Le iscrizioni della croce di Sarzana e le scritture d’apparato toscane del XII secolo

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Scrittura epigrafica e scrittura libraria: fra Oriente e Occidente a cura di Marilena Maniaci e Pasquale Orsini Cassino Università degli Studi di Cassino e del Lazio meridionale Dipartimento di Lettere e Filosofia 2015 Studi e ricerche del Dipartimento di Lettere e Filosofia 11

Transcript of Le iscrizioni della croce di Sarzana e le scritture d’apparato toscane del XII secolo

Scrittura epigrafica e scrittura libraria:

fra Oriente e Occidente

a cura di Marilena Maniaci e Pasquale Orsini

CassinoUniversità degli Studi di Cassino e del Lazio meridionale

Dipartimento di Lettere e Filosofia2015

Studi e ricerche del Dipartimento di Lettere e Filosofia11

Copyright © Dipartimento di Lettere e Filosofia Università degli Studi di Cassino e del Lazio meridionale (Italy) ISBN 978-88-99052-02-7

Direzione scientificaEdoardo Crisci

Comitato scientificoGirolamo Arnaldi, Sapienza-Università di Roma; M. Carmen del Camino Martínez, Universidad de Sevilla; Giuseppe Cantillo, Università Federico II di Napoli; Marco Celentano, Università di Cassino e del Lazio Meridionale; Carla Chiummo, Università di Cassino e del Lazio Meridionale; Mario De Nonno, Uni-versità di Roma Tre; Paolo De Paolis, Università di Cassino e del Lazio Meridio-nale; Marilena Maniaci, Università di Cassino e del Lazio Meridionale; Antonio Menniti Ippolito, Università di Cassino e del Lazio Meridionale; Serena Romano, Université de Lausanne; Manuel Suárez Cortina, Universidad de Cantabria; Patri-zia Tosini, Università di Cassino e del Lazio Meridionale; Franco Zangrilli, The City University of New York, Baruch College; Bernhard Zimmermann, Albert-Ludwigs-Universität Freiburg.

Tutti i volumi pubblicati nella collana sono sottoposti ad un processo di peer review.

Università degli Studi di Cassino e del Lazio meridionaleDipartimento di Lettere e Filosofia via Zamosch, 43 I-03043 Cassino

InformazioniFilomena Valentee-mail: [email protected].: +39.0776.2993561fax: +39.0776.311427

Progetto grafico ed impaginazionePasquale Orsini

Volume stampato con fondi provenienti daDipartimento di Lettere e Filosofia – Università di Cassino e del Lazio meridionaleAPICES – Association paléographique internationale culture écriture sociétéPRIN 2010/2011 – BIM. Bibliotheca Italica Manuscripta: descrivere, documen-tare, valorizzare i manoscritti medievali d’Italia

Finito di stampare nel mese di aprile 2015da Rubbettino print88049 Soveria Mannelli (Cz)

Indice

v Marilena ManiaciPresentazione

ix Edoardo Crisci Scritture epigrafiche e scritture librarie: un’interazione mancata? Preambolo con qualche riflessione

1 Pasquale OrsiniScritture epigrafiche e scritture librarie a Bisanzio (secoli VI-X)

15 Andreas RhobyInscriptions and Manuscripts in Byzantium: a Fruitful Symbiosis?

45 Gianfranco AgostiLa mise en page come elemento significante nell‘epigrafia greca tardoantica

87 Flavia De RubeisEpigrafi e manoscritti in area merovingia tra tardo antico e primo medioevo: innovazioni, recuperi, interpretazioni

103 Carlo Tedeschi Le iscrizioni di Dodone, vescovo di Rieti

133 Tommaso GramigniLe iscrizioni della croce di Sarzana e le scritture d‘apparato toscane del XII secolo

175 Indice delle testimonianze scritte

L’Editore si dichiara disponibile ad assolvere eventuali obblighi nei confronti delle Istituzioni e degli Enti che detengono i diritti sulla riproduzione delle immagini.

Tommaso GramiGni

Le iscrizioni della croce di Sarzana e le scritture d’apparato toscane del XII secolo

Nell’ambito delle cosiddette scritture d’apparato1, le testimonianze prodotte nel XII secolo nel territorio toscano sono caratterizzate da elementi morfologici e stilistici ricorrenti, che, indipendente-mente dai supporti e dai materiali impiegati, le individuano piut-tosto chiaramente rispetto alla produzione di altre epoche ed aree geografiche. Già nel corso della seconda metà dello stesso secolo, inoltre, si definiscono e si selezionano in questo ambito gli ele-menti che portano alla formulazione di un linguaggio grafico di tipo pienamente gotico2. Scritture distintive e scritture epigrafiche mostrano, in questa come in altre fasi storiche, tangenze non irrile-vanti, sintomi evidenti dell’esistenza di un bacino grafico comune, al quale attingono in modo variabile i ‘professionisti della scrittura’ dell’epoca.

Nel panorama della produzione libraria, le peculiari caratteri-stiche delle testimonianze manoscritte toscane del XII secolo fu-rono messe in luce, con un interesse rivolto principalmente agli aspetti decorativi e iconografici, in particolare da Edward Garri-son e da Knut Berg3, i cui interventi sopperiscono ancora oggi, in qualche misura, alla mancanza di uno studio complessivo e articolato dei fenomeni grafici connessi all’impiego di scritture distintive. In ambito epigrafico, le iniziative di censimento e stu-dio del materiale pisano, in particolare di quello lapideo, hanno mostrato come, tra XI e XII secolo, ebbe luogo una vera e pro-

1. Secondo la definizione di A. Petrucci, La scrittura. Ideologia e rappresentazione, Torino 1986, xx.2. Nei prodotti manoscritti della seconda metà del secolo si rilevano già, in particolare, mutamenti stilistici ed esecutivi caratteristici, consistenti in una crescente compressione orizzontale della catena grafica, con progressiva tendenza alla riduzione del valore medio del rapporto tra altezza e base dei singoli segni, e in un’accentuazione del chiaroscuro e delle aperture alle terminazioni dei tratti.3. Cfr. E. B. Garrison, Studies in The History of Mediaeval Italian Painting, I-IV, Firenze 1953-1962 e K. Berg, Studies in Tuscan Twelfth-Century Illumination, Oslo – Bergen – Tromsö 1968.

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pria riscoperta delle funzioni pubbliche e celebrative della scrit-tura esposta4.

La sovrapposizione della figura dell’amanuense a quella dell’ordina-tor di epigrafi su pietra venne discussa da Ottavio Banti alcuni anni fa, in un intervento incentrato su esempi epigrafici del XIII e del XIV secolo5. Scritture incise su pietra e scritture distintive dei libri manoscritti non esauriscono, tuttavia, le possibili espressioni della cultura grafica ‘d’apparato’: le iscrizioni dipinte e le scritture distin-tive utilizzate in ambito documentario costituiscono, ad esempio, due categorie altrettanto rilevanti per operare un tentativo di appro-fondimento delle nostre conoscenze circa le modalità di impiego, nel pieno Medioevo, di maiuscole che potremmo complessivamente definire ‘di gusto epigrafico’6.

Mi pare sia opportuno, e talvolta necessario, di fronte all’esame di una specifica produzione scrittoria, tentare letture trasversali, che

4. Cfr. in particolare O. Banti, Le epigrafi e le scritte obituarie del Duomo di Pisa, Pisa 1996 (Biblioteca del «Bollettino Storico Pisano» – Fonti, 5); Id., Monumenta epigraphica Pisana saeculi XV antiquiora, Pisa 2000 (Biblioteca del «Bollettino Storico Pisano». Fonti, 8) e i saggi raccolti per cura di Silio P. P. Scalfati in O. Banti, Scritti di storia, diplomatica ed epigrafia, Pisa 1995 (Biblioteca del Bollettino storico pisano. Collana storica, 43). Si vedano inoltre i lavori di Giuseppe Scalia: G. Scalia, Epigraphica pisana: testi latini sulla spedizione contro le Baleari del 1113-15 e su altre imprese anti-saracene del secolo XI, Pisa 1963; Id., Ancora intorno all’epigrafe sulla fondazione del duomo pisano, «Studi Medievali», s. III, 10 (1969), 483-519; Id., «Romanitas» pisana tra XI e XII secolo. Le iscrizioni romane del duomo e la statua del console Rodolfo, «Studi medievali», s. III, 13 (1972), 791-843; Id., Tre iscrizioni e una facciata. Ancora sulla cattedrale di Pisa, «Studi medievali», s. III, 33 (1982), 817-859; Id., Pisa all’apice della gloria: l’epigrafe araba di S. Sisto e l’epitafio della regina di Maiorca, «Studi medievali», s. III, 48 (2007), 809-828. Sulla peculiarità del caso pisano si soffermano anche Petrucci, La scrittura (cit. n. 1), 7-8 e N. Giovè Marchioli, L’epigrafia comunale cittadina, in P. Cammarosano (a cura di), Le forme della propaganda politica nel Due e Trecento. Atti del convegno internazionale (Trieste, 2-5 marzo 1993), Roma 1994, 263-286: 270-273. Per una sintesi dei fenomeni grafici che caratterizzano la produzione epigrafica pisana del pieno e tardo Medioevo cfr. O. Banti, Dall’epigrafica romanica alla pre-umanistica. La scrittura epigrafica dal XII alla fine del XV secolo a Pisa, «Scrittura e civiltà», 24 (2000), 61-101 (in particolare 63-71 e fig. 1 per il XII secolo). 5. O. Banti, Amanuensi-ordinatores e modi ed ‘eleganze’ librarie in epigrafi dei secoli XIII e XIV, in T. De Robertis – G. Savino, Tra libri e carte. Studi in onore di Luciana Mosiici, Firenze 1998, 35-47.6. Ulteriori apporti alla conoscenza del fenomeno potrebbero venire dallo studio di altre tipologie di manufatti — mosaici, intarsi, vetrate, oggetti di oreficeria, avori, campane, sigilli e monete — che sono, per loro natura, luoghi di destinazione tipici delle maiuscole epigrafiche, ciascuno dotato di peculiari caratteristiche materiali, esecutive e tecniche. Le tipologie qui considerate — iscrizioni lapidee e dipinte, scritture distintive in manoscritti e documenti — mi pare possano comunque fornire un panorama sufficientemente artico-lato, per quanto parziale, delle soluzioni grafiche maggiormente caratteristiche dell’epoca presa in esame.

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prendano in considerazione criticamente i vari ambiti di impiego, senza tuttavia proporre necessariamente legami di discendenza: la rilevanza delle analisi impostate in questa direzione per così dire ‘multigrafica’, infatti, consiste non tanto nel tentativo di evidenziare nessi di relazione esplicita o di dipendenza o filiazione di determi-nate realizzazioni rispetto ad altre, che rimarrebbe il più delle vol-te frustrato dalla natura puramente formale e non sostanziale delle osservazioni possibili, quanto nello sforzo di delineare complessi-vamente la struttura del panorama scrittorio e il suo grado di co-esione e coerenza interna, individuandone, ove possibile, le cesure cronologiche e geografiche e inquadrandolo nel più ampio contesto storico-culturale di riferimento7. Non ci si dovrebbe chiedere, cioè, se le forme e gli atteggiamenti stilistici che si osservano nelle epigrafi su pietra derivino da quelli delle scritture distintive dei codici o vice-versa, ma piuttosto quali siano le caratteristiche che accomunano, in una determinata epoca e in un determinato luogo, testimonianze di natura differente: queste affinità, infatti, costituiscono gli elementi ‘guida’, che possono aiutare a contestualizzare una testimonianza scritta nell’ambito del panorama grafico generale.

La croce dipinta da maestro Guglielmo (fig. 1), attualmente col-locata nella cattedrale di Santa Maria a Sarzana, in provincia di La Spezia, è solo apparentemente estranea ai limiti geografici che mi sono autoimposto, in quanto probabilmente prodotta da artista luc-chese, o comunque collegato a quella scuola pittorica8. L’opera è

7. Per un esempio di lettura criticamente contestualizzata di corredi epigrafici analoghi a quello analizzato in questo intervento si veda S. Riccioni, La Croce di Rosano oltre il Lazio e la Toscana. Riflessi “europei” della Riforma Gregoriana, in C. Frosinini – A. Monciatti – G. Wolf (a cura di), La pittura su tavola del secolo XII. Riconsiderazioni e nuove acquisizioni a seguito del restauro della Croce di Rosano, Firenze 2012, 119-132, che prosegue e approfondisce le questioni sollevate in T. Gramigni – S. Zamponi, Le iscrizioni della Croce di Rosano, in M. Ciatti – C. Frosinini – R. Bellucci (a cura di), La Croce dipinta dell’abbazia di Rosano. Visibile e invisibile. Studio e restauro per la comprensione, Firenze 2007, 71-88.8. Il riferimento principale è alla pubblicazione che ha seguito il più recente restauro della croce, operato tra 1993 e 1998 dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze: M. Ciatti – C. Frosinini – R. Bellucci (a cura di), Pinxit Guillielmus. Il Restauro della Croce di Sarzana, Firenze 2001. Si parla però in modo articolato della croce di Guglielmo già in S. Varni, Del Cristo di Guglielmo. Pittura insigne dell’anno 1138 esistente nel duomo di Sarzana, «Giornale linguistico di archeologia, storia e belle arti», 1 (1874), 5-27, quindi in G. M. Richter, The Crucifix of Gui-lielmus at Sarzana, «Burlington Magazine for Connoisseurs», 51/295 (1927), 162, 166-169, 172-175, 177, e in A. Morassi, Capolavori della pittura a Genova, Milano – Firenze, 1951, 27-28 e tavv. 1-13 (con riproduzioni di ottima qualità). Per i rapporti dell’opera con i tipi figurali

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particolarmente nota, costituendo il più antico esempio datato di croce dipinta su tavola9: la sua collocazione cronologica al 1138 è legata all’iscrizione-firma, tracciata nello spazio tra il titulus crucis e la raffigurazione del Cristo (fig. 2). Vi si legge:

anno milleno cenTeno Ter quoq(ue) deno ocTavo pin- x(iT) Gui[lie]m(us) eT h(aec) meTra finx(iT)10

lucchesi si vedano in particolare: E. Sandberg Vavalà, Quattro croci romaniche a Sarzana e a Lucca, «Dedalo», 9 (1928-1929), 65-96, 129-144, la nota di W. Arslan, Su alcune Croci pisane, «Rivista d’arte», 18 (1936), 217-244 (241 n. 1), C. Black, The Origin of the Lucchese Cross Form, «Marsyas (Yearbook of the Institute of Fine Arts of New York)», 1 (1941), 27-40, e soprattutto il recente A. Monciatti, Le croci dipinte di area lucchese: modelli e tipi figurali, in Frosi-nini – Monciatti – Wolf, La pittura su tavola (cit. n. 7), 163-173. L’intervento più dettagliato e aggiornato sulla croce di Sarzana – anche per numero e qualità delle riproduzioni – è quello di A. R. Calderoni Masetti, La croce di Guglielmo, in P. Donati (a cura di), La cattedrale di Sarza-na, Venezia 2010, 104-117, che propone di attribuire a Guglielmo anche le miniature della traslazione delle reliquie di san Geminiano nel codice O.II.11 dell’Archivio Capitolare di Modena, riprendendo in questo un suo precedente intervento: cfr. A. R. Calderoni Masetti, Nota sulle miniature relative alla costruzione di Duomo di Modena, in A. R. Calderoni Masetti (a cura di), Studi di miniatura, Roma 1993 (Ricerche di storia dell’arte, 49), 69-74. Per la storia della collocazione originaria, degli spostamenti e delle vicende conservative della croce cfr. P. Donati, Vicende della Croce di Sarzana dal XVI al XVIII secolo: spostamenti, associazioni, parentele, in Ciatti – Frosinini – Bellucci, Pinxit Guillielmus, cit., 17-26. Riferimenti alla croce sarza-nese sono anche in P. Donati, Le arti figurative a Sarzana, in Le arti a Sarzana, Sarzana 1999, 6-173: 75, 74-77 figg. 102-108, 96-97 figg. 132-133 e, da ultimo, in A. Monciatti, La pittura celata e la pittura perduta. Per la Croce di San Frediano a Pisa, in Art Fugitiu: Estudis d’art medieval desplaçat. Atti del convegno (Barcellona, 2-6 maggio 2012) [in corso di stampa]; ringrazio vivamente Alessio Monciatti per avermi fornito in anteprima il testo di questo suo saggio e per i consigli e i suggerimenti offerti in sede di stesura di questo testo.9. Per una panoramica ampia e aggiornata sul tema della pittura su tavola del secolo XII si rimanda al recente Frosinini – Monciatti – Wolf, La pittura su tavola (cit. n. 7); inoltre si veda anche E. B. Garrison, Italian Romanesque Panel Painting. An Illustrated Index, Firenze 1949 e, per le croci dipinte, E. Sandberg Vavalà, La croce dipinta italiana e l’iconografia della Passione, Verona 1929. 10. La porzione centrale del nome è il punto dell’iscrizione maggiormente danneggiato, e lascia incerti sulla corretta lettura: in particolare non è chiaramente individuabile la L che precede la lettera M. È possibile — ma è un’ipotesi non accertabile — che la lettera fosse in nesso con la stessa M, tramite l’aggiunta del secondo tratto di L alla base del primo tratto di M, mentre escludo un’ipotetica abbreviazione del tipo Guill(el)mus: mi pare infatti che la presenza della lettera E sulla tavola non sia in discussione. Riporta «Guiliems» (senza, dunque, la seconda L) la più antica trascrizione nota, quella di Ippolito Landinelli riprodot-ta in Donati, Vicende della Croce (cit. n. 8), 18 fig. 1, tratta da una copia tardoseicentesca di Filippo Casoni di un codice dei primi del XVII secolo: questa trascrizione presenta alcune incongruenze rispetto all’originale, non sostanziali, dovute da un lato a probabili difficoltà di lettura connesse con le condizioni di conservazione, dall’altro, forse, al fatto che il ma-

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La tavola subì una vasta ridipintura, probabilmente a cavallo dei secoli XII-XIII o forse a distanza di pochi decenni dalla realizzazione11, che comportò il totale rifacimento della figura del Cristo, oltre a successivi interventi di restauro, che tuttavia non avrebbero riguardato l’iscrizione-firma12. Furono invece forse proprio questi interventi a compromettere la leggibilità di alcune delle altre iscrizioni che corredano la croce, in cui si trovano rappresentate tipologie epigrafiche differenti, che rendono complessivamente conto dell’alta consapevolezza del valore anche sim-bolico della scrittura da parte delle maestranze che eseguirono il dipinto, in un quadro di stretta connessione tra opera d’arte e testimonianza scritta che, com’è noto, caratterizza tutto il periodo medievale13.

noscritto è apografo; l’erudito scioglie comunque il nome in «Guglielmus» (la trascrizione del Landinelli è riportata anche in G. B. Spotorno, Storia letteraria della Liguria, I, Genova 1824, 296-297). Anche il Morassi limita le proprie incertezze a «Guillem’» e «Guiliem’»: cfr. Morassi, Capolavori (cit. n. 8), 27. Ritengo comunque maggiormente probabile, a prescin-dere dalla eventuale presenza della L tra E e M, la lettura «Guilie[l]mus» rispetto a quella, oggi invalsa, di «Guillielmus», e questo sulla base sia degli elementi grafici residui, sia delle modalità con cui il nome è reso nei documenti di quest’epoca. Leggono «Guilielmus» i primi editori: cfr. Varni, Del Cristo, (cit. n. 8), 12; M. Remondini, Iscrizioni medioevali della Liguria, «Atti della Società ligure di storia patria», 12 (1874-1891), 9-10 nr. XII e tav. IV, fig. 2; F. Podestà, Arte antica nel duomo di Sarzana, Genova 1904, 26-38: 27; Richter, The Crucifix (cit. n. 8), 162. Trascriveva invece «Guilelmus» G. Targioni Tozzetti, Relazioni d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana per osservare le produzioni naturali e gli antichi monumenti di essa, XII, Firenze 1779, 29. Rimando alle osservazioni di Bellucci in merito al cattivo stato di conservazione, al momento del restauro, proprio di questa porzione dell’iscrizione: cfr. R. Bellucci, L’intervento alla Croce di Sarzana. Un contributo al dibattito tra conservazione e restauro, in Ciatti – Frosinini – Bellucci, Pinxit Guillielmus (cit. n. 8), 65-75: 75.11. La seconda è l’ipotesi espressa in A. Caleca, Il crocifisso dipinto di Guglielmo a Sarzana, in Ciatti – Frosinini – Bellucci, Pinxit Guillielmus (cit. n. 8), 13-15: 15, dove la ridipintura della figura del Cristo è messa in relazione con le decorazioni della Bibbia di Calci, datata 1168 (sulla quale cfr. infra, n. 91). Esprime invece una propensione per la collocazione della ridipintura nella prima metà del Duecento Calderoni Masetti, La croce di Guglielmo (cit. n. 8), 117 n. 5, seguendo in questo M. Ciatti, Il restauro della Croce di Sarzana: problemi e risultati di un progetto incompiuto, in Ciatti – Frosinini – Bellucci, Pinxit Guillielmus, cit., 31-38: 33, 35. 12. Mi sono posto la questione dell’eventuale ritocco dell’iscrizione-firma, e più in generale dell’intero corredo epigrafico, sulla base di alcuni elementi grafici e di mise en page di tipo ‘mo-derno’ emersi in sede di analisi, sui quali dirò oltre. Sull’intervento di ridipintura più antico si vedano in particolare i due saggi di Roberto Bellucci nel volume Ciatti – Frosinini – Bellucci, Pinxit Guillielmus (cit. n. 8), in cui l’autore precisa esplicitamente il mancato intervento della prima ridipintura sull’iscrizione-firma: Bellucci, La Croce di Sarzana tra materia e immagine, 41-54: 50 e Id., L’intervento (cit. n. 10): 66. In appendice al lavoro di Bellucci è pubblicata anche, ed è documento di primario interesse, la relazione sul restauro compiuto nel 1946 da Giovanni Marchig: cfr. Ciatti – Frosinini – Bellucci, Pinxit Guillielmus, cit., 76-79.13. Sul tema dell’intreccio tra immagini e iscrizioni in epoca medievale la bibliografia è assai ampia. Si veda, come riferimento generale, R. Favreau (éd.), Épigraphie et iconographie.

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Nei terminali dei bracci, inserite nei cartigli sorretti dai profeti Ge-remia e Isaia, sono collocate due iscrizioni che risultano funzionali all’individuazione dei personaggi e sono concepite in un contesto di complessiva unitarietà del progetto iconografico, in quanto prefi-gurazioni veterotestamentarie del sacrificio di Cristo14. Sono inoltre visibili, limitatamente alla sezione sinistra della croce, due iscrizioni, entrambe disposte su due linee, oggi solo in parte decifrabili ma quasi certamente di natura didascalica e connesse alle due raffigura-zioni sottostanti15. Analoghe iscrizioni dovevano trovarsi — o per lo

Actes du colloque tenu à Poitiers les 5-8 octobre 1995, Poitiers 1996 (Civilisation Médiévale, 2). Rimando anche ai lavori di Riccioni sul tema del rapporto tra programma epigrafico e iconografico, con una particolare attenzione rivolta alla Roma di epoca gregoriana; si veda, a titolo di esempio, il saggio con cui l’autore conia il termine ‘epiconografia’: S. Riccioni, L’Epiconografia: l’opera d’arte come sintesi visiva di scrittura e immagine, in A. C. Quintavalle (a cura di), Medioevo: Arte e storia, Atti del X Convegno internazionale di studi (Parma, 18-22 sett. 2007), Milano 2008, 465-480.14. Sul terminale del braccio destro si legge: sp(iriTu)s oris n(osT)ri (chrisTus) d(omi)n(u)s capTus esT | in peccaTis n(osT)ris. ieremias (Lam 4,20); sul terminale opposto: sicuT ovis ad occisionem | duceTur. isaias (Is 53,7). La citazione di Isaia compare anche nella croce di San Frediano a Pisa, sempre sul cartiglio sorretto dal profeta, nel terminale del braccio destro della croce; cfr. Monciatti, La pittura celata (cit. n. 8), 244 e n. 26. Il primo cartiglio, ben conservato, è qui riprodotto nella sezione di confronto con le testimonianze mano-scritte (cfr. infra, fig. 28); altre riproduzioni si trovano in Morassi, Capolavori (cit. n. 8), tav. 13; Ciatti – Frosinini – Bellucci, Pinxit Guillielmus (cit. n. 8), 73 fig. 61, tavv. II, XXXIII e in Calderoni Masetti, La croce di Guglielmo (cit. n. 8), 114 figg. 17-18. Nella seconda iscrizione appare invece evidente il maldestro tentativo di restaurare o ripassare la scrittura, divenuta poco leggibile già in epoca remota, quasi certamente prima degli inizi del Settecento: at-torno al 1715 la croce fu infatti coperta da una pala d’altare del Solimena, che ne lasciava in vista unicamente il volto: cfr. Donati, Vicende della Croce (cit. n. 8), 21-22 e Id., Dipinti dei secoli XVII e XVIII, in Id., La cattedrale di Sarzana (cit. n. 9) 160-177: 170-171. La croce fu ‘riscoperta’ soltanto nel 1926, e la riproduzione del cartiglio offerta l’anno seguente in Richter, The Crucifix (cit. n. 8), tav. II/E, mostra una situazione identica a quella attuale, sebbene lo stesso Richter provvedesse a fornirne una trascrizione corretta, come evidenzia Calderoni Masetti, La croce di Guglielmo (cit. n. 8), 117 n. 12. A mio parere la forma delle lettere, in particolare di quelle meno coerenti con il testo originario, potrebbe rimandare al XIV secolo inoltrato.15. Nella prima iscrizione in alto, sovrapposta alla scena del tradimento di Cristo, le poche lettere leggibili suggerirebbero infatti un riferimento al momento in cui Pietro taglia l’o-recchio del servo Malco (narrato in Mt 26,51-52; Mc 14,47; Lu, 22,49-51; Gv 18,10-11): [Perc]u[T]iT hunc peTr[(us)] hoc | [i-----di]vs[----h]ere[Tis]. Di questa iscrizione si hanno buone riproduzioni in Morassi, Capolavori (cit. n. 8), tav. 8; Ciatti – Frosinini – Bellucci, Pinxit Guillielmus (cit. n. 8), 29 fig. 15, 65 fig. 48, tavv. V, XXXIII; Calderoni Masetti, La croce di Guglielmo (cit. n. 8), 113 fig. 13; le tracce residue mostrano tuttavia, specialmente nella seconda linea, sovrapposizioni di lettere, forse dipendenti da un qualche intervento di riscrittura o di maldestro restauro analogo a quello osservato sul terminale del braccio

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meno essere previste — nella sezione destra del tabellone: oggi non vi compaiono tracce di scrittura, ma sembra irrealistico pensare che le fasce orizzontali individuate tra le scene raffigurate in questa por-zione della tavola dipinta, simmetriche a quelle della sezione sinistra, non dovessero ospitare scrittura16. Un lacerto di iscrizione, di rea-lizzazione e situazione conservativa simili a quelle delle didascalie, è invece ancora visibile ai piedi della croce: la scrittura è disposta su due linee individuate da una doppia bordatura rossa che corre, quasi in verticale, alla sinistra del piede destro del Cristo. Forse l’iscrizione si sviluppava in origine lungo l’intero bordo del suppedaneo, ma la precaria conservazione complessiva della porzione inferiore destra del dipinto impedisce di accertarlo; la mancanza di un dettaglio e l’impossibilità di provvedere ad una verifica autoptica, peraltro, ren-dono assai difficile proporre un tentativo di lettura sufficientemente articolato17.

Le iscrizioni maggiormente evidenti, anche per le caratteristiche esecutive e di mise en page, sono quelle al di sopra dell’aureola del Cristo: il titulus crucis e la citata firma di Guglielmo. Il titulus (fig. 3) è un’iscrizione del tutto interna al contesto, cioè raffigurata in quan-to fisicamente presente nella scena riprodotta18: è realizzata in oro

sinistro della croce (cfr. n. 14). L’iscrizione sottostante, sempre su due linee, delle quali la seconda forse conclusa da un elemento decorativo con funzione riempitiva, è di decifra-zione ancora più complessa; queste le poche lettere che sono riuscito a individuare: sT[--------iT] ex[usTu]m | [p---v---h--aT]v[--a]. Questa didascalia è discretamente riprodotta in: Morassi, Capolavori cit., tav. 10; Calderoni Masetti, La croce di Guglielmo cit., 113 figg. 13, 15. Le iscrizioni a commento delle scene e quella sul suppedaneo (cfr. infra, n. 17) erano già fortemente compromesse nel 1927: cfr. Richter, The Crucifix (cit. n. 8), 167. Mi pare che la disposizione dei tituli al di sopra delle scene non trovi riscontro nella produzione pittorica dell’epoca, in cui la didascalia è apposta di norma al di sotto della scena raffigurata; questa scelta potrebbe avere una qualche relazione con quella, ancor più singolare, di disporre la firma al di sopra dell’aureola, su cui si dirà oltre. 16. Si veda il dettaglio delle due fasce orizzontali in Calderoni Masetti, La croce di Guglielmo (cit. n. 8), 113 figg. 14, 16.17. Dell’iscrizione non mi sono note buone immagini di dettaglio: cfr. Ciatti – Frosinini – Bellucci, Pinxit Guillielmus (cit. n. 8), 11, 39, 69 fig. 55, 78 fig. 67, tav. XLII, 62 fig. 44; Calderoni Masetti, La croce di Guglielmo (cit. n. 8), 104 fig. 1. Dalle riproduzioni mi pare di intuire, con grandissima incertezza, le prime parole del testo: [p]repo[siT]us pas[Tor...] | [...], ma si tratta di un tentativo di restituzione ancor più vago di quelli indicati nella nota 15. L’iscrizione è segnalata anche in A. Caleca, Il crocifisso dipinto di Guglielmo a Sarzana, in Ciatti – Frosinini – Bellucci, Pinxit Guillielmus, cit., 13-15: 13.18. L’iscrizione è riportata nella versione del Vangelo secondo Giovanni (Gv 19,19): (i[esus) n]azarenus | re[x] iudeoru(m). Sul tema delle modalità con cui l’iscrizione si

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su fondo rosso con lettere di grande modulo composte da tratti di notevole spessore, chiaramente individuate e dotate di alcuni calli-grafismi minimi ma significativi, come gli ingrossamenti rotondeg-gianti apposti in alcuni punti chiave delle singole lettere. Lo spessore del tratto e gli elementi ornamentali aggiunti sono accostabili, in qualche misura, alla realizzazione ‘a risparmio’ di alcune scritture di-stintive del Burcardo C.125 dell’Archivio Capitolare di Pistoia, data-bile al primo quarto del XII secolo (fig. 4)19, o anche all’incipit della Bibbia atlantica della Guarnacciana di Volterra (f. 9r)20, da collocarsi nell’ultimo quarto dello stesso secolo sulla base dei rapporti con la nota Bibbia di Calci21, datata 1168, o ancora a scritture distintive di diverso impianto ma coeve a quelle citate, per esempio a quella che

inserisce nell’opera pittorica e sulle sue valenze comunicative rimando in particolare a G. Pozzi, Dall’orlo del “visibile parlare”, in C. Ciociola (a cura di), «Visibile parlare». Le scritture esposte dei volgari italiani dal Medioevo al Rinascimento. Atti del Convegno internazionale di studi (Cassino – Montecassino, 26-28 ottobre 1992), Napoli 1997 (Pubblicazioni dell’Università degli studi di Cassino – Sezione atti, convegni, miscellanee, 8), 15-41.19. Cfr. Berg, Studies (cit. n. 3), 298 nr. 122 e fig. 448; G. Murano – G. Savino – S. Zam-poni (a cura di), I manoscritti medievali della provincia di Pistoia, Firenze 1998 (Biblioteche e Archivi, 3 / Manoscritti medievali della Toscana, 1), 50 nr. 63 e tavv. LXXV, D. Oltre al ca-talogo citato, sui manoscritti pistoiesi si vedano in particolare, per gli aspetti decorativi del periodo che ci interessa, Garrison, Studies (cit. n. 3), III, 33-46; K. Berg, Miniature pistoiesi del XII secolo, in Il romanico pistoiese nei suoi rapporti con l’arte romanica dell’Occiden-te. Atti del I Convegno internazionale di studi medioevali di storia e d’arte (Pistoia – Montecatini Terme, 27 settembre – 3 ottobre 1964), Pistoia 1966, 143-156. Per le riproduzioni si rimanda al sito internet dell’Archivio Capitolare di Pistoia, dove vengo-no progressivamente pubblicate immagini ad alta definizione dei materiali conservati presso l’istituto, tra cui appunto la ricca raccolta di manoscritti medievali (http://www.archiviocapitolaredipistoia.it/).20. Se ne veda una buona riproduzione in M. Burresi – A. Caleca (a cura di), Cimabue a Pisa, la pittura pisana del Duecento da Giunta a Giotto, Pisa 2005 (Alle origini dell’arte sacra in Occidente, 1), 67, e un dettaglio in G. Dalli Regoli, Miniatura a Pisa fra i secoli XII-XIV: elementi di con-tinuità e divergenze, in G. Vailati Schoenburg Waldenburg (a cura di), La miniatura italiana in età romanica e gotica. Atti del I Congresso di storia della miniatura italiana (Cortona, 26-28 maggio 1978), Firenze 1979, 23-50: 45. Si tratta del ms. Volterra, Biblioteca Guarnaccia-na, LXI.8.7, descritto in Berg, Studies (cit. n. 3), 325-326 nr. 175 e figg. 297-302 e in M. Maniaci – G. Orofino (a cura di), Le Bibbie Atlantiche. Il libro delle Scritture tra monumentalità e rappresentazione. Abbazia di Montecassino (11 luglio – 11 ottobre 2000), Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana (settembre 2000 – gennaio 2001), Milano 2000, 310-312 (scheda di A. Mastruzzo). Altre riproduzioni delle scritture distintive del codice, caratterizzate da una particolare elaborazione formale, si ritrovano in Garrison, Studies (cit. n. 3), 108-110 figg. 117-123.21. Cfr. infra, n. 91.

Le iscrizioni della croce di Sarzana 141

apre il testo del Vangelo secondo Matteo nel manoscritto Laurenzia-no Plut. 5 dex. 7 (f. 9v)22.

L’iscrizione-firma di Guglielmo è la porzione del corredo epigra-fico della croce che attrae maggiormente l’attenzione dell’osserva-tore. Essa presenta caratteristiche realizzative e di mise en page real-mente peculiari, in particolare per l’alto numero di nessi, intrecci e inclusioni che compongono complessivamente una scriptura/figura elaborata, che affianca al concetto di scrittura quello di ‘estetica epi-grafica’23. Non mi soffermerò, in questo intervento, sul contenuto e sul valore letterario dell’iscrizione-firma24, che indica come Gugliel-mo fosse non soltanto un pittore, ma anche un metricus25, sulla sua composizione in esametri leonini e sulla caratteristica rima pinxit-finxit, testimonianza non isolata nella storia della produzione artisti-ca del Medioevo. Si tratta di aspetti già affrontati in parte da altri26,

22. Sul manoscritto cfr. infra, n. 83. Il codice, come gli altri del fondo Plutei citati in questo contributo, è integralmente visionabile attraverso la Teca digitale della Biblioteca Medicea Laurenziana (http://teca.bmlonline.it/).23. Avevo anticipato alcuni elementi della presente analisi in Gramigni – Zamponi, Le iscrizioni (cit. n. 7), 79, 87 nn. 75-78, elementi brevemente ripresi anche in Riccioni, La Croce di Rosano (cit. n. 7), 130 n. 19.24. Per gli aspetti propriamente testuali mi limito a segnalare la scansione metrica dei versi (ānnō mīllēnō | cēntēnō tēr quŏquĕ dēnō || ōctāvō pīnxīt | Guĭlĭēlmŭs ĕt hēc mĕtră fīnxīt), cui non corrisponde quella grafica, e la caratteristica formulazione dell’anno tramite la scomposizione in migliaia, centinaia, decine e unità, fatto assolutamente comune nelle testimonianze epigrafiche medievali, non solo di questa specifica epoca. Il primo verso, in particolare, corrisponde esattamente all’iscrizione ferrarese del 1135, collocata sopra l’arco del protiro del duomo cittadino: anno milleno cenTeno Ter quoque deno / quinque superlaTis sTruiTur domus hec pieTaTis; cfr. G. Pistarino, Le iscrizioni ferraresi del 1135, «Studi Medievali», s. III, 5 (1964), 66-160: 73, tav. VI, fig. 7. Rispetto alla com-binazione degli elementi della data, merita ricordare quanto affermava il Toesca, rite-nendo che la datazione espressa non fosse congrua con le caratteristiche del dipinto: «si vorrebbe credere più recente del 1138 se fosse possibile ricomporre altrimenti le note cronologiche della sua epigrafe» (P. Toesca, Storia dell’arte italiana. I. Il Medioevo, Torino 1927, 934). Per la ricorrenza della rima pinxit-finxit, cfr. infra, n. 26.25. Utilizzo il termine ricordando l’iscrizione pavimentale del 1207 di San Miniato al Monte presso Firenze, che menziona uno Ioseph metricus et iudex che ne compose i versi: cfr. T. Gra-migni, Iscrizioni medievali nel territorio fiorentino fino al XIII secolo, Firenze 2012 (Premio ricerca «Città di Firenze», 13), 155-158 nr. 11.26. Per il concetto di firma d’artista rimando a M. Vannucci, La firma dell’artista nel Medioevo: testimonianze significative nei monumenti religiosi toscani dei secoli XI-XIII, «Bollettino storico pisa-no», 56 (1987), 119-138 e ai lavori di Maria Monica Donato, in particolare: M. M. Donato (a cura di), Le opere e i nomi: prospettive sulla ‘firma’ medievale. In margine ai lavori per il Corpus delle opere firmate del Medioevo italiano, Pisa 2000; Ead., Kunstliteratur monumentale. Qualche

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che vorrei lasciare a margine e sottintesi, per procedere ad un’analisi dell’iscrizione maggiormente incentrata sugli elementi grafici, stili-stici e impaginativi.

Rispetto all’iscrizione-firma è necessario evidenziare anzitutto due aspetti di natura generale assolutamente non comuni, che deli-neano l’immagine, già anticipata dalla mera presenza del suo nome sulla tavola dipinta, di un artista altamente consapevole della pro-pria posizione e del proprio ruolo, e non di un personaggio di se-condo piano o di un semplice artigiano che riproduce pedissequa-mente le volontà del committente. Il primo aspetto è la posizione inusuale delle tre linee di scrittura27: nelle croci medievali dipinte che presentano la firma dell’artista, questa è infatti di norma collo-cata ai piedi del Cristo, nella porzione più bassa del ritto di croce, visivamente separata dalla raffigurazione tramite una campitura di colore, come ad esempio nella croce spoletina di Albertus, datata 1187 e corredata da iscrizioni di un impianto grafico decisamente più moderno28, oppure nelle croci dipinte del secolo successivo29.

riflessione e un progetto per la firma d’artista, dal Medioevo al Rinascimento, «Letteratura e arte», 1 (2003), 23-47 (in particolare 36-38 per la ricorrenza, in epoche diverse, della coppia di verbi pingere e fingere). Di firme d’artista, connesse a temi epigrafici, tratta inoltre la rivista online «Opera nomina historiae», collegata al progetto Opere firmate nell’arte italiana / Medioevo, portato avanti presso la Scuola Normale Superiore di Pisa (http://onh.giornale.sns.it/).27. Mi paiono significative, a tale riguardo, le parole della Calderoni Masetti: «una colloca-zione inusitata e, a occhi moderni, quasi blasfema; se non altro rivelatrice dell’importanza che l’artista stesso — con l’immancabile sostegno della committenza — attribuiva al pro-prio ingegno e all’opera che aveva dipinto»; cfr. Calderoni Masetti, La croce di Guglielmo (cit. n. 8), 105. 28. Per un quadro aggiornato sull’opera spoletina cfr. G. Benazzi, La Croce di Alberto “So-tio”, in G. Benazzi – G. Carbonara (a cura di), La cattedrale di Spoleto. Storia arte conservazione, Milano 2002, 177-183; A. Monciatti, Per il cosiddetto “Alberto Sotio” e la pittura a Spoleto intorno al 1200: tradizioni dei modelli e alterità culturale, in A. Ceriana – V. Maderna – C. Quattrini (a cura di), “Alberto Sotio” a Spoleto sul finire del secolo XII. Catalogo della mostra (Milano, 2005), Milano 2005, 17-33; e il più recente S. Romano, «Alberto So», il gruppo di opere, e una croce quasi sconosciuta, in Frosinini – Monciatti – Wolf, La pittura su tavola (cit. n. 7), 175-182 e 29 tav. XII.29. Per esempio quelle di Berlinghiero Berlinghieri: sia la croce di Fucecchio, per la quale cfr. Burresi – Caleca, Cimabue a Pisa (cit. n. 20), 128-129 nr. 15, che quella del Museo Na-zionale di Villa Guinigi di Lucca (cfr. G. Concioni – C. Ferri – G. Ghilarducci, Arte e pittura nel Medioevo lucchese, Lucca 1994, 249 tav. 62); oppure le croci di Giunta di Capitino: quella di San Ranierino (cfr. Burresi – Caleca, Cimabue a Pisa, cit., 116-117 nr. 10), il crocifisso di Santa Maria degli Angeli ad Assisi e la croce della basilica di San Domenico a Bologna (cfr. E. Carli, La pittura a Pisa dalle origini alla ‘bella maniera’, Pisa 1994, 15, 37 figg. 22, 24). Fir-

Le iscrizioni della croce di Sarzana 143

Nel caso della croce di Sarzana, invece, l’iscrizione è posizionata in alto, tra il titulus crucis e l’aureola, e non rimane un elemento esterno alla scena, isolato da riquadri o campiture di colore, come avviene nella maggior parte delle opere pittoriche coeve e nelle stesse iscrizioni che l’artista pone a commento delle scene raffigu-rate nel tabellone, ma si staglia sullo stesso fondo azzurro su cui sono inchiodate le membra di Cristo, invadendo con decisione, e con la forza espressiva delle sue articolate evoluzioni grafiche, lo spazio figurativo.

Le misure dell’iscrizione sono contenute: la firma, su tre linee, occupa uno spazio di circa 15×8 cm30. Il titulus crucis, su due li-nee, è invece largo quasi il doppio (27 cm circa) e alto comples-sivamente tra gli 11 e i 12 cm. L’altezza delle linee oscilla, nella firma, tra 20 e 23 mm, nel titulus attorno a 45 mm; il rapporto dimensionale tra le lettere del titulus crucis e quelle della firma di Guglielmo è dunque sostanzialmente di 2:1, e lo stesso rapporto si instaura, seppure in modo meno rigido, tra lettere ordinarie e lettere sottomodulate della firma. Nel complesso le misure non si discostano troppo da quelle delle scritture distintive impiegate nei coevi codici manoscritti di grande formato: nella Bibbia di Corbolino31, ad esempio, datata 1140, le scritture distintive sono su due registri dimensionali, dei quali il principale è costituito da lettere di altezza pari a 20 mm, con lettere sottomodulate di 10 mm. La larghezza delle colonne, nella stessa Bibbia, è peraltro di circa 12 cm, in linea con quanto si osserva in altri prodotti ma-

mano le proprie opere in questa posizione anche Deodato Orlandi, nella croce del Museo di Villa Guinigi a Lucca (cfr. Concioni – Ferri – Ghilarducci, Arte e pittura, cit., 279 tav. 74) e nella croce del Conservatorio di Santa Chiara a San Miniato (cfr. Burresi – Caleca, Cimabue a Pisa, cit., 258-259 nr. 89), Ranieri d’Ugolino nella croce dell’Ospedale di Santa Chiara a Pisa, oggi al Museo Nazionale di San Matteo (cfr. Burresi – Caleca, Cimabue a Pisa, cit., 170-171 nr. 38) e Michele di Baldovino nella croce di San Martino a Pisa, oggi conservata presso il Cleveland Museum of Art (cfr. Burresi – Caleca, Cimabue a Pisa, cit., 174-175, nr. 40).30. Queste, come le successive misure, si devono intendere come indicative, in quanto, non potendo disporre di dati di prima mano, sono state ricostruite rapportando, su immagini in scala dell’intera opera, le dimensioni complessive della croce a me note con quelle delle singole sezioni.31. Cfr. infra, n. 100.

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noscritti qui considerati32 e di poco inferiore all’ingombro orizzontale della firma di Guglielmo33.

La trasposizione del testo dalla mente dell’autore alla tavola dipinta passò evidentemente attraverso una fase di preparazione e ordinatio34. La perfetta giustificazione destra delle tre linee di scrittura, che coesiste con i virtuosismi combinatori dell’iscrizione, presuppone una progetta-zione preventiva delle modalità di impiego dello spazio a disposizione dello scriptor. In quest’ottica erano state tracciate anche le sei sottili righe orizzontali, mai segnalate esplicitamente dalla critica, ma chiaramen-te visibili nelle riproduzioni di dettaglio oggi disponibili (fig. 5)35: esse avevano infatti con ogni evidenza la funzione di delimitare vertical-mente l’ingombro massimo della catena grafica, individuando tre fasce orizzontali di altezza pari a circa 19 mm, che avrebbero determinato la collocazione dell’iscrizione al centro della campitura azzurra, in posi-zione sostanzialmente equidistante dal termine superiore dell’aureola e dal margine inferiore del titulus crucis. In fase di trascrizione della firma, invece, la prima riga incisa venne impiegata come base della prima linea di testo e non come limite superiore della stessa, con il risultato che l’iscrizione si trovò complessivamente spostata verso l’alto (fig. 6)36.

32. La larghezza delle colonne di altre due Bibbie di seguito citate (Firenze, Biblioteca Me-dicea Laurenziana, Plut. 15.1 e Plut. 15.19, sulle quali si vedano rispettivamente, in questo articolo, le nn. 84 e 86) è ad esempio di circa 13 cm, mentre è di poco più di 11 cm quella delle colonne della Bibbia pistoiese C.156 (cfr. infra, n. 88).33. Rimanendo nell’ambito dei dati puramente materiali e tecnici, anche in relazione ai pos-sibili contatti tra la croce e l’ambito della produzione manoscritta coeva, segnalo l’impiego di pergamena come elemento preparatorio per ottenere continuità di piano nei punti di giun-zione degli elementi lignei che costituiscono la croce: cfr. Bellucci, La Croce di Sarzana (cit. n. 12), 45-46. Marchig, nella relazione di restauro del 1946, segnalava l’uso di «una tempera a gomma (gomma di ciliegio o latte di fico) probabile ricetta romanica derivata dalla tecnica della miniatura»; cfr. Ciatti – Frosinini – Bellucci, Pinxit Guillielmus (cit. n. 8), 79. Sui pigmenti impiegati per la pittura si veda però anche Bellucci, La Croce di Sarzana, cit., 51-53. La proba-bile familiarità di Guglielmo con il mondo del libro manoscritto, e in particolare con quello della miniatura, è evidenziata anche in Monciatti, Le croci dipinte (cit. n. 8), 171 n. 10, che ritiene la presenza stessa dei tituli e della firma un elemento a sostegno di tale ipotesi.34. Per il concetto dell’ordinatio dei prodotti epigrafici si veda in particolare J. Mallon, Paléo-graphie romaine, Madrid 1952 (Scripturae monumenta et studia, 3), 55-73.35. Cfr. Ciatti – Frosinini – Bellucci, Pinxit Guillielmus (cit. n. 8), tavv. XL-XLI. Il generale ricorso alle linee incise da parte di Guglielmo è segnalato in Bellucci, La Croce di Sarzana (cit. n. 12), 46. Si noti che anche gli spazi riservati alle didascalie delle scene del tabellone furono individuati tramite l’incisione di sottili righe.36. La presenza di queste righe e il loro mancato utilizzo ripropone la questione di un eventuale rifacimento o ritocco della firma, cui accennavo alla n. 12; ritengo in ogni caso

Le iscrizioni della croce di Sarzana 145

Lo scarto grafico tra la firma di Guglielmo e le altre iscrizioni pre-senti nel dipinto risulta evidente: esso si lega non tanto a differenze morfologiche, ovvero a fatti esecutivi e stilistici riconducibili, per esempio, a una differenza di mano tra i vari tituli, quanto al ricorso a varianti di forma e a composizioni di lettere, che appare quasi esclu-sivo dello spazio destinato al nome dell’artista (fig. 7)37: nessi, intrec-ci e inclusioni conferiscono all’iscrizione-sottoscrizione un aspet-to mosso ed elaborato, in un ricercato calligrafismo che da un lato sopperisce forse alla citata mancanza di stacco cromatico rispetto al resto del dipinto, dall’altro potrebbe avere l’intento di canalizzare l’attenzione dell’osservatore su questa particolare porzione dell’ope-ra piuttosto che su altre38. Il riquadro è ulteriormente movimentato, anche estendendo l’analisi all’intero corredo epigrafico, dall’uso di forme diverse della stessa lettera39: la selezione di varianti compren-de la E, la H (con la forma minuscola impiegata in concomitanza dell’abbreviazione per haec, e la maiuscola corrispondente in realtà alla η del nomen sacrum), la Q (anche qui con l’uso della minuscola legato alla presenza del compendio per –que)40, la N e la U/V. Non compaiono invece in variante, forse anche per il numero ridotto di occorrenze, D e M, costantemente in forma capitale41. Sul piano

che tale eventuale intervento non debba collocarsi molto oltre la data riportata: le caratte-ristiche grafiche e stilistiche rimandano infatti, come vedremo, alla fase di transizione tra scritture d’apparato romaniche e maiuscole gotiche, ma con una maggiore prossimità ai prodotti del primo XII secolo. 37. Si osservi che l’inclusione VS presente nel titulus è l’unica composizione di lettere chia-ramente individuabile situata al di fuori dello spazio della firma.38. Questo non significa necessariamente, com’è ovvio, che l’iscrizione fosse perfettamen-te leggibile: immaginiamo il piccolo riquadro, posto quasi alla sommità della croce, a sua volta collocata ad una certa altezza da terra. Questa considerazione ha a che vedere con la più ampia riflessione sui rapporti tra le scritture esposte e i loro potenziali e reali fruitori, un tema di grande interesse che tuttavia esula dalle finalità di questo intervento.39. Per una panoramica del fenomeno si rimanda a Ottavio Banti, che esamina l’affermarsi delle forme mistilinee delle lettere A, D, E, G, H, M, N, Q, U/V nell’epigrafia pisana del XII secolo: cfr. Banti, Dall’epigrafica romanica (cit. n. 4), 65-67. Un’analoga analisi, relativa all’area fiorentina, è in Gramigni, Iscrizioni medievali (cit. n. 25), 74-76.40. Ritengo che nella prima Q di quoque vi sia stato un erroneo ritocco in fase di restauro: non credo, infatti, che originariamente la coda si sviluppasse all’interno del corpo della lettera, come oggi appare. Le riproduzioni più antiche, tra l’altro, mostrano un’evidente la-cuna proprio in quel punto del dipinto: cfr. ad esempio Morassi, Capolavori (cit. n. 8), tav. 4.41. Non si può infatti considerare come originaria la D di forma onciale che compare nell’i-scrizione sul cartiglio del terminale sinistro del braccio di croce, in quanto, come detto, essa

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esecutivo le iscrizioni sono caratterizzate in particolare dal tratteg-gio chiaroscurato, dall’aggiunta, seppur numericamente contenuta, di ingrossamenti rotondeggianti di carattere ornamentale lungo i tratti, e dall’arrotondamento o dall’allargamento a spatola delle ter-minazioni di alcune lettere, eseguiti con modalità ancora piuttosto distanti da quelle che caratterizzeranno gli esiti più avanzati della stilizzazione gotica. La compressione laterale della catena grafica è piuttosto decisa, con lettere aventi un rapporto base/altezza ten-dente a ½.

Nel complesso gli elementi appena enucleati configurano un prodotto grafico che da un lato presenta tangenze con le scritture propriamente romaniche, dall’altro preannuncia le evoluzioni della maiuscola gotica. Sono elementi maggiormente riferibili ad un con-testo grafico romanico la forte alternanza di forme42 e la persisten-za di varianti capitali, in particolare la N43, mentre sul piano dello stile esecutivo e dell’impaginazione ritengo significativo il denso e creativo ricorso agli intrecci, ai nessi e alle lettere sottodimensionate, oltre ai ‘nodi’, gli ingrossamenti rotondi aggiunti lungo i tratti delle lettere44. Sono invece caratteristiche più moderne e tendenti verso lo stile scrittorio gotico la citata compressione orizzontale della ca-tena grafica, che avvicina l’iscrizione-firma anche ad alcune scrittu-

è il risultato di una confusa ridipintura successiva. Banti segnala che a Pisa, nel secolo XII, le forme di D e di M derivate dall’onciale sopravanzarono progressivamente le capitali, ma senza mai soppiantarle: cfr. Banti, Dall’epigrafica romanica (cit. n. 4), 65, 66. In area fiorentina la forma onciale di D è, nel XII secolo, decisamente minoritaria, mentre le due varianti di M derivate dalla onciale coesistono con la capitale, variamente adattata: cfr. Gramigni, Iscrizioni medievali (cit. n. 25), 75, 76.42. Nelle scritture d’apparato di epoca pienamente gotica le varianti sono contemplate, ma con una sensibile contrazione della densità di impiego, collegandosi molte volte a questioni di posizione (come per le due Q della croce di Sarzana). 43. Anche le forme di M capitale e di A sembrano distanti, per ragioni diverse, dagli esiti del tardo XII secolo o dei primi del Duecento: per la prima si osserva nella croce la selezione di una forma capitale con una lieve ma percettibile divaricazione dei tratti esterni e la marcata alternanza tratto sottile / tratto spesso / tratto sottile / tratto spesso; nella seconda il tratto di sinistra, rettilineo e pareggiato alla base, si attiene ancora a un modello tradizionale, che tenderà a essere sostituito progressivamente dalle forme mistilinee o da una più rigida forma capitale.44. L’impiego di giochi di lettera tenderà in epoca pienamente gotica a ridursi e a cristalliz-zarsi in poche, semplici e selezionate figure, con particolare predilezione per i nessi tra A e U/V di forma minuscola con le lettere che iniziano con tratto perpendicolare alla base di scrittura. Per gli elementi rotondeggianti aggiunti lungo i tratti si vedano alcuni degli esempi librari, documentari ed epigrafici citati in questo articolo.

Le iscrizioni della croce di Sarzana 147

re distintive di codici di epoca successiva45, il chiaroscuro piuttosto marcato e le terminazioni di alcune lettere, in particolare quella arro-tondata della H di forma minuscola46, ma anche, in misura minore, quelle più decise, ‘a spatola’, di altre lettere. Questa commistione di elementi diversi, che avvicina l’iscrizione-firma a prodotti scrittori di epoche distanti e con caratteristiche materiali e atteggiamenti grafici difformi è forse il dato più significativo che emerge dall’analisi del manufatto, e permetterebbe anche di aprire ulteriormente il venta-glio di confronti ad altre epoche e ad altre aree geografiche.

Come accennavo, la tendenza generale della critica è quella di ri-condurre la realizzazione della croce di Sarzana all’ambito lucche-se47. In particolare, il dipinto venne a lungo considerato il modello sul quale erano state esemplate le croci lucchesi di Santa Maria dei Servi (oggi conservata al museo di villa Guinigi) e di San Michele in Foro, databili alla prima metà del XII secolo48: il rapporto di dipen-denza diretto è stato in anni più recenti rimesso in discussione, ma il sostrato comune delle croci lucchesi e di quella sarzanese appare

45. Cfr. in particolare il f. 76v del manoscritto C.86 dell’Archivio Capitolare di Pistoia, da-tato al primo quarto del XIII secolo, che presenta punti di contatto con la croce di Sarzana, pur nella totale assenza dei caratteristici intrecci, nel più deciso pareggiamento dei tratti e nel chiaroscuro maggiormente uniforme: cfr. Murano – Savino – Zamponi, I manoscritti medievali (cit. n. 19), tav. XXXVII. A f. 1r del ms. C.94 dello stesso Archivio, della fine del XII secolo, il processo di stilizzazione appare ancora più avanzato: cfr. Ibid., tav. XLIV. La compressione laterale della scrittura è ulteriormente accentuata, fino al limite dell’illeggibi-lità e con esito assai differente da quelli osservati, a f. 1r del manoscritto capitolare C.133, del secondo quarto del XIII secolo, per il quale si rimanda a ibid., cit., tav. LXXXII, ma anche a f. 1r del C.131, datato alla prima metà del Duecento (riproduzione disponibile su http://www.archiviocapitolaredipistoia.it/). 46. Questo mi pare forse, tra quelli evidenziati, l’elemento maggiormente estraneo alla cultura grafica degli inizi del XII secolo. La maiuscola romanica, infatti, sia negli esiti librari che in quelli epigrafici, contempla nel proprio alfabeto la H di forma minuscola, ma in una stilizzazione con il secondo tratto perfettamente ricurvo ad uncino, e non arrotondato alla base. In area pisana, comunque, la forma con tratto ricurvo alla base si diffonde nelle epi-grafi a partire dalla metà del secolo XII, per intensificarsi negli ultimi anni del secolo: cfr. Banti, Dall’epigrafica romanica (cit. n. 4), 66. 47. Cfr. supra, n. 8.48. Sono legate al gruppo anche altre due croci lucchesi, quella di Santa Giulia e quella della Zecca. Su queste opere cfr. Sandberg Vavalà, Quattro croci romaniche (cit. n. 8); Black, The Origin (cit. n. 8); Monciatti, Le croci dipinte (cit. n. 8). Le croci di San Michele in Foro, Santa Maria dei Servi e Santa Giulia sono ottimamente riprodotte in Frosinini – Monciatti – Wolf, La pittura su tavola (cit. n. 7), tavv. VII, VIII, IX.

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comunque generalmente accettato49. Se sul piano materiale, strut-turale e figurativo i punti di contatto sono molteplici, tuttavia, l’im-pianto epigrafico delle due croci lucchesi appare assai distante dalle soluzioni adottate nella croce di Guglielmo: lo si riscontra da un lato nella mancanza di un corredo complessivo di iscrizioni altrettanto ricco ed articolato, dall’altro nelle differenti e più semplici scelte morfologiche e stilistiche osservabili nel titulus crucis (fig. 8)50.

Per quanto sia possibile avvicinare in qualche misura l’iscrizione di Guglielmo a scritture epigrafiche su pietra caratterizzate da analoghe so-luzioni o in cui si evidenziano affini tratti di elaborazione grafica, risulta evidente come la scrittura incisa si presti in modo assai più limitato alle elaborazioni osservabili in ambiti d’uso delle maiuscole contraddistinti dall’impiego di strumenti scrittori e supporti differenti: in particolare, nelle epigrafi lapidee risultano numericamente ridotti, in genere, gli in-trecci di lettere51.

Non mancano tuttavia significative eccezioni, come la nota iscrizione, con riferimento cronologico al 1111, ospitata nel portico della catte-drale di San Martino a Lucca (fig. 9), che menziona l’istituzione di un tribunale per giudicare e vigilare sull’attività mercantile cittadina52. Vi si osservano in particolare, oltre a una generale compressione orizzontale

49. Su questo si rimanda, anche per i riferimenti bibliografici precedenti, a Monciatti, Le croci dipinte (cit. n. 8), che riassume magistralmente la questione.50. La disposizione del testo su due linee, con cesura dopo la parola Nazarenus, condivisa dalle tre testimonianze, non può considerarsi un tratto di affinità determinante, in quanto è comune a quasi tutte le croci del XII secolo: fanno eccezione la croce 432 della Galleria degli Uffizi e la croce nr. 20 del Museo Nazionale di San Matteo a Pisa, entrambe con il titulus su tre linee.51. Rispetto all’amanuense o al pittore, il lapicida si sarà posto con diverso stato d’animo di fronte al rischio dell’errore o del danneggiamento della superficie: in tal senso l’intreccio di lettere, consistendo per sua natura nell’incrocio di tratti, sottopone la superficie lapidea a un certo rischio di scheggiatura, un danno difficilmente riparabile o marginalizzabile.52. Cfr. A. Silvagni (a cura di), Monumenta epigraphica christiana saeculo XIII antiquiora quae in Italiae finibus adhuc exstant. III/I. Luca, Città del Vaticano 1943, tav. I.4. L’iscrizione è edita già in L. A. Muratori, Antiquitates Italicae Medii aevi, II, Milano 1739, 880-881, quindi in T. Bini, Su i lucchesi a Venezia. Memorie dei secoli XIII e XIV, «Atti dell’I. e R. Accademia lucchese di scienze, lettere ed arti», 15 (1855), 1-248: 90; G. Barsotti, Lucca sacra. Guida storico-artistico-religiosa di Lucca, Lucca 1923, 101-102; C. Baracchini – A. Caleca, Il Duomo di Lucca, Lucca 1973, 11, 57 n. 11, 108 nr. 171, tav. 171; R. Ambrosini, Le iscrizioni del Duomo e della Curia, «Rivista di archeologia, storia, costume» 26/2-4 (1998), 7-24: 13-14 nr. 10 e fig. 10. Più in generale sulla cattedrale lucchese si veda, oltre a Baracchini – Caleca, Il Duomo, cit., anche G. Concioni, San Martino di Lucca. La cattedrale medioevale, «Rivista di archeologia, storia, co-stume», 22/1-4 (1994), 7-453, in particolare 31-32 n. 31 per il testo dell’iscrizione.

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del modulo e all’uso frequente dei punti ornamentali aggiunti sui sin-goli tratti delle lettere, una ricca alternanza di forme, che riguarda D, E, U/V e H, e, all’ultima linea, un denso ricorso a nessi, inclusioni e intrecci che conferiscono alla catena grafica un aspetto particolarmente elaborato.

Appartiene al complesso del duomo lucchese anche l’epitaffio del medico e primicerio Ranieri53, morto nel 1134 (fig. 10). In que-sta testimonianza, alle alternanze di forme di lettera già osservate nell’esempio precedente (D, E, U/V e H) se ne aggiungono altre (Q, M in tre varianti, N e A), che definiscono una pagina dotata di un più spiccato effetto calligrafico, al quale concorrono anche i punti ornamentali aggiunti lungo i tratti delle lettere, molto evidenti nelle prime linee. Nonostante la prossimità cronologica alla data di esecuzione della croce dipinta, tuttavia, il modulo tendenzialmente quadrato delle lettere e l’assenza di composizioni tra le stesse, che rimangono isolate da ampie spaziature, producono una sensazione di staticità complessivamente distante dalla firma di Guglielmo.

A Pisa, come detto, si assiste in quest’epoca a un ricorso quasi sistematico alla scrittura esposta, sia in funzione politica e celebra-tiva, in relazione a eventi o momenti particolarmente significativi della vita cittadina54, sia per assolvere a quelle funzioni didascaliche o commemorative che le sono proprie. Un’iscrizione frammentaria, oggi conservata presso il Museo dell’Opera del Duomo (fig. 11), ma in origine collocata su una mensola della facciata della cattedrale, sotto una statua leonina di cui ricorda gli autori (Bonfilio e Gui-

53. Cfr. Silvagni, Monumenta epigraphica christiana. Luca (cit. n. 52), tav. II.2. Sull’iscrizione cfr. anche D. Barsocchini, Memorie e documenti per servire all’istoria del Ducato di Lucca, V/I, Lucca 1844, 439; Barsotti, Lucca sacra (cit. n. 52), 92; Ambrosini, Le iscrizioni (cit. n. 52), 7-24: 18-19 nr. 13 (con riproduzione erronea); Baracchini – Caleca, Il Duomo (cit. n. 52), 129-130 nr. 494, tav. 494. L’epitaffio è inoltre segnalato, come esempio di epigrafe caratteristica del XII secolo sul piano grafico, in R. Favreau, Épigraphie médiévale, Turnhout 1997 (L’atelier du médiéviste, 5), 76-77. Una trascrizione è offerta anche in Memorie e documenti per servire all’istoria del ducato di Lucca, IX, Lucca 1825, 25.54. Sulla ‘riscoperta’ della funzione civile dell’epigrafia nella Pisa dei secoli XI e XII la bibliografia è estremamente vasta. Si faccia riferimento in primo luogo agli interventi di Banti e più in generale ai lavori qui citati alla n. 4. Si veda inoltre, per una lettura delle iscri-zioni pisane connessa alle questioni della figura dell’artista nella società medievale (per la quale cfr. supra, n. 26), C. Frugoni, L’autocoscienza dell’artista nelle epigrafi del Duomo di Pisa, in L’Europa dei secoli XI e XII fra novità e tradizione: sviluppi di una cultura. Atti della decima Set-timana internazionale di studio (Mendola, 25-29 agosto 1986), Milano 1989 (Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore – Miscellanea del Centro di Studi Medioevali, XII), 277-304.

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do), e da datare probabilmente ai primi decenni del XII secolo55, mostra come le maestranze attive sul cantiere del duomo pisano fossero particolarmente inclini a ricorrere alla scrittura esposta, an-che rispetto ad interventi di entità minore, se confrontati con l’in-tero complesso architettonico. A parte il ricorso a figure di lettera assai comuni, presenti anche nella firma di Guglielmo (il nesso TR e l’inclusione CE, entrambe nella parola genitricem), mi pare di qual-che interesse rilevare lo scarto dimensionale tra la sezione di invo-cazione, di modulo maggiore, e quella di sottoscrizione, suddivisa su due linee con lettere di altezza dimezzata: sia perché indica una percezione del differente registro comunicativo dalle due porzioni di testo, sia per l’analogia, sul piano grafico, con le scritture distin-tive dei codici, che prevedono di norma più registri dimensionali. La presenza della doppia rigatura, nettamente incisa, che individua i binari entro i quali deve essere contenuta la scrittura, pare invece richiamare le coeve iscrizioni dipinte, inserite spesso in campiture rettangolari ben definite56. Il rispetto dell’alfabeto capitale conferi-sce un carattere maggiormente conservativo a questa testimonianza, sia rispetto alle iscrizioni della croce di Sarzana, sia nel raffronto con i due esempi lucchesi appena citati.

L’inclusione CE, peraltro assai comune nell’ambito delle scritture d’apparato, si ritrova anche nell’iscrizione che corre lungo il listel-lo superiore del bassorilievo, realizzato da uno scultore prossimo a Biduino, oggi murato nella facciata della pieve di Santa Maria a Lammari (fig. 12), sempre in territorio lucchese57. La lastra face-va un tempo parte della sepoltura del pievano Lieto, menzionato nell’epigrafe assieme al pievano Bianco, che commissionò l’opera58.

55. Cfr. Scalia, «Romanitas» pisana (cit. n. 4), 838 n. 206; G. Kopp, Die Skulpturen der Fassade von San Martino in Lucca, Worms 1981 (Heidelberger Kunstgeschichtliche Abhandlungen, n.s., 15), tavv. 28-29; Vannucci, La firma dell’artista (cit. n. 26), 130 nr. 10 e fig. 2; C. Baracchini (a cura di), I marmi di Lasinio. La collezione di sculture medievali e moderne nel Camposanto di Pisa. Catalogo della mostra (Pisa, 30 luglio – 31 ottobre 1993), Pisa 1993, 313-314 nr. PL 1 (scheda di A. Milone); Banti, Monumenta epigraphica Pisana (cit. n. 4), 42-43 nr. 44. 56. Si vedano, a titolo di esempio, le campiture dei tituli delle due croci lucchesi già citate, riprodotti in fig. 8.57. Sulla pieve di Lammari cfr. G. Concioni – C. Ferri – G. Ghilarducci (a cura di), Lucensis ecclesiae monumenta a saeculo VII usque ad annum MCCLX, I-II, Lucca 2008, II, 213-243.58. L’iscrizione è pubblicata in Silvagni, Monumenta epigraphica christiana. Luca (cit. n. 52), tav. VIII.4, ma era già stata segnalata e trascritta in M. Salmi, Due rilievi romanici inediti, «Arte e storia», 33 (1914), 164-168: 164-166 e fig. 1. Si veda anche, in anni più recenti, G. Dalli

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Le iscrizioni eseguite da Biduino o a lui attribuite59 rappresentano bene l’evoluzione dell’epigrafia romanica pisana nell’ultimo scorcio del secolo XII, e ripropongono, nelle variazioni di forme e nella sapiente alternanza tra elementi curvi e rettilinei, soluzioni già spe-rimentate nella prima metà del secolo a Pisa, dove le realizzazioni epigrafiche di maggior rilievo toccano vertici tecnico-esecutivi par-ticolarmente notevoli.

Nelle più note epigrafi del Duomo pisano, per esempio, tutte da-tabili ai decenni che precedono la metà del XII secolo60, la ricchezza delle soluzioni grafiche e delle varianti di forma, la densa combinazio-ne delle lettere, con frequenti inclusioni, nessi e intrecci, la sapiente modulazione delle dimensioni dei segni, l’incisione netta e priva di incertezze e l’ottimo allineamento si uniscono all’impaginazione su due colonne, con mise en page di tipo ‘epigrafico’ e non ‘librario’, cioè con la scrittura parallela al lato lungo della lastra, e alla composizione in esametri o in distici, per ricordare degnamente la costruzione dell’e-dificio, il suo artefice, oppure per celebrare le glorie militari pisane.

Regoli, Dai maestri senza nome all’impresa dei Guidi. Contributi per lo studio della scultura medievale a Lucca, Lucca 1986 (Memorie e documenti per servire alla storia di Lucca, n. s., 2), 45, 48 n. 21, fig. 63; R. Melcher, Die mittelalterlichen Kanzeln der Toskana, Worms 2000, 409; R. Bartalini, Scultura gotica in Toscana. Maestri, monumenti, cantieri del Due e Trecento, Milano 2005, 42, 45 fig. 42, 53 n. 65; Concioni – Ferri – Ghilarducci, Lucensis ecclesiae (cit. n. 57), II, 217.59. Si trovano iscrizioni con la sua firma sull’architrave della pieve dei Santi Ippolito e Cas-siano a Cascina, ben riprodotta in G. Cherchi Chiarini, Il Cervo e il Dragone. Simboli cristiani e immagini cosmiche sulla facciata della Pieve di San Casciano di Cascina, Pisa 1995, 20 fig. 2, 24 fig. 3; sul sarcofago di Giratto nel camposanto di Pisa, per il quale cfr. Vannucci, La firma dell’ar-tista (cit. n. 26), 130 nr. 12 e Banti, Monumenta epigraphica Pisana (cit. n. 4), 34-35 nr. 31/32, con ulteriori riferimenti; sull’architrave del portale laterale della chiesa di San Salvatore a Lucca, registrata in Vannucci, La firma dell’artista, cit., 127 nr. 5 e in Silvagni (a cura di), Monumenta epigraphica christiana. Luca (cit. n. 52), tav. III.4; su un architrave proveniente dalla chiesa lucchese di Sant’Angelo in Campo, oggi nella collezione Mazzarosa, ancora schedato in Vannucci, La firma dell’artista, cit., 127 nr. 6. Su Biduino cfr. A. Schmarsow, S. Martin von Lucca und die Anfange der toskanischen Skulptur im Mittelalter, Breslau 1890, 44-48; M. Salmi, La scultura romanica in Toscana, Firenze 1928, 83-87 e 95 nn. 31-41; F. Meli, Sculture pisano-lucchesi della seconda metà del secolo XII°, «Bollettino storico lucchese», 10 (1938), 3-17: 6-12; C. Baracchini – M. T. Filieri, Raccontare col marmo: Guglielmo e i suoi seguaci, in E. Castelnuovo (a cura di), Niveo de marmore: l’uso artistico del marmo di Carrara dall’XI al XV secolo, Genova 1992, 111-119; V. Ascani, Biduino, in Enciclopedia dell’arte medievale, III, Roma 1992, 502-505.60. Mi riferisco in particolare al monumento di Buscheto (sec. XII in.-XII1), all’iscrizione che celebra le imprese militari dei pisani contro i saraceni (sec. XI ex.-XII in.) e all’iscrizio-ne di fondazione (sec. XII1 o XII m.), edite e riprodotte in Banti, Le epigrafi e le scritte obituarie (cit. n. 4), 19-20 nr. 3/4, 21-23 nr. 5/6, 26 nr. 10, e in Banti, Monumenta epigraphica Pisana (cit. n. 4), 46-47 nr. 48/49/50, 43-45 nr. 46/47, 47-48 nr. 51.

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Nell’ambito delle epigrafi lapidee, tuttavia, le iscrizioni della cro-ce di Sarzana sembrano avere maggiori punti di contatto con te-stimonianze di minore impatto monumentale, come quelle inserite a corredo o a completamento di un’opera scultorea. Ancora in lucchesia, ad esempio, si può osservare un’interessante iscrizione-firma della seconda metà del secolo nei pannelli del pulpito della pieve di San Gennaro a Capannori (fig. 13), realizzato da un magister Philippus, non altrimenti attestato, che adorna i bordi degli specchi marmorei di iscrizioni e data la sua opera al 116261. Le incisioni propongono un alfabeto mosso, con numerose varianti di forma (E, M, N e U/V) e un’esecuzione morbida, con terminazioni dei tratti rotondeggianti e un allineamento non sempre preciso. Oltre a richiami a singole soluzioni grafiche osservate anche nella croce sarzanese, come l’alternanza tra N capitale e N di forma minuscola (nella parola annus) e il nesso TR (in magistro), nella parola venerabili sono presenti due intrecci, tutt’altro che comuni, tra le lettere V e N e la E onciale sottomodulata.

La composizione di T ed E onciale, invece, presente alla terza li-nea della firma di Guglielmo nella congiunzione et, compare anche nei listelli che delimitano il bassorilievo raffigurante l’incredulità di san Tommaso sull’architrave della chiesa di San Bartolomeo in Pantano a Pistoia62, datato al 1167 e di discussa attribuzione, ma

61. Per notizie sulla chiesa si rimanda a Concioni – Ferri – Ghilarducci, Lucensis ecclesiae (cit. n. 57), II, 389-426 (in particolare 391, 421, 422 per il pulpito); una breve scheda descrittiva è anche in G. Tigler, Toscana romanica, Milano 2006, 275-276. Per il pulpito cfr. T. Trenta, Memorie e documenti per servire all’istoria del Ducato di Lucca, VIII, Lucca 1822, 43-44; M. Salmi, L’ambone di Maestro Filippo nella Pieve di San Gennaro (1162), «L’illustratore fiorentino», 11 (1914), 139-145; A. R. Calderoni Masetti, Per l’arredo del duomo di Lucca nel XII secolo, in Arte e cultura artistica a Lucca, Pisa 1979 (Quaderni dell’Istituto di storia dell’arte dell’Università di Pisa, 3), 21-33: 28-29; Dalli Regoli, Dai maestri (cit. n. 58), figg. 112-113; A. Milone – G. Tigler, Catalogo dei pulpiti romanici toscani, in D. Lamberini (a cura di), Pulpiti medievali toscani. Storia e restauri di micro-architetture. Atti della giornata di studio (Firenze, 21 giugno 1996), Firenze 1999 (Accademia toscana di scienze e lettere «La Colombaria». «Studi», 173), 157-191: 164-165; Melcher, Die mittelalterlichen Kanzeln (cit. n. 58), 351-353 nr. B71, figg. 58, 59. I due pannelli sono pubblicati anche in Silvagni (a cura di), Monumenta epigraphica christiana. Luca (cit. n. 52), tavv. II.4 e II.5. Si osservi che il pulpito venne integrato, alla fine del Settecento, con altri due pannelli che riproducono sia la decorazione che lo stile grafico delle iscrizioni delle due lastre originali; su questo cfr. in particolare A. Milone, Pergami medievali in età moderna. Alcuni casi di ricomposizione e riuso, in Lamberini, Pulpiti, cit., 55-76: 68-72.62. Sulla chiesa di San Bartolomeo in Pantano cfr. M. Bruschi, Il complesso abbaziale di S. Barto-lomeo in Pistoia, Pistoia 1981; Tigler, Toscana romanica (cit. n. 61), 282-286, 347 (con una buona riproduzione complessiva dell’architrave a 284-285). Per l’architrave, oltre ai lavori citati alla

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generalmente ricondotto a Gruamonte, scultore attivo in quest’a-rea nella seconda metà del secolo XII63. Vi è impiegata numerose volte — sempre con scioglimento TE — con sovrapposizione del-la E e conseguente interruzione del tratto verticale di T, oppure, analogamente alla soluzione adottata nella croce di Sarzana, come semplice intreccio (fig. 14). Nella parte inferiore dell’architrave, dove è presente la datazione e il nome dell’operarius (Rodolfinus), è attestata anche l’inclusione FI, non particolarmente comune e impiegata nella croce sarzanese, come abbiamo visto, nella parola finxit.

Elementi grafici che mostrano una certa prossimità alla firma di Guglielmo si riscontrano anche nell’iscrizione dei frammenti del sottarco della chiesa di Sant’Andrea a Candeli, in territorio fio-rentino, oggi conservati presso il Museo di San Marco a Firenze (fig. 15)64. Nelle due sezioni dell’epigrafe, datata al 1177, oltre al ricorso alla O a mandorla si osserva l’alternanza di forma nella doppia N (nel nome Iohannis, all’ultima linea) e una costante com-pressione orizzontale della catena grafica, priva di intrecci ma con minime e selezionate inclusioni di lettere. L’altezza delle linee di scrittura oscilla attorno ai 2,5 cm, e la pagina epigrafica, posta un

successiva n. 63, cfr. F. Coden, Corpus della scultura ad incrostazione di mastice nella penisola italiana (XI-XIII sec.), Padova 2006 (Humanitas, 3), 366-367 nr. V.8, 725 figg. V.8-1a, V8-1b.63. La prima opera eseguita da Gruamonte a Pistoia è l’architrave della pieve di Sant’An-drea, in cui lo scultore, assieme al fratello Adeodato e ad Enrico, raffigura nel 1166 la ca-valcata dei Magi e la presentazione dei doni; l’iscrizione e i relativi riferimenti bibliografici sono in Vannucci, La firma dell’artista (cit. n. 26), 132 nr. 1. A Gruamonte viene ricondotta anche l’impostazione della facciata della stessa pieve, mentre sembra più tarda (forse del 1170) la realizzazione, per la chiesa di San Giovanni Fuorcivitas, del prospetto e del bas-sorilievo raffigurante l’ultima cena sull’architrave del portale, la cui iscrizione è riportata ancora in Vannucci, La firma dell’artista, cit., 133 nr. 3. Per Gruamonte e più in generale per la produzione scultorea romanica dell’area di Pistoia si vedano: Schmarsow, S. Martin von Lucca (cit. n. 59), 36-44 (40 per la trascrizione dell’iscrizione); P. Bacci, Gruamonte ed altri ma-estri di pietra che lavorarono alle facciate di S. Giovanni Fuorcivitas in Pistoia (Note e documenti. Secoli XII-XIV), «Rivista d’arte», 1 (1905), 57-76; Salmi, La scultura romanica (cit. n. 59), 82-84 e 93 n. 22-25; R. Salvini, La scultura romanica pistoiese, in Il romanico pistoiese (cit. n. 19), 165-179:173; V. Ascani, Gruamonte e Adeodato, in Enciclopedia dell’Arte Medievale, VII, Roma 1997, 122-125; I. Moretti, Le pietre della città, in G. Cherubini (a cura di), Storia di Pistoia, II. L’età del libero comune. Dall’inizio del XII alla metà del XIV secolo, Firenze 1998, 227-274: 242-245. Per una rapida rassegna dei bassorilievi di epoca romanica scolpiti sugli architravi delle chiese pistoiesi cfr. anche O. H. Giglioli, Pistoia nelle sue opere d’arte, Firenze 1904, 21-27.64. Sulle iscrizioni dell’arco di Candeli cfr. Gramigni, Iscrizioni medievali (cit. n. 25), 189-195 nr. 22, con bibliografia precedente.

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tempo alla sommità dell’arco, era un quadrato di 23×23 cm, di-mensioni non lontane da quelle delle iscrizioni della croce di Sar-zana.

Un ultimo esempio di epigrafe su pietra che presenta esiti simili a quelli osservati nella firma di maestro Guglielmo è l’iscrizione in esa-metri leonini, collocata presso la Badia di San Savino a Cascina, in area pisana, che ricorda il defunto abate Martino e il conte Tancredi, da datare agli ultimi decenni del XII secolo (fig. 16). Oltre alla pros-simità delle soluzioni adottate dall’ignoto lapicida a quelle osservate nella croce sarzanese (intreccio di T con E di forma onciale, inclu-sioni CE e LL, nesso TR), e ad uno stile esecutivo complessiva-mente vicino anche a quello del citato pulpito di maestro Filippo, si osserva, in analogia ai metra composti da Guglielmo, l’uso del termi-ne semetra, con il significato di «componimento disarmonico o im-perfetto», oppure, più banalmente, di «composizione di sei versi»65.

Volgendo l’attenzione all’uso delle scritture maiuscole nell’ambito della produzione documentaria, mi pare interessante analizzare an-zitutto alcuni esempi di privilegi della seconda metà del secolo XI dei papi Niccolò II (1059-1061) e Alessandro II (1061-1073), due personaggi chiave del movimento riformatore66. La differenza di re-gistro è evidente: Niccolò II aveva origini francesi come il cardinale Umberto di Silvacandida, suo più stretto collaboratore, bibliotecario apostolico e redattore, nel 1059, di tre privilegi67, nei quali la pri-ma linea di scrittura è infarcita di soluzioni grafiche estremamente estrose (fig. 17), che potrebbero rimandare oltralpe, ai luoghi di ori-gine del papa che elesse Firenze come centro della sua attività. La scrittura distintiva di alcuni privilegi di Alessandro II68, invece, che

65. Si veda ancora Banti, Monumenta epigraphica Pisana (cit. n. 4), 54 nr. 62. L’iscrizione è pre-sa in considerazione dallo stesso Banti per l’analisi delle caratteristiche epigrafiche tipiche della produzione pisana del XII secolo: cfr. Banti, Dall’epigrafica romanica (cit. n. 4), 64 nr. 10.66. Cfr. A. Ambrosioni, Niccolò II, in Enciclopedia dei Papi, II, Roma 2000, 172-178; C. Vio-lante, Alessandro II, in Enciclopedia dei Papi cit, 178-185, con bibliografia precedente. 67. Cfr. Archivio di Stato di Firenze (d’ora in avanti ASFi), Diplomatico: Firenze, S. Felici-ta, 1059 gennaio 8; Firenze, S. Maria della Badia detta Badia fiorentina, 1059 novembre 24; Strozziane Uguccioni (acquisto), 1059 dicembre 11 (qui riprodotta). Questi e i documenti del Diplomatico di Firenze citati in seguito sono tutti agevolmente consultabili all’indirizzo internet dell’Archivio di Stato di Firenze (http://www.archiviodistato.firenze.it/pergasfi/).68. Cfr. ASFi, Diplomatico: Urbino, 1063; Firenze, S. Maria della Badia detta Badia fiorentina, 1071 e 1071 ottobre 7 (qui riprodotta).

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fu vescovo di Lucca dal 1057 e con questa città mantenne, anche da papa, uno strettissimo legame, risiedendovi per lunghi periodi69, mostra un impianto maggiormente legato alla tradizione: una sola U di forma minuscola rompe la rigidità di una catena di lettere capitali rigorosamente allineate (fig. 18).

Nel contesto delle scritture distintive di ambito documentario — ma lo stesso discorso vale per gli altri contesti d’uso — il ricorso agli ingrossamenti ornamentali aggiunti lungo i tratti delle lettere è assolu-tamente comune e non limitato alla sola prima metà del XII secolo70. Si tratta di un atteggiamento stilistico riscontrabile significativamente anche in un privilegio redatto nel 1137 nella cancelleria del vescovo di Luni Gottifredo II (1129-1156)71 in occasione del sinodo diocesa-no tenutosi nella chiesa di Sant’Andrea a Sarzana. Fu probabilmente proprio in occasione dell’edificazione della chiesa e del sinodo che si provvide ad acquisire la croce dipinta di Guglielmo, che rimase infatti per molti secoli esposta all’interno di questo edificio72.

Ma non sono soltanto le cancellerie vescovili o quella pontificia a ri-correre a scritture distintive particolarmente elaborate: dalla documen-tazione si evince che determinate scelte grafiche sono direttamente legate al redattore degli atti, più che all’ambito di produzione dei do-cumenti. Il ricorso a stilemi e modelli grafici comuni all’universo degli scriptores del tempo, che travalicano la separazione tra gli ambiti materia-li e culturali di produzione delle singole testimonianze e suggeriscono bacini di riferimento tra loro comunicanti o addirittura comuni è evi-dente osservando la produzione documentaria di alcuni notai toscani.

Il primo è Servus Dei, attivo nel territorio aretino tra il 1112 e il 113273: la sua scrittura distintiva, talvolta costellata di minuziosi ele-

69. Per il suo rapporto con il cantiere della cattedrale lucchese, ad esempio, cfr. A. R. Cal-deroni Masetti, Anselmo da Baggio e la Cattedrale di Lucca: contributi e precisazioni, «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, Classe di Lettere e Filosofia», s. III, 7/1 (1977), 91-116.70. Cfr., a titolo di esempio, le scritture iniziali del privilegio del vescovo fiorentino Ranieri (ASFi, Diplomatico: Firenze, S. Felicita, 1077 Febbraio 20) o quello del fiesolano Rodolfo (ASFi, Diplomatico: Passignano, San Michele, 1154 Luglio 30).71. Archivio di Stato di Lucca, Diplomatico: San Frediano, 1137 giugno 3. Il documento è consultabile sul sito dell’Archivio di Stato di Lucca (http://www.archiviodistatoinlucca.it/), nella sezione Diplomatico.72. Cfr. Donati, Vicende della Croce (cit. n. 8), 18, 25 nn. 14, 16; l’ipotesi è ripresa in Calderoni Masetti, La croce di Guglielmo (cit. n. 8), 106.73. Nel Diplomatico dell’Archivio di Stato di Firenze mi risultano una dozzina di docu-menti da lui sottoscritti, quasi tutti provenienti dal fondo dell’eremo di Camaldoli.

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menti ornamentali (fig. 19), presenta evidenti contatti con l’ambito della produzione del libro manoscritto, specialmente per i riempitivi, le campiture e le terminazioni elaborate che animano i tratti, ma anche, più in generale, per le caratteristiche composizioni grafiche74. L’aggiunta di punti ornamentali lungo i tratti, l’elaborazione forma-le di alcune lettere (come la D onciale e la N di forma minuscola) e la predilezione per gli intrecci di curve, in particolare, diventano vere e proprie cifre stilistiche della sua mano, e sono elementi che ritornano, in forma leggermente più dimessa, anche nei documenti meno solenni75.

Di diverso segno, ma altrettanto interessante, è la mano di Vivianus (fig. 20), attivo sempre in territorio aretino, ma in un periodo succes-sivo a Servus Dei, tra 1128 e 115876. Nel costante ricorso all’intreccio NO nella formula In Dei nomine, riproposta con identità esecutiva sia in semplici carte di vendita che in documenti di maggiore solennità, si riconosce il segno di continuità anche visivo della sua produzione documentaria. In tutti i suoi documenti, sebbene celato dietro l’uso di una scrittura sottile e poco chiaroscurata, affiora, nelle varianti di forma, nelle inclusioni, negli intrecci, il nesso quantomeno ideale con la coeva produzione libraria ed epigrafica.

La mano di Niger, attivo, sempre in territorio aretino, a cavallo della metà del secolo, presenta caratteristiche che la avvicinano agli esiti li-brari in modo ancora più spiccato: tra i documenti da lui sottoscritti77, quello qui riprodotto (fig. 21) appare il più formale e controllato nella disposizione e realizzazione della prima linea di scrittura, con lettere di modulo tendenzialmente quadrato e riempimenti bipartiti in rosso e giallo perfettamente coerenti con quelli che si incontrano in coevi

74. Si vedano in particolare i documenti ASFi, Diplomatico: Camaldoli, S. Salvatore, 1112 aprile; Arezzo, Comune, 1114 giugno (qui riprodotto); Camaldoli, S. Salvatore, 1116 ottobre e 1123 febbraio.75. Cfr. ASFi, Diplomatico: Camaldoli, S. Salvatore, 1119 febbraio, 1119 novembre, 1121 gen-naio, 1123 maggio, 1125 e 1132 aprile.76. Cfr. ASFi, Diplomatico: Camaldoli, S. Salvatore, 1128 ottobre, 1130 settembre 24 (qui riprodotto), 1130 settembre 26, 1139, 1147 settembre, 1158 aprile; Pratovecchio, S. Giovanni Evangelista, 1134 aprile 28, 1137 febbraio 7, 1146 maggio, 1149 aprile 30, 1151 ottobre, 1155 dicembre; Mariotti (acquisto), 1154 Aprile 1.77. Cfr. ASFi, Diplomatico: Camaldoli, S. Salvatore, 1137 settembre (qui riprodotto); 1160 febbraio, 1173 agosto, 1176 agosto.

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esempi di scrittura distintiva dei codici78. La costante della sua mano è costituita dalla particolare accentuazione del chiaroscuro, e, se si esclude l’esempio qui riprodotto, dalla tendenza a comprimere la catena grafica, due dati stilistici caratteristici del passaggio alla ma-iuscola gotica.

Nelle sottoscrizioni di Guinibaldus, attivo a Pisa sul cadere del se-colo79, possiamo dire che il passaggio allo stato grafico moderno è assestato: inclusioni e intrecci sono sempre presenti, ma inquadrati in un gioco di chiaroscuro e di compressione molto accentuato, di-stante dall’equilibrata composizione grafica della firma di Gugliel-mo, che già presentava in nuce fenomeni di compressione e amplifi-cazione del chiaroscuro, ma non così marcato.

Rimanendo in un contesto materiale analogo a quello documenta-rio osserviamo cosa accade, nella medesima epoca e nella medesima area geografica, nelle scritture distintive che caratterizzano il libro manoscritto. Nei primi decenni del XII secolo la produzione delle Bibbie atlantiche aveva già circa mezzo secolo di storia, visto che i primi esemplari di questa tipologia di manoscritti, veri e propri simboli della Chiesa riformata, si collocano generalmente attorno agli anni Sessanta del secolo precedente80. Il primo periodo di pro-duzione di questi testimoni manoscritti del processo riformatore è caratterizzato, per quello che concerne le scritture distintive, dalla

78. Si segnalano, a titolo di esempio, i manoscritti dell’Archivio Capitolare di Pistoia C.109, C.116 e C.140: cfr. Murano – Savino – Zamponi, I manoscritti medievali (cit. n. 19), tavv. C, LXVIII, F.79. Cfr. ASFi, Diplomatico: Firenze, S. Frediano in Cestello, 1176 maggio 25; Pistoia, S. Benedetto, 1187 Novembre 19; Archivio di Stato di Pisa, Diplomatico: Olivetani, 1170 marzo 23; 1171 febbraio 6; 1175 marzo 15; 1179 settembre 5-16; Roncioni, 1182 ottobre 2; 1187 marzo 20.80. Per le Bibbie atlantiche è fondamentale il riferimento a Maniaci – Orofino (a cura di), Le Bibbie Atlantiche (cit. n. 20). Si vedano inoltre G. Orofino, Bibbie Atlantiche. Struttura del testo e racconto nel Libro ‘riformato’. Spunti da una mostra, in A. C. Quintavalle (a cura di), Medio-evo: immagine e racconto. Atti del Convegno internazionale di studi (Parma, 27-30 settembre 2000), Milano 2003, 253-264; G. Orofino, Per un’iconografia comparata delle Bibbie Atlantiche, «Rivista di storia della miniatura», 6-7 (2001-2002) (= Cicli e immagini bibliche nella miniatura. Atti del VI Congresso di Storia della miniatura), 29-40. Per il primo periodo di diffusione delle Bibbie atlantiche si veda L. M. Ayres, The Italian Giant Bibles: Aspects of their Touro-nian Ancestry and early History, in R. Gameson (ed.), The early Medieval Bible. Its Production, Decoration and Use, Cambridge 1994, 125-154, e, per gli aspetti propriamente paleografici, P. Supino Martini, La scrittura delle scritture (sec. XI-XII), «Scrittura e civiltà», 12 (1988), 101-118 e, più recentemente, N. Larocca, Le più antiche Bibbie atlantiche: un contributo paleografico, «Scripta», 4 (2011), 49-78 (in particolare 62-64 per le scritture distintive).

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selezione di elementi molto tradizionali, in cui il riferimento ideale al modello della capitale quadrata è spesso estremamente forte e lo spazio lasciato a sperimentazioni grafiche come nessi, inclusioni e intrecci è comunque limitato rispetto alle scritture distintive delle Bibbie di seconda generazione81; sotto il pontificato di Gregorio VII (1073-1085), in particolare, si affermano scritture monumentali e d’apparato di ispirazione decisamente classicheggiante, sebbene non prive di forme di lettera ed espedienti compositivi tipici dell’epoca romanica82.

Rispetto a questo panorama, l’esperienza grafica toscana degli inizi del XII secolo appare distante, orientata a scelte morfologiche e com-binatorie maggiormente elaborate e variegate: nelle scritture distintive del manoscritto Laur. Plut. 5 dex. 7, codice dei Vangeli di probabile produzione pisana da collocare proprio ai primi anni del secolo XII83, l’impiego di un alfabeto di modulo tendenzialmente quadrato si associa a creative composizioni di lettere, con frequenti intrecci, e a una densa

81. Il riferimento al modello capitale appare del tutto evidente nelle scritture distintive delle Bibbie atlantiche collocabili nel secolo XI e descritte in Maniaci – Orofino (a cura di), Le Bibbie Atlantiche (cit. n. 20), 107-152 nr. 1-10; 158-162, nr. 13; 227-237 nr. 33-36; 240-245 nr. 38, nelle quali l’adozione di una capitale rustica per il livello intermedio tra incipit e scrittura ordinaria rende ancora più forte la suggestione classicheggiante. Questo tipo di scrittura distintiva, piuttosto rigida, è attestata anche in codici dei primi del XII secolo: cfr. Ibid., 245-254 nr. 39-41; 260-262 nr. 44; talvolta si osservano in questi testimoni minime intrusioni onciali: cfr. Ibid., 258. Risulta particolarmente significativo il costante ricorso ad una R che si ispira alla capitale quadrata, con coda incurvata verso il basso, prolungata e di-stesa sul rigo, che tenderà invece ad inarcarsi nel senso opposto e ad arrotondarsi alla base nei prodotti manoscritti del secolo successivo. Da un punto di vista stilistico si osserverà invece il passaggio, tra XI e XII secolo, da lettere con rapporto base/altezza prossimo a 1 a lettere in cui tale rapporto tende a ½. 82. Cfr. A. Petrucci, Divagazioni paleografiche sulla Roma gregoriana, in L. Gatto – P. Supino Martini (a cura di), Studi sulle società e le culture del Medioevo per Girolamo Arnaldi, Firenze 2002, 471-478. Petrucci segnala, sia per le scritture epigrafiche che per quelle distintive, l’alter-nanza di E onciale e capitale e un generico ricorso a nessi, inclusioni e sovrapposizioni; in-teressano meno, in questa sede, la presenza della G con ricciolo, della R con tratto ondulato e prolungato, e dell’abbreviazione per –orum.83. Sul manoscritto cfr. Garrison, Studies (cit. n. 3), IV, 170-172, 174 tavv. 126-127; E. B. Garrison, A Pisan Homilary with Lucca-influenced Initials (Florence, Riccardiana 225), «La Bi-bliofilia», 76 (1974), 157-173: 157-158, 160 fig. 5, 163-164. Per descrizioni recenti si veda invece L. Alidori et al. (a cura di), Bibbie miniate della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, Tavarnuzze – Impruneta 2003 (Biblioteche e Archivi, 12), 65-75, tav. IV, fig. 5 (scheda di L. Castaldi – M. Ceccanti); R. E. Guglielmetti (a cura di), I testi agiografici latini nei codici della Bi-blioteca Medicea Laurenziana, Firenze 2007 (Quaderni di Hagiographica, 5), nr. 106; Berg, Studies (cit. n. 3), 64-67, 277-278 nr. 90, figg. 470-476.

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variazione di forme, per esempio nella formula explicitaria del prologo a f. 4r (fig. 22), in cui la forza espressiva della ricca elaborazione grafica è amplificata dall’ampio spazio bianco che segue le sei linee di scrittura.

Il ricorso a lettere di modulo quadrato, tuttavia, appare minoritario nel contesto della produzione manoscritta toscana della prima metà del XII secolo. In una Bibbia laurenziana (Plut. 15.1) prodotta in ambito aretino attorno al secondo quarto del secolo84, si osserva una capacità compositiva e di modulazione dei rapporti dimensio-nali delle lettere maiuscole decisamente evoluta rispetto alla rigidità delle Bibbie atlantiche del periodo precedente. La ricchezza del re-pertorio grafico emerge in particolare raffrontando identiche sezio-ni di testo, riproposte, come nell’esempio riprodotto (fig. 23), con la variazione morfologica di quasi tutte le lettere. Anche in questo codice, come in altri manoscritti coevi, sono ampiamente presenti i punti ornamentali aggiunti lungo i tratti delle lettere, in particolare della E onciale85.

Proviene probabilmente dal territorio aretino anche un’altra Bib-bia (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 15.19), colloca-bile nel secondo quarto del XII secolo o attorno alla metà dello stesso, e particolarmente rilevante per le caratteristiche decorative che la ricollegano alla scuola romana86. A f. 5r, nell’incipit del Genesi, è presente una ricca combinazione di forme e giochi di lettera. Mi paiono interessanti le somiglianze con le soluzioni grafiche adot-tate dal citato notaio Servus Dei, in particolare nelle elaborazioni fitomorfe della D di forma onciale e nella decorazione del tratto

84. Mi riferisco alla sezione principale del codice, che presenta anche due fascicoli aggiunti riferibili alla fine del XII secolo. Cfr. la scheda di Knut Berg in Maniaci – Orofino (a cura di), Le Bibbie Atlantiche (cit. n. 20), 283-285 nr. 49. Cfr. inoltre Berg, Studies (cit. n. 3), 232-233 nr. 15 e figg. 341-344; Alidori et al., Bibbie miniate (cit. n. 83), 188-242, tav. XI, fig. 20 (scheda di L. Castaldi – E. Fusi). Per la provenienza del codice cfr. anche Garrison, Studies (cit. n. 3), III, 138-140 e figg. 162-164. Per una panoramica generale della produzione ma-noscritta aretina cfr. C. Tristano, Il libro: prodotto artistico e strumento culturale, in M. Collareta – P. Refice (a cura di), Arte in terra d’Arezzo: il Medioevo, Firenze 2010, 163-170.85. Si vedano i ff. 376v e 224v. Si tratta, come detto, di elementi estremamente comuni: si trovano, solo per fare qualche altro esempio, anche nei manoscritti Firenze, Biblioteca Me-dicea Laurenziana, Plut. 20.1 (f. 1r); Pistoia, Archivio Capitolare, C.140 (f. 90vB) e C.125 (f. 80v).86. Cfr. Garrison, Studies (cit. n. 3), III, 290-291 e figg. 357-362; Berg, Studies (cit. n. 3), 235-236 nr. 19 e figg. 346-347; Maniaci – Orofino (a cura di), Le Bibbie Atlantiche, (cit. n. 20), 285-288 nr. 50 (scheda di S. Magrini); Alidori et al., Bibbie miniate (cit. n. 83), 157-177, tav. IX, figg. 17-18 (scheda di L. Castaldi – E. Fusi).

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centrale della grande N di forma capitale (fig. 24)87, mentre per i punti di contatto con la firma di Guglielmo segnalo la frequenza dell’inclusione VS (esempi ai ff. 1v e 5r), non particolarmente co-mune nell’ambito della produzione libraria dei primi decenni del XII secolo.

La capacità combinatoria e compositiva degli amanuensi di quest’epoca si manifesta vigorosamente anche nelle scritture di-stintive della Bibbia dell’Archivio Capitolare di Pistoia C.156, col-locabile nel primo quarto del XII secolo88: le figure di lettera ela-borate nelle sezioni incipitarie e conclusive dei testi sembrano, in questa testimonianza, voler volontariamente confondere l’occhio del lettore (fig. 25). In questi esempi la funzione puramente desi-gnativa della scrittura d’apparato sopravanza quella comunicativa: appare cioè rilevante segnalare, più che comunicare. Ciò avviene, per di più, in assoluta opposizione alla chiarezza e alla leggibilità della scrittura minuscola carolina. In questo tipo di manoscritti il ricorso alle composizioni di lettere risulta talmente ampio e varie-gato che si possono facilmente reperire soluzioni grafiche analoghe a quelle viste sulla croce sarzanese89. Analogie con l’impostazione della citata Bibbia pistoiese si possono riscontrare nell’omiliario Q.VIII.2 della Roncioniana di Prato, anch’esso prodotto probabil-mente a Pistoia nel secondo quarto del secolo: qui, alle evoluzioni combinatorie già osservate nel codice dell’Archivio Capitolare si affianca l’impiego di tituli abbreviativi che si trasformano in veri e propri fregi ornamentali90.

87. Sebbene l’elaborazione stilistica delle lettere dell’inizio del prologo e dell’incipit del Ge-nesi sia un fatto assolutamente comune, il codice Laurenziano ne fornisce un’interpreta-zione peculiare, che lo differenzia rispetto ad altre Bibbie coeve, fatta eccezione per il ms. Vat. lat. 4217 della Biblioteca Apostolica Vaticana, che mi pare adotti esattamente gli stessi elementi calligrafici: cfr. Garrison, Studies (cit. n. 3), I, 95 figg. 133-134.88. Per una descrizione del manoscritto cfr. Murano – Savino – Zamponi, I manoscritti medievali (cit. n. 19), 57 nr. 82 e tavv. XCV, G (quest’ultima riproduce appunto il f. 86r). Cfr. inoltre Berg, Studies (cit. n. 3), 299 nr. 125, figg. 449-450. Per ulteriori riproduzioni si rimanda ancora al sito internet dell’Archivio Capitolare (cit. n. 19).89. Solo per fare un esempio, a f. 86rA è presente l’intreccio TE, anche se con la lettera T di modulo decisamente più oblungo rispetto a quella della croce di Sarzana.90. Cfr. S. Bianchi et al. (a cura di), I manoscritti medievali della provincia di Prato, Firenze 1999 (Biblioteche e Archivi, 5 / Manoscritti medievali della Toscana, 2), tav. F (e 55 nr. 50 per una descri-zione del manoscritto). Si tratta, anche in questo caso, di elementi assai comuni nella coeva produzione manoscritta. Per l’assegnazione del codice all’area pistoiese e per l’attribuzione

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Tra i manoscritti toscani del XII secolo merita una menzione particolare la Bibbia di Calci, una Bibbia in quattro volumi, origi-nariamente prodotta per la chiesa di San Vito a Pisa, e oggi con-servata nel Museo Nazionale di San Matteo. La Bibbia è una te-stimonianza importante sia perché datata al 1168, sia perché sono noti il committente (il prete Gerardo) e i due autori: un magister Viviano per la scrittura e un Alberto (o Adalberto) da Volterra per la miniatura91. Le scritture distintive mostrano in questo ma-noscritto un’evoluzione decisa e presuppongono una padronanza grafica e stilistica non comune: le terminazioni a foglia e le calligra-fiche chiusure della porzione superiore di alcune lettere sono in-fatti affiancate da una selezione di forme rare, come la S di forma minuscola utilizzata con funzione di maiuscola, oppure la O a due comparti (detta anche crestata, strozzata o raddoppiata), compo-sta cioè da due sezioni rotondeggianti sovrapposte e simmetriche rispetto all’asse orizzontale della lettera (fig. 26). Quest’ultima è attestata, in concomitanza con l’analogo trattamento di altre lette-re curvilinee (C, E onciale, G), nell’epigrafe del canonico Rolando, prodotta a Pisa negli ultimi anni del XII secolo92 e in altre testi-monianze manoscritte ed epigrafiche coeve o di poco successive, ma anche più antiche93. La compressione orizzontale della catena

dell’apparato decorativo al Maestro della Bibbia Casanatense cfr. E. B. Garrison, A Pistoiese Homilary in Prato Illustrated by the First Casanatense Bible Master, in Garrison, Studies, (cit. n. 3), II, 213-216; III, 33-46, 72-79; Berg, Studies (cit. n. 3), 188-189 e figg. 368-370; Berg, Minia-ture pistoiesi (cit. n. 19), 148-150.91. Si veda in sintesi la scheda di Antonino Caleca in Burresi – Caleca, Cimabue a Pisa (cit. n. 20), 100-101 nr. 1, con bibliografia precedente; cfr. inoltre Maniaci – Orofino (a cura di), Le Bibbie Atlantiche (cit. n. 20), 303-310 nr. 55 (scheda di A. d’Aniello). Per una visione d’insieme dei prodotti pisani si rimanda inoltre a Dalli Regoli, Miniatura a Pisa (cit. n. 20). Cfr. anche Garrison, Studies (cit. n. 3), II, 99-102; Berg, Studies (cit. n. 3), 151-157, 224-227 nr. 4 e figg. 249-268.92. L’iscrizione, in forma di rogito testamentario e recante la data 1147 (ma, appunto, da postdatare), è conservata nel lapidario dell’Opera della Primaziale, ed è pubblicata in Banti, Monumenta epigraphica Pisana (cit. n. 4), 28 nr. 20 e in Baracchini, I marmi di Lasinio (cit. n. 55), 348-349 nr. III (scheda di A. Milone – O. Banti).93. Non ho effettuato per questo elemento uno spoglio approfondito delle fonti; mi limito a segnalare i manoscritti dell’Archivio Capitolare di Pistoia C.88 (sec. XII ex.-XIII in.) e C.92 (sec. XII2): cfr. Murano – Savino – Zamponi, I manoscritti medievali (cit. n. 19), tavv. XXXIX, XLII, oltre alla Bibbia Mugell. 2 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze (sec. XII m.), descritta in L. Alidori et al. (a cura di), Bibbie miniate della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze. Secondo contributo, Tavarnuzze – Impruneta 2006 (Biblioteche e Archivi, 15), 81-98 (scheda di L. Benassai – L. Alidori Battaglia), tav. V, figg. 8-12; nella

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grafica è, nelle scritture distintive della Bibbia di Calci, piuttosto de-cisa; ma il dato più significativo, per quanto forse meno appariscente delle altre caratteristiche di natura stilistica e morfologica sopra ac-cennate, mi pare sia, ai nostri fini, la densa apposizione di elementi arrotondati al termine o all’inizio dei tratti (fig. 27), atteggiamento facilmente riscontrabile anche nelle iscrizioni della croce di Sarzana: sia nelle lettere che compongono il titulus crucis e la firma, sia nella scrittura maiuscola che occupa il cartiglio del terminale destro del braccio di croce (fig. 28)94.

Si tratta di un fenomeno ravvisabile, in misura assai più contenuta, anche nel Passionario P† della Biblioteca Capitolare di Lucca, che già Edward Garrison avvicinava alla croce Sarzanese per la pros-simità iconografica tra alcuni soggetti che costituiscono le iniziali figurate e i personaggi rappresentati sulla tavola dipinta95. La pre-senza di arrotondamenti al termine dei tratti curvi o alle estremità dei tratti di pareggiamento si osserva anche nei codici pistoiesi della prima metà del secolo, come nella quarta sezione della Bibbia C.160

sezione della scheda dedicata alla scrittura (82) la Benassai parla proprio delle lettere C ed O «con raddoppiamento», eseguite con «forti intenti calligrafici». Altri due manoscritti laurenziani che presentano atteggiamenti stilistici analoghi a quelli della Bibbia di Calci sono la cosiddetta Bibbia del Pluteo (Plut. 15.13) e il codice Plut. 15.12, che trasmette il Vecchio Testamento, su cui si vedano rispettivamente Alidori et al., Bibbie miniate (cit. n. 83), 76-100, tav. V, figg. 6, 7 (scheda di L. Castaldi – M. Ceccanti) e Berg, Studies (cit. n. 3), 233 nr. 16. Tra le testimonianze documentarie si veda, ad esempio, il privilegio del 1077 di Ranieri, vescovo di Firenze (cfr. supra, n. 70). Queste forme, di probabile origine orientale, sono particolarmente diffuse, anche nei secoli precedenti, nelle epigrafi del meridione, in particolare in area pugliese e campana; per gli opportuni riferimenti biblio-grafici rimando a S. Riccioni, Segni epigrafici e sistemi illustrativi “alla greca” nel mosaico di San Clemente a Roma, in A. C. Quintavalle (a cura di), Medioevo mediterraneo: l’Occidente, Bisanzio e l’Islam. Atti del Convegno internazionale di studi (Parma, 21-25 settembre 2004), Milano 2007, 371-380: 371 e 378 n. 7.94. Per le iscrizioni dei cartigli, cfr. supra, n. 14.95. E. B. Garrison, A Lucchese Passionary Related to the Sarzana Crucifix, «The Art Bulletin», 35/2 (1953), 109-119. Le riflessioni di Garrison sono riprese in A. R. Calderoni Masetti, Il Passionario P della Biblioteca Capitolare di Lucca e le Croci dipinte toscane del XII secolo, in C. Maltese (a cura di), 1° Congresso Nazionale di Storia dell’Arte (CNR, Roma, 11-14 settembre 1978), Roma 1980 (Quaderni de «la Ricerca scientifica», 106), 501-514 e in E. Nencini, Il Passionario P+ della Biblioteca Capitolare di Lucca, in Calderoni Masetti, Studi di miniatura (cit. n. 8), 55-68. Ulteriori confronti tra la croce di Sarzana e codici lucchesi sono proposti in A. R. Calderoni Masetti, Il passionario “F” e i manoscritti affini nella Biblioteca Capitolare di Lucca, in Vailati Scho-enburg Waldenburg (a cura di), La miniatura italiana (cit. n. 20), 63-91: 85-87.

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dell’Archivio Capitolare di Pistoia (f. 100r)96, oppure, con un lie-ve ma percettibile disallineamento analogo a quello della firma di maestro Guglielmo, a f. 1r delle Enarrationes in Psalmos di Agostino trasmesse dal codice C.157 dello stesso archivio (fig. 29), databile al primo quarto del secolo97. Appaiono di qualche interesse anche le sezioni incipitarie del manoscritto C.160bis, codice acefalo e lacuno-so del Nuovo Testamento, collocabile ancora entro la prima metà del secolo98, che da un lato presentano composizioni di lettera già viste nella croce di Sarzana99, dall’altro mostrano un riferimento a schemi impaginativi ricorrenti e ad uno stile esecutivo coerente, pur nella ricerca costante di una variabilità morfologica. Questa generale tendenza a differenziare le scelte grafiche si palesa nella continua variazione nella resa di singole parole, non necessariamente deter-minata da un’alternanza nella forma delle lettere, come nell’esempio riprodotto, che riguarda la parola più ricorrente in queste sezioni di testo: incipit (fig. 30).

Un inequivocabile riferimento cronologico e geografico impon-gono, in questa rapida analisi delle scritture d’apparato toscane del XII secolo, di considerare anche, tra le numerose Bibbie di grande formato prodotte in quest’area entro la prima metà del XII secolo, la cosiddetta Bibbia di Corbolino (Firenze, Biblioteca Medicea Lau-renziana, Conventi Soppressi 630). La datazione al 4 ottobre 1140, accompagnata dalla dichiarazione della provenienza pistoiese dello scriba Corbolino (sulla base del colophon a f. 324v), il quale tuttavia operò probabilmente a Firenze, la rendono una testimonianza di primo interesse nell’ottica di un’indagine sulle scritture distintive di questo periodo100. Nella ricchezza di soluzioni e nella cura del detta-

96. Per la descrizione del codice, composito, cfr. Berg, Studies (cit. n. 3), 300 nr. 128 e figg. 386-387; Murano – Savino – Zamponi, I manoscritti medievali (cit. n. 19), 58 nr. 85. Riferi-menti al manoscritto si trovano anche in Garrison, Studies (cit. n. 3), III, 45-46 e in Berg, Miniature pistoiesi (cit. n. 19), 150 e fig. 12.97. Cfr. Berg, Studies (cit. n. 3), 299 nr. 126 e figg. 383-384; Murano – Savino – Zamponi, I manoscritti medievali (cit. n. 19), 57 nr. 83. Un riferimento è anche in Garrison, Studies (cit. n. 3), III, 146.98. Cfr. Murano – Savino – Zamponi, I manoscritti medievali (cit. n. 19), 58 nr. 86.99. Si veda, ad esempio, l’intreccio NO a f. 77rA, in Romanos.100. Sulla Bibbia di Corbolino e sui rapporti con la coeva produzione manoscritta cfr. Berg, Studies (cit. n. 3), 104-134, 259-260 nr. 58 e figg. 112-124. Si veda inoltre K. Berg, An illu-strated Florentine Bible dated 1140, in E. B. Garrison, Studies (cit. n. 3), II, 199-202; e la scheda

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glio, ma anche nella precisione del tratteggio e nel gusto espressivo dei giochi di lettera che si sviluppano nelle rubriche, nelle sezioni in-cipitarie e negli explicit, la mano dell’amanuense pistoiese mostra una consapevolezza e una padronanza grafica che sembrano sopravanzare quelle di chi tracciò la firma di maestro Guglielmo sulla croce sarza-nese (fig. 31)101. Tuttavia, una parte dell’apparente scarto qualitativo si può ricondurre all’utilizzo di un differente strumento scrittorio e di un diverso supporto: laddove la scrittura distintiva dei codici propone, alle terminazioni dei tratti, calligrafici pareggiamenti con sottili filetti, il pittore della croce tende a prediligere soluzioni visivamente meno raf-finate, come allargamenti a coda di rondine o arrotondamenti; queste soluzioni, in ogni caso, non sono estranee, come abbiamo visto, alla cultura grafica degli amanuensi.

Sul piano del corredo epigrafico, la croce di Sarzana si inquadra dun-que, senza particolari problemi nel panorama delle produzioni scrit-torie toscane del XII secolo. In particolare, grazie al supporto degli studi che ne hanno approfondito gli aspetti pittorici e iconografici, è possibile individuare nella Toscana occidentale della prima metà del XII secolo — un’area, come abbiamo osservato, fortemente propensa all’utilizzo di scrittura esposta e d’apparato — il bacino dal quale Gu-glielmo trasse i maggiori spunti per la realizzazione del programma di esposizione grafica della croce, la quale da un lato osserva appunto modelli pienamente romanici, dall’altro si volge già, per determinate caratteristiche, al linguaggio epigrafico dell’epoca successiva. Si tratta d’altronde di un dato comune a molti prodotti di questo particolare periodo della scrittura, nel quale si osserva il lento e graduale passaggio

dello stesso Berg in Maniaci – Orofino (a cura di), Le Bibbie Atlantiche (cit. n. 20), 279-281 nr. 47. Per la questione della produzione della Bibbia in ambito fiorentino cfr. Garrison, Studies, cit., III, 136-138 e figg. 160-161. Per una descrizione dettagliata del codice cfr. Ali-dori et al., Bibbie miniate (cit. n. 83), 101-131, tav. VI, figg. 8-11 (scheda di L. Castaldi – L. Alidori). Per il rapporto tra la Bibbia di Corbolino e quella di Ávila (Madrid, Biblioteca Nacional, Vitr. 15.1) si rimanda al recente G. Orofino, Una Bibbia atlantica tra Italia e Spagna e i suoi ‘maestri’, in W. Angelelli – F. Pomarici (a cura di), Forme e Storia. Scritti di arte medievale e moderna per Francesco Gandolfo, Roma 2011, 211-222.101. Ho effettuato direttamente sul manoscritto originale uno spoglio completo delle scrit-ture distintive; purtroppo il codice ha subito l’asportazione di numerose lettere miniate, con la conseguente perdita di parte delle scritture maiuscole ad esse associate. Com’era prevedibile, il ventaglio di artifici grafici presenti nelle sezioni distintive della Bibbia di Corbolino è estremamente ampio, comprendendo in particolare giochi combinatori che coinvolgono più lettere alla volta, e associando intrecci, inclusioni e nessi in un gioco di tratti assai più elaborato rispetto alla coeva produzione epigrafica.

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tra due sistemi grafici molto distanti se osservati negli esiti più formali e maggiormente caratterizzati, ma in realtà costantemente sovrapposti e intrecciati — per l’appunto — in un movimento dinamico e non lineare102.

Le scritture della croce sarzanese — e in particolare la firma di Gu-gliemo — rispecchiano dunque molto bene, in questo loro carattere ibrido e nell’ambiguità sostanziale delle scelte morfologiche e stilisti-che, uno dei periodi decisivi nella storia della scrittura latina: proprio tra la seconda metà del secolo XI e la fine del secolo XII, infatti, nel campo della scrittura libraria ‘ordinaria’ si osservò il definitivo passag-gio da uno stato grafico ‘antico’, individuato dalla littera antiqua, a uno stato ‘moderno’, che si sostanziò nella littera textualis103. La capacità, nei diversi contesti d’uso della scrittura d’apparato, di comporre le lettere in figure complesse, di alternarne le varianti morfologiche selezionan-do forme desuete o maggiormente moderne, di modulare i rapporti dimensionali della catena grafica e la pesantezza del tratto piegandoli alle esigenze compositive ed estetiche del singolo prodotto, rappre-sentano, in quest’epoca di passaggio ricca di differenti — e talvolta opposte — suggestioni, il concreto bagaglio grafico comune ai buo-ni scriptores toscani, siano essi notai, ordinatores, lapicidi, amanuensi o pittori-letterati come Guglielmo.

102. Si riconosce, in questo aspetto, quanto evidenziato da Banti per le iscrizioni medievali pisane del XII secolo, nelle quali «il passaggio dalla epigrafica ‘romanica’ [...] alla epigrafica di ‘stilizzazione gotica’, avvenne in modo graduale, ma non progressivo. Esso inoltre si realizzò in modo quasi impercettibile e in un ampio periodo di tempo»; cfr. Banti, Dall’epi-grafica romanica (cit. n. 4), 69.103. Cfr. E. Casamassima, Tradizione corsiva e tradizione libraria nella scrittura latina del Medioevo, Roma 1988, 95-130.

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Fig. 1. Sarzana, Cattedrale di S. Maria, Croce dipinta – Fig. 2. Sarzana, Cattedrale di S. Maria, Croce dipinta. Dettaglio della fi rma di maestro Guglielmo – Fig. 3. Sar-

zana, Cattedrale di S. Maria, Croce dipinta. Dettaglio del titulus crucis Fig. 4. Pistoia, Archivio capitolare. C.125, f. 5v – Fig. 5. Sarzana, Cattedrale

di S. Maria, Croce dipinta. Dettaglio della rigatura.

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Fig. 6. Sarzana, Cattedrale di S. Maria, Croce dipinta. Confronto tra l’iscrizione-fi rma e un’ipotetica ricostruzione dell’impaginazione del testo rispettando la riga-tura predisposta – Fig. 7. Sarzana, Cattedrale di S. Maria, Croce dipinta. Il corredo epigrafi co: intrecci, nessi, inclusioni e varianti di forma – Fig. 8. Dettagli del titulus

crucis nelle croci dipinte di San Michele in Foro (Lucca, Chiesa San Michele in Foro) e di Santa Maria dei Servi (Lucca, Museo Nazionale di Villa Guinigi)

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Fig. 9. Lucca, Cattedrale di S. Martino. Iscrizione commemorativaFig. 10. Lucca, Cattedrale di S. Martino. Epitaffio del medico e primicerio Ranieri

Fig. 11. Pisa, Museo dell’Opera del Duomo. Iscrizione di Bonfilio e Guido

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Fig. 12. Lammari (Lucca), Pieve di S. Maria. Bassorilievo per la sepoltura del pie-vano Lieto – Fig. 13. Capannori (Lucca), Chiesa di S. Gennaro. Pulpito di maestro Filippo, specchi marmorei – Fig. 14. Pistoia, Chiesa di S. Bartolomeo in Pantano.

Architrave del portale, dettaglio

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Fig. 15. Firenze, Museo di San Marco. Frammenti dell’arco di S. Andrea a Candeli, dettaglio delle iscrizioni – Fig. 16. Cascina, Badia di San Savino, iscrizione dell’abate Martino e del conte Tancredi – Fig. 17. Privilegio di Niccolò II. Dettaglio di scrit-

tura distintiva (Firenze, Archivio di Stato. Diplomatico: Strozziane Uguccioni, 1059 dicembre 11) – Fig. 18. Privilegio di Alessandro II. Dettaglio di scrittura distintiva (Firenze, Archivio di Stato. Diplomatico: Firenze, S. Maria della Badia detta Badia fiorentina, 1071 ottobre 7) – Fig. 19. Scrittura distintiva del notaio Servus Dei (Fi-

renze, Archivio di Stato. Diplomatico: Arezzo, Comune, 1114 giugno)

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Fig. 20. Scrittura distintiva del notaio Vivianus (Firenze, Archivio di Stato. Diplo-matico: Camaldoli, S. Salvatore, 1130 settembre 24) – Fig. 21. Scrittura distintiva

del notaio Niger (Firenze, Archivio di Stato. Diplomatico: Camaldoli, S. Salva-tore, 1137 settembre) – Fig. 22. Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana.

Plut. 5 dex. 7, f. 4r

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Fig. 23. Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana. Plut. 15.1, ff. 22r, 55v Fig. 24. Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana. Plut. 15.19, f. 5r

Fig. 25. Pistoia, Archivio capitolare. C.156, f. 5v Fig. 26. Pisa, Museo Nazionale di San Matteo. Bibbia di Calci, vol. II, f. 118v

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Fig. 27. Pisa, Museo Nazionale di San Matteo. Bibbia di Calci, vol. IV, f. 33rFig. 28. Sarzana, Cattedrale di S. Maria. Croce dipinta, dettaglio del cartiglio

nel terminale del braccio di croce destro – Fig. 29. Pistoia, Archivio capitolare. C.157, f. 1r – Fig. 30. Pistoia, Archivio capitolare. C.160bis, ff. 59r, 59v, 76r, 104r

Fig. 31. Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana. Conv. Soppr. 630, f. 52v

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Crediti fotografici

Figg. 1, 2, 4, 5, 6, 7, 28: Su concessione del Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo – Opificio delle Pietre Dure di Firenze, Archivio dei Restauri e Fotografico. È vietata ogni ulteriore riproduzione con qualsiasi mezzo.Figg. 3, 25, 29, 30: Per concessione dell'Archivio Capitolare del Duomo di Pistoia. Riproduzioni eseguite dalla Sezione di fotoripro-duzione dell'Archivio Capitolare del Duomo di Pistoia.Fig. 8: Su concessione dell’Archivio fotografico Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici, Storici, Artistici ed Etnoantro-pologici per le province di Lucca e Massa Carrara. È vietata ogni ulteriore riproduzione con qualsiasi mezzo.Figg. 9, 10, 11, 12, 14: Riproduzioni dell’autore.Fig. 13: Su concessione dell’Opera della primaziale pisana – Beni culturali – Patrimonio storico artistico.Figg. 15, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 26, 27, 31: Su concessione del Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo. È vietata ogni ulteriore riproduzione con qualsiasi mezzo.