzioni sul rischio) e d’altro canto

– 25 –

al mercato che presenta il più alto volume di scambi

e livello di attività per la specifica attività o

passività dell’entità o, in mancanza, il mercato che

massimizza l’ammontare derivante dalla vendita

dell’attività e minimizza l’ammontare da pagare per

trasferire la passività.

Quando poi si tratti di valutare “attività non

finanziarie”, deve farsi ricorso al criterio dell’

highest and best use, considerando cioè “la capacità di un

operatore di mercato di generare benefici economici

impiegando l’attività nel suo massimo e migliore utilizzo

o vendendola a un altro operatore di mercato che la

impiegherebbe nel suo massimo e miglior utilizzo”.

Sempre guidato dallo sforzo di oggettività, l’IFRS

13 delinea la nota “gerarchia” delle tecniche

valutative del fair value che classifica gli input

utilizzabili in tre livelli: il primo livello si

riferisce a “prezzi quotati (non rettificati) in

mercati attivi per attività o passività identiche a

cui l’entità può accedere alla data di valutazione”;

il secondo livello comprende “(a) prezzi quotati per

attività o passività similari in mercati attivi; (b)

prezzi quotati per attività o passività identiche o

similari in mercati non attivi; (c) dati diversi dai

– 26 –

prezzi quotati osservabili per l’attività o

passività, per esempio: (i) tassi di interesse e

curve dei rendimenti osservabili a intervalli

comunemente quotati; (ii) volatilità implicite; e

(iii) spread creditizi; (d) input corroborati dal mercato”; il

terzo livello si riferisce a “input non osservabili per

l’attività o per la passività”, compresi i dati

propri dell’entità.

Infine è importante evidenziare l’enfasi sulle

“informazioni integrative” che dovranno essere

fornite nelle note di bilancio in modo tale da

aiutare gli utilizzatori di bilancio a valutare in

particolare: “(a) per le attività e le passività

valutate al fair value su base ricorrente o non

ricorrente nel prospetto della situazione

patrimoniale-finanziaria dopo la rilevazione

iniziale, le tecniche di valutazione e gli input

utilizzati per elaborare tali valutazioni; (b) per

valutazioni ricorrenti del fair value attraverso

l’utilizzo di input non osservabili significativi

(Livello 3), l’effetto delle valutazioni sull’utile

(perdita) di esercizio o sulle altre componenti di

conto economico complessivo per quell’esercizio”.

Non v’è dubbio che l’IFRS 13 rappresenta un

– 27 –

notevole miglioramento sullo stato dell’arte relativo

alla definizione e alle tecniche valutative del

criterio del fair value, in buona parte tuttavia

tributarie delle elaborazioni ricavabili dal FAS 157

statunitense. E per quanto ci si sforzi di rendere

più oggettivo il processo valutativo, non v’è dubbio

che in presenza di mercati non attivi o anche poco

liquidi o ancora volatili e turbolenti, si

inseriscono inevitabili elementi di arbitrarietà che

rendono poco affidabile (reliable) la stima, benchè il

pregio che si tende a riconoscere al criterio

consista nella sua maggior rilevanza (relevance) sul piano

informativo dei destinatari rispetto al criterio del

costo storico. Ma non mancano critiche anche sul

versante della rilevanza, poiché si è sostenuto che:

(i) il management tende a rifiutare valutazioni che

si fondano sul presupposto che alla data di bilancio

tutto l’attivo e tutto il passivo sia in vendita;

(ii) la separata valutazione dei cespiti in termini

di fair value è in contrasto con la vendita di business

unit (azienda o rami d’azienda); (iii) prezzi di

mercato e modelli valutativi possono incorporare

“noisy information” che riducono fortemente la

significatività dei valori espressi; (iv) il fair value

– 28 –

rende più volatili i risultati da esercizio a

esercizio spesso per effetto di stime disturbate o

manipolate dai manager; (v) non è detto che le

informazioni sul fair value siano più utili ove

incorporate nei prospetti contabili piuttosto che

nelle sole note di bilancio; (vi) il ruolo di

rendicontazione del bilancio può risultare

pregiudicato da stime che incorporano aspettative

future piuttosto che risultati storici.

6. Il Discussion Paper dello IASB CF di luglio 2013

contiene una sezione 6 dedicata alla tematica della

“valutazione”, intesa come processo di misurazione

quantitativa delle voci di bilancio; ed esso fa

seguito ad un dibattito sugli obiettivi della

valutazione promosso dallo IASB già con altro DP

predisposto dallo standard setter canadese e pubblicato

nel novembre 2005 dal titolo “Measurement Bases for

Financial Accounting: Measurement on Initial

Recognition”. Al di là delle critiche mosse a quel

documento, che in realtà si limitava alla

individuazione del criterio valutativo di prima

iscrizione senza approfondire il profilo della

successiva valutazione (re-measurement) e non si

– 29 –

occupava della iscrizione dei costi e ricavi, esso

puntava sostanzialmente ad una decisa prevalenza del

fair value quale criterio base di prima iscrizione per

la maggior parte delle attività e passività,

ritenendo tale informazione più rilevante ai fini del

processo decisionale degli utilizzatori di bilancio.

In un precedente documento di lavoro dello Staff

dello IASB di settembre 2004 si riconosce che tanto

il CF dello IASB quanto quello del FASB dedicano

scarso spazio al tema delle valutazioni di bilancio,

dedicandosi ad elencare i criteri piuttosti numerosi

utilizzati in pratica (dal costo storico, al costo

corrente, dal valore lordo o netto realizzabile al

valore di mercato corrente sino al present value).

La posizione dello IASB nel DP del 2013 sembra

contenere significative aperture. Da un canto si

sottolinea l’esigenza di semplificazione, attraverso la

riduzione dei numerosi differenti criteri valutativi

per selezionare quelli davvero necessari a rendere

una “informazione rilevante”; d’altro canto si

ribadisce l’opportunità di applicare il test costi-benefici

per gli utilizzatori di bilancio nello scegliere uno

specifico criterio valutativo. Nel contempo,

tuttavia, si esprime l’opinione preliminare che:

– 30 –

a) lo scopo della valutazione è quello di

contribuire alla rappresentazione fedele di una

informazione rilevanti in merito a (i) le

risorse di una entità, le pretese avverso la

stessa e le variazioni di tali risorse e

pretese; (ii) quanto efficientemente ed

efficacemente management e c.d.a. dell’entità

abbiano assolto alle proprie responsabilità

nell’utilizzo delle risorse dell’entità. Insomma

lo IASB sembra ribadire la duplice finalità,

informativa sulla true and fair view di attivo e

passivo (ma intesi come risorse e altrui

pretese) e di rendicontazione della gestione;

b) un singolo principio valutativo per tutte le

attività e passività potrebbe non fornire la più

rilevante informazione per gli utilizzatori del

bilancio. E qui lo IASB sembra schierarsi contro

coloro che invocano l’unicità del criterio base

per le valutazioni;

c) quando lo IASB procede a selezionare il criterio

valutativo per una specifica voce di bilancio,

dovrebbe considerare quale informazione quel

criterio produce sia nello stato patrimoniale

sia nel conto economico o nell’OCI (Other

– 31 –

Comprehensive Income);

d) la rilevanza di uno specifico criterio

valutativo dipenderà dal modo in cui

investitori, creditori e altri finanziatori

dell’entità sono indotti a valutare in che modo

una attività o una passività di quel tipo

contribuirà al futuro cash flows. Conseguentemente

la scelta del criterio valutativo (i) per una

specifica attività dovrebbe dipendere dal modo

in cui quell’attivo contribuisce al futuro cash

flow; e (ii) per una specifica passività dovrebbe

dipendere dal modo in cui l’entità estinguerà o

adempirà quella passività.

Il principio guida nella selezione del criterio

valutativo, che peraltro il DP riduce a tre

fondamentali criteri base (il costo storico, il

prezzo corrente di mercato incluso il fair value, e le

valutazioni basate sui flussi di cassa), è costruito

sul contributo positivo o negativo che l’attività o

la passività è in grado di fornire ai futuri flussi

di cassa (ampiamente intesi) dell’entità. In sede

applicativa ciò porta a privilegiare il criterio del costo

per la valutazione (i) delle attività che forniscono

solo un contributo indiretto al futuro cash flow,

– 32 –

tramite l’utilizzo nel processo produttivo anche in

combinazione con altri attivi, o anche (ii) delle

attività detenute in deposito e il cui cash flow

negoziale è soggetto a variazioni insignificanti; a

privilegiare invece il prezzo corrente di vendita (exit price)

per (iii) le attività che offrono invece un

contributo diretto al cash flow attraverso la loro

vendita. Il che sembra ripetere la distinzione a noi

più nota fra immobilizzazioni e circolante, propria

dei bilanci non-IAS compliance. Quanto alla valutazione

delle passività, si distingue fra (i) le passività

non soggette a scadenza o termini prestabiliti

(obbligazioni da illeciti, etc), da valutare in base

all’uscita attesa di cash flow, (ii) le passività da

estinguere alla loro scadenza o derivanti da

obbligazioni per servizi, soggette a valutazione al

costo, e (iii) le passività da cedere, soggette a

valutazione secondo il prezzo corrente di mercato.

L’impressione d’insieme che si ricava è quella di

un notevole ridimensionamento del principio del fair

value e di una sorta di riavvicinamento al principio

di prudenza proprio delle direttive contabili

comunitarie. Certo non mi nascondo che il principio

guida è dato dal contributo del cespite da valutare

– 33 –

ai futuri flussi di cassa attesi in positivo o in

negativo, nell’ottica dei finanziatori a vario titolo

della entità, principio guida che tende a guardare a

dati previsionali piuttosto che a dati storici. E’

tuttavia curioso che quel principio non si traduca in

una generalizzata applicazione del fair value, come

alcuni avevano preteso, ma in una proposta

differenziata di applicazione dei tre principali

criteri indicati nel Discussion Paper, con un tentativo

di accorciare le distanze fra mondo IAS e mondo non-

IAS.

Ovviamente non va dimenticato che si tratta solo

di un DP avente ad oggetto inoltre non uno standard ma

il Conceptual Framework, che com’è noto non ha lo status

vincolante di un principio contabile né è

sovraordinato ai singoli specifici principi

contabili. Affinchè i principi valutativi degli IAS-

IFRS raggiungano un apprezzabile livello di coerenza

sistematica vi è ancora molta strada da percorrere.

7. La difficoltà di dialogo, anche solo in termini di

comparabile conversione, fra mondo IAS e mondo non-

IAS è attestata non solo dal non agevole esercizio

della first time adoption degli IAS-IFRS, pur regolata da

– 34 –

apposito standard (IFRS 1), ma anche dalla ipotesi

inversa, allorchè sia pure in casi eccezionali è

consentito o è doveroso revocare la scelta di una

adozione facoltativa dei principi contabili

internazionali nella redazione del bilancio

d’esercizio e/o consolidato (artt. 3, co. 3, e 4,

co.7, d.lgs. n. 38/2005). Per questa fattispecie

l’OIC ha predisposto ormai dal 30 ottobre 2012 un

progetto di principio contabile nazionale (non ancora

finalizzato), considerato che l’IFRS 1 nulla dispone

in caso di successiva disapplicazione degli IAS-IFRS e

di ritorno ai principi locali. In particolare non è

affatto chiaro come si determinino i valori dello

stato patrimoniale di apertura del primo esercizio in

cui si torni ad applicare la disciplina nazionale e

come debbano rappresentarsi gli effetti della revoca.

Correttamente, a mio avviso, la bozza del

principio nazionale dispone che “le voci di apertura

del primo bilancio redatto secondo i principi

contabili nazionali sono determinate applicando

retroattivamente tali principi”, salve talune

eccezioni in cui la ricostruzione a ritroso dei

valori - come se si fossero da sempre applicati i

principi contabili nazionali - possa risultare

– 35 –

“eccessivamente onerosa” (cioè impossibile o

sproporzionatamente costosa rispetto al beneficio

ricavabile). E questa ricostruzione dovrà riguardare

sia il primo bilancio redatto secondo i principi

locali sia il bilancio dell’esercizio precedente con

funzione comparativa. Dico correttamente, poiché

trova così applicazione analogica il principio

sancito dalla first time adoption dei principi

internazionali. Ma l’esercizio è lungi dall’essere

agevole; soprattutto se si pensa alla disciplina

applicabile alle riserve imputate a patrimonio netto

(al netto degli effetti fiscali) quale saldo

patrimoniale che può discendere dalla operazione di

conversione retroattiva.

La convivenza di bilanci d’esercizio redatti

secondo le regole civilistiche e di bilanci redatti

secondo le regole dei principi contabili

internazionali è particolarmente problematica se si

pensa alla difficoltà di comparazione dei risultati

anche solo sul piano informativo e ancor più sul

piano della funzione organizzativa. Ciò è tanto vero

che fra i Paesi di maggior peso dell’Unione Europea,

l’Italia si trova isolata – rispetto a Francia,

Germania, Inghilterra – nella estensione degli IAS-

– 36 –

IFRS dal solo bilancio consolidato anche al bilancio

separato. Il risultato prodotto e probabilmente il

risultato distribuibile (consumabile) assume

dimensioni differenziate in base alla diversità dei

regimi di standard applicabili. La nostra soluzione

ordinamentale di conciliazione è passata attraverso

il tentativo di neutralizzare la quota parte di

plusvalenza da fair value attraverso la creazione di

apposite “riserve da fair value” indistribuibili, ma

forse non del tutto indisponibili, così cercando di

salvaguardare sotto altro profilo il principio di

prudenza nella declinazione della rilevazione

dell’utile realizzato. Ma a parte che alcune poste da

fair value partecipano al conto economico, quella

neutralizzazione non è sempre agevolmente operabile.

E’ necessario che in sede IASB si avvii una seria

riflessione sull’adeguamento dei principi contabili

internazionali, concepiti di per sé per i soli

bilanci consolidati destinati ad assolvere mera

funzione informativa, ai bilanci d’esercizio (o

separati) che assolvono più complesse funzioni, da

quella informativa a quella organizzativa e non

ultima a quella di rendiconto (sia pure sui generis)

della gestione del management e degli amministratori.

– 37 –

Bari-Roma-Milano, 10 giugno 2014