La verna: da Francesco al primo insediamento minoritico

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Luigi Pellegrini LA VERNA: DA FRANCESCO AL PRIMO INSEDIAMENTO MINORITICO Il nostro percorso attraverso la vicenda della presenza francescana alla Verna avrà inizio, quasi punto obbligato di partenza, da quello straordinario documento che è la Cartula, gelosamente conservata per alcuni decenni da frate Leone 1 . In quel piccolo ritaglio di pergamena sono contenuti due testi vergati di proprio pugno da "frate Francesco", come l'Assisiate si denomina nell'altro suo autografo: la Lettera a frate Leone 2 . I documenti contenuti nella Cartula hanno la forte connotazione propria di chi esprime stati d'animo e rapporti talmente personali, da assumere il carattere di una profonda intimità. Il bisogno stesso di fissare sulla pergamena i sentimenti, pur con tutta la "fatica" dello scrivere in quel travagliato e quasi drammatico momento della vita di frate Francesco, sottolinea la volontà di dare al primo dei due 1 1 Per lo studio del testo e delle rubriche apposte da frate Leone vedi D. LAPSANSKI, The Autogrph on the «Cartula» of St. Francis of Assisi, “Archivum franciscanum historicum (d’ora in poi AFH), 67(1974), pp. 18-37; ma vedi ora gli studi di A. Bartoli Langeli citati alla nota successiva. 2 Su tali autografi vedi la precisa analisi e le puntuali osservazioni di A. BARTOLI LANGELI, Gli scritti da Francesco. L'autografia di un illitteratus, in Frate Francesco d'Assisi. Atti del XXI Convegno internazionale (Assisi, 14-16 ottobre 1993), Spoleto 1994 (Atti dei convegni della Società internazionale di studi francescani e del Centro interuniversitario di studi francescani, Nuova serie, 4), pp. 101-159, che fornisce un'edizione accurata e perspicace, le cui varianti e integrazioni, rispetto all'edizione di K. Esser (Die Opuscula des hl. Franziskus von Assisi. Neue Textkritische Edition. Zweite erweiterte und werbesserte Auflage besorgt von E. Grau, Grottaferrata [Romae] 1989 [Spicilegium Bonaventurianum, 13], pp. 139-146), offrono spunti per interessanti osservazioni e riflessioni; dello stesso Bartoli Langeli è un intervento ben più ampio e articolato su tali autografi: Gli autografi di frate Francesco e di frate Leone, Tournhout 2000 (Corpus christianorum - Autographa Medii Aevi, 5), pp. 11-75.

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Luigi Pellegrini

LA VERNA: DA FRANCESCO AL PRIMO INSEDIAMENTO MINORITICO

Il nostro percorso attraverso la vicenda della presenza francescana

alla Verna avrà inizio, quasi punto obbligato di partenza, da quello

straordinario documento che è la Cartula, gelosamente conservata per

alcuni decenni da frate Leone 1. In quel piccolo ritaglio di pergamena

sono contenuti due testi vergati di proprio pugno da "frate Francesco",

come l'Assisiate si denomina nell'altro suo autografo: la Lettera a frate

Leone 2 . I documenti contenuti nella Cartula hanno la forte

connotazione propria di chi esprime stati d'animo e rapporti talmente

personali, da assumere il carattere di una profonda intimità. Il bisogno

stesso di fissare sulla pergamena i sentimenti, pur con tutta la "fatica"

dello scrivere in quel travagliato e quasi drammatico momento della

vita di frate Francesco, sottolinea la volontà di dare al primo dei due

1

1Per lo studio del testo e delle rubriche apposte da frate Leone vedi D. LAPSANSKI, The Autogrph on the «Cartula» of St. Francis of Assisi, “Archivum franciscanum historicum (d’ora in poi AFH), 67(1974), pp. 18-37; ma vedi ora gli studi di A. Bartoli Langeli citati alla nota successiva.

2Su tali autografi vedi la precisa analisi e le puntuali osservazioni di A. BARTOLI LANGELI, Gli scritti da Francesco. L'autografia di un illitteratus, in Frate Francesco d'Assisi. Atti del XXI Convegno internazionale (Assisi, 14-16 ottobre 1993), Spoleto 1994 (Atti dei convegni della Società internazionale di studi francescani e del Centro interuniversitario di studi francescani, Nuova serie, 4), pp. 101-159, che fornisce un'edizione accurata e perspicace, le cui varianti e integrazioni, rispetto all'edizione di K. Esser (Die Opuscula des hl. Franziskus von Assisi. Neue Textkritische Edition. Zweite erweiterte und werbesserte Auflage besorgt von E. Grau, Grottaferrata [Romae] 1989 [Spicilegium Bonaventurianum, 13], pp. 139-146), offrono spunti per interessanti osservazioni e riflessioni; dello stesso Bartoli Langeli è un intervento ben più ampio e articolato su tali autografi: Gli autografi di frate Francesco e di frate Leone, Tournhout 2000 (Corpus christianorum - Autographa Medii Aevi, 5), pp. 11-75.

scritti, da lui vergati su quel piccolo ritaglio di pergamena,

un’impronta esclusivamente personale e di conferirgli un carattere

strettamente "privato". Uno scritto, dunque, non destinato alla

"pubblicazione", che anzi ne sembra consapevolmente e volutamente

escluso 3. Un dato questo che può, almeno in parte, spiegare perché i

testi contenuti nella cartula non abbiano trovato posto nelle prime

raccolte degli Scritti dell'Assisiate, organizzate tra gli anni Quaranta

del secolo XIII e i primi decenni del XIV 4 . Eppure essi avrebbero

potuto assumere notevole significato per gli scopi cui miravano i frati

Minori che nella prima metà del secolo XIV raccolsero testi e

testimonianze su Francesco d’Assisi con l’intento di presentare

un’immagine più fedele del santo e, comunque, alternativa a quella

proposta da Bonaventura e ufficialmente accreditata all’interno

dell’Ordine 5.

1. Una testimonianza straordinaria: la Cartula della Verna

2

3Ciò non significa affatto escludere l'ipotesi dell'esistenza, o almeno della redazione da parte di Francesco, di altri autografi, che potessero avere una destinazione "pubblica", o che avessero un carattere meno personalizzato; il che implica riflettere sul rapporto dell'Assisiate con la scrittura; in proposito rimando alle acute osservazioni di A. BARTOLI LANGELI, Gli autografi di frate Francesco.

4 La prima raccolta degli Scritti di frate Francesco è databile, con tutta probabilità, agli ultimi anni Quaranta del Duecento, quindi a circa Vent’anni dalla morte dell’Assisiate; vedi in proposito Luuigi PELLEGRINI, La raccolta di testi francescani del codice assisano 338: un manoscritto composito e miscellaneo, in Revirescunt chartae Codices documenta textus. Miscellanea in honorem fr. Caesaris Cenci OFM, curantibus A. Cacciotti et P. Sella, Romae, Edizioni Antonianum, 2002, (Medioevo 5), pp. 289-340.

5 Sui problemi filologici relativi a tali raccolte, o compilazioni, vedi E. MENESTÒ, La «questione francescana» come problema filologico, in Francesco d’Assisi e il primo secolo di storia francescana Torino, 1997, (Biblioteca Einaudi 1), pp. 165-201: 121-130.

Seguiamo il percorso tortuoso e, per alcuni tratti, ancora

inesplorato di questo piccolo e prezioso ritaglio di pergamena. In una

rubrica, vergata nel margine alto del verso, frate Leone scrive:

«il beato Francesco due anni prima della sua morte fece una

quaresima di San Michele arcangelo, dalla festa dell’Assunzione di

santa Maria vergine fino alla festa di san Michele di settembre e fu

fatta su di lui la mano del Signore. Dopo la visione e l’allocuzione

del serafino e l’impressione delle stimmate nel suo corpo fece

queste lodi».

L’indicazione cronologica è vaga: c’è solo la segnalazione,

indiretta, ma inequivocabile, dell’anno 1224. Il giorno e lo stesso mese

rimangono imprecisati, ma resta quello scritto, vergato da Francesco

con mano incerta e probabilmente tremante, fissato su un povero

ritaglio di pergamena: sono «le lodi», che irrompono dal suo spirito

finalmente pacificato, come espressione d’abbandono riconoscente a

Dio per «il beneficio a lui conferito». Frate Leone, che riceve in dono la

pergamena, la custodisce gelosamente presso di sé: il foglietto

conserva ancora i segni della piegatura in quarto, a cui era stato

sottoposto per conservarlo all’interno della tonaca. In un secondo

tempo Francesco, a richiesta dello stesso frate Leone, vergò sul verso

della pergamena un notevole Tau, la cui asta verticale appare

attraversata dal nome del frate, mentre sul lato destro di chi guarda

l’Assisiate scrisse una benedizione, disponendo il testo in uno schema

circolare e pluridimensionale, che richiama vagamente il cosidetto

“quadrato magico”. L’indicazione della rubrica è chiara nel segnalare

3

la destinazione della benedizione: «il beato Francesco scrisse di sua

mano questa benedizione a me frate Leone».

La testimonianza, vergata in inchiostro rosso dal compagno di

Francesco sulla Verna, segna tre momenti redazionali della cartula: la

composizione delle Laudes, la scrittura della benedizione,

l'apposizione del thau cum capite. La benedizione venne autografata da

Francesco sul verso della pergamena in un momento successivo

rispetto alle Laudes: la grafia più regolare e sicura, e le differenti

modalità di stesura 6 - più tormentata e immediata la scrittura delle

Laudes, più formalizzata quella della benedizione - sembrano indicare

momenti diversi, anzi segnalare due diversi stati d'animo. Ma rimane

significativo che la formula di benedizione - di cui i primi biografi,

come vedremo, cercano a loro modo di indicare le circostanze

esistenziali - venga scritta sulla stessa pergamena delle Laudes, quasi

ad indicare uno stretto e inscindibile rapporto tra i due testi. L'ipotesi

che si affaccia è che la cartula sia stata consegnata a frate Leone subito

dopo la composizione delle Lodi al Dio altissimo e che in un secondo

tempo il compagno abbia chiesto a Francesco, che scrivesse sul verso

della pergamena la sua benedizione a personalizzare il dono delle

laudes. Il ricordo o, meglio, la sensazione profonda suscitata in lui dal

gesto di Francesco di affidargli la fissazione per scritto dei forti

sentimenti espressi in quella vibrante preghiera di lode venne poi

4

6A proposito delle caratteristiche della scrittura vedi BARTOLI LANGELI, Gli scritti, p. 114, 128-132, dove viene risottolineata la il parallelo con il cosiddetto “quadrato magico", conferita alla formula di benedizione dalla particolare disposizione delle parole e delle loro singole parti, che consente una lettura «circolare e pluridirezionale»; cf. ora ID, Gli autografi, pp. 17-19, 30-41.

registrata nella rubrica apposta più tardi dal destinatario. Il che

avvenne probabilmente tra il 1257 e il 1258, prima che la cartula fosse

consegnata a Benedetta, abbadessa del monastero di Santa Chiara in

Assisi: è l'ipotesi di Chiara Frugoni, che il Bartoli Langeli si sente di

avallare 7.

Nel frattempo la notizia dell’esistenza dei due testi aveva trovato

un primo riscontro nel Memoriale (Vita secunda), di cui Tommaso da

Celano completò la redazione nel 1248 e venne poi ripresa nel 1260

dalle due Legendae bonaventuriane 8. Si trattava solo di un accenno,

inteso a sottolineare il potere taumaturgico di quella benedizione, ma

bisognerà attendere parecchi decenni perché i due testi fossero

riprodotti per scritto, essi, infatti, non compaiono nella prima raccolta

degli Scritti di san Francesco, redatta mentre Tommaso da Celano

componeva il suo Memoriale e inserita nel codice assisano 338: il che

può sembrare strano, se si pensa che proprio frate Leone fu il

probabile organizzatore di tale raccolta 9. I due testi non compaiono

5

7C. FRUGONI, Francesco e l'invenzione delle stimmate. Una storia per parole e immagini fino a Bonaventura e a Giotto, Torino 1993, p. 76; cf. BARTOLI LANGELI, Gli scritti, pp. 108-110, che aggiunge giustamente che la cartula venne certo depositata presso il sacro convento di Assisi "dopo la redazione del ms. 338", dato che né le Laudes, né la benedizione vi sono trascritte; va però precisato che, quando venne ritta la raccolta dei testi di Francesco nel codice 338, la cartula era gelosamente conservata dallo stesso frate Leone che, quantomeno, collaborò ad operare quella raccolta: vedi in proposito quanto da me osservato in La raccolta di testi francescani.

8 Cf Memoriale, n.49, (cf. Fonti francescane. Scritti e biografie di s. Francesco d'Assisi. Cronache e altre testimonianze del primo secolo francescano. Scritti e biografie di s. Chiara d'Assisi, a cura di E. CAROLI, Terza edizione rivista e aggiornata, Padova 2011 [d’ora in poi FF], p. 490; Legenda maior, XI, 9, FF., pp. 680-681.

9 In proposito mi permetto di rimandare ancora al mio La raccolta di testi francescani.

neppure nei pochi codici che nei decenni tra lo scorcio del secolo XIII e

i primi del XIV trascrivono qualche testo del santo.

La riproduzione dei due autografi dovette attendere le

compilazioni dei primi decenni del secolo XIV, a partire da quella

contenuta nel manoscritto rinvenuto ed editato da Andrew George

Little nel 1914, nella quale lo sconosciuto autore della raccolta di testi

relativi a s. Francesco mostra il santo che consegna a frate Leone il

ritaglio di pergamena, sul recto della quale aveva scritto di suo pugno

le Laudes 10 . La Cartula era ormai emersa dall'ombra, in quanto era

esposta, sotto vetro, nella sacrestia del Sacro Convento di Assisi: ne

abbiamo notizia nel 1338, quando veniva redatto l'inventario delle

reliquie ivi custodite 11. Dunque fin dai primi decenni del secolo XIV

quella schedula era venuta in possesso del più importante e visitato

convento dell'Ordine, dove, come preziosa reliquia, era esposta allo

sguardo devoto dei pellegrini e all'osservazione dei visitatori.

Nel Sacro Convento appunto dovettero essere ricopiati i due testi

della Cartula dal raccoglitore delle informazioni su san Francesco, che

poi troveranno posto nei codici, che contengono la compilazione Fac

6

10 Cf. Un nouveau manuscrit franciscain ancien Philipps 12290 aujourd'hui dans la bibliothèque A.G. Little, decrit et étudié par A.G. LITTLE, in Opuscules de critique historique, III, 18, Paris 1914-1919, rist. anast. Assisi 2002 (Medioevo francescano. Reprints 1*) (riproduzione in francese di Description of the Franciscan Manuscript, formely in the Philipps Library, now in the possession of A. G. Little, in Collectanea Franciscana 1, edd. A.G. LITTLE, M.R. JAMES, M.H. BANNISTER, Aberdoniae 1914 [Britsh Society of Franciscan Studies, 5]), p. 70; per la descrizione della cartula e l’edizione delle Laudes vedi BARTOLI LANGELI, Gli scritti da Francesco, pp. 133-134, che, inoltre, fa notare la significativa variante nel testo dell'espressione posta in bocca al santo, rispetto agli analoghi racconti delle altre fonti.

11 L’inventario è contenuto nel ms Assisi 344, vedi BARTOLI LANGELI, Gli autografi, p. 17.

secundum exemplar, o Compilazione Avignonese 12 . Si tratta di un

complesso assieme di testi, ad introduzione del quale il compilatore

enuncia chiaramente l'intenzione di riunire nel più alto numero

possibile i disiecta membra della memoria di Francesco d'Assisi, ben

oltre, anzi in alternativa, agli elementi fissati dalla tradizione

ufficializzata, e in qualche modo cristallizzata, all'interno dell'Ordine

minoritico dalla Legenda di Bonaventura 13. In tale contesto trova posto

la più ampia collezione di scritti dell'Assisiate che sia stata compiuta

nei primi due secoli di storia francescana: sono diciassette scritti, fra i

quali anche i due contenuti nella Cartula: le Laudes Dei altissimi e la

Benedictio fratris Leonis, quest’ultima riprodotta due volte nella

compilazione 14 . Nello stesso torno di tempo i due testi vennero

trascritti in una raccolta di provenienza centroitalica, una

compilazione strutturata nell’ambiente riformistico dell’Italia centrale

7

12 Su tale compilazione e sui suoi contenuti vedi SABATIER, Compilation franciscaine d'Avignon, che trascrive anche l’edizione del prologo, l’inizio del quale ha dato il nome alla compilazione; lo stesso Sabatier (Sancti Francisci legendae veteris fragmenta) ha edito alcuni dei racconti contenuti nella compilazione (cf. CLASEN, Legenda antiqua, pp. 22-23, che alle pp. 172-176 fornisce l’elenco ordinato delle pericopi di cui è composta l’Avognonese (cf. ibid. Tafel F, pp. 13*-17* con l’elenco degli episodi contenuti nei singoli codici); sui diversi problemi riguardanti la compilazione, la trasmissione manoscritta le parziali edizioni, gli studi e i problemi della sua genesi e sviluppo vedi ora MENESTÒ, La «Compilatio Avenionensis»: una raccolta di testi francescani della prima metà del secolo XIV, “Studi medievali”, 44(2003), pp. 1423-1541.

13 Le intenzioni del raccoglitore sono ben evidenziate nel prologo (vedine la riproduzione in SABATIER, Compilation franciscaine d'Avignon, pp. 427-431).

14 Una prima volta viene inserita dopo i Nomina XII primorum fratrum Minorum, una seconda volta nella raccolta del corpus degli scritti di Francesco dopo le Laudes Dei altissimi. Si noti che la più ampia raccolta precedente di tali scritti, quella del codice Asssisano 338, trascrive solo dodici testi (vedi in proposito le tabelle in appendice a ESSER-OLIGER, La tradition , pp. 146-149 e cf. la tabella acclusa al mio La raccolta di testi francescani.

15 ed entreranno così definitivamente a far parte del corpus degli Scritti

del santo di Assisi.

L'alto e profondo valore autobiografico dei due testi contenuti

nella cartula venne dunque avvertito da chi s'impegnò a raccogliere le

memorie del santo, non appena i due scritti emersero dall'ombra, in

cui sembra averli consapevolmente tenuti il destinatario, frate Leone. I

due testi appaiono assolutamente caratteristici rispetto agli altri scritti

"privati" di Francesco: il verso della pergamena contiene quelle Laudes,

che, pur ricalcate sui testi biblici e liturgici, sono altamente

rappresentative di come Francesco traducesse in atteggiamento orante

l’angustia, che si avverte particolarmente profonda in quel preciso e

così significativo momento della sua esperienza umana e spirituale. La

tensione dialettica dei sentimenti e l'angoscia che ne derivava

sembrano perdere la loro carica dolorosa nel placarsi in un rapporto

diretto, personale e assolutamente rassicurante con Dio. La grafia

stessa, «tormentata e irregolare» - come ha giustamente osservato

Attilio Bartoli Langeli 16 - denuncia la difficoltà del momento.

Sta forse qui la risposta al quesito sul perché lo scritto sia stato

consegnato al compagno, autore della rubrica esplicativa. E pare così

capovolgersi l'interpretazione agiografica, secondo la quale

l’occasione della scrittura autografa e della consegna della cartula a

8

15I primi testimoni mss. giunti fino a noi di tale compilazione sono il codice del collegio romano di S. Isidoro 1/25 e quello del convento fiorentino di Ognissanti F. 19, l'uno e l'altro della seconda metà del secolo XIV; sugli Scritti del santo di Assisi contenuti in tale compilazione rimando al mio La trasmissione degli Scritti di Francesco d'Assisi, in Scritti, pp. 39-72; e vedi ora in ID., Gli scritti di frate Francesco, in Fancesco e i suoi agiografi, pp. 425 457.

16 BARTOLI LANGELI, Gli scritti, p. 114.

frate Leone sarebbe stato il momento difficile attraversato dal socius: la

maligna et gravis temptatio, non carnis, sed spiritus 17. A tale “tentazione”

non accennano affatto le note di mano di fra Leone. Secondo le

annotazioni del destinatario le Laudes rappresentano invece un inno di

ringraziamento a Dio, da parte di Francesco, pro beneficio sibi collato 18.

Il testo diventa così, nel momento e nell'atto stesso di consegnarlo al

socius, limpida testimonianza di un rapporto personale e profondo.

Presenze e assenze di scritti di Francesco nelle prime raccolte

assumono un significato particolare, che meriterebbe di essere

affrontato in tutti i suoi risvolti, ma non in questa sede, dove basterà

notare che gli autografi contenuti nella cartula, nonostante il loro

carattere di scritto personalissimo, sono costantemente inseriti in tutte

le raccolte di testi del santo, organizzate a partire dalla metà del secolo

XIV, mentre gli altri due testi di carattere "privato" - l'Epistula ad

Ministrum e quella ad Antonio - sembrano alternarsi nelle trascrizioni

9

17Così è detto sia nel racconto della raccolta del manoscritto Little (Un nouveau manuscrit franciscain, p. 70), sia nel Memoriale n. 49, sia nella Legenda maior XI, 9 (FFit., nn. 635, 1197); la magna tentatio andrebbe piuttosto riferita non a Leone, ma a Francesco, nel senso, come si è accennato sopra, di un momento di angosciosa tensione dialettica dei sentimenti, dovuta forse anche alle “difficoltà” ad accettare le modificazioni intervenute nella sua fraternità, con la quale si era instaurato un tormentato rapporto, che trova eco in più di una fonte e che s’intravede anche nelle recise prese di posizione del Testamento; in proposito vedi G.G. MERLO, Le stimmate e la “grande tentazione”, in ID., Intorno a frate Francesco. Quattro studi, Milano 1993, pp. 131-156.

18Vedi la trascrizione della ribrica in LAPSANSKI, The «cartula», p. 35 e il più recente studio di BARTOLI LANGELI, Gli autografi, pp. 31-32; ID., Gli scritti autografi, in FRANCESCO D’ASSISI, Scritti, pp. 108-109.

19. L'altro scritto "privato" di Francesco, la lettera a fra Leone, ebbe

fortuna ancora minore: se ne ebbe la prima notizia in una

riproduzione di frate Sivestro Bartolucci nel 1604 e una prima

edizione ad opera di Luca Wadding nel 1623, dopo di che lo scritto

andò disperso e solo all’inizio del secolo XX venne consegnato da

Leone XIII al Capitolo della Cattedrale di Spoleto 20.

La storia della tradizione manoscritta di un testo è condizionata

da diversi fattori e da fortuite contingenze, ma lo è soprattutto la

conservazione dei testimoni di tale tradizione, che è alla base dello

stato in cui i testi stessi sono giunti fino a noi. Lo studio degli

apparentemente strani percorsi della trasmissione degli scritti del

santo di Assisi insegna che tale trasmissione è regolata dalla

diversificazione degli interessi e delle attenzioni sollecitati dai motivi

ideali che animarono i diversi ambienti del francescanesimo nel corso

dei primi due secoli della sua storia 21.

2. La prima fraternitas alla Verna

10

19La lettera ad Antonio non viene riprodotta nei codici di area centro italica. E' un dato molto significativo: la lettera circolava nella provincia minoritica di Sassonia attraverso la compilazione avignonese, che aveva inserito lo scritto nel contesto di una breve serie di episodi relativi ad Antonio.

20 Per una precisa sintesi della vicenda della lettera vedi BARTOLI LANGELI, Gli scritti, pp. 110-113; ID., Gli autografi, pp. !9-20.

21 Mi permetto di rinviare in proposito a PELLEGRINI, Contesti, tempi e ambienti della diffusione di un testo: a proposito della tradizione manoscritta della prima Regola minoritica, in Roma, magistra mundi.1010 Itineraria culturae medievalis. Mélanges offerts au Pèr L. E. Boyle a l'occasion de son 75e anniversaire, édités par J. Hamesse, Louvain-La-Neuve 1998 (FIDEM. Textes et Etudes du Moyen âge, 10, 2)., pp. 667-685; ID, Gli Scritti di frate Francesco.

Nelle sue varie parti la cartula segnala un complesso gioco di

rapporti personali e di ricordi profondi, che sulla Verna sembrano

trovare l'ambiente più adatto per la realizzazione e l'espressione:

circostanze di tempo e di luogo di un'ideale fraternitas, nel contesto di

quella singolare convivenza di solitari, legati da forti e profondi

rapporti. Ma c'è anche lo scambio quotidiano che le fonti sembrano

emblematizzare nel gesto semplice - registrato nel racconto della

raccolta Little e riportato dal Memoriale di Tommaso da Celano e da

Bonaventura - di farsi portare chartam et atramentum, che lascia

intravedere la volontà di rendere possibile un rapporto costante e

profondo nella salvaguardia delle esigenze di una vita contemplativa:

il materiale scrittorio era, pur nella sua elementarità, lo strumento

adatto per la comunicazione reciproca.

Il ricorso alla scrittura era divenuto mezzo ordinario di

comunicazione per Francesco negli ultimi anni della sua vita, talché

«in ogni momento, pure in cammino, Francesco poteva dire,

specialmente a frate Leone: “portami carta, penna e inchiostro”;

oppure, “prendi carta, penna e inchiostro e scrivi”». In proposito ne

sarebbe «riprova la pronta disponibilità di materiali scrittori, anche

nelle condizioni che possiamo immaginare le più disagiate: si pensi

alla quaresima della Verna». L'osservazione, quanto mai opportuna,

trova sostegno nelle fonti dell’epoca ed è ben inserita nel contesto

delle consuetudini epistolari di quel periodo, con particolare

riferimento «al genere delle lettere monastiche» 22.

11

22 Ho riprodotto queste considerazioni da BARTOLI LANGELI, Gli scritti, p. 154-155.

Di fatto proprio lì, alla Verna tale materiale c'era e doveva essere

proporzionale al programmato tempo di soggiorno. Mi sembra che

non sia spingersi troppo in là nelle ipotesi pensare ad una quantità di

tale materiale, che consentisse quella comunicazione, anche con

l'esterno, di cui, però, non abbiamo traccia nelle fonti, che anzi

sembrano voler accentuare, e sublimare, l'assoluto isolamento di

Francesco; ma i testi agiografici sono tutti protesi a concentrare la loro

attenzione sul prodigioso fenomeno delle stimmate e sull’atmosfera di

solitudine che lo circonda. Unico spiraglio di qualche possibile

rapporto comunicativo è appunto il materiale scrittorio (charta et

atramentum), che Francesco chiede gli sia portato e la disponibilità di

tale materiale, che consente al socius di consegnargli la cartula, sulla

quale Franceso vergherà i due brevi scritti.

Le fonti stesse accennano, in modo più o meno esplicito, alla

presenza di altri socii alla Verna accanto a Francesco in quel settembre

del 1224. Leggendo tali fonti sembra di poter individuare l'esistenza di

una pur ridottissima fraternitas, in cui le occasioni d'incontro non

mancavano, e che si potrebbe immaginare organizzata sui moduli

proposti nella Regula pro eremitoriis: una fraternitas strutturata in modo

tale da garantire il più assoluto ritiro, anzi isolamento, ai frati che

fanno temporaneamente la loro esperienza eremitica, ma anche da

consentire gl’imprescindibili rapporti con l'esterno attraverso altri

frati a ciò deputati, in un'alternanza di funzioni, onde evitare qualsiasi

12

irrigidimento dei ruoli 23 . La presenza del materiale scrittorio alla

Verna mi pare in proposito molto eloquente, qualora si pensi che in

questi ultimi anni di vita Francesco comunicava soprattutto attraverso

lo scritto.

Ma seguiamo con ordine il succedersi delle indicazioni nelle fonti.

Abbiamo un primo accenno ad un gruppo di frati accanto a Francesco

nello testo agiografico redatto da Tommaso da Celano a quattro anni

di distanza dall’evento. Il biografo non indica un preciso luogo di

ritiro del santo quando, avendo deciso di «dedicarsi alla beata

solitudine della contemplazione [...], prese con sé pochissimi

compagni» (assumpsit secum socios valde paucos) 24. La testimonianza è

importante: all’agiografo non interessa, per il momento, segnalare con

esattezza un determinato ambiente, ma una situazione agognata e

cercata: locum quietis et secretum solitudinis petiit; termini pregnanti,

indicativi della ricerca di condizioni che avvolgano il santo,

consentendogli quella quies interiore, la quale sola gli può permettere

di penetrare nel secretum (separatezza, intimità profonda) dell’essere

solo con se stesso (solitudinis). A tale scopo il Celanese presenta e isola

accanto a Francesco un gruppetto di socii selezionato e omogeneo.

Sono «compagni, ai quali era noto, più che agli altri il suo santo modo

di vivere» (socii, quibus eius conversatio sancta magis quam caeteris nota

13

23Vedi il testo della Regula pro eremitoriis in FRANCESCO D’ASSISi, Scritti. Critice edidit C. Paolazzi, Grottaferrata (roma) 2009, pp. 344-345; mi permetto di rimandare in proposito al mio L'esperienza eremitica di Francesco e dei primi francescani, in Francesco d'Assisi e Francescanesimo dal 1216 al 1226 dal 1216 al 1226. Atti del IV Convegno internazionale (Assisi, 15-17 ottobre 1976), Assisi 1977 (Società internazionale di Studi francescani), pp. 281-313, pp. 293-299.

24Vita beati Francisci, n. 91, FF, p. 367; FFit., n. 479.

erat). Egli, inoltre, si sofferma sulle motivazioni di tale scelta: «perché

lo salvaguardassero dalle visite e dal disturbo degli uomini e fossero

custodi amorosi e fedeli della sua quiete» (ut tuerentur eum ab incursu

et conturbatione hominum et suam quietem in omnibus diligerent et

servarent Balza immediatamente agli occhi la coerenza con le

disposizioni della Regula pro eremitoriis: i compagni devono garantire

la solitudine orante e meditativa del santo, proteggendo Francesco dal

mondo esterno che rischia di turbare il suo impegno contemplativo.

Frate Tommaso raffigura il gruppetto raccolto attorno al santo come

una piccola fraternità connotata da rapporti di profonda e reciproca

fiducia, dunque una minuscola comunità accuratamente selezionata

sulla base degli intenti cui mira l’Assisiate nel suo «abbandonare le

folle che ogni giorno accorrevano devotamente a lui». Il racconto è

tutto mirato ad evidenziare il profondo bisogno di Francesco di ritirasi

nei contemplationis beatis secessibus. E' questo un punto chiave della

riflessione e interpretazione del primo biografo di Francesco:

un'interpretazione che nello sviluppo successivo dei motivi

agiografici, si manterrà costante, arricchendosi, di volta in volta, di

particolari, tutti funzionali a sottolineare la richiesta, anzi

l'imposizione da parte di Francesco di essere lasciato assolutamente

solo e indisturbato 25 . La narrazione del Celanese si snoda nel

presentare il protagonista in totale solitudine, mentre in

quell’indeterminato eremitorium si affida alle sortes apostolorum, cioè

14

25Si pensi solo ai particolari - sempre orientati in tale direzione - di cui si arricchisce il racconto nel capitolo 9 degli Actus beati Francisci (FF, pp. 2103-2109).

all’apertura del Vangelo per coglierne i suggerimenti-guida per quella

specifica circostanza 26.

Non siamo ancora alla Verna, o almeno l’agiografo non ne fa

menzione. C’è un’interruzione nello svolgersi degli avvenimenti tra

quel ritiro, protetto da pochi e scelti compagni, e l’improvvisa e

immediata esposizione del’evento della Verna. Tale interruzione è

segnalata anche dalle indicazioni cronologiche: l’agiografo fa

riferimento a un generico tempore quodam per il temporaneo soggiorno

nella solitudine eremitica con un ridottissimo numero di socii, mentre

dà una ben definita indicazione temporale (duobus annis antequam

spiritus Deo redderet) per l’asperienza delle stimmate alla Verna. Qui

veramente il santo appare assolutamente solo. Una solitudine

ricercata con cura, prima, ma soprattutto dopo la straordinaria

esperienza, i cui effetti visibili nel vivo della sua carne Francesco tiene

gelosamente celati: solo fortuite e fortunate coincidenze consentono a

un paio di frati la constatzione diretta. La solitudine anche psicologica

del santo è fortemente evidenziata nella rimarcata sottolineatura della

diffidenza nei confronti di quanti lo circondavano, ostentando un

falso apprezzamento 27.

Tommaso da Celano dà alla Verna la denominazione di

eremitorium: è l'unico caso nella prima fatica biografica del Celanese in

15

26Vita beati Francisci, nn. 92-93 ( FF., nn. 481-483).

27 Un’analisi attenta e critica della parte dedicata da Tommaso da Celano all’evento della Verna è stata condotta da G.G. MERLO, Le stimmate e la “grande tentazione”, in Id. Intorno a frate Francesco, Milano 1993, pp. 131-156: 142-152, che mette in evidenza i passaggi nei quali l’agiografo prospetta lo stato d’animo di Francesco e la sua interiore e conflittuale tensione nei confronti del «gruppo dirigente e di certi sviluppi dell’Ordine».

cui viene definito con tale termine uno specifico luogo di soggiorno di

Francesco. Ciò è tanto più significativo, in quanto è trasparente nelle

fonti successive la tendenza a caratterizzare le sedi romitoriali, in cui

vengono ambientati i singoli episodi, non con le connotazioni che

effettivamente avevano all'epoca di Francesco, ma sulla base delle

strutture ormai realizzate quando le stesse fonti vennero scritte. Nel

continuo e quasi inquieto muoversi di Francesco da un posto all’altro,

che lo porta fino alle terre d’oltremare, la Verna è l'unico luogo dove la

Vita beati Francisci colloca esplicitamente un prolungato soggiorno

dell’Assisiate. Un altro luogo con caratteristiche eremitiche, dove il

Celanese nella sua prima opera agiografica indica una sosta di

Francesco, è Sant'Urbano; l’autore lo segnala esplicitamente col

denominativo di eremo: cum tempore quodam apud eremum Sancti

Urbani egritudine gravissima laboraret 28. Si tratta di un vero e proprio

eremo minoritico, organizzato con una precisa struttura per

un'esperienza solitaria, funzionale alla preghiera meditativa, o non

piuttosto un generico ambiente solitario, dove Francesco tenta di

riprendersi dalla sua malattia? Difficile dare una risposta precisa,

tanto più che il ricordo di Sant'Urbano scomparirà nella seconda

biografia del Celanese, assieme all'altro luogo di possibile ritiro di

Francesco, l'isola del Trasimeno, mentre accanto alla Verna

emergeranno, come eremitoria, Poggio Bustone, Sarteano, Fonte

16

28Ibid., n. 61, FF, pp. 336-337; FFit., n. 429.

Colombo, Greccio; la stessa Porziuncola verrà ormai connotata come

tipico luogo di assoluto silenzio e di solitudine di stampo eremitico 29.

La Verna rappresenta negli anni immediatamente successivi alla

morte di Francesco, quelli della redazione della Vita beati Francisci, un

luogo forte della sua memoria, l'unico in cui si conserva il ricordo di

un soggiorno prolungato e altamente significativo. Per altri luoghi

vengono registrati singoli episodi, di cui pure è vivo il ricordo. Si

pensi a Greccio, dove si svolge la suggestiva scena del Natale, ma che

non è indicato come luogo di soggiorno di Francesco: è invece un

castrum, in cui il santo sosta periodicamente presso il nobile Giovanni.

A Greccio, secondo le informazioni del primo agiografo, venne ben

presto costruita una chiesa in onore di san Francesco. Nessun luogo di

culto pare fosse ancora edificato alla Verna.

Attraverso le fonti successive assistiamo alla progressiva

realizzazione di elementari strutture. Gli Actus beati Francisci – un

testo redatto in varie fasi tra gli anni Venti e Trenta del XIV secolo -

parlano di un pauperculum tugurium de ramis arborum, un capanno

preesistente alla venuta di Francesco, fatto costruire da Orlando di

Chiusi nel momento stesso in cui accompagnava, con una schiera di

armati, i due frati inviati da Francesco a ispezionare il luogo per

verificare se fosse «adatto alla contemplazione». Sempre gli Actus

informano che in seguito il santo vi avrebbe fatto aggiungere una

paupercula cella per sé e accennano alla cella di frate Leone, che è il

17

29Vedi PELLEGRINI, L'esperienza eremitica, 301-305. per la Porziuncola e per i singoli eremi vedi il mio I luoghi di frate Francesco, Milano 2010.

vero protagonista degli episodi della Verna narrati dagli Actus 30. La

Legenda Perusina o Compilazione di Assisi alla Verna parla di un luogo dei

frati con celle separate per alcuni di essi, compreso Francesco; l’autore

infatti precisa che una di tali celle, destinata ai pasti e coinvolta in un

incendio, «era lontano dal luogo dei frati» (longe erat a loco fratrum) 31.

È evidente in queste fonti tardive la tendenza a retroproiettare

all’epoca di frate Francesco il complesso delle strutture romitoriali,

per non dire conventuali, ormai realizzate, quando le fonti stesse

venivano redatte.

Tutto comunque anche in questi testi è proteso alla forte

sottolineatura della funzionalità assoluta della Verna e delle sue

elementari strutture abitative a garantire il profondo bisogno di

solitudine mistica di Francesco. Egli, però, non appare solo, se non

nella Vita beati Francisci, che pure preventivamente - accennando alle

abitudini del santo ad alternare la vita attiva e quella contemplativa -

precisa che, portandosi in quell’indistinto eremo, «prese con sé

pochissimi compagni» (assumpsit secum socios valde paucos), il compito

dei quali era quello di garantire l’assoluto isolamento del santo. Nella

sua prima fatica agiografica Tommaso da Celano non solo evita di

dare una denominazione a quell’eremo, ma non fornisce alcun

elemento d’identificazione di tali socii, che i successivi racconti

agiografici pongono accanto a Francesco sulla Verna, ne fanno

18

30 Actus beati Francisci, cap. 9, (Fontes franciscani, a cura di E. Menestò, S. Brufani, G. Cremascoli, E. Paoli, L. Pellegrini, Stanislao da Campagnola. Apparato critico della fonti a c. di G. M. Boccali, S. Maria degli Angeli-Assisi 1995, p. 2105).

31 Compilazione di Assisi, n. 87, (FF, n. 1622).

emergere progressivamente i nomi e ne fissano i ruoli attivi a loro

assegnati. Una prima precisazione si riscontra nel racconto delle sortes

apostolorum, che la Legenda bonaventuriana - pur ricalcando, in parte

anche espressivamente, la Vita beati Francisci - colloca direttamente alla

Verna; anzi Francesco non apre da sé il libro dei vangeli, ma ne affida

l’incarico a un compagno 32 . Rilievo ancora maggiore, e da veri

protagonisti, acquistano i socii nel seguito del racconto della visione

del serafino: dopo l'impressione delle stimmate, narra Bonaventura,

Francesco vocavit aliquos ex fratribus, tra essi frate Illuminato, il quale

risolve in positivo il dubbio di Francesco sull'opportunità di rivelare

l'evento 33. L’agiografo non precisa le circostanze di tempo e di luogo,

anche se tali circostanze potrebbero essere lasciate intendere dal fatto

che il racconto è inserito tra l'evento della stimmatizzazione e la

discesa di Francesco dalla Verna, dopo la quaresima in preparazione

alla festa di San Michele. Questo racconto, che ha come prima

testimonianza scritta la Legenda di Bonaventura, verrà ripreso

nell’aggiunta successiva, o appendice a I Fioretti, dal titolo Delle sacre

sante istimate del beato Francesco e delle loro considerazioni 34 . La

testimonianza è tardiva, ma non per questo inattendibile. A renderne

problematica l’attendibilità è semmai il confronto con l’insistito

accenno della Vita beati Francisci di Tommaso da Celano a proposito

degli accorgimenti di Francesco per occultare le stimmate, persino ai

19

32Legenda maior, XIII, 2, (FF, n. 1224).

33 Ibid., XIII, 4, (FF, n. 1227).

34 Delle sacre sante istimate (FF, n. 1922).

suoi propinqui e familiares 35. La contraddizione è evidente e stridente,

pare avvertirla lo stesso Bonaventura, che, in coerenza con quanto

affermato dal Celanese – fonte quasi unica dalla quale l’autore attinge

le sue informazioni, che poi rielabora per adattarle alle esigenze della

sua revisione della vita e dell’esperienza di Francesco - segnala che il

santo, « benché in altre circostanze fosse solito dire: il mio segreto

resta in me» (licet alias dicere solitus esse: secretum meum mihi), in quella

specifica circostanza cum multo timore riferì della visione.

Altri due nomi vengono inseriti nel trecentesco racconto degli

Actus beati Francisci: quelli di frate Masseo e di frate Angelo 36 . Ma

quale valore attribuire ai racconti di fra Ugolino da Monte Santa

Maria (oggi Montegiorgio), che tra gli anni Venti e Trenta del Trecento

compilò da fonti diverse gli Actus? La sua credibilità è quanto meno

problematica, data l'evidente tendenza ad amplificare a dismisura il

meraviglioso in una molteplicità di eventi mirabili e in una nutrita

serie di particolari, che tendono a evidenziare lo strettissimo rapporto

tra il santo e frate Leone, rappresentato nel ruolo di coprotagonista,

attivo fino all'indiscrezione, accanto a Francesco. Si rilegga il lungo

passaggio in cui il fido compagno assiste a diversi fenomeni di

levitazione del santo nella solitudine contemplativa della Verna.

L’autore di questa parte degli Actus avalla con la testimonianza del

socius di Francesco la veridicità degli episodi inseriti nel periodo di

soggiorno di Francesco alla Verna. Ma il narratore elenca gli

20

35Vita beati Francisci, nn. 95-96, (FF, nn. 486-487); Memoriale., nn. 135-139 (FF, nn.719-720).

36 Al racconto della Verna è dedicato il capitolo 9 degli Actus beati Francisci, Fontes franciscani, p. 2105-2009.

intermediari che trasmettono la notizia: da Leone a Giacomo della

Massa, da costui a Ugolino da Montegiorgio, per raggiungere infine,

attraverso frate Ugolino, il narratore degli Actus, o almeno dei racconti

in questione. La catena delle testimonianze lascia ampio spazio a quei

processi d’amplificazione, anzi di distorsione, propri del passaggio

delle notizie di bocca in bocca, o, se si preferisce, da testimone a

testimone, dato che la clausola di questi racconti negli Actus ha

proprio lo scopo di avvalorare i racconti stessi con precise garanzie

testimoniali.

Un altro socius è segnalato sulla Verna accanto a Francesco, frate

Silvestro, il cui nome risulta dalla Lettera di frate Masseo, che si dilunga

nel riferire il saluto o, meglio, l’addio di Francesco alla Verna, nel

momento di lasciare il luogo, raccomandando che non fosse mai

abbandonato dai frati 37 . Lo scritto è con tutta evidenza una tarda

amplificazione di un racconto dei Fioretti, o, per essere più precisi,

della parte conclusiva della terza fra le Cinque considerazioni delle sacre

sante istimate, le quali sono un’aggiunta al testo degli Actus, di cui I

Fioretti sono un libero volgarizzamento 38. La falsificazione era stata

già ampiamente dimostrata, quando nel 1924 il frate Minore Saturnino

Mencherini redigeva la sua preziosa raccolta dei documenti alvernini

21

37 MENCHERINI S. (SATURNINO DA CAPRESE), Codice diplomatico della Verna e delle SS. Stimmate di S. Francesco d'Assisi nel VII centenario del gran prodigio, Firenze 1924 (Documenti francescani III), (d’ora in poi M) pp. 4-6

38 Delle sacre sante istimate, FF.it, n.1924.

nel Codice diplomatico della Verna 39 . Questo testo tardivo venne

probabilmente elaborato, assieme ad altri, nel secolo XVII allorché

l'osservante sardo, Salvatore Vitale, collezionava il materiale a

supporto di quanto andava narrando e descrivendo nella sua opera

Monte serafico della Verna, pubblicata infine a Firenze nel 1628.

Abbiamo percorso tutto il cammino attraverso le fonti, nel

tentativo di cogliervi indizi sulla composizione e strutturazione del

gruppetto minoritico sulla Verna nell'agosto-settembre 1224. Dalla

prima testimonianza, quella di Tommaso da Celano ai racconti degli

Actus corre quasi un secolo. Un periodo di tempo, che gli Actus

cercano di colmare con la concatenazione dei testimoni. Dobbiamo

riconoscere che le fonti sono tra loro tutt'altro che ripetitive: da quegli

innominati socios valde paucos del Celanese, si giunge ai quattro

distintamente nominati e ben noti socii degli Actus. Un percorso

narrativo delle fonti, attraverso il quale si vanno progressivamente

profilando strutture e ruoli dell'unico, tra i luoghi di passaggio o di

soggiorno di Francesco, che già nel 1228 Tommaso da Celano aveva

22

39 La falsificazione sembra fuori discussione anche per CRESI, Supplemento, p. 447, che pur sostiene che la tradizione, di cui il documento è espressione, sia "degna di fede"; mi permetto di esprimere qualche perplessità, visto che le pezze d'appoggio a sostegno dell'attendibilità di tale tradizione sono appunto il racconto o, meglio, l’accenno contenuto ne I Fioretti di S. Francesco e l'attento, ma certamente non contemporaneo, cronista Mariano da Firenze. Il che sia detto senza voler utilizzare la contemporaneità come criterio unico di attendibilità, ma quando un testo è stato redatto a tre secoli di distanza dagli eventi bisognerà pur vagliare le fonti da cui ricava le notizie. In questo caso non si possono ipotizzare altre fonti, se non appunto i Fioretti ed eventualmente una copia più antica, rispetto a quella che conosciamo, della supposta lettera di fra Masseo: come si vede c'è il rischio di una petizione di principio. Da notare che lo stesso Mencherini aveva precedentemente preso posizione nei confronti del Minocchi e in difesa dell'autenticità della lettera (SATURNINO DA CAPRESE, L'addio di S. Francesco), salvo poi ricredersi e dare ragione allo studioso casentino (cf. M, p. 7).

configurato come un vero e proprio eremitorium, benché limitato

cronologicamente al periodo in cui Francesco vi trascorse la quaresima

di San Michele, durante la quale ebbe la straordinaria esperienza della

stimmatizzazione.

3. Verso un insediamento minoritico stabile

Anche nel caso della Verna e delle strutture originariamente

costituitevi per consentire periodi di sosta contemplativa, le fonti

vanno lette con avvertenza critica e le informazioni che forniscono

esigono più di una cautela. Nel caso specifico della Verna, però, e delle

povere e semplici strutture abitative si nota un certo rispetto per i dati

della memoria: ad un attenta lettura delle informazioni circa il

gruppetto di socii, che si trovano accanto a Francesco nella quaresima

extra liturgica del 1224 e a proposito delle elementari strutture di

accoglienza, al di là di alcune precisazioni che vengono inserite

progressivamente nelle fonti agiografiche, non si vede una diversità

fra le indicazioni offerte da Tommaso da Celano nel 1228, e le

informazioni tardive degli Actus e della Compilatio Assisiensis. L’unica

differenza notevole in quest’ultimo testo, rispetto alle altre fonti, è

l’inserimento dell’indicazione di un locus fratrum, improbabile

all’epoca del soggiorno di Francesco. Semmai va notato come nelle

fonti più tarde si sviluppi una trama di racconti intessuti di

meraviglioso in risposta all’insorgere, nei frati e nel popolo,

dell’esigenza di fatti prodigiosi, anch'essa legata al tenace e incisivo

ricordo di un evento straordinario. Ma lo sviluppo di tale trama

23

narrativa non modifica i dati relativi alle modalità di vita e di

relazione di quel primo gruppetto.

Un semplice confronto con quanto è narrato a proposito

dell'eremo di Greccio è illuminante. Tommaso da Celano indica che in

seguito alla celebrazione del Natale da parte di Francesco venne

costruita una chiesa. Lo stesso Celanese nel Memoriale del 1246

modifica le prospettive, trasformando Greccio in un vero e proprio

insediamento eremitico, dove ambienta alcuni episodi che hanno a

protagonista il santo di Assisi. Presenta così un eremo ben articolato

nelle sue strutture abitative: c'è un luogo apposito per la mensa, vi

sono celle, c'è una porta d'ingresso al romitorio 40 . La Compilatio

Assisiensis è ancor più meticolosa nell'indicare la cella dove dimorava

Francesco: è la cella ultima post cellam maiorem et antiquam, nella quale

dormiva il suo socius; la cella del santo è appartata rispetto al

complesso romitoriale, in quanto vi è interposto un atrio 41 . E'

evidente che sia Tommaso da Celano nel 1248, sia l'anonimo

compilatore nei primi decenni del secolo XIV, o il testo da cui preleva i

suoi racconti, descrivono l'insediamento quale si presentava all'epoca

in cui scrivevano. Per La Verna invece i ricordi relativi all'ambiente e

ai suoi essenziali abitacoli, come pure al piccolo gruppo di socii, che è

accanto a Francesco, sembrano fissati al momento in cui si svolsero i

fatti, benché gli episodi ambientati alla Verna si vadano moltiplicando,

amplificando e rivestendo di meraviglioso.

24

40Memoriale, n. 61, AF, pp. 167-168; (FF, n. 647).

41Compilatio Assisiensis, n. 119, (FF, n. 1673).

Eppure le strutture abitative e la stessa composizione della

fraternità minoritica alla Verna avevano subito nel frattempo

numerose e notevoli trasformazioni, di cui ci limiteremo a ripercorrere

la vicenda soltanto per giungere a una miglior definizione del primo,

stabile insediamento dei frati Minori. In proposito la più antica fonte

documentaria risale a una quindicina d’anni dopo l’evento delle

stimmate: il 16 giugno 1239 Marcellino, vescovo di Arezzo, emetteva

un diploma, con il quale concedeva quaranta giorni di indulgenza a

chiunque direttamente o indirettamente sostenesse con le proprie

elemosine i frati della Verna 42. Il documento è dunque una lettera

d’indulgenza, formulata secondo le norme restrittive per tali

interventi, stabilite da oltre un ventennio dal concilio Lateranense IV

del 1215. Tutto sembra assolutamente normale. Singolare è l'occasione

offerta ai fedeli per lucrare l'indulgenza: non la dedicazione di una

basilica, o il suo anniversario, secondo quanto previsto esplicitamente

dalle disposizioni conciliari, ma l'elemosina fatta ai frati, una delle

circostanze, pur non esplicitamente previste, per le quali il concilio

aveva raccomandato estrema moderazione nell'elargire indulgenze 43.

Esaminiamo il diploma episcopale nelle sue diverse articolazioni

e negli specifici contenuti. L'arenga che introduce la lettera - Quoniam

ut ait Apostolus seguita da una citazione, che accosta un passaggio

della lettera ai Romani (14,10) a una citazione dalla Lettera ai Corinti (5,

25

42Edita in M, pp. 13-14.

43Cf. Conciliorum oecumenicorum decreta, a c. di G. ALBERIGO (e altri). Edizione bilingue, Bologna 2002 p. 263-264; Vedi in proposito «Misericorditer relaxamus». Le indulgenze fra teoria e prassi nel Duecento, a cura di L. PELLEGRINI e R. PACIOCCO, “Studi medievali e moderni” 3, 1(1999), passim.

10) - era stata indicata e prescritta dal canone 62 del concilio

Lateranense del 1215 per i casi in cui i vescovi volessero autorizzare e

sostenere, con relativa indulgenza, la richiesta di elargizioni allo scopo

di favorire la venerazione delle reliquie e l’ampliamento degli spazi

sacrali che le contengono 44 . Di fatto il diploma è rilasciato per

incrementare la raccolta delle elemosine, anzi col preciso ed esplicito

intento di sollecitare la generosità dei fedeli. In esso, però, non vi è

alcun accenno a reliquie, o a eventi venerandi, collegati alla Verna. La

denominazione data al luogo non è indicativa di alcun particolare

carattere sacrale, come invece si può riscontrare nei successivi

documenti, a partire dal 1250. Il diploma episcopale usa la semplice

denominazione saxo de Verna. La sua attenzione è tutta concentrata sui

«frati Minori che dimorano [alla Verna]» (fratres Minores [ibi] morantes),

sulla loro estrema e volontaria povertà, talché «a causa della

solitudine del luogo non avevano di che sostentare la loro miserevole

vita» (propter ipsius loci solitudinem non habeant unde valeant eorum vitam

miserabilem sostentare). Estrema e penuriosa povertà e grande

solitudine: una situazione che non adombra assolutamente più o

meno immaginari afflussi di pellegrini, che accorrono alla Verna per

venerare il luogo delle stimmate.

C'è invece una comunità religiosa - non sappiamo di quali

dimensioni - la cui sopravvivenza va salvaguardata ad ogni costo. E

qui sta la ragione vera e profonda per la quale il vescovo rilascia il suo

diploma e concede l'indulgenza, singolare per le circostanze

26

44Conciliorum oecumenicorum decreta, p. 263.

specifiche, non per l'entità, che si mantiene rigorosamente entro i

limiti fissati dal Lateranense IV. L'indulgenza serve ad incoraggiare i

fedeli non perché visitino un luogo particolarmente sacro, ma perché

portino o facciano portare elemosine a sostentamento dei frati. C'è nel

documento un altro dato interessante: i frati si recano per la questua

nelle località della diocesi e il diploma episcopale serve non solo da

lettera di presentazione e autenticazione dello status di appartenenza a

quella comunità, ma come sollecitazione ai prelati ecclesiastici per

un'accoglienza cordiale e affinché diano garanzie sui frati stessi ai

propri fedeli. Il vescovo esorta i prelati a sollecitare diligentius il

popolo ad essi affidato, affinché sia generoso con i frati. Vi è un altro

particolare interessante: l’invito ai fedeli a recarsi alla Verna. Nel

rivolgere tale invito, però, il diploma episcopale non fa alcun, benché

larvato, accenno a qualsiasi carattere di pellegrinaggio, che debba, o

possa assumere la salita a quel monte: manca persino quell'avverbio

devote, che viene normalmente utilizzato in simili casi. L'invito sembra

unicamente orientato a rompere l’isolamento che mette a repentaglio

la sopravvivenza della giovane comunità alvernina.

Quale motivo spinse il vescovo a interesarsi delle condizioni di

vita del gruppo minoritico residente alla Verna? Il presule Marcellino

era stato trasferito dalla cattedra episcopale di Ascoli a quella di

Arezzo nel 1236. In quegli anni egli appare affaccendato in impegni

ben più gravi e urgenti, preso com’è nel vortice del contrastato

rapporto con le emergenti forze comunali e con il riottoso gruppo dei

suoi vassalli, tra i quali c’erano anche i signori di Chiusi, cioè quel

27

dominus Orlandus de Clusio, che le fonti minoritiche del Trecento

presentano in qualità di donatore del monte della Verna a Francesco e

che il successore di Marcellino priverà del feudo per infedeltà al suo

signore; avremo modo di vederlo con maggiori dettagli. Il vescovo era

coinvolto a pieno tempo negli spinosi problemi dello scontro fra la

curia papale e Federico II, sul quale proprio in quell’anno 1239 si era

abbattuta la definitiva scomunica di Gregorio IX; Marcellino infatti

assieme al ruolo di vescovo d’Arezzo, deteneva quello di rettore della

Marca, dove era impegnato a contrastare le forze politiche aderenti

alla parte imperiale. In tale veste nel 1248 si troverà a comandare le

truppe pontifice sul campo di Osimo: sconfitto, verrà catturato e fatto

giustiziare dall’imperatore, come ribelle 45 . Per concretizzare il suo

impegno accanto al pontefice nella lotta contro l’imperatore e nel

tentativo di incanalare in tale direzione le forze della città e del

contado, era importante contare su alleati attivi e influenti, quali erano

appunto i frati Minori, forti di numerose e corpose presenze nella

diocesi di Arezzo: presso la città episcopale i Minori nel 1232 - pochi

anni prima dell’elezione di Marcellino alla cattedra episcopale aretina

- avevano trasferito il primitivo insediamento, inizialmente ubicato

forse presso l'ospedale de Ponte «nel borgo fuori città», a Monte del

28

45Sulle problematiche relative ai rapporti tra il comune aretino e la nobiltà locale vedi TABACCO, Nobiltà e potere ad Arezzo in età comunale, "Studi medievali", 3a serie, 15(1974), pp. 1-24; per quanto riguarda specificamente il vescovo Marcellino si veda PASQUI, Documenti per la storia della città di Arezzo nel medioevo, II, Firenze 1916, (Documenti di storia italiana, 14), IV, Croniche (secolo XIV-XV), Arezzo 1904, pp. 283-284; nel II volume della stessa opera sono riportati diversi documenti riguardanti Marcellino; per un sintetico profilo biografico vedi TAFI, I vescovi di Arezzo, Cortona 1986, pp. 69-70; di ulteriori informazioni sul vescovo aretino sono debitore a G.P. Scharf, che ha condotto una ricerca su Potere e società ad Arezzo nel XIII secolo (1230-1300) per la sua tesi di dottorato, che mi ha consentito di consultare.

Sole, a ridosso delle mura urbane 46 . Nel territorio diocesano di

Arezzo erano dislocate altre sedi minoritiche: si era ormai consolidato,

per volontà del ministro generale, frate Elia, il romitorio delle Celle,

presso Cortona, e si andavano strutturando altri insediamenti dei frati

Minori, come quello di Castiglion Fiorentino 47 . Non mancavano

consolidate presenze minoritiche, alle quali chiedere il sostegno contro

gli avversari; essi potevano, inoltre, essere punti di riferimento per

rianimare e controllare la vita e le rinnovate esperienze religiose dei

laici, allo scopo di incanalarle entro alvei sicuri e funzionali al

controllo da parte della gerarchia ecclesiastica.

In tale quadro cosa rappresentavano i fratres Minores in Saxo de

Verna morantes? Quello della Verna è l'unico insediamento minoritico

documentato nella prima metà del secolo XIII tra il Casentino e l’alta

valle Tiberina 48. L'accenno della lettera episcopale al fatto che essi si

aggirino per le questue risulta in proposito indicativo: oltre fornire

elementi per evidenziare aspetti particolari della vita dei componenti

la comunità alvernina, chiarisce il senso dell'intervento episcopale a

sollecitazione della generosità nei confronti di tali frati. Non si tratta

di un gruppo di solitari, che vivono la propria esperienza religiosa nel

29

46 Vedi in proposito NICO OTTAVIANI, Francesco d'Assisi e francescanesimo in territorio aretino (secc. XIII-XIV), Arezzo 1983, pp. 25-29.

47Per un quadro complessivo con i riferimenti alla relativa documentazione e bibliografia cf. ivi, pp. 47-60; per la problematica relativa al progressivo sorgere, svilupparsi e consolidarsi delle sedi minoritiche in Toscana mi permetto di rinviare anche al mio Per una discussione sui primi «insediamenti francescani» in Toscana, in La presenza francescana nella Toscana del '200, Firenze 1991 (Quaderni di vita e cultura francescana, 1) pp. 63-79.

48 Cf. NICO OTTAVIANI, Francesco d'Assisi e francescanesimo, pp. 52-53; l'altra sede minoritica, quella di Poppi, appare documentata solo a partire dagli anni Sessanta del secolo.

più assoluto isolamento: essi hanno, anzi si procurano numerose

occasioni di contatto con la gente in un ambito d’azione, che va ben al

di là dell'angusto spazio del romitorio, nei cui dintorni, per un raggio

abbastanza ampio, non vi sono altre sedi minoritiche. Essi, è vero, non

risultano impegnati in un'azione pastorale, se non quella che

indirettamente può derivare da una testimonianza di vita vissuta

all'insegna della sequela di Cristo nella povertà. Lo evidenzia

l'immagine usata in proposito nella parte centrale del documento (la

narratio) che, attingendo al più alto livello tra i modelli della

tradizione monastica, presenta i frati della Verna ad esempio vivente

del nudi nudum Christum sequi 49. Il senso dell’intervento episcopale è

tutto orientato a consentire la sopravvivenza di una testimonianza,

imprescindibile, o almeno estremamente importante in quanto polo di

riferimento per la vita cristiana dei fedeli di una vasta porzione della

diocesi. L'elemosinare dei frati, lungi dall'essere considerato una

fastidiosa intrusione nel contesto dei rapporti tra il clero e i fedeli e

un'attività anomala per chi si è dedicato alla vita contemplativa, viene

accolto dal presule come impegno coerente alla scelta di povertà, che

esige risposte positive da parte dei responsabili delle chiese e dei loro

fedeli. L'intervento episcopale induce a supporre diffidenze da parte

del clero e del popolo, proprio perché doveva funzionare da

documento di identificazione per i frati - che si può supporre

sollecitato dagli interessati - destinato a salvaguardarli da qualsiasi

30

49Su questo tema e sui relativi passi delle fonti patristiche e medievali vedi R. GREGOIRE, L'adage ascetique "nudus nudum Christum sequi", in Studi storici in onore di O. Bertolini, I, Pisa 1972, pp. 395-409.

angheria o da atteggiamenti di diffidenza e a garantire il loro stretto e

leale rapporto nei confronti della suprema gerarchia ecclesiastica

diocesana. S’intravedono dunque quelle difficoltà e situazioni di

precarietà, nelle quali si dibattevano le sedi eremitiche dei frati

Minori, a fronte del vivace attivismo dei loro insediamenti urbani, ma

viene rimarcata anche la loro funzionalità religiosa, riconosciuta

ufficialmente dall’autorità ecclesiastica.

La comunità della Verna era di recente costituzione, benché sulle

sue origini sia possibile formulare solo vaghe ipotesi. Possiamo

soltanto notare una coincidenza: il diploma episcopale venne

rilasciato nel contesto di prese di posizione contraddittorie, anzi

antitetiche all'evento straordinario della stimmatizzazione. Da almeno

un paio d'anni si era scatenata una polemica, senza esclusione di colpi,

sull'autenticità di tale evento, con ripercussioni ad ampio raggio: ne

siamo documentati anche per la Moravia. Ce lo testimoniano tre

lettere di Gregorio IX, una delle quali è indirizzata al vescovo di

Olomuc, un'altra ai superiori dei frati Predicatori, affinché prendano

provvedimenti nei confronti di un frate del loro Ordine, il quale era

giunto a minacciare la scomunica in nome del pontefice ai frati Minori

che avessero sostenuto la veridicità delle stimmate di Francesco; la

terza è rivolta a tutti i fedeli e assume il carattere di conferma

autorevole della verità dello straordinario fenomeno, presentato come

motivo precipuo della canonizzazione di Francesco 50 . È stata

tramandata anche una lettera dello stesso pontefice, che contiene la

31

50 M, pp. 8-13; cf. BF, I, pp. 211-214.

concessione d’indulgenze a chi visiti La Verna e le altre chiese

dell'Ordine il 17 settembre 51, ma si tratta evidentemente di un falso,

dato che la festa delle Stimmate (17 settembre appunto) venne istituita

da Benedetto XI nel 1304 52.

Quando il vescovo di Arezzo emette il suo diploma, il problema

delle stimmate aveva suscitato accesi dibattiti, che avevano coinvolto

non solo frati Minori e Predicatori, ma qualche esponente dell’autorità

ecclesiastica e lo stesso pontefice. Forse in tale contesto si costituì la

comunità alvernina, quasi una risposta a dubbi e polemiche; l'Ordine

minoritico, o almeno un gruppo di frati, mostra così di voler serrare le

fila attorno al luogo dell'evento, per conservarne e consacrarne la

memoria. Di tale evento, però, nel documento episcopale non vi è

neppure il più larvato accenno. Quello che conta per il presule aretino

- e anche per noi in questa sede - era la comunità minoritica stabilita

alla Verna. Una comunità che probabilmente proprio allora si stava

organizzando in strutture abitative stabili, dopo un probabile periodo

di soggiorni temporanei 53, che non hanno ovviamente lasciato alcuna

traccia, neppure, lo si è visto, nelle fonti biografiche di Francesco, a

differenza di quanto era avvenuto per altri eremi minoritici.

32

51 L’unica testimonianza su tale lettera pontificia è il tardivo riferimento di Marco da Treviso nel 1428 (cf. M, pp. 12-13).

52 Cf. WADDING Annales Minorum, p. 44; si noti che nelle tre lettere per La Verna Innocenzo IV non ricorda la festa delle Stimmate fra le varie, per le quali concede l'indulgenza..

53Arthur Fisher avanza l'ipotesi che in un primo tempo i frati non risiedessero alla Verna in periodo invernale e che le prime strutture di caratere conventuale siano state avviate negli anni Cinquanta del secolo XIII (FISHER, The observants' transformation of the convent of La Verna, "Collectanea Franciscana", 51(1981), pp. 107-149: 109-112, a nota 10 l’autore discute le ipotesi degli studiosi precedenti).

4. Un santuario in divenire

Negli anni immediatamente successivi al diploma episcopale

vanno sorgendo le prime costruzioni. Lo testimoniano una serie di

lettere di Innocenzo IV, a partire dalla Quoniam ut ait del 17 novembre

1250, indirizzata Universis Christi fidelibus 54 . Non mi dilungherò a

discutere se l'oggetto dell'indulgenza concessa dal pontefice fosse la

costruzione, o - come è stato sostenuto - l'ampliamento-

prolungamento della chiesetta preesistente, che sarebbe stata fatta

costruire da Francesco 55 . Accantonando il favoloso racconto dei

Fioretti e le tardive affermazioni di Mariano da Firenze che narrano

del santo, intento a costruire la chiesetta, prendiamo in considerazione

33

54M, pp. 14-15.

55Che si trattasse, non della prima costruzione, ma semplicemente di un ampliamento e prolungamento della preesistente chiesa di Santa Maria degli Angeli è vigorosamente sostenuto da MATTEUCCI, La Verna di frate Francesco e della sua prima gente poverella, Santuario della Verna 1964, pp. 137-143; alle pp. 94-97 le indicazioni delle fonti dalle quali si ricaverebbe la prova della costruzione della primitiva chiesa ad opera di Francesco; tali fonti sono Mariano da Firenze e «il simpatico racconto dei Fioretti»; viene persino fissata (pp. 103-108) la data di tale costruzione, 1216-1218, data che viene ricavata sulla base della ricostruzione secentesca di Monte Serafico della Verna nel quale N. Sig. Giesù Cristo impresse le Sacre Stimmate nel verginal corpo del Serafico P. S. Francesco, descritto dal R. P. E. Salvatore Vitale, Sacerdote, Predicatore della Regolare Osservanza de' Frati Minori della santa Provincia dei Sardigna, Firenze 1628, a proposito del quale basterà qui riproporre il giudizio del Cresi: «Salvatore Vitale pubblicò tra il 1626 e il 1630 quattro opere sulla Verna, che per la storia del santuario non sono un progresso, ma un regresso», salvo poi citarlo come unico riferimento a sostegno della costruzione della prima chiesa ad opera di Francesco (CRESI, Per la storia "Studi francescani", 59(1962), pp. 391-399, specificamente p. 391, note 6, 8; si noti che il Cresi stesso è ancor più netto nel suo giudizio negativo sul Vitale: «è provato, purtroppo, che il Vitale, più che ai documenti d'archivio si appoggiava alla propria fantasia», Supplemento al "Codice diplomatico della Verna e delle SS. Stimmate" di P. Saturnino Mencherini, "Studi francescani”, 60(1963), pp. 446-455: 444-448 ).

la lettera di Innocenzo IV; essa è il primo documento che accenni a

lavori edilizi alla Verna.

I termini del documento pontificio mi sembrano inequivocabili: «i

diletti figli ministro e i frati dell’Ordine dei Minori del santo monte

della Verna nella diocesi di Arezzo hanno iniziato a costruire, come ci

è stato riferito, una chiesa con altri edifici, adatti alle loro esigenze, in

cui poter celebrare le divine lodi» 56. Si tratta dunque dell’avvio della

costruzione della chiesa per il servizio liturgico e degli ambienti

conventuali. Con il consueto formulario, Quoniam ut ait, il pontefice

concede i soliti quaranta giorni di indulgenza ai fedeli che

concorreranno, affinché l'opera venga portata a termine. C'è nella

lettera pontificia qualcosa di più interessante: per la prima volta, viene

sottolineata in un documento la sacralità del monte, mons sanctus

Averne, benché non vi sia alcun riferimento specifico ai motivi di tale

sacralità, che dunque sembrerebbero dati per scontati e ben noti. Il

successivo documento rilasciato dal pontefice in data 3 dicembre dello

stesso anno 57 non sembra confermare tale ipotesi. Leggiamo la

narratio:

34

56 Dilecti filii minister et fratres Ordinis Fratrum Minorum montis sancti Averne Aretine diecesis, ibidem, sicut accepimus, ecclesiam cum aliis edificibus suis usibus opportunis ceperunt construere, in qua divinis possint laudibus deservire; il Matteucci propende per una preesistente costruzione in muratura di elementari strutture abitative per i frati, contro il parere dello stesso Mariano da Firenze (MATTEUCCI, La Verna, pp. 149-152; cf. anche FISHER, The Observants' transformation, pp. 109-110: con discussione su chiesetta fatta costruire da Francesco).

57 M, p. 216; questo documento è stato edito per la prima volta da F.A. DE LATERA, Ad Bullarium Franciscanum ... supplementum, Romae 1780 (rist. anast. USA Nabu Press. 2011), pp. 25-26.

«Benché tutti i luoghi del vostro Ordine siano sotto la protezione

della sede apostolica, tuttavia noi portiamo un particolare affetto al

luogo nel quale voi vi siete dedicati al servizio di Dio; questo

soprattutto perché il beato Francesco, istitutore del vostro Ordine,

quando era ancora rivestito di carne mortale, dimorava volentieri

in quel luogo, lontano dall’abitato, per servire il Signore» 58.

Nessun benché minimo riferimento alla stimmatizzazione, in

compenso il documento sembra indicare un'assidua frequentazione

della Verna da parte di Francesco. Tale il motivo esplicito della

concessione di una speciale protectio apostolica. Dunque il luogo è

particolarmente sacro e con esso il pontefice stabilisce un legame

privilegiato sulla base di una ormai consolidata tradizione di soste

(frequenti e prolungate? libenter morabatur) di Francesco. Il pontefice

due giorni dopo invia dilectis filiis fratribus Ordinis Minorum

commorantibus apud sanctum montem Arverne una terza lettera, con la

quale concede i soliti quaranta giorni di indulgenza a chi ad locum

ipsum cum devotione accesserit in occasione della "solennità" di san

Francesco 59.

35

58 Licet cuncta Ordinis vestri loca generaliter sub Apostolica protectione consistant, ad locum tamen in quo apud sanctum montem Arverne divino mancipati estis obsequio, ex eo precipue specialem habentes affectum, quod beatus Franciscus vestri Ordinis institutor, adhuc carne mortalitatis indutus, in ipso loco ab hominum habitatione remoto, libenter ad serviendum domino morabatur. (ibid.)

59M, p. 16; la data del Mencherini, 3 dicembre, è corretta in 5 dicembre da THOMSOM, Checklist of papal letters relating to the Orders of St. Francis. Innocent III–Alexander IV, Roma 1971, p. 89.

Tre lettere emesse dalla curia pontificia a favore dello stesso luogo

nel giro di poco più di quindici giorni possono sembrare un fatto

eccezionale, ma si tratta di riproduzioni in originale dello stesso

documento, indirizzate a destinatari diversi: a tutti i fedeli la prima

lettera, che perciò si configura come una vera e propria enciclica; la

seconda ai frati Minori; la terza ai frati della Verna. Anche l'oggetto

delle decisioni contenute nella dispositio è diverso: indulgenza per la

costruzione della chiesa e, in seguito, per chi si rechi alla Verna nella

festa di san Francesco, concessione di una particolare protectio

apostolica ad un luogo considerato singolarmente sacro. Nulla di

eccezionale per quanto riguarda le lettere del 17 novembre e del 5

dicembre, che si inseriscono perfettamente nel quadro dei documenti

emessi dalla cancelleria pontificia di Innocenzo IV, particolarmente

attiva a favore delle chiese dei frati Minori e Predicatori 60. Singolare

risulta invece il documento del 3 dicembre, in quanto sancisce un

rapporto di "predilezione" da parte del pontefice nei confronti di un

luogo consacrato dalla frequente presenza di Francesco. Proprio per

questo stupisce l'assenza di qualsivoglia riferimento allo straordinario

fenomeno della stimmatizzazione.

Prima di trarre conclusioni bisogna prendere in considerazione un

altro documento: l’8 settembre 1253 Rinaldo di Ienne, vescovo d'Ostia

e cardinale protettore, cioè rappresentante ufficiale del pontefice per

36

60Rimando in proposito a DEL FUOCO, Indulgenze papali e ordini mendicanti nel secolo XIII: prime note, in «Misericorditer relaxamus». Le indulgenze fra teoria e prassi nel Duecento, a cura di L. PELLEGRINI e R. PACIOCCO, “Studi medievali e moderni” 3, 1(1999), pp. 101-148; per un controllo più dettagliato vedi le tabelle in appendice allo stesso contributo.

l'Ordine minoritico, rilasciava una lettera 61 rivolta Universis ministris,

custodibus et guardianis ac ceteris fratribus Ordinis fratrum Minorum. Tale

documento si poneva in ideale continuità con la lettera d’Innocenzo

IV del 3 dicembre 1250, in cui era stata proclamata la sacralità del

monte della Verna. Nella missiva di Rinaldo, però, tale sacralità

veniva posta, per la prima volta, in esplicito e diretto collegamento

con l'impressione delle stimmate, che nel documento assumevano un

significato salvifico per tutta la Chiesa, anzi per l’intera società,

aggravata da vecchiaia e minacciata da imminente rovina: extremo iam

instante seculi senescentis interitu. Il misterioso evento era rievocato con

espressioni di gioiosa esaltazione, funzionali a scoraggiare qualsiasi

tentativo di manomissione, o peggio di abbandono da parte dei frati

del sanctum Alvernae montis locum. La sacralità del luogo, e quindi la

sua intangibilità, veniva estesa a tutto ciò che al luogo apparteneva,

con il divieto nei confronti di ogni forma di «abbandono, riduzione,

asportazione senza un mandato speciale della sede apostolica».

L'intervento del cardinale protettore dell'Ordine sembra indicare un

momento difficile per la comunità minoritica alla Verna. Lo conferma

Salimbene: «credo che quel luogo sarebbe stato abbandonato, come mi

disse, se non fosse stato tenuto aperto a suo favore» (Credo quod locus

ille derelictus fuisset, sicut dixit mihi, nisi beneficio eius fuisset retentus); il

cronista, che sta parlando di frate Lotario, già responsabile gerarchico

della custodia di Pisa – la circoscrizione territoriale dei frati Minori

che faceva capo al convento pisano ed era inclusa nella provincia di

37

61M, pp. 16-17.

Toscana - riferisce fatti collocabili tra il 1247 e il 1265 62. Il momento di

crisi della comunità della Verna si colloca del resto in un periodo di

grave difficoltà per gli eremi minoritici, che viene di volta in volta

superato quando una personalità di rilievo per sua scelta, o per

imposizione da parte dell'autorità dell'Ordine, pone la propria dimora

nell'uno, o nell'altro di tali eremitori 63.

Nel contesto di tale situazione, e del riesplodere della polemica

sulle stimmate 64, per la prima volta l'autorità ecclesiastica stabilisce

ufficialmente il raccordo tra l'evento delle stimmate e La Verna:

Rinaldo di Ienne, divenuto papa col nome di Alessandro IV, a pochi

mesi dalla sua elezione al soglio pontificio, l’8 aprile 1255 farà

riconfermare ad verbum (alla lettera) dalla cancelleria pontificia il

documento che aveva fatto redigere nelle vesti di cardinale protettore

dell'Ordine minoritico 65. Il documento, nella forma in cui si presenta

38

62 Il cronista nel ricordare fra Lotario, dice Qui antiquitus fuerat custos meus in Pisana custodia: il 1247 è l'ultimo anno della residenza di Salimbene a Pisa; in riferimento al 1265, l'anno del pellegrinaggio del cronista ad Assisi, in ritorno dal quale egli visita La Verna, Salimbene soggiunge che frate Lotario vivebat adhuc et abitabat ibi infirmus et senex (SALIMBENE DE ADAM, Cronica. Testo latino a cura di Giuseppe Scalia traduzione di Berardo Rossi, Parma, 2007 p. 1538).

63Basti pensare a fra Elia per le Celle di Cortona, o a Giovanni da Parma per Greccio.

64Sono del 1255 due interventi di Alessandro IV contro coloro che polemizzano nei confronti delle stimmate (M, pp. 20-23); sulla polemica a proposito delle stimmate vedi PACIOCCO, Il papato e i santi canonizzati degli Ordini mendicanti. Significati, osservazioni e linee di ricerca (1198-1303), in Il papato duecentesco e gli Ordini mendicanti. Atti del XXV Convegno internazionale (Assisi 13-14 febbraio 1998), Spoleto 1998, pp. 319-320; *VAUCHEZ, Le stimmate di san Francesco; FRUGONI, Francesco e l'invenzione delle stimmate. Una storia per parole e immagini fino a Bonaventura e a Giotto, Torino 1993, pp. 280-284.

65 M, pp. 17-20, che discute anche i problemi paleografici del documento; vedi in proposito anche CRESI, Supplemento, pp. 447-448. Questo documento e i successivi, dei quali in seguito proporrò un’analisi critica, sono conservati nell’Archivio della Verna, purtroppo senza un ordine di collocazione.

allo stato attuale, pone notevoli problemi paleografici e diplomatistici,

che qui non possiamo esimerci dall'affrontare. Sulla provenienza dalla

curia pontificia del supporto scrittorio non vi può essere dubbio; lo

dimostrano i caratteri estrinseci: il tipo di pergamena, ma soprattutto

la plica, cioè il breve tratto di pergamena ripiegato in calce, in cui sono

praticati due fori, attraverso i quali passa il filo serico a cui è appeso il

sigillo di papa Alessandro, tuttora conservati. La scrittura, però, e

almeno parte del contenuto non hanno nulla da vedere con la

cancelleria pontificia del secolo XIII. Fortunatamente il documento

originale fu riprodotto a stampa prima di venire manomesso. La

prima di tali riproduzioni risale al 1513: la lettera pontificia venne

dunque falsificata dopo tale data. È di assoluta evidenza a primo

colpo d’occhio, quanto il Mencherini ha già segnalato un ottantina

d’anni fa: la pergamena è stata «erasa, riscritta e interpolata». Il

motivo dell'operazione risulta evidente dalle aggiunte rispetto al

testo. A parte l'enfatica interpolazione del paragone con i monti sacri

del testo biblico, l'Horeb e il Golgota, al falsario interessava

soprattutto l'aggiunta finale, nella quale viene attribuita al pontefice la

proibizione di manomettere in alcun modo i beni ormai cospicui (nel

secolo XVII) di spettanza della comunità minoritica della Verna e di

tagliare o asportare legna dai boschi che circondano il monte 66. Tale

aggiunta alla fine del documento rende ancor più impresentabile la

falsificazione, in quanto costrinse il falsario, che evidentemente non

39

66Tali aggiunte sono evidenziate in corsivo nell'edizione del Mencherini (pp. 19-20), al quale rimando per i riferimenti alle riproduzioni a stampa, segnalati in calce alla sua trascrizione.

aveva ben calcolato lo spazio, a disallineare la scrittura, riducendo

notevolmente l'intervallo fra le righe e distorcendo, di conseguenza,

l’allineamento. La grafia, nonostante qualche malaccorto sforzo

imitativo, denuncia che l'autore di tale falsificazione è lo stesso che

redasse il già ricordato falso dell'Addio alla Verna.

Se si sfronda la lettera papale in questione dalle aggiunte del

falsario, risulta con chiarezza che essa è la riproduzione letterale del

documento emesso a favore della Verna due anni prima dallo stesso

autore, quando era ancora cardinale vescovo di Ostia. E' dunque con

Alessandro IV che si ha l'ultimo e definitivo passo nel percorso della

progressiva trasformazione della Verna, da parte della suprema

autorità ecclesiastica, come luogo di culto sacro alla memoria delle

stimmate di Francesco. Anche il vescovo di Arezzo in una lettera

dell'anno successivo, che ricalca sostanzialmente le disposizioni del

documento episcopale del 16 giugno 1239, riproporrà i temi della

ormai definitiva consacrazione del monte alle stimmate del santo di

Assisi 67.

5. Una data "storica" e la storia di un falso

La data dell’8 settembre 1253, allorché Rinaldo d'Ostia inviava la

sua lettera ai responsabili dell’Ordine dei frati Minori, segnava una

svolta decisiva per la storia del monte, in quanto lo trasformava da

umile e forse oscuro eremitorio francescano in un santuario e meta di

pellegrinaggio. In quella precisa data iniziava dunque una nuova

40

67M, pp. 29-31, nota 1.

storia per La Verna, o meglio il pluriennale e progressivo processo di

sacralizzazione giungeva alla sua piena maturazione attraverso la

sanzione ufficiale della dedicazione della Verna a santuario consacrato

alla memoria del santo di Assisi e all'evento straordinario della sua

stimmatizzazione.

Tale data segnava profondamente anche la memoria della

comunità minoritica in un gioco di coincidenze che non paiono

fortuite, ma che esigono una migliore definizione. L’8 settembre si

celebrava la festa della Natività di Maria, una ricorrenza liturgica che

si poneva nel bel mezzo di quel periodo, nel quale i primi biografi , a

partire dal secondo testo agiografico di Tommaso da Celano (il

Memoriale), narrano che Francesco si preparava alla festa di san

Michele (29 settembre) con una speciale quaresima che iniziava con

l’altra festa mariana, quella dell’Assunzione. Il Celanese, però, nel

racconto dell’evento delle stimmate - inserito nel cosidetto Tractatus de

miraculis che è probabilmente un’aggiunta alla seconda redazione del

Memoriale 68 - riprende alla lettera l’unico e generico riferimento

cronologico, che aveva già indicato nella Vita beati Francisci: «due anni

prima che rendesse al cielo il suo spirito» 69 . La collocazione

dell'evento delle stimmate nella quaresima di S. Michele si andò

affermando solo in seguito e venne accolta e definitivamente fissata,

41

68 Cf. F. ACROCCA, Due diverse redazioni del «Memoriale in desiderio animae» di Tommaso da Celano? Una discussione da riprendere, “Collectanea franciscana” 74 (2004), pp. 5-21 e vedi ora Thomas de Celano, Memoriale. Editio critico-synoptica duarum redationum ad fidem codicum manuscriptorum, curaverunt F. Acrocca A. Horowsky, Roma 2011.

69 I tempi della quaresima di S. Michele sono indicati nel Memoriale, n. 197, (FF, n. 785); per la ripresa della generica datazione delle stimmate confronta il Tractatus de miraculis ( n. 4, FF, n. 829) con Vita beati Francisci n. 94 (FF, n. 94).

con ulteriori precisazioni cronologiche, nel 1260 nella biografia di

Bonaventura da Bagnorea, nella quale egli fonde i due diversi

passaggi della prima biografia celanese, quello relativo alla

consuetudine di Francesco di praticare la quaresima di San Michele, e

il racconto della stimmatizzazione. Per l’evento delle stimmate,

inoltre, il Bagnorese prende come riferimento cronologico un’altra

festa liturgica: l’esaltazione della croce (quodam mane circa festum

Exaltationis sancte Crucis) 70.

È interessante notare come all'8 settembre – data dell’emissione

della lettera di Alessandro IV - viene collocata la donazione della

Verna a Francesco da una fonte, che, a quanto mi risulta, non è finora

stata presa in considerazione, se non in modo assolutamente

marginale: il Catalogus Generalium ministrorum Ordinis Fratrum

Minorum. Il codice Laurenziano (già di S. Croce) Sin. Plut. XXVII

nell'introdurre il Catalogus ha, fra le altre, la seguente annotazione:

«nell’anno del Signore 1218 venne accettato il luogo del sacro monte

della Verna nella festa della natività della gloriosa Vergine» (Anno domini

MCCXVIII acceptus fuit locus sacri montis Alverne in nativitate Virginis

Gloriose) 71 . La redazione del Catalogus risale al generalato di fra

Michele da Cesena (1316-1322), dato che il codice in questione ha

come ultima data il 1316, anno nel quale fra Michele venne eletto alla

42

70 Legenda maior, XIII, 1, (FF, n. 1223).

71Catalogus Generalium ministrorum Ordinis Fratrum Minorum, ed. O. HOLDER-EGGER, Hannoverae 1913 (Monumenta Germaniae Historica, Scriptores, 33), p. 657.

dirigenza dell’Ordine 72 . Salta immediatamente all'occhio sia la

convergenza cronologica dell’8 settembre, con la lettera di Rainaldo

d’Ienne/Alessandro IV, sia la discrepanza dell’anno, 1218, rispetto

alla datazione, 8 settembre 1213, a cui viene fissata la donazione della

Verna a Francesco da parte di Orlando conte di Chiusi nel noto e

discusso documento, nel quale appare registrata la conferma di tale

donazione da parte dei figli del nobile clusino. Il fatto che la nota

introduttiva del Catalogus registra gli elementi della datazione in

lettere romane potrebbe spiegare la discrepanza nell’indicazione

dell’anno; è stata, infatti, avanzata l'ipotesi, pur con molta cautela, che

nel codice Laurenziano sia stata aggiunta per errore del copista, o

redattore, una V che avrebbe trasformato il MCCXIII dell’atto di

conferma della donazione in MCCXVIII. Sulla consistenza, o meno, di

tale ipotesi torneremo in seguito. Annotiamo subito che si potrebbero

supporre altri errori nella trascrizione di tale elemento della

datazione, se lo si confronta con alcuni documenti, che avremo modo

di esaminare. Per giungere a conclusioni meno ipotetiche dobbiamo

innanzitutto procedere ad un’attenta analisi del documento di

conferma della donazione, sul quale il Mencherini aveva avanzato a

43

72 Per i problemi relativi a questa e alle successive redazioni del Catalogus vedi ibid., pp. 653-657.

suo tempo più di una riserva, avendone notato alcune incongruenze

paleografiche e diplomatistiche 73.

Nell’atto di conferma della donazione le singole parti del

formulario, consuete per tale tipologia documentaria, trovano perfetto

riscontro in un altro documento: la copia autenticata di

un'imbreviatura notarile (cioè il documento originale), conservata

nell'archivio della Verna. Nella copia dell’imbreviatura i quattro figli

di Orlando di Chiusi - Orlando, Cungio, Bandino e Guglielmino - si

impegnano solidalmente alla restituzione della dote di Serafina,

moglie di uno di loro, qualora il marito dovesse morire prima di lei 74.

I nomi dei quattro fratelli ricorrono come attori anche nel documento

di conferma della donazione a Francesco del monte della Verna. La

data cronica all'inizio dei due documenti è la stessa: Anno Domini

millesimo ducentesimo septuagesimo quarto, indictione 2a, Gregorio X papa

residente, nemine imperante, die lune nona mensis iulii; anche la data

topica che conclude i due atti è corrispondente, pur con qualche

44

73M, pp. V-VI, nota 1; dubbi sull'autenticità esprime anche PAGNANI, I viaggi di S. Francesco d'Assisi nelle Marche, Milano 1962 (Deputazione di Storia patria nelle Marche. Studi e testi, 2), p. 42; sottolinea le riserve del Mencherini anche OCTAVIANUS A RIEDEN, De Sancti Francisci Assisiensis Stigmatum susceptione: disquisitio historico-critica luce testimoniorum saeculi XIII, "Collectanea franciscana", 34(1964), pp. 5-62: 21-22, nota 173, che comunque ritiene verisimile la concessione in uso del luogo da parte del conte Orlando; in difesa dell'autenticità si era precedentemente schierato LAZZERI, L'atto di conferma della donazione della Verna (1274), in Ricordo del settimo centenario, pp. 7-29. Un riassunto della controversia è in MATTEUCCI, Da messer Orlando di Chiusi il dono del monte Verna e due edifici sacri sulla scogliera delle Stimate, Santuario della Verna (Arezzo) 1964, pp. 19-22; alle pp. 26-35 vengono ribadite le "prove" a favore dell'autenticità del documento addotte dal Lazzeri, dal quale sono riportate anche le più antiche testimonianze sull'esistenza del documento stesso; non si pronuncia CRESI, Supplemento, che però alle pp. 448-449 avanza delle obiezioni alle riserve del Mencherini.

74 Edito in M, pp. 39-40.

significativa variante: «predicta omnia et singula acta fuerunt in

Clusio palatio dicti comitis Orlandi et fratrum» (in corsivo le aggiunte

del documento di conferma della donazione rispetto alla copia

dell'imbreviatura notarile); i nomi dei testimoni presenti all’atto di

conferma corrispondono perfettamente a quelli della copia notarile

del’imbreviatura, mentre si nota una variazione nel nome del notaio.

Sembrano dunque due documenti perfettamente coevi - giorno, mese,

anno (9 luglio 1274) - fatti redigere dagli stessi attori, i quattro figli di

Orlando, e redatti nel medesimo luogo alla presenza degli stessi

testimoni. Nel documento di conferma della donazione si notano,

però, alcune differenze, a partire dal dato identificativo del primo dei

quattro fratelli, indicato nel documento di restituzione della dote

semplicemente come: «Orlando di un certo signor Orlando di

Chiusi» (Orlandus cuiusdam domini Orlandi de Clusio), mentre nella

conferma della donazione diventa: «Orlando de Catanis del fu signor

Orlando, conte di Chiusi» (Orlandus de Catanis quondam domini Orlandi

comes de Clusio). Si noti l’aggiunta del titolo di “conte”, come nella

data topica. La dose dei titoli è rincarata nella narratio, il passaggio

dove i quattro fratelli ricordano l’antefatto della conferma, cioè il dono

del monte della Verna a Francesco, elargito libere et absque ulla

obbligatione dal loro padre, che viene presentato come: «Orlando conte

di Chiusi, milite palatino dell’imperatore» (Orlandus, Clusii comes,

imperatoris miles palatinus).

Il confronto tra i due documenti segnala nell’atto di conferma

della donazione altre vistose differenze di carattere diplomatistico

45

rispetto all’atto d’impegno di restituzione della dote: innanzitutto il

nome del notaio è Amicuccius filius Petri Amicucci, mentre nel

documento di conferma si legge Amicuccius filius ser Amici 75 . Si

notano altre anomalie: nell’atto di conferma della donazione della

Verna a Francesco, Amicuccio si firma come rogatario, il notaio che

procede direttamente alla redazione del documento, mentre nell’atto

riguardante la restituzione della dote lo stesso Amicuccio è solo

l’estensore della copia autenticata, redatta in un secondo tempo,

dell'imbreviatura di un altro notaio, Giovanni, l’effettivo rogatario di

quell’atto.

I titoli altisonanti attribuiti ad Orlando nel documento di

conferma della donazione non possono che mettere in guardia: un atto

notarile autentico non avrebbe consentito l'usurpazione del titolo di

comes, che, a quanto pare, venne acquisito dai signori di Chiusi solo in

epoca successiva 76 , tanto meno il notaio avrebbe attribuito

l’onorificenza di imperatoris miles palatinus; né l'uno, né l'altro titolo

infatti ricorrono nel documento originale relativo a Serafina.

Interessante in proposito un diploma episcopale del 29 ottobre 1261:

46

75Cf. la sottoscrizione del notaio nei due documenti, riprodotti in M, pp. 38-40 e vedi la discussione del problema del notaio ibid., pp. V-VI, nota 1.

76 Sull'origine e lo sviluppo della consorteria nobiliare dei signori della Verna vedi DELUMEAU, Arezzo espace et sociétés 715-1230. Recherches sur Arezzo et son contado du VIIIe au debut du XIIIe siècle, Roma 1996, pp. 198, 300, 446, 574-575, 952, 962, 1024, 1239; a p. 140 l'autore ricorda, senza però citare il documento, la donazione della Verna a Francesco da parte dei nobili della "massa Verona", un'identificazione, che pone qualche problema, tuttora irrisolto. Ringrazio Gian Paolo Scharf per le segnalazioni e per avermi fatto notare che il titolo di conte nella zona è inusitato nel secolo XIII per chi professa di vivere lege romana, come affermano nel documento autentico i figli del dominus Orlando. Al giovane studioso devo anche altre preziose informazioni in proposito.

in esso il nobilis dominus Orlandus de Cluse, padre degli attori del

documento del 1274, e i suoi due fratelli, Nicola e Alberto, risultano

vassalli del vescovo di Arezzo, Guglielmino, e non hanno in alcun

modo il titolo comitale. I loro rapporti con il vescovo sono tutt'altro

che improntati a lealtà. Le denunce del loro signore sono pesanti e

configurano un'aperta ribellione: essi non solo si rifiutano di prestare

al vescovo i servizi dovuti in forza del giuramento di fedeltà, ma

hanno depredato i possessi episcopali e fatto prigionieri i vassalli del

prelato Aretino. In una parola c'è guerra aperta tra il presule e i tre

fratelli, di cui Orlando è il rappresentante e il principale responsabile

della ribellione 77 . La vicenda si concluderà l’anno successivo con

l’assedio da parte del vescovo, tra la fine di aprile e l’inizio di maggio

1262, e la capitolazione del castello di Chiusi, roccaforte della famiglia

ribelle. Siamo ormai a quasi cinquant’anni dalla presunta donazione

della Verna a Francesco. Orlando era in grado di compiere rischiose

azioni militari e tentare di resistere all’esercito del vescovo suo

signore; difficile immaginarlo come un vecchio, quale dovrebbe

essere, se nel 1213 fosse già stato titolare della supposta contea e

avesse potuto liberamente disporre dei propri beni.

Soffermiamoci un momento su questa vicenda. Il vescovo a cui

Orlando e i fratelli si ribellano è Guglielmino di Gualtieri,

appartenente alla potente consorteria degli Ubertini. Il presule è una

delle figure più complesse e significative nella storia dell’episcopato

47

77 Il documento è trascritto in PASQUI, Documenti per la storia della città di Arezzo nel medioevo, II, Firenze 1916, (Documenti di storia italiana, 14), IV, Croniche (secolo XIV-XV), Arezzo 1904, pp. 358-359.

aretino del secolo XIII, non solo per il suo ultraquarantennale

episcopato (1248-1289) e per l’impegno di definire e difendere i diritti

vescovili, giovandosi all’occorrenza dell’aiuto militare del comune,

ma anche per l’impegno pastorale nella riorganizzazione del clero e

del laicato della città episcopale; a questo scopo si giovò dei frati

Minori, verso i quali fu largo di favori e protezione, anche contro le

recriminazioni del clero, che cercava di contrastare i religiosi

nell’esercizio dei ruoli della cura animarum. Fu proprio questo vescovo

a consacrare nel 1260 la chiesa di Santa Maria degli Angeli alla Verna 78.

I rapporti di Guglielmino degli Ubertini con la consorteria dei

signori chiusini si collocano nel contesto dello scontro tra interessi

diversi e contrastanti: i diritti episcopali, la pressione del comune di

Arezzo sui poteri signorili del contado e le mire espansionistiche, o

difensive, dei signori di Chiusi; la parte vincente non poteva che

essere, nel caso, quella del vescovo, che si trovava in posizione di

forza, in quanto signore feudale dei Cattani, la famiglia di Orlando. Il

presule, inoltre, poteva contare sull’alleanza con il comune nella fase

della sua maggiore espansione e della progressiva affermazione del

proprio potere sui feudatari del contado. In tale situazione diviene

ancora più improbabile la conferma della donazione da parte dei figli

di Orlando, che, in quanto infedeli al loro signore, erano stati privati

del feudo nel quale era situato il monte della Verna. La donazione del

48

78 Vedi in proposito LAZZERI, Guglielmino degli Ubertini; per i rapporti con i frati Minori vedi pp. 160-163.

luogo ai frati Minori avvenne dunque con altre modalità e in un

diverso gioco di poteri nel Casentino.

Il racconto della “donazione” della Verna a Francesco è narrato

per la prima volta negli Actus beati Francisci, ripreso e volgarizzato nei

Fioretti. Si noti però che nelle due fonti ad Orlando di Chiusi è

attribuito il titolo di dominus (messer nei Fioretti) e non di comes 79 .

Dunque nel terzo/quarto decennio del Trecento - quando furono

redatti gli Actus e quando, di lì a pochi decenni, il testo degli Actus

venne volgarizzato nei Fioretti - i signori di Chiusi non avevano

ancora il titolo comitale loro attribuito nel documento in discussione.

Si noti che al momento della redazione dei Fioretti era ormai passato

quasi un secolo dalla data della supposta conferma della donazione

della Verna a Francesco da parte dei figli di Orlando, nella quale, non

solo si attribuisce al nobile Orlando e ai suoi figli un titolo che i nobili

di Chiusi non avevano all'epoca a cui sono riferiti gli avvenimenti e

neppure in seguito, almeno fino agli anni Settanta del secolo XIV,

quando furono redatti i Fioretti, ma si fa risalire al 1213 un atto di

donazione che, con tutta probabilità il "conte Orlando" in questione

non poteva compiere.

A questo punto dobbiamo evidenziare i processi mentali che

hanno indotto la differenza nel nome e nella funzione dei notai nel

documento di conferma della donazione rispetto a quello in cui gli

stessi attori, i figli di Orlando, si impegnano alla restituzione della

dote: l’autore o trascrittore del presunto atto di conferma ha operato

49

79Actus beati Francisci, pp. 174-178, FF, pp. 2104-2105.

una confusione di persone, scambiando per rogatario Amicuccio, che

invece nel documento d’impegno della restituzione della dote appare

come l’estensore di una copia autenticata 80. La cattiva lettura dei dati

identificativi del notaio che aveva autenticato tale copia, cioè

l’interpretazione di ser come abbreviazione di Petri (Amicuccius filius

Petri Amicucci, invece di Amicuccius ser Amici dell’atto che ha per

oggetto la dote di Serafina)81 ha indotto un duplice errore: il signor

Amico, padre del notaio del borgo di Campli che ha prodotto la copia

dell’imbreviatura, è diventato Pietro Amicuccio. Si noti che Amicus

notarius de burgo Campli, il padre dell’Amicuccio, l’autenticatore della

copia che ha costituito il nostro elemento di confronto, appare come

rogatario di un atto, risalente al 14 dicembre 1271 e oggi conservato

nell’archivio della Verna.

Troppe le anomalie per dare fede a questo documento, che, oltre

tutto, conferma una donazione, che avrebbe trovato totalmente

estraneo, anzi contrario Francesco d'Assisi, soprattutto per l’entità

della donazione e per le condizioni, che rendevano effettivamente

proprietario l’Assisiate: dedit, donavit, concessit libere et absque ulla

obbligatione. Frate Francesco era troppo coerente e intransigente nella

difesa di una povertà, che aveva come espressione primaria

l’espropriazione totale e irreversibile. Siamo perciò di fronte a un

falsario, il quale non fa che ricalcare, parola per parola il documento

50

80Le anomalie a proposito del notaio, benché da un altro punto di vista, erano già state notate dal Mencherini, cf. M, pp. V-VI, nota 1; osservazioni puntuali in proposito sono in BUGHETTI, Settimo centenario, pp. 374-375.

81Sono grato ad Attilio Bartoli Langeli, che ha visionato con me le pergamene e che mi ha condotto a tali conclusioni.

genuino che aveva sottocchio, quello appunto fatto redigere dai

quattro figli di Orlando il 9 luglio 1274. Il calco sembrerebbe perfetto:

il falsario, per non commettere errori, traspone nella sua falsificazione

tutti gli elementi relativi alla datazione e riproduce fedelmente i nomi

dei testimoni, benché ometta di trascrivere olim a proposito di uno dei

testimoni stessi: Guidone olim domini Raineri. Altra differenza rispetto

alla copia autenticata quel quondam, invece di quidam: un errore di

lettura da parte del falsario, che finisce così per dare come già defunto

il supposto “conte” Orlando di Chiusi, mentre costui risulta ancora

ben vivo sia nell’ imbreviatura originale, sia in un documento rogato

due anni e mezzo prima (14 dicembre 1271) dai quattro fratelli su

consenso del loro padre.

L’autore del falso aveva i suoi buoni motivi nel confezionare la

falsificazione: attribuire la donazione ad Orlando, insignito con il

titolo comitale, faceva buon gioco per giustificare la munificenza di un

dono, che di nuovo riaffermava - conferendo un valore sacrale, col

chiamare in causa direttamente san Francesco - i contestati o, almeno,

poco rispettati diritti che i frati nel frattempo avevano acquisito su

tutto il monte della Verna. L'impressione netta - ma ormai è ben più

che un'impressione - è, infatti, che si tratti di un falso intenzionale,

come dimostrerebbe l'impegno per dare un aspetto antico al supporto

scrittorio. Si tratta appunto di una pergamena anticata, sulla quale

vengono riprodotti gli elementi ricavati da un documento autentico,

cercando di imitarne anche la scrittura.

51

L'indagine andrebbe ulteriormente approfondita e ampliata, per

giungere a definire il tempo in cui venne prodotta la falsificazione e

per scoprire eventualmente il falsario. Il sospetto è che la pergamena,

sulla quale il falso è riprodotto e dalla quale dipendono le copie

successive 82 , sia effettivamente l'originale della falsificazione 83 . In

proposito sarebbe interessante procedere all'analisi delle scritture dei

frati del Seicento, tuttora conservate presso l'archivio della Verna. Per

il momento il sospetto cade sull'autore del Monte serafico della Verna,

Salvatore Vitale, che, nella sua opera stampata a Firenze nel 1628, non

solo mostra di conoscere e per primo riproduce e utilizza questo e altri

documenti falsi, o falsificati, ma nella trascrizione del documento

autentico del 1274 (quello relativo alla dote di Serafina) commette lo

stesso errore, in cui incorre il falsario nel riprodurre i dati relativi al

notaio Amicuccio. Il Vitale fa un altro errore più sotto, dove invece di

ser Iohannis trascrive Petri Iohannis84: è una conferma della cattiva

lettura a cui abbiamo accennato sopra a proposito del documento di

conferma della donazione della Verna a Francesco: ser letto come

abbreviazione di Petri. Se il sospetto si rivelasse fondato, il Vitale

aveva buon gioco, in quanto si basava su una tradizione risalente ad

52

82Vedi in proposito quanto annota il Mencherini (M, p. V).

83Lodevole l'impegno di Zeffiro Lazzeri per rintracciare le più antiche testimonianze documentarie dell'esistenza del documento in questione, da lui considerato autentico. Pur con tale impegno, che ha senz'altro il merito di fornire elementi per ricostruire la storia della trasmissione del nostro documento (L'atto di conferma, pp. 87-101), il Lazzeri non riesce ad essere persuasivo nel sostenerne l’autenticità.

84Vedi in proposito la trascrizione del documento in Monte Serafico della Verna nel quale N. Sig. Giesù Cristo impresse le Sacre Stimmate nel verginal corpo del Serafico P. S. Francesco, descritto dal R. P. E. Salvatore Vitale, Sacerdote, Predicatore della Regolare Osservanza de' Frati Minori della santa Provincia de’ Sardigna, Firenze 1628, pp. 22-23.

almeno un settantennio prima, relativa all'esistenza di uno scritto che

documentava la donazione della Verna a Francesco; di tale tradizione

si ha una prima, seppure molto vaga, testimonianza storiografica nel

Nuovo dialogo della Verna di Agostino di Miglio, pubblicato a Firenze

nel 1568, ma forse si può risalire fino al 1447, sulla base di una

relazione dei magistrati dell'Arte della Lana di Firenze, nella quale si

fa riferimento a una sentenza del 13 gennaio 1447 a favore dei frati

della Verna, in lite con la comunità di Chiusi 85 . Non è certo da

escludere che proprio nel contesto di tale vertenza sia stato fabbricato

il falso documento, di cui avremmo la prima trascrizione nell’opera

del Vitale.

6. Una datazione problematica

Nella falsificazione la data della donazione della Verna a

Francesco da parte dell’ormai evidentemente ipotetico “conte” è

fissata all’8 maggio 1213. Tale datazione è frutto di un’invenzione, o

meglio di un elaborato calcolo che certamente rimanda alle fonti che il

falsario ha utilizzato. L’autore del falso nello stabilire il suo calcolo si

affidò alla tradizione storiografica francescana, che aveva fissato il

viaggio di Francesco a San Leo nel periodo immediatamente

precedente la sua partenza per il Marocco, cioè nella primavera del

1213. Il falsario dovette avere sottocchio la minuziosa descrizione del

viaggio, che il frate Minore Luca Wadding nei suoi Annales –

53

85 Cf. LAZZERI, l'atto di conferma, p. 88 il riferimento all’opera di A. di Miglio; alle pp. 93-96 viene riprodotta la relazione dei magistrati della Lana; sarebbe opportuna in proposito una più attenta verifica.

pubblicati tre anni prima dell’opera del Vitale - aveva da poco tentato

di ricostruire, tappa per tappa, assemblando le fonti più disparate e

disseminando il percorso di più o meno favolosi miracoli e di

assolutamente improbabili fondazioni di conventi 86 . Francesco

neppure pensava a fondare sedi stabili in quel periodo della sua vita,

quando i suoi frati vivevano alla giornata, alloggiando, nel loro

itinerare da luogo a luogo, negli ospizi per poveri, malati e pellegrini,

o nelle case in cui prestavano i loro servizi. Servendosi della

descrizione del Wadding l'inventore del nostro documento, o il suo

primo trascrittore, ha tentato di ricostruire la data della presunta

donazione del conte Orlando, tenendo ovviamente conto che

l'episodio viene collocato dagli Actus e dai Fioretti nel contesto di una

festa per l'investitura di un cavaliere e quindi ai primi di maggio. Il

giorno specifico del mese avrebbe potuto, per di più, richiamare

quello in cui nel mese di settembre si celebra la festa della Natività di

Maria, che, lo si è visto, è indicato nella nota introduttiva al Catalogus

ministrorum generalium, come data della donazione da parte di

Orlando ed è anche la data, in cui era stato emanato l'importante

documento del cardinale Rinaldo d'Ostia a definitiva consacrazione

della Verna.

54

86Gli Annales del Wadding, vennero editi a Lione nel 1625; pp. 169-180 dell'edizione Quaracchi, I, Ad Claras Aquas (Quaracchi) 1931; le tappe del viaggio presentate dal Wadding sono Foligno, Trevi, Spoleto, Terni, Sant'Urbano, Narni, Amelia, San Gemini, seguono le indicazioni delle soste lungo la strada verso e attraverso la Toscana: sono segnalate Poggibonsi, Siena, Borgo San Sepolcro, per giungere poi velocemente a indicare il superamento dell'Appennino e, attraverso il percorso della valle del Marecchia, l'arrivo a San Leo.

Abbiamo già segnalato come sia stata avanzata l'ipotesi, pur con

molta cautela, che nel codice Laurenziano, in cui è riprodotto il

Catalogus ministrorum generalium con le note introduttive, sia stata

aggiunta per errore del copista, o del redattore del Catalogus, una “V”

rispetto alla data contenuta nel documento di conferma della

donazione, ottenendo così come risultato MCCXVIII invece di

MCCXIII. Appurata la falsificazione, l’ipotesi risulta assolutamente

insostenibile, in quanto la nota introduttiva è del secolo XIV (lo

testimoniano le varie mani del codice 87), dunque molto prima che il

falso documento della conferma della donazione venisse

confezionato. Si potrebbe allora invertire l’ipotesi, supponendo che

non sia stato il copista o l’autore della nota del Caalogus ad aggiungere

una “V” nell’indicazione dell’anno della donazione rispetto al

documento di conferma, ma che il falsario, avendo sotto gli occhi il

Catalogus avesse per errore omesso una “V”. Ma è ormai ipotesi

superflua, anzi fuorviante, dato che nel Catalogus l’episodio è datato in

festo Nativitatis Virginis Gloriose, cioè l’8 settembre, altro elemento della

datazione che risulta problematico. Come risolvere la questione? Con

tutta probabilità il Catalogus confonde le cose, ripescando, per datare

la donazione, il riferimento liturgico alla festa mariana, alla quale,

secondo una tradizione, veniva correlato l'evento delle stimmate.

Infatti quando veniva redatta l’opera, o piuttosto quando venne

inserita la nota introduttiva, si era da tempo affermata la tradizione,

secondo cui tale evento avvenne durante la Quaresima di san Michele,

55

87Cf. l’introduzione al Catalogus in MGH, SS, 33, p. 653-654.

nel bel mezzo della quale ricorre appunto la festa della Natività di

Maria, alla cui ottava fa specifico riferimento un’epigrafe del 1264, di

cui discuteremo tra breve.

La tradizione relativa al “donazione” della Verna da parte di

Orlando era stata di fresco fissata nel racconto degli Actus beati

Francisci, da cui l'autore della nota all'inizio del Catalogus ha potuto

attingerne la notizia. Ecco come gli Actus narrano il susseguirsi degli

eventi: Francesco, in un suo viaggio verso la Romagna, si ferma a San

Leo (il castrum Montis Feretri), dove si celebrava la festa per

l’investitura dei nuovi cavalieri (militie nove magna solemnitas).

L’Assisiate decide di parteciparvi e in tale occasione incontra il de

Tuscia dominus Orlandus, «molto ricco e nobile», che «per le cose

mirabili che aveva ascoltato di san Francesco, ne aveva concepito

grande devozione e desiderava vederlo e ascoltarlo»; conquiso dalla

predica di Francesco e in seguito a un colloquio con lui, il nobile

signore gli offre in dono il monte della Verna; canclusa la festa,

Orlando fa ritorno nelle sue terre di Toscana e, come d’accordo,

l’Assisiate gli invia due fidi compagni per prendere in possesso

(capere) la Verna; i due frati, visionato il luogo e vistolo adatto al ritiro

contemplativo, ritornano da Francesco, che sale alla Verna

accompagnato dai frati Leone, Masseo e Angelo, e vi celebra la

Quaresima di San Michele, durante la quale Francesco riceve le

stimmate. L’autore degli Actus ripropone la data approssimativa

dell’evento che Bonaventura aveva indicato nella Legenda beati

56

Francisci (Legenda maior), cioè circa festum Exaltationis sanctae Crucis 88.

Si noti che nel racconto degli Actus l’accettazione del dono della Verna

da parte dei due frati e la salita al monte da parte di Francesco e dei

suoi compagni per la Quaresima di san Michele, durante la quale

viene posto l'evento delle stimmate, si susseguono senza interruzione

in perfetta continuità cronologica. Tale continuità non è esplicitata

negli Actus, ma l’anonimo autore delle Considerazioni delle stimmate,

poste in appendice ai Fioretti, colloca esplicitamente nel 1224 - l'anno

dell’evento delle stimmate – il viaggio di Francesco in Romagna e la

donazione della Verna da parte di messer Orlando 89 . Inutile qui

discutere sull’assoluta improbabilità che Francesco nel 1224 , colpito

com’era da gravi e dolorose malattie, fosse in grado di sostenere il

viaggio da Assisi (indicato più genericamente con Valle Spoletana) alla

Romagna.

Come si vede, è molto problematico muoversi tra la molteplicità e

diversità degli elementi cronologici forniti dalle fonti per la

“donazione” della Verna a frate Francesco. A complicare ancor di più

le cose ci sono le molteplici contraddizioni sulla cronologia della

donazione: 1213 come è indicato nel falso documento di conferma, o

1218 come vuole la nota introduttiva del Catalogus, oppure 1224

secondo l’indicazione dei Fioretti? D’altra parte la stessa datazione

relativa al giorno in cui Francesco ebbe le stimmate si muove tra la

genericità e l’approssimazione.

57

88Actus beati Francisci, 9, 4, Fontes, pp. 2103-2109.

89Prima considerazione (FF, pp. 1234-1236).

7. Un’interessante e autentica testimonianza

È opportuno fissare l'attenzione proprio su quell'8 settembre, festa

della Natività di Maria. Tale festa, in forza della disposizione del

concilio Lionese I (1245) di istituirne la celebrazione dell'ottava 90, nel

calendario romano era stata elevata al rango delle solennità, la cui

celebrazione liturgica continuava nei sette giorni successivi (otto

compreso quello della festa). La celebrazione aveva assunto un

significato particolare per l'Ordine minoritico: aveva, infatti, segnato il

termine ultimo per lucrare l'indulgenza concessa da Gregorio IX in

occasione della traslazione del corpo di san Francesco 91 ed era tra le

quattro festività della Vergine, in occasione delle quali i pontefici, a

partire da Onorio III, avevano concesso indulgenze a chi visitasse le

chiese minoritiche 92 . Si trattava dunque di un riferimento liturgico

forte, al quale venne collegato ben presto l'evento delle stimmate.

A questo risulta interessante l'epigrafe in cui è indicata la data

della costruzione del primo oratorio dedicato alle Stimmate nel 1264:

essa colloca l'evento della stimmatizzazione sub anno domini MCCXXV

infra octavam Nativitatis eiusdem Virginis. A parte la discrepanza di tale

data rispetto a quella indicata dalle bio-agiografie precedenti, il 1224,

va notato che quel Nativitatis risulta dalla correzione di un precedente

58

90Rimando in proposito all'esauriente voce di W. WEHR, Natività di Maria S.ma, in Enciclopedia Cattolica, VIII, Città del Vaticano 1952, coll. 1678-1682.

91Cf. BF, I, p. 65.

92Vedi in proposito le tabelle in appendice al contributo di PACIOCCO, Indulgenze papli, visita di chiese e santità(1259-1261), in «Misericorditer relaxamus», pp. 149-214.

Assumptionis. Correzione che sembra apportata dal lapicida stesso, il

quale si era accorto (o gli avevano segnalato) di aver riprodotto per

errore un elemento della datazione della fondazione dell'oratorio,

posta in intestazione all'epigrafe: Anno domini MCCLXIIII, feria V post

festum Assumptionis gloriose Virginis Marie. La festa della Natività di

Maria (8 settembre) è dunque ancora il riferimento liturgico per datare

la stimmatizzazione di san Francesco, che il ministro generale

dell'Ordine, Bonaventura da Bagnorea, aveva di recente datato circa

festum exaltationis sancte crucis (14 settembre) nel suo lavoro bio-

agiografico 93, che da appena un anno aveva ottenuto l'approvazione

ufficiale da parte del capitolo generale riunito a Pisa il 20 maggio

1263. La datazione indicata da Bonaventura per approssimazione (si

noti quel circa) si collocava appunto infra octavam Nativitatis Virginis,

che si concludeva il 15 settembre. E' molto significativo che il

committente dell'epigrafe fissi la sua attenzione appunto sulla festa

della Natività di Maria, benché anch'egli proceda per

approssimazione. Evidentemente non era ancora stata definita, nel

progressivo evolvere della memoria storica, la data dell'"apparizione

del serafino", a cui l'epigrafe fa esplicito riferimento 94.

Benché il testo di Bonaventura avesse cominciato a circolare,

sembra ancora prevalere la data dell'8 settembre, nella quale Rinaldo

di Ienne una decina d'anni prima aveva fatto redigere il primo

59

93Legenda maior, XIII, 3, FF, p. 891.

94Vedi la trascrizione dell'epigrafe nella voce Stimmate, La Verna, di BARFUCCI, in Dizionario francescano. seconda edizione riveduta e ampliata, a cura di E. CAROLI, Padova 1995, coll. 2187-2203; si noti però che purtroppo il Barfucci commette l'errore di trascrivere infra octavam Nativitatis Christi, invece di infra octavam Nativitatis Virginis (col. 2199).

documento di consacrazione ufficiale della Verna all'evento delle

stimmate. Non è del tutto improbabile che il documento del cardinale

ostiense sia stato emesso in tale ricorrenza, in quanto particolarmente

significativa per l'Ordine minoritico, di cui era protettore. Senza

inoltrarci ulteriormente nel gioco delle ipotesi, basterà evidenziare

come la data d’emissione della lettera di Rinaldo si ponga al centro di

una serie di coincidenze con la festa liturgica, quella della Natività

della Vergine, alla quale ormai si faceva riferimento per fissare la data

della stimmatizzazione.

Varrà allora la pena tornare, e conclusivamente, al testo del

documento di Rinaldo d'Ostia, per rileggervi una parte importante

della dispositio: «comandiamo che voi poniate in quel luogo dei frati

che lì prestino un devoto servizio al Signore, in quanto non vogliamo

che per nessuna ragione quel luogo venga abbandonato dal vostro

Ordine» 95 . È la sanzione definitiva, da parte del rappresentante

ufficiale della suprema autorità ecclesiastica per l'Ordine minoritico,

del rapporto stimmate-sacralità della Verna-presenza stabile di una

comunità francescana. La storia successiva del santuario sarà tutta nel

segno di questa disposizione, il che giustifica, al di là di ogni ipotetica

coincidenza, il segno forte lasciato da quella data dell'8 settembre

nella memoria della Verna.

8. Considerazioni conclusive

60

95 mandantes quatenus in predicto loco, quem nulla ratione volumus destitui vel ab ordine derelinqui, fratres aliquos statuatis, qui iugem ibidem exibeant domino famulatum (M, p. 19).

Tra la presenza di Francesco e dei suoi compagni alla Verna nel

settembre 1224 - durante la quale avvenne il grande e misterioso

evento della stimmatizzazione - e il diploma episcopale del 1239 c’è

una frattura di quindici anni: una frattura che non è solo di carattere

documentario, ma sembra attenere alla vicenda della presenza

minoritica. La lacuna documentaria non è troppo strana, se si pensa

alla situazione della documentazione riguardante gli insediamenti

minoritici, che spesso, o normalmente, appare quando la sede dei

Minori è già consolidata. Certo ci si sarebbe attesi una continuità di

vita e di presenza francescana alla Verna nel segno del ricordo

dell'evento delle stimmate. La documentazione non lascia

assolutamente intravedere alcun rapporto tra quell’evento e la piccola

e povera comunità minoritica, residente alla Verna; vi sono anzi

significativi silenzi fino all'8 settembre 1253. Nel frattempo si è andata

strutturando una sede stabile dei frati Minori, che però sembra vivere

in gravi difficoltà - come ben evidenzia il diploma episcopale del 1239

- e sul punto di essere abbandonata: le lettere di Rinaldo d'Ostia/

Alessandro IV sono in proposito molto eloquenti, benché da qualche

anno i frati avessero cominciato a realizzare le strutture essenziali per

la stabile dimora di una comunità religiosa, come si evince dalla

lettera di Innocenzo IV nel novembre 1250. Gli anni tra Cinquanta e

Sessanta del secolo XIII segnano il periodo decisivo per l'insediamento

alvernino: l'intervento autorevole e la sanzione definitiva della

consacrazione del luogo all'evento delle stimmate da parte del

cardinale protettore, Rinaldo d'Ostia - confermati a meno di due anni

61

di distanza dallo stesso divenuto pontefice col nome di Alessandro IV,

- danno l'impulso alla costituzione definitiva dell'insediamento,

vietandone nel modo più assoluto l'abbandono e garantendone in tal

modo la stabilità, e alla sua definizione come santuario sacro alle

Stimmate.

Negli anni successivi si moltiplicano i documenti in favore della

Verna, a testimonianza del fervore delle opere di strutturazione della

sede minoritica attorno a quello che ormai è divenuto un santuario. Il

23 maggio 1256 è datato un diploma del vescovo di Arezzo,

Guglielmo degli Ubertini, che mette in netto risalto l'evento

straordinario delle stimmate a consacrazione del sanctum locum montis

Alvernici 96. Seguono a brevissima distanza due lettere d'indulgenza di

Alessandro IV dell'agosto del 1256 e del 1257, che però non

rappresentano un'eccezione rispetto alle indulgenze concesse, proprio

in quegli stessi anni, dallo stesso pontefice alle chiese dei frati minori 97. Il formulario è quello generalmente utilizzato nelle lettere di

indulgenza. Anche le indulgenze e le festività per le quali vengono

concesse non variano rispetto a quelle a favore di altre chiese

francescane. Tali documenti testimoniano inequivocabilmente che

ormai la chiesa per l'ufficiatura liturgica dei frati e per l’accoglienza

dei fedeli è stata realizzata.

62

96Cf. M, pp. 29-30.

97Le due lettere, Cum ad promerenda del 25 agosto 1256 e Sanctorum meritis del 29 agosto 1257 sono edite in M, pp. 31-32. Sulle indulgenze concesse da Alessandro IV alle chiese dei Mendicanti e in particolare dei frati minori vedi DEL FUOCO, Indulgenze papali.

La già ricordata epigrafe, che segna la data della costruzione del

primo oratorio dedicato alle Stimmate nel 1264, dimostra chiaramente

che il giorno di ricorrenza della stimmatizzazione di Francesco non

era ancora esattamente fissato, nonostante la biografia bonaventuriana

avesse di fresco indicato autorevolmente un riferimento cronologico e

liturgico: circa festum exaltationis sancte crucis (14 settembre). Ma era

evidente il carattere di tale riferimento, pensato per conferire

all'evento maggior forza simbolica 98 . Interessante anche il

personaggio che l'epigrafe presenta come "fondatore" dell'oratorio:

Simone, figlio di Guido, conte palatino di Tuscia. Si tratta di Simone di

Battifolle, iniziatore della linea dei conti di Poppi, che quattro anni

prima troviamo schierato accanto ai ghibellini senesi nella battaglia di

Montaperti (1260) contro il fratello Guido Guerra di Davola, che

combatte nel campo guelfo dei fiorentini. Tali contrapposizioni

continueranno, pur nella modifica degli schieramenti, fino a

Campaldino (1289), battaglia in cui trovò la morte anche il vescovo

Guglielmino degli Ubertini. I dissidi tra i rappresentanti dei Guidi si

protrarranno fin ben addentro nel secolo XIV 99.

Ma torniamo al titolo di conte palatino, che il nostro falsario

attribuisce ad Orlando di Chiusi: né costui, né i suoi figli se ne

potevano fregiare, visto che tale titolo veniva concesso dal vescovo, il

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98Legenda maior, XIII, 3, FF, p. 891.

99Sulla vicenda della famiglia dei Guidi vedi E. SESTAN, I conti Guidi e il Casentino in ID., Italia medievale, Napoli 1966, pp. 356-378; secondo il CRESI Simone di Battifolle, conte di Poppi, avrebbe fatto costruire, oltre le due cappelle sul luogo delle stimmate, la cella di S. Francesco e, come struttura separata dal convento, cinque celle per i frati, che dovevano officiare la cappella delle Stimmate (Supplemento, p. 455; pp. 395, 396-397).

quale, come si è visto, aveva destituito del feudo Orlando stesso e i

suoi fratelli. D’altra parte, lo abbiamo già ricordato, la stessa fonte a

cui attinge il falsario non dà a Orlando il titolo di conte e tanto meno

quella di “conte palatino”.

L’epigrafe di cui ci stiamo occupando mostra senza ombra di

dubbio che l’ambiente minoritico della Verna era legato ai Guidi di

Poppi. Né Orlando, né i suoi figli risultano in alcun modo aver

rapporti privilegiati con i frati Minori alvernini e, tanto meno, sono

cointeressati alla costruzione e sistemazione degli ambienti

santuariali, o coinvolti negli interventi sulle strutture abitative. Il che

costituisce - se ancora ve ne fosse bisogno - un ulteriore elemento a

comprova di quanto abbiamo fin qui sostenuto a proposito della

presunta donazione e della sua conferma. Non si dimentichi, per altro,

che proprio tre anni prima Orlando e i suoi fratelli erano stati privati

dei feudi dal vescovo, loro signore.

Nel territorio attorno al monte della Verna i giochi di potere sono

molteplici e contrastanti: oltre la presenza di diverse signorie che si

contendono terre e uomini, c’è l’intervento del vescovo, che rivendica

diritti di vario genere. Attori più o meno potenti sono gli Ubertini, i

Guidi di Romena, alla cui consorteria apparteneva Simone, e

soprattutto il potente monastero di Camaldoli. Nel 1264 il monte della

Verna e il territorio circostante era nelle mani dei Guidi: il che fa

capire come siano loro i principali o, addirittura, gli unici attori degli

interventi sulle strutture del santuario e del romitorio. Ma

probabilmente dietro di loro c’è il vescovo, di cui i Guidi sono la longa

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manus per contrastare le mire del monastero camaldolese; l’eremo

della Verna veniva dunque coinvolto in una lotta per il potere nel

Casentino e forse i Guidi lo utilizzarono come controaltare nei

confronti del potere monastico dominante nella zona 100.

La storia dell'insediamento della Verna appare dunque inserita in

una dinamica politica e istituzionale certamente più complessa di

quanto si sia soliti ricostruire, affidandosi a tradizioni tardive e a

documenti, che ad un’attenta analisi si rivelano falsi, o pesantemente

falsificati 101 . La stessa vicenda della memoria agiografica della

stimmatizzazione sul monte della Verna appare molto meno lineare di

come non venga solitamente presentata. Tale vicenda è speculare

rispetto all'evolversi del culto delle Stimmate, che, paradossalmente,

prende slancio proprio dalla polemica "teologica" sul fenomeno, di cui

abbiamo la prima testimonianza nelle lettere di Gregorio IX del 1237.

Il silenzio del papato fino a quella data appare indicativo di un culto

che non ha ancora preso piede. Il che avverrà solo a partire dagli anni

Cinquanta del secolo: in tal senso risulta di nuovo fondamentale la

lettera di Rinaldo d'Ostia. È il decennio in cui le strutture

dell'insediamento subiscono le modificazioni necessarie per

conferirgli il carattere di santuario dedicato alle Stimmate, che di lì a

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100 Ringrazio Gian Paolo Scharf per le indicazioni in proposito: da lui attendiamo un annunciato volume che metta in luce gli intricati problemi dei rapporti tra i Guidi, Camaldoli e il vescovo di Arezzo, nei quali viene coinvolto l’eremo della Verna.

101Devo purtroppo far notare che la già citata voce di BARFUCCI, Stimmate, nel Dizionario francescano nella parte relativa a s. Francesco si affida in modo acritico al racconto degli Actus/Fioretti e non accenna minimamente ai problemi relativi alla discussione sulla documentazione, a proposito della quale già il Mencherini aveva espresso ampie riserve.

pochi anni (1264) avrà anche un ambiente sacro sul luogo del

misterioso evento.

L'insediamento stesso subì i contraccolpi dello sviluppo della

memoria agiografica e del culto, a partire dal misterioso e riverente

silenzio, che aveva avvolto l’esperienza delle stimmate negli ultimi

due anni della vita di Francesco e delle contrastanti reazioni che la sua

evidenziazione suscitò nei vari ambiti e ai diversi livelli dell'Occidente

cristiano. La storia della comunità minoritica della Verna diviene così

l'emblema di una vicenda che è fatta di ricerca di silente ritiro nella

testimonianza della povertà minoritica, ma anche del sorgere e dello

svilupparsi di un culto, che solo lentamente e faticosamente prese

piede persino nell'ambiente che si sarebbe portati a pensare come il

più geloso custode della memoria di un “prodigio”, assunto come

emblematico sigillo (bulla) di una nuova Regola di esperienza e vita

religiosa.

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