La «scienza» di Parmenide

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LIII l 15 MAGGIO 2001 GIORNALE ITALIANO DI FILOLOGIA ESTRATTO ROMA HERDER EDITRICE E LIBRERIA

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LIII l 15 MAGGIO 2001

GIORNALE ITALIANO DI FILOLOGIA

ESTRATTO

ROMA HERDER EDITRICE E LIBRERIA

RETRACTANDO ATQUE EXPOLIENDO

lA <<SCIENZA• DI PARMENIDE *

Proposito ambizioso ma tutt'altro che velleitario, come si vedrà in seguito, quello di dimostrare che <<Parmenide non è stato ... il primo pensato re dialettico o metafisico della filosofia occidentale. Fu prima di tutto uno scienziato che, sul­la base dell'esperienza acquisita nel corso delle ricerche matematiche, astronomi­che e fisiche, svolte dai precedenti pensatori ionici e poi da lui stesso personal­mente, delineò una metodologia dell'euresis scientifica, fondata sul principio di identificazione/ equazione owero di 'invariante' e, per questa via, fu o credette di essere in grado di prevedere con certezza assoluta le proposizioni ultime sulla na­tura e l'assetto del cosmo ... Il suo pensiero è perciò paragonabile piuttosto a cer­te proiezioni cosmologiche proposte dalla fisica attuale, che non a questo o quel sistema della posteriore tradizione filosofica greca ed europea» (p. 8, cf. anche p. 25). Di ciò egli riconosce parziali anticipazioni in Popper (p. 8). Il punto di par­tenza negativo è nell'impegnativa affermazione che del pensiero di Parmenide •nessuno, né filosofo o storico della filosofia né filologo o storico della letteratu­ra greca ... ha mai fornito una parafrasi in qualche modo plausibile, che non con­figurasse un ragionamento sostanzialmente assurdo, ispirato ad una logica cosi consequenziaria, ma esteriore e purainente verbalistica, da slittare nel paradosso e nel paralogismo>> (p. 15).

L'argomentazione è affidata ad un lungo saggio introduttivo, i cui primi due paragrafi (pp. 11-25) sono dedicati ad illustrare le difficoltà esegetiche che in­contra l'interprete di Parmenide, con una rassegna di alcune posizioni della cri­tica moderna, di cui si individuano aporie. Dovute, essenzialmente, all'anacroni­stico incardinamento del pensatore nella tradizione metafisic<XIialettica postari­stotelica (nonché a pregiudizi sulla struttura logica della "mentalità primitiva": è pienamente condivisibile l'excursus [in quanto tale] dell'A. alle pp. 16-20, inteso a

* PARMENIDE DI ELEA Poema suUa natura. Introduzione, testo, traduzione e note di G. CERRI. Testo greco a fronte, Milano, RCS Libri, 1999, pp. 295 [«Biblioteca Univer­sale Rizzoli L 1296•] -Premessa (pp. 7-10); Introduzione (pp. 11-110); Pagine scelte di critica moderna (pp. 111-126); Bibliografia (pp. 127-143); Testo e traduzione (pp. 145-161; a p. 145 è una Nota aUa traduzione); Commento (pp. 163-292); Sommario (p. 293-295). A p. 6 si ritrova una nota al testo, con awertenze sulla costituzione e presentazione dello stesso e sulla scelta dei frammenti (rispetto alla VI ed. di Diels e Kranz, di cui si se­gue numerazione e sequenza dei frammenti); vd. anche l'Awertenza II a p. 9, sui criteri riguardo alla «coloritura dialettale•. Mancano i dubbi e spuri (frr. 21-25) di Diels-Kranz, e vi è un fr. in piu (qui nr. 20): la ripresa, argomentata, di una proposta ottocentesca (vd. pp. 160 sg. e 291 sg.).

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criticare schematismi euristici destinati alla parzialità). L'argomentare dell'A. in questo senso va seguito anche nel par. 12 (Le origini del travisamento: pp. 77-85), ove si individuano le radici, già nell'antichità, della lettura sviata di Parmenide. L'A. introduce come antidoto l'esame dei frammenti nel complesso culturale del tempo, sia per quanto riguarda gli aspetti tradizionali (mito, religione, poetica) sia in considerazione della «nuova, esaltante esperienza della ricerca scientifica e filosofica», fornendo particolare rilievo al versante scientifico, finora negletto.

Nel dettaglio, l'argomentare dell'A. parte da singole 'scoperte' scientifiche presocratiche di cui abbiamo testimonianza in ambito ionico e pitagorico, essen­zialmente nei campi dell'astronomia, della geometria, della cartografia, dell'otti­ca atmosferica, dell'ingegneria, della matematica e dell'acustica (pp. 27-36). Ricerche di questo tipo sono testimoniate anche per Parmenide, come l'A. illustra alle pp. 52-57 (sfericità della terra, identificazione di Espero e Lucifero [su que­sto, vd. anche l'interessante proposta a p. 268], origine della luce lunare: mai con la certezza della sua primazìa nell'enunciazione).

Non si saprebbe se attribuire grande momento a tali attività, in relazione al­l'argomentare altamente astratto di Parmenide. Esse si configurano come ricerche e pratiche di statuto teorico diverso dal pensiero sviluppato da Parmenide, perlo­meno nella parte metodo logica (salvo, per grado di· astrazione, il modello mate­matico di Pitagora). Ovvero, a una considerazione generica potrebbero costituire indizi di un'attività scientifica oggetto della pratica e della riflessione del pensa­tore, fino a portarlo, per progressivi gradi di astrazione, alla sistematizzazione su­blimata che conosciamo, o, costituire, a partire da un'intuizione fondamentale, conferme della stessa, per progressiva deduzione: ma, per essere concretamente utilizzabili in quel senso, le scoperte o le asserzioni scientifiche elencate dall'A. dovrebbero contestualmente fornirci, direttamente o indirettamente, i principi di­rettivi, gli 'schemi mentali' che possano collegarle ad una teoria come quella espo­sta da Parmenide. Mi sembra che non ci sia questa possibilità, salvo in un caso (p. 56 sg.), di cui infra.

L'analisi si fa piu stringente con l'introduzione del <<postulato» alla base del­le sintesi delle ricerche presocratiche e del pensiero di Eraclito (pp. 36-49). <<Andò imponendosi un postulato scientifico di evidenza immediata ... provvisto della stes­sa cogenza che inerisce a un postulato matematico o geometrico: l'impensabilità di processi fisici che implichino creazione di materia dal nulla o distruzione di ma­teria nel nulla; nihil ex nihilo, nihil in nihilum>> (p. 37). Il postulato della persisten­za di una 'sostanza', insieme alle conclusioni eraclitee di sostanziale identità di fe­nomeni abitualmente contrapposti in maniera polare (vd. part. le pp. 42-49; un esempio: la notte e la luce a mezzogiorno come gradi rispettivamente zero e mas­simo del medesimo fenomeno naturale, la luminosità atmosferica) costituiscono i principi su cui Parmenide elabora il suo pensiero. Il <<principio di identificazio­ne/equazione», introdotto dall'A. in precedenza, è quanto Parmenide applica ri­gorosamente per pervenire alla celeberrima asserzione che <<l'essere è, il non es­sere non è»: ove il verbum substantivum generalizza e antologizza il risultato di una continua equazione, che suppone un'identità tra tutti i fenomeni, apparente­mente diversi tra loro, ma tra i quali solo una considerazione doxastica e fallace può stabilire una relazione di «non essere••, owero di eterogeneità (sul valore di dvm, copulativo e non antologico, vd. p. 60, per quello antologico, vd. p. 63). «Certo anche lo scienziato è ben lontano dall'aver superato tutte le diversità in identità superiori, ma sa che ciò è dovuto alla parzialità delle sue conoscenze e che lo sviluppo futuro della ricerca porterà a sempre nuove identificazioni» (p. 60). Ovvero, quello di Patmenide non è il culmine di un processo di risoluzione

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di tutte le (apparenti) diversità fenomenologiche, ma un principio guida che, se applicato con rigore, progressivamente condurrà al riconoscimento di un unico <<ente» (su ciò, vd. part. le pp. 62-63). Della risoluzione di apparenti polarità se­condo il principio di identificazione sembra esserci in Parmenide un solo esem­pio di dettaglio, opportunamente rimarcato dall'A. (p. 56 sg.). A proposito della eterogeneità della luce lunare, nient'altro che ritrasmissione di quella solare, la testimonianza 42 D.-K ci dice che Parmenide giunse ad affermare che <<la luna è eguale al sole: infatti ne è illuminata».

Ciò che caratterizza peculiarmente il monismo parmenideo è che il princi­pio di identità e quello di 'conservazione della sostanza' conducono alla conclu­sione di escludere «qualsiasi fenomeno di movimento o trasformazione, in quan­to i processi di questo tipo presuppongono rottura di un precedente equilibrio statico, dunque una forza che li determini, cioè un'entità eterogenea all'Essere stesso» (p. 64; vd. anche p. 39). Insomma, nell'intuizione di Parmenide non c'è posto per un principio immanente di trasformazione.

L'argomentazione dell'A. per collocare le parole parmenidee in àmbito co­smologico si avvale anche di un'operazione, per cosf dire, analogica (pp. 67-69). ll cap. lO dell'Introduzione si apre con una serie di affermazioni di Hawking (da A Brief History of Time = tr. i t. Dal Big Bang ai buchi nen), che presentano somiglianze con le definizioni parmenidee (ad es.: «possibilità che lo spazio-tempo sia finito ma illimitato, ossia che non abbia alcun inizio», «Campo gravitazionale ... rappre­sentato da spazio-tempo curvo», «l'universo sarebbe quindi completamente auto­nomo e non risentirebbe di alcuna influenza dall'esterno. Esso non sarebbe mai stato creato e non verrebbe mai distrutto. Di esso si potrebbe solo dire che È>>). In particolare, troverebbe rispondenza nella teoria esposta da Hawking una affer­mazione parmenidea che ha lasciato alquanto perplessi, ed è sembrata contrad­dittoria: owero (fr. 7/8, 47 sg.) a.u'tà.p 1bteì ltEipa.ç lt'Ò!!a.'tov, 'tE'tEÀ.Ecr!!Évov ècr'ti /~tav'to!lev, eurildou mpa.ip11ç Éva.Àt"(Ktov OYJCC"Jl (vd. p. 65 sgg.). L'A. ne trae, tra l'altro, che «il con­fronto contribuisce a chiarire che la dottrina di Parmenide è effettivamente un'on­tologia cosmologica generale, postulata sulla base dell'indagine fisica, non un'e­lucubrazione puramente logico-dialettica o una m~tafisica filosofica, in senso post­aristotelico» (p. 68). Nel fatto che <<la nozione di 'parmenidismo'» sia presente, in maniera consapevole, nel dibattito epistemologico contemporaneo (fisico e mate­matico) l'A. trova ulteriore conforto alla prospettiva da lui prescelta per interpre­tare Parmenide (p. 68 sg., vd. anche p. 81).

Non vi è dubbio che le rispondenze si staglino, cosi come non stupisce che il modello astratto di Parmenide trovi utilizzo in formulazioni di teoria fisico-ma­tematica. Siamo del sommesso parere, tuttavia, che per uscire dalla mera analogia avremmo bisogno del processo che ha portato Parmenide alle sue conclusioni (o perlomeno a maggiori dettagli dello stesso). Dietro le affermazioni di Hawking ci sono, già nei brevi brani riportati, almeno Einstein e la teoria quantistica e, co­munque, una massa documentata di relative ricerche fisiche, teoriche e speri­mentali. Dietro Parmenide, come rilevato dall'A., i principi di conservazione del­la materia e quello di identificazione/ equazione. Forse troppo poco per indurre ulteriori 'parentele' da affinità a livelli di formulazione cosf astratti. Si tratta di am­biti ove veramente "il risultato è il processo", owero dove la natura delle conclu­sioni può essere chiarita solo dalla conoscenza del percorso che ad esse ha porta­to: e relativamente a Parmenide questa conoscenza è da parte nostra troppo la­cunosa.

La struttura del poema, illustrata dall'A. alle pp. 12-14, possedeva anche una parte cosmogonica e cosmologica, da che si ipotizza «si trattasse ... di un'enciclo-

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pedia scientifica onnicomprensiva, quale sarà poi il poema Sulla natura di Empedocle» (p. 14). n che ha creato il problema del perché «se la molteplicità delle cose e i loro fenomeni di trasformazione sono solo apparenze fallaci, ... pro­porre un poema sulla natura ... alla maniera tradizionale della filosofia ionica•• (p. 22). La soluzione, secondo l'A., sta nel considerare questa seconda parte <<l'illu­strazione sistematica ed enciclopedica della realtà, alla luce del sapere scientifico piu aggiornato, assunto nella versione propria di Parmenide stesso e della sua scuola» (p. 73); un sapere scientifico a partire dal quale, in futuro, progredendo, si riuscirà, procedendo per equazioni, ad eliminare tutte le apparenti differenze, per approdare all'ente unico, che solo è e di cui sono evidenti i m1Jla'ta (conside­razioni sulla concezione antica del progresso alla p. 71 sg.). Sulla necessità di ef­fettuare ricerca sulle lì61;at per pervenire all'enucleazione finale dell'unico ente, vd. anche il breve excursus alla p. 190 sg.

Intento dell'A. è, già si è accennato, inserire quanto ci resta di Parmenide nel contesto culturale suo proprio. Le osservazioni di cui sopra hanno riguardato un elemento, quello della ricerca scientifica presocratica (contro un'abituale con­siderazione metafisico-dialettica del pensato re). E sono qui da segnalare le pagi­ne in cui si rileva quanto i risultati in questo campo avessero conseguenze eversi­ve su diverse e importanti modalità del sapere tradizionale (vd., ad es., p. 40 sgg.). L'altro polo è quello, se è lecito, 'sapienziale', delle tradizioni mitico-poetiche e della loro trasmissione. Poiché «già in Parmenide si trova ... compiutamente rea­lizzato quel singolare connubio che caratterizzerà anche i successivi sviluppi della cultura greca: la sintesi, scevra di qualsiasi conflittualità, fra razionalismo assoluto del pensiero e simbolismo religioso del politeismo tradizionale» (p. 9; e vd. la nota alla p. 268 sg., sulla reinterpretazione del «politeismo tradizionale»). In particola­re, l'A. si impegna sul quesito Perché Parrrumide scrisse in versi, che costituisce il ti­tolo del par. 13 dell'Introduzione (pp. 85-96). L'A. inizia considerando i titoli, i contenuti e la (ipotizzabile) struttura delle opere in prosa tra il VI e l'inizio del V secolo; afferma che gli scritti «fisico-naturalistici hanno ... in comune un caratte­re, inerente al taglio del discorso: si tratta sempre e soltanto di elenchi di rifles­sioni brevi, di poche righe ciascuna, staccate l'una dall'altra sul piano sia della sin­tassi sia del contenuto, nel senso che, con la loro sequenza, non costituivano in alcun modo ragionamenti continuati, bensi soltanto una serie di massime isolate che, disposte secondo un certo ordine tematico, erano atte nel loro insieme a fis­sare le tesi fondamentali di una dottrina, senza dimostrazione né interrelazione logica precisa ... La cosa è appena intuibile dagli scarsissimi frammenti superstiti di Anassimene e Alcmeone, ma è positivamente attestata per Anassimandro [scii. test. l, 2 D.-K.]», e i frammenti di Eraclito ne sarebbero conferma (p. 86 sgg.). Ora, poiché l'intento di Parmenide era quella di «fornire un'esposizione comple­ta del suo pensiero» (p. 88), la scelta non poteva cadere che sul genere dell'epos, allora «lo strumento linguistico naturale» per un'esposizione distesa (non solo narrativa: vd. le argomentazioni dell'A. soprattutto a p. 89), naturalmente con le dovute selezioni e i dovuti cambiamenti rispetto all'epica precedente (vd. pp. 90-93, con qualche osservazione sullo stile). La funzione di una tale iniziativa era du­plice: una esoterica, a scopo di sintesi mnemonica per la scuola, una essoterica, per la circolazione esterna e la divulgazione delle teorie eleatiche (pp. 93-96).

È da ritenere che la (possibile) struttura schematica degli scritti fisico-natu­ralistici fosse dovuta piu ad una caratteristica della prosa (di tutta la prosa) in sta­tu nascendi, che a consapevole scelta dei trattatisti stessi (come mi sembra preferi­sca l'A. a p. 88). Tuttavia, ciò non infida per niente quanto Cerri viene a conclu­dere. Le motivazioni della scelta parmenidea sono ottimamente enucleate e, se è

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concessa una considerazione, l'A. dimostra ancora una volta la sua capacità di col­locare culturalmente in àmbito "pragmatico" fenomeni di comunicazione antica (o discorsi sulla stessa), come, riteniamo, gli era avvenuto nell'opuscolo su Platone. E per "pragmatica" intendiamo qui non solo la funzione di destinazione dello scritto, ma anche la scelta del medium (il verso epico).

Chiude l'Introduzione una interpretazione del proemio parmenideo (fr. l, 1-32 D.-K): in essa (pp. 96-110), coerentemente con i principi enunciati all'inizio, si rileva come, !ungi dall'esservi contraddizione tra 'impalcatura' mitica e razio­nalismo (o scientismo), Parmenide non faccia che rispettare le «forme necessarie di espressione» (p. 110) del genere prescelto e della tradizione culturale e attra­verso queste, come solo era possibile, affermare consensi e dissensi rispetto alla tradizione stessa.

Nel commento diverse sono le note critico-testuali vd. ad es., pp. 184, 185, 187 sg., 189, 221 sg., 226 sg., 236 sg., 250-52), in cui l'A. si impegna non solo con tutti i mezzi della critica formale, ma sempre fornendo fondamenti di sostanza. Non palmare mi risulta l'intervento a fr. l, 3: 7tav9' ii~· ifn per i tràditi 7tav~· iia'tll. 1tav~· n't'Il. 1tav~a riì (non per l'aspetto formale: per ii ~e. vd. Chantraine, Grammaire homérique II, p. 239 sgg.). Per quanto riguarda il cong., l'A. commenta (p. 169): <<il suo poema è "su tutte le cose che siano", nel senso preciso che, attraverso una ricognizione dell'intera esperienza umana, delle cose che sembrano essere, ma che a rigore di logica non sono, perviene al riconoscimento della loro unità so­stanziale. Il congiuntivo ha valore potenziale-eventuale» (forse è meglio non in­trodurre la categoria di "potenziale" con il cong.). Prima di tutto mi sembra sia necessario chiarire se si intende qui, da parte di Parmenide, !'.uso 'equazionale' del verbo "essere" oppure l'uso ontologico. Nel primo caso, poiché, come abbia­mo visto, il principio di Parmenide è di una continua identificazione fino ad ar­rivare all'unità dell' "essere" avremmo un'anticipazione della sua conclusione, sia pure in termini ancora eventuali: tutte le cose effettivamente "sono", risolvendosi la loro progressiva mutua equazione nel <<tutto-uno». Non pare mirata a questo l'analisi dell'A., per cui «'le cose', 'tutte le cose', sono per Parmenide parvenza fal­lace, che nasconde la realtà dell'uno totale; dunque il suo poema è "su tutte le cose che siano", nel senso preciso che, attraverso una ricognizione dell'intera espe­rienza umana, delle cose che sembrano essere [corsivo mio], ma che a rigore di logi­ca non sono, perviene al riconoscimento della loro unità sostanziale. Il congiun­tivo ha valore potenziale-eventuale: la via della divinità conduce l'uomo sapiente per tutte le cose che possono presentarsi all'esperienza; successivamente si scopre il tutto-uno; ma questo è uno sviluppo del discorso, non il suo punto di parten­za» (p. 169). Ciò potrebbe riferirsi ad un ifn in senso ontologico, quale presente all'esperienza doxastica, per la quale 'le cose' sono in quanto esistenti in sé ed ete­rogenee tra di loro. Allora il cong. verrebbe a significare "le cose che eventual­mente esistano": ma a partire da che punto di vista? Non può essere quello di Parmenide stesso, per cui non vi sono 'cose' che esistano e 'cose' che non esista­no, ma nemmeno quello, eventualmente da lui preso a <<punto di partenza>>, <<del­l'intera esperienza umana, delle cose che sembrano essere» e <<Che possono pre­sentarsi all'esperienza», poiché tali 'cose', per la 156/;a, sono tutte "esistenti", e dun­que, anche in questo caso non mi sembra si giustifichi il cong. Si ritrova notevo­le attenzione per la formularità, ovvero alla segnalazione, allo stesso tempo, della tradizionalità dei mezzi espressivi e della rielaborazione degli stessi, in funzione del nuovo 'discorso'. Per l'elaborazione ai propri scopi espressivi e tematici di un motivo poetico tradizionale vd., ad es., p. 203 (fr. 5).

Parte del commento è dedicata all'illustrazione lessicale, com'è particolar-

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mente necessario per un autore che si propone un 'discorso' nuovo a partire da un impianto "tradizionale". L'A. non tralascia niente e non manca di affrontare ogni difficoltà, proponendo per esse soluzioni normalmente provviste di acutezza e forza di convincimento. In particolare, segnaliamo lo sforzo di evidenziare l'uso polisemico di determinati vocaboli: situazione imbarazzante per il lessico di un pensatore (soprattutto se lo si identifica con uno scienziato), ma probabilmente dovuta alla necessità di esprimere sfumature innovative di pensiero mediante uno strumentario linguistico, quello tardo-arcaico e in forma poetica, non parallela­mente evoluto. Al proposito ci saremmo, però, soffermati anche sull'uso di crfuw.'ta nel fr. 7/8, 7: si tratta dei «segni» per cui l'Essere è àyÉvT]'tov e àvrol..e9pov. Ora, è noto che i crftJ.LCX'ta sono sensibilia, e tali sono i crftJ.LCX'ta del v. 60 nello stesso fram­mento, del fr. 10, 2 e l'tildmuwv del fr. 19, 3: senonché, nel nostro caso, l'illustra­zione di Parmenide nei versi seguenti consiste di conclusioni di carattere logico­deduttivo, cui, in prima istanza, male si applica la definizione di crftJ.LCX'ta. Forse che Parmenide implicasse fenomeni fisici, osservabili, che portavano a quelle conclu­sioni, che lui esprime già 'sublimate'? (forse è quanto intende l'A.: vd. p. 219). Anche CÌ'tPE11Éç a fr. l, 29 e a fr. 7/8, 9 meritano valutazione: il primo, àA.T]9EiT]ç ... CÌ'tpe!J.Èç ~'top, sembrerebbe avere valenza metaforica (normalmente la famiglia ha significato comportamentale> antropomorfismo?), una valenza trasferita alla fi­sica immobilità dell'Essere in fr. 7/8, 9. Si notino: a p. 174 la nota sul pregnante ev9a (fr. l, 11); alle pp. 188 e 194 sg. quelle SU VOEtV (frr. 2, 2 e 3); a p. 198 sg. quella sul difficile JCa'tèt lCOO!lOV (fr. 4, 3; non ci sembra possibile la resa che lo stes­so A. dà come alternativa subordinata <<in successione ordinata>>: per quanto sem­bri la piu immediata, non riceve conforto dal contesto); a p. 224 sg. (fr. 7/8, 17 su 1tionç); a p. 242 sg. su J.LCXV9àvro; a p. 273 SUI!TJ'tioa-ro; fr. 4, 1: sembra curioso che per designare identità Parmenide usi un verbo come 7tapEt11t, che indica, piuttosto prossimità (egestas della lingua?; cf., del resto, il commento dell'A. [p. 196]: «due enti qualsiasi ... risulteranno inesorabilmente vicini ... , cioè identici, all'occhio vi­gile della mente>>), cf. èòv yètp t\Ovn 7tEA.a.çet al fr. 7/8, 30; p. 150 sg. (fr. 6, l) eon yètp dvat <<l' «essere» esiste»: molte sono le osservazioni intese a distinguere l'uso di "es­sere" copulativo oppure ontologico. Alle pp. 214 sg. e 219 si afferma che al fr. 7, 8 roç àyÉvT]-rov ÈÒv 1eaì àvro!..e9p6v Èonv <<fa per la prima volta la sua comparsa nel poe­ma il concetto ontologico di 'Essere'>>: probabilmente l'A. si riferisce alle forme participiali, poiché già al fr. 6, l egli traduce eon yètp dvat con «l' «essere>> esiste>> (sulla natura dell'Essere ontologico sono importanti le note alle pp. 239 [fr. 7/8, 51] e 240 [fr. 7/8, 52-53; cf. anche pp. 65 e 241 sg.], sulla sua materialità; argo­mento cui l'A. dedica forse troppo poco spazio, perché riesca ad essere del tutto convincente [l'uso di immagini fisiche per descriverne le caratteristiche non im­plica letteralmente la sua fisicità]).

C'è lo spazio per altre piccole annotazioni: p. 51: la datazione di Strabone è I a.C./I d.C.; p. 173: per Èç q>aoç <<sempre in rapporto all'azione portentosa del rie­mergere dall'Ade>>, può valer la pena di ricordare, per la quota cronologica e se l'attribuzione è corretta, l'uso metaforico di Archil. fr. 24, 17 sg. W.2 év çoq>cp oÈ JCei­J.LEVo(ç)[ l a~nç ]~[ç] <pa[oç K]a-rea1:6.9T]v; p. 187 sg. (fr. 2, l): per ei o· iiy' èyrov Èpéro si noti la presenza, a introduzione di un'esposizione che intende essere scientifica, di un 'principio' d'autorità di carattere arcaico; p. 222 sg. (fr. 7, 9) è vero che imer­pungere subito dopo à'tÉAea'tov crea difficoltà esegetiche, ma è altrettanto vero che la soluzione dell'A. (pp. 153 e 222 sg.), <<tutto intero, unigenito, immobile, ed in­compiuto l mai è stato o sarà>>, collegando à'tllio-rov ai verbi del verso seguente, lo distingue dalla serie o~A.ov, J.Louvoyevéç 'tE 1eaì à-rpEJ.1Èç, cui invece lo collega stretta­mente itlìÈ; p. 236 (fr. 7/8, 42): non è necessario che in è6vwç il significato esi-

LA <<SCIENZA>> DI PARMENIDE 137

stenziale-ontologico sia accompagnato da quello copulativo-equazionale (anche se questo è presente nell'èév~oç del v. 39); p. 246 (fr. 7/8, 58): non si può in nessun modo rendere I!OP<P'Il, sempre collegata all'apparenza visibile, con «significato», ri­schia di essere sviante (e 'il parallelo' del Prometeo significa "unico fenomeno dai molti nomi"): la traduzione dell'A. è, in effetti, <<forma» (p. 155); p. 261: la 're­gola' di corrispondenza tra un verbo singolare e un neutro plurale non è ferrea, tra le possibili 'eccezioni', vi sono, tra le altre, quelle indotte dalla metrica: cf. Horn. B 135, 11 43, dove il verbo al plurale chiude il verso, proprio come in quel­lo di Parmenide; p. 278 (fr. 12, 2) tE~m, «il presente è coniugato al presente sto­rico». L'epica arcaica non conosce il presente storico, ma questo potrebbe anche giudicarsi non pertinente per Parmenide. Piuttosto, è da osservare che esso è pro­prio della narrazione: ma qui Parmenide è passato da essa (se 1tì..iìv~o del v. l può essere cosi interpretato) alla descrizione. Direi che '{~at è un presente cosiddetto ,:·:..tcìnporale"; p. 271 (fr. 12, 4) è da valutare forse con piu attenzione se 7t(XV~a in senso avverbiale sia possibile non in riferimento a un aggettivo (il tipo 7t(XV~a yàp ou KCXKOç elllt di Horn. e 214, per intenderei; vd. gli esempi in LSJ s.v. 7t&ç D 4; in Soph. OR 1198 1tav~a è definito accusativo «Of respect» da J.C. Kamerbeek, The Plays of Sophocles, IV, The Oedipus Tyrannus, Leiden 1967, p. 224) e, qualora si, se lo sia nell'ambito linguistico e cronologico di Parmenide.

Sulla traduzione, l'A. fornisce i suoi criteri a p. 145. I frr. 2 e successivi sono da lui «tradotti in esametri "barbari">•: è opportuno segnalare che in complemento alla traduzione vanno sempre lette le frequenti parafrasi che scandiscono il com­mento. Il difficile testo è reso in maniera che solleva poche o nessuna perplessità: apparenti durezze o soluzioni stranianti trovano giustificazione nel commento. Inoltre, la traduzione risulta coerente con l'interpretazione generale dell'A. Le oc­casioni di dissenso sono poche e di portata limitata: al v. 2 del fr. l (p. 147) avrem­mo tradotto 1tÉ117tov con «mi portavano» (come nel commento, p. 167), piuttosto che con «mi trascinavano», che non sembra adeguato né alla lettera né al conte­sto. A p. 149 ~top (in &.tpEI!Èç ~top, fr. l, 29) viene tradotto con «sapere»; nel com­mento non vi è niente a giustificazione di questa resa intellettualistica, di come ~top possa assumere una valenza di questo tipo: non potrebbe trattarsi di qualco­sa come «il nocciolo», o una forma di antropomorfizzazione ? (vd. comunque, ad es., Horn. A 188 per ~top come sede della riflessione); p. 149: il v. l del fr. 4 (ì..ciìcr­crE o' o11ffiç &.7te6na v6cp7tapE6vta j3ej3airoç) con «Vedi le cose lontane tuttavia vicine alla mente»: ma il nesso ì..ciìcrcre v6cp (che sembra riconosciuto dall'A.: cf. p. 197 sg.) an­dava forse esplicitato piu chiaramente. Credo che una traduzione quale «Guarda con la mente (come) le cose lontane tuttavia siano prossime» vada bene per il sen­so, con maggior aderenza al dettato originale; p. 151 si traduce acrKo7tov OI1111X con «occhio accecato» («occhio che non vede» in sede di commento, p. 217): direi «che guarda confusamente, che non fissa un obiettivo>>; &rjì..utÉpcp del fr. 12, 6 è tra­dotto con «piu femminile» (p. 157, cf. anche p. 267): direi piuttosto che si tratta di un 'fossile', retaggio del valore distintivo/oppositivo del suffisso, presente, ad esempio, nel sintagma omerico yuvatKarov lh]ì..utEparov, e assunto da Parmenide qua­le patente arcaismo (o omerismo). Non renderemmo, quindi, con il comparativo; nel fr. 13 "Epma è reso con «Amore»: poiché questa parola ha molte risonanze estranee al greco Eros sarebbe stato preferibile lasciare il nome del dio (anche se qui non inteso tradizionalmente).

Ci si duole della mancanza di testo e traduzione delle testimonianze su Parmenide, cosi spesso addotte dall'A. nell'Introduzione: non sono fondamentali alla dimostrazione dell'assunto esegetico principale del lavoro, ma il lettore avreb­be avuto a disposizione un Parmenide completo.

138 E. DEITORI

Questo lavoro costringe a calibrare in maniera diversa la nostra lettura di Parmenide. È una novità di non poco momento, e- che senza dubbio va conside­rata un'acquisizione. La collocazione tutt'altro che vaga di Parmenide nell'ambi­to del 'discorso scientifico' presocratico ne cambia e ne arricchisce la fisionomia; aiutando forse anche ad uscire da alcune 'paludi' esegetiche formatesi attorno al pensatore. n rivendicare alle parole di Parmenide carattere di 'scienza' risulta con­vincente anche sul piano storico-culturale. A mio parere bisognerà tuttavia stare attenti a sfruttare pienamente l'arricchimento portato da questa nuova proposta di lettura. Owero si dovrà accuratamente evitare di creare nuove fratture o bar­riere tra "saperi": ricordandosi che molte delle parole di Parmenide costruiscono un'antologia, articolata su diversi valori del verbo "essere", che il procedere del suo pensiero, almeno per quanto ci è rimasto, è marcatamente deduttivo, che ci manca pressoché del tutto il contorno di verifiche che si possano chiamare, an­che solo per analogia, sperimentali. Insomma, l'ordine logico appare piu che di­scretamente investito. "Metafisica" è certo un'etichetta che può definirsi a ragio­ne anacronistica, e che è meglio far corrispondere all'instaurarsi di una diversa stagione filosofica, ma "ricerca scientifica" e "scienza" sono anch'esse definizioni con una loro storia, tutt'altro che neutrali, e, direi, altrettanto insufficienti a qua­lificare del tutto la sostanza del pensiero parmenideo. Sono, però, 'parole' che mancavano, come ci rendiamo conto adesso, grazie a Giovani Cerri.

Alcune citazioni vanno aggiornate. P. 193: Aristoph. fr. 691 Kock = fr. 711 K­A.; p. 229: Aesch. fr. 193, 22-24 Nauck = 193, 22-24 Radt; p. 231: Soph. fr. 106 P(earson) = adesp. trag. fr. lb 14 Kannicht-Snell; p. 282: Archi!. fr. 68 D. (107 Tard.) = fr. 131 W.2•

Pochi i refusi registrati: p. 27 r. 18 «la Balilonia»; p. 83 r. l della nota: l. «KE<pa.À.mrolìn»; p. 98 r. 6 della nota e passim: la grafia corretta del nome è «Maehler»; p. 113 l. 15: probabilmente è da leggere «321» per «231»; p. 126 r. 21: l. «Legacy»; p. 134 r .. 9 dal basso: l. «Dordrecht»; p. 134 r. 6 dal basso: l. «Kalogerakos»; p. 142 r. 10 dal basso: l. «Hagg»; p. 142 r. 8 dal basso: l. «und Literatur» dopo «Religion»; p. 142 r. 6 dal basso: l. «Upanis_ad>•; p. 142 r. 5 dal bas­so: l. «Asoka»; p. 194 r. 2 dal basso: L «fr. 2, v. 2»; p. 259 r. 2: L «Stablin» per «Stenzel»; p. 283 r. 2: manca il numero di vol. di Klihn (XVII A).

EMANUELE DETIORI