Nuovi spazi pubblici? Forme e usi dei luoghi “del pubblico” nella città contemporanea

151
La protezione dello spazio pubblico Atti della XIII Conferenza Società Italiana degli Urbanisti Città e crisi globale: clima, sviluppo e convivenza Roma, 25-27 febbraio 2010 Planum - The European Journal of Planning on-line ISSN 1723-0993 La protezione dello spazio pubblico Antonio Acierno Dipartimento di Conservazione dei beni Architettonici ed Ambientali Facoltà di Architettura, Università degli Studi Federico II di Napoli [email protected] Tel 081 2538853 Abstract La sicurezza urbana costituisce un problema multiforme caratterizzato da distinte componenti che invocano la specificità dei luoghi e delle soluzioni. Si riscontra una comune tendenza nella risposta alle emergenti problematiche di sicurezza, verso un modello securitario. Si propone al modello dominante, fondato su recinzioni, diffusione di telecamere ed ordinanze repressive conformante uno spazio pubblico “fortificato” uno alternativo che cerca lo spazio pubblico “accogliente” fondato su socializzazione, vitalità e scambio sociale, nella consapevolezza dei maggiori rischi che questo approccio comporta. Si delineano linee di ricerca da approfondire per il sapere professionale e progettuale in particolare. 1. Politiche di sicurezza e spazio pubblico La sicurezza della città contemporanea costituisce un problema multiforme e chiama in causa componenti di natura sociale, antropologica, culturale, economica, percettiva e fisica che non sono mai le stesse per le differenti realtà territoriali, ciascuna contraddistinta da peculiarità locali. Non esiste pertanto una soluzione generalizzabile e la specificità di ciascun luogo si trova ad affrontare problemi di sicurezza urbana con cause ed attori sociali distinti. E’ riscontrabile una comune tendenza, invece, nelle risposte che i governi, nazionale e locale, stanno dando alle istanze sociali di sicurezza, facendo intravvedere un generale processo di affermazione delle politiche securitarie nella gestione dello spazio pubblico urbano. Le politiche l ocali di sicurezza, nella di versità de gli a pprocci implementativi, ci inte ressano nell’am bito disciplinare urbanistico soprattutto quando intervengono sulla trasformazione dello spazio fisico della città e per i rapporti che intessono con le azioni pianificatorie, in particolar modo negli interventi di riqualificazione delle aree degradate delle città così come, anche se meno diffusamente dei primi, nei casi di progettazione di nuovi insediamenti. In qualc he misura il dibattito su lla sicurezza urba na ha rinvi gorito il fi lone di ri flessioni sug li aspetti antropologici della qualità del vivere, sulla necessità di ricostruire il senso della relazione tra i cittadini e l’ambiente urbano. E’ ovvio che il dibattito disciplinare sulla sicurezza in questa prospettiva si è ampliato riprendendo anche movimenti di pensiero già avviati da qualche decennio, sin da quando sono emerse le contraddizioni e le inefficienze dei modelli insediativi derivati dall’urbanistica moderna, e pertanto il problema della sicurezza urbana, in teso esclusivamente co me lo tta alla cr iminalità sp aziale volta a debellare i focolai di violenza concentrati in particolari zone della città, finisce col diventare un altro tema, di maggiore pertinenza delle strategie di repressione e di giustizia sociale. La sicurezza di cui vogliamo discutere è quella posta al centro del dibattito sulla qualità del vivere e degli insediamenti, e si riferisce alla più diffusa e generica percezione d’insicurezza, e alle strategie progettuali urbanistiche mirate alla “rassicurazione” degli users urbani. Le questioni più urgenti legate alla sicurezza delle città sono costituite dall’indebolimento delle centralità urbane, dalla scarsa visibilità delle zone più marginali e periferiche così come dall’aumento della segregazione sociale e della specializzazione funzionale, che spesso investono queste aree e, di particolare rilevanza, dalla diffusione del degrado e dalla difficoltà di garantire una manutenzione costante dello spazio pubblico. La città contemporanea pone la necessità di affrontare tali problematiche che investono la sicurezza dello spazio pubblico, in particolar modo delle zone marginali dove è più evidente il processo di zonizzazione sociale che ne amplifica il processo di frammentazione. E’ necessario agire rimuovendo il più possibile le barriere di accesso a queste aree, dotandole di adeguate centralità capaci di riequilibrare le dinamiche interne o addirittura di fungere Antonio Acierno 1

Transcript of Nuovi spazi pubblici? Forme e usi dei luoghi “del pubblico” nella città contemporanea

La protezione dello spazio pubblico

Atti della XIII Conferenza Società Italiana degli UrbanistiCittà e crisi globale: clima, sviluppo e convivenza

Roma, 25-27 febbraio 2010Planum - The European Journal of Planning on-line

ISSN 1723-0993

La protezione dello spazio pubblico

Antonio AciernoDipartimento di Conservazione dei beni Architettonici ed AmbientaliFacoltà di Architettura, Università degli Studi Federico II di Napoli

[email protected] 081 2538853

AbstractLa sicurezza urbana costituisce un problema multiforme caratterizzato da distinte componenti che invocano laspecificità dei luoghi e delle soluzioni. Si riscontra una comune tendenza nella risposta alle emergentiproblematiche di sicurezza, verso un modello securitario. Si propone al modello dominante, fondato surecinzioni, diffusione di telecamere ed ordinanze repressive conformante uno spazio pubblico “fortificato” unoalternativo che cerca lo spazio pubblico “accogliente” fondato su socializzazione, vitalità e scambio sociale,nella consapevolezza dei maggiori rischi che questo approccio comporta. Si delineano linee di ricerca daapprofondire per il sapere professionale e progettuale in particolare.

1. Politiche di sicurezza e spazio pubblicoLa sicurezza della città contemporanea costituisce un problema multiforme e chiama in causa componenti dinatura sociale, antropologica, culturale, economica, percettiva e fisica che non sono mai le stesse per le differentirealtà territoriali, ciascuna contraddistinta da peculiarità locali. Non esiste pertanto una soluzione generalizzabilee la specificità di ciascun luogo si trova ad affrontare problemi di sicurezza urbana con cause ed attori socialidistinti.E’ riscontrabile una comune tendenza, invece, nelle risposte che i governi, nazionale e locale, stanno dando alleistanze sociali di sicurezza, facendo intravvedere un generale processo di affermazione delle politiche securitarienella gestione dello spazio pubblico urbano. Le politiche l ocali di sicurezza, nella di versità de gli a pprocci implementativi, ci inte ressano nell’am bitodisciplinare urbanistico soprattutto quando intervengono sulla trasformazione dello spazio fisico della città e peri rapporti che intessono con le azioni pianificatorie, in particolar modo negli interventi di riqualificazione dellearee degradate delle città così come, anche se meno diffusamente dei primi, nei casi di progettazione di nuoviinsediamenti.In qualc he misura il dibattito su lla sicurezza urba na ha rinvi gorito il fi lone di ri flessioni sug li aspettiantropologici della qualità del v ivere, su lla necessità d i ricostruire il senso della relazione tra i cittad ini el’ambiente urbano. E’ ovvio che il d ibattito d isciplinare su lla sicurezza in questa prospettiva si è ampliato riprendendo anchemovimenti di pensiero già avviati da qualche decennio, sin da quando sono emerse le contraddizioni e leinefficienze dei modelli insediativi derivati dall’urbanistica moderna, e pertan to il problema della s icurezzaurbana, in teso esclusivamente co me lo tta alla cr iminalità sp aziale vo lta a debellare i focolai d i violenzaconcentrati in part icolari zone della città, finisce col d iventare un altro tema, d i maggiore pert inenza dellestrategie di repressione e di giustizia sociale. La sicurezza di cui vogliamo discutere è quella posta al centro del dibattito sulla qualità del vivere e degliinsediamenti, e si riferi sce al la p iù d iffusa e generica pe rcezione d’insicurezza, e alle st rategie progettualiurbanistiche mirate alla “rassicurazione” degli users urbani. Le questioni più urgenti legate alla sicurezza delle città sono costituite dall’indebolimento delle centralità urbane,dalla scarsa visibilità delle zone più marginali e periferiche così come dall’aumento della segregazione sociale edella specializzazione funzionale, che spesso investono queste aree e, di particolare rilevanza, dalla diffusionedel degrado e dalla difficoltà di garantire una manutenzione costante dello spazio pubblico.La città contemporanea pone la necessità di affrontare tali problematiche che investono la sicurezza dello spaziopubblico, in particolar modo delle zone marginali dove è più evidente il processo di zonizzazione sociale che neamplifica il processo di frammentazione. E’ necessario agire rimuovendo il più possibile le barriere di accesso aqueste aree, dotandole di adeguate centralità capaci di riequilibrare le dinamiche interne o addirittura di fungere

Antonio Acierno 1

La protezione dello spazio pubblico

Atti della XIII Conferenza Società Italiana degli UrbanistiCittà e crisi globale: clima, sviluppo e convivenza

Roma, 25-27 febbraio 2010Planum - The European Journal of Planning on-line

ISSN 1723-0993

da attrattori per la popolazione proveniente da altre zone della città per perseguire una completa integrazione neltessuto urbano. In risposta a queste inefficienze, si è proposto da più parti la necessità di un corretto inserimento di nuovi spazied attre zzature pubbliche, m ediante una scelta consapevole e pa rtecipata dell e localizzazioni, della l oromanutenzione e continuo miglioramento, mirando alla progettazione e realizzazione di spazi pubblici dotati diqualità intrinseche tali da garantirne l’autoprotezione. Spazi che devono fondarsi sulla mixité e sulla continuità funzionale di usi ed users, progettati con specialeattenzione al la qualità estetica in risposta alle necessità psicologiche, culturali e simboliche dei fruitori, cherichiedono una significativa partecipazione delle comunità locali destinatarie degli interventi, accompagnati dauna adeguata organizzazione gestionale degli spazi di transizione.

2. Perché e per chi funziona lo spazio pubblico: appunti per una ricercaLe analisi sugli interventi di riqualificazione urbana mirati al conseguimento di una diffusa sicurezza urbana siconcentrano m olto sp esso sulla lettur a degli spazi degrad ati, m arginali, caratt erizzati da segni persisten tid’inciviltà e v andalismo, e, i n ch iave pro positiva pro gettuale, si delineano su ggerimenti e criteri per larealizzazione di spazi integrati, multifunzionali e, in una parola, vitali. Tuttavia la maggioranza delle indagini e delle proposte partono dalle inefficienze degli spazi, cui si cerca diporre rimedio ispirandosi ad una cultura progettuale che molto spesso si è costruita in ambiti culturali distantidalla sensibilità che richiede il tema della sicurezza urbana. In alternativa a questo approccio si propone di partire da un punto di vista “positivo”1, ovvero analizzando nongli spazi pubblici problematici bensì quelli che sembrano “funzionare” socialmente, che favoriscono lo scambiosociale, la frequentazione e la diversità, con l’obiettivo di cercare di individuare alcuni elementi comuni chepossano essere adottati in maniera efficace nelle strategie di riqualificazione. Si fa riferimento principalmenteagli spazi pubblici per eccellen za, le piazze e i parch i, ma anche a quelli che ne r ipropongono le stessecaratteristiche in sca la m inore, c ome piccoli slargh i, piazzette e giardi ni, ovverosia quell a mi nuta reteinterstiziale che costituisce il tessuto connettivo, solitamente pedonale, della città. Le domande da cui partire, quindi, sono a ragion veduta le seguenti: perché in un’epoca di maggior benessere,nella quale potenzialmente ci sono maggiori opportunità di migliorare gli spazi urbani per il cittadino, stiamoproducendo spazi urbani che mal si adattano agl i usi pubblici, se non addirittura r isultano sgradevoli a llamaggioranza degli utenti o che trasmettono una diffusa sensazione di disagio? E in che tipo di spazio pubblico icittadini preferiscono andare e svolgere le proprie attività?Si propone una linea di ricerca orientata alla comprensione dei caratteri dello “spazio pubblico accogliente” alfine di progettarne dei nuovi o di riuscire a riqualificare, gestire e conservare/migliorare quelli esistenti.Il dibattito teorico sullo spazio pubblico ha avuto un momento di notevole sviluppo e attenzione negli anni ’60 e’70, soprattutto nella ricerca e nella definizione dei segni peculiari di uno spazio pubblico vivibile in contrastocon quello improprio o sgradevole. Questo importante dibattito sulla forma, gli usi e la percezione dello spaziovivibile sembra oggi essersi specializzato in canali diversificati, affrontando le tematiche della sostenibilitàambientale, gestione, perc ezione esteti ca e sicu rezza urban a. Qu esti sp ecialismi h anno d isaggregato ladiscussione contribuendo tuttavia allo sviluppo di filoni distinti di ricerca sulla vivibilità degli spazi urbani.Negli ultimi anni c’è stato un nuovo filone di ricerca che ha riaperto la discussione sugli spazi pubblici e il loromiglioramento, in particolar m odo nel m ondo an glosassone con l’interesse de l go verno br itannico al laproduzione d i u n better public space, su pportando il CAB E (C ommission fo r Architecture i n t he B uiltEnvironment), e del lavoro professionale dell’Urban Design Group. Negli USA, invece, il rinascimento deglistudi sullo spazio pubblico trova un punto di riferimento nel New York Based Project for Public Space, ed inEuropa nell’European Centre on Public Space e l’intensa attività editoriale di riviste specializzate sull’urbandesign2. Molte di queste attività si sono tradotte in pubblicazione di manuali e guide di buona progettazione degli spazipubblici con il limite di rappresentare il punto di vista dei professionisti, e non esiste, invece, molta ricerca suquello che i cittadini considerano uno spazio pubblico e su come vorrebbero usarlo, nonché sulla loro percezionee il livello gradito di comfort. La domanda centrale per i professionisti dello spazio dovrebbe riguardare la ricerca di cosa rende alcuni spazipiù efficienti sul piano della frequentazione sociale e della vivibilità, perché e come alcune aree di uso pubblico

1 A riguardo si veda l’interessante lavoro di Henry Shaftoe (2008), /Convivial Urban Spaces. Creating Effective Public Spaces/, Earthscan,London. 2 Si indicano di seguito i corrispondenti siti web: www.cabespace.org.uk; www.spaceforpublic.org; www.pps.org

Antonio Acierno 2

La protezione dello spazio pubblico

Atti della XIII Conferenza Società Italiana degli UrbanistiCittà e crisi globale: clima, sviluppo e convivenza

Roma, 25-27 febbraio 2010Planum - The European Journal of Planning on-line

ISSN 1723-0993

(piazze, slarghi, giardini, parchi, marciapiedi) incontrano i bisogni reali della gente in misura tale da far superarele paure, i disagi, le incertezze e spingere alla sosta e alla socializzazione.E’ innegabile che l’uomo essendo un animale sociale, tende a cercare i propri simili e a costituire gruppi persvolgere le più disparate attività e, soprattutto a ricevere una rassicurazione psicologica da queste indispensabilifrequentazioni. In un’epoca di crescente individualizzazione degli stili di vita, che induce già a ridurre i rapporti interpersonali,molto spesso sostituiti dai surrogati dei contatti virtuali della rete, bisogna domandarsi fino a che punto questatendenza all’introversione sociale e alla riduzione dei contatti reali soddisfi la natura umana e se lo spaziopubblico r eale ( non quello vi rtuale) sia de finitivamente i n declino o se i nvece sia ne cessaria u na suarivitalizzazione, anche in risposta a quei bisogni di contatto fisico e pienamente “sensoriale” che fino ad oggihanno caratterizzato la condizione umana.Una parte, che definirei pessimista, del pensiero sociologico ed urbanistico ritiene che lo spazio pubblicotradizionale “corporale” sia ormai morto3. Ponendosi in una condizione alternativa, positiva ed ottimista, cerchiamo di definire i caratteri di uno “spaziopubblico che funziona” ovvero vivibile, accogliente, frequentato e gradevole. Si propongono, pertanto, alcuni punti su cui costruire un percorso di riflessione e di ricerca sulla comprensionedei caratteri dello spazio pubblico accogliente e sulla loro progettazione e/o riqualificazione.La crescita ipertrofica: la città contemporanea, cresciuta a dismisura, invadendo il territorio circostante risultaoggi un puzzle di pe zzi disarticolati e diso mogenei, con imm ense periferie prevalentemente deg radate ecostituenti focolai di problemi sociali, reti infrastrutturali ingombranti che costituiscono barriere non solo nellacontinuità degli ecosistemi biologici ma soprattutto per la mobilità lenta e pedonale.La città contemporanea ha accumulato un’innumerevole quantità di spazi pubblici degradati ed ingestibili con iquali bisogna fare i conti. Non si tratta solo di fare una battaglia contro lo spreco di suolo, all’interno dei principidi sostenibilità ambientale, ma di ricucire i brandelli di uno spazio pubblico lacerato che versa in condizioni diestremo degrado, che favoriscono lo sviluppo delle paure e conseguentemente l’abbandono fisico, innescando unciclo di declino sociale. Tali condizioni non appartengono solo al patrimonio ereditato dalla città industriale e post-industriale, ma anchenei più recenti interventi di espansione urbana di molte città si seguono principi progettuali che determinanoeffetti indesiderati o spazi residuali ingestibili. Nella cultura anglosassone questi ultimi sono stati definiti, conl’originale sintesi che la contraddistingue, SLOAP (space left over after planning), ossia gli spazi lasciati senzauna chiara identità funzionale dopo la pianificazione, sottolineando la responsabilità diffusa della stessa praticaprofessionale e gestionale nel produrre spazi ambigui e con una debole destinazione d’uso, che si prestano atrasformarsi facilmente in luoghi senza una precisa identità di cui i cittadini stentano ad appropriarsi.Varietà, diversità, mobilità: lo spazio pubblico è composto da una varietà di luoghi anche molto differenti l’unodall’altro, da quelli tradizionali e pubblici per eccellenza come le piazze e i parchi, nonché gli stessi marciapiediquando sufficientemente ampi, alle versioni ridotte di questi ovvero slarghi, piccoli giardini e marciapiedi. Aquesti si aggiungono oggi altri spazi della mobilità dove, prevalentemente nelle grandi città, si trascorre buonaparte della giornata come le stazioni e i sottopassaggi delle metropolitane, le stazioni ferroviarie, aeroportuali eportuali. Nei ritmi accelerati contemporanei l’attività principale svolta negli spazi pubblici è quella dello spostamento e lospazio pubblico resta un luogo di semplice attraversamento.Salute, apprendimento, mediazione, economia e democrazia negli spazi pubblici: gli spazi pubblici sono ilcampo di gioco della società dove questa esplora e ricerca nuove esperienze e opportunità per lo scambio el’evoluzione sociale. Il pensiero sociologico urbano e quello urbanistico hanno più volte ribadito che uno spaziopubblico che funziona è una condizione necessaria per lo sviluppo della democrazia e della civiltà4 (Mumford,Sennett). In m aniera pi ù det tagliata, l o s pazio p ubblico è f ondamentale pe r l a s alute e d i l be nessere fi sico,l’apprendimento, la risoluzione dei conflitti, la tolleranza, la solidarietà e l’economia.Gli spazi pubblici, come parchi, aree attrezzate e piazze, offrono indiscutibilmente ai cittadini un luogo dovepoter respirare aria pulita e dove poter esercitare il fisico, in particolar modo per gli stili sedentari di vita e ilcumulo di stress che inducono i correnti ritmi lavorativi. Numerose ricerche mediche hanno dimostrato come glispazi pubblici possono favorire non solo il benessere fisico ma anche quello mentale. Uno spazio pubblico variamente frequentato resta ancora una delle migliori opportunità per poter incontrare,osservare, condividere comportamenti, norme e stili di vita differenti. Attraversare o meglio sostare in una piazza3 Cfr. Ben-Joseph, E. e Szold, T. (2005), /Regulating Place/, Routledge, New York.4 Mumford, L. (1964), /The Highway and the City/, Secker & Warburg, London; Sennett, R. (1973), /The Uses of Disorder: Personalidentity and city life/, Penguin, Harmondsworth.

Antonio Acierno 3

La protezione dello spazio pubblico

Atti della XIII Conferenza Società Italiana degli UrbanistiCittà e crisi globale: clima, sviluppo e convivenza

Roma, 25-27 febbraio 2010Planum - The European Journal of Planning on-line

ISSN 1723-0993

del centro città, frequentato da diversi gruppi sociali ed etnie, su cui prospettano edifici pubblici e privati, attivitàmercatali e commerciali, giovani ed anziani, lavavetri, vigili urbani o qualsiasi altra figura, offre certamentemaggiori possibilità di conoscenza e di apprendimento che non la passeggiata nell’ultimo centro commercialeapertosi in periferia, frequentato da gruppi sociali ristretti e più selezionati e con una prevalente attività urbana,quella del consumo.Lo spazio pubblico offre un’arena dove poter incontrare gruppi sociali affini con i quali si condividono analoghicomportamenti, ma anche dove poter imparare a gestire i conflitti con chi pratica stili di vita differenti (pensiamoai recenti flussi migratori). La risposta più semplice ai conflitti è quella di trincerarsi entro i confini monoclassedel proprio quartiere (le gated communities rappresentano il vertice di questo atteggiamento negativo) o degliambienti lavorativi ad accesso limitato, ma l’unica alternativa a questa deriva è la socializzazione nello spaziopubblico anche con iniziative progettate ad hoc (manifestazioni, festival, ecc.), dalla quale potrà nel tempomaturare anche la solidarietà.Anche dal punto di vista economico, il miglioramento del le condizioni di vivibilità del lo spazio pubblicopossono produrre vantaggi, in maniera più di retta pe r l’uso turistico conseguenza delle po tenziate capacitàattrattive dello spazio urbano ma anche per le attività commerciali e di ristoro che ne possono derivare. Inoltre, l’uso dello spazio pubblico è direttamente collegato alla sicurezza dei luoghi, mediante la sorveglianzainformale, così come ci ha fatto già notare più di trent’anni fa Jane Jacobs. La frequentazione e la vitalità dellospazio pubblico, pur offrendo in taluni casi un maggior numero di potenziali vittime per alcuni tipi di reato(borseggio, scippi, furti), indubbiamente restituiscono una diffusa percezione di sicurezza agli utenti in misuramaggiore rispetto a luoghi isolati ed abbandonati.Infine, lo spazio pubblico ha storicamente rappresentato il cuore della civiltà occidentale, nella emblematicaespressione dell’agorà greca, teatro di discussione e risoluzione dei conflitti nel governo della cosa pubblica. Lospazio pubblico è stato e resta il luogo delle manifestazioni, dei cortei e perfino delle rivoluzioni, e non a caso,nei regimi totalitari, esso è generalmente controllato e spesso progettato con espressioni di monumentalità evastità, che rendono l’ambiente quasi intimidatorio e non di facile fruizione da parte degli utenti5. I governi, daquelli democratici ai dittatoriali, hanno sempre predisposto usi e regole di comportamento nello spazio pubblicoesprimendo anche strategie di controllo della società e proponendo modelli e stili di vita. Non bisogna pertantosottovalutare la q uestione d ella g estione d ello sp azio pubblico, liquidandolo fretto losamente con una su aimminente morte sotto la spinta della invadente tecnologia della comunicazione, perché nella gestione e nelprogetto dello spazio pubblico si prefigurano anche modelli di società.

3. Modelli alternativi di gestione dello spazio pubblico: esclusione oinclusione La sicur ezza de llo sp azio pubblico diventa per tanto anche una qu estione di scel ta tr a strateg ie ed azi onid’intervento che prefigurano modelli differenti di società: si tra tta di garantire la sicurezza perseguendo unmodello di esclusione di alcuni gruppi sociali o di favorire l’integrazione e la risoluzione dei conflitti?Il modello che aspira alla frammentazione e alla privatizzazione dello spazio pubblico, riducendo le eterogeneitàdei gruppi sociali e favorendo la costituzione di gruppi sociali affini per classe e censo, è quello che si è andatoaffermando soprattutto nella società americana nelle gated communities e nei centri commerciali/svago perifericio nei centri città direzionali commerciali (down town) ad accesso limitato, esportato rapidamente in Europa. Questo è u n m odello c he p ratica i l co ntrollo deg li a ccessi, la rest rizione d ella frequentazione d i parchi,l’innalzamento d i recin zioni attorn o ag li sp azi pu bblici, la rea lizzazione d i barriere fisich e d issuasive,l’installazione di telecamere, il controllo dei quartieri residenziali mediante ronde di c ittadini residenti e levariegate tecniche del cpted6.In Europa questo approccio ha dato vita al “Designing out Crime”7, che sostiene un’attenta progettazione dellospazio al fine di impedire l’occorrenza dei reati, sostanzialmente controllando il territorio e difendendolo.Alternativo a quest’ultimo è invece un recente approccio fondato su strategie opposte, il “crowd out crime”, chesostiene l’allontanamento del crimine fondato sulla vitalità e la massima frequentazione dello spazio pubblico. I

5 Pensiamo alla Piazza Tiananmen a Pechino o alla Piazza Rossa a Mosca, estremamente vaste e non accoglienti.6 Il Cpted (Crime Prevention Through Environmental Design) nasce negli anni ’70 sul filone di studi aperto da O. Newman ed è statoapplicato in numerosi interventi di riqualificazione urbana, maturando riflessioni sugli esiti, spesso anche critiche che ne hanno modificatonegli anni l’approccio e le metodologie. Per un approfondimento si consulti il sito dell’associazione internazionale degli enti e soggetti chepraticano il cpted: www.cpted-net.org.7 Si veda il sito web dell’associazione ww.e-doca.net che raccoglie esperienze, documenti e materiali. Nel Regno Unito a questo filoneappartiene anche il Secured by Design, progettazione certificata di quartieri sicuri.

Antonio Acierno 4

La protezione dello spazio pubblico

Atti della XIII Conferenza Società Italiana degli UrbanistiCittà e crisi globale: clima, sviluppo e convivenza

Roma, 25-27 febbraio 2010Planum - The European Journal of Planning on-line

ISSN 1723-0993

New Urbanists, gli Urban Villagers e i sostenitori della 24 Hour City8 fondano la propria azione sulla messa inatto di strategie di frequentazione dello spazio pubblico, capace di infondere sicurezza percepita negli utenti e diprodurre nel medio periodo anche la diminuzione dei reati spaziali per effetto della sorveglianza naturale e deicircoli virtuosi di integrazione e mediazione dei conflitti che si possono generare.Si delineano due orientamenti negli interventi finalizzati alla sicurezza urbana: da un lato, la progettazione dispazi pubblici accoglienti e capaci di favorire l’integrazione e, dall’altro, secondo un punto di vista totalmenteopposto, l’implementazione di strategie di sorveglianza del territorio per spazi pubblici escludenti. La progettazione dell o s pazio pub blico p rotetto ed accoglie nte, ric hiede un o s forzo di cam biamentodell’approccio progettuale professionale, che s i al lontani dal modello prevalentemente dominato dal saperetecnicistico e visuale, per adottare uno stile organico incrementale che permetta l’aggregazione nel tempo disoluzioni spontanee e adattive da parte dei fruitori. Le esperienze teoriche ed operative degli ultimi decenni sullasicurezza urbana necessitano di una sistematizzazione intelligente che forn isca linee guida nonché principisostenibili ed implementabili, per scongiurare la definitiva affermazione dei modelli securitari.

Bibliografia

Alexander Christopher, (2004), Sustainability and Morphogenesis: The birth of a living world, Schumacherlecture, Centre for Environmental Structure, Berkeley CA.Bauman Zygmunt, (2005), Fiducia e paura nella città, Milano, Mondadori.Borja Jordi, (2003), La ciudad conquistada, Alianza Editorial, MadridCABE's, (2 005). W hat ar e we scar ed of? The value of r isk in d esigning pub lic space . Disponibile su :http://www.e-doca.eu/CABE's, (2007). Living with risk: Promoting better public space design. Disponibile su: http://www.e-doca.eu/Ghel Jan, (2007).What If We Built Our Cities Around Places?. Disponibile su: http://www.pps.org/Landry Charles, (2006), The art of city making, London, EarthscanShaftoe Henry, (2008), Convivial Urban Spaces. Creating Effective Public Spaces, London, Earthscan.

8 Cfr. Shaftoe, H. (2008), capp. 1-2.

Antonio Acierno 5

Roma oltre il piano: forme di urbanità per la città contemporanea

Atti della XIII Conferenza Società Italiana degli UrbanistiCittà e crisi globale: clima, sviluppo e convivenza

Roma, 25-27 febbraio 2010Planum - The European Journal of Planning on-line

ISSN 1723-0993

Roma oltre il Piano: forme di urbanità per la città contemporanea

Sandra Annunziata Dipartimento di Studi Urbani di Roma Tre

[email protected]

Mara CossuDipartimento di Studi Urbani di Roma Tre

[email protected]

Abstract In questo contributo si racconta l’espansione di due ambiti urbani di Roma. Si problematizzano gli esiti diun’intera stagione urbanistica e si cercano chiavi di lettura in grado di osservare e interpretare embrionaliforme di urbanità e e il relativo bisogno di progetto. Si propone una lettura analitica della natura degli spazi prodotti, spesso orientati alla semplificazione delmodello insediativo a favore di una stretta dicotomia tra residenza e consumo. Ma tale dicotomia non épuramente sterile: porta con sé iniziative e attività messe in pratica dagli abitanti per ri-orientare le sorti delloro contesto di vita e comporta una ri-concettualizzazione della nozione di urbanità, intesa come condizionepreliminare all’esercizio di una cittadinanza spazialmente situata.

1. La retorica del Piano e le promesse mancateNegli ultimi anni a Roma si è registrata una considerevole espansione degli insediamenti, specie in prossimitàdei confini comunali. Si tratta di una cit tà nuova, percepita come precipitato fisico diretto della retorica delNuovo Piano Regolatore, approvato nel 2005. Il Piano è stato costruito come un ambizioso tentativo di inaugurare un nuovo corso dell’urbanistica italianabasato sul “pianificar facendo” e su tre parole d’ordine: centralità, cura del ferro e tutela dell’agro. Con queste tre parole si volev a controbilanciare il magnetismo delle attiv ità trainanti n ella cit tà storica eriqualificare i t essuti periferici, decentrando servizi e opportunità di l avoro, estendendo la tutela ad ampieporzioni dell'agro e puntando sul potenziamento della rete del trasporto su ferro. Questa strategia trova confortoin altri esempi nord Europei, in cui si è dato inizio alla stagione dei large urban development come possibilemodello di sviluppo e di “regionalizzazione dell'urbanità” (Bertolini, 2006; Salet, 2008). Tali presupposti sono riusciti ad aggregare consensi non solo in termini urbanistici.I primi esiti però non sembrano riscuotere lo stesso consenso. L'attuazione sta registrando posizioni criticheanche nei confronti del modello, che inizia oggi a mostrare le lacune di una stagione urbanistica contrattuale,tendenzialmente debole, orientata all’iniziativa privata e accusata di aver subordinato l'interesse collettivo allelogiche della rendita immobiliare (Berdini, 2008a, 2008b; Vezio De Lucia 2005).A seguito di inchieste giornalistiche, si è acceso un intenso dibattito tra tecnici dell’amministrazione, assessori,consulenti1 che difendono a vario titolo le buone intenzioni del piano. Ne emerge una critica pesante dell’ampio declino della cultura urbana2, sia nei confronti delle responsabilitàpolitiche, che verso la disciplina: “l’urbanistica […] ha perso la capacità di forgiare sensibilità e pensiero attornoalla città, di parlare e di farsi ascoltare” (Bianchetti, 2008a).Nessuna delle tre parole d’ordine del Piano sembra essere stata in grado di mantenere le promesse. L’espansioneresidenziale ve rso i c onfini c omunali è p ercepita c ome u n at tacco al l’agro r omano senza pari. Ne ppurel’avvenuta istituzione nel 1997 di undici nuove aree tutelate e l’allargamento di parchi urbani e regionali esistentiriesce a ridimensionare questa visione (Palazzo, 2005). Il legame tra le trasformazioni urbane e il sistema deltrasporto pubblico, che avrebbe dovuto rappresentare l’innovazione del piano (Tocci, 2008), sembra saltato.

1 Si fa qui riferimento alla lettera aperta scritta da Campus Venuti a Walter Veltroni in cui si sollevava dalle responsabilità del Piano e allacontrorisposta di Salzano entrambe pubblicate su eddyburg.2 “nei lun ghi an ni di governo ur bano, la sini stra h a costruito una sconfitta culturale senza a ppello […]. Le s peranze c he ave vanoaccompagnato le ambizioni della nuova urbanistica romana si sono dissolte progressivamente , il pianificar facendo (che ha caratterizzatol’urbanistica romana degli ultimi 20 anni) ha fallito la sua sfida” (Tocci, 2008).

Sandra Annunziata, Mara Cossu 1

Roma oltre il piano: forme di urbanità per la città contemporanea

Il giudizio è senza appello: a Roma si è disegnata la più insostenibile delle città, sia dal punto di vista delconsumo d i suolo che d a qu ello de lla mo bilità3. Ann ullato il legame tra centralità e f erro co me o biettivistrettamente d ialoganti, l’esito p rincipale d el P iano è la subordinazione del sistema d ella mobilità allalocalizzazione di residenze e grande distr ibuzione. La città sembra dunque condannata nei fatti a dipenderedall’automobile anche per le più semplici azi oni quo tidiane. A Roma si abita sempre pi ù “faticosamente”(Bianchetti, 2008b), al contrario di quanto avviene in altre capitali, e tale difficoltà non sembra trovare sollievonelle promesse delle centralità.

2. La città sotto i nostri occhi e un confronto con la letteraturainternazionaleIl caso romano si presenta come un’anomalia, difficilmente confrontabile con la letteratura internazionale, cheinterpreta i recenti progetti urbani come la chiave di volta tra innovazione nella produzione edilizia e forme disviluppo urb ano ( Salet, 2008 ). Una similitudine é riscontrabile nel fatto che d iversi co ntributi accusano ilpaesaggio urbano prodotto negli ultimi anni di essere poco incoraggiante nei confronti dell’urbanità (Fainstein,2009). Si assist e così all 'emergere di nuov e dec linazioni - fostering urbanity, the quest for new urbanity,reclaiming urbanity (Brandolini, 2006; Giuliani, 2007; Groth & Corin, 2005) - che trattano in modo diverso leistanze poste dalla città di recente costruzione4. Il denominatore comune del discorso sembra voler spostare leanalisi critiche da discorsi sull'efficienza finanziaria e organizzativa dei progetti, verso una lettura più orientata aisoggetti e alla scala minore: che tipo di spazi sono stati prodotti e come vengono utilizzati? Valgono ancora lenozioni di urbanità, spazio pubblico, cosi come ereditate dalla città storica? La prospettiva adottata nella osservazione dei casi vuole documentare una urbanità apparentemente basata sullaprossimità spaziale tra residenza e consumo. Essa sembra seppur faticosamente in fabbricazione, nell´accezionedebitrice a De Certeau, i nsieme alla fabbricazione, letterale in questo caso, de lle centra lità. Proprio taleprospettiva porta con sé diverse domande sulla configurazione della città, non solo su che tipo di spazio si siaprodotto, ma anche se si tratti di una città che mobilita o smobilita, mina o promuove processi di partecipazione,incoraggia o scoraggia il conseguimento dei diritti di cittadinanza basati sullo spazio di prossimità. In altreparole, quale forma di urbanità è possibile per la città contemporanea? Queste domande rimangono per lo più aperte, ma i casi fin qui osservati ci consentono di sollevare alcuni nodiinerenti la natura degli spazi prodotti, che problematizzano il nesso tra la domanda di beni pubblici locali e laqualità dello spazio di prossimità, rivelando un bisogno di progetto. Ci consentono inoltre di riflettere sullamancanza di nesso tra le parti e sulle questioni inerenti l´accessibilità di ciascuna di esse. Ci permettono, infine,di sollevare l’ipotesi di una ri-localizzazione, seppur parziale e variabile, dell’urbanità in spazi nuovi, come glispazi esterni e interni al centro commerciale e il web.

3. Ponte di nona e Romanina: due brani urbani in costruzione Estrema periferia est di Roma. Il Piano individua una delle centralità metropolitane, Ponte di Nona- Lunghezza,che si presenta oggi sotto forma di un grande contenitore per il commercio con più di 200 negozi, multisala eristoranti. Si p revede u na nu ova st azione f erroviaria, 20 00 p archeggi, s ervizi pu bblici e pri vati, at tivitàospedaliere, la sede del municipio, un hotel centro congressi, un mercato coperto. Lo spazio restante ospiterà un parco tematico con centri sportivi. A fianco della centralità promessa, si estende un’area residenziale di 6.000 appartamenti, nota come NuovoQuartiere Caltagirone, progettata da un consorzio immobiliare che negli anni 90 aveva acquistato i terreni. Haereditato il nome dal suo costruttore, che, sulla base di un accordo di programma, avrebbe dovuto occuparsi dellarealizzazione delle urbanizzazioni primarie e secondarie, restituendo una porzione di città completamente finitaai cittadini. Ad oggi 4.854 unità abitative sono terminate e occupate da circa 18.000 residenti. Il quartiere è quindi il prodottodella volontà privata e presenta i limiti della tipica speculazione edilizia romana. Nel 2003, quando gli abitantihanno cominciato ad insediarsi, l’area si presentava come un cantiere privo di servizi minimi e versava in unacondizione di reale perifericità, aggravata dall’assenza di collegamenti pubblici. Sintomi di questa condizioneerano la manca ta r accolta della sp azzatura, la ca renza di se rvizi di pro ssimità (l e poste, la farmac ia), lepericolosità delle strade, senza marciapiedi né illuminazione.Le difficoltà dei primi abitanti, che si definiscono “pionieri”, non ridimensionano le attese costruite su unaretorica della vendita di un “complesso suburbano nel verde, con attrezzature sportive nel parco e molti negozi”:3 “Achille rischia di non raggiungere la tartaruga se mentre recuperiamo il ritardo del secolo passato creiamo nuovi insediamenti cheaumentano il deficit infrastrutturale”. (Tocci 2008a)4 Sul tema dell’urbanità si è recentemente espressa Bianchetti “L’urbanità non è solo una faccenda di inizio novecento. Le regole dellaconvivenza, l’arte di stare nello spazio, il saper stare in città, la necessità di regolare i conflitti, l’invenzione dei modi di incontro, non sonosolo problemi della città moderna. La città contemporanea moltiplica le occasioni e consente agli individui di partecipare (appartenere a piùmondi). Questi fino a quando non interviene l’incubo della sicurezza a moltiplicare le fratture della discontinuità; dispositivi tesi ad incrinaretopologicamente il carattere dell’urbanità”.

Sandra Annunziata, Mara Cossu 2

Roma oltre il piano: forme di urbanità per la città contemporanea

una promessa di urbanità a tutti gli effetti. Nonostante acquistino sulla carta, la fiducia nell’attore privato ètotale: “Caltagirone non fallisce” risponde il marito alla moglie preoccupata della bontà del loro investimento. Nel 2004 i cittadini si organizzano e rivolgono al Sindaco una richiesta esplicita di servizi pubblici locali: lasicurezza e i marciapiedi; a seguire autobus e farmacie. Ma la lista è ancora lunga. Nasce il comitato di quartieree viene a perto un forum online per agevolare la c omunicazione, fa re il punto de gli i ncontri, scambiaredocumenti. Un gruppo di volontari si organizza per redigere un giornale locale, viapontedinona, che pubblical’aggiornamento delle attività del comitato di quartiere.

Figura 1 (Nuove lottizzazioni a Ponte di Nona. Foto di Claudia Meschiari)

Per portare avanti le proprie rivendicazioni, gli abitanti scendono in piazza nel marzo 2007: una manifestazionedi quartiere, rara nel suo genere. Di lì a poco, la coalizione di destra vincerà le elezioni comunali e il presidentedel comitato di quartiere verrà eletto consigliere municipale nella stessa coalizione. Nel maggio 2007 si inaugura il centro commerciale “più grande d’Europa”. Subito dopo, altri centri commerciali“più grandi d’Europa” hanno cominciato a costellare la città da Nord a Sud. In assenza di alternative, gli abitantisono in prima fila per partecipare all’inaugurazione, il primo fatto interessante che avviene nel quartiere e che licoinvolge direttamente. Poco più a Sud, nel l’area circostante la vecchia borgata abusiva della Romanina, costellata da magazzini econtenitori commerciali della zona “O” del Piano Regolatore del 1962, dagli anni ’90 inizia a profilarsi una cittàsolo parzialmente diversa dal passato.In quegli anni, approdano in questa zona l’università di Tor Vergata e il centro commerciale la Romanina,insediamenti “pionieri” nel loro genere. Da allora, una serie di piccoli, medi e grandi contenitori sostituisconogradualmente i vecchi magazzini: Ikea, Decathlon, il centro commerciale Anagnina e Domus, solo per citare ipiù rilevanti.Parallelamente, una serie di interventi di edilizia residenziale sia pubblica che privata inizia a costellare la zona,senza alcuna attenzione agli spazi d i relazione tra i diversi nuclei che non siano all’interno del medesimocomprensorio. La centralità prevista, di livello urbano, è vicina a quella di Tor Vergata, di livello metropolitano. Centralitàprivata la p rima, pu bblica la second a. L’ area è d al 1 990 d i p roprietà d i Sca rpellini, u no d ei pi ù no tiimmobiliaristi di Roma. che costruisce il suo progetto di trasformazione urbana, completamente immerso nellaretorica ricorrente del trinomio residenza-servizi-verde. Il nome scelto per il progetto è “fare centro a romanina”5. La firma, imponente, di Manuel Salgado, con ilcoordinamento di Maurizio Marcelloni per la parte urbanistica. L’assetto dell’area è definito da uno schema diassetto preliminare per il qua le so no stati at tivati laboratori territ oriali presso c iascuno d ei q uartieripotenzialmente attratti nell’orbita della centralità. Si tratta, ovviamente, dei quartieri che rientrano nel perimetrodel comune di Roma, mentre i Comuni di Ciampino, Grottaferrata e Frascati e le loro espansioni residenziali,sebbene in reale prossimità con l’area di progetto, non vengono coinvolti.Le domande e i lavori che vengono avviati nei laboratori sono prevalentemente di preparazione alle potenzialirelazioni da intessere tra il proprio contesto di vita e la centralità in arrivo. A fronte di un’analisi delle carenzeinterne del singolo quartiere (come viene percepito, quali sono i suoi confini, quali i problemi) le domande poste

5 www.farecentroaromanina.com

Sandra Annunziata, Mara Cossu 3

Roma oltre il piano: forme di urbanità per la città contemporanea

agli intervistati riguardano le loro aspettative nei confronti della centralità come nuovo centro urbano. Un modusoperandi tipico degli interventi pubblici di trasformazione urbana, potenzialmente essenziale per l’attivazione diprogrammi di recupero o riqualificazione urbana: i cittadini danno risposte prevalentemente sul loro quartiere,ma viene loro richiesto uno sforzo per proiettare le proprie aspettative all’interno della potenziale centralità.Della struttura di quest ’ultima nu lla è chia ro, fatta e ccezione pe r le quote di residenz a e comme rcio,costantemente in aumento nelle richieste dell’imprenditore all’amministrazione. Non viene esplicitata la quota ela tipologia dei servizi, che cambia di continuo. Tantomeno sono chiari la configurazione e l’accessibilità delverde. Unica certezza è, nel 2008, la richiesta di Scarpellini di un incremento delle cubature, a scomputo dellarealizzazione del prolungamento della linea A della metropolitana da Anagnina a Romanina, fermata prevista nelcuore della centralità.Oggi, l’area della centralità Romanina è metafora importante delle trasformazioni che la città si prepara adaffrontare. Il “nuovo centro” è ancora vuoto, unica area di incolto residuale in un mare di nuove edificazioni,rotatorie, strade ad alto scorrimento e contenitori commerciali completamente introversi.

4. Quale urbanità per la città contemporanea?Sebbene siano am biti u rbani i n costruzione, g li abitanti si s ono fatti portatori di i stanze e p ratiche checostruiscono fo rme d i urb anità del tutto i nesplorate. Se un a lettu ra spa ziale riv ela un pae saggio nonincoraggiante sotto il profilo dell’urbanità, un salto di scala e una prospettiva meno distaccata e più attenta aidettagli offrono nuove possibili letture.La questione posta sull’urbanità, l’accusa di “assenza normativa di urbanità” presente in molte ricostruzionicritiche di pr ogetti u rbani rece ntemente conclusi ( Fainstein, 20 09), sem brano st rettamente dipendentidall’erosione dello spazio pubblico (Cremaschi, 2008a, 2008b). L’argomentazione è che, in assenza di spazipubblici, l’urbanità intesa come “arte di stare nello spazio” e di convivere con la diversità, non sia possibile. Daqui emerge un atteggiamento nostalgico nei confronti della città autentica (Zukin, 2009) dotata di caratteristicheformali e sociali che ne alimentano la desiderabilità.

Figura 2 (Paesaggio urbano a Romanina)

Ma sarebb e troppo semp lice, se non err oneo, d ecretare l’a trofizzazione d elle form e di so cialità e d elladimensione rel azionale basa ta sul lo s pazio, i n a ssenza d i sp azi p ubblici, o d i i ncontro, i ntesi i n senso

Sandra Annunziata, Mara Cossu 4

Roma oltre il piano: forme di urbanità per la città contemporanea

tradizionale. I casi dimostrano che nelle pieghe del quotidiano gli abitanti hanno sviluppato forme di resistenza eadattamento ad un contesto inizialmente poco ospitale. A Ponte di Nona alcuni germogli di socialità e di rivendicazione trasformano aree di cantiere in un quartiere, incui l’interazione e le pratiche di convivenza si scoprono spazialmente definite. Nella formazione del comitato di quartiere si sono gettate le basi per una socialità di vicinato che di li a poco èdiventata “identità pontenonina”.A Romanina le attività dei diversi comitati di quartiere confluiscono per le sfide del livello sovra-locale nellaComunità Territoriale del X municipio, che si propone come soggetto unico di interlocuzione con il Municipio econ il Comune, proponendo riflessioni di metodo e di merito sui primi esiti del PRG nonchè una revisioneoperativa del sistema delle centralità, che comporti l’abolizione delle centralità private, tra cui Romanina. Questi gruppi autorganizzati non hanno solo una valenza politica, di rivendicazione, ma operano anche comeagglutinatori di socialità. Con il comitato, il forum online e il giornale il quartiere Ponte di Nona comincia acostruirsi socialmente. A questi si aggiunge oggi l’attività scrupolosa e puntuale di diversi blogger ch e, purpartecipando al comitato, hanno come oggetto del proprio blog temi inerenti l’accessibilità al quartiere, e ingenerale, il suo sviluppo futuro. A Romanina, la situazione è analoga, con le attività dei comitati e dei blogger, ai quali si aggiungono le diversetestimonianze nei social network sulle modalità di vita in questi quartieri. Qui le persone discutono di problemispecifici, organizzano raduni e manifestazioni. Attività immateriali e a-spaziali per antonomasia con ricadutefisiche dirette nello spazio.Questo conferma quanto lo spazio del locale continui ad avere un peso importante nella vita dei cittadini, anche afronte dello spazio dei flussi (Castells, 2004). Lo spazio conta ed è Castells a richiamare l’importanza delcommunal space for everyday life e la necessità del suo progetto (Castells, 2009).Anche i centri commerciali assorbono in questa prospettiva nuovi significati (Musarò, 2006). Nonostante lecritiche, diffuse anche tra chi è parte integrante del loro mondo, i centri commerciali sono diventati a tutti glieffetti i centri di queste aree. Sono luoghi di incontro e di svago, ma offrono anche servizi primari (nidi perl'infanzia, biblioteche). Le int erdipendendenze t ra cen tri commer ciali e ar ee r esidenziali so no i ndubbie etestimoniate in vario modo. Sembrano aver interiorizzato gran parte della vita dei quartieri. A P onte d i Nona i r esidenti tr ascorrono gran par te del l oro tem po all´ interno d el “Cen tro”, ch e off reun’opportunità occupazionale per molti di essi. Diverse offerte di lavoro sono state pubblicizzate dal forumlocale e si stima che 300 abitanti del quartiere vi lavorino. Inoltre, contrariamente a quanto si pensi, il Centro nonsolo offre negozi, ma anche servizi, seppur minimi: aree gioco per i più piccoli, un campetto da calcetto, attivitàdi intrattenimento. E’ il posto dove incontrarsi e anche la comunità re ligiosa, in assenza di una chiesa, harichiesto al direttore del centro uno spazio per la messa. I residenti lo percepiscono quindi come una risorsa enon a caso vi si rivolgono per la sponsorizzazione del loro giornale locale. A Romanina, i parcheggi pertinenziali diventano spazi appetibili per pratiche altrimenti prive di localizzazione.Se l a configurazione d ei nuovi q uartieri residenziali sancisce l’impossibilità d i relazion i in p ubblico e d iinterazioni spon tanee, d elle possib ilità d i in contro co l d iverso e l’estran eo (p rerogativa trad izionalmenteattribuita allo spazio pubblico), l’aggregazione della popolazione presso i centri commerciali rende questi ultimiluoghi privilegiati per questo tipo di interazione.I diversi centri commerciali dell’area offrono occasioni per stare e per incontrare, si aprono al pubblico la sera,con locali e pub, lasciano aperti i parcheggi coperti per raduni notturni del tutto particolari (pattinatori e auto fragli altri). In un contesto urbano completamente privo di possib ilità di frui re della città a p iedi, offrono unmicrocosmo fatto di piazzette, fontane e spazi educativi per l’infanzia. Dove la configurazione delle strade edelle rotatorie ostacola le relazioni tra parti adiacenti dei quartieri e il verde diviene margine invalicabile anzichèfattore di c omunicazione, t utte le st rade porta no ai parc heggi di centri pi ù o m eno gra ndi, c he offronogratuitamente campi da basket e giochi per i bambini. Infine, quando avvengono licenziamenti, le manifestazioninon si tengono di fronte al ministero del Welfare, ma all’interno di questi spazi.

5. Conclusioni: ripartire dallo spazio come sede della convivenza.La diversità, la vitalità e più in generale l’urbanità, intesa come l’arte di stare nello spazio e come insieme direlazioni che avvengono nella città, sono state per decenni il cuore delle teorie urbane. hanno rappresentatoinoltre la maggiore preoccupazione degli urbanisti, che hanno tentato il superamento dei limiti del funzionalismoa favore di un approccio orientato alla diversità nell’intepretazione e nel progetto della città.Contributi recenti individuano nell’urbanità e nelle forme di socialità che si dispiegano nello spazio urbano,forme basilari d i esercizio de lla cit tadinanza e d i d iritti di cit tadinanza situati nello spazio. La prospettivaspaziale nei confronti della giustizia, la spatial justice, sta acquistando terreno nel dibattito sulla qualità urbana(Soja, 2009; Fainstein, 2009). La prospettiva dell’urbanità, a differenza di quella più generale della cittadinanza,situa nello spazio u rbano, nello spazio tra le ca se, modi e relazioni de ll’abitare, o ffrendo le condizioni dipartenza per un più ampio principio del diritto alla città.

Sandra Annunziata, Mara Cossu 5

Roma oltre il piano: forme di urbanità per la città contemporanea

Rispetto a queste posizioni il paesaggio urbano recentemente prodotto sembra gettare le premesse per una vitaquotidiana faticosa e difficile. La promessa delle centralità sembra sostituita da una città che prosegue il suosviluppo per parti autoreferenziali e incapaci di dialogare, destinando perifericità agli interventi sia in terminispaziali che funzionali, data l’effettiva carenza dei servizi pubblici locali.I progetti delle centralità provano nelle intenzioni a sopperire alla mancanza di un pensiero dello spazio, ma leconfigurazioni assunte dall’intorno delle aree ad esse destinate rivela il loro prematuro fallimento. Lo spazio prodotto è assimilabile ad uno sca rto nell’accezione progettuale suggerita da Ferr aro. Le nuoveespansioni, sono fatte di margini incompiuti, terraine vague, aree a standard abbandonate o sottoutilizzate. Spazisprecati,se visti in termini di efficienza; occasioni perse a causa della carenza di progetto e pensiero sulla città. Tutto questo non ha però impedito la formazione di una sfera pubblica, sebbene dislocata in contesti del tuttoinaspettati. I quartieri, quando definibili come tali, si presentano spesso privi di spazi pubblici di relazione chenon siano le strade. Anche quando parchi giochi, aree attrezzate e piccoli slarghi riescano a farsi spazio tra lecase, la loro capacità di attrazione degli abitanti è scarsa o fortemente legata a rivendicazioni locali.

Figura 3 (Area verde attrezzata a Romanina)

Forme d i socialità e iniziative collettive di livello locale e non so lo si rad icano fo rtemente nello spazio eprendono forma in posti inconsueti: nel centro commerciale da un lato, e attraverso blog e siti internet dall’altro.Pratiche sviluppate mediante un dispositivo a-spaziale come la rete che si radicano fortemente nello spazio, escelgono quello spazio per le sue caratteristiche intrinseche.Forme di urbanità e pratiche di convivenza sembrano in grado di rilocalizzarsi opportunamente nello spazio ingrado di accoglierle. Come p uò allora il p rogetto tornare a in tercettare la t otale polifonia, a volte co nflittuale, dell’ab itarecontemporaneo? Di certo appare necessario tornare a pensare lo spazio, intendendolo come qualcosa di moltopiù ampio e complesso di un’area di progetto.

BibliografiaBertolini, L. (2006). Fostering urbanity in a mobile society. Linking concepts and practices. Journal of UrbanDesign, 11(3), 319-334.Bianchetti., C. (2008a), Urbanistica e sfera pubblica, Roma, Donzelli. Bianchetti, C. (20 08b). Qu antità e qu iete: i l d iscorso i deologico su ll’abitare. Archivio di Studi Urbani eRegionali, 94.Berdini, P. (2008a), La città in vendita, centri storici e mercato senza regole, Roma, Donzelli.Berdini P. (2008b). Roma tra pianificazione e contrattazione, Rivista del Dupt dell’Università di Firenze, 2.Brandolini, L. (2006). Fostering Urbanity in a Mobile Society: Linking Concepts and Pract ices. Journal ofUrban design, 11(3). De Lucia, V. (2005). Il nuovo Prg di Roma e la dissipazione della campagna romana. Meridiana, 4.Castells, M. (2004), La citta delle reti, Venezia, Marsilio.

Sandra Annunziata, Mara Cossu 6

Roma oltre il piano: forme di urbanità per la città contemporanea

Castells, M. (2009). Beyond the crisis: Toward a new urban paradigm. In Rösemann J., Sepulveda, D. The newurban question. Urbanism beyond neo-liberalism, Lei Qu, (eds.), IFOU.Cremaschi, M. (2008a). Urbanità e resistenza. Archivio di Studi Urbani e Regionali, 94.Cremaschi, M. (2008b), Tracce di quartiere. Il legame sociale nella città che cambia, Milano, Franco Angeli.De Certeau, M. (1980), L'Invention du Quotidien. Vol. 1, Arts de Faire, Paris, Union générale d'éditions.Fainstein, S. (2009). Spatial Justice and Planning. Spatial Justice [Online]. Disponibile su: http://www.jssj.org Groth, J. & Corin, E. (2005). Reclaming Urbanity: indeterminate space, informal actor and urban agenda setting.Urban Studies, 42(3), 503-526.Gualini, E. & Majoor, S. (2007). Innovative Practices in Large Urban Development Projects: Conflicting Framesin the Quest for “New Urbanity”. Planning Theory & Practice, 8(3), 297-318. Musarò, P. (2006). Ci vediamo in centro. Pratiche di consumo e nuovi significati dei luoghi. E/C, Rivistadell'Associazione Italiana di Studi Semiotici [Online]. Disponibile su: http://www.ec-aiss.it. Palazzo, A.L. a cura di (2005), Campagne urbane. Paesaggi in trasformazione nell'area romana, Roma,Gangemi.Salet, W. (2008). Rethinking Urban Projects: Experiences in Europe. Urban Studies 45(11), 2343-2362.Soja, E.W. (2009). The city and spatial justice. Spatial Justice [Online]. Disponibile su: http://www.jssj.org Tocci. W. (2008). La lezione di Roma. l’Unità, 18 maggio 2008.Zukin, S. (2009), Naked City: The Death and Life of Authentic Urban Places, Oxford University Press.

Sandra Annunziata, Mara Cossu 7

Gli spazi pubblici: luoghi di conflitto e risorsa della città multietnica

Atti della XIII Conferenza Società Italiana degli UrbanistiCittà e crisi globale: clima, sviluppo e convivenza

Roma, 25-27 febbraio 2010Planum - The European Journal of Planning on-line

ISSN 1723-0993

Gli spazi pubblici: luoghi di conflitto e risorsa della città multietnica

Franca BallettiDipartimento Polis

Facoltà di Architettura di Genova, [email protected] 010 209 59 33 /fax 010 209 59 07

Silvia SoppaDipartimento Polis

Facoltà di Architettura di Genova, [email protected] 010 209 59 33 /fax 010 209 59 07

AbstractUna pluralità di cambiamenti nella società e nella città ha determinato il declino dello spazio pubblico; semprepiù diffuse nelle città medio-grandi sono fenomeni di degrado fisico, di esclusione sociale, di privatizzazionedello spazio pubblico non solo in aree periferiche, ma anche in zone centrali, come i centri storici. D’altraparte, gli spazi pubblici sono anche sempre più spesso l’obiettivo di azioni sociali per la loro difesa e cresce ilnumero di comitati, gruppi e associazioni di cittadini che ne reclamano la cura e si mobilitano per lariconquista di spazi essenziali per la vivibilità ambientale e la coesione sociale: piazze, strade, aree verdi.

1. Spazio pubblico e Centro StoricoQuando si parla di spazio pubblico il riferimento è spesso al “negativo” del tessuto urbano - percorsi, piazze,aree verdi - a luoghi “aperti” o “vuoti” che in passato operavano da elementi catalizzatori di condivisione socialetra diverse popolazioni e che oggi sembrano solo in attesa di una destinazione d’uso, di una funzione, di unprogetto che li caratterizzi.Ognuno di questi territori, però, è qualcosa di più di un contenitore di funzioni, ha un diverso status, una storiaparticolare, appartenente alle popolazioni che lo abitano, dalla quale partire per gettare le basi per una riflessionesullo stesso concetto di “spazio pubblico”. Sono molteplici, infatti, le accezioni che possono essere date allo “spazio pubblico”: da luogo in cui a tutti èconcesso diritto di accesso, regolato da un insieme di norme e convenzioni, allo spazio dei servizi collettiviorientati al “consumo comune”, allo spazio della partecipazione al la v ita co llettiva. È evidente che ogg i i lsignificato prevalente è riferito al suo essere luogo di transito o ad un regime giuridico della proprietà che decidela destinazione dei terreni e degli usi piuttosto che prestare attenzione alle rappresentazioni sociali che ospita. Di con seguenza, gli in terventi sullo sp azio pubblico hann o spesso come a ttenzione pr eminente la su aqualificazione attraverso azioni che lo propongono come un'estensione dello spazio commerciale o come unsemplice prolungamento di quello domestico, ignorando la dimensione identitaria, culturale del contesto in cui siinserisce, favorendone la frammentazione e l’ulteriore privatizzazione con il conseguente indebolimento deivalori sociali impliciti nel concetto di cittadinanza.

“Ogni centimetro quadrato è sfruttato in funzione di qualcosa (quasi esclusivamente in chiave economica) elo spazio li bero si rest ringe e non solo in termini fisici ma anche in termini d i negazionedell’autodeterminazione del singolo individuo e di socializzazione spontanea” (Pietromarchi, 2005; p. 8).

Non si può non condividere quanto sostiene Franco Cassano descrivendo le dinamiche della società attuale: [la nostra libertà è] fatta di continui gesti di appropriazione e di esclusione degli altri dal nostro possessoprivato […] Questa emulazione [dei possidenti] ha p rodotto la strage degli i ncontri e delle solidarietàcollettive, la trasformazione del «pubblico» in una entità residuale, in qualcosa in cui si scaricano con sempremeno scrupoli i rifiuti delle nostre appropriazioni private [...] (Cassano, 1996; pp. 17-18).

Ma lo spazio pubblico è soprattutto “sfera pubblica”:“area dove si forma l’opinione pubblica, dove ci si confronta e si discute; è lo spazio non intenzionale, quelloche viene occupato dagli immigrati delle varie etnie, nazionalità, lingue, culture, dai non rappresentati, daquelli che non hanno voce, dai giovani; è il luogo dove i conflitti si manifestano e dove sono esplicite ledifferenze” (Baioni, Boniburini, Salzano, 2009; p.3).

Franca Balletti, Silvia Soppa 1

Gli spazi pubblici: luoghi di conflitto e risorsa della città multietnica

Rispetto a questa prospettiva può essere particolarmente fertile prendere in considerazione lo spazio pubblico nelCentro Storico di Genova che si presenta, oggi, come un laboratorio di incontro-scontro tra passato e presente,tra inerzie e innovazione, tra ‘popolazioni’ diverse che proprio rispetto allo spazio aperto manifestano esigenze ecomportamenti profondamente divergenti.Per comprendere la situazione attuale occorre guardare agli ultimi dieci, quindici anni. In questo periodo ilCentro Storico è divenuto il luogo sul quale si sono manifestate due opposte tendenze: da una parte, l’afflusso dimigranti provenienti da paesi extra-UE1., dall’altra l’afflusso di nuove popolazioni come quelle dei city user(movida in generale, studenti, popolo degli aperitivi) e di un nuovo tipo di residenti composto da intellettuali,professionisti, giovani. In altre parole il Centro Storico ha rappresentato sia una scelta abitativa di convenienzaper gli strati più svantaggiati della popolazione, sia una scelta dettata dal profilo culturale di una popolazione chene app rezza la c entralità dell a l ocalizzazione, le pec uliarità artistico-culturali, la possi bilità di trovare unambiente sociale r icco ed eterogeneo, sia il luogo d i prima “accoglienza” d i popolazioni immigrate che inmaggioranza vivono, spesso da clandestini, l’emergenza della ricerca di un lavoro oppure che, in altri casi, siinseriscono nel mondo delle attività illegali.Il Centro Storico è diventato così quella parte di città dove si sperimenta una nuova cittadinanza, dove si mettonoin discussione regole d i convivenza e d i relazione, dove si contaminano i l inguaggi, le forme culturali, leidentità; attivando percorsi che potrebbero trovare condizioni ideali nei caratteri stessi della città storica, in cui ilcostruito, il progetto, l’impianto urbano è espressione stessa della necessità morfologica di dividere/condividerespazi pubblici e privati (Purini, 2001). È il contesto stesso della ricerca che mette in evidenza le molteplici dimensioni dell’agire sullo spazio pubblico,che non si l imitano sem plicemente a d una s ua “rifunzionalizzazione” e d ab bellimento estetico oppure alrispondere all ’esigenza, t ipica dei quartieri residenziali de lle peri ferie metropolitane, d i p rovvedere ad unadotazione di spazi a standard, n ei quali si p ossano svo lgere alcune at tività collettive: esso è innanzitutto“ambiente di vita”, spazio determinato “dalle imprevedibili destinazioni che un ambiente urbano pensato per unaserie di funzioni precise sceglie di opporre a quelle previste, in un rovesciamento spesso improvviso di rituali edi finalità” (Purini, 2001; p. 2).Il conflitto è allora la vera anima di questa accezione dello “spazio pubblico”, la dimensione nella quale essomostra la sua autentica necessità, il suo principio e insieme il suo senso ultimo. È il conflitto tra dimensioneprivata e dimensione collettiva, che si è sempre manifestato nella storia; è il conflitto tra inclusione ed esclusionesociale, tra regola e diversità, diversità sempre più spesso rifiutate attraverso la negazione dell’ “indisciplinatadifferenziazione delle città” (Forni, 2002; p.45). Il Centro Storico è, da un lato, incubatore di culture; in cui si dispiega l’intreccio, a volte conflittuale a voltecreativo perché fecondo di mutamenti ed ibridazioni, tra culture urbane, tradizionali, giovanili, autoctone, di altreetnie e fra stili di vita differenti (Bovone, Mazzette, Rovati, 2005), dall’altro lato, territorio dell’incontro-scontrotra gruppi sociali diversi - gli stranieri, la nuova borghesia intellettuale, ma anche i residenti “nativi” -; è unasocietà che a dispetto de lla " forzata" prossimità abitativa non si parl a, non sta in sieme, una so cietà “n oncomunicante” (Dispos, 2004).In questo contesto per l’Amministrazione locale un importante strumento, capace sia di non di sperdere l aricchezza dei differenti e c ontrapposti stimoli che nasc ono da qu esto luogo si a di adat tarsi al le d iverse“dimensioni” di questa re altà senza precl uderne a priori alcu na, è la c ostruzione, attrave rso m odalitàpartecipative, di progetti integrati di riqualificazione. Questo strumento è adatto a rafforzare l’identità dei quartieri in cui si interviene, grazie alla sua capacità di dareimpulso e voce ad una rete di associazioni che lavorano e vivono nel territorio, di fare proprie progettualità didiversa scala - da quelle di stimolo, simboliche, a quelle di sostegno delle piccole realtà, dalle azioni per ilradicamento locale a quelle di rafforzamento dei flussi turistici, a quelle di coinvolgimento nella vita di quartiere-, tutte rivolte a raggiungere l’obiettivo principale della riqualificazione degli ambienti di vita.Esso mette in primo piano la considerazione ed il rafforzamento del “capitale sociale”, ovvero quella rete direlazioni personali e famigliari mobilitabili da ogni singola persona per assumere informazioni/conoscenze emigliorare la sua posizione sociale, ma anche il contesto in cui vive. Sotto forma di fiducia, il capitale sociale ela socialità sp ontanea rivestono un ’importanza determinante ai fini d ella buona riuscita de lle in iziative d irivitalizzazione del tessuto sociale ed economico.

2. Il Centro Storico e il quartiere della MaddalenaIl quartiere Maddalena nel Centro Storico dei Genova riassume un vasto repertorio di bisogni sociali, attinenti ilsingolo e la sua capacità di indipendenza sociale: bisogni collegati ad emergenze trasversali – impoverimento

1 Gli stranieri residenti nel Centro Storico risultano ancora in percentuale maggiore rispetto alle altre Circoscrizioni della città, sebbene negliultimi anni abbiano fatto registrare una flessione (sul totale dal 25,7% al 16,8%), che conferma la tendenza della presenza straniera adallargarsi a corona nelle realtà territoriali immediatamente circostanti il centro cittadino. Tale morfogenesi migratoria potrebbe avere comespiegazione la geografia dei valori immobiliari delle diverse zone cittadine e il forte aumento del prezzo di acquisto degli immobili delCentro Storico che nell’arco di dieci anni (1995-2005) è quintuplicato.

Franca Balletti, Silvia Soppa 2

Gli spazi pubblici: luoghi di conflitto e risorsa della città multietnica

generalizzato, aumento del costo della vita e degli alloggi, mancanza di lavoro – che vanno ad aggravare disagilegati anche alla presenza di particolari fasce sociali disagiate o dedite ad attività illegali.La cronaca cittadina mette spesso in evidenza quali problemi urgenti di questa e di altre parti del cuore della cittàtemi di carattere sociale: il forte degrado sociale (povertà, prostituzione), che potrebbe erodere il presidio dellepopolazioni insediatevisi in questi anni e rendere inefficaci gli sforzi di rivitalizzazione dell’Amministrazione; la“fragilità” della sicurezza urbana (presenza di micro-criminalità diffusa, spaccio), che è origine di contrasti traresidenti e pubblica vigilanza, scontro tra comunità di etnia differente, disincentivo alla valorizzazione di attivitàcommerciali e turistiche e alla loro espansione. Il quart iere (Fig. 1), pur essendo collocato in posizione pr ivilegiata appena a sud della straordinaria StradaNuova, può essere definito una “enclave” chiusa in sé stessa con proprie regole, dove chi proviene dall’esternoavverte un forte senso di disagio e spesso non ha motivi di attrattività o di semplice necessità di frequentazione.Il tessuto edil izio è fittissi mo c on sacche di de grado, abitate in p revalenza da fasce de boli e d immigratiextracomunitari, anche se non mancano punti di eccellenza - palazzi nobiliari2 - abitati da genovesi, di cetomedio-alto, fortemente radicati nel sito, ma in condizioni di progressivo isolamento.

Figura 1 - Vista dall’alto del “triangolo” della Maddalena, racchiuso all’interno del Centro Storico

Nel “triangolo” della Maddalena coesistono differenti popolazioni che si sono stanziate negli ultimi decennidelineando un quadro demografico complesso e variegato. Nel quartiere v ivono residenti s torici e “nuovi”residenti. Fra i primi trov iamo le persone di ceto op eraio, sp esso ex -lavoratori del por to or a pensionati oartigiani, e gl i immigrati dell'immigrazione interna dal Sud, con una forte presenza di persone anziane chevivono problematiche leg ate sia alla morfologia d el qu artiere stesso sia alla d ifficoltà d i coabitare con letrasformazioni sopravvenute; fra i secondi, gli immigrati stranieri. L'immigrazione provoca problemi in terminidi convivenza e di criminalità per la compresenza di tante e diverse etnie, con tutta una serie di bagagli culturali,di vita, di educazione, distanti tra loro. Tra i bisogni espressi - sicurezza, assistenza economica - si ritrova anche la manutenzione del territorio, la suapulizia e i l suo esser e po vero d i spa zi verd i o accog lienti; la care nza di s pazi comuni, anc he di ri dottedimensioni, rappresenta un obiettivo ostacolo alla socializzazione, al gioco, alla semplice vita di relazione anchedei bambini e più in generale delle famiglie.L’Amministrazione comunale, a partire dagli anni Novanta, ha effettuato importanti investimenti per attuareinterventi di ri qualificazione, bonifi ca, rist rutturazione, illuminazione de gli spazi pubbli ci, animazioneeconomica e culturale, promozione ed inclusione sociale, anche in forza del Programma Organico di Interventodelle Vigne, del Programma di Iniziativa Comunitaria URBAN II, del Programma Interventi per GeNova 2004.Tuttavia, le iniziative promosse negli anni passati non hanno inciso positivamente sulla situazione descritta, anziil rafforzamento dei percorsi a perimetro dell’ambito ha impoverito ulteriormente il tessuto commerciale, già2 Alcuni inseriti nell’elenco dei Palazzi dei Rolli di recente riconosciuti dall’UNESCO come Patrimonio dell’Umanità.

Franca Balletti, Silvia Soppa 3

Gli spazi pubblici: luoghi di conflitto e risorsa della città multietnica

reso fragile dallo spostamento in altra sede di importanti uffici comunali che consentivano la permanenza diattività di vendita giornaliera anche al servizio dei dipendenti. Nel 2007 h a preso avv io il Patto p er l o Sv iluppo l ocale d ella Madd alena3 che si pro pone di conseguireun'inversione di tendenza della situazione attuale, cercando di impostare occasioni di frequentazione qualificata,ubicando servizi di qualità in sostituzione di locali in stato di degrado, migliorando i percorsi sia in termini direcupero fisico che di arredo, segnaletica, illuminazione. Al di là delle singole progettualità avviate, in questasede, si vuole rilevare l’importanza dell’impostazione del metodo di lavoro.Se l’incipit di partenza è quello che la complessità va affrontata intervenendo sul contesto economico-sociale esu fattori “sensibili” come la sicurezza e la pulizia, il re-insediamento di attività economiche, il sostegno a quelleesistenti e la qualificazione dello spazio pubblico, la finalità generale, impostata dallo strumento del Patto, èquella di impegnare tu tti i soggetti co involti in una azione coordinata e un itaria di recupero del quartiere,partendo dalla consapevolezza che nessuno dei singoli attori e nessuna singola azione possano essere, da soli,risolutivi. Lo strumento operativo del Patto è rappresentato dal Piano di Sviluppo Locale della Maddalena (PSL) approvatonell’ottobre 2008, ch e ha t ra i suo i p rincipali obiettivi quelli d i risp ondere alla do manda su l futuro dellaMaddalena interpellandosi prima di tutto su che cosa il quartiere stesso è in grado di fare, che responsabilità ivari attori si prendono, quali sono oggi i vincoli e le risorse mobilitabili.L’obiettivo è quello d i aumentare l’integrazione e la condivisione delle azioni dei diversi attori, siano essisoggetti pubblici o privati e, di agire, conseguentemente, sull’efficacia e sulla tempestività/opportunità delleazioni/progetti. Ogni aderente conferisce al Patto risorse decisionali e prende l’impegno di operare, nella suasfera di competenza, coerentemente a quanto concordato con gli altri attori. Il PSL ha dato avvio ad un processo a garanzia del maggior grado di coinvolgimento dei diversi at tori nelprogetto del territorio, nelle diverse forme dell'informazione e di consultazione, favorendo la partecipazioneattiva e consapevole di tutti i soggetti verso i quali sono indirizzate o per i quali siano disponibili iniziativespecifiche4. Diversi gli strumenti utilizzati: dal Comitato di Pilotaggio, gruppo guida del PSL, che presiede tuttele att ività d i analisi e di informazione, coordina e monitora l’attuazione del Piano stab ilendone le priorità,all’Assemblea, sede dell’informazione e della comunicazione ed anche luogo della verifica della coerenza delleazioni del PSL rispetto ai obiettivi prefissati, ai Forum locali e ai Tavoli Tecnici l uoghi della partecipazione,dell’ascolto, della condivisione delle azioni del PSL con i cittadini, singoli e organizzati anche non coinvoltidirettamente nel Comitato di Pilotaggio.Il processo ha generato una forte spinta progettuale che ha permesso non solo la messa a punto di un’analisicondivisa dei problemi e delle risorse del territorio, ma soprattutto l’avvio di progetti di riqualificazione; nasce,infatti, dai tavoli e dalle idee del Patto il Progetto Integrato per il recupero e la riqualificazione dell’area, che haottenuto i finanziamenti della Regione Liguria nell’ambito del Programma Operativo Regionale Liguria, FERS2007-2013 e che prevede, tra le diverse azioni, il recupero di quegli elementi fisici che contribuiscono al degradoambientale e sociale dell’a rea; l’implementazione d i servizi d i tipo sociale-aggregativo e per l'in fanzia, perridurre i p rincipali fabbisogni d egli abitanti, co n pa rticolare ri guardo al le fasce pi ù deboli; i l rec uperodell’attrattività dei percorsi di attraversamento verso e da luoghi eccellenza (dal Porto Antico a via Garibaldi, alPolo Museale)5.

Bibliografia

Libri

Bovone L., Mazzette A., Rovati G. (a cura di), (2005), Effervescenze urbane. Quartieri creativi a Genova,Milano, Sassari, Milano, FrancoAngeli.Dipartimento d i Sc ienze P olitiche e Sociali, (20 04), La riqualificazione del Centro Storico di Genova:imprenditorialità e consumi culturali come risorse simboliche ed economiche, Genova.Cassano F., (1996), Il pensiero meridiano, Roma-Bari, Laterza.

3 Il Patto per l o Sviluppo della Maddalena è s tato sottoscritto ne lla pri mavera 2007 da: Comune di Genova, Prefettura, Camera d iCommercio, Industria e Artigianato di Genova Municipio I Centro Est, CIV Maddalena, Associazione il Sestiere della Maddalena, FILSE,Ri.Ge.Nova, ARTE, AMIU, Università degli Studi di Genova (Facoltà di Architettura) e Job Centre, con il ruolo di coordinamento tecnico.4 Sono mobilitati gli attori locali: il CIV Maddalena, che rappresenta in modo organizzato le istanze della rete commerciale della zona dellaMaddalena; le Parrocchie, Associazioni, Comitati, che rappresentano in modo organizzato le istanze della popolazione residente e degli attorisociali del territorio; il Consorzio Qualità e Recupero, che propone interventi di riqualificazione dei diversi manufatti in coerenza con leazioni del P.S.L. e che intercetta risorse e volontà imprenditoriali.5 Nasce anche nell’ambito del Patto il Progetto RING, Recuperare identità nel cuore di Genova, finanziato per il periodo 2009-2011 confondi FSE e FESR, che prevede la realizzazione di un Distretto Culturale con sede nel quartiere della Maddalena. Tra le diverse azioni: lamappatura dei valori culturali e commerciali dell'area in funzione della realizzazione di uno spazio fisico e virtuale di conoscenza e diconsumo coinvolgente tutto il territorio del Distretto; lo studio di fattibilità per collegare i siti museali con gli altri valori e risorse delterritorio; l'analisi delle potenzialità e della riconducibilità dei prodotti dell'artigianato esistente e del tessuto enogastronomico a riferimentistorici, culturali, simbolici, riferibili al Distretto.

Franca Balletti, Silvia Soppa 4

Gli spazi pubblici: luoghi di conflitto e risorsa della città multietnica

Forni E., (2002), La città di Batman. Bambini, conflitti, sicurezza urbana, Torino, Bollati Boringhieri.Paba G., (1998), Luoghi comuni. La città come laboratorio di progetti collettivi, Milano, Franco Angeli.Pietromarchi B., (2005), Il luogo [non] comune. Arte, spazio pubblico ed estetica urbana in Europa, Roma-Barcellona, Fondazione Olivetti e Actar.

Articoli:

Crosta P.L., (2000). Società e territorio al plurale, Foedus, 1, 41-42.Poli D. (a cura di), (2007). Luoghi contesi: la riconquista dello spazio pubblico, Contesti. Città, territori eprogetti, 1, 7-10.

Siti web:

Baioni M., Boniburini, I., Salzano E.,(2009). La città, la società, gli spazi pubblici [Online]. Disponibile su:www.eddyburg.itPurini F., (2001). Spazio pubblico e conflitto [Online]. Disponibile su: http://www.celsius.lucca.it

Sitologia

http://www.incubatorecentrostorico.ithttp://urbancenter.comune.genova.it

Riconoscimenti:Il presente contributo è frutto di un lavoro comune; tuttavia il paragrafo “Spazio pubblico e Centro Storico” è daattribuirsi a Silvia Soppa, mentre il paragrafo “Il Centro Storico e il quartiere della Maddalena” è da attribuirsi aFranca Balletti.

Franca Balletti, Silvia Soppa 5

Confini, distanze e prossimità: nuovi dispositivi per il progetto dello spazio pubblico

Atti della XIII Conferenza Società Italiana degli UrbanistiCittà e crisi globale: clima, sviluppo e convivenza

Roma, 25-27 febbraio 2010Planum - The European Journal of Planning on-line

ISSN 1723-0993

Confini, distanze e prossimità: nuovi dispositivi per ilprogetto dello spazio pubblico

Sara BassoDipartimento di Progettazione Architettonica e Urbana

Facoltà di Architettura, Università degli Studi di Trieste, [email protected] 0421 221774

AbstractAffrontare il progetto dello spazio pubblico richiede oggi precisarne meglio il senso e il ruolo assunti,all’interno della città contemporanea, per la società che in essa si trova ad abitare, stabilmente odoccasionalmente. L’ipotesi sostenuta è che per progettare uno spazio pubblico nuovo, rispondente a questasocietà, sia necessario uno sforzo di riflessione critica utile a chiarirne il significato: solo a partire da questo èpossibile ripensare all’approccio e agli strumenti utili a perseguire la concreta realizzazione di un luogo chepossa dirsi ‘pubblico’. Attraverso questo contributo si intendono delineare alcuni temi che si ritiene possonosuggerire linee di ricerca possibili per perseguire questo obiettivo.

1. Lo spazio pubblico: nuovi orizzonti di sensoNella città contemporanea ci si scontra con una dimensione dello spazio pubblico completamente diversa daquella del passato: non univoca, sfuggente, dalle molte e, non sempre prevedibili, variabili. Cambiamenti sociali(fenomeni migratori e nuove composizioni sociali in primis), modificazioni nei modi di rapportarsi allo spaziodella città dispersa e quindi nell’abitare, trasformazione del senso e del valore dei luoghi un tempo ‘centrali’ esimbolicamente rappresentativi della comunità insediata, nuove domande di sicurezza: sono, questi, alcuni tra iprincipali motivi che spingono molti studiosi ad interrogarsi sulla natura e la forma dello spazio pubblico dellacontemporaneità1. Questioni che, allo stesso tempo, profilano l’urgenza di rivedere l’approccio al progetto dellospazio pubb lico, tan to nella sua relazione co n l a cit tà, quanto in quella con gli abitanti e con ch i ne faoccasionalmente uso ed esperienza.Ma di quale spazio pubblico? A quale dei tanti significati possibili e plausibili dobbiamo rivolgere la nostraattenzione?Tra le molte ipotesi di spazio pubblico che si profilano all’interno di un discorso ricco ed articolato, la riflessionequi proposta aderisce ad un suo significato non tanto nei termini di spazio predestinato ad un uso in comune ocollettivo (contrapposto a privato), quanto piuttosto al suo senso come luogo2 dove, mettendo in gioco la nostraidentità3, sia possibile fare esperienza della diversità e dell’alterità. Ci si riferisce, allora, ad un spazio che dialuogo a forme di convivenza4. In questo, il suo significato e valore ‘pubblico’ non è designato istituzionalmentema deriva piuttosto da un processo in cui confluiscono pratiche, attribuzioni, valori, e attraverso cui si giungealla definizione di un’immagine - quella di luogo (del) pubblico, appunto - condivisa. È a questo tipo di spazioche ritengo debba rivolgersi con maggiore attenzione il progetto: allo spazio pubblico pensato come “luogo direlazioni”. Avanzo l’ipotesi che la risposta attraverso cui architetti/urbanisti hanno cercato di affrontare un’ormairiconosciuta e conclamata crisi dello spazio pubblico non sia sempre l’esito di una riflessione a priori sullospazio come luogo ‘del pubblico’, ma risulti in molti casi mediata dall’attenzione verso temi trasversali: ora ilpaesaggio, ora l’arte pubblica, ora un’emergente dimensione ecologica-ambientale…5. Temi che in alcuni casisembrano testimoniare un’oggettiva difficoltà nel definire in che cosa si siano trasformati i tradizionali spazi di

1 Si vedano, a titolo di esempio, (Innerarity, 2008), (Bianchetti, 2008), (Lanzani, 2003a), (Ilardi, Desideri, 1996).2“È nei luoghi che l’esperienza umana si forma, si accumula e viene condivisa, e il suo senso viene elaborato, assimilato e negoziato. Ed ènei luoghi, e grazie ai luoghi, che i desideri si sviluppano e prendono forma, alimentati dalla speranza di realizzarsi, rischiano la delusione, e– a dire il vero – il più delle volte vengono delusi.”: (Bauman 2005; p. 21, 22). 3 Sulla relazione tra luogo e identità si vedano: (Cacciari 2000), (Raffestin 2003).4 “Il carattere pubblico viene conferito ad un luogo se e quando tutti coloro che vi si trovano ad interagire in una situazione di compresenza,utilizzando in modi diversi e con motivazioni differenti (e non condivise: la compresenza può essere – e in genere lo è – caratterizzata datensioni e conflitti), apprendono, attraverso l’esperienza concreta della diversità […] la compresenza in termini di convivenza. E attraversoquesto processo di apprendimento, “si fanno” pubblico.”: (Crosta, 2000; p. 42, 43)5 Modi di trattare lo spazio pubblico testimoniati anche dalle numerose pubblicazioni sul tema, in particolare da riviste (Lotus navigator,A+T, Lotus,…) che hanno dedicato al tema numeri monografici specifici.

Sara Basso 1

Confini, distanze e prossimità: nuovi dispositivi per il progetto dello spazio pubblico

aggregazione, e nell’integrare i n una r isposta prog ettuale convincente le molte d omande di cui oggi g liutenti/abitanti e gli stessi spazi sono portatori.A partire dall’osservazione di uno spazio della convivenza, intendo proporre alcune questioni (aperte) da cuiritengo possa essere utile partire per ripensare i l progetto per/dello spazio pubblico. A tal f ine, delineo trepossibili campi d i indagine: i l p rimo a ttiene al ruolo costruttivo e positivo che può avere il confine comedispositivo di relazione, il secondo al valore delle distanze tra noi e gli ‘altri’ come mezzi per organizzare glispazi della socialità, rapportandoli a quelli del privato, il terzo alla necessità di riconsiderare l’importanza di unapproccio “micro” alla progettazione dello spazio.

2. Confini necessariLa pr ima question e ri guarda la n ecessità del confine co me strumento p er g arantire relazioni tra identitàdifferenti. Quest’ipotesi (avvalorata da studi e da una riflessione che trova fondamento nel contributo di geografi,sociologi, filosofi, oltre che di architetti6) viene confermata dall’analisi di un caso studio specifico: il territorio diconfine italo-sloveno, nell’entroterra triestino. La lettura delle dinamiche sociali e insediative di questo territorio- dove si sono trovate a convivere, in modo spesso conflittuale, etnie diverse (slovena e italiana) - permette diconfermare ulteriormente l’ipotesi che il confine sia indispensabile per affermare l’identità e permettere chequesta possa porsi in relazione, con le sue specificità e diversità, ad altre senza entrare in conflitto con loro.Quello che insiste su l confine triestino è stato definito come un terr itorio “e tnico”, occupato in origine dasloveni. L’annessione allo stato italiano ha minato il persistere del sistema di organizzazione sociale, ma ancheterritoriale, legato a forme collettive di gestione della proprietà7 in cui gli sloveni da sempre hanno riconosciutola p ropria identità co llettiva, p erpetuandone l’affermazione nel tempo. Il mancato r iconoscimento d iun’organizzazione spaziale come riflesso di un’antica organizzazione sociale (le proprietà collettive non sonoriconosciute in Italia) ha indotto l’etnia autoctona a difendere il proprio spazio rafforzandone i confini: da luogodi i dentificazione e di riproduzione di va lori i dentitari condivisi, il territorio s i è trasformato in “enclavestrategica” entro cui tutelare e difendere la propria identità.In questo territorio, ulteriori confini sono andati sedimentandosi nel confronto con la popolazione italiana. Lerelative forme di convivenza sono spesso restituite dalla letteratura nei termini di dominanza della maggioranza,italiana, su lla m inoranza, slov ena. Per e vitare l’assim ilazione, la co munità sl ovena au toctona si è trov atacostretta a rafforzare anche i propri confini “etnico-culturali” e a vivere in una necessaria condizione di chiusura.La distanza che si è venuta ad instaurare nei confronti della popolazione italiana è segnata dal consolidarsiprogressivo di ulteriori “confini immateriali”, che condizionano e ostacolano la risoluzione dei conflitti generatiin relazione alla gestione e all’uso del territorio. L’immagine di luogo in cui perpetuare il riconoscimento dellapropria identità contrasta infatti con quella, ampiamente nota e diffusa tra la maggioranza, di un posto di grandepregio paesaggistico e ambientale, dove poter abitare in un contesto naturale ma, allo stesso tempo, vicino allacittà. Il territorio sloveno, quello dei borghi, è stato così interessato, soprattutto in tempi recenti8, da fenomeni diurbanizzazione che hanno favorito il radicarsi di modelli insediativi estranei alla cultura locale, portatrice alcontrario d i form e i nsediative fru tto di un lun go e p aziente ad attamento alle co ndizioni cli matiche egeomorfologiche del contesto9.A partire da queste considerazioni, si delinea un nuovo modo di intendere il confine. In questo contesto, nonsembra negabile l’ipotesi che l’istituzione del confine politico abbia interrotto il processo di identificazione cheper le popolazioni autoctone avveniva attraverso “la terra” e la sua gestione, concorrendo allo stesso tempo alconsolidamento di ulteriori confini relazionali e sociali. Ma questo caso testimonia anche come il processo diidentificazione e di riconoscimento che si esperisce nell’abitare il proprio luogo non sia legato alla dimensioneterritoriale, ma ad una scala ridotta, quella del quotidiano, compiendosi nei gesti minuti e nelle pratiche legate al“fare territorio” attraverso cui avviene l’affermazione della propria appartenenza. Se è ad una scala discreta chesi realizza il processo di identificazione, è qui che si richiede una più precisa definizione del confine per ilriconoscimento di una più generale identità comunitaria. Questo ha rilevanza nel momento in cui si pensa a comepossa incidere sulle pratiche legate all’abitare e, di conseguenza, sui modi di vedere il proprio luogo (territorio) edi rapportarsi attraverso esso all’alterità. Oggi molte ricerche che guardano all’abitare hanno saputo restituirci significati nuovi della parola, alludendoalla dimensione non più solo stanziale, ma alla possibilità che l’abitare si esperisca in una dimensione allargata,estesa al territorio, in virtù dei possibili sistemi di relazione che si possono stabilire tra gruppi vicini e lontani,

6 Tema che ho avuto modo di affrontare in Basso, (in corso di pubblicazione). 7 Si tratta di un sistema basato sugli usi civici e sulle cosiddette comunelle. Gli usi civici definiscono una realtà collettiva in cui l’uso e losfruttamento del fondo è riservato ai soli membri (definiti anche comunisti, antichi, originari…): questi membri fanno parte di una collettivitàdetta comunella, vi cinia, co munanza…, che c onduce a benef icio indivi duale i terreni p revalentemente agr ari, m entre e sercitanocollettivamente determinati benefici. 8 Non è casuale che prima del degli anni ’60 gli strumenti urbanistici predisposti per la città non contemplassero disposizioni specifiche per iborghi carsici; piani particolareggiati per i borghi vengono redatti solo a metà degli anni ’80. 9 Tipica è, in questo senso, la modificazione che si può rilevare nella trasformazione non sempre coerente del principio insediativo della casacarsica operata in molti interventi di ristrutturazione e recupero di questa tipologia.

Sara Basso 2

Confini, distanze e prossimità: nuovi dispositivi per il progetto dello spazio pubblico

affini o meno, e variabili nel tempo (Cacciari, 2004). Questo territorio sembra suggerirci che questa opportunità,ovvero l’opportunità di garantire all’abitare una sfera di possibilità relazionale ampia (Tagliagambe, 2005), nonpuò avvenire se non previa la più attenta definizione dell’ambito della stanzialità circoscritta del quotidiano. In questo, è la piccola scala, quella relativa all’insediamento, alle sue forme di organizzazione e di reciprocherelazioni, che diviene determinante: è solo ripercorrendo e tracciando i confini nei contesti minimi del confrontoquotidiano che si possono riconoscere con chiarezza i confini legati ad una territorialità più ampia, e si può cosìgarantire una maggiore possibilità di relazione tra individualità e, soprattutto, etnie. Un passo indispensabile perconsentire ai differenti gruppi etnici di mettersi in relazione non in termini di opposizione/difesa, o di chiusura(enclave), ma d i ap ertura, of frendo una po ssibile altern ativa al con flitto generato tra il processo d iistituzionalizzazione di un territorio e la sua gestione tradizionale.Il co nfine può al lora diventare f ondamento pe r un nuovo processo di c omposizione del lo s pazio, un acomposizione che più che con-fondere deve accostare e accordare, facendo vivere l’intero nella qualità di ognisua parte, ricordando che solo dalla giustapposizione, e non dalla separazione, nasce la ricchezza.

3. Distanze e prossimitàLa lettura di questo caso sembra suggerire un’ulteriore rif lessione in merito alla r ilevanza che sembra oggiassumere il concetto di distanza e le sue declinazioni possibili. La distanza non è solo metrica: la distanza puòdiventare strumento di indagine quando serve a riconoscere, e definire, l’intervallo che esiste tra un ‘noi’ edifferenti ‘territori del sé’ (Lanzani, 2003b), tra i nostri confini - i confini del nostro corpo - e quelli degli altri, ea riconoscere proprio in queste relazioni l’origine di processi di modificazione degli spazi abitati. Oggi sem briamo e ssere d isabituati al l’esperienza de ll’altro, co ntinuamente alla ri cerca d i u na distan za d isicurezza che ci allontani da ciò che ci è diverso, sconosciuto e quindi percepito come fon te di perico lo,insicurezza o minaccia10. Stabilire distanze diventa un modo per trovare sicurezza attraverso forme di esclusioneo, in casi estremi (come quello analizzato), d i assimilazione (Sedmak, Sussi, 1984). Un’esigenza, quella dirafforzare la separazione dagli altri, dettata anche da una non più verificabile rispondenza tra spazio sociale espazio fisico, proprio perché quest’ultimo sembra acquisire con sempre più forza la configurazione di spaziodell’imprevisto, dove i luoghi della socialità collettiva subiscono una significativa rivisitazione invalidando itradizionali criteri di localizzazione sociale. Pensiamo, ad esempio, agli immigrati che utilizzano e rivitalizzanogli spazi collettivi abbandonati delle città storiche e/o dei piccoli centri11: sono nuovi abitanti che si approprianodi luoghi da cui ci siamo allontanati, orientando la nostra attenzione e preferenza verso spazi dell’incontro“altri”, maggiormente controllati12. Un fenomeno, questo, che confuta vigorosamente la credenza, come osservaBordieu, che l a vicinanza fisica produca effetto d i avvicinamento sociale: “nu lla è più intollerabile ch e laprossimità fi sica (v issuta co me p romiscuità) di gente so cialmente lon tana” (Bordieu 2004; p.55). Così, l anecessità d i ev itare l’i mprevisto ci sp inge a ch iedere ed esi gere m aggiore sicu rezza, co ntrollo, sp ostandol’attenzione dalla configurazione dello spazio alla sua chiusura ed esclusività.Come modificare il senso il valore della distanza da negativo a positivo? E fare in modo che la distanza spazialeacquisisca un’accezione positiva concorrendo a ridurre e, forse, approssimare, quella sociale? Recuperare l’idea di distanza può avere una duplice valenza: può essere intesa come dispositivo per intervenirenei territori allargati, e offrire in essi nuove occasioni per riscoprire il valore del silenzio e della pausa13; mentread una scala più ridotta può concorrere a “dare luogo” a relazioni fertili tra identità differenti nella formazionedegli spazi dell’abitare. Stabilire giuste distanze può cioè diventare il mezzo affinché l’identità possa assumerevalore non s olo c ome principio di differenziazione (n ei termini di iden tità “ condizionante”) evidenziandodifferenze tra le cose, ma anche come principio di relazione. La distanza (fisica) può diventare “interessante” (De So là-Morales, 1999): può far si strumento progettuale,laddove serve ad delimitare un “campo” in funzione delle relazioni probabili e possibili che nello stesso possonoaccadere. La distanza può diventare lo st rumento pe r de finire nuove gerarchie e strutture dello spazio direlazione14, laddove il passaggio tra pubblico e privato si presta a una classificazione più articolata, che richiedesfumature sottili, la messa in atto di sequenze, senza prescindere dal considerare che il comune non può esserestabilito a priori ma lo spazio può solo e deve offrire le condizioni affinché questo comune possa aver luogo. Ladistanza può così approssimarsi gradualmente in quello che il sociologo Zdravko Mlinar chiama “principio di

10“Ciò che Jacques Lucan chiama il “grande Altro” è anche uno dei nomi per designare questo Muro che ci rende capaci di mantenere lagiusta distanza, garantendo che la vicinanza dell’altro non ci sommerga […]. Il paradosso è che questo Muro non è soltanto negativo, ma allostesso tempo fa nascere fantasie su che cosa si nasconda dietro di esso, su che cosa desideri l’altro davvero”: (Žižek, 2002).11 Come molte ricerche hanno ampiamente dimostrato: si veda (Lanzani 2003b), (Bianchetti, 2003).12 Tipico l’esempio dei centri commerciali e degli outlet.13 “Il territorio post-metropolitano ignora il silenzio; non ci permette di sostare, di ‘raccoglierci’ nell’abitare. Appunto, non conosce, non puòconoscere distanze. Le distanze sono il suo nemico. Ogni luogo al suo interno sembra destinato ad accartocciarsi, a perdere di intensità fino atrasformarsi in null’altro che in un passaggio, un momento della ‘mobilitazione’ universale”: (Cacciari, 2006; p. 40, 41).14 Il riferimento è al testo di Serge Chermayeff e Christopher Alexander, dove i due autori, partendo dal riconoscimento della gerarchiaurbana degli spazi della vita pubblica e privata e la lettura di queste sequenze in alcuni esempi di modalità insediative, giungono a definireforme di organizzazione spaziale definite “gerarchie organizzative” finalizzate a riportare equilibrio tra la vita di relazione e quella privata:(Chermayeff, Alexander, 1968).

Sara Basso 3

Confini, distanze e prossimità: nuovi dispositivi per il progetto dello spazio pubblico

adiacenza”, dove in luogo della separazione prevale l’approssimazione reciproca (Mlinar, 1996), la prossimità e,con essa, anche la promiscuità15.In questo, la prossimità sembra destinata ad acquistare un nuovo ruolo di centralità nel discorso e nel progettoper lo spazio pubblico. La rinascita di un interesse per questo tema16 permette di riconoscerne il potenziale inparticolare sul fronte di due tra i possibili significati che si presta ad assumere: nei termini di accessibilità (afunzioni, luoghi, ma an che ad usi diversi e possib ili) e i n quelli di rappo rto privilegiato e dirett o con ladimensione natura, che richiama inevitabilmente all’idea di paesaggio sia come dato (dal paesaggio percepito elontano a quello immediato co n un possibile ruolo strutturante ne l pro getto17) ma an che come mezzo pe rripensare ai temi del benessere, del corpo, dello stare bene in un luogo, di un’ecologia … Trasversale a questi,l’attenzione alla prossimità intesa come densità, nelle sue declinazioni già ampliamente esplorate e discusse18.Temi che nel loro complesso possono incidere in modo significato sull’organizzazione degli spazi pubblici e sulloro rapporto con gli edifici (siano questi residenziali, commerciali e/o altro) con cui sono in relazione, e cheporta ad un ripensamento non solo dell’idea di progetto, ma anche a quella dell’apparato normativo che losostiene.

4. Costruire paesaggi minimiUn’ulteriore q uestione rimanda alla d imensione/scala de llo spazio pu bblico. S in d all’antichità, l ’idea dellospazio pubblico ha rinviato a quella di vuoto definito dalle quinte degli edifici, frons scenae di uno spazio resoluogo dalla collettività che lo anima, un’idea, questa, accolta ed esaltata dalla modernità (Corboz, 1993). Lacontemporaneità, invece, ha verificato come questa concezione di spazio non trovi più corrispondenza nellasocietà che lo può utilizzare. In tempi recenti, inoltre, l’attenzione rivolta all’individuazione e alla registrazionedelle pratiche legate agli usi e alle modalità di disporre degli spazi collettivi e/o pubblici (Bianchetti, 2003), hamesso in luce una tendenza alla loro privatizzazione e ad esperire forme di vita in comune piuttosto de-limitate,circoscritte, frutto di sistemi di autoregolamentazione che, in molti casi, pur nella eterogeneità e nell’apparentedisordine dei risultati, hanno avuto effetti positivi sulla ri-configurazione di spazi altrimenti ridotti all’incuria eall’abbandono (si pensi, ad esempio, alle pratiche di privatizzazione degli spazi collettivi in alcuni quartieri diedilizia residenziale pubblica)19.Questi indizi spingono evidenziano la necessità di intensificare l’osservazione e l’operatività ad una scala ridottae contenuta, ad una scala che potremmo definire micro.Micro non è locale. Il micro rimanda all’infinitamente piccolo, e non solo all’attenzione che deve essere rivoltaalle m icrotrasformazioni, m a a nche a i p ossibili m icroprogetti c he possono dare o rigine a r elazioni c onl’infinitamente g rande. M icro richiama ad una riduzione scalare d ella disciplina, a quel suo farsi piccola,insinuante, capace di vedere piccolo tra le cose. Le sempre più frequenti osservazioni dei paesaggi del quotidianoe delle pratiche che li connotano sembrano avvalorare l’ipotesi della necessità di orientare l’attenzione allacostruzione di paesaggi minimi, rafforzando l’idea del decisivo contributo che può dare una microurbanistica“fai-da-te” nel generare nuovo “collante” tra organismi edilizi. Questo non nell’ottica di assecondare processi diappropriazione o su ddivisione autonoma e individuale dello spa zio, ma piuttosto di av viarne un aregolamentazione avvalorando contestualmente l’idea che anche interventi minimi possono generare reazioni chesi ripercuotono, con effetti positivi, in ambiti più ampi, concorrendo a definire una nuova gradualità nell’uso edunque nella definizione degli spazi.Micro allude anche alla dimensione dello spazio pubblico, all’idea di sostituire i grandi vuoti con spazi raccolti,intimi, spazi che offrano riparo e protezione, configurando nuove sequenze di interni (Bianchetti, 2008, p.106)che accolgano i potenziali u tenti o ffrendo loro condizioni d i benessere. Un obiettivo, questo, che po trebbecontrastare la tendenza ad interiorizzare negli edifici lo spazio in comune20, e a rivalutarne il ruolo anche neitermini di spazio di mediazione (tra privato e pubblico, tra urbano e domestico, tra paesaggio e urbano, ecc.) eprolungamento (della natura/paesaggio verso l’edificato, dello spazio verde privato verso il pubblico, ecc.). Inquesto l’attenzione per il verde, merito del paesaggio, ha dato, e può ancora dare molto, un contributo decisivo

15 “Nell’architettura urbana, promiscuità significa rompere la sfera del rispetto (la distanza) di ciascun edificio e invaderla con quella di unaltro. […] Credo nella validità di lavorare con la distanza in quanto valore, in quanto strumento per modellare gli spazi vuoti e ottenere unapromiscuità di forme e funzioni e un’identità di luoghi”: (De Solà-Morales, 1999; p. 114).16 Il tema della prossimità non è nuovo, ma, come noto, r isale ag li anni ’60 ( si deve all ’antropologo americano Hall). I l r itorno diun’attenzione per la prossimità è segnalato da alcune iniziative: mi limito qui a riferirmi agli esiti di un concorso progettuale, il concorsoEuropan 5: (Europan, 1999).17 Si veda a questo proposito il contributo di Marcel Smets nel testo citato in nota 16 (Europan, 5).18 La densità come tema progettuale è stata ripresa in tempi recenti (molte le pubblicazione sul tema, soprattutto di riviste), anche se non conesplicito riferimento allo spazio pubblico.19 Si veda Laboratoriocittàpubblica (2009).20 Guardando ai progetti in Europan 1999, mi sembra infatti si possano riconoscere, negli approcci al progetto, alcune tendenze relative aglispazi comuni/pubblici: la prima è quella che fa dello spazio pubblico elemento della composizione del principio insediativo, trattandolo comestanza all’aperto, ma recintata e invisibile all’esterno, un’altra che considera lo spazio pubblico come elemento della composizione urbana(tipico è il caso di chi lo considera come un tappeto su cui disporre, secondo modalità variabili, gli elementi della composizione (case e/oaltro). La terza tendenza è quella che lo considera come mediazione/prolungamento verso l’urbano, il paesaggio ecc.

Sara Basso 4

Confini, distanze e prossimità: nuovi dispositivi per il progetto dello spazio pubblico

nell’esplorare la dimensione dello spazio come volume, senza tralasciare l’irrinunciabile valore che un ventenniodi pratica ha consegnato al progetto attraverso il ‘disegno di suolo’.

Bibliografia

Libri

Zygmunt Bauman, (2005), Fiducia e paura nella città, Milano, Mondadori.Cristina Bianchetti, (2003), Abitare la città contemporanea, Milano, Skira.Cristina Bianchetti, (2008), Urbanistica e sfera pubblica, Roma, Donzelli editore.Massimo Cacciari, (2006), La città, Verona, Pazzini Editore.Serge Chermayeff, Christopher Alex ander, (1966), Community and privacy: toward a new architecture ofhumanism, Penguin books.Paolo Desideri, M assimo Ilardi, ( 1996), Attraversamenti. I nuovi territori dello spazio pubblico, Milano,Costa&Nolan.Europan (1999), Europan 5: i nuovi paesaggi residenziali, spostamenti e prossimità, Mi nistero dei Lavoripubblici Roma, Segretariato generale del CER, Paris.Daniel Innerarity, (2008), Il nuovo spazio pubblico, Roma, Meltemi.Laboratoriocittàpubblica (2009), Città pubbliche, Linee Guida per la riqualificazione urbana, Milano, BrunoMondadori.Arturo Lanzani, (2003a), I paesaggi italiani, Roma, Meltemi.Arturo Lanzani, (2003b), Metamorfosi urbane: i luoghi dell'immigrazione a cura di Daniela Vitali, Pescara, Sala.Danilo Sedmak, Emidio Sussi, (1984), L’assimilazione silenziosa. Dinamica psicosociale dell’assimilazioneetnica, Trieste, Editoriale Stampa Triestina.Silvano Tagliagambe, (2005), Le due vie della percezione e l’epistemologia del progetto, Milano, Franco Angeli.

Articoli

Basso S., (in corso di pubblicazione). Confine e progetto, tra declinazioni e nuovi significati, in AlessandraMarin ( a cura d i), Gorizia e Nova Gorica città-ponte d’Europa. Scenari ed esplorazioni progettuali dirigenerazione urbana lungo il confine, in corso di pubblicazione.Bourdieu P., (2004), Effetti di luogo, in Cristina Bianchetti (a cura di), Territori sempre più simili, Pescara, Sala.Cacciari M., (2000). Nomi di luogo: confine. aut aut, 299/300, 73-79.Cacciari M., (2004), “Nomadi in prigione”, in Aldo Bonomi, Alberto Abruzzese (a cura di), La città infinita,Mondadori, Milano.Corboz A., (1993). Avete detto ‘spazio’? Casabella, 597-98, 20-25.Crosta P. L., (2000). Società e territorio al plurale. Lo “spazio pubblico” quale bene pubblico – come esito eventuale dell’interazione sociale. Foedus, 1, 40-53.de Solà-Morales M., (1999), Distanze, in Manuel De Solà-Morales, Progettare città. Lotus Quaderni n. 101,Milano, Electa.Mlinar Z., (1996), Indentità culturale, de-territorializzazione e globalizzazione, in Giorgio De Finis, RiccardoScartezzini (a cura di), Universalità e differenza, Milano, Franco Angeli.Raffestin C., (2003), Immagini e identità territoriali, in Giuseppe Dematteis, Fiorenzo Ferlaino (a cura di), Ilmondo e i luoghi: geografia delle identità e del cambiamento, Torino, IRES.Žižek S., (2002). L’unico buon prossimo è un prossimo morto. aut aut, 307-308, 4-10.

Sara Basso 5

Immigrati e spazio urbano - Inclusione ed esclusione nel governo delle città

Atti della XIII Conferenza Società Italiana degli UrbanistiCittà e crisi globale: clima, sviluppo e convivenza

Roma, 25-27 febbraio 2010Planum - The European Journal of Planning on-line

ISSN 1723-0993

Immigrati e spazio urbano

Inclusione ed esclusione nel governo delle città

Paola BriataDipartimento di Architettura e PianificazionePolitecnico di Milano, [email protected]

Tel. 02-23995426

AbstractIl paper restituisce gli esiti principali di una ricerca sugli strumenti di governo del territorio attivati in quattroaree di altrettante città dove la presenza immigrata appare rilevante o estremamente visibile. Il lavoro sipropone di mostrare come, a fronte di un dibattito nazionale estremamente aggressivo, il trattamento deiproblemi posti dallo spazio urbano dell’immigrazione possa variare da città a città, intrecciandosi sia con il“discorso pubblico” costruito a livello locale sul tema, sia con la maggiore o minore capacità espressa daalcune realtà urbane di governare le trasformazioni della società post-fordista e di perseguire finalità diintegrazione delle popolazioni fragili, di origine immigrata e non.

1. IntroduzioneRivolgere l’attenzione al trattamento del tema dell’immigrazione negli strumenti di governo del territorio nelnostro Paese può forse apparire un punto di vista poco rilevante a fronte del predominio del tema della sicurezza,dell’asprezza assunta dal dibattito a livello nazionale e dalle recenti derive xenofobe. Senza dub bio, l’impostazione d el d ibattito e delle politiche a livello nazion ale sono rilevanti. La no stralegislazione in materia politiche di immigrazione è ancora dominata dal tema della regolazione dei flussi1. Pocaattenzione è stata rivolta alle politiche per gli immigrati2, centrate sulle possibili forme di integrazione, sui dirittidei nuovi arrivati, sul valore della loro presenza nella nostra società. Condizioni generali di contesto che nonpossono essere ignorate nell’introdurre questo tema. Ciò non tog lie che sono o rmai numerosi g li studi che h anno riconosciuto nelle citt à un tassello centralenell’elaborazione delle politiche per gli immigrati dato che queste sono state delegate completamente ai governilocali, in particolare ai Comuni (Caponio, 2006). Questi, a loro volta, nel tentativo di rendere meno visibilepossibile il trattamento di una questione così spinosa agli occhi dell’opinione pubblica, hanno devoluto il piùpossibile ruoli e funzioni all’associazionismo e al terzo settore. La dimensione cruciale per comprendere cosaaccade è dunque quella locale, dove ag iscono le Municipalità, i sistemi locali d i po litiche, il vo lontariato.All’assenza di una politica nazionale, corrisponde una varietà di esperienze sui livelli locali che ha portatoall’identificazione di una “via italiana” al trattamento dei problemi posti dall’immigrazione “locale e adattiva”(Tosi, 2004). Queste condizioni di con testo sembrano leg ittimare uno sguardo anche sul ruolo aff idato agli st rumenti digoverno del territorio nelle singole città. In questa prospettiva rileva sottolineare che, nel nostro Paese, a frontedi u n quadro or mai molto articolato d i studi cen trati sulla descrizione delle pecu liarità d ei pro cessi diterritorializzazione della città multietnica3, il tema delle forme di intervento messe in atto in questi contestiappaia ancora poco esplorato. Tu ttavia, è stato os servato c ome an che il go verno de i te rritori urba nidell’immigrazione sia dominato dal tema della sicurezza ipotizzando che, in alcune città, sia stata proprio lapresenza immigrata a stimolare la promozione di forme di intervento finalizzate a determinare meccanismi più omeno diretti di espulsione (Crosta et al, 2000).Con riferimento ad alcuni studi di caso4, il paper si propone di mostrare come la questione sia più articolata ecome i l trattamento dei problemi posti dallo spazio urbano dell’immigrazione possa variare da città a città,intrecciandosi sia con il “discorso pubblico” costruito a livello locale sul tema, sia con la maggiore o minore

1 Alcuni segnali diversi sono giunti solo dalla legge Turco-Napolitano del 1998 e dal disegno di legge Amato-Ferrero.2 Per una distinzione tra politiche di immigrazione e politiche per gli immigrati si veda Caponio (2006). 3 Si vedano, ad esempio, Cologna (1999; 2003); Laino (2003); Lanzani, Vitali (2003); Natale, (2002).4 Il paper restituisce gli esiti di una ricerca biennale finanziata a partire da ottobre 2007 dal Diap del Politecnico di Milano attraversol’assegno di ricerca “Strumenti analitici e normativi di governo del territorio”.

Paola Briata 1

Immigrati e spazio urbano - Inclusione ed esclusione nel governo delle città

capacità espressa da alcune realtà urbane di governare le trasformazioni della società post-fordista e di perseguirefinalità di integrazione delle popolazioni più fragili, di origine immigrata e non.

2. Gli studi di casoSi è deciso di co ncentrare l’atten zione sugli st rumenti di go verno del territ orio attivati i n qu attro aree dialtrettante città dove la presenza immigrata è rilevante o comunque estremamente visibile5: l’area Bramante-Canonica-Sarpi a Milano, il quartiere del Carmine a Brescia, il centro storico di Genova e Porta Palazzo aTorino6. Le esperienze analizzate sono riferibili a contesti urbani e di quartiere che hanno già affrontato il temadell’immigrazione “interna” e che negli ultimi anni hanno dovuto confrontarsi con ondate migratorie “esterne”.Fa eccezione il caso di Milano, dato che la zona si caratterizza come il quartiere cinese già dagli anni ’30. Anchese i nuovi arrivati tendono a insediarsi prevalentemente in zone periferiche e a basso costo, i casi presceltipermettono di concentrare l’attenzione su aree centrali o semi-centrali delle città, dove si registra una pressioneimmobiliare elevata e dove le dinamiche di inclusione-esclusione – estremamente rilevanti con riferimento altema dell’immigrazione – possono risultare più evidenti. In ognuno dei quattro casi si è partiti da una descrizione del quartiere e dello spazio urbano dell’immigrazione; cisi è occupati delle forme di intervento prospettate e delle azioni attivate; si è cercato di inquadrare tali forme diintervento n el contesto più gen erale d elle strateg ie d i governo d el territorio de lle città m esse a l c entrodell’attenzione e, sempre con riferimento a queste ultime, si è cercato di approfondire il discorso pubblicosull’immigrazione proposto a livello locale e l’eventuale contributo/ruolo attribuito alle forme di intervento sulterritorio nella costruzione di t ale di battito. Le caratteri stiche d ei terri tori d ell’immigrazione presi inconsiderazione dalla ricerca, i problemi emersi nelle aree, gli strumenti di intervento adottati per affrontarli e gliesiti finora rilevabili sono brevemente restituiti nelle tabelle I-IV7.

Tabella I: L’area Bramante-Canonica-Sarpi a Milano

contesto problemi forme di intervento problematicità/esitiArea popolare e quartierecinese di Milano già daglianni ’30, interessata da unprocesso di gentrificationdagli anni ’80

Dagli anni ’80: aperturadelle frontiere in Cina eaumento degli immigrati aMilano e nell’area chediviene un centropolifunzionale di servizi alivello metropolitano perla comunità cinese

Dalla fine degli anni ’90,l’area è un punto diriferimento perl’importazione e la venditaall’ingrosso di merci madein china

15% della popolazioneresidente composta daimmigrati di origine cinese

Concentrazionespaziale di eserciziall’ingrosso in untessuto urbano storicoinadatto a questeattività: esternalitànegative sul contestoresidenziale locale

La situazione èpercepita come unproblema dai residentiitaliani come daicommercianti cinesi,ed è stata favorita daun’assenza di regolenel mercato dellelicenze e da una scarsacapacità dimostratadalla città negli ultimianni di governare letrasformazioni urbane

Proposte di trasferimentoin un polo esterno per inegozi cinesi all’ingrosso,senzaincentivi/compensazioni(proposte molto discusse,ma non ancora attivate inmisura significativa)

Zona a traffico limitato(ZTL) (2008) perregolare/ostacolare leattività di carico/scaricodelle merci

Bando di gara per laprogettazione di un’isolapedonale (2009) dacompletare entro il 2010 etrattative con realtàcommerciali al dettaglioitaliane e internazionaliper il rientro nell’areadopo la pedonalizzazione

Scarsa capacità delcomune di dialogare sulleforme di interventoproposte sia con leassociazioni cherappresentano gli abitantiitaliani, sia con inegozianti cinesi

(Debole) trattativa sulleforme di intervento con laparte più integrata dellacomunità cinese che haesigenze molto diverse daquella arrivata negli annipiù recenti

La ZTL ha creatoproblemi sia aicommercianti cinesi, sia airesidenti italiani Un conflitto sull’uso dellospazio pubblico è statotrattato come un conflittoetnico

5 Questa distinzione appare rilevante perché gli studi sulla presenza immigrata nelle città italiane hanno evidenziato come, fino a questomomento, non siano rilevabili nel nostro Paese quelle forme di concentrazione o segregazione degli immigrati che, in altri contesti, sono stateritenute patologiche, determinando la centralità di forme di intervento basate sulla dispersione o sulla rottura della territorialità chiusa dei“ghetti etnici”.6 Gli studi di caso sono stati costruiti e realizzati direttamente a Milano, Genova e Torino; per quanto riguarda l’esperienza di Brescia, si èfatto riferimento ad una ricerca portata avanti da Synergia (Grandi 2008).7 Per approfondimenti sui quattro casi si vedano Briata (2009a; 2009b).

Paola Briata 2

Immigrati e spazio urbano - Inclusione ed esclusione nel governo delle città

Tabella II: Il quartiere del Carmine a Brescia

contesto problemi forme di intervento problematicità/esitiIl Carmine“occupa” ¼ delcentro storico diBrescia ed èsempre stato unpunto di approdoper gli immigrati“interni” prima,“esterni” poi

Già dagli anni ’60quartiere multi-problematico

Dagli anni ’90,quartiere“abbandonato” edegradato:situazione che hafavoritol’inserimento degliimmigrati sia dalpunto di vistaabitativo, sia perquanto riguarda lapresenzacommerciale e dipubblici esercizi

40% dellapopolazioneresidente compostada immigratistranieri

Affitti moltoelevati econdizioni disfruttamentodegliimmigrati daparte diproprietariitaliani

Degrado esovraffolla-mento deglialloggi

Piano di recupero(2001)denominato ProgettoCarmine

Riqualificazione obbligatoria degli immobiliin gran parte in mano ai privati

Localizzazione nell’area di una sededell’università, di una biblioteca, di un asilonido, di una stazione di polizia e di alloggi pergli studenti

La riqualificazione ha contribuito ad innescareun processo di gentrification e ad allontanareuna parte della componente immigrata e altrepopolazioni “fragili” come gli anziani

La presenza immigrata non è stata oggetto diuna tematizzazione specifica e il trattamentodei problemi causati dal Piano è stato delegatoai servizi sociali che hanno operato pertrasferire le persone in regola in un quartierepubblico periferico

Non è stato messo a punto un vero e proprio“piano sociale”: le situazioni piùproblematiche sono state “spostate” in altrearee della città

Al processo di sostituzione di abitantiall’interno degli edifici è corrisposta solo inparte una sostituzione commerciale: ilquartiere rimane fortemente connotato dalpunto di vista etnico, ma non è più un’area offlimits

Paola Briata 3

Immigrati e spazio urbano - Inclusione ed esclusione nel governo delle città

Tabella III: Il centro storico di Genova

contesto problemi forme di intervento problematicità/esitiDegrado del tessutoedilizio, economico esociale della città vecchia“rifiutato” dalle classimedio-alte. Apice di questoprocesso: anni ’80 quandoarrivano anche ondateconsistenti di immigratistranieri

Dagli anni ’90 la città hainvestito su una strategia disviluppo basata sulrecupero del centro storicoe sulla riapertura delproprio sbocco verso ilmare, prima occupato dalporto

Sfruttamento a tal fine diuna serie di occasionicorrelate ai “grandi eventi”(colombiane; G8; Genovacapitale europea dellacultura) e di una serie distrumenti di rigenerazionedi matrice europea,nazionale, regionale, locale

22,1% della popolazioneresidente composta daimmigrati stranieri

Degrado fisicodegli edifici edello spaziopubblico

Esclusionesociale diabitanti italiani estranieri

Microcriminalitàe presenza diattività illegali

Stigmatizzazioneda parte delleclassi medio-altedi un’areastrategica per losviluppo dellacittà post-industriale

Dal 1992, insiemeintegrato di azioni didiversa natura: PICUrban, Contratti diQuartiere, Programmiorganici di intervento,Centri integrati di via,etc

Si è scelto diconcentrarel’attenzione su dueContratti di Quartiere:quello per l’areaGiustiniani-PortaSoprana e quello delGhetto

Nel centro storico è stataperseguita una strategiafinalizzata ad aumentare ilvalore immobiliare degli edificidegradati, a riqualificare glispazi pubblici e ad inserirenuove attività e funzioni(trasformazione di PalazzoDucale in un centro culturale;insediamento della Facoltà diArchitettura)

Esiti: progressivariappropriazione del centrostorico da parte di city users eclassi medio-alte; processi digentrification. Il processo èmolto evidente a est di Via SanLorenzo. Rimangono piùproblematiche le situazioni delGhetto, di Prè e della Maddalena

Le strategie di rigenerazionehanno contribuito ad allontanaredal centro storico le popolazionipiù povere, immigrati inclusi.Permane comunque un mixsociale perché le classi medio-alte non sono disposte adacquistare immobili ai pianibassi dei vicoli

Paola Briata 4

Immigrati e spazio urbano - Inclusione ed esclusione nel governo delle città

Tabella IV: Porta Palazzo a Torino

contesto problemi forme di intervento problematicità/esitiPorta Palazzo è stata il portodi entrata a Torino per gliimmigrati “interni” dagli anni’50 e per quelli “esterni” apartire dagli anni ’80

Il mercato all’aperto di Piazzadella Repubblica, uno dei piùgrandi d’Europa, è un punto diapprodo per chiunque cerchiun lavoro (più o meno legale)

Nel 1995 emersione di una“crisi urbana” causata dallacrescita della presenzaimmigrata, ma anche dalloscarso livello di integrazionesociale della popolazione“autoctona”

Scelta dell’amministrazione dinon intervenire tramite azionipositive etnicamente connotateper favorire l’integrazionedegli immigrati

23% della popolazionecomposta da immigratistranieri

Scarso livello diintegrazionesociale degliimmigrati, maanche dellapopolazioneautoctona

Necessità diintervenire sullecondizioni dilavoro delmercato diPiazza dellaRepubblica

Degrado deltessuto edilizioe degli spazipubblici

Progetto pilota urbano(1998) The Gate: livingnot leaving che “integra”anche altre forme diintervento già previsteper l’area tra cui: - la sistemazione dellapiazza del mercato e larealizzazione di unsottopassaggio per gliautoveicoli; - il miglioramento dellospazio pubblico;- l’accompagnamentoalla realizzazione dialcuni Piani di recuperosu 4 lotti particolarmentedegradati per i quali sonopreviste azioni volte asalvaguardare l’attualecomposizione socialeattraverso un sistema diincentivi economici chefavorisce le persone indifficoltà

Il tema portante di The Gateè l’inclusione e sono stateportate avanti strategiepartecipative rivolte allapopolazione dell’area nelsuo complesso, di origineimmigrata e non

The Gate ha attivato azioniin materia di integrazionesociale, sviluppo economico,vivibilità, sicurezza,multiculturalismo esostenibilità

Il progetto è sempre statoincluso nel Progetto SpecialePeriferie, una sorta diprogetto strategico attivatodal Comune di Torino per isuoi “quartieri in crisi”

The Gate è stato anche unasorta di laboratorio urbanoche ha ispirato l’istituzione,nel 2006, dell’assessoratoalla rigenerazione urbana eall’integrazione

3. Temi e questioni aperteLe esperienze al centro dell’attenzione di questo studio permettono di avanzare alcune considerazioni sui mezzidi controllo sociale attraverso i l controllo de llo spazio messi all’opera nelle varie città e s ui meccanismiinclusivi/esclusivi delle popolazioni di origine immigrata che comportano. Da questo punto di vista, gli strumentidi governo del territorio attivati nei contesti analizzati non differiscono in modo sostanziale da quelli già visti inaltri Paesi dove la presenza immigrata nelle città appare più consistente e “concentrata”. In particolare, si agiscesullo spazio pubblico attraverso iniziative finalizzate alla “rottura della territorialità”8 dei luoghi di insediamentodegli immigrati, immettendo a ttività (eserc izi commerciali, bar e ristoranti non connotati dal punto d i vistaetnico) e funzioni (università, biblioteche) volte ad attrarre popolazioni “esterne”, soprattutto visitatori e cityusers. In questo modo a Brescia, come a Genova e a Torino il territorio appare meno “presidiato” dalla presenzaimmigrata e diviene agl i occhi deg li estern i pi ù fr equentabile, meno pericoloso. Del tutto p articolare è lasituazione di Milano dove non si è di fronte ad un’area off limits per la presenza immigrata, ma ad un conflittosugli usi dello spazio che contrappone i commercianti cinesi all’ingrosso agli abitanti di classe medio-alta. Inquesto contesto, le forme di zoning finora prospettate ricordano in modo per alcuni versi inquietante quelleadottate alla fine dell’ottocento negli Stati Uniti a Modesto per ostacolare le attività delle lavanderie gestite dagliimmigrati di origine cinese9.Un secondo ambito di intervento riguarda le operazioni di controllo sociale – inteso sia come controllo, sia comecura (Mazza, 2006) – messe al lavoro per agire sulla dimensione degli alloggi. In molti casi questi interventihanno una doppia natura sulla quale non è semplice trarre conclusioni univoche. Se, da un lato, si tratta infatti dioperazioni che intervengono sulle condizioni di sfruttamento della presenza immigrata da parte dei proprietariitaliani, co ndizioni che ge nerano sovraffollamento i n immobili de gradati e al loggi i nsalubri, dall’altro l eoperazioni di recupero producono un innalzamento dei valori immobiliari, innescano processi di gentrification espesso comportano l’espulsione dei soggetti più deboli, immigrati (ma non solo) compresi. Il problema diviene

8 Ho usato questo concetto, proposto in Yiftachel (1990), per ragionare sulla trasformazione della enclave etnica di Spitalfields a Londra nelquartiere culturale di Banglatown (cfr. Briata, 2007). 9 La vicenda è nota perché si è soliti far risalire le origini dello zoning a questa esperienza (cfr. Mancuso, 1978).

Paola Briata 5

Immigrati e spazio urbano - Inclusione ed esclusione nel governo delle città

allora esplorare se e come le città abbiano previsto forme di compensazione degli “effetti collaterali” di questiinterventi. Da qu esto pu nto d i vista, g li attegg iamenti so no mol to d ifferenziati: a Geno va ci si è af fidaticompletamente ad un meccanismo spontaneo prodotto da un mercato degli alloggi nel contesto del quale le classimedio-alte tendono a non investire sugli appartamenti ai piani bassi delle case dei vicoli del centro storico; aBrescia i m eccanismi di es pulsione s ono stati c ompensati attraverso il trasferim ento delle pop olazionisvantaggiate in un quartiere popolare periferico; a Torino si è invece cercato di salvaguardare la composizionesociale del quartiere prevedendo un sistema di incentivi per le persone in difficoltà.I casi esaminati permettono inoltre di ragionare su come gli strumenti di governo del territorio si inseriscano opossano contribuire alla promozione di un discorso pubblico sull’immigrazione più o meno allineato con quellodominante nel nostro Paese. L’asprezza assunta dal dibattito a livello nazionale ha sollecitato questo tipo diriflessione che risulta per molti versi correlata alle capacità espresse dalle città di governare le trasformazioniurbane dopo la cr isi del modello fordista e, a l tempo stesso, di proporre una ri flessione sulle possibilità diinsediamento dei gruppi svantaggiati (Briata et al, 2009). A Brescia e a Genova si interviene su contesti fortemente caratterizzati dalla presenza immigrata e si attivanoiniziative che hanno effetti di espulsione sia sugli immigrati, sia sulle popolazioni più deboli, ma si evita unriferimento esplicito a queste problematiche. In entrambi i casi , l’atteggiamento adottato sembra riflettere letensioni presenti in entrambe le città a non costruire un discorso pubblico aggressivo nei confronti della presenzaimmigrata (p iù esp licito a Genova, più sfumato a Brescia) ma, al tempo stesso , a investire su st rategie disviluppo che, seppure a scala diversa, necessitano della trasformazione del centro storico per essere attuate. Milano e Torino sembrano invece esprimere strategie opposte sia con riferimento alla costruzione del discorsopubblico sull’immigrazione, sia con riferimento alla capacità di governare le trasformazioni urbane. In entrambi icasi, le forme d i governo del territorio attivate con tribuiscono a costruire o sostengono la co struzione deldiscorso pubblico sull’immigrazione proposto dalle città. A Milano un conflitto sugli usi del suolo, nato anchedalla scarsa capacità dimostrata dalla città di governare le trasformazioni urbane e da una sostanziale assenza diregole (Balducci et al, 2006), è stato impropriamente presentato come un conflitto “etnico” (Cologna, 2008) perrafforzare un discorso pubblico estremamente aggressivo. A Torino, la scelta di lavorare esplicitamente sul temadell’integrazione degli immigrati e di non separare questo tema da quello dell’integrazione dei gruppi più fragiliin ge nerale, appare s enza du bbio s ia un a scelta cu lturale, s ia una sfida in un Paese co me no stro do vel’immigrazione è anc ora tratt ata pre valentemente i n termini secu ritari. Negli stessi ann i i n cu i altreamministrazioni locali si sono affrettate ad istituire un assessorato dedicato alla sicurezza, The Gate ha costituitouna sorta di laboratorio urbano dove sono state messe a fuoco le linee di intervento dell’assessorato promosso nel2006 che ambisce a tenere assieme il tema della rigenerazione urbana e quello dell’integrazione degli immigrati.Pur non negando la dimensione per al cuni versi reto rica di queste scelt e, è necessario considerarne anchel’aspetto “provocatorio” e il valore culturale.Le scelte apparentemente opposte di Milano e Torino sembrerebbero inoltre confermare la tesi assunta in unrecente contributo da Bricocoli e Savoldi (2008), secondo i quali la tematizzazione in forma securitaria di moltiproblemi sarebbe in parte dovuta ad una sovrarappresentazione di problematiche mal trattate (o affatto trattate)da altre politiche. Politiche “di scarto”, osservano i due autori, ma anche estremamente potenti nel condizionareun dibattito pubblico dal quale anche gli strumenti di governo del territorio non sono immuni. Le scelte diTorino, del resto, appaiono in linea con un atteggiamento più generale della città che, dalla fine degli anni ’90, hadeciso di investire non solo sulla promozione di un piano strategico centrato sullo sviluppo economico di unarealtà in profonda trasformazione, ma anche sul Progetto Speciale Periferie (Governa & Saccomani, 2004): unasorta d i pi ano strategico per i “quartieri in crisi” at traverso il quale si è cercato d i p romuovere forme diintegrazione territoriale, economica e sociale delle aree in difficoltà.

BibliografiaBalducci A., Lanzani A., Tamini L., & Cologna D. (2006), Milan’s “Chinatown”: An Example of FunctionalReadaptation of Space by a Migrant Minority in a Low-Segregation Context. Paper presentato alla conferenzainternazionale Europe and China, Dortmund, Settembre. Paola Briata (2007), Sul filo della frontiera. Politiche urbane in un quartiere multietnico di Londra, Angeli,Milano. Briata P. (2009a), Sperimentazioni oltre la sicurezza: politiche urbane e immigrazione a Torino. Urbanistica140, 75-80.Briata P. (2009b), Urban Policies in Multi-Ethnic Contexts: The Italian Experiences between Tradition andInnovation. Paper presentato alla XXIII Conferenza AESOP Why Can’t the Future Be More Like the Past?,Liverpool, Luglio. Paola Briata, Bricocoli M. , & Tedesco C. (2009), Città in periferia. Politiche urbane e progetti locali inFrancia, Gran Bretagna e Italia, Carocci, Roma. Massimo Bricocoli, & Savoldi P. (2008), Villes en observation, Editions du Puca, Parigi.Tiziana Caponio (2006), Città italiane e immigrazione, Il Mulino, Bologna.

Paola Briata 6

Immigrati e spazio urbano - Inclusione ed esclusione nel governo delle città

Daniele Cologna (1999) (a cura di), Africa a Milano, Abitare Segesta, Milano.Daniele Cologna (2003) (a cura di), Asia a Milano, Abitare Segesta, Milano.Cologna D. (2008), Il “caso Sarpi” e la diversificazione crescente dell’imprenditoria cinese. Rossana Cima,Dancelli M., Parisi T., & Rinaldi G. (a cura di), Un dragone nel Po, Edizioni dell’Orso, Torino. Crosta P., Mariotto A., & Tosi A. (2000), Immigrati, territorio e politiche urbane. Il caso italiano. In AA.VV.,(2000), Migrazioni. Scenari per il XXI secolo, Agenzia romana per il Giubileo, Roma, 1215-1294. Governa F. , & Saccomani S. (2004), From Urban Renewal t o Local Development. New Conceptions andGovernance Practices in the Italian Peripheries. Planning Theory and Practice, 5-3, 327-348. Francesco Grandi (2008) (a cura di), Immigrazione e dimensione locale. Strumenti per l’analisi dei processiinclusivi, Angeli, Milano. Laino G. (2003), Gli immigrati nel centro di Napoli: inserimento e gentryfication. Urbanistica informazioni,189, maggio/giugno 2003. Arturo Lanzani, & Vitali D. (2003), Metamorfosi urbane: i luoghi dell’immigrazione, Sala, Pescara. Franco Mancuso (1978), Le vicende dello zoning, Il Saggiatore, Milano. Mazza L. (2006), Di che cosa parliamo quando parliamo di urbanistica. Appunti per le lezioni. Maria ChiaraTosi (a cura di), Di che cosa parliamo quando parliamo di urbanistica, Meltemi, Roma. Natale L. (2002), La città multietnica. Marcello Natale (2002), Economia e popolazione. Alcuni aspetti delleinterrelazioni tra dinamica demografica ed evoluzione economica, Angeli, Milano. Antonio Tosi (2004), Case, quartieri, abitanti, politiche, Clup, Milano.Yiftachel O. (1990), State Policies, Land Control, and Ethnic Minority: The Arabs in the Galilee Region, Israel.Environment and Planning D, 9-3, 329-362.

Paola Briata 7

Le periferie come luogo di scontro e anomia o come occasione di incontro e formazione societaria?

Atti della XIII Conferenza Società Italiana degli UrbanistiCittà e crisi globale: clima, sviluppo e convivenza

Roma, 25-27 febbraio 2010Planum - The European Journal of Planning on-line

ISSN 1723-0993

Le periferie come luogo di scontro e anomia o comeoccasione di incontro e di formazione societaria?

Rose Marie CallàDipartimento di Scienze Umane e Sociali

Università di [email protected]

0461.392378

Alessandro Franceschini Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale

Università di [email protected]

0461.882690

AbstractI fenomeni di ri-urbanizzazione tipici delle città che si convertono al terziario creativo hanno come conseguenzaanche lo sviluppo di aree periferiche caratterizzate da residenzialità disagiata, perché migrante o a bassoreddito. La collettività avverte questo come un problema. Tuttavia se l’intervento dell’ente pubblico è rapido epuntuale, il conflitto delle aree periferiche può trasformarsi in una risorsa, in un interessante laboratorio diconvivenza. L’esperienza del quartiere “Magnete” di Trento offre l’occasione per riflettere sugli strumenti che,amministrazione pubblica anzitutto ma anche la disciplina urbanistica, possono e devono maturare per ilgoverno della città contemporanea.

1. Le periferie: da fenomeno negativo a occasione di cittadinanzaIn Italia, nel corso degli ultimi decenni, si è assistito ad una dinamica demografica positiva in città di variedimensioni, caratterizzate da trasformazioni economiche che tendono all’innovazione e alla dinamicità (Davico,Mela, 20 02:79). Qu esto f enomeno dettato pr incipalmente da f attori econo mici e definito co me “ri-urbanizzazione”, è accompagnato in primis da un a umento d ei p osti d i l avoro c he, co nseguentemente,richiamano gruppi sociali ad alto livello di istruzione e formazione professionale. Contemporaneamente, in talicontesti urbani, si assiste ad altre trasformazioni che inducono anch’esse ad un aumento della popolazione: lariqualificazione del patrimonio edilizio del centro storico, generalmente ad opera di soggetti pubblici, che a suavolta determina il rilancio sia dei servizi, sia dei mezzi di trasporto pubblici che delle infrastrutture. Ne scaturisceun “imborghesimento” sociale, architettonico ed urbanistico del centro storico (Davico, Mela, 2002:80). Questaporzione della città che subisce l’azione di restyling sembra tuttavia non funzionare come vettore di integrazionee di spazio pubblico, ma rimane luogo di autonomizzazzione degli individui calati in un prezioso e raffinatoarredo urbano. Contemporaneamente a queste trasformazioni vissute dalla città formale, si assiste all’espansionedella/e periferia/e, nella modalità diffusa.Questo anche perché, accanto ai flussi di gruppi sociali ad alto livello di istruzione e di reddito, si affiancanoarrivi di gruppi sociali a basso reddito, generalmente provenienti da Paesi del Sud del Mondo. Lo sviluppo,infatti, delle economie cosiddette avanzate abbisogna di un parallelo sviluppo di economia di bassa qualità chepermetta ai fruitori e attori delle prime di esplicitare i propri ruoli (Davico, Mela, 2002:81). Nonostante questisoggetti provenienti da Paesi in Via di Sviluppo siano a tutti gli effetti degli «utili invasori» (Ambrosini, 2000),ai residenti storici autoctoni appaiono soprattutto come elementi inquinanti da allontanare, ghettizzare, contenerein quelle eterogenee porzioni di città ai margini della sezione della città formale, occupata generalmente al centrostorico e che rappresentano, a tutti gli effetti, delle «città parallele» (Ferrarotti, 2009). Consapevoli del fatto che è riduttivo e poco corretto c ircoscrivere il fenomeno dell’esclusione sociale nelcontrasto centro-periferia in quanto esistono periferie ricchissime e centri che ospitano esclusi di ogni genere(Augé, 2007:17), è senz’altro vero che se in un passato post-bellico, oramai piuttosto lon tano, le peri ferierappresentavano la metafora della modernità e del progresso, oggi si evidenzia in esse soprattutto la scarsaqualità del loro ambiente urbano, il loro disordine funzionale, con l’assenza di servizi, di attrezzature e di spazi

Rose Marie Callà e Alessandro Franceschini 1

Le periferie come luogo di scontro e anomia o come occasione di incontro e formazione societaria?

liberi, con la consegue nte di fficoltà da pa rte de gli abitanti di appro priarsi del loro spaz io, caratterizzatodall’assenza di occasioni e relazioni. Cittadini residenti «che si portano addosso anche lo stigma negativo delvivere in un quartiere problematico» (Guidicini, 2000: 52). Quello che spesso viene definito come il “dramma delle periferie” è rappresentato dall’emarginazione di interigruppi sociali – vere e proprie subculture (Park, 1938) –, esclusi quasi sempre da un punto di vista sociale,spesso anche privati dei servizi essenziali, di spazi deputati alla relazionalità e di stimoli culturali. Come se lalontananza dal centro significasse irrimediabilmente perdita di opportunità (Ferrarotti, 2009:18). E tuttavia questiluoghi ai margini, percepiti come fonte di problema e/o privi di funzioni importanti, sono abitati da un numerocrescente di individui che svolgono funzioni vitali per i l centro, senza le quali il salotto della città propriacesserebbe di esistere. Ed i soggetti che svolgono tali funzioni vitali non sono «popolazione eccedente», vite discarto (Bauman, 2004), ma persone che hanno lasciato il loro paese e portano con sé ricchi bagagli culturali,anzitutto «ciò che di più prezioso una patria può donare: la nostalgia» (Roth, 2003:115).A fronte dello sviluppo delle città parallele, le governance urbane oscillano tra forme di segregazione di talicontesti periferici a tentativi di disciplinare la loro espansione, di omologare forme di convivenza non ortodosse,di annullare gli usi degli spazi pubblici non convenzionali.Il tentato processo di integrazione da parte della “città propria” avviene dunque sulla base di diversi imperativi:legalità, razionalizzazione, ordine sia esso di tipo urbanistico-architettonico con progettazioni disciplinanti dellospazio, sia di tipo socio-culturale con tentativi di contenimento delle diversità etniche. Le aree suburbane, percontro, si propongono come zone indeterminate, sia per il loro confini geografici mutanti e sia per i gruppisociali eterogenei che in esse risiedono (Ferrarotti, 2009). Sia le azioni di segregazioni che quelle di riordino appaiono tuttavia dettate da una miopia di fondo che non tienein dovuta considerazione le trasformazioni epocali che la società globale sta subendo e che, necessariamente, siripercuotono anche sui destini delle aree urbane, siano esse formali o appartenenti alla “città altra”. Il fenomenodelle migrazioni internazionali, infatti, impossibile da arrestare a causa degli squilibri laceranti di natura sociale,economica a demografica tra nord e sud del mondo, ci pone di fronte a scenari urbani multietnici, nei quali loscontro e l’incontro, i conflitti e le contaminazioni con l’Altro, sono e saranno progressivamente sempre piùdiffusi (Guidicini, 2008; Ferrarotti, 2009).Da un lato, dunque, si assiste ad una realtà locale “gelosa della propria specificità”, ma dall’altro il territoriodiviene un mero contenitore anonimo e anomico (Guidicini, 2008).Si può ragionevolmente prevedere che non sarà il mondo periferico – in senso urbano, in senso globale, in sensosociale – ad indietreggiare, anzi esso si imporrà come modello sia sociale sia come tipologia di insediamentoabitativo prevalente. Mentre la città formale, sempre più simile ad un oggetto inanimato, svuotata dai conflitti nelsenso sia di fligere – urtare –, ma anche di cum – insieme –, non riacquisterà la sua antica capacità di crearesocietà (Ferrarotti, 2009).Le emergenti forme di urbanità sia delle periferie più o meno degradate da un punto di vista urbanistico e/osociale, ma sia i centri st orici “incellofanati” i n vet rine il luminate, pa lazzi restaurati e ri cche so litudini,evidenziano la loro fragilità alla quale si può rispondere solo con la ricostruzione ex-novo, o con il rafforzamentodei meccanismi di solidarietà e di socialità avanzata, partendo dal territorio, rilanciando i quartieri e le iniziativedi partecipazione e di condivisione (Guidicini, 2000). Perché è proprio la mancanza di senso di condivisione cheorigina il senso soggettivo, ma anche la condizione oggettiva, di esclusione. Forse è proprio nella periferia chepotenzialmente possono emergere in spazi, tempi e situazioni a volte imprevedibili, elementi della dimensionecomunitaria come l’identità, il senso di appartenenza, la fiducia, la reciprocità, la solidarietà. Elementi questiportati av anti da i ndividui che co scientemente h anno ab bandonato il cen tro o che dal cen tro son o stati“scacciati”: soggetti sociali deboli, migranti e “altri”. Le ci ttà han no biso gno d i q uesti a ltri “u tili” e “p roblematici” pe rché ra ppresentano la po ssibilità d ellecittadinanza e della condivisione sociale nella diversità come sinonimo di arricchimento societario (Guidicini,2000). Esistono, in questo senso, alcuni esempi che dimostrano come la costruzione comunitaria sia possibileanche in c ontesti d ifficili e (p ercepiti come) p ericolosi, nonostante il rispetto pedissequo degli s tandardurbanistici. Anzi, paradossalmente, soprattutto in questi. Si descrive di seguito il caso di una periferia “ordinata” ma priva di una comunità residente che con un percorsodi condivisione partecipata crea una propria identità, risolve parte delle carenze sociali e strutturali, in modooriginale e creativo.

2. Il caso “Magnete” a Trento: da “Bronx” a ComunitàA partire dal dopoguerra le città sono state protagoniste di un fenomeno importante ed imprevisto: le periferiesono cresciute veloci, senza essere accompagnate da un’altrettanto veloce crescita delle comunità re sidenti.Questo fenomeno ha invertito, di fatto, la tendenza con cui le città sono state costruite nei secoli, ovvero permano di una comunità. La crescita subitanea delle periferie ha preferito seguire le logiche di mercato e diopportunità piuttosto che quelle della convivenza. Tuttavia è possibile avviare azioni ex-post di costruzione dellacomunità. Quando la città è ormai finita anche nelle porzioni periferiche stigmatizzate in negativo.

Rose Marie Callà e Alessandro Franceschini 2

Le periferie come luogo di scontro e anomia o come occasione di incontro e formazione societaria?

Un caso interessante da analizzare in tal senso è costituito dal caso “Magnete”, un quartiere periferico della cittàdi T rento c ostruito i n anni rece nti e prota gonista di una s uggestiva az ione di ri qualificazione s ociale. Il“Magnete” è un articolato complesso edilizio, un edificio misto (servizi e residenziale) morfologicamenteidentificabile in un grande blocco tripartito orientato est-ovest, che comprende spazi verdi e spazi pubblici.Rispetto alla struttura della città di Trento, il complesso è situato nella zona nord, in una area particolarmentemarginale e collocato in un’area chiusa tra la linea ferroviaria, una strada statale ad alto traffico e un’area ex-industriale, oggetto di riconversione urbana, attualmente in attesa di disinquinamento.Il complesso è stato costruito alla fine degli anni Novanta. È strutturato in quattro “listoni” che ospitano 274famiglie (di cui una cinquantina “migranti”) per un totale di 543 residenti. Si tratta, in parte, di alloggi realizzatidall’Istituto t rentino edilizia ab itativa (Itea) – en te ch e nella Prov incia autonoma di Trent o gestisce l arealizzazione dell’edilizia economico popolare. In una parte del complesso sono ospitati alcuni servizi ed uffici,tra cui la sede trentina dell’Agenzia delle Entrate. Il manufatto edilizio è sostanzialmente di buona qualità sianella progettazione degli spazi sia nell’articolazione dei materiali: aree a verde si alternano ad aree che fungonoda spazio di ritrovo sociale. Tra i servizi va segnalata anche la presenza di una pizzeria.Il q uartiere ri sponde dunque a t utti gl i st andard u rbanistici rel ativi al ver de, ai ser vizi e più i n generaleall’urbanizzazione secondaria. La stessa struttura architettonica è di buon livello con un’evidente attenzione allaqualità degli spazi costruiti. Tu ttavia questa bella scatola ed ilizia non è stata sufficien te per trasformare ilquartiere in un luogo in cui è bello vivere. In particolare è risultata carente la modalità con cui è stato realizzatoil tessuto sociale: le famiglie hanno riempito gli alloggi secondo le risposte del mercato, nel caso di alloggiprivati, o secondo le assegnazioni dell’ente pubblico, nel caso degli alloggi popolari. I problemi sociali dentro il Magnete si sono manifestati fin da subito: la presenza di alcune famiglie a bassoreddito e con problemi sociali si è intrecciata con le difficoltà intrinseche di un quartiere periferico, senza legamidiretti con la città. Il quartiere soffre così di “isolamento” e presenta episodi di disagio sociale che lo rendonoprotagonista sulla stampa locale. Ecco nascere così la metafora del «Bronx» per descrivere quel brano di città(Coletta, 2009).Il disagio degli abitanti (sono le donne, le madri che abitano nel quartiere, ad avviare le prime azioni di protestae di richiesta all’ente pubblico) amplificato dai mass-media, è divenuto protagonista di un’azione promossa dal“Polo Sociale 2” e dalla Circoscrizione competente – struttura questa implementata dal “Piano Sociale per lacittà di Trento” (Fazzi, Scaglia, 2001) e avente lo scopo di individuare i disagi e promuovere, anche con l’aiutodi soggetti appartenenti al privato sociale, la loro risoluzione. I due soggetti pubblici hanno avviato un percorsodi costruzione di comunità. A segu ito delle r ichieste delle famiglie e dell’ individuazione dei d isagi socialiall’interno del complesso, quindi, il Comune di Trento (tramite l’Assessorato alle Politiche sociali) ha affidato,nel 2003, ad una Cooperativa sociale (Cooperativa Ar ianna) il compito di avviare momenti d i costruzionecomunitaria.I progetti attivati dalla Cooperitiva – denominati «Animagnete: laboratori creativi per bambini e genitori» e«Prove di comunità: spazi e incontri per ascoltarsi, partecipare e costruire… insieme» – hanno avuto comeobiettivo quello di attivare processi di conoscenza e di rafforzare relazioni positive tra gli abitanti del complessoresidenziale, sostenendo da un la to la genitorialità resa più f ragile da una società in rapido mutamento e,dall’altro, rafforzando la comunità stessa, sviluppandone il senso di identità e di consapevolezza a ttraversol’acquisizione di maggiori competenze comunicative e di convivenza. Le prime richieste delle famiglie sono state di evidente necessità. In particolare la prima battaglia compiuta dagliabitanti si è concentrata sulla necessità di dotare il quartiere di un pulmino di servizio che garantisse ai bambinil’arrivo alla scuola più vicina, a qualche chilometro di distanza. Altre richieste si sono concentrate sul bisogno direndere più efficiente il servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani. Una altra vittoria delle famiglie è stata quelladi avere a disposizione una sala per le riunioni e per gli incontri sociali. Le azioni messe in campo dalla Cooperativa Arianna e dal Comune di Trento possono essere sintetizzate nelleseguenti li nee di la voro: c ontribuire alla creazione di un a com unità integrata e dialogante; offrire s pazirelazionali e di confronto agli abitanti del Magnete; far emergere la creatività e l’immaginazione dei bambini edei genitori; sostenere una genitorialità consapevole; favorire la cooperazione tra bambini; favorire un armoniosoprocesso di costruzione di identità; offrire momenti di socializzazione e incontro tra bambini e adulti.Nella pratica le azioni si sono concretizzate soprattutto nella conversione di spazi privati in spazi pubblici,creando luoghi destinati alla comunità dove i residenti possano incontrarsi e riconoscersi e, soprattutto, nellacreazione di momenti di incontro e di socializzazione (feste, ritrovi, azioni comuni, momenti di sensibilizzazionee di informazione) necessari tra vicini di casa e tra abitanti dello stesso condominio.A distanza di sei anni dall’avvio dell’azione della Cooperativa Arianna è possibile affermare che al Magnete èoggi presente una comunità più viva e strutturata che coinvolge abitanti di età, religione, nazionalità diverse.Gran parte dei conflitti iniziali sono andati scemando. La presenza di questa comunità ha conseguentementemigliorato in maniera significativa la qualità della vita dentro il complesso. E questo è stato possibile grazie adue momenti:

• l’espressione del disagio da parte degli abitanti e la richiesta di aiuto all’ente pubblico;

Rose Marie Callà e Alessandro Franceschini 3

Le periferie come luogo di scontro e anomia o come occasione di incontro e formazione societaria?

• la capacità dell’ente pubblico di ascoltare e di offrire un pronto intervento dimostrando di considerare lacostruzione della comunità un elemento fondamentale – ancorché tardivo – della costruzione della città.

3. Conclusioni: una lezione per l’urbanisticaQuesta esperienza dimostra ancora una volta come sia necessario che le città siano impermeabili al nuovo e aldiverso che sopraggiunge e che si insedia nelle aree marginali, l ette generalmente e solo come luoghi diimperante disorganizzazione sociale e di degrado urbano, evitando di incrementare quella dualità che caratterizzala maggior parte delle città contemporanee: debolezza sociale frammista alla debolezza del tessuto della città(Guidicini, 2000:8). Il ribaltamento necessario, invece, è quello di riconoscere il mondo periferico come bacinodi riso rse economiche e cultu rali future e di garantirgli un posto centrale nella fo rmazione di Società. Laprogettazione urbana, architettonica e sociale, quindi, dovrebbero essere sempre più strumenti atti ad evitare chele di visioni territor iali non siano a nche e ancora c onfini simbolici p er man tenere sald e fron tiere mentali,puntando ad attenu are d a u n lato l’iso lamento dei gruppi so ciali emarginati nelle p eriferie, e d all’altro lasolitudine dei gruppi sociali che ereditano i centri storici, dando luogo a spazi di contaminazione, dialettica escambio sociale (Ferrarotti, 2009:12). Compito dell’architettura e dell’urbanistica è quello di progettare luoghiche possano esser usati dai soggetti che effettivamente vi andranno a vivere «che abbiano una dimensioneesistenziale, che non comporti una dissipazione di identità e dove gli utenti e l’architettura possano interagire inuna reciproca partecipazione» (Romano, 2001:19). L’esperienza del Magnete può dare all’urbanista una lezionesintetizzabile in questi punti:

• le politiche urbanistiche non p ossono essere d isgiunte d a qu elle sociali. Soprattu tto n el caso d icostruzione di interi comparti urbani dove è necessario accompagnare alla costruzione degli spazi lacostruzione di quelle reti sociali che permettono la serena convivenza tra le persone;

• gli “standard” urbanistici, pur necessari, non sono più sufficienti a garantire la qualità della vita entro igrandi complessi edilizi: gli spazi verdi poco controllabili possono essere degli autentici “buchi neri”dentro il tessuto urbano; è necessario garantire nuovi spazi obbligatori, come quello di aggregazione –un tempo non necessario ma oggi fondamentale;

• la periferia, se ben governata, può essere l’occasione per costruire la comunità: non più un problema mauna risorsa (Ferrarotti, 2009): i confronti, gli scontri e le contaminazioni possono essere un’occasioneinedita di accettazione dell’altro per creare una comunità nuova;

• la progettazione dei nuovi spazi urbani ha bisogno di professionalità che vanno ben oltre i compiticlassici del progettista e dell’urbanista: c’è bisogno del contributo non solo di sociologi e psicologi dellapercezione, ma anche di professionisti dell’interculturalità;

• la per iferia, quando è ben governata, può essere un pungolo al la r iqualificazione anche del Centrostorico che tende a diventare la negazione delle potenzialità della periferia: scatole edilizie svuotate diresidenze che creano spazi cimiteriali.

Bibliografia

Ambrosini M., 2000, Utili invasori. L’inserimento degli immigrati nel mercato del lavoro italiano, FrancoAngeli, Milano.Augé M., 2007, Tra i confini. Città, luoghi, integrazioni, Mondadori, Milano. Bauman Z., 2007, Vite di scarto, Editori Laterza, Roma-Bari.Bauman Z., 2001, Voglia di comunità, Editori Laterza, Roma-Bari.Coletta C. (et al.), 2009, Penelope. Le trame emergenti del tessuto urbano, in Sentieri urbani nr. 1, 2009.Davico L., Mela A., 2002, Le società urbane, Carocci, Roma.Fazzi L., Scaglia A., 2001, Il governo della città nella trasformazione del welfare: l’esperienza del piano socialedella città di Trento, Franco Angeli, MilanoFerrarotti F., Maciotti M.I., 2009, Periferie, da problema a risorsa, Sandro Teti Editore, Roma.Guidicini P ., (a cura di), 2000, Luoghi metropolitani. Spazi di socialità nel perturbano emergente per unmigliore welfare, Franco Angeli, Milano.Guidicini P., 2000, “Il bisogno di radicamento come superamento dell’esclusione sociale grave”, in Guidicini P.,Pieretti G., Bergamaschi M, (a cura di), L’urbano, le povertà. Quale Welfare. Possibili strategie di lotta allepovertà, in Franco Angeli, Milano.Guidicini P., 2008, Migrantes, ovvero: la città che ci dobbiamo aspettare, Franco Angeli, Milano.Guidicini P., Pieretti G., Bergamaschi M, (a cura di), 2000, L’urbano, le povertà. Quale Welfare. Possibilistrategie di lotta alle povertà, in Franco Angeli, Milano.

Rose Marie Callà e Alessandro Franceschini 4

Le periferie come luogo di scontro e anomia o come occasione di incontro e formazione societaria?

Park E.R., Burgess E.W., McKenzie R.D., 1999, La città, Edizioni di Comunità, Milano, 1999, (Titolo originaleThe City, The University of Chicago Press, Chicago, 1938).Romano A., Giancarlo De Carlo. Lo spazio, realtà del vivere insieme, 2001, Testo e Immagini, Torino.Roth J., 2003, Le città bianche, Adelphi, Milano.Sgroi E., 2000, “Città ed esclusione sociale: riparliamo di comunità”, ”, in Guidicini P., Pieretti G., BergamaschiM, (a cura di), L’urbano, le povertà. Quale Welfare. Possibili strategie di lotta alle povertà, in Franco Angeli,Milano.Stupazzoni G., 2000, “Città che cambia, esclusione sociale grave e politiche di welfare”, in Guidicini P., PierettiG., Bergamaschi M, (a cura di), L’urbano, le povertà. Quale Welfare. Possibili strategie di lotta alle povertà, inFranco Angeli, Milano.

Rose Marie Callà e Alessandro Franceschini 5

Le funzioni sociali del verde pubblico e la fruizione dei Parchi Urbani

Atti della XIII Conferenza Società Italiana degli UrbanistiCittà e crisi globale: clima, sviluppo e convivenza

Roma, 25-27 febbraio 2010Planum - The European Journal of Planning on-line

ISSN 1723-0993

Le funzioni sociali del verde pubblico e la fruizione deiParchi Urbani

Angela Casile Dottore di ricerca, Università degli studi Mediterranea di Reggio Calabria,

Facoltà di Architettura, Dipartimento Scienze Ambientali Territoriali.

AbstractOggi tutti vorremmo una città che sappia creare ambienti di qualità e garantirne nel tempo il mantenimento,che sappia ri-progettare i suoi ambiti degradati, nel rispetto dell’identità dei luoghi, ovvero del loro codicegenetico, del rapporto tra la storia dell’insediamento urbano e la loro riconoscibilità nei segni e nei significatidei vari paesaggi urbani. Non c’è dubbio che il “Parco Urbano” sia una delle componenti di spicco delconfigurarsi degli spazi della città sin dalle epoche più antiche, come spazio di natura formalmente organizzataper il decoro e la fruizione degli abitanti della città. Individuare nella città le aree da ri-naturalizzare confunzioni preminenti di ri-equilibrio paesaggistico ed ambientale, ri-organizzare i nostri progetti e interventialla luce della consapevolezza dei contesti storici e naturali, re-cuperare i tessuti edilizi, ri-qualificare e “riparare ”, trasformare le periferie esistenti in “ città a tutti gli effetti “,e così le aree “ interstiziali ”, le areeperturbane, sono operazioni basilari per una metamorfosi positiva della città.

La città è un sistema costruito perché i suoi abitanti possano avere ottimi servizi e sicurezza, non è certo un“ecosistema”, benché si tenti di conservarvi qualche frammento di natura, di cui l’uomo ha ancora ora una intimanecessità. Gli interventi che si possono attuare con il verde possono essere distinti secondo vari livelli corrispondenti avarie funzioni: un pr imo livello potrebbe essere quello dove gli spazi verdi si integrano con la strutturaarchitettonica dell’intorno, dando luogo a zone residenziali. Questi spazi verdi, che potremo chiamare anche diquartiere, dovrebbero connettersi con il verde dei parchi urbani, dei giardini storici, di quelli fluviali,…. fino alegarsi a parchi territoriali di ampio respiro. I giardini e i parchi urbani, purtroppo, non possono quasi mai identificarsi come luoghi naturali, ma spesso siconnotano come in natura artificializzata. Oggigiorno, bisogna considerare le zone abitate della città come un sistema articolato in vari sottosistemi checontribuiscono, con azioni ed influenze reciproche, a creare un habitat all’interno del quale si abita, si lavora, siinteragisce socialmente, si gode del tempo libero. Il livello di gradimento dell’habitat da parte delle persone, lasensazione di benessere che esso è in grado di comunicare e, in definitiva, la sua capacità di attrarre l’interessedelle persone, dipendono non solo dal fatto che gli elementi che compongono l’organizzazione delle attività(architettura, infrastrutture, arredo, servizi, commercio, iniziative sociali, ecc.) interagiscono fra loro, ma anchedal fatto che tali attività si pongano tra loro in relazione armonica. Un giardino, o un parco, sono elementi dell’ambiente costruito in fondamentale relazione con il paesaggio, utiliper migliorare la qualità della vita nella città. È però necessaria una valutazione attenta di alcune delle lorocaratteristiche, al fine di migliorare la loro funzione e di favorirne la gestione, oltre che per consentirne unarazionale pianificazione degli interventi di estensione delle aree verdi.Affinché un giardino sia “abitabile” deve rispondere ad alcune funzioni:

• ecologico-ambientale: il verde , anche all ’interno de lle aree u rbane, costituisce un f ondamentaleelemento di presenza ecologica, che contribuisce in modo sostanziale a mitigare g li effe tti d idegrado e gli impatti prodotti dalla presenza delle edificazioni e delle attività dell’uomo. Fra l’altro lapresenza del verde contribuisce a regolare gli effetti del microclima cittadino attraverso l’aumentodell’evapotraspirazione, regimando così i p icchi t ermici estivi c on una s orta d i eff etto di“condizionamento” naturale dell’aria;

• sanitaria: in al cune a ree urbane, i n pa rticolare vicino a gli o spedali, l a pr esenza di un g iardinocontribuisce alla creazione di un ambiente che può favorire la convalescenza dei degenti, sia per lapresenza di esigenze aromatiche e balsamiche, sia per l’effetto di mitigazione del microclima, sia ancheper l’effetto psicologico prodotto dalla vista riposante di alberi e vegetazione ben curati;

Angela Casile 1

Le funzioni sociali del verde pubblico e la fruizione dei Parchi Urbani

• protettiva: il verde può fornire un importante effetto di protezione e di tutela del territorio in areedegradate o sensibili (argini fluviali, scarpate, zone con pericolo di frana, ecc.). Viceversa, la suarimozione può in alcuni casi produrre effetti sensibili di degrado e dissesto territoriale;

• sociale e ricreativa: la presenza di parchi, giardini, viali e piazze alberate o comunque dotate di arredoverde, consente di soddisfare un’importante esigenza ricreativa e sociale e di fornire un fondamentaleservizio alla collettività, rendendo una città più vivibile e a dimensione degli uomini e delle famiglie.Inoltre la gestione del verde può consentire la formazione di professionalità specifiche e favorire laformazione di posti di lavoro;

• igienica: le aree verdi svolgono una importante funzione psicologica ed umorale per le persone che nefruiscono, contribuendo al benessere psicologico ed all’equilibrio mentale;

• culturale e didattica: la presenza del verde costituisce un elemento di grande importanza dal punto divista culturale, sia perché può favorire la conoscenza della botanica, e più in generale delle scienzenaturali e dell’ambiente nei cittadini; sia anche per l’importante funzione didattica (in particolare delverde scolastico). Inoltre i parchi ed i giardini storici, così come gli esemplari vegetali di maggiore etào dimensione, costituiscono dei veri e propri monumenti naturali, la cui conservazione e tutela rientranofra gli obiettivi culturali del nostro paese;

• estetico-architettonica: anche questa funzione è rilevante, considerato che la presenza del verdemigliora decisamente il paesaggio urbano e rende più gradevole la permanenza in città, è la ragione percui di venta fond amentale un’i ntegrazione fra elementi arch itettonici e verde nell’am bito dellaprogettazione degli spazi urbani.

Progettare un Parco Urbano può essere utile a r igenerare, ripristinare aree alterate, paesaggi dell ’abbandonodell’emergenza (in tali ambiti, spesso si riscontra una rinuncia alla qualità e all’intervento), ma il progetto dirigenerazione di tali spazi non può essere affrontato con le strategie troppo riduttive dell’arredo urbano e delmaquilage-riordino estetico dell’universo proliferante dei segni e delle cicatrici che affollano, purtroppo, questipaesaggi della quotidianità, tuttavia, si tratta di ricontestualizzare i valori delle preesistenze e rimetterli in unanuova rete di significati, in grado di coniugare in modo fertile gli opposti principi di radicamento nel locale e diappartenenza alle molteplici reti materiali e immateriali che configurano i territori della contemporaneità. La vegetazione si presta abbondantemente per diminuire l’impatto paesistico di territori degradati e rovinati, nonsolo da un punto di vista mimetico, ma perché l’innesco di fenomeni di colonizzazione vegetale può favorirerinverdimenti e ri mboscamenti e ffettivamente m igliorativi e ri generativi de lla vi ta di p aesaggi al terati,fornendone occasioni di ridisegno compatibile, di qualità.I parch i di qu artiere, il v erde ur bano, i servizi in esso d isseminati, g li sp azi agricoli estern i a lla città,l’articolazione delle comunicazioni v iarie at traverso st rade pedonali, d i penetrazione, di scorrimento, …costituivano elementi organizzativi essenziali della trasformazione, sociale oltre che spaziale, attesa per la città.L’idea di città basata, sul recupero al suo interno per la vita sociale e il tempo libero, e le conseguenti azioniper raggiungerlo, significano chiaramente mettere in discussione vincoli strutturali, consolidati, mettere in motomeccanismi legislativi e “tecnico-burocratici” volti ad acquisire terreni alla comunità per obiettivi pubblici,limitare dunq ue le possibilità della speculazione ed ilizia, entrare in con flitto con interessi e grupp i socialiprivilegiati. In questo senso, l’immagine di una città nel verde e col verde rappresenta un vero punto di partenzaper riproporre il rapporto urbano tra spazi artificiali e spazi naturali. Gli spazi verdi vengono caricati di unavasta gamma di funzioni, esse vanno dallo sviluppo delle personalità, a quello della vita sociale, e risultanodifferenziate anche per età, classi sociali e abitudini di uso del tempo libero. Per i bambini uno dei bisogni che essi avvertono, già dall’età prescolare e fin da quando giocano per la maggiorparte del tempo da soli, riguarda l’esperienza multisensoriale e quindi la conoscenza dell’ambiente nel qualeessi vivono, e attraverso di essa, la conoscenza della natura, dei nuovi rumori, delle nuove voci, dei suoi colori edegli elementi che la popolano. Tali conoscenze possono ampiamente essere fornite dai parchi extraurbani, ma il verde urbano è quello chepermette una conoscenza quotidiana, e quindi continua, con l’ambiente in cui vive l’uomo e nel quale egli sitrova, strettamente inserito e vincolato,più in generale, gli spazi verdi possono essere caricati di funzioni sociali altamente significative. Riposarsi, giocare, fare footing, leggere e lavorare, mettersi in mostra, fissare un appuntamento, assaporare daun luogo tranquillo lo svolgersi dell’attività febbrile della città, avere occasioni di fare conoscenze, divagarsicon la vista e l’incontro di altre persone: sono attività svolte spesso da categorie di persone diverse, che sisuccedono nell’uso nel corso di tutte le ore della giornata. Il sistema del verde e degli spazi aperti non può che essere pensato come un sistema unitario e completo a tutte lescale, dal quartiere al territorio. Si tratta di pensare ad una compenetrazione di funzioni e di orari nei diversi momenti della vita quotidiana:

• che esiste già di fatto per pochi privilegiati;

Angela Casile 2

Le funzioni sociali del verde pubblico e la fruizione dei Parchi Urbani

• che si coglie nei comportamenti dei giovani 1. Molteplici attività sociali e culturali - dal teatro alla istruzione, dallo sport all’attività culturale spontanea -possono oggi, specie nel Meridione italiano, svolgersi all’aperto ed in collegamento con spazi verdi. In effettidalla interazione reciproca e dalla concentrazione di queste attività può avvenire un notevole arricchimentoculturale dell’uso del verde e degli spazi aperti.La questione economica inciderà non poco su l metodo p rogettuale e su lla qualità dei parchi, se i costi dicostruzione delle aree verdi sono molto più bassi rispetto a quelli delle altre opere pubbliche, l’acquisto dellearee e i costi di manutenzione pesano invece in maniera considerevole sui bilanci degli enti locali. Le società in cui viviamo non hanno una prospettiva di sviluppo economico illimitato e difficilmente, quindi,riusciranno a destinare somme molto maggiori di quelle destinate in passato alla costruzione di sistemi di verdepubblico idonei sufficienti. Le risorse finanziarie per la costruzione e l’attrezzatura degli spazi aperti sono esaranno quindi limitate, mentre il fabbisogno, già alto, tende a crescere, a qualificarsi e ad articolarsi. Oggi tutti vorremmo una città che sappia creare ambienti di qualità e garantirne nel tempo il mantenimento, chesappia ri-progettare i suoi ambiti degradati, nel rispetto dell’identità dei luoghi, ovvero del loro codice genetico,del rapporto tra la storia dell’insediamento urbano e la loro riconoscibilità nei segni e nei significati dei varipaesaggi urbani. Individuare nella città le a ree da ri -naturalizzare con funzioni p reminenti di ri-equilibrio paesaggistico edambientale, re-cuperare i tessuti edilizi, ri-qualificare e “ riparare ”, trasformare le periferie esistenti in “città atutti gli effetti”, e così le aree “ interstiziali ”, le aree perturbane, sono operazioni basilari per una metamorfosipositiva della città. La progettazione implica anche l’attenzione e il rispetto del senso di appartenenza, che siesplicita nelle culture, nella lingua, nei dialetti, nella memoria, nella qualità simbolica, negli stili di vita nel gradodi autocoscienza e nelle capacità di sussidiarietà degli abitanti della città.La valorizzazione del patrimonio culturale della città comporta l’uso di metodologie e tecniche tradizionali, maanche l ’invenzione-creazione, di itinerari conoscitivi e pedagogici, di eco-musei, di p rogettazione di retiecologiche e di attività di rivalutazione dell’identità e riconoscibilità dei luoghi e della loro immagine, di tuttoquanto contribuisce alla costruzione della “ vision ” futura dei luoghi urbani. Ogni città offre, nel suo insieme e nelle sue parti, una serie di possibilità aperte alla reinterpretazione e ciò cherichiede è di combinare senza dimenticare, senza tralignare , e, soprattutto, di far emergere le sue verità permezzo del nuovo.L’esistenza di un parco in città é un'opportunità di correggere difetti e, insomma, di migliorare una piccola partedel territorio, contribuendo all'ottimizzazione del funzionamento di sistemi o di attività. In questa concezione, ilparco assume una funzione importante dal punto di vista territoriale, poiché si configura come opportunità direcuperare spazi interstiziali, anelli spezzati, collegamenti difficili, o interrotti, tra centro storico e periferie. Frai metodi progettuali che stanno offrendo buoni risultati in termini di miglioramento della convivenza e dellasocialità sono quelli che si ispirano proprio a principi di progettazione partecipata; sono metodi di lavorosecondo cui il coinvolgimento dei fruitori, ovvero dei cittadini di tutte le età, consente di far esprimere la culturae l’identità della popolazione attraverso la manifestazione dei propri bisogni, delle proprie speranze, dei proprimicro-progetti. Il percorso della progettazione, della trasformazione o della gestione dei parchi urbani diviene un laboratorio dipartecipazione alla ri-progettazione degli spazi verdi pubblici, alla loro continua manutenzione, riparazione.Un parco s ocialmente a ttivo, dopo esse re st ato b en inquadrato ne l p rogetto s otto il profilo ec ologico epaesaggistico e dotato di eventuali infrastrutture di viabilità generale, interna e di servizio, deve trovare al suointerno spazi e luoghi soggetti alla possibilità di una moderata trasformazione generazionale. La condizione disuccesso di tale metodo è che venga conseguita una vera, e non una fittizia, partecipazione consapevole alprocesso decisionale. La partecipazione alle decisioni prevede apporti ed esperienze da parte di conoscenza de lla popolazione,convoglia nel progetto le necessità, le aspirazioni e le azioni caratteristiche della popolazione e si conclude conl’accettazione delle proposte operative riscontrabili nel progetto e nella gestione del parco. Pertanto, il parco compresa la sua progettazione, non solo costituisce un elemento ludico, di avventura, masoprattutto diventa un fattore di educazione ambientale e di formazione alla cultura, o alla storia locale. Diversi studi sono stati fatti sulla funzione delle aree verdi come luogo di aggregazione e di riduzione dellaconflittualità tra gruppi giovanili e riduzione della violenza sulla proprietà pubblica. Così pure si va diffondendo la “ terapia del verde ” in attività paramediche per la cura ed il miglioramento dellasalute, di alcune situazioni patologiche e cliniche. Il parco urbano si è molto e voluto di recente ( come ab biamo più vo lte c onstatato) da un a di mensionecontemplativa o di riconoscimento igienico per la città. L’interesse della ricerca per il cambiamento di forme edimensioni e per l’app rofondimento delle su e potenzialità evo cative d el rapp orto tra cittadino e natura, dicentralità nel progetto urbano ed architettonico, di pubblica utilità, è stato basilare. L’emergere, oggi, mentre siriafferma la necessità di spazi poetici del parco, di un’interrelazione artistica tra land-arch, land-art e land-

1 ad esempio quando vanno a giocare a tennis usciti dal lavoro, o quando trascorrono al parco l’intervallo di colazione.

Angela Casile 3

Le funzioni sociali del verde pubblico e la fruizione dei Parchi Urbani

scape, nuovamente di un a gamma complessa di posizioni, f a reg istrare un a geografia episodica di sce ltelinguistiche eterogenee, fig lia di qu ella frammentarietà e contraddittorietà che investe le culture del nostrotempo, inclusa quella dell’architettura per la città. In sintesi, si riportano tre considerazioni che hanno guidato lo sviluppo del tema e sono utili ad avviare azionivirtuose e concrete di trasformazione urbana e dei parchi pubblici:

1. pensare alla qualità degli spazi pubblici della città, concepita finora poco in funzione dei cittadini edella loro caratteristica di abitanti e residenti, ma in funzione delle attività e della mobilità. Bisognainiziare a progettare le opere più elementari e fondamentali per la città quali: parchi, percorsi sicuricasa-scuola, vie residenziali, piste ciclabili e pedonali,… ;

2. dare spazio al verde ed alle sue a rticolazioni a rete, perché è uno degli strumenti privilegiati perriordinare moltissime delle funzioni degli spazi pubblici. È indispensabile procedere con una rinnovatametodologia che dimostri di avere recepito il territorio non come semplice contenitore di destinazionid’uso, ma come un continuo dinamico sistema di componenti ecologiche, antropiche e paesaggistiche,costantemente in interscambio ed evoluzione;

3. costruire relazioni ed iniziative di progettazione partecipata per conseguire attività e progetti fattibili,concreti, pertinenti ed educativi.

Una rinnovata stagione del rapporto città-spazi verdi inteso secondo una logica sistemica può andare a costituiremomenti aggregativi e di forza in grado di fornire riequilibri e arricchimenti a consuete pratiche progettuali egestionali, quali ad esempio quelle fondate sui concetti di “ corridoi ecologici ”, di greenways e di “ trameverdi”. La nozione di “corridoio ecologico”, non sarà inutile ricordare che rappresenta una fascia di connessionee scambio, esteso tra gli elementi essenziali a garantire la continuità ecologica, tra le aree di valore naturalistico-ambientale localizzate all’interno della città, dei tessuti urbani e collegabili con presenze extraurbane di forteconsistenza e connotazione naturalistica.Altresì, devono tener conto delle corrispondenti situazioni urbane in cui si registrano condizioni di rischio edegrado, o processi d i trasfo rmazione in compatibili, e che p ossono gen erare an titetici corridoi diconflittualità, pericolosità , produttori di fatti d’instabilità, fragilità e perdita di qualità.Le greenways , sono elementi tipici della “ cintura verde ” 2 ottocentesche che si sono espansi a quasi tutte lecittà europee con intenti di interconnettere tra loro parchi urbani e naturali, città e campagne, attraverso una “rete viabile verde ” 3 a misura d’uomo.Le “ trame verdi ” costituiscono un’accezione francese dei “ parchi verdi ”. Ad esempio:

• il piano regionale dell’ Ile-de France (1994);• il piano verde di Mitwy-Mory, Parigi (1994);• il Plaine Saint-Denis,….;

questi ed altri ancora, rappresentano tipi di politiche per il verde in relazione alla loro collocazione nelterritorio:

• la trama verde dell’agglomerazione;• la cintura verde, con i grandi spazi forestali;• la corona rurale, con gli spazi agricoli.

La con tinuità territoriale dovrebb e co stituire la cond izione n ecessaria a conservare equilibri naturali, lacoabitazione tra urbano e natura, l’accessibilità pubblica.I tessuti verdi urbani rimodulano, rispetto al parco tradizionale, anche la progettazione degli accessi, non intesipiù come elementi di transizione con assetti autonomi tra città e verde, ma come un sistema diconnessioni d irette con la città ; si costruisce così una so rta d i “tessu to verde” dotato di un carattere di“ordinatore urbano ” nell’impianto generale e di una grande libertà nel particolare.In conclusione, si possono evidenziare alcuni criteri progettuali per una buona realizzazione del parco urbano:

1. il primo, è legato alla consapevolezza che i contesti umano ed urbano in cui nasce un parco sonofondamentali : gli obiettivi degli spazi verdi sono quelli di integrarsi partendo dallo stesso ordinenaturale, utilizzando gli stessi materiali presenti, si tratta di :- ricordarsi che gli scenari della città del futuro esigono che si facciano convergere, si mettano

assieme, c onducendoli a si ntesi, l e v oci ed i contributi te orici p rovenienti da gli studi diantropologia, sociologia e geografia urbana, ed anche di demografia, estetica, comunicazione ;

- vanno affrontati i problemi che provengono da flussi di relazione senza travalicare quelle identitàche appartengono a città come le nostre che sono il frutto di millenarie sedimentazioni;

2 Il Green Gurtel di Francoforte (1989).3 cfr. Berlino, i collegamenti tra il Tiergarten, il Friedrichschein, il Victoriapark; Vienna, il Ring, lo spazio anulare verde del Glacis, il WienerWald, l’ Angarten, le rive del Danubio; Parigi, gli espace verdoyants e i boulevards di Hausmann, il Bois de Boulogne, il Bois de Vincennes,..

Angela Casile 4

Le funzioni sociali del verde pubblico e la fruizione dei Parchi Urbani

2. il secondo, è considerare il parco un collage di reti progettuali collegate che stratificano sul sito,benché appartenenti a differenti ed autonomi sistemi strutturali: quello dei percorsi, del verde, delleacque ed, infine, quello dei punti e dei luoghi attrezzati ;- peraltro , bisogna elaborare un’operatività in stretto raccordo con il contesto urbano circostante,

che promuova una forte istanza di riassetto e riorganizzazione urbana, rifacendosi ai principi e alletecniche del giardino europeo, ma anche alle tipologie affermate del verde urbano ( assi prospetticiverdi, avenue, promenade, viali alberati, canali prospettici d’acqua, giardini a parterre , corridoiecologici, greenways,….) ;

- si tratta, altresì, superare norme enfatiche e stereotipi disciplinari consunti ripensando l’urbanisticain un grado di continuità critica e realistica, affrontando tematiche progettuali emergenti, senzatuttavia pretendere di poter risolvere tutto all’interno del progetto ;

- sarebbe o pportuno azzardare, con molta di screzione p ercorsi che po rtino ad un m inimo diformulazioni poeti co-artistica, interpretative delle asp irazioni al la citt à “ac cogliente”,dell’autocoscienza raggiunta in materia dalle popolazioni;

3. il terzo, che si potrebbe definire ecologico, caratterizzato da una molteplicità di indirizzi, tra i quali: - assegnare un ruolo significativo al consolidamento del “sistema” verde nel tempo (si vedano le

considerazioni già fatte: trame verdi,cinture verdi, reti ecologiche,) ; - collegare all’idea di parco urbano come natura in libero sviluppo entro la città, a quella di una

progettazione partecipata, nata da un approccio ecologico che la orienta alla naturale evoluzionedelle specie viventi ed delle caratteristiche geo-fisiche.

BibliografiaA.A.V.V. (2001), Il pensiero di Bruno Zevi sulla città e il territorio,contributi alla lettura dei suoi scritti , ed Iriti,Reggio Calabria Belli G., Rella F. (1984), La città e le forme, Mazzotta, MilanoCellini F., Sabella V. (1998), Sull’arte dei giardini, Flaccovio editore, Palermo Cerami G. (1996), Il giardino e la città, il progetto del parco urbano in Europa, Laterza, Roma Cervellati P.L. (2000), L’arte di curare la città, ed. Mulino, Bologna Furst von Puckler-Muskau H. (1984), Giardino e Paesaggio, Rizzoli editore, MilanoOrlandi A. (1994), Il paesaggio della città:spazi aperti, giardini, parchi e struttura urbana, Gangemi edi tore,Roma Panzini F. (1993), Per i piaceri del popolo, Zanichelli, Bologna Pirani A.(a cura di), (2004), Il verde in città, la progettazione del verde negli spazi urbani, Ed agricole, BolognaTaccolini A. ed al. (2004), Progettare i percorsi verdi, Manuale per la realizzazione di greenways, Maggioli,Santarcangelo di Romagna (RN) Zoppi M. (1996), Progettare con il verde , vol.II , Alinea editrice, Firenze

Angela Casile 5

Spazio pubblico e modelli urbani (ir)riconoscibili

Atti della XIII Conferenza Società Italiana degli UrbanistiCittà e crisi globale: clima, sviluppo e convivenza

Roma, 25-27 febbraio 2010Planum - The European Journal of Planning on-line

ISSN 1723-0993

Spazio pubblico e modelli urbani (ir)riconoscibili i

Milena De Matteis, Andrea SardenaUniversità IUAV di Venezia

AbstractLa qualità dell’abitare passa attraverso le peculiarità dello spazio pubblico, elemento chiave per risolvere, oevitare, taluni conflitti della vita urbana e consentire la socialità. La tesi viene verificata su Villaseta, quartieresatellite di Agrigento edificato per alloggiare gli sfollati della frana del 1966: un innovativo ed eleganteprogetto razionalista, la cui evoluzione è stata però un “fallimento”. L’isolamento e il degrado in cui si trova ilquartiere hanno radici profonde e differenziate, tra cui il “trauma sociale” dell’evento ed il reinserimento inuna nuova piccola città lontana dai modelli urbani riconosciuti da quella popolazione. A Villaseta occorreadesso creare una complessità urbana che sappia trasformare i non-luoghi presenti in luoghi vitali, identitari econdivisi.

La qualità dell’abitare1 non può essere riferita unicamente all’abitazione, ma passa necessariamente attraversole peculiarità dello spazio prossimo, di relazione, “esterno” alla casa. Lo spazio collettivo è infatti alla base ditale qualità ed è oggi elemento chiave per risolvere o evitare taluni conflitti della vita urbana, consentendo unasocialità pacifica e produttiva per la crescita della comunità degli abitanti. La crisi dell’abitare contemporaneo simisura essenzialmente sui suoi spazi collettivi.Nelle varie situazioni di “crisi dell’abitare”, oggi riscontrabili soprattutto - ma non unicamente - nei numerosiquartieri periferici residenziali, caso emblematico risulta essere il quartiere satellite di Villaseta ad Agrigento,di cui verrà ripercorsa la vicenda storica ed analizzati i tratti distintivi.

1. Caratteri del contesto e vicenda storicaIl territorio agrigentino è caratterizzato da eccezionali risorse territoriali, culturali e ambientali, tra cui la Valledei Templi, il Parco Archeologico e Paesaggistico, la fascia costiera con Porto Empedocle, lo stesso centrostorico, il paesaggio agrario, l’artigianato e i prodotti tipici, che creano le potenzialità di un’offerta turisticoculturale di livello internazionale. Vi sono però numerose criticità, soprattutto gestionali, organizzative e dilegalità, che ancora non consentono di valorizzare appieno queste risorse. Villaseta, all’interno di questo contesto, non fa eccezione; semmai soffre di problematiche ancora più gravi delcapoluogo di cui è quartiere. Situato a circa 6 Km a sud-ovest dal centro di Agrigento, e a metà strada tra questa e Porto Empedocle, Villasetaè sorto nel 1967 come risposta pubblica alla grave emergenza causata dalla frana del luglio 1966, che adAgrigento distrusse l’intero quartiere storico di Rabato2: miracolosamente senza nessuna vittima, oltre 5000abitanti rimasero di colpo senza una casa. Causa di questo cedimento improvviso furono, secondo le indagini dell’epoca condotte da Giovanni Astengo, leabnormi edificazioni effettuate negli anni ’60 alle pendici del colle di Girgenti. Su questo colle nel V secolo d.C.,dopo l’abbandono del nucleo originario ellenistico di Akragàs (la città della Valle dei Templi), venne fondata lacittà di Girgenti, poi Agrigento, rimasta fino al XIX secolo priva di ulteriori espansioni oltre le mura e dal 1950in poi ampliata in modo massivo fino al fenomeno che provocò il grave incidente della frana3.Subito dopo l a frana attraverso la legge 749 /1966 e su iniziativa dell’apposito en te ISES per lo Sv iluppodell’Edilizia Sociale, fu curato un urgente programma edificatorio da localizzarsi intorno al borgo ruraleoriginario di Villaseta, dove già negli anni ’50 era stato edificato un primo nucleo di nuove case popolari. Vennero red atti alcuni Piani di Zon a p er l’ edificazione d i dod ici lo tti in dipendenti (responsabile delcoordinamento ing. Ma rio Ghio), i cui pro getti di arch itettura raz ionalista, e legante ed innovativa, fu ronocostruiti in momenti successivi (dal 1967 ai primi anni ’80).

1 Abitare nel significato di occupare abitualmente, condividere un luogo sia nella vita pubblica che privata, e di rimanerci ed esser contenti(Heidegger, 1954)2 Il quartiere di Rabato è di origine e di impianto arabo, ed era abitato, al momento della frana, prevalentemente da persone umili e concultura contadina3 Per una dettagliata ricostruzione dei fatti si può vedere la relazione della commissione d’indagine sull’inchiesta ministeriale, presieduta daM. Martuscelli e condotta da G. Astengo, pubblicata su Urbanistica n°48, dicembre 1966.

Milena De Matteis, Andrea Sardena1

Spazio pubblico e modelli urbani (ir)riconoscibili

Villaseta è una delle prime realizzazioni che segue gli standard urbanistici della legge “ponte” 765/67 e delDM 1444/1968, che possono essere v isti come una pronta risposta leg islativa all’ evento de lla frana e allanecessità di evitare il ripetersi di altre situazioni catastrofiche dovute a urbanizzazioni eccessive4.Le sperimentazioni dei modelli razionalisti finalizzate a trovare nuove soluzioni al problema dell’abitare urbanoin quel periodo si basano generalmente sul riordino attraverso la zonizzazione monofunzionale, l’ampiezza edilatazione degli spazi aperti, la presenza di standard quantitativi di servizi al cittadino.Questa schematizzazione di matrice igienista, che comporta l’inversione dei rapporti tra pieni e vuoti nella cittàcontemporanea rispetto a quella storica, oltre ad aver distribuito diversamente la residenza in enormi quantità diterritorio ha reciso l’antica legge della complessità urbana, fondata sulla stratificazione a più livelli delle attività,sull’integrazione, la molteplicità delle relazioni e l’economia degli spazi.Viene dunque invertita la regola storica della densità del costruito: il diradarsi degli edifici li porta ad esseresempre più dei “volumi” che non conformano più lo spazio aperto ma “navigano” in esso, e ne annullano l’anticocarattere di elemento percepibile e progettato, rendendolo un “vuoto”. Sorge quindi la problematica relativa allospazio pubblico ed alla sua mancanza di identità.

2. Analisi della situazione attuale: le origini del degradoNonostante si debba riconoscere l a prontezza e l ’efficacia delle a zioni c he portarono alla rea lizzazione eall’assegnazione dei nuovi alloggi agli sfollati della frana, dopo una sistemazione in tendopoli abbastanza breve,Villaseta è oggi un quartiere estremamente problematico, ed la su a criticità pri ncipale è f acilmenteidentificabile con lo stato di abbandono e degrado fisico in cui versa. In prima istanza si può osservare come la notevole distanza dal centro cittadino, nonostante la costruzionedell’imponente viadotto Morandi che connette il nuovo abitato col cen tro di Agrigento, abbia cr eato unasituazione di marginalità difficilmente su perabile, si a d al pu nto di vista fisico, che p sicologico per lapopolazione che abita il quartiere. Il posizionamento scel to nel 1967 per questa edificazione, identifica una problematica dell’i ntero territor ioagrigentino: l’essere composto da quartieri “satelliti” monofunzionali, periferie non marginali ma del tuttodistaccate dal centro storico, vera città.

A discapito delle intenzioni di progetto dunque – un quartiere razionalista innovativo, dignitoso, con ampi spaziaperti, molti servizi ed al loggi spaziosi – Vil laseta appare come un quartiere sofferente ed abbandonato.Nonostante le numerose opportunità territoriali5 la realtà di Villaseta sembra essere caratterizzata da incuria,fatiscenza, sottoutilizzo, incompletezza, isolamento e depressione socioeconomica.Basta una prima visita per accorgersi di due macro-caratteristiche di Villaseta che saltano subito alla vista: lapresenza imponente di attrezzature sportive mai completate e di spazi commerciali non utilizzati (i servizi e leattività commerciali presenti, sono oggi concentrati solo intorno al borgo originario, ad ovest dell’insediamento)e il senso di smarrimento ed inattività negli spazi aperti, dilatati, di non chiara appartenenza ed abbandonati. Sipercepisce ovunque u n d isinteresse gen erale soprattutto verso lo sp azio c ollettivo, q uello di tu tti o p iùverosimilmente di nessuno.Esasperate dalla reale separazione fisica da Agrigento, possono senz’altro addursi tre ordini di motivazioni alleorigini della situazione di degrado esistente, in riferimento alle tre “anime” di una città - polis, civitas, urbs6. Innanzitutto, legato al concetto di polis, l’indifferenza dimostrata dalle istituzioni nei confronti del quartiere e lamancanza di adeguata gestione e di interventi d i manutenzione: una volta sistemati gli sfollati nelle nuoveabitazioni, il più era stato fatto. Questa forma di superficialità ha aggravato una condizione che ha però le radiciin qualcosa di più profondo.Il senso di marginalità ed isolamento vissuto dalla civitas , la popolazione trasferita dalle aree della frana, infattinon ha le sue motivazioni soltanto nella nuova condizione di grande distanza dal centro storico. Il “ traumasociale” dell’abbandono forzato del proprio ambiente di vita e convivenza per il reinserimento in uno nuovo,sconosciuto, trae alimento anche dai diversissimi caratteri urbani ed architettonici di questi due brani di città.

Il centro storico di Agrigento, come molti centri storici italiani, era – ed è nella parte rimanente - uno spaziovissuto, d enso e st ratificato (a nche s e s pesso è st ato nel pa ssato insalubre e soffocante), r iconoscibile ericonosciuto. Di impi anto ch iaramente a rabo, Rab ato po ssiede vico li ciechi e st rade a “baionetta” che gli conferisconoun’atmosfera di crescente intimità, accentuata dagli innumerevoli sp azi stretti. Ab itato pr evalentemente d acontadini, braccianti ag ricoli e p iccoli p roprietari terrieri7, i l quartiere ha visto svo lgersi la v ita quotidiana

4 T. Cannarozzo (2007), “Agrigento: riflessioni e proposte per un progetto di futuro”5 Dal punto di vista turistico, oltre alla vicina Valle dei Templi vi sono altri siti archeologici e vari punti d’interesse culturale come la casa diLuigi Pirandello; inoltre il paesaggio è caratterizzato da un pregevole panorama digradante fino al mare su zone di valore ambientale eagricolo.6 Salzano (2008) “Urbs, civitas, polis”7 Lombardo (2006)

Milena De Matteis, Andrea Sardena2

Spazio pubblico e modelli urbani (ir)riconoscibili

principalmente a ll’esterno delle abitazioni, “in strada”, sulla sog lia di casa che diventava la vera e propria“stanza all’aperto” dell’abitazione. In tal senso fondamentale nella conformazione e nell’uso dello spazio urbanoè il “cortile”8, il vero luogo dello scambio e della comunicazione inter-familiare. La mediazione tra il privato e ilpubblico avveniva dunque nella sequenza di determinati spazi urbani: casa-cortile-piazza. Questa articolazione degli spazi aperti (legata ad abitudini di vita che in parte si sono radicalmente modificatenel corso degli ultimi anni) permetteva una complessa forma di conoscenza e rapporto tra la popolazione cheabitava il quartiere e la città. Il cortile era il vero luogo del “controllo” sociale da parte degli abitanti prossimi:l’uscire e il rientrare a casa, l’intrattenersi coi vicini, sostare insieme negli spazi privati e semiprivati era il primo(ed il più importante) modo per instaurare relazioni di conoscenza, controllo, mutuo soccorso, ecc.

Diversamente, il quartiere razionalista di Villaseta è una nuova piccola città elegante, sicura e salubre malontana, sia fisicamente che mentalmente, dai modelli urbani riconosciuti da quella popolazione. Agli abitanti diRabato trasferiti in Villaseta è mancata la percezione di una urbanità che conoscevano da generazioni e quindi lapossibilità di identificarsi, soprattutto all’inizio, col nuovo quartiere e la sua diversa struttura. Lo sradicamentoimprovviso dal centro città e da uno stile di vita consolidato – seppur difficile per alcuni aspetti – ha infatticausato l’ incomprensione del nuovo modello spaziale, così diverso da quelli conosciuti, e delle innovazionipresenti nella nuova struttura urbana, nelle nuove tipologie residenziali e soprattutto nel tessuto degli spaziaperti. In particolare, se gli alloggi spaziosi e salubri hanno rappresentato un miglioramento delle condizioni di vita, glispazi aperti così ampi e dalla non chiara appartenenza hanno invece subito un processo di non utilizzo e diabbandono. Le migliorie edilizie e delle condizioni di vita non sono bastate per creare “urbanità”, nonostante lapopolazione che v i si è insediata fosse sostanzialmente unita. L’effetto è stato uno “spaesamento” ed unaprogressiva chiusura negli spazi privati da parte degli abitanti con la conseguente dispersione delle relazioni divicinato già esistenti e solidificate ad Agrigento: lo spazio pubblico di Villaseta non è riuscito a diventare lospazio adatto alla convivenza di quelle persone. La popolazione sembra dunque essersi passivamente rassegnataad una condizione di lontananza dalla città, sia a livello fisico che psicologico, contribuendo involontariamentealla diffusione di fenomeni di criminalità e vandalismo, tipici dei luoghi dove è debole il senso del bene comune.

Una ulteriore riflessione sui motivi dello stato di degrado di Villaseta è quindi direttamente collegata al concettodi urbs e di forma urbana, nell’ipotesi che si fosse potuto immaginare (per la realizzazione del quartiere) undisegno urbano più efficace, realizzato su lla base di “p attern”9 più riconoscibili e con divisibili dallapopolazione locale. E’ evidente infatti che il progetto d’insieme, nonostante la ricercatezza, l’innovatività el’eleganza razionalista, non è riuscito a stimolare usi ed appropriazione nei suoi abitanti. E’ mancato un disegno che consentisse di identificare chiaramente gerarchie d’uso e gradienti di privacy nellospazio aperto, che caratterizzasse gli spazi come “vuoti positivi” cioè elementi percep ibili e non d ilatati edispersivi; tu tti el ementi essen ziali pe r la v italità urb ana. La rea ltà ap pena descritta è sicur amente un aproblematica riscontrabile in moltissime periferie contemporanee: la dilatazione e disgregazione dello spaziopubblico in qualcosa di indefinito e non percepibile, che viene quindi sottoutilizzato o del tutto abbandonato.

Ad un a rap ida an alisi, tra l e problematiche legate al disegno urbano riscontrate a Villaseta possonoannoverarsi:

• la mancanza di strutture ricettive e nodi d’aggregazione sociale e fisica;• un t essuto conn ettivo i ndifferenziato, ideato app ositamente p er l’au tomobile, in adeguato alla

percorrenza pedonale;• la dilatazione degli spazi aperti, con il conseguente disperdersi della residenza e un eccesso di fluidità e

continuità disarticolata, la frammentarietà delle aree a verde;• la percezione di disorientamento e l’i ncapacità di dist inguere spaz i pub blici da spazi com uni e

semiprivati;• la definizione e l’uso inadeguati delle aree a parcheggio;• la difficoltà dei collegamenti interni dovuta a forti dislivelli orografici;• un “eccesso di disegno” nella ridondanza di percorsi e dettagli, che comunque non risolvono le barriere

architettoniche.

8 Nella sua descrizione più comune, il “cortile” (Lombardo 2006) non è nient’altro che uno spazio aperto tra le costruzioni, con lo scopo diilluminare e ventilare gli ambienti interni e conferente un preciso carattere all’impianto costruttivo e alla morfologia urbana della quale faparte. Spesso è il luogo comune all’aperto di più abitazioni, e si configura quindi come uno spazio filtro, uno spazio in-between Hertzberger(1991).9 Come descritto in “A Pattern Language” (Alexander, 1977) i pattern sono soluzioni esemplari, modelli archetipi risolutivi di un problemacontestuale, adattabili e def initi solo in informazioni essenziali e ideogrammi; ogni “linguaggio” di pattern è r iferito ad una specif icacomunità locale autodeterminata. In particolare alcuni dei qui citati elementi caratteristici di Rabato come la “stanza all’aperto”, il “cortile”,lo “spazio aperto collettivo”, sono tutti ritrovabili in alcuni dei pattern creati da Alexander e dal suo gruppo per altri contesti, e sembranoavere dunque una connotazione non necessariamente “locale”.

Milena De Matteis, Andrea Sardena3

Spazio pubblico e modelli urbani (ir)riconoscibili

In sintesi, a Villaseta si sente la forte necessità di creare una complessità urbana che sappia trasformare gli spazipubblici e più in generale quelli aperti, da luoghi di nessuno, non-luoghi10, a luoghi vitali, articolati, identitari econdivisi, fulcri di quella convivenza urbana che è sinonimo di qualità della vita.

3. Riqualificare lo spazio pubblico: fenomeni spontanei e soluzioniprogettualiDalle osservazioni effettuate si possono trarre alcune prime conclusioni sull’importanza del ruolo e dei caratteridello spazio pubblico nella creazione un ambiente v itale, di coesione sociale e di ri conoscibilità, basilareconnettivo tra edifici e non più mero spazio residuale. Del resto l’azione diversificata sullo spazio pubblico(forme, relazio ni, si gnificato, co mplessità, u si…) è d ivenuta una d elle priorità d ell’attuale ri qualificazioneurbana sostenibile, che si concentra prevalentemente sulle periferie residenziali monofunzionali.Innanzitutto l’esempio di Villaseta ci mostra come nella conformazione degli spazi urbani sia essenziale attenersiai modelli culturali locali propri della popolazione che vivrà i luoghi: è solo attraverso la riconoscibilità di talimodelli che si creerà un sentimento d i appropriazione e identità. E’ questo un principio che si r itrova ne lconcetto di “pattern” di C. Alexander11, o ancora in quello di “common understanding” di N. Habraken12. Non si tratta di una rinuncia ad ogni possibile innovazione di tipo progettuale e formale, ma è fondamentaleaffiancare ogni proposta innovativa ad un percorso di riconoscimento da parte della popolazione coinvolta; cosache non è stata effettuata, anche per motivi di tempo e di tempi culturali, per gli abitanti di Rabato spostatid’urgenza in Villaseta.Inoltre è opportuno soffermarsi su alcune qualità e caratteristiche formali del disegno degli spazi. Lo spazioaperto a Villaseta è stato più volte definito come “dilatato, indifferenziato, non percepibile”. Diversi studi13

identificano in alcune proprietà geometriche e d’uso, dei caratteri positivi per conformare spazi e percorsi “amisura d’uomo”, da considerare attentamente in fase di ri-progettazione. Tra le so luzioni proposte per una p iù ad eguata r iconfigurazione deg li sp azi aperti, vi è la densificazione:l’aumento d ella b assa densità ab itativa14 e d i qu ella d’uso, cioè dell’intensità delle relazioni urbane15. Inquest’ottica il non-luogo, il vuoto urbano dequalificato che spesso è interposto tra gli edifici nei quartieri dimatrice razionalista, da problema diventa risorsa: offre infatti opportunità di interventi puntuali ed efficaci inambiti attualmente privi di “valore”, sfruttando l’assenza di vincoli fisici e spesso giuridici, che è invece lacaratteristica della città con solidata. E’ proprio questo il v alore in trinseco delle p eriferie, l’alto grado d itrasformabilità, spesso non ancora riconosciuto. Affrontare il tema della densità nell’articolazione e dimensionedello spazio “aperto residenziale” significa indagare quello della prossemica16, ovvero dell’uso e della gestioneche l’uomo fa dello spazio quando pone distanze tra individui, al f ine di avvicinarli o di al lontanarli nelleinterazioni quotidiane e nella strutturazione degli spazi abitativi e urbani17. Rimane infine invariata l’importanza della gestione e manutenzione: è ormai un dato acquisito che lo “spazio ditutti” spesso si identifica come “spazio di nessuno”, con il conseguente disinteresse generale sia nel suo uso chenella sua manutenzione; disinteresse spesso aggravato dalle mancate r isorse pubbliche destinate proprio allospazio pubblico. In tal senso risulta fondamentale il coinvolgimento diretto della popolazione nella gestione dei“luoghi”, n on so lo per u na q uestione meramente manutentiva, m a, sop rattutto, p er ottenere qu ell’effettopredominante che è il “controllo sociale”18 di quello spazio.

Tra le azioni progettuali che in prima istanza sembrano assumere valore per Villaseta vi sono: • ricucire il tessuto urbano con nodi attrattori e d’aggregazione sociale anche di tipo “semi-privato” (vedi

i cortili del centro storico); • semplificare i percorsi, dare riconoscibilità agli spazi aperti oggi dilatati;• chiarire il rapporto di spazi e giardini pubblici, semipubblici, privati (eventualmente incoraggiando

l’attuale “occupazione” privata delle aiuole pubbliche);

10 Desideri, Ilardi (1997) “Attraversamenti: i nuovi territori dello spazio pubblico”11 “A Pattern Language” (Alexander, 1977); cfr nota 9.12 “Common und erstanding” come espressione d i coerenza de gli ambienti ur bani, in u na cu ltura co mune e splicita ( leggi, no rmative,regolamenti) ed implicita (abitudini, usanze, preferenze). “The Structure of the Ordinary” (Habraken 1998).13 Tra gli altri: K. Lynch (1964), J. Gehl (1987), H. Hertzberger (1991), C. Alexander (1977, 2004).14 Un aspetto di grande interesse sociale nell’alta densità è la possibilità di incontri che non erano stati anticipatamente programmati e disvolgere attività che non si erano pianificate in anticipo. L’imbattersi in situazioni e persone che non si è scelto di incontrare rappresentainfatti una ricchezza e favorisce il continuo scambio di idee, opinioni e il confronto tra stili di vita diversi e persino in conflitto tra loro. (J.Gehl 1987)15 Caudo, (2009)16 Il termine prossemica è stato coniato alla fine degli anni ‘60 dall’antropologo americano Edwuard T. Hall (proxemics); deriva dal latinoproximus (prossimo) e dal greco séma (segno), la prossemica è quindi la disciplina che studia lo spazio personale e sociale e come l’uomo lipercepisce; lo spazio inteso cioè come fatto comunicativo.17 Reale (2008)18 Habraken (1998) “The Structure of the Ordinary”

Milena De Matteis, Andrea Sardena4

Spazio pubblico e modelli urbani (ir)riconoscibili

• migliorare la densità urbana, cioè il rapporto vuoto/costruito, e l’intensità delle relazioni: ipotizzare unadensificazione (infilling) ragionata nei “vuoti urbani” con nuove funzioni e alloggi speciali;

• modificare l’attacco a terra degli edi fici “c orreggendo” l ’accessibilità agli al loggi, operandosull’assetto e sugli usi dei piani pilotis;

• valorizzare il verde urbano “pubblico” (riducendone la superficie), le aree archeologiche e le risorselocali in genere;

• sfruttare l’orografia panoramica e connettere i dislivelli, oggi spesso cesure insuperabili;• migliorare l ’aspetto microclimatico (ag endo ev entualmente an che sulla forma dell’insediamento) e

paesaggistico; • ripristinare le attività commerciali attraverso incentivi economici e programmi appositi, rendere fruibili

le attrezzature sportive (terminandole!) e garantire la multifunzionalità all’intero quartiere;• definire l ’assetto p roprietario (eventuale al ienazione p p/pr) e l e st rategie pe r l a fa ttibilità d egli

interventi;• attivare p rocessi di p artecipazione del la p opolazione nel la g estione del le t rasformazioni u rbane e

sociali;• evitare l’inserimento di megastrutture e di interventi a grande scala ma puntuali (ad esempio centri

commerciali, parcheggi scambiatori, ecc) che non coinvolgono realmente la trasformazione urbana esociale del quartiere;

• favorire la formazione di poli di eccellenza (impianti sportivi, sevizi di accoglienza micro turistica, ecc.)

Le pr oposte sud dette nascono , oltre che dall’ analisi de lla situ azione fisica, m orfologica e funzionale delquartiere, anche dall’osservazione di alcuni fenomeni spontanei di “convivenza” e tentativi autonomi,da partedegli abitanti, di riqualificazione del quartiere che nella difficile realtà di Villaseta rappresentano la concretascintilla di partecipazione e di senso di appartenenza da cui far seguire ogni successivo spunto d’azione e ipotesid’intervento.Sono da evidenziare, tra questi fenomeni, i tentativi di riproduzione delle condizioni di vicinato di Rabato (lospazio collettivo del cortile) attraverso l’appropriazione del suolo pubblico prossimo alle piccole attività supersiti(il bar e il supermercato) mediante l’inserimento di “arredi urbani” e “immagini”, quanto mai insoliti, a cui“appoggiarsi” e a c ui fare r iferimento: sedie e poltroncine, m otorini-panchine, statue v otive, m uralesautoprodotti… E, ancor più indicativo, il fenomeno di appropriazione spontanea dei “vuoti urbani”, delle aiuolepubbliche non curate e degli spazi immediatamente a ridosso degli edifici, trasformati in giardini privati, orti,stanze all ’aperto: sebbene rendano ancora più complessa la morfologia e l ’appartenenza degli spazi aperti ,quantomeno offrono un miglioramento della qualità fisica e visiva del contesto locale. Resta da segnalare infineun nuovo att ivismo sociale che ha il suo fu lcro nella parrocchia (struttura fortemente sen tita come luogod’identificazione e unità locale) che sta recentemente coinvolgendo gli abitanti, in particolar modo i più giovani,nel tentativo di uscire dallo stato di annichilimento e depressione sociale in cui il quartiere si trova, e ritrovarecosì una nuova dignità di “quartiere”.

1 - Il “sistema Agrigento” e la posizione di Villaseta nel territorio

Milena De Matteis, Andrea Sardena5

Spazio pubblico e modelli urbani (ir)riconoscibili

2 – Agrigento

3 - Immagine dell’area franata nel 1966

4 - Il progetto di Villaseta nei dodici lotti di progetto, edificati in circa vent’anni

Milena De Matteis, Andrea Sardena6

Spazio pubblico e modelli urbani (ir)riconoscibili

6 - Agrigento e viadotto Morandi visti da Villaseta. Netta la separazione dal centro urbano.

7 - Villaseta vista da un’immagine satellitare

8 - Abitazioni su pilotis lungo la trafficata strada provinciale SP1

9 - Il quartiere Rabato prima della frana

Milena De Matteis, Andrea Sardena7

Spazio pubblico e modelli urbani (ir)riconoscibili

10 - L'area della frana, all’estremità ovest di Agrigento

11a - 11b - Immagini attuali del centro storico a ridosso dell’area franata

12 - Villaseta: dilatazione e abbandono degli spazi aperti

Milena De Matteis, Andrea Sardena8

Spazio pubblico e modelli urbani (ir)riconoscibili

Bibliografia

Alexander C., Ishikawa S., Silverstein M. (1977), “A pattern language: towns, buildings, construction”, Oxforduniversity press, New YorkAlexander C. (2001-2005) “The nature of order: an essay on the art of building and the nature of the universe”,Center for Environmental Structure, BerkeleyCannarozzo T., (2007) “Agrigento: riflessioni e proposte per un progetto di futuro”, in AA. VV. Atti del I°Simposio Internazionale, a cura di Vitrano R. M., "Scenari dell’abitare abusivo. Strategie per l’intervento direcupero", pp. 76-93Dalli Cardillo A., Sciangula N. (1997) “Agrigento: la città della valle e della collina”Gehl, J. (1987), “Life between buildings: using public space”, Van Nostrand Reinhold, New YorkGucciardo G., (1999) “La legge e l'arbitrio: l 'abusivismo edilizio in Italia, il caso della Valle dei Templi diAgrigento” Camera di Commercio e Unesco, (2005) “VALLE DEI TEMPLI – Un’idea di parco condivisa e dacondividere”Habraken N. (1998), “The Structure of the Ordinary”, Teicher, LondraHeidegger M. (1954), “Vorträge und Aufsätze”, Neske, Pfullingen; trad. it. a cura di Vattimo G (1976), Saggi ediscorsi, Mursia, Milano Hertzberger H. (1991), “Lezioni di Architettura” a cura di Furnari M., Laterza, BariLombardo L.D. (2006), “Piazze e cortili del centro storico di Agrigento”, Libroitaliano World, RagusaMartuscelli M., Astengo G. (1966), “Agrigento, relazione della commissione d’indagine”, Urbanistica n. 48, pp.31-160Reale L. (2008) "Densità, città, residenza. Tecniche di densificazione e strategie anti-sprawl", GangemiSalzano E., (2008) “Urbs, civitas, polis”, www.eddyburg.it /article/articleview/11969/0/342Uytenhaak R. (2009), “Cities full of space. Quality of density”, 010 Publisher, Rotterdam

Milena De Matteis, Andrea Sardena 9

Immigrazione e territorio. Oltre la retorica sull’esclusione sociale

Atti della XIII Conferenza Società Italiana degli UrbanistiCittà e crisi globale: clima, sviluppo e convivenza

Roma, 25-27 febbraio 2010Planum - The European Journal of Planning on-line

ISSN 1723-0993

Immigrazione e territorio

Oltre la retorica sull’esclusione socialeCarlotta Fioretti

Dipartimento di Studi UrbaniUniversità degli Studi Roma Tre, [email protected]

3381648423

AbstractLetteratura e politiche urbane europee che affrontano il tema dell’immigrazione sono permeate da una doppiaretorica, quella dell’esclusione e inclusione sociale, che viene letta attraverso dispositivi spaziali, in particolarei quartieri. Tale narrativa sembra essere stata messa in discussione dalle realtà dei paesi dell’Europameridionale, tra cui l’Italia. Sembra opportuno rivedere i processi di esclusione ed inclusione degli immigratinelle città mediterranee, nella convinzione che solo partendo da una diversa prospettiva, più ancorata alterritorio, si possano disegnare le politiche adeguate.

1. IntroduzioneIl rapporto tra immigrazione e città nel contesto europeo può essere visto da diverse angolazioni.Innanzitutto è possibile affermare che l’immigrazione è andata sempre più definendosi come la “nuova questioneurbana”, rispetto alle questioni sociali che hanno storicamente interessato le grandi città prima e le metropoli poi.Il fenomeno migratorio in Europa investe, in effetti, principalmente le città, alterandone gli assetti e creandonuove e importanti sfide per il loro governo.C’è inoltre da considerare che con la crisi dei welfare nazionali è andata intensificandosi una “localizzazione”dell’azione pubblica, per la quale la soluzione dei problemi sociali di natura complessa viene delegata alla sferalocale. Se le politiche di immigrazione, intese come quelle di controllo dei flussi, rimangono a livello nazionale,le politiche per gli immigrati, come quelle sociali, di integrazione e coesione, sono sempre più riferibili alla sferalocale (Caponio, 2006). Localizzazione quindi, ma anche territorializzazione. Recentemente, le questioni socialivedono uno spostamento dell’enfasi sui luoghi, che sono visti come pericolosi, degradati, in crisi a seconda delleprospettive. Di conseguenza anche l’azione di policy si lega ad un territorio d’azione. Emerge un quadro in cui la città e i suoi spazi sembrano essere al centro dei processi di esclusione ed inclusionedegli immigrati. Ma di quali spazi si parla, sembra essere un problema ancora aperto. Per lo più la letteratura,come anche il discorso politico e l’azione pubblica, si sono focalizzati sulla dimensione del quartiere. Questoperché la povertà e il disagio sembrano concentrarsi in determinati quartieri e proprio questa concentrazionesembra essere alla base della difficoltà di uscita dalla spirale dell’esclusione. Questa posizione si traduce nellapratica in una serie di programmi di rigenerazione dei quartieri in cui spesso la strategia abitativa è quella diaumentare il mix sociale e diversificare i regimi edilizi. La pratica della dispersione e del mix sembra riscuotereparticolare approvazione nei contesti etnicamente connotati che hanno attraversato situazioni di crisi, come pergli scontri nelle banlieue parigine nel 2005, o le tensioni di Bradford, Oldham e Burnley nel 2001. In Italia non è possibile trovare un corpus vero e proprio di politiche urbane atte a favorire l’integrazione degliimmigrati. In generale, sia a livello nazionale che locale, prevalgono le politiche di controllo rispetto a quelle diinclusione. Tut tavia è altre ttanto v ero ch e l’It alia è un p aese per il qu ale l ’influenza dell’ Europa è statadeterminante in materia di politiche urbane, basti pensare all’esperienza dei programmi Urban. Sembra dunqueopportuna una revisione della retorica dell’esclusione e inclusione sociale per capire come si è evoluta in Europae come eventualmente può essere trasposta nel contesto italiano.

2. La retorica dell’esclusione/inclusione sociale e l’accento sul quartiereGli immigrati costituiscono uno dei gruppi più vulnerabili all’interno delle società urbane: anche se non sononecessariamente poveri, spesso una serie di barr iere li ostacola dalla piena partecipazione nella società. Perquesta ragione il fenomeno dell’immigrazione è spesso sovrapposto a quello dell’esclusione sociale.Le teorizzazioni s ull’esclusione s ociale hanno ori gine ne lla c osì detta social polarization theory t rattataampiamente negli anni ’90 (Sassen, 1991; Mollenkopf e Catells, 1991). Tale prospettiva sostiene che negli ultimi

Carlotta Fioretti 1

Immigrazione e territorio. Oltre la retorica sull’esclusione sociale

decenni le città dei paesi industrializzati sono state investite da importanti processi di ristrutturazione economica,dovuti all’avvento della globalizzazione. Ciò ha comportato la strutturazione di nuovi assetti economici urbaniprevalentemente basati sui servizi, che hanno a loro volta implicato la crescita della domanda di lavoro altamentespecializzato da un lato, e scarsamente qualificato dall’altro. Quest’ultima ha agito come un fattore d’attrazioneper l’arrivo di nuovi migranti. Una tale polarizzazione del mercato lavorativo si è riflessa in una crescentedistanza s ocio-economica d ella p opolazione, sempre più d ivisa tra gli inclusi e g li e sclusi. Se condo t aleinterpretazione la polarizzazione si manifesta anche dal punto di vista dell’organizzazione spaziale della città,con i gruppi benestanti che vivono nelle gated communities (o nei quartieri gentrificati) e i meno abbientisegregati in ghetti.Questa prospettiva, prevalentemente statunitense, ha riscosso successo anche nell’Europa nord-occidentale. Laretorica degli esclusi e degli inclusi che sono anche spazialmente segregati ha, infatti, permeato la letteratura e lepolitiche europee. Anche se il dibattito sull’esclusione sociale è stato incredibilmente ampio e vario, Murie eMusterd (2004) ne sottolineano due principali caratteristiche. Prima di tutto lo scollamento dalle prospettiveprecedenti quasi esclusivamente centrate sull’aspetto della povertà economica: al contrario l’esclusione socialeimplica l’interazione di diversi elementi che sono riconducibili principalmente a una inadeguata partecipazionesociale, mancanza di integrazione sociale e mancanza di potere (Murie, 2005) – per questa ragione anche leminoranze etniche, e non solo i disoccupati a lungo termine, possono ricadere nella categoria degli esclusi.Secondariamente, il riconoscimento dello spazio come dimensione fondamentale nel processo di costruzionedell’esclusione che si traduce in una particolare attenzione ai quartieri.Il quartiere acquista importanza nel momento in cui si ri leva come le persone più svantaggiate, con menopossibilità di scelta nel mercato abitativo tendono a concentrarsi in aree svalorizzate: perlopiù aree centralidegradate ( inner city) o quartieri popolari periferici. Secondo alcuni autori (Taylor, 1995; Power, 1996) gliabitanti di questi quartieri vengono coinvolti in spirali discendenti. L’impopolarità dell’area contribuisce allaconcentrazione di abitanti poco abbienti, che comporta di conseguenza un impoverimento dell’ambiente sociale(mancanza di potere politi co, mancanza di risorse per attrarre ben i e servizi di qu alità, po ca stab ilità eresponsabilizzazione nei confronti del luogo) che a sua volta influisce sugli abitanti comportando isolamento,sfiducia, comportamenti anti-sociali: fattori che non fanno che peggiorare lo stigma che grava sul quartiere.La narrativa della “spirale del declino” contribuisce al diffondersi dell’idea che i quartieri in cui si concentranopersone svantaggiate possano avere un effetto negativo sulle opportunità dei singoli abitanti (neighbourhoodeffect). Attorno a tale convinzione si sviluppa in letteratura una corrente che tratta delle conseguenze negativeche nascono dalla concentrazione di un particolare gruppo, in generale costituito da popolazioni a basso reddito,ma più specificatamente -accogliendo il dibattito sui ghetti negli Stati Uniti – costituito da minoranze etniche. Sene evidenziano in particolare tre: la stigmatizzazione dell’area (inducendo, ad esempio, i datori di lavoro asviluppare un pregiudizio negativo nei confronti di chi vi abita), la predominanza di un modello sociale negativo(che può influenzare altrettanto negativamente gli individui) e, nel caso specifico in cui il gruppo segregato è unaminoranza etnica, la difficoltà di integrazione nella società ospitante (Musterd e Ostendorf, 2005; Bolt et al.2010).Queste tre argomentazioni hanno influenzato il disegno di policy per favorire l’inclusione degli immigrati, intutta Europa, favorendo la diffusione di programmi che agiscono a livello del quartiere, portando avanti delleazioni per aumentarne il mix sociale ed etnico e conseguentemente avere delle comunità più bilanciate.Le politiche dirette a l imitare l a segregazione delle minoranze etniche si sono particolarmente di ffuse neicosiddetti pae si assim ilazionisti (come la Dani marca), d ove l a pr eoccupazione per i pro cessi d i au to-segregazione delle comunità straniere è preponderante nel dibattito. Tuttavia ciò che sembra particolarmenteinteressante, come sottolineano Bolt et al. (2010), è che anche i paesi con una tradizione multiculturale hannorecentemente assunto delle misure anti-segregazione. In particolare in Inghilterra, dopo i disordini di Bradford,Oldham e Burnley del 2001, la questione relativa all’auto-segregazione ha pervaso il discorso politico e guidatoun certo numero di iniziative implementate sotto il vessillo della coesione sociale.

3. Alcune posizioni criticheIl discorso sull'esclusione sociale fin qui raccontato e le sue derive in termini d i politiche di inclusione eintegrazione sono stati sottoposti a numerose critiche da una letteratura piuttosto ampia. Maloutas (2004) spiega come la teoria della polarizzazione sociale sia nata in un contesto specifico, quello dellecittà globali statunitensi, ma sia stata poi applicata anche al caso Europeo (tramite il discorso sull'esclusione),dove la maggior parte delle realtà urbane non rispecchiano il profilo della città globale. Ciò è stato possibileperché la variante Europea di questa modellizzazione ne rappresenta una versione “lasca”, meno rigida, che portacon sé alcune criticità: una mancata attenzione alle specificità dei contesti, la perdita di un ragionamento sulledinamiche alla base di questi processi urbani e infine l’uso dei concetti di polarizzazione e segregazione in modoindistinto.Innanzitutto viene criticata l’applicazione della teoria della polarizzazione in maniera indifferente al contesto, evengono al contrario enfatizzate le peculiarità delle città europee rispetto a quelle americane. In questo senso il

Carlotta Fioretti 2

Immigrazione e territorio. Oltre la retorica sull’esclusione sociale

discorso sulle minoranze etniche è decisivo, essendo che le città europee non presentano gli stessi livelli didiscriminazione e seg regazione che si possono invece t rovare nel cor rispettivo americano. Inoltre vengonoriconosciute delle differenziazioni interne allo stesso contesto europeo.Queste argomentazioni sono collegate con un altro elemento: la necessità di trattare ed ampliare i fattori alla basedei fenomeni sociali urbani. Non sembra infatti sufficiente considerare solo le cause macro-economiche comesostenuto dalla teoria della polarizzazione; in effetti un elemento che ha un ruolo determinante soprattutto nelcontesto europeo è rappresentato dai diversi sistemi di welfare (Hamnet, 1996; Musterd e Ostendorf, 1998).Rispetto a ciò, è importante evitare di cadere in facili semplificazioni, per cui il mercato viene visto come allabase dell’esclusione, mentre lo stato come l’attore che facilita l’inclusione. Murie (2005) spiega come i sistemidi redistribuzione, com e anche l e ret i di reci procità ( la fam iglia, l a comunità il v icinato) e i l mercatocostituiscono tutti e tre le vie principali per l’accesso alle risorse e, di conseguenza, possono costituire al tempostesso dei mezzi per l’inclusione o delle fonti di esclusione. Un’attenta considerazione dei sistemi di welfare èdunque necessaria, facendo particolare attenzione all’evoluzione di tali sistemi (che per lo più è avvenuta insenso neo-liberale) e al modo in cui essi operano.L’ultimo e lemento di critica è riferito al concetto di segregazione che, in effetti, assume una connotazionedifferente nel contesto europeo poiché si presenta a livelli piuttosto bassi e non presenta le caratteristiche dellaghettizzazione. Comunque, anche nelle città europee sono in atto processi di concentrazione di determinatigruppi socio-economici ed etnici. In questo ultimo caso, spesso alla concentrazione residenziale corrispondonoanche delle peg giori cond izioni ab itative ( van Kempen e Ö züekren, 19 98). Tuttav ia, ci ò non b asta perconsiderare la segregazione come un aspetto puramente negativo. È possibile infatti trovare, sia nella letteraturaAmericana che Euro pea, d elle posizioni nei confron ti della segregazione che ne enfatizzano gli aspetti diintegrazione sociale e spaziale, di senso di identità, di capitale sociale e culturale (Waquant e Wilson, 1993; Boltet al. 1998). Come Murie (2005) avverte, la segregazione residenziale non può essere vista come una aprioristicacondizione di vantaggio o svantaggio, ma piuttosto può rivelare aspetti in entrambi i sensi, e questi fra l’altropossono cambiare nel tempo. Molti altri autori concordano con questa posizione e conseguentemente criticanoquelle po litiche ch e incoraggiano assi omaticamente il mix so ciale ed et nico. Si evidenziano so lo al cuneargomentazioni in tal senso. L’esclusione, così come la povertà e la marginalizzazione, è una caratteristicaindividuale e n on sp aziale: le m isure di de-segregazione rischiano d i alim entare u n ce rto deter minismoambientale. Gli studi di valutazione non comprovano l’efficacia delle pratiche di de-segregazione: al contrariomostrano i possibili effetti negativi (Musterd e Ostendorf, 2005). Per quanto riguarda il caso delle minoranzeetniche, la critica riguarda il rischio di cadere in posizioni ideologiche che spesso sono anche alla base deldiffondersi di un clima di paura e tensioni razziali.La recente le tteratura che p orta avanti i l caso dei paesi del l’Europa meridionale ha d ato un co ntributofondamentale proprio all’interno di questo dibattito.

4. La prospettiva dell’Europa meridionaleAll’interno delle argomentazioni critiche che sostengono l’importanza del contesto nell’analizzare i processisociali urbani, troviamo anche la posizione dei paesi dell’Europa meridionale. Tale prospettiva sottolinea la nettadifferenza tra le città dei paesi del sud Europa, rispetto a quelle più settentrionali, al punto che all’interno delpanorama Europeo il mediterraneo sembra emergere coma una regione uniforme, le cui caratteristiche risultanorilevanti per il dibattito sull’esclusione/integrazione degli immigrati1.Questo tipo di posizionamento è supportato da una doppia tradizione: da un lato quella che sostiene la peculiaritàdei paesi del sud Europa all’interno della classificazione dei welfare regimes originariamente pensata da Esping-Andersen (cfr. Mingione, 1991; Ferrera, 1996; Gallie e Paugam, 2000); dall’altro lato quella che analizza lecaratteristiche specifiche che ha assunto il fenomeno migratorio nei paesi mediterranei (cfr. King e Black, 1997;King et al. 2000; King e Ribas-Mateos, 2002; Ribas-Mateos, 2004).In particolare alcuni autori (Malheiros, 2002; Maloutas, 2004, 2007; Arbaci, 2007, 2008; Arbaci e Malheiros,2010) si concent rano sul l’aspetto della segrega zione etnica e analizzando un cert o numero di metropo limeridionali, mostrano come gli immigrati seguano qui dei particolari schemi di inserimento territoriale chevanno nel senso della sub-urbanizzazione e della de-segregazione.L’aspetto interessante di tali ricerche è che evidenziano come a processi di de-segregazione corr ispondanoparadossalmente incrementi nei livelli di polarizzazione sociale, fenomeni d i marginalizzazione abitativa edesclusione sociale, in discordanza con l'interpretazione dominante. Le conseguenze sono molteplici. Innanzituttoviene nuov amente prob lematizzata la po sizione de lla social polarization theory che v edeva i pr ocessi diesclusione spaziale e sociale come l’esito della globalizzazione e delle forze del mercato. Infatti gli assetti socio-spaziali degli immigrati nei paesi sud-Europei sembrano dipendere fortemente (più che da forze globali) daglispecifici contesti socio-economici nazionali e locali e dalla loro evoluzione nel tempo. Non solo dunque viene

1 I paesi dell’Europa meridionale che vengono presi in considerazione sono principalmente Portogallo, Spagna, Italia eGrecia. Malheiros specifica la presenza di eccezioni, con città della Francia centro-meridionale (Lione) più simili a quellemediterranee, e città come Barcellona più vicine alle realtà del nord.

Carlotta Fioretti 3

Immigrazione e territorio. Oltre la retorica sull’esclusione sociale

riaffermata l’importanza del sistema di welfare (all’interno del quale ricordiamo il peso della famiglia e dallaChiesa C attolica accan to allo stato), ma vien e sottolineato sop rattutto il ru olo d ei sistemi abitativi e d ipianificazione. In particolare nel caso dell’Italia sembra che decisive siano state la cultura e le politiche chehanno sostenuto la proprietà privata (come modalità di regolazione del territorio e di accesso alla casa), e chehanno contribuito all’indebolimento del sistema dell’affitto, in particolare sociale e ad una frammentazione deitessuti urbani (piccoli appezzamenti costruiti da singoli costruttori).Anche le peculiari caratteristiche del fenomeno migratorio hanno un peso sul sistema di insediamento deglistranieri: la grande varietà di etnie, la rilevanza della componente femminile e di determinate tipologie di lavorosono t utti elem enti che f avoriscono la dispersione te rritoriale. Inoltre gli a utori pongo no l’accento sull ecaratteristiche dei singoli sistemi urbani, quali l’organizzazione tradizionale del tessuto urbano (che nel caso diAtene porta a forme di segregazione verticale, ma si pensi anche ai bassi napoletani), i sistemi di regolazionesempre più restrittivi (che oggi limitano le soluzioni abitative informali, che hanno storicamente rappresentatouna via d’uscita per molte categorie), i particolari mercati abitativi e i processi di rinnovo urbano. Questi ultimisembrano aver contraddistinto le realtà urbane italiane in maniera precedente e più intensa degli altri paesimeridionali, ta nto da determ inare processi di val orizzazione e gentrificazi one di m olte aree centra li esemicentrali, favorendo così la periferizzazione degli immigrati. Risulta evidente dall’analisi di questi fattori come la de-segregazione degli immigrati non significhi maggioreintegrazione, ma al contrario sia proprio un sintomo di un forte disagio sociale, principalmente rappresentato dauna difficoltà di accesso alla c asa. Gli autori u tilizzano queste argomentazioni pe r mettere in discussionel’importazione dei modelli di policy nati e sviluppatisi nei paesi nord-europei a seguito del mito dei quartierisocialmente e etnicamente misti (Arbaci e Malheiros, 2010 fanno riferimento ai programmi a base areale comeSingle Regeneration Budget e Development Social de Quartiers). In particolare la critica si sv iluppa in tredirezioni (Arbaci, 2008; Malheiros, 2002). La prima si riferisce al rischio di importare una retorica vuota dietroalla quale si pu ò na scondere u na de -problematizzazione (la l ettura positiva della c aduta de gli i ndici disegregazione) o l’a ttuazione di interventi lim itati a lla va lorizzazione fisica dei quartieri (alim entando imeccanismi di esclusione anziché contrastarli). Secondariamente si critica la base eccessivamente ristretta diquesto tipo di interventi: agire alla scala di quartiere non permette di agire al livello dei fattori strutturali chegenerano il problema, ad esempio il sistema abitativo nazionale e locale. Infine sembra opportuno tradurre iprincipi che si rivelano positivi del modello (empowerment), a partire dalle peculiari condizioni del contesto (lacultura della casa in proprietà, l’informalità delle pratiche) per sviluppare esperienze originali (ad esempio nelcampo dell’auto-costruzione).

5. ConclusioniSi è visto come una delle principali caratteristiche del discorso sull’esclusione sociale è l'accento posto sulla suadimensione spaziale, che viene fatta coincidere con il quartiere di residenza: il quartiere può essere un elementoche determina o rinforza il processo di esclusione, essendo al centro di meccanismi quali la stigmatizzazione,l’inerzia sociale, la mancanza di integrazione. All’interno di questa prospettiva esclusione sociale e segregazioneresidenziale diventano sinonimi, influenzando il disegno di politiche atte a superarle. Se quartieri omogenei intermini di classe sociale, tipologia abitativa, etnia sono alla base dei processi di esclusione, sembra ragionevolepensare che quartieri “misti” dovrebbero facilitare l’ integrazione. Conseguentemente, in molti paesi vengonoattivati programmi e politiche che agiscono a livello della composizione del quartiere allo scopo di c rearecomunità p iù b ilanciate e integrate. Tuttavia qu este posizioni so no messe in di scussione da una crescenteletteratura sia nelle premesse che negli esiti.Il contributo dei paesi dell’Europa meridionale cade proprio all ’interno d i questo dibattito. Nelle città sud-europee, le popolazioni di immigrati non si insediano seguendo degli schemi concentrativi, ma nonostante questosono soggette ad alti livelli di esclusione. Ne deriva una critica a concettualizzazioni facili e decontestualizzate:modelli interpretativi e politiche importati da altri contesti rischiano di essere poco utili, e di oscurare la veranatura dei problemi. Sono dunque necessarie nuove teorizzazioni a partire dalla lettura critica dei contesti diapplicazione.Proprio per questo si vogliono sottolineare alcuni elementi che emergono dal dibattito sud-europeo e che siritiene possano essere spunti interessanti per approfondimenti futuri.Innanzi t utto em erge ch iaramente come i con testi s ud-europei sebbene de -segregati dal p unto d i vistaresidenziale non siano esenti da problemi. Gli autori si soffermano maggiormente su un aspetto specifico diquesta questione, cioè mettono in evidenza come la de-segregazione sia in realtà l'effetto di un grave processo diesclusione abitativa. In questo senso vanno lette anche le raccomandazioni che gli autori fanno in termini dipolitiche (ad esempio agire su lle po litiche ab itative, stimolare l 'auto-costruzione). Tuttav ia si ri tiene che laquestione p otrebbe essere af frontata anche da al tri punti di v ista. Se l a m aggior parte de gli st udi sullasegregazione prende la città nel suo complesso o il quartiere come unità di analisi, è possibile che se si partisseda unità di analisi più significative emergerebbero altre forme di segregazione che sono attualmente sottostimatedal dibattito dominante (Phillips, 2007). In questa direzione si muove parzialmente Maloutas (2007) quando

Carlotta Fioretti 4

Immigrazione e territorio. Oltre la retorica sull’esclusione sociale

rileva l'esistenza di forme di segregazione verticale all'interno dei singoli blocchi residenziali. Per il contestoitaliano Tosi (1998) suggerisce di prendere in considerazione le forme di segregazione non residenziale come adesempio que lle negli spazi pubb lici e q uelle che non hanno un a r ilevante d imensione sp aziale, co me lasegregazione delle reti sociali.Un s econdo a spetto si riferisce al fa tto che l a retorica d ell'esclusione è una retorica doppia, c he rin vianecessariamente al suo opposto cioè all'integrazione:

“(E)xclusion and integration can be regarded as two sides of the same coin and can thus be put in a similarconceptual fr amework. T hat im plies that the ories relate d to social exclusion may als o function as aframework for the understanding of integration processes and, vice versa (...).” (Murie e Musterd, 2004; p.1442)2.

Partendo da questa considerazione, se il quartiere non è il luogo adatto per leggere i processi di esclusionesembra opportuno chiedersi se possa essere il luogo adatto per innescare meccanismi di integrazione. È stato giàampiamente ricordato come molte delle politiche europee vanno in questo senso, sia perché utilizzano come based'azione i l quartiere, sia nel senso che sostengono l'integrazione a partire da comunità miste e coese. Se ildibattito sui paesi sud-europei aggredisce questa posizione non sembra però indagare in maniera esauriente ilpresupposto che si nasconde al suo interno cioè che lo spazio possa essere un dispositivo di integrazione per gliimmigrati. Da qui sembrano emergere due questioni. Innanzitutto l'idea stessa di in tegrazione può risu ltareproblematica qualora assuma una connotazione simile a quella di assimilazione. Anche il concetto di coesione inquesto contesto può essere messo in discussione nel momento in cui è difficilmente compatibile con l'idea didiversità. Alcuni autori sembrano usare concettualizzazioni più felici per indicare le potenzialità dello spazioall'interno del questione dell'immigrazione, come ad esempio urbanità (Tosi, 1998) o cittadinanza (Sandercock,1998). Infine se i quartieri residenziali non sembrano essere lo spazio adatto per favorire l'inclusione, quali altri“spazi” po trebbero essere ad atti a que sto ru olo? A min (200 2) su ggerisce qu egli sp azi dov e av viene lanegoziazione quotidiana della differenza, riferendosi ai posti di lavoro, alla scuola ma anche gli spazi comunitariall'interno dei quartieri. Sembra opportuna una riflessione in questo senso anche all'interno del contesto italiano.

Bibliografia

Libri

Tiziana Caponio (2006), Città italiane e immigrazione. Discorso pubblico e politiche a Milano, Bologna eNapoli, Bologna, Il Mulino.Duncan Gallie, & Serge Paugam (a cura di) (2000), Welfare Regimes and the Experience of Unemployment inEurope, Oxford, Oxford University Press.Russel King, & Richard Black (a cura di) (1997), Southern Europe and the New Immigrations, Brighton, SussexAcademic Press.Russel King, Gabriella Lazaridis, & Charalampos G. Tsardanidis (a cura di) (2000), Eldorado or Fortress?Migration in Southern Europe, London, Macmillan.Enzo Mingione (1991), Fragmented societies: A Sociology of Economic Life Beyond the Market Paradigm,Oxford, Blackwell.John H. Mollenkopf, & Manuel Castells (1991), Dual City: Restructuring New York, New York, Russel SageFoundation.Sako Musterd, & W. J. M. Ostendorf (a cura di) (1998), Urban Segregation and the Welfare State. Inequalityand exclusion in western cities, London, Routledge.Leonie Sandercock (1998) Towards Cosmopolis, Chichester, John Wiley,.Saskia Sassen (1991), The Global City: New York, London, Tokyo, Princeton, Princeton University press.Marilyn Taylor (1995), Unleashing the Potential, York, Joseph Rowntree Foundation.William Julius Wilson (1987), The Truly Disadvantaged: The Inner City, The Underclass and Public Policy,Chicago, University Chicago Press.

Articoli

Amin, A. (2002). “Ethnicity and the multicultural city: living with diversity”. Environment and Planning A, 34,59-980. Arbaci, S. & Malheiros, J. (2010). “De-Segregation, Peripheralisation and the Social Exclusion of Immigrants:Southern European Cities in the 1990s”. Journal of Ethnic and Migration Studies, 36(2), 227 -255.Arbaci, S. (2008). “(Re)Viewing Ethnic Residential Segregation in Southern European Cities: Housing andUrban Regimes as Mechanisms of Marginalisation”. Housing Studies, 23(4), 589-613.

2 Traduzione dell’autore dall’inglese: “Esclusione e integrazione possono essere visti come i due lati della stessa medaglia epossono dunque essere messi nel me desimo quadro concettuale. Ciò i mplica che le teorie legate all' esclusione socialepossono anche funzionare da cornice per capire i processi di integrazione e, vice versa (...)”.

Carlotta Fioretti 5

Immigrazione e territorio. Oltre la retorica sull’esclusione sociale

Bolt, G., Bu rgers, J. & Van Ke mpen, R. ( 1998). “On th e so cial significance o f s patial lo cation: sp atialsegregation and social inclusion”, Netherlands Journal of Housing and the Built Environment, 13(1), 83-95.Bolt, G., Ozuekren, A. S. & Phillips, D. (2010). “Linking Integration and Residential Segregation”, Journal ofEthnic and Migration Studies, 36 (2), 169-186.Ferrera, M. (1996). “The Southern model of welfare in social Europe”, Journal of European Social Policy, 6 (1),17-37.Hamnet, C . (1996). “Social Polarisation, Economic Restructuring and the Welfare State Regimes”, UrbanStudies, n. 33, pp. 1407-1430.King, R. & Ribas-Mateos, N. (2002). “Towards a diversity of migratory types and contexts in Southern Europe”,Studi Emigrazione, 39(145), 5-25.Malheiros, J. (2 002). “E thni-cities: Resid ential Patterns in the Northern Europ ean an d Med iterraneanMetropolises – Implication for Policy Design”, International Journal of Population Geography, 8, 107-134.Maloutas, T. (2007). “Segregation, Social Polarization and Immigration in Athens during the 1990s: TheoreticalExpectations and Contextual Difference”, International Journal of Urban and Regional Research, 31(4), 733–758.Maloutas, T. (2004). “Urban Segregation and the European Context”, The Greek Review of Social Research,113, 3-24.Murie, A. (2005). “Social Exclusion and Neighbourhood Decline”, in Kazepov, Y. (a cura di) Cities of Europe,Oxford, Blackwell Publishing.Murie, A. & Musterd, S . (2004). “ Social E xclusion and Opport unity Structures in Euro pean Cit ies andNeighbourhoods”, Urban Studies, 41(8), 1441-1459.Musterd, S. & Ostendorf, W. (2005). “Social Exclusion, Segregation and Neighbourhood Effects”, in Kazepov,Y. (a cura di) Cities of Europe, Oxford, Blackwell Publishing.Phillips, D. (2007). “Ethnic and Racial Segregation: A Critical Perspective”, Geography Compass, 1(5), 1138-1159.Power, A. (1996). “Area based poverty and resident empowerment”, Urban Studies, 33 (9), 1535-1564. Ribas-Mateos, N. (2004). “How can we understand immigration in Southern Europe?”, Journal of Ethnic andMigration Studies, 30(6), 1045 – 1063.Solé, C. (2004). “Immigration Policies in Southern Europe”, Journal of Ethnic and Migration Studies, 30(6),1209-1221.Tosi, A. (a cura di) (1998). “Lo spazio urbano dell’immigrazione”, Urbanistica, 111, 7-19.Tosi, A. (2007). “Povertà e domanda sociale di casa: la nuova questione abitativa e le categorie delle politiche”,La rivista delle politiche sociali, 3, 61-78.Van Kempen, R. & Özüekren A. S. (1998). “Ethnic segregation in cities: new forms and explanations in adynamic world”, Urban Studies, 35, 1631-1656.Waquant, L. & Wilson, W. J. (1993). “The cost of racial and class exclusion in the inner city”, in Wilson, W. J.(a cura di) The Ghetto Underclass: Social Science Perspectives, London, Sage.

Carlotta Fioretti 6

Lo spazio urbano come occasione di convivenza

Atti della XIII Conferenza Società Italiana degli UrbanistiCittà e crisi globale: clima, sviluppo e convivenza

Roma, 25-27 febbraio 2010Planum - The European Journal of Planning on-line

ISSN 1723-0993

Lo spazio urbano come occasione di convivenza

Alessandro Franceschini Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale

Università di [email protected]

0461.882690

Bruno ZanonDipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale

Università di [email protected]

0461.882606

AbstractLo spazio urbano rappresenta da sempre un luogo specifico dell’incontro e dello scontro sociale. La città è nataper favorire la socialità, per offrire protezione alle persone, per contenere e sedare, con le sue strutture, ilconflitto che sempre, la convivenza delle diversità, può generare. La città storica e città moderna hanno peròorganizzato diversamente gli spazi urbani creando anche così anche diversi tipi di rapporto tra fruitori e città.L’interpretazione degli elementi che compongono questi due tipi di città e la rilettura di alcune recentiesperienze di analisi urbana nel contesto trentino offrono spunti di riflessione per affinare gli strumenti diprogetto in mano agli urbanisti.

1. Progetto e controllo dello spazio urbano: qualità e sicurezzaL’esperienza quotidiana della vita in città, oltre che le notizie di cronaca e le statistiche giudiziarie, segnalano lapresenza, in tutti i centri urbani, di luoghi dove si concentrano episodi criminosi. Sono gli hot spots, luoghi doveconvergono le persone (le stazioni, i mercati, le piazze), oppure appartati (i parchi), o particolarmente degradati,dove il controllo è effettuato, anziché dagli abitanti o dalle istituzioni, da coloro che sono intenzionati ad attuareazioni criminose. Non sono spazi generici, in quanto sono spesso quelli che caratterizzano le città e ne qualificano le funzioni diservizio, trasporto, commercio, svago e dove le persone si incontrano. Come mai gli spazi peculiari della cittàsono anche quelli considerati più a rischio, che ci fanno vivere in un contesto di “paura liquida” (Bauman,2008)? Possiamo rinviare tali motivazioni alle rapide trasformazioni sociali, alla compresenza d i comunità,culture, etnie diverse? Eppure la città per sua natura è il luogo di incontro della diversità, della combinazione dipotenzialità e intenzioni d ifferenti. C ertamente un asp etto cru ciale e spesso sottovalutato è co stituito dallastruttura spaziale che si è affermata nel corso del Novecento in ragione delle trasformazioni socio-economiche -supportata peraltro dalle teorizzazioni del Movimento Moderno - ed alle più recenti trasformazioni della cittàcontemporanea, in particolare la diffusione urbana, lo smarrimento delle relazioni fisiche e sociali, la perdita diidentità dei luoghi. I ri pensamenti i ntervenuti neg li u ltimi decenni rispetto a t ali modalità, anche come rispo sta ai temi dellasicurezza, solo in parte sono stati efficaci, oscillando dalla segregazione degli spazi al fine di dividere i gruppisociali (le gated communities) alla qualificazione della città nel suo insieme al fine di sostenere il senso diappartenenza e la r esponsabilità deg li ab itanti. D a c itare a quest o pro posito l ’approccio d efinito CrimePrevention Through Environmental Design (CPTED), concetto coniato da C. Ray Jeffery (1971) in un testo chepone l’accento sul ruolo del disegno dello spazio fisico nel sostenere la sicurezza e il controllo della città, nonnella convinzione che un ambiente ben congegnato determini automaticamente comportamenti corretti, ma alfine di creare le condizioni perché sia più difficile porre in essere atti criminosi oltre che per conseguire unariduzione della paura del crimine ed un miglioramento della qualità della vita (Cardia, 2000, Crowe, 2000). Ilsenso di questo filone, che vede diversi approcci ed esperienze (Defensible Space, Secured by design, Situationalcrime prevention, ecc., cfr. Newman, 1996; Crowe, 2000; Schneider, Kitchen, 2002, 2007; Colquhon, 2004) èquello di rompere il legame tra i comportamenti criminosi o devianti e le condizioni del luogo (place-based

Alessandro Franceschini e Bruno Zanon 1

Lo spazio urbano come occasione di convivenza

crime prevention) intervenendo sulla configurazione spaziale in modo da favorirne il controllo naturale da partedegli abitanti e riducendo le occasioni per l’attuazione di iniziative criminose. L’attenzione alla sicurezza, sviluppatasi anche in Italia sia relativamente agli aspetti sociologici che a quellicriminologici ed urbani (Amendola, 1995, 2003a, 2003b; Ruspini, Di Nicola 2008; Cardia, 2005) non appareperaltro sufficiente a garantire senso di appartenenza e di responsabilità. È necessario porre una nuova attenzionealla qualità urbana nel suo complesso, ripensando metodi e strumenti della tecnica urbanistica e del disegnourbano. In questo percorso è utile confrontare lo spazio della città contemporanea con quello della città storica,riprendendo concetti e metodi relativi all’analisi della percezione e al rapporto tra comunità e contesto urbano,spesso citati ma troppo poco praticati. La rilettura di alcune esperienze di indagine riguardanti il rapporto traabitanti e luoghi consente infine di trarre alcune conclusioni sui compiti del progetto e del governo urbano nellacittà contemporanea.

2. La città: luogo di incontro di persone e di conflitti socialiLa città è molto di più di una coincidenza di forma fisica (urbs) e di struttura sociale e istituzionale (civitas): è illuogo privilegiato del l’incontro, della promozione sociale e dello sviluppo personale. Come sost iene LewisMumford, le città non sono nate come conseguenza dell’aumento della popolazione ma sono state fondate«quando gli uomini hanno sviluppato la capacità di andare al di là dei problemi di semplice sopravvivenza». Aquesta “capacità” sono sicuramente ascrivibili molte attività dell’uomo: da quella istituzionale a quella religiosa,da quella ludica a quella culturale. Dentro le città, separate dall’esterno con le mura, si è sempre svolto il vivere“civico” dell’uomo: dentro le agorà, nei fori, nelle piazze, negli stadi e dentro i palazzi pubblici gli abitanti sisono sempre ritrovati per incontrare l’altro.La stessa struttura de lle città storiche riflette la necessità di offrire condizioni per l ’incontro (la piazza), i lcommercio (il portico, il mercato), di integrare funzioni diverse (abitare, lavorare, commerciare, ecc.), di offrireservizi e strutture specialistiche (la chiesa, i luoghi del governo, del sapere, ecc.). Tra le caratteristiche precipuedella città c’è però da sempre la capacità di garantire la sicurezza, sia dall’esterno (la città murata, il borgofortificato), sia al suo interno (le regole della convivenza, il controllo sociale). Tuttavia, la città moderna, segnatadal paradigma razionalista, non sempre ha tenuto conto delle qualità intrinseche in termini di sicurezza deglispazi che andava costruendo e delle modalità della loro percezione. La città, infatti, si propone all’individuo attraverso l’articolazione dei suoi spazi. Grazie al medium degli organidi senso il fruitore percepisce questi luoghi e crea nella sua mente l’immagine della parte di città che fruisce,frequenta o v isita anche pe r una so la vo lta. La codificazione di questi au tomatismi comportamentali van taun’ampia letter atura d’ indagine, pr evalentemente teorica, sviluppatasi qua si c ontemporaneamenteall’affermazione del Movimento Moderno in architettura. Fin dalle prime esperienze urbanistiche del Novecentofu infatti chiaro – soprattutto ad antropologi e a psicologi – che la città che il razionalismo stava costruendoaveva delle discrepanze rispetto allo spazio sedimentato della città storica. Uno dei primi autori a descrivere la città in chiave “antimoderna” è stato Camillo Sitte, alla fine dell’Ottocento,criticando il fatto ch e ne lla co struzione della città moderna tutte l e irregolarità v enissero meticolosamenteeliminate, spesso anche con grandi spese, mentre avrebbero potuto essere ben ut ilizzate: «Senza di e sse i lcomplesso, per quanto perfetto, conserverà sempre una certa rigidezza e produrrà un effetto assai freddo» (Sitte,1889). Gli studi si fecero più strutturati a partire da metà del Novecento, in particolare con Kevin Lynch, che haconsiderato la città come u n o rganismo co mplesso ch e si rapp orta ag li individui at traverso la percezione:«Guardare la città – scrive Kevin Lynch nelle prime pagine di The Image of the City – può dare uno specialepiacere, per quanto banale possa essere ciò che si vede». L’autore statunitense paragona la città ad una grandearchitettura: «una costruzione nello spazio, ma di scala enorme, un artefatto che è possibile percepire soltanto nelcorso di lunghi periodi di tempo» (Lynch, 1964). Un altro studioso statunitense, T. E. Hall, nei suoi studi di “prossemica” ha dimostrato, già negli anni Sessanta,l’importanza del rapporto tra individuo e spazio circostante. Gli urbanisti, sostiene l’autore, dovrebbero tenere inconsiderazione la possibilità di progettare e creare vari tipi di città, che siano adatte ai popoli che le abitano, cioècoerenti ai loro schemi prossemici, coinvolgendo anche psicologi, antropologi ed etologi. Giunse ad affermareche: «Gli urbanisti dovrebbero anche mettersi sulla strada della creazione di spazi congeniali alla promozione oal rafforzamento delle oasi etnico-culturali» (Hall, 1968).Anche Gordon Cullen ha proposto un’angolatura diversa sulla città: «materiali a disposizione del pianificatoreambientale – scrive – sono massi di roccia, cemento, legno, terra, metallo, catrame, prato, in vari aspetti, intensione o no, e poi colline, acqua, gente, tutti gli elementi di cui si compone il mondo in cui viviamo. Il …compito di urbanista consiste nel disporre tra loro questi blocchi di materiali» (Cullen, 1961). L’autore promuovecosì un’idea di urbanistica fatta non di schemi urbani zenitali, come era nella tradizione del movimento moderno,ma fatta di forme percepite che assieme vanno a costruire la realtà a cui il fruitore deve rapportarsi. L’Italia non ha vissuto esperienze – teoriche e applicative – paragonabili a quelle appena elencate, tuttavia varicordato il lavoro di Giancarlo De Carlo ad Urbino, dove vennero applicate le nuove sensibilità alla costruzione

Alessandro Franceschini e Bruno Zanon 2

Lo spazio urbano come occasione di convivenza

del nuovo piano regolatore della città marchigiana. «Se è vero – scriveva De Carlo – che il fruitore percepisce lo“spazio” della città e non la sua “forma” e che è attorno al cittadino e alle sue esigenze che essa deve esserecostruita e modificata, allora può essere interessante capire quali sono oggi le componenti in cui è organizzata lacittà e quali sono le relazioni che si svolgono nello spazio urbano» (De Carlo, 1964).Un approccio più recente è quello sviluppato in Inghilterra da Bill Hillier sotto il nome di Space Syntax (Hillier,Hanson, 1984), che non ha peraltro consolidato ancora gli esiti attesi.La considerazione degli aspetti della percezione sottolinea la inadeguatezza del sapere tecnico rispetto allacomplessità dei compiti di disegno e governo dello spazio della città contemporanea. La crisi è segnata non solodalla carenza di risposte adeguate ma dal ritardo delle riflessioni in proposito. La critica alle so luzioni delMovimento Moderno ha visto, infatti, il ritorno a vecchi (ma rassicuranti) modelli, come è successo nel periododel Post Modern, o l’elaborazione di concezioni urbane non semplici da accettare, come nel più recente NewUrbanism, le cui realizzazioni riguardano spesso comunità sub-urbane. Per contro, il New Urbanism consideraaspetti spesso trascurati, quali il rapporto tra edifici e spazio pubblico, i percorsi, i marciapiedi. È necessario, inbreve, riqualif icare il sapere tecnico relativo al la c ittà rinnovando gli elementi manualistici e normativi checompongono i diversi elementi urbani in modo coerente entro spazi funzionali, dotati di senso e di identità. Èquello c he raccom andava J ane Jacobs (2 000) ed è quello che fa nno is tituzioni come la Commission forArchitecture and the Built Environment (CABE) in Inghilterra, fornendo metodi e strumenti per valutare laqualità urbana ed edilizia, per stimolare l’appropriazione della città da parte delle comunità locali (CABE,DETR, 2000, 2001).

3. Lo spazio urbano della città storica e quello della città contemporaneaUn confronto sempre imbarazzante è quello tra la città storica e la città contemporanea, se si va oltre la sempliceconsiderazione della forma - compatta e densa la prima, dilatata e diffusa la seconda -. Peculiarità della cittàstorica è l’essere i l risultato di una serie imponente di stra tificazioni che, attraverso reiterate modificazioni,hanno portato alla forma più adatta alla sua fruizione. La città contemporanea, invece, si caratterizza per unaprogetto teorico spesso lontano dalle reali necessità degli abitanti. Per quanto riguarda lo spazio urbano, qualisono le differenze tra i due tipi di città? In breve si possono elencare i seguenti aspetti:Funzione: la città storica è caratterizzata dalla multifunzionalità, mentre la città moderna è caratterizzata dallozoning, ovvero dalla specializzazione dei vari settori del costruito: residenziale, produttivo, artigianale, verde...Questa seconda modalità determina una frequentazione degli spazi in determinate fasce orarie e l’abbandono inaltre.Tipologia di fruizione: La città storica nasce per essere frequentata a piedi, con mezzi a traino animale e poi inbicicletta, mentre la città moderna nasce per essere agilmente fruita con l’automobile o con i mezzi di trasportopubblico. Di conseguenza, se nella prima le auto si muovono con difficoltà, nella seconda sono gli individui adavere difficoltà di relazione. Dimensione degli spazi: La città storica è caratterizzata da spazi compressi, la città contemporanea da spazidilatati. Lo spazio compresso – a parte i momenti d i affollamento – porta ad una f requentazione costanteaumentando il li vello d i con trollo so ciale, m ente la sp azio d ilatato porta ad u na fr equenza p iù rarefatta,aumentando i momenti di “solitudine”.Dimensione degli edifici: la città storica è caratterizzata da edifici alti al massimo cinque-sei piani, mentre la cittàcontemporanea è dotata anche di edifici di grande dimensioni. Questo può determinare la perdita del senso diappartenenza e di proprietà sia dell’edificio che delle sue pertinenze.Relazione fra gli spazi: nella città storica la differenza tra spazio pubblico e privato è costituita dal limitedell’edificio. Nella città moderna il distacco dell’edificio dal suolo e dalla strada produce l’indipendenza dei dueelementi: camminare lungo la strada non comporta interagire con l’edificio, le sue funzioni, i suoi abitanti.Relazione fra i percorsi: nella città storica i percorsi di sovrappongono, mentre in quella contemporanea sonosempre più spesso “separati”. Questa differenziazione provoca, accanto ad una maggiore sicurezza stradale,condizioni o sensazioni di insicurezza del pedone, il quale non è sottoposto alla visuale di automobilisti e degliabitanti.Articolazione degli spazi: nella città storica ogni spazio inutile è stato progressivamente occupato da qualchefunzione o spazio utile, mentre in quella moderna la ricerca dell’articolazione degli spazi prevede spesso lacreazione di una quantità di angoli morti, di spazi privi di controllo visivo e di difficile definizione in termini diproprietà e di responsabilità.Struttura delle forme architettoniche: nella città storica anche gli edifici sono il frutto di una stratificazione cheha dato luogo a forme quasi “casuali” sempre diverse, mentre nella città moderna gli edifici sono caratterizzatida una forte semplificazione formale. Nel primo caso la fruizione dello spazio è varia, nel secondo ripetitiva edisorientante.Collocazione degli spazi accessori: nella città storica non esistono spazi destinati esclusivamente a un certo tipodi funzione, mentre in quella moderna alcuni spazi accessori (come parchi e parcheggi) assumono dimensioniconsiderevoli e spesso, pur essendo considerati necessari, sono percepiti come pericolosi.

Alessandro Franceschini e Bruno Zanon 3

Lo spazio urbano come occasione di convivenza

4. Sicurezza urbana e percezione della sicurezzaSulla base del le co nsiderazioni espo ste, ch e so ttolineano i ca ratteri dello spaz io urbano, le modalità dellapercezione e i diversi modi di percepire da parte delle singole comunità e degli individui, segnati da culture esensibilità differenti, la cit tà deve essere considerata come un sistema complesso di spazi fisici e di vissutiindividuali. In q uesto qu adro, la sicu rezza urb ana va p erseguita da un lato m ediante il co ntrollo de icomportamenti delle persone, dall’altro riconsiderando l’assetto fisico della città. Il primo aspetto rinvia al rapporto tra le persone e l’ambiente, comprendendo le relazioni tra azioni criminose econformazione degli spazi (Eck, Weisburd, 1995; Crowe, 2000; Schneider, Kitchen, 2007). Da tempo le teoriedell’atteggiamento criminale hanno prestato una crescente attenzione agli aspetti spaziali, spostando l’attenzionedall’individuo criminale alla situazione criminale, che riguarda fatti sociali ma anche relativi alla conformazionedello spazio fisico entro il quale si svolge l’atto criminoso. Si tratta di un luogo che offre garanzie di impunitàper conformazione e/o per assenza di controlli o di possibilità adeguate di controllo. Il secondo aspetto riguarda i modelli urbanistici e, in modo più ampio, le questioni della qualità urbana. Si tratta,in particolare, della funzionalità ed adeguatezza di organismi sempre più grandi e complessi nei quali vivonogruppi sociali ed etnici differenti, dove emergono con forza i temi della identità degli abitanti rispetto alla cittàed alle sue diverse parti, con tutte le conseguenze relative all’abitare, vale a dire il senso di appartenenza e diresponsabilità nei confronti dei luoghi. Su questi temi si stanno diffondendo i momenti e gli organismi di riflessione e di lavoro. Basti citare a livelloeuropeo lo European Forum on Urban Safety e le articolazioni nazionali, in particolare il Forum Italiano sullaSicurezza Urbana, che raccoglie numerose amministrazioni locali attive in proposito. Questi organismi stannoelaborando specifici documenti, anche di rilievo normativo, sullo spazio urbano. In questo quadro la culturaurbanistica appare in ritardo, non integrando le consapevolezze ed il saper fare in tema di sicurezza nel progettoe nel governo dello spazio urbano.La ri lettura di al cune esperienza di anal isi del r apporto fr a sp azio u rbano e f ruizione p uò f ornire al cunisuggerimenti per valutare la qualità dello spazio urbano ed intervenire di conseguenza. Ci si riferisce, comeprimo esempio, al progetto “A piedi sicuri” promosso dal Comune di Trento a par tire dall’anno scolastico2003/04 e mirato a migliorare l’itinerario casa-scuola nei bambini e nei ragazzi delle scuole dell’obbligo, inparticolare delle elementari. I ri sultati di una di queste esperienze (Callà, 2009), letti da un punto d i v istaurbanistico e morfologico, consentono di affermare come i genitori e i bambini considerino sicure le parti dellacittà c aratterizzate da u n c ontesto ur banistico “t radizionale” (i n par ticolare i l c entro st orico) i n r agionerispettivamente, del 71,9% e del 58%, mentre sono percepiti come insicuri gli spazi di nuova urbanizzazione, inparticolare l’immediata periferia, in ragione del 46,3% e del 50%. Il centro storico viene segnalato da una quotadi bambini (6,9%) più sicuro di casa propria e da una quota di adulti (5,6%) più sicuro dei boschi e dellecampagne.Un’altra esperienza (Alba et al., 2009) fa riflettere, in maniera qualitativa, sulla percezione dello spazio da partedei bambini della scuola elementare a partire dai disegni che descrivono il tragitto da casa a scuola. I bambiniche rag giungono la scuo la a pied i e i n un co ntesto urb ano tra dizionale off rono dell e rap presentazionicaratterizzate da una presenza abbondante di particolari e di colori più caldi. I disegni realizzati da scolari che simuovono in auto per raggiungere la scuola e in un contesto di città contemporanea sono invece caratterizzati dacolori e da toni più drammatici e dall’assenza di riferimenti visivi o identitari che descrivano l’esperienza dellapercorrenza.Cercando di sfuggire dal rassicurante ma allo stesso tempo pericoloso assioma che la città tradizionale significasicurezza e che la città moderna significa invece insicurezza, queste indagini sottolineano le problematicità dellospazio urbano contemporaneo, in particolare l a scarsa qualità delle periferie e la p resenza invadente delleautomobili. 5. Conclusioni. Il ritorno dello spazio della convivenzaCome può lo spazio della città contemporanea – soprattutto nelle sue zone più periferiche – tornare ad essereluogo di incontro sociale, di co nvivenza e d i q ualità urbana? Gli studi e g li esiti d elle i ndagini citatesuggeriscono pratiche e strumenti che, adeguatamente approfonditi e precisati, dovrebbero stare nella cassettadegli attrezzi dei progettisti e delle commissioni urbanistiche ed edilizie. Sono temi che possono essere riassunti da un lato nella esigenza di sostenere il controllo spontaneo degli abitantie dall’altro nella necessità di stimolare la responsabilità individuale e collettiva. In breve:Rispetto delle modalità locali dell’abitare:

proporzione tra edificato e contesto (edifici, spazi e infrastrutture); proporzione del mix funzionale, sia quantitativo che spaziale, in senso orizzontale (tra i diversi edifici e

luoghi) e in senso verticale (all’interno dello stesso edificio).Controllo visivo dello spazio, pur evitando forme urbane monotone e anonime.

Alessandro Franceschini e Bruno Zanon 4

Lo spazio urbano come occasione di convivenza

Identità dei luoghi, in ragione della specificità delle funzioni e della presenza di elementi simbolici.Presidio dello spazio mediante la manutenzione, il ridisegno periodico, la riappropriazione collettiva degli spazie delle decisioni sulle trasformazioni (responsabilità e partecipazione).

Bibliografia

Alba S. (et al)., 2009, “Pensare la città a misura di bambino”, in: Sentieri urbani nr. 1.Amendola G. (a cura di), 2003a, Il governo della città sicura. Politiche, esperienze e luoghi comuni, Napoli,Liguori editore.Amendola G. (a cura di), 2003b, Paure in città. Strategie ed illusioni delle politiche per la sicurezza urbana,Napoli, Liguori editore.Amendola G., 1995, “Le forme urbane della paura”, Urbanistica 104, pp. 16-19. Bauman Z., 2008, Paura liquida, Torino, Torino, Editori Laterza.CABE (Commission for Architecture and the Built Environment), DETR (Department of the Environment,Transport and the Regions), 2000, By Design. Urban Design in the planning system: towards better practice,London, Thomas Telford Publishing.CABE (Commission for Architecture and the Built Environment), DETR (Department of the Environment,Transport and the Regions), 2001, Better Places to Live by Design: a companion guide to PPG3, London,Telford Publishing.Cardia C., 2000, “La sicurezza nella progettazione urbanistica ed edilizia”, in: Metronomie, 2000.Callà R.M., 2009, “La città sicura: bambini e genitori a confronto”, in: Sentieri urbani nr. 1.Cardia C., 2005, “Urbanistica per la sicurezza”, Territorio, n. 32, pp. 104-109.Colquhoun I., 2004, Design Out Crime. Creating Safe and Sustainable Communities, Oxford, ArchitecturalPress - Elsevier.Crowe, T.D., 2000, Crime prevention through environmental design: applications of architectural design andspace management concepts, Boston, Mass., Butterworth-Heinemann.Cullen G., 1976, Il paesaggio urbano: morfologia e progettazione, Bologna, Calderini.De Carlo G., 1964, Questioni di architettura e urbanistica, Urbino, Argalìa.Eck J. E., Weisburd D. (ed.), 1995, Crime and Place, Monsey, N.Y., Criminal justice press and Washington,D.C., Police executive research forum.Hillier B., Hanson J., 1984, The Social Logic of Space, New York, Cambridge University Press.Hall E. T., 1968, La dimensione nascosta, Milano, Bompiani.Jacobs J., 2000, Vita e morte delle grandi città. Saggio sulle metropoli americane, Torino, Edizioni di Comunità. Jeffery C. R., 1971, Crime Prevention Through Environmental Design, Beverly Hills, CA, Sage Publications.Lynch K., 1964, L’immagine della città, Padova, Marsilio.Lynch K., 1971 Site planning, Cambridge Mass, MIT Press.Mumford L., 1961, The city in history: its origins, its transformations, and its prospects, London, Secker &Warburg.Newman O., 1996, Creating Defensible Space, U.S. Department of Housing and Urban Development, Office ofPolicy Development and Research, Washington. Ruspini P. Di Nicola A. (a cura di), 2008, Scenari sulla sicurezza in Trentino. Tra sicurezza reale e insicurezzapercepita. Infosicurezza 6, Transcrime, Provincia autonoma di Trento, Trento.Schneider R. H., Kitchen T. 2002, Planning for Crime Prevention. A Trans-Atlantic Perspective, London andNew York, Routledge.Schneider R. H., Kitchen T. 2007, Crime prevention and the built environment, London, New York, Routledge. Sitte C., (1889 – 1980), L’arte di costruire le città, Milano, Jaka book.

Alessandro Franceschini e Bruno Zanon 5

L’arte come servizio urbano.

Atti della XIII Conferenza Società Italiana degli UrbanistiCittà e crisi globale: clima, sviluppo e convivenza

Roma, 25-27 febbraio 2010Planum - The European Journal of Planning on-line

ISSN 1723-0993

L’arte come servizio urbano

Serena FranciniArchitetto

Dottorato Progettazione PaesisticaUniversità degli Studi di Firenze

[email protected]

AbstractLe trasformazioni urbane tengono conto della dimensione artistica? Quale è il grado di interazione tra l’arte, laprogettazione urbana e l’architettura del paesaggio? Il progetto degli spazi aperti nel paesaggio urbano si puòefficacemente relazionare all’installazione di opere d’arte? Può l’arte essere uno strumento per rinnovarel’immagine di una città e restituire senso di appartenenza ai suoi abitanti?

1. Premessa“Credo che una delle principali funzioni dell’arte sia quella di forzare i limiti di ciò che si può realizzare” Dennis Oppenheim

“Se si chiede cosa sia l’arte pubblica ad un interlocutore generico la risposta che probabilmente si otterrà sarà:una statua equestre o un altro tipo di monumento” collocato in una piazza o in un altro spazio pubblico. “Permolto tempo l’arte pubblica è stata soprattutto questo: un esercizio di retorica celebrativa al quale, nel miglioredei casi, i cittadini fanno l’abitudine oppure, nel peggiore dei casi, viene subìto come un affronto permanente.Potremmo dire però che l’arte pubblica dalla convenzionale idea di monumento si è progressivamente allargataverso l’idea di ornamento/decorazione, arredo urbano, segno di rigenerazione urbana, segno identitario” masoprattutto “spazio relazionante, processo relazionale.”1

Le basi di questa ricerca si fondano sull'interpretazione dei concetti che vanno verso questa direzione e sultentativo di una loro evoluzione che tenda verso la definizione dell’arte, o meglio dell’intervento artistico, noncome elemento de lla sc ena urba na, m a com e pro cesso ch e pro muove un dialogo multidisciplinare traprogettazione architettonica, urbana e del paesaggio, escludendo così l’autonomia funzionale dell’opera.Negli ultimi anni, con sempre maggiore frequenza, l’architettura ha preso in presti to alcune procedure dallepratiche artistiche contemporanee cercando di tradurle nei propri meccanismi operativi. Questo interesse si èsviluppato in molte direzioni: nello studio del rapporto tra figurazione e paesaggio circostante, in un’accresciutacoscienza dell’impatto comunicativo deg li spa zi pubblici, nella cap acità interpretativa del l uogo da partedell’arte, nelle qualità estetiche delle installazioni artistiche e nella loro funzione di aggregatori di interessi ecuriosità che si riflette nel luogo che li ospitano, nella ricerca di strategie che guidino la progettazione urbana.Perché l’arte pubblica? O meglio: a cosa serve l’arte pubblica? Molte definizioni le sono state attribuite: “l’artepubblica diventa un motore di impresa, l’arte pubblica come identificazione del luogo o sua distinzione, l’artepubblica come strumento di risanamento sociale e territoriale, l’arte pubblica come prova di inclusione sociale,l’arte pubblica com e m ezzo di sviluppo di una c ittadinanza”2. È ch iaro qu indi ch e m ancando d i unalegittimazione al ruolo dell’arte nel paesaggio urbano, e quindi nello specifico, negli spazi aperti del paesaggiourbano, altre funzioni e usi le vengono attribuiti spesso in maniera inappropriata.Il fine di questa ricerca sta proprio nel provare a ricercare il ruolo dell’arte nel paesaggio urbano: pensare quindiche il progetto degli s pazi a perti (p iazze, strade, pa rchi, aree verdi… ) si possa efficacemente relaziona reall’installazione d i o pere d’arte con l’ob iettivo d i cre are u n rap porto b iunivoco t ra opera -spazio (non“collocazione in” ma “relazione con”), anzi creare il luogo, come afferma Dennis Oppenheim “l’opera non ècollocata in un luogo, è quel luogo”3.

1 Sacco P. (2006), Meccanismi argomentativi dell’Arte Pubblica, Arte pubblica e periferie, numero monografico, Il Mulino, p. 5.2 Campitelli M., (2008), Public Art a Trieste e dintorni, Milano, Silvana Editoriale, p.156.3 Lailach, M. (2007), Land Art, London, Taschen, p.80.

Serena Francini 1

L’arte come servizio urbano.

La parola chiave diventa progetto: pensare che un intervento artistico diventi parte integrante di un progettourbano. L’arte quindi come un atto di coscienza progettuale. Il ruolo del progettista ne realizza la possibilità: ènel co mpito di chi pro getta (nel sen so lato di quest a paro la ape rta ad abb racciare la sfera dellamultidisciplinarietà e anche della partecipazione sociale) proporre e trovare indirizzo a nuove soluzioni. Pertanto diventa necessario rinunciare ad utilizzare il termina public art (e la traduzione arte pubblica) perchélegata ad un contesto culturale troppo utilizzato e pertanto forviante: parleremo invece di arte urbana in tesacome nuova forma di processo progettuale.

2. Arte: nelle forme che si sviluppano negli spazi aperti del paesaggio.Alta sulla città, in cima a un’imponente colonna, si ergevala statua del Principe Felice. Lui era tutto coperto di sottili foglie d’oro fino, come occhi aveva due zaffiri lucenti, e un grande rubino rosso scintillava sull’elsa della sua spada (…)“E’ bello come una banderuola”, osservò uno dei consigliericomunali che voleva farsi una reputazione di possessore di gusti artistici; “solo non altrettanto utile”, aggiunse, per paura che la gente lo considerasse poco pratico. Oscar Wilde, Il principe felice

Per “arte pubblica si intendono gli interventi artistici, che hanno luogo in città o in paesaggi naturali, comunquefuori dai musei e dai luoghi prescelti ad ospitare l’arte, frequentati da un pubblico generalmente lontano dalmondo dell’arte”4.L’arte che opera nello spazio aperto pubblico ha come comune denominatore il confronto con un pubblicogenerico e non specialistico, anche se sono cambiati nell’arco del XX secolo i modi di commissionare le opere, iluoghi prescelti per realizzarle e il modo di relazionarsi con i fruitori. Le varie declinazioni, dall’embellismentottocentesco, al concetto propagandistico e sociale dell’arte pubblica negli anni venti e trenta del novecento (nesono un esempio gli in terventi di An tonio Maraini e Arturo Martini), all’istituzione neg li ann i sett anta inInghilterra e negli Stati Uniti di commissioni di public art programmate e coordinate (come il programma Art inPublic Places5 costituito dalla contea Metro-Dade, in Florida nel 1973), agli interventi più estemporanei e dimatrice maggiormente utopica in Italia negli stessi anni (Campo Urbano a Modena del 1969 e Volterra 73), finoalle pratiche di community art (come i progetti del gruppo multidisciplinare Osservatorio Nomade6) , rendonocomplesso un approccio sistematico al tema.Arte e città hanno rappresentato un sodalizio sigillato nel passato dal monumento, sia questo la statua o lafontana nella piazza, o la decorazione delle facciate delle chiese, oppure ancora l’arco di trionfo. Nel paesaggiometropolitano l’arte ha quindi svolto nel passato un ruolo preciso, sia esso, dall’Ottocento in poi, elogio dellaricchezza e dello stile della classe dominante, oppure grandioso affresco storico-politico della rivoluzione di unregime, dove ogni intervento artistico nelle città spettacolo è stato precisamente regolamentato dallo stato. Intorno al 1968, un gruppetto di artisti americani (tra cui Walter De Maria, Robert Smithson, Rober Morris) edeuropei (Richard Lo ng, Hamish Fu lton) sv iluppa prog etti ch e co ntemplano t ecniche e m ateriali nuov i, i lpaesaggio come soggetto artistico assume una dimensione inaspettata e antisimbolica. Il paesaggio non è piùrappresentato o preso in prestito come scenario ma è impiegato come materiale dell’arte. Si t ratta di arte ,architettura o design ambientale? Quando la critica d’arte americana Rosalind Krauss coniò lo slogan “sculpturein the expanded field”7 aveva in mente questa disorientante compenetrazione di discipline. Pertanto è dalla LandArt e dalla Earth Art che l’arte ha sentito il bisogno di sganciarsi dal sistema acquisito per esprimersi in nuovecondizioni di apertura. La public art che fonda i suoi principi su questa tendenza sviluppandone i connotati,nasce negli anni settanta, soprattutto in Inghilterra e in America. Finalità è ambientare nei contesti più disparatidella città, (piazze, parchi, strade…) interventi site specific, progettati cioè appositamente per quel luogo così datrasformarlo con segnali creativi revitalizzanti, a funzione spiazzante, spesso critica, obbligando l’occasionaleosservatore ad una sua rilettura. Obiettivo non secondario è il miglioramento della qualità della vita, sollecitandogli abitanti a “vedere” con occhi nuovi il contesto ambientale in cui si snoda il loro percorso esistenziale.La Convenzione Europea del Paesaggio afferma che “Il riconoscimento di un ruolo attivo dei cittadini nelledecisioni che riguardano il loro paesaggio può offrir loro l'occasione di meglio identificarsi con i territori e lecittà in cui lavorano e trascorrono i loro momenti di svago. Se si rafforzerà il rapporto dei cittadini con i luoghiin cui vivono, essi saranno in grado di consolidare sia le loro identità, che le diversità locali e regionali, al fine di

4 Birozzi C., Pugliese M., (2007), L’arte pubblica nello spazio urbano, Milano, Mondadori Bruno, p.1.5 www.co.miami-dade.fl.us//publicart6 www.osservatorionomade.net7 Krauss, R., (1998), Passaggi. Storia della scultura da Rodin alla Land Art, Milano, Bruno Mondadori, p.256

Serena Francini 2

L’arte come servizio urbano.

realizzarsi dal punto di vista personale, sociale e culturale (…)” 8. Possiamo quindi constatare una finalità diintenti tra quanto stipulato dalla Convenzione ed i principi che hanno caratterizzato le basi del movimento publicart. Confronto questo che ci porta a rimarcare che l’arte, e quindi l’intervento artistico, nella varietà dei modellidi riferimento, possa essere non solo uno strumento per rinnovare l’immagine della città, ma anche un modo perrestituire senso di appartenenza ai suoi abitanti intervenendo sulla qualità degli spazi aperti attraverso la loroprogettazione. Come afferma Julie Ault, “per ogni progetto c’e una comunità e un luogo”9, pertanto la creazionedi un intervento artistico deve avvenire attraverso un processo di condivisione e coinvolgimento spaziale esociale.In Italia l’arte urbana, nel XX secolo, ha avuto una sua particolare storia: un misto di nobiltà, elitarismo, e altempo stesso mediocrità, manifestandosi essenzialmente attraverso le celebrazioni dei caduti delle due guerre del“secolo breve”. Per la prima volta nella storia italiana sono stati eretti monumenti a masse di uomini, invece chea singole figure eroiche (re, poeti, scrittori, condottieri, esploratori): così destinati all’attenzione del rispettodiventano le vittime e non più gli eroi, con il risultato di far nascere, in ogni città italiana, una rete intricata dimemorie e di luoghi simbolici. Ma questi esempi, se interventi artistici vogliamo considerarli, sono lontani dalconcetto di arte urbana intesa come processo progettuale. Nel periodo a cavallo tra gli anni settanta, ottanta, possiamo constatare l’ultima campagna di interventi artisticinello spazio urbano, quando alcune amministrazioni locali si sono premunite di “arredare” le loro piazze conopere di artisti contemporanei: la serie di interventi dei fratelli Arnaldo e Giò Pomodoro a Milano e Pesaro,Henri Moore a Prato, le presenze di Pietro Cascella a Parma, Massa e Pesaro. La logica che sottintende a tuttiquesti episodi segue il principio “accostamento parassitario” tra arte e spazio pubblico: le opere vengono quindiposte come elementi ausiliari ad un intervento edilizio. Negli ultim i a nni si è anc he assistito a d una lieve accelerazione del processo c ontrassegnata da e pisodiinteressanti come le sculture di Tony Cragg a Siena e l’intervento di Alberto Garrutti a Bergamo (otto lampionila cui intensità luminosa scandisce la nascita del vicino ospedale). Si tratta comunque in tutti i casi, di dueversioni dello stesso principio di “arredo urbano” nella prima l’artista è chiamato a commentare con la propriaopera uno spazio urbano predeterminato, nella seconda l’opera già realizzata viene scelta per adornare un luogo.Adornare un luogo e non progettarlo!Nonostante pochi esempi in cui progettazione urbana e intervento artistico hanno avuto un connubio riuscito evincente, come il caso del Passante Ferroviario a Torino o la metropolitana di Napoli, è nota la diffidenzaitaliana per interventi che non siano gestibili da parte del sistema politico e amministrativo in termini di consensopolitico immediato. Ed è proprio la miopia della classe politica locale, che spesso non riesce a ragionare andandooltre le scadenze elettorali ad allontanare inesorabilmente la sperimentazione artistica dalle piazze e dalle stradeitaliane, e a pri vilegiare le versi oni pi ù p revedibili dell’arte urbana. I noltre i nfluisce no n poco su qu estoimmobilismo l’inesistenza di mecenati o semplicemente di soggetti privati (anche a causa della legislazione pocopropensa a favorire questi processi) disposti a finanziare interventi nello spazio pubblico. Quindi mentre ilsoggetto pubblico la ignora, quello privato in Italia tende a custodire “in privato” l’arte contemporanea, mettendoin secondo piano il principio stipulato dalla Convenzione Europea che sancisce che “ogni parte si impegna adaccrescere la sensibilizzazione della società civile, delle organizzazioni private e delle autorità pubbliche alvalore dei paesaggi, al loro ruolo e alla loro trasformazione”10.

3. Da Public Art a Arte Urbana: una nuova forma di processo progettuale.La città favorisce l’arte ed è arte; la città crea il teatro ed è teatro.E nella città, nella città quale teatro, che le attività più importanti Dell’uomo vengono formulate ed elaborate attraverso individui, eventi, gruppi in conflitto e in cooperazione,sino alle apoteosi più significative. Lewis Mumford

E’ necessario operare delle distinzioni dentro la definizione di arte pubblica a fronte del moltiplicarsi di praticheartistiche, del diversificarsi di spazi eleggibili per l’arte, di esperienze e fonti di committenza. Si rende necessariodistinguere il significato di arte negli spazi pubblici, scultura urbana o arte site specific, ricollocandole nellediverse tradizioni da cui prendono origine. “L’espressione public art proviene da una forma di commissionepubblica diffusa negli Stati Uniti e in Inghilterra, che è differente dalla tradizione europea e soprattutto italianadella scultura urbana, mentre l’espressione site specific, frequentemente usata come sinonimo di public art fariferimento ad una tradizione dell’arte contemporanea inaugurata dalla Minimal e dalla Land Art”11.La parola arte pubblica diventa quindi un concetto molto vago ed inflazionato, che ci porta a utilizzare un’altraaccezione per affrontare il tema dell’arte “pubblica” o meglio dell’ arte che si sviluppa negli spazi aperti del

8 Tratto dalla Convenzione Europea del Paesaggio, Relazione Esplicativa, capitolo II, art.24.9 Ault J., (2002), Alternative Art New York, 1965-1985, University of Minnesota Press.10 Tratto dalla Convenzione Europea del Paesaggio, capitolo II, art 6a.11 Perelli L., (2006), Public Art. Arte, Interazione e progetto urbano, Milano, Franco Angeli, p.15.

Serena Francini 3

L’arte come servizio urbano.

paesaggio u rbano: arte urbana. Definiremo art e u rbana una forma d i progettazione integrata che pone inrelazione l’intervento artistico e la progettazione urbana, e che ha il fine di costruire una continuità identitarianella città attuale, attraverso un progetto. Obiettivo quindi è di arrivare a definire una possibile zona di co-progettazione fra l’architettura del paesaggio, la progettazione urbana e l’arte urbana.“Non si tratta di mettere a confronto l’artificio mirabile e la potenza del bello e del sublime del luogo attraversouna serie di strategie produttive e riproduttive ingegnose, ma di stabilire i termini di una nuova dialettica diintegrazione. Non è tanto importante infatti, a questo punto, incidere segni grandiosi di dominio, violenti epossessivi, nel paesaggio (…) ma di segnare, dentro congruenti relazioni di contesto, nuovi scarti semantici,attivi sul piano progettuale e riverberanti nel campo sociale”12. Non si tratta quindi di collocare nel paesaggio unbronzo di Henry Moore, l’obiettivo è caratterizzato dall’interazione, dall’unità di arte e paesaggio, o megliointervento artistico e progetto di paesaggio: si tratta di stabilire le condizioni di una nuova integrazione dialettica.L’opera d’arte urbana non diventa una nuova realtà estetica l ì depositata, ma torna ad essere “un pezzo dipaesaggio”.Le settemila querce che Joseph Beuys ha piantato a Kassel poco prima di morire come compenso per dieci annidi lavoro non sono solo una testimonianza dell’opera di un grande e geniale artista, ma indicano come non sipossa più rinunciare ad una nuova riflessione dell’arte nella città.Tuttavia è lecito chiedersi quando si possa parlare di arte urbana; numerosi sono infatti gli esempi che puravendo instaurato un rapporto percettivo, visuale, spaziale e un coinvolgimento socio-economico con il luogo diintervento non possono essere ritenuti tali. L’artista graffitaro Bansky afferma parlando della sua arte “imagine acity where graffiti wasn’t illegal, a city where everybody could draw wherever they liked . Where every streetwas awash with a million colours and little phrases. Where standing at bus stop was never boring ”13. La rispostaa se queste operazioni artistiche possano essere considerate un esempio di arte urbana sta proprio nella parola“illegal”. Altro elemento discriminante è il significato attribuito al concetto di temporaneità, in questo caso l’opera diventaevenemenziale, revocabile, com e tante opere di C hristo che i ndagano “il paesaggio c ome finestre disperimentazione di possibili assetti” e che anche se “entrano nell’esperienza del pubblico più profondamente diquanto non sarebbe se fossero definitive, si pensi ai portali arancioni di Central Park (…), per estrarne unavisione critica altrimenti sconosciuta”14 i loro risultati possono si innescare input processuali ma tuttavia, essendotemporanei, sono incapaci di promuovere una progettazione urbana ad esso associata.

4. Il public space del paesaggio urbano: luogo di progettazione integrata traintervento artistico e progettazione urbana.

Partiamo dal r iconoscere che ogg i gli spazi apert i de l paesaggio urbano hanno perso la loro p iù specif icafunzione d i t eatro d i p rocessi d i a ggregazione s ociale diventando s pazi s empre pi ù v aghi ne i qua li l etrasformazioni in atto riescono qui più che altrove ad impoverirne il significato ed il loro uso. Spesso relegati adessere luogo di transizione, di passaggio, privi di identità e di capacità aggregativa, “nella nuova frontiera deglispazi aperti, lo spazio diventa sempre più e solo “spazio”, che è pubblico solo quando c’e un pubblico: da spaziopubblico a spazio e pubblico”15. Ma cosa rende uno spazio aperto pubblico? E’ pubblica una qualità descrittadalla proprietà o dall’accesso, è pubblico uno spazio non elitario, lo spazio pubblico “ è spazio sociale dove inassenza di un fondamento, il significato e l’unità sociale è negoziata, allo stesso tempo costituita e messa arischio”16.Accanto alla strada, al parco, alla piazza, che fanno parte del corredo storico, si mescolano oggi quelle tipologiecomplesse e stratificate di spazi intermedi e polifunzionali misti “insieme aperti e chiusi a multiple relazioniscalari”17. Pertanto si t ratta di capire quale ruolo possa avere l’arte in questi spazi e quindi, in generale,all’interno delle trasformazioni in atto nel paesaggio urbano. Opere e pratiche artistiche infatti possono non solo incidere sulla forma e l’uso dello spazio aperto urbano, maanche sulla creazione di un gusto estetico e più in generale sulle relazioni sociali che si svolgono nella scenaurbana. La qualità dello spazio pubblico, potenziata o messa in discussione dall’intervento artistico, può essereletta come uno degli indicatori più significativi per la comprensione delle relazioni tra la comunità, il paesaggio,la sua storia e il suo futuro. Tuttavia non si tratta di allestimenti ma di una definizione e quindi progettazione dello spazio attraverso l’opera d’arte, inmaniera contestuale alla sua realizzazione.

12 Fagone V., (1996), Arte nella natura, Milano, Mazzota, p. 12-13.13 www.bansky.co.uk “immaginare una città dove i graffiti non siano illegali, una città dove ognuno possa disegnare ovunque gli piaccia.Dove ogni strada sia inondata di milioni di colori e piccole frasi. Dove stare alla fermata dell’autobus non sia mai noioso.”14 Zagari F., (2009), La piega del tempo nel paesaggio. Le fattispecie antropiche del progetto nella nostra epoca, Istant Book, n.3, ReggioCalabria, Centro Stampa d’Ateneo. 15 Caputo P., (2006), Le architetture dello spazio pubblico. Forme del passato, forme del presente, Milano, Triennale di Milano, Electa, p.11.16 Deutsche R., (1998), Evictions. Art and Spatial Politics, Cambridge, MIT Press.17 Perelli L., (2006), Public Art. Arte, Interazione e progetto urbano, Milano, Franco Angeli, p.71

Serena Francini 4

L’arte come servizio urbano.

Pertanto due sono i possibili approcci di intervento nel public space: il caso in cui l’opera d’arte o più in generalel’intervento artistico assuma la città come scenario instaurando comunque con questa un rapporto percettivo,semiologico, funzionale e sociale (inserimento in), allargando quindi il concetto alla base dei presupposti teoriciimpliciti delle proposte di Francesco Somaini “la scultura ha forse e da sempre un paesaggio naturale”18; oppureil caso i n cu i la ci ttà si trasform i con l ’arte attr averso pr ogetti a rtistici gu idati da u n pr ogetto ur bano(progettazione con), come è accaduto nei già citati casi dell’area del Passante Ferroviario di Torino e dellametropolitana di Napoli o nel Millenium Park di Chicago. Progetti questi che hanno l’ambizione di contribuirealla qualità degli spazi aperti pubblici, il public space, se non addirittura di avere un impatto rilevante non solosulla qualità della vita, ma anche nella trasformazione dell’utilizzo dei luoghi pubblici.In qu este direzioni l’arte diventa stru mento utile per la prog ettazione fi sica e sociale dello sp azio urb anocontemporaneo, assumendo un ruolo nella progettazione del public space, attraverso il dialogo tra attori diversi eapprocci multidisciplinari.

BibliografiaBirozzi C., Pugliese M., (2007), L’arte pubblica nello spazio urbano, Milano, Mondadori Bruno. Campitelli M., (2008), Public Art a Trieste e dintorni, Milano, Silvana Editoriale.Careri F., (2006), Walkscapes. Il camminare come pratica estetica, Torino, Einaudi.Fabbri M., Greco A., (1995), L’Arte nella città, Torino, Bollati Boringhieri.Fagone V., (1996), Arte nella natura, Milano, Mazzota.Galal, C., (2009), Street Art, Milano, Auditorium.Galofaro L., (2007), Artscape. L’arte come approccio al paesaggio contemporaneo, Milano, Postmedia_book.Krauss R., (1998), Passaggi. Storia della scultura da Rodin alla Land Art, Milano, Bruno Mondadori.Mazzanti A., (2004), Sentieri nell’Arte, il contemporaneo nel paesaggio toscano, Firenze, Maschietto Editore.Miles M., (1997), Art, space and the city: public art and urban futures, London, Routledge.Mumfurd L., (2007), La cultura delle città, Firenze, Biblioteca Einaudi.Perec G., (2008), Specie di spazi, Torino, Bollati Boringhieri.Perelli L., (2006), Public Art. Arte, Interazione e progetto urbano, Milano, Franco Angeli.Romano M., (2008), La città come opera d’arte, Torino, Giulio Einaudi Ed. Scotini M., Vecere L., (2006), Dopopaesaggio: spazio sociale e ambiente naturale nell’arte contemporanea,Firenze, Regione Toscana.Sitte C., (1980), L’arte di costruire la città.L’urbanistica secondo i suoi fondamenti artistici, Milano, Jaca Book.Somaini F., Crispolti E., (1972), L’urgenza nella città, Milano, Mazzotta Ed.

copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purchè sia correttamente citata la fonte.

18 Somaini F., Crispolti E. (1972), L’urgenza nella città, Milano, Mazzotta Ed., p.1

Serena Francini 5

Un approccio partecipativo dinamico per la riqualificazione e la valorizzazione fluviale nei Contratti di Fiume

Atti della XIII Conferenza Società Italiana degli UrbanistiCittà e crisi globale: clima, sviluppo e convivenza

Roma, 25-27 febbraio 2010Planum - The European Journal of Planning on-line

ISSN 1723-0993

Un approccio partecipativo dinamico per la riqualificazionee la valorizzazione fluviale nei Contratti di Fiume

Alessandro Giangrande Laboratorio TIPUS, Dipartimento di Studi Urbani

Università degli Studi Roma Tre [email protected]

Tel 06.57339677 / Fax 06.57339649

AbstractL’approccio descritto, di tipo ciclico e incrementale, coniuga due metodi di pianificazione/progettazione:costruzione di Scenari Futuri Dinamici (SFD) e Strategic Choice (SC). La natura incrementale dell’approccioè la diretta conseguenza del fatto che l’evoluzione della “visione” degli attori territoriali porta inevitabilmentea modificare nel tempo sia lo scenario futuro prefigurato dagli attori stessi, sia la scelta degli interventi piùidonei a realizzarlo. Il caso della rigenerazione di Basse di Stura, un sito situato nella periferia nord di Torino caratterizzato da unelevatissimo livello di degrado, è qui utilizzato per descrivere l’approccio in dettaglio. Il lavoro illustra anche come l’approccio potrebbe essere applicato ai processi di riqualificazione evalorizzazione fluviale nei Contratti di Fiume.

1. PremessaUna sorta di “atto unico” – piano disegnato, piano-progetto ecc – sono destinati a fallire (Faludi, 1987; Faludi,1989: 135, 151; Friend & Hickling, 2005). Questi piani non sono utili per orientare – né tanto meno vincolare – le scelte progettuali a lungo termine poichél’assetto che prefigurano è statico, non evolve contestualmente alla situazione politico-decisionale, ambientale,sociale, culturale, economica ecc. del territorio. Ciò è soprattutto vero quando il piano riguarda un’area vasta egli interventi che ne conseguono comportano tempi lunghi di attuazione, come spesso avviene nei processi diriqualificazione e valorizzazione fluviale che sono oggetto di un Contratto di Fiume. L’approccio proposto, di tipo incrementale e ciclico, coniuga due metodi di pianificazione/progettazione:costruzione di Scenari Futuri Dinamici (Giangrande, 2006) e Strategic Choice (Friend & Hickling, 2005;Giangrande e Mortola, 2005: 322, 326). Uno Scenario Futuro Dinamico (SFD) è la prefigurazione delle trasformazioni che gli attori territorialiinteressati desiderano per i loro spazi di vita. Questa prefigurazione non è la rappresentazione dello stato finaledel territorio riferita a uno specifico orizzonte temporale, ma una “visione” che gli attori potranno sempreaggiornare in funzione della mutata situazione del contesto. Lo scenario è un documento scritto accompagnato ingenere da immagini: foto, disegni e schizzi di carattere esplicativo/evocativo. Anche Strategic Choice (SC) è un metodo dinamico. L’assetto del territorio riferito ad un’epoca futura, secondoSC, non può essere prefigurato a priori ma è il risultato delle scelte progettuali che, realizzate secondo una logicaincrementale, concorrono a determinarlo. Con l’aiuto di SC gli attori possono identificare e scegliere in ognimomento del processo gli interventi che sono maggiormente compatibili tra loro e coerenti con le trasformazionigià attuate, nonché le azioni più adatte a superare le incertezze e i conflitti che ne rendono spesso difficile oimpossibile la realizzazione (cfr. Friend & Hickling op.cit.). Tra SC e SFD esiste uno stretto legame. L’input principale di SC è costituito dai problemi e dalle soluzioniprogettuali atte a risolverli che si deducono dallo scarto esistente tra scenario futuro e situazione attuale. Peridentificare i problemi e le soluzioni gli attori territoriali possono essere aiutati dalle analisi e dalle proposteformulate da esperti di settore. La natura incrementale del processo di trasformazione del territorio è la diretta conseguenza del fatto chel’evoluzione della “visione” degli attori territoriali e le nuove conoscenze acquisite dagli esperti portanoinevitabilmente a modificare nel tempo l’elenco dei problemi e delle loro soluzioni. In quanto segue l’approccio sarà illustrato attraverso un caso di studio che riguarda le proposte diriqualificazione e valorizzazione di un ambito fluviale.

Alessandro Giangrande 1

Un approccio partecipativo dinamico per la riqualificazione e la valorizzazione fluviale nei Contratti di Fiume

2. Il caso di studio Verso la fine del 2007 numerosi Enti pubblici e privati della Città di Torino e della Regione Piemonte1

hannosottoscritto un protocollo d’intesa per realizzare l’iniziativa Transmitting Sustainble City, nel cui ambito è statoorganizzato un workshop internazionale che aveva il compito di elaborare strategie e progetti per rigenerare ilsito di Basse di Stura, situato nella periferia nord di Torino. Il sito ha una superficie di circa 500 ha e si sviluppa per tre chilometri lungo le sponde del fiume Stura. E’un’area molto disomogenea, definita negli anni ’90 “cimitero di rifiuti inurbato nella città”, connotata da tempodalla presenza di attività produttive, aree industriali dismesse, attività di trasformazione degli inerti. I suoli sonostati utilizzati fino agli anni ‘80 come aree di conferimento di rifiuti industriali costituiti prevalentemente dascarti di fonderia. Al suo interno si trovano anche vecchie cascine, terreni coltivati e due laghi di cava dismessidalle attività di estrazione, le cui sponde sono attualmente in fase di lenta rinaturalizzazione. I promotori dell’iniziativa hanno costituito due Comitati Scientifici: locale e internazionale. L’autore è statonominato membro del Comitato Scientifico internazionale e invitato a partecipare al workshop come tutor di unodei cinque gruppi di lavoro interdisciplinari – ciascuno costituito da progettisti ed esperti di nazionalità diversa –che hanno prodotto altrettante proposte progettuali alternative. Il workshop si è svolto a Torino dal 10 al 16 febbraio 2008.2

I risultati dei gruppi sono stati esposti e discussi alXXIII Congresso Mondiale UIA (Torino, 29 giugno - 3 luglio 2008) e in altre occasioni. In questo lavoro saranno illustrati i risultati del gruppo coordinato dall’autore. Al termine sarà discussa lapossibilità di applicare l’approccio metodologico utilizzato in quella sede alla definizione e all’attuazione dellescelte nell’ambito di un Contratto di Fiume.

3. Uno scenario futuro per Basse di Stura Dopo aver letto i documenti prodotti dai due Comitati Scientifici, il gruppo di lavoro ha visitato l’area eincontrato sia alcuni rappresentanti dei comitati cittadini, sia gli alunni e gli insegnanti di alcune scuole mediedelle zone limitrofe. Per costruire lo scenario il tutor ha invitato i membri del gruppo a elaborare una sorta di “racconto dal futuro”,riferito a un orizzonte temporale lontano, sulla base delle informazioni acquisite. A ogni co-tutor e studente èstato chiesto d’immedesimarsi in un abitante di Basse di Stura che ritorna nei suoi luoghi d’origine ormairigenerati dopo esserne stato lontano per molti anni, per descriverne le attività, i discorsi e le emozioni. Il “racconto” è stato costruito come collage delle frasi pronunciate a turno dai singoli membri del gruppo. Questefrasi sono state registrate fedelmente e opportunamente riorganizzate per costruire lo scenario, dove sonoprefigurate anche situazioni alternative – se riferite allo stesso ambito spaziale – e non compatibili – se riferite adambiti diversi3 Le alternative rispecchiano le differenze di valori e di opinioni degli attori territorialinell’interpretazione dei membri del gruppo di lavoro4.

4. Il processo progettuale

4.1 La struttura del problema progettuale/1: aree di decisione e opzioni

Il gruppo di lavoro ha confrontato la situazione attuale di Basse di Stura con quella dello SFD e ha individuatoalcune soluzioni progettuali alternative (opzioni) atte a risolvere quelle situazioni problematiche (aree didecisione) che, allo stato attuale, impediscono di realizzare la situazione prefigurata nello scenario (Figura 1).

1Città di Torino, Regione Piemonte, Provincia di Torino, Ente Gestione Parco Fluviale del Po’ Torinese, Politecnico di Torino, Ordine degliArchitetti PPC della Provincia di Torino, Federazione degli Ordini del Piemonte e della Valle d’Aosta, Collegio dei Costruttori Edili, ANCETorino, Istituto Superiore Sistemi Territoriali per l’Innovazione (SITI), Legacoop Piemonte, Agenzia Territoriale per la Casa (ATC) dellaProvincia di Torino, Azienda Multiservizi Igiene Ambientale Torino (AMIAT), Collegio Edile di API Torino. 2Il gruppo di lavoro era costituito da un tutor (A.Giangrande), tre co-tutor (A. Caperna, A. Cerqua, P. Garrone) e quattordici studenti (D.Catenazzi, B. Cavallet, M . De Matteis, F. R. Diaz, T. Di Carlo, F. Emanuel, S. Giannuzzi, A. Lain, I. Fonseca Leite, J. Paloma, M. Pelfini ,M. Puttilli, B. Sembianti, E. J. Silva Costa Pinto). 3Le alternative, in questa fase, sono tutte mantenute in vita: la scelta delle alternative migliori (preferite) è stata fatta in seguito, con l’aiuto diSC. 4La breve durata del workshop (una settimana) non ha consentito, diversamente da altre esperienze (Giangrande 2006), di far parteciparedirettamente tutti gli attori territoriali interessati alla costruzione dello scenario futuro.

Alessandro Giangrande 2

Un approccio partecipativo dinamico per la riqualificazione e la valorizzazione fluviale nei Contratti di Fiume

Figura 1- Aree di decisione e opzioni (continua)

Alessandro Giangrande 3

Un approccio partecipativo dinamico per la riqualificazione e la valorizzazione fluviale nei Contratti di Fiume

Figura 1- Aree di decisione e opzioni (continua)

Alessandro Giangrande 4

Un approccio partecipativo dinamico per la riqualificazione e la valorizzazione fluviale nei Contratti di Fiume

Figura 1- Aree di decisione e opzioni

Alessandro Giangrande 5

Un approccio partecipativo dinamico per la riqualificazione e la valorizzazione fluviale nei Contratti di Fiume

La costruzione dell’elenco delle aree di decisione e delle opzioni è il frutto di numerose discussioni che si sonosvolte all’interno del gruppo. In definitiva sono state individuate 16 aree di decisione: il numero di opzioniassociate a ogni area varia da 2 a 5. L’elenco può essere aggiornato in qualsiasi momento. Ad es., sarà semprepossibile eliminare alcune aree, una volta riconosciuta la loro irrilevanza, o inserirne di nuove. Lo stesso dicasidelle opzioni: alcune potranno essere introdotte in seguito nell’elenco per tener conto di nuove proposteprogettuali che dovessero emergere nel contesto territoriale mentre altre saranno eliminate perché giudicate deltutto irrealizzabili (vedi oltre).

4. 2 La struttura del problema progettuale/2: grafo di decisione, fuochi e schemi didecisione

Una volta individuate le aree di decisioni e le opzioni, il gruppo a proceduto in primo luogo a deisegnare il grafodi decisione, che rappresenta le relazioni esistenti tra le aree (figura 2)

Figura 2- Grafo di Decisione

Quando due aree di decisione sono collegate significa che una o più opzioni della prima area sono incompatibili – o, al contrario, sinergie – con una o più azioni della seconda. Il collegamento può essere certo (tratto spesso, dicolore blu) o incerto (tratto sottile, di colore rosso)5.Con l’aiuto del programma STRAD (1992) l’intero problema progettuale è stato quindi articolato in fuochi. Un fuoco è un sottoinsieme di grafo di decisioni che identifica una parte di un problema progettuale vasto e complesso che può essere risolta in modo sostanzialmente indipendente. La stessa area può appartenere a piùfuochi (in altri termini, i fuochi non sono necessariamente sottoinsiemi disgiunti). Nel caso di Basse di Stura i fuochi individuati sono 6: ogni fuoco comprende da 3 a 6 aree di decisione. Conl’aiuto di STRAD sono stati quindi identificati gli schemi di dcisione di ogni fuoco. Tali schemi costituisconotutte le combinazioni di opzioni - una per ogni area di decisione – che possono essere attuate perché mutuamentecompatibili. La loro realizzazione contestuale comporta inoltre i vantaggi connessi alle sinergie eventualmentepresenti tra alcune opzioni dello stesso schema.

5L’incertezza deriva in genere dal fatto che alcune opzioni, in questa fase, sono troppo vaghe (ad es., non sono ancora ben definite in terminilocalizzativi e/o dimensionali).

Alessandro Giangrande 6

Un approccio partecipativo dinamico per la riqualificazione e la valorizzazione fluviale nei Contratti di Fiume

4. 3 La valutazione degli schemi di decisione: gli schemi preferiti

Gli schemi di decisione di ogni fuoco sono stati confrontati e valutati rispetto a un insieme di aree di confronto,ovverosia di criteri di sostenibilità – declinata nelle sue diverse accezioni – congruenti con la “visione” degliattori territoriali.La valutazione ha consentito d’identificare gli schemi preferiti di ogni fuoco che sono stati utilizzati perelaborare i progetti corrispettivi.

5. Le fasi successive del processo Gli schemi di decisione preferiti e i relativi progetti, sia pure elaborati a un livello molto preliminare,rispecchiano i desiderata degli attori territoriali (vedi SFD) e le proposte tecniche più interessanti dei ComitatiScientifici. Il processo non ha avuto finora un seguito: lo scarso impegno politico delle amministrazioni locali el’impossibilità di reperire nell’immediato i finanziamenti necessari per realizzare i progetti hanno finoraimpedito di procedere alla fase attuativa. In quanto segue saranno illustrati i passi del processo che dovranno essere fatti per elaborare in dettaglio iprogetti e portare a compimento la rigenerazione del sito di Basse di Stura, nell’ipotesi che si determino prestocondizioni politico-decisionali ed economico-finanziarie più favorevoli di quella attuale.

5.1 Gestione sistematica delle incertezze Le opzioni degli schemi preferiti presentano numerose incertezze che, allo stato attuale, non consentono dielaborare in maggiore dettaglio i progetti e relizzarli. Secondo SC le incertezze sono di tre tipi:

incertezze dovute a una scarsa conoscenza del contesto ambientale (UE, Uncertainties about theworking Environment)

incertezze dovute alla carenza di coordinamento tra le organizzazioni direttamente o indirettamenteinteressate al progetto (UR, Uncertainties about Related decisions)

incertezze dovute alla scarsa conoscenza degli interessi e dei sistemi di valore degli attori che hanno ilpotere di prendere o influenzare le decisioni (UV, Uncertainties about guiding Values).

Un’opzione progettuale che presenta una o più incertezze deve essere differita: prima di realizzarla è necessariovalutare la rilevanza di ogni incertezza, individuarne il tipo (UE, UR o UV) e scegliere le opzioni esplorative piùadatte a rimuoverla. Di ogni opzione esplorativa occorrerà inoltre fornire una stima approssimata del costo,nonché dei ritardi e dei vantaggi connessi alla sua attuazione. Tutte (o quasi tutte) le opzioni presentano in genere incertezze. Le attività finalizzate a ridurre o eliminare leincertezze e quelle più propriamente tecnico-progettuali s’intrecciano durante tutto il processo: secondo SC, leprime sono da considerare parte integrante delle seconde. L’ordine degli interventi da realizzare nel processo incrementale è determinato principalmente dalle incertezzedelle opzioni. In teoria dovrebbero essere attuate per prime le opzioni preferite dei fuochi che includono le areedi decisione più urgenti e importanti (prima quelle dei fuochi 1 e 2, poi quelle del fuoco 3,…); in pratica saràopportuno realizzare prima le opzioni che non presentano incertezze – o ne presentano in misura molto ridotta –e rinviare la realizzazione di quelle che presentano molte incertezze che non è possibile risolvere in tempi brevi.

5.2 Incertezze e partecipazione Molte incertezze conseguono dal fatto che il gruppo di lavoro che ha costruito lo scenario e lo ha interpretato intermini di aree di decisione e opzioni ha operato senza poter interagire con una parte importante degli attoriterritoriali. Le attività svolte all’inizio del workshop – il sopralluogo, la lettura dei documenti prodotti daiComitati Scientifici, l’incontro con alcuni rappresentanti dei comitati locali, con gli insegnanti e gli alunni dellescuole – sono soltanto il “surrogato” di una vera partecipazione. Per essere davvero partecipato il processo avrebbe dovuto includere, in tutte le sue fasi, la totalità delle categoriedei soggetti interessati: amministratori locali, imprenditori, associazioni culturali e ambientaliste, associazioni dicategoria, proprietari dei suoli, costruttori ecc. L’impossibilità di interagire in modo continuativo con i soggettidi cui sopra ha di fatto impedito al gruppo di lavoro di rimuovere le numerose incertezze derivanti dall’ignoranzadei sistemi di valore e degli interessi di molti attori, soprattutto di quelli che hanno il potere di prendere oinfluenzare in misura maggiore le decisioni. In un processo di progettazione veramente partecipato le aree di decisione, i giudizi d’importanza e d’urgenzadelle stesse e le opzioni avrebbero potuto essere anche molto diversi da quelli individuati durante il workshop.Lo stesso dicasi delle aree di confronto e dei loro pesi, da cui dipendono fortemente gli schemi di decisionepreferiti che fissano i contenuti sostantivi del progetto.

Alessandro Giangrande 7

Un approccio partecipativo dinamico per la riqualificazione e la valorizzazione fluviale nei Contratti di Fiume

5.3 Il processo ciclico Gli attori territoriali, nel corso del processo, potrebbero voler introdurre nuove opzioni o sostituirne alcune conaltre più valide; gli esperti di settore potrebbero da parte loro proporre per alcune di esse nuove, più efficacisoluzioni tecniche. Se le opzioni da introdurre ex novo o da modificare sono poche, è sufficiente correggere gli elenchi delle opzioninelle aree di decisione pertinenti e procedere a individuare i nuovi fuochi e i nuovi schemi di decisione. Una più rilevante evoluzione del contesto territoriale potrebbe tuttavia indurre gli attori a rivedere radicalmentela struttura del problema progettuale: in questo caso sarà necessario rivedere completamente lo SFD e costruirneun altro, più coerente con la mutata “visione” degli attori stessi. Dal nuovo SFD si procederà quindi a ricavare ilnuovo elenco delle aree di decisione e delle relative opzioni progettuali. In entrambi i casi si tratta di ritorni a una fase precedente. Questi ritorni, che possono avvenire più volte nel corso di un processo, qualificano l’approccio come ciclico. Il carattere ciclico del processo, frutto di una “visione” che evolve nel tempo con la situazione territoriale, noncausa deregolamentazione. Grazie a SC, le scelte progettuali effettuate in ogni fase del processo sono sempremutuamente compatibili, coerenti con quelle attuate nelle fasi precedenti e in linea con la “visione” degli attori.

6. L’approccio e’ adatto/adattabile a gestire un processo di riqualificazionee valorizzazione fluviale nei Contratti di Fiume? Un Contratto di Fiume, tradizionalmente, è un accordo formale tra le parti contraenti che si dovranno impegnarenella realizzazione degli interventi sottoscritti. Nell’approccio proposto i contenuti sostantivi e i dettagli dei progetti non sono mai definiti a priori, maemergono progressivamente durante il processo incrementale di progettazione e realizzazione. Pertanto l’accordo non dovrà riguardare gli specifici interventi da realizzare, bensì l’approccio metodologico chele parti s’impegnano ad adottare. Nell’accordo, oltre all’approccio metodologico, si farà peraltro riferimento alleprincipali problematiche territoriali che hanno indotto gli attori a intraprendere il percorso del Contratto diFiume, senza però che sia specificato in dettaglio l’elenco dei progetti da realizzare per risolverle.

6.1 Contratti di Fiume e partecipazione I territori che sono oggetto di Contratti di Fiume sono quasi sempre più estesi dell’area di Basse di Stura. Inquanto segue viene descritta una modalità di partecipazione che tiene conto di questa maggiore estensione. Le autorità locali danno vita al Forum del Contratto di Fiume costituito dall’insieme di tutti i Forum locali,ognuno dei quali riguarda uno specifico ambito territoriale. Di ogni Forum locale possono fare parte tutti coloro che in esso vivono o svolgono un’attività. L’ambito, chenon deve necessariamente fare parte dello stesso Comune, coincide generalmente con una zona che èsostanzialmente omogenea in relazione alle sue caratteristiche e alle problematiche – ambientali, economicheecc. – che essa presenta. I membri di ogni Forum devono essere uno spaccato rappresentativo della realtà locale: del Forum non fannoparte soltanto i detentori dei “poteri forti” (amministratori, imprenditori, proprietari dei suoli ecc.) ma anche lecategorie più deboli della popolazione, quali i bambini, gli anziani, i disabili e gl’immigrati. Ogni Forum locale sceglie democraticamente i membri dei gruppi di lavoro ai quali è demandato il compito diguidare la costruzione dello SFD6. I gruppi di lavoro votano i delegati del gruppo ristretto di lavoro che opererà alla scala dell’intero territoriointeressato al Contratto. E’ compito di questo gruppo ristretto – costituito da 10-15 membri – assemblare gliscenari prodotti dai Forum locali e avviare il processo che, con l’aiuto di SC, porterà a progettare e realizzaresecondo una logica incrementale gli interventi di riqualificazione e valorizzazione. Il gruppo potrà articolarsi insottogruppi per progettare in parallelo gli schemi preferiti dei diversi fuochi. Questa modalità di partecipazione prevede lo strumento della delega, ma tutti i gruppi di lavoro sono tenuti a faruso di strumenti di comunicazione tradizionali (TV e radio locali, giornali ecc.) e avanzati (sito internet, blogecc.) per comunicare i risultati intermedi del processo a tutti gli altri partecipanti e all’intera popolazione, chepotranno intervenire nel processo con critiche e suggerimenti. Ogni gruppo può aprirsi a nuovi membri, conparticolare riferimento agli esperti di settore. Tutti i progetti, prima di essere realizzati, devono essere approvati formalmente dall’assemblea plenaria delForum appositamente convocata.

6.2 La gestione dei conflitti L’approccio non contempla l’uso di uno specifico metodo per la gestione dei conflitti che potrebberomanifestarsi in qualsiasi momento del processo, ma specialmente nella fase di valutazione (scelta delle aree di

6 Ogni Forum locale costruisce il suo SFD. Alcuni elementi della ‘visione’ potranno rigurdare anche la totalità del territorio interessato dalContratto di Fiume.

Alessandro Giangrande 8

Un approccio partecipativo dinamico per la riqualificazione e la valorizzazione fluviale nei Contratti di Fiume

confronto e dei loro pesi, valutazione delle opzioni progettuali ecc.). Tali conflitti potrebbero guastare il clima dicollaborazione dei gruppi di lavoro e impedire che il progetto sia realizzato: l’uso di un metodo capace diattenuarli o risolverli può essere pertanto cruciale. Non tutti i conflitti possono essere sempre risolti, specialmente quelli che originano da forti interessi economici oda credenze e pregiudizi personali di tipo ideologico, religioso o razziale. In ogni caso è importante che si riescano a creare almeno le condizioni per cui gli attori territoriali siano dispostia partecipare a un processo di negoziazione che, a priori, non favorisca nessuno. Durante il processo gli attoririusciranno a superare i loro conflitti se saranno aiutati dal metodo e da chi lo gestisce a stabilire accordi che nonsiano minimali, di basso profilo, ma che producano un reale vicendevole guadagno. Produrre un vicendevole guadagno non significa conseguire una duplice (ma spesso ingannevole) vittoria: quellanostra e quella del nostro antagonista. Occorre invece capire che per conseguire dei vantaggi le parti devonosaper sfruttare le loro differenze (Forester, 1989: 183,184); devono trarre vantaggio dalle loro diverse priorità perrealizzare “guadagni congiunti”7. In altri termini, non significa aiutare l’altro per aiutare noi (do ut des), néaiutare l’altro a soddisfare i suoi obiettivi prioritari affinché noi possiamo dopo soddisfare i nostri (piùsemplicemente: fare uno scambio), ma significa che tutti imparino a riconoscere e accettare le priorità degli altri. Il metodo di gestione dei conflitti da utilizzare congiuntamente all’approccio proposto dovrà essere scelto traquelli che si fondano sui questi principi.

Bibliografia Brandon P., Lombardi P., (2005), Evaluating Sustainable Development in the Built Environment, London,Blackwell. Faludi A., (1987), A Decision-centred View of Environmental Planning , Oxford, Pergamon Press. Faludi A. (1989), Conformance vs. performance: implication for evaluation, Impact assessment bulletin, 7 (2-3). Forester J., (1989), Planning in the Face of Power, Berkeley and Los Angeles, California, University ofCalifornia Press. Friend J., Hickling A., (2005), Planning under Pression. The Strategic Choice Approach, Oxford, Elsevier. Giangrande A., (2006), La procedura di visioning. Il ricupero dell’ex Istituto Angelo Mai (stralci), Dispensa delcorso di Progettazione e pianificazione sostenibile, Roma, Facoltà di Architettura (Università Roma Tre). Giangrande A., Mortola E., (2005), Neighbourhood Renewal in Rome. Combining Strategic Choice with otherDesign Methods, in Friend J. & Hickling A., op. cit. STRAD, (1992), The Strategic Advisor. User’s manual, Stradspan Limited, Sledge Hill, Ludford, UK.

7 Il metodo, in particolare, dovrà aiutare il gruppo di lavoro a elaborare opzioni “a somma positiva”, dove il guadagno di alcuni soggetti, inlinea di principio, non deve comportare una perdita per altri.

Alessandro Giangrande 9

Progettare con la comunità a Roma in contesti urbani di complessità sociale, culturale e politica crescente

Atti della XIII Conferenza Società Italiana degli UrbanistiCittà e crisi globale: clima, sviluppo e convivenza

Roma, 25-27 febbraio 2010Planum - The European Journal of Planning on-line

ISSN 1723-0993

Progettare con la comunità a Roma in contesti urbani dicomplessità sociale, culturale e politica crescente.

Daniela Festa, Adriana Goni Mazzitelli ,Viviana Petrucci e Laura Moretti ricercatori Laboratorio TIPUS,Dipartimento di Studi Urbani, Università degli Studi Roma Tre.

[email protected] Tel/fax 0039 6 57339621

AbstractA partire dalle precedenti esperienze di ricerca- azione maturate nei contesti urbani, il Laboratorio di RicercaTIPUS si propone di aggiornare e migliorare la teoria e la pratica partecipativa quale approccio innovativo peraffrontare gli inediti scenari di conflitto sociale, culturale e politico che si realizzano nelle metropolicontemporanee (Touraine, 1997, Bourdieu, 1999). I casi messi a confronto per la sua analisi sono laprogettazione partecipata in tre contesti urbani diversi della città di Roma; centro storico, città intermedia eperiferia. Da una parte con adulti e bambini a sostegno di gruppi auto-organizzati di cittadini che interagisconocon il Municipio Roma I Centro Storico, approccio bottom-up, e da un’altra il Bilancio Partecipativo delMunicipio Roma IX città intermedia e periferia romana, approccio top – down. In entrambi i casi si è utilizzatauna metodologia che cura in misura maggiore, rispetto all’esperienze tradizionale di pianificazione partecipata,la diversità socio-culturale e gli aspetti relazionali, come fattori chiave nel affrontare una dimensione microdell’urbanistica attuale.

1. La Sfida Della Città Contemporanea Nella Pianificazione Partecipativa La c ittà c ontemporanea ap pare c ome l’orizzonte press oché i nsuperabile d ell'uomo. I n qu anto t ale, d iventaurgente riuscire a conciliare il suo straordinario sviluppo, la conservazione delle risorse che la sostengono, lacoesione sociale che garantisce fondamento per una pacifica convivenza.

Da tempo e in modo unanime si riconosce, più spesso nella teoria che nella pratica della sua costruzione, che unsistema vitale complesso come la cit tà interroghi la scienza da punti di vista diversi: antropologici, sociali,politici, economici, spaziali, urbanistici.

La globalizzazione ha giocato un ruolo importante non tanto nell'omologare le diverse situazioni geografiche, mapiuttosto nel rafforzare la scala locale, come insieme degli elementi costitutivi dell'identità territoriale, e quindidi visibilità nel panorama generale. Il locale è emerso come riferimento geo-economico delle competitività edello sviluppo (Gemmiti, 2000 ).

I processi di decentramento con passaggi di competenze alle autonomie locali (si vedano a titolo d’esempio laLegge costituzionale n.3 del 2001 in Italia e per la Francia, la legge costituzionale 276 del 28 marzo 2003) hannocontribuito i n maniera ne tta a far emergere le autonomie di scala l ocale an che co me sogg etti po litici eamministrativi. Gli enti locali di vario livello, ed in primis le città, si configurano come ambiti territoriali fornitidi competenze decisionali autonome e rafforzate da un rapporto diretto (elettorale, politico e via via sempre piu’fiscale) con i cittadini.

Il dibattito scientifico ed internazionale sui fenomeni ambientali globali da un lato (Conferenza di Rio del 1992 esuccessive conferenze internazionali sul tema), la stagione dei grandi movimenti di contestazione sociale (legatisoprattutto ai Forum sociali mondiali) e il riemergere con forza di una dimensione locale di autodeterminazionehanno progressivamente imposto e nutrito il concetto di città sostenibile e di città vivibile.

Nonostante la ricchezza di questi concetti e la loro diffusione, la definizione del concetto di sviluppo urbanosostenibile, è complessa, oggetto di un ampio dibattito e in costante evoluzione (Marcuse, 1998). Si tratta inoltredi concetti che dominano la retorica pubblica e privata caratterizzandosi per molti aspetti non come una dottrina

Festa D., Goni Mazzitelli A. , Moretti L., Petrucci V. 1

Progettare con la comunità a Roma in contesti urbani di complessità sociale, culturale e politica crescente

organica o un sistema di norme coerenti, ma piuttosto come un approccio strategico e di prospettiva (Theys,2002) benché non sempre chiari in riferimento ai metodi, alle scelte e agli ambiti d’interesse.

A secondo degli au tori, la citt à so stenibile e v itale rich iama insieme d iversi concetti: la citt à co mpattae controllata in grado di sopravvivere e di rinnovarsi piuttosto che la mixitè sociale e funzionale e il ruolo dellacittadinanza nel progetto collettivo.Si tratta di tener conto sia del capitale fisico che di quello umano,sociale, cu lturale, de i cam biamenti ambientali, naturali ( Brundtland, 19 87) e i ndotti, no nché d ellosviluppo economico e sociale, dei cambiamenti demografici, dei crescenti flussi migratori dell’emergenza dinuove disparità sociali . Tali temi non possono essere affrontati singolarmente e autonomamente né alla scalaglobale né a quella locale. Molti gli ostacoli e le contraddizioni che restano da sciogliere. Gli approcci sonoancora troppo spesso sperimentali e g li st rumenti concertativi deboli benché si constati una mobilitazionesempre più importante che vede le comunità locali attivamente coinvolte nelle dinamiche di sviluppo (Mathieu eGuermond, 2005) e sem pre p iù interpellati c ome attori n ecessari ( Agenda p er XX I secolo 1 997) per laproduzione d i po litiche di governo de l ter ritorio efficaci e sostenibili (Magnaghi 2003, Dematteis-Governa,2005).

2. Dalla concertazione alla partecipazioneCome conseguenza alla progressiva globalizzazione, il ruolo dello Stato e dell'azione pubblica, l'economia e lasocietà hanno subito profonde trasformazioni che hanno portato un certo numero di cambiamenti nella modalitàdi governance (Le Gales, 2003). In accordo a nuovi approcci all a governance o a lla buona gestione dellepolitiche, nuovi metodi di intervento sono emersi. Tuttavia il concetto di governance non è di facile definizioneed è ancora in fase di discussione in vari campi delle scienze sociali (scienze politiche, sociologia politica,economia, per esempio). Emergono, piuttosto, una serie di elementi che aiutano a definirne i contorni. Si potràporre l’accento ad esempio su una conduzione della politica pubblica secondo il requisito di cooperazione, dicoordinamento e di controllo tra le parti in causa, sul processo di consultazione e di coinvolgimento della societàcivile o di cittadini, sul partenariato pubblico-privato. Per oltre 20 anni, le questioni urbane, a seguito deidibattiti sullo sviluppo sostenibile, sono diventate una preoccupazione per la politica internazionale e locale. Suquesta scia, stiamo assistendo alla nascita di forme di azione pubblica rinnovata, all'emergere di nuovi attori ealla creaz ione di ist anze che costituiscono la base per la governance in un contesto in cui l 'incertezza nelpubblico rimangono forti (Lascoumes, 2005). A livello locale, le autorità locali e le c ittà in relazione con molteplici attori (ONG, associazioni, ci ttadini,imprese) divengono sempre più responsabile della traduzione di un certo numero di principi stabiliti a livellosovra-nazionali e di programmi di azione di nuove pratiche nel territorio più adatto alla gestione delle politichelocali (in tutta la città o in periferia).

La negoziazione ed i processi contrattuali si moltiplicano in particolare nel quadro della politica della città, deicontratti di quartiere o dei progetti urbani. L’approccio bottom-up va sostituendo gradualmente l’approccio top-down : l ’intervento di nuo vi att ori (cit tadini, associazioni, comitati, imprese) nelle scel te che ri guardanoquestioni pubbliche va gradualmente assorbendo l’onnipresenza dello Stato nelle scelte di gestione territoriale.

Secondo gli st udi urb ani recenti, i processi di p ianificazione rappresentano oc casioni utili per co involgeredirettamente gli abitanti nel processo di trasformazione del contesto urbano, per aprire uno spazio sempre piùampio di dialogo e di lavoro congiunto tra i diversi livelli di governo (governance), per costruire l’ “interessecomune”. La possibilità di fare appello al le pratiche di partecipazione sembra poter rispondere, dunque, amolteplici obiettivi: conoscere e mettere a sistema la risorse locali implicandole direttamente nelle politiche diprossimità e innescando dinamiche di territorialità attiva (C. EMANUEL, P.VALLARO 2005); ridefinire ladomanda del servizio e le necessità del territorio e dunque rafforzare la posizione delle Istituzioni locali nelladialettica costante con i poteri sovraordinati; indagare i sistemi di governo delle trasformazioni territoriali e iprocessi di auto-organizzazione locale.

Primo Caso Studio, Forum Monti , Rione Monti, Centro Storico di Roma.

Il gruppo di ricerca del Lab. Tipus è interessato costruire una visione olistica del territorio e della città.

Festa D., Goni Mazzitelli A. , Moretti L., Petrucci V. 2

Progettare con la comunità a Roma in contesti urbani di complessità sociale, culturale e politica crescente

L’ambiente urbano è osservato attraverso la complessità delle sue manifestazioni, da quelle fisico-spaziali aquelle socio-culturali e relazionali, aspetti considerati strettamente interconnessi tra loro.I percorsi partecipativi da noi proposti intendono sviscerare la “vita” dei territori, al fine di far emergere conflittie potenzialità attraverso le quali reimpostare nuove forme di convivenza.

Caso studio Rione Monti

Il progetto, inizia all’interno del programma per la “cittadinanza europea attiva e la partecipazione civica” eQEC_ERAN (Quartieri in crisi), nel 2007 e continua nel 2008, con il programma “Europa per i cittadini” conl’obiettivo di creare una rete europea per sostenere la partecipazione e le azioni dei cittadini e dei residenti nellariqualificazione delle zone urbane, attraverso la realizzazione di Forum locali di progettazione partecipativa e loscambio di esperienze con una rete internazionale della quale fanno parte , Centre Public d'Action Sociale deCharleroi (BELGIO), C omune di Torino (ITALIA), Faculdade d e Letras da U niversidade d o P orto(PORTOGALLO), Aristotle University of Thessaloniki- Department of Psycology (GRECIA), North & WestBelfast Health & Social Services Trust (INGHILTERRA) Comité de Quartier de l'Hommelet (FRANCIA)Dipartimento d i Studi U rbani- UniversitàRoma 3 -Rete So ciale M onti ( ITALIA) Charlois (OLANDA)Associacio CEPS per a la creacio i estudis de projectes socials (SPAGNA)

Il progetto si lega e sostiene l’idea promossa dalla Rete Sociale Monti che pretende costituire nel Rione Monti,Centro Storico di Roma, una sorta di “cantiere” o “laboratorio” che metta in relazione differenti espressioni edifferenti realtà, per valorizzarne la ricchezza, sperimentare un nuovo modo di lavorare insieme, di parteciparealle scelte collettive, di confrontarsi con l’Amministrazione Pubblica, di lavorare per migliorare la qualità dellavita e dell’ambiente nel Rione.

La metodologia utilizzata ha messo a confronto metodi di pianificazione strategica come Strategic Choice1

quale strumento di sostegno alle decisioni, con laboratori fotografici, sopralluoghi nel rione, organizzazione dimomenti ludico-creativi per richiamare l’attenzione dei diversi attori e coinvolgere tramite molteplici linguaggi ilmaggior numero residenti.

In particolare, è stata individuata, assieme ai residenti, una prima lista di “Problematiche” (Aree di decisione) edi “possibili soluzioni” (opzioni progettuali).

1 La rosa dei problemi riportata nell’immagini è stata realizzata in questa occasione dall’arch. Alessia Cerqua.

Festa D., Goni Mazzitelli A. , Moretti L., Petrucci V. 3

Progettare con la comunità a Roma in contesti urbani di complessità sociale, culturale e politica crescente

Il coinvolgimento nel Forum dei cittadini più piccoli nasce dalla consapevolezza che il bambino è un validoindicatore biologico di qualità dello spazio urbano per le modalità con cui egli si relaziona all’ambiente in cuivive e perché rappresentativo delle fasce più deboli della società, spesso escluse dai processi decisionali (anziani,diversamente abili, immigrati, etc.). L’obiettivo è ri pensare l a città assu mendo co me param etro d ella trasfo rmazione il bam bino/a i ncontrapposizione al modello di sviluppo “adultocentrico” della città contemporanea e promuoverne l’autonomialavorando su una dimensione locale perchè compatibile con le capacità di controllo e di conoscenza dei bambini.Il coinvolgimento dei bambini nelle pratiche decisionali, è uno stimolo alla formazione di una comunità effettiva,basata sulla solidarietà e su pratiche sociali condivise. Suddetta comunità è la base indispensabile per lo sviluppoe la sicurezza sociale del territorio ed è la condizione necessaria al bambino per poter vivere la città in manieraautonoma.

Di seguito riportiamo una breve sintesi delle proposte progettuali utili per capire quanto le proposte dei cittadinisiano in si ntonia con un a visione integrata della sostenibilità e tutela cultu rale dei beni e l e relazio ni delterritorio.

VILLA ALDOBRANDINI: UN FORUM DI RELAZIONI SOCIO-CULTURALI

L’intervento si inserisce all’interno di un processo per migliorare gli spazi verdi e favorire l’accessibilità e lasocializzazione inter-generazionale e il dialogo interculturale nel rione. Si propone di:

• Attivare un laboratorio di progettazione partecipata su villa Aldobrandini che coinvolga un numerorappresentativo di residenti, associazioni ed altri soggetti presenti a Monti, così da arrivare alla stesuradi un progetto di riqualificazione definitivo.

• Trovare la forma più adeguata per gestire gli spazi e attività della Villa che metta insieme i principaliattori interessati, associazioni e residenti locali e I Municipio come garante dalla manutenzione ed usocondiviso dello spazio.

• Condurre, nella Villa, una attività permanente di sensibilizzazione e animazione verso il territorioper attivare la partecipazione alla risoluzione dei problemi e conflitti, ma anche alle proposte di attivitàsociale e culturale come modalità di lavoro.

PROGETTAZIONE PARTECIPATA E AUTOCOSTRUZIONE DI UN LUOGO DA RIQUALIFICAREPER I BAMBINI : VIA FRANGIPANE

Per dare un segno ai cittadini più piccoli che le amministrazioni pubbliche hanno un “ orecchio verde,” ascoltanoi loro desideri e garantiscono il diritto al gioco, alla sicurezza e alla partecipazione.Via Frangipane è un percorso obbligato per chi raggiunge la scuola Vittorino da Feltre e la scuola Mazzini dalrione, può diventare un luogo di sosta capace di accogliere grandi e piccoli.La riqualificazione della via non risponde esaustivamente alla mancanza di spazi di socializzazione, di luoghidedicati al gioco e al problema dell’accessibilità ma è un primo passo importante per riavvicinare le istituzionimunicipali ai cittadini e per avviare la riqualificazione del Rione Monti.

Festa D., Goni Mazzitelli A. , Moretti L., Petrucci V. 4

Progettare con la comunità a Roma in contesti urbani di complessità sociale, culturale e politica crescente

Si chiede al Municipio:• Attivazione di un laboratorio di progettazione partecipata per la riqualificazione di via Frangipane che

coinvolga un numero rappresentativo di bambini/e e di adulti.• Piccolo cantiere di auto-costruzione per realizzare alcune delle proposte dei bambini agli artigiani del

rione, con materiali eco-compatibili

RIONE MONTI ACCESSIBILE A TUTTI

Si intende attivare un processo progettuale a partire dalla lettura critica e partecipata del contesto urbano, tramiteoperazioni di “mappatura” dei principali percorsi necessari allo svolgimento della vita pubblica, della qualitàdegli attraversamenti pedonali, degli accessi, ecc. Si p rovvederà quindi al la i potesi di e liminazione di barriere arch itettoniche ed inse rimento at trezzaturefunzionali, ancorata alla massima fruibilità. Gli interventi saranno definiti in maniera condivisa e partecipata,utilizzando anche simulazioni e sperimentazioni temporanee.

RICHIESTE AL MUNICIPIO I e Principali attività previste:

• Costruzione di un Tavolo permanente per la qualità urbana: un luogo di confronto tra tutti gli attoricoinvolti nel processo di trasformazione urbana.

• organizzazione di attività d i “formazione” riguardo il significato di qualità della vita e qualitàambientale nel Rione (workshop tematici su accessibilità, spazi pubblici, verde urbano, ecc.).Formazione intesa come elemento strategico del progetto di partecipazione, per aggiornare e formare itecnici, i residenti, facilitare il dialogo, lo scambio tra i differenti attori coinvolti.

Secondo Caso StudioIl Bilancio Partecipativo Municipio Roma IX 2 Il processo di bilancio partecipativo ha coinvolto tutto il territorio municipale: 807 ettari di estensione e 134.078abitanti. I principali temi trattati sono stati: Opere Pubbliche – Recupero di spazi per attività culturali, sociali e dipartecipazione – Riqualificazione urbana – Ambiente – Traffico e Mobilità

Il tale processo ha avuto un valore sia consultivo che deliberativo. Le proposte dei cittadini, sono state inseritenel Bilancio municipale 2009.Vista l’estensione nel Municipio IX, il territorio è stato suddiviso il quattro quadranti, che corrispondono aiquartieri. E’ stata realizzata una mappatura degli attori territoriali: associazioni, comitati di quartiere e tutti gliorganismi impegnati in attività significative per il territorio.

Il processo partecipativo si è realizzato attraverso tre fasi. La prima fase di assemblee, due in ogni quadrante,durante le qu ali i cittadini han no av anzato le loro prop oste, con il suppo rto dei tecni ci dell’Un iversità diRomaTre e gli attori del teatro forum. La seconda fase dei Tavoli di valutazione dove i delegati dei cittadini,tecnici dell’università ed i funzionari del Municipio hanno applicato l’analisi multicriteri per arrivare ad unagraduatoria di proposte integrate, con criteri decisi in forma partecipata. Nella terza fase si è effettuato unsopralluogo nei quadranti del Municipio e un’assemblea finale interquadrante con la restituzione dei risultati daparte dei delegati al resto della cittadinanza e alle autorità politiche. Il processo ha coinvolto nel complesso più dimille persone. Le proposte favorite sono state recepite nel Bilancio attraverso l’iter tradizionale, il Municipio haorganizzato un’alt ra a ssemblea pub blica pe r com unicare a tutta l a cittadi nanza quali prop oste e rano statefinanziate ed inserite nel bilancio aprendo un confronto pubblico sugli eventuali scostamenti rispetto al risultatodel percorso partecipativo.

Delle 101 proposte iniziali individuate nell’ambito del processo di Bilancio Partecipativo ne sono state scelte 40Da queste 40 proposte sono stati sviluppati i progetti integrati.

2 Il processo è stato finanziato dalla Regione Lazio. Parte di questo racconto è stato utilizzato per la scheda del Atlante della Partecipazione,Regione Lazio 2009, autori Serena Bianchini, Adriana Goni Mazzitelli.

Festa D., Goni Mazzitelli A. , Moretti L., Petrucci V. 5

Progettare con la comunità a Roma in contesti urbani di complessità sociale, culturale e politica crescente

n. PROGETTI INTEGRATI*

1 La riqualificazione della zona di via del Mandrione

2 La futura piazza coperta di “Arco di Travertino”: i servizi per gli abitanti, lo spazio polivalente e iluoghi della partecipazione; il parcheggio e il piano di mobilità sostenibile nell’area circostante

3 Razionalizzazione del trasporto pubblico

4 Sensibilizzazione degli abitanti alle problematiche ambientali

5 Nuovi spazi per le attività sportive

6 Mobilità sostenibile: nuove piste ciclabili e percorsi pedonali protetti

7 Centri anziani

8 Nuove aree di parcheggio nel Municipio

9 Un nuovo piano della viabilità locale elaborato con la partecipazione dei cittadini

Il percorso di Bilancio ha permesso di informare i cittadini sulle competenze del Municipio in attesa di un pienodecentramento e di il lustrare i n m odo t rasparente l a distribuzione della s pesa p ubblica. At traverso l apartecipazione i cittadini hanno potuto fare proposte operative per il miglioramento e lo sviluppo del proprioterritorio e rappresentarle in modo collettivo ai propri rappresentanti politici ed istituzionali, promuovendo, così,la “cultura della partecipazione” a livello locale.Il progetto di Bilancio Partecipativo sviluppato nel Municipio Roma IX, si colloca a pieno titolo nel contestostorico e politico della città di Roma, e si lega a fenomeni sociopolitici ed amministrativi a varie scale: locale,nazionale ed internazionale.I Municipi di Roma hanno acquisito una certa autonomia amministrativa nel 2001. Questo decentramento hacreato una nuova istituzione di prossimità in ricerca d'identità. Le competenze assai limitate contrastano con ilpresupposto di sussidiarietà e con il bisogno di prossimità particolarmente spiccato in un contesto di incertezzapolitica e di forte propensione storica all’autorganizzazione.La possibilità d i fare appello alle pratiche d i partecipazione sembra poter rispondere a molteplici obiettivi:conoscere e mettere a sistema la risorsa del territorio implicandole direttamente nelle politiche di prossimità;ridefinire la domanda del servizio e le necessità del territorio e dunque rafforzare la posizione dei Municipi neldialettica costante con il Comune di Roma, dare una risposta alla diffusa diffidenza verso la politica statalista ealla richiesta degli elettori di approcci innovativi e inclusivi.Sul piano della comunicazione, particolarmente interessante è stato l’utilizzo del Teatro interattivo facente capoalla più ampia esperienza del Teatro dell’Oppresso di Augusto Boal.Tali tecn iche hanno favorito una comunicazione informale e interattiva allontanando le frizion i fron tali tracittadini ed amministratori. H anno co nsentito inoltre l a p resa d i parola da parte d i categorie fr agili nell acomunicazione verbale o semplicemente non abituate alle modalità comunicative di tipo assembleare.Sul piano dell’interazione tra saperi e poteri viene adottata una metodologia di valutazione multicriterio applicatain gruppi ibridi. Il metodo multicriterio offre la possibilità di scegliere tra opzioni alternative per promuovere unaccordo tra diversi punti di vista, interessi e poteri. La costruzione di criteri di valutazione condivisi e la sceltaaccordata d el peso da attri buire a ciascun criteri o n ella scelta è l a base di val utazione m ulticriteri. Ta lemetodologia promuove la discussione e permettere ai partecipanti di concordare sulla modalità di valutazione,piuttosto che sulle soluzioni. Ciò favorisce lo scioglimento dei conflitti dal momento che viene trovato l’accordosui criteri generali che verranno applicati alle proposte più che la proposta migliore.Tuttavia l’ep ilogo del p rocesso è fo rtemente legato al la d ifficile dialettica po litica tra l a n eoeletta giun tacomunale di Roma e i Municipi. La prassi politica di integrare le proposte municipali nel bilancio comunaleviene derogata dal neoeletto sindaco che procede al l’approvazione del Bilancio senza a lcuna consultazionesvuotando di senso i percorsi di BP. A nulla valgono le contestazioni e le mobilitazioni dei municipi coinvolti.Pertanto quello che a livello municipale sembrava un processo chiaramente decisionale si trasforma in unaesperienza puramente consultativa sul piano degli effetti diretti.Ciò riporta alla fragilità delle Istituzioni municipali che pur implementando il ruolo di dialogo e di prossimità colcittadino hanno di fatto un’autonomia patrimoniale incompleta che compromette molte iniziative e doppiamenteoffre l’alib i ad un a strumentalizzazione politica lib eratoria rispetto al dialogo i ngaggiato coi cittadiniconsentendo di de mandare le colpe de lla mancata r ealizzazione delle proposte cittadine all’istituzionesovraordinata e politicamente antagonista. In positivo va detto che questa mancata accettazione da parte del

Festa D., Goni Mazzitelli A. , Moretti L., Petrucci V. 6

Progettare con la comunità a Roma in contesti urbani di complessità sociale, culturale e politica crescente

Comune ha spinto e stimolato i Municipi a cercare soluzioni creative rispondendo a bandi provinciali e regionalie con ciò acquisendo autonomia e riempiendo in parte di senso l’identità di questa istituzione di prossimità.

Queste osservazioni finali sull’interazioni con le Istituzioni sovra-locali rafforzano la necessità di una letturatranscalare dell’esperienza partecipativa ed obbligano a leggere le esperienze municipi in relazione anche allapiù ampia esperienza della Regione Lazio e del contesto italiano.

3. Riflessioni Finali Sottesa alle esperienze presentate emerge una lettura del territorio come «soggetto vivente ad alta complessità»(Magnaghi, 2005), intendendo per soggetto vivente nè il complesso di ecosistemi, nè la società presente che vivein un determinato luogo e neppure il milieu (inteso come giacimento socioculturale di un luogo). Per tale autoreil territorio è soggetto vivente in quanto prodotto dalla interazione di lunga durata tra insediamento umano edambiente, ciclicamente trasformato dal succedersi delle civilizzazioni; non è un oggetto fisico, («il territorio nonesiste in natura»), piuttosto rappresenta l’esito di un «processo di territorializzazione», ovvero un processo distrutturazione dello spazio fisico da parte della società insediata; il suolo, la terra, l’ambiente fisico, il paesaggio,l’ecosistema, l’architettura, le infrastrutture non sono ancora il territorio, essi ne rappresentano i supporti fisici esimbolici. La specificità del territorio consiste nel suo essere esito della capacità di strutturazione simbolica dello spazio,consentendo il riconoscimento di una correlazione fra luogo fisico e spazio culturale, simbolico, economico dellasocietà insediata; i l t erritorio è inscindibile sia dai s uoi s upporti m ateriali c he da lle diverse forme diappropriazione che si sono succedute. Esso e’ frutto delle relazioni (concrete o astratte) tra uomo e ambiente inun c ontesto tri dimensionale s ocietà-spazio-tempo. Ogni i ndividuo ( in questo cas o attore si ntagmatico) si"appropria" nel corso del tempo dello spazio con cui intrattiene queste relazioni. Rilevante il fatto che in questaposizione, rispetto alla precedente, la territorialità rappresenta un processo aperto che dipende dall'individuo edal tipo di relazioni instaurate con lo spazio Si tratta, in definitiva, di una visione della territorialita’ in chiaverelazionale (C. Raffestin)

I due casi ci fanno capire che il ribaltamento metodologico (Villasante,2006) viene dato dal cambio di posizionedei ruoli nella pianificazione (Magnaghi,2005), dove il pianificatori, o meglio, il gruppo interdisciplinare dipianificatori, mediante tecniche di conoscenza delle pratiche culturali locali (Sclavi, 2003, Althabe e Selim,2000,Goni Mazzitelli,2007 ) e l’avvio di processi di progettazione partecipata con gli attori locali riesce a collocarsicome med iatore e i nterprete deg li i nteressi co llettivi (Ostrom, 2005- El ster,1991) ed il c omplesso mond opolitico-amministrativo degli interessi globali nella costruzione della città (Sassen,2003).

Il coinvolgimento diretto dei cittadini nella gestione delle risorse pubbliche (De Souza Santos et alter 2003) èuna grande opportunità per porre al centro del governo del territorio i bisogni reali delle persone. La criticitàpotrebbe essere rappresentata dal carattere sperimentale di questa pratica e dalla mancanza di opportunità perrealizzare spazi permanenti di partecipazione (Cellamare,2006) dove arrivare ad approfondire ogni segnalazionee sviluppare progetti dettagliati, anche fino alla fase esecutiva in forma partecipativa (Giangrande, Mortola2000). In oltre nel caso dei Mun icipi romani, ad esem pio, non god endo di au tonomia finanziaria, talicoinvolgimento e partecipazione devono t rovare applicazione soprattutto nel rafforzamento del principio d isussidiarietà e nell’attuazione del pieno decentramento, che permetta una dimensione più adatta ad una micro-urbanisitica partecipativa (Talia, 2003, Cremaschi,1994).

Infine, l’ascolto attivo, e l’approccio olistico al territorio, ci ha permesso di capire la ricchezza nelle diversevoci, dai bambini, agli artisti, alle associazioni che sembrano più reticenti, ma che dopo dimostrano di esserequelle che rimangono fedeli alla difesa del territorio, dopo i grandi progetti e le battaglie medianiche. Le duegrande sfide per l’equipe sono: da una parte arricchire le metodologie e migliorare i linguaggi per arrivareancora di più ai gruppi che sono lontani dalle reti decisioniali dei territori, per esempio altre etnie e gruppimarginali; da un'altra parte lo sviluppo di esperienze di carattere incrementale all’interno delle amministrazionipubbliche che contaminano i diversi ambiti della pianificazione e incorporano la visione dei cittadini come partedi una nuova cultura di governo e costruzione del territorio.

Festa D., Goni Mazzitelli A. , Moretti L., Petrucci V. 7

Progettare con la comunità a Roma in contesti urbani di complessità sociale, culturale e politica crescente

Bibliografia

Althabe G., Selim M.( 2000),/Approcci et nologici de lla m odernità. (Démarches e thnologiques a u présent/,L’Harmattan, Italia.Bourdieu, P.(1999),/La Miseria del Mundo/, Akal, Madrid.Cellamare C.(2006),/ Roma Centro dal laboratorio alla Casa della Città/ Palombi., Roma.Cremaschi, M.(1994),/ Esperienze comune e Progetto Urbano/,Angeli, Milano.De Sousa S antos, B . , Al legretti G. , ( 2003),/Democratizzare la dem ocrazia, i p ercorsi del la dem ocraziapartecipativa/,Città Aperta, Italia.Dematteis G., Governa F., Territorialità, sviluppo locale, sostenibilità: il modello SLoT / Milano : Angeli, 2005Elster, J. (1991), /El concepto de Accion Colectiva, en “Intereses Individuales y Accion Colectiva”/, PabloIglesias, Madrid.Emanuel C. e Vallaro P. (a cura di), Prove di sostenibilità: Progetti, Piani e valutazioni per un processo disviluppo Urbano Sostenibile a Novara, Comune di Novara, 2005Gemmiti R., Territorio e globalizzazione. Nuovi vantaggi competitivi e opportunità di sviluppo nel cambiamentoglobale, in CELANT A., Ecosostenibilità e risorse competitive, Roma, Società Geografica Italiana, 2000, pp. 27-72.Giangrande, A. & Mortola, E.,(2000)/Seminario Internazionale Progettare con la Comunità/,Comune di RomaUSPEL. Italia.Goni Mazzitelli, A.(2007),/Sintesis simbolica: vinculos entre el patrimonio material e inmaterial en barrios Sur yPalermo/, Unidad de Produccion Grafica, Uruguay.Lascoume P., Gouverner par les instruments, Presses de Sciences Po, 2005 (codirection avec Patrick Le Galès).Le Gales P, Le retour des villes européennes. Sociétés urbaines mondialisation, gouvernement et gouvernance.Paris, Presses de sciences po, 2003.Magnaghi A., 2003, Il progetto locale, Bollati Boringhieri Torino 2000 ; ed. Française Le projet local, Mardaga,Sprimont (Belgique).Magnaghi, A. (2005) ,/La Rappresentazione identitaria del territorio/,.Alinea, Italia.Marcuse H. (1998) Technology, War and Fascism, London: RouteledgeOstrom, E (2005),/ How types of good and property rights jointly affect collective action/ Journal of TheoreticalPolitics, 15 (3) 239/270.Raffestein C., Pour une géographie du pouvoir, LITEC, Paris, 1980Sassen, S. (2003)/ Le città nell’economia globale/,Il Mulino, Italia.Sclavi M.(2003),/Arte di ascoltare e mondi possibili/ Mondadori, Italia. Talia, M.(2003)/Roma la resistibile ascesa del paradigma metropolitano/ Urbanistica Dossier Città e regionimetropolitane in Europa/INU, Italia.Theys J., 2002, « La gouvernance, entre innovation et impuissance : le cas de l ’environnement », p .147 inl’aménagement durable : défis et politiques, S. Wachter, L’Aube, Tricot A., 1996, « La mise à l'épreuve d'un projet par son milieu associé : analyse des controverses du projetautoroutier A8 bis », Techniques, Territoires et Sociétés, Projets d’infrastructures et débat public, n° 31.Touraine, A. (1997) ,/Pourrons-nous vivre ensemble?. Egaux et differents/ Fayard, Paris.Villasante, T.,(2006),/Estilos Creativos De La Complejidad/,Antrhopos-CRIM, Espana.

Festa D., Goni Mazzitelli A. , Moretti L., Petrucci V. 8

Mutare lo sguardo: le periferie da criticità a motori progettuali dell’innovazione urbana

Atti della XIII Conferenza Società Italiana degli UrbanistiCittà e crisi globale: clima, sviluppo e convivenza

Roma, 25-27 febbraio 2010Planum - The European Journal of Planning on-line

ISSN 1723-0993

Mutare lo sguardo: le periferie da criticità a motoriprogettuali dell’innovazione urbana

Barbara LinoDipartimento Città e Territorio

Università degli Studi di Palermo, [email protected]/fax 3478320956

AbstractLe pratiche e le esperienze più recenti nel campo della rigenerazione urbana ci propongono una riflessione-azione sulle periferie considerate non solo come concentrati di criticità, ma come risorse strategiche per lariqualificazione della città nel suo complesso attraverso il riposizionamento del loro ruolo nella complessivaarmatura urbana. Il paper indaga nuove prospettive e sfide connesse ai progetti di trasformazione dei quartieri periferici,interrogandosi sulla natura delle strategie da mettere in campo nei processi progettuali per meglio cogliere lepotenzialità delle periferie, intese quali frontiere del dinamismo urbano, “materiale” per la trasformazionedella città contemporanea e per il progetto del suo futuro.

1. Periferie urbane: da criticità a risorsa I territori periferici sembrano un’ineluttabile necessità funzionale per gli agglomerati urbani nel loro complessoche, gerarchizzandosi, hanno marginalizzato progressivamente questi spazi per mantenere, altrove, la città dellefunzioni istituzionali, del potere economico e politico e hanno allontanato dalle aree centrali pregiate funzionidetrattrici di qualità, causa di degrado, marginalità e criticità. Se sguardi troppo ravvicinati restitu iscono de lle aree periferiche un’immagine prevalente d i problematicità,mutando il punto di vista di osservazione, e allargando la prospettiva, invece, la natura ed il valore delle periferiecambia.Spostando il punto di osservazione sulle periferie da un’ottica locale ad un’ottica comunale e anche ad un’otticaterritoriale più ampia, deriva, da un lato, il riconoscimento di questi luoghi come aree meno sature con marginipiù ampi alla trasformazione e, dall’altro, del loro ruolo come “centri” rispetto alle corone più esterne e allacintura metropolitana nonché spesso come “aree cerniera” rispetto alle grandi risorse ambientali che si sonoconservate ai margini della città o prossime al sistema delle infrastrutture territoriali di connessione (ferrovie,autostrade, aeroporti, etc.). Allargare lo sguardo ed il campo di riflessione implica pensare che i quartieri periferici si possano collocare inun nuovo “centro” spaziale e funzionale, e diventare materiali del progetto giocando un ruolo strategico nellariqualificazione complessiva dell città (Infussi, 2007).In un’ottica pro-attiva è dunque possibile riconoscere la presenza nelle aree periferiche di un elevato potenzialeinespresso di trasformazione.L’obiettivo di qualità u rbana, tragu ardato tanto attraverso l a matrice della sosten ibilità ambientale, quantoattraverso quella dell’equità sociale o della qualità degli spazi pubblici e degli stili di vita degli abitanti, trova,nelle periferie delle città, la sfida più importante e, al tempo stesso, una delle più importanti opportunità. Le città del futuro, non potranno più contare solo sulla qualità che si irradia dal proprio centro, perdendo forzaprogressivamente, man mano che ci si allontana da esso. La vera sfida e la vera opportunità sarà “fare centro daimargini”, attivare nelle aree periferiche opportunità in grado di mettere in moto risorse ambientali, culturali eopportunità economiche capaci d i incidere profondamente sulla qualità degli st ili d i vita della città nel suoinsieme, capaci di generare una mixité non solo sociale e di funzioni, ma anche di forme, di configurazionispaziali, di tempi e di modi di vivere la città che consente di accrescere la varietà dell’esperienza della vitacittadina (Carta, 2006). Dinamiche ed evolutive, e con margini più ampi di trasformazione al confronto con parti della città più compattee consolidate, le peri ferie sono inv estite da pre ssanti din amiche di t rasformazione che le sottopongono a“traiettorie diversificate di mutamento” (Jacquier, 2002) ed a tensioni trasformative alimentate da un processocontinuo di diversificazione delle attività e delle funzioni.

Barbara Lino 1

Mutare lo sguardo: le periferie da criticità a motori progettuali dell’innovazione urbana

Nelle periferie trovano una convergenza feconda non solo interventi di valorizzazione immobiliare e la nascita dinuovi insediamenti commerciali o per il terziario, ma anche esperienze di sperimentazione di residenze eco-sostenibili, nuove prati che d’uso dello spazio pubblico dei quartieri, nuove forme dell ’abitare ind ividuali ecollettive, politiche culturali, la creazione di nuove centralità urbane integrate attraverso la delocalizzazione difunzioni urbane pregiate, etc.Le periferie sono cioè i luoghi più idonei a sperimentare nuovi modelli insediativi o di fruizione della città capacidi riduzione del tasso di mobilità, di elevamento della qualità urbana, di implementazione dell’offerta di cittàattraverso forme più sostenibili e integrate di gestione, progettazione e politiche. “Metafora concreta” di un modello evolutivo in atto, esse dunque si propongono come riserva di risorse preziose(ecologiche, architettoniche ed immobiliari, sociali e culturali, luoghi abbandonati, aree industriali dismesse,etc.), come campi di sperimentazione di pratiche e politiche e componenti attive di un nuovo “nuovo modello dicittà”.

2. I quartieri Borgo Ulivia e Bonagia a PalermoLe riflessioni del presente contributo prendono forma sia nell’ambito delle attività di ricerca del dottorato inPianificazione Urba na e T erritoriale1, ch e d el pr ogramma di r icerca di i nteresse naz ionale – La “cittàpubblica”come laboratorio di progettualità. La produzione di linee guida per la riqualificazione sostenibiledelle periferie urbane – finanziata dal Ministero dell’università e della ricerca2. Nell’ambito della ricerca sulla “città pubblica”, i temi di indagine e le considerazioni di carattere generale suitemi della rigenerazione delle periferie si sono alimentate del confronto metodologico e sperimentale degli esitidelle indagini effettuate sui diversi contesti locali, indagati nel vasto e differenziato scenario delle città italianecoinvolte nella rete della ricerca3.Le indagini effettuate a Palermo4 hanno restituito tra i casi locali più interessanti quello del sistema dei quartieriERP di Bonagia (fig. 1) e Borgo Ulivia (fig. 2) localizzati nella periferia sud della città. Questi quartieri possonoessere c onsiderati come s ineddoche di alcune im portanti q uestioni di c arattere g enerale s ul tema dellariqualificazione dei quartieri urbani periferici e sono stati scelti, sulla base del precipuo approccio dell’unità diricerca locale, non come esempi di quartieri periferici estremamente problematici e concentrati di criticità ma,piuttosto, per l a presen za, pur in sit uazioni di marginalità e degrado, di scintille di qualità, di riserve diopportunità per il progetto di rigenerazione.Collegati tra loro da una sola strada che supera soprelevandosi la cesura della circonvallazione, i quartieri, chesorgono l’uno di fronte all’altro, sono costituiti prevalentemente da edilizia pubblica e sono caratterizzati da unaforte monofunzionalità, dalla carenza di servizi di base e da un diffuso livello di degrado sia degli spazi comuniche delle unità residenziali. Sebbene la strada ad alta velocità garantisca un buon livello di connessione alsistema della città centrale (anche se la mobilità è quasi interamente demandata al sistema di trasporto privato),sia le condizioni orografiche dell’area, che la presenza stessa de lla circonvallazione che separa i quartierideterminano un forte isolamento e pongono co me prima istan za di pro getto l’integrazione fun zionale e laricucitura fisica tra le due aree. I due quartieri possono essere letti come enclaves residenziali intercluse tra emergenze del paesaggio che di fattone definiscono confini fisici ben riconoscibili: la corona delle colline ed i campi coltivati che costituiscono illimite a sud del quartiere Bonagia e l’ampia ansa del fiume Oreto che delimita a nord l’area di Borgo Ulivia.

1 Il contributo restituisce gli esiti della Tesi svolta nell’ambito del Dottorato in “Pianificazione Urbana e Territoriale” pressoil Dipartimento Città e Territorio dell’Università degli Studi di Palermo (XIX ciclo) dal titolo “Periferie in trasformazione.Politiche, piani e progetti per la riqualificazione delle periferie urbane”.2 Le considerazioni del contributo si sono alimentate della partecipazione di chi scrive alla Ricerca PRIN 2005 dal titolo “La"città pubblica" come laboratorio di progettualità. La produzione di Linee guida per la riqualificazione sostenibile delleperiferie urbane” coordinata da Paola Di Biagi (Università di Trieste). Chi scrive è stata componente dell'Unità di Ricercalocale “Processi e regole per la rigenerazione urbana: riqualificazione sostenibile dell'edilizia residenziale pubblica per lacentralizzazione e valorizzazione delle periferie” coordinata da Maurizio Carta (Università di Palermo). 3 Il programma di ricerca ha coinvolto sei sedi universitarie variamente dislocate sul territorio nazionale: Università di Napoli“Federico II”, Palermo, “Sapienza” Roma e Trieste, Politecnici di Bari e Milano.4 Dell’unità di ricerca di Palermo fanno parte, oltre all’autore: Maurizio Carta (coordinatore, prof. ordinario, Dip. Città eTerritorio), Alessandra Badami (ricercatore, Dip. Storia e Progetto), Daniele Ronsivalle (assegnista di ricerca, Dip. Città eTerritorio), Claudio Schifani (assegnista di ricerca, IUAV); per l’unità dei geografi, Giulia de Spuches (prof. associato, Dip.di Beni Culturali, Università di Palermo), Marco Picone (ricercatore, Dip. di Beni Culturali), Angela Alaimo (Dip. di BeniCulturali), Antonio Sciabica (dottorando in Pianificazione urbana e territoriale, Dip. Città e Territorio); infine, per gli espertidi settore, Mario Milone (ricercatore, Dip. Città e Territorio); Sandro Scalia (fotografo, Accademia di Belle Arti di Palermo)e Anita Giurato (fotografa, esperta in design del paesaggio); Salvatore La Rosa (ordinario di Controllo Stati stico dellaQualità, Dip. Contabilità Nazionale ed Analisi dei Processi Sociali), Silvana Curatolo (Dip. Contabilità Nazionale ed Analisidei Processi Sociali), Isabella Munda (Dip. Contabilità Nazionale ed Analisi dei Processi Sociali).

Barbara Lino 2

Mutare lo sguardo: le periferie da criticità a motori progettuali dell’innovazione urbana

Figura 1 Bonagia, bagli agricoli interclusi nel tessuto del quartiere (foto di Sandro Scalia)

Figura 2 Borgo Ulivia, i giardini e gli isolati residenziali (foto di Sandro Scalia)

Le analisi urbanistiche e lo studio dei processi di trasformazione in atto in queste aree hanno evidenziato oltre asituazioni di problematicità e marginalità l’esistenza nei quartieri di risorse che possono porsi come materialeprezioso per il progetto di rigenerazione. Aree di contatto tra paesaggio urbano e periurbano, i quartieri sono prossimi ad importanti risorse ambientali esono i nvestiti, a llo stesso tem po, da alcu ne trasformazioni che p ossono r appresentare l’occasione pe r la

Barbara Lino 3

Mutare lo sguardo: le periferie da criticità a motori progettuali dell’innovazione urbana

costruzione di processi di rigenerazione urbana in grado di ridefinirne il ruolo nella complessiva struttura dellacittà. La lettura delle trasformazioni in atto nei quartieri, in particolare, è stata articolata su due livelli, un livellodefinito micro ed un livello definito macro, ognuno di essi intende restituire una scala differente di attenzionecaratterizzata da diversi attori in gioco nei processi.Alla scala delle micro-trasformazioni è stato possibile evidenziare da parte degli abitanti alcune pratiche diappropriazione degli “spazi” dei quartieri attraverso usi “impropri” delle aree: la trasformazione in orti privati dialcune aree verdi pubbliche prospicienti le unità abitative ai piani terra degli edifici, la chiusura dei piani terraporticati condominiali per sopperire alla mancanza di aree di parcheggio custodito e per ev itare zone buieinsicure, o ancora la trasformazione di alcuni spazi comuni attraverso la creazione di luoghi di comunità in cuigli abitanti si riuniscono in nome di una comune identità religiosa.Gli abitanti che vivono i quartieri e ne usano quotidianamente gli spazi chiedono luoghi in cui esercitare praticheindividuali e collettive (fig. 3). Attraverso le analisi è stata inoltre evidenziata la nascita di forme di autogestione degli spazi comuni da partedegli abitanti, come nel caso in cui a Borgo Ulivia i residenti hanno organizzato forme di gestione e cura deglispazi verdi comuni.Queste pratiche cosiddette “improprie” sono state considerate elementi di ricchezza per il progetto e non solopratiche “deviate” degli u si dello spazio p ubblico: in q uanto pra tiche sp ontanee esse e splicitano domandeinespresse, no n sod disfatte dalle destin azioni d’uso or iginarie assegn ate da i pro getti d ei qu artieri, sonoespressione di istanze della collettività a cui il progetto di trasformazione deve dare risposta.

Figura 3 Borgo Ulivia, le trasformazioni dei piani terra (foto di Sandro Scalia)

Alla scal a delle macro-trasformazioni sono prev isti nei quartieri al cuni interventi che, se messi a sistema,potrebbero costituire un’importante occasione per ridefinire il ruolo di queste aree nelle più generali strategieurbane e migliorarne l e c ondizioni d i vi vibilità at traverso l ’immissione di n uove f unzioni. Tr a i p rogettinell’agenda politica in atto vi è il trasferimento in quest’area dei nuovi Mercati generali della città e la creazionedi una piastra commerciale e per il terziario che costituendo un ponte sulla circonvallazione ricuce fisicamente idue quartieri: queste nuove funzioni potrebbero diventare l’occasione per delocalizzare attività oggi poste in areecentrali (a loro vo lta “allegg erite” e d econgestionate) sfruttando la po sizione dei qu artieri in un’ area ch ecostituisce la porta sud della città per incanalare flussi ed economie sino ad oggi di puro attraversamento dallacintura metropolitana verso il centro della città.Tra gli altri progetti previsti vi sono poi la creazione del parco fluviale dell’Oreto e l’attuazione di alcuniprogrammi complessi tr a cu i un CdQ2 che riconosce ne lla dimensione ambientale ed eco logica la matriceprincipale per la riqualificazione dei quartieri lavorando sul sistema delle piste ciclabili e pedonali e sul recuperodegli spazi verdi interni.Le trasformazioni previste offrono la possibilità di ricollocare in modo nuovo Borgo Ulivia e Bonagia rispettoall’attuale offerta di città, immettendo nuovi fl ussi nell’ area, nu ove opportunità eco nomiche, fav orendo lacreazione di nuove centralità e migliorando il livello di mixitè funzionale e della qualità degli spazi pubblici. Lacreazione del parco urbano fluviale e le azioni messe in campo dal CdQ2 fanno del rapporto tra residenza, verdee frammenti di paesaggio agricolo intercluso tra i tessuti residenziali, l’occasione per offrire un nuovo modello diabitare sostenibile, preservando la bassa densità, migliorando il sistema della mobilità slow e collegando gli spazidei quartieri con il parco urbano fluviale attraverso la ricucitura del sistema degli spazi pubblici e delle aree verdipresenti. La creazione di un sistema integrato tra residenza e verde potrebbe offrire in questo modo un modellodi qualità in cui sperimentare uno stile di vita alternativo rispetto ai quartieri della città centrale compatta.

Barbara Lino 4

Mutare lo sguardo: le periferie da criticità a motori progettuali dell’innovazione urbana

3. Tra micro e macro, politiche locali e politiche di sistema: quali strategiepossibili per un’azione di riequilibrio e di integrazione delle periferieurbaneLa sf ida per cog liere l ’opportunità delle pe riferie rimanda, dunque, ad un dup lice ord ine di questioni e d istrategie conseguenti. Un primo ordine, esito di una prospettiva di osservazione ampia ed “estroversa”, attribuisce alle aree perifericheun ruolo strategico in quanto parti di un sistema urbano complesso e in quanto opportunità per contribuire ad unsuo riequilibrio. Questo approccio richiede un processo di forte integrazione, in cui la questione fondamentaleche si pone è quella di spostare il discorso dalle periferie alla città, sottrarle da un trattamento di cura localizzatoe specialistico, per reinserirle entro un’idea generale di sviluppo. Gli strumenti d i intervento sulle periferiedevono offrire indirizzi, metodi e provvedimenti in grado di intercettare, interpretare e trasformare l’intera cittàfacendo di esse una componente strutturale della stessa, e non più un elemento separato, altro rispetto ad unacittà il cui valore e la cui identità si misura quasi esclusivamente sulla base della qualità del suo centro.Da questo punto d i osservazione diventano fondamentali t anto una stra tegia d i “r iconnessione” quanto unastrategia mirata ad uno “sviluppo policentrico” del sistema urbano che sostituisca progressivamente una cittàfatta da un centro e molte periferie con una composta da molti centri e dagli spazi intermedi che ricevonol’intersezione dei flussi.La strategia della “riconnessione” va intesa nel senso di azioni in grado di elimininare le barriere (fisiche maanche culturali) tra i quartieri e la città e, evitandone l’isolamento, di connettere questi ai flussi di centralitàurbana (riconnessione quartiere-città). Un adeguato livello di accessibilità garantisce il raggiungimento di servizicollocati all’esterno dei quartieri periferici e costituisce il principale motore d’incentivo per il miglioramentodella qualità della vita, incidendo sulla facilità di accesso ai servizi ma anche sulla qualità ambientale e sullasicurezza. L’obiettivo di uno “sviluppo urbano policentrico”, invece, deve essere attuato attraverso la decentralizzazionenei quartieri di funzioni molteplici ed integrate: servizi di rango metropolitano, funzioni ed attività d’eccellenza,capaci di intercettare un sistema di flussi che transitano in dimensioni sovraurbane, in grado di ricollocare leperiferie nello sviluppo della città (attività sportive, commerciali, ludiche, direzionali, universitarie e di ricerca) edi rafforzare i processi di equità e coesione sociale.Un secondo ordine di questioni si addensa ad una dimensione più ravvicinata, “introversa”, micro, in cui laperiferia richiede innanzitutto un’azione di “complessificazione” dei quartieri, sensibilità spiccate del progetto edella cura degli spazi pubblici e del vivere quotidiano, delle fragilità sociali ed economiche, delle minoranze edelle identità culturali in essa presenti. Una tensione progettuale integrata, capace di attivare, attuare e alimentareazioni congiunte che siano capaci di intervenire contemporaneamente sui diversi capitali (sociale, architettonico,urbanistico ed ambientale).Da un’ottica “interna” al quartiere assume un ruolo privilegiato lo spazio pubblico, in quanto “coagulatore”,“addensatore” di qualità, principale attivatore di connessioni e legami. Il micro-tessuto connettivo degli spazicollettivi è, infatti, il materiale principale di un progetto capace di risolvere la frammentazione esistente neiquartieri, tessendo nuove relazioni tanto spaziali, quanto funzionali e identitarie.Lo spazio pubblico dei quartieri è quello delle piazze, dell’aggregazione sociale e culturale, ma anche quellodelle strade, dei percorsi pedonali e ciclabili, della ricucitura; è quello delle aree verdi e degli orti comuni maanche quello dei piani terra degli edifici (utilizzabili attraverso la riconversione a nuovi usi per attività collettiveo per nuovi spazi commerciali) e degli spazi del commercio.Tra le strategie possibili per orientare il progetto dello spazio pubblico nelle periferie vi è il riconoscimento divocazioni e istanze espresse dalle comunità locali anche att raverso usi “imprevisti” che si depositano inmateriali a nche m inimali di trasformazione e ridisegno dello spazio e che si m anifestano attra versomicrotrasformazioni, appropriazioni, forme di au togestione. Usi che nascono nel rispondere a domande cheinsorgono nell e pratich e di vita quotidiane e, quindi, che consentono di ri conoscere le do mande impliciteinespresse dalle comunità locali. Possibili strategie che si facciano carico di queste istanze, reinterpretandole etraducendole in azioni sostenibili, potrebbero essere o l’affidamento in gestione a gruppi di abitanti degli spaziaperti di pertinenza delle abitazioni ad esempio per realizzare e gestire orti e giardini, cioè pratiche che ponganoal centro dell’attenzione l’idea di cura degli spazi sottraendoli alle forme di fruizione non regolarizzate; o anche,più in generale, la promozione di occasioni di confronto e riflessione o di nuove forme di welfare capaci di re-interpretare e immaginare modi e tempi d’uso sia degli spazi individuali sia di quelli collettivi.Lavorare sullo spazio pubblico significa favorire nuovi stili di vita, sperimentare nuove forme dell’abitare socialeattraverso la diversificazione dell’offerta in funzione delle diverse categorie di users (studenti, giovani coppie,anziani, etc.), proporre forme di mobilità slow, occasioni per la fruizione “lenta” dei quartieri e la diffusione dinuove forme di socialità, di differenziazione negli stili di vita che investono il rapporto con lo spazio esterno egli spazi di prossimità. Il progetto di rigenerazione delle periferie urbane, per concludere, dunque, rimanda al principio di “integrazione”inteso secondo le tre dimensioni prevalenti dell’integrazione di spazi, di funzioni e di strumenti. Esso richiede

Barbara Lino 5

Mutare lo sguardo: le periferie da criticità a motori progettuali dell’innovazione urbana

una spiccata capacità di integrazione di livelli e strumenti, attori e interessi, nel senso di una transcalarità che siatanto verticale (tra scale di intervento), quanto orizzontale (tra settori e destinatari), capace di contaminare icampi di intervento avviando fertili sinergie tra la dimensione delle politiche e quella del ri-disegno dello spazioampio e complesso dell’abitare.

Bibliografia

Libri

Belli, A. (a cura di) (2006), Oltre la città, Pensare la periferia, Edizioni Cronopio, Napoli.Bellicini, L., Ingersoll R. (2001) Periferia italiana, Meltemi, Roma.Bird, J. (1977), Centrality and cities, Routledge and Kegan Paul, Londra.Bucci, F. (a cura di) (2003), Periferie e nuove urbanità, Electa Mondatori, Milano.Carta, M. (2008), Creative City, Dynamics, Innovations, Actions, List, Barcellona-Roma.Carta, M . (2009), Governare l’evoluzione. Principi, metodi e progetti per una urbanistica in azione,FrancoAngeli, Milano.Di Biagi, P. (2003), La città pubblica: un laboratorio della modernità da riqualificare e tutelare, in Stenti S. (acura di), Riprogettare la periferia. Scritti e progetti sul recupero dei quartieri di edilizia pubblica, Clean, Napoli.Jacquier, C. (2002), Periferie urbane, frontiere e margini della città in Governa, Laboratoriocittàpubblica (2009), Città pubbliche, Linee Guida per la riqualificazione urbana, Bruno Mondadori,Milano.Ingersoll, R. (2004), Sprawltown, Meltemi, Roma.Palermo, P.C. (2002), Prove di Innovazione. Nuove forme ed esperienze di governo del territorio, FrancoAngeli,Milano.Salzano, E. (2000), Le periferie cinquant’anni dopo, in Indovina F. (a cura di), -1959-2000 - L’Italia è cambiata,FrancoAngeli, Milano, pp. 335-360.

Articoli:

Carta, M. (2006), “Ri-generare le periferie urbane, progettare la città”, Progetti&Concorsi, n. 22, p. 6.Infussi, F. (2007), “L’housing sociale e il senso della città”, Dedalo, n.2, pp.12-17.

Barbara Lino 6

Dall’integrazione all’accoglienza: spazi aperti e valorizzazione delle diversità

Atti della XIII Conferenza Società Italiana degli UrbanistiCittà e crisi globale: clima, sviluppo e convivenza

Roma, 25-27 febbraio 2010Planum - The European Journal of Planning on-line

ISSN 1723-0993

Dall’integrazione all’accoglienza: spazi aperti evalorizzazione delle diversità

Silvia MantovaniDUPT (Dipartimento di Urbanistica e Pianificazione Territoriale)

Università di Firenze, [email protected]/fax 055.495825

AbstractLa rivoluzione concettuale introdotta dalla Nuova Scienza ci aiuta a orientarci in situazioni di disordine e caos. La sfida della complessità ci spinge così ad inventare nuove forme di pianificazione, capaci di imparare adorganizzare la crisi, abbandonando le certezze, le semplificazioni e l’autismo disciplinare.Gli spazi aperti diventano la base da cui partire, lo spazio della diversità, il piano del gioco su cui sperimentarenuove forme di sviluppo e di paesaggio.

1. La complessità come presupposto

La città è sottoposta a domande contraddittorie. Voler superare tale contraddittorietà è cattiva utopia. Occorre darle forma.

La città è il perenne esperimento di dare forma alla contraddizione.Massimo Cacciari1

Integrazione è una delle paro le che oggi maggiormente compaiono ne i d iscorsi di politici, amministratori,giornalisti, i ntellettuali v ari, a s ottolineare la n ecessità, o q uanto m eno la v olontà di avvicinamento, diriconciliazione tra diversi: cu lture locali e iden tità globale; sv iluppo e ambiente; c ittà e natura; pubblico eprivato, e così via.Integrare si gnifica letteralmente completare aggiungendo ciò che manca. Troppo spesso, però, questa azioneparte dal presupposto che ciò-che-viene-completato sia preponderante (come importanza, senso, valore) rispettoa ciò-che-va-a-completare. C osì il c oncetto primario d i inserimento/ricomposizione di viene sinonimo diassorbimento, di assimilazione. L’integrazione tanto auspicata, in molti casi, si trasforma quindi in alienazionedel diverso a ll’interno della maggioranza conforme, n el suo de potenziamento att raverso un a riduzioneunificante.Inquietante è la vicinanza di questa parola con un'altra oggi molto di moda: integralismo. Condividendo la stessaradice, i due termini fi niscono talvo lta per inseguire, an che se in modi d issimili, un o stesso fine: q uellodell’annientamento del diverso attraverso la riduzione all ’unità; de l raggiungimento dell’ordine, che è vistocome il bene supremo. La chimera della nascita dell’ ordine dal Chaos originario che si trasforma in Cosmos, spazzando via una voltaper tutte ogni indeterminatezza, ogni dubbio e insicurezza, è un mito intramontabile.Talvolta però l’ordine (o il suo eccesso), è nemico della libertà. Come sostiene infatti Lucien Kroll “l'ordinemonopolizza il potere decisionale e stru ttura in gerarchie. Applicato all'u rbanistica e all'architettura diventaavversario de ll'umanesimo e d ell'ospitalità e c onsente di m antenersi indifferenti ai disa stri p ortatidall'inquinamento e dallo spreco. Non è un caso che l'Ordine sia sempre e solo singolare; più ordini confliggonoe quest o fa istantaneam ente di sordine. Ne c onsegue ch e è il d isordine a essere d iventato il naturalerappresentante della gente” (Kroll, 2009).Parallelamente, anche la rivoluzione concettuale introdotta dal la Nuova Scienza, ha rivalutato i l ruolo deldisordine, sostituendo la complessità2 all’ordine lineare, ai modelli, a quei caratteri matematici, con cui fino adoggi ritenevamo essere stato scritto il grande libro della Natura.

1 Massimo Cacciari (2004), La città, Pazzini Editore, Rimini.2 Il concetto di complessità è stato approfondito, tra gli altri, da Edgar Morin (Introduzione al pensiero compless/, Sperling & Kupfer,Milano 1993); Mitchell Waldrop (Complessità. Uomini e idee al confine tra ordine e caos, Instar Libri, Torino 1995) e da Isabelle Stengerse Ilya Prigogine (La nuova alleanza. Metamorfosi della scienza, Einaudi, Torino 1999).

Silvia Mantovani 1

Dall’integrazione all’accoglienza: spazi aperti e valorizzazione delle diversità

L’idealizzazione di una realtà complicata, ma riducibile a sistemi semplici e stabili, si è scoperta infatti validasolo per pochi casi limite, mentre la regola si è rivelata essere la caoticità dei sistemi dinamici, per i quali nonpuò essere fatta nessuna dettagliata previsione.Nei momenti di crisi, inoltre, gl i elementi di cambiamento, di discontinuità, non sono fenomeni al di fuoridell'andamento regolare delle cose, ma sono parte di una evoluzione generale le cui logiche, a lungo termine, cisfuggono. Questi momenti, però, non sono solo punti di rottura negativi, da contrastare, ma possono costituire il confine tradue ordini diversi, il passaggio tra due fasi nel cammino del progresso (inteso come avanzamento della storia),all'interno del quale è possibile agire in maniera creativa.Ma se la Nuova Scienza ci ha mostrato che tutto è in movimento e in relazione, l’uomo continua a cercare diimbrigliare la realtà in un equilibrio statico e rassicurante, di integrare il caos in un mondo newtoniano, fatto dicertezze e di incrollabile fede nell’esistenza di un ordine conoscibile e prevedibile.In nom e di un riduzionismo sem plificante, promuoviamo anc ora una tra nquillizzante integrazione delparticolare, del singolare all’interno del generale, mentre la rivoluzione messa in atto dalla complessità ci spingead i ntraprendere un pe rcorso aperto alle in novazioni, all ’accoglienza dell’eccezione, de lla ca sualità, de lladeviazione. Comunemente il termine accogliere, il cui significato originario è “raccogliere presso di sé”, presenta infattisignificati simili a quelli del verbo integrare. Ma ad essi aggiunge una sfumatura essenziale, che consiste nellabene-volenza come presupposto dell’accettazione, dell’apertura al diverso, tipica di chi si pone nei pannidell’ospite, di “colui che sostenta o nutre i forestieri” senza fini di lucro, ma per sola umanità.Accoglienza diviene quind i la pa rola ch iave di un n uovo umanesimo, d i un a ospitalità, che i n term iniarchitettonici e urbanistici si traduce in accessibilità, in equità: ambientale, sociale, culturale. All’onnipotenza tecnocratica si sostituisce la pratica della cura3, che sposta l’attenzione dal risultato al processo,dalla l inearità d elle d ecisioni al la r ete de lle m ediazioni, e di viene i l p resupposto di un a ass unzione diresponsabilità che può nascere solo dall’ascolto e dalla relazioneLa qualità, infine, supera la visione di una estetica formale basata su una statica armonia, su prescrizioni rigideche definiscono usi, funzioni, forme e materiali, e che si trasforma in degrado e vandalismo ogni qual volta lavita esce dagli schemi. Qualità diviene sinonimo di pluralità, a cui si affianca la capacità di prendersi cura, diaccogliere il diverso, l'inatteso. "The finished project has to be infused with life, and as time progresses, the builtdesign must start to lead a life of its own. The matter in hand is not to bring about a chosen aesthetics but tocarefully accompany the emergence of a new and often unexpected process (...)” (Brands, Loeff, 2002; p.69).In quest’ottica la teoria del caos, allora, così come i concetti di auto-organizzazione, di sensibilità alle condizioniiniziali, ecc…, acquistano “un significato paradigmatico che va al di là dei semplici confini dello specialismofisico” in quanto hanno un significato trasversale che “mostra come si possano ristrutturare i problemi dellaspiegazione e della previsione. (...) Le leggi del caos sono una via per espandere il contesto scientifico, per poteraffrontare anch e i cam biamenti qu alitativi, le disco ntinuità, le i nstabilità, le si ngolarità, le p robabilità, leirreversibilità, le novità, le emergenze...” (Ceruti, 1995; pp.14-15).Sia a livello empirico che logico, si tratta quindi di accogliere e ridare valore all'incertezza, alle eccezioni, senzanegarle nella ricerca di una verità assoluta, di un ordine integralista. La strada è quella tracciata dalla rivoluzione culturale della Nuova Scienza, ma ogni disciplina deve fare losforzo di definire all'interno del proprio campo quella tensione sollevata dal pensiero della complessità, ch ecome è stato spesso sottolineato, non è la soluzione a tutti i problemi, ma è un nuovo problema a cui daresoluzione.

2. Pianificare la crisi Come m olte altre d iscipline, an che l a p ianificazione tradizionale si è sp esso po sta in una prospettivadeterministica, lineare, che, attraverso l’applicazione di leggi generali, ha tentato di disegnare sulle carte unavolontà finalistica immobile, che escludeva ogni possibile evento non pianificato ed eliminava il tempo a favoredi un statica armonia. In qu esto modo, però, l 'ordine previsto non è stato mai raggiunto, e si è persa l'o ccasione di sfruttare icambiamenti, di organizzare la crisi.Come si è v isto, la r ivoluzione d ella N uova Sci enza, pr efigurando l a n ascita d i u na "t erza cul tura",(contemporaneamente lontana da una scienza estranea all'uomo e da una irrazionale protesta antiscientifica),"vale a dire un ambiente dove possa intrecciarsi l'indispensabile dialogo fra la procedura della modellizzazionematematica e l'esperienza concettuale e pratica di quegli economisti, biologi, sociologi, demografi, medici, checercano di descrivere la società umana nella sua complessità" (Prigogine, Stengers 1999; p.35), ha indicato la viada percorrere.I tempi sono dunque maturi per iniziare ad impostare anche una terza pianificazione.

3 Il tema del lavoro di cura come modello esportabile nelle pratiche progettuali, è stato approfondito da Annalisa Marinelli nel saggio Eticadella cura e progetto, Liguori editore, Napoli 2002.

Silvia Mantovani 2

Dall’integrazione all’accoglienza: spazi aperti e valorizzazione delle diversità

Compreso infatti che qu ello ch e po ssiamo ragionevolmente d ire del fu turo è molto poco, e molto spessodestinato ad essere smentito dai fatt i, l'unica possibilità è abbandonare la certezza del piano per accogliere,interrogare, ed esplorare, ciò che Sun-Wu, il maestro della guerra, chiamerebbe il potenziale nascosto in ognisituazione.Di fronte al riproporsi continuo di eventi critici, le teorie della complessità ci mostrano infatti che esistono trediverse possibilità di scelta: arrendersi al caos, opporsi al caos, oppure riorganizzarsi. Il sistema urbano, ad esempio, può opporsi all’imprevedibiltà dei cambiamenti tentando di irrigidire le suenorme, le forme e le funzioni, sclerotizzandole e rendendole incapaci di modificarsi senza essere distrutte. E’ lastrada che molto spesso ha privilegiato l’urbanistica razionalista, che, per sua intrinseca vocazione, ha tentato diraggiungere l’ ordine prestabilito, co ntrastando ogni eleme nto e qua lsiasi eve nto c he si allontanasse ocontraddicesse l'equilibrio cercato. In quest’ottica, l’autismo tecnico-amministrativo, non ha lasciato spazio né ha creato spazio: per l’integrazione,la comunicazione, l’accoglienza.Al co ntrario l ’organismo u rbano p uò arrendersi al dis ordine, m odificandosi incessantemente, i n manieraimprevedibile e incontrollabile, senza produrre mai una immagine riconoscibile o una identità stabile. E’ lastrada, ad esempio, della deregulation, dove il mercato diviene l’unica legge, che si sostituisce al sapere tecnicoe all’interesse pubblico, in una deriva individualistica che, come in un gioco di specchi tra amministratori eamministrati, incoraggia l’irresponsabilità e la prevaricazione. E’ questa una delle tante forme di resa al caos,che h anno determinato forme urb ane di ffuse, sen za disegno né identità precisa, immerse in un ambientedevastato da uno sfruttamento miope e predatorio.La nuova scienza della complessità ci insegna però che tra i due estremi (opporsi o arrendersi) esiste una terzavia, che è quella che consiste nel variare spontaneamente i rapporti tra gli elementi costitutivi, per raggiungereuna struttura temporaneamente coerente e ordinata, che risponde ad una logica di minima resistenza (massimobeneficio con il minimo sforzo). Un modo per resistere al caos, dunque, è quello d i adattarsi al disordineriorganizzandosi, sviluppando cioè strutture ordinate da situazioni caotiche.L'autorganizzazione, in a mbito urb ano, e siste da s empre, in forme che nascono generalmente a livellospontaneo: un tempo attraverso la "sedimentazione di una miriade di scelte di 'minima resistenza' compiute inrisposta a un preciso e ristretto insieme di necessità abitative, produttive, relazionali ecc..." (Donato, LucchiBasili, 1996; p.135), oggi attraverso le mille forme di abusivismo e di auto-appropriazione dello spazio messe inatto da chi, escluso o deluso dalla progettazione urbana ufficiale, non fa resistenza alle regole, ma le ignora,inventando altre strade, altri linguaggi attraverso i quali esprimere la propria identità, adattare e adattarsi alproprio ambiente. Più il contesto urbano è rigido e uniforme,quindi, più si moltiplicano le situazioni conflittuali, le trasgressioni, leopposizioni, non essendoci spazio per l'adattamento, per la creatività individuale, per l'espressione delle diverseidentitàUna terza pianificazione, capace di superare, parafrasando Stenger e Prigogine, sia una progettazione estraneaall'uomo che una irrazionale protesta anti-urbanistica, inizia oggi a diffondersi in ogni piano o progetto cherinuncia all’arroganza e all’au tismo d isciplinare e decisi onale, a ccogliendo i princ ipi di adattatività e diapprendimento, che sono alla base dei meccanismi di autoregolazione.La pluralità esistente di forme e di pensieri non può più infatti essere ricomposta, neppure in ambito urbano,attraverso l'imposizione di un ordine esterno, come decenni di piani urbanistici hanno tentato di fare, ma vaaccolta sviluppandone le potenzialità, riconsiderando i rapporti tra ordine e disordine, tra uomo e natura, eimparando dalle scienze dure a riconoscere che la lontananza dall'equilibrio non è soltanto disordine e caos, maanche autorganizzazione, evoluzione, partecipazione.Il pi ano d iviene al lora il momento intermedio tra l' idea e la sua realizzazi one, ri fiutando ogni immaginedefinitiva, ma assumendo una forma, come quella dell'acqua, flessibile e adattabile. Il tempo diventa artefice,all'interno di u na co ntinuità progettuale, che è stata defi nita come un pr ocesso co ntinuo d i interactiveimplementation4.Infine, lo spostamento dell’attenzione dal fine al processo, dai singoli oggetti allo sfondo delle relazioni, portadefinitivamente in luce come la metropoli diffusa, spazzando via le divisioni tra città e campagna, tra urbano edextraurbano, tra città e p aesaggio, si presenta co me un sistema ibrido, co mplesso, ch e n ecessita di nuovistrumenti di pianificazione e gestione.L’urbanistica non pu ò p iù d unque pr escindere dal pae saggio, e il paesagg io non può più esse re difesocristallizzandolo, rinchiudendolo in un vincolo, o scegliendo di non fare, ma solo impegnandosi a fare bene:strade, abitazioni, ma anche cave e discariche che lo presuppongano e lo rispettino. La pianificazione, urbana e paesistica, devono perciò fondersi per superare le divisioni, accogliere le diversità eaffrontare la casualità, per inventare una terza pianificazione che "inserisce la città nel contesto degli spaziaperti" (Baldi, 1999; p.105).

4 I l concetto di interactive implementation riferito al processo di pianificazione è approfondito nel saggio di Pieter De Greef (a cura di)(2005), Rotterdam Waterstad 2035, Episode Publisher, Rotterdam.

Silvia Mantovani 3

Dall’integrazione all’accoglienza: spazi aperti e valorizzazione delle diversità

Una Urbanistica Paesaggista5, che spinge verso un cambiamento che è prima di tutto culturale: "the semanticshift in the concepts of both landscape and city is so significant that we can speak of a paradigm shift, a shiftthat makes landscape and the city interchangeable on the widest variety of level" (Girot, 2004; p.42).

3. Piano e progetto degli spazi aperti come strumento di accoglienza evalorizzazione delle diversità

Il progetto di paesaggio sembra costituirsi proprio come valore aggiunto dell'integrazione,della trasversalità, della possibilità di interpretazioni molteplici. In questo senso ogni

progetto integrato si costituisce come potenziale progetto di paesaggio.Lucina Caravaggi 6

Il paesaggismo è veramente olistico, e un'architettura (e un'urbanistica) che su di esso si fondi, subito diviene strumento di civilizzazione.

Lucien Kroll7

I vuoti, contrapposti ai p ieni dell ’edificato, o meglio g li spazi aperti, secondo una moderna e più efficaceterminologia, sono per definizione i luoghi dove “può ancora avere luogo la riproduzione della vita animale evegetale, sia spontanea che orientata” (Ferrara, Campioni, 1998; p.32) . Sono i luoghi delle opportunità, rispettoalle decisioni già prese del costruito, dell’accoglienza della bio-varietà, nel senso più ampio e trasversale deltermine.Oggi non è più il tempo della tolleranza o dell'integrazione, come sostiene Massimo Venturi Ferriolo: "oggibisogna accogliere" (Venturi Ferriolo, 2006; p.111). Non solo sopportare o assimilare il diverso, l'inatteso, maesaltarlo, valorizzandone le peculiarità.E’ dalle possibilità, allora, più che dalle certezze che si deve ripartire: "al disegno degli spazi aperti il progettodella città contemporanea affida i compiti un tempo affidati al giardino: essere il luogo ove si sperimentano emettono a punto nuove idee. Al loro insieme affida i compiti svolti dalla maglia stradale nella città moderna:dare forma alla città temperandone la frammentarietà e l'accostamento paratattico. Svolgendo questo compitol'insieme degli spazi aperti (...) assume l'importantissimo ruolo d'intermediario tra i differenti frammenti urbani(...) organizzandoli in alcune grandi figure" (Secchi, 2000).Cadono così le inutili classificazioni di aree verdi, spazi pubblici, e vuoti urbani; di parchi, piazze, giardini elungofiumi, per ricomporsi in una rete di opportunità su cui fondare una nuova politica integrata di qualitàurbana. Il paesaggio, nel suo senso più ampio, è "mobilitato" per accogliere e dare un senso al disordine ed alladinamicità, per dare spazio alla diversità e al tempo, per diventare seme, indicatore, catalizzatore di uno svilupponuovo. L'ordine costruito deve lasciare il posto al disordine delle possibilità, così che si inizi a trattare da vivente ciò cheè vivo, valorizzando il movimento, la trasformazione, la complessità, che sono il carattere dell'esistenza, chedanno vita alle regole, aggiungendo ad esse quel fondamentale attributo che spesso si è perso: il senso.L'impossibilità di predire un futuro lontano, di definire una forma, di determinare una funzione certa, possonoessere allora assunte non come incertezza destabilizzante, ma come possibilità di ognuno di operare scelte, dimettere in atto azioni che possono fare la differenza.Gli spazi aperti diventano così i luoghi dell’accoglienza, dove sperimentare quello che Gilles Clement chiama"spirito del non fare", così come si impara quello del fare; dove in iziare a incorporare nel progetto anchel'indecisione, le riserve, le domande oltre che le risposte; dove valorizzare la non-organizzazione indicandola noncome disordine ma come una organizzazione diversa "attraversata dai lampi della vita" (Clement, 2005; p.59).Accogliere la diversità, il disordine e l'incertezza per opporsi dunque ad una pianificazione integralista, maanche alla deriva estetizzante di certa odierna progettazione del paesaggio, che manovrata da politici e attori variin cerca di pubblico consenso, tende a trasformarsi sempre più in arte decorativa, confezionando con involucriverdi i più disparati progetti, secondo una operazione di puro marketing (Brands, Loeff, 2002). Quello che serve è una ibridazione disciplinare tra urbanistica, arch itettura e p ianificazione del paesaggio,trovando a ciascun a il g iusto ruo lo e le ne cessarie respon sabilità: "on ly wi th suc h co ncerned efforts andcollaboration b etween sep arate fields will we succeed in reco nciling a rchitects wi th na ture, people wi thlandscape, and ourselves with reality" (Girot, 2004; p.48).Una Urbanistica Paesaggista, dunque, che si rivolga alla totalità contestuale di architettura e spazi aperti, dicittà e paesaggio, di accoglienza at tiva e to lleranza responsabile, e che sappia inventare un nuovo ordine,imparando dal caos.

5 Per approfondimenti sul concetto di urbanistica paesaggista vedi Silvia Mantovani (2009), Tra ordine e caos. Regole del gioco per unaurbanistica paesaggista, Alinea, Firenze. 6 Lucina Caravaggi (2002), Paesaggi di paesaggi, Meltemi, Roma.7 Lucien Kroll L.(1999), Tutto è paesaggio, Testo e Immagine, Torino.

Silvia Mantovani 4

Dall’integrazione all’accoglienza: spazi aperti e valorizzazione delle diversità

Figura 1. Regole del gioco per una urbanistica paesaggista

Silvia Mantovani 5

Dall’integrazione all’accoglienza: spazi aperti e valorizzazione delle diversità

BibliografiaBaldi Maria Elsa (1999), La riqualificazione del paesaggio. Progettualità naturalistica e storico-culturale nellapianificazione degli spazi aperti per la sostenibilità della bellezza, La Zisa, Palermo.Bocchi Gianluca, Ceruti Mauro (1985), La sfida della complessità, Feltrinelli, Milano.Brands Bart, Loeff Karel (2002), Beyond aesthetics, Topos, 40, 61-69.Cacciari Massimo (2004), La città, Pazzini Editore, Rimini.Caravaggi Lucina, (2002), Paesaggi di paesaggi, Meltemi, Roma.Ceruti Mauro (1995), Evoluzione senza fondamenti, Laterza, Bari.Clement Gilles (2005), Manifesto del Terzo Paesaggio, Quodlibet, Macerata.De Greef Pieter (a cura di) (2005), Rotterdam Waterstad 2035, Episode Publisher, Rotterdam.Donato Franco, Lucchi Basili Lorenza (1996), L’ordine nascosto dell’organizzazione urbana. Un’applicazionedella geometria frattale e della teoria dei sistemi auto-organizzati alla dimensione spaziale degli insediamenti,Franco Angeli, Milano.Ferrara Guido, Campioni Giuliana (1998), Tutela della naturalità diffusa, pianificazione degli spazi aperti ecrescita metropolitana, Il Verde Editoriale, Milano.Girot Christophe (2004), Developments in landscape architecture in Europe, Topos, 49.Kroll Lucien (1999), Tutto è paesaggio, Testo e Immagine, Torino.Kroll Lucien (2009), Ordine, disordine, contrordine, Bioarchitettura, 55, 23-27.Mantovani Silvia (2009), Tra ordine e caos. Regole del gioco per una urbanistica paesaggista, Alinea, Firenze. Marinelli Annalisa (2002), Etica della cura e progetto, Liguori editore, Napoli.Morin Edgar (1993), Introduzione al pensiero complesso, Sperling & Kupfer, Milano. Prigogine Ilya, Stengers Isabelle (1999), La nuova alleanza. Metamorfosi della scienza, Einaudi, Torino.Secchi Bernardo (2000), Prima lezione di Urbanistic/, Laterza, Bari.Venturi Ferriolo Massimo (2006), Il paesaggio. Opinioni a confronto, in Marini S. (a cura di), Dessiner surl'herbe. Architetti per il paesaggio, Quaderni IUAV, 43, Il Poligrafo, Padova.Waldrop Mitchell (1995), Complessità. Uomini e idee al confine tra ordine e caos, Instar Libri ,Torino.

Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte.

Silvia Mantovani 6

L’insicurezza urbana e le forme di controllo degli spazi pubblici

Atti della XIII Conferenza Società Italiana degli UrbanistiCittà e crisi globale: clima, sviluppo e convivenza

Roma, 25-27 febbraio 2010Planum - The European Journal of Planning on-line

ISSN 1723-0993

L’insicurezza urbana e le forme di controllo degli spazipubblici

Angelino Mazza Dottore di ricerca in Urbanistica e Pianificazione Territoriale

Centro Interdipartimentale di Ricerca L.U.P.T. (Laboratorio di Urbanistica e Pianificazione del Territorio) Università degli Studi di Napoli “Federico II”.

Il tema della sicurezza nelle città si è consolidato sullo sfondo di una crescente rilevanza della crisi del governourbano e delle di fficoltà de l pensiero urbanistico nel con frontarsi co n una do manda soci ale se mpre pi ùdifferenziata ed esigente. La città infatti, rapp resenta il campo naturale dove la paura pe r la c riminalità sidiffonde e dove si dispiegano i suoi effetti; sotto questa spinta, la città sta cambiando profondamente nelle forme,nelle modalità organizzative, nei comportamenti individuali e collettivi. L’uso differenziato degli spazi pubbliciè un dato rilevante che bisogna considerare sia nel disegno che nell’integrazione socioculturale e non solo intermini di percezione securitaria. Il tema del rapporto tra la sensazione di paura (sentimento di insicurezza epercezione del rischio) ed ambiente urbano (ove la sensazione viene frequentemente rapportata) può essereaffrontato da diversi punti di vista. Le nostre città infatti, sono più che mai attraversate da onde di disagio einsicurezza, a volte addirittura da paura. Ciò non sempre si accompagna ad un effettivo aumento del rischio, o adun aumento delle probabilità di rimanere vittime di un reato. Anzi, l'andamento complessivo della criminalità ela sua distribuzione territoriale, sembra avere una tendenza autonoma rispetto alla percezione collettiva dellasicurezza o dell’insicurezza di una città (Chiesi, 2005).Se si confrontano i dati sulla criminalità con quelli sull'insicurezza percepita (Istat, 2007) ci si accorge delladistanza e sorprendente autonomia dell'andamento dei due fenomeni: l'uno calcolabile esattamente in terminiprobabilistici (il rischio), l'altro (la percezione) stimabile attraverso lo strumento del sondaggio d'opinione sularga scala. È anche giusto segnalare come al diminuire del rischio effettivo, l'insicurezza percepita resta stabile,o addirittura aumenta. Una prospettiva del tutto diversa porta invece a focalizzare l’attenzione sui processisociali ch e favo riscono la d iffusione d i sentimenti so ggettivi di insi curezza, sp esso del tut to i ndipendentidall’andamento effettivo delle cause del rischio (Mela, 2005). La domanda che ci si pone è quella di capire il perché (al di là di ciò che dimostrano i diversi indicatori“oggettivi”) proprio la città contemporanea si presti bene a fornire uno sfondo credibile a preoccupazioni di varianatura, uno scenario su cui i costruttori di paure (Mela, 2003) possono operare con particolare efficacia.Del resto questo disagio percepito, che ha carattere peculiarmente urbano, si trasferisce ad una paura dellacriminalità, ad una convinzione che lo spazio pubblico urbano sia più insicuro, che in esso siamo più vulnerabilidi prima. Tra l'altro il senso di disagio e la relativa domanda di sicurezza hanno assunto proporzioni talmente rilevanti dadiventare pri orità nell 'agenda po litica, sop rattutto nel governo locale e pe rtanto ri sulta particolarmenteimportante conoscerne le ragioni. I segni visivi di disordine sociale e fisico nello spazio pubblico hanno unpotente impatto sulle nostre percezioni riguardo alle comunità urbane in cui viviamo o che attraversiamo. Questisegni di sono una sorta di presentazione di una città ed hanno un ruolo nella formazione della sua immaginepubblica, contribuendo alla sua reputazione. Ma l'importanza del disordine urbano così inteso, non si limita acontribuire alla costruzione sociale dell'immagine di una città: ha molte più conseguenze.La p aura di ffusa è un seri o p roblema soc iale, è suf ficiente o sservare at tentamente i r isultati de lla p rimaimponente ricerca nazionale sulla vittimizzazione, condotta dall'Istat nel biennio 2005-07: ben 14 milioni e 224mila italiani con 14 anni o più dicono di sentirsi “poco o per niente sicuri” quando camminano da soli nella zonain cui vivono, quando è buio. E neanche lo spazio domestico, il più intimo e protetto, è risultato non immune dapreoccupazioni securitarie: addirittura 5 milioni e 813 mila persone dichiarano di sentirsi poco o per nientesicure quando si trovano da sole in casa di sera. Va an che ricordato che il tasso d i criminalità del nos tro paese è tendenzialmente in au mento (anche se ècircoscritto) e l'Italia resta un paese con livelli di criminalità contenuti, più bassi ad esempio rispetto agli altripaesi europei (Rapporto CENSIS, 2007). È dunque, un serio problema poiché la paura ha immediati effettisociali: può portare ad una diminuzione dell'integrazione (gli ultimi eventi sono un segno tangibile di questodisagio) ed a fenomeni di fuga e di migrazione interna; ancora, può portare ad una inibizione delle attività sociali

Angelino Mazza 1

L’insicurezza urbana e le forme di controllo degli spazi pubblici

ed a comportamenti di ritiro dagli spazi pubblici e, per ultimo, all'aumento dei costi (individuali e sociali) relativialle spese pe r la sic urezza. Alcuni studi osi della questione a ffermano “come la vittimizzazione stessa, leconseguenze della paura sono reali, misurabili, e potenzialmente severe, sia a livello individuale che sociale”1,altri, invece addirittura hanno concluso che la paura del crimine è un problema sociale più grave del criminestesso. Seguire queste premesse significa, come vedremo, porre anche l'attenzione non solo sulle politiche disicurezza ma altresì su quelle di rassicurazione che, in questo momento specifico, hanno la stessa rilevanza delleprime.

1. La città come luogo-spazio delle paure, luogo-spazio del pericoloLa città dunque rappresenta il campo naturale dove la paura per la criminalità si diffonde e dove si dispiegano isuoi effetti (Amendola, 2003), so tto questa sp inta la cit tà sta cambiando profondamente nelle forme, nellemodalità organizzative e nei comportamenti individuali e collettivi. Nell’affrontare il tema della paura diffusa ed i suoi effetti sulla forma e sull’organizzazione della città è utile farepreliminarmente alcune considerazioni di metodo per meglio definire i l campo di riflessione. Ciò che s tacambiando, forse più pr ofondamente d i qua nto n on s i creda, no n è tanto il pericolo ra ppresentato d allacriminalità, quanto la crescente e diffusa paura della popolazione.L’ordine fisico che il movimento moderno si illudeva di ottenere con lo zoning attraverso la separazione dellefunzioni si è rilevato disordine sostanziale a cui spesso la popolazione reagisce con una accresciuta domanda disicurezza, con queste parole Jacobs (1969) sviluppava gran parte della sua critica alla così chiamata urbanisticaortodossa affrontando il tema della sicurezza. Nella città contemporanea si vive a ridosso della diversità e, laprossimità fisica, ci impone l’incontro con gli altri. L’imprevedibilità è la norma e può creare facilmente paurache con il tempo cresce e si diffonde generando nuovi schemi di comportamento e di uso della città stessa(Amendola, 200 3). I nu ovi “ luoghi” della città c ontemporanea s ono ca ratterizzati dalla loro capa cità diautodifendersi (ad esempio gli aeroporti, shopping mall, etc.) e di generare autoesclusione, attraverso una semprepiù costante privatizzazione degli spazi pubblici in nome e sotto l’icona della paura e del rischio.Alcuni lavori hanno tentato di proporre classificazioni di particolari elementi che compongono lo spazio urbano,associando a determinati tipi (definiti in base alle loro caratteristiche morfologiche o in base alle modalità difrequentazioni) potenziali stati di ansietà. Altro tema fondamentale è quello della distribuzione sociale dei fattorisi vulnerabilità che, associato ad una specifica t ipologia di spazi, contribuisce a far emergere una specificasensazione di insicurezza.

Tab. n. 1: alcune tipologie di spazi urbani che per pura configurazione morfologica e per le caratteristiche socio-culturaliattivano un processo di una sensazione di insicurezza legata alla loro frequentazione 2.

Su questi argomenti esiste una letteratura molto ampia che, associata a vari studi teorici, ha fatto emergere alcuneconsiderazioni rilevanti sui fattori di vulnerabilità che possono essere connessi a variabili come il genere, l’età,l’appartenenza sociale, la provenienza etnica, che associati alla vulnerabilità sociale3, rappresentano quei timorirelativi alla possibilità di essere vittime di episodi di microcriminalità propri dei gruppi svantaggiati (Mela,2003).Se i fattori di vulnerabilità sono connessi a caratteri socioeconomici, culturali o psicofisici dei soggetti, quindiindipendenti dalla morfologia dei luoghi in cui essi vivono, è anche vero che alcuni aspetti collegati all’ambientepossono influenzare positivamente o negativamente la capacità di controllo delle motivazioni, facendo emergerequelle condizioni che favoriscono la sensazione di insicurezza.In alcune zone della città frutto di sistemi di pianificazione efficaci (come ad esempio parchi, zone verdi, areeattrezzate, etc.), nati come spazi di aggregazione ma allo stesso tempo con un inadeguato stato di manutenzione edi dim ensione, ven gono per cepiti da lla popolazione co me sp azi incontrollati e d i scar sa af fidabilità, i nparticolare per quelle classi sociali più vulnerabili (anziani, donne, bambini). Lo stesso si può dire per alcuniparticolari spazi chiusi che, per la loro conformazione, non permettono alternative al passaggio; anche in questocaso la sensazione di incuria si associa a quella dell’intrappolamento.

1 Tra gli altri: Amendola (2003), Belluati (2004), Bricocoli (2005), Pitch (2006).2 Ns. Elaborazione da Mela A. (2003), “Le paure e gli spazi urbani”, in Amendola G. (a cura di), /Paure in città. Strategie edillusioni delle politiche per la sicurezza urbana/, Liguori Editore, Napoli.3 Sui fattori di ineguaglianza relativi alla vulnerabilità sociale vedasi tra gli altri: Evans D., Fletcher M. (2002), “Fear ofcrime: testing alternative hypotesis”, in /Applied Geography n. 20/, Elsevier, London.

Angelino Mazza 2

SPAZI VUOTI AFFOLLATIAPERTI Parcheggi, Parchi, etc. Mercati, Piazze, etc.

CHIUSI Sottopassi, passaggi coperti, etc. Stazioni Ferrov iarie e d ella metropolitan a, M ercaticoperti, Supermercati, etc.

L’insicurezza urbana e le forme di controllo degli spazi pubblici

Tab. n. 2: aspetti delle sensazioni di insicurezza4.

Analogamente anche in spazi ad alta frequentazione possono emergere sensazioni legate alla percezione dimancato controllo sociale derivante dalla disorganizzazione delle funzioni che espone soggetti (anche in questocaso quelli appartenenti alla categorie più vulnerabili) a possibili minacce (in questo caso meglio definite come“potenziali”).Tuttavia, nella categoria degli spazi affollati al chiuso, si possono avere sensazioni non strettamente legate almancato controllo ma piuttosto ad un’appropriazione del territorio da parte di soggetti sociali estranei; una sortadi privatizzazione degli spazi pubblici che può produrre effetti gravi (è il caso di terr itori controllati dallacriminalità organizzata). Bisogna notare che, ad esclusione dell’ultima ipotesi, vi è una percezione indistinta delpericolo, legata a situazioni di “disordine” urbano, al degrado fisico ed ambientale di certi spazi pubblici chesommata al disagio sociale diventano fattori di resistenza nei confronti di certi ambienti e spiegano la diffidenzaal loro uso di alcune categorie sociali.

2. Il conflitto e il declino degli spazi pubbliciIn effetti, dobbiamo affrontare un persistente declino degli spazi pubblici nelle nostre città sebbene questi sianostati da sempre privilegiati nella storia dell'urbanesimo e della urbanistica. In effetti, oggi essi subiscono unainfluenza distruttiva, quasi un impatto mortale, e sembrerebbe proprio che la principale causa sia da attribuirsiall'enorme espansione della popolazione urbana. Essa si concentra nelle aree in cui le qualità e i valori urbanisono più elevati creando in tal modo una importante nuova domanda di centralità e di spazi pubblici. A fronte ditale domanda è stato difficile (e comunque non è previsto e nemmeno programmato) avere una corrispondenteespansione di offerta delle stesse centralità e degli stessi spazi pubblici. Come conseguenza di tale squilibratorapporto fra domanda e offerta di spazi pubblici, si è prodotto un “sovraccarico” di quelli preesistenti, che li hadeformati a causa di un eccessivo affollamento ed uso improprio. Questa nuova condizione - crescita della popolazione urbana ed inadeguata presenza di spazi pubblici - vieneassociata a due sotto-fattori: la persistenza del metodo urbanistico dello zoning e l'ingegneria del traffico.Il primo sottofattore, rappresenta un metodo del tutto opportuno a certi livelli dimensionali della città ed entrocerti livelli di soglia dell'effetto-città. Ma dove e quando certe dimensioni e soglie mutano, questo metodoaumenta gli squilibri fra domanda e offerta di spazi pubblici, perché tende a sovraccaricare i centri tradizionali. Il secondo sotto-fattore, intrinsecamente connesso al primo, è il risultato finale della pianificazione del traffico.Adottando una sorta di concezione “idraulica” della città (Lynch, 1990), con l'obiettivo di massimizzare gliaccessi e minimizzare i tempi, si sono i ntrodotti se nsi unic i, fa sce ve rdi, autostrade urba ne a direz ioneprivilegiata e non-stop, “bretelle”, sotto-passaggi ed altre ideazioni infrastrutturali, che hanno ridotto le stradedella città a dei viadotti, a delle piste da corsa (indipendentemente, dalla velocità conseguita, generalmente assaibassa), mentre le piazze a dei parcheggi o a dei vuoti simbolici. Lo stesso vale per lo spazio pubblico reale, cheperde la sua identità proponendosi sostanzialmente come un'estensione dello spazio commerciale o come unsemplice prolungamento di quello domestico. L'idea di spazio pubblico coincide oggi con quella di vuoto, manello stesso tempo se ne distacca. Forse a causa di un certo consumo semantico sofferto dalla nozione di spaziopubblico (Mazza L., 2005), attualmente capace solo di identificare una vocazione funzionale, l 'idea di vuotoriesce a comunicare meglio il senso non solo utilitario ma soprattutto estetico e simbolico che ogni luogo urbanodeve trasmettere.

3. Interpretazioni: modelli e ipotesi delle forme di insicurezza urbanaUna diffusa e condivisa domanda di sicurezza starebbe quindi inseguendo la diffusione della percezione didegrado degli spazi urbani, in certa misura indipendentemente dagli andamenti della criminalità. Vorremmoutilizzare alcuni schemi interpretativi, proponendo un’ipotesi collaterale che aiuti a spiegare alcune dissonanze,anche in termini quantitativi, tra la percezione del degrado ed i comportamenti pubblici correlati. Partendo dalladefinizione di inciviltà, occorre quindi modificare la sequenza causale:

4 Ns. Elaborazione da Mela A. (2003), “Le paure e gli spazi urbani”, Amendola G. (a cura di), /Paure in città. Strategie ed illusioni dellepolitiche per la sicurezza urbana/, Liguori Editore, Napoli.

Angelino Mazza 3

SPAZI VUOTI AFFOLLATI

APERTIAssenza di controllo, esperienza della “terra dinessuno” Eccesso di stimoli “disorientamento”

CHIUSIAssenza di vie di fuga, esperie nzadell’intrappolamento Ingresso in zone controllate da gruppi specifici

L’insicurezza urbana e le forme di controllo degli spazi pubblici

in una relazione più articolata, che tenga conto anche dei fenomeni d’inciviltà, cioè:

Esisterebbe allora una correlazione diretta fra crimine e paura dello stesso, il legame con le inciviltà è mediatodall’accumulo del disagio, che è un ulteriore promotore della paura e della conseguente domanda di sicurezza. Ècosì dalla seconda metà degli anni ottanta che va consolidandosi il ruolo causale delle inciviltà rispetto alladomanda di sicurezza5.Al degrado (fisico) dello spazio pubblico corrisponde anche il degradarsi del tessuto sociale corrispondente. Ilnoto modello di Wilson e Kelling introduce, infatti, nel circuito della paura il disordine sociale e la riduzione delcontrollo sociale. Il disordine, il contrario dell’ordine, corrisponde cioè a momenti nella vita del tessuto socialein cui il sistema delle regole e dei comportamenti entra in crisi, in cui alcuni degli individui che ne fanno parterompono il patto che li lega agli altri. Ciò adottando comportamenti devianti rispetto all’ordine precedente(incivilities sociali, q uali il modo d i parlare e di co mportarsi, ad esempio ri spetto ai can oni d ella bu onaeducazione), comportamenti che possono comportare anche alterazioni fisiche dello spazio comune e delle cose(incivilities fisiche, quali lo sporcare, il deturpare, eccetera).Va da sé che tali “crisi”, in società in perenne transizione, ne diventano tratti pressoché costituenti. SecondoWilson e Kelling, i “segni” che le inciviltà lasciano in chi le subisce rinforzano la paura della criminalità,implicando una (ulteriore) riduzione del controllo sociale e offrendo nuove occasioni alla criminalità. E così ilcircuito si chiuderebbe.

Fig. n. 1: Il modello di Wilson e Kelling (1982). Ns. Elaborazione.

Già dagli anni settanta (Hunter, 1978) la letteratura della “disorganizzazione sociale” intuiva tale relazione fraincivilities e paura de lla criminalità, proponendo un modello similare che poneva all’origine de i fenomeniproprio la disorganizzazione sociale. Notiamo però come il modello di Hunter renda indipendenti le due forme didevianza: la di sorganizzazione sociale da un lato produce m aleducazione, violazioni m inori, eccetera (leincivilities), m entre d all’altro p roduce crim inalità. Inciv iltà e cr iminalità possono int eragire, m a,indipendentemente, producono paura della criminalità. Potendo così attribuire “pesi” diversi ai due percorsicausali, il modello potrebbe riuscire a spiegare situazioni caratterizzate da bassi tassi di criminalità a fronte dielevati tassi di paura.

Fig. n. 2: Il modello di Hunter (1979). Ns. Elaborazione.

Un ult eriore e interessante contributo è qu ello dato dal modello pro posto da Taylor e Covington ( 1993),confermato dai risultati di una lunga ricerca su quartieri che hanno vissuto un rapido cambiamento sociale. Il

5 Wilson J.Q., Kelling G.L. (1982), “Broken Windows. The Police and Neighborhood Safety”, in /The Atlantic Monthly/, New York, TheAtlantic Monthly Group; ma vedasi anche Hartcourt A. (2001), / Illusion of Order: The False Promise of Broken Windows Policing/,University Press, Harvard.

Angelino Mazza 4

L’insicurezza urbana e le forme di controllo degli spazi pubblici

“disordine” viene qui scomposto in fattori misurati di “cambiamento del precedente ordine sociale”. La mobilitàsociale e il sesso sono variabili che, indipendentemente dalle inciviltà, si annoverano tra i promotori della paura,come nell’esempio di chi ha costruito un’azienda, elevando così il suo status patrimoniale, o di una donna sola dinotte in un parcheggio isolato.

Fig. n. 3: Il modello di Taylor e Covington (1983). Ns. Elaborazione.

Sono invece i comportamenti dei giovani e del le minoranze etniche che rompono gl i equilibri sociali (inparticolare quelli della composizione etnica, nella ricerca di Taylor e Covington) e disorganizzano il sistema diregole che, fino a quel momento, governava la vita del quartiere. In tale dis-ordine, o nuovo ordine non-ordinato,si evidenziano, indipendentemente, la paura della criminalità e le inciviltà (che, attraverso le bande, rinforzanoulteriormente la prima). Tutti i contributi scientifici accolgono quindi le inciviltà all’interno dei propri modelliesplicativi, interrelando gli elementi fisico-ambientali di degrado dello spazio pubblico con le forme del degradosociale. Questo, a sua volta, fungerebbe da moltiplicatore (o evidenziatore) dei segni d’inciviltà, avvitandosi iltutto in un circolo vizioso che provoca ulteriori lesioni al tessuto sociale.La permanenza del segno, dell’elemento degradato determina così, a lungo andare, profonde lesioni nel tessutosociale: vengono meno le reazioni spontanee di cura, d’intervento dei fruitori “normali” dello spazio e delle cose,le loro reazioni spontanee ed immediate di protesta. A poco a poco viene meno il sentimento di appartenenza,indebolito dall’indifferenza generalizzata all’inciviltà e dalla vaghezza della risposta istituzionale, quasi fosse un“riconoscimento tacito dell’abuso” (Selmini, 2004).Tre sono quindi gli effetti al persistere dei segni d’inciviltà: l’indebolimento interno, il senso di abbandonodall’esterno e la destabilizzazione della comunità (Chiesi, 2004). I residenti vedono il proprio spazio segnatodalle inciviltà e notano la mancanza di manutenzione, mettendo in relazione un po’ alla volta il degrado fisicoalla mancanza di sicurezza e diffondendo all’interno della propria comunità questa paura. Questo tipico effettosociale diffusivo favorisce il peggioramento del le d inamiche d i coesione sociale della comunità di vicinatofortificando il relativo declino della vitalità urbana. Ciò, a sua volta, si accompagna ad un progressivo ritiro daglispazi pubblici: i propri luoghi sono meno attraenti, forse più pericolosi, di sicuro frequentati da chi non lirispetta. I residenti si distaccano così fisicamente e sentimentalmente dal proprio territorio, i legami socialis’indeboliscono come pure il senso di comunità. Diminuisce il controllo sociale sul proprio spazio e si diffondela paura della criminalità, vengono meno, quello che Jacobs (1969) ha definito come gli occhi sulla strada.

Angelino Mazza 5

L’insicurezza urbana e le forme di controllo degli spazi pubblici

Schema 1: i persistenti effetti dei segni di inciviltà negli spazi urbani. Ns. Elaborazione.

4. La privatizzazione dello spazio pubblico e la “questione sicurezza”Assistiamo di conseguenza, a d iversi processi d i privatizzazione della città: g randi centri commerciali chetendono ad accumulare di fferenti funzioni urbane, quarti eri residenziali chiusi ad uso pubblico, s ervizi dicarattere pubblico privatizzati fino alla privatizzazione più imponente rappresentata dalle forze di sicurezzapubblica. Questa tendenza alla privatizzazione mira a sostituire in certi campi la relazione oggettiva tra lo Statoed i ci ttadini (relazione securitaria in un contesto burocratico) con il confronto soggettivo tra gruppi sociali(relazione opaca, imprevedibile, angustiante).La privatizzazione dello spazio pubblico può significare una negazione del diritto alla cittadinanza e convertirsiin un fat tore di rottura del tessuto sociale, il problema è che lo spazio pubblico rappresenta il meccanismofondamentale per la socializzazione della vita urbana (Borja, 2003). I progetti e la gestione di questi spazi e delleattrezzature connesse rappresentano un’opportunità per produrre cittadinanza ed una prova della propria crescitasociale. La distribuzione, la concezione articolatrice o frammentaria del tessuto urbano, l ’accessibilità o lapotenziale centralità, il valore simbolico, la polivalenza, l’intensità ed il ruolo sociale, la capacità di creareoccupazione, la capacità di fomentare nuovo “pubblico”, l’autostima e il riconoscimento sociale, il contributo neldare un “senso” alla vita urbana, sono e restano comunque opportunità che non si dovrebbe mai trascurare perpromuovere i diritti e le responsabilità politiche, sociali e civiche che costituiscono il diritto alla cittadinanza.La negazione alla città rappresenta precisamente l’isolamento, l’esclusione dalla vita collettiva, la segregazione(Donzelot, 2006), chi prioritariamente ha bisogno dello spazio pubblico, della sua qualità, della sua accessibilitàe della sua sicurezza sono generalmente coloro che hanno maggiori difficoltà di accessibilità o di uso: bambini,donne, poveri, immigrati. Negli spazi pubblici si esprime la diversità, si produce l’intercambio, si apprende latolleranza (Amendola, 2000), rafforzando in particolare il concetto di cittadinanza.La polivalenza, la centralità e la qualità generano sicuramente gli usi diversi che di conseguenza entrano inconflitto (di tempo e di spazio, di rispetto o del non rispetto dell’arredo urbano, di stili culturali diversi, etc.) mache possono comunque essere un preambolo di educazione alla civiltà.La crisi dello spazio pubblico sembra essere una “una cronaca di una crisi annunciata” (Virilio, 1992), di frontea un disinteresse ed incapacità da parte di alcune grandi città di risolvere i propri problemi socioeconomici e difronte alla continua sovraesposizione mediatica sulla pericolosità di coloro che vivono o occupano detti spazi, lasoluzione più prossima è stata quella di praticare un particolare “igienismo sociale” per risanare la città. Lasoluzione consiste nel ripulire la città dagli altri, sostituendo gli spazi pubblici con aree privatizzate, consideratecome zone protette per alcuni ed escludenti per altri, in definitiva vengono proposti luoghi ipercontrollati dovetutto sembra reale solo in apparenza.Il grande rischio di questa attitudine e che si formi una società incapace di relazionarsi con gli “altri”, incapace direagire di fronte agli imprevisti della vita, incapace di decidere per se stessa, questo ci può portare a perdere granparte di quelle ricchezze urbane che si basano proprio sulla diversità. Il rischio, l’avventura sono così necessaricome la protezione e la sicurezza. Esiste una ricerca di sicurezza che porta a chiudere gli spazi pubblici cosicome se fossero loro la causa dell’insicurezza e delle paure urbane. Questa continua ricerca ha dei riflessi formali, ovvero il tentativo di recuperare un paradiso perduto, che sono uncollage frammentato ed aleatorio di immagini di un’architettura del passato. Il mito delle relazioni personali edintime con i vicini sono solo possibili se si ristabilisce uno strumento urbano controllato, sicuro e soprattuttofittizio.

Angelino Mazza 6

L’insicurezza urbana e le forme di controllo degli spazi pubblici

In questa nuova città le infrastrutture di comunicazione non creano centralità ne nodi solidi, ma segmentano ofratturano maggiormente il territorio ed at omizzano le relazi oni sociali. I n uovi parchi tematici lud ico-commerciali e scludenti crea no ri produzioni di c entri storici per classi s ociali m edio-alte, u na for ma dimanifestazione definita da molti autori di “agorafobia urbana”6.Il circolo vizioso costituito dall’abbandono, dal moltiplicarsi delle paure e delle insicurezze nell’uso di questispazi va interrotto non solo attraverso le politiche di sicurezza (preventive, dissuasive, repressive) ma anche conuna politica di spazi pubblici ambiziosa che possa contare sulla sicurezza come elemento determinante. Anche se oggi in molte città predomina la tendenza ad utilizzare una dialettica negativa tra lo spazio pubblico, lasensazione di insicurezza diffusa e l’esclusione sociale giovanile, risulta indispensabile invertire questa tendenzanegativa attraverso una buona politica urbana. Questo lo può realizzare, infatti per una città la coesione sociale èalla pari importante come il suo disegno, sono principi che condizionano la sua funzionalità. L’urbanistica nonpuò rinunciare a contribuire a rendere efficace in diritto alla sicurezza nella città, cioè al diritto all’uso deglispazi pubblici protetti, per tutti e senza esclusione.Capire questi fenomeni non impedirà reprimere o prevenire i comportamenti violenti che escludono ai cittadinipiù o meno integrati nella vita e ne lla cu ltura urbana, b isogna fare il necessar io per garan tire la massimaconcentrazione di usi collettivi differenti, “bisogna fare degli spazi pubblici luoghi di inclusione per gli esclusi”(Sennett, 1999).La diversità favorisce la multifunzionalità e diventa un elemento con forte potenzialità evolutiva (Borja, 2003).Lo spazio quotidiano è quello dei giochi, delle relazioni casuali o abituali con gli “altri”, dei percorsi quotidianitra le diverse attività giornaliere e degli incontri, questo spazio coincide proprio con lo spazio pubblico della cittàe per questo ga rantire qualità e stetica, spaziale e formale permette un u so da pa rte di tutti senza al cunaesclusione, questo senza dimenticare che alcuni gruppi sociali (vedi ad esempio i giovani di sera) hanno bisognodi spazi propri.

5. L’uso della sorveglianza e del controllo per favorire l’esclusioneIl percorso della città, attraverso l’uso della sorveglianza, porta ad una serie di considerazioni sulle conseguenzesul tessuto sociale urbano. Con il passaggio da una società di produttori ad una società di consumatori, siidentificano con modalità differente i gruppi della società che sono inadatti all’inclusione. Invece delle classipericolose (rivoluzionarie), sono i “consumatori imperfetti” (Bauman, 2008), individui o categorie di individuiincapaci di agire per mancanza di risorse che sono proprio classificati come inadatti ad essere inclusi nellasocietà del consumo della città neoliberista.Come già suggeriva M athiensen (1 997), l ’applicazione d ella strategia della d ominazione del “controlloattraverso la sorveglianza” è passato in pochi anni dal “tutti guardano tutti” ai “pochi che guardano tutti”, pergiungere infine alla fase di “tutti guardano pochi”. La coercizione esercitata attraverso le pubbliche relazioni (dipersone in vista) ha sostituito il controllo generale da parte dei rappresentanti delle autorità. Anche all’interno della parte più dura dell’ordine sociale, resta valido lo schema che oggi nelle città “pochi cheguardano molti”: questo nella modernità diventa più comprensibile, più sofisticato e tecnologicamente meglioattrezzato che in passato ed ha fatto ulteriori progressi sulla strada che porta alla completa liberalizzazione eprivatizzazione. La cosa più particolare è che questo schema è rivolto essenzialmente ad un obiettivo radicalmente differente, lasua funzione principale è quella di mantenere fuori gli outsider (gli estranei), gli indesiderabili, piuttosto chetenere dentro gli insider (coloro che si sanno comportare).In d efinitiva, qu esta f orma d i c ontrollo h a c ontribuito all’esclusione ed al rit orno de gli “ esclusi” d i un amoltitudine in rapida crescita di categorie: immigrati sgraditi (improbabili clienti del consumismo), mendicantiinvadenti, ospiti non invitati nelle nuove gates community con accesso controllato, abitanti di banlieue e di ghettiurbani nei centri cittadini, persone che vivono di precarietà lavorativa e sociale, etc. La funzione proprio della sorveglianza7 è quella di mantenere con costanza la linea che separa gli inadatti dagliadatti (il cas o em blematico degli aeroporti). L a s orveglianza è destinata propri o a m antenere le entrateinaccessibili è presentata, pubblicizzata e venduta all’opinione pubblica sotto l’etichetta della loro sicurezza. Ilfatto che il concetto stesso di sicurezza sia definito e si manifesti principalmente in compiti come l’esclusione ditutti quelli ritenuti “inadatti” difficilmente viene pubblicizzato. Gli oggetti di questa forma di sorveglianza onnipresente sono indotti a: accettare l’intimo collegamento tral’esclusione e sic urezza e di c onseguenza l a st rategia m essa in atto; a d acce ttare di essere s orvegliaticostantemente e infine ad accettare i benefici dell’esclusione, partecipando anche attivamente a fomentare lestrategie.6 L'agorafobia urbana è una sensazione che crea un forte contrasto con lo stato d'animo del momento causando istanti ditrance e alienazione. Essa viene percepita in conseguenza alla visione fugace ed improvvisa di immagini di paesaggi urbani.Una sorta di percezione di disagio che non necessaria mente viene rappresentato con la r iproduzione grafica di realtàterritoriali che presentano caratteristiche di degrado. Viene ripreso di diversi autori a partire da Calvino (1996), Davis (1999),Castel (2003), Bauman (2007).7 Quella che Bauman, recentemente ha definito “Big Brother”, in Domus n. 195, giugno 2008.

Angelino Mazza 7

L’insicurezza urbana e le forme di controllo degli spazi pubblici

La sorveglianza quando diventa strumento di esclusione assegna contemporaneamente alla società il ruolo di“vittime” e di “criminali”, la enorme presenza dei dispositivi di sorveglianza ha raggiunto la fase in cui essi siauto-sostentano e si auto-riproducono. La quantità e la dimensione di questi dispositivi oltre che alla visibilità eall’invadenza sono sufficienti a creare ed alimentare un’atmosfera da “fortezza assediata” (Bauman, 2008) eduna costante idea di permanente emergenza che, a sua volta, alimenta la rapida diffusione di tali dispositivi. Indefinitiva, cosi utilizzata la sorveglianza è un congegno che serve ad isolare gli indesiderabili (coloro che sonogli “oggetti” della sorveglianza) da quelli che dovrebbero/potrebbero essere lasciati fuori.Per concludere, possiamo assentire che sicuramente non esiste una crisi specifica della città e nemmeno la città ègeneratrice di grandi problemi sociali come l’esclusione o la violenza. Il problema è che la città non mantiene leaspettative attese questo dovuto sicuramente all’indebolimento delle centralità, all’insufficiente comunicazione evisibilità delle diverse zone urbane, alla segregazione sociale diffusa nella società neoliberista ed alla elevataspecializzazione funzionale (contraria come abbiamo visto al principio della coesione sociale) e non ultimo aldegrado dei servizi e degli spazi pubblici. Questo, paradossalmente, porta ad un circuito perverso della sicurezzache, con la fretta di ottenere risposte immediate, spinge verso la deriva degli interventi securitari di controllo deifenomeni (i nvestendo no tevolmente in t ecnologie d i con trollo e fav orendo la repressi one), ch e risu ltanoinefficaci sul piano della rassicurazione.Allo stesso modo bisogna anche evidenziare come l’esperienza delle politiche pubbliche attraverso i grandiprogrammi complessi integrati a valenza pubblica ha avuto esiti limitati. Anche se ha generato elementi dicentralità integrata non ha avuto la capacità di programmare l’insieme della città ne di fungere da elemento dicoesione globale per una popolazione che principalmente soffre di persistenti processi di esclusione.Ci troviamo di fronte al problema della crisi della società nell’era della globalizzazione e la frammentazione checontraddittoriamente genera. È così predominante l’esclusione da non rendere possibile avere relazioni conulteriori co llettivi so ciali e con l e isti tuzioni. L ’ambito l ocale ed i n p articolare l o spazio pubblico, puòrappresentare il luogo privilegiato per costruire nuovi processi di socializzazione capaci di opporsi a questofenomeno.

BibliografiaAmendola G. (2000), “La paura diffusa e la domanda di sicurezza nella città contemporanea”, in /Quaderno 2 -Supplemento al n. 17 di Metronomie/, Atti del convegno “La sicurezza nella progettazione urbana”, EdizioniRegione Emilia Romagna, Bologna.Amendola G. (a cura di) (2003), /Il governo della città sicura. Politiche, esperienze e luoghi comuni/, LiguoriEditore, Napoli.Bauman Z. (2008), /La solitudine del cittadino globale/, Feltrinelli, Milano.Borja J. (2003), /La ciudad conquistada/, Alianza Editorial, Madrid.Chiesi L. (2004), “Le inciviltà: degrado urbano e insicurezza”, in Selmini R. (a cura di), /La sicurezza urbana/, IlMulino, Bologna.Chiesi L. (2005), “Quando i cittadini hanno paura lo stesso”, in /Quaderni Fiorentini sulla qualità urbana n. 1-2005/. La sicurezza, Angelo Pontecorboli Editore, Firenze.Donzelot J. (2006), “Ville, violence e dependance sociale: l’implexion neoliberale des politiques urbane, socialee de securitè”, seminario La Hollande, PUCA - INHES - Ministere de la Recherche, Paris.Hunter A. (1978), “Symbols of Incivility: Social Disorder and Fear of Crime in Urban Neighborhoods”, paper da/Annual Meeting of the American Criminology Society/.Jacobs J. (2000), /Vita e morte delle grandi città. Saggio sulle metropoli americane/, Giulio Einaudi Editore,Torino.Lynch K. (1990), /Progettare la città. La qualità della forma urbana/, ETAS, Milano.Mazza A. (2009), /Ciudad y espacio público. Las formas de la inseguridad urbana/, numero monografico dellarivista CIUR-Cuadernos de Investigacion Urbanistica n. 62, Instituto Juan de Herrera Ediciones, Madrid.Mazza L. (2005), “Appunti per la lezione”, in Tosi M.C. (a cura di), /Di cosa parliamo quando parliamo diurbanistica?/, ed. Meltemi, Roma.Mela A. (2003), “Le paure e gli spazi urbani”, Amandola G. (a cura di), /Paure in città. Strategie ed illusionidelle politiche per la sicurezza urbana/, Liguori Editore, Napoli.Mela A. (2003), “Il progetto sicurezza”, in /Quaderni fiorentini sulla qualità della vita urbana 1-2005/, Firenze,Angelo Pontecorboli Editore.Selmini R. (a cura di) (2004), /La Sicurezza Urbana/, Il Mulino, Bologna.Sennett R. (1999), /Usi del disordine. Identità personale e vita nella metropoli/, Costa & Nolan, Milano.Virilio P. (1992), /Estetica della sparizione/, Liguori Editore, Napoli.

Angelino Mazza 8

La progettazione partecipata nel Rione Monti: il caso dell’Angelo Mai

Atti della XIII Conferenza Società Italiana degli UrbanistiCittà e crisi globale: clima, sviluppo e convivenza

Roma, 25-27 febbraio 2010Planum - The European Journal of Planning on-line

ISSN 1723-0993

La progettazione partecipata nel Rione Monti: il casodell’Angelo Mai

Elena MortolaDipSU

Università Roma Tre, [email protected]

AbstractViene descritto un processo di progettazione partecipata relativo al recupero del Complesso dell’Angelo Mainel Rione Monti. Attualmente è in corso da parte del Comune di Roma il recupero del complesso scolastico edell’ex-cappella da destinare ad edificio multifunzionale. Deve ancora essere approvato il progetto diprogettazione partecipata del giardino ad uso del Rione.

1. PremessaIl caso dell’Angelo Mai per molti aspetti può essere considerato un caso esemplare. Tutto è iniziato nel 2000qundo è nata la Rete Sociale Monti. Quasi contemporaneamente è scoppiato il caso dell’A. Mai. Proposta dicartolarizzazione da parte del Comune, uso pubblico secondo la Rete Monti. La Facoltà di Architettura di RomaTre è in qualche modo protagonista, impegna molto tempo alla causa dell’Angelo Mai. Alcuni docenti, un corsopost Laurea, Il Master PISM, per diversi anni prendono questo tema come oggetto di riflessione ed esercitazioneprogettuale. All’inizio il rapporto con i l I Municipio è proficuo, ogni settimana si svolgono incontri, corsidestinati agli abitanti del Rione. I politici partecipano e sembrano molto interessati. Gli elaborati metodologici eprogettuali vengono spesso esposti al pubb lico in P.zza Madonna dei Monti. Il cl ima è molto piacevole ecollaborativo. Non mancano gli scontri sul problema dell’emergenza casa, molti abitanti, soprattutto anziani,proprio in questo periodo, vengono sfrattati per far posto a più facoltosi residenti. Anche questo tema vieneconsiderato da parte della Rete Monti.

La “Progettazione partecipata” sembra interessare molti, non solo i docenti e gli studenti di Roma Tre sembranointeressati, anche gli abitanti partecipano agli incontri nei quali tutti esprimono i loro desiderata sotto la guidametodologica dell’Università. Sembra che sia possibile arrivare a un progetto condiviso utilizzando metodinuovi che potenziano il coinvolgimento anche emotivo di tutti gli interessati.

Questa esperienza esemplare viene però interrotta dai politici, che decidono per tutti; la scelta di destinare ascuola l’A. Mai era una delle opzioni e forse non la migliore.

L’occupazione dell’A.Mai da parte di Action per circa un anno da’ il colpo di grazia al processo partecipativoappena iniziato. Gli sforzi dell’Università non vengono capiti e in ogni modo repressi.

L’Università continua a lavorare, personalmente ero convinta che l’esperienza fosse positiva finchè riuscisse acoinvolgere docenti e studenti, ma gli abitanti? L’idea di uno workshop, trasformato in concorso sul tema delgiardino dell’A.Mai è stato organizzato in collaborazione con l’Università di Weimar, l ’erede della famosaBauhaus! Questa esperienza viene ancora ricordata dagli studenti di allora come un evento unico. Descritta sulnostro sito (www.pism.uniroma3.it/category/workshop-amai/) viene ancora visitata da molte persone.

E’ difficile fare adesso un bilancio di questa esperienza, personalmente sono soddisfatta perchè con il prof.Giangrande e al tri co llaboratori abbiamo approfondito il metodo d i p rogettazione partecipata che abbiamoapplicato in modo proficuo anche in altri contesti.

E’ dal 2000 che portiamo avanti questa metodologia ispirata dagli studi teorici di C. Alexander e J. Friend.L’abbiamo sperimentata più volte in questo contesto e forse oggi è a uno stadio abbastanza soddisfacente.

Elena Mortola 1

La progettazione partecipata nel Rione Monti: il caso dell’Angelo Mai

La progettazione partecipata stravolge radicalmente il modo di progettare tradizionale basato principalmente sulgiudizio dell’architetto. Nella progettazione partecipata si studia un processo mettendo a punto procedure checonsentono d i fare i ntervenire gli abitanti i n m odo attivo, come p rotagonisti e l asciano a i progettisti l aresponsabilità metodologica e quella di dare “forma” al risultato del processo partecipativo.

2. Il Metodo utilizzato per il recupero dell’Angelo Mai Il metodo utilizzato per il recupero dell’Angelo Mai si basa su un processo di progettazione partecipata, che hafatto uso di numerose procedure sperimentate dal 2002 ad oggi (2009).

L’approfondimento metodologico ha proceduto con iniziative volte a f ar partecipare il maggior numero d isoggetti del Rione Monti. Uno strumento importante è stato quello di indire Concorsi di progettazione rivolti astudenti e cittadini, in un primo tempo, rivolti al riutilizzo dell’intero Angelo Mai e in un secondo momento,quando la destinazione a scuola è stata definitivamente decisa a livello politico, accettata dai cittadini e iniziati ilavori di recupero, al recupero del giardino dell’Angelo Mai, destinato prevalentemente agli abitanti del Rione.

I Concorsi di progettazione, i l Maggio Monti, g li incontri d i progettazione partecipata con gl i abitanti, lemanifestazioni in Piazza Madonna dei Monti sono stati gli eventi principali collettivi che hanno caratterizzatol’attività della R ete S ociale M onti d ella quale l’Un iversità era un c omponente pa rticolarmente attivo eimpegnato.

Il metodo di Progettazione Partecipata si è andato precisando sulla base delle esperienze fatte.

Il metodo si basa su un processo ciclico basato su tre metodi VISIONING, STRATEGIC CHOICE,PATTERN LANGUAGEUna descrizione del metodo è illustrata nel sito del TIPUS al seguente indirizzohttp://www.tipus.uniroma3.it/ricerca/urr3_it/2_dinam/1process/00proces.html.

Nel 2004 è stato elaborato un dossier sulla attività della Rete Sociale Monti, che è stato distribuito agli abitanti inoccasione di un incontro pubblico e inserito sul sito del TIPUShttp://www.tipus.uniroma3.it/DCaad/dossier%20Monti.htm)

Successivamente è stato elaborato un rapporto intitolato L'Angelo Mai dalla sua fondazione ad oggi (a cura di L.Angeloni e A. Giangrande)http://www.tipus.uniroma3.it/Angelo%20Mai/cronaca%20rione.htm)

3. Concorsi e workshop sull’Angelo Mai indetti dal Master PISM

I concorsi e l’ultimo workshop sul tema del giardino dell’A. Mai:

• 1° Concorso sul recupero dell’Angelo Mai 10/5/03• 2° Concorso sul recupero del giardino dell’Angelo Mai 15/1/05• Workshop 22-29 ottobre 2006 sul recupero del giardino dell’Angelo Mai• Concorso internazionale Roma-Weimar , febbraio 2007 (http://www.tipus.uniroma3.it/Angelo

%20Mai/partecipazione.html)

4. Un workshop sul giardino dell’A.Mai

4.1 Obiettivi del workshop

Nell’ottobre del 2006 presso la sed e dell’Argiletum della Facoltà di Arch itettura si è svo lto un workshopprogettuale sull’Angelo Mai nell’ambito del laboratorio di progettazione 1 della laurea magistrale in Architetturae delle at tività del Master PISM.L’idea de ll’workshop è stata sv iluppata in collaborazione con AlessandroGiangrande e con Dirk Donath della Bauhaus di Weimar e con l’aiuto di Gianfranco Moneta, Laura Martini,Ilaria Vasdeki, Paolo Mirabelli, Luigi Ciotti, Katharina Richter, Cristian Bauriedel, Antonio Caperna, VivianaPetrucci e Giulio Baiocco .

Elena Mortola 2

La progettazione partecipata nel Rione Monti: il caso dell’Angelo Mai

L’workshop è durato una settimana e si è concluso con una grande festa la domenica del 28 ottobre con lapartecipazione d i docenti, studenti e ab itanti del quartiere. In particolare hanno partecipato al work sop 45studenti di Roma Tre, 41 studenti Erasmus e 11 studenti provenienti dalla Bauhaus di Weimar. L’idea portante del workshop era l’idea di un messaggio rivolto in particolare agli abitanti del rione Monti, unaforma particolare di comunicazione e co involgimento emotivo attraverso la costruzione d i installazioni chefossero in grado di evocare i nuovi spazi progettati del giardino dell’Angelo Mai. L’idea di “centri” nel senso alexanderiano ha aiutato gli studenti a comprendere gli spazi da progettare cherispondessero principalmente ai desiderata degli abitanti ma fossero coerenti tra di loro e con il contesto. I centriprincipali individuati sono stati:

• il “cuore” del giardino, • il caffè- libreria sul tetto-terrazza della palestra, • lo spazio multifunzionale dell’ex-cappella, • lo spazio underground della “memoria ” .

L’inizio della attività di workshop veniva preceduta ogni mattina da un’ora dedicata al “laboratorio percettivo”,coordinato da Laura Martini e Ilaria Vasdeki.

4.2 I “centri” del giardino

“Pattern” e “centri” come strumenti per il riuso degli spazi dell’Angelo Mai; “centri reali” e “centri virtuali”;spettacolo-azione per interpretare e utilizzare in modo innovativo i “centri” realizzati.Alcuni “centri” vengono costruiti in termini “reali”; altri in termini “virtuali”.

Nel primo caso i partecipanti progettano (disegnano) i “centri”. A questo scopo utilizzano la procedura illustratada Alexander in A Pattern Language, aggregando in modo opportuno i “pattern” del repertorio più idonei arealizzarli ; successivamente costruiscono un modello fisico dei “centri” stessi in scala 1:1 negli spazi dellaFacoltà di Architettura.

Nel secondo caso gli studenti progettano i “centri” in modo analogo, ma in luogo di costruirne i modelli fisici nerealizzano dei modelli “virtuali” (cioè digitali). Le immagini di questi “centri” sono quindi proiettate sulla paretidelle zone che ospitano i modelli dei centri “reali”.

La realizzazione dei centri reali e virtuali si conclude con uno spettacolo-azione organizzato da un gruppo diartisti costituiti in associazione culturale che organizza eventi diretti a sollecitare gli spettatori (in questo casodocenti, studenti e ab itanti) ad osservare, interpretare e v ivere gli spazi real izzati (in questo caso gli spazidell’Angelo Mai) in modo innovativo/trasgressivo.

I centri considerati sono quelli citati in 4.1

1. Il “cuore” del giardinoLa metafora del cuore del giardino viene rappresentata nel cortile dell’Argiletum: grandi tendetrasparenti avvolgono le attività di musica , lettura delle poesie, l’incontro tra le persone, lameditazione.

2. Il caffè - libreria sul tetto-terrazza della palestraLa terrazza della palestra diventa il luogo ideale per ospitare un piccolo caffè come luogo di incontro,anche un posto dove scambiarsi i libri, dove ascoltare musica, sintetica e dal vivo, dove ascoltarepoesie. La terrazza dell’Argiletum, al secondo piano, sembra il posto ideale per evocare il luogoprogettato.

3. Lo spazio multifunzionale dell’ex-cappellaLo spazio dell’altana nell’Argiletum evoca le attività che potranno svolgersi nell’ex-capella, chediventerà spazio per rappresentazioni, per eventi artistici, per conferenze, per concerti, ecc.

4. Lo spazio underground della “memoria”“Lo spazio ipotizzato si basa sul concetto di transizione tra spazio esterno ed interno: il sottosuolo, posto che metaforicamente rappresenta l’oscurità e la morte, diventa invece uno spazio esterno, prendevita e richiama l’attenzione della gente del quartiere. Si trasforma in un posto dove si concentranoesibizioni-esposizioni, in uno spazio fruibile dove si sviluppano relazioni sociali tra le persone. Così…attraverso le profondità dell’Angelo Mai riscopriamo la vita”.(tratto dall’ipertesto “Visita l’oscurità per trovare la vita” degli studenti:Daniele Presutti, Giulia Rotelli,Gregorio De Luca Comandini, Giovanni Romagnoli, Belèn Baladròn Ramos, Tobias Bloh, Pauline

Elena Mortola 3

La progettazione partecipata nel Rione Monti: il caso dell’Angelo Mai

Behr, Josè Martinez Arriaza, Tobias Schirmer, Thibault Machu, Bruno Lebeau).

1. Il progetto del giardino

Il progetto del giardino (fig.3) è il risultato del processo di progettazione incrementale che parte dalla mappadella diagnosi/wholeness (fig.1) ed è strettamente correlato alla mappa della visione (fig.2) (eseguita da ElenaMortola, Emanuela Di Felice ed Hector Silva Peralta).

Figura 1 La mappa della diagnosi/wholeness

Elena Mortola 4

La progettazione partecipata nel Rione Monti: il caso dell’Angelo Mai

Figura 2 La mappa della visione

Elena Mortola 5

La progettazione partecipata nel Rione Monti: il caso dell’Angelo Mai

Figura 3 Il progetto

Bibliografia

Giangrande e altri (2008), Spazi didattici all’apero,un processo di progettazione partecipata,Gangemi editore,RomaGiangrande A. (2009), “Dispense”, http://giangrande.dipsu.itMortola E., (2009), “Manuale di Progettazione Assistita”, www.pism.uniroma3.it/category/progettazione-assistita/www.pism.uniroma3.it/category/workshop-amai/Alexander C. (1977), Pattern Language, Oxford Press, LondonAlexander C. (2006), La natura dell’ordine, vol 2 e 4, Oxford Press, LondonFriend J. & A. Hichling (2005), Planning under Pression , Elsevier, OxfordMortola E. (2006) “Centocelle Vecchia, Solar district, in F. Sartogo (a cura di) Premio Solare Europeo,selezione 1999-2004, 2006 AlineaGiangrande A., Mortola E. (2005), Neighbourhood Renewal in Rome. Combining Strategic Choice with otherDesign Methods, in J. FRIEND & A. HICKLING, ‘Planning under Pression’ , Elsevier, OxfordMortola E., Giangrande A. (2005), Il caso dell’Angelo Mai e di Centocelle, in ‘Catalogo della Mostra sullaProgettazione Partecipata, in ‘Italia/Attraversamenti’, Flash Art Museum, TreviMortola E., Giangrande A. (2004), Progettazione e partecipazione per il territorio, TEOCOM Project, Universitàdi Ferrara,Mortola E., Giangrande A. (2004), La riqualificazione nei contesti ‘sensibili’: il caso di piazza della Libertà diPortofino, Aracne ed., Roma, 2004.Mortola E., (2004), (a cura di), Atti del workshop ‘Università nella città', Università Roma Tre

Elena Mortola 6

La progettazione partecipata nel Rione Monti: il caso dell’Angelo Mai

ALLEGATI

Allegato A - PROGRAMMA DEL WORKSHOP

A new “green public square” in the heart of Rome: a case study of Angelo Mai

domenica 22 ottobre15.00 WelcomeAccoglienza dei docenti e degli studenti presso la Facoltà di Architettura dell’Università Roma Tre, in viaMadonna dei Monti 40, Lab TIPUS (2° piano). Presentazione dei docenti e dei tutor.16.00 Visita guidata del rione Monti18.00 Attività libere

lunedì 23 ottobre10.00 12.30 LecturesProf. Elena Mortola: Inquadramento del workshop nell’ambito della META University e del programmaErasmus. Obiettivi del workshop. Illustrazione di alcuni progetti di riqualificazione dell’Angelo Mai elaboratidagli studenti della Facoltà di Architettura di Roma Tre negli anni passati.Prof. Alessandro Giangrande: Il caso dell’Angelo Mai nel processo di trasformazione del rione Monti.Prof. Dirk Donath : Pattern Language in virtual environment14.00 18.00 Prof. Alessandro Giangrande: A Pattern Language e The Nature of Order di C. Alexander.Illustrazione del “poema/vision” dei centri e dei pattern idonei a realizzarli, identificati nella prima fase delworkshop.Dott. Luigi Ciotti: Il “ventre” archeologico dell’Angelo Mai.Prof. Andrea Moneta: Architettura come Scenografia, Scenografia come Architettura arch. Laura Martini (CRLS): L’esperienza del paesaggio attraverso l’arte: background e evoluzioni future earch. Ilaria Vasdeki (CRIQ): ): La rappresentazione dello spazio vissuto: introduzione e illustrazione delmetodo. La cartografia emotiva dell’Angelo Mai e del suo contesto: distribuzione e istruzioni per l’uso.

martedì 24 ottobre9.00 10.00 Laboratorio di percezione10.00 14.00 Camminare mappando15.00 18.00 Progettare gli ambiti dell’Angelo MaiOgni gruppo di progettazione, costituito da 3-4 studenti ed un tutor, sceglie una “visione” ed un ambito delgiardino e ne progetta gli spazi con l’ausilio dei pattern e dei centri.

mercoledì 25 ottobre9.00 10.00 Laboratorio di percezione10.00 18.00 Progettare gli ambiti dell’Angelo MaiOgni gruppo di progettazione prosegue e completa l’attività progettuale disegnando una planimetria preliminaredell’ambito e qualche schizzo su un foglio di formato A2 o 100×70 cm.

giovedì 26 ottobre9.00 10.00 Laboratorio di percezioneLaboratorio di percezione10.00 18.00 Progettare gli ambiti dell’Angelo MaiLa planimetria preliminare viene utilizzata dal gruppo come base per elaborare unarappresentazione/interpretazione dell’ambito o di una sua parte(i) mediante un ipertesto, oppure(ii) mediante un’istallazione realizzata in scala 1:1.Ogni gruppo è libero di scegliere se la rappresentazione dovrà essere realistica o metaforica: in entrambi i casidovrà essere fedele allo spirito della “visione”, anche nei dettagli.

venerdì 27 ottobre9.00 10.00 Laboratorio di percezioneLaboratorio di percezione10.00 18.00 Progettare gli ambiti dell’Angelo Mai Realizzazione degli ipertesti e delle installazioni (faseconclusiva)

sabato 28 ottobre9.00 12.30 Presentazione dei risultati ai docentiI gruppi di lavoro illustrano ai docenti e a tutti gli altri soggetti interessati (abitanti del rione Monti, studenti della

Elena Mortola 7

La progettazione partecipata nel Rione Monti: il caso dell’Angelo Mai

Facoltà ecc.) le elaborazioni multimediali e le installazioni realizzate.12.30 18.00 Attività libere18.00 24.00 “Luoghi singolari” e “Teatro città“Lo scopo di questi eventi è sollecitare le persone a vivere in modo libero e creativo gli spazi delle istallazioni equelli prefigurati mediante tecniche digitali.Dopo una passeggiata collettiva dall’Angelo Mai all’Argiletum, lungo un “percorso della memoria” ipartecipanti al workshop e gli abitanti sono invitati a visitare le istallazioni ed a discutere gli ipertesti chevengono proiettati sulle pareti e su appositi schermi.Party sull’altana con performance musicale del prof. Raynaldo Perugini su “Lo Spirito di Roma”.

Elena Mortola 8

Welfare Space e diritto alla città

Atti della XIII Conferenza Società Italiana degli UrbanistiCittà e crisi globale: clima, sviluppo e convivenza

Roma, 25-27 febbraio 2010Planum - The European Journal of Planning on-line

ISSN 1723-0993

Welfare Space e diritto alla città

Stefano Munarin e Maria Chiara TosiUniversità IUAV di Venezia

[email protected] [email protected]

AbstractQuesta r iflessione s ’inserisce all’interno di un più ar ticolato programma di r icerca dedicato ai rapporti t rapolitiche del welfare e urbanistica. Una ricerca che stiamo sviluppando centrando l’attenzione soprattutto sulladimensione spaziale e sulle “ricadute fisiche” delle politiche di welfare1, sul ruolo che queste hanno avuto, hannoe possono avere nella definizione dello spazio urbano. All’interno di questo programma, con questo paper proponiamo una riflessione sull’idea di diritti dicittadinanza/diritti alla città, a partire dall’analisi critica di alcuni recenti “documenti urbanistici” (piani,visions, studi) redatti a New York, Copenhagen, Londra e Los Angeles. Infine, a partire da tale lettura criticaindichiamo alcuni punti di riflessione: ritrovare forme e modalità di relazione tra politiche sociali e progettourbano, riprendere la ricerca progettuale sugli spazi del welfare, sviluppare progetti esplorativi che siconfrontino con la città esistente.

1. Diritti di cittadinanza, diritto alla città e giustizia spaziale. Nelle riflessioni attorno al tema della costituzione di diritti di cittadinanza la prevalenza di un atteggiamentoorientato al sociale ha portato assai di frequente ad interrogarsi, in primo luogo, sui soggetti alla ricerca o in lottaper l’affermazione di tali diri tti. Si tratta pr incipalmente di minoranze (homeless, femministe, ambientalisti,giovani, immigrati, ecc.) che nel presidiare quasi completamente la scena sociale, hanno teso a rivendicare unapluralità di diritti: al lavoro, all’istruzione, all’educazione, alla salute, alla procreazione, all’abitazione, al tempolibero e alla vita.

Ciò che qui ci interessa sottolineare e discutere è l’emergere, segnatamente sul finire degli anni ’60, di un filonedi pensiero e di pratiche che configurano una sorta di lento scivolamento verso la rivendicazione di diritti allospazio, allo spazio pubblico, alla città2, tanto che anche il diritto a parlare stando in uno spazio pubblico, oggettodi tante aspre rivendicazioni, lentamente tende a trasformarsi in diritto a controllare specifici spazi3. Seguendo questo movimento apparentemente lento e lieve, ma che si rivela assai più dirompente e veloce «thelong-accepted treatment of space (or territory) as fixed, unproblematic and inconsequential» (Bromberg et al.,2007: 2), viene meno provocando una forte sollecitazione a porre l’accento sul dove e come si affermano i diritti,sospingendo ad interrogarsi su quale sia lo spazio in cui si formano i diritti alla città, i diritti di cittadinanza4.Anche la ricerca di giustizia allora sempre p iù chiede d i comprendere ed investigare non so lo le relazionidialettiche tra le condizioni sociali ed economiche dei diversi gruppi, ma anche la geografia dell’ingiustizia,come cioè la produzione sociale dello spazio influisca sui gruppi sociali e sulle loro opportunità di sviluppo. Giustizia territoriale (Davies, 1968), giustizia spaziale (Reynaud, 1981) o giustizia socio-spaziale (Pirie, 1983),sono i termini con cui si è cercato di sottolineare questo mutamento, e nonostante «there are tendencies amonggeographers and planners to avoid the explicit use of the adjective “spatial” in describing the search for justice

1 In una prima fase della ricerca abbiamo avviato la comparazione di alcune esperienze europee (Norvegia, Francia, Spagna, Germania,Romania), posto il concetto di welfare space in relazione a quelli di comfort, salubrità e sicurezza e infine, anche utilizzando il progetto comestrumento esplorativo, proposto alcune riflessioni e suggestioni sul ruolo svolto dagli spazi del welfare nell’attivazione di “capi tale direciprocità”/“beni relazionali”. Cfr.: (Munarin et al. 2009a); (Munarin et al. 2009b); (Munarin, 2010); (Tosi, 2009a); (Tosi, 2009b). 2 «In condizioni difficili, in seno a questa società che non può completamente opporvisi e tuttavia sbarra loro la via, si fanno strada diritti chedefiniscono la civiltà (nella ma spesso contro la società – per mezzo ma spesso contro la cultura). Questi diritti mal riconosciuti diventano apoco a poco un costume prima di iscriversi in un codice formalizzato. Essi cambieranno la realtà se entreranno nella pratica sociale: diritto allavoro, all’istruzione, all’educazione, alla salute, all’abitazione, al tempo libero, alla vita. Tra questi diritti in formazione figura il diritto allacittà (non alla città antica, ma alla vita urbana, alla centralità rinnovata, ai luoghi d’incontro e di scambio, a ritmi di vita e impieghi di tempoche permettano l’uso pieno e intero di questi momenti e luoghi, ecc.)». (Lefebvre, 1968: 159). 3 Quella del People’s Park movement a Berkeley è sicuramente una vicenda interessante capace di illustrare in modo assai eloquente questospostamento. Sul passaggio dal Free Speech al People’s Park a Berkeley vedi: (Mitchell, 2003), in particolare il cap. 3. 4 Alcuni testi più di altri hanno sottolineato con forza la necessità di questo cambiamento: (Harvey, 1973); (Lefebvre, 1974); (Soja, 1989).

Stefano Munarin e Maria Chiara Tosi1

Welfare Space e diritto alla città

and democracy in contemporary societies» (Soja, 2009), è proprio questo spostamento concettuale a rendereurgente l’attenzione alla dimensione spaziale delle politiche di welfare state, che possono essere intese comestrumenti per la costruzione di diritti di cittadinanza5, considerando le importanti ricadute sulla città fisica diqueste politiche, e la necessità di rendere virtuoso il rapporto tra di esse e la città, affinché sia quest’ultima ilterreno su cui misurare non solo le geografie dell’ingiustizia e le strutture spaziali del privilegio ma anche ilsenso e l’efficacia delle politiche di welfare.Così come affermato sopra, se lo spazio non può essere più considerato come semplice supporto inerte dellepolitiche di welfare, esso allora diviene terreno dove possono affermarsi nuovi e vecchi diritti di cittadinanza,strumento ed ambito di riflessione per lo sviluppo del benessere e dei diritti sociali. Perché è proprio questa la q uestione che ci p reme so ttolineare: la ri levanza ch e la forma d ella città el’organizzazione spaziale dell’insieme di servizi ed attrezzature prodotti dalle politiche di welfare esercita sullaqualità della vita quotidiana, sulla crescita delle diseguaglianze, sul degrado dell’ambiente, sulle possibilità diconvivenza tra diversità, e quindi sull’affermazione dei diritti di cittadinanza. Anche pensando che la libertà di fare e rifare le nostre città, producendo e riproducendo lo spazio, è «one of themost precious yet most neglected of our human rights» (Harvey, 2008).

2. “10 minutes walk”. Equità, diversità e democrazia spaziale in alcunirecenti documenti che si occupano del futuro della città. Alcuni recenti documenti espressi in forme assai diverse quali piani urbanistici, visions, studi, forum sociali,mostre, ecc. hanno posto al centro della propria attenzione la città fisica e la sua capacità, se opportunamentestimolata dal progetto, di produrre opportunità di miglioramento della vita quotidiana nella direzione di maggiorbenessere, sicurezza, salubrità e giustizia. Pur muovendo da p rospettive e approcci assai differenti ed ot tenendo risultati più o meno apprezzabili econdivisibili proprio in termini di maggiore equità, diversità e democrazia spaziale6, alcune recenti esperienzesviluppate in particolare a New York, Los Angeles, Londra e Copenhagen riconoscono l’urgenza di trasformarelo sp azio fi sico7 e di gen erare nuov o sp azio c ollettivo co n la conv inzione ch e i d iversi m ateriali d i cu iquest’ultimo co nsta, quali parchi, giard ini, marciapiedi, a ree verd i, ban chine fluviali o marine debbanonecessariamente intendersi come luoghi «where the rules of public life and citizenship are tested and formed»8.In questo senso quindi la produzione di spazio collettivo è stata assunta come modo attraverso il quale si può nonsolo migliorare il benessere della popolazione9, ma anche formare e rafforzare diritti. In questi documenti, le procedure attraverso cui si è cercato d i dare forma a nuovo spazio collettivo sonomolteplici. Ci interessa qui soffermarci solamente su una di queste: la costruzione di “reti” formate da servizi,attrezzature, spazi aperti, percorsi, ecc. che devono essere facilmente accessibili, tanto da stabilire che dal luogodi residenza o di lavoro siano raggiungibili in 10-15 minuti a piedi. «We have developed three main approaches to ensure that nearly every New Yorker lives within a 10-minutewalk of a park by 2030. First, we will upgrade land already designated as play space or parkland and make itavailable to new audiences. Second, we will expand usable hours at our current, high-quality sites. And third, wepropose re-conceptualizing our streets and sidewalks as public spaces that can foster the connections that createvibrant communities» (The City of New York, 2008: 31). «We know that busy city-dwellers do not have much spare time in their daily lives. Today, every Copenhagenerspends on average one hour in a park every other day. Today 60% of Copenhageners live within 15 minuteswalk of green or blue areas.This is good but it can be improve. The initiative will cover the creation of newparks, beaches and sea swimming-pools as well as good, safe, green connections through town so i twill easier toreach the blue and green areas. We are not necessarily talking about large areas. Even small parks of about 2.000square meters, about fifth the size of a football pitch, are large enough for many activities and experiences…Goal for 2015. 90% of Copenhageners must be able to walk to a park , a beach or a sea swimming-pool in lessthan 15 minutes» (Municipality of Copenhagen, 2007). 5 «by the mid-twentieth century a series of basic services were at least partly removed from the reach of capitalism and the market becausetheir provision was considered too important and universal. As T.H. Marshall (1963) memorably argued, people acquired right to these goodsand services, mainly the latter, by virtue of their status as citizens, and not because they were able to by them in the market», (Crouch, 2004:81)6 Una riflessione sui criteri per valutare i contenuti di equità, diversità e democrazia degli strumenti di piano è contenuta in: (Fainstein, 2009).7 «Here we have focused on the physical city, and i ts possibilities to unleash opportunity. We have examined the tangible barriers toimproving our daily lives: housing that is too often out of reach, neighborhoods without enough playgrounds, the aging water and powersystems in need of upgrades, congested roads and subways. All are challenges that, if left unadressed, will inevitably under mine oureconomy and our quality of life». (The City of New York, 2008: 3).8 Il testo continua così: «In this sense they are not just about improving the phisical health and well-being of people as they go about theirdaily lives, but about creating more reciprocal forms of social life as well. There is no sustainable future without them». (Thompson et al.,2007: 20). 9 «human beings have always aspired to mould the landscape in order to create a pleasant environment that satisfies their material needs butalso to be a sourc of well being». Y. Lungingbul, «Landscape, well-being and quality of life», in (Aa.Vv. 2008).

Stefano Munarin e Maria Chiara Tosi2

Welfare Space e diritto alla città

«London's open spaces include green spaces, such as parks, allotments, commons, woodlands, natural habitats,recreation groun ds, play ing fields, agricultur al land , burial grounds, am enity sp ace, c hildren’s play are as,including hard surfaced playgrounds, and accessible countryside in the urban fringe. Civic spaces, such assquares, piazzas and market squares also form part of the open space network. The variety and richness ofLondon's open spaces contribute hugely to its distinctive and relatively open character. Open spaces provide avaluable resource and focus for local communities, can have a positive effect on the image and vitality of areasand can en courage i nvestment. T hey p rovide a respi te fro m t he bu ilt en vironment o r an oppo rtunity fo rrecreation. They promote health , wel lbeing and quality of life. They are also vital facilities for developingchildren's play, exercise and social skills» (Major of London, 2004: 142).Per molti aspetti assai diversi l’uno dall’altro, questi tre strumenti concordano però sul fatto che «accessible,good-quality, we ll mantained g reen sp aces an d p laygrounds, m odern tr ansport system a nd sa fe, walk ableneighborhoods that encourage physical activity and social interactions are key constituents of urban quality oflife» (Aa. Vv., 2009b: 13). I 10-15 minutes walk, ma più in generale l’accessibilità pedonale ai servizi ed alle attrezzature, viene utilizzata inqueste esperi enze come st rumento, insieme di dispositivi at traverso cui misurare il li vello di “democraziaspaziale” e di “equità” della città, oltre che la loro capacità inclusiva e di accoglimento delle diversità10. Analogamente ai tre esempi riportati sopra, ma introducendo un piccolo scarto, a Los Angeles la riflessione suitemi dell’accessibilità ai servizi ed alle attrezzature si arricchisce incorporando le modalità di organizzazione deltrasporto pubblico. «Transportation access is a critical human rights issue. If someone doesn’t have access topublic transit, the system is in essence denying them basic human rights: access to education and healthy food;access to jobs; access to healthcare; and the pursuit of goals beyond mere survival. In a city like Los Angeles,with its many social and economic extremes, transportation denial further en-trenches neighborhood and racialsegregation» (Clarke, 2009). Il progetto come sollecitazione di pratiche e politiche, mediante il quale costruire condizioni di maggiore, masoprattutto più facile e diffusa accessibilità agli spazi collettivi, così come il riconoscimento della necessità diuna più completa mappatura dei serv izi e delle att rezzature co llettive esi stenti d istribuite lungo la rete de itrasporti pubblici hanno assunto in questi documenti un ruolo essenziale. E’ come se una stessa domanda rivoltaai cittadini fosse collocata come incipit a questi lavori: «Is there a park within walking distance of your house,work or school?»11. Ovviamente ciò che qui ci interessa è l’uso del progetto come prefigurazione che oltre ad unire la lettura delpresente all’esp lorazione di un fu turo possibile incentiva la mobilitazione sociale e politica, ma soprattuttoconsente di riconcettualizzare e delineare nuovi campi d’applicazione delle politiche di welfare, ad esempio,provando ad integrare le politiche dei servizi sociali con quelle urbanistiche e ambientali, ma anche con quelledella mobilità. Niente di nuovo sotto il sole si potrebbe facilmente dire, basta ricordare come anche solo qualche decennio fa lariflessione su servizi e attrezzature avesse indotto alcuni autori a riconoscere nell’integrazione tra approcci enella messa in rete di segmenti e frammenti di progetti e politiche la via per dare forma ad un’infrastrutturacollettiva capace di tenere assieme pratiche e spazi.12 Tuttavia, un approccio come quello proposto dai lavori sopra riportati ci sembra contribuire ad una riabilitazionedel concetto di welfare - espressione che non solo ha perso la propria carica utopica13, ma in molti paesi «ècaduta in disuso o, nel m igliore dei casi, ( risulta) p ortatrice d i sign ificati corrosi» (Aa.Vv. 2009a : 5) -consentendoci oltremodo di riconoscere utili best practices di riferimento.

3. Stare bene, oggi. «Ciò che è comune alla massima quantità di individui riceve la minima cura»14. E’ rispetto alle condizioni dellostare bene, welfare e well-being, che vorremmo venissero declinate le parole di Aristotele. E’ indubbio, infatti, che ci si trovi oggi di fronte ad una «crescente domanda pubblica di salute e benessere neicontesti urbani contemporanei» (Bellaviti, 2009: 65)15. Se l’idea di benessere che pensiamo sia fertile e utileveicolare è quella di «possibilità e libertà degli abitanti di un territorio di “stare bene” nel proprio spazio di vita»oltre che della «capacità delle comunità a “stare bene” sul territorio» (Bellaviti, 2009: 67), ci sembra importanteaggiungere che il pro getto urb ano/urbanistico pu ò e de ve s orreggere q uesta ca pacità16, e deve fare ciò

10 Sul ruolo del marciapiede nella costruzione di reti di spazi collettivi e come dispositivo attraverso cui dare forma a diritti alla città vedi:(Loukaitou-Sideris, et al., 2009)11 E’ la domanda che ci si pone a Los Angeles nell’ambito della mostra Just Space(s) organizzata da UCLA. www.justspaces.org12 Su questo tema è interessante la rilettura degli studi di Carlo Aymonino sul rapporto attrezzature-servizi e città compiuta di recente daIlaria Valente. I. Valente, “Servizi, attrezzature, infrastrutture: tre parole chiave per l’architettura degli spazi pubblici”, in (Pomilio, 2009). 13 «La malattia più grave che forse oggi affligge il welfare è la sua perdita di legittimità, derivante dalla delegittimazione del suo nucleoutopico». (Habermas, 1998).14 Aristotele, Politica, Libro II cap. 3, cit. in (Ostrom, 1990: 13). 15 Più diffusamente vedi: (Bellaviti, 2005); (Capolongo, 2009).

Stefano Munarin e Maria Chiara Tosi3

Welfare Space e diritto alla città

principalmente attraverso una precisa e attenta sollecitazione dei luoghi dove si sta “in pubblico” e si svolgono lepratiche collettive di cittadinanza.

Tra le più rilevanti esperienze di relazione tra politiche del welfare e città si colloca ovviamente l’esperienzaolandese degli anni Sessanta e Settanta, che ha immaginato e forzato la città a diventare una sorta di «integrationmachine», capace di «encouraging distinct communities and group to settle, interact and estabilish dynamicrelationships (entro più generali) “massive bottom-up emancipation polizie» (Vanstiphout et al ., 2009: 86).Maakbaarheid è il termine (criticamente ironico) con il quale viene indicato questo massiccio intervento delloStato, oggetto di una recente rivisitazione critica, nell’ambito di “Open City” - 4th International ArchitectureBiennale Rotterdam 200917, da parte degli storici del gruppo Crimson. Una critica sviluppata attraverso alcuniprogetti la cui qualità radicale sta nel comprendere e lavorare con le possibilità esistenti anche per immaginarenuove forme (materiali, politiche, processi) di welfare. Per i Crimson «creating a series of projects that share anethos of straightforwardness and realism is surely more effective in meeting the city’s needs than another out-of-the-box alternative, or a spectacular transformational vision» (Vanstiphout et al., 2009: 91). Su posizioni analoghe ci sembra si collochi (almeno parzialmente) il lavoro che da anni sta conducendo LianeLefaivre. Occuparsi del suolo, del l ivello della strada, degli spazi per il gioco è anche in questo caso un“progetto”, un’ipotesi trasformativa che prende spunto dalle condizioni e dalle pratiche esistenti. Si tratta diun’attività bottom-up, o g round-up, co me vien e d efinita d alla st essa Lefaiv re, attrav erso cui mig liorare lecondizioni della vita in città. Passando anche attraverso la costruzione di spazio pubblico «dispersed, distributedand polycentric…bringing people together and opening up the neighborhood to the outside» (Lefaivre, 2007:24).

Assieme ad altri quindi, stiamo dicendo che «we are in need of New Forms of Welfare: new forms of coherenceand synthesism that are able to frame private interest within a shared social, political and cultural project for thecity» (van Toorn, 2009: 5). Tale bisogno, da tempo sollecita ed interroga la ricerca a fornire ipotesi. Il progetto non si sottrae a questocompito, ed anzi ci sembra che alcuni diversi tentativi, di cui abbiamo cercato di rendere sommariamente conto,stiano prova ndo a m isurarsi con quest o im pegno, a vendo c hiare le im plicazioni della costruzione emodificazione dello spazio nel processo di sviluppo dei “diritti alla città”.

4. ConclusioniIn conclusione ci sembra utile segnalare brevemente alcuni aspetti interessanti di queste (e altre) esperienze,alcuni punti che sollecitano ulteriori ricerche e riflessioni.

1. Cercano di rimettere in relazione politiche sociali (dai servizi alla persona all’organizzazione delle retidelle attrezzature) e progetto urbano/urbanistico. Cosa questa apparentemente ovvia e facile, ma che inrealtà è rara da trovare, anche perché richiede una forte condivisione e coesione (pratica e ideale) tra imolti soggetti e settori coinvolti.

2. Se l’en fasi p osta sug li sp azi collettiv i an che m inuti (marciap iedi, playgrounds, gi ardini e o rti d ivicinato, cortili, ecc.) riporta alla nostra attenzione temi che ricorrono periodicamente nella tradizionedella cultura urbanistica (ad esempio, l ’idea di “unità d i vicinato”), tuttavia questi documenti nonindicano un nostalgico e acquietante ritorno al passato, quanto piuttosto il tentativo di fare i conti,confrontandosi apertamente, con le condizioni poste dalla città contemporanea. Possiamo forse dire chesuggeriscono un ritorno al passato in termini però più radicali, perché riprendono e aggiornano l’ideache la cu ltura u rbanistica possa nuovamente svolgere un ruolo attivo e trainante nell’ideazione d iinedite forme e spazi del welfare.18

3. In questo senso costituiscono a nostro avv iso (o almeno così no i li consideriamo) delle forme diprogetto esplorativo, tentativi che mostrano delle possibilità senza prefigurare la necessità di una città“altra” (quartieri modello, città di fondazione, ecc.), ma lavorando tra gli “interstizi” (fisici ma anchepolitici e sociali) della città esistente.

4. Ovviamente ci presentano ipotesi, non soluzioni, altrimenti dovremmo pensare che la ricerca è finita,che sappiamo cosa è il welfare urbano oggi. Ma così non è, siamo in cammino, e questi p rogettisegnalano semplicemente delle strade (forse semplicemente dei sentieri) possibili.

16 Capacità che è doppia, come ci ricorda Attilio Belli: «Una capacità sociale, attenta ad innescare relazioni complesse con il contesto e gliattori, ri volta ad un mutuo apprendimento, densa di responsabilità, l eggera, che s i dispone ad ave r cura de lle cose e a manifestaresollecitudine per gli altri. Una capacità istituzionale, fatta di competenza istituzionale, di capacità tecnica, di promozione di processi inclusivie di ricerca dal ‘locale’ di collegamenti con i quadri delle politiche nazionali» (Belli, 2005: 5).17 www.biennalerotterdam.nl18 Sapendo che in altri momenti: «la ricerca paziente delle dimensioni fisiche e concrete del benessere individuale e collettivo… ha lasciatonella città il deposito più stabile del ventesimo secolo». (Secchi 2005: 108-110)

Stefano Munarin e Maria Chiara Tosi4

Welfare Space e diritto alla città

Bibliografia- Aa. Vv. (2008), Paisatge i salut, Generalitat de Catalunya, Barcelona - Aa. Vv. (2009a), «Welfare», Casabella n. 774- Aa. Vv. (2009b), Ensuring quality of life in Europe’s cities and towns, EEA Report, n. 5- Bellaviti, P. (2005), (a cura di), Una città in salute, F. Angeli, Milano- Bellaviti, P. (2009), «Alla ricerca di un nuovo “bene ssere” urbano promuovendo la capacità degli abitanti a“stare bene” nella città», in (Pomilio, 2009) - Belli, A. (2005), «Editoriale», Cru, Critica della razionalità urbanistica, n. 17- Bromberg, A. Morrow, G. D., Pfei�er, D. (2007), «Why Spatial Justice?», Critical Planning n. 14, Summer- Capolongo, S. (2009), (a cura di), Qualità urbana, stili di vita, salute. Indicazioni progettuali per il benessere,Hoepli, Milano.- Clarke B. J. (2009), «Bus Rider Rights», B. Jesse Clarke's in-depth interview of Manuel Criollo, UrbanHabitat, June 2- Crouch, C. (2004), Post Democracy, Cambridge Polity Press- Davies, B (1968), Social Needs and Resources in Local Services, M. Joseph, London - Fainstein, S. (2009), «Spatial Justice and Planning», Justice spatiale/Spatial Justice, n. 1 Septembre - Habermas, J. (1998) La nuova oscurità. Crisi dello stato sociale ed esaurimento delle utopie, Edizioni Lavoro,Roma- Harvey, D. (1973), Social Justice and the City, John Hopkins University Press, Baltimore- Harvey, D. (2008), «The Right to the City», New Left Review 53, Sept-October - Lefaivre, L. (2007), Ground-Up City. Play as a Design Tool, 010 Publisher, Rotterdam- Lefebvre, H. (1968), Le droit à la ville, Anthropos, 1968, (trad. it.) Il diritto alla città, Marsilio, Padova - Lefebvre, H. (1974), La production de l’espace, Editions Anthropos, Paris- Loukaitou-Sideris, A., Ehrenfeucht, R. (2009), Sidewalks. Conflict and Negotiation over Public Space, MITPress, Cambridge, Massachusetts- Major of London (2004), The London Plan. Spatial Development Strategy for Greater London, GLA, February- Mitchell, D. (2003), The Right to the City. Social Justice and the Fight for Public Space , The Guildford Press,N.Y. - Munarin, S. (2010), «Eccipienti urbani. Immaginare nuovi spazi per abitare la città», in E. Giani, a cura di,Workshop 2009, Marsilio, Padova- Munarin, S., Tosi, M.C. (2009a), (a cura di), «Lo spazio del welfare in Europa», Urbanistica, n. 139, pp. 88-112- Munarin, S., Tosi, M.C. (2009b), «Welfare Space in Europe», in J. Rosemann, et al. The New Urban Question,Papiroz, Rotterdam- M unicipality of Copenhagen (2007), Eco-Metropole. Our Vision for Copenhagen 2015, Technical andEnvironmental Centre, City Hall, www.miljoemetropolen.kk.dk- Ostrom, E. (1990), Governing the Commons, Cambridge University Press N.Y., trad it . Governare i benicollettivi, Marsilio Venezia 2006 - Pirie, G. H. (1983), «On Spatial Justice», Environment and Planning A n. 15, pp. 465-73- Pomilio, F. (2009), (a cura di), Welfare e territorio, Alinea, Firenze - Reyn aud, A. (1 981), Société, espace et justice: inégaitès regionales et justice socio-spatiale, P resse del’Universite France Paris- Secchi, B. (2005), La città del ventesimo secolo, Laterza, Roma Bari- Soja, E. (1989), Postmodern Geographies: The Reassertion of Space in Critical Social Theory, Verso Press,London - Soja, E. (2009), «The City and Spatial Justice», Justice spatiale/Spatial Justice, n. 1 Septembre - Th e City of Ne w York , (200 8), PlaNYC, A Greener, Greater New York, Mayor’s O�ce of Long TermPlanning & Sustainability, N.Y. - Thompson, C. W., Travlou, P. (2007), Open Space: People Space, Taylor & Francis, London - Tosi, M.C. (2009a), «Welfare e dispersione insediativa», in AA. VV., Architettura e Città n. 4, D i BaioEditore, Milano, pp. 131-133- Tosi, M.C. (2009b), «Da qualche parte in Europa. La città come infrastruttura collettiva», in E. Giani (a curadi), Workshop 2008, Marsilio, Venezia, pp. 188-193- van Toorn, R. (2009), «Introduction», in Reality Demands a Theory. New Forms of Welfare. TheoreticalFramework, Berlage Institute, Rotterdam

Stefano Munarin e Maria Chiara Tosi5

- Vanstiphout, W., Provost, M. (2009), «Maakbaarheid, a uniquely dutch concept of social improvement througharchitecture», The Architectural Review, 1351 vol. CCXXVI september

Spazi di partecipazione e pianificazione:dilemmi e conflitti nell’esperienza toscana

Atti della XIII Conferenza Società Italiana degli UrbanistiCittà e crisi globale: clima, sviluppo e convivenza

Roma, 25-27 febbraio 2010Planum - The European Journal of Planning on-line

ISSN 1723-0993

Spazi di partecipazione e pianificazione: dilemmi e conflitti nell’esperienza toscana

Giancarlo PabaDipartimento di Urbanistica e pianificazione del territorio

Università di Firenze, [email protected] 0552756476/fax 0552756484

Camilla Perrone Dipartimento di Urbanistica e pianificazione del territorio

Università di Firenze, [email protected] 0552756469/fax 0552756484

AbstractLa sperimentazione della costruzione partecipata dei piani urbanistici si è fortemente diffusa in Italia. InToscana una specifica legislazione regionale di promozione della partecipazione nel governo del territorio neha incoraggiato la sperimentazione, in particolare a livello comunale. Dall’analisi delle esperienze derivanonuovi dilemmi sul rapporto tra partecipazione e pianificazione, e la necessità di considerare rischi eopportunità del coinvolgimento dei cittadini nell’elaborazione degli strumenti urbanistici. In questo scritto,dopo alcune considerazioni generali, viene analizzata l’articolazione tra partecipazione e processi dielaborazione tecnica del piano strutturale del comune di Prato.

1. PremessaUna parte dei progetti finanziati dalla Regione Toscana in base a lla legge sul la partecipazione1 ri guarda lacostruzione partecipata di piani comunali. Molte esperienze sono in corso e non è possibile una valutazionecomplessiva. In questo scritto sono con tenute alcun e considerazioni sui pro cessi partec ipativi ch e han noaccompagnato il piano strutturale di Prato, coordinati da un gruppo di lavoro dell’Università di Firenze. Non èqui possibile una descrizione analitica del processo (la documentazione è consultabile nel sito del comune2). Cilimiteremo quindi a un primo bilancio dei risultati e dei dilemmi che ne sono derivati.L’incorporazione nell’o ssatura della leg islazione toscana del principio secondo il qu ale la dem ocraziapartecipativa deve diventare la forma ordinaria di governo mette in primo piano l’intreccio t ra processi dielaborazione dei piani urbanistici e territoriali e percorsi partecipativi/deliberativi. Le due leggi regionali toscanesul governo del territorio e sulla promozione della partecipazione impongono di r isolvere i nodi imposti daquesto intreccio. È intorno a questa articolazione che verrà esaminato il caso di Prato, dopo una breve messa apunto dei problemi che affliggono in questi anni la città.

2. La crisi e i problemi del comune di PratoLa città di Prato sta attraversando una profonda crisi economica, divenuta drammatica negli ultimi anni. La crisiha investito i fondamenti economici e sociali della comunità3. Il peso del settore tessile è diminuito e la suaorganizzazione interna è profondamente cambiata. Molte attività sono scomparse, con una perdita complessiva di

1 Si tratta della legge regionale toscana n. 69 del 27 dicembre 2007, “Norme sulla promozione della partecipazione alla elaborazione dellepolitiche regionali e locali”. Per due diversi commenti vedi A. Magnaghi, “La proposta di legge sulla partecipazione in Toscana”, Contesti.Città, territorio, progetti, n. 2, 2007, 104-106; A. Floridia, “Democrazia deliberativa e processi decisionali: la legge della Regione Toscanasulla partecipazione”, in Stato e mercato, 82, 2008, 83-110.2 I materiali citati sono disponibili al seguente indirizzo web http://partecipazione.comune.prato.it/3 G. Dei Ottati, P. Birindelli, Le prospettive economiche di Prato e del suo territorio, Laboratorio di Economie Applicate, Polo Universitariodi Prato, 2006; G. Dei Ottati, Sintesi interpretativa delle ricerche sulle prospettive economiche: Prato da distretto tessile a distretto dellanew economy, Università di Firenze, 2007; G. Dei Ottati, An Industrial District Facing the Challenges of Globalisation: Prato Today,Università di Firenze, 2008; Aa.Vv., Picture: Promoting Innovative Clusters Through Urban Regeneration, District, Interreg IIIC, Rapportofinale, Prato 2008.

Giancarlo Paba, Camilla Perrone 1

Spazi di partecipazione e pianificazione:dilemmi e conflitti nell’esperienza toscana

posti di lavoro e di competitività. I processi di diversificazione non si sono dimostrati in grado di rivitalizzare ilsistema produttivo locale.Alcune di queste trasformazioni hanno portato al più rilevante fenomeno di immigrazione cinese in Italia, coneffetti importanti sulla struttura del distretto che sono al centro della preoccupazione dei cittadini pratesi (e deglistessi cittadini di origine straniera). La crisi ha alterato il metabolismo della città: si è modificato il ruolo deilegami interni all’imprenditoria locale; si è indebolita la funzione delle famiglie; si è inceppato il sistema tacitodi trasmissione delle conoscenze che ha consentito nel passato al distretto di proteggere la sua performance; si èallentato il rapporto tra sistema produttivo e sistema formativo; si è alterato il rapporto tra rendita e profitto, afavore della prima; si è indebolita quella cap acità d i integrazione d ei citt adini provenienti da lontano ch eBecattini aveva chiamato “pratesizzazione” (Becattini, 2000).I mutamenti socio-economici hanno cambiato l’organizzazione spaziale e funzionale della città. La rendita haesercitato un ruolo importante, che gl i st rumenti urbanistici non sono stati i n grado d i addomesticare, inparticolare nelle operazioni di ristrutturazione che hanno interessato gli stabilimenti manifatturieri dimessi enell’erosione d i margini di t erritorio non edificati. Alcune operazioni di t rasformazione u rbana che hannopreceduto l’ elaborazione de l p iano s trutturale h anno a limentato la d iscussione tra i citt adini, m ettendo i nevidenza l’esistenza di contrasti e visioni diverse.Alla crisi sociale si è accompagnata la crisi degli equilibri politici locali, con il fallimento traumatico dellastorica esperienza amministrava della sinistra. Questi fattori di natura politica e sociale hanno reso turbolento ilprocesso di partecipazione, ed è in questa condizione di incertezza e di conflitto che si è svolto il processopartecipativo e di elaborazione del piano.

3. Partecipazione e elaborazione tecnica del piano strutturale Il processo partecipativo che ha accompagnato la redazione del piano di Prato si è confrontato con due rilevanticondizioni di contesto: la prima è legata alla natura dell’oggetto della partecipazione (lo statuto del territorio delpiano strutturale); la seconda è legata alla congiuntura sociale di Prato sulla quale ci siamo già soffermati. Vieneora analizzata la prima condizione di contesto.Il piano strutturale di una città importante e di grandi dimensioni, mette al lavoro una vasta comunità di persone,ciascuna con un ruolo specifico, dai tecnici agli amministratori, dai rappresentanti politici ai consulenti, daglienti ai quali la l egislazione affida un ru olo attiv o ai livelli di amministrazione implicati nel pro cesso. Lalegislazione tos cana ha progressivamente elaborato m eccanismi di reciproc o controllo, a ga ranzia dellademocraticità e della trasparenza del processo: le funzioni del Garante della comunicazione, la collaborazione tragli enti territoriali (che si traduce in un processo di co-pianificazione), le verifiche della valutazione integrata, imeccanismi d i c ontrollo esercitati dalle arti colazioni della m acchina amministrativa com unale. Un ru oloessenziale continuano ad avere gli strumenti “formali” a disposizione dei cittadini, che operano a valle delprocesso, attraverso la possibilità di presentare osservazioni e il diritto di ottenere una risposta.Il piano urbanistico è u n “sistema conc reto d i i nterazione mu ltipla” ( Crosta, 1990 ), ap erto al g ioco d ellevalutazioni tecniche, delle competenze specialistiche, del dialogo multidisciplinare, del confronto degli interessie delle strategie dei diversi attori sociali. Negli ultimi anni è emersa la consapevolezza che nel “gioco del piano”le g aranzie istituzionali non siano sufficienti ad assicu rare l a capacità de lla macchina di pian ificazione diinterpretare i bisogni sempre più stratificati e complessi dei cittadini, e di tenere conto della loro molteplicità diinteressi e aspirazioni. È inoltre necessario considerare l’estrema varietà di problemi e argomenti che fanno partedell’elaborazione di un piano: dalla casa al territorio, dall’ambiente alla mobilità, dai problemi del centro storicoa quelli della periferia, dallo spazio pubblico alla disciplina degli interventi dei privati, dalla perequazione allatutela del paesaggio.Indagare, o so lo racco gliere, le o pinioni di t utti i cittad ini di u na grande città sug li arg omenti co nnessiall’elaborazione di un piano strutturale è quindi un compito impossibile (appartenendo semmai al dominio dellademocrazia rappresentativa). La democrazia partecipativa si propone un obiettivo dif ferente: non quello dicontare le opinioni di tutti i cittadini, ma quello di ricavare, attraverso strumenti specializzati, molte (il maggiornumero possibile) delle opinioni significative presenti nella città, che siano rilevanti in relazione ai problemi dicui si discute, mettendole a confronto interattivo, in modo che le posizioni possano evolvere nel corso delprocesso.La natura dell’oggetto della partecipazione (lo statuto del territorio del piano strutturale) ha condizionato ladefinizione del modello adottato a Prato. Ci si è mossi su un terreno sperimentale, almeno in Italia. Esistonoinfatti tecniche consolidate e affidabili di trattamento interattivo di progetti semplici e/o definiti. Nel caso diobiettivi della partecipazione circoscritti da un punto di vista territoriale o tematico è possibile utilizzare unadelle tecniche contenute nella cassetta degli attrezzi degli esperti di pianificazione interattiva. Non esiste alcontrario un modello standard di piano urbanistico partecipato di una città di grandi dimensioni. Negli ultimianni molti comuni hanno accompagnato la redazione dei piani urbanistici con iniziative d i consultazione ecoinvolgimento della popolazione e delle organizzazioni sociali, con risultati anche interessanti, e tuttavia anostro a vviso sem pre pa rziali. Le pr atiche pi ù f requenti ri guardano l a co nsultazione de gli at tori s ociali

Giancarlo Paba, Camilla Perrone 2

Spazi di partecipazione e pianificazione:dilemmi e conflitti nell’esperienza toscana

significativi della città (stakeholders) attraverso ‘tavoli’, forum e meccanismi della stessa natura4. Insomma“deliberare” la sistemazione di una piazza è una cosa, “deliberare” un piano regolatore è un’altra cosa, piùcomplicata e difficile.

Figura 1. Schema metodologico di un processo di piano strutturale (dal Quaderno del piano strutturale di Prato.Conoscenze, strategie, partecipazione, a cura di G. Gorelli, G. Paba, C. Perrone, marzo 2009).

Un secondo problema è costituito dal fatto che molti processi partecipativi che accompagnano la redazione deipiani si svolgono in un percorso separato e sghembo rispetto al processo di elaborazione tecnica dello strumentourbanistico. Tecnici e progettisti del piano lavorano su un tavolo diverso da quello delle pratiche interattivemesse in campo dalle organizzazioni specializzate nella gestione della partecipazione. I risultati del processopartecipativo – che spesso precede l’elaborazione vera e propria del piano urbanistico – assumono perciò unvalore autonomo e vengono alla fine consegnati al committente e ai tecnici. La traduzione dei risultati dellapartecipazione nei documenti de l p iano è esterna a l processo d i interazione. Spesso questa t raduzione nonavviene, e i m ateriali e laborati insieme ai cittad ini rest ano come un (p ur importante) ba gaglio diraccomandazioni, le quali possono avere qualche effetto sulle scelte di piano, in modo tuttavia indiretto e nonprogrammato. Ci sono aspetti positivi e negativi in questo modo di procedere (come avviene in tutti i modellipartecipativi/deliberativi, i quali per definizione non puntano alla perfezione, ma al conseguimento di un setcircoscritto di obbiettivi, che spesso è possibile raggiungere solo se si rinuncia a raggiungerne degli altri).Nel definire il modello di interazione per il piano strutturale di Prato si è cercato di dare una risposta nuova aidue problemi sui quali ci siamo appena soffermati. La scelta compiuta è stata quella di suddividere il processopartecipativo in due fasi distinte per finalità, modalità organizzative e strumenti utilizzati:

1. una prima fase di ascolto attivo della città e di “costruzione interattiva delle conoscenze del piano” chesi è svolta da aprile a dicembre 2008;

2. una seconda fase, specificamente “deliberativa”, di discussione dei principi dello statuto del territorio,che si è conclusa con il Town Meeting che si è tenuto il 28 marzo del 2009.

4 L. Bobbio, a cura di, A più voci. Amministrazioni pubbliche, imprese, associazioni e cittadini nei processi decisionali inclusivi , EdizioniScientifiche Italia ne, Napoli , 2004; J. Gastil, P . Levine, eds., The Deliberative Democracy Handbook: Strategies for Effective CivicEngagement in the 21st Century, Jossey-Bass, San Francisco, 2005; R. Chambers, Participatory Workshops: A Sourcebook of 21 Set ofIdeas & Activities, Earthscan, London, 2002; S. Kumar, Methods for Community Participation: A Complete Guide for Practitioners, ITDGPublishing, London, 2002; N. Wates, The Community Planning, Earthscan, London, 2000.

Giancarlo Paba, Camilla Perrone 3

Spazi di partecipazione e pianificazione:dilemmi e conflitti nell’esperienza toscana

Rinunciando alla ricostruzione dettagliata delle due fasi , segnaliamo gli obiettiv i che il modello dilavoro da noi scelto si proponeva di colpire in modo integrato:

La prima fase del processo partecipativo – di “asco lto attivo ” e di co struzione in terattiva dellaconoscenza (Sclavi, 2000; Forester, 1999)5 – aveva lo scopo di ricostruire la molteplicità dei punti divista esistenti in città su un vasto campo di argomenti, con particolare attenzione alla rilevazione deibisogni e delle proposte provenienti dai gruppi sociali più trascurati e marginali, da quelle componentisociali non organizzate che non vengono ascoltate nei processi di piano (mentre le forze politiche osociali strutturate, e le stesse organizzazioni di protesta urbana, sanno come occupare la scena pubblicadella città, e i portatori di interesse sanno come rappresentare i propri interessi nella scena pubblica enelle quinte più nascoste dei processi decisionali).

La seconda fase del processo partecipativo – di “deliberazione” dei principi dello statuto del territorio –aveva lo scopo di affidare lo scioglimento di alcuni dilemmi del piano a strumenti codificati e “neutrali”di discussione e di “deliberazione”, in modo che gli esiti del processo fossero alla fine condivisi da uncampione rappresentativo della popolazione di Prato.

Infine, uno degli obiettivi più importanti e a nostro parere innovativo, del modello adottato è statoquello di costruire un quadro strutturato e esplicito di relazioni tra processi interattivi e elaborazionetecnica del piano. Lo scopo è stato quello di garantire l’autonomia dei due processi e nello stesso tempodi raggiungere il loro positivo coordinamento: l’ufficio di piano ha condotto il proprio lavoro in base aitradizionali pri ncipi di co rrettezza prof essionale e di competenza esperta; il gruppo dell’universitàincaricato del processo interattivo ha organizzato liberamente gli appuntamenti interattivi; una terzafigura implicata sia nel processo partecipativo sia nell’ufficio di piano ha svolto un ruolo di interfacciatra i due processi, consentendo la traduzione in tempo reale dei risultati della partecipazione neglielaborati del piano (i n p articolare n ella co struzione d el quadro conoscitivo e n ell’indagine sulpatrimonio territ oriale). In q uesto modo la collaborazione tra c onoscenza esperta e c onoscenzainterattiva ha potuto assu mere u n c arattere co ncreto e i nfluire su lla formazione d ello strumentourbanistico. I risultati del lavoro interattivo sui quali esistevano contrasti tra i settori di popolazionecoinvolti avrebbero viceversa nutrito la fase successiva della partecipazione, nei laboratori territoriali enel town meeting conclusivo.

Figura 2. Schema del progetto della prima (la costruzione interattiva delle conoscenze del piano) e della secondafase (deliberare lo statuto del territorio) del processo partecipativo del piano strutturale di Prato.

4. Riflessione intorno ai dilemmi della partecipazioneÈ nostra intenzione ritornare su questi argomenti con maggiore attenzione in futuro; qui di seguito proponiamoun primo elen co d i “d ilemmi d ella p artecipazione e d ella d eliberazione”(Pellizzoni, 200 5; Bobb io, 2006) 6

5 Sul tema dell’ascolto “attivo” e della conoscenza interattiva ci si riferisce, tra i molti possibili, a M. Sclavi, L’arte di ascoltare e i mondipossibili, Le Vespe, Milano, 2000; J. Forester, Planning in the Face of Power, University of California Press, Berkeley, 1988; F. Fischer,Citizens, Experts, and the Environment: The Politics of Local Knowledge, Duke University Press, Duhram/London, 2000; P.L. Crosta,Politiche. Quale conoscenza per l’azione territoriale, Angeli, Milano, 1988.6 Di seguito s i elencano alcuni riferimenti bibliograf ici sul tema: J. Elster, ed., Deliberative Democracy, Cambridge University Press,Cambridge, 1998; C. Mouffe, ed., Dimensions of Radical Democracy, Verso, New York, 1992; D. Trend, ed., Radical Democracy: Identity,Citizenship and the State, Routledge, New York, 1996; J. Gastil, P. Levine, eds., The Deliberative Democracy Handbook: Strategies forEffective Civic Engagement in the 21st Century, Jossey-Bass, San Francisco, 2005; L. Susskind, S. McKearnan, J. Thomas-Larmer, eds.,Consensus Building Handbook: A Comprehensive Guide to Reaching Agreement, Sage, Thousand Oaks, CA, 1999; J.L. Creighton, ThePublic Participation Handbook: Making Better Decisions Through Citizen Involvement, John Wiley & Sons, San Francisco, 2005. In italiano(anche oltre le tecniche deliberative) vedi L. Bobbio, a cura di, A più voci. Amministrazioni pubbliche, imprese, associazioni e cittadini nei

Giancarlo Paba, Camilla Perrone 4

Spazi di partecipazione e pianificazione:dilemmi e conflitti nell’esperienza toscana

(relativamente ai processi di elaborazione dei piani urbanistici) che ci è sembrato utile ricavare dalla valutazionedel caso di Prato (e di altre esperienze toscane a nostra conoscenza; vedi Paba et al. 2009):

uno dei limiti più rilevanti deriva dalla mancata o imprecisa definizione della posta in gioco all’iniziodel processo, dall’assenza di empowerment e di una forse circoscritta ma certa “cessione di sovranità”da parte delle amministrazioni, o da ll’assenza d i una reale di sponibilità a rimettere in d iscussioneposizioni decise a l ivello politico o i n se de di conce rtazione co n i soggetti ist ituzionali e gl istakeholders;

mancata comprensione del carattere positivo di un accordo eventualmente raggiunto; permanenza tra gliamministratori di u na c oncezione d ella deliberazione come retorica del co involgimento, lapartecipazione c ome volontà astratta di dialogo, e no n come scelta di u na m odalità effic ace discioglimento d i problemi complessi (un a sp ecie di ‘p artecipazione ril uttante’: si a ccetta ilcoinvolgimento dei cittadini ma si riserva alle amministrazioni il diritto di accoglierne eventualmente irisultati);

una for te e di ffusa resisten za delle macch ine am ministrative a d acc ompagnare i p rocessipartecipativi/deliberativi e a contribuire al loro svolgimento e alla gestione dei risultati;

la r esistenza dei tecn ici, d egli esp erti, dei co nsulenti s cientifici o professionali a d ac cettarecondizionamenti al proprio lavoro e a mettere a disposizione la propria competenza;

la mancanza di una vera e propria cultura della deliberazione; anche in questo caso si può parlare di‘partecipazione riluttante’: sono desiderati e rivendicati contesti nei quali sia possibile far valere leproprie idee, mentre c’è meno disponibilità a considerare rilevanti le idee degli altri;

il ruolo contraddittorio dei comitati cittadini e delle associazioni, lacerati tra la richiesta in astratto dimaggiore partecipazione e la diffidenza nei confronti delle amministrazioni che conduce alcune reti adassumere un ruolo di contestazione dei processi partecipativi e a rinchiudersi in attività di denuncia (oanche di proposta) tanto preziose, quanto spesso unilaterali e auto-referenziali;

la difficoltà di elaborare politiche integrate, multi-settoriali, trasversali; la d ifficoltà d i i ncludere nel p rocesso p rogettuale il maggior n umero possibi le di pun ti di vista,

creandone di nuovi nel corso dell’azione, valorizzando il contributo degli abitanti7 (mentre è più facileper le amministrazioni affidarsi al conforto di meccanismi maggioritari nell’inseguimento del consensoattorno ad un unico punto di vista);

l’eccessiva fiducia ne ll’efficacia degli strumenti de lla partecipazione ( town meeting, ost , congegnideliberativi) condiziona fortemente il processo nella fase di costruzione dei problemi, alimentando laconfusione tra pubblicità, consultazione e partecipazione, ovvero quelle che Fareri definisce come le“tre famiglie di strumenti partecipativi (o meglio che vengono definitivi partecipativi dai soggetti che sefanno promotori)” (Fareri, 2009, 219); non è il ricorso a uno strumento piuttosto che a un altro adistinguere la partecipazione vera da quella falsa, quanto piuttosto la comprensione dei diversi livelli diefficacia dei vari approcci e degli strumenti che gli sono più propri;

la difficoltà di assumere una visione larga e integrata della partecipazione come occasione di inclusionedelle differenze (in qualunque forma esse si manifestino, da quelle sociali a quelle politiche), la cuiefficacia dipende dal modo in cui tutti i fattori discussi co-agiscono e co-determinano il processo(Sandercock, 1998, Forester, 2009);

la strumentalizzazione del conflitto come occasione di disegno delle politiche (policy making) innescaspesso meccanismi di paralisi decisionale e di asservimento delle politiche pubbliche alle oscillazioni dipiccole componenti della società o a episodici eventi pubblici; il conflitto viene spesso consideratocome il responsabile del fallimento del processo partecipativo, sebbene, in un’ottica di analisi dellepolitiche, le ragioni dei fallimenti dei processi non possano essere ricercate direttamente o unicamentenel conflitto (Fareri, 2009; Forester, 2009);

è difficile trasformare il processo partecipativo (in particolare quello promosso dalle istituzioni) in unevento capace di coinvolgere in modo esteso la comunità locale; per questo motivo la costruzione

processi decisionali inclusivi, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2004; L. Pellizzoni, a cura di, La deliberazione pubblica, Meltemi,Roma, 2005. Un manuale problematico e aperto è quello curato da Mirella di Giovine, Micol Ayuso, Giada Saint Amour di Chanaz, AnnaLisa Pecoriello, Francesca Rispoli, come esito finale del progetto europeo Urbact/Partecipando coordinato dal comune di Roma: EuropeanHandbook for Participation: Participation of Inhabitants in Integrated Urban Regeneration Programmes as a Key to Improve SocialCohesion, Roma, 2006.7 Sul tema del rapporto tra conoscenza esperta e conoscenza esperienziale esiste una generosissima letteratura. Di seguito si elencano alcunidei riferimenti bibliografici considerati come seminali: J. Friedmann, Retraking America, a Theory of Transactive Planning , Anchor Press,New York, 1973; D. Schon, The Reflexive Practicioner, Basic Books, New York, 1983; J. Forester, Planning in the face of Power, Theregent of the University of California, 1989; J. Forester, The Deliberative Practicioner, Encouraging Participatory Planning Processes, TheMIT Press, Cambridge, Massachussetts, 2000; P. L. Crosta, Politiche. Quale conoscenza per l’azione, Franco Angeli, 1998, Milano. Per unaricostruzione completa della bibliografia sul tema si veda: C. Perrone, “Conoscenza, pianificazione e città delle differenze: percorsi di letturae di riflessione”, in A. Balducci, V. Fedeli, a cura di, I territori della città in trasformazione. Tattiche e percorsi di ricerca, Franco Angeli,Milano, 200 7; C. Pe rrone, DiverCity. Conoscenza, pianificazione e città delle differenze, Fr anco An geli, M ilano, 2 009, in co rso d ipubblicazione.

Giancarlo Paba, Camilla Perrone 5

Spazi di partecipazione e pianificazione:dilemmi e conflitti nell’esperienza toscana

sociale di un evento locale costituisce un passaggio importante e imprescindibile rispetto all’efficaciadella partecipazione e del suo utilizzo come policy instrument (Fareri, 2009, 231).

è difficile trovare un giusto equilibrio tra pratiche della democrazia partecipativa e dispositivi dellademocrazia deliberativa (Gastil, Levine, 2005; Susskind et al.1999); sono frequenti i casi in cui la sceltasi orienta unicamente verso uno dei due ambiti o si confondono i due ambiti di interattività, mentre sonopiù rari i casi di combinazione virtuosa delle due sfere che caratterizzano le pratiche interattive; laconsapevolezza della necessità di una combinazione delle due modalità è già un esito del processopartecipativo, ma soprattutto è un indicatore della consapevolezza istituzionale e della concretezza dellaposta in gioco;

manca spesso una connessione certa, affidabile, tra progettazione partecipata e realizzazione; e sonomolto rare le attività di monitoraggio e valutazione dei processi e dei risultati eventualmente raggiunti.

BibliografiaGiacomo Becattini, G. (2000), Il bruco e la farfalla. Prato: una storia esemplare dell’Italia dei distretti, Firenze,

Le Monnier.Bobbio, L. (2006), “Dilemmi della democrazia partecipativa”, /Democrazia e diritto/, 4. Pier Luigi Crosta, (1990), La politica del piano, Milano, Franco Angeli.Gastil, J., Levine, P. (2 005), ed s., /The Del iberative De mocracy Han dbook: Strategies for Eff ective Civic

Engagement in the 21st Century/, Jossey-Bass, San Francisco.Paolo Fareri (2009), Rallentare.Il disegno delle politiche urbane, a cura di M. Giraudi, Milano, Franco Angeli.John Forester, (1999), The Deliberative Practitioner, Encouraging Participatory Planning Processes,

Cambridge, Massachussetts, The MIT Press.John Forester, (2009), Dealing with Differences. Dramas of Mediating Public Disputes, Oxford, New York,

Oxford University Press. Giancarlo Paba, Anna Lisa Pecoriello, Camilla Perrone, Francesca Rispoli, (2009), Partecipazione in Toscana.

Interpretazioni e racconti, Firenze, Fup.Giancarlo Paba, (2010), Corpi urbani. Differenze, interazioni, politiche, Milano, FrancoAngeli.Perrone, C. (2007), “Conoscenza, pianificazione e città delle differenze: percorsi di lettura e di riflessione”, in

Balducci A., Fedeli V. (a cura di), /I territori della città in trasformazione. Tattiche e percorsi di ricerca/ FrancoAngeli, Milano.

Pellizzoni, L. (2005), (a cura di), La deliberazione pubblica, Roma, Meltemi.

Giancarlo Paba, Camilla Perrone 6

Territori dell’urbano. Spazi, processi, politiche, nella costruzione della città pubblica

Atti della XIII Conferenza Società Italiana degli UrbanistiCittà e crisi globale: clima, sviluppo e convivenza

Roma, 25-27 febbraio 2010Planum - The European Journal of Planning on-line

ISSN 1723-0993

Territori dell’urbano. Spazi, processi, politiche, nellacostruzione della città pubblica

Anna Laura Palazzo, Lucio Giecillo

AbstractPartendo dalla fibrillazione della coppia urbano-città, il presente contributo intende esplorare lacorrelazione tra le mutazioni dello scenario economico globale e l’emergere di pattern socio-spazialiafferenti ad un’accezione dell’“urbano” altra dalla forma-città tradizionale. Accogliendo alcune suggestioniemergenti all’interno del dibattito nazionale ed internazionale il paper ragiona intorno a due scenari dicontrasto (quello della “densificazione” e quello della “intensificazione”), per approdare alla lettura di unaporzione di territorio romano, caratterizzata dall’emergere di dinamiche che segnano una discontinuità fortecon gli esempi europei ma anche con alcune significative esperienze nordamericane.

1. L’ipotesi della densificazioneLa d ensità rapp resenta un elem ento di prim aria im portanza n ella costru zione dell ’immaginario della citt àmoderna. I sociologi della Scuola di Chicago, che per primi compresero l’importanza della città come laboratorioavanzato di convivenza umana, giunsero quasi subito a sostenere come una delle caratteristiche più autentichedella vita urbana consistesse, oltre che nella diversità tra gli individui (eterogeneità) e nel numero degli stessi(dimensione), proprio nella loro densità (Wirth, 1938). Di conseguenza l’urbanism venne definito come il modellodi vita dato dall’interazione tra un elevato numero di persone diverse per cultura e provenienza in uno spaziorelativamente ristretto, ovvero all’interno di in un contesto urbano caratterizzato dalla compattezza dei tessutiedilizi e da una elevata densità demografica. Con il processo di suburbanizzazione la percezione del problema cambia radicalmente. Le distanze t ra glielementi della scena urbana si dilatano, mentre i livelli crescenti di mobilità consentono una dislocazione semprepiù ampia delle attività umane nello spazio. Alla città dei grattacieli, delle core areas congestionate dal traffico ebrulicanti di at tività e di vita, si affianca prima negli Usa e poi in Europa, un paesaggio a bassa densitàcaratterizzato dall’assenza dei tratti distintivi dell’urbanità tradizionale (compattezza dei tessuti edilizi, continuitàdei fronti urbani, equilibrio tra costruito e spazio aperto, ecc.).L’America è forse il contesto dove la contrapposizione tra città e anti-città, tra urbano e suburbano, ha trovato ilmodo di manifestarsi in ant icipo e con maggiore intensità r ispetto al resto del mondo occidentale. Propriodall’esperienza americana son o gi unte in anni recenti alcune im portanti ipotesi di lav oro su l tem a delladensificazione come risposta ai problemi legati allo sviluppo ineguale del suburbio e al lo sprawl com e suaespressione p iù problematica. Al di là di una certa ingenuità di partenza legata al cl ima d i forte tensioneideologica che animava il dibattito pubblico nell’America del dopoguerra, negli anni l’analisi dello sprawl èprogressivamente approdata a formulazioni più articolate del rapporto tra consumo di suolo e costi (economici esociali) del paradigma della crescita. Smart Growth e New Urbanism, pur nelle differenze di prospettiva checaratterizzano i due movimenti culturali, hanno condotto una lunga campagna di sensibilizzazione sui temi delladensità, della mixité, della pedonalità, come criteri da osservare per il raggiungimento di più elevati standard diqualità urbana e contenere gli effetti negativi dello sprawl. Sul versante degli approcci spaziali le sollecitazioni mirano alla realizzazione di quartieri dotati di una propriaautonomia formale, di un elevato grado di accessibilità pubblica, e di una ampia rete di percorsi pedonali. Ledifferenze tra New Urbanism e Smart Growth riguardano sostanzialmente i nuovi insediamenti, che per isostenitori d ella Sm art Gro wth d ovrebbero pr ivilegiare i co siddetti greyfields, l e aree a bbandonate osottoutilizzate, secondo la logica del completamento (in-fill). Gli esempi sono molteplici e disegnano un quadroarticolato di prassi operative; come ad esempio il noto principio del Transit Oriented Development (TOD), unmodello di organizzazione del territorio urbano tendente a stabilire una forte integrazione tra la pianificazioneterritoriale e il sistema della mobilità. Intorno alle stazioni del sistema di trasporto regionale il TOD prevede larealizzazione di nuclei edilizi densi e la qualificazione delle aree libere residue, destinate ad attività agricole o aiservizi di quartiere. La densità, unita ad altri dispositivi di incremento della mixité funzionale e tipologica, al

Anna Laura Palazzo, Lucio Giecillo1

Territori dell’urbano. Spazi, processi, politiche, nella costruzione della città pubblica

disegno dello spazio aperto, diviene uno strumento di contenimento della crescita urbana e di controllo dellaforma urbis. Attraverso l’applicazione di tali modelli urbani si immagina di modificare anche i territori a bassadensità, attraverso la predisposizione di assi commerciali ad al ta densità, in grado di innervare un territorioampio attorno ad ogni singolo nodo e a creare dei sistemi di riferimento anche al di fuori dei nodi di scambio.Sullo sfond o rimane i l problema d el governo dell’intera fil iera della prod uzione dello spazio: si a nellaprospettiva di un rafforzamento del coordinamento regionale (una cabina di regia forte a livello metropolitano)come suggerito dai sostenitori della prospettiva neo-regionalista, che all’ipotesi di una maggiore competizioneamministrativa tra gli en ti l ocali. Secondo la public choice theory sono infatti l e amministrazioni a dovercompetere per offrire un ambiente di vita più confortevole ad un costo più contenuto per i cittadini (Henig,2002). La competizione è poi alla base dell’innovazione territoriale nella misura in cui sollecita l’azione delleistituzioni locali nell’intraprendere processi di modificazione dall’interno dei modelli di governance.Occorre aggiungere che in assenza di un quadro amministrativo coerente, gli approcci basati sul controllo delladimensione spaziale sono destinati ad incontrare difficoltà enormi nel passaggio dal piano teorico a quello dellesperimentazioni concrete. E’ evidente infatti la difficoltà che un’applicazione estesa degli approcci regolativicomporta in assenza di unna visione strategica complessiva, ad esempio in materia di trasporti, in materia fiscalee di una reale integrazione tra le diverse politiche di sviluppo. Riferendo quanto sopra accennato all’area romana, ci si rende ad esempio conto di come l’assenza di una rete ditrasporto efficiente renda particolarmente problematica l’idea di una forte integrazione tra le polarità territoriali.Lo stesso policentrismo, che è stato un banco di prova per le grandi metropoli europee, sembra minato nel casoin questione da una condizione “strutturale” della città che in passato ha già decretato il fallimento di diversitentativi di pattern lineari: la codificazione di Roma come città radiocentrica - “tutte le vie portano a Roma” -continua a condizionare gli sviluppi insediativi.

2. L’ipotesi della intensificazioneL’affermazione su larga scala della velocità-movimento si è accompagnata allo spostamento progressivo delbaricentro delle relazioni economiche, sociali e di potere a monte e a valle della coppia urbano-città: a monteverso la dimensione sovra locale (dove si registra la transizione delle relazioni economiche all’interno della sferaglobale); e a valle, verso la dimensione micro-spaziale, dove si assiste ad una generale perdita di senso dellecategorie in terpretative tr adizionali in f avore d i u n mo dello i nsediativo “ debole”, an archico n ei c riteriorganizzativi, e a-gerarchico negli esiti spaziali. All’interno di tale scenario si consuma la dicotomia tra lo “spazio dei flussi” (il sistema degli scambi economici,produttivi, finanziari, ecc.) e la geografia dei luoghi, caratterizzata dal prevalere delle relazioni simboliche edaffettive (Castells, 2003). L’attenzione di studiosi ed esperti per gli aspetti dinamici (di flusso, appunto) haprivilegiato n el t empo l’analisi d elle re lazioni v erticali, all udendo con q uesto ad una pro gressivasmaterializzazione dei rapporti tra gli elementi della scena urbana. Va da sé come questa prospettiva ha favoritoil consolidarsi di una visione della problematica urbana sbilanciata sui temi della connettività, dell’integrazione,della rete, seco ndo una l ogica di ti po econo micistico, a discapito d i as petti le gati ad esem pio allamultidimensionalità dei contesti (Smith, 2001). Insomma, al di là della tendenza a considerare lo spazio dei flussiin continuità con il sistema dei luoghi od in opposizione ad esso, l’irruzione della velocità-movimento nella vitae nell’esperienza quotidiana ha operato alcune profonde trasformazioni nel modo comune di intendere lo spazioe il tempo. La relazione che tiene assieme tutti gli oggetti della scena urbana si basa su un’idea del tempo chenon è più Chronos, il tempo lineare e cronologico della storia, e neanche Aion, i l tempo immutabile delladivinità, ma è un tempo mutante, un tempo che si trasforma attraverso processi di smaterializzazione dello spazioper mezzo dell’accelerazione. La ci ttà co me unità di vicinanza risulta fo rtemente co ndizionata d all’irruzione della v elocità n ella n ostraesperienza. La sua simbologia non può essere più affidata ai quadri prospettici delle vie commerciali e ai teatrinaturali delle piazze, ma si trasferisce nella bidimensionalità delle comunicazione a distanza. Si assiste così aduna progressiva smaterializzazione degli elementi costitutivi della vita urbana, ovverosia al loro transito nelregno dell’invisibile, determinato dalla fibrillazione dei loro nessi spaziali (Virilio, 1998). Quanto sopra richiamato colloca il progetto al centro di un ampio processo di revisione dei canoni di riferimentonell’organizzazione fisica e simbolica dello s pazio u rbano. L’ac celerazione im posta dai processi dismaterializzazione dell’economia, della produzione, del lavoro, implica inoltre una riformulazione delle nozionidi “estensione” e di “durata”. Il qui ed ora della comunicazione veloce si sostituisce alla durata dello spazioeuclideo, rendendo ogni luogo ed ogni tempo accessibile al la telepresenza e dilatandolo indefinitamente. I lprodotto dell’accelerazione è i nfatti un a spazialità che c oincide co n la fi ne della forma-metropoli e c onl’emergere di un o rdine sociale e spaziale radicalmente d iverso dal passato. E’ noto infatti che una dellecontraddizioni fondamentali del capitalismo moderno stia proprio nella dialettica tra fixity e motion, ovvero nelconflitto tra la tendenza all’accumulazione (alla creazione cioè di capitale fisso) e bisogno di rinnovamento,ovvero di una “distruzione creativa” dell’esistente e della sua sostituzione con qualcosa di radicalmente diverso(Harvey, 1981).

Anna Laura Palazzo, Lucio Giecillo2

Territori dell’urbano. Spazi, processi, politiche, nella costruzione della città pubblica

Il capitalismo tende quindi a costituire limiti e barriere con l’obiettivo di rendere più efficiente il funzionamentodella macchina produttiva, ma predispone anche una serie di strutture (ed infrastrutture) destinate al superamentodegli impedimenti fisici stessi e alla realizzazione di una più fluida circolazione di beni e servizi. Va da sé comela di ffusione su sca la g lobale d ella co municazione v eloce rend a o bsolete anche le r esidue tendenzeall’accumulazione, inaugurando una fase nuova per il capitalismo: un mondo ad “accumulazione zero”, in cuitutto è in movimento e dove la materia stessa tende a cedere il posto all’immaterialità dell’informazione (Virilio,2000). Ne consegue che anche la smaterializzazione della realtà fisica si ripercuote sulle strutture della forma-metropoli, aprendo il campo a molteplici declinazioni del rapporto tra spazio abitato e tempo-movimento. Altempo universale, cronologico della storia si sostituisce il tempo dei molteplici racconti-spostamenti individuali,che si at tivano a r idosso de l p rocesso di g lobalizzazione dell’economia, d ella f inanza, d ella produzione.L’incontro nella Babele delle temporalità urbane, suburbane e super-urbane, della pluralità delle soggettività-traiettorie in movimento, definisce una “seconda realtà”, che segna il superamento dei dualismi della tradizioneoccidentale. Così anche l’“abitare”, il lavoro e il tempo libero lungi dall’essere concettualizzati in funzionedell’opposizione t ra sedentarietà e movimento, divengono l ’esito di p iù art icolate correlazioni t ra forme diaccessibilità immateriale e nuovi nomadismi, tra Hoestia ed Hermes. Questa rappresentazione della città senza centro né periferia, orizzonte spaziale di territorialità liquide, dominiodel posturbano, chiede oggi di essere indagata con strumenti differenti rispetto alla staticità della prospettivatradizionale. Se la tradizione dell’analisi urbana è interamente centrata sull’idea di una corrispondenza senzaresiduo tra “forma” ed “urbano”, ovvero tra morfologia fisica e modi dell’organizzazione sociale, il mondo ad“accumulazione zero” invoca l’assunzione di parametri di analisi in grado di catturare la fluidità dei processi ditrasformazione dello spazio sociale (Dear, 2000; Soja, 1989). La chiave dell’intensità apre in tal senso scenariinediti, organizzando una percezione de ll’urbano come dispositivo di relaz ione tra temporalità diverse (siarispetto alla dominante del movimento, che dell’evento, ovvero dell’avvicendamento nello spazio di episodidiversi). In altre pa role, l’in tensità è u na d imensione in grado di registrare l’oscillazione d i senso che sidetermina nel passaggio dal piano della visione areale, statica, euclidea a quello della visione discorsiva, legataalle traiettorie di spostamento (individuali e collettive). Stante la crescente d isponibilità delle persone al movimento, l’in tensità d iviene un pa rametro sempre piùimportante p er co mprendere le tr asformazioni dei si stemi urbani. L a velo cità e la simultaneità che siaccompagnano al la dimensione dinamica nei p rocessi di p roduzione dello spazio sembra inoltre rafforzareun’idea de ll’urbano c ome pura forma (Lefebvre, 1973) . U n’idea d ell’urbano com e i ncontro, a ssemblea,simultaneità che assume configurazioni fisiche (forme) coerenti con le pratiche sociali che in esso hanno luogo:“questa forma non ha uno specifico contenuto, ma è un centro di attrazione e di vita. E’ un’astrazione ma, adifferenza delle entità metafisiche, l’urbano è un’astrazione concreta, associata alla pratica. Le creature viventi, iprodotti dell’industria, la tecnologia e la ricchezza, le opera di cultura, i modelli di vita, l e situazioni, lemodulazioni e le rotture della quotidianità – l’urbano accumula tutti questi contenuti”.

3. Né città né campagna. La dimensione della compiutezzaDensità e intensità, in quanto ingredienti di una complessità che l’urbanità sembra ricercare per dispiegarsi almeglio, non incontrano una facile accoglienza nel caso romano, dove lo statuto di “Città eterna” condizionata dauna risorsa archeologica da preservare ad ogni costo, così come l’espansione a macchia d’olio hanno del tuttoscoraggiato quell’intenso ciclo infrastrutturale che costituisce oggi il portato della “modernità” in altre cittàeuropee e d’oltre oceano. Qui, l’estrema rarefazione insediativa suggerisce piuttosto di portare l’attenzione a untarget di qualità urbana che non porti in dote improbabili fattori di richiamo per attività che si pretendono centralie ad alto valore aggiunto, lavorando con cautela e “giudizio” su riconversioni nella chiave di un’apertura allo“spazio comune” di modelli in troversi generalmente incentrati su lla dimensione residenziale. I l pe rcorso d i“compiutezza” che abbiamo provato a sperimentare riguarda un luogo tra i tanti dell’estrema periferia romana,Isola Sacra, fortemente radicato nell’immaginario letterario e progettuale per le memorie del passato (comepaesaggio naturale del delta del Tevere, ridotto a bonifica nel secolo scorso). Il “désenclavement” non è opzioneaffrontabile nel tempo breve, i costi di riconversione sarebbero spropositati e il fattore “distanza” si combinaperversamente con quello “inaccessibilità”. Isola Sacra è oggi espressione emblematica del conflitto tra città e campagna. L’espansione urbana contendespazio alle diverse ragioni del territorio aperto - regimi di tutela, attività ricreative e produttive - che a loro voltasi manifestano con significative interferenze e conflitti: tra questioni di “forma” (come aspetto del paesaggiovisibile e sensibile), q uestioni di “ struttura” (come st ruttura dell’economia a graria, che re gola gl i assettiproduttivi e determina le convenienze degli operatori), e questioni di “funzionalità” (in chiave ecologica e disostenibilità ambientale, ma anche della fruizione pubblica). I valori attivi della natura e della storia - i tratti di paesaggio fluviale meno compromessi, le caratteristiche tramedei poderi e dei canali della bonifica novecentesca, i segni più cospicui e le tracce minori di insediamenti antichi-, i ntercettano i n chiave conflittuale v alori ed aspetti d ella modernità fondamentalmente i ncentrati suproblematiche forme di abitare - la “campagna urbana” con il suo ibrido statuto -, e su varie formulazioni del

Anna Laura Palazzo, Lucio Giecillo3

Territori dell’urbano. Spazi, processi, politiche, nella costruzione della città pubblica

produrre, che riguardano le zone artigianali e, soprattutto, alcune forme del loisir relative alla nautica da diportoche recapita in corrispondenza dell’isola estesi rimessaggi di barche e cantieri navali in piena attività, con laprivatizzazione d elle sp onde fluviali e occupazione d elle r esidue aree g olenali. Fanno d a s fondo al letrasformazioni in atto regimi di pianificazione sempre più articolati e complessi. La messa a fuoco di vocazioni epotenzialità condivise dalle strumentazioni in essere (la salvaguardia di lembi residuali di naturalità insospettatautili per attiv are co nnessioni ecologiche t ra Roma e il mare, la t utela de lle trame a gricole d ella b onificanovecentesca, la valorizzazione delle risorse archeologiche) non può prescindere da una considerazione specificadelle attitudini e aspettative di accessibilità, sostenibilità e partecipazione alle scelte da parte della cittadinanzalegate al tempo presente, ampiamente declinate a diverse scale e con riferimento a distinte categorie di utenti. La popolazione di Isola Sacra è stimata in 25400 abitanti (dati al 2006), con poco meno di 10000 nuclei familiari(9875). Facendo realisticamente i conti con la popolazione attualmente insediata (per una densità di circa 20ab/ha), lo scenario di sviluppo perseguito dal Piano Regolatore afferma un principio di densificazione isotropache prevede il completamento diffuso del territorio dell’isola. Una saturazione dello spazio edificabile residuoche non modifica sostanzialmente il principio insediativo precedente e che interagisce con iniziative concentratedi forte momento a condizioni di mobilità sostanzialmente invariata. Questo pattern insediativo che propone una progressiva densificazione delle aree già avviate all’urbanizzazione,secondo sequenze de l t ipo d isperso-diffuso-consolidato, non raggiungerà mai soglie tali da non comportareproblemi in termini di attrezzature e servizi. Tali condizioni di “campagna urbana”, diffuse nell’area romana,sono probabilmente quelle a più alto rischio: rischio di obsolescenza di un modello insediativo difficilmente“correggibile”, ma assai meno stabile all’usura della città compatta, in quanto incrementi di densità o innesti dinuove funzioni costituiscono opzioni difficilmente praticabili, con costi elevati per tutti. La questione va piuttosto posta nei termini di una governance della filiera della produzione urbana, che tengaconto tanto delle ragioni della “complessità”, che di quelle della “compiutezza” (la città deve riprodurre forme diconvivenza e d i u rbanità a ccettabili). Ciò ri chiede prima di t utto u n ap profondimento d ei pa ttern d itrasformazione dello spazio insediativo del territorio in questione. Detti pattern non devono naturalmente essereintesi come semplici perimetri spaziali, texture bidimensionali, entità areali misurabili zenitalmente. Si trattapiuttosto di sistemi socio-spaziali multidimensionali, af ferenti a m odi complessi di o rganizzazione d ellaproduzione, del lavoro e del tempo libero emersi con la fibrillazione della coppia urbano-città: dall’emergere adesempio di pattern socio-spaziali legati alla dimensione culturale e ricreativa connessa all’agricoltura periurbana,alla difesa e alla valorizzazione dei serbatoi residui di naturalità, al nuovo ruolo della mobilità e dei collegamenticon i g randi serv izi territ oriali, alla ri fondazione d ello spaz io de l welfare , ai m odi attraverso cui si variposizionando in questi ambiti la questione abitativa, e così via. Del resto, chi vive a Isola Sacra, pur perseguendo stili di vita decisamente urbani, si trova in un contesto chetrattiene, accanto a lembi di natura naturans del paesaggio del Tevere, elementi e relitti di ruralità da recuperare(trame agricole, vivai, orti urbani adiacenti ai fossi o in aree di risulta, “aree in attesa”). Una suggestione, sul latodella costruzione della “città pubblica”, proviene da alcune esperienze di multifunzionalità agricola, che ammettevarie formule a partire da un principio fondamentale: l’agricoltura svolge ormai da diversi anni un ruolo non piùidentificabile soltanto nella sua funzione di produzione di beni di prima necessità, ma lega la sua sopravvivenzaall’assolvimento di altre funzioni (paesaggistiche, turistico-ricreative, culturali, didattico-educative, terapeutiche,riabilitative, ecc.), che peraltro svolgono una funzione di presidio del territorio oltre che di contrasto al declinodelle attività agricole residue e alla diminuzione dell’occupazione di settore. Un’idea di welfare verde praticatosoprattutto nel nord Europa in alcune modalità risorgenti di agri-civismo (Ingersoll, 2004), legate ai bisognicivici di educazione, ricreazione e mantenimento del verde periurbano e infraurbano, è poi possibile immaginaree sviluppare forme di imprenditoria locale anche attraverso la concessione dei terreni demaniali per attivitàvivaistiche, già parzialmente presenti; strutture ricreative (maneggi, fattorie didattiche, agriturismo…); utilizzo ditecniche di riqualificazione paesaggistica ( land art), con il fine di preservare o rivitalizzare a fini turistici lenumerose aree ricadenti nel vincolo archeologico e di connettere i due capisaldi territoriali di Isola Sacra e OstiaAntica. Sul versante del modello insediativo, è difficile immaginare in tempi brevi una inversione del pattern insediativodominante. Bisogna avere il coraggio di operare su scenari di lungo periodo, accettando il fatto che si tratta dipaesaggi “recenti”, passibili dunque di ulteriori cicli di trasformazione. Occorre quindi un atteggiamento teso acontemperare obiettivi di qualità ambientale ad operazioni di manutenzione del tessuto urbano. Ciò si puòtradurre, in termini di forma urbis, in “ giudiziose” o perazioni di compattamento urbano, s postando p esiinsediativi in aree strategiche, con pattern insediativi ad una dimensione conforme di vicinato – la grana delle“cuadras” che ancora oggi si rileggono come esito dell’appoderamento – operando al loro interno destinando i“vuoti” a funzioni e forme che favoriscano la socialità nel quadro di un rinnovato patto con il paesaggio.

Anna Laura Palazzo, Lucio Giecillo4

Territori dell’urbano. Spazi, processi, politiche, nella costruzione della città pubblica

BibliografiaCastells, M. (2003), La nascita della società in rete, Università Bocconi Editore, Milano.Dear M. (2000), The Postmodern Urban Condition, Blackwell, Malden, Mass. Harvey, D. (1981), “The spatial fix: Hegel, von Thünen and Marx”, Antipode, 13, n. 3, pp. 1-12.Henig, J. R., “Equity and the Future Politics of Growth”, in Squires, G.D. (2002), Urban Sprawl: Causes,Consequences, and Policy Response, Ingersoll, R. (2004), Sprawltown, Meltemi, Roma.Wirth, L. (1938), “Urbanism as a Way of Life”, American Journal of Sociology, XLIV.Lacava, A. (1999), “La questione ambientale nel sistema territoriale dell’ area romana”, i n Ambiente esviluppo sostenibile nei piani territoriali di coordinamento di nuova generazione, Edizioni Papageno, Roma.Lefebvre, H. (1973), La rivoluzione urbana, Armando, Roma. Urban Institute Press, Washington DC.Park, R. E. et Al. (1967), La città, Ed. Comunità, Torino.Smith, M. P. (2001), Transnational Urbanism: Locating Globalisation, Blackwell Publishers, Malden MA.Soja E. (1989), Postmodern Geography: The Reassertion of Space in Critical Social Thoery, Verso, London.Virilio, P. (1998), Lo spazio critico, Dedalo, Bari.Virilio, P. (2000), La velocità di liberazione, Mimesis, Milano.

Anna Laura Palazzo, Lucio Giecillo5

Percezione dello spazio pubblico per costruire scenari di progetto. Le Greenway della città di Potenza.

Atti della XIII Conferenza Società Italiana degli UrbanistiCittà e crisi globale: clima, sviluppo e convivenza

Roma, 25-27 febbraio 2010Planum - The European Journal of Planning on-line

ISSN 1723-0993

Percezione dello spazio pubblico per costruire scenari diprogetto. Le Greenway della città di Potenza.

Rocco PastoreDottore di Ricerca in Rappresentazione dell’Architettura e dell’Ambiente

presso il Politecnico di Bari, Dipartimento di Architettura e Urbanistica.

AbstractLa percezione degli spazi urbani supporta il progetto di riqualificazione. Interventi strutturali e scenografiemutevoli mirano a stimolare processi di riappropriazione degli spazi della città da parte degli utenti, che lafruiscono come un ipertesto, fatto di materiali naturali, agricoli e artificiali, risolvendo in tal modo criticità econflitti.La tesi è sviluppata attraverso un progetto di sistema ambientale per Potenza connesso per mezzo delleGREENway (GWP), vie-verdi che portano il paesaggio nella città, costituendosi esse stesse come elementi diconnotazione paesaggistica. Si fornisce un metodo possibile per progettare gli spazi aperti urbani e sub-urbanimigliorando convivenza e coesione in luoghi eterogenei e complessi con la doppia attenzione ecologica epercettiva.

Negli ultimi anni la città sta ripensando se stessa attraverso continui programmi di riqualificazione. Spesso peròci si preoccupa della piccola scala del quartiere piuttosto che del sistema-città nel suo complesso, trascurandonela st ruttura generale e procedendo per parti “autonome”. Nei progetti è necessario puntare sull’idea d i unlinguaggio co mune per riscoprire un ’identità urbana un itaria, sostenere la con tinuità delle tra sformazioni epreservare la leggibilità dell’insieme.A tal fine, nella presente ricerca applicata alle vie verdi per la città di Potenza, si sostiene la tesi secondo cui lapercezione dello spazio pubblico e la sua successiva “trascrizione” grafica forniscono uno strumento d’indaginee d’azione in grado di ridare unitarietà al contesto urbano caotico. Il progetto delle GREENway1 (GWP), paesaggio che penetra nella città, nasce dalla necessità di risolvere ilproblema dello scollamento tra tessuto edilizio e strada attraverso un processo di riqualificazione diffuso a scalaurbana e peri-urbana. L’obiettivo è quello di consolidare nell’immaginario collettivo un’idea di città unitaria,fondata sulla sua interpretazione identitaria e riformata da interventi di qualificazione ecologica e dotazione diservizi conformi agli standard contemporanei d i spazi pubblici. I l rinnovato sistema ambientale di Potenza,costituito da n odi, gli spazi a perti urbani e sub-urban i, c onnessi per m ezzo delle vie verdi, elem enti d iconnotazione paesaggistica, interpreta quindi la sua vocazione di città-natura.

La ri cerca si co lloca nell’am bito scien tifico dell a rap presentazione, con appo rti d isciplinari d a partedell’architettura del paesaggio, dell’ecologia del paesaggio e dell’urbanistica2. Un c ontributo im portante al la definizione d el metodo d ’indagine è da to da gli studi co ntemporanei sullapercezione urbana, che hanno come precursore K. Lynch3. Ricercatore e progettista, egli ha rintracciato la naturadelle relazioni contraddittorie e conflittuali tra forma dell'ambiente f isico e strutture sociali ed economiche,rimarcando la convinzione che la forma di uno spazio abbia influenza sui comportamenti sociali, economici emorali delle persone, che possa migliorarli e peggiorarli e che quindi molti dei problemi della società urbanapossano essere risolti per mezzo della variabile estetica. Il background formato per le riflessioni a base del

1 L’acronimo GWP (GreenWay per Potenza) è del progetto attuato dal Dipartimento di Architettura, Pianificazione e Inf rastrutture diTrasporto dell’Università degli Studi della Basilicata e dal Comune di Potenza dal titolo VIE VERDI per la città-natura di POTENZAproposta di un sistema di GREENway (GWP) – Resp. scientifico prof. A. Sichenze2 L’Urb anistica “rappresentata come ciò che pone fine a un inesorabile processo di peggioramento delle condizioni della città e delterritorio presi in esame e come inizio di un virtuoso processo del loro miglioramento” (Secchi)3 Kevin Lynch (1918-1984) concentra la sua attività di ricerca nello studio della percezione del paesaggio urbano da parte delle persone. Isuoi contributi scientifici, oltre a rappresentare un punto di svolta per la teoria urbanistica, spaziano in un vasto campo concettuale, dallapsicologia ambientale alla geografia della percezione.

Rocco Pastore1

Percezione dello spazio pubblico per costruire scenari di progetto. Le Greenway della città di Potenza.

progetto contempla anche gl i studi condotti da E. T. Hall (1968)4 e G. Cullen (1989)5 e le sperimentazioniitaliane (De Carlo, 1968)6.Gli strumenti della rappresentazione utilizzati per l’indagine e il progetto paesaggistico a scala urbana sono statiil disegno a mano libera, per appuntare le impressioni visive, fornendo un supporto per la definizione di progettie scenari, la cartografia, per ottenere mappe astratte e schematiche dei conflitti e delle convivenze negli spazipubblici, il foto-realismo, per la comprensione presso un target di utenti a llargato. Se da un lato, infatti, ilprogetto urbano di tipo percettivo ha bisogno del continuo supporto del disegno, per imprimere istintivamente lesensazioni visive suscitate dai luoghi urbani e costruire gli eidotipi su cui riflettere e tecnicizzare le proposte,dall’altro la razionalizzazione delle sensazioni percettive spaziali e temporali necessita di simulazioni della realtàeffettuate con metodi geometrici. L’attuale interesse dell’urbanistica per i conflitti so ttesi ag li spazi pubblici, ev idenziati dalle trasformazioniurbane, ha stimolato quindi l’approccio interdisciplinare nella progettazione, integrandola anche con ricerchesociologiche e di psicologia comportamentale, che cercano di agire sul legame tra la percezione di un ambienteurbano e il comportamento sociale7.

Potenza è un città diffusa, sviluppata per “recinti tematici” - spazi commerciali, centri terziari direzionali – einterventi disegnati di quartieri-tipo molto diversi tra loro e privi di un concetto unitario di città. Gli spazi cheseparano questi “recinti”, residui di standard mai realizzati, lacerti di natura o campagna semi-abbandonata, purassumendo spesso la funzione di canale trasportatore, non strutturano la forma urbana, ma generano caos. Glispazi urbani di Potenza sono affetti, inoltre, dai due problemi dell’indifferenziazione e dello scollamento dellestrade dal tessuto edilizio.Nel primo caso le aree aperte della città tendono ad assomigliarsi, per la dilatazione degli spazi legata allecondizioni orografiche, al disordine edilizio, alla presenza di vegetazione abbondante ma residuale, e quindianch’essa disordinata. La conseguente percezione di omogeneità diffusa da un lato ha abituato la popolazione aconvivere con l’idea di una città verde, ma senza entusiasmo, dall’altro genera disorientamento da parte deivisitatori occasionali. La rappresentazione dell’identità collettiva, che si manifestava in passato nella piazza, èassente, perché m anca l’og getto stesso d ella r appresentazione, ovvero u n Landmark, un elem ento d iqualificazione spaziale, e la m emoria no n è s ufficiente da s ola a so ddisfare i bi sogni di i dentità di unapopolazione che convive in situazioni frammentarie, in recinti vicini ma separati. Nella seconda situazione, invece, si percorrono strade in soprelevata o sottoposte al tessuto edilizio semicentralee periferico, sempre a causa della morfologia tormentata del sito, rendendo difficoltosi i collegamenti tra i vari“recinti” e dimessi i grandi spazi residuali. Si verifica, quindi, l’abbandono di questi vuoti tutti uguali e senzaqualità o la forzatura della convivenza con essi, dal momento che non possono essere occupati né da edifici, néda standard urbani da realizzare “con poco sforzo”.

Una prima proposta di soluzione alle criticità urbane evidenziate è data dal progetto ecologico. Si è elaborato unmodello di tipo “ecosistemico” per realizzare politiche di sviluppo sostenibile applicate alla città. La sostenibilitàa cui ci si riferisce è di tipo spaziale e sociale, piuttosto che energetica o ecocompatibile. Il progetto di tipoecologico prevede la classificazione dei percorsi delle Greenway, in base all’interpretazione vocazionale, innaturali, agricoli e artificiali. Nei tratti naturali i materiali di progetto sono le specie arboree, sempreverdi o afoglie caduche, in base alle necessità di occultamento/visibilità e al fine di armonizzare gli interventi su percorsie spazi con specie autoctone a bassa manutenzione e idro-esigenza. Nei brani di percorso agricoli il progetto haavuto l ’obiettivo d i ri appropriazione v isiva d egli s pazi degradati del la campagna, ri vitalizzando l e coltureagricole con forme di conduzione sociale e produzioni competitive, recuperando i manufatti rurali esistenti eripensando le recinzioni per renderle piacevoli e permeabili allo sguardo. Questi parchi agricoli in miniaturarinnovano l ’immagine de lla città e offrono la doppia possibilità d i frui zione produttiva e micro-turistica odidattica. Nel terzo caso, infine, quello dei percorsi artificiali, il progetto è soprattutto di tipo percettivo e lanatura viene completamente addomesticata per diventare installazione artistica: le specie autoctone si mescolanoa quelle esotiche, come in una sorta di giardino, al le sculture, e gli stessi alberi o cespugli possono esserericoperti o reinterpretati per divenire un mutevole elemento artistico che anima il percorso. Poiché quella divivere la strada è una componente propria della cultura mediterranea, in particolare del Sud d’Italia, in tal modosi offrono agli utenti urbani occasioni per ri-viverla, riappropriandosene. Gli spazi aperti diventano centro dellavita sociale degli abitanti, cosa che dovrebbe implicare l’esistenza di una costante e continua manutenzione,adeguamento e rinnovamento.Il progetto del circuito delle Greenway è rafforzato da un punto di vista ecologico dal collegamento al sistemaextra-urbano di flussi di naturalità, dato il contesto territoriale di grande biopotenzialità in cui si colloca Potenza,

4 Edward T. Hall (1914-2009) antropologo e ricercatore multidisciplinare statunitense.5 Gordon Cullen, (1914-1994) urbanista britannico legato al mondo dell’urban-design.6 Giancarlo De Carlo (1919-2005) architetto genovese, è stato tra i primi a sperimentare ed applicare in architettura la partecipazione da partedegli utenti nelle fasi di progettazione.7 Negli anni sessanta queste ricerche erano assolutamente agli albori anche da noi e i segmenti più avanzati della cultura urbanistica italiana –come la ricerca ispirata da Adriano Olivetti e travasate nell'IRES e nell'ILSES - facevano più o meno riferimento agli stessi autori, alle stesselinee di ricerca della sociologia, dell'antropologia e dell'economia americane, inglesi, francesi.

Rocco Pastore2

Percezione dello spazio pubblico per costruire scenari di progetto. Le Greenway della città di Potenza.

e da un punto di vista funzionale dalla possibilità offerta agli utenti di fruire della natura riportata visibilmenteall’interno della città.

Per risolvere, invece, le criticità delle immagini ambientali8 conflittuali degli spazi pubblici, sono state utilizzatele categorie percettive della leggibilità e della figurabilità (Lynch, 1960). La prima è definita come la chiarezzaapparente del paesaggio urbano. Quanto più in una città è possibile identificare chiaramente quartieri, riferimentie percorsi e ricondurli ad un sistema unitario, tanto più tale città sarà leggibile. La seconda è la qualità checonferisce ad un oggetto fisico un'elevata probabilità di evocare in ogni osservatore un’immagine vigorosa, inparticolare se gli spazi pubblici hanno una forma e dei contenuti tali da facilitare la formazione di immaginiambientali vividamente determinate, potentemente st rutturate, altamente funzionali. Quanto più una ci ttà sipresenta ben conformata, distinta, notevole, tanto più essa è “figurabile”, “visibile”.Gli spazi pubblici di Potenza, per le criticità evidenziate, presentano bassi livelli di leggibilità e figurabilità. Ilprogetto, mettendo a sistema i n odi d ella città, prevede i nnanzitutto l a differenziazione nell’uso e nellaconseguente forma dei luoghi interconnessi, fornendo una maggior comprensione e un miglior orientamentourbano. All’attività del progettista, che manipola tecnicamente gli spazi, seguirà quella degli abitanti, che limanipolano in maniera simbolico-relazionale. L’apparente conflitto in realtà risolve il problema della percezioneindifferenziata del paesaggio urbano. La valorizzazione percettiva di questi luoghi interconnessi dai percorsiconsegue, qu indi, l’ob iettivo d i po tenziamento de lla fruizione v isiva “st atica” e panoramica d ella città,permeabile al paesaggio.Allo stesso modo, il progetto di riqualificazione percettiva dei percorsi consente agli abitanti e ai visitatori diimprimere nella mente un’immagine riconoscibile dinamica, composta da sequenze di visioni comuni (tessutoedilizio di base, spazi senza qualità, lacerti di natura) e visioni singolari (architettura storica specialistica ocontemporanea di qualità, ville, giardini urbani). Assegnare un valore anche alle visioni comuni è il presuppostoper la ricucitura delle periferie con la città e tra di esse: con la città, eliminando l’isolamento e la sensazione di“altro” dovuta alla d istanza e alle diffico ltà d’accesso, tra di esse per compattarle e po tenziarne il valoreambientale.Il progetto di uno spazio ricco di stimoli sensoriali e potenzialità interattive diventa, quindi, l’elemento di basedella nuova urbanità contemporanea di Potenza e genera nuovi luoghi, attuali e non più cristallizzati negli usiculturali e sociali. Il progetto percettivo considera tre tipi di visibilità possibili per le vie verdi: la visibilitàinterna, la v isibilità da ll’interno all ’esterno e la v isibilità da ll’esterno. La visibilità interna, che r iguarda ilpercorso stesso e le eventuali pertinenze, delimitate da quinte urbane, facciate di edifici e recinzioni, permette diindividuare gli spazi urbani residuali, naturali, rurali o artificiali, oggetto d’intervento. In questi casi il progettodi paesaggio riconsidera questi spazi abbandonati nel circuito urbano come spazi pubblici attrezzati. La visibilitàdall’interno all’esterno considera i secondi piani e gli squarci che improvvisamente si aprono allo sguardo di unosservatore che percorre i relativi tratti di percorso, cogliendo il paesaggio esterno naturale o rurale. Tali squarcisono oggetto di azioni di conservazione e valorizzazione oppure sono ricavati ex-novo. La visibilità dall’esterno,invece, ispira il progetto di rafforzamento e consolidamento dell’immagine dell’anello verde inserito nella città,mediante Landmark che segnalano i percorsi e il recupero dei punti di vista panoramici. I nuovi spazi diventano,così, interattivi, perché fanno sorgere i significati urbani dagli usi dei cittadini, strutturando gli spazi pubblici inmaniera naturalmente differenziata, processo fondamentale per lo sviluppo urbano sostenibile.

Per risolvere il problema di leggibilità degli spazi urbani, si sono utilizzati in gran parte elementi fissi, comepavimentazioni, sistemi d i i lluminazione, al berature, pi ccole a rchitetture, m uri, ecc., che co nsentono d iqualificare e distinguere con chiarezza i luoghi. L’interpretazione di queste scene, chiare ma malleabili, da partedegli uten ti, vo gliono in crementare il pro tagonismo singolare e co llettivo ne ll’uso e n ella co struzionedell’immagine urbana. Poiché la città è una costruzione fisica di scala enorme, che l’uomo può percepire soltantoin lunghi periodi di tempo, il disegno urbano vuole configurarsi come un'arte temporale con sequenze invertite,interrotte, abbandonate o intersecate.Nel progetto del percorso, invece, si è adottata la strategia di valorizzazione dell' immagine ambientale, neltentativo di soddisfare il bisogno di riconoscere e strutturare l’intorno. Alberi, pavimentazioni, illuminazione,installazioni, ecc., definiscono un'immagine chiara e consentono di muoversi agevolmente e velocemente. Ilnuovo ordine può funzionare come un ampio sistema di riferimento, organizzando le attività, le opinioni, laconoscenza, e come uno schema, che assegna una facoltà di scelta.La scena visiva vivida e integrata delle vie verdi può offrire la materia prima per ricostruire simboli e memoriecollettive della comunicazione di gruppo, dando un senso di sicurezza emotiva perché consente la relazionearmoniosa con gli scenari urbani.Il concetto di figurabilità, invece, come definito da Lynch, non denota spazi urbani fissi, limitati o regolarmenteordinati, benché queste qualità possano talvolta accompagnarla, né ovvi o schietti, tant’è che le immagini ovvievengono ben presto a noia. I l progetto del nuovo paesaggio urbano delle Greenway cerca di organizzare lacomplessità degli spazi collettivi, preservando alcune contraddizioni per potenziarne la dinamicità, riassegnando

8 Secondo la definizione di Lynch “L’immagine ambientale è il risultato di un processo reciproco tra l’osservatore ed il suo ambiente.(…)L’immagine (…)viene messa alla prova rispetto alla percezione, filtrata in un processo di costante interazione”. (Lynch, 1960)

Rocco Pastore3

Percezione dello spazio pubblico per costruire scenari di progetto. Le Greenway della città di Potenza.

loro nuovi significati o espressività e fornendo agli utenti stimoli sensoriali e possibilità di scelta. Gli elementimobili, come le installazioni artist iche, i parchi d elle scu lture, le ar chitetture temporanee, la v egetazionetrasportata, le gigantografie, rinnovano continuamente tali spazi in base ad esigenze funzionali mutevoli neltempo, pur mantenendone la leggibilità di base, strutturano la percezione per la conservazione dell’identità,stimolano continuamente l’interesse per quel luogo con quinte sceniche continuamente rinnovate.

Un primo risultato di questa ricerca applicata consiste nel tipo di progetto urbano elaborato, che utilizza codici,espressioni e linguaggi dell’architettura del paesaggio, nella doppia veste ecologica e puro-visibilista – si direbberappresentativo-percettiva. All a c ittà è offe rta l’occasione d i ri qualificare gli s pazi coll ettivi con materiali“strutturali”, con l’eco sistema n aturale che diventa ora natura p rimordiale, ora la natura ad domesticatadell’agricoltura e della ruralità, ora la natura artificiale del giardino e dell’arte. È soddisfatta, inoltre, la crescenteesigenza dell’occhio contemporaneo di “divorare” nuove immagini, lasciando inalterata la struttura dello spazio,per mezzo degli elementi leggeri, che consentono alla città, prodotto di innumerevoli operatori che per motivispecifici cercano di mutarla costantemente, di rimanere sempre viva, adattandosi continuamente a funzioni,richieste, e sigenze, mode. In tal modo g li spazi u rbani d i Potenza, benché nei grandi l ineamenti possanomantenersi stabili per qualche tempo, potranno mutare senza posa nei dettagli. Non vi è, quindi, un risultatofinale, ma ci si pone in una successione continua di fasi, cercando la soluzione migliore per i conflitti e laconvivenza urbana. L’iperpaesaggio della città trova, dunque, nel dinamismo e nella multiscalarità della visione,i link per la fruizione dei suoi luoghi, come avviene in un ipertesto.

Nel progetto paesaggistico delle Greenway per Potenza la percezione indirizza la pianificazione verso progettiunitari di design di spazi pubblici che diano qualità e riconoscibilità ai diversi luoghi, innescando meccanismi divalorizzazione spontanea, riappropriazione e riuso da parte degli abitanti e comprensione da parte di chi nefruisce per la prima volta. Si è, in ultima istanza, cercato di risolvere anche la preoccupazione, comune a moltiurbanisti italiani, di attribuire un ruolo decisivo e strutturale all’interesse dei cittadini al piano o al progettourbano, mediante la partecipazione al processo progettuale. Il progettista cerca di dare una forma, un indirizzo,delle direttive per il progetto, attraverso delle sezioni-tipo, dei casi-studio, rappresentati per mezzo di immaginiverosimiglianti, come fotomontaggi e simili. Su di essi si confronta con i cittadini, esaminando le richieste, lecritiche, l e proposte. Le rappresentazioni così messe a punto hanno consentito il rapido adattamento delleproposte alle esigenze degli abitanti.Il lavoro di ricerca fatto in questi decenni da studiosi di psicologia del comportamento, da riviste scientifichespecializzate come Environment and Behaviour o Journal of Experimental Psychology e in moltissime comunitàurbane, conferma la rgamente i suggerimenti di L ynch. Infatti g ran p arte delle grandi cit tà europee, c omeMilano9, Copenhagen-Amager, Lisbona10, ecc., sono riuscite a realizzare progetti più attenti alla capacità dei loroutenti di comprenderli e apprezzarli, mentre gli studi sulla qualità del public realm, sia esso fatto di piazze, areeverdi o strade, hanno introdotto livelli di organizzazione e progettazione spaziale nettamente più alti. Il progettoper Potenza è una delle vie che si possono seguire per attuare programmi di riqualificazione che si ponganol’obiettivo di agire in maniera diffusa su un circuito di fibre del tessuto urbano, in questo caso a maglie larghe, esui nodi che lo disegnano, soprattutto nelle immagini mentali degli utenti.

9 Ad esempio con Citylife o il parco nell’area dell’ex Sieroterapico.10 con Parque-Expo.

Rocco Pastore4

Percezione dello spazio pubblico per costruire scenari di progetto. Le Greenway della città di Potenza.

Fig. 1: Il progetto paesaggistico di tipo percettivo delle Greenways di Potenza: mappa delle visibilità ed esempiprogettuali di spazi urbani riqualificati con elementi fissi e temporanei.

Fig. 2: Una sezione urbana aperta alla campagna: rilievo delle criticità e dei conflitti e progetto paesaggisticopercettivo ed ecologico

Rocco Pastore5

Percezione dello spazio pubblico per costruire scenari di progetto. Le Greenway della città di Potenza.

Fig. 3 e 4: Sezioni su spazi aperti urbani residuali: rilievo delle criticità e dei conflitti e progetto paesaggisticopercettivo ed ecologico

Rocco Pastore6

Percezione dello spazio pubblico per costruire scenari di progetto. Le Greenway della città di Potenza.

Bibliografia

Assunto, R. (1983), La città di Anfione e la città di Prometeo, Jaca Book, London.Cassatella, C. (2001), Iperpaesaggi, Testo&Immagine, TorinoCullen, G. (1976), Il paesaggio urbano. Morfologia e progettazione, Calderini, BolognaDe Carlo, G. (1973), L'architettura della partecipazione, Saggiatore, MilanoEnvironment and Behaviour, n. 40, 41 e 42 (2010), Robert B. Bechtel, University of ArizonaHall, E.T. (2001), La dimensione nascosta, Bompiani, MilanoJournal of Experimental Psychology, ISSN: 0096-3445Lynch, K. (1960), L’immagine della città, Marsilio, VeneziaLynch, K. (1984), Progettare la città: la qualità della forma urbana, ETAS, Milano Maldonado, T. (1992), Reale e virtuale, Feltrinelli, MilanoPastore, R. et al. (2007), La comunicazione informatizzata del progetto e del suo iter formativo, in Boltri, P. (acura di), Sui codici del disegno di progetto. Atti del seminario 2006, Cusl, Milano.Secchi, B. (1989), Un progetto per l’urbanistica, Einaudi, TorinoSecchi, B. (2005), La città nel ventesimo secolo, Laterza, Roma

Rocco Pastore7

Lo spazio pubblico bolognese: il caso di Piazza Verdi

Atti della XIII Conferenza Società Italiana degli UrbanistiCittà e crisi globale: clima, sviluppo e convivenza

Roma, 25-27 febbraio 2010Planum - The European Journal of Planning on-line

ISSN 1723-0993

Lo spazio pubblico bolognese: il caso di Piazza Verdi

Giuseppe Scandurra

AbstractOggetto di questo paper è lo spazio pubblico di Piazza Verdi, territorio del centro storico bolognese spessorappresentato, in questi ultimi anni, dai media locali e nazionali, come luogo simbolico del “degrado” checaratterizza il capoluogo emiliano. A settembre 2007, insieme a due colleghi ricercatori, abbiamo iniziato unostudio su quest’area urbana. Obiettivo generale della ricerca è stato riportare l’attenzione su tale contestoindagando i reali motivi per cui si è andata via via producendo una rappresentazione che vede questa piazzacome luogo simbolo del degrado cittadino. Per far questo abbiamo condotto un’analisi delle problematiche, deibisogni e delle aspettative messi in evidenza dalla molteplicità degli attori sociali che frequentano Piazza Verdi..

Oggetto di questo saggio è lo spazio pubblico di Piazza Verdi, territorio del centro storico bolognese spessorappresentato, in questi ultimi anni, dai media locali e nazionali, come luogo simbolico del “degrado” checaratterizza il capoluogo emiliano. A settembre 2007, insieme a due colleghi ricercatori, abbiamo iniziato unostudio su quest’area urbana promosso dalla Direzione “Cultura e Comunicazione Istituzionale - Alma Mater”,dal Dipartimento di Scienze dell’Educazione e dal Dipartimento di Sociologia dell’Università di Bologna. Obiettivo generale della ricerca è stato riportare l’attenzione su tale contesto indagando i reali motivi per cui si èandata via via producendo una rappresentazione che vede questa piazza come luogo simbolo del degradocittadino. Per far questo abbiamo condotto un’analisi delle problematiche, dei bisogni e delle aspettative messi inevidenza dalla molteplicità degli attori sociali che frequentano Piazza Verdi, le loro pratiche di vita quotidiana, lerispettive modalità di fruizione del luogo, le differenti percezioni e rappresentazioni della piazza prodotte daquesti attori sociali. Abbiamo inoltre cercato di riportare alla luce la memoria storica del luogo e come questa sia cambiata negliultimi anni, prendendo in analisi momenti significativi - come ad esempio il 1968, 1977 - in cui questo territorioè stato determinante per la produzione di una identità cittadina e Piazza Verdi è divenuto uno dei luoghi simbolodella “bolognesità” e del rapporto tra città e Università. (Rossini et al., 2009) Piazza Verdi è frequentata da diversi attori sociali in orari diversi e con differenti modalità di utilizzo dellospazio pubblico. Il primo obiettivo specifico che abbiamo perseguito durante il nostro studio è stato quello dicreare una mappa capace di rendere leggibili i diversi usi, percezioni e rappresentazioni del territorio e, allostesso tempo, p rodurre una quadro d’insieme rel ativo a come le diverse istituzioni che operano su questocontesto - Un iversità, Quartiere, Comu ne, co mitati e asso ciazioni d el t erritorio, forze d ell’ordine - sonointervenute negli ultimi anni, attraverso differenti progetti, per fare fronte alle problematiche della zona.Tale area, in effetti, recentemente è stata sempre più oggetto di interesse da parte delle istituzioni e dei mediacittadini e nazionali. A fronte della molteplici iniziative promosse su Piazza Verdi al fine di risolvere il problema“degrado”, la nostra ricerca piuttosto che produrre soluzioni, si è data come compito capire cosa si intende oggi,a Bologna, per degrado e perché Piazza Verdi ne sia diventato un luogo-simbolo cittadino quando non nazionale.Per questo abbiamo scelto di avvalerci di strumenti di indagine legati alla disciplina antropologica consapevoliche P iazza V erdi rappresenti a tutti g li e ffetti u no s pazio p ubblico do ve consistente e si gnificativa è l aconvivenza, alle volte conflittuale, di diversi gruppi sociali che rivendicano il loro diritto a fruire del medesimospazio pubblico.

1. Il campo Nel corso della ricerca abbiamo costruito rapporti di fiducia con diversi attori sociali presenti nel territorio eabbiamo indagato le loro modalità di uso dello spazio pubblico attraverso interviste, raccolte di storie di vita eosservazioni dirette della piazza. Nello specifico commercianti italiani e stranieri, studenti universitari, residenti,“punkabestia”, turisti, persone che frequentano la piazza e la cui presenza viene spesso percepita dai media e dabuona parte dei cittadini come “illegittima” (Dal Lago et al., 2003) - studenti fuori sede, avventori dei locali,persone senza fissa dimora e, più in generale, uomini e donne che hanno chiesto aiuto negli ultimi anni ai servizi

Giuseppe Scandurra 1

Lo spazio pubblico bolognese: il caso di Piazza Verdi

sociali c omunali e che tras corrono le loro giornate sotto i portici de lla piazza; allo stesso tem po attoriistituzionali quali il Quartiere San Vitale, che comprende il territorio di Piazza Verdi, il Comune di Bologna, leforze dell’ordine impegnate sul territorio sotto esame, l’Università, il Teatro Comunale che affaccia sulla piazza,i comitati e le asso ciazioni del t erritorio che sono pro liferati negl i ultimi anni per affrontare i l prob lema“degrado”.La prima fase della ricerca ha avuto come obiettivo quello di raccogliere e analizzare tutta la documentazione,scientifica e non, prodotta su Piazz a Verdi. La seco nda fase h a avuto come ob iettivo quello d i studiarequest’area utilizzando strumenti di analisi socio-antropologica: abbiamo svolto attività di osservazione diretta alfine di leggere nel miglior modo possibile la composizione sociale dell’area, le relazioni tra cittadini e spaziopubblico e tra i vari attori sociali che la frequentano quotidianamente; abbiamo condotto numerose intervisteavvalendoci di informatori privilegiati e raccolte significative storie di vita. Particolare rilevanza è stata data all’osservazione del territorio in momenti diversi della giornata costruendo undiario di ricerca. Sono state individuate, così, le fasce orarie più significative nelle quali i diversi attori entrano inrelazione, si evi tano, configgono sottolineando i d iversi usi dello spazio che distinguono gli uni dagli altri.Infine, abbiamo concentrato lo sguardo sulle attività previste all’interno dei diversi progetti di intervento socialee di mediazione che nella piazza e nelle zone strettamente limitrofe sono oggi attivi. (Rossini et al., 2009)

2. I residentiTra i compiti che ci siamo dati durante la ricerca c’è stato sicuramente quello di produrre una sintesi dei datidemografici riguardanti la popolazione residente nell’area di Piazza Verdi e delle strade che l’attraversano. Taliinformazioni sono state fornite dal Settore Programmazione, Controlli e Statistica del Comune di Bologna ehanno riguardato l’area geografica da noi presa sotto esame. Si deve tenere però presente che il quadro ottenutorisulta carente delle informazioni riguardanti quella parte di popolazione che abita nella zona ma non ha lì lapropria residenza - ad esempio studenti universitari fuori sede - e che, di conseguenza, non risulta presente neidati forniti dal Comune. Complessivamente la popolazione residente nella zona interessata, tra il 1996 e il 2006,è rimasta pressoché la stessa, crescendo solo di 16 unità, ovvero passando da 488 a 504 presenze. La classe d’etànumericamente più rappresentata nell’arco dei dieci anni è quella tra i 30 e i 44 anni, seguita da quella 45-64anni. Si può affermare, dunque, che l’area di Piazza Verdi e dintorni presenta una popolazione residente piùgiovane rispetto a quella del centro storico più esteso e, più in generale, di tutta la città. La classe d’età minore, fino ai 14 anni, si è mantenuta costante nel corso dei dieci anni considerati. Da questodato abbiamo ipotizzato una contenuta presenza di famiglie residenti nella zona con figli di età compresa inquesta classe. L’andamento della classe anziana, invece, è nel corso dei dieci anni decrescente. Nonostante ciò,tale classe d’età rimane la terza per importanza numerica nel territorio in questione.Nella zona analizzata, la predominanza delle famiglie formate da un solo componente è un dato importante,specchio non so lo della si tuazione provinciale e cittad ina ma anche della generale tendenza nazionale. Latrasformazione delle tipologie familiari è un dato importante in quanto sta modificando profondamente le formedi convivenza delle persone residenti a Bologna e cambiando quantitativamente e qualitativamente la domandadi servizi rivolti alle persone e alle famiglie - anche le esigenze abitative sono profondamente influenzate daqueste trasformazioni.Se all’elevata presenza di nuclei monopersonali si affiancano le classi d’età numericamente maggiori, quelle di30-44 e 45-64 anni, si potrebbe ipotizzare che la maggior parte dei residenti ufficiali siano persone adulte, nelpieno dell’età lavorativa, che abitano sole. Si potrebbe ipotizzare inoltre che, per motivi di impegno lavorativo –tante ore al giorno fuori casa e la lontananza tra luogo di lavoro e abitazione -, tale categoria di individui vivapoco il territorio di residenza. (Rossini et al., 2009)

3. La piazzaL’obiettivo delle osservazioni dirette condotte in piazza è stato quello di descrivere come cambia l’area osservataa seconda delle diverse ore del giorno e della notte e al variare dei giorni della settimana. Questo ci ha permessodi costruire un disegno realistico dell’area durante il tempo dello studio. Tali informazioni sono state ricavatedurante un periodo di osservazioni effettuate in Piazza Verdi e nelle zone circostanti tra maggio 2007 e aprile2008. Dalla ricerca emerge come Piazza Verdi cambi caratteristiche e paesaggio a seconda delle stagioni. Durante imesi primaverili ed estivi - solo fino a metà luglio quando molti studenti fuori sede abbandonano la città per poiritornarvi con l’inizio dell’anno accademico -, e ancora settembre e ottobre, la piazza non è solo un passaggio,ma anche un luogo dove sostare - per esempio mangiare a pranzo -, e nelle ore serali un ritrovo per studentiuniversitari. Con l’inverno e il freddo la piazza in parte si svuota, anche se non del tutto - le visite in quest’arearegistrano infatti la presenza fissa di alcuni senza dimora e piccoli gruppi di immigrati per lo più di originemagrebina.

Giuseppe Scandurra 2

Lo spazio pubblico bolognese: il caso di Piazza Verdi

Le osserv azioni, so prattutto qu elle di urne, restituiscono u n’immagine di Piazza V erdi co me un luogo dipassaggio. All’interno di esso però sono anche presenti persone che lo vivono per molte ore al giorno in modostanziale. Delle persone presenti in Piazza Verdi, abbiamo per esempio individuato, durante il nostro studio, ungruppo stabile di persone senza fissa d imora; altre presenze stab ili sono un gruppo d i punkabestia, i qualiarrivano, si fermano, si spostano, tornano, in un andirivieni di cui è difficile individuare tragitti e modalità, anchese, come è emerso, ci sono fasce orarie in cui sono maggiormente presenti. Si può affermare che, a parte le oreserali e notturne, le persone che dimorano in Piazza Verdi e dintorni sono persone che afferiscono ai servizisociali cittadini. La zona osservata è un piccolo bacino dove coesistono gruppi sociali diversi: studenti, senza fissa dimora,commercianti prevalentemente immigrati, punkabestia, residenti storici, turisti, operatori del Teatro Comunale edipendenti dell’Università, oltre agli agenti delle forze dell’ordine che controllano la piazza durante il giorno e lanotte.

4. Che cosa è il degrado?Durante le prime interviste condotte nell’autunno del 2007, la maggior parte delle persone alle quali abbiamochiesto cosa pensassero riguardo il degrado di Piazza Verdi ha accusato l’“altro” di essere il responsabile diquesto problema: così gli studenti spesso nei confronti dell’Amministrazione comunale, così i punkabestia neiconfronti delle forze dell’ordine presenti quotidianamente in piazza, così i comitati cittadini e molti residenti neiconfronti dei senza fissa dimora e degli spacciatori che bivaccano sotto i portici di via Zamboni. Ascoltando la maggior parte delle persone che frequentano la piazza, il degrado sembra non essere legato allepratiche illegali agite in questo territorio riportate quotidianamente sui giornali locali, piuttosto alle differentirappresentazioni e fruizioni della piazza prodotte e agite dai suoi diversi frequentatori: il risultato, in sintesi,della difficile convivenza di soggetti eterogenei che percepiscono differentemente l’identità della piazza e fannouso di questa in modi la cui coesistenza è vista come impossibile, alternando strategie di reciproco evitamento a strategie di aperto conflitto. Per tale motivo abbiamo preferito sottrarci al dibattito sulla “sicurezza” che ha trovato enorme spazio nei medialocali (Pavarini, 2006), così da muovere la nostra analisi sui processi relazionali che i diversi gruppi di cittadinimettono in atto in questo territorio. Solo così facendo, infatti, ci è sembrato possibile comprendere perché leistituzioni a cominciare dal Quartiere, dal Comune, dalle diverse associazioni e comitati del territorio denuncinooggi il bisogno di ricostituire un l egame so ciale e id entitario ch e i n questi anni sembra essersi smarrito.Ovviamente, questo non ha voluto dire, per noi ricercatori, negare che il diffondersi dell’allarme sociale tra iresidenti avesse a che fare con specifici problemi reali di insicurezza oggettiva, ma ci ha portato a lavoraresull’unico filo rosso che unisce tutti gli intervistati, ovvero la percezione di vivere in uno spazio dove ci si sentea disagio. (Rossini et al., 2009) Ascoltando le parole dei frequentatori della piazza, facendo dialogare queste con i dati raccolti dall’osservazionediretta di questo spazio pubblico e una letteratura scientifica di riferimento, abbiamo registrato in vasti stratidella popolazione bolognese un forte senso di insicurezza che è andato crescendo negli ultimi quindici anni aleggere l e letter e e le pe tizioni ri volte anc he alle p assate ammin istrazioni co munali ( Barbagli, 1999 ). E’convinzione di coloro che si rivolgono anche all’attuale Amministrazione che il numero dei reati e delle piccoleviolazioni delle regole sia straordinariamente aumentato. Spesso, in questa direzione, emerge la contrapposizionefra la Bologna isola felice del passato e la triste realtà di oggi. Del termine degrado la maggior parte dei cittadinicon i quali abbiamo parlato si servono come sinonimo di “deterioramento”, per descrivere le trasformazioni chevi sono state nel tessuto sociale della città. Ciò che turba i cittadini sono le violazioni delle norme riguardanti l’usodegli spazi pubblici, dei luoghi dove vanno a lavorare, a fare acquisti, a divertirsi, dei luoghi collettivi (Barbagli,1999). Per questo motivo siamo andati a rileggere lo spazio pubblico non partendo dal concetto di “rischio” mada quello di “contesa”, in modo da sottolineare i conflitti simbolici presenti nel territorio (Rossini et al.,2009).

5. BolognaBologna è sempre stata ricca di diverse cittadinanze: Bologna città universitaria, Bologna città mercato deicomuni che la circondano, Bologna città delle fiere e del divertimento, Bologna città di immigrazione.

Dagli anni Ottanta, però, ognuno di questi attributi sembra conferire più caratteri specifici ai singoli gruppi chenon amalgamarli sulla base della condivisione di una residenza comune. (Callari Galli, 2004)

Lo scrittore Luigi Bernardi in un libro pubblicato nel 2002 parla di questa città come un insieme di frammentiche sembrano essere tutti figli della stessa madre:

Giuseppe Scandurra 3

Lo spazio pubblico bolognese: il caso di Piazza Verdi

Poi però le città sono fatte anche di persone, le famiglie si sfaldano, la disarmonia degli uomini può di più diquella smussata dai secoli. (Bernardi, 2002)

Lo studioso Massimo Pavarini, concentrando il suo sguardo su Piazza Verdi, ipotizza, con un marcatopessimismo, per quanto riguarda il futuro:

Una società come insieme di tribù, ognuna con i suoi riti, linguaggi, culture, ecc.. (Pavarini ,2006)

Il cent ro di B ologna h a una ca ratteristica p eculiare, derivante per c erti aspetti dalla s ua conformazioneurbanistico-architettonica, la presenza dei portici, che non è riscontrabile in altri centri, come per esempio i centrimuseificati di Firenze o Roma (Giuliani et al., 2006). Questo aspetto fa sì che il centro di Bologna non siasocialmente omogeneo: gli antichi edifici sono abitati da residenti, da una medio-alta borghesia, i quali semprepiù affittano stanze a studenti; ma è sotto i portici della piazza che Bologna si fa caleidoscopio della diversità.Davanti alle vetrine delle attività commerciali, dei negozi, davanti l’ingresso del teatro comunale e delle chiesesostano mendicanti, senza casa, si ritrovano centinaia di studenti fuori sede. I portici che danno un voltocaratteristico a Piazza Verdi, in un certo senso, d iventano la loro dimora, mentre i residenti scorrono loroaccanto, così che mondi sociali diversissimi si sfiorano e coesistono senza che gli sguardi degli abitanti di unmondo si soffermino sui frequentatori dell’altro. Piazza Verdi, la zona universitaria, è uno di questi spazi dovequesti mondi convivono, appunto, senza toccarsi. La presenza sempre più significativa di immigrati, inoltre, rende più complessa la convivenza di attori cosìdifferenti in uno s pazio così circ oscritto. Spesso la con tesa d i un o spazio pub blico av viene attra versol’attribuzione di un’ identità cittad ina che alcu ni g ruppi rivendicano o costruiscono a sc apito d i altri.Etimologicamente degrado deriva da degradare, quindi denota un declino o un peggioramento rispetto a unasituazione passata, qualitativam ente m igliore. Si dim ostra qu indi un’e tichetta funzi onale alla creazione dilegittimità - nelle richieste e nei comportamenti - da parte di alcuni gruppi di attori che tentano di espellere altrigruppi, svantaggiati in quanto meno influenti nel condizionare i processi decisionali del l’Amministrazionecomunale. Resta il nodo problematico di chi detiene o tenta di raggiungere tale potere di definire quali aree epratiche sono da considerarsi degradate e degradanti e quindi quali provvedimenti assumere per la risoluzionedei problemi. L’elevata polisemia non permette di trovare strade condivise e quindi gli attori che non hanno levesociali su cui fare forza non possono intervenire nel dibattito, trovandosi in qualche modo vittime di decisioniche li riguardano, ma alla cui costruzione non possono, e in alcuni casi non vogliono partecipare come vedremoin seguito.

6. Trasformazioni fisicheNegli ultimi ven ti ann i l’assetto urb ano di qu esta citt à, a co minciare prop rio dal cen tro st orico, è statoradicalmente trasformato. La necessità di tali cambiamenti rispondeva, del resto, a una trasformazione del tessutodemografico: in questi ultimi anni i l numero degli studenti dell’ateneo cittadino, per esempio, è cresciutonotevolmente - ha raggiunto le centomila unità alla fine del millennio.E’ evidente, per esempio, come il centro storico negli ultimi anni si stia svuotando dalle funzioni amministrativee propriamente urbane. In aggiunta, è possibile evidenziare il decentramento del polo “culturale” e di alcunidipartimenti universitari. Questi processi hanno determinato sentimenti di spaesamento, a sentire molti residenti,che in parte aiutano comprendere il bisogno che molti di loro hanno esplicitato, registrabile negli ultimi anni, diricostruire un senso di iden tità terri toriale reinventando per esempio un’identità come la “petron ianità o la“bolognesità”. (Addarii, 2004)La bolognesità, però, costituisce un campo di lotta tra i diversi attori che vivono la piazza. La tranquillità e ilsilenzio che auspicano molti cittadini (I Comitati e le Associazioni, 2005), per esempio, viene tradotto come“vuoto”, “deserto”, “spento”, “morto” da parte dei molti studenti che si ritrovano in questo territorio dopo lelezioni all’Università e qui trascorrono grande parte del loro tempo libero.Laddove i comitati di Piazza Verdi identificano la “bolognesità” nel rispetto delle regole, ovvero immaginandouna piazza silenziosa, tranquilla, gli studenti rivendicano questa identificandola con la possibilità di creare inquesto territorio numerosi spazi di aggregazione giovanile gestiti dagli stessi iscritti all’Università. Se i residenti,dunque, producono una rappresentazione nostalgica di Piazza Verdi - lamentandosi del fatto che questo territorionon è vivibile come era un tempo - gli studenti che abbiamo intervistato più volte ci hanno spiegato come allabase della loro scelta di iscriversi all’Università di questa città ci sia stata, nella maggior parte dei casi, l’idea cheproprio aree come Piazza Verdi permettessero loro, a differenza di altri luoghi, di muoversi con maggiore libertà.

Giuseppe Scandurra 4

Lo spazio pubblico bolognese: il caso di Piazza Verdi

7. ConclusioniPiazza Verdi è un territorio conflittuale e oggi rappresenta una scenografia ideale per la produzione di specificiconflitti. Non solo contrasti tra associazioni, comitati, rappresentanti, immigrati, Comune, ma tra minoranze allevolte costituite anche da sparuti gruppi di individui - gli studenti fuori sede che si aggregano, per esempio, innome di una provenienza comune, pochissimi senza fissa dimora che rivendicano la loro vita in piazza comescelta, etc.: conflitti tipicamente urbani, guerriglie, atti di microcriminalità continua. Non sono pochi i turisti chehanno pau ra d i passegg iare n ell’isola pedon ale in pien a n otte, e ogn i g iorno si assiste a un p rocesso d imolecolarizzazione del conflitto, al raggiungimento di obiettivi concreti e minimi, proveniente dai diversisoggetti sociali. Se nostalgicamente molti cittadini che non abitano in zona o nella stessa c ittà di Bolognapensano ancora a Piazza Verdi come a una realtà dove le lotte hanno sempre forti connotazioni solidaristiche e dimatrice politica, gli scontri che hanno avuto ultimamente per scenario questo quartiere esprimono soltanto ilbisogno individuale di controllare la qualità e la quantità del proprio, individuale spazio e tempo di vita.

BibliografiaAddarii, F. (2004), “I santi sono tornati. Una riforma culturale imposta alla città”, in /Gomorra/, anno IV, n.7,Meltemi, RomaBarbagli, M. (1999), /Egregio signor sindaco/, Il Mulino, BolognaBernardi, L. (2002), /Macchie di rosso. Bologna avanti e oltre il delitto Alinovi/, Zona, ArezzoCallari Galli, M. (2004), “Cittadinanze lacerate”, in /Gomorra/, anno IV, n.7, Meltemi, RomaCastrignanò, M. (2004), /La città degli individui/, Franco Angeli, MilanoDal Lago, A., Quadrelli, E. (2003), /La città e le ombre. Crimini, criminali, cittadini/, Feltrinelli, MilanoGiuliani, F., Scandurra, G. (2006),”Quo vadis, Bologna”, in /Metronomie/, n.32/33, Dicembre, Clueb, BolognaI Comitati e le Associazioni (2005) /Analisi dei documenti consegnati a ll’Amministrazione e osservazioniproposte di riequilibrio delle situazioni di crisi/, Report consegnato al Comune l’8 febbraio Pavarini, M. (2006), “La costruzione sociale della sicurezza a Bologna”, in /Metronomie/, n.32/33, Dicembre,Clueb, Bologna Rossini, E. (2007), /Lo spazio pubblico della piazza e della strada: il caso studio di piazza Verdi e via Petroni/,Anno Accademico 2006/2007, corso di laurea specialistica in Cooperazione e Sviluppo Locale e Internazionale;tesi di laurea in sociologia dello Sviluppo (avanzato), facoltà di Scienze Politiche.Rossini, E., Scandurra, G., Tolomelli, A. (2009), “Piazza verdi. Percezioni, rappresentazioni e differenti usi dellospazio pubblico”, in /Ricerche di pedagogia e didattica/, n°2, Vol.4 Sinistra Giovanile (2005), /Il conflittonell’uso dello spazio pubblico nel centro storico bolognese. Uno sguardo generazionale/, Report consegnato alComune nella

Giuseppe Scandurra 5

La piazza del mercato, uno spazio dell’opportunità?

Atti della XIII Conferenza Società Italiana degli UrbanistiCittà e crisi globale: clima, sviluppo e convivenza

Roma, 25-27 febbraio 2010Planum - The European Journal of Planning on-line

ISSN 1723-0993

La piazza del mercato, uno spazio dell’opportunità?

Raffaella ValenteDipartimento Interateneo Territorio, Politecnico e Università di Torino

[email protected]

AbstractLo spazio pubblico oggi è anche altrove rispetto a dove ci aspettiamo che sia. Occuparsene implica cercare fratutte quelle pratiche che quotidianamente lo rendono pubblico e ne fanno uno spazio dell’opportunità. L’indagine si concentra sulla città di Torino e si svolge a tre livelli, analizzando un luogo/evento, una pratica eun oggetto. Centro della riflessione sono gli spazi dei mercati rionali, visti in relazione con la presenza attivadegli immigrati. In che modo questi spazi possono considerasi laboratori di convivenza, luoghi di espressione diuna sfera pubblica alternativa e di una globalizzazione altra, in una parola pubblici?

La piazza del mercato, uno spazio dell’opportunità?

Lo spazio pubblico oggi è anche altrove rispetto a dove ci aspettiamo che sia. Occuparsene implica cercare fratutte quelle pratiche che quotidianamente lo rendono pubblico e ne fanno uno spazio dell’opportunità. L’indagine si concentra sulla città di Torino e si svolge a tre livelli, analizzando un luogo/evento, una pratica eun oggetto. Centro della riflessione sono gli spazi dei mercati rionali, visti in relazione con la presenza attivadegli immigrati. In che modo questi spazi possono considerasi laboratori di convivenza, luoghi di espressione diuna sfera pubblica alternativa e di una globalizzazione altra, in una parola pubblici?

Struttura del testo:

1. introduzione2. Torino, città di accoglienza3. Torino, città di mercati4. indagine sul campo: un evento, una pratica, un oggetto5. conclusioni6. bibliografia

1. introduzioneL’insieme degli spazi pubblici costituisce la trama, l’ossatura sulla quale si intesse la città. Si potrebbe a questoproposito ricorrere all’idea di infrastruttura: una struttura che sta nel tramite, ma che non si limita a connettere,avendo un ruolo vitale per il funzionamento della macchina città e per la vita dei suoi abitanti.Lo spazio pubblico rappresenta la dimensione pubblica dell’abitare umano, l’insieme dei dispositivi che accoglienon solo le attività quotidiane della collettività ma anche e soprattutto simboli, relazioni, significati, poteri.Nella tradizione urbana europea lo spazio pubblico riveste un ruolo fondamentale nello svolgimento di funzionidisparate: incontrarsi, commerciare, celebrare, utilizzare servizi comuni (Salzano, 2009).In letteratura si ritrovano numerosi allarmi circa il cattivo stato di salute (Sennett, 1982; Sorkin, 1992; Zukin,1992) e in alcun i casi un a presun ta morte (Don M itchell, 1995 ) dello spazio pu bblico. A ssumendo un aprospettiva diversa, si colgono, invece, chiari segni di vitalità.Il punto di vista cambia decisamente se se si intende lo spazio pubblico come prima ancora che un ambitocodificato, un insieme di comportamenti che si cristallizzano in un luogo che non ha necessariamente naturagiuridica pubblica anche se ha la capacità di offrire, ai suoi potenziali abitanti, lo sfondo per la condivisionecollettiva, anche se temporanea (La Varra, 2007; p.13). Il carattere di pubblico non inerisce ad un luogo perdecreto o proprietà, bensì risulta pubblico uno spazio in quanto costruito dall’interazione sociale, a certecondizioni: è un costrutto sociale non necessario,eventuale (Crosta, 2000; p. 42).Lo spazio pubblico non è morto, è solo altrove rispetto ai posti dove si era abituati a cercarlo.

Raffaella Valente 1

La piazza del mercato, uno spazio dell’opportunità?

Osservarlo implica più che l’analisi di una tassonomia di tipologie spaziali predefinite, un’attenta considerazionedell’interazione fra pratiche collettive e spazi fisici nei quali hanno luogo (Lanzani, 2003).Queste pratiche collettive, spesso informali, rappresentano la concretizzazione della ricerca di opportunità.Opportunità che possono essere tangibili (riposo, gioco, acquisti convenienti, sopravvivenza, tregua, sport) maanche immateriali e ugualmente fondate (incontro, scambio, conoscenza, informazione, espressione). Tutte queste aspettative che si tramutano in pratiche fanno dello spazio pubblico uno spazio dell’opportunità.In alcuni casi al le occasioni più minute e personali si affiancano opportunità collettive, dando vita a spazidell’opportunità, intesi come utili a scopi quali l’ espressione della sfera pubblica e la costruzione di una veraconvivenza. Gli spazi pubblici della città contemporanea costituiscono alcuni fra i luoghi di elezione per esprimere e renderevisibili occasioni di affermazione e di negazione di opportunità personali e collettive.Spesso l’opportunità ha molto più a che vedere con la vita di uno spazio che con la sua forma.Per questa ragione lo spazio del mercato risulta particolarmente interessante come terreno di indagine: si tratta,infatti, di uno spazio che è uno spazio fisico (la piazza, la strada) ma che vive grazie ad un evento (il mercato). Il lavoro si concentra su Torino, una città per la quale i mercati hanno un significato antico e profondo.Lo sguardo considera la dimensione statica degli ambienti urbani (piazze, vie, palazzi) intrecciata alla realtàdinamica ed evolutiva dell’evento che ogni giorno ha luogo in quegli spazi. E con essa si evolvono gli scenari e iprotagonisti. I l m ercato rappresenta u no spaz io di o pportunità: è l uogo di r icerca, di sca mbi, di r eti, d imediazione. La piazza del mercato è un luogo che si evolve lasciando spazio all’espressione di nuovi e vecchiprotagonisti del la sfera pubblica ci ttadina. La tesi è sostenuta da un’argomentazione costruita sulla base diun’indagine sul campo. L’analisi è condotta su tre livelli a diverse scale:

un luogo/evento: il mercato una pratica: gli annunci affissi per strada un oggetto: una borsa di plastica (diversa da tutte le altre)

2. Torino, città di accoglienzaTrovare un piemontese a Torino non è impresa facile. Subito dopo la seconda guerra mondiale la città raddoppiala sua popolazione, pur avendo una crescita demografica minima. Da 695.000 abitanti nel 1945 si passa a1.202.846 nel 1974. Gli immigrati venuti dal Sud Italia per lavorare nell’industria hanno fatto di Torino quellache è stata definita la terza città italiana meridionale . Nel 1961 si registra il maggior numero di arrivi (75.920immigrati contro 22.628 emigrati).E proprio in quegli anni Goffredo Fofi intraprende da dilettante uno studio sull’immigrazione meridionale aTorino.. Questo studio appassionato restituisce l’immagine di un processo repentino, inatteso e spesso dolorosoper i più. Pur non trascurando le inevitabili difficoltà, tra le pagine emergono racconti di speranza, di vitamigliore, di emancipazione, di possi bilità. No nostante l’i niziale diffidenza d iffusa, il paternalismo d e “LaStampa” e gli innumerevoli problemi concreti, la città ha accolto i tantissimi nuovi arrivati. Intorno agli anni 70, quando ancora questo fenomeno era in una fase che si potrebbe dire di assestamento,Torino, come tutta l’Italia, comincia a diventare meta di immigrazione dall’estero. Negli anni 80 e 90 l’Italiadiviene l’orizzonte di vita di molti maghrebini, est europei, ma anche peruviani, nigeriani, egiziani.Per Torino si tratta della seconda ondata; torna ad essere una città del Sud, questa volta città di molti Sud (Sacchie Viazzo, 2003). Considerando i dati Istat aggiornati al 2008, la popolazione della città è di 910.293 abitanti (siregistra un sensibile aumento rispetto al censimento del 2001). Il saldo positivo è ancora dovuto in manierarilevante alle migrazioni da altre parti d'Italia e, soprattutto, da Paesi dell'Est, del Maghreb e dell'Africa sub-sahariana. I cittadini stranieri residenti a Torino sono 115.800, pari al 13% della popolazione. I gruppi principali(dati CENSIS, Rapporto 2008) sono costituiti da Romeni (47.800), Marocchini (17.700), Peruviani (7 .100),Albanesi (5.400) e Cinesi (4.500). Per i nuovi torinesi, storie in comune con quelli arrivati dopo la guerra: traiettorie, speranze, ma in molti casianche difficoltà e problemi quotidiani. Per la città una nuova sfida, vecchia come il mondo: accogliere.

3. Torino, città di mercatiI mercati rappresentano molto nella cultura, nella memoria collettiva e nella vita quotidiana della città di Torino. Il legame fra i torinesi e i mercati è confermato da una serie di dati consistenti, oltre che dalla quotidianaanimazione che si trova quotidianamente frequentando questi luoghi.Da un’indagine condotta dalla Città nel 204 si evince che l’81% delle famiglie torinesi compra nei mercati(Coppo, 2007;p.50). La città conta una cinquantina di mercati sparsi su tutto il suo territorio. Nell’immaginariocittadino Porta Palazzo è il più grande mercato d’Europa con i suoi 1000 opera tori e le sue circa 100.000presenze al sabato; così come Corso Racconigi , un altro mercato rionale, è il più lungo d’Europa, occupandocirca un chilometro dell’omonimo viale.

Raffaella Valente 2

La piazza del mercato, uno spazio dell’opportunità?

Il successo dei mercati è dovuto a diverse componenti: la convenienza, la possibilità di comprare molti prodottiin uno stesso luogo, la facilità di reperimento di alcuni prodotti con specifiche provenienze. Ognuno di questifattori ha giocato in modo fondamentale nel costruire un ruolo sa ldo ai mercati in una città con una fortecomponente operaia e immigrata. Ma i mercati hanno anche un’altra capacità molto importante: quella di crearereti. Ogni mercato è di per sé una rete di ambulanti e molte reti attorno a questa si creano. Da sempre vi si cerca -che si venga dal Sud d’Italia o da altrove - i prezzi più convenienti, i prodotti del proprio paese, ma ancheinformazioni e vita sociale. I mercati, dunque, sono anche luoghi di socialità e di mediazione culturale.

Figura 1. Torino e i suoi numerosi mercati rionali.

4. indagine sul campo: un evento, una pratica, un oggetto

4.1 un evento: il mercato

Il mercato è per sua natura effimero e temporaneo. Tuttavia si svolge in uno spazio fisico, dal quale spessoprende anche il nome. Lo svolgersi quotidiano di questo evento influisce profondamente sulla vita del suointorno e sulle configurazioni dell’habitat urbano. La lettura che segue guarda ai mercati di Torino con una lenteparticolare, quella della relazione fra questi luoghi/eventi e gli immigrati.* Mercato e immigrati. Interferenze 1 (compere,scambio,socialità)Il mercato è considerato luogo d’elezione per la spesa da molti gruppi etnici. È quindi, in primis, luogo dicompere. La preferenza ad altre forme di commercio ha diverse ragioni: risparmiare, trovare molti prodotti nellostesso luogo, trovare prodotti del proprio paese di origine. Altri motivi di interesse riguardano il mercato comeluogo di scambio e di socialità. In questi luoghi si può facilmente incontrare gente della propria etnia, scambiareinformazioni , trovare ristoranti della propria gastronomia. Si possono, dunque, creare reti. * Mercato e immigrati. Interferenze 2 (sovrapposizioni territoriali)Dalla lettura delle mappe che evidenziano i quartieri più densamente abitati da immigrati1 si evince che in molticasi essi corrispondono con delle zone nelle quali sono localizzati alcuni fra i più grandi e conosciuti mercaticittadini.La zona di Porta Palazzo che ospita circa 5000 stranieri (in prevalenza maghrebini) è più conosciuta col nome diPorta Palazzo, che è lo stesso del principale mercato cittadino. San Salvario, il quartiere noto per la sua animamultietnica (circa 3000 residenti stranieri) è sede del mercato di Piazza Madama Cristina. Nel cuore di SanPaolo, borgo operaio oggi abitato da circa 4000 stranieri, in prevalenza Rumeni e Sudamericani, ha luogo ilmercato di Corso Racconigi.* Mercato e immigrati. Interferenze 3 (opportunità di lavoro e possibilità per le donne)

1 dati al 31/12/2008; fonte: Ufficio di Statistica del Comune di Torino

Raffaella Valente 3

La piazza del mercato, uno spazio dell’opportunità?

Sempre più sovente gli immigrati trovano un ruolo attivo nei mercati come venditori. L’evidenza trova confermanei dati statistici: l’analisi per settori riguardante gli imprenditori stranieri a Torino registra un 28,2% nel settoredel commercio, con una prevalenza di provenienza africana (49,5%) ed asiatica (44,7%)2. Questo accade da qualche tempo: è già accaduto per i meridionali, i maghrebini, i nigeriani e i cinesi. Nonancora per i rumeni e gli est europei in generale. I commercianti stranieri vendono spesso prodotti della propriaterra, ma in alcuni casi gestiscono attività commerciali che poco hanno a che vedere con le proprie origini. Adogni modo la loro presenza fra i venditori rappresenta un punto di r iferimento per i concittadini e aiuta amantenere le reti.É interessante sottolineare che quello del commercio nei mercati rappresenta una possibilità lavorativa anche perle donne di molte etnie, impiegate anche autonomamente nella gestione dei banchi.

Figura 2. I mercatali stranieri. Un'opportunità anche per le donne.

4.2 una pratica: gli annunci per stradaLa pratica in questione consiste nella consuetudine di affiggere per strada, su diversi supporti, dei biglietti dicarta recanti annunci di diverso genere. Si tratta di un mezzo utilizzato da diverse etnie, in particolare dai rumeni.Viene di seguito descritta secondo le cinque W:CHI. I rumeni immigrati a Torino nel 1999 erano 2.600, nel 2003 erano 14.500, nel 2009 51.2003. La loropresenza in città è aumentata di venti volte negli ultimi dieci anni. Ma anche altri gruppi etnici, in particolarelatino americani.COSA. Il fenomeno consiste nell’appendere per strada biglietti scritti in lingua straniera che propongono diversiservizi. In generale si tratta di informazioni che riguardano diversi servizi: il trasporto di merci e persone inRomania, la vendita e trasporto di mobili, il lavoro, il trasporto, l’alloggio, le feste e gli eventi con ospitidell’etnia interessata.DOVE. Nella città di Torino, di preferenza nei pressi di luoghi come le stazioni e i mercati. Queste zone sonoconsiderate strategiche perché oltre ad essere abitate da molti stranieri. sono anche frequentate da immigrati cheabitano altrove. I supporti utilizzati sono pali della luce, cabine telefoniche, paline dei mezzi pubblici, cassettegas, ….PERCHE. Una delle ragioni è certamente la difficoltà nel reperire e utilizzare mezzi di comunicazione comeinternet. Anche l a st ampa locale spess o non trasmette questo ti po di annunci. Si tratta, ino ltre, di unacomunicazione che elude i problemi con la lingua italiana.QUANDO. Soprattutto nel corso degli ultimi 7 o 8 anni, da quando alcune comunità (come quella romena equella peruviana) sono diventate sempre più presenti in cittàQuesto fenomeno genera quello che a molti appare una presenza colorata e curiosa lungo alcuni percorsicittadini. Ma p er mol ti alt ri acquisisce u n sign ificato ben p iù profondo. La possibilità di co municare,un’occasione d i pubblicizzare la propr ia attività l avorativa, l’e ventualità di t rovare un a ppartamento o

2 dati al 31/12/2008, fonte: Camera di Commercio di Torino3 dati al 31/12/2009; fonte: Ufficio di Statistica del Comune di Torino

Raffaella Valente 4

La piazza del mercato, uno spazio dell’opportunità?

semplicemente degli amici fra i connazionali: sono solo alcune delle potenzialità di questo mezzo. In alcuni casisi ricorre a questo strumento di comunicazione per discutere su temi importanti per gli immigrati: le espulsioni,le nuove leggi in materia, le manifestazioni, i centri di permanenza temporanea. Una forma di sfera pubblicaalternativa4 nell’epoca di internet?

4.3 Un oggetto: una borsa di plastica (diversa da tutte le altre)Ultimo tema di questa esplorazione è un oggetto. Si tratta di una borsa semirigida, a forma di parallelepipedo,costruita con fibre plastiche intrecciate, dalle dimensioni e colori variabili.Da qualche anno questa borsa è sempre più diffusa nei negozi e nei mercati, di Torino e di molte città europee. Èutilizzata con scopi molto diversi. La sua diffusione in paesi anche molto lontani tra loro la rendono un oggettoglobalizzato. Una borsa di plastica, ma non come tutte le altre! I principali utilizzatori di questo oggetto sono gliimmigrati. Lo utilizzano reinventandone costantemente gli usi: come borsa per la spesa, come sacco per labiancheria da lavare alle lavanderie pubbliche, come valigia, come sacco per la spazzatura, come contenitore pertrasportare merci da vendere, etc. Ma perchè questa borsa è diversa dalle altre? Quali sono le caratteristiche chehanno decretato il suo successo? Economica, pieghevole, leggera, solida, colorata, riutilizzabile: sono alcuni deirequisiti che hanno fatto si che questo oggetto si sia diffuso in maniera capillare, dalle metropoli europee allecittà dell’Africa.È interessante notare anche un altro fatto. A seguito delle politiche per la riduzione delle buste di plastica per laspesa, m olte c atene di s upermercati hanno i ntrodotto delle bor se ri utilizzabili. Quelle di alcuni m archiriprendono chiaramente il modello della borsa tanto vista nei circuiti informali.Si può dunque parlare di un oggetto globalizzato che però ha seguito un percorso di diffusione lontano dai canaliclassici di questo fenomeno (la pubblicità, il brand). Si è diffuso grazie a quei cittadini traslocali (Amin e Thrift,2005;p.214) che disegnano territoires circulatoires (Tarrius, 1992) attraverso i continenti, divulgando usi edoggetti di un’altra globalizzazione.

Figura 3. Alcuni usi della borsa

5. conclusioni

Questo percorso, più che giungere a conclusioni vere e proprie, apre delle piste di riflessione.Amin e Thrift (2005;p.217) riprendono, lungo un solco segnato da De Certeau, la necessità di identificare eraccogliere le sfide che la città esprime, essendo ancora culla di invenzioni e creatività.Leggere le pratiche in maniera sottile, identificare protagonisti , indagare le origini e le ragioni può aiutare acostruire riflessioni che sappiano andare oltre le facili retoriche. È particolarmente interessante, poi, rivolgere queste attenzioni a certi tipi di spazi, riprendendo la riflessionecondotta nell’introduzione su dove cercare gli spazi pubblici. Spostando il centro di interesse dagli spazi aulicidel centro storico si trovano terreni fertili nei quali cercare alcuni degli elementi costitutivi dello spazio pubblico:

4 A questo proposito di veda la critica alla sfera pubblica habermassiana di Nancy Fraser e il concetto di counterpublic di Holston

Raffaella Valente 5

La piazza del mercato, uno spazio dell’opportunità?

la serendipity, l’incontro col diverso, la possibilità (Bagnasco, 1994; Cremaschi, 2009; Hannerz, 1980;La Varra,2007).Uno dei pun ti, r iguarda qu indi qu ali sp azi gu ardare. Esiston o nu merosi ten tativi ( seppur co n pr emesse eprospettive d iverse) di mettere sot to i ri flettori quegli spazi ordinari, banali e spesso trascurati anche nellericerche: l’everyday urban space di M. Crawford, i temporary urban space di Haydn e Temel, la città imprevistadi Cottino, i lieux communs di Krulic, la Post-it city del CCB, le Urban Action del CCA, e tanti altri.Lo studio d i questi spazi, mette in luce un asp etto molto importante: proprio qui , sp esso si verif icano l econdizioni, non tanto per scopi utopici e magniloquenti (lo spazio democratico, l’integrazione ), quanto perquelle co nvergenze ch e possono app arire m inime e second arie, m a che n o lo so no af fatto. Si p ensi allacomunicazione, alla tolleranza, al contatto con l’altro. Gli spazi nei quali queste condizioni si verificano sono perAmin (2006;p.1019) una componente essenziale della cultura pubblica urbana e un importante filtro attraversoil quale la vita urbana è considerata un bene collettivo5. Considerare queste dinamiche, senza preconcetti, è fondamentale per la costruzione di politiche urbane (e nonsolo) capaci di ascoltare le opportunità espresse dalla vita degli spazi. L’esempio di Torino, oggetto dell’analisi, ci aiuta ad evidenziare alcune criticità esportabili. Il caso analizzatoapre la questione della proposta: come rielaborare in senso propositivo quel che si raccoglie in fase di indagine?Confrontarsi co n q uesta antropologia del movimento (Tosi, 1998 ;p.16) p one dei g rossi in terrogativi nellacostruzione di interventi di regolazione, siano essi politiche, progetti, programmi. La Cecla nota che le cittàvengono trasformate da questi nuovi accessi, ma non è facile capire come strumenti amministrativi e di pianopotrebbero regolarne l’insediamento. Principalmente perché i tempi di questi strumenti non corrispondono aitempi molto più veloci dell’immigrazione. (La Cecla, 1998;p. 45)Se si pensa lo spazio pubblico come costituito tan to dalla sua componente fisica, quanto dalla vi ta che loattraversa, il problema resta aperto, anche discostandosi dalla specifica questione dell ’immigrazione. Comeintervenire sullo spazio pubblico, tenendo conto delle pratiche, sapendo che gli interventi arrivano sul campoquando i processi sono ancora attuali o, in alcuni casi, superati?

Bibliografia

Amin, A. (2008), Cultura collectiva I espai pùblic urbà, Centre de Cultura Contemporània de Barcelona,BarcelonaAmin, A. (2006), The good city, Urban Studies, Vol. 43, Nos 5/6, pp. 1009-1023Amin A., N. Thrift (2005), Città, ripensare la dimensione urbana, Il Mulino, Bologna, ed. originale (2001),Cities. Reimagining the urban, Polity Press, CambridgeAA. VV. (2000), La città una e molte : Torino e le sue dimensioni spaziali, Liguori editore, NapoliBagnasco, A. (a cura di) (1990), La città dopo Ford. Il caso di Torino, Bollati Boringhieri, Torino Bagnasco, A. (1986), Torino. Un profilo sociologico, Einaudi, Torino Bagnasco, A. (1994), Fatti sociali formati nello spazio. Cinque lezioni di sociologia urbana e regionale, FrancoAngeli, MilanoBarazza, B. (a cura di ) (2 009), Stranieri e Imprese, in Città di Torino, R apporto 20 08 Osse rvatorioInteristituzionale sugli stranieri in provincia di Torino, TorinoBocco, A. (1998), Torino: conflitto e modi di abitare in uno spazio multiculturale, in Urbanistica, n. 111Cottino, P. (2003), La città imprevista. Il dissenso nell’uso dello spazio urbano, Elèuthera, MilanoCoppo, D. e Osello, A. (a cura di) (2007), Il disegno di luoghi e mercati in Piemonte , Allemandi, TorinoCremaschi, M. (2009), Urbanità e resistenza, in /Archivio di Studi Urbani e Regionali/, n. 94, pp. 126 - 139Crawford, M., Speaks, M. (2005), /Everyday Urbanism. Michigan Debates on Urbanism volume I /, RahulMehrotra, Ann ArborCrawford, M. (2001), Desibu jando las fron teras: esp acio pub lico y vi da privada, in Quaderns, Paiasajesurbanos.Urban landscapes,n. 228, pp. 14Crosta, P.L. (2001), Società delle differenze, pluralizzazione del territorio e il ruolo del l'interazione socialenella produzione di "pubblico", al plurale, in Atti del Convegno internazionale "Dalla città diffusa alla cittàdiramata" Politecnico di Torino, Dipartimento di Scienze e tecniche Crosta, P.L. (2000), Società e territorio al plurale. Lo “spazio pubblico” – quale bene pubblico- come esitoeventuale dell’interazione sociale, in Foedus n. 1 De Certeau, M. (2001), L’invenzione del quotidiano, Edizioni Lavoro, Roma, ed. originale (1980) L’Inventiondu Quotidien Vol. 1, Arts de Faire, Union générale d’éditions, ParisFraser, N. (1992), Rethinking the public sphere: a contribution to the critique of actually existing democracy, inC. Calhoun (a cura di) Habermas and the Public Sphere, pp. 197–231., MIT Press, CambridgeFofi, G. (1976), L’immigrazione meridionale a Torino, Milano, FeltrinelliHaydn F. , Temel R. (a cura di) (2006) , Temporary Urban Spaces: Ideas for the Flexible Use of the City,Birkhauser, Basel5 La traduzione è mia

Raffaella Valente 6

La piazza del mercato, uno spazio dell’opportunità?

Hannerz, U. (1980), Exploring the city: inquiries toward an urban anthropology, Columbia University, NewYork Holston, J. (1996), Space of insurgent citizenship, in Planning Theory n. 13, pp.30-50Krulic, B., (2004), Europe, lieux communs: cafés, gares, jardins publics, Autrement, ParisLa Cecla, F. (1998), L’urbanistica è di aiuto alle città multietniche?, in Urbanistica, n. 111, pp.La Varra, G. (2007), Post-it city. L’ultim espai public de la ciutat contemporania, Peran, M. (a cura di) (2007),Post-it city. Occasional Urbanities. The city of the present continuous, CCCB, i Direcció de Comunicació de laDiputació de Barcelona, BarcellonaLanzani, A. (2003), I paesaggi italiani, Meltemi, RomaLanzani, A. (1998), Modelli insediativi, forme di coabitazione e mutamento dei luoghi urbani, in Urbanistica, n.111Sacchi, Viazzo (2003), Più di un sud, studi antropologici sull’immigrazione a Torino, F. Angeli editore, MilanoSalzano, E. (2009), La città, la comunità, gli spazi pubblici, lectio magistralis, 16 aprile 2009, Ferrarahttp://eddyburg.it/article/aticleview/13025/0/318/, consultato in novembre 2009Sennett, R. (1982), Il declino dell’uomo pubblico. La società intimista, Fabbri editore, Milano, ed. originale(1977), The fall of public man, KnopfSorkin, M. (a cura di) (1992), Variations on a theme park, Hill & Wang, New YorkTarrius, A . (1 992), Les Fourmis d'Europe, L' Harmattan, ParisTarrius, A. (1993), Territoires circulatoires et espace urbain, in Les Annales de la Recherche Urbaine, n. 59-60.Tosi A. (1998), Lo spazio urbano dell’immigrazione, in Urbanistica n. 111Zardini, M. (2009), A la reconquete de l’urbanité, in Borasi, G. e Zardini, M. (a cura di), Actions : comments’approprier la ville, Centre Canadien d’Architecture, Montreal

Raffaella Valente 7

Nuovi spazi pubblici? Forme e usi dei luoghi “del pubblico” nella città contemporanea

Atti della XIII Conferenza Società Italiana degli UrbanistiCittà e crisi globale: clima, sviluppo e convivenza

Roma, 25-27 febbraio 2010Planum - The European Journal of Planning on-line

ISSN 1723-0993

Nuovi spazi pubblici? Forme e usi dei luoghi “del pubblico”nella città contemporanea

Nicola VazzolerDipartimento di progettazione architettonica e urbana

Università degli Studi di Trieste, [email protected]

AbstractAttraverso una descrizione che investe il territorio e le abitudini dell’individuo contemporaneo, possiamorestituire una nuova mappa di spazi pubblici che difficilmente avremmo percepito come tali: la dicotomiapubblico- privato sembra diventare ambigua e trasforma gli spazi di natura privata in spazi dellasocializzazione; l’esigenza collettiva o del singolo trasforma spazi inermi e/o vaghi o destinati ad altro, in spazipersonali o collettivi dove si raccolgono nuove pratiche; ecc… Studiare queste realtà, i tipi di utenti che lefrequentano e le differenti pratiche che all’interno si sedimentano, permette di comprendere le necessità dellasocietà che vive nell’arcipelago contemporaneo, fatto di frammenti funzionali e spazi fra le cose, e le nuove ediverse definizioni di spazio pubblico che sembrano rapportarsi con un pubblico multiplo e specializzato.

0. Uno spazio di frontieraPer comprendere la forma e il ruolo che oggi assume lo spazio pubblico si rende necessario tornare a descriverela società e il territorio in cui vive, non solo sfruttando l’interdisciplinarietà propria della nostra disciplina, maattraverso una lettura di quella parte di territorio in trasformazione, in movimento, incerto, ovvero quelle parti diterritorio che si configurano come aree di “frontiera”, dove le cose sembrano cambiare, dove i così detti tessuticonsolidati si sfrangiano i n filam enti o coaguli, ap rendosi al terri torio, alla m obilità e ad un’altra scala,restituendo un punto di vista interessante sull’uso dello spazio da parte della società che la abita. Ed è per l’appunto in un’area di frangia della città di Udine che si concentra l’attenzione di questo studio (Figura1), diverse interpretazioni di un’area periferica a nord-ovest della conurbazione, che propone al suo internodifferenti tessuti urbani giustapposti (pattern composti di villini recintati, esperimenti dell’architettura moderna esociale, …), nuclei periferici e satellitari con i propri centri consolidati, i grandi contenitori di servizi (il centrocommerciale Fiera, lo stadio Friuli, il parco del Cormor, la sede periferica dell’Università, …), la trama agricolache pe netra fra i t essuti fr ammentandosi, l ’intelaiatura i nfrastrutturale c he d etermina un si stema c ontinuo(l’autostrada A23) e il serbatoio di naturalità del torrente Cormor. Diversi materiali e spazi che si giustappongono a formare un collage, in cui l’individuo si muove alla ricerca dideterminati riferimenti come in un arcipelago, un alternarsi di frammenti di differente natura che riflettono:

“l’organizzarsi della nost ra società per sottosistemi, per m inoranze c he opera no c ome m icrocosmiautopoietici (la famiglia, i clan etnici e professionali, le associazioni legate al consumo e al tempo libero).”(Boeri, 2003; p.443)

1. Pubblico- Privato: una dicotomia ambiguaLa prima interpretazione dell’area in esame individua molte delle realtà che stanno in rapporto diretto con ilpubblico, inteso come un gruppo di individui che usa e si muove all’interno di un determinato spazio; sideterminano qui ndi, ind iscriminatamente, “sp azi pubblici” e “sp azi per pubblici”, ovv ero spazi di nat uragiuridica pubblica e spazi di natura privata ad uso collettivo, disegnando “costellazioni” di materiali differenti:città pubblica, servizi, spazi aperti nei centri consolidati, centri commerciali locali e a scala territoriale, parchiurbani ed extraurbani, ecc… (Figura 2).La convivenza, felice o meno, di questi materiali sul territorio, sembra proporre da un lato una nuova visione dipubblico, non unico e stanziale ma multiplo, nomade e specializzato, un pubblico che si muove sul territorio allaricerca di uno spazio in grado di definirlo, dall’altro lato è evidente come la dicotomia Pubblico/Privato sidimostri ambigua, con un limite fra i due termini che si fa labile: la socializzazione che nasce da un incontro puòmaterializzarsi in una realtà aperta connotata da valenza simbolica e all’interno di un contesto urbano o in uno

Nicola Vazzoler 1

Nuovi spazi pubblici? Forme e usi dei luoghi “del pubblico” nella città contemporanea

spazio in terno semipubblico, o completamente privato, nonostante questo spazio sembri prediligere pubblici“distratti” e “selezionati” all’origine.

Figura 1 (Area di “frangia” della città di Udine)

Queste interpretazioni trovano conferma nelle riletture di quegli autori che hanno evidenziato un problema didefinizione a più livelli della sfera pubblica: secondo Stephen Kern, nel tempo la dicotomia pubblico-privato

Nicola Vazzoler 2

Nuovi spazi pubblici? Forme e usi dei luoghi “del pubblico” nella città contemporanea

sembra aver subito continue ridefinizioni dei propri limiti ma l’intensificazione della sfera intima (Kern, 1995),che ha visto nel XIX sec. una sorta di morte dello spazio pubblico in virtù di un sovraccarico emotivo della vita

Figura 2 (“Spazi per un pubblico”)

intima, sembra aver abbattuto la dicotomia stessa, portando a quella che Innerarity definisce sfera intima totale(Innerarity, 2008) nella quale sembra d ifficile fare una distinzione fr a pubblico e pr ivato, ambiti che oggi

Nicola Vazzoler 3

Nuovi spazi pubblici? Forme e usi dei luoghi “del pubblico” nella città contemporanea

sembrano contaminarsi e sovrapporsi. Tralasciando il mondo della politica e/o della televisione in cui pubblico eprivato sembrano ormai fondersi, sul territorio l’individuo è portato a muoversi e a raggiungere mete differenti,sparse e specializzate, proponendo assieme ad altri un pubblico nomade e specializzato che si “accende” e“spegne”: è possibile quindi proporre un’idea di “spazio pubblico” che si amplia, quella di “spazio per unpubblico”Anche la scelta della propria nicchia residenziale determina la comparsa sul territorio di ambiti più o menopermeabili: la segregazione sociale è in grado di coagulare diversi individui in gruppi che si riconoscono perreddito, stile di vita, e/o razza, sembra scontato che l’individuo più “mobile” sia anche quello più avvantaggiatonella decisione del proprio “ambiente residenziale” determinando vistosi scompensi fra i diversi individui, c’èchi p uò e c hi n on p uò scegliere l a p ropria i sola. A seconda d ella p ermeabilità, e quindi de l l ivello diprivatizzazione dell’isola residenziale, è possibile considerare l’esistenza di differenti tipi di pubblici che usanogli spazi presenti in queste realtà, esiste quindi anche una sorta di privatizzazione dello spazio aperto. Nel caso studio sono presenti diversi quartieri di edilizia economica popolare, pattern compatti di villini isolati erecintati e, in costruzione, un nuovo villaggio protetto con recinzione e guardiano, realtà che possono presentareall’interno delle isole, forme di segregazione sociale, potenzialmente negata sui perimetri, dove le parti vengonoa contatto fra loro e con spazi aperti di altra natura. La segregazione (funzionale e sociale), che ha scomposto e sparso sul territorio il modello urbano, e la relativalibertà di cui gode l’individuo contemporaneo, permettendone il movimento nello spazio, sembrano incentivareun cambiamento nell’uso dello spazio pubblico, determinando una sorta di scomparsa dello “spazio pubblico”.

“Da una parte abbiamo i quartieri marginali e senza legge; dall’altra, gli spazi commerciali o di svagoprotetti da ac cessi se lettivi, le c omunità recintate con i loro sistemi di s orveglianza e di sicurezza.”(Innerarity, 2008; p.130)

2. Vuoto continuoÈ necessario a questo punto comprendere la natura dello spazio che sta fra i frammenti, fra i pacchetti funzionali,rendendolo parte attiva di questo discorso o, come direbbe Stephen Kern, concentrare l’attenzione sullo “spaziopositivo negativo”, sottolineando l’importanza che lo “sfondo” sembra aver guadagnato negli ultimi due secoli.Lo spazio aperto ha guadagnato oggi un ruolo relativamente importante, non si limita a cingere gli oggetti mapenetra all’interno delle conurbazioni urbane determinando una frammentazione del costruito nelle periferie eduna dispersione urbana sul territorio. In effetti, facendo un confronto fra tessuti urbani di diversa natura si evincecome in un centro storico è preponderante la presenza dei pieni mentre nelle aree di frangia il pieno sembragalleggiare sul vuoto, “la città si è trasformata da solido continuo a vuoto continuo” (Viganò, 1999; p.127). Nel caso di Udine prendere in considerazione lo “spazio positivo negativo” (Figura 3) ha messo in evidenza ilcomportamento del vuoto, dello spazio aperto, che perimetra o penetra all’interno delle “cose”: cinge gli oggettidi na tura p rivata o sem icollettica (centri co mmerciali, uni versità, edifici rel igiosi, ci miteri…); s’insinu aall’interno delle città pubbliche, dei parchi, dei lotti incolti o in attesa di destinazione, formando così sequenze dispazi aperti variabili; travalica i recinti dei villini isolati su lotto privati, da un lato perché all’interno si possonoritrovare diverse attività di socializzazione (Viganò, 1999), dall’altro perché la permeabilità visiva concorre acreare una continuità con l’esterno e quindi con lo spazio aperto di natura pubblica (Schab, 1999). Questo spa zio ch e sta fr a le co se o vi penetra all’ interno, si configura come un vuoto continuo pi uttostocomplesso, a tratti ben definito e in altri indeterminato, un unicum spaziale che contiene al suo interno realtàdiverse, spazialità complesse, spazi dentro uno spazio, distinguibili a differenti scale di lettura e che è in grado dicontaminare i frammenti stessi. Al di là dei processi di segregazione funzionale e d’inversione nel rapporto figura/sfondo che appartengono allastoria della nostra disciplina e hanno avuto un ruolo importante per la trasformazione dello spazio aperto, èinteressane notare come proprio negli ultimi decenni questo sia divenuto tema di dominio pubblico, un diritto darivendicare e/o tutelare. L’attenzione particolare dedicata all’individuo e alla sua cura, e la generale tendenzaambientalista contemporanea, n ata d al relativo b enessere sv iluppatosi nel secondo d opoguerra, sem branosostenere il modello di una città più verde e in cui sembra esserci sempre più bisogno di spazio aperto, dirigendoil progetto contemporaneo verso un’ulteriore svalutazione del costruito: ad ogni ipotesi di trasformazione delterritorio di grande portata è facile imbattersi in un’opposizione da parte di gruppi di liberi cittadini (n.i.m.b.y. ob.a.n.a.n.a.). Sembra quindi che lo spazio aperto si sia dilatato determinando alla grande scala un vuoto continuo che risentedelle differenti scelte progettuali adottate alla piccola scala: verdi dalle diverse consistenze fisiche e giuridiche,aree di rispetto, infrastrutture e parcheggi di diversa natura e grado, spazi di risulta, ecc... Ora, se lo spazio apertosi è dilatato, aumentando cioè la quantità di spazio dedicato ad accogliere il possibile movimento e lo stare e se aquesto associamo la relativa mobilità e libertà dell’individuo contemporaneo, possiamo affermare che in questovuoto continuo possano svilupparsi con una certa casualità nuovi usi dello spazio da parte di una nuova utenza?

Nicola Vazzoler 4

Nuovi spazi pubblici? Forme e usi dei luoghi “del pubblico” nella città contemporanea

Figura 3 (“Spazio positivo negativo”)

Nicola Vazzoler 5

Nuovi spazi pubblici? Forme e usi dei luoghi “del pubblico” nella città contemporanea

3. Lo “spazio pubblico potenziale”Il vuoto continuo può quindi essere rappresentato come un grande ambiente vitale in cui gli individui possonoscegliere dove stare o in quale direzione muoversi.Per esempio, Bas Princen può esserci utile per parlare di questo nomadismo contemporaneo e della nascita di unnuovo spazio pubblico a ttraverso la sua r icerca Artificial Arcadia: nel suo studio per il ter ritorio olandese,Princen individua tribù nomadi che non si muovono alla ricerca di un pacchetto specializzato o tematizzato ma dispazi aperti dove investire il proprio tempo libero. Questi spazi, solitamente destinati ad altro (in alcuni casidimenticati), vengono anche solo temporaneamente ad ospitare nuovi usi e pratiche appartenenti a gruppi diindividui, diventando così spazi pubblici “effimeri” e “clandestini” che si materializzano nel momento in cuil’individuo o il gruppo di individui ne sentono la necessità. Accanto a queste realtà, che propongono una sorta di appropriazione “debole” dello spazio, al quale cioè sisovrappongono e si adattano nuovi usi e pratiche, si possono individuare forme di appropriazione dello spaziopiù “radicali” in grado cioè di trasformare lo spazio trovato col fine ultimo di costruire uno spazio pubblico,unico nel contesto, per esempio, i diversi movimenti di “guerrilla gardening” si comportano come pubblici allaricerca di un proprio spazio, confrontandosi con i confini della legalità, trasformando fisicamente uno spazioaltro per superare i vuoti della pianificazione della città contemporanea e venendo incontro alle richieste dellacomunità. La differenza sostanziale nei casi proposti sta probabilmente nella scala con cu i si ri leggono lequestioni: Princen si attesta ad una scala che evidenzia la dispersione territoriale di diverse forme di pubblico, ifenomeni di “guerrilla gardening” evidenziano invece questioni proprie di una realtà urbana. Entrambi i casi però suggeriscono l’idea di un nuovo spazio pubblico inteso come appropriazione personale delterritorio e che trasforma il vuoto continuo in una piattaforma potenziale per attività individuali e collettive, uno“spazio pubblico potenziale” perché si compone delle scelte individuali o collettive potenziali e che impongono aporzioni sparse, o ad un inanellarsi di spazialità, nuovi usi e pratiche.È difficile fare un elenco preciso degli usi propri e/o impropri degli spazi che compongono l’area di frangia inesame, stiamo parlando infatti di usi personali o di un ristretto gruppo di persone che possono rimanere celati (lapasseggiata o la chiacchierata nel parcheggio dello stadio, la corsa o la sosta nei campi coltivati, e via dicendo).Sono certo però, che le osservazioni sul campo, oltre che testimoniare gli usi altri dello spazio, siano in grado ditestimoniare un cambiamento di tendenza nella concezione di uso dello spazio da parte dell’utenza, tra l’altroforse sempre esistita, e che tende a modificare il concetto stesso di spazio pubblico.

4. In conclusione?Oggi non sembra essere la definizione giuridica a definire il corretto funzionamento di uno “spazio pubblico”.Come si è visto, uno spazio pubblico, di qualsiasi natura esso sia, sembra funzionare quando è in grado diraccogliere al suo interno un proprio “pubblico”, un soggetto collettivo che usa lo spazio, che se ne appropria, seil “pubblico” non usa lo spazio, questo è forse destinato a morire: i centri commerciali verranno abbandonati, glispazi potenziali perderanno pian piano le proprie potenzialità, gli spazi pubblici tradizionali, con una naturagiuridica per l’appunto pubblica, sono forse gli unici destinati a presentare questioni non eludibili. Infatti alcuni progetti che oggi interessano gli spazi pubblici tradizionali, sembrano prendere in considerazione ilrapporto che s’instaura con l’utenza: superare l’idea di spazio simbolico e rappresentativo per giungere ad unospazio attivo e relazionale in cui l’utente diventa elemento programmatico del progetto stesso ed è in grado dimodificare la re altà in cu i si m uove secondo le proprie esigenze. La lib ertà di m ovimento e d i sc eltadell’individuo nello spazio fisico non sono che riflessi minuti di processi di trasformazione anche più ampia, peresempio di quegli spazi virtuali infiniti che vengono considerati ormai pubblici, e in cui i navigatori partecipanoalla creazione di un nuovo mondo, apportando le proprie modifiche sostanziali (modello web2.0).Nella realtà fisica un’opera d’arte o un evento temporanei possono diventare momento di partecipazione con ilpubblico, al quale viene chiesto di reinterpretare le diverse trasformazioni temporanee dello spazio pubblico, altriprogetti si basano invece su un rapporto di scambio e di partecipazione proponendo un certo grado di flessibilità,capace di t rasformare la fisicità e la percezione dello spazio in r elazione a lle diverse pratiche: si possonoannoverare installazioni d’arte, orti urbani, o tutti quei progetti che trasformano lo spazio in una piattaforma diopportunità (le opere dell’artista J. Gerz, i progetti degli studi NuvolaB, MA0, NL Architects, Topoteck chepropongono un rapporto diretto con il pubblico).

L’attenzione ricade sul diverso tipo di “pubblico”, in quanto fenomeno autogenerativo, e su quello che cerca,definendo così differenti tipi di spazio. Pubblico non è sempre facilmente rappresentabile, riconoscibile, è un’entità non classificabile in partenza mache lascia sul territorio tracce del proprio passaggio e delle proprie esigenze.Il coagulare di un pubblico nella realtà fisica sembra poter avvenire in maniera artificiale, ovvero attraversotrasformazioni che coinvolgono lo spazio o attraverso l’impiego di strumenti in grado di richiamare l’attenzione,

Nicola Vazzoler 6

Nuovi spazi pubblici? Forme e usi dei luoghi “del pubblico” nella città contemporanea

oppure in maniera del tutto spontanea determinando, in entrambi i casi, lo svilupparsi di “pubblici” di diversanatura e grado.Differenti tipi di spazio assecondano il coagularsi di differenti tipi di “pubblico”, dalle forme che dettano regoleben precise, a quegli spazi che si adattano alle nuove pratiche, ed inf ine gli spazi pubblici tradizionali cheperdono il proprio valore simbolico per assecondare un pubblico mobile ed interattivo. In sostanza si tratta di coaguli di individui sparsi sul territorio e dalla natura mutevole, che si “accendono” e“spengono”, ad intermittenza, per poi muoversi, fondersi, e frammentarsi nuovamente all’interno di determinatispazi, limitati o meno e che noi riconosciamo a volte come veri e propri spazi per pubblici, altre volte come spaziaperti e come tali permeabili e fruibili.Scoprendo le diverse storie che sul territorio si sovrappongono, sezionando i movimenti dei diversi pubblici,comprendendo usi, attività, luoghi, persone, è possibile creare una nuova figura per il territorio preso in esame,una figura fino a quel momento invisibile e che ora ci svela relazioni importanti e uno “spazio pubblico totale”perché comprende al suo interno la totalità degli spazi “usati” dagli abitanti e raccoglie già in se le future sceltedel progetto urbanistico per il territorio stesso.

Bibliografia

Libri:

Boeri S. (2003), USE, Skira, Milano.Innerarity D. (2008), Il nuovo spazio pubblico, Meltemi, Roma.Kern, S. (1995), Il tempo e lo spazio, il Mulino, Bologna.Princen B.(2004), Artificial arcadia, 010 Publishers, Rotterdam.Trasi M., & Zabiello A. (2009), Guerrilla Gardening, Kowalski, Milano.Viganò P. (1999), La città elementare, Skira, Milano.

Articoli:

Schab J. (1999), Aspetti dell’abitazione unifamiliare, Lotus, n.22,16-23.

Nicola Vazzoler 7