La responsabilità tributaria del cessionario di azienda e il diritto di difesa.

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRENTO Dipartimento di Economia e Management Corso di laurea in Amministrazione aziendale e Diritto Percorso professioni private Tesi di Laurea La responsabilità tributaria del cessionario d’azienda e il diritto di difesa Relatore: Laureando: Dott. Michele Fiorese Filippo Forte ANNO ACCADEMICO 2012/2013

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRENTO

Dipartimento di Economia e Management

Corso di laurea in Amministrazione aziendale e Diritto

Percorso professioni private

Tesi di Laurea

La responsabilità tributaria del cessionario

d’azienda e il diritto di difesa

Relatore: Laureando:

Dott. Michele Fiorese Filippo Forte

ANNO ACCADEMICO 2012/2013

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INDICE

1. LA CESSIONE DI AZIENDA E IL SUO RECEPIMENTO NEL

DIRITTO TRIBUTARIO.

1.1- Introduzione: il concetto di azienda………………………………………………..3

1.2- La disciplina generale della cessione di azienda e la tutela dei diritti……………...5

1.3- Il trattamento dei debiti tributari nelle cessioni di azienda……………………….14

2. LA RESPONSABILITA’ DEL CESSIONARIO D’AZIENDA PER I

DEBITI TRIBUTARI.

2.1- La soggettività passiva tributaria e le obbligazioni solidali………………………19

2.2- Natura giuridica, contenuto e limiti della responsabilità tributaria del cessionario

d’azienda..........................................................................................................................21

2.3- Casi particolari: cessione in frode ai crediti tributari, trasferimento di ramo

d’azienda e presunzioni di avvenuta cessione………………………………………….25

2.4 - Dubbi interpretativi circa l’estensibilità della responsabilità del cessionario alle

imposte personali sul reddito del cedente non relative all’azienda…………………….30

3. LA TUTELA DEL DIRITTO ALLA DIFESA IN CAPO AL

CONDEBITORE SOLIDALE.

3.1- La teoria della “supersolidarietà” tributaria………………………………………32

3.2- Efficacia soggettiva dell’iscrizione a ruolo e termini di decadenza per la notifica

della cartella esattoriale………………………………………………………………...39

3.3- L’istituto del litisconsorzio e la sua connessione con le obbligazioni solidali……42

3.4- Conclusioni………………………………………………………………………..47

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CAPITOLO I

LA CESSIONE DI AZIENDA E IL SUO RECEPIMENTO NEL

DIRITTO TRIBUTARIO.

1.1 Introduzione: il concetto di azienda.

Nel nostro ordinamento, la presenza di una disposizione definitoria del concetto di

azienda, è rinvenibile solo in seguito all’entrata in vigore del Codice civile del 1942, che

ha sostituito il Codice del 1865 e unificato, in un unico corpo organico, le norme di

diritto civile e di diritto commerciale, che fino a quel momento erano state raccolte in

due codici distinti.

Tale norma è rappresentata dall’articolo 2555, che qualifica l’azienda come “il

complesso dei beni organizzato dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”; con

questa formulazione il legislatore ha rinnovato la precedente disciplina giusprivatistica,

la quale era basata su una concezione atomistica degli elementi suscettibili di essere

oggetto di diritti, e pertanto quest’ultimi non potevano riferirsi ad una pluralità di beni

considerati in un solo concetto unitario.

In altre parole, quello precedente alla codificazione del ’42, era un sistema nel quale

ciascun bene veniva considerato singolarmente come depositario di determinati diritti

reali o personali, la cui estensione dettava i limiti al loro sfruttamento da parte del

soggetto che ne era titolare.

L’azienda, dunque, si presentava in quel momento come un’entità giuridicamente

nuova, nonostante la definizione introdotta dall’art.2555 si riferisca esplicitamente a un

fenomeno che era possibile riscontrare già da molto tempo nell’attività economica

dell’uomo, ossia l’attività di impresa.

L’esatta portata dell’appena citata definizione codicistica si coglie, infatti, correlandola

a quella di imprenditore, stabilita dall’art. 2082 c.c., come di “colui che esercita

professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello

scambio di beni o di servizi”; così facendo, l’analisi coordinata delle due norme

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consente di leggere la prima come allusiva ad un “complesso di beni organizzati

dall’imprenditore per la produzione o lo scambio di beni o servizi”1.

Tale definizione sottolinea la rilevanza del vincolo funzionale che unisce i vari

elementi costitutivi dell’azienda, e che consente, grazie alla loro coordinata interazione,

di venire incontro al bisogno del mercato di beni o servizi che i singoli elementi non

sarebbero in grado di soddisfare2.

Grazie al suddetto vincolo funzionale, l’azienda acquista un valore complessivo di

regola maggiore della somma dei valori attribuibili ai singoli componenti, e tale

differenza è rappresentata dall’avviamento, definito sostanzialmente come la capacità

aziendale di generare profitti.

Più precisamente si dovrebbe parlare in questo senso di avviamento oggettivo, ossia

quello derivante dall’organizzazione di fattori che permarranno anche nel caso dovesse

cambiare il titolare dell’azienda, da distinguersi quindi da quello soggettivo che trova

origine invece dalle capacità gestionali proprie dell’imprenditore3.

È importante sottolineare come si sia parlato fin qui di titolare dell’azienda e non di

proprietario; non è infatti il tipo di titolo giuridico che consente a un imprenditore

l’utilizzo di un bene a determinare o meno l’appartenenza di quest’ultimo all’apparato

aziendale.

Possono quindi farne parte anche beni di proprietà di altri soggetti, a condizione che essi

vengano impiegati nell’attività di impresa sulla base di un valido titolo giuridico che ne

permetta lo sfruttamento, come ad esempio l’affitto o il leasing4.

L’azienda così definita, tuttavia, non deve essere immaginata come un complesso di soli

beni materiali, anzi: elementi intangibili quali beni immateriali, diritti giuridicamente

tutelati, know how, rapporti con soggetti terzi, e non per ultimo il capitale umano, sono

tutti ingredienti che, se ben utilizzati, consentono il funzionamento dell’azienda stessa

rivestendo un ruolo di fondamentale importanza, da cui spesso la maggior parte delle

moderne attività imprenditoriali non può prescindere.

Inoltre, è opportuno precisare che per trattarsi di azienda ai sensi dell’art.2555 c.c. non

occorre riferirsi a un complesso di beni che devono necessariamente essere in funzione

1 MARTORANO, L’Azienda, Giappichelli, Torino, 2010.

2 MARTORANO, L’Azienda, cit. 1.

3 CAMPOBASSO, Manuale di diritto commerciale, Utet giuridica, Torino, 2010, p.64.

4 CAMPOBASSO, Manuale di diritto commerciale, cit. 3.

5

per l’esercizio di un’impresa attuale, essendo sufficiente che vi sia in esso un’idoneità

anche solo potenziale all’attuazione di un’attività produttiva di tipo imprenditoriale.

Il fattore organizzazione, dunque, sembra rappresentare sempre più l’elemento

costitutivo di maggior importanza per dar vita ad un apparato aziendale, qualunque sia

la sua dimensione.

L’azienda, come già menzionato, configurava una realtà nuova a sé stante, un nuovo

oggetto di diritto, ben distinto dalla figura dell’imprenditore, e dunque idoneo anche ad

essere oggetto di operazioni di trasferimento nella sua interezza e autonomia, e ad avere

una permanente identità propria, indipendentemente da quella del suo titolare.

Ed è proprio in questo campo che la presente tesi proseguirà nelle pagine seguenti,

entrando nella disciplina specifica della cessione di azienda, esaminandone i vari aspetti

di maggior interesse giuridico, e concentrando infine l’attenzione sull’analisi delle

responsabilità in capo alle parti contraenti in materia di obbligazioni aziendali di natura

tributaria, alla luce delle norme del Codice civile, della Costituzione, dell’ordinamento

tributario e delle più importanti pronunce giurisprudenziali in materia da parte della

Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale.

1.2 La disciplina generale della cessione di azienda e la tutela dei

diritti.

La normativa contenuta negli articoli 2555 e seguenti del Codice civile rappresenta il

riconoscimento dell’azienda come unione economica, e i diversi tipi di interessi alla

conservazione di tale organicità trovano importante considerazione nella disciplina

codicistica sul suo trasferimento5.

La cessione dell’azienda, infatti, implica una serie di conseguenze volte a tutelare le

varie categorie di stakeholders che sulla sua integrità hanno fatto affidamento, in

particolare i creditori, i lavoratori, l’acquirente stesso, e anche la Pubblica

Amministrazione.

5 CAMPOBASSO, Manuale di diritto commerciale, cit. 3

6

L’azienda può essere oggetto di atti di circolazione di diversa natura, cosi come

ovviamente è consentito all’imprenditore compiere atti di disposizione relativi a singoli

beni aziendali.

La distinzione tra le due diverse fattispecie non è però sempre agevole, in quanto può

accadere che le parti qualifichino come vendita di beni il trasferimento frazionato

dell’azienda, oppure che, viceversa, cessioni di beni vengano travestite da cessioni di

azienda6. Il motivo di questi travestimenti è spesso dovuto al fatto che le cessioni di

azienda sono operazioni escluse da IVA e assoggettate a imposta di registro, che

normalmente prevede un’aliquota del 3% sulla base imponibile stabilita come differenza

tra valore complessivo dei beni aziendali (avviamento compreso) e passività aziendali,

fatta salva l’applicazione di aliquote diverse nel caso di beni immobili e mobili

registrati.

Tale differenza non coincide necessariamente con il prezzo al quale avviene la cessione.

È importante precisare fin da subito che per configurarsi una cessione d’azienda non è

sempre necessaria la vendita della stessa o del ramo d’azienda, in quanto la disciplina

sulla cessione è di regola applicabile anche nei casi di conferimento, donazione e

permuta di azienda. Inoltre non ha rilevanza il fatto che il trasferimento sia avvenuto a

titolo oneroso oppure gratuito.

Alcune parti della disciplina sulla cessione sono applicabili anche alle operazioni di

affitto di azienda, tra le quali tuttavia non rientrano gli aspetti tributari della cessione.

Qualificare correttamente il titolo del trasferimento dell’azienda e distinguerlo dalla

cessione di alcune sue componenti sono dunque questioni di primaria importanza in

quanto solo in alcune fattispecie sarà applicabile la normativa specifica dell’azienda,

con tutti i suoi particolari effetti che tra poco vedremo.

Prima di entrare nel dettaglio di tale disciplina, vediamo però di chiarire anche un

particolare aspetto degli atti di circolazione dell’azienda, e cioè la loro forma giuridica.

La legge non prescrive specifici obblighi di forma per la validità degli atti traslativi

aventi come oggetto aziende.

6 CAMPOBASSO, Manuale di diritto commerciale, cit. 3.

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L’art. 1350 c.c.7 infatti, nel riportare le tipologie di atti da redigersi necessariamente per

iscritto a pena di nullità, non cita tra questi il contratto di cessione di azienda.

L’art. 2556 c.c., a sua volta, stabilisce che per le imprese soggette a registrazione, i

contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o il godimento

dell’azienda, devono essere provati per iscritto, salva l’osservanza delle forme stabilite

dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono l’azienda o per la

particolare natura del contratto.

È quindi necessario separare la questione della validità del trasferimento

dall’opponibilità dello stesso nei confronti dei terzi.

In merito al primo problema possiamo constatare come non sia sempre richiesta la

forma scritta per completare un valido contratto di cessione di azienda, ma è d’obbligo

solo nei casi in cui essa comporti il trasferimento di beni immobili a titolo di proprietà,

di usufrutto o di locazione ultra novennale, e solo relativamente agli atti traslativi di

questi, mancando una disciplina specifica sulla circolazione unitaria dell’azienda.

Per quanto riguarda il secondo aspetto, la forma scritta è richiesta per poter rendere

opponibile ai terzi l’avvenuta cessione, con tutti gli effetti che essa comporta ex lege, da

7 Art. 1350 c.c. ( Atti che devono farsi per iscritto )

Devono farsi per atto pubblico (2699 e seguenti) o per scrittura privata (2702 e seguenti), sotto pena di nullità: 1) i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili (812, 2643) 2) i contratti che costituiscono, modificano o trasferiscono il diritto di usufrutto (978 e seguenti) su beni immobili, il diritto di superficie (952 e seguenti), il diritto del concedente e dell'enfiteuta (957 e seguenti); 3) i contratti che costituiscono la comunione (1100 e seguenti) di diritti indicati dai numeri precedenti; 4) i contratti che costituiscono o modificano le servitù prediali (1027 e seguenti), il diritto di uso su beni immobili e il diritto di abitazione (1021 e seguenti); 5) gli atti di rinunzia ai diritti indicati dai numeri precedenti; 6) i contratti di affrancazione del fondo enfiteutico (971); 7) i contratti di anticresi (1960 e seguenti); 8) i contratti di locazione di beni immobili per una durata superiore a nove anni (1571 e seguenti); 9) i contratti di società (2247 e seguenti) o di associazione (2549 e seguenti) con i quali si conferisce il godimento di beni immobili o di altri diritti reali immobiliari per un tempo eccedente i nove anni o per un tempo indeterminato; 10) gli atti che costituiscono rendite perpetue (1861 e seguenti) o vitalizie (1872 e seguenti), salve le disposizioni relative alle rendite dello Stato (1871); 11) gli atti di divisione di beni immobili e di altri diritti reali immobiliari (2646); 12) le transazioni (1965 e seguenti) che hanno per oggetto controversie relative ai rapporti giuridici menzionati nei numeri precedenti; 13) gli altri atti specialmente indicati dalla legge (14, 47, 162, 203, 209, 484, 519, 601 e seguenti, 782, 918, 1284, 1351, 1392, 1403, 1503, 1524, 1543, 1605, 1862, 1864, 1978, 2096, 2328, 2464, 2475, 2504, 2518, 2603, 2821, 2879, 2882; Cod. Proc. Civ.;807, 808; Cod. Navig. 237, 249, 278, 328, 565, 852, 857).

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parte delle imprese soggette all’obbligo di registrazione con effetti di pubblicità legale

ai sensi dell’art. 2195c.c.8.

E’ da osservare tuttavia, che il cambiamento di regime della pubblicità nel registro delle

imprese, che ha allargato l'efficacia della pubblicità legale alle imprese agricole, rende

di conseguenza applicabile la disciplina del trasferimento ex art. 2556 c.c. a questa

tipologia di aziende.

Il contratto acquista il carattere dell’opponibilità ai terzi se è redatto in forma di atto

pubblico o scrittura privata autenticata, e depositato presso il Registro delle imprese

entro trenta giorni dalla data del trasferimento.

Avvenuta la registrazione la cessione si considera da quel momento conoscibile, e non

sarà più possibile per soggetti terzi obbiettare che la mancata conoscenza del suddetto

trasferimento ha provocato loro dei danni.

In deroga a tale principio, per le sole imprese aventi forma giuridica di società di

capitali, considerata la più complessa sfera giuridica normalmente tipica di queste

attività, e le minori garanzie derivanti dal regime di responsabilità limitata che le

caratterizza, è previsto che l’opponibilità ai terzi abbia effetto una volta trascorsi

quindici giorni dal deposito dell’atto di cessione presso il registro delle imprese.

Se il contratto rispetta gli eventuali vincoli di forma, e il suo oggetto riguarda il

trasferimento di un qualcosa che è riconducibile a quel concetto, più volte incontrato, di

complesso organizzato di beni idoneo allo svolgimento di un’attività di impresa, allora

si perfezione una valida cessione di azienda.

Oltre a quanto stabilito nelle diverse clausole contrattuali, alcuni effetti di tale

operazione sono però previsti ex lege: si tratta degli articoli 2112 (mantenimento dei

diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d'azienda), 2557 (divieto di concorrenza),

2558 (subentro nei contratti), 2559 (crediti relativi all'azienda ceduta) e in particolare

2560 (debiti relativi all'azienda ceduta), del Codice civile.

8 Art. 2195 ( Imprenditori soggetti a registrazione )

Sono soggetti all'obbligo dell'iscrizione nel registro delle imprese gli imprenditori che esercitano: 1) un'attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi; 2) un'attività intermediaria nella circolazione dei beni; 3) un'attività di trasporto per terra, o per acqua o per aria; 4) un'attività bancaria o assicurativa; 5) altre attività ausiliarie delle precedenti (1754). Le disposizioni della legge che fanno riferimento alle attività e alle imprese commerciali si applicano, se non risulta diversamente, a tutte le attività indicate in questo articolo e alle imprese che le esercitano (att 100, 200).

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Indipendentemente dalla loro pattuizione, dunque, essi vanno ad aggiungersi

automaticamente e in maniera inderogabile a quanto dedotto dal contratto, essendo

suggeriti da quelle esigenze di tutela dei diversi centri di interesse, e quindi di

mantenimento dell’integrità dell’azienda, di cui l’ordinamento riconosce l’esistenza e

l’importanza.

Il primo centro di interessi da considerare è naturalmente quello rappresentato dalle

parti contraenti. A riguardo, quando avviene una variazione della titolarità dell’azienda

opera il divieto di concorrenza, per cui il cedente non può, nei cinque anni successivi

alla cessione, avviare una nuova attività economica imprenditoriale che possa

danneggiare l’azienda ceduta mettendo in atto un indebito sviamento della clientela.

Il legislatore quindi si è preoccupato in primis di tutelare il diritto dell’acquirente di

godere dell’avviamento, il quale spesso viene compreso nella contrattazione del prezzo

e quindi pagato insieme all’azienda.

Allo stesso tempo però egli non si è dimenticato dell’art. 41 della Costituzione, che

sostiene la libertà dell’iniziativa economica privata, ed ha evitato un contrasto con la

Legge Suprema dello Stato stabilendo il limite temporale massimo del divieto in 5 anni

e applicando il divieto stesso ai soli casi in cui la nuova azienda del cedente sia

qualificabile come adatta a dirottare la clientela di quella ceduta.

La norma è comunque derogabile, e le parti posso anche estendere l’ambito di

applicazione del divieto includendovi le attività non direttamente concorrenziali, ma

non può in ogni caso essere preclusa al cedente la possibilità di intraprendere qualsiasi

nuova iniziativa economica.

Il divieto di concorrenza trova applicazione non solo nei casi di cessione volontaria ma

anche in quelli di vendita coattiva, ad esempio decisa durante lo svolgimento di

procedure concorsuali, o nei casi di divisione ereditaria a carico degli eredi che non

subentrano nell’azienda.

Un altro importante centro di interessi, oltre alle parti tra cui avviene il trasferimento, è

rappresentato dall’insieme dei rapporti contrattuali in corso di esecuzione all’interno

dell’azienda, che costituiscono la parte principale della sua intera sfera giuridica.

Essi rappresentano la vita quotidiana dell’azienda, ed è con essi che l’organizzazione

dell’azienda si materializza, attraverso le interazioni con fornitori, lavoratori,

finanziatori e clienti.

10

L’art. 2558 c.c. prevede che, se non è pattuito diversamente, l’acquirente dell’azienda

subentri nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano

carattere personale.

Tale disposizione nasce dal fatto che si presume l’acquirente abbia interesse a

mantenere tali rapporti, che costituiscono appunto il motore che ogni giorno muove

l’azienda nel suo percorso di crescita e di conservazione nel tempo.

Normalmente, nel diritto comune, la cessione del contratto non può avvenire senza il

consenso del contraente ceduto.

Ma quando il contratto sia stato stipulato da un imprenditore, per l’esecuzione di

prestazioni inerenti l’esercizio dell’attività di impresa, il consenso del terzo contraente

cessa di essere determinante, e il trasferimento del contratto si perfeziona ex lege.

A questo punto il contraente ceduto potrà solo recedere entro tre mesi dalla notizia

dell’avvenuto trasferimento, ma il recesso può essere considerato valido solamente

qualora sussista una giusta causa, ossia quando il terzo contraente possa dimostrare che

il cessionario dell’azienda non è in grado di garantire la regolare esecuzione del

contratto.

L’eventuale recesso comporta, in ogni caso, la sola estinzione definitiva del contratto e

non sussiste il diritto del contraente ceduto di ottenere il ritorno del contratto in capo al

cedente.

Da questa regolamentazione possiamo ulteriormente notare come la tutela del terzo sia

in parte sacrificata a fronte di un rilevante favore del legislatore alla conservazione

della coesione funzionale del complesso aziendale.

La disciplina fin qui esposta riguarda, come già specificato, i contratti in corso di

esecuzione, ossia quelli non ancora integralmente eseguiti da entrambe le parti al

momento della cessione dell’azienda.

Diversa invece è la situazione quando una delle parti abbia già completamente eseguito

la propria prestazione, in quanto, a questo punto, saremo di fronte a una situazione di

credito o di debito, a seconda che sia stato rispettivamente l’imprenditore ad aver

adempiuto per primo o, viceversa, il terzo contraente.

In tali casi troverà applicazione quanto previsto dagli articoli 2559 e 2560 c.c. ossia la

disciplina riferita ai crediti e debiti relativi all’azienda ceduta e non quella sulla

11

successione nei contratti. Come per quest’ultima però, anche queste due norme

contengono alcune deroghe, più o meno importanti, ai principi di diritto comune.

Per quanto riguarda i crediti, l’aspetto di maggior rilevanza consiste nel fatto che la

notificazione al debitore ceduto dell’avvenuta cessione, e l’accettazione da parte di

quest’ultimo della stessa, entrambe necessarie nella disciplina generale sulla cessione

del credito, sono sostituite dall’iscrizione del trasferimento nel registro delle

imprese, anche se tale disposizione vale limitatamente alle imprese iscritte in regime di

pubblicità legale.

Dal momento della registrazione del trasferimento quindi, la cessione dei crediti

dell’azienda ceduta diviene efficace nei confronti dei terzi, senza che sia richiesto

nessun altro adempimento formale. In ogni caso, a tutela del terzo, rimane in piedi il

principio di buona fede, per cui il debitore ceduto è liberato se paga in buona fede

l’alienante9.

Per le imprese non soggette a obblighi di pubblicità legale, invece, opera senza nessuna

variazione la normativa di diritto comune sulla cessione del credito.

Di portata maggiore è la disciplina speciale sui debiti relativi all’azienda ceduta. La

lettura di quanto stabilito dall’art. 2560 c.c.10

è di per sé sufficiente per comprendere in

via generale il trattamento dei debiti aziendali, ma gli orientamenti della dottrina e della

giurisprudenza in tale ambito risultano essere molteplici.

Il fine che la norma persegue sembra pacifico, ed è sostanzialmente riassunto

nell’esigenza di tutelare i creditori dell’azienda ceduta, che in seguito al trasferimento

di questa, si vedrebbero altrimenti privati della principale garanzia fisica11

prestata al

loro credito da parte del debitore originario.

Tale tutela si concretizza nella previsione di una responsabilità solidale tra cedente e

cessionario per i debiti sorti anteriormente alla cessione, salvo il consenso dei creditori

alla liberazione dell’alienante.

9 Art. 2559 c.c. primo comma.

10 Art. 2560 ( Debiti relativi all’azienda ceduta )

L'alienante non è liberato dai debiti, inerenti all'esercizio dell'azienda ceduta, anteriori al trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno consentito. Nel trasferimento di un'azienda commerciale (2195) risponde dei debiti suddetti anche l'acquirente dell'azienda, se essi risultano dai libri contabili obbligatori (2212 e seguenti). 11

Il denaro incassato dal venditore con la cessione infatti non li garantirebbe quanto la proprietà dell’azienda, avendo egli la facoltà di disporne facilmente dato il massimo grado di liquidità e trasferibilità della moneta.

12

Un importante principio di diritto comune è quindi mantenuto da tale normativa, e cioè

quello per cui non è consentita la cessione del debito senza il consenso del creditore.

Un altro, altrettanto importante principio, è invece derogato, e cioè quello secondo cui

ognuno è responsabile solamente delle obbligazioni da esso stesso assunte12

.

Il secondo comma del suddetto articolo prevede infatti una responsabilità solidale

dell’acquirente per debiti aziendali non direttamente assunti da quest’ultimo, e cioè

quelli contratti dall’azienda anteriormente al trasferimento, se essi risultano dalle

scritture contabili obbligatorie, in caso di cessione di aziende in regime di pubblicità

legale.

Alla luce di tale disposto potremmo però, a nostro avviso, interpretare la manifestazione

di volontà del cessionario di acquistare l’azienda come un’implicita operazione di

accollo volontario delle obbligazioni ad essa relative13

.

Come già anticipato, nonostante la apparente chiarezza e precisione del contenuto

dell’art. 2560, esistono diverse correnti di pensiero in materia di debiti relativi

all’azienda ceduta.

È diffuso in giurisprudenza l’orientamento per cui con l’azienda si trasferiscono

contratti, crediti e debiti14

.

Secondo tale tesi dunque, il passaggio del debito in capo all’acquirente dovrebbe essere

automatica conseguenza della cessione, senza bisogno di uno specifico patto di accollo

tra le parti.

Orientamenti opposti sono però rinvenibili in altre pronunce giurisprudenziali, secondo

le quali la previsione della solidarietà dell’acquirente dell’azienda è posta a tutela dei

creditori e non dell’alienante: sicché essa non determina alcun trasferimento della

posizione debitoria sostanziale, nel senso che il debitore effettivo rimane pur sempre

colui cui è imputabile il fatto costitutivo del debito, e cioè il cedente, nei cui confronti

può rivalersi in via di regresso l’acquirente che abbia pagato, mentre il cedente che

abbia pagato il debito non può rivalersi nei confronti dell’eventuale coobbligato in

solido15

.

12

GIORGI, Cessione di azienda, in Il Commercialista Veneto, n.205/2012, p.2. 13

Durante le trattative infatti, in particolare con la due diligence, l’acquirente ha la possibilità di venire a conoscenza dei debiti risultanti dalla contabilità e di valutare la rischiosità dell’operazione di cessione in maniera sufficientemente accurata. 14

Cass. n. 3723/1978. Cass. n. 1001/1979. 15

Cass. n. 23780/2004

13

Gode comunque di largo consenso anche la posizione opposta secondo cui, essendo i

debiti aziendali qualificabili come obligationes propter rem, e cioè che appartengono

all’azienda stessa, l’alienante che si trovi obbligato ad adempiere un debito aziendale in

luogo del cessionario, avrebbe diritto di rivalersi su quest’ultimo se il debito saldato

risultava dalle scritture contabili.

Almeno in linea generale. quest’ultima tesi sembra essere la più corretta, in quanto la

situazione patrimoniale dell’azienda è uno degli elementi fondamentali di analisi

durante l’iter procedurale anteriore alla cessione, e il venditore non dovrebbe essere

chiamato a rispondere definitivamente di debiti da egli regolarmente contabilizzati,

essendo questi chiaramente conoscibili dal futuro acquirente e considerabili nel

processo di ponderazione della decisione di acquistare l’azienda, nonché rilevanti a

favore del compratore nella trattazione del prezzo finale, salvo diverse pattuizioni.

Naturalmente, qualora vi fossero dei debiti non rientranti nelle scritture contabili le

esigenze di tutela dei creditori e di certezza del diritto comportano una responsabilità

esclusiva in capo al cedente, con una particolare eccezione: i debiti verso i lavoratori.

Vista la debole posizione del lavoratore di fronte all’azienda, i debiti di lavoro godono

di un regime privilegiato e ne rispondono solidalmente acquirente e cedente in ogni

caso, anche quando questi non siano iscritti nelle scritture contabili o quando il

cessionario non ne abbia preso conoscenza al momento della cessione, ai sensi dell’art.

2112 c.c.. Inoltre anche nel caso di cessione di azienda non obbligata alla registrazione

in regime di pubblicità legale.

E’ dunque molto importante per il cessionario prestare particolare attenzione

all’accertamento dell’effettivo ammontare dei debiti verso i lavoratori.

Più complesso è il trattamento di quelle passività aziendali, non ancora qualificabili

come debiti veri e propri, rappresentate dagli accantonamenti a fondi rischi e oneri, cioè

debiti che al momento risultano essere solo potenziali. Molto brevemente, riportiamo

solo che, per quanto attiene alla responsabilità del cessionario per queste passività,

l’importo massimo che gli può essere richiesto dal creditore è rappresentato da quanto

iscritto nelle scritture contabili.

La disciplina sui debiti qui considerata non vale comunque per tutte le posizioni

debitorie facenti capo all’azienda.

14

Una cosa che accomuna pertanto le varie categorie di debiti finora trattate riguarda la

loro natura. Possiamo infatti notare come essi derivino quasi sempre da negozi di

diritto privato che l’azienda intrattiene volontariamente con diversi soggetti quali

fornitori, finanziatori e lavoratori, e nel diritto privato le parti di un rapporto giuridico

obbligatorio operano in condizioni di parità di potere.

Nella sfera giuridica delle aziende esiste però anche un’altra grande area: quella dei

rapporti con la Pubblica Amministrazione.

1.3 Il trattamento dei debiti tributari nelle cessioni di azienda.

Le attività d’impresa sono assoggettate a diverse tipologie di imposizione fiscale, e

perciò, al verificarsi di uno dei presupposti previsti dalla legge, ha origine un

determinato debito tributario.

Tali debiti, nascono da una pretesa dello Stato nei confronti del contribuente, sostenuta

da precise disposizioni di legge, ed in forza di una posizione di supremazia che

l’Amministrazione vanta nei confronti del soggetto privato, essendo essa un soggetto di

diritto pubblico.

Senza entrare ulteriormente nel complesso campo della legittimazione dello Stato al

prelievo delle imposte, possiamo focalizzare la nostra attenzione sul fatto che i debiti

tributari presentano per l’azienda delle peculiarità importanti, che li contraddistinguono

dalle normali obbligazioni.

In primo luogo, essi nascono normalmente da una autodichiarazione presentata

dall’azienda al fisco, la quale potrebbe rivelarsi, in seguito a controlli, sbagliata o

incompleta.

In secondo luogo, data la grande complessità, e a volte incertezza, della normativa

tributaria, non sempre la pretesa del fisco risulta determinata definitivamente, potendo

essere oggetto di accertamento ed eventualmente di contenzioso, al fine di stabilire

l’entità di quanto dovuto in maniera conforme alla legge.

15

In entrambi i casi, dunque, è immaginabile la presenza si un certo grado di

imprevedibilità, e il debito tributario potrebbe emergere a distanza di molto tempo dal

momento in cui si verifica il presupposto (comunque nei termini stabiliti dall’art. 43 del

D.P.R. n.600 del 1973), e ciò, ai fini della cessione d’azienda, diventa un aspetto di

fondamentale importanza.

Tali peculiarità, insieme a evidenti ragioni di tutela dell'interesse erariale, hanno

determinato fin dalla Legge n.4 del 1929, l'esigenza di una disciplina specifica della

responsabilità per le obbligazioni tributarie nei casi di trasferimenti di aziende.

All’art. 19, l’appena citata norma stabiliva infatti una responsabilità solidale del cedente

e del successore di azienda, trasferita a qualsiasi titolo, per il pagamento dei tributi

relativi all’anno in corso al momento della cessione e ai due precedenti.

Disposizione questa che è stata poi tacitamente abrogata dall’entrata in vigore

dell’art.14 del D.lgs. 472/1997.

La logica di tale precetto è molto simile e coerente con quella che emerge dall’art. 2560

del Codice, con una tendenza garantistica del creditore (in questo caso l’Erario) ancora

più evidente.

Il suddetto art. 14, infatti, recita quanto segue: “il cessionario è responsabile in solido,

fatto salvo il beneficio della preventiva escussione del cedente ed entro i limiti del

valore dell’azienda o del ramo d’azienda, per il pagamento dell’imposta e delle

sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei

due precedenti, nonché per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo anche

se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore.

L’obbligazione del cessionario è limitata al debito risultante, alla data del trasferimento,

dagli atti degli uffici dell’Amministrazione Finanziaria e degli enti preposti

all’accertamento dei tributi di loro competenza.

Gli uffici e gli enti indicati nel comma 2 sono tenuti a rilasciare, su richiesta

dell’interessato, un certificato sull’esistenza di contestazioni in corso e di quelle già

definite per le quali i debiti non sono stati soddisfatti. Il certificato, se negativo, ha

pieno effetto liberatorio del cessionario, del pari liberato ove il certificato non sia

rilasciato entro quaranta giorni dalla richiesta.

16

La responsabilità del cessionario non è soggetta alle limitazioni previste nel presente

articolo qualora la cessione sia stata attuata in frode dei crediti tributari, ancorché essa

sia avvenuta con trasferimento frazionato di singoli beni”.

In linea dunque con la disciplina civilistica dei debiti aziendali, questa legge prevede

che in seguito alla cessione di un’azienda, il cessionario risponda solidalmente con il

cedente delle passività fiscali riferibili ad operazioni effettuate in un momento anteriore

al trasferimento.

Anche se non espressamente previsto dalla norma in questione, è condivisibile ritenere

che vada mantenuto il riferimento contenuto nel 2560 c.c. alle aziende iscritte in regime

di pubblicità legale.

Naturalmente, nonostante la ratio dell’art.14 sia parallela a quella del dettato

codicistico, il fatto che esso si riferisca in modo esclusivo a debiti di natura tributaria

deve comportare la presenza di alcune importanti particolarità.

Balza subito all’occhio come la norma speciale sopra riportata non faccia alcun

riferimento alle scritture contabili obbligatorie, che invece abbiamo visto essere

l’elemento fondante della solidarietà dell’acquirente ai sensi del 2560 c.c..

La ragione di questa scelta da parte del legislatore è fondata sul rafforzamento della

tutela nei confronti del credito erariale, riducendo le possibilità che operazioni di

cessione aziendale siano messe in atto a fini evasivi.

La norma infatti, affida all’Amministrazione il compito di annotare, su richiesta del

cessionario, l’esistenza del debito tributario nel certificato dei carichi pendenti in quel

momento, privando così il cedente della possibilità di non registrare nella contabilità le

imposte dovute con conseguente effetto liberatorio del cessionario.

In assenza della disciplina dettata dall’art. 14, per la salvaguardia del credito tributario

l’erario avrebbe a disposizione gli strumenti concessi dall’art. 2560 del Codice civile. Il

dlgs.472/97 conferisce invece al fisco la possibilità di responsabilizzare il cessionario

anche per obbligazioni non ancora definite o solo latenti.

La posizione di quest’ultimo appare dunque penalizzata rispetto alla disciplina generale

sui debiti relativi all’azienda ceduta, ma, allo stesso tempo, gli strumenti aggiuntivi di

tutela a suo favore previsti dal legislatore sono molteplici ed efficaci.

Una prima particolarità molto importante è che la responsabilità del cessionario sancita

dall’art. 14 è di tipo sussidiario: egli cioè gode di un beneficio di escussione che

17

costringe i creditori a rivalersi in via preventiva sul cedente, e solo dopo, qualora questo

non sia stato in grado di adempiere completamente, potranno rivolgersi al coobbligato

solidale.

È facile notare come questo sia un aspetto di non poca rilevanza nel campo delle

obbligazioni solidali, che non è previsto automaticamente nella disciplina generale della

solidarietà, utile in questo caso sia a contrastare le cessioni a scopo evasivo, sia a

riproporre la tesi, per quanto possibile, per cui ognuno è responsabile delle obbligazioni

da egli stesso assunte

La responsabilità tributaria dell’acquirente dell’azienda è inoltre soggetta a limiti di

natura quantitativa.

Innanzitutto essa è circoscritta ai debiti fiscali che alla data del trasferimento risultano

dal certificato che il cessionario ha facoltà di richiedere all’Amministrazione

Finanziaria, contenente informazioni sulle contestazioni in corso di definizione e di

quelle già definite ma non ancora pagate.

In più, qualsiasi sia il totale risultante dal certificato, essa non può superare il valore

dell’azienda acquistata, il quale è dichiarato dalle parti o accertato dall’Ufficio

competente.

Tali aspetti saranno esaminati in dettaglio nel prossimo capitolo, dopo aver focalizzato

alcuni punti importanti in tema di obbligazioni solidali.

Non trova invece applicazione la disciplina speciale sulla responsabilità solidale del

cessionario ai sensi dell’art.14 D.lgs. 472/97 nei casi di affitto o di usufrutto

dell’azienda o di un suo ramo, e nelle cessioni originate dagli effetti di procedure

fallimentari, come specificato dalla risoluzione ministeriale n.112/1998, la quale

sostiene che in tali casi il beneficio di escussione preventiva del cedente si presenta

incompatibile con l’art. 51 della legge fallimentare il quale impedisce di attuare

qualsiasi azione di esecuzione individuale sui beni del fallimento.

A riguardo la risoluzione in esame afferma che ove si accedesse alla tesi opposta a

quella qui sostenuta, si finirebbe per configurare sistematicamente in concreto una sorta

di responsabilità “esclusiva” (e non solidale) in capo al cessionario dei beni del

fallimento; responsabilità che sicuramente non è quella delineata dalla norma.

18

Alla luce di quanto fin qui esposto, una questione interessante riguarda il rapporto

esistente tra l’applicazione della norma generale (art. 2560 c.c.) e di quella speciale (art.

14 D.lgs. 472/97).

In particolare bisognerebbe capire, procedendo ad una valutazione della relazione

esistente tra le due soluzioni operative, e analizzando quali siano i limiti di fungibilità

tra le diverse procedure, se l’Amministrazione Finanziaria, nell’ipotetico caso in cui

possa averne l’interesse, abbia la possibilità di azionare il proprio credito ai sensi del

Codice civile anziché della norma tributaria,.

Una situazione di questo tipo potrebbe verificarsi, ad esempio, nel caso di omissioni da

parte dell’Amministrazione nella predisposizione del certificato liberatorio, rispetto ai

reali debiti tributari del cedente risultanti dalle scritture contabili.

Orbene, al principio per cui gli uffici non possono esercitare poteri autoritativi al di

fuori dei casi in cui la legge attribuisce loro tali poteri contenuto nell’art. 97 della

Costituzione e nella Legge 241/1990, sembra collegabile anche un principio di non

alternatività dei poteri esercitabili.

È il Consiglio di Stato ad affermarlo, con la sentenza n. 2618/2011. I magistrati

amministrativi hanno ritenuto infatti che “non possa sostenersi una generale alternatività

dei mezzi a disposizione della Pubblica Amministrazione”16

.

Questo perché “l’eventuale attribuzione di un doppio ordine di garanzie in favore della

Pubblica Amministrazione, la quale potrebbe avvalersi dell'uno o dell'altro sistema in

base ad una propria arbitraria decisione, non aumenterebbe le garanzie del soggetto

amministrato ma le diminuirebbe”17

.

Considerando inoltre la questione in merito alla gerarchia delle diverse fonti del

diritto, “la procedura di carattere speciale non appare eludibile in favore di quella

generale, stante l'ordinario rapporto tra lex generalis e lex specialis di cui all'art. 15

delle disposizioni preliminari al Codice civile”18

.

Non è consentito dunque alla Pubblica Amministrazione di “scegliere” l’opzione ad

essa più conveniente, dovendo essa utilizzare necessariamente gli strumenti appositi che

la legge le mette a disposizione .

16

CONS. STATO, Sez. IV, Sent., 03-05-2011, n. 2618. 17

CONS. STATO, cit. 16. 18

CONS. STATO, cit. 16.

19

CAPITOLO II

LA RESPONSABILITA' DEL CESSIONARIO D’AZIENDA PER I

DEBITI TRIBUTARI.

2.1 La soggettività passiva tributaria e le obbligazioni solidali.

Il soggetto passivo di un’obbligazione tributaria è colui che, in seguito al verificarsi di

un presupposto impositivo, è tenuto al pagamento del tributo.

Tale sistema costituisce il meccanismo fondamentale di funzionamento del prelievo

tributario, ed è riscontrabile in tutte quelle norme che stabiliscono i presupposti in

seguito ai quali ha origine una determinata imposizione.

Detti presupposti sono normalmente rappresentati da indici di capacità contributiva, che,

quando riconducibili a un determinato soggetto, fanno gravare in capo a quest’ultimo

l’onere dell’imposta. È molto importante dunque che la norma impositiva, oltre a

stabilire i suddetti indicatori, individui con chiarezza il soggetto a cui riferire tale

situazione, cioè colui che è titolare di un legame diretto con il fatto esprimente capacità

contributiva.

Questo soggetto è anche chiamato solitamente “contribuente”.

Nel vasto campo del diritto tributario però il meccanismo descritto di collegamento tra

fatto presupposto (e quindi capacità contributiva) e soggetto passivo non è sempre

valido, e in alcuni casi il legislatore ha previsto un aumento del numero dei soggetti

passivi a cui ascrivere il medesimo presupposto.

Secondo la migliore Dottrina le figure alle quali può ricondursi la pluralità di obbligati

in ambito tributario sono quelle della “solidarietà paritaria”, della “solidarietà

dipendente” e della “responsabilità d'imposta”19

.

19

TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, Parte generale, Utet giuridica, 2009, p. 118 ss.

20

Normalmente, tale ampliamento può configurarsi qualora due o più soggetti abbiano

concorso alla realizzazione dello stesso fatto impositivo, per cui essi sono tenuti

solidalmente al pagamento dell’imposta.

Situazioni di questo tipo possono essere ad esempio la produzione di un reddito in

comune tra più persone o la comproprietà di un immobile.

In questi casi, si tratta di quella che è definita come solidarietà paritaria (o paritetica),

nella quale le obbligazioni20

di imposta investono tutti i condebitori allo stesso modo

essendo essi tutti in qualità di obbligati principali.

In altri casi, però, il vincolo di solidarietà si regge su esigenze particolari della norma

tributaria, che a volte possono portare a una meno chiara relazione tra contribuente e

indice di capacità contributiva.

In questo senso, è sicuramente l'interesse fiscale che impone in certi casi, per il

perfezionamento della fattispecie tributaria, la individuazione “forzata” di una

soggettività che potremo definire di tipo “strumentale”, in quanto tesa a garantire

l’integrità economica di ciò che costituisce manifestazione di capacità contributiva e

conseguentemente la certezza e l'immediatezza del prelievo tributario21

.

Detto ciò, la responsabilità tributaria solidale gravante sul cessionario d’azienda pare

fondarsi su questo secondo aspetto della solidarietà, cioè l’obiettivo di garanzia del

credito, piuttosto che essere retta dalla condivisione di un medesimo presupposto

manifestante una comune capacità contributiva tra il cedente e il cessionario.

Dato per pacifico perciò che non si tratta di un rapporto di tipo paritario22

, cerchiamo di

inquadrare meglio la natura di tale solidarietà tributaria.

Analizzando le diverse tipologie di vincoli solidali elaborate finora dalla dottrina e dalla

giurisprudenza, in alternativa alla solidarietà paritaria è stata teorizzata la solidarietà

dipendente.

Essa si configura quando gli obblighi a carico dei condebitori sono legati tra di loro da

un rapporto di subordinazione o appunto di dipendenza, nel senso che l’obbligazione in

20

Il punto controverso sull’esistenza di una sola obbligazione avente lato passivo plurisoggettivo o di una pluralità di rapporti sarà affrontato nel capitolo III. 21

GALATERIA, Norma tributaria e soggettività passiva, vol. n.5, luglio 2008, Quaderno di ricerca pubblicato dall'Università di Cassino-Facoltà di Economia-Dimet. 22

Il cessionario dell’azienda non ha partecipato alla realizzazione di quei presupposti impositivi (ossia operazioni aziendali) che in un momento precedente alla cessione hanno originato debiti tributari.

21

capo a uno dei soggetti (l’obbligato dipendente) non ha un suo fatto generatore

autonomo ma dipende dall’esistenza di un’altra obbligazione detta principale.

L’estinzione di quest’ultima comporta anche quella della prima.

Inquadrare in questa fattispecie la solidarietà tributaria derivante dalla cessione di

azienda è operazione intuitiva: è indiscutibile infatti che il venir meno del debito di

imposta dovuto dal cedente porti con se la responsabilità solidale del cessionario per

quello stesso debito.

2.2 Natura giuridica, contenuto e limiti della responsabilità tributaria

del cessionario d’azienda.

Il collegamento della responsabilità del cessionario al rango della solidarietà dipendente

non è ovviamente esaustivo nello studio di tale disciplina.

Come abbiamo già in parte visto nel precedente capitolo, quanto stabilito dall’art.14 del

D.lgs.472/97 fornisce un buon punto di partenza in questo senso, ma necessita

naturalmente di alcune integrazioni e interpretazioni.

Il cessionario, in particolare, è riconducibile al cosiddetto "responsabile d'imposta",

che si configura quando la legge sancisce la responsabilità solidale di un soggetto che

non ha realizzato il fatto-indice di capacità contributiva, ma per altri versi è collegato al

fatto imponibile o al contribuente23

.

Come già sappiamo, si tratta di una solidarietà di tipo sussidiario, caratterizzata quindi

dalla presenza di un beneficio di escussione preventiva del cedente, ed il quantum del

debito solidale è limitato all’ammontare indicato nel certificato dei carichi pendenti al

momento della cessione, e, in ogni caso, non può eccedere il valore dell’azienda ceduta

o del ramo di azienda, determinato nei modi visti in precedenza.

23

MEOLI, Profili sanzionatori tributari della cessione d’azienda, in pratica fiscale e professionale n. 42/2004 p.35. In tal caso, la responsabilità d'imposta è funzionale al mantenimento delle garanzie del credito erariale.

22

Nello specifico, la circolare ministeriale interpretativa stabilisce che il contenuto del

certificato deve essere in ordine all'esistenza di contestazioni in corso e di quelle già

definite per le quali i debiti non sono stati ancora soddisfatti alla data della richiesta.

Nel certificato devono essere enunciate anche le violazioni commesse nell'anno in cui è

avvenuta la cessione o nel biennio precedente e già constatate dall'Ufficio o dell'ente

competenti, ancorché alla data del trasferimento non sia stato ancora emesso il relativo

atto di contestazione o di irrogazione della sanzione24

.

Tale disposto ministeriale precisa dunque che per le violazioni avvenute nell’anno e nei

due precedenti è sufficiente a fare emergere la responsabilità solidale anche solo una

mera constatazione della violazione da parte dell’Amministrazione Finanziaria, in

quanto non è necessario che al momento della cessione sia già stato notificato il relativo

atto di contestazione

Quest’ultimo è invece necessario che sia già stato emesso nei due anni precedenti il

trasferimento per estendere al cessionario la responsabilità di imposte e sanzioni

riferibili a violazioni commesse da più di due anni, il cui pagamento non è ancora stato

effettuato.

Secondo il primo comma dell’art. 14 del decreto 472/97 rientrano esplicitamente

nell’area di responsabilità del cessionario le imposte e le sanzioni irrogate o contestate

al cedente nei limiti temporali che abbiamo visto.

Nulla dicono invece, né la norma, né la circolare interpretativa, in merito alla

responsabilità per le tasse e agli interessi e sanzioni ad esse relativi. Eppure il contenuto

dell’intero decreto legislativo sembra mostrare un chiaro orientamento estensivo e

comprensivo delle tasse in quanto il legislatore ha più volte utilizzato il termine

generico di “tributo” in molti articoli quali ad esempio 6-7-11-12-1325

.

Tuttavia proprio il fatto di introdurre un esplicito riferimento alle sole imposte e relative

sanzioni nel testo dell’art. 14, il quale si trova all’interno di una norma che invece

mostra un orientamento omnicomprensivo dei tributi, fa capire la precisa intenzione del

legislatore di escludere le tasse dalla sfera di responsabilità del cessionario26

.

Questo trattamento sembra giustificato dal fatto che l’obbligazione tributaria relativa al

pagamento di tasse presenta maggiori elementi di collegamento tra la persona del

24

Circolare Min. Fin. Dip. Ent. Dir. Centr. Accertamento 10-07-1998, n. 180/E/98/110100 Art. 14 25

MEOLI, Profili sanzionatori tributari della cessione d’azienda, cit. 23. 26

MEOLI, Profili sanzionatori tributari della cessione d’azienda, cit. 23.

23

cedente e la nascita dell’obbligazione rispetto all’obbligo generico originato

dall’applicazione di imposte.

Nell’ambito dei debiti per imposte, l’istituto del certificato dei carichi pendenti svolge

un po’ lo stesso ruolo delle scritture contabili, ossia quello di fonte di informazioni.

Esso soddisfa le medesime esigenze di conoscibilità dei rischi derivanti dall’acquisto

dell’azienda e mette il cessionario in condizione di valutarne preventivamente l’entità.

Per poter assolvere a tali funzioni il certificato deve per forza di cose essere consultabile

in un momento precedente al perfezionamento del trasferimento dell’azienda, e dunque

quando il soggetto acquirente è ancora solo un potenziale compratore.

Per ottenerlo, secondo quanto disposto sempre dalla circolare interpretativa della

norma, il cessionario deve dimostrare di avere effettivamente un interesse attuale e

concreto al rilascio dello stesso, e può farlo ad esempio provando di avere delle

trattative in corso con il cedente o esibendo un contratto preliminare di vendita o altra

documentazione giustificativa.

Inoltre è necessario il consenso esplicito del venditore, al fine di proteggere la

riservatezza delle informazioni aziendali ed evitare che soggetti che non hanno alcun

interesse ad acquistare l’azienda possano ugualmente ottenerne per fini diversi da quelli

attribuiti al certificato in questione. Naturalmente le vicende che dovessero intervenire

nel periodo che va dal rilascio del certificato alla conclusione del contratto di cessione

rientrano nell’area della responsabilità del cessionario, e pertanto tale lasso di tempo

deve essere mantenuto il più breve possibile.

In ogni caso, anche quando il certificato è richiesto in un momento successivo al

trasferimento, esso non perde ogni valore, mantenendo la propria funzione di

certificazione del massimo ammontare dell’obbligazione solidale.

Inoltre esso conserva efficacia anche se trasferito a un soggetto diverso da colui che lo

ha ottenuto.

Per richiedere il certificato occorre presentare un’istanza in bollo agli uffici

dell’Amministrazione competenti al suo rilascio, i quali devono provvedere a esaudire

la richiesta entro un massimo di quaranta giorni.

24

L’emissione del certificato oltre tale termine, salvo che la cessione non sia ancora

avvenuta27

, comporta la totale emancipazione del cessionario dalle responsabilità

tributarie pregresse, con i medesimi effetti generati da un certificato dall’esito negativo.

A tutela del contribuente e in maniera coerente con il principio di collaborazione tra

privati e Amministrazione Finanziaria stabilito dall’art. 10 primo comma della Legge

n.212/2000 (statuto del contribuente), è previsto che qualora il certificato venga

richiesto ad un ufficio non competente al suo rilascio quest’ultimo dovrà provvedere

tempestivamente ad inoltrare la richiesta all’ufficio designato, notificandolo al soggetto

richiedente.

Rimane da dire infine che, quando in seguito al trasferimento dell’azienda il cedente si

trovi ad aver realizzato un plusvalenza da cessione, la quale è tassabile ai fini I.R.E.S. o

I.R.P.E.F. (o a tassazione separata se sussistono i requisiti), violazioni nella

dichiarazione o nel pagamento di tali imposte non possono essere comprese nella

responsabilità solidale del cessionario.

Questo perché essendo suscettibili di concretizzarsi solo nel momento di presentazione

della dichiarazione relativa periodo di imposta in cui è avvenuta la cessione, e quindi

nell’anno successivo, sono sottratte alla disciplina di cui all’art. 14 D.lgs. 472/1997

primo comma.

La plusvalenza inoltre non rientra nel calcolo della base imponibile ai fini I.R.A.P.,

essendo di norma iscrivibile nel conto economico come provento straordinario.

27

Come precisato dalla circolare n.180/98, nel caso in cui il certificato sia ottenuto oltre i quaranta giorni dalla richiesta, ma in un periodo comunque precedente al trasferimento dell’azienda rimane ferma la responsabilità del cessionario per i fatti accaduti da quel momento fino al perfezionamento della cessione.

25

2.3 Casi particolari: cessione in frode ai crediti tributari,

trasferimento di ramo d’azienda e presunzioni di avvenuta cessione.

Un particolare caso in cui il certificato perde di ogni rilevanza liberatoria è indicato dal

comma quinto dell’art.14 del D.lgs. 472/97 e cioè quando la cessione sia stata attuata in

frode dei crediti tributari.

In tal caso tutte le limitazioni alla responsabilità del cessionario, temporali e

quantitative, previste dalla norma stessa. non avranno effetto.

Sebbene non esista una precisa definizione di frode nell’ordinamento giuridico italiano,

ad essa può essere ricondotta ogni attività lesiva del diritto altrui svolta in mala fede28

.

La sussistenza di una cessione in frode ai crediti tributari deve essere provata

dall’Amministrazione Finanziaria, anche se essa si presume quando il trasferimento è

avvenuto entro i sei mesi successivi alla contestazione di una violazione con rilevanza

penale, salvo prova contraria.

La circolare n. 180/1998 sottolinea comunque che la violazione penalmente rilevante

deve essere non solo contestata, ma deve anche consentire l’attuazione dell’azione

corrispondente, senza cause ostative che ne impediscono l’esercizio, prima tra tutte la

prescrizione del reato.

Se l’Amministrazione Finanziaria può dimostrare la frode o se le presunzioni suddette

non sono vinte da prova contraria, il cessionario risponderà in solido ed illimitatamente

per tutte le violazioni commesse fino al momento della cessione e non potrà godere del

beneficio di escussione, come chiarito dalla più volte citata circolare.

Una punizione molto rigida dunque è quella messa in atto dal legislatore contro questo

tipo di comportamenti elusivi/evasivi, tanto da sembrare in contrasto con quanto

stabilito dal principio generale di proporzionalità tra gravità dell’illecito ed entità della

sanzione.

Autorevole dottrina sostiene al riguardo che la rigorosa interpretazione ministeriale ha

destato perplessità circa il limite del valore dell’azienda e il beneficio della preventiva

escussione del cedente.

28

Il grande dizionario Garzanti della lingua italiana, Garzanti editore, 1990.

26

Sul punto valore dell’azienda, è stato rilevato come la lettera della norma sia certamente

tale da escludere l’efficacia di tale limite; tuttavia risulta arduo giustificare la razionalità

di una tale responsabilità del cessionario29

.

Altra questione delicata riguarda il caso in cui oggetto del trasferimento sia non

un’intera azienda o una quota di controllo ma bensì un ramo d’azienda.

Il testo dell’art. 14 D.lgs. 472/1997 riporta espressamente tale concetto, ma quanto

disposto dalla norma non è oggetto di interpretazioni univoche.

Essa considera il ramo d’azienda in un ottica di limitazione della responsabilità del

cessionario; la lettera della norma recita infatti che “il cessionario è responsabile…

entro i limiti del valore dell’azienda o del ramo d’azienda”.

La ratio di questa espressione sembra chiara ma a rigore logico non lo è, in quanto

numerosi sono i dubbi interpretativi circa la necessità di individuare una qualche

attinenza tra un determinato debito e un determinato ramo di azienda, in modo da

escludere la responsabilità dell’acquirente di uno specifico ramo per le obbligazioni

imputabili ad un ramo diverso dell’azienda.

Una parte della dottrina sottolinea che il principio dell'afferenza non è espressamente

richiamato dall'art. 14 del D.lgs. 472/1997.

Sarebbe, peraltro, assurdo far rientrare nella responsabilità del cessionario tutti i debiti

dell'azienda e non soltanto quelli inerenti al ramo aziendale ceduto; tale responsabilità,

infatti, sarebbe senza causa e quindi priva di qualsiasi giustificazione30

.

La nostra domanda a questo punto è su come sarebbe possibile dimostrare tale

afferenza. Ci si rende subito conto però che, d’altro canto, la risposta è molto sfuggente

in quanto effettuare una imputazione del genere richiederebbe una grande mole di

informazioni.

Come abbiamo già visto, il perfezionamento della cessione d’azienda o di un ramo

d’azienda non necessita di uno specifico atto di trasferimento in forma scritta, essendo

questo necessario solo ad provationem.

L’Amministrazione Finanziaria però ha dovuto predisporre degli strumenti per poter

individuare fenomeni di cessione anche in mancanza del relativo atto materiale, in modo

da potervi ugualmente applicare la disciplina ad essa relativa e l’imposta di registro.

29

FORNERO - COTTO - ODETTO, Cessione, conferimento, affitto e donazione d’ azienda, IPSOA 2008, p.171. 30

MEOLI, Profili sanzionatori tributari della cessione d’azienda, cit. 23.

27

Tali strumenti sono rappresentati dalle presunzioni di avvenuta cessione.

Ai sensi dell’art. 3 primo comma, lettera b) del D.P.R. 131/1986 (Testo unico delle

disposizioni concernenti l'imposta di registro) sono soggetti a registrazione i contratti

verbali di trasferimento e di affitto di aziende esistenti nel territorio dello Stato e di

costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento sulle stesse e relative cessioni,

risoluzioni e proroghe anche tacite.

La registrazione in questione è obbligatoria e deve avvenire entro 20 giorni dal

trasferimento.

La stessa norma prevede che qualora tali contratti verbali non dovessero essere registrati

dalle parti l’Amministrazione può in alcuni casi procedere alla registrazione d’ufficio,

stabilita dall’art. 15, primo comma, lettera d) il quale sancisce che in mancanza di

richiesta da parte dei soggetti indicati alle lettere a), b) e c) dell'art. 10 la registrazione è

eseguita d'ufficio, previa riscossione dell'imposta dovuta, per i contratti verbali di cui

alla lettera b) dell'art. 3 quando, in difetto di prova diretta, la loro esistenza risulti,

continuando nello stesso locale o in parte di esso la stessa attività commerciale, da

cambiamenti nella ditta, nell'insegna o nella titolarità dell'esercizio ovvero da altre

presunzioni gravi, precise e concordanti.

Queste presunzioni in ogni caso sono relative in quanto è ammessa la possibilità di

fornire prova contraria come espressamente indicato dall’art.15 secondo comma del

D.P.R. 131 (ed eccezione di quella testimoniale la cui inammissibilità è ormai principio

generale del procedimento tributario).

Rimanendo in tema di registrazione dell’atto di cessione di azienda, un argomento

molto discusso riguarda la relazione tra il prezzo di trasferimento e il valore

dell’azienda ai fini dell’imposta di registro.

Come sappiamo il prezzo è normalmente pattuito dalle parti. Dato che l’eventuale

plusvalenza è tassabile, come già abbiamo visto, ai fini I.R.P.E.F. o I.R.E.S. a seconda

della forma giuridica dell’azienda ceduta, può capitare che nell’atto di cessione sia

indicato un prezzo inferiore a quello effettivamente corrisposto dall’acquirente, in modo

da minimizzare la plusvalenza o annullarla e ottenere un risparmio d’imposta.

In particolare tali operazioni di occultamento di reddito sono dovute all’indicazione di

un avviamento inferiore a quello pagato, sfruttando la più complessa operazione di

determinazione del valore dell’avviamento rispetto alle altre poste di bilancio.

28

La contromisura a tale fenomeno evasivo adottabile dal fisco (oltre all’accertamento

della plusvalenza effettiva), è individuata dalla sentenza della Corte di Cassazione n.

27019 del 2009 la quale stabilisce che l’Amministrazione Finanziaria è legittimata a

procedere in via induttiva all’accertamento del reddito da plusvalenza patrimoniale

relativa al valore di avviamento, realizzata a seguito di cessione di azienda, sulla base

dell’accertamento di valore effettuato in sede di applicazione dell’imposta di

registro31

.

Inoltre spetta al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, cioè di aver

effettivamente venduto ad un prezzo inferiore a quello di mercato.

Quanto enunciato da tale sentenza risulta tanto efficacie quanto criticato. A conferma di

una certa accettazione di questo orientamento non sono assenti i commenti a favore da

parte di autorevoli studiosi come A. Marcheselli, il quale sostiene correttamente come

“lo scarto tra plusvalore emerso a seguito di cessione e maggior valore definitivamente

accertato ai fini del registro rappresenti un indizio significativo, che indirizza nel senso

dell’occultamento di materia imponibile”32

.

Tuttavia, la maggior parte della dottrina si schiera per un orientamento contrario e meno

sostanzialista, sulla base dei diversi presupposti generatori delle imposte dirette e

indirette.

A riguardo è criticato soprattutto il fatto che, con questa pronuncia, la Suprema Corte

attua quella che può ragionevolmente definirsi come una “contaminazione delle basi

imponibili”: ai fini della determinazione della plusvalenza, il principio che fissa nel

corrispettivo il fattore generante (o meno) materia imponibile viene scardinato e

sostituito con il valore normale accertato per il registro33

.

Molto criticata è anche l’inversione dell’onere della prova, in quanto è ammessa solo

se prevista dalla legge.

Inoltre, nelle imposte dirette la verifica della sottrazione di reddito imponibile deve

sempre avvenire da parte dell’Amministrazione Finanziaria, che invece in un sistema di

questo tipo ha facoltà di non eseguire nessun tipo di attività istruttoria nell’accertamento

dell’imposta, rendendo molto difficile per il contribuente dimostrare la realtà dei fatti.

31

Cass. n. 27019/2009. Sul punto cfr. cap. I, par. II, p.6. 32

MARCHESELLI, Valore di registro dell’azienda, prova della plusvalenza e difesa del contribuente, in Corriere Tributario, 2010, volume 33, fascicolo 9, pag. 681 ss. 33

VANNINI, Cessione d’azienda: ancora in tema di contaminazioni tra imposta di registro e imposte dirette, in diritto e pratica tributaria n. 4/2010, p. 882.

29

D’altra parte, la prova della avvenuta cessione non potrà che essere fornita mediante

quegli stessi strumenti che, sulla base dell’accertamento presuntivo, risultano

irregolari34

.

La possibilità di ricorrere ad elementi indiziari concessa al contribuente da questa

sentenza è solo un tentativo, per lo più poco efficacie, da parte della Corte, di limitare lo

squilibrio evidente che la sentenza genera tra gli oneri probatori a carico di contribuente

e fisco.

In ogni caso, qualora dovesse avvenire una ripresa fiscale di questo tipo, il costo

fiscalmente riconosciuto all’acquirente non è aumentato al maggior valore tassato,

ma rimane quello di acquisto.

In questa fattispecie, secondo ampia parte della dottrina, si realizzerebbe una doppia

imposizione, dovuta alla tassazione di un ricavo in capo al cedente contestualmente alla

non deducibilità del costo a favore del cessionario.

In ultima analisi, abbiamo già visto come le imposte sulla plusvalenza non rientrino

nella responsabilità del cessionario, ma egli può essere invece chiamato al pagamento

dell’imposta di registro.

L’art. 1475 del Codice civile pone, in assenza di patto contrario, a carico del compratore

le spese accessorie di una compravendita e tra queste è di regola compresa anche

l’imposta di registro.

Tuttavia l’art. 57 primo comma del D.P.R. 131/1986 dispone genericamente che: “oltre

ai pubblici ufficiali sono solidalmente obbligati al pagamento dell’imposta le parti

contraenti (…)” .

Se nulla è pattuito nell’atto dunque il fisco può procedere all’accertamento dell’imposta

di registro indifferentemente nei confronti del cedente o del cessionario.

Rimane salvo quanto stabilito dall’art. 1299 c.c. in merito alle azioni di regresso

esperibili dal coobbligato solidale chiamato al pagamento dell’intero debito.

34

VANNINI, in diritto e pratica tributaria, cit. 33.

30

2.4 Dubbi interpretativi circa l’estensibilità della responsabilità del

cessionario alle imposte personali sul reddito del cedente non relative

all’azienda.

Nell’area delle imprese costituite in forma di società di capitali, aventi dunque

personalità giuridica e autonomia patrimoniale perfetta, le obbligazioni tributarie

dell’azienda non presentano particolari problemi di identificazione, essendo l’azienda il

soggetto di diritto titolare delle proprie posizioni giuridiche, e non l’imprenditore o i

soci.

Un problema, invece, di non facile soluzione, è quello riguardante la determinazione dei

debiti tributari dell’azienda ceduta, quando essa è costituita nelle forma giuridiche di

società di persone o di impresa individuale, ossia quando il suo regime di imposizione è

quello applicato alle c.d. “persone fisiche”.

Il carico fiscale delle aziende rientranti in tale categoria è rappresentato

dall’applicazione, ognuna secondo la propria base imponibile, dell’I.R.A.P. e

dell’I.R.P.E.F.

Mentre la prima grava anche sulle imprese gestite in forma di società di capitali, ed ha

una base imponibile riferita a elementi rigorosamente interni all’apparato aziendale

(reddito, costi del personale e oneri finanziari) la seconda rappresenta una imposizione

generalizzata sul reddito della persona fisica, di cui il reddito d’impresa può essere una

componente.

Un imprenditore individuale, quindi, può vedersi assoggettare all’imposta personale

redditi di diversa provenienza.

Oltre al reddito d’impresa appunto, essa può colpire anche redditi fondiari, redditi da

capitale, redditi da lavoro dipendente, da lavoro autonomo e redditi diversi, secondo la

logica della C.i.t. (Comprehensive income tax), allargando dunque la base imponibile

per dare centralità all’imposta personale progressiva sul reddito complessivo35

.

Questa caratteristica dell’imposta personale può creare dei problemi nel caso di cessione

dell’azienda, in quanto non è chiaro se la responsabilità del cessionario per I.R.P.E.F.

sia confinata alle sole imposte “aziendali”, il cui presupposto è quindi un reddito

35

BOSI – GUERRA, I tributi nell’economia italiana, Il Mulino, 2011, p. 13.

31

d’impresa, o sia estesa anche a imposte dovute dal cedente nell’anno del trasferimento o

nei due precedenti, per redditi di categoria diversa.

Tale dubbio è accentuato anche dal fatto che, prima della stesura dell’attuale normativa,

l’art.19 primo comma della Legge 4/1929 stabiliva espressamente che il successore

dell’azienda, a qualsiasi titolo, rispondeva delle imposte che fossero state applicate per

violazioni delle norme concernenti i tributi relativi all’azienda36

.

Pertanto, nonostante ad oggi la formulazione della norma di cui all’art. 14 del D.lgs.

472/97 sia molto simile a quella del ’29, manca quel preciso riferimento che consente di

esonerare il cessionario dalla responsabilità per violazioni del cedente non relative

all’azienda.

Nella redazione del testo dell’art. 14 il legislatore sembra quasi essersi dimenticato

dell’esistenza delle imprese come persone fisiche, in quanto, dalla sua analisi, non

emergono elementi sufficienti a dare una solida risposta al nostro problema.

Si potrebbe pensare che tale mancanza sia una volontaria omissione che il legislatore

del ’97 ha scelto per allargare l’area di responsabilità del cessionario d’azienda rispetto

alla precedente normativa, ma anche questa ipotesi non è adeguatamente sostenuta da

sufficienti elementi.

Tuttavia, a nostro avviso, si dovrebbero annoverare nella sfera di responsabilità del

cessionario solamente i debiti per tributi inerenti all’azienda ceduta, secondo una logica

della separazione dell’entità azienda da quella del titolare, riconoscendo dunque la

chiara estraneità dei fatti giuridici personali di quest’ultimo a tale entità.

36

L’art 13 della legge n.4/1929 stabiliva più precisamente che: il successore a qualsiasi titolo per atto tra vivi di una azienda commerciale o industriale è obbligato verso l’Amministrazione Finanziaria in solido col suo autore per il pagamento, oltre che del tributo, della sopratassa e della pena pecuniaria, che siano state applicate per violazioni delle norme concernenti i tributi relativi all’azienda per l’anno in cui ha luogo il trasferimento e per i due anni precedenti.

32

CAPITOLO III

LA TUTELA DEL DIRITTO ALLA DIFESA IN CAPO AL

CONDEBITORE SOLIDALE.

3.1 La teoria della “supersolidarietà” tributaria.

In questo capitolo ci occuperemo di alcuni aspetti importanti delle obbligazioni solidali

tributarie, tra cui, come abbiamo visto, rientrano quelle per imposte e sanzioni relative

all’azienda ceduta, in un ottica processuale, ossia rivolta alla fase contenzioso.

Il contenzioso di regola ha origine quando l’Amministrazione Finanziaria emana e

notifica un atto autoritativo nei confronti di un soggetto, il quale, ritenendo ingiusta la

pretesa del fisco, impugna l’atto nel tentativo di far valere le proprie ragioni.

Siamo dunque di fronte ad uno di quei tipici casi in cui interesse pubblico e interesse

privato si contrappongono, e l’Amministrazione, per perseguire l’obiettivo proprio della

funzione amministrativa, ossia l’interesse generale, può ricorrere al potere di imporsi sul

privato, ma ciò può avvenire solamente nel rispetto di determinati limiti e metodi.

Il primo di questi limiti è rappresentato dal principio di legalità, che confina la

possibilità dello Stato di far uso del potere pubblico ai soli casi stabiliti dalla legge.

Tale principio costituisce l’elemento fondamentale di distinzione tra uno stato di diritto

e un regime dittatoriale e nel nostro ordinamento è accolto da numerose norme tra cui le

più importanti sono gli art. 23, 42 e 97 della Costituzione37

.

Essendo i poteri pubblici previsti dalla legge, ne consegue che i provvedimenti

emanabili dall’Amministrazione saranno anch’essi limitati ai dettati normativi, in

quanto ogni provvedimento deriva dall’utilizzo di un determinato potere.

37

Art. 23 Cost.: nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge. Art. 42 comma 3 Cost.: la proprietà privata può essere, nei casi previsti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale. Art. 97 Cost.: i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'Amministrazione.

33

È per questo motivo che dal principio di legalità ha origine questo secondo limite, cioè

quello della tipicità dei provvedimenti.

Al di fuori di questi casi, l’Amministrazione opera secondo le norme di diritto privato.

Per quanto riguarda invece i metodi di utilizzo del potere pubblico, la legge prevede

che esso sia procedimentalizzato, ossia utilizzato secondo certi schemi.

La legge sul procedimento, infatti, stabilisce che l'attività amministrativa persegue i fini

determinati dalla legge secondo le modalità fissate dalla stessa legge, nonché in base ai

principi individuati dall'ordinamento comunitario38

.

Questa previsione costituisce un importante contrappeso al potere pubblico, imponendo

all’Amministrazione di perseguire l’interesse generale evitando di ledere i diritti

soggettivi dei privati.

Il procedimento amministrativo, dunque, consiste in una serie di fasi e di atti volti a

raggiungere l’emanazione del provvedimento voluto secondo un “giusto percorso”, e

ciò vale anche in ambito tributario.

La legge tributaria indica tassativamente quali atti possono essere impugnati nell’art. 19

del D.lgs. 546/199239

, in quanto non è possibile ricorrere immediatamente contro

qualsiasi atto emanato dall’Amministrazione Finanziaria per esigenze di efficienza e

snellezza dell’azione amministrativa. Tali atti tuttavia, non sono impugnabili solamente

per vizi propri, ma anche per vizi di atti precedenti, in quanto il meccanismo introdotto

dal legislatore consente il controllo sull’operato complessivo dell’Amministrazione

tramite l’impugnazione dell’atto finale per vizi relativi ad atti a quest’ultimo

presupposti.

38

Art 1 L. 241/90 (legge sul procedimento amministrativo). 39

Art.19 D.lgs. 546/92. Il ricorso può essere proposto avverso: a) l'avviso di accertamento del tributo; b) l'avviso di liquidazione del tributo; c) il provvedimento che irroga le sanzioni; d) il ruolo e la cartella di pagamento; e) l'avviso di mora; e-bis) l'iscrizione di ipoteca sugli immobili e il fermo di beni mobili registrati; f) gli atti relativi alle operazioni catastali; g) il rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti; h) il diniego o la revoca di agevolazioni o il rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari; i) ogni altro atto per il quale la legge ne preveda l'autonoma impugnabilità davanti alle commissioni tributarie.

34

In questo modo viene riconosciuta l’importanza del rispetto del procedimento quale

aspetto fondamentale dell’azione amministrativa.

In ogni caso, è precisato dal suddetto art. 19 che gli atti elencati come immediatamente

impugnabili non possono mai essere oggetto di impugnazione nell’atto ad essi

presupposto, in quanto impugnabili solamente per vizi propri.

La questione si fa ancora più delicata quando destinatari dell’atto impositivo emesso

dall’Amministrazione Finanziaria siano una pluralità di possibili condebitori

solidalmente responsabili.

Nella solidarietà civilistica, ai sensi degli art. 1304 e seguenti, è noto come l’atto

compiuto da uno dei condebitori in solido o di cui esso è destinatario è efficacie nei

confronti degli altri condebitori, solamente se i suoi effetti sono a favore di essi.

Ciononostante, la giurisprudenza tributaria ha in passato spesso affermato la non

applicabilità di tale disciplina civilistica alle fattispecie di natura tributaria, sostenendo

l’esistenza di principi propri della solidarietà tributaria, differenti da quella civilistica, e

fondati sulla mutua rappresentanza reciproca tra tutti i condebitori, al fine di garantire

l’unitarietà del rapporto fisco-coobbligati solidali.

La conseguenza di una siffatta teoria è che, inglobando in un unico fascio tutti i rapporti

tra i condebitori e l’Amministrazione Finanziaria, quest’ultima può rapportarsi con uno

solo di essi e l’atto divenuto per egli definitivo produce effetti anche nei confronti degli

altri, anche se questi non erano a conoscenza della sua esistenza.

Tale figura, per distinguerla da quella giusprivatistica, venne chiamata supersolidarietà

tributaria.

Dunque anche la notifica dell’atto ad uno solo dei soggetti passivi avrebbe fatto partire

il conto alla rovescia del termine di impugnazione nei confronti di tutti gli altri.

Nell’ambito della cessione d’azienda, perciò, il cessionario avrebbe potuto vedersi

negare la possibilità di ricorrere contro un atto ad egli non notificato per decadenza del

termine di impugnazione causata dall’inerzia del condebitore principale, unico

conoscitore effettivo dell’atto, e tale atto avrebbe prodotto ugualmente i suoi effetti

negativi nella sfera giuridica del cessionario.

Dopo decenni di dubbi sulla legittimità della “supersolidarietà tributaria”, a partire dalla

fine degli anni sessanta la giurisprudenza sembra aver deciso per un orientamento

pressoché unanime: lo spartiacque concettuale tra normativa tributaria e civilistica può

35

essere individuato nella fondamentale sentenza Costituzionale n. 48/1968, per cui,

quantomeno in giurisprudenza, sembra ormai pacificamente accolto il principio in base

al quale non risulta possibile ricostruire una nozione di solidarietà tributaria diversa e

scissa da quella civilistica40

.

Nella sentenza in questione la supersolidarietà era sostenuta dal Tribunale di Torino

sulla base di alcune motivazioni.

La prima riguardava la struttura dell’obbligazione di imposta, quando il tribunale

sosteneva che, in considerazione del carattere pubblicistico della prestazione e della

sua unitarietà, perché è unico ed inscindibile l'oggetto dell'imposta, quindi il

presupposto dell'obbligazione, così da determinare la nascita di un rapporto giuridico

oggettivamente unico, e da escludere che l'accertamento del tributo sia scomponibile

in tanti parziali accertamenti quanti sono i condebitori41

.

La seconda faceva riferimento alla unitarietà dell’esito del contenzioso, ritenendo il

Tribunale che il potere di riscossione dei tributi riceva nella Costituzione una sua

particolare tutela, e il maggior rigore che informa il sistema interpretato nel modo

suddetto ha una propria ragion d'essere nell'opportunità di evitare, in una materia

intensamente permeata dall'interesse pubblico, la possibilità che, nella stessa

controversia, si abbiano più pronunce difformi ovvero una disparità di trattamento fra

più soggetti passivi dell'obbligazione d'imposta42

.

Inoltre, era affermato sempre dal Tribunale in questione che, nonostante la prassi di

notificazione dell’atto di accertamento a tutti i soggetti passivi fosse preferibile per la

maggiore tutela ad essi offerta, nel caso in cui essa sia stata eseguita verso uno solo dei

condebitori, la mancanza della comunicazione agli altri da parte di quest’ultimo non

poteva essere fonte di responsabilità dell’Amministrazione.

Da ultimo la parte resistente riportava a sostegno della propria tesi che tra i condebitori

esiste normalmente il diritto di rivalsa, e il debitore pregiudicato dall'inerzia del

condebitore può far dichiarare la responsabilità di quest'ultimo43

.

I Giudici delle Leggi hanno ritenuto i motivi riportati dal Tribunale non manifestamente

infondati, ma nonostante ciò il fatto di incorrere in una limitazione della tutela

40

PICCIAREDDA, Solidarietà tributaria, in Giurisprudenza Italiana, Novembre 2011. 41

Corte Cost. n.48/1968. 42

Corte Cost. cit. 41 43

Corte Cost. cit. 41.

36

giurisdizionale del contribuente, e pertanto, in una violazione dell’art.24 primo comma

della Costituzione, ha indotto la Corte a pronunciarsi contro la supersolidarietà

dichiarandola incostituzionale.

In primis, “non può essere condiviso il punto di vista del Tribunale quando afferma che

l'obbligazione solidale di diritto tributario non riunisce più vincoli, come

l'obbligazione solidale di diritto civile, ma lega in unico rapporto tutti i debitori fino al

punto che, contestata verso uno solo di essi, la pretesa fiscale (…) svolge i suoi effetti

anche verso tutti gli altri, assorbendo nella difesa di uno la difesa di tutti”44

.

Il colpo mortale all’istituto della supersolidarietà si trova sempre dalle poche, ma ricche

di valore scientifico, pagine della fondamentale sentenza in questione, dove,, così

riportando il testo dell’art. 24 della Costituzione (la tutela giurisdizionale dei diritti e

degli interessi è garantita a « tutti ») ne ribadisce l’importanza sottolineando come “la

norma ha una formulazione tanto generale da colpire qualsiasi esclusione della tutela

giurisdizionale, soggettiva od oggettiva, e qualsiasi limitazione che ne renda

impossibile o difficile l'esercizio da parte di uno qualunque degli interessati. Non

possono perciò dirsi coerenti a così larga garanzia, norme come quelle denunciate,

per le quali la tutela giurisdizionale di tutti i condebitori viene consumata

dall'esercizio o dalla disposizione del diritto che ne fa uno solo di essi”45

.

La predetta sentenza ha portato, negli anni successivi, a numerose pronunce

giurisprudenziali orientate nel medesimo senso, le quali sostengono appunto

l’inviolabilità dell’art. 24 della Costituzione e l’importanza del rispetto del

procedimento tributario46

.

A riguardo, è doveroso riportare un principio ormai consolidato nelle supreme

magistrature, secondo cui “la correttezza del procedimento di formazione della pretesa

tributaria è assicurata mediante il rispetto di una sequenza ordinata secondo una

progressione di determinati atti, con le relative notificazioni, destinati, con diversa e

specifica funzione, a farla emergere e a portarla nella sfera di conoscenza dei

destinatari, allo scopo, soprattutto, di rendere possibile per questi ultimi un efficace

esercizio del diritto di difesa. Nella predetta sequenza, l’omissione della notificazione

dell’atto presupposto costituisce vizio procedurale che comporta la nullità dell’atto

44

Corte Cost. cit. 41. 45

Corte Cost. cit. 41. 46

Sul punto vedi Cass. n.1312/1973.

37

consequenziale notificato e tale nullità può essere fatta valere dal contribuente mediante

la scelta o di impugnare, per tale semplice vizio, l’atto consequenziale notificatogli, (…)

o di impugnare cumulativamente anche quest'ultimo (non notificato) per contestare

radicalmente la pretesa tributaria”47

.

Anche le giurisprudenze minori si sono più volte pronunciate nel medesimo senso,

accogliendo la tesi per cui “il vincolo della solidarietà non può legittimare l’autorità

finanziaria, dopo aver notificato l’avviso all’obbligato principale, ad agire nei confronti

di altro soggetto cui non è stato notificato l’avviso”48

.

Risultano poco frequenti e scarsamente motivate le sentenze orientate nel senso opposto

a quello fin qui riportato.

Ad esempio, la C.t.p. di Treviso ha recentemente affermato che, nel caso di specie,

nonostante la pacifica mancata notificazione al cessionario dell’avviso di accertamento

in capo al cedente dell’azienda, il primo è comunque responsabile per le imposte dovute

dal secondo, non avendo richiesto per tempo il certificato dei carichi pendenti che

avrebbe circoscritto definitivamente la sua responsabilità, prevedendo la legge idonei

strumenti di tutela della posizione giuridica del cessionario49

.

Secondo la Commissione, dunque, esisterebbe un principio secondo cui il regime del

certificato liberatorio escluderebbe ogni ulteriore diritto di difesa del cessionario.

Principio che non sembra condivisibile, mancando nella normativa tributaria l’evidenza

di un possibile collegamento tra la ratio del certificato, appunto certificare e

circoscrivere il quantum del debito, e quella della notifica degli atti al contribuente, cioè

metterlo nelle condizioni di contestare la pretesa tributaria in forza del diritto di difesa

ad egli conferito dalla Costituzione.

Una motivazione pertanto, quella dei giudici di Treviso, che non pare in grado di

compensare il vizio della mancata notificazione, alla luce dell’importanza ad essa

concessa dalle citate pronunce delle supreme magistrature.

Questo anche alla luce del principio del “giusto processo” contenuto nell’art. 6 della

CEDU, che con il trattato di Lisbona del 2009 è stata inserita nel diritto dell’UE.

Tale riforma infatti muove verso un rafforzamento dei diritti fondamentali e dei principi

cardine delle democrazie europee, e ribadisce l’importanza dall’art.111 della

47

Cass. Civ. SS.UU., n. 5791/2008. 48

C.t.p. di Pesaro n.22/2013. 49

C.t.p. di Treviso n.109/2012.

38

Costituzione italiana, il quale, dal 2001, prevede l’impegno delle istituzioni per la

realizzazione di una giurisdizione equa e imparziale, con cui il fenomeno della

supersolidarietà è da ritenersi contrastante.

L’art. 117 Cost.50

ha inoltre accolto i principi dell’ordinamento giuridico comunitario

tra quelli costituzionali e insieme all’art.11 della nostra Carta Fondamentale51

essi

costituiscono il fondamento giustificativo della diretta applicabilità della normativa

comunitaria all'interno del nostro ordinamento52

.

Ad oggi quindi può considerarsi comprovato, anche se non unanimemente condiviso,

che non esiste una disciplina della solidarietà di diritto tributario separata da quella di

diritto privato, ritenendosi in linea di massima applicabile anche al primo la normativa

generale contenuta negli articoli 1292 e seguenti del Codice civile (1306 in modo

particolare), anche se sarebbe opportuno un dettagliato intervento da parte del

legislatore per il riempimento dell’attuale vuoto normativo, che in questa materia

risolverebbe molti problemi interpretativi, e porterebbe ad una maggiore chiarezza e

certezza del diritto.

50

Art. 117 Cost. secondo comma: La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. 51

Art. 11 Cost.: L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo. 52

NAPOLI, La Corte dinanzi ai "vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario": tra applicazione dell'art. 117, primo comma e rispetto dei poteri interpretativi della Corte di Giustizia, in "le Regioni", 2/2006.

39

3.2 Efficacia soggettiva dell’iscrizione a ruolo e termini di decadenza

per la notifica della cartella esattoriale.

Un aspetto particolare delle obbligazioni solidali, sia di natura civilistica che tributaria,

è rappresentato dal fatto che, secondo una recente pronuncia della Commissione

Tributaria di Bolzano, non si applica la disciplina generale dell’art. 1310 c.c. sulla

prescrizione in materia di obbligazioni solidali, bensì quella di cui all’art. 2964 c.c. sulla

decadenza, che prevede espressamente l’inapplicabilità delle regole della prescrizione53

.

Nel caso in esame, erano trattati nel contenzioso i problemi di stabilire se, ai fini del

recupero coattivo del credito a carico del cessionario d’azienda, occorresse

un’autonoma iscrizione a ruolo, e se la notifica delle cartelle dovesse avvenire

anche verso quest’ultimo, e in tal caso, se dovesse avvenire entro il medesimo termine

decadenziale previsto per il debitore principale.

In merito alla prima questione, la citata sentenza dei giudici di Bolzano nega la

necessità di una autonoma iscrizione a ruolo a carico del coobbligato affermando che

“l’iscrizione a ruolo delle imposte liquidate ex art. 36-bis D.P.R. n. 600 del 1973, infatti,

va correttamente eseguita soltanto nei confronti del debitore principale”54

.

Tuttavia, altre fonti autorevoli propendono per una soluzione diversa da quella sopra

riportata.

In una recente pronuncia, i giudici di Pesaro, affermando che “le cartelle di pagamento

esplicano effetti solamente verso coloro nei cui confronti vengono emesse e

notificate”55

, sembrano al contrario sostenere la necessità che il soggetto destinatario del

titolo esecutivo debba essere intestatario di una precedente iscrizione a ruolo, dalla

quale può poi derivare l’emissione di una cartella nei suoi confronti.

A riguardo, l’art. 11 del D.L. 13 maggio 1991 n.151, convertito con L. 202/1991,

dispone che “se più soggetti sono solidalmente tenuti al pagamento delle tasse, delle

imposte indirette, dei tributi locali e delle altre entrate iscritte nei ruoli (…) la cartella

di pagamento è notificata soltanto al primo intestatario della partita iscritta a ruolo”.

Sul punto, autorevoli studiosi affermano che dall’espressione “primo intestatario” sia

desumibile la necessità che tutti gli obbligati debbano essere intestatari del ruolo.

53

Commissione Trib. I grado di Bolzano, sez. I, n.56/2012. 54

Commissione Trib. I grado di Bolzano, cit. 53. 55

C.t.p. di Pesaro, cit. 48.

40

Analogamente, secondo Falsitta, “il sistema vigente è ispirato al principio fondamentale

dell’inestensibilità soggettiva del ruolo”56

, e quindi l’iscrizione è condizione

necessaria per procedere alla notifica della cartella di pagamento nei confronti di un

soggetto, anche nei casi di solidarietà.

Egli afferma inoltre che “si è consolidato l’indirizzo secondo cui l’iscrizione a ruolo a

carico di uno dei condebitori solidali non può riversare i propri effetti negativi nei

confronti di altri”57

.

Tuttavia è lo stesso Falsitta ad escludere l’applicazione di detti principi ai casi di

“solidarietà dipendente limitata”58

, ai quali pare riconducibile quella tributaria del

cessionario d’azienda59

.

Questo in quanto non si tratterebbe di una vera e propria ipotesi di solidarietà, ma

piuttosto di una forma di soggezione strumentale alla procedura di riscossione

riguardante in primis l’obbligato principale60

.

Pertanto, nelle fattispecie di trasferimento aziendale, sembra potersi ritenere

condivisibile la soluzione adottata dalla Commissione Tributaria di Bolzano.

Relativamente invece ai termini per la notificazione della cartella di pagamento, occorre

innanzitutto far riferimento all’art. 25 D.P.R. 602/73 primo comma, il quale, nella sua

formulazione originale, stabiliva che “il Concessionario notifica la cartella di

pagamento al debitore iscritto a ruolo o, in alternativa, al coobbligato, nei confronti dei

quali procede, entro l'ultimo giorno del quarto mese successivo a quello di consegna del

ruolo”.

Con il D.lgs. 193/2001 (Modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 29

settembre 1973, n. 602) però, il primo comma dell’art. 25 è stato espressamente

modificato; l’art. 1 primo comma, lettera b) del decreto correttivo recita infatti che

“nell'articolo 25, comma 1, concernente la cartella di pagamento, le parole da

"entro" a "del ruolo", sono soppresse”.

La nuova formulazione si presentava dunque priva di termini decadenziali, cosa che al

lettore dovrebbe suscitare da subito alcune perplessità.

56

FALSITTA, Manuale di diritto tributario, Parte generale, Cedam, Padova, 2010, p. 461. 57

FALSITTA, Manuale di diritto tributario, cit. 56, p.462. 58

FALSITTA, Manuale di diritto tributario, cit. 56, p.462. 59

(cfr. cap. II, par. 1). 60

FALSITTA, Manuale di diritto tributario, cit. 56, p.462.

41

La norma in questione è stata infatti, a distanza di pochi anni, dichiarata illegittima dalla

pronuncia della Corte Costituzionale n. 280 del 2005, la quale sottolineava in

particolare “che è conforme a Costituzione, e va dall'interprete ricercata, soltanto una

ricostruzione del sistema che non lasci il contribuente esposto, senza limiti temporali,

all'azione esecutiva del fisco”.

La suprema Corte precisa inoltre la non validità dei termini ordinari di prescrizione in

sostituzione di uno specifico termine decadenziale, “non essendo consentito dall'art. 24

Cost., lasciare il contribuente assoggettato all'azione esecutiva del fisco per un tempo

indeterminato e comunque, se corrispondente a quello ordinario di prescrizione,

certamente eccessivo e irragionevole”61

.

Ad oggi la norma di riferimento è pertanto la Legge 156 del 2005.

L’art. 5-bis di quest’ultima, al primo comma, lettera a), stabilisce che “al fine di

garantire l'interesse del contribuente alla conoscenza, in termini certi, della pretesa

tributaria derivante dalla liquidazione delle dichiarazioni e di assicurare l'interesse

pubblico alla riscossione dei crediti tributari, la notifica delle relative cartelle di

pagamento è effettuata, a pena di decadenza entro il 31 dicembre del terzo anno

successivo a quello di presentazione della dichiarazione, con riferimento alle

dichiarazioni presentate a decorrere dal 1° gennaio 2004”.

Per quanto concerne i soggetti ai quali la cartella deve essere notificata nei detti termini,

il già citato D.L. 151/1991 art. 11, prevede che “(…) la cartella di pagamento è

notificata soltanto al primo intestatario della partita iscritta a ruolo; a ciascuno degli

altri soggetti tenuti in solido, il Concessionario della Riscossione che ha ricevuto in

carico il ruolo invia una comunicazione informandolo del contenuto e della notifica

della cartella (…)”.

La pronuncia della C.t.p. di Pesaro precedentemente citata, dunque, non è conforme al

dettato della norma appena riportata62

, ma pare essere retta da un maggiore rispetto della

tutela dei diritti del contribuente in maniera coerente con la logica della Legge n.

212/2000. .

61

Corte Cost. n 280/2005. 62

Ricordiamo che, come già riportato a pag.37, il principio sostenuto dalla C.t.p. di Pesaro è che “le cartelle di pagamento esplicano effetti solamente verso coloro nei cui confronti vengono emesse e notificate”, mentre le norme citate stabiliscono che la notifica è fatta solo al primo intestatario o comunque a uno solo dei debitori.

42

Condivisibile o meno, quindi, l’orientamento della Commissione di Bolzano sulla

mancanza della necessità di una separata iscrizione a ruolo a carico del condebitore, che

comunque in base al D.L. 151/91 pare necessaria, sembra essere conforme ai principi di

collaborazione e di buona fede, oltre che a quello del giusto processo, la previsione che

“sulla base del ruolo (a prescindere dalla completezza dei suoi intestatari) spetta

all’Agente della Riscossione procedere (…), mediante notifica della relativa cartella nei

confronti sia del debitore principale che dei coobbligati, che lo stesso Agente è tenuto

ad individuare”63

.

I termini di decadenza per la notifica delle cartelle, stabiliti dalla L.156/2005, devono

ritenersi validi tanto per il debitore principale quanto per il coobbligato, e la regolare

notifica al primo non comporta nessun effetto interruttivo del termine verso il secondo.

3.3 L’istituto del litisconsorzio e la sua connessione con le obbligazioni

solidali.

Nella fase del contenzioso, strettamente legato al tema delle obbligazioni solidali risulta

essere il concetto di litisconsorzio.

Il termine litisconsorzio da un lato indica la situazione di comunanza della lite ad altri

soggetti oltre alla parte che l’ha promossa o contro la quale è stata iniziata, dall’altro la

necessità o possibilità che alla lite partecipino anche tali altri soggetti64

.

La disciplina del litisconsorzio tributario è stata introdotta con la legge delega sulla

riforma del processo tributario n.413/91 art.30, convertita in D.lgs. 546/92 art.14.

Prima dell’entrata in vigore di tale norma occorreva ricorrere anche nel processo

tributario alle norme del c.p.c., art.102 e seguenti, come indicato dal rinvio espresso

contenuto nell’art.30 del D,P.R. 636/72.

Il primo comma dell’art.14 del D.lgs. 546/92 disciplina il litisconsorzio necessario,

affermando che “se l' oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti, questi

63

Commissione Trib. I grado di Bolzano, cit. 53. 64

GENISE, Il litisconsorzio tributario, in Il Processo Tributario, Convegno dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Rossano, 21 Giugno 2013.

43

devono essere tutti parte nello stesso processo e la controversia non può essere decisa

limitatamente ad alcuni di essi”.

L’elemento decisivo dunque per la configurazione di una fattispecie di litisconsorzio

necessario è individuato dalla norma nell’inscindibilità tra più soggetti dell’oggetto del

ricorso65

.

Detto ciò, occorre capire se effettivamente, nelle situazioni di solidarietà tributaria,

siano riscontrabili, dal lato dei ricorrenti (contribuenti) o da quello dei resistenti

(Amministrazione Finanziaria), caratteri che possano ricondurre alla configurazione di

rapporti litisconsortili.

In linea generale, è sostenuto dalla maggior parte della dottrina e della giurisprudenza

che le obbligazioni solidali non comportino automaticamente l’applicazione del

litisconsorzio necessario, per il fatto che esse sono caratterizzate da una pluralità di

vincoli, anche se derivanti dal medesimo fatto giuridico ossia aventi una eadem causa

obligandi.

Il litisconsorzio invece presuppone la sussistenza di un rapporto sì plurisoggettivo, ma

unitario, costituito da una sola e unica obbligazione.

La solidarietà tributaria paritaria, afferma la Corte di Cassazione, genera, infatti, un

fascio di obbligazioni distinte, collegate dall’identità di titolo e di contenuto; l’esistenza

di tale insieme di vincoli non crea un unico rapporto plurisoggettivo ma tanti rapporti

quanti sono i coobbligati solidali66

.

La questione è comunque caratterizzata tutt’ora da una certa incertezza in quanto altre

recenti pronunce giurisprudenziali hanno messo in discussione quanto fin qui affermato,

lasciando il problema sostanzialmente irrisolto.

Un’importante deviazione in questo senso è quella stabilita dalla Cassazione con la

sentenza n. 1052/2007.

Tale pronuncia, sulla base dell’esistenza di principi ordinatori propri del diritto

tributario, stabilisce la regola secondo cui “ogni volta che per effetto della norma

tributaria o per l'azione esercitata dall'Amministrazione Finanziaria l'atto impositivo

debba essere o sia unitario, coinvolgendo nella unicità della fattispecie costitutiva

dell'obbligazione una pluralità di soggetti, e il ricorso proposto da uno o più degli

65

GENISE, Il litisconsorzio tributario, cit. 64. 66

Cass. SS.UU., n. 7053/1991.

44

obbligati abbia ad oggetto non la singola posizione debitoria del ricorrente, ma la

posizione inscindibilmente comune a tutti i debitori rispetto all' obbligazione dedotta

nell'atto autoritativo impugnato, ricorre una ipotesi di litisconsorzio necessario nel

processo tributario ai sensi dell' art. 14, comma 1, D.lgs. n. 546 del 1992”.

Siffatta conclusione della Corte muove dal fatto che il litisconsorzio necessario

garantisce il rispetto del principio Costituzionale della capacità contributiva,

perseguendo dunque l’interesse dell’ordinamento a una giusta imposizione.

Le importanti ricadute di tale decisione sul tema della solidarietà tributaria sembrano

essere evidenti ad ampia parte della dottrina, anche se la Corte di Cassazione ha

sottolineato la totale estraneità della menzionata sentenza alla fattispecie della

solidarietà tributaria67

.

La sentenza precisa infatti che la disposizione di cui all'art. 14, comma 1, D.lgs. 546 del

1992 si muove in una prospettiva diversa da quella nella quale si collocano le regole

relative all'obbligazione solidale, obbligazione la cui (eventuale) sussistenza non

realizza un presupposto per l'applicazione della norma in questione.

Autorevoli studiosi sostengono tuttavia che il principio così introdotto dalla sentenza

1052/2007 sia riferibile anche al tema di obbligazioni solidali; secondo Falsitta, in

relazione a detta sentenza, “il recente tentativo di riproporre la tesi della supersolidarietà

basandola sull’asserto che l’estensione alle obbligazioni pubbliche di imposta delle

regole civilistiche sulla solidarietà non regge ad un serio vaglio di legittimità

costituzionale (art. 3,53,97) appare convincente”68

. E ancora egli afferma che “postulare

la necessità che la definizione del rapporto d’imposta, dovendo avvenire in maniera

uniforme per tutti i coobbligati, vada perseguita con il coinvolgimento di tutti, in ogni

momento e fase, e quindi nella prospettiva della realizzazione del litisconsorzio

necessario appare soluzione conforme ai principi di giusto riparto”69

.

Secondo altra autorevole dottrina, però, “ciò può essere solo un auspicio de iure

codendo considerato che il diritto positivo non disciplina il fenomeno dell’accertamento

del presupposto plurisoggettivo in modo da consentire il coinvolgimento di tutti i

soggetti che hanno concorso a realizzarlo, considerato che si devono fare i conti con le

dichiarazioni tributarie, che rivestono ormai un ruolo centrale; il giudizio inter partes,

67

PICCIAREDDA, Solidarietà tributaria, cit. 40. 68

FALSITTA, Manuale di diritto tributario, cit. 57, p. 264. 69

FALSITTA, Manuale di diritto tributario, cit. 57, p. 265.

45

indipendentemente dai motivi della decisione, deve dunque necessariamente prevalere

su quello formatosi inter alios”70

.

Se da un lato, quindi, il litisconsorzio necessario sembra essere stato ammesso per

alcune ipotesi, dall’altro, in via generale, pare continuare ad esistere il binario parallelo

che, permettendo a ciascun coobbligato di rapportarsi autonomamente nei riguardi

dell’Ente impositore, finisce inevitabilmente (e in un certo qual senso in modo

incongruo) di produrre effetti in capo agli altri consorti in virtu` dell’applicazione in

utilibus di quella regola dell’estensione favorevole del giudicato portata dall’art. 1306

c.c.71

.

Se l’applicazione del litisconsorzio necessario nei processi tributari aventi ad oggetto

obbligazioni solidali è dunque ancora incerta, lo è molto meno quella del litisconsorzio

facoltativo successivo.

L’art. 14 del D.lgs. 546/92 disciplina tale istituto al terzo comma stabilendo che

“possono intervenire volontariamente o essere chiamati in giudizio i soggetti che,

insieme al ricorrente, sono destinatari dell' atto impugnato o parti del rapporto tributario

controverso”.

In questi casi dunque la presenza di ulteriori soggetti rispetto ai due indispensabili per

l’instaurazione di un processo è solamente eventuale72

.

Non sono mancate le critiche in merito alla legittimità di questo tipo di intervento.

Chi la esclude si rifà al tenore letterale dell’art.14 terzo comma, il quale consente

l’intervento solo di coloro che sono destinatari dell’atto impugnato o parti del

rapporto tributario controverso73

.

In particolare, secondo tale orientamento, il litisconsorzio facoltativo successivo non

sarebbe ammissibile in quanto elementi costitutivi della facoltà di intervento sarebbero

solamente il fatto di essere destinatari dell’atto o parti del rapporto controverso, non

avendo rilevanza l’interesse indiretto all’intervento74

.

70

PALERMO, L’obbligazione solidale nel diritto tributario: una conferma dalla Suprema Corte in materia di limiti al giudicato riflesso, in Rivista della Scuola Superiore di Economia e delle Finanze, 1/2006, p.522. 71

PICCIAREDDA, Solidarietà tributaria, cit. 40. 72

CIRCI – MOJANA, Processo tributario: legittimazione all’intervento adesivo dipendente in capo al cessionario d’azienda, in Fisco 10/2012. 73

GENISE, Il litisconsorzio tributario, cit. 64. 74

CIRCI – MOJANA, Processo tributario: legittimazione all’intervento adesivo dipendente in capo al cessionario d’azienda, cit. 24.

46

Chi invece lo ritiene ammissibile parte da una interpretazione estensiva del concetto

di destinatario dell’atto, ritenendo tali non solo l’effettivo destinatario ma anche

quello potenziale o mediato75

.

In questo senso, la recente sentenza n.255/2012 della Cassazione ha affermato la

legittimità dell’istituto in questione, sulla base di una considerazione del contribuente

in senso sostanziale e non meramente formale.

Secondo la Suprema Corte deve consentirsi di intervenire nel processo a quei soggetti,

che pur non essendo diretti destinatari dell’atto impugnato, potrebbero essere chiamati a

rispondere in luogo di altri in forza di un vincolo solidale, come nel caso del cessionario

d’azienda ex art. 14 D.lgs. 472/97, posto che tale atto potrebbe esplicare nei loro

confronti effetti giuridici negativi76

.

L’inammissibilità di questo intervento comporterebbe dunque, secondo la Corte, una

ingiustificata lesione della tutela giurisdizionale.

D’altra parte, per poter sostenere tale inammissibilità, si renderebbe necessario stabilire

il principio per cui l’ufficio debba obbligatoriamente notificare l’atto impositivo anche

al cessionario d’azienda, per consentirgli di agire autonomamente verso i giudici di

primo grado77

.

Quanto fin qui esposto è relativo dunque alla disciplina del processo soggettivamente

complesso dal lato delle parti ricorrenti, nel nostro caso rappresentati dal cedente e dal

cessionario di azienda.

È comunque discussa anche la possibilità di configurazione di rapporti litisconsortili

dalla parte del Fisco, i cui possibili soggetti chiamabili in causa sono l’Agenzia delle

Entrate e il Concessionario della riscossione.

In particolare, il tema di maggior interesse riguarda la legittimazione dell’uno o

dell’altro soggetto ad essere parti in causa in un determinato processo.

È il caso di precisare che, stando alle loro diverse funzioni, il titolare del credito erariale

è l’Agenzia, mentre il Concessionario rappresenta un semplice destinatario della

75

GENISE, Il litisconsorzio tributario, cit. 64. 76

Cass. n.255/2012. 77

CIRCI – MOJANA, Processo tributario: legittimazione all’intervento adesivo dipendente in capo al cessionario d’azienda, cit. 72.

47

riscossione, o meglio, in riferimento all’art. 1188 c.c. (destinatario del pagamento), il

soggetto autorizzato dalla legge a ricevere il pagamento78

.

L’Agenzia rappresenta dunque il soggetto principale nell’ipotetica graduatoria di coloro

che sono legittimati alla partecipazione al processo, e la sua chiamata in causa è sempre

sufficiente, senza necessità di compartecipazione al processo da parte dell’Agente della

riscossione.

Se invece l’azione è svolta dal contribuente verso il Concessionario,, l’art. 40 del D.P.R.

N. 43/1988 prevede che “il Concessionario, nelle liti promosse contro di lui che non

concernono esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi, deve

chiamare in causa l'ente interessato: in mancanza, risponde delle conseguenze della

lite”.

Sul punto, precisa la Suprema corte che: “l’enunciato principio di responsabilità

esclude che il giudice debba ordinare ex officio l’integrazione del contraddittorio, in

quanto non sussiste tra Ente Creditore e Concessionario della Riscossione una

fattispecie di litisconsorzio necessario (…) essendo rimessa alla sola volontà del

Concessionario evocato in giudizio, la facoltà di chiamare in causa l’ente creditore”79

.

3.4 Conclusioni.

Leggendo quanto esposto in queste pagine, abbiamo avuto modo di capire come molti

aspetti della disciplina sulla cessione di azienda siano ancora caratterizzati da una certa

incertezza.

È il caso ad esempio della mancanza di una precisazione sulla responsabilità del

cessionario per i debiti tributari non inerenti all’azienda, o delle norme in materia di

iscrizione a ruolo e notifica della cartella di pagamento al cessionario, o ancora,

dell’entità della responsabilità del cessionario di ramo d’azienda in caso di cessione in

frode ai crediti tributari, o della necessità o meno del litisconsorzio.

78

Cass. SS.UU. 16412/2007. 79

Cass. SS.UU. cit. 78.

48

Abbiamo incontrato sentenze che sono in contrasto con le norme, ma che sembrano

esserlo “giustamente”, e che sarebbe il caso di tenere in considerazione perseguendo un

percorso di revisione legislativa alla luce dei nuovi orientamenti dominanti di

giurisprudenza e dottrina.

La situazione è in certi casi caratterizzata da una concomitanza di vuoti normativi uniti a

una certa frammentazione delle norme esistenti, che a volte, sembrano non essere in

grado di garantire la certezza del diritto, e la possibilità per i contribuenti di agire in

maniera consapevole delle conseguenze che determinati atti o fatti potranno avere.

Ciò vale a maggior ragione in un contesto economico come quello italiano degli ultimi

cinque/sei anni, dove, a causa della grave crisi, le operazioni di cessione di azienda sono

state particolarmente frequenti, anche verso acquirenti esteri, che sono spesso

disincentivati all’acquisto a causa anche delle incertezze normative che abbiamo visto.

Il nostro auspicio è, dunque, che ci sia un intervento completo del legislatore, volto a

eliminare questo tipo di problemi, in quanto la cessione di azienda è un operazione

particolare, complessa, e importante, meritevole di conquistare una specifica disciplina.

49

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